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Cap. 6 - Spinta delle terre


Infrastrutture delle Grandi Opere vol. 2

5.6 – Fondazioni su plinto

Una fondazione che sostenga una singola colonna viene chiamata fondazione su plinto; la sua
funzione consiste nel diffondere sul terreno il carico trasmesso dalla colonna stessa, in modo da
ridurre l'intensità dello sforzo a un valore che possa essere sopportato con sicurezza dal terreno.
Questi elementi strutturali vengono talvolta detti anche fondazioni isolate o singole. Le fondazioni di
pareti portanti svolgono una funzione simile, consistente nel diffondere sul terreno il carico
trasmesso dalla parete; spesso, tuttavia, la larghezza delle fondazioni di pareti portanti è determinata
da fattori differenti dalla pressione ammissibile sul terreno, poiché i carichi che provengono dalla
parete (compreso il peso proprio) sono generalmente piuttosto bassi.

Il calcestruzzo rappresenta il materiale quasi universalmente usato per le fondazioni, in virtù della sua
resistenza in ambienti potenzialmente ostili e per ragioni economiche.

Le fondazioni su plinto con armatura a trazione vengono dette a doppia o a semplice armatura se
l'armatura di acciaio è disposta in entrambe le direzioni (caso comune) oppure in una sola direzione
(come solitamente avviene per le fondazioni di pareti portanti).

Le fondazioni isolate possono essere a spessore uniforme oppure costante a tratti (a gradini)
oppure a lati inclinati (rastremate). Le fondazioni a gradini oppure a lati inclinati sono per lo più
comunemente adottate allo scopo di ridurre, nelle zone dove i momenti flettenti sono modesti, la
quantità di calcestruzzo impiegata oppure nel caso in cui la fondazione non è armata. Quando i costi
di manodopera sono elevati rispetto al costo del materiale, allora risulta solitamente più economico
adottare fondazioni armate. In Fig. 5.26 sono illustrati diversi tipi di fondazioni su plinto.

Fig. 5.26 – Fondazioni singole: (a) fondazione su plinto a spessore costante; (b) plinto a gradini; (c) plinto rastremato; (d)
fondazione di parete; (e) fondazione su plinto con piedestallo.

Le fondazioni vengono progettate per sopportare interamente i carichi permanenti trasmessi dalla
colonna. I contributi dei carichi accidentali possono essere pari alla loro entità totale per edifici di uno
o due piani oppure pari a una quantità ridotta di questi, come indicato dalle diverse normative, per
strutture multipiano. Alle fondazioni, inoltre, può essere richiesto di sopportare, in combinazione con i
carichi permanenti e accidentali, gli effetti dovuti al vento o a un sisma.

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I carichi agenti sulla fondazione possono consistere in una combinazione di carichi verticali e
orizzontali (con risultante inclinata) oppure in una combinazione di questi stessi carichi con momenti
ribaltanti. La procedura di progetto adotta fattori di carico ridotti per le diverse condizioni di carico
transitorie invece d’incrementare di quantità corrispondenti gli sforzi ammissibili del materiale.

Per collegare colonne metalliche a plinti o a fondazioni di pareti poste a una certa profondità nel
terreno si possono usare dei piedestalli (Fig. 5.26e). Ciò previene la possibile corrosione del metallo
provocata dal contatto diretto con il terreno.

5.6.1 – Pressioni ammissibili sul terreno nel progetto di fondazioni su plinto

La pressione ammissibile sul terreno per il progetto di fondazioni viene determinata tenendo conto
della condizione più sfavorevole ottenuta valutando la capacità portante e l'entità dei cedimenti. Nelle
situazioni in cui l'aspetto predominante è dovuto ai cedimenti, il valore indicato consiste
nell'incremento netto ammissibile della pressione sul terreno. Ciò perché i cedimenti sono dovuti a
incrementi di pressione rispetto a quella presente (pressione geostatica).

La capacità portante fornita al progetto delle strutture viene corretta da un opportuno coefficiente di
sicurezza. Il coefficiente di sicurezza varia tra 2 e 5 per materiali non coesivi (in funzione della
densità, degli effetti del collasso e della cautela del consulente). Il valore può variare tra 3 e 6 per
materiali coesivi con adozione dei valori più elevati quando i cedimenti di consolidazione possano
manifestarsi in un lungo periodo di tempo.

E’ opportuno osservare come questi coefficienti di sicurezza risultino più elevati di quelli indicati in
precedenza. In genere, infatti, una riduzione di qa (ad es. da 500 a 300 kPa) ha come conseguenza
una fondazione su plinto di maggiori dimensioni mentre l'incremento percentuale rispetto al costo
totale della costruzione permane pressoché trascurabile. Questo può essere considerato un
elemento a favore della sicurezza poiché il collasso di una fondazione comporta misure di intervento
molto costose e riparazioni strutturali qualora i danni alla sovrastruttura possano essere individuati e
riparati facilmente.

5.6.2 – Ipotesi progettuali

L'analisi della teoria dell'elasticità e osservazioni pratiche indicano che la distribuzione degli sforzi al
di sotto di fondazioni caricate simmetricamente non è uniforme. L'effettiva distribuzione di sforzi
dipende sia dalla rigidezza della fondazione che dal terreno su cui essa poggia.

Fig. 5.27 – Distribuzione qualitativa della pressione al di sotto di una fondazione rigida. (a) per un terreno non coesivo;
(b) per terreni coesivi in generale; (c) distribuzione lineare comunemente adottata.

Per fondazioni su sabbie sciolte, i grani in prossimità dei bordi della fondazione stessa tendono a
fluire lateralmente mentre il terreno nella zona interna risulta relativamente confinato. Ciò dà luogo a
un diagramma di pressioni come quello illustrato qualitativamente in Fig. 5.27a. La Fig. 5.27b mostra
invece la distribuzione teorica delle pressioni per il caso più generale di fondazioni rigide su un
materiale qualsiasi.

L'elevata pressione ai bordi si può spiegare considerando che si deve verificare un taglio al bordo
prima che possa avere luogo qualsiasi cedimento. Poiché il terreno possiede una bassa resistenza a
rottura e la maggior parte delle fondazioni manifesta una rigidezza intermedia, è molto probabile che
non si producano elevati sforzi di taglio ai bordi. Gli sforzi sui bordi dipendono anche dallo spessore
z del terreno compressibile, come illustrato in Fig. 5.27b.

La distribuzione di pressioni al di sotto della maggior parte delle fondazioni risulta generalmente
indeterminata a causa dell'interazione tra la rigidezza della fondazione da un lato e il tipo del terreno,
lo stato del terreno e il suo tempo di risposta allo sforzo dall'altro. Per questa ragione è abitudine
comune adottare una distribuzione di pressioni lineare al di sotto della fondazione. Le pur scarse
misurazioni effettuate in situ indicano che tale ipotesi è soddisfacente.

Il progetto di fondazioni su plinto è basato quasi interamente sui lavori di Richart & Moe. Il lavoro di
Richart ha fornito un contributo nell'individuazione della sezione critica per i momenti flettenti; le
sezioni critiche per il taglio sono invece basate sul lavoro di Moe.

5.6.3 – Progetto di elementi in calcestruzzo armato: progetto allo stato limite ultimo

Col termine generico di normativa viene indicata nel seguito l’ultima versione delle norme statunitensi
per il calcestruzzo armato (ACI 318-86) la quale rivolge la quasi totale attenzione ai metodi di
progetto allo stato limite ultimo (o USD: Ultimate State Design).

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Il progetto allo stato limite richiede la conversione dei carichi progettuali di esercizio in carichi ultimi
mediante l’adozione di coefficienti di carico nel modo seguente:

Pu = 1.4DL+1.7LL (a)

= 0.75 (1.4DL+1.77LL+1.7W) (b)

= (0.9 DL+1.3W) in alternativa, per effetti dovuti al vento (c)

In presenza di azioni sismiche la grandezza E (che denota i carichi dovuti a sisma) prende il posto
della grandezza W (che individua i carichi dovuti al vento).

La procedura di progetto allo stato limite ultimo riduce la resistenza del calcestruzzo per tener conto
dell'errore umano nel processo di fabbricazione e di altre incertezze mediante l'adozione di
coefficienti 0 definiti come segue:

Considerazioni di progetto Φ

Momento, in assenza di carico assiale 0.90

Puntamento, aderenza e ancoraggio 0.85

Elementi compressi, con armatura a spirale 0.75

Elementi compressi, con staffe 0.70

Fondazioni non armate 0.65

Piastre di base su calcestruzzo 0.70

La deformazione del calcestruzzo in corrispondenza dello sforzo limite viene assunta pari a 0.003
mentre la tensione di snervamento fy dell'acciaio da armatura viene limitata a 550 MPa.

L'acciaio da armatura maggiormente usato nella pratica presenta una tensione di snervamento pari a
fy = 400 MPa.

5.6.3.1 – Elementi di progetto allo stato limite ultimo

Per lo sviluppo parziale delle equazioni di progetto allo stato limite ultimo che seguono, si deve fare
riferimento alla Fig. 5.28.

Dalla Fig. 5.28b si osserva che la sommatoria delle forze orizzontali ΣFH = 0 fornisce C = T e,
adottando un diagramma degli sforzi di compressione rettangolare avente le dimensioni illustrate in
figura, si ha:

C = 0.85 f’c b a

Fig. 5.28 – Ipotesi adottate per la derivazione delle equazioni di progetto allo stato limite ultimo.

La forza di trazione T è pari a:

T = As fy

Eguagliando queste due ultime espressioni si ottiene l'altezza del diagramma degli sforzi di
compressione, pari a:

a = As fy/ / 0.85 f’c b a

Imponendo l'equilibrio dei momenti rispetto a un punto opportuno (per esempio il punto
d'applicazione di T o di C), si ottiene:

T [d-(a/2)] = Mu = C [d-(a/2)]

che, risolta rispetto al momento ultimo e introducendo il coefficiente di riduzione, fornisce la:

Mu = Φ As fy [d-(a/2)] *

In alternativa, se si definiscono nel modo seguente le percentuali geometrica e meccanica di


armatura p e q:

p = As/bd q = pfy /f’c

la relazione ultima può essere riscritta con l’espressione:

Mu = Φ bd2 f’c q(1-0.59q)

La percentuale meccanica di armatura è stata definita come p = As/bd mentre la percentuale di


armatura per un progetto bilanciato verrà indicata con pb. Per assicurare una rottura a trazione

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dell'armatura piuttosto che una rottura improvvisa del calcestruzzo a compressione, la percentuale di
armatura di progetto, pd, viene assunta ≤ 0.75pb dove la percentuale di armatura bilanciata pb viene
calcolata in base a una deformazione del calcestruzzo pari a 0.003 (in corrispondenza dello

sforzo ultimo) e con un modulo elastico dell'acciaio Es = 2 105 MPa come:

pb = 0.85 β1 f’c 600/fy (fy +600)

dove sia f’c che fy vanno espressi in MPa.

Il coefficiente β1 è definito nel modo seguente (f’c espresso in MPa):

β1 = 0.85 – 0.008 (f’c-30) ≥ 0.65

Nelle fondazioni per edifici, raramente si assume f’c > 21 MPa; per fondazioni di ponti è poco
probabile che f’c >i 28 MPa, cosicché il coefficiente β1, nella maggior parte dei casi, vale 0.85. Un
calcestruzzo di bassa resistenza risulta un po' più economico, a parità di volume, di uno di migliore
resistenza ma, cosa più importante, dà luogo a fondazioni più rigide, poiché queste devono essere
realizzate con uno spessore maggiore (valori maggiori dell'altezza complessiva D, in Fig. 5.28c). La
Tab. 5.21 fornisce i valori di β1 per diversi valori di f’c che possono essere utilizzati nel progetto di
platee di fondazione (→§ succ.) dove occasionalmente si adottano resistenze del calcestruzzo più
elevate. In Tab. 5.21 sono indicati inoltre diversi valori di 0.75pb (percentuale limite di armatura in una
sezione trasversale) che, come mostrato in precedenza, dipendono sia da f’c che da fy .

Tab. 5.21 – Percentuale massima ammissibile di armatura.

Per i requisiti di aderenza si specifica la minima lunghezza di ancoraggio Ld per le barre, espressa in
funzione del diametro db o dell'area Ab nel modo seguente:

Queste lunghezze devono essere moltiplicate per i seguenti coefficienti, nei diversi casi:

La lunghezza di ancoraggio (Articolo 12.3) per barre in compressione è assunta pari al maggiore dei
valori seguenti:

0.25 fy db/√f’c oppure 0.04 fy db oppure 200 mm

dove Ab è l’area della barra (mm2), db è il diametro della barra (mm), fy la tensione di snervamento
dell'acciaio (MPa) ed f’c la resistenza a compressione del calcestruzzo a 28 giorni (MPa). Le
medesime unità di misura vanno adottate anche nei 2 riquadri precedenti.

Per ridurre il valore della lunghezza di ancoraggio Ld richiesta da queste equazioni è possibile
piegare l'estremità delle barre realizzando degli uncini di forma standard; tuttavia solitamente non si
ricorre a tale pratica per le fondazioni.

Spesso il fattore che governa il progetto delle fondazioni su plinto è costituito dal taglio. Lo sforzo
tagliante viene espresso dalla relazione:

v u = Vu/bd

dove Vu è la forza di taglio ultima, ottenuta modificando i carichi secondo i coefficienti dati dalle (a),
(b) e (c) all'inizio del § e bd rappresenta l'area resistente a taglio, di larghezza b e altezza efficace
(d) calcolata dal lembo compresso al baricentro dell'ara matura tesa.

Il valore nominale calcolato v u del taglio viene confrontato con i valori ammissibili v c forniti da
verifiche a flessione e a puntamento definite in Fig. 5.29 . Tali valori ammissibili sono i seguenti

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(dove f’c e v c sono espressi in MPa):

Fig. 5.29 – (a) sezione critica per il taglio della verifica a flessione; (b) sezione critica per il taglio della verifica a
puntamento; (c) metodo di determinazione dell’area A2 per la verifica dello sforzo ammissibile di contatto colonna-
fondazione.

Nella maggior parte delle situazioni progettuali pratiche le colonne hanno un rapporto fra i lati c/b ≤ 2
(spesso hanno sezione quadrata o circolare con c/b = 1) cosicché v c = Φ√(f’c)/3.

La normativa consente la disposizione di armatura a taglio nelle fondazioni ed è anche ovvio che un
valore elevato di f’c del calcestruzzo tende a ridurre o a eliminare la necessità di armatura a taglio.
Nessuna di queste due alternative viene frequentemente adottata: piuttosto si aumenta l'altezza
efficace d della fondazione allo scopo di soddisfare i requisiti dettati dal taglio. Questa soluzione
fornisce inoltre il benefico effetto di aumentare la rigidezza del sistema cosicché è più verosimile che
sia verificata l'ipotesi di pressione uniforme sulla base; inoltre, in certa misura risultano ridotti i
cedimenti.

È richiesto un numero minimo di barre di ancoraggio per rendere solidale la colonna

alla fondazione; tali barre sono talvolta necessario per trasferire gli sforzi dalla colonna alla
fondazione, in particolare se il calcestruzzo della colonna è sostanzialmente più resistente di quello
della fondazione. Le barre di ancoraggio risultano necessario se lo sforzo di contatto della colonna
supera il seguente valore:

f’c = 0.85 Φ f’c √A2/A1

Si ha che A2/A1 ≤ 2 e il coefficiente Φ vale 0.7. L'area A1 rappresenta l'area di contatto della colonna
(di valore b x c); l'area A2 è la base del tronco di piramide che può essere interamente racchiuso
entro la fondazione, come illustrato in Fig. 5.29c.

La Tab. 5.22 fornisce i valori ammissibili del taglio per verifiche a flessione e a puntamento per
diversi valori di f’c.

Tab. 5.22 – Sforzi di taglio ammissibili per verifica a flessione e a puntamento per diversi valori della resistenza del
calcestruzzo per β ≤ 2 e comprensivi del coefficiente Φ.

