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FISICA TECNICA AMBIENTALE

G. V. Fracastoro
progetto
didattica in rete
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Politecnico di Torino, maggio 2003
Dipartimento di Energetica
Fisica Tecnica Ambientale
Parte I: termodinamica applicata

G.V. Fracastoro
otto editore
PARTE I
termodinamica applicata
WWW.POLITO.IT
Giovanni Vincenzo Fracastoro
Fisica Tecnica Ambientale
parte I - termodinamica applicata
Prima edizione maggio 2003
vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuato, compresa la
fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata.
INDICE
1. Introduzione alla termodinamica e propriet delle sostanze 5
1.1. Denizioni fondamentali . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
1.2. Equilibrio, stato e trasformazione . . . . . . . . . . . . . 6
1.3. Reversibilit ed irreversibilit . . . . . . . . . . . . . . . 8
1.4. Lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12
1.5. Calore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14
1.6. Sostanze pure e loro fasi . . . . . . . . . . . . . . . . . 15
1.7. Transizione liquido-vapore . . . . . . . . . . . . . . . . 18
1.8. I gas ideali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21
2. I Principi della Termodinamica 23
2.1. Primo principio della termodinamica . . . . . . . . . . . 23
2.2. Primo principio della termodinamica per i sistemi aperti . 27
2.3. Secondo principio della termodinamica . . . . . . . . . . 31
2.4. Secondo principio per i sistemi aperti ed exergia . . . . . 37
2.5. Equazioni di Gibbs e conservazione dellenergia meccanica 39
2.6. Trasformazioni termodinamiche . . . . . . . . . . . . . 41
2.7. Riepilogo equazioni fondamentali . . . . . . . . . . . . 42
3
3. Applicazioni: Macchine termiche 43
3.1. Le macchine termiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43
3.2. Macchine a ciclo diretto . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43
3.3. Macchine a ciclo inverso . . . . . . . . . . . . . . . . . 46
3.4. Cogenerazione e trigenerazione . . . . . . . . . . . . . . 49
4. Applicazioni: aria umida 53
4.1. Propriet dellaria umida . . . . . . . . . . . . . . . . . 53
4.2. Il diagramma di Mollier per laria umida . . . . . . . . . 56
4.3. Trasformazioni dellaria umida . . . . . . . . . . . . . . 59
4
1. INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA E
PROPRIET DELLE SOSTANZE
1.1. DEFINIZIONI FONDAMENTALI
La Termodinamica studia lenergia posseduta e scambiata dai corpi nelle sue varie
forme e le trasformazioni di energia da una forma allaltra che hanno luogo durante i
processi a cui i corpi sono sottoposti. Le leggi della Termodinamica costituiscono le
restrizioni di carattere generale alle quali tali trasformazioni devono soggiacere.
La prima di tali leggi, come vedremo, riette losservazione di un fatto sperimen-
talmente accertato, e cio che lenergia si conserva. Lenergia gode dunque della
propriet di conservazione ed possibile pertanto dire che essa esiste in quanto
si conserva.
Occorre a questo punto denire loggetto la cui energia si conserva. Tale oggetto,
a cui daremo il nome di sistema termodinamico, una porzione nita di spazio,
caratterizzata da un volume e da una massa costanti o variabili, ma identicabili in
ogni istante. Il sistema separato dallambiente esterno da un contorno, il quale pu
consentire o no il passaggio da o verso il sistema di energia e di massa. Linsieme di
sistema + ambiente esterno costituisce luniverso. Se il contorno non lascia passare n
energia n massa il sistema detto isolato; se lascia passare solo energia, chiuso; se
lascia passare energia e massa detto aperto.
5
1. INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA E PROPRIET DELLE SOSTANZE
opportuno distinguere fra due tipi di energia:
quella posseduta dal sistema
quella in transito attraverso il suo contorno.
Per quel che riguarda lenergia posseduta da un sistema si possono citare, ad esempio,
lenergia che risulta dalla posizione (energia potenziale) e dalla velocit (energia
cinetica) del sistema, e lenergia interna, associata alle propriet interne del sistema,
di cui si riparler in seguito.
Lenergia che attraversa il contorno pu essere di due tipi: lavoro (L) e calore (Q).
Quando vi scambio di lavoro, esiste una forza applicata sul contorno del sistema, il
cui punto di applicazione subisce uno spostamento. Quando attraverso il contorno del
sistema vi scambio di calore, a livello macroscopico si osserva che vi sempre una
differenza di temperatura fra il sistema e lambiente circostante e che il calore, come
si vedr, ha un verso preferenziale non invertibile.
interessante osservare che, una volta trasferiti al sistema, calore e lavoro risultano
del tutto indistinguibili.
1.2. EQUILIBRIO, STATO E TRASFORMAZIONE
Per denire lo stato termodinamico di un sistema necessario introdurre il
concetto di equilibrio: un sistema si dice in equilibrio quando incapace di
cambiamenti spontanei.
Lequilibrio pu essere meccanico, termico o chimico. Un sistema isolato raggiunge
dopo un certo periodo di tempo una condizione di equilibrio interno ed esterno con
lambiente circostante.
In condizione di equilibrio il sistema pu essere descritto attraverso il suo stato
termodinamico, ovvero la totalit delle propriet macroscopiche associate al sistema
in quelle condizioni.
6
1. INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA E PROPRIET DELLE SOSTANZE
Si deniscono intensive le propriet che non dipendono dalla massa, come, ad
esempio, temperatura e pressione. Viceversa, le propriet che dipendono dalla massa,
come il volume, sono dette estensive. Se riferite allunit di massa, le propriet
estensive vengono dette speciche e come tali divengono intensive.
Lo stato di un sistema termodinamico semplice, ovvero una sostanza uida omogenea
formata da una sola specie chimica e nella quale possono essere trascurati fenomeni
elettrici, magnetici, gravitazionali, etc., viene spesso denito attraverso le tre propriet
(dette anche coordinate termodinamiche) pressione (p), volume (V ) e temperatura
(T). Si parla in questo caso di sistemi pVT. La relazione che lega le coordinate
termodinamiche di un sistema in equilibrio si chiama equazione di stato. Per un
sistema pV T essa espressa analiticamente da unequazione del tipo:
f (p, V, T ) = 0
1
.
Quando un sistema si allontana dalle condizioni di equilibrio si dice che esso subisce
una trasformazione termodinamica, durante la quale le sue propriet termodinamiche
cambiano nch non si raggiungono nuove condizioni di equilibrio. Una trasfor-
mazione si dice ciclica (o semplicemente ciclo) quando gli stati iniziale e nale
coincidono.
Pressione
La pressione, come si ricorder, la forza esercitata sullunit di supercie. La sua
unit di misura nel Sistema Internazionale (S.I.) dunque N/m
2
, ovvero pascal (Pa).
Trattandosi di una grandezza impiegata in molte discipline diverse, sono presenti
e ancora spesso usate molte altre unit di misura non S.I.: latmosfera (atm), il
millimetro di colonna di mercurio (mm Hg), il millimetro di colonna dacqua (mm
H
2
O), il bar, etc. I fattori di conversione da una unit allaltra sono riportati di seguito:
1 atm = 760 mmHg = 10332 mmH
2
O = 1.01325 bar = 101325 Pa
1
Un esempio lequazione di stato dei gas ideali: pV = nRT, di cui si parler nel paragrafo 1.8.
7
1. INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA E PROPRIET DELLE SOSTANZE
Temperatura
Il Principio zero della Termodinamica afferma che due corpi, ognuno in equilibrio
termico con un terzo, sono in equilibrio termico fra di loro. Tale principio pu essere
riformulato affermando che due corpi sono in equilibrio termico se hanno la stessa
temperatura, e permette di introdurre dunque la seguente denizione assiomatica della
temperatura:
esiste una grandezza di stato detta temperatura che assume
lo stesso valore in due corpi in equilibrio termico fra di loro.
La scala termometrica di uso pi comune la scala Celsius, denita inizialmente
attraverso due punti ssi (la temperatura di fusione del ghiaccio e quella di ebollizione
dellacqua) a cui attribuisce i valori rispettivamente di 0

C e 100

C. Ne risulta
che 1

C (grado celsius) corrisponde alla centesima parte dellintervallo fra i due


punti ssi sopra citati. Per rendere indipendente dalla sostanza la denizione della
scala termometrica stata introdotta la scala della temperatura termodinamica, che
nel sistema S.I. la scala Kelvin. Attraverso considerazioni basate sul Secondo
Principio della Termodinamica e il funzionamento di un motore termico essa permette
di denire i rapporti fra le temperature assolute dei corpi. Per denire in modo
completo lunit di misura della temperatura, detta kelvin (K), se ne denito lo zero,
che coincide con la temperatura pi bassa raggiungibile in asssoluto, e si attribuito
il valore di 273.16 K (corrispondenti a 0.01

C) alla temperatura assoluta del punto
triplo dellacqua. Si ha dunque la relazione: T(K) = T(

C) +273.15.
1.3. REVERSIBILIT ED IRREVERSIBILIT
Se una trasformazione caratterizzata da una successione innita di stati che tendono
allequilibrio (il che richiede che la trasformazione sia innitamente lenta), ad ognuno
dei quali corrisponde un ben preciso insieme di coordinate termodinamiche, essa viene
detta reversibile.
Perch dunque una trasformazione possa essere detta reversibile necessario che
la differenza fra forze motrici e resistenti, come anche la differenza di temperatura
8
1. INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA E PROPRIET DELLE SOSTANZE
fra il sistema e lesterno, siano innitamente piccole, e dunque siano piccole le
accelerazioni (variazioni di energia cinetica) e innitamente lenti gli scambi di calore.
Per illustrare la differenza fra reversibilit ed irreversibilit si pu esaminare il
seguente problema (Problema di Zemansky).
Problema di Zemansky
Si abbia un cilindro che racchiude un gas in equilibrio termico, meccanico e chimico
interno e con lambiente esterno (Fig. 1.1 - Caso a). Il pistone che lo sovrasta esercita
una forza F
1
equilibrata dalla pressione del gas ed dunque fermo nella posizione z
1
;
inoltre il sistema in equilibrio termico con lambiente esterno, considerato come un
termostato, ovvero un corpo capace di cedere o ricevere calore senza che vari la
sua temperatura.
Caso a
Alla stessa altezza z
1
del pistone si abbia un peso (F
2
F
1
) > 0. Posando il peso
(F
2
F
1
) sul pistone ci si allontana dalle condizioni di equilibrio. Il pistone accelera
verso il basso e si ferma oscillando nella posizione z
2
. Durante il moto il gas tende a
scaldarsi, non soltanto perch viene compresso, ma anche a causa degli attriti interni e
della viscosit del gas; per riportarsi in equilibrio termico cede una quantit di calore Q

allambiente esterno. In questa fase inoltre lambiente esterno ha compiuto un lavoro


positivo:
L = F
2
(z
1
z
2
)
z
1
z
2
z
2
F
2
-F
1
F
1
F
2
-F
1
F
1
F
2
z
F
F
2
F
1
z
1
z
2
L"
L'
Fig. 1.1 Problema di Zemansky e relativo diagramma (F, z) - Caso a.
9
1. INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA E PROPRIET DELLE SOSTANZE
Rimovendo il peso il pistone si risolleva no al livello z
1
assorbendo una quantit di
calore Q dallambiente, pari a quella necessaria per compensare il raffreddamento
dovuto allespansione meno quello che vi viene introdotto a causa degli attriti. Si ha
pertanto:

>

Inoltre lambiente esterno ha compiuto un lavoro:


L

= F
1
( z
1
z
2
)
Al termine delle due trasformazioni si osserva che il sistema si ritrova nelle condizioni
iniziali (ha cio subito una trasformazione ciclica), e che lambiente esterno:
ha ricevuto una quantit netta di calore

> 0
ha compiuto un lavoro netto: L

+ L

= (F
2
F
1
) ( z
1
z
2
)
Si osservi che il lavoro netto proprio pari alla perdita di energia potenziale del peso,
e dunque dellambiente esterno, che non pi nelle condizioni iniziali.
Caso b
Si pu ora ripetere loperazione prelevando gradualmente da n livelli diversi n pesi
uguali, pari ciascuno a ( F
2
F
1
) /n (si veda gura 1.2, in cui si posto, a titolo di
esempio, n = 3). Il livello di posizionamento di ogni pesino sar scelto in modo da
farlo coincidere con laltezza raggiunta dal pistone allequilibrio dopo laggiunta del
pesino precedente.
Si osserva innanzitutto che la somma delle quantit di calore assorbite dallambiente
tende a uguagliare la somma di quelle cedute (perch si riducono le dissipazioni).
Inoltre facile dimostrare che il lavoro netto effettuato dallambiente (pari al lavoro
globale di compressione meno il lavoro globale di espansione) vale:
F
2
F
1
n
(z
1
z
2
) ,
pari alla variazione di energia potenziale di uno dei pesini dal livello z
1
al livello z
2
, e
tendente a zero quando n .
10
1. INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA E PROPRIET DELLE SOSTANZE
z
1
z
2
F
1
z
2
F
2
-F
1
F
1
F
2
F
2
-F
1
F
F
2
F
1
z
1 z
2
L"
L'
z
Fig. 1.2 Problema di Zemansky e relativo diagramma (F, z) - Caso b.
immediato concludere che per n la forza esterna tende ad essere in ogni istante
eguagliata dalla pressione interna e le accelerazioni del pistone tendono a zero. Le
trasformazioni divengono cos reversibili.
Conclusioni di carattere generale
Le conclusioni di carattere generale che si possono trarre dallesperienza sopra
descritta sono molteplici:
se il processo reversibile lo stato del sistema noto in ogni fase del processo
e le energie scambiate possono essere determinate attraverso le sole variabili
di stato del sistema;
la successione di due trasformazioni reversibili invertite ripristina sia le
condizioni del sistema che quelle dellambiente esterno;
le irreversibilit riducono sempre lefcienza di un processo. Pertanto un
processo reversibile rappresenta una astrazione che pone un limite superiore
al lavoro che pu essere ottenuto da un processo e pone un limite inferiore al
lavoro richiesto per compiere un processo.
11
1. INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA E PROPRIET DELLE SOSTANZE
Una trasformazione reversibile pu dunque essere denita come una successione
di stati di equilibrio, in cui le variabili intensive interne uguagliano quelle esterne.
Ad ognuno di questi stati corrisponde un certo numero di propriet macroscopiche
(coordinate termodinamiche) che d luogo ad un punto su un diagramma di stato.
Linsieme dei punti che descrive levolversi degli stati di equilibrio d luogo a sua
volta ad una curva che descrive in forma graca la trasformazione.
Se invece la trasformazione irreversibile gli stati intermedi non sono stati di
equilibrio e non possono essere caratterizzati da valori deniti delle coordinate
termodinamiche, e dunque soltanto gli estremi della trasformazione possono essere
rappresentati su un diagramma di stato.
1.4. LAVORO
Come si detto, il lavoro scambio di energia dovuto allazione di una forza
(generalizzata), il cui punto di applicazione subisce uno spostamento (generalizzato).
Ne sono esempi lo spostamento di un pistone, la rotazione di unelica collegata
ad un albero, una corrente elettrica che percorre un conduttore che attraversa il
contorno del sistema. I sistemi termodinamici chiusi scambiano lavoro con lesterno
prevalentemente attraverso variazioni di volume. Un esempio classico un uido
contenuto in un cilindro a pareti rigide, ma chiuso da un pistone scorrevole, il cui
moto denota lo scambio di lavoro. In questo caso si parla di lavoro termodinamico
o lavoro di variazione di volume (L). I sistemi aperti hanno invece, in genere, il
contorno rigido e scambiano lavoro con lesterno attraverso sistemi collegati ad un
albero ruotante (turbine, compressori, ventilatori). In questo caso si parla di lavoro
allasse o lavoro interno (L
i
). Di questultimo si parler pi approfonditamente nel
CAPITOLO 2.
Il lavoro termodinamico compiuto da un sistema sotto lazione di una forza
esterna F vale:
L =


