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My Sportive Blood

Il mistero del calcio


(a Mimmo Favuzzi, tifoso dellInter) LItalia deve circa il 2% del suo PIL allagricoltura. Al calcio il 2,7%. Quella del pallone, indotto incluso, sarebbe la quinta industria del paese. Non so se sia pi sorprendente il dato in s o il fatto che sia possibile, correntemente, definire industria linseguire un pallone in mutande e calzettoni. I critici del PIL, quelli che lo ritengono misura falsa della ricchezza, avrebbero certo molto da dire in proposito; io mi limiter a notare che la rappresentazione che Antonio Cassano ha fatto di s, in una recente intervista televisiva, sarebbe profondamente errata: non di un nullafacente si tratterebbe, ma, al contrario, di persona laboriosissima alla quale il paese tutto deve essere grato, e non gi solo per le magie di cui capace con i piedi, ma perch materialmente ci fa tutti pi ricchi. Keynes sostenne che, dal punto di vista dellefficacia della spesa al fine di stimolare la domanda e quindi la crescita economica, fra costruire strade e ponti o, piuttosto, scavar buche per ricolmarle differenza non ve ne sarebbe alcuna. E, ne sono sicuro, se fosse stato sollecitato a esprimere unopinione, non avrebbe mancato di riconoscere ai calciatori unutilit sociale certo non inferiore a quella di quegli ipotetici scavatori di fossi. Si sa che la produzione industriale in una societ capitalista per sua natura eccedentaria: sempre di pi si creano beni con sempre meno addetti. Dissipare velocemente quel che sempre pi velocemente e in maniera sempre pi abbondante vien prodotto da un numero decrescente di addetti sempre meno pagati il primo grande problema di quella che chiamiamo, senza neanche ironia, civilt del consumo: una civilt che deve consumare beni con lincrementante velocit necessaria a sostenere leconomia, se non vuol vedersi costretta a sperare in catastrofi naturali o, addirittura, a ricorrere a guerre per colmare linsufficienza della domanda. vero che potremmo risolvere il problema della sovrabbondanza e dello spreco lavorando tutti di meno, dandoci allozio creativo, alla ricreazione filosofica, a tranquille passeggiate salutistiche. Ma senza surplus non ci sarebbe accumulazione e non esisterebbero differenze sociali. N la necessit di trovare una giustificazione a queste differenze: come far s che il paradosso, per cui a venir beneficiato dalla moltitudine di chi ha meno chi di pi ha, non sembri tale, come fare in modo, cio, che gli happy few non solo non siano oggetto di risentimento, ma che anzi siano amati da un numero di persone sufficientemente grande da garantire la stabilit del sistema sociale, laltro grande problema.

Per lungo tempo la nascita illustre e un dio che tutto considera rendevano sufficientemente motivati ogni dispensa, franchigia o vantaggio. Oggi, retaggio maligno della Presa della Bastiglia, ogni privilegio rischia di essere visto con diffidenza e sospetto. Nel senso comune ormai cementata lidea che solo il merito possa giustificare ricchezze e sperequazioni e non sembra possibile, almeno a breve, un ritorno agli antichi principi. La crescita esponenziale della produzione di beni e lineludibile assottigliarsi del numero dei produttori costringe cos, inevitabile, a dilatare i confini del merito e a riconoscere come virtuose attivit fra le pi varie e fantasiose. Che non star qui a elencare e neanche ad accennare perch non mia intenzione correre il rischio di essere tacciato di praticare quella facile ironia che viene dal risentimento. La parola sport, che con diporto condivide letimo, appare una delle prime volte nella lingua inglese in un sonetto di Shakespeare: For why should other's false adulterate eyes / Give solution to my sportive blood? che trovo tradotto: Perch mai dovrebbero gli occhi altrui adulteri / considerar vizioso il mio amoroso sangue? Lo sport, nella sua accezione originale, va inteso come una predisposizione del sangue a infiammarsi senza tornaconto, senza una ragione vera, ma solo per amore dellamore. Gratuit e diletto: non molto delle caratteristiche fondative rimasto nello sport professionistico dei nostri tempi, perlomeno in chi lo pratica. Ma per chi invece lo guarda in tv seduto comodamente in poltrona posseduto da trance agonistica, dimentico di tutto, di madri, mogli e figli, di IVA da pagare, di licenziamenti pendenti, tutto rimasto come prima. Al primo fischio dellarbitro il triste principio di economia, il richiamo noioso a far quel che utile dimenticato e allo spreco si partecipa festanti. Se scialacquare si deve, non giusto che sia soprattutto il calcio a farlo? Che il mondo si dissipi dunque in una veronica, o in un paso doble, in un tunnel e in un colpo di tacco, in uno di quei momenti perfetti che celebrano in una comunione estesa allumanit intera questo mistero senza fine, bello che la vita e il calcio, il calcio e la vita.

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