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Narratologia e scienze cognitive

Valentina Pisanty

La narrativit non solo una qualit inerente al testo, ma piuttosto un attributo imposto al testo dal lettore il quale interpreta il testo stesso come una narrativa, cio lo narrativizza (Fludernik, 2003: 244).1 Su questa ipotesi si regge un filone di ricerche che, a partire dallultimo decennio del Novecento, si propone di ricostruire i processi cognitivi coinvolti nella narrativizzazione nella messa in forma narrativa dei testi e dellesperienza.2 Sullo sfondo dellidea che la narrativit costituisca una fondamentale modalit del pensiero, la narratologia cognitiva raccoglie i contributi di diversi modelli e teorie formulate negli anni Settanta nellambito degli studi cognitivi (un conglomerato disciplinare allincrocio tra psicologia, filosofia della mente, intelligenza artificiale, neuroscienze e linguistica post-chomskiana) per annunciare lavvento tardivo di un programma di ricerca unificato che accolga la narratologia nel novero delle scienze cognitive e, al contempo, rivendichi la centralit degli studi cognitivi nellambito della narratologia stessa.

1 Se questo processo di narrativizzazione si applichi a qualsiasi testo o soltanto a testi che presentino determinate caratteristiche una domanda che, nel brano citato, Fludernik lascia inevasa. 2 Mi riferisco in particolare al filone di ricerche narratologiche patrocinate da David Herman, per il quale Cognitive narratology can be defined as the study of mind-relevant aspects of storytelling practices, wherever and by whatever means those practices occur. As this definition suggests, cognitive narratology is transmedial in scope; it encompasses the nexus of narrative and mind not just in print texts but also in face-to-face interaction, cinema, radio news broadcasts, computer-mediated virtual environments, and other storytelling media. In turn, mind-relevance can be studied vis--vis the multiple factors associated with the design and interpretation of narratives, including the storyproducing activities of tellers, the processes by means of which interpreters make sense of the narrative worlds (or storyworlds) evoked by narrative representations or artifacts, and the cognitive states and dispositions of characters in those storyworlds. In addition, the mind-narrative nexus can be studied along two other dimensions, insofar as stories function as both (a) a target of interpretation and (b) a means for making sense of experience a resource for structuring and comprehending the world in their own right (Herman, 2011). Una panoramica degli studi che vanno sotto il nome di narratologia cognitiva si trova in Herman (ed.), 2003. In italiano, si veda la raccolta di saggi curata da Stefano Calabrese (2009). Per approfondire, v. anche la voce Cognitive Narratology (e altre voci correlate) della Routledge Encyclopaedia of Narrative Theory curata da Herman-Jahn-Ryan (2008).

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Mentre la narratologia nasce come sottodominio della teoria letteraria e culturale di stampo strutturalistico, la quale eleggeva la linguistica a propria scienza pilota, riteniamo che sia la teoria narratologica, sia la stessa linguistica debbano essere ricollocate nellambito delle scienze cognitive. O meglio, che la narratologia, cos come la linguistica, vada ricaratterizzata come un sottodominio della ricerca cognitiva. Da questa prospettiva il linguaggio e, pi specificamente, le storie si prestano a essere viste come sistemi strumentali [tool-systems] alla costruzione di modelli mentali del mondo (Herman, 2000).

Non si tratta di disconoscere la rilevanza teorica della narratologia di matrice linguistica, a cui i narratologi cognitivi peraltro attingono abbondantemente, bens di rivisitare i concetti formulati dagli strutturalisti degli anni Sessanta alla luce dellassunto che, a monte dei testi che le manifestano, le strutture narrative (attanti, schemi canonici, grammatiche delle storie)3 si trovino nei cervelli delle persone, quantomeno in forma embrionale e incoativa, come matrici cognitive (cognitive templates) o disposizioni a processare i dati dellesperienza in modo narrativamente organizzato. Bench molto suggestiva, lipotesi che le strutture narrative siano in qualche modo cablate nel cervello molto difficile da dimostrare. In assenza di un accesso diretto agli ingranaggi della mente almeno allo stato attuale dello sviluppo delle neuroscienze il lavoro cognitivo pu essere ricostruito solo a partire dai suoi effetti osservabili (i testi narrativi e gli interpretanti sensibili che essi producono), mentre il meccanismo primo della narrativit e non pu che essere materia di congettura e di metariflessione. Negli ultimi ventanni, i progressi delle tecniche di neuroimaging, che consentono di visualizzare lattivit cerebrale (misurando il flusso ematico allinterno del cervello, che aumenta quando i neuroni si attivano), hanno alimentato la speranza di potere monitorare le strutture neurali coinvolte nellelaborazione di sequenze narrative, e da l ricostruire i processi cognitivi che vengono attivati nel corso dellinterpretazione dei testi narrativi. Tuttavia, la narratologia cognitiva si trova ancora nello stadio embrionale di un progetto di ricerca appena abbozzato che si impegna ad accettare la sfida di individuare le caratteristiche dei processi messi in atto da lettori o ascoltatori alle prese con narrazioni lunghe nella lingua naturale (Herman, 2003 [2009: 33]), in particolare per quanto riguarda i quattro elementi pi importanti di elaborazione delle informazioni []: acquisizione, rappresentazione interna, immagazzinamento e recupero e trasformazione delle strutture cognitive narrativamente organizzate (Margolin, 2003 [2009: 159]). Inserendosi nella pi ampia svolta cognitiva che investe gran parte delle attuali scienze umane, i narratologi cognitivi si interrogano sulla relazione che lega insieme i testi narrativi, i processi cognitivi che li trasformano in rappresentazioni mentali, e gli ambienti culturali che pre-determinano (e retroagiscono con) i meccanismi testuali e cognitivi in questione.
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Cfr. Rumelhart, 1975.