F ds 1.1
12
1. INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA E PROPRIET DELLE SOSTANZE
in cui il segno meno imposto dalla convenzione che in Termodinamica si considera
positivo il lavoro compiuto dal sistema.
Se la trasformazione reversibile la pressione interna uguaglia continuamente la forza
F e dunque:
L
rev
=

p A ds =

p dV 1.2
Se invece la trasformazione irreversibile il lavoro sar sempre minore di L
rev
se
L > 0 e maggiore in valore assoluto di L
rev
se L <0. Ovvero:
L = L
rev
L
w
=

p dV L
w
1.3
in cui L
w
rappresenta il lavoro perso per irreversibilit.
Riportando la trasformazione su un diagramma (p, V ), noto come diagramma di
Clapeyron, il lavoro pari allarea sottostante la trasformazione stessa. Poich la
pressione sempre positiva, il lavoro ha lo stesso segno di dV.
Si osservi che nel caso di uno spostamento innitesimo della forza esterna il lavoro
innitesimo compiuto non rappresenta il differenziale esatto di una funzione L, ma
una quantit innitesima di lavoro e dunque va indicato con un simbolo diverso da
quello di differenziale (L anzich dL).
Una ovvia conseguenza di ci che il lavoro compiuto fra due stati estremi dipende
dalla trasformazione compiuta e non soltanto dagli stati estremi, come si desume dalla
gura 1.3.
a. L
if
=

i1f
p dV = p
1
(V
f
V
i
)
b. L
if
=

i2f
p dV = p
2
(V
f
V
i
)
Nel caso di trasformazione ciclica (c) il lavoro complessivo uguale allarea del ciclo;
maggiore di zero se percorso in senso orario (macchina termica); minore di zero se
percorso in senso antiorario (macchina frigorifera o pompa di calore).
13
1. INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA E PROPRIET DELLE SOSTANZE
p
V
p
V
p
V
i i
f f
L>0
1
2
(a) (b) (c)
Fig. 1.3 Valutazione graca del lavoro sul diagramma (p,V).
1.5. CALORE
Come detto in precedenza, a livello macroscopico il calore energia in transito per
effetto di una differenza di temperatura.
Il calore, come il lavoro, non una propriet del sistema, ma funzione della
trasformazione seguita. Il simbolo Q non indica pertanto il differenziale esatto di
una funzione Q dello stato termodinamico di un sistema, funzione che non esiste, ma
una quantit innitesima che, integrata, d una quantit nita.
Convenzionalmente viene considerato positivo il calore fornito al sistema.
Si denisce capacit termica la quantit di calore necessaria per elevare di un grado la
temperatura di un determinato corpo. Poich la capacit termica in genere funzione
della temperatura, conviene esprimerla come:
C =
Q
dT
1.4
Poich Q dipende dal tipo di trasformazione, la capacit termica sar in genere
diversa per ogni tipo di trasformazione. Ad esempio:
C
p
=

Q
dT

p
per una trasformazione a pressione costante (isobara)
C
v
=

Q
dT

v
per una trasformazione a volume costante (isocora)
14
1. INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA E PROPRIET DELLE SOSTANZE
Per esprimere le caratteristiche di una sostanza conviene riferire la capacit termica
allunit di massa. Si indicher questa quantit, detta capacit termica massica o
calore specico, con la lettera c minuscola.
1.6. SOSTANZE PURE E LORO FASI
Per sostanza pura si intende una sostanza la cui composizione chimica la stessa in
tutta la massa. Laria e lacqua sono, ad esempio, sostanze pure, mentre non lo
una miscela di olio e acqua. Una miscela di due o pi fasi di una stessa sostanza (ad
esempio, acqua e ghiaccio) ancora una sostanza pura.
Come noto, una sostanza pu trovarsi in natura in fase solida, liquida o gassosa
(detta anche aeriforme). Nel primo caso le molecole sono molto vicine fra loro
e si dispongono secondo un reticolo tridimensionale che, per lequilibrio esistente
fra forze repulsive e attrattive, pu essere considerato rigido. Nella fase liquida le
molecole non assumono pi una posizione ssa, ma restano vicine le une alle altre,
pur allontanandosi un po rispetto alla fase solida (tranne lacqua). Nella fase gassosa
o aeriforme le molecole si muovono liberamente e in modo disordinato luna rispetto
allaltra: le distanze sono grandi ed elevato il livello energetico delle molecole.
Regola delle fasi
La regola delle fasi di Gibbs consente di determinare il numero di variabili intensive
indipendenti (o gradi di libert) che consentono di descrivere lo stato termodinamico
di una sostanza qualunque. Essa pu essere formulata come segue:
f = n r +2 1.5
dove:
f = numero di gradi di libert
n = numero di componenti nel sistema
r= numero di fasi presenti
15
1. INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA E PROPRIET DELLE SOSTANZE
Dunque, per una sostanza pura (n = 1) si ha: f = 3 r. Ci signica che
se presente una sola fase sono sufcienti due variabili intensive indipendenti per
descrivere compiutamente lo stato termodinamico di un sistema, se sono presenti
due fasi (ad esempio, liquido e vapore) ne sufciente una, mentre, quando sono
presenti tutte e tre le fasi contemporaneamente, non vi sono gradi di libert. Pertanto
questultima situazione identica uno stato termodinamico, caratterizzato da una ben
precisa temperatura e pressione, detto punto triplo.
Un utile modo di rappresentazione delle relazioni esistenti nelle varie fasi fra pres-
sione, volume massico e temperatura dato dal diagramma tridimensionale riportato
in gura 1.4. Da esso si vede come esistano regioni dove la sostanza presente in
fase solida (S), liquida (L) e gassosa (G), ed altre regioni in cui due di queste fasi
coesistono: solido-gas (S-G), solido-liquido (S-L) e liquido-gas (L-G). Vi inoltre
una linea AB in cui sono presenti contemporaneamente tutte e tre le fasi (S-L-G).
Proiettando il diagramma tridimensionale di gura 1.4 sul piano (p, T ) la linea AB
si riduce al punto triplo e le regioni di compresenza di due fasi si riducono a delle
curve (g. 1.5).
Per lacqua il punto triplo corrisponde ad una temperatura di 273.16 K e una pressione
di 610.8 Pa.
Transizioni di fase
Particolare interesse hanno nella tecnica le transizioni di fase, perch esse mettono in
gioco grandi quantit di energia
2
.
Il passaggio solido liquido viene detto fusione o liquefazione e quello inverso
solidicazione.
Il passaggio liquido vapore viene detto vaporizzazione (a volte si parla
impropriamente di evaporazione e di ebollizione) e quello inverso condensazione.
2
Si pensi che lenergia necessaria per vaporizzare (far bollire) un litro dacqua 6 volte maggiore
di quella necessaria per scaldarlo da 0

C a 100

C.
16
1. INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA E PROPRIET DELLE SOSTANZE
Fig. 1.4 Diagramma (p,v,T) per una sostanza pura.
T
p
Punto triplo
Punto critico
liquefazione con
aumento di volume
vaporizzazione
sublimazione
liquefazione con
diminuzione di volume
SOLIDO
LIQUIDO
AERIFORME
Fig. 1.5 Diagramma (p,T) per una sostanza pura.
17
1. INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA E PROPRIET DELLE SOSTANZE
0
50
100
150
200
250
300
1.E-03 1.E-02 1.E-01 1.E+00 1.E+01
Volume massico, m
3
/kg
P
r
e
s
s
i
o
n
e
,

b
a
r
C
L"
L'
L
V"
V'
V
2
1
pressione critica
Fig. 1.6 Transizione isobara liquido-vapore sul diagramma di Clapeyron (acqua).
Al di sotto del punto triplo la fase liquida non esiste pi; il passaggio diretto solido
vapore viene detto sublimazione e quello vapore-solido sublimazione inversa.
1.7. TRANSIZIONE LIQUIDO-VAPORE
Vediamo adesso in maggior dettaglio ci che avviene nel passaggio da liquido a
vapore (e viceversa), descrivendo con lausilio del diagramma (p, v) i risultati di un
esperimento consistente nel riscaldare a pressione costante lunit di massa di una
sostanza, inizialmente in fase liquida (g. 1.6).
In un primo tempo si osserver un regolare aumento della temperatura (1 L) ed un
aumento quasi trascurabile del volume massico. Poi la temperatura rester costante e
si osserver un repentino aumento del volume massico (LV ). Inne, la temperatura
riprender a salire e con essa il volume massico (V 2). Nel processo (L V ) il
calore fornito serve a modicare lo stato di aggregazione della sostanza (cambiamento
di stato). I punti intermedi fra L e V non rappresentano un sistema omogeneo in una
18
1. INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA E PROPRIET DELLE SOSTANZE
unica fase, ma una miscela (uido bifase) composta da liquido saturo in condizioni L,
e da vapore saturo secco in condizioni V. Questa miscela viene detta vapore umido.
La temperatura a cui inizia il cambiamento di fase si chiama temperatura di
saturazione (o evaporazione o condensazione) alla pressione considerata.
Riassumendo:
1 L liquido sottoraffreddato (o semplicemente liquido)
L liquido saturo
L V vapore umido
V vapore saturo secco
V 2 vapore surriscaldato (gas)
Ripetendo lesperimento a pressioni diverse si possono costruire due curve:
la curva dei punti L = curva limite inferiore
la curva dei punti V = curva limite superiore
Continuando ad aumentare la pressione si raggiunge un valore p
C
(pressione critica)
per cui i punti L e V coincidono. La temperatura T
C
corrispondente si chiama
temperatura critica. Al di sopra di questi valori di temperatura e pressione, vapore
e liquido non possono pi coesistere in condizioni di equilibrio, n possibile
distinguere fra le due fasi: la sostanza detta genericamente uido.
Il calore necessario per far passare lunit di massa di una sostanza da una fase allaltra
detto calore di transizione di fase, o calore latente.
3
Nel caso del passaggio dallo stato di liquido saturo a quello di vapore saturo secco
detto calore di vaporizzazione (r). Nel passaggio inverso viene rilasciata una quantit
uguale di calore (calore di condensazione).
3
Latente (=nascosto), in quanto non associato ad una variazione di temperatura, e quindi non
sensibile.
19
1. INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA E PROPRIET DELLE SOSTANZE
0
50
100
150
200
250
300
1.E-03 1.E-02 1.E-01 1.E+00 1.E+01
Volume massico, m
3
/kg
P
r
e
s
s
i
o
n
e
,

b
a
r
C
Fig. 1.7 Andamento delle isoterme in coordinate (p,v) per lacqua.
Per lacqua a 100

C si ha: r
100
= 2257 kJ/kg. A 0

C si ha: r
0
= 2501 kJ/kg.
Analogamente, per il passaggio solido-liquido, si parla di calore di fusione (i) e di
solidicazione nel passaggio inverso.
Per lacqua a 0

C si ha: i
0
= 334 kJ/kg.
Nella zona del vapore umido sono presenti due fasi diverse (liquido e aeriforme);
esiste dunque, per la regola delle fasi 1.5, una sola variabile intensiva indipendente.
Pertanto p e T non sono fra loro indipendenti. Fissata la pressione, si avr un solo
valore di temperatura in corrispondenza del quale si verica la transizione di fase.
Landamento tipico delle isoterme in coordinate (p, v) rappresentato, a titolo di
esempio per lacqua, in gura 1.7.
In gura 1.8 le isoterme sono invece riportate in un diagramma (p, pv ), detto anche
diagramma di Amagat. Si osserva che, per temperature sufcientemente alte, il
prodotto pressione per volume rimane costante (legge di Boyle). Ci induce a ritenere
che sia possibile descrivere in modo semplice la relazione che lega le variabili di stato
p, v, T per un gas sufcientemente lontano dal suo punto critico. A questo tipo di gas
si dar il nome di gas ideale o perfetto.
20
1. INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA E PROPRIET DELLE SOSTANZE
0
100
200
300
400
500
600
700
800
900
1000
0 100 200 300 400 500 600 700 800 900 1000
Pressione (bar)
T
p
v

(
k
J
/
k
g
)
Fig. 1.8 Andamento delle isoterme in coordinate (p, pv) per lacqua.
1.8. I GAS IDEALI
Lesperienza mostra che tutti i gas possiedono, a temperatura sufcientemente alta e
pressione sufcientemente bassa, un comportamento simile fra loro che obbedisce ad
una legge semplice, denominata equazione di stato dei gas ideali:
pV = nRT 1.6
dove:
p = pressione, Pa
V = volume occupato dal gas, m
3
n = numero di kilomoli di gas, kmol
R = costante universale dei gas, pari a 8314 J/(kmolK)
T = temperatura assoluta, K
La 1.6 pu essere pi comodamente espressa nella seguente forma, ottenuta dividendo
primo e secondo membro per la massa m :
21
1. INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA E PROPRIET DELLE SOSTANZE
pv = R

T 1.7
dove:
v = volume massico (ovvero, riferito allunit di massa), m
3
/kg
R

= costante di elasticit del gas considerato, J/(kgK)


facile vericare che:
R

= R
n
m
=
R

,
in cui = m/n, rapporto fra massa e numero di kilomoli, rappresenta la massa
molecolare del gas (kg/kmol).
22
2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA
2.1. PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA
Lesperienza di Joule
Si abbia un recipiente contenente un uido (g. 2.1). In una prima fase si dissipa nel
uido, per mezzo di un mulinello, un lavoro L senza che questo scambi calore con
lesterno (fase adiabatica).
Nella seconda fase, senza compiere altro lavoro, si lascia che il uido torni nelle con-
dizioni iniziali di pressione e temperatura disperdendo una certa quantit di calore Q.
Poich le condizioni iniziali e nali del uido sono le stesse, la somma delle due
trasformazioni d una trasformazione ciclica; Joule osserv che, pur variando il tipo
di uido e la quantit di lavoro dissipatovi, in una trasformazione ciclica il rapporto
Fig. 2.1 Esperienza di Joule.
23
2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA
fra il lavoro assorbito dal uido ed il calore da esso dissipato era costante, ovvero:

Q
= J
Se si esprime il lavoro in Joule (J) e il calore in kcal (Sistema Tecnico), la costante
J vale 4186 J/kcal, ed detta equivalente meccanico della caloria. In unit coerenti
(Sistema Internazionale) J = 1 e si ha la classica espressione del I Principio:

