A Carne(m)ale ogni delitto vale
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A Carne(m)ale ogni delitto vale - Biancamaria Massaro
Innesti
A Carne(m)ale ogni delitto vale
di Autori Vari
Immagine di copertina: a partire da: AdobeStock_40614521 by cosma (stock.adobe.com)
Editing: Daniele Picciuti
Produzione digitale e montaggio grafico: Daniele Picciuti
ISBN: 9788885497344
Nero Press Edizioni
http://neropress.it
© Associazione Culturale Nero Cafè
Edizione digitale febbraio 2019
Autori vari
A Carne(m)ale ogni delitto vale
INDICE
NON CI SI TRAVESTE SOLO A CARNEVALE
LA STAGIONE DELL’ORSO
ANNO DOMINI 595
L’OMBRA DEL VICHINGO
VENEZIA 2.0
IN DIVINU ET IN HUMANU
LE LUCI DI NARA
ARANCE ROSSO SANGUE
AUTORI
NON CI SI TRAVESTE SOLO A CARNEVALE
Le maschere dei serial killer nel cinema e nella realtà
Biancamaria Massaro
Gli assassini seriali cinematografici – sia che appaiano come del tutto umani, sia quando presentino caratteristiche sovrannaturali o perfino quando incarnino veri mostri
– indossano spesso una maschera. Possono farlo per nascondere le proprie fattezze, a volte più raccapriccianti del travestimento scelto, o per motivi psicologici ma, quale che sia il motivo, di sicuro non rimangono impressi nella mente dello spettatore per il loro reale aspetto, che a volte resta perfino sconosciuto. D’altronde, ci troviamo di fronte a film che sono sospesi
tra il thriller e l’horror puro, perciò lo scopo del regista è soprattutto quello di spaventare, anche facendo leva su paure più comuni di quanto si creda, come quella dei pagliacci.
I serial killer reali, invece, sono molto più semplici e pratici: tranne rare eccezioni, preferiscono farsi vedere bene da chi uccidono, (ri)affermando la propria identità proprio quando esercitano potere e controllo sulle loro vittime. Per non essere riconosciuti da eventuali testimoni o passare senza problemi davanti a una telecamera, al massimo fanno ricorso a un banale passamontagna, elemento indispensabile nel kit
degli stupratori che diventano per caso e/o divertimento assassini.
Nelle pagine che seguono vi parlerò solo di alcuni casi, immaginari e reali, senza avere la pretesa di trattarli tutti: analizzerò le storie che mi hanno colpito di più, soffermandomi su quelle in cui realtà e finzione si sono incontrati e… scontrati. Non entrerò nel dettaglio delle trame poiché, per la maggior parte, si tratta di film noti a tutti gli appassionati di thriller e horror.
Serial killer mascherati cinematografici
Dal 1974, nella saga infinita di The Texas Chain Saw Massacre, Leatherface (Faccia di Cuoio
) ci terrorizza con una maschera fatta di pelle umana che nasconde un volto reso ancor più mostruoso dalle deformazioni dovute a una precedente malattia facciale. Il personaggio è ispirato al necrofilo assassino Ed Gein che, oltre a realizzare arredi per la casa in pelle oppure ossa umane, si cuciva vestiti con lo stesso macabro materiale.
Gein ha influenzato più di un assassino cinematografico, da Norman Bates di Psycho (1959) a Buffalo Bill di The Silence of the Lambs (1991), solo per citare i più famosi. A Leatherface, il regista Tobe Hooper ha fatto indossare a ben tre tipi di maschere differenti – Pretty Woman
, Old Lady
e Killer
– fatto che rende l’assassino, che non riesce neanche ad avere un’identità fittizia stabile
, ancora più disturbante. E spaventoso.
Michael Myers ci avrebbe spaventato così tanto se si fosse nascosto dietro le sembianze di un pagliaccio – idea, come vedremo, sfruttata in molti altri slasher movie – come era stato ventilato tra le prime ipotesi?
