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Raniero Gnoli, Ricordo di Giuseppe Tucci

(Roma, Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente, 1985, pp. 7-42)

Conobbi Giuseppe Tucci nel 1948, appena lasciai il Liceo. Scendeva dal tram, dalla parte di viale Regina Margherita (abitava allora a piazza Vescovio), e savvicinava a passo spedito verso la Facolt di Lettere, dove teneva lezione, sovente con libri e lunghi manoscritti tibetani sotto il braccio, svolazzanti. Lo ricordo ancora distintamente, coi capelli castani un po arruffati, la grande fronte tagliata da rughe profonde, gli occhi trasparentissimi e quasi fanciulleschi. Lanno successivo, appena in grado di seguirlo, cominciai ad ascoltare le sue lezioni. Leggevamo (sera, come sempre, pochissimi) testi in sanscrito, perloppi di logica o di religione, e ascoltavamo, una volta la settimana, la sua lezione generale sulle filosofie e religioni dellIndia e dellEstremo Oriente, la quale, ovviamente, era assai pi frequentata. Ma non di me e dei miei ricordi personali debbo qui parlare, quanto (ma chi legge, confido, mi perdoner se verr meno talvolta al mio assunto) di lui in se stesso, cercando anzi di rintuzzare il sentimento daffetto che ebbi per lui, perch non i sentimenti e gli affetti egli qui mi direbbe son quel che pi conta, ma solo lopera compiuta, solo questa sopravvivenza, nella sua fecondit infinita, alla fugacit delluomo ed alla fama e memoria stessa, che, come dice il Petrarca, morir secondo. Le azioni (cos in una stanza// [p. 8] buddhistica ripetuta infinite volte) le azioni non si estinguono neanche in centinaia di evi cosmici, ma, giunti il momento e le condizioni opportune, fruttificano per i viventi. * Giuseppe Tucci nacque a Macerata il 5 Giugno 1894, da famiglia originaria delle Puglie. Nonostante poco pi che dodicenne avesse cominciato ad accasarsi nel sanscrito e nellebraico e, poco pi tardi, nelliranico, i primi suoi lavori riguardano il mondo romano. Negli Atti e Memorie della Regia Deputazione di Storia Patria delle Marche videro la luce, nel 1911 (era dunque appena diciassettenne) le sue Ricerche sul nome personale romano nel Piceno e, allo stesso tempo, nelle Rmische Mitteilungen dellIstituto Archeologico Germanico di Roma, un saggio in latino su iscrizioni maceratesi da poco scoperte e non ancora pubblicate. Il suo umanesimo non fu, in effetto, confinato alle culture dellOriente ed egli non cess mai di interessarsi al mondo classico, alla cultura ed alla lingua della Grecia e di Roma, non in contrapposizione

collOriente, ma come parte essenziale di quella cultura e tradizione o, meglio, humanitas, fondamentalmente unica, che, per lui, permeava di s lAsia e lEuropa. Questidea di una koin culturale estendentesi dai paesi affacciati sullOceano Atlantico fino a quelli lambiti dal mar// (p. 9) della Cina lo accompagn per tutta la vita, tanto che, poco prima di morire, ancora insisteva coi suoi colleghi italiani e stranieri, sulla necessit ed importanza di una concezione che non vedesse pi Oriente ed Occidente contrapposti lun laltro, ma come due realt complementari ed inseparabili. LEuropa ed i suoi storici (scriveva nel 1977) hanno commesso un grande errore, considerando lAsia e lEuropa come due continenti distinti, mentre in realt si deve parlare di un unico continente, lEurasiatico: cos congiunto nelle sue parti che non avvenimento di rilievo nelluna che non abbia avuto il suo riflesso nellaltra. Queste (cos egli ancora, parlando dei paesi del continente asiatico) le sole terre dove per misterioso privilegio o mirabile accadimento del caso, luomo elev le architetture pi solenni del pensiero, le fantasie pi nobili dellarte, il lento tessuto della scienza, quei tesori di cui oggi lumanit tutta partecipa, arricchendoli o corrompendoli. Non i patteggiamenti e le volubili alleanze della politica, non il progresso e la diffusione della scienza positiva e della tecnologia, ma solo la consapevolezza sempre pi profonda di questhumanitas comune era, per Giuseppe Tucci, lunico strumento che potesse realmente affratellare ed unire i popoli. Questa consapevolezza, a sua volta, non pu prodursi senza la conoscenza conoscenza della storia, dellarte, della religione, della cultura in genere , conoscenza che mai si appaga e che nella ricerca dogni documento pur tenue lasciato dalluomo trova sempre nuovo alimento alla sua fiamma. In questo senso egli trasponeva su di un piano di// (p. 10) concreta comprensione ed unificazione fra i popoli quanto avevano pi metafisicamente gi intuito i neoplatonici, che cio la conoscenza ci appunto data come raddrizzamento e quasi consolazione della scissione. La conoscenza pu insomma solo unire, e, come tale, costituiva per lui una vera e propria purificazione etica ed il principale dovere delluomo. Il suo interesse per la lingua e cultura della Grecia e di Roma (e non mancava, si pu dire, giorno, che non leggesse di latino o di greco) devessere visto alla luce di questa concezione e non come un ossequio a certa tradizione scolastica e retorica nostrana e tedesca. Non a caso tra gli autori latini che meno sentiva congeniali proprio, credo perch, per lui, segnacolo di una ormai ripetitiva e stantia tradizione filologica di cui aveva personalmente sofferto erano Cicerone e pi di tutti Quintiliano, cui stranamente associava (ma, credo, pi per gusto di paradosso, sempre in lui vivissimo, che altro) anche Virgilio. Di S. Tomaso,

la cui Summa lesse e rilesse quando ancora al Ginnasio e al Liceo, si riconobbe debitore fino allultimo: Quel S. Tomaso (cos poco prima di morire) che mai mi abbandon e cui debbo, se ne ho ancora un poco, la chiarezza e solidit logica del pensare. Nella letteratura italiana i suoi gusti andavano ai trecentisti, al Cavalca, al Passavanti, alla Leggenda Aurea. A Dante preferiva decisamente il Petrarca. Di Leopardi e Daniello Bartoli era ammiratore e stimatore grandissimo. Sia come sia, linteresse per lOriente prevalse e a poco a poco (cos egli stesso ci dice) mi addentrai nel// (p. 11) labirinto dellorientalogia, fascinoso e per me luminosissimo, perch via via che prendevo maggiore dimestichezza con i libri e le veggenze dellAsia, cominciavo a scorgere nuove soluzioni ai dubbi che mi tormentavano. E poi le sottigliezze filosofiche dellIndia e della Cina, le strutture logiche di certi sistemi, quelle mitologie frammiste di bagliori e di terrori, corpose e metafisiche insieme, mi attraevano, come apparizioni di un mondo che sembrava a prima vista molto distante dal nostro, ma che, leggendo bene i simboli in cui si esprimeva, si rivelava vicinissimo, di una prossimit spirituale ed umana. E poi vi ritrovavo pi vita che in quellarido e stuccoso filologismo nel quale larcheologia, quando frequentavo luniversit, mi sembrava prigioniera, cos perduta nei particolari, che qualche volta erano addirittura quisquilie, mentre mero imaginato che essa dovesse fornire i mezzi alla fantasia per risuscitare, sia pure per barlumi, la vita delle cose e degli uomini dei tempi passati. E perci abbandonai larcheologia e passai, colmo di speranze che non sono tornate vane, allOriente. Lo studio delle lingue orientali il cinese e pi ancora il sanscrito che egli pure coltiv con straordinario acume filologico, non fu per lui mai fine a se stesso, ma sempre ordinato allapprofondimento delle concezioni religiose, del pensiero e delle filosofie di quei popoli. Delle opere in sanscrito specialmente, che domin alla perfezione e di cui divenne maestro insuperabile, quelle di cui maggiormente sinteress non furono, in generale, quelle specificatamente letterarie, come, per esempio, la poesia darte e la drammaturgia,// (p. 12) ma piuttosto quelle filosofiche e religiose. Questa sua predilezione non gli fece tuttavia trascurare la lettura e lo studio anche se, come scherzosamente diceva per penitenza dei principali kvya della letteratura sanscrita, la cui conoscenza riteneva giustamente indispensabile per intendere la cultura, il gusto, larte e la storia stessa dellIndia. Lo studio assiduo del sanscrito non fu da lui intermesso neppure quando fu chiamato alle armi nella guerra del 15-18 e dovette recarsi al fronte. In trincea mi raccontava leggeva ed annotava la Rjataragin di Kalhana nelledizione dello Stein, di cui ricordo ancora le pagine tormentate e consunte. Finita la guerra, si laure in let-