Q =

L 2.1
Lequazione 2.1 rappresenta lespressione analitica del I Principio della Termodina-
mica. Essa vale per qualsiasi sostanza e per qualunque tipo di trasformazione,
irreversibile o no, e pu essere formulata nel seguente modo: in una trasformazione
ciclica il lavoro compiuto (o subito) dal sistema uguale al calore ricevuto (o ceduto).
Dalla 2.1 discende immediatamente una importante conseguenza. La si applichi (con
J = 1) alla trasformazione ciclica 1-A-2-B-1 (g. 2.2). Si ha:
2

1A
Q +
1

2B
Q =
2

1A
L +
1

2B
L
mentre, applicando la 2.1 alla 1-A-2-C-1 si ha:
2

1A
Q +
1

2C
Q =
2

1A
L +
1

2C
L
A
B
C
1
2
Fig. 2.2 QL un differenziale esatto.
24
2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA
Sottraendo le due espressioni si ottiene:
1

2B
(QL) =
1

2C
(QL)
da cui si dimostra che la quantit Q L un differenziale esatto, poich il suo
integrale non dipende dal percorso, ma soltanto dagli estremi di integrazione. La
funzione integrale di questo differenziale esatto rappresenta lenergia totale E del
sistema. Ovvero:
QL = dE
e, in forma integrale:
QL = E 2.2
Lenergia totale del sistema data dalla somma delle varie forme di energia possedute
dal sistema: magnetica, elettrostatica, elastica, superciale, cinetica (E
c
), potenziale
(E
p
) ed interna (U) :
E = E
c
+ E
p
+ ... + U 2.3
Nel caso, frequente in termodinamica, in cui le variazioni di tutte le forme di
energia del sistema, eccettuata lenergia interna, siano trascurabili, si ha la classica
espressione:
QL = U 2.2a
o, in forma differenziale,
QL = dU 2.2b
Lenergia interna U pu essere considerata come la somma delle energie cinetiche e
potenziali possedute dalle particelle che costituiscono il sistema.
facile dimostrare che lespressione 2.2 contiene lenunciato di Joule 2.1. Infatti
lintegrale circuitale di una variabile di stato, qual lenergia di un sistema, per
25
2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA
denizione nullo, e dunque in una trasformazione ciclica il calore netto ricevuto
uguaglia il lavoro netto prodotto.
Lapproccio assiomatico al I Principio
Nei primi paragra di queste dispense si sottolineato che il concetto di energia un
concetto primitivo, come quello di punto, o di forza. Lesistenza di tale concetto pu
essere giusticata da un assioma, ovvero da una affermazione indimostrabile, ma mai
contraddetta dallesperienza, che sancisce la conservazione dellenergia in un sistema
isolato. Il Primo Assioma della Termodinamica afferma che:
esiste una grandezza, detta energia interna, legata a grandezze mi-
surabili di un sistema e dunque funzione del suo stato termodinami-
co, la cui variazione, in un sistema chiuso in assenza di variazioni
delle altre forme di energia posseduta dal sistema (energia cinetica,
potenziale, etc.), data da:
dU = QL
Nel caso pi generale, pertanto, la variazione totale di energia di un sistema chiuso
data da:
dE = QL
Analizziamo adesso le conseguenze di una trasformazione qualunque fra un sistema S
e lambiente circostante A. La variazione di energia del sistema sar data da:
E
s
= QL
e, per lambiente circostante:
E
A
= Q + L
Perci la variazione di energia complessiva delluniverso data da:
E
tot
= E
s
+ E
A
= Q L Q + L = 0
che un altro modo di esprimere il Primo Assioma:
in ogni processo lenergia totale delluniverso si conserva.
26
2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA
In particolare in un processo ciclico, poich non varia lenergia del sistema non deve
variare neppure quella dellambiente circostante.
2.2. PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA PER I SISTEMI APERTI
Il principio di conservazione della massa (noto anche come equazione di continuit)
per un sistema aperto delimitato da un volume di controllo (VC) si esprime come:
massa entrante nel VC massa uscente dal VC = variazione della massa
contenuta nel VC
Riferendo allunit di tempo tutte le grandezze espresse nellequazione di
conservazione della massa si ottiene:
portata entrante nel VC portata uscente dal VC = variazione della massa
contenuta nel VC nellunit
di tempo
La portata espressa in kg/s ed a sua volta data dallequazione:
m = A w
dove:
= densit o massa volumica, kg/m
3
A = sezione del condotto, m
2
w = velocit, m/s
In condizioni di regime stazionario le grandezze che caratterizzano il sistema non
variano nel tempo. Se ne deduce che la somma delle portate in ingresso uguaglia
quella delle portate in uscita. Nel caso particolare di un ingresso e una uscita
lequazione di continuit si riduce a:
m
in
= m
out
2.4
Si introduce ora una nuova, importante funzione di stato, detta entalpia, denita come:
27
2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA
H = U + p V 2.5
Applicando (vedi DIMOSTRAZIONE) ad un sistema termodinamico aperto il Primo
Principio della Termodinamica si perviene ad una espressione particolarmente comoda
in cui la differenza fra la potenza termica e meccanica pu essere espressa attraverso
il usso netto di entalpia. Trascurando le variazioni di energia cinetica e potenziale, si
ottiene il Primo Principio per i sistemi aperti:

Q

L
i
=

out
m
j
h
j

in
m
j
h
j
2.6
in cui

L
i
rappresenta il lavoro interno svolto nellunit di tempo.
Nel caso di sistemi aperti in regime permanente con un solo ingresso ed una sola
uscita, dividendo per la portata la 2.6 si ottiene lespressione valida per lunit di
massa:
q
i
= h 2.6a
o, in forma differenziale,
q
i
= dh 2.6b
Dalle precedenti relazioni si vede che la variazione di entalpia misura il lavoro interno
in una trasformazione adiabatica e il calore scambiato in una trasformazione in cui
non si compie lavoro.
DIMOSTRAZIONE
Si abbia un sistema termodinamico aperto nel quale si suppone, per semplicit di
dimostrazione, sia presente un solo ingresso e una sola uscita (g. 2.3).
Scriviamo il Primo Principio
1
nel periodo di tempo [t, t +dt] :
1
Si adottata la forma differenziale perch nel tempo innitesimo dt si hanno variazioni in-
nitesime (nel caso delle funzioni di stato) o quantit innitesime scambiate (nel caso di
lavoro e calore).
28
2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA
dL
i
dQ
regione III
dV
1
dV
2
p
1
p
2
1' 1
2' 2
I
II
1
m
2
m
Fig. 2.3 Primo Principio della Termodinamica per un sistema termodinamico aperto
in regime permanente
QL = dU +dE
p
+dE
c
D.1
Al tempo t il sistema contenuto nei volumi I e III ; al tempo t+dt il sistema contenuto
nei volumi III e II.
Esaminiamo le grandezze (tutte estensive) che compaiono a secondo membro
della D.1. La variazione di ognuna di esse fra listante t e listante t + dt dovuta al
contributo portato dalla massa entrante dm
1
(contenuta nel volume I), a quello della
massa uscente dm
2
(contenuta nel volume II) ed alla variazione avvenuta nel volume
III nel tempo dt. Pertanto:
dU = U
III
(t +dt) +U
II
(t +dt) U
III
(t) U
I
(t)
ovvero:
dU = u
2
m
2
dt u
1
m
1
dt +
d (u m)
dt
dt
Un caso particolare, ma di frequente occorrenza nei problemi di termodinamica,
quello in cui il moto attraverso il sistema aperto sia permanente, ovvero quando le
propriet termodinamiche possono variare da punto a punto, ma sono costanti nel
tempo. In questo caso si ha anche che la portata in ingresso uguale alla portata
29
2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA
in uscita:
m
1
= m
2
= m
e inoltre:
d (u m)
dt
= 0
e dunque:
dU = m (u
2
u
1
) dt
Analogamente, sempre nel caso di moto permanente, si avr:
dE
p
= mg (z
2
z
1
) dt
dE
c
=
1
2
m
`
w
2
2
w
2
1

dt
A primo membro della D.2 il lavoro L costituito da due componenti: il lavoro interno
L
i
(detto anche lavoro tecnico o lavoro allasse) e il lavoro effettuato dalle forze di
pressione:
L = L
i
+p
2
dV
II
p
1
dV
I
= L
i
+p
2
v
2
mdt p
1
v
1
mdt
Riscrivendo dunque i termini cos ottenuti nella D.1 e dividendo per dt (si ricordi che
L
i
=

L
i
dt e Q =

Q dt ) si ottiene:

Q

L
i
= m

p
2
v
2
+u
2
+gz
2
+
1
2
w
2
2

p
1
v
1
+u
1
+gz
1
+
1
2
w
2
1

Essendo h = u +pv si ha:

Q

L
i
= m

h +
1
2
w
2
+gz

D.2
ed inne, estendendo a pi ingressi ed uscite la trattazione si ha:

Q

L
i
=
X
out
m
j

h +
w
2
2
+gz

X
in
m
j

h +
w
2
2
+gz

j
D.3
30
2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA
che lespressione del Primo Principio per sistemi aperti in regime permanente, scritta
in forma di potenza. Nel caso pi generale di sistema termodinamico aperto in regime
non permanente la D.3 diviene:

Q

L
i
=
X
m
j

h +
w
2
2
+gz

j
+
d (u m)
dt
D.4
2.3. SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA
Come per il I Principio, anche del II Principio della Termodinamica possibile fornire
una descrizione fenomenologica, oppure assiomatica. Seguiremo questultima via,
mostrando come i vari enunciati fenomenologici possano essere agevolmente derivati
da un solo assioma (Secondo Assioma fondamentale). Esso afferma che:
esiste una propriet intrinseca dei corpi, detta entropia, la cui
variazione, per processi reversibili, data da:
dS =
Q
rev
T
Per processi irreversibili si riscontra invece:
dS >
Q
T
e dunque in generale si pu porre:
dS =
Q
T
+ dS
i
2.7
dove dS
i
detta produzione di entropia per irreversibilit (dS
i
0)
2
.
2
La temperatura da introdurre nella 2.7 dovrebbe essere quella del sistema che sta evolvendo. Ma
se la trasformazione irreversibile questa temperatura non nota. Alcuni autori propongono
di adottare come riferimento la temperatura del termostato; in questo caso nel termine dS
i
si tiene conto di tutte le irreversibilit: interne (cio dovute ad attriti) ed esterne (salti niti
di temperatura). Questo approccio ha il vantaggio che la temperatura del termostato sempre
denibile, ma lo svantaggio di fare riferimento, per il calcolo di una funzione che caratterizza lo
stato del sistema, a qualcosa di esterno al sistema stesso (il termostato). Qui si adotter invece
31
2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA
Una prima conseguenza di questo assioma che in un sistema isolato (Q = 0) come
luniverso lentropia cresce sempre.
Postulato di Clausius
Consideriamo due termostati A e B a temperature T
A
e T
B
, con T
A
> T
B
, che
si scambiano una quantit arbitraria di calore Q, si supponga da A a B. Durante
tale scambio di calore non si manifestano irreversibilit interne ai termostati stessi.
Pertanto lunica causa di variazione dellentropia dei due termostati rappresentata
dallo scambio di calore Q :
S
A
=

Q
T
=
Q
T
A
S
B
=

Q
T
=
Q
T
B
Qualunque sistema comprendente sia Ache B, rispetto a questo processo, adiabatico,
poich lo scambio di calore Q interno al sistema stesso. Ci implica, per il
II Assioma, che S
(A+B)
0 , ovvero:
S
B
=

Q
T
=
Q
T
B
Se ne deduce che Q > 0, e ci conferma lipotesi inizialmente fatta sul suo verso.
Questo risultato riette una osservazione sperimentale a tutti ben nota e talmente evi-
dente e importante da suggerirla come enunciato del II Principio della termodinamica
(postulato di Clausius):
se due corpi a temperatura diversa sono messi a contatto il calore
uisce spontaneamente dal corpo a temperatura pi alta a quello a
temperatura pi bassa.
la convenzione per cui, quando si in presenza di irreversibilit solo esterne e la temperatura
del sistema dunque denibile, si introduce nella 2.7 la temperatura del sistema e il termine
dS
i
tiene conto solo delle irreversibilit interne.
32
2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA
Enunciato di Kelvin-Planck
Consideriamo adesso un processo ciclico in cui si compie lavoro, ovvero in cui il
lavoro netto, inteso come somma algebrica di tutti i lavori scambiati nel corso del
ciclo, risulta maggiore di zero. Per il Primo Principio, applicato a questo ciclo, si ha
Q = L > 0.
Supponiamo che il sistema sia in contatto con un solo termostato A. La variazione di
entropia delluniverso ad ogni ciclo
3
varrebbe:
S
tot
= S
sist
+ S
A
= 0 +

Q
T

=
Q
T
A
< 0
Il risultato sarebbe pertanto in contrasto con il II Assioma. Anche in questo caso se ne
pu concludere (enunciato di Kelvin-Planck) che:
non possibile operare un processo ciclico il cui solo risultato sia
lassorbimento di calore da un termostato e la conversione di questo
in lavoro.
Macchine che producono lavoro
Si abbia ora un sistema S in contatto con due termostati A e B a temperature T
A
e T
B
(con T
A
> T
B
). Si vuole determinare unespressione generale del lavoro e il segno
delle quantit di calore scambiate nel caso che il sistema operi ciclicamente.
Si suppone che durante il processo il sistema riceva dal termostato A una quantit di
calore Q
A
e ceda al secondo la quantit di calore Q
B
.
La variazione totale di entropia delluniverso (S
tot
) varr:
S
tot
= S
A
+ S
B
+ S
S
=
|Q
A
|
T
A
+
|Q
B
|
T
B
+ 0 0
3
Si ricorda che la variazione di entropia del sistema in un processo ciclico nulla perch
lentropia una funzione di stato.
33
2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA
Dalla precedente si ottengono:
|Q
A
| = T
A

S
tot
+
Q
B
T
B

|Q
B
| = T
B

S
tot
+
Q
A
T
A

Inoltre, per il I Principio applicato al ciclo percorso dal sistema:


L
netto
= |Q
A
| |Q
B
| U
S
= |Q
A
| |Q
B
|
in quanto U
S
= 0. Sostituendo nellespressione del I Principio prima il valore di
Q
A
e poi quello di Q
B
si ottiene rispettivamente:
L
netto
= T
A
S
tot
+|Q
B
|

T
A
T
B
1

2.8
L
netto
= T
B
S
tot
+|Q
A
|

1
T
B
T
A

2.9
Poich L
netto
> 0 confermato il verso di Q
B
e Q
A
, il che dimostra che:
in un processo ciclico che produce lavoro sempre indispensabile
che del calore sia sottratto ad un termostato a temperatura pi alta
e dellaltro venga ceduto ad un termostato a temperatura pi bassa.
Una macchina che operi secondo tale processo viene denita macchina termica
motrice ed il suo rendimento denito come:
=
L
netto
Q
A
2.10
Sia dalle 2.8 che dalle 2.9 si pu osservare che il lavoro che si estrae da una macchina
termica motrice massimo per S
tot
= 0 (processo reversibile) e vale, per una
trasformazione ciclica:
L
netto,max
= |Q
B
|