Non si sa. Di sicuro, John Carpenter nel 1978 in Halloween è riuscito a creare un serial killer iconico, preferendo dipingere di bianco e allargare le cavità per gli occhi della maschera di William Shatner nei panni del capitano Kirk della serie Star Trek: le modifiche hanno reso il volto inespressivo, irriconoscibile, anonimo e, allo stesso tempo, indimenticabile. Un film costato poco più di trecentomila dollari ne incassò così quarantasette milioni, ebbe numerosi seguiti, imitazioni e perfino un reboot. Molto utile creare un serial killer che non muore mai in modo definitivo e che è facile mostrare sempre con lo stesso aspetto, identificandolo con un travestimento e non con un attore che invecchia.
Jason Voorhees è la dimostrazione di come un personaggio viva di vita propria, sopravviva e uccida in barba al suo autore… e gli porti pure fortuna, fama e denaro.
Jason, infatti, nel primo Friday the 13th del 1980, diretto da Sean S. Cunningham, è solo una vittima innocente, un ragazzo lasciato affogare per la negligenza di alcuni animatori nel lago dove è costruito un campeggio, il Camp Crystal Lake. Alla fine si scopre che è la madre a uccidere per vendicarlo, ribaltando in qualche modo la trama di Psycho. Come nel film del 1960 diretto da Alfred Hitchcock, nelle intenzioni dello sceneggiatore Victor Miller la scioccante rivelazione avrebbe dovuto porre fine alla storia, ma intervenne Tom Savini – futuro regista, ma qui solo
in qualità di truccatore e curatore degli effetti speciali, che aveva già collaborato con le stesse mansioni per George Romero – il quale suggerì di scioccare il pubblico facendo apparire un ragazzo dalle sembianze cadaveriche, lo stesso Jason. Quella che doveva essere solo una trovata geniale, trasformò negli episodi successivi della saga la storia di una mamma assassina ma umana in quella di un’altra creatura immortale come Michael Myers, con grande disappunto del regista e dello sceneggiatore che abbandonarono il progetto.
Nel film d’esordio della saga, Jason all’inizio è solo una sorta di anonimo morto vivente, vestito con una camicia a quadri e dei jeans, mentre nel secondo capitolo indossa un dimenticabile sacco di juta. Solo nel terzo film indosserà la maschera da hockey per cui tutti lo (ri)conosciamo e diventerà quell’icona horror che finisce perfino nello spazio nel corpo di un cyborg, non prima però di aver combattuto contro quel pedofilo assassino e altrettanto restio a morire di Freddy Krueger…
Da notare che anche per il cannibale Hannibal Lecter si è ricorsi all’uso di una maschera da hockey, seppur modificata, ma nel suo caso si tratta di una sorta di museruola che dovrebbe impedirgli di mordere. Anthony Hopkins, però, riesce a essere molto più spaventoso senza, proprio come Anthony Perkins nei panni del timido Norman Bates è più disturbante
che in quelli della madre.
Quando un attore si cala in modo così intenso e riuscito nel personaggio, l’addetto al trucco può cambiare mestiere.
Ogni anno esce almeno uno slasher movie-copia di questi veri cult in cui l’assassino mascherato di turno uccide con espedienti sempre meno originali vari giovani malcapitati, spesso studenti che nascondono un oscuro segreto/orrida colpa
, che porta lo spettatore a volerli vedere puniti, come in I Know What You Did Last Summer del 1997 e i due seguiti (1998, 2006).
La saga cinematografica di Scream merita di essere trattata a sé in quanto è il perfetto anello di congiunzione tra realtà e fantasia.
Interessante anche il fenomeno delle pellicole home invasion, in cui un gruppo di persone travestite si diverte a fare a pezzi coppie o famiglie nelle loro stesse case, come succede in The Strangers del 2008 o Preservation del 2014. Di solito gli assassini arrivano e uccidono senza motivo, scelta stilistica sconcertante per le prime pellicole ma che, alla lunga, appare come ripetitiva e stancante. Yor’re Next del 2011 risulta perciò piuttosto piacevole e originale perché ricorda al pubblico che il denaro è un ottimo movente.