tere presso lUniversit di Roma nel 1919. Giuseppe Tucci fu essenzialmente un autodidatta, n dellUniversit italiana di allora ebbe ricordi gran che positivi. Debbo subito dire cos egli che sin dal primo ingresso nellUniversit, questa mapparve penosa e moritura sopravvivenza di consuetudini dinsegnamento infiacchito e sorpassato [...] LUniversit che io, pi autodidatta che scolaro, uscito fresco fresco dal liceo e fiducioso di trovare in quella luce ed ispirazione, mi trovai a frequentare, si trascinava sugli schemi delle universit tedesche del 1870; troppo cammino avevano percorso da quegli anni luomo e la scienza perch non se ne risentissero le conseguenze. Morto era quel mutuo vincolo che determina fra maestro e discepolo una consanguineit inventiva e concreta; al modo che i maestri indiani espressero nel principio govatsanyya; cio un rapporto vitale, scambio prodigioso di idee e di affetti. E difatti, se mi// (p. 13) permettete di continuare nei ricordi, quando cominciai a seguire i corsi universitari, mi trovai quasi sopraffatto da accademiche dissertazioni, in minoribus, da uno squallido ingombro di nozioni inutili. Spenti erano lardore o la corrispondenza che infiammano i giovani; leggendo gli autori, classici ed orientali che fossero, pi che mettere in luce, con partecipazione vivace, il bello ed il brutto, il caduco e il durevole, ci si perdeva in un cincischiamento tedioso, in una elencazione compiacente e minuziosa delle opinioni altrui, tutte cose peregrine che ciascuno, volendo, avrebbe potuto da se medesimo ritrovare nei libri e consentirne o dubitarne; e cos la valutazione critica o laccostamento caldo si irrigidivano in quelle angustie. Ma tant. In quello stesso torno di tempo, Giuseppe Tucci, insieme col sanscrito, coltiv lo studio dellantico iranico e del cinese. I suoi primi lavori orientalistici, come, per esempio, Osservazioni sul Fargard II del Vendidad e il Tao e il Wu-wei di Lao-tzu, concernono appunto queste culture. Seguirono, a questi lavori minori, finita la guerra, la sua Storia della Filosofia Cinese Antica, pubblicata a Bologna nel 1922 e subito dopo, nel 1923, le Linee di una storia del materialismo indiano, pubblicato dallAccademia Nazionale dei Lincei. Gi fin dal XIX secolo era invalsa in Occidente lidea di guardare allIndia come a un paese di sognatori e di asceti che, in preda ai loro mistici entusiasmi, hanno rinnegato il mondo e la vita. Quanto Tucci si propose di dimostrare in questopera appunto la parzialit e falsit di questa concezione, applicata ad un paese// (p. 14) della pi tremenda complessit, dove certamente non si svilupparono solo certe forme di monismo idealistico, buddhistico o vedantico che sia, ma anche le cosmologie realistiche del Skhya e del Vaieika, la logica del Nyya, la spregiudicata scienza politica di Kauilya, ed appunto le cosiddette tendenze e scuole materia-

listiche, talune delle quali seppero liberarsi da un pratico edonismo senza pretese speculative, per assurgere a dignit filosofica. Giuseppe Tucci (mi sia permesso qui questinciso) non fu un sognatore, quanto un apprezzatore ed estimatore del sogno, in contrapposizione alla pratica realt delle cose, di cui fu sempre assertore e, nel suo campo, spesso protagonista attento ed avveduto. Il sogno si identificava, in lui, con il passato perch (diceva) il passato lo figuro a mio piacimento, bene o male non me ne importa nulla: toglietemi questo fantasticare ed io sono uomo morto. Come nel Buddhismo di Ngrjuna, in cui egli meritamente riconosceva uno dei pi grandi pensatori dellAsia, la realt vera non pu affermarsi senza quella provvisoria e relativa in cui ci muoviamo, senza insomma, lerrore, cos accadeva per lui, del sogno: perch vivesse, per alimentarlo di continuo, occorreva, paradossalmente, ben essere attenti ai segni transeunti del prammatico divenire delle cose, ai faticosi e sempre rinascenti errori delluomo. Ma il sogno, il fantasticare anche un gioco (non luniverso, per gli Indiani, il divino gioco del Dio?) e di questo carattere lusorio delle cose e della cultura in particolare, Giuseppe Tucci fu consapevolissimo: soltanto che bisogna giocar bene, con quanta pi seriet ed inno-// (p. 15) cenza possiamo. Se le sue lezioni, se la sua conversazione non era mai pesante, ma sempre vivace e leggera, anche quando affrontava argomenti e problemi gravi e difficili, si doveva, credo, proprio a questo, che lidea soggiacente del sogno e del gioco gli alleggeriva ed accendeva, col facile paradosso e la prontezza della battuta, la parola e lo sguardo. Certe sue incongruenze, certi bruschi passaggi, talune apparenti contraddizioni (la dichiarata diffidenza ed antipatia verso ogni sorta di macchina mai gli imped, per esempio, di approfittare largamente dei mezzi pi sofisticati della tecnologia moderna) potrebbero forse trovare, alla luce della concezione nagarjuniana delle due verit, pronta soluzione; ma subito ci sovviene il pensiero che questo sarebbe troppo facile ed anche indiscreto, perch in realt n possiamo n dobbiamo penetrare nei segreti del cuore, ma solo e silenziosamente rispettarli. * Linteresse per lIndia (e quando parlo di India, parlo di tutto il subcontinente) e, in particolar modo, per il Buddhismo, tuttavia prevalsero su quelli strettamente sinologici e ben cinque anni, dal 1925 al 1930, furono da Giuseppe Tucci trascorsi in India, insegnando italiano, cinese e tibetano nelle universit di Shantiniketan e di Calcutta. Furono questi, forse, gli anni pi importanti e germinalmente fecondi di tutta la sua vi-