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Diverse analisi pionieristiche approfondiscono vari aspetti di un fenomeno estremamente complesso e sfaccettato (la narrativizzazione dellesperienza, per lappunto), soffermandosi di volta in volta sullinteriorizzazione delle storie e lesteriorizzazione dei racconti esterni (Jahn, 2003), sulle funzioni psicoterapeutiche del racconto (Klein, 2003), sulla facolt eminentemente umana di amalgamare storie diverse in racconti a doppio scopo (Turner, 2003), sullinterazione tra memorie a breve e a lungo termine nellelaborazione di testi narrativi (Gerrig e Egidi, 2003), e sulle rappresentazioni dei luoghi e dei movimenti nei mondi finzionali (Ryan, 2003). Data la variet dei temi affrontati e dei metodi di analisi impiegati, non sempre riconducibili a un unico modello o ipotesi teorica, nelle pagine che seguono si deciso di esaminare senza pretesa di esaustivit alcune questioni generali attorno alle quali si addensano simili ricerche, a cominciare dalla definizione dei meccanismi stessi della narrativit. 1. La molla della narrativit: post hoc ergo propter hoc Le premesse teoriche della svolta cognitiva nel campo degli studi narratologici sono gi presenti nelle correnti interpretative della narratologia orientata al testo. Se si considera il testo come una macchina pigra la cui sorte interpretativa fa parte del suo progetto generativo (cfr. Eco, 1979), balza in primo piano il problema dellattivit inferenziale del lettore, inteso come operatore cognitivo indispensabile per attualizzare le strutture discorsive e narrative virtualmente abbozzate nella manifestazione espressiva del testo stesso. Non a caso, Eco prende in prestito dagli studiosi di Intelligenza Artificiale il concetto di sceneggiatura4 per rendere conto dei meccanismi cognitivi in base ai quali il lettore attinge alle conoscenze stereotipate precedentemente acquisite, e con esse riempie di senso gli spazi vuoti di cui ogni testo necessariamente intessuto. In questa prospettiva, la coerenza condizione imprescindibile della testualit (cfr. Beaugrande e Dressler, 1981) non da intendersi come una propriet intrinseca al testo, indipendentemente dalle letture che se ne danno (o che se ne potrebbero dare), ma come il frutto dellinterazione cooperativa tra questultimo e linterprete. La cooperazione interpretativa entra in gioco sin dalle operazioni pi elementari di messa in forma narrativa di una sequenza espressiva. Cos, lenunciato
4 La nozione di sceneggiatura una struttura di dati relativi a situazioni socialmente stereotipate come visita al supermercato, festa di Natale o viaggio aereo stata formulata da Schank e Abelson (1977), i quali hanno dimostrato che parte della conoscenza umana si organizza intorno a un numero piuttosto elevato di situazioni di routine, in cui i ruoli dei partecipanti e la sequenza delle azioni sono relativamente stabili. In base alle ripetute esperienze di simili situazioni comuni, ciascuno di noi ha registrato in memoria un numero elevatissimo di sceneggiature comuni, o regole per lazione pratica e di sceneggiature intertestuali, ricavate dallinterpretazione di altri testi (cfr. Eco, 1979). Ciascuna sceneggiatura comporta un certo numero di informazioni (o slots) che vengono organizzate secondo una sequenza logica e temporale che assomiglia a una storia incompleta. Di conseguenza, in assenza di esplicite indicazioni alternative, tendiamo a riempire gli slot mancanti di una narrazione con le informazioni che ricaviamo dalle sceneggiature di volta in volta attivate.

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Valentina Pisanty (1) Il re mor e poi la regina mor.

(per riprendere un celebre esempio di E.M. Forster [1927]) acquista un senso unitario, e dunque coerente, nel momento in cui il Lettore o un lettore ipotizza che vi sia un nesso causale tra le due proposizioni logicamente sganciate (morte del re e successiva morte della regina), aggiungendovi uninformazione supplementare. Per esempio:
(2) La regina mor di dolore a causa della morte dellamato consorte.

La successione x e poi y viene interpretata come x e allora y. Dopodich il lettore va alla ricerca di un elemento enciclopedico una regola abduttiva che consenta di saldare insieme le due proposizioni (che cosa fa s che y sia conseguenza di x?), ed ecco che il dolore per la perdita del marito viene selezionato come una possibile causa della morte della regina. Ovviamente nulla garantisce che linferenza sia corretta, cos come non detto che vi sia effettivamente un nesso logico tra x e y: il decesso della regina potrebbe essere un evento del tutto indipendente rispetto alla dipartita del re. Non vi nulla, nellenunciato (1), che ci costringa a inferire che (2), tant vero che (2) pu essere negato senza che lo sia anche (1). Eppure chi legge (1) tendenzialmente portato a supporre che (2), o comunque a congetturare che i due eventi riportati in (1) siano collegati da un qualche nesso causale. Esperimenti psicologici dimostrano che, sin da una tenera et,5 gli esseri umani sono propensi a sovrimporre una relazione di consequenzialit a due o pi eventi presentati (o percepiti) in serie. In assenza di indicazioni alternative, linterpretazione unitaria garantita dallintroduzione del nesso causale sembra preferibile rispetto alla lettura puramente sequenziale x e poi y. Alla stessa stregua, data la sequenza di vignette riportata sotto, siamo inclini a intendere i contenuti della seconda e della terza vignetta come logicamente concatenati alla situazione (di per s ambigua) raffigurata nella prima vignetta. cos che da una sequenza di scene scollegate si configura la continuit di una fabula:

Post hoc ergo propter hoc


5 Sugli esperimenti psicologici volti a dimostrare e a misurare la tendenza umana alla narrativizzazione degli eventi, si veda Klein, 2003. Sullo sviluppo delle facolt narrative del bambino si rinvia allo studio di Stein e Albro, 1999.

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vero che, per collegare insieme le vignette, occorre attingere alle conoscenze enciclopediche, culturalmente acquisite, che per esempio permettono di identificare il revolver e di rapportarlo alla sceneggiatura del suicidio. Ma, prima ancora di investire di sensi specifici la sequenza, sembra esservi una predisposizione pre- o proto-culturale a interpretare la successione in termini di causalit: lomino muore perch si suicidato, e si suicidato perch era disperato. Su tale propensione a intendere la successione come una catena di cause ed effetti si fonda il meccanismo logico della narrativit, che i narratologi identificano per lappunto con il principio del post hoc ergo proper hoc (dopo ci quindi a causa di ci). A ben vedere si tratta di un principio logicamente fallace, in quanto non vi alcuna garanzia a priori che ci che avviene dopo sia provocato da ci che avviene prima, ossia che due eventi consecutivi intrattengano una relazione di causa-effetto per il solo fatto di essere disposti su un medesimo asse temporale. Cos Roland Barthes:
Tutto lascia pensare, in effetti, che la molla della narrativit sia proprio la confusione tra consecutivit e consequenzialit, in quanto ci che viene poi letto nel racconto come causato da: il racconto sarebbe, in questo caso, unapplicazione sistematica dellerrore logico denunciato dalla scolastica sotto la formula post hoc ergo propter hoc (Barthes, 1966 [1990: 20]).

Ma in virt di questa potenziale fallacia che funzionano i testi narrativi, i quali richiedono la cooperazione di un interprete in grado di tracciare raccordi causali anche laddove questi non siano immediatamente evidenti. Non solo siamo inclini a interpretare narrativamente i testi, aggiungendovi quel sovrappi di senso che ci consente di costruire (o di ricostruire) le sequenze causali lasciate implicite dai testi stessi. Anche quando interpretiamo gli eventi della vita quotidiana, tendiamo ad applicare ai dati sconnessi dellesperienza il principiocardine della narrativit, estrapolando o sovrimponendo, talvolta surrettiziamente, possibili catene causali alla sequenza di stimoli sensoriali che colpiscono la nostra attenzione, dallattuale torcicollo che ricolleghiamo allaria condizionata di ieri sera, sino alle inferenze molto meno stringenti con cui attribuiamo senso ai comportamenti altrui (Guido oggi non mi ha salutata perch la settimana scorsa gli ho detto che la sua cravatta non mi piaceva).