5.6.4 - Progetto strutturale di plinti di fondazione

La pressione ammissibile sul terreno è il fattore che determina le dimensioni in pianta (B x L) di una
fondazione su plinto. Fattori strutturali (piano di posa etc.) e ambientali incidono invece sulla
profondità della fondazione nel terreno. Gli sforzi di taglio determinano solitamente l'altezza (o
spessore) della fondazione De . La verifica al puntamento determina sempre l'altezza di fondazioni
quadrate con carico centrato. La verifica a flessione determina l'altezza di fondazioni rettangolari,
quando il rapporto L/B > 1.2, e può rivestire il ruolo di fattore determinante per altri rapporti L/B in
presenza di carichi eccentrici o momenti ribaltanti.

L'altezza di una fondazione ottenuta da una verifica di rottura a taglio mediante puntamento dà luogo
a un'equazione quadratica che viene dedotta dalla Fig. 5.29b e c imponendo l'equilibrio delle forze
verticali:

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Se si trascura il contributo della pressione del terreno esterno all'impronta della colonna (che genera
una spinta diretta verso l'alto) si può ricavare un valore speditivi approssimato dell'altezza efficace d
di calcestruzzo, per colonne a base rettangolare e circolare rispettivamente, come:

Le formule speditive forniscono quale risultato un valore d raramente > 25 mm rispetto ai valori esatti
forniti dalle relazioni analitiche. L’ultima di queste, invece, o l’ultima speditiva si usano sempre per
determinare l'altezza efficace di fondazioni di colonne a base circolare, poiché adottando una
colonna quadrata equivalente e la prima relazione analitiche si rileva un valore inferiore. I passi da
compiere nel progetto di un plinto di fondazione con carico centrato e in assenza di momenti
applicati sono:

a – Calcolo delle dimensioni B x L in pianta adottando la pressione ammissibile sul terreno:

Plinto quadrato: B = √combinazione di carico critica/qa = √P/qa

Plinto rettangolare: BL = P/qa

Una fondazione rettangolare può ammettere diverse soluzioni soddisfacenti a meno che non siano
fissati a priori B oppure L.

b - Trasformazione della pressione ammissibile del terreno qa in un valore ultimo qULT = q da


sostituire nelle relazioni (sia analitiche che speditive) per calcolare l'altezza della fondazione:

qULT = Pu/BL = q

c - Determinazione di Pu applicando appropriati coefficienti ai carichi di progetto assegnati.

d – Determinazione del valore ammissibile dello sforzo di taglio per rottura a puntamento v c dalla
Tab. 5.22 (oppure calcolarlo) e usando l'appropriata equazione, da scegliere fra le precedenti,
determinazione dell'altezza efficace d della fondazione.

e - Se la fondazione è rettangolare procedere all’effettuazione della verifica a flessione e adozione

del valore d maggiore fra quello ottenuto nel passo d e quello ottenuto nel passo e.

f – Calcolo della quantità d’acciaio necessaria per l'armatura a flessione e disponendone la


medesima quantità nelle due direzioni per fondazioni quadrate. Misura dell'altezza efficace d dal
lembo compresso fino all'intersezione dei due strati di barre per fondazioni quadrate e se d > 305
mm. Per d inferiore a tale valore e per fondazioni rettangolari utilizzare il valore effettivo di d, diverso
per le due direzioni. Calcolo del momento flettente in corrispondenza della sezione critica illustrata in
Fig. 5.30.

Per la lunghezza l illustrata, il momento flettente per unità di larghezza vale M = Mu se q = qULT ed è
usato nella relazione * per determinare la quantità di armatura per unità di larghezza. Verifica della
percentuale d'armatura p necessaria a soddisfare le prescrizioni per temperatura e ritiro con verifica
che non sia superata la percentuale d’armatura massima data in Tab. 5.21.

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Fig. 5.30 – Sezioni per il calcolo del momento flettente. Si deve, in ogni caso, valutare l’aderenza nella sezione indicata in
(a); comunque, per praticità, la si valuta nelle medesima sezione in cui si calcola il momento.

g – Calcolo del carico gravante sulla colonna con adozione di ancoraggi se viene superato lo sforzo
ammissibile. Se tale sforzo viene superato, procedere col calcolo degli ancoraggi necessari in base
alla differenza tra lo sforzo effettivo e quello ammissibile moltiplicato per l'area della colonna. Tale
forza divisa per fy fornisce l'area dei ferri di ancoraggio necessaria.

È’ sempre necessario adottare un minimo di 0.005 Acol di ancoraggi d'acciaio e almeno 4 barre,
indipendentemente dallo sforzo esercitato. Qualora fossero necessari ancoraggi per trasferire il
carico proveniente dalla colonna, la loro lunghezza deve essere sufficiente a garantire aderenza in
compressione. La procedura corrente indicata è basata su prove effettuate da Richart che hanno
evidenziato in fondazioni nastriformi momenti flettenti più elevati in corrispondenza delle colonne e
momenti più modesti altrove. Bowles, mediante procedimenti numerici alle differenze finite e agli
elementi finiti, ha trovato che, mentre il momento flettente è più elevato nell'area in prossimità della
colonna, con metodi alle differenze finite il momento flettente medio attraverso la fondazione (nella
sezione assunta in Fig. 5.30) è il medesimo ottenuto col procedimento visto in precedenza. Il
momento massimo calcolato supera il momento medio di circa il 30% con il metodo delle differenze
finite e di oltre il 40% usando il metodo degli elementi finiti, nell'ipotesi che la colonna sia rigidamente
fissata alla fondazione (ipotesi peraltro vicina alla realtà per colonne in calcestruzzo. È implicito nelle
prescrizioni che si verifichino ridistribuzioni del momento flettente per ridurre l'effetto fratturante nella
zona in prossimità della colonna.

5.6.5 – Piastre portanti e bulloni d’ancoraggio

Gli elementi strutturali metallici compressi (colonne), inclusi alcuni elementi a traliccio, richiedono una
piastra di base per diffondere gli sforzi molto elevati (provenienti dall'elemento metallico stesso)
sull'area di contatto, di piccole dimensioni, della colonna/traliccio riducendone l'intensità a un livello
che i piedestalli o le fondazioni in calcestruzzo possano sopportare in regime di sicurezza. La piastra
portante viene tagliata nelle giuste dimensioni in officina e successivamente, ancora in officina, viene
saldata all'elemento di colonna oppure viene bullonata in opera. In officina vengono effettuati i fori
attraverso i quali si’introducono prefissati bulloni filettati di ancoraggio, cosi da fissare la piastra in
modo sicuro alla base in calcestruzzo.

5.6.5.1 – Progetto di una piastra base

Le piastre di base possono essere progettate a favore della sicurezza seguendo le istruzioni delgli
Enti preposti per colonne soggette a solo carico assiale, nel modo seguente:

I passi da compiere nel progetto di una piastra di fondazione comprendono:

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Le norme AISC (USA) richiedono essenzialmente di dimensionare la piastra di base in modo tale da
soddisfare la capacità portante in termini di pressione fp. Successivamente viene determinato lo
spessore della piastra in base a una verifica a flessione, assumendo uno sforzo ammissibile pari a
0.75 Fy (Fy è la tensione di snervamento dell'acciaio della piastra di base), un braccio pari a nn e una
striscia di larghezza unitaria. Quando sulla colonna agisce, oltre al carico assiale, anche un momento,
si deve usare una formula del tipo:

Fp = P/BC ± Mc/I

Le norme AISC non affrontano direttamente questo problema, per cui il progettista deve fare ricorso
al proprio senso ingegneristico. Quando la colonna è soggetta anche a momento flettente, la piastra
di base deve essere ben vincolata alla fondazione in modo da poterle trasmettere tale momento.
Raramente colonne di acciaio trasmettono momenti su fondazioni a plinto isolate, mentre è
abbastanza comune che trasmettano momenti su fondazioni a platea.

Per quanto riguarda la posizione di sezioni critiche per taglio e momento per plinti di colonne con
piastre di base ci si riferisce alla Fig. 5.31. Si suggerisce di utilizzare la prima equazione speditiva
per l'altezza utile nella verifica a taglio di una fondazione con piastra di base, a causa delle
approssimazioni nella determinazione della sezione critica.

Fig. 5.31 – Progetto di base in accordo con le specifiche delle norme AICS.

E’ opportuno osservare come le piastre di base vengano tenute provvisoriamente sollevate per la
messa a piombo delle colonne e come, successivamente, l'intercapedine formatasi venga riempita di
malta per rendere permanente il livello della piastra di base. Non è un'operazione semplice
cementare questa intercapedine facendo in modo che la piastra appoggi completamente sulla malta
iniettata; spesso, infatti, si rivela un contatto irregolare dovuto a ritiro della malta o a formazione di
bolle d'aria. Per queste ragioni risulta preferibile adottare lo sforzo di contatto fp piuttosto che la
capacità portante, espressa in termini di pressione, che invece meglio descrive il contatto di una
colonna gettata al di sopra di una fondazione già posizionata precedentemente.

5.6.5.2 – Bulloni d’ancoraggio

I bulloni di ancoraggio sono necessari per fissare saldamente la piastra di base alla fondazione o al
piedestallo. Questi bulloni sono disponibili sotto forma di perni filettati, da serrare entro manicotti a
espansione, posizionati in fori della profondità di 7.5÷30 cm preventivamente realizzati nel
calcestruzzo indurito. Il manicotto può essere espanso contro il calcestruzzo dal bullone oppure
venire infisso su un cuneo d'acciaio che produce l'espansione; successivamente il bullone di
ancoraggio viene avvitato in posizione. La Fig. 5.32 illustra diversi tipi di bulloni di ancoraggio. Sono
anche disponibili svariati tipi di bulloni brevettati che funzionano in base a principi simili ma
principalmente forniscono in aggiunta la possibilità di aggiustamento verticale e la protezione della
filettatura durante il getto del calcestruzzo.

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Fig. 5.32 – Bulloni d’ancoraggio.

I prodotti più usati negli USA sono i bulloni A-307 di materiale di grado A (qULT pari a 413 MPa e,
approssimativamente, fy = 248 MPa) oppure di grado B (resistenza ultima pari a 690 MPa).
Generalmente non sono necessari bulloni realizzati in materiale ad alta resistenza di grado A-325 e
A-490 poiché il fattore che governa il progetto è l'aderenza/resistenza all'estrazione. Bulloni di
ancoraggio in materiale A-307 sono disponibili in diametri variabili tra 6.4 e 101.6 mm (1/4÷4”).

La maggior parte delle applicazioni strutturali richiede diametri nell'intervallo compreso tra 19.1 e 38.1
mm (3/4÷1.5”). La Tab. 5.23 fornisce dati selezionati di resistenza per la maggior parte dei diametri
più comuni negli USA.

Tab. 5.23 – Resistenza a trazione ultima per bulloni d’ancoraggio A-307. Coefficiente di sicurezza ottimale ~4.

In pratica i bulloni di ancoraggio, con dado/i e rondelle infilati per evitarne la perdita e per proteggere
le filettature, vengono annegati nel calcestruzzo fresco facendo sì che emerga dal calcestruzzo una
parte filettata sufficiente a consentire la regolazione in altezza della piastra di base, l'iniezione dello
strato di malta e un funzionamento pienamente efficace del dado. Un breve tratto superiore può
essere incluso in un manicotto (spezzone di tubo di metallo o di plastica) avente un diametro fino a
3.8 cm superiore a quello del bullone di ancoraggio. Questo manicotto consente al bullone, nel caso
dei bulloni di diametro più piccolo, di piegarsi per adattarsi al foro predisposto nella piastra di base e,
indipendentemente dal diametro, fornisce al bullone una certa lunghezza di libera deformazione
qualora sia richiesta pretensione dei bulloni come nei casi di colonne/tralicci soggetti all'azione del
vento o ad altri carichi vibranti.

La piastra di base viene adattata sopra i bulloni di ancoraggio o tramite un dado addizionale per
effettuare l'allineamento verticale, oppure mediante inserimento di spessori (o cunei). Questa
operazione lascia sempre un'intercapedine che viene poi riempita con malta espansiva [una miscela
di sabbia, cemento (con additivi brevettati) e acqua] per costituire una base compatta.

5.6.7 – Piedistalli

Si impiega un piedistallo per trasferire i carichi da colonne metalliche attraverso il pavimento e il


terreno fino alla fondazione quando questa si trovi a una certa profondità nel terreno; questo evita la
possibile corrosione del metallo da parte del terreno. E’ necessario disporre un adeguato riporto
sopra la fondazione e attorno al piedistallo per evitare fenomeni di subsidenza e fratture nella

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pavimentazione. Se il piedistallo è molto alto, un riporto ben costipato fornisce un sostegno laterale
(contrasto) sufficiente per controllare l'instabilità. Per i piedistalli le norme limitano il rapporto tra
lunghezza libera (priva di contrasto) Lu e minima dimensione trasversale h alla relazione Lu/h ≤ 3

II punto chiave consiste nella definizione di questa lunghezza libera Lu quando il piedistallo è
immerso nel terreno.

Le normative consentono la realizzazione di piedestalli sia armati che non armati.

In genere deve essere adottata la minima percentuale di armatura per le colonne pari a 0.01Ag (Ag
rappresenta l'area lorda della sezione trasversale di calcestruzzo) anche quando il piedistallo viene
progettato come non armato.

Qualora si adottino piastre metalliche di base, il piedestallo non deve essere armato allo scopo di
evitare che i carichi puntiformi delle barre d’armatura agenti sulla piastra vadano a incrementare gli
sforzi di flessione. Una volta completato il progetto è possibile aggiungere arbitrariamente la minima
percentuale di armatura.

Si deve invece aggiungere a volontà dell'armatura metallica alla sommità del piedistallo, per evitare
che questa si frantumi e per contenere i lati del piedistallo ed evitare quindi fratture, come illustrato in
Fig. 5.33.

Fig. 5.33 – Dettagli di piedistallo. Si osservi come l’armatura verticale debba essere progettata per resistere all’intera
azione di trazione o alla forza di sollevamento, quando la medesima è presente.

Bisogna comunque lasciare spazio per disporre i bulloni di ancoraggio e per posizionare la piastra di
fondazione e la colonna nella configurazione corretta. I bulloni di ancoraggio devono essere disposti
all'interno dell'armatura di contenimento (a spirale o a staffe) per migliorare la resistenza
all'estrazione.

I piedistalli vengono, generalmente, sovradimensionati in modo considerevole poiché l'eccesso di


materiale impiegato viene ampiamente compensato dalla riduzione del tempo di progetto e dal
beneficio, in termini di coefficiente di sicurezza, che ne consegue.

I piedistalli possono essere progettati come colonne tozze, in virtù del contrasto (supporto laterale)
fornito dal terreno circostante. Possono essere progettati sia per carico assiale che per momento
flettente, ma questo esubera dagli intenti della presente pubblicazione. Per la condizione piuttosto
consueta di colonna semplicemente appoggiata al piedistallo attraverso la piastra di base, si può
adottare la formula seguente:

Pu = Φ (0.85 f’c Ac + Asfy )

Dove Pu è il carico ultimo di progetto (già moltiplicato per il coefficiente di carico); Ac l'area netta di
calcestruzzo del piedestallo (Ac = Ag-As); per piedistalli non armati As = 0.0 e Ac è pari all'area totale
(lorda) del calcestruzzo; As è l'area dell'armatura se il piedistallo viene progettato come una colonna
armata;fy è la tensione di snervamento delle barre di armatura; Φ = 0.70 per piedestalli con armatura
di contenimento a staffe, = 0.75 per piedistalli con armatura a spirale, = 0.65 per piedistalli non
armati.

5.6.8 – Fondazioni rettangolari

Le fondazioni rettangolari vengono adottate quando non si possono realizzare fondazioni quadrate
per ragioni di spazio. Si possono adottare tali fondazioni nei casi in cui sia presente un momento
ribaltante, allo scopo di realizzare una fondazione più economica. Il progetto si svolge in maniera
analoga a quello delle fondazioni quadrate. L'altezza della fondazione è generalmente imposta dal
taglio, eccettuati i casi in cui o il rapporto L/B sia molto maggiore di 1 o ci si trovi in presenza di
momento ribaltante quando lo spessore è governato dall'azione flettente.