ta,// (p. 16) durante i quali le sue propensioni spirituali e culturali si precisarono sempre di pi, orientandosi verso lo studio e la comprensione dei grandi problemi della filosofia dellIndia e soprattutto del Buddhismo, la religione colla quale lumanesimo indiano, varcando assai per tempo le barriere dellImalaja o percorrendo i mari dellInsulindia, ha diffuso, dallIran allOceano Pacifico, certe intuizioni e ispirazioni o costruzioni logiche al cui influsso lesperienza dei popoli tra cui esso giunse, anche di quelli pi ricchi di cultura, non ha potuto sottrarsi. Lo studio del Buddhismo quello, sintende impregnato dei concetti complementari della vacuit e della piet di kyamuni e poi di Ngrjuna non rappresent, per Giuseppe Tucci, solo una curiosit intellettuale ma corrispose ad una profonda esigenza dello spirito suo, per cui egli amava dichiararsi buddhista; e Ananda, appunto, che in sanscrito significa gioia, ma che fu pure il nome del discepolo prediletto del Buddha, volle che si chiamasse il suo unico figlio. Risalgono a questi anni alcune delle opere pi rilevanti sul Buddhismo, quali appunto il Buddhismo (1926), i Pre-Dinga Buddhist Texts on Logic from Chinese sources (1929), la Doctrines of Maitreya and Asaga (1930). N il suo incontro con lIndia, durante questi anni, fu ristretto allo studio del Buddhismo, ma egli lesse con dotti e pandit Indiani i pi grandi testi dellInduismo, partecip di persona alle intricate cerimonie del tantrismo bengali, entr, a Calcutta ed altrove, nel vivo della cultura indiana contemporanea, stringendo durature amicizie con uomini di pensiero e di religione, incon-// (p. 17) trandosi ripetutamente con Rabindranath Tagore (che sempre consider suo maestro) con Gandhi, con Radhakrishnan, con Iqbal. Ma il Buddhismo disparve ben presto dallIndia e le opere delle varie scuole in cui si rifranse e moltiplic la parola del Buddha, dimenticate nella loro terra di origine, furono amorosamente raccolte, tradotte e commentate dai devoti cinesi in un primo tempo e dai tibetani per ultimo. Il desiderio di ripercorrere il cammino dei dotti tibetani ed indiani, che diffusero nel paese delle Nevi le dottrine, i filosofemi, le fantasie del Buddhismo indiano, di seguirne le trasformazioni nel tempo, di studiarne le varie espressioni religiose ed artistiche, di visitare luoghi ancora mal conosciuti o sconosciuti del tutto, si fece, nella mente di Giuseppe Tucci, sempre pi intenso: risale cos al 1929 la prima delle sue otto memorabili spedizioni nel Tibet. Nellultima di esse, nel 1948, pot recarsi a Lhasa, a Samye e a Yarlung. Limportanza scientifica di queste spedizioni stata straordinaria, sia in riferimento allultima fase del Buddhismo indiano, sia per la conoscenza della cultura e dellarte tibetana in se stesse. I risultati dei primi sette di questi viaggi lunghi e faticosi per migliaia e migliaia di chilometri percorsi a piedi e a cavallo, in una delle regioni

pi impervie del mondo, sono stati illustrati nei sette volumi di IndoTibetica (dal 1932 al 1941), editi dallAccademia dItalia, nei quali sono discussi molteplici aspetti della cultura tibetana, con speciale riferimento al Buddhismo. Di moltissimi monumenti, pitture murali, bronzi, sculture lignee e via dicendo, le fotogra-// (p. 18) fie di Giuseppe Tucci (e sono migliaia e migliaia, molte edite appunto nei detti volumi e moltissime ancora inedite) sono ormai lunico ed irripetibile documento. Moltissimi furono anche i manoscritti sanscriti (ormai non pi letti dai Tibetani ma gelosamente custoditi come reliquie) che egli pot raccogliere o fotografare nei vari monasteri da lui visitati. Se taluni di essi furono da lui stesso pi tardi raccolti e pubblicati (vedi, per esempio, i tre volumi di Minor Buddhist Texts) o anche affidati a discepoli suoi, come, per es., il Pramavrttikam di Dharmakrti, che io pubblicai, molti son quelli che ancora attendono di essere editi e studiati. Queste otto spedizioni, e, inaccessibile ormai il Tibet per le note vicende politiche, altre sei nel Nepal, dal 1950 al 1954, hanno fatto, di Giuseppe Tucci, forse lultimo dei grandi esploratori del mondo moderno e, per universale consenso, il pi grande tibetologo di tutti i tempi. Il Tibet (cos egli nel 1978) stato per molti anni il pi grande amore della mia vita, e lo tuttora, tanto pi caldo quanto pi sembra difficile soddisfarlo. In otto viaggi, ne ho percorso gran parte in lungo ed in largo. Ho vissuto nei villaggi e nei monasteri, mi sono genuflesso dinanzi a maestri ed immagini sacre, ho valicato insieme con i carovanieri monti e traversato deserti, vasti come il mare, ho discusso problemi di religione con monaci sapienti. Ed ancora: Diciottomila chilometri percorsi a piedi in una delle contrade pi fascinose del mondo dove luomo, umiliato dalla immensit e dal silenzio, in ogni luogo imagina o sospetta presenze divine invisibili ma certe; e circa otto anni passati in// (p. 19) tenda, senza tener conto delle molte settimane alladdiaccio nella pianura dellIndia, nei lenti pellegrinaggi ai luoghi santi della tradizione religiosa, il vagabondaggio nella calura tropicale seguendo il serpeggiare sinuoso degli argini delle risaie: e, quando laria era troppo cocente, le peregrinazioni notturne al chiaro di luna e la sosta diurna sotto lombra degli alberi di mango, in quellorizzontalit assoluta della terra indiana, levigata come un mare pietrificato, in un combaciamento liscio e perfetto della terra e del cielo. Buddhista nel senso che credeva fermamente a una diversa dimensione della realt, che le nostre parole e pensieri non possono toccare, ateo (ma nel senso buddhistico della parola) e profondamente religioso allo stesso tempo, rispettosissimo di ogni forma di religione, perch convinto che l dove altri per secoli hanno pregato, conviene che noi pure

preghiamo, questi viaggi costituivano per lui non solo una ricerca di cultura, ma una purificazione spirituale, che forse, pi che dalle persone e dagli incontri, spesso straordinari, gli veniva appunto da quei paesaggi sconfinati, da quelle solitudini altissime, dove tutto, proprio come nelle concezioni buddhistiche, sembra ad un certo punto trasformarsi e sistemarsi in una diversa ragione prospettica. La cima del Kailsa (scriveva nel 1937) manda bagliori infuocati, spezzando lassalto delle nubi temporalesche. Su questa terra desolata abbiamo il senso pieno della solitudine: in questi silenzi luomo sembra confondersi con le forze cosmiche; scompare in lui il demiurgo: lo abbandona il demone che lo sospinge ad inseguire le sue tragiche// (p. 20) fantasie e i suoi sogni ardimentosi. Lo riafferra il senso dellunit elementare delle cose; germoglio espresso dalla terra, egli si spersonifica identificandosi colla versiforme energia fluente nel tutto. Le peregrinazioni himalayane (cos Corrado Pensa) si svolgevano, per Giuseppe Tucci, come su due piani: il primo quello dei sogni ardimentosi, ossia della ricerca di documenti nuovi e della perlustrazione, spesso difficile e rischiosa, di luoghi significativi; mentre il secondo piano rappresentato dalle eclissi brevi e improvvise dei sogni ardimentosi, non gi per disinteresse, bens a causa del sopravvento repentino di un interesse pi grande, pi oscuro, pi unificante. E quanto noioso e difficile (mi confidava) era poi il ritorno da questi viaggi, duplici veramente, il doversi di nuovo adeguare alle esigenze della vita consociata, nella quale, nellinteresse sempre degli studi e dei discepoli suoi, era pure operosissimo ed avveduto. I volumi di Indo-Tibetica e gli altri lavori scientifici non sono lunico documento di queste spedizioni. La storia, le avventure, i risultati dei suoi viaggi furono da lui ripetutamente descritti in opere di pi larga diffusione culturale, ampiamente conosciute in Italia e fuori. Mi basti qui ricordare Santi e Briganti nel Tibet Ignoto (1937), A Lhasa e oltre (1950), Tra Giungle e Pagode (1953), Nepal. Alla scoperta dei Malla (1960), La Via dello Svat (1963). Questi libri, destinati a pi vasta udienza, sono quelli forse dove meglio traspariscono le sue idealit, i suoi pensieri, i suoi convincimenti personali, dove i vari e contemperati aspetti dello studioso,// (p. 21) dellesploratore e delluomo religioso ed attento a tutti i movimenti dello spirito spiccano con maggiore risalto. * Giuseppe Tucci torn in Italia nel 1930; nel 1929, mentre ancora in India, fu chiamato a far parte dellAccademia dItalia; nel 1931 insegn cinese allIstituto Universitario Orientale di Napoli e, poco dopo, ebbe la