2. La narrativit come modalit di pensiero Da cosa dipende la nostra insopprimibile tendenza a narrativizzare lesperienza? Secondo lo psicologo culturale Jerome Bruner (1986) la mente umana risponde a due tipi diversi di funzionamento cognitivo: il pensiero logico-paradigmatico e il pensiero narrativo. Entrambi vertono sul principio di causalit, ovvero sullistituzione tramite il connettivo allora di un piano di coerenza tra contenuti proposizionali di per s sganciati. Tuttavia, sostiene Bruner, il termine allora riveste funzioni
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molto diverse nellenunciato logico se X, allora Y e nel testo narrativo il re mor e allora mor anche la regina. Nel primo caso esso allude a una ricerca delle condizioni universali della verit, nel secondo a probabili rapporti particolari tra due eventi: il dolore mortale, il suicidio o un delitto (Bruner, 1986 [2003: 16]). In altri termini (rispetto a quelli impiegati da Bruner), un testo pu dirsi narrativo se gli eventi che esso collega insieme sono delle occorrenze come tali uniche, irripetibili e localizzate in qualche punto dello spazio e del tempo e non dei tipi generali. Laddove la sequenza logica se X, allora Y connette categorie di eventi allo scopo di formulare giudizi che aspirano a essere universalmente validi, il pensiero narrativo ha a che fare con azioni e con individui specifici, attribuiti a universi narrativi particolari, reali o fittizi che siano.
C una differenza tra dire a una ragazza cosa potrebbe capitarle se accettasse la corte di un libertino e raccontare a qualcuno cosa accade, irrimediabilmente, nella Londra del XVIII secolo, a una ragazza di nome Clarissa per avere accettato la corte di un libertino di nome Lovelace (Eco, 1979: 70).

Con questo esempio, Umberto Eco intende discutere della differenza tra narrative artificiali e narrative naturali. Ma in effetti lesempio illustra unaltra differenza, che si pone a monte dellopposizione tra racconti di finzione e resoconti fattuali: quella tra testi propriamente narrativi, che veicolano una fabula (propriet che non prerogativa dei soli racconti di finzione), e testi logico-argomentativi, che enunciano o dimostrano una tesi in termini generali. Non sono perci narrativi i trattati di geometria, perch parlano di Cerchi e di Triangoli e non di quel cerchio e di quel triangolo; non strettamente narrativa la definizione peirceana del litio (CP 2.330), mentre sarebbe narrativa la descrizione delle operazioni svolte da un determinato chimico per separare il litio da una soluzione elettrolitica.6 Per tornare al nostro esempio, lenunciato il re mor e allora mor anche la regina narrativo perch esso non formula alcuna regola generale circa gli effetti della vedovanza sulle regine, ma riporta le vicende di una determinata regina in conseguenza della morte di un particolare re. Certo, potr darsi che la storia della regina torni alla memoria quando ci si ritrovi in presenza di circostanze per certi versi analoghe (per esempio di fronte allesperienza di un lutto), e in questo senso si pu sostenere che, come linferenza logica, anche il pensiero narrativo crea abi6

Daltra parte, non narrativo neppure il saggio di Melville sulle balene allinterno di Moby Dick, perch parla delle balene come specie e non di quel particolare cetaceo; ossia, di per s il saggio sulle balene non un testo narrativo (bens descrittivo e argomentativo), ma nel momento in cui viene inserito allinterno di un romanzo diventa un frammento di racconto, funzionale alla struttura complessiva della narrazione. Resta da capire quale sia il nesso tra i due tipi di funzionamento cognitivo, tenuto conto che lesempio (narrativo) di una particolare occorrenza talvolta sfocia nella formulazione di una regola generale (sfruttabile a fini argomentativi): tipico il caso della parabola, in quanto aneddoto allegorico che esprime un insegnamento morale o religioso e, come tale, invita esplicitamente linterprete a generalizzarne i contenuti.

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tudini interpretative in grado di orientare il flusso dei pensieri successivi. Tuttavia, a differenza del ragionamento logico-argomentativo (che tende verso lesplicita formulazione e/o applicazione di una regola), il pensiero narrativo procede per giustapposizione di casi e di esempi, alla maniera della common law britannica, accumulando repertori (in perenne espansione) di storie a cui attingere selettivamente a ogni nuovo giro dellinterpretazione, secondo procedimenti di cui si parler nel 4.

3. Intenzioni e progetti Si consideri il seguente enunciato:


(3) Il masso scivola lungo un piano inclinato e urta contro unasta verticale rigida, facendola ruotare.

un testo narrativo? Bench lenunciato riferisca gli accadimenti di un massooccorrenza e gli effetti che questi provocano su un altro oggetto individuale (lasta) bench, dunque, il testo veicoli una fabula facciamo fatica a considerarlo altrettanto narrativo di un enunciato come il seguente:
(4) Willy Coyote scivola lungo un piano inclinato e urta contro unasta verticale rigida, facendola ruotare.

Che cosa rende (4) un popi narrativo di (3)? La differenza sta nella presenza, in (4), di un agente animato al quale sia possibile attribuire stati sensoriali e mentali riconoscibilmente umani (o antropomorfi): sensazioni, emozioni, intenzioni, azioni. Il contenuto dellenunciato (3), al contrario, risulta scarsamente narrativo, a meno che non si ascriva il movimento del masso alla spinta prodotta da un qualche agente animato, pi o meno intenzionato a provocare lurto con lasta. Gi Claude Bremond (1966 [1969: 102]) annoverava linteresse umano la possibilit di riferire gli eventi raccontati allazione di individui antropomorfi tra le condizioni imprescindibili della narrativit, poich solo in rapporto a un progetto umano che gli eventi prendono senso e si organizzano in una serie temporale strutturata. Dello stesso avviso tra gli altri Bruner (1986) il quale, dopo avere distinto la sfera della narrativit da quella del pensiero logico, afferma che la narrativa si occupa delle vicissitudini delle intenzioni umane. Per quanto riguarda la prima parte della definizione il riferimento alle vicissitudini ci che viene posto in rilievo il carattere di relativa straordinariet degli eventi raccontati. Se vero che un testo viene riconosciuto come narrativo quando esso veicola una fabula (una successione di eventi casualmente concatenati), il grado di narrativit percepita aumenta man mano che la fabula si discosta dal sistema di attese dellinterprete circa il decorso normale degli eventi dalle