T
A
T
B
1

= Q
A

1
T
B
T
A

2.11
34
2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA
Poich L
netto,max
= |Q
A
| |Q
B
| si ha:
|Q
A
|
|Q
B
|
=
T
A
T
B
2.12
Il rendimento che si ottiene massimo:

max
=
L
netto,max
Q
A
= 1
T
B
T
A
2.13
ed funzione soltanto delle temperature estreme dei due termostati T
A
e T
B
.
Si pu dimostrare che lunico ciclo che pu raggiungere il rendimento massimo
costituito da due trasformazioni isoterme, che si svolgono alla stessa temperatura dei
termostati con cui il sistema scambia calore, e due adiabatiche reversibili. Esso viene
detto ciclo di Carnot.
Macchine che assorbono lavoro e II enunciato di Clausius
Supponiamo ora di ideare una macchina S che, operando ciclicamente, trasferisca
calore da un termostato a temperatura T
B
ad uno a temperatura pi alta T
A
. Dimo-
streremo che tali sistemi per operare devono assorbire lavoro netto. La variazione di
entropia delluniverso per questa macchina ciclica vale:
S
tot
= S
S
+ S
A
+ S
B
essendo S
A
=
|Q
A
|
T
A
, S
B
=
|Q
B
|
T
B
si ottiene
S
tot
=
|Q
A
|
T
A

|Q
B
|
T
B
0
per cui
|Q
A
|
T
A

|Q
B
|
T
B
Poich T
A
> T
B
deve essere |Q
A
| > |Q
B
| . Dunque, per il I Principio:
L
netto
= |Q
B
| |Q
A
| < 0
35
2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA
Per trasferire calore da un termostato a temperatura minore ad uno a temperatura mag-
giore dunque necessario spendere del lavoro. Da questo risultato nasce un ulteriore
enunciato (II enunciato di Clausius):
impossibile costruire una macchina che operando ciclicamente
non produca altro effetto che trasferire calore da un termostato a
temperatura minore ad uno a temperatura maggiore.
Una macchina che assorbe lavoro trasferendo calore da una temperatura pi bassa
ad una pi alta opera secondo un ciclo inverso, in quanto lavoro netto e calore netto
scambiati sono entrambi negativi. Essa ha nomi diversi, a seconda che il suo obiettivo
sia sottrarre calore ad un ambiente freddo (macchina frigorifera) oppure fornire calore
ad un ambiente pi caldo (pompa di calore). Nel primo caso il parametro che ne
descrive le prestazioni detto effetto frigorifero specico , dato da:
=
|Q
B
|
|L|
2.14
Nel secondo caso si introduce invece il cosiddetto effetto di moltiplicazione termica
* (pi spesso denito COP - Coefcient of Performance), denito come:

= COP =
| Q
A
|
|L|
2.15
Utilizzando ancora il Primo e Secondo Principio ricaviamo adesso una espressione
generale del lavoro speso per azionare una macchina a ciclo inverso:
|L
netto
| = T
A
S
tot
+|Q
B
|

T
A
T
B
1

o anche
|L
netto
| = T
B
S
tot
+|Q
A
|

1
T
B
T
A

In entrambi i casi il lavoro assorbito sar minimo per S


tot
= 0, ovvero:
|L
netto,min
| = |Q
A
|

1
T
B
T
A

= |Q
B
|

T
A
T
B
1

Pertanto leffetto frigorifero specico massimo di una macchina frigorifera varr:


36
2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA

max
=
|Q
B
|
|L
min
|
=
T
B
T
A
T
B
2.16
e leffetto di moltiplicazione termica massimo di una pompa di calore varr:
COP
max
=
|Q
A
|
|L
min
|
=
T
A
T
A
T
B
2.17
Anche in questo caso lefcienza massima dipende soltanto dalle temperature dei due
termostati con cui viene scambiato calore.
2.4. SECONDO PRINCIPIO PER I SISTEMI APERTI ED EXERGIA
Per un sistema aperto con un ingresso ed una uscita in regime permanente che compie
una serie di trasformazioni 1 - 2 ricevendo una quantit di calore Q
0
dallambiente
esterno a temperatura T
0
e una quantit di calore Q con un termostato a temperatura
T > T
0
, compiendo un lavoro L
i
si ha, per la 2.6:
|Q| |Q
0
| = L
i
+ (H
2
H
1
)
e, per il Secondo Principio:
S
tot
=
|Q|
T
+
|Q
0
|
T
0
+ (S
2
S
1
) 0
da cui, ricavando Q
0
e sostituendo nellespressione del I Principio:
Q

1
T
0
T

L
i
= T
0
S
tot
+ (H T
0
S) 2.18
In modo del tutto analogo si pu procedere per un sistema aperto (un ingresso ed una
uscita) in regime permanente che riceve calore Q
0
dallambiente e cede calore Q ad
un termostato a temperatura T < T
0
, compiendo un lavoro L
i
. In questo caso, con
passaggi analoghi ai precedenti si ottiene
Q

T
0
T
1

L
i
= T
0
S
tot
+ (H T
0
S) 2.18a
37
2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA
Si osservi come lunica differenza fra la 2.18 e la 2.18a la parentesi a fattore delle
quantit di calore, oltre al fatto che nel primo caso lambiente funge da pozzo termico,
mentre nel secondo esso funge da sorgente termica. Nelle espressioni 2.18 e 2.18a
sopra riportate:
(1 T
0
/T)Q = f
C
Q la quota di calore assorbito a T > T
0
e trasformabile
in lavoro
(T
0
/T 1)Q = f
C
Q la quota di calore ceduto a T < T
0
e trasformabile
in lavoro
T
0
S
to t
= I la perdita di lavoro per irreversibilit
H T
0
S = B lentalpia disponibile come lavoro o exergia
e f
c
, detto fattore di Carnot, riportato in gura 2.4 per T
0
= 293 K.
Le quantit sopra riportate sono omogenee non soltanto dal punto di vista dimen-
sionale (tutti i termini hanno infatti le dimensioni di una energia), ma anche come
valore termodinamico: ognuna di esse rappresenta un lavoro meccanico equivalente
o energia disponibile. In particolare, si dimostra che lexergia (che una funzione
di stato) rappresenta il lavoro massimo ottenibile da un usso di massa nel passaggio
dallo stato in cui si trova a quello neutro (T = T
0
). Si pu allora introdurre un nuovo
tipo di rendimento, detto rendimento di secondo principio, denito come:

II
=
energia disponibile utile
energia disponibile spesa
La corrispondenza fra energia e energia disponibile indicata di seguito:
Tipo di energia Valore Energia disponibile Valore
Calore assorbito a T > T
0
Q Energia termica disponibile (1 T
0
/T)Q =fcQ
Calore ceduto a T < T
0
Q Energia termica disponibile (T
0
/T 1)Q = fcQ
Entalpia H Exergia H T
0
S = B
Lavoro Li Lavoro Li
38
2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA
0 200 400 600 800 1000 1200 1400
0
0.5
1
1.5
2
2.5
Temperatura (K)
Fig. 2.4 Andamento del fattore di Carnot in funzione della temperatura del termostato
(T
0
= 293K).
2.5. EQUAZIONI DI GIBBS E CONSERVAZIONE DELLENERGIA
MECCANICA
Si visto (1.3) che per una trasformazione qualunque si ha:
L = pdV L
w
e, per il II Principio 2.7,
Q = TdS TdS
i
.
Pertanto, per una trasformazione reversibile si avr L = pdV e Q = TdS. In questo
caso il Primo Principio diviene:
dU = T dS p dV 2.19
Nonostante sia stata ricavata per una trasformazione reversibile la 2.19, nota anche
come prima equazione di Gibbs, valida per tutte le trasformazioni, perch U una
39
2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA
funzione di stato e non dipende perci dal tipo di trasformazione, ma soltanto dai
suoi estremi.
Inoltre, scrivendo in forma differenziale la denizione 2.5 della funzione entalpia,
dH = dU + p dV + V dp
e sostituendovi la 2.19 si ha:
dH = T dS + V dp 2.20
Anche la 2.20, nota come seconda equazione di Gibbs, ha validit generale, pur essen-
do stata ricavata per trasformazioni reversibili, perch anche H una funzione di stato.
Dallequazione di conservazione della massa e della quantit di moto (ricavata in
Idraulica) si ottiene lequazione di conservazione dellenergia in forma meccanica:
L
i
= L
w
+ V dp + dE
c
+ dE
p
2.21
che rappresenta lespressione generalizzata del teorema di Bernoulli scritta in forma
di energia.
Confrontando la 2.21 con il Primo Principio per i sistemi aperti e introducendo la
seconda equazione di Gibbs e lespressione del calore ricavata dal Secondo Principio
si ottiene:
L
w
= TdS
i
che mostra come il lavoro perso per vincere gli attriti (L
w
) sia proprio pari al termine
TdS
i
, che rappresenta il calore generato internamente a causa delle irreversibilit.
40
2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA
2.6. TRASFORMAZIONI TERMODINAMICHE
Trasformazioni politropiche
Le principali trasformazioni termodinamiche reversibili sono denominate in base alla
grandezza che durante la trasformazione rimane costante:
Tipo di trasformazione Grandezza che rimane costante Equazione
isocora o isovolumica volume dV = 0
isobara pressione dp = 0
isoterma temperatura dT = 0
adiabatica entropia dS = 0
Questi tipi di trasformazioni possono essere considerati come facenti parte di ununica
famiglia, detta delle trasformazioni politropiche, caratterizzate dal fatto di mantenere
capacit termica massica costante:
c =
q
dT
= cost
con:
c = c
v
per la trasformazione isocora
c = c
p
per la trasformazione isobara
c =per la trasformazione isoterma
c = 0 per la trasformazione adiabatica
Trasformazioni isentalpiche
Alle trasformazioni sopra citate occorre aggiungere unaltra trasformazione, tipica dei
cicli inversi dei sistemi termodinamici aperti, che si realizza facendo tralare un uido
attraverso un setto poroso o una strozzatura.
41
2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA
Lo scopo di questa trasformazione, eminentemente irreversibile, detta tralazione o
laminazione, quello di ridurre la pressione di un uido che scorre. In essa non si
compie lavoro n si scambia calore.
Applicando ad un volume di controllo compreso fra due sezioni, una a monte e laltra
a valle del setto, a distanza tale da poter trascurare le variazioni di energia cinetica e
potenziale, il Primo Principio per i sistemi aperti, si ha dunque: h = 0
Ovvero, nel passaggio attraverso il setto lentalpia non cambia. Applicando invece
il principio di conservazione dellenergia in forma meccanica con le stesse ipotesi si
ottiene:

w
=
2

1
v dp
che mostra come lenergia di pressione sia stata dissipata in attrito.
2.7. RIEPILOGO EQUAZIONI FONDAMENTALI
Principi della Termodinamica (in forma differenziale e riferita allunit di massa)
I Principio della Termodinamica q = du
I Principio per sistemi aperti (in regime
stazionario, un ingresso, una uscita)
q
i
= dh
II Principio della Termodinamica ds =
q
T
+ ds
i
Conservazione energia in forma meccanica
i
= v dp + c dc + g dz +
w
Funzioni termodinamiche (in forma differenziale)
Energia interna (I equazione di Gibbs) du = T ds p dv
Entalpia (II equazione di Gibbs) dh = T ds + v dp
42
3. APPLICAZIONI: MACCHINE TERMICHE
3.1. LE MACCHINE TERMICHE
In senso generale una macchina termica un dispositivo o una serie di dispositivi che
producono lavoro (macchina termica motrice o motore) o che trasferiscono calore da
un ambiente pi freddo ad uno pi caldo (macchina frigorifera o pompa di calore).
Inoltre, le macchine termiche possono essere raggruppate in due tipologie:
macchine alternative
macchine a usso continuo
Nelle prime il dispositivo in cui avvengono le trasformazioni unico (cilin-
dro) e dunque il uido che vi contenuto si congura come un sistema
termodinamico chiuso.
Nelle seconde, invece, in ogni dispositivo avviene una particolare trasformazione;
poich in questo caso il uido percorrendo la macchina si sposta da un dispositivo
allaltro, esso viene considerato un sistema termodinamico aperto.
3.2. MACCHINE A CICLO DIRETTO
Nelle macchine motrici il uido operante percorre un ciclo termodinamico diretto,
ovvero percorso in senso orario sui diagrammi termodinamici. Il loro rendimento
43
3. APPLICAZIONI: MACCHINE TERMICHE
dato dalla 2.10:
=

L
Q
1
per le macchine alternative
=

L
i
Q
1
per le macchine a usso continuo
In entrambi i casi il numeratore rappresenta il lavoro netto prodotto ed il denominatore
la somma di tutte le quantit di calore ricevute dallesterno.
Per il primo principio (sistemi chiusi e aperti) si ha:

Q =

L =

L
i
e dunque:
=

Q
Q
1
Si ha pertanto:
=
|Q
1
| |Q
2
|
Q
1
= 1
|Q
2
|
|Q
1
|
3.1
Le macchine termiche a ciclo diretto hanno come uido operante un gas (solitamente
aria o fumi della combustione), oppure una sostanza presente sia allo stato gassoso
che liquido (solitamente vapor dacqua).
Lo schema comune di funzionamento di queste macchine riportato in gura 3.1. Con
il simbolo L si intende qui il lavoro netto L =

L =

L
i
.
In alcune di queste macchine il uido operante contenuto in un sistema cilindro-
pistone, nel quale si alternano le varie trasformazioni (compressione, riscaldamento,
espansione, cessione di calore). Lapporto di calore in genere fornito da una reazione
di combustione fra aria comburente e combustibile che avviene allinterno del cilindro.
Esse sono dunque dette macchine alternative a combustione interna, o semplicemente
motori. Esse trovano impiego soprattutto nella trazione autoveicolare.
44
3. APPLICAZIONI: MACCHINE TERMICHE
T
1
T
2
Q
2
Q
1
L
Fig. 3.1 Schema di macchina a ciclo diretto
Nelle macchine a usso continuo il uido scorre attraverso i diversi dispositivi in
ciascuno dei quali avviene una determinata trasformazione termodinamica. Anche in
questo caso lapporto termico in genere fornito da una reazione di combustione.
Quando il uido operante aria la combustione avviene allinterno di uno dei
dispositivi, detto camera di combustione, quando invece esso costituito da vapor
dacqua la combustione ovviamente esterna.
Le loro caratteristiche sono riassunte in Tabella 3.1.
Tab. 3.1 Caratteristiche delle macchine termiche a ciclo diretto
(ST=Sistema Termodinamico).
macchina uido combustione ciclo applicazioni
prevalenti
rendimento
= L/Q
1
alternativa
(ST
chiuso)
aria/fumi interna Otto trazione < 30 %
Diesel trazione < 35 %
esterna Stirling sperimentale
max