Un'altra importante considerazione riguardante le fondazioni rettangolari riguarda la disposizione


delle armature. L'armatura nella direzione longitudinale viene calcolata allo stesso modo dell'armatura
di fondazioni quadrate e valutando l'altezza utile d dal lembo compresso al baricentro dell'armatura
stessa. L'armatura nella direzione trasversale viene calcolata in maniera analoga adottando il valore
di d misurato dal lembo superiore al baricentro dell'acciaio dell'armatura trasversale, che viene
comunemente disposta al di sopra di quella longitudinale per ragioni di maggior economia. Inoltre,
poiché la zona della fondazione in prossimità della colonna risulta più efficace nei riguardi della
resistenza a flessione, viene disposta in questa zona una specifica percentuale dell'armatura
trasversale, come illustrato in Fig. 5.34.

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Fig. 5.34 – Disposizione dell’armatura trasversale di una fondazione rettangolare.

5.7 - Fondazioni composte e speciali

Quando una fondazione regge due o più colonne allineate, viene detta fondazione composta.

Una fondazione composta può essere di forma rettangolare o trapezoidale, oppure può essere
costituita da una serie di blocchi connessi da travi strette e rigide (cordolo): varie tipologie di
fondazione composte sono mostrate in Fig. 5.35.

Fondazioni composte simili a quella mostrata in Fig. 5.35f, in particolare, s'incontrano con una certa
frequenza negli impianti industriali nei quali serbatoi orizzontali e altri componenti vengono sorretti
mediante grossi appoggi rettangolari. In questi casi i carichi d’esercizio, i gradienti di temperatura, le
operazioni di manutenzione etc., possono dar luogo a carichi sia verticali che orizzontali. I carichi
orizzontali applicati a livello dell'impianto producono momenti sugli appoggi ai quali la fondazione
composta deve essere in grado di far fronte.

5.7.1 Fondazioni composte rettangolari

Può capitare che risulti impossibile collocare colonne al centro di un plinto perché si trovano in
prossimità di un confine di proprietà o di un macchinario, oppure perché non sono equispaziati.
Colonne disposte in posizione non baricentrica producono una pressione non uniforme sul terreno.
Per evitare questo inconveniente, un'alternativa è quella di ampliare la fondazione per collocare su di
essa una o più colonne adiacenti allineate (Fig. 5.36). La geometria della fondazione viene scelta in
modo che la risultante dei carichi trasmessi dalle varie colonne cada nel baricentro della fondazione.
Questa geometria della fondazione e dei carichi consente al progettista di ritenere uniforme la
distribuzione delle pressioni sul terreno.

Fig. 5.35 – Tipologie differenti di fondazioni speciali.

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La fondazione può essere rettangolare se la colonna che risulta eccentrica rispetto alla fondazione
diffusa trasmette un carico minore delle colonne interne. Anche le pile dei ponti sono disposte su
fondazioni composte rettangolari molto rigide.

L'ipotesi fondamentale alla base del progetto di una fondazione composta rettangolare è che si tratti
di un elemento rigido, in modo che la pressione sul terreno risulti lineare. Se la risultante dei carichi
(compresi i momenti trasmessi dalle colonne) cade nel baricentro della fondazione, la pressione è
uniforme. Tale ipotesi viene verificata con buona approssimazione se il terreno è omogeneo e la
fondazione è rigida. Nella pratica risulta assai complesso realizzare una fondazione rigida, dal
momento che lo spessore deve essere notevole; ciononostante, la schematizzazione a elemento
rigido, benché approssimata, è stata utilizzata con successo per molte fondazioni. Il successo è
dovuto, probabilmente, all'effetto combinato della viscosità del terreno, della ridistribuzione degli
sforzi nel calcestruzzo e del sovradimensionamento.

Preso atto del sovradimensionamento che consegue all'impiego del metodo classico (basato
sull'ipotesi di fondazione rigida), si tende, al giorno d'oggi, a modificare il progetto mediante
un'analisi con schema a trave su suolo elastico; con quest'ultimo tipo di analisi i momenti di progetto
risultano minori di quelli ottenuti col metodo classico, come illustrato nel prosieguo.

Fig. 5.36 – Fondazioni composte rettangolari.

Il progetto classico di una fondazione composta rettangolare prevede la determinazione della


posizione del centro della fondazione. Successivamente se ne possono determinare larghezza e
lunghezza. La fondazione viene quindi trattata come una trave di queste dimensioni, retta dalle 2 o
più colonne a essa collegate e si ricavano i diagrammi del momento e del taglio.

L'altezza è data dal vincolo più stringente tra quelli determinati con le verifiche a puntamento e a
flessione. Le sezioni critiche nei riguardi del puntamento e della flessione sono le medesime viste a
proposito dei plinti ossia, rispettivamente, a d/2 e a d dal filo della colonna.

Di norma non si fa uso di armatura a taglio, sia per ragioni di economia che per rendere più rigida la
fondazione. Il costo, in termini di manodopera, necessario per piegare e porre in opera i ferri
dell'armatura al taglio supera probabilmente di molto il risparmio in calcestruzzo che deriverebbe dal
loro impiego.

Determinata l'altezza, si può progettare l'armatura a flessione sulla base dei momenti critici ottenuti
dal diagramma dei momenti. In alternativa, assegnando come dati d’ingresso in un'analisi per
elementi finiti l'altezza e i carichi, si possono determinare i momenti corretti in base ai quali
dimensionare l'armatura a flessione. Di solito questi elementi a trave sono soggetti a momenti sia
positivi che negativi, per cui vanno disposte sia un'armatura inferiore che una superiore. La
percentuale minima di armatura deve essere presa pari a 200/145 fy (f y espresso in MPa) dato che
la fondazione viene progettata come trave (o elemento inflesso). Le fondazioni armate
superiormente (soggette a momenti negativi) non sono economiche, per cui si deve, in sostituzione,
far ricorso a plinti sovradimensionati, sempre che questa procedura si riveli possibile. Se si
calcolano i momenti flettenti agenti in direzione trasversale come per un plinto rettangolare, si
commette un errore notevole in quanto la pressione del terreno è maggiore in prossimità delle
colonne, per via del loro effetto irrigidente, mentre è minore nella zona tra una colonna e l'altra.

La zona in prossimità di una colonna (e praticamente centrata su questa) andrebbe analizzata


seguendo sostanzialmente le prescrizioni per plinti rettangolari. Le norme non specificano
esattamente quale area d'influenza della colonna debba essere messa in conto; tuttavia, esaminando
un gran numero di risultati ottenuti mediante programmi di calcolo basati sia sul metodo delle
differenze finite che su quello degli elementi finiti, vari autori propongono di considerare
orientativamente, quale area d'influenza quella mostrata, in Fig. 5.37. Va notato che, al diminuire
dell’ampiezza di tale zona, aumenta la sua rigidezza, in quanto vengono richieste delle barre di
armatura addizionali.

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Fig. 5.37 – Armatura di una fondazione composta rettangolare. L’armatura nella zona a deve soddisfare il minimo
prescritto mentre nella zona b, oltre al minimo, deve soddisfare anche la verifica a flessione.

L'aumento di rigidezza tende a richiamare i momenti dalla zona compresa fra una colonna e l'altra;
peraltro tale fenomeno è difficilmente quantificabile in quanto nelle analisi ad elementi finiti o alle
differenze finite si utilizza normalmente il momento d'inerzia ottenuto sulla base dell'altezza nominale
D e non sulla base della sezione equivalente (cioè dell'altezza utile d), o momento d'inerzia efficace.
Riducendo sufficientemente l'area d'influenza, si mette in conto una quantità di acciaio sufficiente a
far fronte a qualsiasi momento addizionale di richiamo.

Fig. 5.38 – Diagrammi del taglio e del momento flettente per una fondazione composta.

Le tecniche di progettazione classiche richiedono il calcolo dei momenti e dei tagli in un numero di
sezioni sufficiente a tracciare i diagrammi del momento flettente e dell'azione tagliante. Inoltre, è
prassi comune arrotondare le dimensioni calcolate a multipli interi di 5 o 10 cm. Tuttavia, operando
l'arrotondamento prima del calcolo dei diagrammi del momento e del taglio, si può osservare un
errore finale che dipende da quanto le dimensioni sono state modificate; di conseguenza, si
raccomanda di arrotondare le dimensioni della fondazione soltanto nell'ultima fase della
progettazione.

I carichi trasmessi dalle colonne sono di fatto distribuiti sulla sezione delle colonne, come mostra la
Fig. 5.38, ma vanno sempre trattati come carichi concentrati. Ciò consente di semplificare
notevolmente il calcolo di momenti e dei tagli ottenendo, nelle sezioni critiche, gli stessi, valori con
entrambi i metodi.

L’operatore deve prestare attenzione al fatto che le fondazioni composte sono staticamente
determinate qualunque sia il numero delle colonne, per evidenti motivi di statica. I carichi trasmessi
dalle colonne sono noti e, assumendo che la fondazione sia rigida, si ottiene che la pressione
esercitata sul terreno è q = ΣP/A. Il problema si riconduce quindi a quello di una trave uniformemente
caricata, con tutte le reazioni (cioè i carichi trasmessi dalle colonne) note.

5.7.2 - Fondazioni trapezie

Una fondazione composta deve essere realizzata in forma trapezoidale se la colonna che trasmette
il carico maggiore dispone di uno spazio troppo limitato per poter poggiare su un plinto. In questo
caso, la risultante dei carichi trasmessi dalle colonne (momenti inclusi) è spostata verso la colonna
più sollecitata, ragione per cui, raddoppiando la distanza dal baricentro (come per la fondazione
rettangolare), non si ha una lunghezza sufficiente per raggiungere la colonna più interna. La
geometria di una fondazione di forma trapezia è illustrata in Fig. 5.39 da cui si ricava:

A = L(a+b)/2

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x’ = L(2a+b)/3(a+b)

Dalle relazione si vede che il caso a = 0 corrisponde a una fondazione triangolare, mentre nel caso a
= b si ha una fondazione rettangolare. Ne consegue che, affinché si possa effettivamente avere una
fondazione trapezia, deve risultare:

L/3 < x’ < L/2

dove la distanza L è misurata fra i fili esterni delle colonne. Nella maggior parte dei casi, si usa una
fondazione trapezia con due sole colonne, come nel caso mostrato, ma la soluzione può essere
generalizzata al caso di più di due colonne. La disposizione delle casseforme e delle barre di
armatura in una fondazione trapezia risulta piuttosto scomoda. Per tale motivo può essere più
conveniente, non appena possibile, ricorrere a una fondazione a cordolo che consente
sostanzialmente di raggiungere il medesimo scopo, cioè di ottenere una pressione teorica uniforme
sul terreno.

Fig. 5.39 – Fondazione trapezia: nel caso in esame risulta necessaria ameno che la distanza S non sia così grande da
risultare più economico ricorrere ad una fondazione a cordolo.

Determinato il valore di x', che individua la posizione del baricentro della fondazione, si determinano
univocamente le dimensioni a e b della fondazione risolvendo il sistema costituito dalle 2 relazioni. Il
valore di L deve essere noto mentre l'area A dipende dalla pressione esercitata sul terreno e dai
carichi trasmessi dalle colonne (A = ΣP/q0 oppure ΣPu/qULT).

Note le dimensioni delle basi a e b, la fondazione può essere trattata in maniera analoga a quella
rettangolare (come una trave rovescia), salvo il fatto che l'andamento del carico sulla trave è lineare
(di primo grado), dato che a e b non sono eguali. Per conseguenza il diagramma del taglio è una
curva del 2° ordine e il diagramma del momento è una curva del 3° ordine. Al fine di determinare le
sezioni critiche per queste azioni il metodo più efficace è quello analitico, trattando le colonne come
carichi concentrati. Una fondazione di forma trapezia può anche essere analizzata come una trave
su suolo elastico; in questo caso si utilizzano elementi finiti di tipo trave a larghezza costante,
assegnando a ogni elemento la larghezza media del corrispondente tratto della fondazione reale.

5.7.3 - Fondazioni a cordolo

Lo scopo di una fondazione a cordolo è quello di collegare il plinto di una colonna soggetta a carico
eccentrico a quello di una colonna interna, come mostrato in Fig. 5.40.

Fig. 5.40 – Carichi e reazioni da considerarsi nel progetto di una fondazione a cordolo. La larghezza del cordolo è
praticamente pari alla larghezza w della colonna più sottile.

Il cordolo serve a trasmettere il momento dovuto all'eccentricità del carico al plinto della colonna
interna in modo da ottenere una pressione uniforme sul terreno al di sotto di entrambi i plinti. Il
cordolo riveste la medesima funzione della parte interna di una fondazione composta, ma (al fine di
risparmiare materiale) risulta molto più stretto. E’ ancora opportuno osservare, dalla Fig. 5.40, come
la risultante delle pressioni sul terreno cada nel baricentro della fondazione, di modo che il
diagramma delle pressioni risulti uniforme.

Una fondazione a cordolo può venire usata in luogo di una fondazione composta rettangolare o
trapezia se la distanza tra le colonne è grande e/o la pressione ammissibile sul terreno è
relativamente alta, di modo che l'area aggiuntiva di una fondazione rettangolare o trapezia risulta
superflua. Le 3 importanti considerazioni di cui tener conto nel progetto di una fondazione a cordolo
sono:

- a – l’elemento deve essere rigido; orientativamente I cordolo/I plinto > 2. Tale rigidezza serve a
limitare la rotazione del plinto esterno.

- b – i plinti vanno dimensionati in modo che la pressione sul terreno sottostante sia praticamente
la stessa, evitando variazioni notevoli di B per ridurre i cedimenti differenziali.

- c - il cordolo non deve essere a contatto col terreno, così da non innescare reazioni sul terreno

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che alterino le ipotesi di progetto riassunte in Fig. 5.40. In genere, nel progetto si trascura il peso del
cordolo. Si rivela opportuno controllare anche il rapporto altezza/luce (riferita al filo dei plinti) del
cordolo per vedere se si tratta di una trave alta.

Una fondazione a cordolo va presa in considerazione soltanto dopo che, a seguito di un attento
esame, si riveli impraticabile il ricorso a plinti di fondazione (per quanto sovradimensionati). Il costo
addizionale di progettazione e di costruzione fa di questo tipo di fondazione una risorsa estrema.
Può essere preferibile non far uso di armature a taglio nel cordolo per aumentarne la rigidezza.

La geometria dell’elemento può essere varia; quella mostrata in Fig. 5.40 fornisce peraltro la
massima rigidezza assumendo una larghezza almeno pari a quella della colonna più stretta. In
presenza di vincoli sull'altezza può essere necessario aumentare la larghezza del cordolo per
realizzare la rigidezza voluta. Il cordolo deve risultare saldamente collegato alle colonne e ai plinti
mediante staffe, in modo che il sistema funzioni come un tutt'uno.

Per dimensionare la fondazione si utilizzano le formule riportate in Fig. 5.40. La lunghezza del plinto
soggetto a carico eccentrico dipende dal valore e scelto arbitrariamente dal progettista, motivo per
cui, con tutta probabilità, la soluzione non è unica.

5.7.4 - Fondazioni (pile) da ponte

Generalmente, in un progetto, le pile dei ponti vengono assimilate a fondazioni rigide ma possono
anche essere analizzate come travi su suolo elastico. La Fig. 5.41 mostra alcune tipologie di pile da
ponte.

Fig. 5.41 – Tipologie di fondazioni di pile da ponte

È necessario che il progettista determini i carichi in testa alla pila. In genere si adotta uno schema a
telaio rigido, con colonne incernierate alla base. Si assume che le colonne siano poggiate sui plinti,
come mostrato in Fig. 5.42. Si tratta di una semplificazione fatta allo scopo di facilitare il progetto
della fondazione; tale semplificazione, tuttavia, non risulta necessaria se si ricorre a un'analisi per
elementi finiti. Tale semplificazione introduce nel calcolo un errore in quanto, di norma, le colonne
sono rigidamente connesse alla fondazione della pila (i vincoli effettivi sono assimilabili più
realisticamente a incastri). In genere, comunque, la fondazione è talmente rigida che vale la formula:

q = P/A ± Mc/I

(che può rivelarsi, tuttavia, eccessivamente conservativa).

Può capitare che i momenti in direzione longitudinale siano tanto elevati che le prescrizioni più
severe siano quelle nei riguardi dell'armatura a flessione. L'armatura trasversale a flessione è
richiesta soltanto raramente, a meno che non sia l > Dc come riportato in Fig. 9.42. Questa
prescrizione vale sia per progetti realizzati con il metodo degli stati limite che con il metodo delle
tensioni ammissibili.

