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Difficoltà economiche nel primo dopoguerra

Gli effetti della guerra e gli squilibri strutturali dell'economia.


L'Italia del dopoguerra fu un caso unico; pur essendo uno dei paesi vincitori, la vittoria non rafforzò l'élite liberale che aveva guidato il conflitto; il paese vide
infatti la radicalizzazione dello scontro sociale e lo schieramento dei ceti medi e della borghesia agraria e industriale (la base sociale del movimento liberale) con le
forze reazionarie eversive. Lo stato fu così travolto e nacque un regime autoritario. Alla base di tutto vi furono:
• Gravi problemi derivanti dalla guerra.
• Squilibri strutturali che da sempre avevano segnato l'economia italiana.
Per via di questo, infatti, la crisi diventò più acuta e la riorganizzazione più difficile. La guerra poi:
• Rafforzò le grandi imprese che furono soggette ad un processo di espansione e concentramento grazie alla massa dei capitali pubblici.
➔ Questo processo però avvenne in maniera convulsa e si basò in gran parte su azzardate speculazioni.
➔ Inoltre accentuò il legame tra imprese e grandi banche; queste ultime infatti incrementarono i loro utili finanziando le prime.
Così, poco alla volta, l'intreccio tra i gruppi monopolistici e le banche divenne talmente stretto che quasi scomparve la distinzione tra impresa e istituto di credito.
Emblematico il caso della Ansaldo-Banca di sconto, costituita da una banca che, per via degli intrecci economici, era divenuta tutt'uno con l'impresa più importante
in Italia.
Un capitalismo monopolistico e il dualismo nord-sud.
L'intervento statale nell'economia ebbe un altra grave conseguenza: alterò i meccanismi della libera concorrenza; durante la guerra infatti le imprese si erano
sviluppate all'interno di mercati controllati dallo stato e fortemente centralizzati.
➢ La guerra creò così una forma di capitalismo monopolistico nel quale lo stato era organizzatore dell'offerta e regolatore della domanda.
Quest'industria era concentrata anche a livello geografico, nel nord, nel triangolo Milano-Torino-Genova. Altra conseguenza della guerra fu dunque l'accentuazione
del divario tra nord e sud, dato che, durante il conflitto, grandi capitali furono sottratti al mezzogiorno per finanziare le imprese del nord.
La questione meridionale.
La situazione al sud, nelle campagne, divenne in questi anni esplosiva; il motivo principale di questo fu:
➢ Aspettativa diffusa che, dopo la guerra, le terre sarebbero state suddivise tra i contadini; era per questo che molti soldati avevano combattuto.
Il sogno venne però tradito, i governi liberali non furono capaci di affrontare la questione agraria e non ridistribuirono le terre. Questa scelta impedì la formazione
della piccola borghesia contadina che avrebbe finalmente messo in moto l'economia meridionale e consentito alle masse di far parte attivamente della nazione
italiana.
La situazione esplose quindi con l'occupazione dei latifondi da parte dei braccianti guidati dai sindacati socialisti e dall'associazione nazionale combattenti. I
contadini chiedevano che le terre incolte dei latifondi venissero ridistribuite, lo stato però rimase inerte; inoltre nessuna forza politica, se non i sindacati e pochi
socialisti (di Ordine Nuovo), compresero l'importanza della questione meridionale e tentarono di presentare un programma compiuto in favore delle forze delle
campagne; quindi i contadini furono abbandonati a loro stessi e questo causò:
• Radicalizzazione progressiva del conflitto sociale: condizione che favorì l'insediamento della dittatura fascista.
• Scollamento tra i contadini e lo stato: questo portò alla condizione tradizionale della società meridionale, nella quale gli uomini vivono in maniera del
tutto estranea allo stato italiano e alle sue istituzioni, che determinò, infine, ad accettare passivamente la dittatura che si impose.
Il biennio rosso
La crisi del settore industriale.
La situazione divenne ancora più difficile quando la fine del conflitto fece diminuire la spesa dello stato per comperare i beni industriali. Il settore industriale infatti
arrivò sull'orlo del baratro perché, senza la domanda dello stato, non era presente un mercato interno in grado di assorbire i beni prodotti perché gli italiani erano
troppo poveri. Fu così che si aprì una fase difficilissima caratterizzata da: tentativi di contrazione della produzione, fallimenti di tante imprese e salvataggi statali.
Tutto questo ebbe gravi ripercussioni sociali ed economiche:
• Vi fu innanzitutto un incremento della disoccupazione, in particolare nei settori che durante la guerra erano fioriti maggiormente.