cattedra di Religioni e Filosofia dellIndia e dellEstremo Oriente allUniversit di Roma che ricopr per pi di trentanni, quando, per limiti di et, nel 1964 fu collocato fuori ruolo. Giuseppe Tucci, come abbiamo gi visto, non ebbe mai soverchia fiducia nellUniversit, che considerava genericamente come un malconnesso rottame di tradizioni ottocentesche. E non era allora lUniversit di oggi! Nella sua mente si fece cos strada lidea di creare unistituzione pi agile e scientificamente attrezzata nella quale potessero confluire ed organizzarsi i vari interessi ed attivit italiani, diretti verso lOriente Medio ed Estremo, che potesse promuovere, senza tante remore e lungaggini burocratiche, la ricerca orientalistica, in tutti i suoi differenti aspetti, archeologico, filologico, storico. Nel 1933 nacque cos, per sua spinta ed istigazione, lIstituto per il Medio ed Estremo Oriente, di cui fu presidente fino alla morte Giovanni Gentile, e, dal 1947 fino al 1978 Giuseppe Tucci stesso. QuestIsti-// (p. 22) tuto, cui egli si dedic con unenergia ed un dinamismo eccezionali, divenne sotto la sua guida, dagli anni 50 in poi, il centro di ricerca orientalistica pi importante dItalia ed uno dei pi conosciuti anche internazionalmente, non solo per la sua attivit in Oriente basti qui ricordare le ricerche e scavi archeologici in Pakistan, in Afghanistan, in Iran ed il centro restauri operoso in Iran ed altrove ma anche per la biblioteca in esso ospitata, che gi ingente nel 1950, fu da allora in poi costantemente accresciuta. AllIsMEO Giuseppe Tucci don, nel 1959, anche la sua vastissima biblioteca personale oltre ventimila volumi e nellIsMEO volle che fossero raccolti tutti i suoi manoscritti ed opere a stampa tibetani, i quali costituiscono il pi ricco fondo europeo, e, forse, in senso assoluto, di opere del genere. Sempre nellIsMEO inoltre custodito larchivio documentario e fotografico delle sue spedizioni in Tibet ed in Nepal, di grandissima importanza storica ed artistica, tanto pi se si pensa che moltissimi monumenti ed oggetti che egli pot allora vedere e fotografare, non sono ora pi esistenti, non tanto, forse, per ingiuria delluomo quanto del tempo. Sua creazione, nellambito dellIsMEO, fu inoltre, nel 1950, la Serie Orientale Roma, che, iniziata, appunto nel 50, colla sua opera The Tombs of the Tibetan Kings, raccoglie, nei suoi pi che cinquanta volumi, edizioni di testi indiani, tibetani e cinesi, saggi di storia, darte e di letteratura, per opera di studiosi italiani e stranieri. In questo stesso torno di tempo videro la luce il primo volume di una nuova collana da lui progettata,// (p. 23) destinata a raccogliere gli scritti e i documenti degli antichi viaggiatori italiani in Oriente, e il suo libro di saggi Italia e Oriente. Della sua italianit e della lingua italiana (cui pure, nella maggior parte delle sue opere scientifiche, rinunci, dal 48 in

poi, preferendole linglese) Giuseppe Tucci and sempre fierissimo, mettendo ripetutamente in luce, in libri ed articoli, leccezionale contributo dellItalia alla conoscenza che lEuropa ha lentamente acquistata dellAsia e, di converso, le tracce della cultura e dellarte italiana in Oriente. A differenza, infatti, di quanto accadde in altri paesi, i viaggiatori italiani furono generalmente mossi da disinteressata curiosit di cultura o di scienza (o, se missionari, da sollecitudine religiosa), solo raramente da esigenze mercantili, mai da mire di espansione politica. Il senso di rispetto e dossequio, quasi, direi, di stupore, che egli sempre prov per questi pionieri dellorientalismo, diffusori spesso intelligenti e pazienti delle idealit, dellarte e della scienza occidentali, in paesi talvolta ostili, comunque mai facili, spesso tra fatiche e stenti inenarrabili (che egli, esploratore a sua volta, poteva pi dogni altro apprezzare) si concret cos, nel 1950, nella fondazione della collana da lui chiamata Il Nuovo Ramusio, pubblicata dalla Libreria dello Stato. In essa Giuseppe Tucci si propose, come ho dianzi accennato, di raccogliere ogni sorta di testi editi o inediti di viaggiatori italiani in Oriente; e tredici sono cos i volumi finora apparsi, comprendenti lettere, documenti e relazioni di viaggiatori e missionari italiani in Asia: altri volumi sono in corso di preparazione.// (p. 24) N Giuseppe Tucci diede vita soltanto allIsMEO. LItalia (egli deplorava) mancava di un Museo specificatamente dedicato allOriente, e, dopo gli anni 50, si adoper attivamente perch questo vuoto fosse colmato. I suoi sforzi ebbero infine successo, e, nel 1957, fu fondato in Roma il Museo Nazionale dArte Orientale, che, costantemente arricchito, ospita, oltre a collezioni sue proprie, anche i pezzi e le raccolte di propriet dellIsMEO. Specialmente rilevanti sono, tra questi, i moltissimi pezzi dellarte greco-buddhistica del Gandhara, provenienti dagli scavi nello Swat. Ma non anticipiamo i tempi. Durante e subito dopo la guerra, divenuto impossibile, per forza di cose, uscir fuori dItalia e, per breve tempo, anche linsegnamento, perch, nel 1944, stupidamente epurato, Giuseppe Tucci attese a quella che lopera pi importante ed esauriente fino ad oggi scritta sul Tibet, Tibetan Painted Scrolls, dove, prendendo lavvio da una raccolta di pitture devozionali tibetane, traccia un quadro magistrale della cultura, della religione, dellarte e della storia del Tibet. I tre volumi di Tibetan Painted Scrolls furono splendidamente pubblicati dallIstituto Poligrafico dello Stato nel 1949. Ma gli studi indologici di Giuseppe Tucci non concernono solo il Buddhismo e notevolissimi furono i suoi contributi ad una pi precisa conoscenza di altre religioni e modi di concepire la vita dellIndia, della