45
3. APPLICAZIONI: MACCHINE TERMICHE
Tab. 3.1 Caratteristiche delle macchine termiche a ciclo diretto
(ST=Sistema Termodinamico).
macchina uido combustione ciclo applicazioni
prevalenti
rendimento
= L/Q
1
a usso
continuo
(ST
aperto)
aria/fumi interna Joule-
Brayton
produzione
elettrica,
propulsione
aerea
30 %
acqua/uidi
organici
esterna Rankine-
Hirn
produzione
elettrica
< 40 %
aria+acqua interna+
esterna
Combinato produzione
elettrica
50 %
3.3. MACCHINE A CICLO INVERSO
Nelle macchine frigorifere e nelle pompe di calore il uido operante percorre un
ciclo termodinamico inverso, ovvero percorso in senso antiorario sui diagrammi
termodinamici. Le prestazioni delle macchine frigorifere sono descritte dalleffetto
frigorifero specico (), mentre il parametro che denisce le prestazioni di una
pompa di calore detto fattore di moltiplicazione termica (

) o COP (Coefcient
of Performance). Nei due casi si ha, come indicato dalle 2.14 e 2.15
=
|Q
2
|

L
i

=
|Q
2
|
|Q
1
| Q
2
macchina frigorifera 3.2
COP =

=
|Q
1
|

L
i

=
|Q
1
|
|Q
1
| Q
2
pompa di calore 3.3
Esse possono operare secondo due diverse modalit:
a compressione di vapore
ad assorbimento
46
3. APPLICAZIONI: MACCHINE TERMICHE

Condensatore
Evaporatore
Valvola di
laminazione
Compressore
A
B C
D
Fig. 3.2 Schema funzionale di una macchina fr igor ifera.
Macchine frigorifere a compressione di vapore
Le macchine frigorifere a compressione di vapore impiegano come uidi termodina-
mici sostanze chimiche particolari detti refrigeranti o uidi frigorigeni, quali NH
3
,
CH
3
Cl, SO
2
, e vari idrocarburi alogenati detti genericamente freon (R11, R12, R22,
R114, R134a, etc.), in genere fortemente riducenti. Esse hanno in comune la propriet
di evaporare a temperature basse (dellordine di qualche decina di gradi sotto zero,
nella maggior parte delle macchine frigorifere) a pressioni superiori o di poco inferiori
alla pressione atmosferica e di condensare a temperature dellordine di 50 -100

C in
corrispondenza di pressioni non troppo elevate.
Lo schema funzionale di una macchina operante secondo un ciclo inverso a
compressione di vapore riportato in gura 3.2.
Il uido frigorigeno sotto forma di vapore saturo secco o leggermente surriscaldato
(A) viene prima compresso (A-B), poi desurriscaldato e condensato (B-C), poi viene
fatto tralare in una valvola di laminazione con un processo isentalpico C-D e inne
fatto evaporare (D-A).
Poich allevaporatore il uido sottoposto ad una pressione bassa, vicina alla
pressione atmosferica, anche la sua temperatura di evaporazione sar bassa, e sar
dunque in grado di sottrarre calore ad ambienti anche molto freddi.
47
3. APPLICAZIONI: MACCHINE TERMICHE
Ad esempio, alla pressione atmosferica il freon R134a evapora a una temperatura
di circa 26

C. Messo a contatto con un ambiente a 20

C, esso assorbe calore
evaporando. Una volta portato a una pressione opportuna, dellordine di 10 bar, alla
quale corrisponde una temperatura di transizione di fase pari a 40

C, se messo in
contatto con un ambiente a 20

C esso condensa cedendogli calore.
Per ottenere leffetto utile da una macchina frigorifera (sottrazione di calore ad un
ambiente freddo), o da una pompa di calore (cessione di calore ad un ambiente
caldo) necessario impiegare energia meccanica, ovvero elettrica, per la compressione
del vapore.
Macchine frigorifere ad assorbimento
Il ciclo termodinamico percorso dalle macchine ad assorbimento differisce dal ciclo
inverso a vapore soltanto per le modalit di compressione del vapore. Pur presentando
dei rendimenti inferiori a quelli dei cicli a compressione tradizionali, le macchine ad
assorbimento si stanno sempre pi diffondendo sia nelle macchine di grande potenza
(per il fatto di non avere quasi, nei loro circuiti, organi in movimento soggetti ad avarie
meccaniche) che in alcune applicazioni domestiche (per la loro silenziosit ed il basso
consumo di energia elettrica, soprattutto quando disponibile una fonte termica a
costo basso o addirittura nullo, come lenergia solare o energia termica di recupero).
Alcuni uidi comunemente impiegati in questo tipo di cicli sono lammoniaca (NH
3
)
e il bromuro di litio (LiBr), in soluzioni acquose.
Il principio di funzionamento si basa sulla propriet di una soluzione di due liquidi
di assorbire, ovvero far condensare, il vapore della soluzione stessa anche quando la
temperatura della soluzione liquida superiore a quella del vapore.
In tal modo il vapore alluscita dallevaporatore viene assorbito nella soluzione liquida
e con piccolo dispendio energetico (dato che allo stato liquido) viene pompato alla
pressione superiore del ciclo. In seguito alla somministrazione di calore esso viene
poi rilasciato dalla soluzione sotto forma di vapore per essere inviato al condensatore.
Da ci nasce linteresse particolare verso le macchine ad assorbimento, che producono
freddo utilizzando calore, invece che energia pregiata, come lenergia elettrica.
48
3. APPLICAZIONI: MACCHINE TERMICHE
3.4. COGENERAZIONE E TRIGENERAZIONE
Una tecnica sempre pi diffusa per migliorare lefcienza complessiva degli impianti
per la produzione termoelettrica quella della cogenerazione, ovvero della produzione
combinata di calore ed energia elettrica. Essa consiste nel rendere utilizzabile ad una
utenza termica il calore Q
2
ceduto alla temperatura pi bassa da una macchina termica
a ciclo diretto, che, nel caso di un ciclo a vapore, quello di condensazione. In questo
caso la condensazione viene operata ad una temperatura che sia sufcientemente alta
da rendere interessante il calore ceduto, tipicamente dellordine di 100

C. In tal
modo diminuisce il rendimento termodinamico dato dalla 3.1, e dunque il lavoro
prodotto, ma si rende utilizzabile anche il calore che normalmente viene scaricato
in ambiente.
Una macchina simile consente di utilizzare al meglio lenergia termica pregiata (in
quanto a temperatura molto alta) prodotta nella combustione, a differenza di un
comune generatore di calore (caldaia), che si limita a trasformare tale energia in
calore a temperatura medio-bassa (dellordine dei 100

C).
Normalmente il calore prodotto da un impianto di cogenerazione non ha una utenza
nelle immediate vicinanze. Pertanto necessario predisporre una rete per il trasporto
del calore, per mezzo di un opportuno uido termovettore (normalmente, acqua
surriscaldata o vapore). Tale sistema di distribuzione del calore viene detto teleri-
scaldamento.Molte citt italiane, fra cui Brescia, Modena, Torino hanno da tempo
adottato questo sistema per riscaldare ampie zone urbane.
Poich al di fuori del periodo di riscaldamento difcile reperire una utenza
interessata ad acquistare calore, una ulteriore possibilit, peraltro ancora poco diffusa,
rappresentata dalla trigenerazione, che consiste nellimpiegare il calore prodotto
destate per alimentare una macchina frigorifera ad assorbimento, in grado, come si
visto, di produrre freddo a partire da calore a temperatura medio-alta.
Uno schema che riassume il funzionamento delle varie macchine sopra descritte
riportato nelle Figure 3.3 e 3.4.
49
3. APPLICAZIONI: MACCHINE TERMICHE
Q
1
L
Q
2
T
0
T
2
macchina frigorifera a
compressione
Q
1
L
Q
2
T
1
T
0
pompa di calore
Q
1
Q
0
Q
2
T
1
T
2
T
0
macchina frigorifera ad
assorbimento
Q
1
Q
2
Q
0
T
1
T
0
T
2
generatore di calore
L
Q
2
=
L
Q
COP
1
=
Fig. 3.3 Schemi di macchine frigorifere, pompa di calore e generatore di calore (la
freccia tratteggiata indica lenergia spesa, la freccia grigia lenergia utile).
50
3. APPLICAZIONI: MACCHINE TERMICHE
macchina cogenerativa
(calore ed elettricit)
macchina trigenerativa
(calore, freddo ed elettricit)
Fig. 3.4 Schemi di macchine per la cogenerazione e la trigenerazione.
51
4. APPLICAZIONI: ARIA UMIDA
Questo capitolo esamina le trasformazioni termodinamiche della miscela aria-
vapor dacqua (aria umida).
Laria secca e il vapor dacqua compresenti nella miscela che chiamiamo
aria umida non reagiscono chimicamente fra loro e, essendo normalmente il
vapor dacqua in condizioni di vapore surriscaldato, possono entrambi essere
considerati gas ideali; esse costituiscono dunque una miscela di gas ideali, per
cui vale la legge di Dalton, ovvero:
ogni gas in una miscela si comporta come se occupasse da solo
tutto il volume alla temperatura della miscela.
La pressione esercitata da ogni gas dunque pari a quella che eserciterebbe se
fosse solo nel volume occupato dalla miscela e viene detta pressione parziale
del gas. Con queste ipotesi si ha:
p
a
v
a
= R

a
T = RT/
a
4.1
p
v
v
v
= R

v
T = RT/
v
4.2
e la pressione totale (pressione barometrica) data da:
p = p
a
+p
v
4.3
4.1. PROPRIET DELLARIA UMIDA
Si deniscono le seguenti grandezze
=

v

vs

p
v
p
vs
umidit relativa 4.4
x =
m
v
/V
m
a
/V
=

v

a
grado igrometrico o titolo dellaria umida 4.5
53
4. APPLICAZIONI: ARIA UMIDA
Fig. 4.1 Pressione di saturazione del vapor dacqua in funzione della temperatura.
dove p
vs
rappresenta la pressione di saturazione (pressione alla quale il vapore inizia
a condensare) alla stessa temperatura a cui si trova la miscela aria-vapore. Essa
funzione della temperatura come indicato in gura 4.1.
Date le 4.1 - 4.3, dalla 4.5 si ricava:
x =
v
a
v
v
=
R

a
T
p
a

p
v
R

v
T
=

v

p
v
p p
v
= 0.622
p
vs
p p
vs
4.6
Entalpia dellaria umida
Lo studio delle trasformazioni termodinamiche dellaria umida interessa molti settori,
dagli impianti di condizionamento degli edici, agli impianti di essiccazione di derrate
alimentari, agli impianti tessili, etc...
In tali impianti laria, prima di essere immessa in ambiente, viene trattata in modo
da modicarne la temperatura e il grado igrometrico. Il costo energetico di questi
trattamenti calcolabile attraverso le variazioni di entalpia dellaria, che assume
quindi fondamentale importanza. Essendo questa una grandezza estensiva, pu essere
54
4. APPLICAZIONI: ARIA UMIDA
calcolata, per un sistema formato da una massa m
a
di aria secca e una massa
dacqua m
v
allo stato di vapore surriscaldato, da:
H
a+v
= m
a
h
a
+m
v
h
v
dove:
h
a
= entalpia specica dellaria secca
h
v
= entalpia specica del vapore
Poich la portata daria secca resta costante nel corso del trattamento, mentre quella di
vapore pu variare (se laria viene deumidicata o umidicata), vige la consuetudine
di riferire lentalpia della miscela allunit di massa di aria secca, anzich allunit di
massa della miscela. Per cui, dividendo per la massa dellaria secca m
a
, si ha:
h
1+x
= h
a
+xh
v
dove h
1+x
rappresenta lentalpia di 1 kg di aria secca e di x kg di vapore ad essa
associati. Poich le entalpie sono riferite a 0

C, si ha:
h
a
= c
pa
(T 0) = c
pa
T
in cui c
pa
il calore specico medio dellaria e T espressa in

C. Per ci che riguarda


lentalpia del vapore surriscaldato, essa pu essere calcolata come:
h
v
= r
0
+ c
pv
T
,
in cui c
pv
il calore specico medio del vapor dacqua surriscaldato ed r
0
il calore
di evaporazione dellacqua a 0

C. Pertanto lentalpia dellaria umida sar espressa


dalla formula:
h
1+x
= c
pa
T +x

r
0
+c
pv
T

4.7
,
In unit S.I. si ha:
c
pa
= 1.0kJ/(kg K)
c
pv
= 1.9kJ/(kg K)
r
0
= 2500kJ/kg
55
4. APPLICAZIONI: ARIA UMIDA
Sostituendo i valori numerici e riordinando si ottiene:
h
1+ x
= 2500x + (1 + 1.9x)T 4.8
4.2. IL DIAGRAMMA DI MOLLIER PER LARIA UMIDA
Lequazione 4.8 viene riportata in forma graca in un diagramma (h,x) che tiene anche
conto della relazione 4.6 ricavata in precedenza. Tale diagramma assume il nome di
diagramma di Mollier per laria umida (g. 4.2).
1
Nel diagramma di Mollier si riporta in ascisse il grado igrometrico e in ordinate
lentalpia. Tuttavia, questultima viene conteggiata a partire da un asse inclinato verso
il basso di un angolo la cui tangente vale 2500. Pertanto le isentalpiche saranno rette
parallele a tale asse: il termine (2500 x) star al di sotto dellasse delle ascisse e nel
primo quadrante verr riportato soltanto il termine:
(1 + 1.9x) T
Le curve ad ugual umidit relativa si ricavano ponendo = cost nellequazione 4.6 e
trovando poi le coppie di valori (p
vs
(T), x) che la soddisfano.
Particolare interesse riveste in questo diagramma la curva = 100% (curva di
saturazione). Al di sopra di tale curva laria insatura e il vapore in essa presente
in condizioni di vapore surriscaldato. In corrispondenza della curva il vapore saturo
secco e laria viene detta satura di vapor dacqua.
Il diagramma cos tracciato vale per una particolare pressione barometrica (totale),
ma le curve ad ugual umidit relativa rimangono tali (sia pure riferite ad un diverso
1
Ne esistono anche versioni diverse, come il diagramma psicrometrico Carrier (T-x), o quello
ASHRAE (h-x come il diagramma di Mollier, ma ad assi invertiti), pi comunemente usate nei
Paesi anglosassoni.
56
4. APPLICAZIONI: ARIA UMIDA
valore di umidit relativa) anche per pressioni barometriche diverse. Infatti, dalla 4.6
si ottiene:
= p
x
p
vs
(0.622 +x)
4.9
che dimostra come il valore dellumidit relativa sia direttamente proporzionale alla
pressione barometrica. Pertanto, ad esempio, la curva che per p = 1 bar rappresenta
la curva ad umidit relativa costante pari a = 50 %, corrisponder a = 40 % se la
pressione pari a 0.8 bar.
Inoltre, dalla 4.9 si osserva come, a parit di grado igrometrico x, al crescere della
temperatura cresce p
vs
, e dunque diminuisce lumidit relativa.
Andamento delle isoterme
Nel campo di massimo interesse tecnologico (aria insatura: x < x
vs
) le isoterme sono
rette di equazione:
h
1+x
= 2500x + (1 + 1.9x) T
ma, data la particolarit della scelta dellasse h = 0 divengono:
h
1+x
= (1 + 1.9x) T
che intercettano sullasse delle ordinate (x = 0) un segmento pari a T ed hanno tutte
origine in un punto avente:
h
1+x
= 0; x = 1/1.9
Per una temperatura superiore a quella del punto triplo dellacqua (T > 0