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sceneggiature comuni, dunque. Un racconto che si limitasse a reiterare le attese consolidate per esempio riportando la storia di un innamorato che chiede e ottiene senza problemi la mano della donna amata sarebbe poco informativo e, alla fin fine, scarsamente narrativo (dunque la narrativit appare legata allinformativit di un testo), giacch la forza narrativa di una storia risiede nella sua capacit di mettere in scena una violazione della consuetudine sociale. Questo perch, oltre alla concatenazione causale e allancoraggio spaziotemporale, un ingrediente indispensabile della narrativit la peripezia, ossia la mutazione repentina degli eventi dovuta al verificarsi di circostanze imprevedibili.7 Che sia provocata da un evento naturale (la peste) oppure da unazione umana (le macchinazioni di don Rodrigo), la peripezia pone il soggetto della storia di fronte a un ostacolo di qualche tipo, e allinterprete interessa scoprire come si dipaner la trama, ovvero come se la caver il soggetto di fronte alla difficolt incontrata. Il secondo punto relativo alle intenzioni umane merita qualche riflessione aggiuntiva. Sulla scorta degli studi di Piaget sullanimismo infantile, Bruner ipotizza che lintenzione sia una categoria primitiva, alla stregua della causalit kantiana. Lo dimostrerebbero diverse indagini psicologiche, tra cui il classico esperimento di Fritz Heider e Marianne Simmel (1944), i quali mostrarono a un campione di spettatori un cartone animato che rappresentava due triangoli e un cerchio in movimento dentro e attorno a un rettangolo aperto.

Fotogramma dellesperimento di Heider-Simmel (1944)

Heider e Simmel dimostrarono come i movimenti dei tre oggetti venissero (quasi) invariabilmente interpretati come quelli di due innamorati inseguiti da un prepotente respinto. Alla radice di una simile interpretazione vi sarebbe la nostra tendenza innata ad attribuire intenzioni ai comportamenti osservati, ossia a considerare (dato il minimo incoraggiamento) gli eventi come azioni e gli oggetti in movimento come agenti, o quantomeno come strumenti di agenti antropomorfi dotati, cio,
7 Su questo punto, si veda ancora Bruner (2002: 35): La narrativa il racconto di progetti umani che sono falliti, di attese andate a monte. Essa ci offre il modo di addomesticare lerrore e la sorpresa. Arriva a creare forme convenzionali di contrattempi umani, convertendole in generi: commedia, tragedia, romanzo davventura, ironia, o qualunque altro formato possa smussare laculeo della nostra fortuit. E nel far ci, le storie riaffermano una sorta di saggezza convenzionale circa ci che legittimo attendersi perfino (soprattutto) circa ci di cui si pu prevedere il fallimento, e ci che si potrebbe fare per rimetterlo in sesto o per venirne a capo.

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di volizione, e dunque di intenzionalit.8 Se qualcosa succede, e se questo qualcosa attira la nostra attenzione, ci risulta istintivo chiederci perch successo; per rispondere alla domanda siamo inclini a risalire talvolta attraverso catene tortuose di cause ed effetti allazione intenzionale di qualcuno (al limite alla mano invisibile di un qualche agente trascendente), anzich attribuire gli eventi esperiti esclusivamente al caso. La narrativit sarebbe strettamente imparentata con tale tendenza antropomorfizzante, responsabile, peraltro, di innumerevoli abbagli interpretativi.9 Interpretare gli eventi come azioni significa intravedere un progetto dietro allapparenza dei fenomeni percepiti, progetto che a sua volta presuppone la volont, da parte di un agente consapevole, di manipolare lambiente in cui si trova inclusi gli altri individui che lo popolano per perseguire i propri scopi (quali che siano).10 Da qui, lidea (gi formulata da Miller, Pribram e Galanter 1960) che il progetto sia lunit neuropsichica elementare della consapevolezza e dellazione umane, una struttura cognitiva minima con cui ci rappresenteremmo i comportamenti (nostri e altrui) come azioni intraprese da soggetti consapevoli che partendo da una situazione problematica escogitano i mezzi appropriati per ottenere i propri obiettivi, tenendo conto degli ostacoli in cui potrebbero prevedibilmente incappare. Si osservi laffinit tra la struttura psichica del progetto e la struttura di ci che i narratologi classici chiamano programma narrativo (in termini greimasiani, la sequenza di azioni intraprese da un Soggetto modalizzato per congiungersi o per disgiungersi dal proprio Oggetto di valore), dove il programma narrativo degli strutturalisti appare come lo sbocco testuale di un meccanismo cognitivo soggiacente. Unesperienza (poniamo, lesperienza di una battuta di caccia) viene filtrata
Gli esseri umani sono ipersensibili allagentivit, forse perch meno rischioso scambiare un ramoscello per un serpente che viceversa, suggerisce Brian Boyd (2009: 137). 9 Un esempio interessante fornito da H. Porter Abbott (2003), il quale ha osservato che la predisposizione umana a interpretare il mondo in chiave narrativa responsabile delle difficolt che incontriamo nel comprendere e nellaccettare quelle teorie scientifiche che resistono a una concettualizzazione di tipo antropomorfizzante. Abbott cita il caso della teoria darwiniana della selezione naturale, erroneamente letta da molti in senso teleologico (e dunque narrativo), come se coinvolgesse dei soggetti (le specie) che, manipolati da forze superiori (le leggi della natura), siano attivamente protesi verso lobiettivo di sopravvivere e di affermarsi in quanto specie (cfr. la pi recente teoria del gene egoista). Al contrario, la teoria di Darwin esclude che vi sia una tensione narrativa nel processo che provoca levoluzione delle specie, in quanto la selezione naturale il risultato accidentale e cumulativo di una serie eventi casuali, e le specie non sono in alcun modo assimilabili a soggetti antropomorfi in lotta per la sopravvivenza. Da questo punto di vista, le diverse varianti della teoria creazionista che riconducono le leggi della natura al disegno intelligente di una qualche entit divina o trascendente hanno un notevole vantaggio narrativo rispetto alla teoria darwiniana. 10 Si potrebbe obiettare che lenfasi posta sullazione intenzionale di un soggetto orientato al perseguimento dei propri obiettivi sia prerogativa del pensiero occidentale (per il quale sono centrali i concetti di volont, di libero arbitrio, di responsabilit e di colpa individuali), mentre in altre culture lagentivit stemperata o comunque diversamente definita. Lo dimostrerebbero, tra laltro, le tradizioni narrative (come quella Pitjantjatjara degli aborigeni australiani) in cui non sembra esservi posto per agenti umani o antropomorfi intenti a risolvere problemi (si veda la voce Australian Aboriginal Narrative della Routledge Encycolpaedia of Narrative Theory). Bench interessantissima, la questione non pu essere affrontata adeguatamente nello spazio di queste pagine.
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attraverso schemi cognitivi elementari lossatura attanziale di ogni progetto che le conferiscono una forma narrativa: per andare a caccia ci siamo equipaggiati di armi, abbiamo scrutato le impronte dellanimale sul terreno, abbiamo inseguito la traiettoria della preda, abbiamo affrontato varie difficolt, le abbiamo risolte cos e cos ecc. Tale struttura di dati viene registrata in memoria, orientando le aspettative e i comportamenti successivi di colui o colei che lha memorizzata. Nel momento in cui il progetto viene comunicato detto, mimato, scritto, o registrato su un qualsivoglia supporto espressivo esso assume le sembianze testuali di un racconto, come tale accessibile ad altri (e analizzabile dai narratologi strutturali). Il che beninteso non esclude che un progetto possa essere ricavato non dallesperienza diretta, bens dallinterpretazione di altri testi, passando attraverso il filtro del racconto di esperienze altrui. La capacit di formulare progetti e di metterne alla prova ladeguatezza una facolt adattiva che, mentre rende pi prevedibile lambiente, permette allindividuo di esercitare un controllo sulla realt circostante, economizzando sulle risorse cognitive necessarie per interagire con essa. Il progetto cos inteso un pacchetto di informazioni, registrato in memoria, che comprime in una sequenza narrativa il decorso di una situazione problematica gi esperita (da qualcuno) in passato. Naturalmente lefficacia previsionale di un progetto dipende molto dalla flessibilit con cui questo viene adattato a circostanze inattese, come insegna il tragico caso del tacchino induttivista il quale, avendo registrato che ogni mattina il contadino distribuiva il mangime, la mattina del giorno del Ringraziamento si affrett ad andargli incontro.11