Cina, del Giappone. A trentacinque anni di distanza dalla sua Storia della Filosofia Cinese Antica apparve cos, nel 1957, la Storia della Filosofia Indiana, dove// (p. 25) condensa e riassume, divisa per argomenti piuttosto che per scuole, limmensa letteratura filosofica dellIndia, dai primi albeggiamenti delle Upaniad allo scolastico tramonto della Nuova Logica. Sterminate furono, in effetto, le letture di Giuseppe Tucci a proposito di ogni scuola o corrente filosofica dellIndia, dal Nyya pi antico e recente ai vari aspetti, monistici o non, del Vednta, dalle correnti devozionali Viuite e Scivaite alle antiche scuole del materialismo indiano, tanto che, si pu dire, non corrente di pensiero dellIndia di cui non abbia letto e meditato, sui testi originali in sanscrito, le argomentazioni e dottrine. Lampiezza delle sue letture testimoniata (chi abbia la pazienza di sfogliare i volumi della sua biblioteca, ora allIsMEO) dagli infiniti richiami ed annotazioni a penna o a matita con cui chiosava i suoi libri, raccogliendoli spesso in calce al volume. Questa, per Giuseppe Tucci, uomo di prodigiosa memoria, rest sempre lunica forma di schedatura o, per dir meglio, di richiamo mnemonico, ch per indole e ragionata impazienza rifugg sempre dallidea di uno schedario o catalogo, quasi che (mi diceva) in quella indifferente, meccanica, stampata esattezza si celasse lopera del Maligno, che tutto vuol facile, uguale e ripetibile. Grandissimo interesse ebbe Giuseppe Tucci per le scuole scivaite dal Siddhnta ai Vraaiva, dai Kplika alla grande sintesi kashmira di Utpaladeva e di Abhinavagupta il cui studio considerava indispensabile anche per ben intendere gli ultimi lampeggiamenti del Buddhismo indiano (ricordiamo, per esempio, lin-// (p. 26) segnamento dei Siddha) che con essa ha tanti punti di contatto. Negli anni 1947-48 poco prima, dunque, che io lo conoscessi lo troviamo cos impegnato, nei suoi corsi universitari, nella lettura ed illustrazione di una delle pi difficili opere di Abhinavagupta, il Tantrasra (che gi aveva letto, mi raccontava, insieme col rajguru del re del Nepal, il dottissimo Hemaarm), e, degli appunti di quelle lezioni mi ricordo che poi grandemente mi giovai, quando per la tesi di laurea, intrapresi la traduzione di quellopera. A questo torno di tempo risale il suo volume Teoria e Pratica del Mandala con speciale riguardo alla psicologia del profondo, dovegli cerc di dare uninterpretazione, giovandosi anche delle moderne concezioni junghiane, della struttura mandalica, supporto, non solo in India o in Tibet ma anche altrove, del misterioso itinerario dellanima verso il centro. Per le intuizioni di Jung e specialmente per la sua concezione di inconscio collettivo, che tanto ricorda llayavijna o coscienza deposito dei Buddhisti, Giuseppe Tucci mostr sempre vivo interesse e ripetuta-

mente ne parl e scrisse. Nella concezione junghiana degli archetipi universali egli vide sempre una valida medicina contro certe forme di relativismo culturale e religioso, che mai condivise. * Ma Giuseppe Tucci non fu solo attratto dalla speculazione filosofica e religiosa, e ben comprese come essa, perch ci trasmetta il suo vero messaggio, non pu// (p. 27) prescindere dalla speciale situazione storica in cui apparve e si afferm. Ma lIndia, a differenza dellOccidente, specialmente avara di documenti storici e di qui la necessit, in tanto dignitoso tacere, di accedere a fonti specificatamente non letterarie siano esse iscrizioni, monumenti darte o documenti archeologici nel senso pi vasto del termine di far parlare insomma ogni segno pur lieve della presenza delluomo sulla terra, ogni traccia faticosa da lui lasciata nellincessante rivolgersi e trasmutare degli evi. Giuseppe Tucci divent cos archeologo (o, anzi, ridivent, se teniamo conto dei suoi primissimi studi), o meglio formatore ed organizzatore di archeologi, e nacquero, per opera sua, le missioni e scavi dellIsMEO in Pakistan, Afghanistan, Iran. Da pochi anni (cos egli), concluse le esplorazioni tibetane e nepalesi, eccomi tornato, per necessit di ricerca, allarcheologia, non per farne io stesso, ma perch gli studiosi espertissimi che lavorano con me possano accortamente mettere in luce i monumenti o i documenti o, comunque, le voci capaci di colmare i tremendi vuoti storici che esistono in molte parti dellAsia. Il Nepal, che visit ripetutamente anche negli anni della sua permanenza in India quando, sotto il regime dei Rana, era, salvo rarissime eccezioni, chiuso agli stranieri, fu anzi il paese cui si appuntarono, per primo, le sue ricerche; e, negli anni 1954-56, sotto la sua guida e collaiuto di Kaisher Bahadur, gi ambasciatore del Nepal a Pechino, furono raccolte tutte le pi antiche iscrizioni della valle di Kathmandu. Queste iscrizioni,// (p. 28) scritte in caratteri di et gupta (solo in parte gi pubblicate, per opera soprattutto di Sylvain Lvi) sono il pi antico documento scritto del Nepal e gettano vivida luce sullorganizzazione sociale e religiosa della valle, che gi nel V-VII secolo, era importante nodo commerciale tra lIndia ed il Tibet. Esse furono da me trascritte e pubblicate nel 1957 nei due volumi Nepalese Inscriptions in Gupta Characters, della Serie Orientale Roma. Ma la ricerca delle antiche iscrizioni della valle, non fu lunico contributo di Giuseppe Tucci alla storia del Nepal. Nel 1956, in una faticosa spedizione nel Nepal Occidentale, a Giumla, Giuseppe Tucci scopr e studi le reliquie di un regno ancora