C) e x >
x
vs
ci si trova a destra della curva di saturazione, nella cosiddetta regione delle nebbie,
in cui le isoterme avranno equazione:
h
1+x
= 2500 x
vs
+ (1 + 1.9 x
vs
) T + 4.2 T x
l
Lentalpia crescer dunque, al crescere di x, solo a causa dellaumento del contributo
della frazione liquida 4.2 Tx
l
, relativamente modesto e proporzionale a T. Pertanto
nella regione delle nebbie le isoterme risulteranno quasi isentalpiche.
57
4. APPLICAZIONI: ARIA UMIDA
Diagramma di Mollier per l'aria umida (p = 1 atm)
-10.0
-5.0
0.0
5.0
10.0
15.0
20.0
25.0
30.0
35.0
40.0
0 0 .005 0.01 0.015 0.02 0.025 0.03 0.035 0.04
titolo (kg/kg)
T

(

C
)
,

h

(
k
J
/
k
g
)
Fig. 4.2 Diagramma di Mollier per laria umida (p = 1 atm).
Calcolo della portata daria umida
La legge di Dalton sancisce il fatto che in una miscela di gas ideali ciascuno dei singoli
gas coesiste con gli altri nello stesso volume senza interferenze. Nel caso dellaria
umida, ci signica che in un metro cubo di aria umida contenuto un metro cubo
daria secca e un metro cubo di vapore. Lo stesso vale per la portata in volume.
Ovvero:

V
a
=

V
v
=

V
Diverso il discorso per la massa (e la portata in massa) dellaria secca. La portata in
massa daria secca sar data da:
m
a
=
a

V
a
=
p
a
R

a
T

V
in cui p
a
rappresenta la pressione parziale dellaria secca. Questa pu essere ricavata
dalle 4.3 e 4.4:
p
a
= p p
vs
58
4. APPLICAZIONI: ARIA UMIDA
e inne la portata in massa di vapore data da:
m
v
= x m
a
4.3. TRASFORMAZIONI DELLARIA UMIDA
Le principali trasformazioni subite dallaria umida negli apparecchi di trattamento
dellaria sono:
Miscelazione
Riscaldamento
Raffreddamento senza condensazione
Deumidicazione (raffreddamento con condensazione)
Umidicazione
Miscelazione
La miscelazione un processo nel quale due correnti di aria umida a temperatura e
umidit relativa diverse vengono mescolate. Indicando con i pedici 1 e 2 le grandezze
relative alle due correnti in ingresso e con il pedice u le caratteristiche della corrente
in uscita e considerando anche in questo caso il processo adiabatico, le equazioni di
conservazione dellenergia per i sistemi aperti e della massa (di acqua) forniscono:

m
a
h
u
m
a1
h
1
m
a2
h
2
= 0
m
a
x
u
m
a1
x
1
m
a2
x
2
= 0
4.10
in cui tutte le portate sono di aria secca e si omesso per semplicit il pedice (1 +x)
dal simbolo h dellentalpia. Sapendo inoltre che:
m = m
1
+ m
2
si desumono, note portata, grado igrometrico ed entalpia dei ussi daria in ingresso,
portata, grado igrometrico ed entalpia dellaria in uscita.
59
4. APPLICAZIONI: ARIA UMIDA
=100%
h
2
h
u
1
2
u
x
1
x
2
x
u

h
1
x
h
Fig. 4.3 Miscelazione
Tali valori sono facilmente determinabili anche per via graca. Le condizioni h
u
ed x
u
dellaria in uscita si ricavano infatti tracciando la congiungente i punti 1 e 2
rappresentativi dei due ussi daria in ingresso ed individuando su tale segmento
il punto tale da dividere il segmento stesso in parti inversamente proporzionali alle
portate (g. 4.3).
Riscaldamento
Il riscaldamento dellaria umida viene operato in una batteria di scambio termico nella
quale un uido scaldante, in genere acqua o vapore, cede allaria umida una potenza
termica

Q . Scrivendo le equazioni di conservazione per laria umida si ottiene:

Q = m
a
h
u
m
a
h
i
m
a
x
u
= m
a
x
i
4.11
Dalle relazioni precedenti si ricava che il riscaldamento sempre isotitolo (ovvero,
60
4. APPLICAZIONI: ARIA UMIDA
=100%
h
u i
u
x
i
= x
u
h
i
x
h
T
i
T
u
Fig. 4.4 Riscaldamento dellar ia umida.
a grado igrometrico costante) ed accompagnato da un aumento di entalpia e di
temperatura pari a:
h =

Q/ m
a
= T (1 + 1.9x) T
facile vericare dalla 4.9 che riscaldando a titolo costante laria umida lumidit
relativa diminuisce (vedi Fig. 4.4), poich aumenta p
vs
.
Raffreddamento
Il raffreddamento viene operato in una batteria di scambio termico alimentata da
acqua refrigerata. Da un punto di vista termodinamico esso ha modalit analoghe
al riscaldamento, nch non si raggiungono le condizioni di saturazione ( = 100 %):
si tratta di una trasformazione isotitolo caratterizzata da una diminuzione di entalpia
e di temperatura calcolabile come indicato per il riscaldamento, e da un aumento di
umidit relativa.
Diverso il caso in cui, nel corso del raffreddamento isotitolo, laria raggiunga
le condizioni di saturazione (g. 4.5). La temperatura a cui laria diviene satura
61
4. APPLICAZIONI: ARIA UMIDA
=100%
h
i
i
u
x
i
h
u
x
h
T
i
T
u
T
r
x
u
Fig. 4.5 Raffreddamento con deumidicazione dellaria umida.
viene detta temperatura di rugiada (T
r
); continuando a sottrarre calore il vapore
inizia a condensare, mentre lumidit relativa si mantiene pari al 100 %. Se lacqua
condensata viene rimossa (non rimane in sospensione) le equazioni di conservazione
danno dunque:

Q = m
a
(h
u
h
i
) + m
w
h
w
m
a
(x
u
x
i
) + m
w
= 0
4.12
dove:

Q = calore sottratto (negativo) nella batteria di raffreddamento


m
w
= portata di acqua condensata
h
w
= entalpia dellacqua condensata
Le due equazioni 4.12 non consentono di risolvere il problema perch sono incogniti
x
u
, h
u
e m
w
. In realt, entalpia e grado igrometrico dellaria in uscita sono fra loro
legate, poich laria satura. Va pertanto aggiunta la condizione supplementare:
x
u
= 0.622
p
vs
p p
vs
62
4. APPLICAZIONI: ARIA UMIDA
dedotta dalla 4.6 (con =1) che consente di legare il grado igrometrico alla pressione
di saturazione, e dunque alla temperatura ed allentalpia.
La soluzione analitica del problema , come si vede, piuttosto involuta; al contrario,
il problema pu essere agevolmente risolto con lausilio del diagramma di Mollier: si
calcola in primo luogo lentalpia dellaria in uscita con la prima delle 4.12 trascurando
il termine m
w
h
w
; si determina poi il punto nale sul diagramma di Mollier quale
intersezione fra la retta h = h
u
e la curva di saturazione; dal valore del grado
igrometrico x
u
, inne, si ricava per mezzo della seconda delle 4.12 la portata m
w
.
Si potr a questo punto vericare che lerrore compiuto trascurando il termine m
w
h
w
dellordine dell1%, e dunque accettabile.
Umidicazione
Lumidicazione pu essere effettuata in due modi diversi:
con acqua nebulizzata
a vapore
Nel primo caso si impiega una apposita batteria in cui dellacqua nebulizzata viene
spruzzata nellaria che la attraversa. Lacqua evapora sottraendo calore allaria ed
aumentandone il grado igrometrico. Considerando il processo adiabatico, le equazioni
di conservazione danno:

m
a
(h
u
h
i
) m
w
h
w
= 0
m
a
(x
u
x
i
) m
w
= 0
4.13
Questa volta, essendo nota la portata m
w
, entalpia e grado igrometrico dellaria in
uscita sono facilmente determinabili. Dalla prima delle 4.13 si deduce, inoltre, che la
trasformazione pressoch isentalpica, poich, come in precedenza, il termine m
w
h
w
trascurabile rispetto ai termini m
a
h
i
e m
a
h
u
(g. 4.6).
Poich x
u
maggiore di x
i
, a parit di entalpia si deve avere, per la 4.7, T
u
< T
i
.
63
4. APPLICAZIONI: ARIA UMIDA
h
i
i
u
x
i
=100%
h
i
= h
u
x
h
=
T
bs
T
u
= T
bu
x
u
T
i
Fig. 4.6 Rappresentazionesul diagramma di Mollier di una umidicazione isentalpica.
Quando la portata m
w
introdotta tale da portare laria in condizioni di saturazione
T
u
coincider con la cosiddetta temperatura di bulbo umido T
bu
.
2
2
Questa la temperatura che verrebbe misurata da un termometro il cui bulbo sensibile sia stata
avvolto da una pezzuola imbevuta di acqua distillata. Tale strumento detto termometro a bulbo
umido o psicrometro di Assman.
64
progetto
didattica in rete
p
r
o
g
e
t
t
o
d
i
d
a
t
t
i
c
a

i
n

r
e
t
e
Politecnico di Torino, maggio 2003
Dipartimento di Energetica
Fisica Tecnica Ambientale
Parte II: trasporto di calore e di massa

G.V. Fracastoro
otto editore
PARTE II
trasporto di calore e di massa
WWW.POLITO.IT
Giovanni Vincenzo Fracastoro
Fisica Tecnica Ambientale
parte II - trasporto di calore e di massa
Prima edizione maggio 2003
vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuato, compresa la
fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata.
INDICE
1. Generalit sulla trasmissione del calore e conduzione 69
1.1. Conduzione e legge di Fourier . . . . . . . . . . . . . . 69
1.2. Equazione generale della conduzione . . . . . . . . . . . 72
1.3. Condizioni al contorno e scambio termico misto . . . . 75
1.4. Parete piana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79
1.5. Parete cilindrica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83
1.6. Transitori termici in sistemi a capacit termica concentrata 85
1.7. Alcuni problemi particolari . . . . . . . . . . . . . . . . 88
2. Irraggiamento 95
2.1. Leggi del corpo nero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 96
2.2. Caratteristiche radiative delle superci reali . . . . . . . 98
2.3. Scambio termico per irraggiamento fra corpi neri . . . . 99
2.4. Scambio termico per irraggiamento fra superci grigie . 101
3. Convezione 105
3.1. Regime di moto e viscosit . . . . . . . . . . . . . . . . 107
3.2. Concetto di strato limite . . . . . . . . . . . . . . . . . . 108
3.3. Analisi dimensionale per la convezione forzata . . . . . . 110
3.4. Convezione naturale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 113
67
4. Problemi termoigrometrici nelle pareti edilizie 117
4.1. Scambio termico misto in intercapedini . . . . . . . . . 117
4.2. Diagramma (T,R) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 121
4.3. Trasmissione del calore in pareti opache in presenza di .
radiazione solare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 122
4.4. Il problema della condensa superciale . . . . . . . . . . 122
4.5. Diffusione del vapore e condensa interstiziale . . . . . . 124
4.6. Trasmissione del calore in pareti vetrate . . . . . . . . . 130
68
1. GENERALIT SULLA TRASMISSIONE DEL
CALORE E CONDUZIONE
La Parte della Fisica Tecnica che studia il trasferimento di calore allinterno di
un corpo o fra corpi diversi detta Termocinetica o Trasmissione del Calore.
Per meglio comprendere lambito di studio della Termocinetica si pu dire che
essa inizia l dove nisce la Termodinamica. Questultima, infatti, ci consente
di calcolare lo stato termico che si raggiunge in condizioni di equilibrio, ma
non le leggi con cui si perviene a queste condizioni. Ad esempio, ci consente
di stimare la temperatura nale di due corpi messi a contatto, ma non la
velocit di evoluzione delle loro temperature. Questo appunto il compito
della Trasmissione del Calore.
Si gi detto che il calore energia in transito per differenza di temperatura;
sebbene nei problemi reali sia abbastanza raro che si verichino isolatamente,
si distinguono tre modi fondamentali di trasmissione del calore: conduzione,
irraggiamento e convezione. Inizieremo con la trattazione della conduzione,
ma poich la distribuzione di temperatura allinterno di un corpo dipende da
quello che avviene sul suo contorno, sar necessario fornire anche qualche
informazione preliminare sulle altre modalit di scambio termico.
1.1. CONDUZIONE E LEGGE DI FOURIER
Nella conduzione lo scambio di energia termica avviene per scambio di energia
cinetica molecolare (uidi e dielettrici) o per diffusione elettronica (metalli) senza
scambio di materia, allinterno di un corpo. Si ricorda che, secondo la teoria cinetica,
la temperatura proporzionale allenergia cinetica molecolare media e lenergia
69
1. GENERALIT SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE
interna di un corpo non altro che la somma delle energie cinetiche e potenziali delle
molecole che lo costituiscono.
Lesperienza insegna che il usso di calore allinterno di un corpo non isotermo
avviene sempre dalle regioni a temperatura pi alta a quelle a temperatura pi bassa
(II Principio della Termodinamica), e che esso tanto pi intenso quanto pi grande
il gradiente di temperatura. Ci pu essere espresso in forma analitica attraverso la
legge di Fourier:

Q = A
T
x
1.1
dove:

Q = potenza o usso termico, W


A = area della supercie di passaggio del usso termico, m
2
= conducibilit termica, W/(mK)
T = temperatura, K
x = lunghezza generica, m
Il segno meno imposto dal Secondo Principio della Termodinamica, poich il usso
termico diretto nel verso delle temperature decrescenti, e quindi ha segno opposto al
gradiente termico. La conducibilit termica risulta denita anche dimensionalmente
attraverso la 1.1. Essa varia a seconda del tipo di sostanza, e in genere cresce con la
densit. I valori per alcuni materiali e sostanze di comune impiego in edilizia sono
riportati in tabella 1.1.
La conducibilit termica varia in funzione della temperatura. Essa cresce con
laumentare della temperatura per i gas e per i materiali isolanti: ad esempio, per
laria il gradiente di circa 0.5 % al

C. Per i metalli molto puri essa diminuisce,
invece, al crescere della temperatura.
70
1. GENERALIT SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE
Tab. 1.1 Valori di conducibilit termica per alcune sostanze e materiali
di comune impiego nelledilizia.
Sostanza o materiale Conducibilit termica
[W/(m K)]
FLUDI aria 0.024
acqua 0.554
ISOLANTI lana minerale, granuli 0.046
poliuretano 0.026
bra di vetro 0.027
polistirene espanso 0.03-0.17
MATERIALI laterizi ordinari 0.72
DA laterizi faccia-vista 1.3
COSTRUZIONE calcestruzzo normale 1.2-2.0
calcestruzzo alleggerito 0.2-0.8
legno duro (quercia, acero) 0.16
legno tenero (abete, pino) 0.12
vetro 1.4
pietra (calcare, granito, marmo) 2.15-2.80
intonaco di cemento 0.72
intonaco di gesso 0.22-0.25
METALLI acciaio inox 13-15
acciaio 45-60
ferro 80
alluminio, lega di alluminio 170-237
rame 385
71
1. GENERALIT SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE
1.2. EQUAZIONE GENERALE DELLA CONDUZIONE
Coordinate rettangolari
Applicando il I Principio della Termodinamica a un cubetto elementare attraversato
da ussi termici conduttivi si ottiene, nellipotesi di conducibilit termica costante
nelle tre direzioni, lequazione generale della conduzione (vd. DIMOSTRAZIONE a
pag. 73):