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Fig. 5.42 – Caratteristiche generali della fondazione di una pila da ponte.

5.7.5 - Fondazioni ad anello

Le fondazioni ad anello trovano applicazione per strutture di sostegno di serbatoi, tralicci di


elettrodotti, antenne per telecomunicazioni e diversi altri tipi di strutture. La fondazione ad anello
considerata nel presente paragrafo è una trave circolare relativamente stretta, in contrapposizione
alla platea circolare che verrà considerata nel prossimo paragrafo. Supponendo che il progetto
proponga un'altezza tale da soddisfare la verifica a puntamento per determinare i momenti flettenti
nella fondazione ad anello si può ricorrere al metodo degli elementi finiti (Bowles ha dimostrato che i
risultati così ottenuti sono molto prossimi a quelli forniti da soluzioni analitiche).

Il metodo di risoluzione proposto da Bowles prevede la suddivisione dell'anello in 20 elementi finiti,


come mostrato in Fig. 5.43.

Le molle che simulano il terreno vengono calcolate internamente dal programma a partire da un unico
valore di k ottenuto in lettura. I carichi internodali vengono ripartiti sui nodi adiacenti con uno schema
a trave semplicemente appoggiata, commettendo un errore del tutto trascurabile.

In alternativa si può considerare il singolo elemento finito come trave incastrata agli estremi e
calcolare i tagli e i momenti d'incastro perfetto che consentono di ripartire il carico sui nodi adiacenti;
ciò richiede peraltro un lavoro supplementare che si traduce in una maggior precisione dei risultati del
tutto marginale.

I carichi agenti sull'anello vanno applicati sulla circonferenza luogo dei baricentri delle sezioni (e non
sulla circonferenza media) al fine di ridurre la torsione, in quanto una delle ipotesi fondamentali della
teoria delle travi su suolo elastico è che i cedimenti siano uniformi sulla larghezza B della trave. Ci si
deve quindi preoccupare della torsione agente in direzione circonferenziale, che nasce per il fatto che
il raggio interno è minore del raggio baricentrico, che a sua volta è minore di quello esterno.

Fig. 5.43 – Soluzione matriciale per una fondazione ad anello. (a) Fondazione ad anello suddivisa in 20 segmenti; (b)
momenti circonferenziali agenti sul lato di un segmento; (c) numerazione usata per la soluzione matriciale con riferimento
al tratto ACE della figura (a).

La lunghezza degli elementi finiti viene calcolata nel modo seguente:

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Calcolo del raggio medio:

Rm = √(Ri2+Re 2)/2

Lunghezza degli elementi:

L = Rm (0.31416)

Rigidezza delle molle nodali:

Ki = ks Area fondazione/20

L'espressione dei momenti ottenuta col metodo delle differenze finite è la seguente:

M = EI (yn+1 – 2yn + yn-1)

Si può osservare come il momento flettente sia inversamente proporzionale a L2, in quanto gli
abbassamenti sono costanti per definizione; di conseguenza, il momento flettente Mi in
corrispondenza del raggio interno (Ri) sarà maggiore di Mm , ottenuto in base al raggio medio (Rm ),
che sarà a sua volta minore di Me corrispondente al raggio esterno (Re ), ossia:

Mi = (Rm /Ri)2 Mm e Me =(Rm /Re )2 Mm

dove Mi, Mm ed Me sono, rispettivamente, il momento flettente in corrispondenza del raggio interno,
quello fornito dal programma di calcolo e quello in corrispondenza del raggio esterno. La differenza
tra Mi ed Me corrisponde alla torsione dell'anello, che può richiedere un'armatura a torsione
supplementare (benché, nella maggior parte dei casi, l'armatura radiale minima per gli effetti del ritiro
sia anche sufficiente per soddisfare la verifica a torsione).

In particolare i serbatoi d'acqua sono, di norma, soggetti a momenti ribaltanti che inducono forze di
trazione in una o più colonne e aumentano i carichi verticali di compressione negli altri. Gli effetti del
momento possono essere tenuti in conto con la formula P/A ± Mc/I, per aumentare le compressioni
nelle colonne sottovento e diminuirle nelle colonne sopravvento.

5.8 – Platee di fondazione

Per platea di fondazione s’intende una piastra di calcestruzzo di grandi dimensioni usata per
collegare col terreno di fondazione una o più colonne allineate su diverse file.

Tale piastra può interessare l'intera area di fondazione oppure solo una porzione di essa. Una platea
può essere utilizzata come supporto di fondazione sia per serbatoi direttamente posati sul terreno
che per svariati elementi di impianti industriali. Le platee sono comunemente adottate come
fondazioni di gruppi di sili, ciminiere ed altri tipi di strutture a torre. Permane evidente, in tutti i casi,
come si riveli una questione di definizione stabilire in corrispondenza di quali dimensioni una
fondazione a plinto sia tale da poter essere denominata platea.

Nella Fig. 5.44 sono illustrate diverse tipologie di fondazioni a platea, così come possono essere
utilizzate per fondazioni di strutture edili. Tali soluzioni interessano l'intera pianta della costruzione,
sebbene ciò non sia sempre necessario.

Fig. 5.44 – Tipi di platee di fondazione: (a) piastra piana a spessore costante; (b) piastra ispessita sottocolonnare;

(c) piastra a cialda; (d) piastra con piedistalli; (e) pareti di locali interrati come parte di platea.

Una platea di fondazione può essere adottata in presenza di un terreno di fondazione con bassa
capacità portante oppure qualora i carichi trasmessi dalle colonne siano così elevati che più del 50%
dell'area risulterebbe coperta da fondazioni a plinto convenzionali. È consueto l'utilizzo di fondazioni
a platea per piani interrati, sia per diffondere i carichi delle colonne attraverso una più uniforme
distribuzione di pressioni che per realizzare la piastra di pavimentazione del piano interrato
medesimo. Un particolare vantaggio fornito dalle platee per piani seminterrati o interrati che si
trovino in corrispondenza, o al di sotto, della falda freatica consiste nel fatto che esse costituiscono
una barriera nei confronti dell'acqua.

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In dipendenza dei costi di costruzione locali, e osservando che una fondazione a platea richiede
armatura sia al lembo superiore che a quello inferiore, può risultare talvolta più economico adottare
fondazioni a plinto, anche se l'intera area dovesse risultare coperta dalle fondazioni. Tale soluzione
consente di evitare l'uso, di armature al lembo compresso e può essere realizzata, come in Fig. 5.45,
gettando le fondazioni in tempi alternati per evitare l'uso di casseforme e utilizzando spaziatori per
separare le fondazioni gettate in un secondo tempo. Le fondazioni a platea possono essere
sostenute da pali in situazioni in cui si presenti un livello di falda elevato (per controllare la spinta
d'Archimede) o qualora il terreno sia suscettibile di cedimenti elevati.

Fig. 5.45 – Soluzione con fondazione a platea al confronto con fondazioni su plinti.

E’opportuno osservare come gli sforzi di contatto generati da una platea penetrino nel terreno a una
profondità maggiore oppure possiedano un'intensità relativa maggiore a profondità inferiori; entrambi
questi fattori tendono ad aumentare i cedimenti, a meno che non vi sia una compensazione di sforzi
dovuta al terreno rimosso, cosicché l'incremento netto di pressione risulti limitato.

5.8.1 – Tipi di platee di fondazione

La Fig. 5.44 illustra diverse possibili tipologie di fondazioni a platea. In generale, il progetto più
consueto di platea consiste in una lastra piana di calcestruzzo dello spessore variabile tra 0.75 e 2.0
m, con armatura continua nelle due direzioni, disposta sia al lembo inferiore che a quello superiore.
Tale tipo di fondazione tende a essere pesantemente sovradimensionata per diversi motivi:

a - per il costo addizionale di un'analisi più accurata e l'incertezza dei risultati;

b - perché l'incremento di costo dovuto al sovradimensionamento di tale elemento è di norma


piuttosto modesto, se il sovradimensionamento è d’entità ragionevole, in rapporto al costo totale
della struttura;

c – per il fatto che il sovradimensionamento, con un minimo costo addizionale, porta a un aumento
del margine di sicurezza.

5.8.2 – Capacità portante delle platee di fondazione

Una fondazione a platea deve essere progettata in modo da limitare i cedimenti entro valori
tollerabili. Tali cedimenti possono essere:

a - di consolidazione, incluso ogni effetto secondario.

b - immediati o elastici.

c - Una combinazione di cedimenti di consolidazione ed elastici.

Una platea deve risultare stabile nei riguardi di un'eventuale rottura a taglio in profondità, che può
risultare sia in una rottura rotazionale oppure in una rottura verticale (o per puntamento). Una rottura
per puntamento verticale uniforme non è particolarmente dannosa, poiché i suoi effetti si riducono
semplicemente a un cedimento considerevole, le cui conseguenze possono tuttavia essere limitate
attraverso un intervento sulla morfologia del terreno; comunque, poiché è poco probabile che il
cedimento sia uniforme o che possa essere previsto di tal fatta, una simile modalità di rottura deve
essere considerata alla medesima stregua della rottura per taglio a grande profondità. Per calcolare
la capacità portante del terreno possono essere utilizzate le equazioni:

oppure:

Si adottano B pari alla minore dimensione in pianta della platea, e D pari alla profondità del suo
piano di posa (Fig. 5.46). La pressione ammissibile sul terreno si ottiene applicando un opportuno
coefficiente di sicurezza.

Fig. 5.46 – Aumento della capacità portante con l’adozione di una fondazione a platea.

Quando la capacità portante viene stabilita in base a prove penetrometriche standard (SPT), si può
adottare la formula relativa considerando un cedimento ammissibile pari a 50 mm ottenendo:

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Si assume F2 = 0.08 e Kd = 1+0.33D/B ≤ 1.33.

Con i dati della prova penetrometrica statica (CPT) in base alla formula relativa corretta e
raddoppiata per le platee, la capacità portante può essere stimata pari a:

II risultato è espresso nelle medesime unità di qc. Mentre queste equazioni sono, a rigore, applicabili
a terreni non coesivi (sabbie, sabbie limose, oppure ghiaie limose o sabbiose), in molti casi, se non
nella maggior parte di essi, la platea appoggia su terreno coesivo, dove qu rappresenta il principale
dato disponibile. Per realizzazioni di una certa importanza può risultare necessario integrare i dati di
compressione non confinata con migliori stime dei parametri del terreno. Ciò può essere ottenuto sia
attraverso prove in situ (pressiometrie, prove di taglio in foro) sia con prove di laboratorio su
campioni indisturbati. Prove di laboratorio come quelle del tipo CK0(UU-CU-CD) possono essere
realizzate sia in compressione che a trazione.

5.8.3 – Cedimenti di platee di fondazione

Le platee di fondazione vengono comunemente adottate nelle situazioni in cui i cedimenti possono
rappresentare un problema importante, come quando ci si trovi in presenza di depositi erratici o di
lenti in materiale compressibile, massi sospesi etc. I cedimenti tendono a essere controllati
attraverso:

a - pressioni di contatto sul terreno più basse.

b - volume del terreno rimosso (effetto di galleggiamento o flottazione); in teoria, se il peso dello
scavo eguaglia il peso combinato della struttura e della platea, il sistema galleggia nella massa del
terreno e non avvengono cedimenti;

c - Effetto arco dovuto a:

- Rigidezza della platea;

- Contributo alla rigidezza della platea fornito dalla sovrastruttura.

d - Consentendo cedimenti più elevati: ad es. 50 mm invece che 25 mm.

L'effetto di galleggiamento deve essere in grado, anche in quei casi in cui la consolidazione
rappresenti un problema o quando si utilizzano pali, di contenere i cedimenti della platea tra i 50 e gli
80 mm. Un problema di più considerevole importanza consiste, invece, nel cedimento differenziale.

Fig. 5.47 – Riduzione dei momenti flettenti sulla sovrastruttura mediante l’adozione di una fondazione a platea.

Il momento flettente M dipende dal cedimento differenziale tra le colonne e non dal cedimento totale.

La platea, infatti, tende a ridurre il valore del cedimento come illustrato in Fig. 5.47. Si può osservare
che i momenti flettenti (6EI∆/L2) e le forze taglianti (12EI∆/L3) indotte sulla sovrastruttura dipendono
dal cedimento relativo ∆ tra le estremità della platea (schematizzabile, a questi fini, come una trave).
La continuità della platea consente di ottenere un cedimento relativo di entità inferiore rispetto al
totale atteso, a differenza di quanto accade per le fondazioni a plinto, come segue:

I metodi computazionali che consentono di tener conto dell'interazione tra struttura e fondazione
permettono di stimare sia il cedimento totale che quello differenziale. Il rilevamento del cedimento
totale risulta tanto accurato quanto lo sono i dati del terreno e, se non si è utilizzata solo una striscia
di platea, l'onere computazionale risulta essere notevole.

Il cedimento differenziale può essere preso arbitrariamente pari a 20 mm se il cedimento totale


atteso ∆H ≤ 50 mm, oppure può essere approssimato adottando come fattore di rigidezza:

Kr = EIb/EsB3

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dove EIb può essere assunto:

dove EIb è la rigidezza flessionale della sovrastruttura e della fondazione, Es il modulo elastico del
terreno, B la larghezza della fondazione in direzione perpendicolare a quella considerata, Σ(Eah3/12)
la rigidezza effettiva delle pareti di taglio (tamponamento) in direzione perpendicolare a B essendo h
l'altezza e a lo spessore della parete, Σ(EIbi) la rigidezza dei diversi elementi strutturali che
contribuiscono alla resistenza della sovrastruttura in direzione perpendicolare a B ed EIf la rigidezza
flessionale della fondazione (vedi tabella seguente).

Le analisi dei cedimenti devono essere svolte quando l'incremento netto di pressione supera la
pressione geostatica p0’ esistente in situ. Questi possono essere cedimenti immediati e/o di
consolidazione, corretti per tener conto del rapporto di sovraconsolidazione (OCR) e dipendenti dalla
stratificazione del terreno sottostante.

Un problema di maggiore importanza, specialmente per scavi profondi in argilla, è rappresentato


dall'espansione e/o scorrimento laterale della base (fondo) dello scavo, dove il fondo dello scavo
subisce un sollevamento. Questo fenomeno, denominato rigonfiamento, si presenta molto
comunemente con valori compresi tra 25 e 50 mm (in letteratura sono riportati valori fino a 200 mm).

Risulta pertanto difficile valutare i cedimenti quando si è verificato un rigonfiamento. In linea teorica
si deve recuperare l'intero rigonfiamento riapplicando attraverso la platea una pressione q0 uguale a
quella preesistente. In pratica, invece, ciò non accade o, comunque, non si verifica con la medesima
rapidità con cui si manifesta il rigonfiamento. Ci si deve aspettare che, se parte del rigonfiamento
deriva da uno scorrimento laterale profondo, sia molto difficile prevedere sia l'entità totale del
rigonfiamento sia quale parte di esso potrà essere recuperata mediante ricompressione elastica.

In generale, in presenza di rigonfiamento, sono necessari considerevole esperienza e senso


geotecnico per stimare la probabile risposta del terreno, poiché non esistono al momento teorie
affidabili per la soluzione di tale problema. Esiste una certa pretesa che un'analisi a elementi finiti del
continuo elastico possa valere a risolvere il problema; comunque questa non è altro che una
procedura speculativa confortata dalla speranza di una fortuita coincidenza tra risultati numerici e
misurazioni. La ragione consiste nel fatto che un calcolo agli elementi finiti fornisce risultati accurati
quanto lo sono i valori dei parametri del terreno Es e µ (assegnati come dati in ingresso) e, se anche
si fosse in grado di ottenere un valore affidabile di Es questo valore cambia durante e dopo la fase
di scavo, poiché il rigonfiamento avviene in seguito a una perdita di pressione di confinamento p0’ e
per espansione.

Il fenomeno del rigonfiamento può manifestarsi anche in scavi profondi in sabbia ma in genere la sua
entità è molto limitata. Il rigonfiamento solitamente non viene preso in considerazione per scavi
dell'ordine di 2 o 3 m di profondità nella maggior parte dei terreni ma esso inizia a diventare un
problema importante per scavi da 10 a 20 m di profondità in terreni argillosi.