• Infine inflazione e crollo della lira, avvenimento che portò una situazione difficilissima per l'economia italiana: il cambio lira-dollaro aumentò infatti
sempre più e, poiché l'Italia dipendeva dal grano americano, questo ebbe conseguenze devastanti.
La mobilitazione del proletariato industriale.
L'esito di questi processi fu lo scoppio di diffusissime lotte operaie tra il '18 e il '20. Chiedevano:
• Riduzione giornata lavorativa.
• Aumento salariale per sostenere il costo della vita sempre maggiore.
• Condizioni di lavoro più tutelate; come la formazione di commissioni interne: organizzazioni nelle industrie con rappresentanti dei lavoratori.
Nelle zone industrializzate le lotte operaie si unirono a quelle dei braccianti che, a differenza d i quelli del sud, volevano salari più elevati e controllo sul lavoro. Il
conflitto fu ovunque acutissimo e, infine, i lavoratori ottennero ottimi risultati: tutela del potere d'acquisto e giornata lavorativa di otto ore.
➢ Le lotte vennero poi politicizzate dai sindacati, in particolare la Cgl, e il Psi (dove stava trionfando la corrente massimalista) e che videro gli iscritti
aumentare enormemente, indirizzarono i moti verso le istanze rivoluzionarie ispirate dal comunismo russo. La rivoluzione sembrava alle porte.
➔ Il culmine venne toccato tra il giugno e il luglio del '19: gli scioperi esplosero per il rincaro dei generi alimentari, si diffusero in tutta l'Italia.
➔ Nacquero delle organizzazioni di lavoratori ispirate ai Soviet che requisirono beni di prima necessità e li distribuirono tra i lavoratori.
Lo stato reagì con il pugno di ferro, ma nel contempo riuscì a rallentare l'aumento dei prezzi. D'altra parte il Psi e la Cgl non furono capaci di controllare
l'insurrezione, che finì per non portare a svolte politiche e fece crescere il caos politico che si diffondeva in Italia e che fece portò al trionfo del fascismo.
La frustrazione dei ceti medi.
Il movimento operaio a questo punto perse incisività; la crisi però non colpì solo i lavoratori, ma anche la piccola e media borghesia, che soffrì:
• A causa dell'inflazione come:
➔ Lavoratori salariati: gli aumenti non controbilanciavano l'inflazione del denaro.
➔ Risparmiatori: i loro capitali depositati perdevano progressivamente valore.
• A causa di una crisi sociale:
➔ In guerra, da queste classi sociali erano stati nominati gli ufficiali e i sottufficiali; questo non si conciliava con l'anonimato della vita normale a cui
tornarono. Inoltre il loro tenore di vita era addirittura peggiorato e questo li avvicinava alla classe proletaria, ritenuta inferiore.
➔ Soffrivano la frustrazione di avvertire di non essere in grado di reagire , come invece avevano fatto i proletari con la lotta operaia, che, nel
contempo, minacciava la loro posizione di classe media e i loro piccoli privilegi quotidiani.
➔ Il rancore poi si diffuse anche contro la borghesia agiata, ritenuta una classe di profittatori arricchiti, spesso, con speculazioni sulla guerra.
Benito Mussolini e la nascita del Movimento dei fasci e delle corporazioni.
Il primo che comprese l'ampiezza e la forza di questo disagio e cercò di incanalarlo in forme organizzate fu Benito Mussolini che, nel 19', fondò il Movimento dei
fasci e delle corporazioni, che due anni dopo sarebbe divenuto il Partito Nazionale Fascista:
➢ Il movimento organizzò le correnti senza chiari riferimenti politici e sempre più deluse dallo stato liberale; in particolare i ceti medi.
L'obiettivo fondamentale fu:
➢ Indebolire il movimento operaio e le sue organizzazioni (sindacati e Psi specialmente) con la violenza e cercando di sostituirsi allo stato; infatti il
primo atto del nuovo movimento fu incendiare la sede del giornale socialista dell' “Avanti!”.
In seguito il movimento fascista si intrecciò con quello nazionalista in quanto condividevano le stesse radici ideologiche: L'attivismo volontaristico, l'esaltazione
della violenza e dell'atto individuale; tutti valori contrari agli ideali dello stato di diritto.
Il mito della vittoria mutilata e la “questione di Fiume”.
Orlando e Sonnino non erano riusciti a far rispettare il Patto di Londra; in particolare fu scottante la questione sulla città di Fiume , che richiese con un plebiscito di
essere italiana. Tutto questo alimentò il mito della “vittoria mutilata” che venne sfruttato dalla propaganda nazionalista che:
➢ Criticava lo “spirito rinunciatario” del governo liberale, incapace di far valere i diritti della nazione.