2
T
x
2
+

2
T
y
2
+

2
T
z
2
+
q
i

=
c


T
t
1.2
o anche

2
T +
q
i

=
1


T
t
1.2a
dove
2
loperatore di Laplace e la diffusivit termica,
=

c
La 1.1 unequazione differenziale alle derivate parziali integrabile soltanto in alcuni
casi particolari, ai quali si tenta di ricondurre i problemi reali. Ad esempio,
quando il corpo costituito da una parete piana di grandi dimensioni rispetto allo
spessore che separa due ambienti a temperatura diversa, il usso termico pu essere
ragionevolmente considerato monodimensionale e ortogonale alla parete. In questo
caso la 1.2 si riduce a:

2
T
x
2
+
q
i

=
1

T
t
In assenza di generazione interna si ottiene:

2
T
x
2
=
1

T
t
1.3
Nel caso di usso stazionario (T/t = 0) e in assenza di generazione interna si ottiene:
d
2
T
dx
2
= 0 1.4
72
1. GENERALIT SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE
DIMOSTRAZIONE
Applicando il Primo Principio della Termodinamica in forma di potenza:
X

Q =
U
t
ad un solido elementare di materia avente lati dx, dy e dz e conducibilit
x
,
y
,

z
(g. 1.1) attraversato da un usso ter mico conduttivo tr idimensionale e sede di un
usso termico generato internamente,

Q
i
si avr:

Q
x
+

Q
y
+

Q
z
+

Q
i
=

Q
x+dx
+

Q
y+dy
+

Q
z+dz
+
U
t
Applicando la 1.1 si ottiene:

Q
x
=
x
dy dz
T
x

Q
y
=
y
dx dz
T
y

Q
z
=
z
dx dy
T
z
Il usso uscente lungo x sar:

Q
x+dx
=

Q
x
+


Q
x
dx
e analogamente lungo y e z. La differenza fra i ussi termici sullo stesso asse d:

Q
x+dx


Q
x
=

x

x
T
x

dx dy dz

Q
y+dy


Q
y
=

y

y
T
y

dx dy dz

Q
z+dz


Q
z
=

z

z
T
z

dx dy dz
A sua volta la variazione di energia interna ed il usso generato internamente possono
essere espressi come:
U
t
= c dx dy dz
T
t

Q
i
= q
i
dx dy dz
dove:
73
1. GENERALIT SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE
x
Q
x+dx
Q
z+dz
Q
y+dy
Q
z
Q
y
Q
x
y
z
dy
dz
dx
Fig. 1.1 Flussi di conduzione attraverso un solido elementare.
= massa volumica (kg/m
3
)
c = capacit termica massica (J/kgK)
q
i
= usso generato per unit di volume (W/m
3
)
Si ottiene in questo modo lequazione generale della conduzione:

x
T
x

+

y

y
T
y

+

z

z
T
z

+ q
i
= c
T
t
D.1
Se la conducibilit termica costante nelle tre direzioni si ottiene:

2
T
x
2
+

2
T
y
2
+

2
T
z
2
+
q
i

=
c


T
t
D.2
Coordinate cilindriche
Adottando un sistema di coordinate cilindriche (r, , z), con un procedimento
simile a quello illustrato nella DIMOSTRAZIONE a pag.73 lequazione generale della
conduzione diviene:
1
r
2

2
T

2
+

2
T
z
2
+

2
T
r
2
+
1
r
T
r
+
q
i

=
1


T
t
1.5
che si riduce, nel caso di usso monodimensionale radiale, stazionario e senza
generazione interna, a:
74
1. GENERALIT SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE
d
2
T
dr
2
+
1
r

dT
dr
= 0 1.6
1.3. CONDIZIONI AL CONTORNO E SCAMBIO TERMICO MISTO
La soluzione delle equazioni differenziali alle derivate parziali come le 1.2- 1.6
permette di descrivere il campo termico allinterno di un corpo. Questo dipende
tuttavia dalle condizioni termiche al contorno e, per i problemi che dipendono dal
tempo, iniziali.
Per esempio, la 1.4 ha come soluzione generale
T = a x + b
che indica come in una parete piana in regime stazionario il prolo di temperatura sia
lineare. Tuttavia, il valore delle due costanti a e b pu essere determinato soltanto
se sono denite due condizioni al contorno (ovvero, sulle due facce della parete). La
condizione iniziale specica invece i valori di temperatura in ogni punto del sistema
allistante iniziale.
Esistono tre tipi di condizione al contorno, che verranno di seguito esemplicate per
casi monodimensionali stazionari:
1

tipo - condizione di temperatura (o di Dirichlet)


2

tipo - condizione di usso (o di Neumann)


3

tipo - condizione di temperatura e usso (o di convezione)


Una condizione al contorno in cui il termine noto sia nullo viene detta omogenea.
Le condizioni al contorno del 1

tipo sono quelle in cui sul contorno del sistema


in esame imposto e noto il valore della temperatura. Ad esempio, per un caso
monodimensionale:
T|
x=x
1
= T
1
1.7
75
1. GENERALIT SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE
Le condizioni al contorno del 2

tipo sono quelle in cui sul contorno del sistema
in esame noto il valore assunto dal usso termico. Ad esempio, per un caso
monodimensionale:

x =x
1
= A
dT
dx

x =x 1
=

Q
1
1.8
Su un piano di simmetria del sistema si avr una condizione al contorno omogenea
perch sar nullo il gradiente di temperatura e dunque

Q
1
= 0 .
Le condizioni al contorno del 3

tipo sono le pi comuni nella pratica. Esse prevedono
che sul contorno del sistema siano fornite equazioni supplementari in cui compaiono
sia la temperatura che il usso termico:

x =x
1
= A
dT
dx

x =x 1
= h A

T|
x =x
1
T
a

1.9
in cui T
a
la temperatura dellambiente (uido e superci) con cui viene scambiato
calore per convezione e irraggiamento e h il coefciente di scambio termico liminare
o adduttanza superciale.
Per comprendere meglio il signicato di h necessario analizzare pi nel dettaglio
cio che avviene allinterfaccia fra la supercie del corpo e lambiente. Il calore che
proviene dallinterno del corpo per conduzione (

Q
k
) uguale alla somma di quello
scambiato dalla supercie per convezione con il uido (

Q
c
) e per irraggiamento con
le superci
r
), come indicato in gura 1.2. circostanti (

Q
k
=

Q
c
+

Q
r
1.10
necessario dunque fornire alcune indicazioni preliminari sulle due forme con cui
avviene lo scambio termico per irraggiamento e convezione. Una trattazione pi
dettagliata verr fornita nei CAPITOLI 2 e 3.
Irraggiamento
Lirraggiamento il trasferimento di calore per propagazione di onde elettromagne-
tiche. Questa avviene alla velocit della luce, sotto forma di quanti di energia che si
propagano con leggi desumibili dalla teoria ondulatoria. Non vi bisogno di un mezzo
76
1. GENERALIT SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE
Q
c
Q
r
Q
k
Fig. 1.2 Equilibrio dei ussi alla parete.
per consentire la propagazione delle onde elettromagnetiche: esse si propagano anche
nel vuoto.
Nello scambio termico fra due corpi neri la potenza termica scambiata vale

Q = A
1
F
12
(T
4
1
T
4
2
) 1.11
in cui la costante di Stefan-Boltzmann e F
12
rappresenta il fattore di vista fra la
supercie 1 (di area A
1
) e la supercie 2. La 1.11 mostra come la potenza termica
emessa da un corpo sia funzione della quarta potenza della sua temperatura assoluta.
Una espressione analoga si pu ricavare per la potenza termica scambiata fra due
superci grigie, cio due superci che emettono una frazione della potenza emessa
a parit di altre condizioni dal corpo nero:

Q = A
1
F

(T
4
1
T
4
2
) 1.12
in cui F

un fattore che tiene conto sia del fattore di vista che delle emissivit delle
due superci. Se le temperature T
1
e T
2
non differiscono troppo, si pu linearizzare
lespressione precedente ponendo
h
r
= 4F

T
3
m
1.13
77
1. GENERALIT SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE
in cui T
m
la media aritmetica fra le due temperature e h
r
detto coefciente di
scambio termico liminare per irraggiamento. Si ottiene immediatamente

Q
r
= h
r
A
1
(T
1
T
2
) 1.14
Convezione
il meccanismo che regola la trasmissione del calore tra una supercie solida e un
uido. Si tratta di un meccanismo complesso in cui sono presenti diversi fenomeni
(conduzione, irraggiamento, accumulo termico, trasporto di massa): le particelle
di uido adiacenti alla parete scambiano calore con questultima per conduzione,
poich la velocit delle particelle stesse nulla sulla supercie. Quando poi le
particelle vengono trasportate verso regioni a temperatura diversa, esse si mescolano
e trasferiscono la loro energia e quantit di moto alle particelle di queste regioni.
Si usa distinguere tra convezione naturale e forzata. Nel primo caso la causa del moto
delle particelle uide sono i gradienti di densit indotti nel uido dalle differenze di
temperatura, mentre nel secondo caso tale moto provocato da una azione esterna. In
entrambi i casi si soliti calcolare il usso scambiato fra parete e uido per mezzo
della seguente relazione (Legge di Newton):

Q = h
c
A(T
1
T
f
) 1.15
in cui h
c
detto coefciente di scambio termico liminare per convezione, e T
f
la
temperatura del uido adiacente alla parete. Nel caso di convezione forzata h
c
dipende
essenzialmente dalla velocit relativa fra uido e parete, mentre in convezione naturale
esso dipende da molti fattori, fra cui, come si vedr, la differenza di temperatura stessa.
Scambio termico liminare
Una volta ricavate le equazioni 1.14 e 1.15, nel caso in cui la temperatura del uido
coincida praticamente con quella delle superci viste dalla parete considerata (T
2

T
f
) e divenga perci genericamente la temperatura dellambiente T
a
, si pu tornare
allequazione 1.9, che diviene:
78
1. GENERALIT SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE

Q
k
A
=
dT
dx

x=x1
= (h
c
+ h
r
) (T
1
T
a
) = h (T
1
T
a
) 1.16
dove h, detto coefciente di scambio termico liminare o adduttanza superciale,
dato da:
h = h
c
+ h
r
1.17
Linverso del coefciente h viene detto resistenza termica liminare.
1.4. PARETE PIANA
In questo paragrafo si analizza landamento della temperatura attraverso una parete
piana di spessore piccolo rispetto alle altre due dimensioni e si calcola il usso
termico che la attraversa nella direzione dello spessore. Le ipotesi ricorrenti in questa
trattazione sono:
regime stazionario
geometria rettangolare
usso monodimensionale
generazione interna nulla ( q
i
= 0 )
Parete piana monostrato con condizioni al contorno del 1

tipo
Si abbia una parete piana (g. 1.3) composta da un solo strato omogeneo di spessore
s e conducibilit termica ; sono inoltre imposte sulle due facce della parete valori
pressati di temperatura. Occorre integrare lequazione differenziale 1.4 con le
seguenti condizioni al contorno:
T(0) = T
1
T(s) = T
2
Si ottiene landamento lineare:
T = T
1

T
1
T
2
s
x 1.18
79
1. GENERALIT SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE
T
2
T
1
0 s x
T
Fig. 1.3 Parete piana monostrato.
Derivando la 1.18 e applicando la legge di Fourier si ottiene immediatamente il usso
trasmesso:

Q = A
T
1
T
2
s
1.19
Si osservi che la 1.19 poteva essere ottenuta direttamente dalla 1.1, che in questo caso
una equazione differenziale a variabili separabili, facilmente integrabile poich

Q non
funzione di x
1
. La 1.19 viene spesso scritta come:

Q
A
=
T
1
T
2
R
1.19 a
o anche:

Q
A
= C (T
1
T
2
) 1.19 b
o inne:

Q =
T
1
T
2
R

1.19 c
1
Infatti, se il usso entrante in uno strato fosse diverso da quello uscente, per il Primo Principio
della Termodinamica lenergia interna e dunque la temperatura dello strato varierebbe nel
tempo.
80
1. GENERALIT SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE
dove:
R = resistenza termica dello strato = s/
C = conduttanza dello strato = /s = 1/R
R

= resistenza termica specica dello strato = s/(A) = R/A


La 1.19.c mostra la perfetta analogia fra le leggi della conduzione (legge di Fourier) e
quelle dellelettromagnetismo (legge di Ohm):
I =
V
R


Q =
T
R
con le seguenti corrispondenze:
corrente elettrica (I) usso termico

Q
differenza di potenziale (V ) differenza di temperatura (T)
resistenza elettrica (R) resistenza termica specica (R)
Parete piana multistrato con condizioni al contorno del 1

tipo
Sono note, come prima, le temperature sulle due facce estreme T
1
e T
n+1
. Si scrive
la 1.19 per ognuno degli n strati che costituiscono la parete (g. 1.4).