4. Indicizzare le storie Immaginiamo che la visione del cartone animato di Heider-Simmel ci faccia venire in mente la trama dei Promessi sposi (sotto il profilo della persecuzione di due innamorati da parte di un prepotente respinto). Lesperienza attuale viene interpretata alla luce del repertorio di storie a noi note che trattano dello stesso argomento. In termini informatici, diremmo che il cartone animato e il romanzo di Manzoni vengono registrati nella stessa directory. Posto che la capacit di ripescare unesperienza passata rilevante che permetta di conferire senso allesperienza nuova sta alla base del comportamento intelligente (Schank, 1990: 2), diversi psicologi, linguisti e studiosi di Intelligenza Artificiale si sono interrogati sui meccanismi che ci consentono di tradurre descrizioni di eventi nuovi in etichette con le quali recuperare la memoria di eventi passati. Lipotesi di lavoro che le esperienze vengano segmentate ed etichettate in modi molteplici per essere memorizzate in una variet di directories. Le etichette fungo11

La storia del tacchino induttivista (che circola in varie versioni) viene attribuita a Bertrand Russell ed stata poi ripresa da Karl Popper.

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no da ganci per arpionare il ricordo di storie rilevanti ai fini della comprensione di esperienze attuali (inclusa la lettura di nuove storie). Senza questi ganci, tutte le conoscenze stipate in memoria sarebbero irrecuperabili e dunque prive di qualsiasi utilit. A tale proposito Roger Schank (1990) parla di indicizzazione [indexing] delle storie: mentre leggiamo una storia, la cataloghiamo (=indicizziamo) sotto diversi profili, corrispondenti ad altrettanti ganci mnemonici, disponibili per creare collegamenti con altre storie ed esperienze. Alcuni indici riguardano i temi attorno a cui ruota la storia, altri pertinentizzano gli obiettivi perseguiti dai protagonisti, i mezzi di cui si avvalgono per raggiungerli, gli ostacoli che incontrano, gli esiti delle loro azioni o, infine, il messaggio (la morale) che si pu estrapolare dalla storia complessivamente intesa. Lintelligenza dellinterprete afferma Schank sta nella sua abilit di recuperare una storia pertinente che si abbini in modo non scontato allesperienza attualmente interpretata.12 Labbinamento inedito provoca contraccolpi cognitivi sia sullinterpretazione dellesperienza attuale (che si carica di alcuni degli attributi della storia evocata), sia sulla rappresentazione della storia stessa, nella quale vengono incorporati elementi nuovi e possibili varianti.13 Supponiamo ora che un amico ci racconti delle sue disavventure professionali: da anni in attesa di una promozione ma, nonostante limpegno e le capacit che quotidianamente dimostra, i datori di lavoro non gli riconoscono i meriti che ritiene di avere. Al contrario, lo sottopongono a vessazioni continue che stanno minando la fiducia che un tempo aveva in se stesso, erodendone lantica spavalderia. Il modo pi ovvio per indicizzare il racconto di ascriverlo alla categoria sociologica del mobbing, la quale dischiude un archivio di storie aventi a che fare con analoghe angherie subite sul posto di lavoro, e con gli effetti psicologici talvolta devastanti che tali soprusi producono. Linterpretazione potrebbe fermarsi qui Schank osserva che, una volta individuata unetichetta pertinente, tendiamo a bloccare la ricognizione di altre storie se non fosse che il racconto dellamico
Quand che, nel corso di una conversazione, ci formiamo lopinione che il nostro interlocutore sia una persona intelligente? chiede Schank. Quando risponde in modo pertinente alle nostre storie, ossia quando giunto il suo turno di parola si ricollega in modo non banale e non irrilevante a quanto abbiamo appena finito di raccontargli. La scelta di una storia pertinente indica che linterlocutore ha colto un aspetto essenziale del nostro racconto, indicizzandolo e ricollegandolo a una delle storie del proprio repertorio. 13 Schank minimizza limpatto di una nuova storia sulle strutture mnemoniche permanenti di chi la riceve nel corso di una conversazione: la maggior parte delle volte, siamo semplicemente alla ricerca di storie con cui controbattere. Lo facciamo estraendo indici da ci che udiamo e impiegando tali indici per trovare storie che gi conosciamo. Quando le troviamo, il processo viene interrotto, e ci limitiamo ad aspettare che tocchi a noi raccontare la nostra storia. Le sole volte che incorporiamo ci che abbiamo sentito quando ci sembra che le nostre storie siano in qualche modo inadeguate, per esempio quando abbiamo limpressione che a esse manchi un pezzo. I pezzi mancanti possono essere forniti dalle storie altrui. Oppure la nostra storia ci pu apparire inadeguata quando la usiamo per esemplificare una credenza che non siamo sicuri di condividere. In questo caso siamo disposti a considerare nuove storie che confermino o che smentiscano tale credenza e, perci, tenderemo a registrarle e ricordarle meglio di altre storie (Schank, 1990: 79).
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ci fa tornare alla mente il resoconto che Hemingway fa (in Morte nel pomeriggio, 1932) delle tecniche impiegate durante le corride per indebolire il toro, tra cui quella di conficcargli nel dorso le banderillas che gli impediranno di alzare la testa quando il matador vibrer il colpo fatale altrimenti, lincornata del torero sarebbe inevitabile. Che cosa ha determinato questo accostamento insolito? La storia dellamico e, soprattutto, latteggiamento abbattuto con cui ce la racconta (tanto pi evidente quanto pi nitido il ricordo della sua precedente sfrontatezza) potrebbero avere attivato una rete di indici per esempio, abbassare la testa (nel senso di abbassare la cresta), mancanza di fair play, lotta impari, inflizione di handicap, abuso di potere che si abbinano bene con la storia del toro (perlomeno se, diversamente da Hemingway, riteniamo che la corrida costituisca una forma di tortura legalizzata). Avremmo cos creato un nuovo corto circuito cognitivo o, se vogliamo, una nuova sub-directory etichettabile come: la prepotenza istituzionalizzata pu piegare anche il pi fiero dei combattenti. Daltra parte, il paragone con il toro pu innescare considerazioni ulteriori circa i comportamenti del nostro amico, al di l dei tratti comuni che hanno reso possibile il confronto tra le due storie: forse, comportandosi da toro, egli non ha saputo elaborare strategie di sopravvivenza alternative rispetto alla carica frontale, forse si fatto abbindolare dalla muleta che gli veniva sventolata davanti, forse il suo temperamento orgoglioso gli ha impedito di capire il gioco degli avversari. Non si tratta di accostamenti estemporanei, frutto esclusivo di insondabili guizzi intuitivi. Per recuperare una storia pertinente, occorre che questa sia stata densamente indicizzata in precedenza, secondo il principio per cui quanto pi numerose sono le etichette con cui la storia stata catalogata, tanti pi saranno i ganci a cui attaccarsi nellinterpretazione di nuove storie. Ecco perch le storie su cui abbiamo rimuginato a lungo, e che perci abbiamo indicizzato in tanti modi diversi, giocano un ruolo centrale nelle nostre interpretazioni successive.14