sconosciuto, il regno dei Malla, che aveva dominato in quella regione e nel Tibet Occidentale. La storia di questa scoperta fu da Tucci stesso raccontata in sue due opere, Preliminary Report on two Scientific Expeditions in Nepal (1956) e Nepal. Alla scoperta dei Malla (1960). Se, per ragioni estranee alla sua volont, Giuseppe Tucci, non pot tradurre in realt il suo sogno di scavare a Lumbini, nel Terai Nepalese, luogo natale del Buddha e mta, nellantichit e nel medio evo, di innumeri pellegrinaggi, larcheologia buddhistica ebbe parimenti in lui uno dei suoi maggiori rappresentanti. La sua attenzione si rivolse, nel 1960, ad una regione del Pakistan Settentrionale, lo Swat, lantico Uiyna, posta ai piedi dellHimalaia. Ad indicargli la via dello Swat, fu comegli stesso racconta, proprio il Tibet. Dallo Swat fu oriundo infatti Padmasambhava (Guru Rimpoce, in tibetano) il maestro e taumaturgo, per tradizione comune uno dei mas-// (p. 29) simi artefici del Lamaismo, che nellVIII secolo giunse in Tibet, convert, colla forza della sua magia, le antiche e riottose divinit Bon alle superiori idealit del Buddhismo, convertendole, da avversarie irriducibili, a fedeli e temibili custodi dei luoghi sacri della nuova religione. Lo Swat, in effetto, fu per tradizione terra di esorcismi e magie, di stregoni e di fate volanti, ed il Buddhismo che vi attecch vigorosamente gi nei primi secoli della nostra era (ne fanno fede gli innumeri stupa e monasteri di cui disseminata la regione) vi si intrise ben presto di colori gnostici e magici. N nello Swat erano presenti i Buddhisti soltanto. La speculazione scivaita kashmira del IX e del X secolo ci racconta come appunto da questa regione provenissero taluni dei pi antichi e venerati maestri (ed anche maestre) e come oriunda da essa fosse la scuola gnostica del Krama, le cui dottrine confluirono poi nella grande sintesi abhinavaguptiana. Ma torniamo ai Buddhisti. Giuseppe Tucci, dopo brevi ricerche, riconobbe in Mingora lantica capitale del paese e nella contigua localit di Butkara quello che fu, fino al IV secolo, uno dei principali luoghi di devozione e pellegrinaggio buddhistici. Nel 1956 cominciarono gli scavi che, ininterrottamente continuati fino al 1962, riportarono alla luce lintera area sacra, essenzialmente costituita da un grande stupa centrale, circondato da moltissimi altri minori. Nonostante in passato lo Swat e probabilmente proprio larea sacra di Mingora abbia fornito uninnumere quantit di pezzi ai mercati antiquari dellIndia e dellOccidente, migliaia e migliaia sono le sculture intere o frammentarie venute// (p. 30) alla luce durante gli scavi, conservate nella massima parte sul posto. Ma la storia dello Swat non limitata al Buddhismo. Il desiderio di ripercorrere le vie che segu Alessandro, di ricercare e scoprire le tracce che egli vi pu aver lasciato, di mettere in evidenza con nuovi documenti lincontro dellOccidente e dellOriente,

che avvenne anche dopo di lui anzi soprattutto dopo di lui in quelle contrade dove prosper larte del Gandhara, nella quale le mitografie buddhistiche si espressero nel linguaggio narrativo del mondo classico port Giuseppe Tucci agli scavi di Udegram, lantica Ora, che, secondo le fonti classiche, fu conquistata da Alessandro. Le campagne archeologiche dello Swat condussero indirettamente ad una scoperta importantissima per la storia dellantico Buddhismo indiano. Durante la sua missione del 1956, Giuseppe Tucci rintracci fortunosamente parecchie parti mancanti del Vinaya dei Mlasarvstivdin, la cui ultima parte il Saghabhedavastu contiene la pi antica vita del Buddha in sanscrito. I fogli grandi e bellissimi di questo manoscritto in corteccia di betulla del VI sec. d.C. furono inviati dal Governo Pakistano a Roma per il restauro e la pubblicazione, che io condussi a termine nel 1977. Lattivit archeologica di Giuseppe Tucci non rimase circoscritta al subcontinente indiano, ma nel 1962 egli promosse ed organizz gli scavi dellIsMEO nel Sistan, dove, nel deserto ai confini dellAfghanistan, fu scoperto un tempio con pirei dellepoca proto-achemenide, quelli, sempre nel Sistan, di Shahr-e Sukhta, uno// (p. 31) dei pi importanti centri urbani dellIran antichissimo, sorto nel IV millennio a.C. Altri scavi e ricerche archeologiche riguardano il periodo islamico: tali, per esempio, quelli di Ghazni, dov stato riportato alla luce il palazzo di Masud III, le ricerche e restauri della moschea del Venerd a Ispahan, i restauri di Persepoli. Questa attivit storica ed archeologica, cui egli dedic la maggior parte delle sue energie dal 1955 in poi, non lo distrasse dai prediletti studi filosofici e religiosi, come ne fanno fede, per non accennare che alle opere sue pi importanti, i tre volumi di Minor Buddhist Texts (parte I, 1956; parte II, 1958; parte III, 1971), dovegli raccolse e studi diverse opere buddhistiche, da lui stesso scoperte durante i viaggi in Tibet. Lultimo di essi dedicato al terzo Bhvankrama di Vikramala ed alla disputa, avvenuta nel VII secolo a Samye, fra i sostenitori della corrente quietistica e quelli che mantenevano invece la necessit di una graduale pratica meditativa (bhvan). Al 1970 risale infine il suo magistrale volume sulle religioni del Tibet ed al 1977 il suo studio sui Dardi (On Swt. The Dards and Connected Problems), dove, in una esposizione originale e sintetica, raccoglie e disamina i principali documenti di queste genti indoarie che, discese dal Turchestan e forse dallIran, si distesero poi dai Pamiri al limitare del Tibet, da Gilgit ai confini del Kashmir. Negli ultimi tempi attendeva ancora a due opere, rimaste purtroppo incom-

piute, una su Benares e laltra sulla religiosit indiana, dal titolo di Eros e Thanatos in India.// (p. 32) Si voluta fin qui dare una idea, sia pure per accenni fugaci, delle sue sterminate cognizioni e ricerche, storiche, religiose e filosofiche, che si estendono pressoch a tutto lOriente medio ed estremo e della sua attivit di organizzatore e promotore di studi. Ma c, in Giuseppe Tucci, anche un terzo aspetto, oltre ai due accennati voglio dire quello di maestro (e Deshikottama, massimo dei maestri lo proclam lUniversit Vishvabharati di Shantiniketan), ispiratore sollecito sempre ad accendere nei giovani nuovi interessi, ad invogliarli ( lui stesso che parla) ad una curiosit vivace ed a stimolarne lintelligenza. Voi mi avete chiamato guru (cos egli nel 1974, quando lIstituto Universitario Orientale di Napoli dedic una collana di scritti in suo onore) e il guru, voi lo sapete, trasmette al discepolo quel che pensa, imagina, apprende, intuisce, mediante un rapporto vivo, che gli Indiani chiamano govatsanyya: com la linfa vitale che la mucca infonde nel vitello e lo fa crescere, iniettandogli, per cos dire, la propria vitalit; mentre lo ukatarka, laridit dellargomentare, un gioco freddo del pensiero, senza le vibrazioni calde e vivificatrici dello spirito. La scienza non fatta soltanto di notizie, formule, raffronti e date: un modo di vivere, di sentire, di reagire [...]. Giuseppe Tucci non ebbe mai il pugno chiuso, come dice il Buddha di quei maestri che tenevano gelosamente per s il proprio sapere, senza farne parte agli altri, ma cerc sempre di trasmettere le sue conoscenze, pago che altri sapesse approfittarne e via via sviluppare quanto in nuce aveva intuito o divinato. La sua casa e// (p. 33) la sua biblioteca erano liberalmente aperte a chi stimava meritevole di essere aiutato e guidato nello studio. Quante volte sono andato a trovarlo per leggere insieme testi e manoscritti, tornandomene poi sovente a piedi, colle braccia cariche di libri, da piazza Vescovio, dove abitava, fino alla mia casa di via della Pace! E da questi incontri, nei quali si parlava esclusivamente di studio, uscivo sempre colla sensazione, che non presumo qui di spiegare (n, credo, questo sar successo a me soltanto), di uno scioglimento di nodi o problemi anche personali ed estranei agli argomenti trattati, di un ordine che si sostituiva a qualcosa di confuso, della determinazione di un centro, il quale dava senso e ragione ai frammenti pi periferici, che lungi dal dissolversi, assumevano anzi giusta forma e risalto proprio nella misura che, non pi sparsi ma correlati sempre lun laltro, convergevano verso di esso. N questa passione impressa subitamente svaniva, ma soleva, per un certo tempo, perdurare vivace nella mente. In fatto di studi Giuseppe Tucci fu sempre rispettosissimo della libert e delle scelte altrui. In tanti anni, non ricordo mai unimposizione,

