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UNA NOTTE NEL DESERTO DEL GOBI.

Dopo poco più di un'ora di volodalla capitale Ulan Bator,il piccolo veivolo della
Mongolian Airlines,plana su di una pista sterrata a pochi metri dal campo del Gobi.
Sono le due del pomeriggio ,l'aria è calda,il cielo sgombro di nu bi. Davanti a noi
si estende la pianura,la stepa mongola,un'immenso mare d'erba fresca,verde
smeraldo; non avrei creduto che il deserto del Gobi mi si presentasse così. In fondo
all'orizzonte un muro d'alte montagne fanno da cornice e contrappongono al verde
chiaro dei prati,una tonalità più scura dello stesso colore. Al di là di questa catena,a
non più di cinquanta chilometri c'è il confine con la Cina.
Il campo del Gobi è ben attrezzato; le yurte (qui le chiamano Gher) hanno un
aspetto solido e all'interno si dimostrano molto confortevoli. Mentre ci
sistemiamo,lo sguardo corre a destra e a sinistra: fin dove arriva non scorgo
nent'altro che il monotono ripetersi di ondeggianti colline. La presenza umana è
scarsa In tutta la Mongolia,che è grande sei volte l'Italia,abitano appena due milioni
di anime ,metà delle quali è nomade e conduce una vita come ai tempi di Gengis
Khan.
In questa terra dagli sconfinati orizzonti,nel 1206 ,prese forma il sogno di
conquista del grande condottiero . Con una lungimiranza degna di uno statista
moderno,egli capì che come primo passo bisognava pacificare e riunire tutte le tribù
in un unico stato centralizzato. Alla guida delle sue armate estese l'impero
conquistando Corea,Russia,Cina,Indocina e Persia arrivando fino nel cuore
dell'Europa (Polonia e Ungheria) preoccupando in modo serio la Chiesa di
Roma.L'Operazione in parte viene completata dal figlio Ogedei e dal nipote Kubilai
Khan che fonda Karakorum.
L' antica capitale era ,all'epoca,uno dei centri carovanieri e culturali più frequentati
dell'Asia.
Ma nel XIV secolo tutto questo fiorire di commerci rallentò fino a cessare del tutto
,in parte dovuto ad un'epidemia di peste che devastò l'Europa e in parte per lo
sgretolamento del grande impero. Infine nel 1380 le truppe cinesi degli Imperatori
Ming,invasero la Mongolia ,conquistando e radendo al suolo Karakorum.
L'aria si fa fresca eil vento inizia a soffiare aumentando d'intensità.
Ceniamo nella sala da pranzo del campo. Sui tavolini bassi di colore rosso con
decorazioni bianche e giale,è servita la cena ,anche questa volta a base di carne :
stufato di montone. Da fuori arriva il sinistro fischiare del vento e il rumore di orte e
finestre che sbattono. Il sole tramonta molto lentamente:sono quasi le dieci e in
fondo all'orizzonte due strisce di nuvole rosse attraversano il cielo insieme ad alcuni
rapaci in cerca di prede sopra i verdi campi.
Ci riuniamo davanti ad una delle yurte per chiacchierare e bere vodka,godendoci
questo scampolo di giornata ben avvolti nelle giacche a vento . La vodka serve a
sciogliere la ligua e a scaldarci. Lentamente poi,ad uno ad uno ci ritiriamo nelle
rispettive tende. Mi infilo nel letto avvlgendomi nella grossa coperta fino al naso ;
in breve mi addormento come un sasso.
Mi sveglio nel cuore della notte. nella tenda c'è un buio impenetrabile. Non riesco
a intravedere i contorni dell suppellettili. Il cielo in serata si è coperto enon c'è
neanche uno spicchio di luna. Mi sento perduto senza un punto di riferimento.Da
fuori non giunge nemmeno un lieve rumore. C'è un slenzio che fa paura,pefino il
vento ha smesso di soffiare . I miei compagni di tenda dormono ,tendo le orecchie
nella speranza di sentire almeno il oro respiro:niente.
Deve essere così anche la morte?
Per fortuna mi riaddormento e al risveglio,sottili lame di luce filtrano dal tetto e
dalle fessure della porta : è l'alba.
Infilo le scarpe e mi vesto alla buona ed esco a godermi il giorno che sorge. Le
montagne sono tinte di un rosa pallido e il manto erboso è rischiarato dalla luce
radente e morbida del mattino.
Verso il fondovalle una yurta bianca si perde nell'immensità dello spazio
circostante,mentre in sella al suo cavallo,un giovane pastore guida le sue greggi
verso un pascolo vicino.Il suo grido "URGA,URGA!" echeggia per tutta la valle.

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