La tensione portò alle dimissioni di Orlando; il nuovo governo Nitti però non seppe affrontare la situazione:
• Una commissione internazionale sancì che Fiume sarebbe rimasta per quindici anni sotto il controllo della Società delle nazioni.
➔ Questo fu sfruttato dai nazionalisti italiani per criticare amaramente il governo.
• Il clima divenne rovente quando a luglio scoppiarono gravi incidenti tra gli italiani e le truppe francesi a Fiume; una assemblea tra gli alleati questa volta
decise che si sarebbe dovuto diminuire il numero di militari italiani nella città.
➔ D'Annunzio sfruttò l'occasione, partì alla volta di Fiume e la dichiarò italiana. La città rimase sotto il controllo del poeta-soldato per più di un anno
grazie all'appoggio della popolazione e degli alti gradi dell'esercito.
Questa operazione violò i trattati di pace e delegittimò il governo di fronte agli occhi del paese e del mondo, incapace come era stato di affrontare coraggiosamente
la situazione. Nel mentre Fiume divenne il modello di riferimento della propaganda nazionalista.
La città venne liberata e posta in mano della Società delle nazioni solo nel '20 durante il governo Giolitti, che la fece sgomberare dall'esercito con la forza.
Il Partito popolare e il cattolicesimo democratico di Sturzo.
In questa situazione nacque il Partito Popolare Italiano (Ppi) fondato da Don Luigi Sturzo; nacque dopo l'abrogazione del Non expedit da parte di Benedetto XV,
che voleva si costruisse un partito di massa che desse voce al mondo cattolico moderato.
• Era interclassista, ma raccoglieva i maggiori consensi tra le classi dei lavoratori di basso e medio reddito, specialmente nelle zone poco industrializzate,
dove i movimenti cattolici e i parroci avevano la maggiore influenza; ebbe comunque molti consensi anche fra gli operai.
• Il programma deciso da Don Luigi Sturzo sanciva che:
➔ Sociale: si rispettava la proprietà privata, era necessaria una riforma agraria e tributaria che portasse maggiore giustizia e solidarietà sociale.
➔ Politica istituzionale: il potere sarebbe dovuto essere decentrato (non concentrato in poche mani) e gli enti locali più autonomi.
➔ Politica estera: erano sostenute le idee wilsoniane.
Dunque era una forza politica che raccoglieva esponenti con idee simili a quelle socialiste e dei sindacalisti, e altri con idee spiccatamente reazionarie . Questa
eterogeneità portò, dopo la fine del papato di Benedetto XV -che aveva organizzato le priorità ideologiche-, a una progressiva perdita di consensi e allo
scioglimento a opera del fascismo.
La vittoria dei partiti popolari.
Nel '19, in questo clima, si tennero le nuove elezioni, per la prima volta col sistema proporzionale; le forze liberali si trovarono molto in difficoltà:
• il fatto che si potessero eleggere anche più persone in seggio in base al numero di voti, anziché eleggere il solo che ne aveva guadagnato di più, mise in
pericolo la leadership liberale; prima infatti, i liberali -solitamente notabili locali- riuscivano a ottenere i voti grazie alla loro influenza nel posto.
• Prima ancora il suffragio universale maschile aveva fatto aumentare i favori del Psi e del Ppi, che avevano una base sociale molto più ampia.
Nelle elezioni del '19 così il partito liberale guidato da Giolitti ottenne ancora la maggioranza relativa, 251 seggi, che però erano sempre meno della somma di
quelli ottenuti dal Psi e dal Ppi, 257 seggi, che, alleandosi avrebbero messo in minoranza il governo; governare fu molto difficile.
La difficile ricerca di nuovi equilibri.
Vi fu dunque una trasformazione della geografia politica italiana; venne a mancare l'egemonia liberale e si affermarono altre due potenze, il Ppi e il Psi, che
rappresentavano gli interessi della classi subalterne.
➢ Era necessario però costituire un governo autorevole in grado di rispondere alla crisi, ma nessuna delle forze politiche poteva agire autonomamente e
non voleva nemmeno allearsi con una delle avversarie. Si era rotta la tradizione liberale e non se n'era costruita una nuova altrettanto solida.
Fu così che la fiducia venne data al liberale di sinistra Nitti, che però dovette dimettersi dopo pochi mesi. L'unico uomo che pareva capace di mettere insieme una
maggioranza forte, basata sull'alleanza tra borghesia e lavoratori (come a inizio secolo), sembrava essere Giolitti; il programma che propose però:
• Non venne accettato né dai socialisti, nei quali la corrente massimalista stava diventando sempre più forte, né da buona parte dei popolari.