una troppo stretta sollecitazione, un controllo: seppe sempre dare con quel tacer pudico che accetto il don ti fa. In manus tuas commendo: con queste parole mi affidava libri e manoscritti, che rivedevamo dopo insieme, per poi eventualmente pubblicare, con quel sentimento di silenziosa e quasi ovvia fiducia, che lincoraggiamento pi efficace. Ma, come ogni buon maestro, sapeva anche scoraggiare. Trattandosi di studi difficili, che richiedono// (p. 34) una lunga preparazione ed una dedizione completa, quanti scorgeva esitanti o tepidi o anche semplicemente curiosi, impazienti dello studio delle lingue, che solo permette di accedere alle fonti (e il suo intuito era sicuro) egli soleva respingere anche bruscamente, esortandoli ad andare a prendere il sole e ad altri pi piacevoli passatempi. Certe sue insofferenze erano sempre dovute alla paura (talora finanche eccessiva) che mire di carriera o superficiale curiosit sopravvalessero sul genuino interesse scientifico ed esigenza spirituale. Per indole, non indulse mai a nessuna forma di cialtronesco democraticismo, ma cerc sempre di aver ragione, con la sua innata autorit e prestigio (che esercit fino allultimo, non senza, talvolta, una certa tal quale candida ostentazione), dei tentennamenti ed accomodamenti dei pi, tirando diritto per la sua strada. Delle donne che si dedicano agli studi, specialmente quelli orientalistici, pur apprezzandone casi isolati, diffid sovente, non certo, come il Leopardi, per detrazione della natura femminile, della akti, di questo strumento delicatissimo di approfondimento e di elevazione, cui si inchin sempre rispettoso e sensibilissimo, ma timoroso forse che la severit della disciplina potesse offendere la scioltezza divina e lessenza stessa della femminilit. Giuseppe Tucci non fu femminista. Sebbene incoraggiasse i suoi giovani allievi, proprio perch sollecito del loro avvenire, non aliment mai in loro facili illusioni. Mi corre il dovere (cos nel 1974) di farvi accorti che la vostra missione, giovani amici, non agevole; che la vostra passione se non sar// (p. 35) incoraggiata, pu avvizzire come un fiore raro, cui lacqua difetti. Ultimati con successo i vostri corsi, sapre per voi un periodo della vostra vita lietissimo ed orrendo insieme: siete padroni di voi stessi, ma non riceverete nessuna garanzia di occupazione. Comincer per voi la via crucis dellintervallo angosciato fra luniversit e gli obblighi della vita. Non esiste da noi nessun collegamento, o esilissimo, fra scuole e occupazione; per non pochi gli studi cui hanno dedicato lardore e il fuoco dei loro anni migliori corrono il rischio di restare un remoto ricordo. Lordinamento universitario non concede largo posto agli specialisti di cose orientali; lassorbimento negli uffici lungo e difficile. Collesempio e collinsegnamento Giuseppe Tucci tese sempre allessenziale, pradhne yatna kartavya, come diceva Patajali, guar-

dando, tra con compatimento e meraviglia, alla miserella vanit di tanti articoletti e noticine che ingombrano gli annali accademici, buoni soltanto a far titolo per concorsi o altro. Lerrore nel particolare non lo impauriva e cercava anzi di esorcizzare i suoi discepoli e i suoi pi giovani collaboratori da uneccessiva paura dellerrore. Io (dichiar nel 1977) non ho mai avuto terrore dellerrore nel particolare. Ci sar sempre chi se ne avvedr e lo corregger. Lerrore non deve paralizzare; un rischio che fatalmente corre chi lavora sul nuovo. Ma proprio il nuovo che pi invita: laprire nuovi campi di ricerca, scoprire documenti ignorati, lanciare ipotesi di lavoro che, se potranno nel corso degli studi, essere completate o corroborate, sono tuttavia i primi guizzi di tremule luci// (p. 36) che additano la probabile soluzione di problemi oscuri. E del resto non dice anche la Bhagavadgt che ogni agire avvolto dallerrore cos come il fuoco dal fumo? E Ngrjuna, che lunico strumento della verit proprio lerrore? E Goethe che es irrt der Mensch so lang er strebt? Come sempre accade agli uomini di genio, qualunque sia il loro campo, nessuno pot raccogliere la sua eredit nella sua interezza; ed i suoi non pochi discepoli coltivarono e svilupparono, ciascuno come pot, quelle discipline che sentivano pi a s congeniali, ma che tutte, sia pure talune in nuce e senza giungere, per forza di cose, agli ultimi particolari, erano in lui riunite e da lui dominate. * Nel 1970 Giuseppe Tucci lasci la sua casa di Roma, e si ritir in campagna, a S. Polo dei Cavalieri, presso Tivoli. La vita della citt non gli era in fondo mai stata congeniale, neanche quando le citt erano diverse da quelle di oggi. Vivissimo, in effetto, fu sempre in lui il sentimento della natura. Certi verdi, certi cangiamenti di foglie, certi trasmutamenti di colore nella terra e nei prati, taluni profili montani (due, diceva, le cose che aveva pi amato: il sole, come Giuliano lApostata, e la montagna, come i pastori), erano da lui vissuti con una speciale intensit, s da intrinsecarcisi, quasi parte di se stesso. Tanto forte fu tuttavia in lui il senti-// (p. 37) mento della natura, quanto scarso, curiosamente, linteresse e lo studio di essa in se medesima e nel particolare: i nomi e le caratteristiche delle piante o delle pietre, delle stelle o degli animali isolati dal tutto, e, per lui, forse proprio per questo, come disintegrati frammenti di quel tempio solenne, non lo interessavano affatto, o se lo interessavano, era in riferimento alluomo ed al suo operare. Pi di tutto gli piacevano le lunghe camminate (e a piedi o a cavallo percorse, come abbiamo visto, migliaia di chilometri in Tibet e nel Nepal) non in grup-