5.8.4 – Modulo di reazione k per platee di fondazione

I metodi per il calcolo di platee illustrati nel paragrafo fanno uso del modulo ks per il calcolo della
capacità portante della platea. Il modulo di reazione viene adottato per calcolare le rigidezze delle
molle nodali basandosi sulle aree d’influenza di ogni nodo della piastra come illustrato in Fig. 5.48. Si
osserva da tale figura che in corrispondenza di:

Per un triangolo si potrebbe adottare, in modo arbitrario, un'area di influenza pari a 1/3 dell'area del
triangolo per ogni nodo posto sugli spigoli. Per questi contributi d'area la quota di ks (contributo alla
rigidezza del nodo) dovuta a ogni elemento è Ki = ks area (kN/m) e viene espressa come [F]/[L], in
quanto ks ha dimensioni [F]/[L3] e viene moltiplicato per un'area, di dimensioni [L2].

Poiché questo calcolo fornisce unità di rigidezza per una molla, è uso comune denominare tale
effetto molla nodale.

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Fig. 5.48 – Metodo per la distribuzione di ks per la costruzione di molle nodali per elementi rettangolari e triangolari.

In questo modo le molle sono indipendenti tra loro e il sistema di molle che sostiene la fondazione
viene denominato fondazione alla Winkler. Le molle risultano disaccoppiate: (→ l'abbassamento di
ciascuna molla non è influenzato dall'abbassamento delle molle adiacenti.

Poiché le molle sono disaccoppiate alcuni progettisti preferiscono non utilizzare il concetto di ks
privilegiando, invece, l'uso del metodo agli elementi finiti applicato al continuo elastico, adottando Es
e µ come parametri elastici. Ciò realizza in qualche modo un accoppiamento degli effetti; in ogni
caso i calcoli sono gravosi e tanto affidabili quanto lo sono i valori stimati di Es e µ.

In ogni caso, l'adozione di ks nell'analisi di fondazioni a platea risulta assai diffusa in virtù della
grande convenienza di tale parametro. Vi sono peraltro scarsi riscontri numerici che dimostrino che il
metodo degli elementi finiti per il continuo elastico fornisca soluzioni migliori rispetto al modello di
fondazione alla Winkler.

5.8.5 – Modulo di reazione e cedimenti di consolidazione

Non è affatto inusuale che una platea di fondazione venga posizionata su un terreno analizzato
mediante l'uso di ks sebbene, in alcuni casi, si trovino in aggiunta cedimenti di consolidazione che si
verificano più tardi nel tempo.

È tuttavia un esercizio relativamente semplice, usando la definizione di ks, includere gli effetti dovuti
ai cedimenti di consolidazione. Ciò può essere compiuto nel modo seguente:

ks = q0/∆H

Sebbene la pressione di contatto q0 sulla base della platea si mantenga costante, il cedimento totale
vale:

∆H’ = ∆H + ∆Hc

da cui si ricava:

ks’ = q0/(∆H + ∆Hc)

dividendo la prima per la seconda si ottiene:

ks’ = ks∆H/(∆H + ∆Hc)

E’ possibile osservare che, tenendo conto dei cedimenti di consolidazione, ks assume un valore ks’
inferiore, fornito dall’ultima relazione.

5.8.6 – Progetto di platee di fondazione

Per progettare una platea si possono utilizzare diversi metodi:

1 - Metodo approssimato normale (AaN) in cui la platea viene divisa in strisce caricate da una linea
di colonne e con la reazione fornita dalla pressione del terreno; la singola striscia viene allora
analizzata come una fondazione composta. Il metodo può essere adottato quando la fondazione è
molto rigida e la distribuzione delle colonne è pressoché uniforme, sia in spaziatura che in intensità di
carico: tuttavia non viene molto consigliato a causa dell'ingente quantità di approssimazioni adottate.

2 - Metodo approssimato delle flessibilità (AaF, descritto nel seguito) analitico ma dall’elevata mole
computazionale.

3 - Metodi a elementi discreti (per strutturisti) nei quali la fondazione a platea viene divisa in elementi
attraverso una griglia: tali metodi comprendono;

a. Metodo alle differenze finite (DF);

b. Metodo degli elementi finiti (FEM);

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c. Metodo delle griglie finite o del graticcio equivalente (FGM).

5.8.7 – Metodo Approssimato delle flessibilità

L'applicazione del metodo speditivo delle flessibilità richiede l'esecuzione dei seguenti passi:

a - calcolo dello spessore richiesto per la platea in base all'azione di taglio per puntamento relativa
alla colonna che induca la peggiore condizione di carico (spigolo, bordo o punto interno).

b - calcolo della rigidezza D della piastra (indicata col medesimo simbolo usato per indicare la
profondità del piano di posa della fondazione).

c – calcolo del raggio L di rigidezza efficace (osservando come l'area d’influenza relativa a ciascuna
colonna valga approssimativamente 4L).

d – calcolo dei momenti in direzione radiale e circonferenziale, del taglio e degli spostamenti
adottando le seguenti equazioni (coefficienti Z di Hetenyi):

in corrispondenza del punto di applicazione del carico

a una distanza r dal punto di applicazione del carico

dove P è il carico trasmesso dalla colonna

espresso nelle stesse unità di un momento, dove µc è il modulo di Poisson per la platea (per il
calcestruzzo si adotti il valore 0.15), x il rapporto delle distanze r/L illustrato in Fig. 5.49, Z i
coefficienti ricavati dalla medesima figura in funzione di x, L il termine, avente le dimensioni di una
lunghezza, definito della relazione L = 4√D/ks, Mr e Mt i momenti radiale e circonferenziale per unità
di lunghezza e V il taglio per unità di lunghezza della piastra.

I momenti di progetto Mx ed My , espressi in termini di coordinate rettangolari, possono essere


calcolati come illustrato in Fig. 5.48.

Quando il lato della platea si trova all'interno del raggio d’influenza L si calcolano momento e taglio
sul bordo. Il momento parallelo al bordo e il taglio vengono allora applicati al bordo come carichi
cambiati di segno. Quando diverse colonne si sovrappongono nella zona L si applica il principio di
sovrapposizione degli effetti per ottenere l'effetto totale.

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Fig. 5.48 – Coefficienti Zi di Hetenyi per il calcolo degli abbassamenti, dei momenti e dei tagli in una platea flessibile.

6 – Spinta delle terre e pressione laterale


6.1 – La pressione laterale del terreno

La pressione laterale del terreno rappresenta un importante parametro di progetto per svariati
problemi tecnici riguardanti le fondazioni. Per muri di sostegno e paratie, per il calcolo della
pressione esercitata sulle pareti di un silo dal materiale in esso contenuto, per la valutazione della
pressione della terra o della roccia sulle pareti di gallerie o di altre strutture sotterranee, è necessario
poter disporre di una stima quantitativa della pressione laterale agente su un elemento strutturale, sia
ai fini del progetto che a quelli dell'analisi di stabilità.

Per la stima della pressione laterale esercitata dal terreno o da altri materiali si adotta generalmente il
metodo dell'equilibrio plastico (o limite) come definito dall'inviluppo di Mohr. Occasionalmente è
anche possibile usare il metodo degli elementi finiti (riferito al continuo elastico) sebbene ciò presenti
diversi svantaggi nella maggior parte dei problemi progettuali più comuni. Tale metodo, infatti, si
adatta meglio a problemi relativi al calcolo della pressione su gallerie e grandi condotti interrati che
alla maggior parte delle analisi d’altre tipologie.

Le pressioni del terreno si manifestano durante gli spostamenti (o deformazioni) del medesimo ma
finché il terreno non giunge al limite della rottura, come definito dall’inviluppo di Mohr, gli sforzi
risultano indeterminati. Questi si rivelano, in un certo qual senso, indeterminati anche a rottura, poiché
è difficile produrre simultaneamente, in ogni punto del terreno, uno stato di equilibrio plastico: il più
delle volte si tratta, infatti, di un fenomeno progressivo; tuttavia è pratica comune effettuare questa
analisi facendo riferimento ad una situazione ideale sia per ragioni di convenienza che per le
limitazioni che si incontrano nel ricavare i necessari parametri del terreno con un livello elevato di
affidabilità

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Fig. 6.1 – Concetto di equilibrio elastico e plastico.

Con riferimento alla Fig. 6.1a si osservano 2 cerchi, disegnati in modo da avere in comune il punto A
ed essere tangenti alla linea di rottura. Entrambi i cerchi rappresentano uno stato di equilibrio plastico
(o limite) in condizioni di deformazione piana. Ognuno degli altri cerchi (EA o AF) rappresentano
condizioni stazionarie (K0) dipendenti dal rapporto di sovraconsolidazione (OCR).

6.2 – Pressione attiva del terreno

La pressione attiva del terreno si riferisce allo stato di equilibrio plastico definito dal cerchio di rottura
AC in Fig. 6.1a. Lo stato di equilibrio si ottiene dalle Figg. 6.1b e c nel modo seguente: d

- si applicano gli sforzi OA e OE in modo tda ottenere la condizione K0;

- successivamente si riduce gradualmente OE fino a raggiungere la rottura in OC.

- Gli sforzi OA (massimo) e OC (minimo) possono essere usati per tracciare il cerchio di Mohr.

La differenza tra OA e OC rappresenta il diametro del cerchio e, insieme, lo sforzo deviatorio come
potrebbe essere determinato in laboratorio a mezzo di una prova triassiale CK0UE (consistente nel
consolidare il provino fino ad ottenere lo stato di sforzo a riposo (K0) seguito da rottura a trazione
con una prova di estensione realizzata in condizioni non drenate).

Le linee di scorrimento si formano come illustrato, poiché i piani orizzontale e verticale che
definiscono l'elemento di terreno di Fig. 6.1b sono piani principali quando si è generato lo stato K0.
Quest'ultimo è basato sulla meccanica dei materiali risultando indipendente dalla natura dei
medesimi; in ogni caso, dall'osservazione di modelli di muri di sostegno posti in sabbia, si verifica la
formazione di un angolo di valore approssimativamente pari a quello indicato.

Questo sforzo principale minimo OC = σ3 viene indicato come pressione attiva del terreno e può
essere determinato attraverso la (già vista) relazione di Coulomb:

Nella letteratura geotecnica questa equazione si trova spesso scritta attraverso le seguenti relazioni
trigonometriche in termini della funzione tangente:

È anche consueto usare il simbolo Ka invece del termine tan2. Occorre cambiare i segni nel rapporto
fra le funzioni sin, viceversa, per trasformare la corrispondente relazione, riportata nei paragrafi
successivi, ove compare l'angolo (45°+φ/2).

Analizzando le implicazioni pratiche di quanto riportato in Fig. 6.1 risulta opportuno considerare la
Fig. 6.2 nella quale è illustrato un muro di spessore nullo in un ammasso di terreno incoerente
normalmente consolidato (sarebbe possibile considerare qualsiasi altro tipo di terreno ma l'ipotesi
proposta semplifica la discussione). Nell’ambito della Fig. 6.2 si è in presenza di uno stato di sforzo
K0 agente sulla parete del muro dove la pressione laterale (valutata fra terreno e parete o viceversa)
vale, in base alla definizione di K0:

σ3 = K0 σ1

e presenta una distribuzione triangolare in quanto alla profondità z la pressione verticale vale (σ1 =
γz. Poiché il terreno è normalmente consolidato K0 può essere definito attraverso il rapporto
qualitativo degli sforzi di Fig. 6.1a con la relazione:

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K0 = OA/OE

S’immagini, a questo punto, di rimuovere il terreno dal lato sinistro del muro illustrato in Fig. 6.2a fino
a una profondità H come indicato nelle Figg. 6.2b e c. Se la parete non si trancia in corrispondenza
del punto B (linea di fondo scavo) il muro può:

a - inflettersi lateralmente come una trave incastrata, causando la formazione di piani di scorrimento
nel terreno come in Fig. 6.1c; la pressione laterale σh = σ3, nella rappresentazione grafica del
cerchio di Mohr, si muove da E fino ad O. Il caso di Fig. 6.1c si manifesta poiché la pressione K0
esercitata sulla parete decresce man mano che essa s’inflette, seguita dal terreno.

Se lo spostamento della parete è sufficiente, la pressione laterale raggiunge l'equilibrio plastico (o


equilibrio limite) in OC e la pressione sulla parete un minimo (denominato caso di pressione attiva)
pari a:

σh = K a σ1

dalla formula di Coulomb. Il caso di pressione minima si può spiegare osservando che il cuneo di
scorrimento ha volume minimo in corrispondenza di un angolo di 45°+φ/2 rispetto all'orizzontale
(inclinazione della linea condotta da C al punto di tangenza in Fig. 6.1a e che la resistenza a taglio sui
piani di scorrimento si oppone allo scorrimento del cuneo verso la parete. Un'inflessione laterale
limitata produce una pressione più elevata (ma indeterminata) sulla parete, di valore intermedio tra
OC e OE. La ragione consiste nel fatto che il terreno richiede una certa deformazione limite per
mobilitare la resistenza a taglio massima sui piani di scorrimento.

b - non inflettersi per nulla, se è sufficientemente rigido; in questo caso la pressione laterale resta
pari a:

σh = K0 zγ

Poiché uno spostamento laterale del muro produce uno stato di pressione attiva del terreno e la
pressione sulla parete diventa minima, è intuitivo chiedersi cosa potrebbe succedere se non vi fosse
il muro. In tal caso σ3 = 0 e appare chiaro che se la resistenza del terreno messa in gioco su ciascun
piano di scorrimento (come il piano BC in Fig.6.1b) non è sufficiente a soddisfare i requisiti di
equilibrio statico del cuneo ABC, questo scorre verso l'interno dello scavo. Tutto ciò è osservabile
facilmente entro uno scavo in sabbia asciutta dove le pareti si dispongono secondo una determinata
inclinazione rispetto all'orizzontale.

Fig. 6.2 – Modello delle pressioni attiva e passiva del terreno a partire dalle condizioni K0 generate dall’inserimento di un
muro di volume nullo nel terreno (a).

Allo stesso modo appare evidente come, nel momento in cui si apra una cavità, il terreno circostante
si sposti immediatamente in direzione laterale lungo linee di scorrimento simili verso la cavità
medesima. Nel momento in cui questo accade qualunque dispositivo inserito nella cavità deve
spingere il terreno nella posizione originale prima di ristabilire le medesime condizioni che in
precedenza; ne consegue che spingere il terreno nella posizione precedentemente occupata è
un’operazione pressoché impossibile e che, in più, anche la struttura del terreno risulta cambiata. Ciò
rende molto complessa la determinazione in situ di K0 entro qualunque cavità ottenuta tramite scavo,
inclusi i fori di sondaggio.

Poiché il muro si deve spostare lateralmente e/o ruotare allontanandosi dal terreno sostenuto per
dare luogo a condizioni di pressione attiva del terreno (o Ka), risulta interessante chiedersi quale
possa essere l'entità della deformazione necessaria. A scopo indicativo possono venire utilizzati i
valori in tabella:

Come sottolineato in precedenza, se non vi è sufficiente spostamento laterale la pressione sulla


parete risulta indeterminata e di valore compreso tra K0 e Ka. La gran parte dei muri di sostegno
viene progettata per opporsi alla pressione attiva del terreno in quanto qualsiasi rotazione in grado di
produrre il collasso del muro è solitamente sufficiente ad innescare un caso di pressione minima (o
attiva) del terreno. Qualora la geometria del sistema terra-muro di sostegno fosse tale da non poter
generare pressione attiva, potrebbe risultare necessario progettare il muro per la massima pressione
laterale sebbene si riveli probabile che un muro flessibile possa sempre deformarsi in misura
sufficiente a consentire l’innesco del caso di pressione attiva prima di generare il collasso; un muro
molto rigido può, peraltro, tranciarsi improvvisamente senza che vi sia stata la possibilità per il
terreno di sviluppare la pressione attiva.

6.3 – Pressione passiva del terreno

Lo stato di pressione passiva del terreno è dato dal cerchio di Mohr maggiore in Fig. 6.1a. Tale stato
si genera a partire dalle condizioni K0 di Fig. 6.1b e mantenendo OA costante mentre s’incrementa la
pressione laterale da OE fino all’equilibrio plastico a rottura in OD. A questo punto i piani di

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scorrimento del terreno formano angoli di 45°+φ/2 rispetto all’orizzontale e quindi inclinati i Φ rispetto
a quelli dello stato attivo. L’orientazione dell’angolo di scorrimento è indicata dalla linea che
congiunge il punto D col punto di tangenza nel cerchio di Mohr maggiore in Fig. 6.1a.