La situazione divenne sempre più instabile e il conflitto sociale aumentò sempre di più, inoltre l'azione del fascismo si faceva sempre più pericolosa.
L'occupazione delle fabbriche: la rivoluzione alle porte?
La crisi sembrò portare alla rivoluzione nell'agosto del '20, quando gli operai occuparono la fabbrica dell'Alfa Romeo; nel giro di qualche giorno mezzo milione di
lavoratori occupò le gran parte delle imprese nel triangolo industriale. Fu il momento culminante dell'attacco operaio al sistema statale.
L'epicentro di queste dimostrazioni si ebbe a Torino, perché:
• Era la città con maggior concentrazione di operai in Italia.
• Era, inoltre, la base del gruppo ”Ordine Nuovo”; di matrice socialista -autonomo però al Psi-, vantava esponenti come Gramsci, Togliatti ecc. Si
ispiravano all'URSS e in seguito diedero vita al Partito Comunista Italiano. In questo periodo avevano grande presa tra i lavoratori torinesi.
La questione a questo punto era politica (in quanto sembrava portare alla rivoluzione), ma sin da subito il Psi decise di non assumere la guida di questo movimento
e la Cgl cercò di depotenziarlo. Questo perché:
➢ L'occupazione delle fabbriche era più “difensiva” che “offensiva”; voleva cioè rispondere con la forza ai provvedimenti che limitavano i diritti dei
lavoratori emanati in quel periodo; quindi non aveva un vero scopo rivoluzionario.
La crisi del compromesso giolittiano.
Giolitti, come tipico della sua politica, aveva fatto sancire un accordo tra le parti in contrasto; questo prevedeva aumenti salariali e la costituzione di un controllo
operaio nella gestione delle aziende. Non riuscì però a ricostruire la pace sociale:
➢ La borghesia agiata infatti era convinta che le pretese delle classi lavoratrici fossero la causa principale del disordine sociale e economico. Inoltre era
spaventata dal fatto che le occupazioni di fabbrica spesso avevano funzionato e si erano ispirate ai Soviet.
Fu così che gli industriali abbandonarono l'appoggio al riformismo di Giolitti e iniziarono a guardare con favore il sempre più forte movimento fascista.
“Dal biennio rosso al biennio nero”.
Mentre il liberalismo perdeva sempre più consensi, a causa delle polemiche tra massimalisti e riformisti, avvenne lo stesso al Psi. Nonostante nelle elezioni del '20
abbia ottenuto grande successo, si videro i primi segni di cedimento e il neo-formato “Blocco nazionale”, costituito da liberali conservatori, nazionalisti e fascisti,
ottenne risultati molto favorevoli. Contemporaneamente l'azione dei lavoratori perse importanza anche a causa di una nuova breve crisi economica.
➢ In questo scenario si ebbe la prima grande offensiva dello squadrismo fascista che attaccò, appoggiato dalle forze dell'ordine, il municipio di Bologna
(con amministrazione socialista) creando tumulti e scontri a fuoco. Lo stesso accadde in altre città. Si passò così dal Biennio rosso al Biennio nero.
L'avvento del fascismo
La crisi del 21: si trasforma lo scenario economico e sociale.
Fino al '20 l'espansione industriale dovuta alla guerra si è sostenne grazie all'inflazione, alle sovvenzioni pubbliche e all'intervento delle banche. Agli inizi del '21
però i più grandi colossi dell'industria siderurgica si trovarono sull'orlo del fallimento e con essi le grandi banche che li avevano finanziati:
• Un ulteriore intervento dello stato che li fece sopravvivere, ma ridimensionati.
• A causa di questo gli investimenti in tutti i settori diminuirono: l'inflazione frenò, ma aumentò la disoccupazione e, per questo, tanti lavoratori si dissero
disposti ad accettare condizioni contrattuali sempre meno favorevoli.
➔ Si era concluso il ciclo storico delle lotte operaie ; i lavoratori stavano riperdendo i diritti acquisiti e i borghesi stavano riprendendo i loro privilegi.
La fine del compromesso giolittiano e la nascita del Partito Fascista.
In questo quadro politico il fascismo si trasformò da movimento minoritario violento a partito politico in grado di risolvere la crisi con una svolta autoritaria, ormai
sempre più sperata dalla borghesia e dai ceti medi. Fu così che nel '21 venne fondato il Partito Nazionale Fascista, il quale:
• Abbandonò ogni idea di tipo populista o repubblicano e lo orientò in senso conservatore, ottenendo sempre più consensi tra borghesia e ceti medi.
