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Giovanni Papini (Firenze, 9 gennaio 1881 – Firenze, 8 luglio 1956) è stato uno scrittore

italiano.

Indice

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• 1 La vita
• 2 Note
• 3 Opere
• 4 Bibliografia
• 5 Altri progetti

• 6 Collegamenti esterni

La vita [modifica]
Nacque in una famiglia artigiana da Luigi Papini, ex garibaldino e repubblicano anticlericale, ed
Erminia Cardini, che lo fece battezzare all'insaputa del padre. Ebbe un'infanzia e un'adolescenza
molto solitarie, passate a leggere i libri della biblioteca del nonno prima e di quella pubblica poi.

Si diplomò maestro nel 1899, insegnando per qualche anno, poi diventò bibliotecario. Attirato
dalla letteratura, collaborò con le riviste fiorentine La Rivista, Sapientia e Il Giglio. Nel 1903,
fondò assieme a Giuseppe Prezzolini, Giovanni Vailati e Mario Calderoni la rivista Leonardo,
poi collaborò come redattore capo ne Il Regno del nazionalista Enrico Corradini.

Iniziò a pubblicare alcuni racconti e saggi, fra cui Il crepuscolo dei filosofi (1905), nel quale
criticò i sistemi filosofici di Immanuel Kant, Friedrich Hegel, Arthur Schopenhauer, Auguste
Comte, Herbert Spencer e Friedrich Nietzsche, dichiarando infine la morte della filosofia stessa.
Nello stesso anno, pubblicò Il tragico quotidiano che sancì, assieme a Il pilota cieco (1907), la
nascita delle cosiddette "novelle metafisiche", un genere letterario che innovò profondamente
l'ambito novellistico.

Il distacco progressivo da Prezzolini, più incline a seguire Benedetto Croce, e i disaccordi con gli
altri collaboratori segnarono la chiusura del Leonardo nel 1907. Sempre in quell'anno, Papini si
sposò con Giacinta Giovagnoli.

Nel 1911, Papini fondò con Giovanni Amendola la rivista Anima, di tendenza teosofica, che ebbe
solo un anno di vita. Nel 1912, pubblicò Le memorie d'Iddio, l'apice della sua protesta
anticristiana e del suo nichilismo, in cui mette in scena un Dio che si augura la morte della fede e
dunque la propria fine, pentito com'è di aver creato tanto male nel mondo. L'opera generò molto
scalpore e venne ricusata dal Papini in tarda età, tanto da incaricare la figlia Viola a ricercare le
copie ancora esistenti e darle alle fiamme.

Il 1º gennaio 1913 creò con Ardengo Soffici la rivista Lacerba, che uscì a Firenze. Appoggiò per
poco il futurismo, che per lui:

« è guerra contro l'accademia, contro l'università, contro lo scolarismo, contro la cultura ufficiale,
è liberazione dello spirito dai vecchi legami, dalle forme troppo usate... è forsennato amore
dell'Italia e della grandezza d'Italia... è odio smisurato contro la mediocrità, l'imbecillità, la
vigliaccheria, l'amore dello status quo e del quieto vivere, delle transazioni e degli
accomodamenti...[1] »

Sempre nel 1913 pubblicò Un uomo finito, un'autobiografia scritta ad appena 30 anni di un
giovane "nato con la malattia della grandezza", che si butta sullo studio per creare un'opera che
possa superare Dante Alighieri e William Shakespeare in importanza. Sopravviene di tanto in
tanto nel romanzo la delusione per l'impossibilità di raggiungere l'obbiettivo troppo ambizioso.

Si batté per l'intervento italiano nella Prima guerra mondiale. Celebre il suo articolo Amiamo la
guerra, apparso su Lacerba in cui afferma:

« Siamo troppi. La guerra è una operazione malthusiana. C'è un di troppo di qua e un di troppo di
là che si premono. La guerra rimette in pari le partite. Fa il vuoto perché si respiri meglio. Lascia
meno bocche intorno alla stessa tavola. E leva di torno un'infinità di uomini che vivevano perché
erano nati; che mangiavano per vivere, che lavoravano per mangiare e maledicevano il lavoro
senza il coraggio di rifiutar la vita. »

Il 22 maggio 1915, chiuse la rivista pochi giorni prima dell'entrata in guerra, dimostrandosi però
ampiamente pentito del suo interventismo e dichiarando "di sentirmi quasi complice, benché
inerme, di quella forsennata devastazione". Nello stesso anno, pubblicò le prose poetiche Cento
pagine di poesia, Buffonate e Maschilità.

Nel 1916, con le sue Stroncature polemizzò con Boccaccio, Shakespeare e Goethe, ma anche
con Croce, Gentile, Benelli (definito "ciabatta smessa del dannunzianesimo") e col "passerotto
agevolino" Guido Mazzoni. Del 1917 sono i versi misticheggianti di Opera prima.

Dopo anni di profondi travagli spirituali, nel 1921 annunciò la sua conversione religiosa
pubblicando la Storia di Cristo, che si rivelò essere un successo editoriale non solo in Italia:
basato sulla testimonianza dei Vangeli canonici e anche di quelli apocrifi, narra della vita di
Gesù per invocarne la grazia verso l'umanità corrotta.

Suscitò invece accese polemiche il Dizionario dell'omo salvatico (1923), scritto in


collaborazione con Domenico Giuliotti, in cui si scagliano contro gli ebrei, i protestanti, le
donne, il laicismo e la democrazia. Pubblicò poi Pane e vino (1926), Sant'Agostino (1929), Gog
(1931) e Dante vivo (1933).

Aderì al fascismo e nel 1935 rifiutò l'offerta della cattedra di letteratura italiana all'Università di
Bologna. Nel 1937, pubblicò il primo (poi rimasto unico) volume della Storia della letteratura
italiana con la dedica Al Duce, amico della poesia e dei poeti. Poco dopo ricevette la nomina ad
accademico d'Italia e la direzione dell'Istituto di studi sul Rinascimento e della rivista La
Rinascita. Fu firmatario del Manifesto della razza nel 1938.

Nel 1943, si fece terziario francescano nel convento della Verna. Dopo la Seconda guerra
mondiale, emarginato di fatto dal mondo della cultura ed appoggiato dai soli cattolici
tradizionalisti, pubblicò le Lettere agli uomini di Celestino VI (1946), la Vita di Michelangelo
(1949), Il libro nero (1951), Il diavolo (1953), La loggia dei busti e La spia del mondo (entrambi
1955).
Collaborò anche al Corriere della Sera, pubblicandovi articoli quindicinali pubblicati postumi
nel 1971 col titolo Schegge. Debilitato dalla malattia e pressoché cieco negli ultimi anni di vita,
lavorò con l'aiuto della nipote al Giudizio universale, un progetto giovanile pubblicato postumo
nel 1957. Vennero pubblicati dopo la sua morte anche La felicità dell'infelice (1956), La seconda
nascita (1958, in cui Papini ripercorre le sue vicissitudini fino alla conversione), il Diario (1962)
e Rapporto sugli uomini (1977).

Scrittore controverso, il primo che cercò di sottrarlo all'oblio fu Jorge Luis Borges, ritenendo che
Papini fosse stato "immeritatamente dimenticato".

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