Lo sforzo principale maggiore OD = σ1 può essere ricavato in base ad osservazioni geometriche sul
cerchio di Mohr analogamente a quanto fatto per lo stato attivo al fine di ottenere la relazione:

La pressione passiva del terreno ottenuta incrementando la pressione laterale da OE fino ad OD in


Fig. 6.1b e d equivale a spingere il muro di Fig. 6.2c contro il terreno il quale, a propria volta, subisce
una deformazione; se quest’ultima si rivela d’entità sufficiente viene mobilitata la massima resistenza
al taglio; è comunque da osservare che:

- a - il volume del cuneo resistente è sostanzialmente più grande;

- b – la resistenza al taglio s mobilitata si oppone al movimento del muro (mentre nel caso attivo
aiuta il muro a resistere al movimento del cuneo.

Il cambiamento di forma del cuneo resistente ABC rappresenta la ragione principale del perché un
muro che si muova (in avanti) a causa della pressione attiva (minima) del terreno non possa più
essere spinto (indietro) nella posizione originale. La Fig. 6.3 illustra i movimenti relativi e l'ordine di
grandezza dei coefficienti della pressione laterale del terreno, definiti dai rapporti trigonometrici della
relazione di Coulomb.

Fig. 6.3 – Modello delle pressioni attiva e passiva con intervalli di valori per terreni incoerenti e coesivi.

In particolar la pressione passiva del terreno si genera per mezzo di piastre o blocchi d’ancoraggio
immersi nel terreno con un cavo (o una barra) in trazione, disposto in modo tale da tirare il blocco (o
piastra) d’ancoraggio contro il terreno. Un altro caso di pressione passiva è dato dal terreno posto al
di sotto della linea di fondo scavo in Fig. 6.2 che deve opporsi, dal punto B in giù, al movimento in
avanti del muro, movimento che sviluppa una pressione attiva alle spalle della parete per effetto del
cuneo di terreno definito dalla linea BC.

E’ opportuno sottolineare come la trattazione abbia avuto fin qui solo uno svolgimento teorico:
occorre a questo punto disporre di strumenti opportuni per applicare tali principi in modo generale al
fine poter valutare quale sia la pressione del terreno in ciascuna specifica applicazione. Attualmente
esistono 2 procedimenti generali per l’analisi della massa del terreno e un metodo basato sulla teoria
dell’elasticità per l'analisi dei carichi applicati alla massa di terreno che deve essere contenuta da un
muro di sostegno (→ § segg.).

6.4 – Teoria di Coulomb per la pressione del terreno

Il primo metodo per stimare le pressioni esercitate contro muri di sostegno è attribuito a Coulomb, il
quale parte da una serie di ipotesi, e precisamente:

- a – il terreno è isotropo, omogeneo ed è dotato sia di attrito interno che di coesione;

- b - la superficie di rottura è una superficie piana (come BC in Fig. 6.2b), così come è piana la
superficie del terrapieno di riempimento (superficie che può essere inclinata ma non irregolare);

- c - la resistenza per attrito è uniformemente distribuita lungo la superficie di rottura mentre il


coefficiente di attrito f tra terreno e terreno vale f = tg φ;

- d - il cuneo di rottura si comporta come un corpo rigido soggetto solo a traslazione;

- e - esiste attrito tra muro e terreno, ossia, nel momento in cui il cuneo si muove rispetto alla
faccia a monte del muro si genera una forza d’attrito tra il terreno e il muro medesimo. L’angolo di
tale attrito viene comunemente indicato con δ;

- f - la rottura avviene in condizioni di deformazione piana considerando una porzione unitaria di un


muro infinitamente lungo.

I principali limiti della teoria di Coulomb consistono nel considerare un terreno ideale e nell'ipotizzare
una superficie di rottura piana (benché, per sabbie pulite e con riferimento al caso di pressione attiva,
fotografie realizzate su modelli di muri indichino come tale superficie sia pressoché piana come BC
in Fig. 6.2). Le equazioni basate sulla teoria di Coulomb per un terreno non coesivo possono essere
ricavate dalle Figg. 6.4 e 6.5 facendo largo ricorso a relazioni trigonometriche. Il peso del cuneo di
terreno ABE di Fig. 6.4 vale:

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La forza attiva Pa è una componente del vettore peso come illustrato in Fig. 6.5c.

Applicando il teorema dei seni si ottiene:

ossia:

Dall’ultima relazione si può osservare che Pa = f(ζ); ciò significa che in un dato problema tutti gli altri
termini sono costanti, e il valore di Pa di primaria importanza è il valore massimo possibile.
Combinando la prima con la seconda relazione si ottiene

e il valore massimo della forza attiva Pa sul muro si determina ponendo dPa/dζ = 0, ottenendo
quindi:

Se (β = δ = 0° e α = 90° (muro con parete verticale liscia e terrapieno con superficie orizzontale) la
relazione si semplifica nella forma:

che coincide con l'equazione di Rankine per il calcolo della pressione attiva del terreno (→ § succ.).
La relazione ultima assume la forma generale

dove:

è un coefficiente che dipende da α, β, δ e Φ ma indipendente da γ e da H.

La pressione passiva del terreno si determina in maniera analoga, a eccezione dell'inclinazione del
muro e del triangolo delle forze che sono illustrati in Fig. 6.6. Dalla Fig. 6.6 il peso del cuneo di rottura
ipotizzato vale:

e dal triangolo delle forze, usando il teorema dei seni:

Ponendo dPp/dζ = 0 si ottiene il valore minimo di Pp, dato da:

Per un muro a parete verticale liscia con terrapieno a superficie orizzontale (δ = β = 0° e α = 90°) la
formula si semplifica e assume la forma:

La penultima relazione può anche essere riscritta come:

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dove:

La Fig. 6.1 indica che la spinta del terreno dipende dagli sforzi efficaci nel terreno e non dagli sforzi
totali. Ne segue necessariamente che la pressione sul muro, al di sotto della falda freatica, è data
dalla somma della pressione idrostatica e della pressione laterale efficace dovuta al terreno,
determinata usando il peso specifico efficace (o sommerso) γ' del terreno.

Fig. 6.4 – Cuneo di rottura usato per la derivazione dell’equazione di Coulomb relativa alla pressione attiva.

Fig. 6.5 – (a) Condizioni di collasso in ipotesi; (b) indicazione di come tutti i vettori forza possono non convergere nel
punto O (non soddisfacendo l’equilibrio statico; (c) triangolo delle forze per la determinazione di Pa.

Fig. 6.6 – (a) Cuneo di rottura e forze agenti nel caso di pressione passiva; (b) poligono delle forze per il calcolo della
pressione passiva.

6.5 – Teoria di Rankine per la pressione del terreno

Rankine considerò il terreno in uno stato di equilibrio limite (o plastico) adottando essenzialmente le
medesime ipotesi fatte da Coulomb ad eccezione dall’aver trascurato la presenza di attrito tra muro
e terreno e la coesione. Il caso di Rankine è illustrato in Fig. 6.7, con una costruzione di Mohr che,
per il caso generale, è indicata in Fig. 6.8.

Fig. 6.7 – (a) Sistema terreno struttura relativo alla soluzione di Rankine per α = 90°; (b) Triangolo delle forze.

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Fig. 6.8 – Condizioni generali al contorno e cerchio di Mohr per la derivazione delle equazioni di Rankine relative alla
pressione del terreno.

Da quest’ultima figura si possono determinare i casi di pressione attiva è passiva sostituendo


l’equazione che fornisce r (in figura) nell'espressione di EF (e di FG, anch'essa indicata in figura).
Successivamente si sostituisce nell'espressione di Ka (annullando OB e valendosi della relazione
sin2β = 1-cos2β) ottenendo così il rapporto fra la pressione agente in direzione parallela al piano del
terrapieno (inclinato di un angolo β) e la pressione verticale:

E’ da notare come la componente orizzontale della pressione attiva del terreno si ottenga dalla:

In maniera analoga (facendo sempre riferimento alla Fig.6.6 ) si ottiene il rapporto fra pressioni Kp.

Osservando che il rapporto Ka = σa/(γ z cos β) rappresenta il coefficiente di spinta del terreno in
direzione parallela a β, e che (γ z cos β) è la pressione verticale (non normale) agente su un piano
orizzontale a profondità z, si rileva:

Poiché cos β è un dato costante, risulta conveniente comprenderlo nell'espressione di Ka o in quella


di Kp ottenendo:

ed una analoga espressione per Ka. Tali valori sono proposti nelle Tab. 6.1 e 6.2 per venire utilizzati
nel calcolo delle pressioni passiva e attiva. Usando questi valori del rapporto di pressione, la
pressione laterale e la spinta si determinano nel modo seguente:

applicabile nel caso di terreni non coesivi. E’ da rammentare, una volta di più, come il termine γz
rappresenti gli sforzi efficaci. Le componenti verticale e orizzontale di Pa e Pp sono, di norma,
necessario in fase di progetto e si esprimono nella forma:

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Tab. 6.1 – Coefficienti di spinta passiva del terreno Kp secondo Rankine.

Tab. 6.2 – Coefficienti di spinta attiva del terreno Ka secondo Rankine.

La Fig. 6.9 mostra tipiche distribuzioni di pressione laterale per diverse condizioni del terrapieno.

Fig. 6.9 – Diagrammi della pressione attiva del terreno secondo la teoria di Rankine in un terreno incoerente.

6.6 – Pressioni attiva e passiva del terreno tramite la Teoria della Plasticità

La teoria della pressione passiva del terreno tende regolarmente a sovrastimare la pressione
passiva stessa, rispetto a quanto può essere osservato in situ e mediante prove sui modelli per Φ
molto al di sopra di 35°.

Fig. 6.10 – Campi di sforzo nella Teoria della Plasticità per il calcolo della pressione laterale (Rosenfarb & Chan)

Ciò può essere, oppure non essere, a favore della sicurezza in dipendenza dalla necessità di una
stima accurata del valore della pressione passiva.

A causa del problema della sovrastima, Caquot & Kerisel hanno realizzato delle tabelle per la
pressione del terreno sulla base di superfici di rottura non piane; successivamente Janbu e, più di
recente, Shields & Tolunay hanno proposto un approccio al problema della pressione del terreno
simile al metodo degli spicchi usato nell'analisi di stabilità dei pendii mentre Sokolovski ha presentato
una soluzione alle differenze finite con un notevole apparato matematico. Tutti questi metodi
forniscono valori minori per il coefficiente di spinta passiva del terreno. Nessuno di tali metodi
migliora però in maniera significativa i coefficienti di pressione attiva del terreno forniti da Coulomb e
da Rankine.

Rosenfarb & Chen, viceversa, utilizzando la teoria della plasticità, hanno sviluppato una soluzione in
forma chiusa che consente di risolvere il problema delle pressioni attiva e passiva del terreno. La
soluzione in forma chiusa richiede un programma di calcolo con un sottoprogramma iterativo non
difficile da implementare. Rosenfarb & Chen hanno considerato diverse superfici di rottura e la
combinazione del cosiddetto meccanismo a spirale logaritmica ha fornito risultati più favorevoli

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rispetto alla soluzione di Sokolovski, che è stata accettata come corretta da molti.

In Fig. 6.10 é illustrato il meccanismo passivo a spirale logaritmica: da tale figura e da appropriate
considerazioni sulle componenti di velocità si ottengono le formule seguenti:

6.6.1 – Terreni Incoerenti

6.6.2 – Terreni Coesivi

Nella soluzione delle relazioni mostrate è necessario determinare i valori massimi di Kp o Ka.

La massimizzazione di queste equazioni dipende dalle due variabili ζ e ψ. Il valore delle due variabili
indipendenti viene inizializzato con i valori approssimati:

ζ ~ 0.5 (α+β)

ψ ~ 0.2 (α+β)

Con questi valori iniziali si impiega iterativamente il sottoprogramma per correggere i valori di ζ e ψ,
fino al raggiungimento della convergenza. Nella maggior parte dei casi i valori con i quali viene
calcolato Kp si determinano dopo non più di 20 iterazioni.

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Tab. 6.3 – Valori di Kp determinati mediante l’analisi limite per α = 90° (muro con parete verticale) nel caso di terreno
granulare.

La Tab 6.3 fornisce valori selezionati di Kp per terreni non coesivi.

I valori per β = δ = 0° non sono stati riportati poiché sono identici alle soluzioni di Coulomb e
Rankine. La soluzione relativa al muro con parete liscia viene usata nei casi di attrito tra muro e
terreno δ < Φ; quando invece δ = Φ occorre allora adottare la soluzione relativa al muro con parete
scabra. Le formule possono essere facilmente programmate usando i medesimi sottoprogrammi
utilizzati per determinare i minimi e i massimi di una funzione di due variabili, allo scopo di
determinare i coefficienti di pressione passiva per terreni coesivi. Questa soluzione non fornisce
valori molto diversi da quelli ottenuti con la teoria della pressione passiva di Coulomb, fino a che
l'angolo Φ non diventi > 35° e con δ dell'ordine di Φ/2 o più e β ≠ 0 (questo poiché l'inclinazione della
superficie del terrapieno può essere sia positiva che negativa).

6.7 – Pressione del terreno su pareti (effetti dovuti a trazione e zone di rottura)

Per ottenere la spinta agente su un muro e il suo punto di applicazione si possono adottare, in fase
di progetto, le equazioni di Rankine o di Coulomb per la pressione del terreno. Si può inoltre studiare
il problema relativo al terreno soggetto a sforzi di trazione.

6.7.1 – Spinte del terreno su muri di sostegno

Dalla formula di Mohr, considerando temporaneamente un terreno con c = 0, e con riferimento alla
Fig. 6.9a, la spinta sul muro si calcola con la seguente relazione:

dalla quale appare evidente come il diagramma della pressione del terreno abbia andamento analogo
a quello della pressione idrostatica (cioè aumentando linearmente all'aumentare della profondità). Se
è presente un sovraccarico q agente sul terrapieno, come illustrato in Fig. 6.9c la spinta sul muro può
essere valutata con:

II punto d’applicazione della spinta viene determinato imponendo l'equilibrio alla rotazione rispetto ad
un punto opportuno; in presenza di un sovraccarico, scrivendo l'equazione di equilibrio dei momenti
rispetto alla sommità del muro, si trova:

da cui, sostituendo il valore di Pa ottenuto dalla seconda relazione, la distanza del punto
d’applicazione della spinta dalla sommità del muro vale:

e dalla base del muro

quando il sovraccarico q è nullo si ottiene y- = H/3; per c > 0 si determina la posizione y- seguendo le
indicazioni di Fig. 6.11c. Non è corretto sostituire il sovraccarico considerando un muro equivalente
di altezza incrementata e definire la posizione di y- in corrispondenza del baricentro del triangolo,
poiché l'effetto del sovraccarico sul muro è rettangolare.

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6.7.2 – Effetti di sforzi di trazione nel terreno del terrapieno (scavi a trincea aperta)

Quando il terrapieno è costituito da terreno coesivo, ci si può attendere che si manifestino delle zone
in trazione, in base alla formula di Mohr. In caso di coesione non nulla, la prima relazione diventa:

Fig. 6.11 – Fratture di trazione e profondità critica per scavi non rinforzati (privi di sbadacchi). Le fratture di trazione sono
facilmente visibili nelle vicinanze degli scavi.

Si vuole ora determinare la profondità ht in corrispondenza della quale si ha σ3 = 0. Risolvendo la


relazione di Mohr si ottiene:

ht = 2c/γ√ka

la formula rappresenta la profondità teorica di una frattura per trazione nel terreno alle spalle del
muro. tale frattura si può formare all'interfaccia fra terreno e muro o a una certa distanza dietro il
muro stesso, come illustrato in Fig. 6.11.