Più interessante la trama della saga di The Purge, iniziata nel 2013, in cui, in un futuro distopico all’apparenza perfetto, il Governo degli Stati Uniti consente ai cittadini una notte durante la quale tutte le attività illegali diventano legali, compreso l’omicidio. Uomini dall’aspetto e i modi per bene
in ogni altro giorno dell’anno, si camuffano per l’occasione e possono anche assediare la casa dei vicini per ucciderli.
Prima di passare ai pagliacci assassini, ricordiamo almeno che anche i mostri si aggiornano e colpiscono in Rete, come nel caso di Smiley del 2012, in cui l’assassino ha una maschera con un lungo sorriso scolpito da una ferita e due ferite verticali come occhi: il killer compare quando si scrive su Internet a una persona per tre volte I DID IT FOR THE LULZ
(LULZ
non è solo il plurale del più noto LOL
, ma ne cambia in parte il significato, assumendo una connotazione negativa: serve, infatti, per commentare l’azione di chi si diverte alle spalle di qualcuno di specifico o di chi chiunque sposi un’idea diversa, come fanno i Troll
o i leoni da tastiera
).
Pagliacci assassini
Nel 2013, durante una conferenza ad Amburgo in cui parlava di come gli era venuta l’idea di IT, Stephen King ha rivelato che voleva rappresentare tutti i mostri, anzi un mostro che possa racchiuderli tutti, qualcosa di orribile, grottesco, una creatura che non vorresti mai vedere… Cosa spaventa i bambini più di ogni altra cosa al mondo? I clown
.
Come dargli torto? È una paura che ha perfino un nome, coulrofobia
, anche se non rientra nel DSM, il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, arrivato nel 2012 alla quinta edizione. Può provocare sudorazione, nausea, battito cardiaco accelerato, pianti o urla, perfino reazioni di rabbia e panico. Perché? Ci sono diverse spiegazioni. Chi studia la mimica facciale in rapporto alle emozioni provate vi dirà che non si può mantenere la stessa espressione per più di pochi secondi, mentre un pagliaccio ha sul proprio volto un sorriso fisso dipinto che perciò percepiamo non sincero, come se ci volesse nascondere qualcosa… e questo non è mai rassicurante.
Un trucco, per sua stessa definizione, è un inganno, una finzione, e, quando è make-up ben riuscito e stereotipato, rende allo stesso tempo anonimo e riconoscibile chi lo mostra: insomma, sappiamo di trovarci di fronte a un pagliaccio… ma chi è veramente? Un innocuo fenomeno da circo o Joker, il nemico numero uno di Batman? Di sicuro è qualcuno che consideriamo allo stesso tempo familiare e potenzialmente malvagio. Non stupisce perciò che questa figura sia spesso protagonista di film horror, magari anche in salsa comica come in Killer Klowns from Outer Space del 1988, in cui una stella cadente si rivela un’astronave a forma di tendone da circo dalla quale escono alieni vestiti da pagliacci!
Il romanzo di King, IT, ha ispirato sia la miniserie in due puntate diretta da Tommy Lee Wallace, sia la trasposizione cinematografica di Andrés Muschietti, prevista sempre in due episodi.
Per notizie su altri film con pagliacci assassini, la maggior parte dimenticabili, vi rimando alla lista presente al link http://www.maximumfilm.it/2015/11/film-horror-con-i-clown-assassini.html.
Nella realtà ricordiamo che John Wayne Gacy, stupratore e assassino statunitense, si travestiva da pagliaccio, ma non per uccidere: intratteneva, infatti, i bambini alle feste come Pogo il Clown ed era amato da tutti.
Sebbene mi sia soffermata sui pagliacci, è il caso di ricordare un aAltro travestimento familiare che può apparire disturbante
, quello di Santa Claus, perciò non manca la versione natalizia degli assassini: umani psicopatici come nella fortunata