• Abbandonò le idee anticlericali e antimonarchiche così da accattivarsi le simpatie degli ambienti cattolici e di quelli vicini alla corona e delle alte
gerarchie militari.
• Creò la Confederazione delle corporazioni sindacali allo scopo di penetrare nell'ambiente sindacale e ottenere i favori anche di parte dei lavoratori.
• Fondamentale rimase ancora l'uso della violenza contro il mondo operaio; venne così potenziata l'organizzazione delle squadre d'azione che
intensificarono le spedizioni punitive.
➔ Si diffusero in particolare nelle campagne; qua, i piccoli e medi agricoltori, che, indebitandosi, avevano ottenuto la terra comprandola dai
latifondisti, erano spaventati dalle rivendicazioni dei braccianti e finanziavano violente azioni contro il movimento lavorativo.
Gli errori di prospettiva di Giolitti e l'impasse del Partito Socialista.
Il fascismo a questo punto iniziò la sua vera scalata al potere per via di varie circostanze ed errori di valutazione:
• I liberali non si opposero alle azioni fasciste, anzi, Giolitti favorì la formazione del “Blocco nazionale”. Si sperava di poter sfruttare le squadracce per
sconfiggere il movimento operaio, per poi reprimerle a loro volta.
• Il movimento dei lavoratori sottovalutò per lungo tempo la situazione; solo nel '22 venne creata l' “ Alleanza del lavoro” per combattere la violenza
fascista; questa organizzò uno “sciopero legalitario”, e, anche se vi fu un'adesione di massa, le azioni squadriste continuarono incontrastate.
• I socialisti non furono capaci di organizzare il movimento di tutte le masse operaie per opporsi alla ribalta del fascismo. Essi erano troppo impegnati
nel dibattito tra riformisti e massimalisti; inoltre, questi ultimi, ormai maggioritari, non volendo dialogare con nessuna forza moderata, impedirono la
formazione di una vasta alleanza antifascista.
• La proposta dei liberali e socialisti riformisti di un programma che mettesse d'accordo le richieste dei lavoratori e delle classi agiate, arrivò troppo tardi.
Le spaccature del movimento socialista.
La presa di posizione dei riformisti portò ad una crisi nel Psi, infatti venne espulsa la corrente riformista, che, uscita, si organizzo nel Partito Socialista Unitario
capitanato da Giacomo Matteotti. La Cgl, capeggiata dalla corrente riformista, allo stesso modo ruppe l'alleanza col Psi, divenendo autonoma. Erano gli ultimi atti
di un indebolimento del partito iniziato già quando nel '21 si era staccata una minoranza che aveva dato vita al Partito Comunista d'Italia.
Ormai frammentato e isolato il Psi non seppe resistere all'urto decisivo contro il fascismo; in tutta Italia le squadracce attaccarono e devastarono le organizzazioni
dei lavoratori senza alcuna resistenza delle forze dell'ordine.
La debolezza dei governi liberali.
Dopo la formazione del Pnf, che sarebbe servito per svolgere una politica di più ampio respiro, questo, in parlamento, si era mosso per ottenere le simpatie delle
classi dirigenti. A questo punto Mussolini aveva capito che la crisi liberale aveva raggiunto il suo apice e lo stato non aveva più il controllo dell'ordine pubblico;
era chiaro che i tempi erano maturi per portare avanti l'azione insurrezionale decisiva:
➢ I governi, che si susseguivano con maggioranze sempre più risicate, e il parlamento erano sempre più deboli. Inoltre l'ala moderata guardava con sempre
più favore l'appoggio ad un uomo che mettesse ordine nel caos italiano, Benito Mussolini.
La marcia su Roma: l'Italia verso la dittatura.
Nell'ottobre del '22 venne organizzato il piano per l'azione decisiva. Il 28 ottobre del '22 colonne di migliaia di fascisti in armi confluirono a Roma e occuparono
militarmente città e paesi dell'Italia centro-settentrionale.
➢ Il re si rifiutò di firmare il decreto per sancire lo stato d'assedio (con il quale avrebbe potuto intervenire l'esercito) e anzi, diede a Mussolini l'incarico di
formare il nuovo governo.
Il disegno liberale di controllare le Squadracce era ormai fallito; il fascismo, con l'appoggio del re e della borghesia agiata, con il favore della chiesa, era ormai
padrone della situazione; la svolta autoritaria impressa si trasformò presto in una dittatura.

Mattia Lai; AS 2010/2011

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