Un ulteriore obiettivo consiste nella determinazione dell'altezza teorica di uno scavo verticale che si
mantenga stabile. La si può determinare uguagliando a zero Pa ottenuta dalla prima relazione,
ottenendo:

Hc = 4c/γ√Ka

Non appare molto chiaro quale valore usare per Ka nella relazione quando β > 0, poiché l'uso della
relazione di Mohr, per come è stata ricavata, è limitato al caso di terrapieni con superficie
orizzontale. In mancanza di migliori informazioni si usano i valori di Ka dati in Tab. 6.2 (valori di
Rankine).

Non si deve fare affidamento sulla zona in trazione (Fig. 6.11c) per ridurre la pressione laterale
bensì, invece, assumere che essa si possa formare e riempire d'acqua. L'altezza d'acqua (e non la
quantità) può incrementare la spinta ribaltante sul muro in maniera considerevole, sia in seguito alla
presenza della spinta idrostatica γw ht che al maggior braccio dovuto alla combinazione della spinta
idrostatica e della pressione laterale del terreno, già esistente.

In presenza di una zona di trazione è consigliabile usare entrambe le scelte possibili, indicate in Fig.
6.11c assieme al diagramma di pressione idrostatica illustrato, se la frattura di trazione può riempirsi
d'acqua. Il modo più corretto consiste nel considerare il blocco in trazione come un sovraccarico,
ottenendo così una spinta sulla parete e un momento ribaltante entrambi a favore della sicurezza.

Non si può, viceversa, fare affidamento sulla relazione ultima per calcolare l'altezza critica di uno
scavo per molteplici ragioni in quanto:

a - una volta che si è formata una frattura per trazione la relazione di Mohr non è più valida per
l'intera altezza dello scavo;

b – i terreni coesivi tendono a perdere coesione quando sono esposti a uno scavo in seguito
all'assorbimento di umidità e/o alla formazione di fratture da ritiro;

c – sono presenti carichi dovuti alle macchine e alle attrezzature presenti nelle adiacenze dello scavo.

A causa di tali fattori occorre includere nella relazione ultima un coefficiente di sicurezza di progetto,
per determinare l'altezza di progetto H'c con la:

Hc’ = 4c/FS γ√Ka

dove il coefficiente di sicurezza FS varia entro 2.67÷3.00 e Ka = 1 per c = su.

Si possono osservare fratture di trazione su una superficie del terreno adiacente a scavi in terreni
coesivi disposte parallelamente allo scavo stesso. A volte possono essere osservate anche nelle
pavimentazioni nelle adiacenze dello scavo. La normativa richiede che per scavi di profondità > 1.5
m in realizzati in materiale instabile o soffice devono essere previste palancole, sbadacchi, puntelli
oppure che siano realizzati con pareti inclinate.

6.7.3 – Area di rottura

La soluzione delle equazioni di Rankine, come illustrato dal cerchio di Mohr di Fig. 6.1a, fornisce
l'inclinazione ζ della superficie di rottura nel terrapieno come ζ = 45°±Φ/2 dove il segno +vale nel
caso di pressione attiva) per superficie del terreno orizzontale (β=0).

Nel caso generale di superficie del terreno inclinata oppure in presenza di attrito tra terreno e parete,
l'angolo ζ non è più quello dato da questa espressione. Con tali situazioni è consigliabile l’utilizzo di

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un programma di calcolo che faccia uso del metodo del cuneo di tentativo per ottenere l'angolo ζ
(allo stesso modo che per posizionare la potenziale zona di scorrimento) poiché esso viene dato
come parte dei risultati disponibili per le verifiche manuali. Esistono anche soluzioni in forma chiusa,
sebbene si rivelino complicate oltre che soggette ad errori sia nella loro derivazione che
nell'introduzione manuale dei dati, cosicché le medesime sono essere utilizzate con particolare
attenzione.

6.8 – Validità ed affidabilità dei valori delle pressioni laterali del terreno

Per verificare la validità dei metodi di Coulomb e Rankine per la determinazione delle pressioni attiva
e passiva del terreno sono state realizzate diverse prove sperimentali su muri. Prove su modelli e in
situ tendono a confermare la ragionevole bontà del concetto di pressione attiva del terreno se il
terrapieno è stato realizzato con attenzione, cosicché gli effetti del costipamento non causino sforzi
eccessivi, e se il muro è in grado di ruotare e/o di traslare in misura sufficiente da mobilitare la
massima resistenza a taglio nel terreno.

Spesso la sommità del muro trasla/ruota adeguatamente mentre ciò non avviene in prossimità della
sua base, per cui la pressione in questa zona risulta essere più elevata di quella prevista
teoricamente; in particolare se è stato effettuato un adeguato costipamento del terrapieno. In ogni
caso, la spinta totale sulla parete ottenuta integrando numericamente il diagramma della pressione è
solitamente prossima al valore attivo teorico e la risultante è comunemente applicata in
corrispondenza o al di sopra del punto posto a un terzo dell'altezza del muro (spesso più prossimo a
0.4H o a 0.45H).

La superficie della zona di rottura attiva è abbastanza vicina a quella prevista dalla teoria ed è anche
approssimativamente piana. Peraltro la zona passiva spesso non è in buon accordo con le previsioni
teoriche, e la superficie di rottura risulta essere più simile ad una spirale.

6.9 – Proprietà dei terreni per il calcolo delle pressione laterale del terreno

Risulta evidente dall'uso del cerchio di Mohr come punto di partenza per il calcolo dei coefficienti
della pressione del terreno, che per il calcolo della spinta sul muro si utilizzano gli sforzi efficaci
insieme ad ogni pressione idrostatica presente. Le consuete condizioni del terreno alle spalle del
muro sono come indicate in Fig. 6.12 e cioè: si è realizzato uno scavo verticale o inclinato per il
muro, poi si sono gettati la fondazione e il muro stesso, e infine si è effettuato il riempimento della
zona precedentemente scavata, spesso operando anche un costipamento. Occorre, pertanto e in
qualche modo, idealizzare il modello per calcolare la spinta cui il muro deve resistere.

6.9.1 – Parametri del terreno

I parametri del terreno usati per il calcolo della pressione laterale sono:

a - per la sabbia valori drenati; si assumono valori dell'angolo Φ (o φ) in condizioni di deformazione


piana, come quelli ottenuti da prove di taglio diretto o da prove di taglio semplice o da valori triassiali
corretti per il caso di deformazione piana. Questa è la situazione ideale; molto comunemente un
valore di Φ viene stimato attraverso l'esame a vista della sabbia adottando un valore, a favore della
sicurezza, compreso entro 30°÷34°.

b - per i terreni coesivi si usano comunemente i valori di su (altrove notata come cu) che risultano
generalmente adeguati per terreni normalmente oppure leggermente sovraconsolidati.

c - Per terreni sovraconsolidati si può usare:

- 1 - Un parametro di resistenza drenato con Φ’ ottenuto da una prova a taglio drenata oppure
stimato con una delle correlazioni date dal grafico di Fig. 6.12;

- 2 - Resistenza a taglio non drenata alla soglia di viscosità (ossia di scorrimento viscoso);

- 3 - Un angolo Φ drenato compreso fra i valori di picco e di resistenza residua.

Fig. 6.12 – Relazione tra Φ’ e Indice di plasticità Ip per argille normalmente consolidate.

Nei terreni coesivi è generalmente provato che un muro di sostegno progettato usando un insieme
qualsiasi (o quasi) di parametri di resistenza presenti un adeguato coefficiente di sicurezza se sono
soddisfatte le seguenti condizioni:

- le pareti dello scavo non siano franate durante la costruzione del muro;

- la zona scavata venga riempita e costipata usando un terreno drenante;

- il coefficiente di sicurezza sia attendibilmente adeguato (sebbene la zona di scavo/terrapieno sia


piuttosto limitata) poiché, se il terreno da sostenere fosse stato instabile, si sarebbe verificato un

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franamento.

6.9.2 –Presenza di acqua nel terrapieno

La presenza di acqua nel terrapieno è particolarmente indesiderabile poiché aumenta il peso


specifico e la pressione laterale. Se si può formare (o si stabilizza) una falda acquifera l'effetto che
ne segue è considerevolmente peggiore perché l'angolo d'attrito dell'acqua è nullo per cui si ha Ka =
Kp = 1, come in precedenza usato. Un ulteriore effetto collaterale indesiderabile che si verifica nelle
regioni fredde consiste nel fatto che l'acqua presente nel terrapieno può gelare e produrre una spinta
laterale (e uno spostamento) considerevole che può non essere più recuperabile quando il ghiaccio si
scioglie.

Si può evitare il problema legato alla presenza d’acqua realizzando dei fori di drenaggio lungo il muro
di sostegno (Fig. 6.13) oppure realizzando il riporto con materiale granulare. I fori di drenaggio
richiedono una particolare manutenzione affinché non si ostruiscano, consentendo così accumulo
d'acqua nel terrapieno. Le dimensioni del tubo collettore orizzontale possono essere minimizzate se
esso periodicamente scarica in fori di drenaggio (o di scarico) disposti lungo la parete del muro.

Fig. 6.13 – Differenti condizioni di terrapieno.

6.9.3 - Angolo s’attrito δ fra muro e terreno

Si è notato che l'attrito tra muro e terreno non dipende solo dalle proprietà del terreno ma anche
dall'entità e dalla direzione del movimento del muro; le rilevazioni sono che il massimo attrito tra
muro e terreno può non manifestarsi simultaneamente con la massima resistenza al taglio lungo la
superficie di rottura, e che tale attrito non è costante lungo il muro, probabilmente perché il
movimento relativo tra muro e terreno non è costante.

Per ottenere valori realistici dell'attrito di parete è necessario affidarsi alla sensibilità geotecnica,
poiché tali valori dipendono dalla pressione. Valori di δ da 0.6Φ fino a 0.8Φ sono ragionevoli per
muri di sostegno in calcestruzzo realizzati con casseforme che conferiscano alla parete una certa
levigatezza.

La Tab. 6.4 fornisce diversi valori di Φ per altri materiali a contatto con il terreno.

Per acciaio, calcestruzzo e legno i valori indicati sono relativi ad una pressione normale σn pari a
~100 kPa.

Per la sabbia tali valori devono essere ridotti di circa 2° per ogni incremento di 100 kPa.

Il metodo di Rankine, comunemente usato per la determinazione della pressione del terreno, non
considera l'attrito tra muro e terreno e tende a fornire una soluzione leggermente più a favore della
sicurezza (maggiore pressione sulla parete) rispetto ai valori ottenuti col metodo di Coulomb.

In ogni caso, in presenza di muri alti o flessibili e/o con deformazioni di considerevole entità, il
metodo di Coulomb risulta sicuramente più realistico ed attendibile e richiede una stima di δ.

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Tab. 6.4 – Angoli d’attrito δ tra diversi materiali da costruzione e terreno (o roccia).

6.9.4 – Adesione tra muro e terreno

L'adesione tra muro e terreno si sviluppa in seguito alla presenza di qualsiasi effetto coesivo nel
terreno. Nelle zone superiori ci si aspetta che si possano formare delle fratture per trazione (o che si
formino durante i periodi secchi, quando il terreno è soggetto a ritiro naturale). Il valore dell'adesione
ca al di sotto delle fratture per trazione viene solitamente assunto pari a 0.5÷0.75 su con un valore
massimo entro 50÷60 kPa. Trova un certo seguito la tendenza a trascurare le zone in trazione lungo
il muro. Si possono presentare tipologie di studio sia di sforzi totali (con coesione) che di sforzi
drenati (efficaci) usando solo Φ' in funzione dei parametri del particolare problema in esame.

6.10 – Teorie relative alla pressione del terreno con problemi di muri di sostegno

Sono stati ampiamente usati sia il metodo di Coulomb che quello di Rankine. Viene spesso adottata
la soluzione di Rankine poiché le equazioni sono semplici e, in qualche modo, più a favore della
sicurezza di quelle di Coulomb. Essendo che l'equazione di Rankine per terreni non coesivi ha la
medesima forma di quella relativa a problemi idrostatici:

Pa = 0.5 H2 (γKa)

dove il termine γKa è equivalente al peso specifico di un fluido, vengono a volte assunti valori
arbitrari da manuale quali 5÷8 kN/m. Quando si adottano tali valori, il metodo viene denominato
metodo del fluido equivalente.

Usando sia la soluzione di Coulomb che quella di Rankine nessuna parte del muro deve interferire
nella formazione della superficie approssimata di rottura (linea BC, Fig. 6.2b); di norma per muri di
sostegno a mensola (muri con un elemento orizzontale di base) bisogna costruire due soluzioni:

a - Nella parete posteriore del muro usando H = AB (Fig. 6.14b) per la verifica al taglio e momento
della mensola;

b - In corrispondenza dell'estremità interna del piede del muro (punto C) usando H = A'C per la
verifica allo scorrimento globale del muro e alla stabilità al ribaltamento.

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Fig. 6.14 – Interpretazione dei risultati ottenuti col metodo di Rankine. (a) Muro e fondazione non interferiscono col cuneo
di rottura; (b) la fondazione interferisce con la formazione del cuneo di rottura a meno che non venga disposta come
indicato; (c) l’inclinazione della superficie del terrapieno e la fondazione interferiscono con la formazione del cuneo di
rottura, a meno che non siano disposti come indicato. Nella verifica dei casi (b) e (c) occorre comprendere il peso W.

Una considerazione di maggior rilievo nel progetto di muri di sostegno consiste nel conoscere se la
zona di rottura ideale si forma come illustrato in Fig. 6.13: in Fig. 6.13a la zona del riporto è grande
abbastanza perché si possa sviluppare la zona attiva secondo la teoria di Rankine in un terreno con
proprietà note; in Fig. 6.13b la zona del riporto è limitata e la zona attiva secondo la teoria di Rankine
(se si sviluppa) si forma nel terreno originario: il riporto granulare contribuisce solo a un libero
drenaggio in modo che non venga generata una pressione idrostatica. Naturalmente, se lo scavo nel
terreno esistente è rimasto aperto per un certo periodo di tempo, il terreno preesistente contribuisce
in misura limitata alla pressione laterale agente sul muro e il contributo principale alla pressione é
dovuto all'effetto dell'operazione di costipamento del riporto in una zona limitata; in ogni caso tale
pressione laterale può rivelarsi importante o, addirittura, superiore a qualsiasi pressione attiva
calcolata.

La pressione effettiva sul muro dipende, in tal caso, dalla rigidezza del muro stesso (in termini di
spostamenti) e dall'entità del costipamento. Di norma la pressione sul muro indotta dal costipamento
produce una spinta risultante applicata verso la metà dell'altezza del muro mentre la spinta attiva ha
un punto d’applicazione vicino a un terzo dell'altezza del muro. In questo caso si può usare un valore
di K intermedio tra Ka e K0 o di pochissimo superiore e un valore stimato secondo logica per il punto
d’applicazione della risultante.

La Fig. 6.13c rappresenta una situazione frequente nella pratica, dove è necessario sensibilità
geotecnica per stabilire la pressione esercitata sul muro sebbene si possa dare una stima
approssimata. La Fig. 6.13d illustra un metodo relativo al caso in cui vi sia una limitata disponibilità di
materiale granulare per il terrapieno, così una parte di esso viene disposto in modo che il piano di
scorrimento della zona attiva si formi entro il materiale granulare; successivamente si dispone il
materiale di qualità più scadente nella zona dove non dia problemi. La zona di materiale granulare e
di limitata estensione alle spalle del muro serve per il drenaggio. In questo caso si può usare quale
angolo Φ l’angolo del terreno granulare ma, come peso specifico, occorre assumere un valore medio
calcolato sull'intero terrapieno.

6.10.1 – Superfici del terrapieno inclinate o irregolari

Quando il terrapieno è piano, l'angolo β che ne definisce la pendenza rispetto all'orizzontale può
essere positivo, se è inclinato verso l'alto, nullo se è orizzontale, oppure negativo se è inclinato verso
il basso, come illustrato in Fig. 6.14. Si può, inoltre, avere una linea di fondo scavo inclinata: e
intuitivamente, a questo punto, ci si potrebbe aspettare che un'inclinazione positiva aumenti la
pressione sul muro, mentre una negativa la diminuisca. Ciò viene evidenziato dal metodo di Coulomb
e dalla teoria dell'elasticità per valori di β sia positivi che negativi e dal metodo di Rankine per valori
positivi di β. I valori negativi di β hanno particolare interesse per muri che facciano affidamento sulla
pressione passiva nel terreno al di sotto della linea di fondo scavo. Talora, per muri che sostengono
depositi di carbone e simili il materiale contenuto può dare luogo a un'inclinazione negativa del riporto
mano a mano che il materiale stesso viene prelevato.