5. Sviluppo dellintelligenza narrativa Lintelligenza consiste nel capire ci che accaduto abbastanza bene da essere in grado di prevedere quando potrebbe accadere di nuovo (Schank, 1990: 1). Si detto (nel 3) che la capacit di formulare progetti risponde a una importante funzione adattiva nella misura in cui contribuisce a rendere prevedibile lambiente e a risparmiare le risorse cognitive. In questo senso ancora piuttosto elementare, gli esseri umani non sono gli unici animali progettuali, poich altre specie sono capaci
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Ci spiegherebbe limportanza della lettura approfondita e reiterata dei racconti culturalmente canonici (fiabe e miti, parabole, testi sacri, classici della letteratura o del cinema): linterpretazione densa a cui questi racconti danno adito accresce a dismisura le possibilit di collegarli a una variet di situazioni differenti, fornendo al contempo un repertorio narrativo a cui i membri della collettivit possono attingere per dare senso alle proprie esperienze.

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di attingere alla propria memoria episodica per recuperare dati pertinenti e applicarli alla soluzione di problemi attuali. Chiunque abbia familiarit con cani o gatti sa bene che questi, una volta appresa una sequenza di azioni dimostratasi efficace al fine del raggiungimento di un determinato obiettivo, tendono a riprodurla in circostanze analoghe per ottenere il medesimo risultato. Ma lintelligenza narrativa non si esaurisce nella facolt di recuperare strutture mnemoniche pertinenti per adattarle alla soluzione di problemi attuali. Un ulteriore giro di vite coincide con lacquisizione dellabilit di capire i progetti altrui. Quanto pi una specie fonda la propria sopravvivenza sulla cooperazione intra- (e talvolta inter-) specifica, tanto pi marcata lesigenza di leggere le reciproche intenzioni e gli altrui stati mentali; da qui, la funzione adattiva dellempatia di cui molto si occupano gli psicologi sociali. Senza addentrarci nelle pi recenti spiegazioni neuroscientifiche che ascrivono lempatia allattivazione dei neuroni specchio,15 la capacit di fare lesperienza di cosa provano gli altri consente a chi la possiede non solo di inferire, ma addirittura di esperire con il proprio corpo le emozioni, le intenzioni e i desideri altrui a partire dallosservazione di fenomeni somatici talvolta microscopici come unespressione fugace del volto, un gesto appena percettibile, un rapido movimento oculare o un tono della voce. Sento che la voce del mio amico si incrina e avverto la sua agitazione con il corpo prima ancora che con il ragionamento consapevole. Non si tratta di una prerogativa esclusivamente umana, se vero che
molte specie di uccelli e di mammiferi possiedono i rudimenti di una cosiddetta teoria della mente, una comprensione degli altri in termini di obiettivi, intenzioni, e forse anche desideri. Ma gli esseri umani sembrano avere una teoria della mente particolarmente elaborata che ci permette di interpretarci lun laltro, e dunque di interpretare gli eventi sociali, in modo molto pi minuzioso [fine-grained] di qualsiasi altra specie (Boyd, 2009: 141).

La spiccata abilit umana di entrare in risonanza con i consimili crea le condizioni per un altro salto cognitivo: siamo equipaggiati per inferire non solo ci che gli altri provano e desiderano, ma anche ci che sanno o credono di sapere. Si tratta di una facolt che si acquisisce un po alla volta, come dimostra un altro classico esperimento (noto come Sally-Anne test) sulla comprensione delle false credenze. Con lausilio di due pupazzi (Sally e Anne, per lappunto), gli sperimentatori interpretano una scenetta: Sally e Anne giocano con una biglia; Anne nella stanza quando Sally ripone la biglia in un cestino; Anne esce dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle, e mentre fuori Sally sposta la biglia dal cestino a una scatola. Dove pensi che Anne andr a cercare la biglia quando torner nella stanza?. Sino ai quattro anni, i bambini rispondono nella scatola perch non distinguono an-

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Per approfondire la nozione di neurone specchio si rinvia a Rizzolatti-Fogassi-Gallese, 2001.

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cora tra le proprie credenze (io so che la biglia nella scatola) e le credenze altrui (Anne non pu sapere che la biglia stata spostata).

