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A Zanzibar sulla rotta delle spezie.

Testo di Alfredo Davoli

Passeggiando per Stone Town, la parte storica di Zanzibar city, la


sensazione di calpestare un luogo mitico ti prende e non ti lascia più.
Chi da ragazzo non si è lasciato rapire dalle avventure di Simbad il
marinaio che per amore sfida il destino avverso e uccide il malvagio Sultano
che tiene prigioniera la sua bella e custodisce il suo cuore nell’imprendibile
torre?
Eppure Zanzibar esiste, è qui, con la sua gente dai tratti somatici
difficilmente identificabili. Troppi sono stati i popoli che nei secoli l’hanno
asservita per poter avere una propria identità , ma il suo fascino risiede
proprio nella natura cosmopolita.
A popolare per primi quest’isola, situata tra Mozambico e
Madagascar bagnata dall’Oceano Indiano, furono un gruppo di Bantu
provenienti dalle coste del Continente Africano che vissero indisturbati o
quasi per quattrocento anni, fino all’arrivo dei portoghesi.
Nel 1498, infatti, il navigatore Vasco da Gama, sbarca a Zanzibar
convinto di aver trovato un porto sicuro e facilmente difendibile dove poter
commerciare liberamente. Ma l’isola è un posto tutt’altro che tranquillo : i
temibili pirati provenienti dal vicino Madagascar, attratti dagli splendidi
galeoni portoghesi, non si lasciano scappare l’occasione di abbordare e
depredare le navi dai loro preziosi carichi rendendo difficili i loro commerci.
La colonizzazione dura appena centanni: i portoghesi, costretti a
ritirarsi e cercare altre rotte dall’arrivo delle flotte britanniche di Sua Maestà,
ripiegano sul vicino Mozambico che rimarrà per moltissimi anni una delle
loro più importanti colonie.
Quando, due secoli più tardi, nel 1800, il Sultano Seyyid Said
trasferisce il sultanato di Oman a Zanzibar inizia un lungo periodo di grande
prosperità per l’isola.
Oltre ad essere importante per il commercio delle spezie, Zanzibar fu
uno dei maggiori centri di smistamento degli schiavi. A testimonianza di
questa barbarie, oggi si possono visitare le prigioni dove in meno di venti
metri quadri venivano stipati, incatenati collo e piedi più di cinquanta uomini
adulti. La luce e l’aria arrivavano da un piccolo pertugio che sarebbe
eufemistico chiamare finestra.
I più non sopravvivevano alla prima notte morendo di sete e per
soffocamento. La tratta degli schiavi ebbe fine nel 1873, quando un gruppo
di missionari, stabilitisi a Zanzibar per divulgare il Cristianesimo, fecero
pressione al Sultano Barghash affinché chiudesse il mercato. Il Sultano,
sensibile alle ragioni dei missionari ma ancor di più al suo spiccato senso
per gli affari, fece chiudere il mercato e vendette la piazza ai religiosi che
immediatamente fecero erigere una cattedrale. Quattro anni più tardi, nel
1877, il giorno di Natale, fu celebrata la prima messa. La dove un tempo
sorgeva il palo per la fustigazione ora c’è l’altare.
Oggi Stone town è un animato centro composto da tortuosi e stretti
vicoli dove gli edifici, con il loro stili differenti, ricordano che Zanzibar fu
un crocevia di culture diverse. Lo stile arabo contraddistinto da ampi cortili
interni e splendide porte finemente decorate, si contrappone a quello indiano
dove gli ampi balconi in legno, intarsiato da abili artigiani, regalano una
piacevole sensazione di leggerezza.
Naturalmente, per finire, non possiamo escludere dalla nostra visita,
il mercato, parte integrante e fulcro vitale di ogni città.
Lasciarsi trasportare dal flusso della folla, anche se non hai niente da
comprare, è un piacere. I coloratissimi banchetti di frutta e verdura, il
vociare allegro della gente e il profumo del chiodo di garofano che Zanzibar
esporta in tutto il mondo, vi faranno dimenticare l’odore pungente della
carne appesa ai ganci coperta da nugoli di mosche e il caldo insopportabile.

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