po, com oggi sovente costume, ma tuttal pi con un amico o discepolo, n c, si pu dire, montagna, in Abruzzo, nel Lazio o nelle Marche, che egli non avesse asceso e di cui non conoscesse minutamente i sentieri. Questa sua consuetudine al cammino egli la conserv fino a pochi anni or sono (finch, cio, fisicamente pot): mi raccontava che il suo pi bel compleanno fu lottantesimo, quando sul monte Gennaro scivol solitario e si ruppe una gamba (lo ritrovarono i carabinieri poche ore dopo). Fu amantissimo degli animali, dei cani e dei gatti in particolare, di queste creature, che, in terra di fruizione, possono, come gli dei, solo digerire il karma ma non accumularne, ed avvertono pure cos acutamente e pietosamente la parola, il logos, da cui sono esclusi. E per tutti gli ultimi mesi, mai la gatta preferita abbandon il suo letto, dipartendosene irosa solo quando obbligata per poi subito tornarvi. Di dolore nel mondo (scriveva nel 1977) ce n anche troppo: i giorni ne sono intessuti dalla culla alla bara, grandi e piccoli, di// (p. 38) corpo e dellanima, voluti ciecamente e per caso caduti su di noi; ma il dolore delle bestie mi sembra di unaltra dimensione; dolore soltanto, uno spasimo metafisico, la solitudine disperata del soffrire. Alluomo si offrono molte vie per attenuare il dolore: non dico i mezzi che la scienza inventa, ma quelle resistenze che il ragionare o la fede suggeriscono, la sopportazione cui leducazione o il convincimento preparano o abituano, n gli manca il conforto dellaltrui piet, o le lacrime di chi gli sta vicino. Ma nellanimale che soffre c dolore nel suo modo assoluto, il dolore che si sperimenta come dolore nella sua infinit e solitudine. Della scienza, degli scienziati e dei loro giochi pericolosi ebbe somma sfiducia e sospetto. Delle magnifiche sorti e progressive fu alquanto scettico ed inchinato piuttosto alla concezione ind (ma non ind soltanto) dei declinanti yuga, confidando colla Bhagavadgt, dopo raggiunto il colmo della decadenza, in una rigenerazione esistenziale e morale; ed allestreme giornate di sua vita risale questa nota commovente che qui trascrivo: Quando la Legge che governa le cose, sia essa il Dharma degli Ind e dei Buddhisti, oppure il Tao dei Cinesi, comincer a indebolirsi, allora i salvatori scenderanno sulle rovine delluniverso spento per ravvivarlo e risuscitarlo nella sua primordiale valenza. Non mi vergogno di confessare che anche io cos la penso; che la scienza non sia daccordo con me non me ne importa nulla perch presto maggior fede ai miei maestri con i quali ho tante volte discusso nei loro eremi in cima alle montagne tibetane, chiusi o murati// (p. 39) nelle proprie inaccessibili celle che non sapevano chi io fossi ma non ignoravano che un pellegrino delloccidente sarebbe un giorno venuto a cercarli e a trovarli nella loro volontaria segregazione in attesa del finale dissolvimento nella

suprema Luce. In quello che essi mi rivelarono io ho sempre avuto pi fiducia che nella nostra scienza. Se noi ci ostiniamo a vivere come stiamo facendo, saremo gli alfieri dellapocalisse, il cui prossimo avvento profetato da tutte le religioni, quando al termine degli eoni e al colmo della perfidia umana tutto brucer nel fuoco di ununiversale conflagrazione. Nella comodit e celerit delle comunicazioni vide non un aiuto alla comprensione reciproca delle genti quanto piuttosto uninsidia e pericolo grave. Chi cercher il fratello? Dove sono pi i Giovanni di Pian del Carpine, Marco Polo, Pietro della Valle, gli Ambasciatori Veneti, Matteo Ricci? Ad avvicinare lanima dei popoli molto pi saddice con i suoi lenti bivacchi la carovana che laereo. Ve lo dice chi ha peregrinato in tenda per oltre cinque anni. Con laccresciuta celerit del viaggiare i paesi sembrano diventare pi vaghi, brumosi ed argomento di litigio. Ed ancora: La differenza ed il sospetto chiudono le frontiere e luniformit dei modi e dei costumi, la monotonia che ci incatena, il livellamento che tutto sommerge [...] rendono desolati i nostri giorni, inceneriti dappertutto dalle medesime presunzioni. E niente pi solitudine, perch dappertutto c chi ti spia, ficca il naso nella tua vita e persino nel segreto del tuo pensiero e del tuo cuore. Viaggiare quando il mondo sta diventando uniforme come un// (p. 40) aggirarsi in un ospedale di moribondi; lampeggiamenti di antiche abitudini che si dissolvono in un uragano di scintille che si spengono. Ed allora non resta che scendere nel tempo, resuscitare i morti. Non c pi nulla da esplorare sulla terra; con il Tibet ed il Nepal io ho finito le mie esplorazioni; anche l tutto cambia. Ora che lOriente sta assorbendo il nostro veleno, non c altro da fare che scendere nel passato; e siccome abbiamo a che fare con ombre ed immagini, lanima in pace. Tutto il resto non conta. Dei sentimenti, di questintrusione dellio e del mio, falsificatori ed offuscatori della trasparenza delle cose, ebbe sempre istintivo timore e pudore, s da dir di s, quasi per esorcizzarli, che ne era affatto privo ed arido come le erbe del deserto. Eppure chi lo conobbe, dovr convenire di aver raramente incontrato persona meno arida e di pi forte sentire. Degli amici, cui fu fedelissimo, e dei nemici e detrattori che pure non gli mancarono, si compiacque ugualmente. Degli uomini, stim ed am i freddi ed i caldi, ma i tepidi ebbe sempre in ispregio, tenendo fisse a mente le parole dellAngelo dellApocalisse, che pi duna volta mi cit: Scio opera tua, quia neque frigidus es neque calidus; utinam frigidus esses aut calidus. Sed quia tepidus es et nec frigidus nec calidus, incipiam te evomere ex ore meo.// (p. 41) *

Ma tutto vince e ritoglie il tempo avaro. Un incidente di macchina nellAfghanistan, da cui usc con parecchie costole rotte, una successiva caduta e let stessa ebbero alla fine ragione della sua tempra fortissima e, negli ultimi mesi, fu costretto quasi allimmobilit, non tanto tuttavia, che, per innata gentilezza, non si sforzasse di accompagnare alla porta chi lo visitava, non si alzasse ed inchinasse sempre se questi era una signora. A proposito di questa sua cortesia e delicatezza, mi ricorder sempre di un episodio vecchio ormai di molti anni e dai pi forse dimenticato, quando fu dallIsMEO invitato per una conferenza il grande orientalista inglese F.W. Thomas, ormai vecchissimo ed incapace quasi di farsi intendere. Mi stup allora (ma non pi adesso), la gentilezza colla quale Giuseppe Tucci, con affetto e devozione di figlio, lo sorreggeva e guidava di stanza in stanza, senza mai distaccarsene un momento, lo sovveniva colla parola, quandessa gli faceva difetto, soffrendo per lui, cercando in ogni modo di non farlo accorto dei danni dellet, che altri movevano ad impazienza e ahim forse anche a riso. La difficile malattia, nella quale fu amorosamente e costantemente assistito dalla moglie Francesca Bonardi, fu sopportata con straordinaria fortezza danimo, senza mai un lamento, un moto dimpazienza o dinsofferenza, ma confortando come poteva e ringraziando sempre coloro che gli stavano vicino e lo assistevano. Il lungo dissidio fra una mente fino allultimo memore e presente a se stessa ed un corpo che pi non obbediva ebbe fine il 5 aprile del 1984, verso le 5 del mattino: chiese// (p. 42) un foglio per scrivere, non pot, e di l a poco, come volle scritto nellannuncio funebre, si dissolse nella luce suprema. Fu seppellito cristianamente. Due mesi dopo avrebbe compiuto novantanni. Dei titoli accademici e delle molteplici onorificenze, straniere ed anche italiane, di cui era insignito, soltanto una ne volle ricordata, quella di Premio Nehru per la Comprensione Internazionale, per lamore che sempre port allIndia ed alla sua cultura ed anche, forse, per i personali legami damicizia che lo stringevano a chi fu, insieme con Gandhi, il massimo artefice dellindipendenza indiana. Ci sono delle parole e delle espressioni, che permangono nella nostra mente, pronte a rivivere appena sollecitate da unoccasione rispondente, da un avvenimento congenere, da un ricordo. Tali, per me, quelle di Platone, alla fine del Fedone, con cui chiudo qui queste righe, riferendole alluomo e al maestro che tanta parte ebbe nella mia vita: Tra gli uomini che ho conosciuto certamente il migliore, il pi saggio, il pi giusto. RANIERO GNOLI Castel Giuliano, Marzo 1985

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