Sally-Anne test sulle false credenze

Crescendo, la capacit di attribuire credenze agli altri si affina e si complica. Come in un gioco di scatole cinesi, si impara a gestire false credenze di secondo (Sally crede che Anne pensi che), di terzo (Sally crede che Anne pensi che Sally creda che) e di quarto grado pare che oltre il quarto grado la mente umana vacilli. cos che si acquista dimestichezza con la compresenza di mondi possibili mutuamente incompatibili (Sally pensa che Anne pensi che x, mentre in realt Anne pensa che y e non sa che Sally pensa che lei pensi che x: intreccio degno di una pochade o di una commedia degli equivoci). Contemporaneamente subentra la possibilit di sganciare i progetti dalle pressioni ambientali contingenti. Ci si comincia a chiedere che cosa si proverebbe e che cosa si farebbe se ci si trovasse in un altro luogo, in altro tempo, in un altro corpo, afflitti da problemi diversi rispetto a quelli che si hanno qui e ora, e magari dotati di competenze differenti. Cosa si prova a essere un pipistrello?16 Dove sarei oggi se le cose fossero andate diversamente? Cosa succederebbe al mondo se i mari si prosciugassero? In altre parole, si impara a far finta che, simulando scenari controfattuali sulla falsariga del gioco, a volte senza un preciso scopo pratico se non il gusto di sperimentare mondi possibili alternativi rispetto a quello dellesperienza attuale. Moltiplicando le prospettive e le reciproche teorie della mente, e cimentandosi nella costruzione di piccoli mondi fittizi (da smontare e rimontare a
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Cfr. Nagel, 1986.

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piacimento), ciascuno a sua volta popolato di individui dotati di credenze, volizioni e speranze magari incompatibili tra loro, si acquisiscono abilit strategiche sempre pi raffinate che possono essere impiegate a scopi sia cooperativi, sia competitivi. Ma lescalation verso quello che Lev Vygotskij (1931) chiama lo sviluppo delle funzioni psichiche superiori non finisce qui. Non chiaro come ci avvenga (sebbene le ipotesi non manchino), tuttavia a un certo punto del suo sviluppo ontogenetico e, si presume, anche filogenetico lessere umano acquista la capacit di rimuginare sulla propria capacit di formulare progetti, di avere teorie della mente, di inscatolare credenze, di mentire, di concepire scenari controfattuali, nonch il meccanismo ricorsivo sulla propria capacit di rimuginare sulla propria capacit di fare tutte queste cose.

6. Le narrazioni come artefatti cognitivi Da molti ritenuta la caratteristica specie-specifica degli esseri umani, lattitudine alla meta-rappresentazione (che permette di riflettere ricorsivamente sulle proprie operazioni mentali) al centro di molto dibattito filosofico e neuro-psicologico contemporaneo. Un aspetto su cui le varie teorie tendono a concordare il riconoscimento di un nesso tra le funzioni psichiche superiori e la facolt del linguaggio. Se la mente umana lunica capace di concepire entit inesistenti o astratte, di affrancare i pensieri dallio-qui-ora, e di rappresentare se stessa mentre compie queste operazioni, tutto ci sembra legato a un altro tratto specie-specifico che ci contraddistingue, e cio alla capacit esclusivamente umana di elaborare e usare sistemi di simboli discreti (come le parole del linguaggio e, pi ancora, i simboli della scrittura) i quali, oltre a essere sganciati da qualsiasi rapporto necessario con i propri referenti, possono essere combinati ricorsivamente per generare uninfinit di possibili sintagmi, tra cui le stesse narrazioni. Le due propriet salienti dei simboli 1. la loro autonomia rispetto al referente, che ci permette di usarli per parlare di cose assenti, e 2. la possibilit di combinarli creativamente per creare sintagmi indefinitamente variabili si rispecchiano nella crescente complessit delle strutture cognitive, le quali, proprio in virt della dimensione simbolica che dischiudono, differenzierebbero lanimale umano da tutte le altre specie. Semmai il problema di capire quale venga prima: la crescente complessit delle strutture cognitive a far s che, superata una certa soglia evolutiva, la mente umana sia matura per elaborare gli strumenti simbolici, oppure luso del linguaggio prima, e della scrittura poi, a plasmare la mente, potenziandone a dismisura alcune capacit cognitive? Si direbbe che i due processi si alimentino a vicenda, e difatti diversi autori ne parlano in termini di co-evoluzione, un concetto sviluppato in particolare da Terrence Deacon (1997), secondo il quale levoluzione del linguaggio non avvenuta n dentro, n al di fuori del cervello, ma nellinterfaccia in cui i processi evolutivi della cultura influiscono sui processi evolutivi biologici (Deacon, 1997: 409). Semplificando in maniera brutale, la nicchia ambientale in