Nei casi in cui la superficie del terreno è irregolare, si può stimare dove è posto il punto terminale
della zona attiva di Rankine e in quella regione trattare la superficie irregolare o come un piano
inclinato che ne sia la migliore approssimazione, oppure come un sovraccarico uniforme, usando le
equazioni del caso. Si può, tuttavia, anche adottare il metodo del cuneo di tentativo, illustrato nel §
successivo, in particolare se si desidera una migliore stima della posizione della linea di rottura.

6.11 – Soluzioni grafiche e numeriche per la pressione laterale del terreno

Esistono diverse soluzioni grafiche per stimare le spinte laterali qualora il terrapieno presenti una
forma irregolare o insistano carichi concentrati, cioè in situazioni non contemplate dalle teorie di
Coulomb o di Rankine. Tra le diverse soluzioni si segnalano quella di Culmann, il metodo del cuneo
di tentativo e quello della spirale logaritmica. Si può anche adottare una soluzione analitica basata
sulla teoria dell'elasticità, sostituendo un terrapieno di forma irregolare con un piano inclinato di un
angolo β che meglio approssimi la situazione reale oppure considerando un sovraccarico uniforme
equivalente.

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I metodi di Culmann e del cuneo di tentativo sono tra loro molto simili eccetto che per l'orientazione
generale del poligono delle forze. Entrambi i metodi si basano sul calcolo delle forze note su un
cuneo di tentativo comprendendo tutti i carichi esterni agenti sul terrapieno, il peso del cuneo stesso,
la forza di taglio agente sulla superficie di rottura di tentativo e, note le inclinazioni della spinta Pa (o
Pp) sulla parete e della risultante R sulla superficie di rottura, consentono di tracciare un poligono
delle forze e ottenere graficamente Pa (o Pp). Il metodo della spirale logaritmica è simile, ma fa uso
di un tratto di spirale per definire la superficie di rottura mentre i metodi di Culmann e del cuneo di
tentativo considerano tale superficie come piana.

6.11.1 - Il metodo del cuneo di tentativo

Secondo quanto osservato precedentemente i metodi del cuneo di tentativo e di Culmann sono
identici eccetto che per l'orientazione del poligono delle forze. Il metodo illustrato presenta inoltre un
vantaggio rispetto a quello di Culmann, in quanto può considerare anche il caso in cui tra i parametri
del terreno si abbia anche la coesione. La Fig. 6.15 definisce la procedura generale che può essere
descritta nel modo seguente:

a – si disegnano il muro di sostegno e la superficie del terreno in una scala appropriata calcolando la
profondità delle fratture per trazione con la relazione:

ht = 2c/γ√Ka

Questo valore di ht viene riportato sul disegno in un numero sufficiente di punti in modo da poter
tracciare il profilo delle fratture per trazione.

b – si tracciano i cunei di tentativo, quali AB'E1D1, AB'E2D2, …, calcolando i pesi w1, w2, …, wn di
ciascun cuneo;

c – si calcolano Cw e Cs (Cw è costante) tracciando Cw come indicato in Fig. 6.15b parallelamente


all'inclinazione del muro e in un'appropriata scala delle forze. Poiché si può formare una frattura di
trazione lungo il muro bisogna usare la lunghezza AB per calcolare Cw . Si tracciare di seguito i
vettori peso w1, w2, …, wn lungo la linea OY;

d - all'estremità di Cw si traccia Cs con la medesima inclinazione dei cunei che individuano il


meccanismo di collasso di tentativo;

e - dai punti w1, w2, ..., wn definiti al punto c si traccia un vettore Pa con la corretta inclinazione
[l'inclinazione di Pa (o Pp) è costante];

f - all'estremità di Cs si traccia il vettore R con l'inclinazione appropriata. Tale inclinazione è pari a un


angolo Φ rispetto alla perpendicolare alle superfici di rottura assunte AD1, AD2, AD3, ... etc;

g - l'intersezione di R e Pa genera un luogo di punti attraverso i quali si traccia una curva regolare;

h – si disegna una tangente alla curva ottenuta al punto g, parallelamente al vettore peso, tracciando
il vettore Pa attraverso il punto di tangenza. Come nella soluzione di Culmann si possono trovare
diversi valori massimi. Il più grande valore di Pa possibile rappresenta il valore di progetto.

Fig. 6.15 – Soluzione per la spinta attiva col metodo del cuneo di tentativo.(a) Forze agenti sul cuneo di tentativo ABED;
(b) Poligono delle forze relativo alle forze agenti su ABED; (c) Metodo rapido per la determinazione dell’inclinazione di R.
Nel caso di spinta passiva è indicata l’inclinazione di Pp; l’inclinazione di R cambia; Cs e Cw hanno verso opposto.

L’inclinazione del vettore R può essere stabilita (Fig. 6.15c) nel modo seguente:

- con raggio r si disegna un arco di cerchio GJ dalla linea verticale AF in Fig. 6.15°;

- si traccia una linea orizzontale AO indicando l’angolo Φ come illustrato. Con medesimo raggio r
si disegna l’arco di cerchio OJ;

- AG è allora l’inclinazione del vettore R rispetto al piano di rottura AF;

- si tracciano ora gli archi GH, HI, IJ in Fig. 6.15c con la medesima lunghezza dell’arco GJ;

- le inclinazioni delle linee AH, AI AJ di Fig. 6.15c sono le corrispondenti inclinazioni del vettore R
rispetto alle superfici di rottura AD1, AD2 …

Nei materiali incoerenti i valori di Cw e Cs sono nulli; il cuneo di tentativo, di conseguenza, è il


medesimo del metodo di Culmann ad esclusione dell’orientazione del poligono delle forze.

6.12 – Analisi delle pressioni laterali con la Teoria dell’elasticità

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II metodo del cuneo di tentativo sembra essere eccessivamente a favore di sicurezza nella stima
della spinta agente contro un muro di sostegno, quando si sia in presenza di sovraccarichi (o carichi)
sul terrapieno. Per questa ragione, non sembra che tale metodo venga particolarmente usato. Un
metodo più teorico fa uso della teoria dell'elasticità per la determinazione della pressione laterale
esercitata sul muro di sostegno a partire dal sovraccarico presente sulla superficie (puntiforme,
distribuito secondo una linea, nastriforme). L'equazione comunemente usata è tra quelle sviluppate
da Boussinesq per la determinazione delle equazioni relative al calcolo delle pressioni verticali.
L'equazione di Boussinesq viene espressa dalla relazione:

dove il significato dei vari termini può essere individuato in Fig. 6.16. La relazione viene scritta anche
nella forma:

usando relazioni trigonometriche per θ, r e R come indicato in Fig. 6.16.

L'equazione espressa sotto tale forma risulta particolarmente adatta per l'implementazione su
computer poiché il punto P è solitamente fissato (con coordinate x, y note) richiedendo di variare z
per ottenere il diagramma delle pressioni.

Fig. 6.16 – Definizione dei termini che compaiono nell’equazione di Boussinesq per il calcolo della pressione laterale.

Il modello di questa equazione consente di risolvere qualsiasi situazione di carico sul terrapieno di
Fig. 6.17, definite come:

a - Carico concentrato puntiforme: si utilizza l'equazione nella forma data;

b - Carico distribuito su una linea: si risolve il problema come se si trattasse di una serie di carichi
concentrati lungo una linea di spessore unitario e agenti su un'area unitaria;

c - Carico nastriforme: si affronta il problema come se si trattasse di una serie di linee di carico
parallele agenti su una striscia di larghezza finita;

d - Carico applicato a una superficie; si tratta con una serie di carichi distribuiti lungo una linea,
agenti su una striscia di lunghezza finita.

Per carichi nastriformi si può tener conto sia di una distribuzione uniforme che di una distribuzione
linearmente variabile in direzione trasversale, come avviene sulla scarpata di un rilevato stradale etc.
Le diverse tipologie sono configurate in Fig. 6.17.

La teoria dell'elasticità limita la variabilità del modulo di Poisson entro l'intervallo compreso fra - 1 e +
0.5; é inoltre opportuno osservare come vi sia un segno associato a µ cosicché il segno positivo sta
a indicare che a una deformazione assiale di allungamento si associa una contrazione trasversale
(come nel caso di una prova di trazione su acciaio che fornisce µ ~ 0.3) e che a una deformazione
assiale di accorciamento si associa un'espansione trasversale (come nel caso di una prova di
compressione su un provino cilindrico di calcestruzzo che fornisce µ ~ 0.15). Non si conoscono
materiali di tipo ingegneristico che possano presentare un modulo di Poisson negativo, a cui
corrisponderebbe un’espansione trasversale in seguito ad allungamento assiale o contrazione
trasversale in seguito ad accorciamento assiale. E’ significativo notare, inoltre, come per i terreni sia
stato verificato che µ può essere > 0.5 con valori di 0.6 e 0.7 piuttosto comuni, in quanto il terreno è
un materiale solo pseudoelastico.

Per conseguenza a tali osservazioni, risulta chiaro che l'adozione di approssimazioni nell'uso
dell’equazione di Boussinesq deve essere effettuata con particolare cautela.

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Fig. 6.17 – Tipologie di sovraccarichi. NSQW e NSQL rappresentano il numero di elementi unitari in direzione normale e
parallela al muro utilizzati, in genere, nei programmi di calcolo.

La Tab. 6.5 illustra il caso di un piccolo muro di sostegno con un carico concentrato a distanza
variabile e per modulo di Poisson variabile entro un certo intervallo. Per detto muro è compresa
anche la soluzione con il cuneo di tentativo per svariate posizioni del carico e la pressione laterale
calcolata nel caso di assenza di sovraccarico. Dalla tabella possono essere dedotte alcune
conclusioni:

- Il metodo del cuneo di tentativo fornisce spinte sul muro più elevate;

- Un valore del modulo di Poisson µ pari a 1 genera un sostanziale incremento della pressione sul
muro rispetto a valori di µ pari a 0.3 ÷ 0.5. E’ consigliabile assumere µ = 1.00 come valore possibile
per terreni che si trovino in uno stato molto sciolto, in particolare per condizioni prossime al caso di
deformazione piana dove è possibile che la deformazione laterale possa eguagliare la deformazione
verticale εv fornendo µ = εh/εv = 1.00;

- Carichi concentrati disposti ben al di fuori della zona attiva di Rankine contribuiscono a Pa nel
metodo del cuneo di tentativo, dando così la sensazione che il metodo del cuneo di tentativo non sia
corretto: in particolare quando i carichi si trovino al di fuori della zona attiva;

- Poiché l’equazione di Boussinesq fornisce piccole pressioni laterali in prossimità del muro, ciò
può significare che il sovraccarico si trasferisce verso il basso mediante una forza di attrito verticale
tra muro e terreno piuttosto che mediante la pressione laterale;

- Le pressioni esercitate sul muro determinate attraverso l’equazione di Boussinesq risultano


piuttosto piccole quando la distanza tra il muro e il carico è più grande della zona attiva di Rankine.

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Tab. 6.5 – Confronto tra la spinta sul muro valutata coi metodi del cuneo di tentativo e di Boussinesq, con riferimento ad
un tratto di muro di lunghezza 0.30 m.

6.13 - Ulteriori casi di pressione laterale

6.13.1 – Formazione di ghiaccio

Si possono sviluppare pressioni laterali quando l'acqua presente nei pori gela; e tutto ciò potrebbe
essere un problema non particolarmente rilevante nel caso di terreni non saturi, a meno che non si
formino lenti di ghiaccio.

Il problema può essere rimosso realizzando il terrapieno di riempimento con materiale granulare e
realizzando un sistema di drenaggio come illustrato in Fig. 6.13 con fori di drenaggio (o di scarico)
uniti a un collettore longitudinale.

6.13.2 – Pressioni laterali dovute a fenomeni sismici sui muri di sostegno

Osservazioni in situ e prove su modelli indicano che la pressione/spinta su un muro di sostegno può
essere sostanzialmente amplificata da movimenti sismici o indotti da vibrazioni di macchine.
L'accelerazione a di un sisma produce una forza di inerzia data dalla relazione:

F=ma

dove m = W/g rappresenta la massa del muro e del terreno interessato; a è l'accelerazione,
espressa sotto forma di frazione dell'accelerazione di gravita g (0.1, 0.2, 0.3 etc.). Dalla relazione
canonica si ottiene:

come mostrato in Fig. 6.18.

Studi su modelli, effettuati da Sheriff et al., unite ad osservazioni su strutture reali indicano che la
spinta sul muro prodotta dal sisma agisce ad un'altezza y- dell'ordine di 0.4÷0.6H.

Poiché si deve stimare la frazione di spinta dovuta al sisma (a = kh o kv x g) appare evidente come
la soluzione sia affidabile quanto quella ottenuta mediante le equazioni di Rankine con una forza
addizionale pari a 0.2÷0.4W, dove W rappresenta il peso del cuneo di Rankine e di ogni altra
porzione del terreno che possa spingere contro il muro durante il sisma. Ogni pressione passiva può
essere ridotta di circa il 10% per ogni frazione pari a 0.1g usata.

Applicando la spinta dovuta al sisma a un'altezza pari a 0.5H, oltre alla spinta di Rankine applicata a
H/3 o, in alternativa, usando le equazioni di Mononobe-Okabe per le pressioni attiva e passiva del
terreno (Fig. 6.18) si può osservare come una zona passiva possa essere d'aiuto nel limitare il
movimento del muro. Le spinte attiva e passiva si calcolano con le espressioni:

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Assumendo θ = tg-1 [kh/(1-kv )] e osservando che si usano i termini con indice a per Ka (spinta attiva)
e quelli con indice p per Kp (spinta passiva), i coefficienti di pressione secondo Mononobe-Okabe
valgono:

con alcuni termini già usati in precedenza e gli altri illustrati in Fig. 6.18.

Alcuni problemi connessi con l'uso di questa equazione sono:

- Identificazione di kh e kv : spesso kv è nulla (nessuna accelerazione verticale o molto modesta);

- Quale valore adottare per l'attrito δ tra muro e terreno; sperimentalmente si osserva che δ tende
a zero sotto condizioni dinamiche.

- L'assunzione implicita nell’equazione per i coefficienti di pressione è che la superficie di rottura


sia piana, definita dall'angolo ζ. Ciò spesso non è vero nel caso di pressione passiva statica, come
probabilmente non è vero nemmeno in condizioni dinamiche.

Studi parametrici effettuati da Davies et al. indicano che può esistere un'accelerazione critica definita
come kh = (1-kv ) tg Φ.

Concludendo, l’attribuzione di un valore alla pressione laterale dinamica del terreno su muri di
sostegno risulta, nel migliore dei casi, un'operazione d’approssimazione, benché permanga
comunque diffuso tra gli operatori l'uso dell’equazione citata per ricavare tale stima.

Fig. 6.18 – Convenzione generale dei segni per le equazioni utilizzate in condizioni sismiche; segni indicati sono positivi.

6.13.3 – Pressione dovuta al rigonfiamento

Se alle spalle di un muro di sostegno viene posta dell'argilla espansiva e questa acquisisce acqua, si
possono generare pressioni di grande entità. Il problema può in qualche modo essere limitato
disponendo l'argilla in condizioni attentamente controllate, in assenza di materiale di pezzatura
grossa e con un contenuto d'acqua considerevolmente al di sopra di quello ottimale.

Il problema può essere ridotto in misura considerevole usando un riporto di materiale granulare; tale
intervento, comunque, non risulta sempre possibile.

Non è probabile, viceversa, che la pressione laterale si manifesti operando in presenza di argille
sovraconsolidate, in quanto gli elevati sforzi K0 iniziali si dissipano non appena si apre lo scavo. In
argille sovraconsolidate è più probabile che il problema sia costituito dall'espansione verticale
piuttosto che da quella laterale.

6.13.4 – Spinta dovuta a variazioni termiche

I muri che servono da sostegno a elementi che possano essere soggetti a espansione termica
possono sviluppare sforzi indesiderati.

Questo problema può essere risolto minimizzando l'effetto di vincolo mediante rulli, cerniere o giunti
di dilatazione termica.

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