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cui si sarebbero riprodotti i nostri remotissimi antenati, sospinti dalla necessit di intensificare gli scambi con i propri simili, avrebbe favorito lo sviluppo di facolt comunicative sempre pi articolate; facolt che a loro volta avrebbero incoraggiato levoluzione di sistemi simbolici via via pi sofisticati, utili per comunicare con gli altri in modo flessibile ed efficiente. Al contempo, le pressioni sociali e ambientali avrebbero sollecitato un meccanismo adattivo (stimolato dalluso stesso dei sistemi simbolici, entrati a far parte di quellambiente) per effetto del quale le strutture mentali si sarebbero specializzate in senso simbolico, provocando ed essendo provocate da una ristrutturazione del cervello e un nuovo modo di percepire, rappresentare e interagire con il mondo. Mondo la cui configurazione viene costantemente intaccata dallazione degli umani, da sempre intenti a manipolare lambiente in cui si muovono allo scopo di piegarlo alle proprie esigenze:17 la presenza di stimoli creati accanto a quelli dati , a nostro parere, la caratteristica distintiva della psicologia delluomo (Vygotskij, 1931 [1960: 112]). Da tale vortice co-evolutivo scaturirebbe la cultura, intesa come linsieme di tutta linformazione non ereditaria e dei mezzi per la sua organizzazione e conservazione (Lotman e Uspenskij, 1973 [1987: 28]) senza cui lanimale umano, pi sprovveduto di un pulcino,18 sarebbe biologicamente inadatto a sopravvivere. Allinterno di un simile meccanismo retroattivo, dove lo sviluppo di ciascun elemento sistemi simbolici, strutture cognitive e ambienti culturali eleva a potenza lo sviluppo degli altri due, gli ambienti culturali si popolano di artefatti cognitivi, strumenti di pensiero creati dallazione umana per completare le capacit della mente, rafforzandone i poteri (cfr. Norman, 1993), nonch strumenti di comunicazione sociale tramite i quali esercitare influenza sugli altri e, in seconda battuta, su se stessi. Dalle pi elementari tecniche mnemoniche (dal nodo al fazzoletto in su) alle diverse tipologie di scrittura, dai sistemi di notazione logica e numerica (che potenziano le capacit di calcolo logico) alle mappe (che affinano labilit di orientarsi nello spazio) o ai dispositivi di misurazione (che ottimizzano la facolt di stimare, calcolare e prevedere le distanze spaziali e temporali), gli esseri umani si equipaggiano di una variet di risorse culturali, artificialmente create per risolvere determinati compiti psicologici (ricordare, paragonare, comunicare, scegliere, calcolare, e cos via).
Per rozza analogia con il rapporto di condizionamento reciproco che lega lartefatto linguistico al cervello, Alessandro Zijno (comunicazione personale) ha suggerito di pensare al rapporto tra il labbro di Louis Armstrong e il bocchino della sua tromba. Da una parte il labbro si progressivamente modellato sulla forma del bocchino, deformandosi; ma dallaltra presumibile che Armstrong abbia selezionato bocchini che assecondassero la forma del suo labbro. In un improbabile mondo in cui la sopravvivenza della specie fosse esclusivamente legata alla performance musicale la creazione di una nicchia culturale corredata di trombe alla Louis Armstrong favorirebbe, alla lunga, la proliferazione di individui naturalmente dotati della protuberanza labiale richiesta dalluso di quel particolare tipo di strumento. Cos per il linguaggio: in una nicchia ambientale che mette a disposizione di chi la abita un abbozzo di strumento linguistico, con tutti i vantaggi adattivi che esso comporta (interpretare le intenzioni altrui, costruire spazi di azione comune ecc.), gli individui equipaggiati di un hardware cognitivo predisposto al pensiero simbolico hanno pi possibilit degli altri di perpetuarsi. 18 Lespressione di Vygotskij, 1931.
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Da questo punto di vista gli artefatti cognitivi sono segni (o testi) intenzionalmente emessi che funzionano alla maniera di qualsiasi strumento, nella misura in cui mirano a modificare lambiente in funzione di determinati scopi: come il bastone impiegato alla stregua di una protesi per afferrare la banana sul ramo alto dellalbero, cos i segni artificiali consentono di raggiungere per via indiretta obiettivi altrimenti inaccessibili. Con la rilevante differenza, gi segnalata da Vygotskij, che mentre lo strumento [tende] a proporsi la modificazione di qualche cosa nella situazione esterna, la funzione del segno consiste soprattutto nel mutare qualche cosa nella reazione o nel comportamento delluomo stesso (Vygotskij, 1931 [1960: 177]). In altre parole, gli artefatti cognitivi istituiscono dallesterno nuovi nessi nel cervello, sollecitando gli individui ad attivare e a sviluppare le competenze di cui alla nascita essi dispongono solo virtualmente. Sottoposti agli stimoli comunicativi che provengono dallambiente sociale in cui sono calati, gli umani acquisirebbero per via di trasmissione culturale le abilit di ricordare, paragonare, calcolare, scegliere, astrarre, eccetera, alle quali sono potenzialmente predisposti, ma che richiedono input ambientali specifici per essere attivate: la funzione comunicativa del linguaggio determinerebbe perci la sua funzione cognitiva, in un movimento dallesterno allinterno che secondo Vygotskij caratterizza lo sviluppo ontogenetico e filogenetico dellessere umano.19 Tra i diversi artefatti cognitivi di cui impregnato lambiente culturale in cui nasciamo e ci moltiplichiamo, le narrazioni rappresentano un caso al contempo esemplare e particolarissimo. Esemplare perch, come dimostra la diffusione pressoch universale dei racconti nelle societ umane, questo modo di organizzare e trasmettere i dati dellesperienza ci particolarmente congeniale, al punto da far supporre che la narrativit intesa come modo di pensiero si sia co-evoluta con le narrazioni stesse. Particolarissimo perch, diversamente da altri artefatti tendenzialmente monofunzionali (come i calcoli aritmetici o le proiezioni cartografiche), i racconti assolvono una variet di funzioni differenti, seppure strettamente interconnesse. David Herman (2009) ne identifica cinque: 1. segmentazione (chunking) del flusso dellesperienza in unit delimitate, classificabili e dunque pi facilmente riconoscibili e memorizzabili (cfr. i meccanismi di indicizzazione di cui si parlato nel 4); 2. assegnazione di relazioni causali tra avvenimenti (cfr. 1);

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A riprova di ci, Vygotskij ha osservato in disaccordo con Piaget come il linguaggio egocentrico che accompagna le attivit solitarie dei bambini dai tre ai sei anni, e che prelude allinstaurarsi del linguaggio interno (non sonoro e autodiretto) tipico del pensiero adulto, ricalchi la struttura del linguaggio esterno (sonoro ed eterodiretto) a cui i bambini vengono sottoposti sin dalle loro prime interazioni comunicative. Se ne pu desumere che lo sviluppo delle funzioni cognitive proceda dal linguaggio esterno al linguaggio egocentrico (quando il bambino si appropria delle forme sociali del linguaggio esterno e le trasferisce su se stesso) e, da l, al linguaggio interno, inteso come dialogo interiore e strumento del pensiero. La conclusione di Vygotskij che tutte le funzioni psichiche superiori rappresentano relazioni sociali interiorizzate (Vygotskij, 1931 [2009: 212]).

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3. gestione dei problemi attraverso la tipologizzazione dei fenomeni, grazie alla quale le esperienze attuali possono essere sussunte sotto schemi parzialmente familiari (cfr. la funzione previsionale dei progetti e delle sceneggiature); 4. organizzazione dei comportamenti in sequenze, cos da orientare il modo in cui i membri di una comunit interpretano i comportamenti propri e altrui, attivando aspettative circa la condotta che da considerarsi normale consueta, accettabile, efficace in determinate circostanze, nonch gli effetti possibili delle trasgressioni di un implicito standard sociale; 5. distribuzione dellintelligenza tra gruppi, secondo il principio per cui il racconto costituisce uno strumento per moltiplicare e specificare le prospettive da assumere in un determinato sistema di avvenimenti e insieme rappresenta una valida procedura di arricchimento del repertorio di eventi passati, preseti e futuri (possibili) alla base della conoscenza umana (Herman, 2009: 127). A queste funzioni se ne potrebbero aggiungere altre: incapsulare le esperienze traumatiche in formati narrativi che la memoria in grado di archiviare e di gestire con relativa facilit; allenare la mente a slegare le rappresentazioni mentali dalla datit percettiva, concepire scenari controfattuali, a intrattenere pi progetti (e dunque pi rappresentazioni alternative) nel proprio ambiente cognitivo, ad amalgamare storie distinte in ununica rappresentazione (cfr. Turner, 2003) e, in generale, ad affinare le proprie capacit strategiche. Last but not least, le narrazioni svolgono la funzione cruciale per una specie che fonda la propria sopravvivenza sulla cooperazione sociale di sollecitare lempatia, di fare lesperienza di ci che provano gli altri, di creare spazi di azione condivisa.20

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Si leggano, a tale proposito, le acute riflessioni di Luca Berta 2009 e 2010 sulla corporeit postsimbolica.

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