Q
A
=
1

T
1
T
2
s
1

Q
A
=
2

T
2
T
3
s
2
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Q
A
=
n

T
n
T
n+1
s
n
Il usso che attraversa i vari strati sempre lo stesso, per lipotesi di stazionariet. Per
cui, mettendo in evidenza le n differenze di temperatura e sommando, si ottiene:

Q
A
=
T
1
T
n+1
n

j=1
s
j

j
=
T
1
T
n+1
n

j=1
R
j
= C (T
1
T
n+1
) =
T
1
T
n+1
R
1.20
81
1. GENERALIT SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE
1 2 3 n n+1
s
1
s
2
s
n
1

2
n
T
1
T
2
T
3
T
n
T
n+1
T

Fig. 1.4 Parete multistrato.
essendo C la conduttanza, ed R la resistenza termica della parete multistrato:
R =
1
C
=
n

j=1
s
j

j
=
n

j=1
R
j
Pareti piane che separano ambienti a temperatura pressata
In questo caso, assai frequente nella realt, si considerano pareti che separano ambienti
mantenuti a temperature diverse, ad esempio lambiente interno di un edicio e
lambiente esterno. Sono note le temperature dei due ambienti, ma non le temperature
superciali n i ussi. Le condizioni al contorno che si impongono sono dunque del
3

tipo, ovvero:

Q
A

x=0
=
dT
dx

x=0
= h
i
(T
i
T (0))

Q
A

x=s
=
dT
dx

x=s
= h
e
(T (s) T
e
)
82
1. GENERALIT SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE
dove h
i
e h
e
sono i coefcienti di scambio termico liminare interno ed esterno e T
i
e
T
e
le temperature (note) dei due ambienti interno ed esterno separati dalla parete. Si
ha dunque, essendo il usso costante in ogni strato e ricordando la 1.20:

Q
A
= h
i
(T
i
T
1
)

Q
A
=
T
1
T
n+1
n

j=1
s
j

Q
A
= h
e
(T
n+1
T
e
)
Sommando, come prima, le differenze di temperatura e semplicando si ottiene:

Q
A

1
h
i
+
n

j=1
s
j

j
+
1
h
e

= T
i
T
e
da cui:

Q
A
= U (T
i
T
e
) 1.21
dove U, detta trasmittanza termica o coefciente di scambio termico globale,
data da:
U =

1
h
i
+
n

j=1
s
j

j
+
1
h
e

1
1.22
1.5. PARETE CILINDRICA
Parete monostrato con condizioni al contorno del 1

tipo
Si abbia una parete cilindrica composta da un solo strato omogeneo di conducibilit
termica (g. 1.5). Valgono le seguenti ipotesi:
regime stazionario
assenza di generazione interna
usso monodimensionale (radiale).
83
1. GENERALIT SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE
r
2
r
1
r
T
2
T
1
Fig. 1.5 Parete cilindrica monostrato (sezione trasversale).
Anche in questo caso possibile ricavare direttamente il usso ponendo nella 1.1,
x = r e A = 2rL

Q
2rL
=
dT
dr
1.23
e integrando con le seguenti condizioni al contorno:
T(r
1
) = T
1
T(r
2
) = T
2
Si ottiene la potenza per unit di lunghezza:

Q
L
= 2
T
1
T
2
ln (r
2
/r
1
)
1.24
Alla stessa espressione si poteva giungere ricavando dalla 1.6 il prolo di temperatura
e successivamente applicando la legge di Fourier.
In modo del tutto analogo a quanto visto per la parete piana multistrato, per una parete
cilindrica formata da n strati concentrici si ottiene:

Q
L
= 2
T
1
T
n+1
n

j=1
1

j
ln
r
j+1
r
j
1.25
84
1. GENERALIT SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE
Pareti cilindriche che separano uidi a temperatura pressata
Procedendo in modo analogo a quanto fatto per la parete piana multistrato si ottiene il
usso disperso per unit di lunghezza:

Q
L
= 2
T
i
T
e
1
r
i
h
i
+
n

j=1
1

j
ln
r
j+1
r
j
+
1
r
e
h
e
= U
L
(T
i
T
e
) 1.26
Volendo esprimere il usso disperso per unit di supercie, occorre distinguere il caso
in cui ci si riferisce alla supercie interna:

Q
A
i
=
T
i
T
e
1
h
i
+ r
i
n

j=1
1

j
ln
r
j+1
r
j
+
r
i
r
e
h
e
= U
i
(T
i
T
e
) 1.27
da quello in cui ci si riferisce alla supercie esterna:

Q
A
e
=
T
i
T
e
r
e
r
i
h
i
+ r
e
n

j=1
1

j
ln
r
j+1
r
j
+
1
h
e
= U
e
(T
i
T
e
) 1.28
Dalle 1.26 - 1.28 si ricavano le espressioni delle trasmittanze U
L
, U
i
, U
e
.
1.6. TRANSITORI TERMICI IN SISTEMI A CAPACIT TERMICA
CONCENTRATA
Vengono detti sistemi a capacit termica concentrata quei corpi la cui temperatura
pu variare nel tempo, mantenendosi per uguale in ogni punto (uniforme). Si
osservi peraltro che se il corpo scambia calore attraverso il suo contorno deve esistere
un gradiente termico al suo interno, come si vede da un semplice bilancio su una
supercie innitesima del contorno dA :
hdA (T T
a
) = dA
T
n
dove
h = coefciente di scambio termico liminare
85
1. GENERALIT SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE
T = temperatura del corpo
T
a
= temperatura dellambiente
= conducibilit termica del corpo
n = normale alla supercie
Tuttavia il gradiente T/n diviene molto piccolo se grande rispetto ad h. In
pratica esso pu essere trascurato se vale la condizione:
Bi =
h (V /A)

=
h L

=
L/
1/h
=
R
int
R
est
< 0.1
dove
Bi il numero di Biot e V il volume del corpo.
Se si introduce un corpo avente Bi < 0.1 e temperatura iniziale T
0
in un uido a
temperatura T
a
< T
0
e capacit termica innita (g. 1.6) nel tempo dt si ha dunque,
supponendo che il sistema sia nel complesso adiabatico:
dQ = cV dT = C dT 1.29
con
dQ = hA (T T
a
) dt 1.30
dove:
= densit
c = calore specico
C = capacit termica
h = coefciente di scambio termico liminare
A = area della supercie di scambio
Le 1.29 - 1.30, risolte imponendo la condizione iniziale:
T (0) = T
0
86
1. GENERALIT SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE
Q
T
T

a
Fig. 1.6 Corpo a capacit termica concentrata inserito in un sistema a capacit
termica innita.
forniscono:
T T
a
= (T
0
T
a
) e
hAt/C
1.31
Landamento della differenza di temperatura dunque esponenziale. La temperatura
raggiunta dal corpo al tempo t = varr ovviamente T
a
. Il termine
=
C
hA
=
cV
hA
detto costante di tempo del sistema e rappresenta il tempo necessario perch la
differenza di temperatura tra corpo e uido si riduca del fattore 1/e (36.8 %).
possibile dimostrare che esso coincide inoltre con il tempo in cui la temperatura del
corpo raggiungerebbe quella dellambiente se essa decadesse con legge lineare e con
pendenza pari a quella assunta allistante iniziale. Inoltre, tenendo presente che:
hA
C
t =
hL
2
cL
3
t

=
hL


t
L
2
= Bi Fo
dove L la lunghezza caratteristica del corpo (ad esempio, L = Volume/Area
Laterale), la diffusivit termica e Fo = t/L
2
il numero di Fourier (o tempo
adimensionato), si pu scrivere:
= e
BiFo
1.32
87
1. GENERALIT SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE
0
0.1
0.2
0.3
0.4
0.5
0.6
0.7
0.8
0.9
1
0 5 10 15 20
Numero di Fourier, Fo
T
e
m
p
e
r
a
t
u
r
a

a
d
i
m
e
n
s
i
o
n
a
t
a
Bi = 0.02
Bi = 0.04
Bi = 0.06
Bi = 0.08
Bi = 0.10
Fig. 1.7 Transitorio termico in un sistema a capacit concentrata.
in cui
=
T T

T
0
T

la temperatura adimensionata del corpo. Lequazione 1.32 illustrata in gura 1.7.


1.7. ALCUNI PROBLEMI PARTICOLARI
Pareti piane composite
Si consideri la parete di gura 1.8, composta di sezini a e b (con U
a
< U
b
) separati
da un piano parallelo alla direzione del usso. Si supponga che gli ambienti che essa
separa siano mantenuti rispettivamente alla temperatura T
i
e T
e
, con T
i
> T
e
. Il usso
termico attraverso le aree A
a
e A
b
vale rispettivamente:

Q
a
= U
a
A
a
(T
i
T
e
) =
T
R
a

Q
b
= U
b
A
b
(T
i
T
e
) =
T
R
b

88
1. GENERALIT SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE
a
b
A
a
A
b
Fig. 1.8 Parete piana composita.
Il usso complessivamente uscente vale:

Q =

Q
a
+

Q
b
= T

1
R

a
+
1
R

Pertanto si ha:

Q =
T
R

eq
= U
eq
T
essendo:
R

eq
=

1
R

a
+
1
R

1
1.33
la resistenza equivalente (R

eq
< R

b
< R

a
) e:
U
eq
=
A
a
U
a
+ A
b
U
b
A
a
+ A
b
1.34
la trasmittanza equivalente (U
a
< U
eq
< U
b
) della parete. In gura 1.9 viene presentato
il caso di sezioni costituite ciascuna da un solo strato omogeneo (con
a
<
b
). Si
osserva che landamento di temperatura lungo la parete a (linea spessa) diviene diverso
da quello lungo la parete b (linea sottile) e nascono differenze di temperatura anche in
direzione y ortogonale allo spessore della parete.
89
1. GENERALIT SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE
a
b
T
2b
T
1b
T
1a
T
2a
T
i
T
e
T
a
T
b
Fig. 1.9 Andamento delle temperature in parete composita.
Alette di raffreddamento
Le alette di raffreddamento sono dispositivi che consentono di incrementare il usso
termico disperso verso lambiente circostante attraverso laumento della supercie
disperdente. Le alette possono essere piane, anulari o a spina. In questo paragrafo
si analizzer il comportamento di alette piane a sezione rettangolare (g. 1.10) con le
seguenti ipotesi:
regime stazionario
caratteristiche di scambio termico (conducibilit, coefciente di scambio
termico liminare) indipendenti dalla temperatura
assenza di gradienti termici in direzione trasversale allaletta
Lultima ipotesi implica che lo spessore dellaletta sia molto piccolo rispetto alla sua
lunghezza.
Se si considerano inoltre costanti per lintera lunghezza L il perimetro p e larea A
della sezione trasversale, e trascurabile il usso disperso dallestremit dellaletta, si
90
1. GENERALIT SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE
A
L
T

T
0
a

Fig. 1.10 Aletta piana rettangolare.


ottiene (vedi DIMOSTRAZIONE a pag. 92 anche per il signicato degli altri simboli) il
usso disperso dallaletta:

Q = Am(T
0
T

) tanh (mL) 1.35


dove T
0
e T

rappresentano rispettivamente la temperatura alla radice dellaletta e


dellambiente circostante.
Si pu poi introdurre il concetto di efcienza dellaletta, intesa come il rapporto fra il
usso effettivamente disperso e quello massimo disperdibile. Questultimo il usso
che verrebbe disperso se tutta laletta avesse una temperatura uniforme e pari a T
0
:

Q
max
= p L h (T
0
T

)
per cui:
=

Q

Q
max
=
tanh(mL)
mL
< 1 1.36
In gura 1.11 riportato landamento dellefcienza al variare del prodotto (mL).
Si pu inoltre valutare unaltra forma di efcienza

, denita come il rapporto fra il


usso effettivamente disperso e quello che sarebbe disperso se non vi fosse laletta:

Q
0
= h A
0
Tale valore dovrebbe evidentemente essere superiore ad 1. Infatti:
91
1. GENERALIT SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE
0
0.1
0.2
0.3
0.4
0.5
0.6
0.7
0.8
0.9
1
0 0.5 1 1.5 2 2.5 3
mL
e
f
f
i
c
i
e
n
z
a
,


Fig. 1.11 Efcienza di unaletta.
=
m tanh(mL)
h
=
p L
A
=
2 (a + ) L
a

2 a L
a
=
2L


In genere,

dunque tanto maggiore di quanto pi laletta lunga e sottile.


DIMOSTRAZIONE
Con le ipotesi sopra indicate il bilancio termico di un elementino di lunghezza dx
(g. 1.12 ) d:

Q
x
=

Q
x+dx
+ d

Q
c
D.1
Essendo:

Q
x
= A
dT
dx
D.2
e
d

Q
c
= hp (T T

) dx D.3
in cui:
= conducibilit termica del materiale costituente laletta
A = area della sezione trasversale dellaletta
92
1. GENERALIT SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE
dx
dQc
Q
x
Q
x+dx
Fig. 1.12 Aletta piana rettangolare.
h = coefciente di scambio termico liminare
p = perimetro della sezione trasversale
T = temperatura dellaletta (funzione di x)
T

= temperatura dellambiente
si ottiene:
A
d
2
T
dx
2
= hp (T T

) D.4
Ponendo:
m
2
=
hp
A
D.5
e
= T T

D.6
si ottiene:
d
2

dx
2
m
2
= 0 D.7
La D. 7 ammette la soluzione generale:
= M e
mx
+ N e
mx
D.8
I valori delle costanti M ed N possono essere ricavati imponendo le oppportune condi-
zioni al contorno. In tal modo si ricava il prolo di temperatura lungo laletta. Da questo,
integrando la D. 3 su tutta laletta o r icavando il usso disperso alla radice dellaletta per
93
1. GENERALIT SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE
mezzo della D. 2 si ottiene il usso disperso. Ad esempio, supponendo trascurabile il
usso disperso dallestremit dellaletta, il usso disperso risulta:

Q = Am
0
tanh (mL) D.9
94
2. IRRAGGIAMENTO
Lirraggiamento termico il fenomeno del trasporto di energia per pro-
pagazione di onde elettromagnetiche; nei problemi termici la radiazione
elettromagnetica caratterizzata da lunghezze donda comprese, in genere,
tra 0.1 e 100 m (radiazione termica).
Quando la radiazione incide su un mezzo materiale essa viene riessa,
assorbita o trasmessa.
Se si indicano con , , le frazioni di energia assorbita, riessa e trasmessa
(g. 2.1), note rispettivamente come fattore o coefciente di assorbimento, di
riessione e di trasmissione, si deve avere:
+ + = 1 2.1
I coefcienti , , sono funzione sia della lunghezza donda della
radiazione (in tal caso sono detti spettrali o monocromatici), sia del suo
angolo dincidenza (direzionali). Quando essi sono riferiti alla radiazione
proveniente da tutto lo spettro essi sono detti integrali, quando sono riferiti


Fig. 2.1 Interazione della radiazione con un mezzo materiale.
95
2. IRRAGGIAMENTO
alla radiazione proveniente da tutto langolo solido visto dalla parete sono
detti emisferici. In ogni caso vale la 2.1.
Per mezzi opachi = 0. Se, inoltre, = 0 a tutte le lunghezze donda, si
ha = 1 e il mezzo viene detto corpo nero, o radiatore integrale, o ancora
radiatore di Planck.
2.1. LEGGI DEL CORPO NERO
La potenza emessa per unit di supercie nellintervallo di lunghezza donda [, +
d] dal corpo nero ad una temperatura T detta potere emissivo monocromatico o
densit di usso monocromatica, denita come:
E
n

=

2

Q
n
A
, W/(m
2
m)
Il potere emissivo monocromatico dato dallespressione, nota come legge di Planck,
ricavabile in base a considerazioni di termodinamica statistica applicata al gas di
fotoni:
E
n

=
C
1

5
e
C
2
/T
1
2.2
dove le costanti valgono C
1
= 3.74 10
8
Wm
4
/m
2
e C
2
= 1, 44 10
4
mK.
Esso risulta funzione di e T , come indicato in gura 2.2.
Da tale gura si osserva che il valore massimo del potere emissivo monocromatico
aumenta e si sposta verso sinistra al crescere di T . Differenziando la 2.2 rispetto
alla lunghezza donda si vede che il luogo dei punti di massimo caratterizzato
dallequazione (nota come legge di Wien o dello spostamento):

max
T = C
3
2.3
con C
3
= 2898 m K.
E di particolare interesse pratico determinare il potere emissivo integrale E
n
:
E
n
=

0
E
n

d, W/m
2
96
2. IRRAGGIAMENTO
0.0E+00
2.0E+07
4.0E+07
6.0E+07
8.0E+07
1.0E+08
1.2E+08
0.00 0.50 1.00 1.50 2.00 2.50 3.00 3.50
Lunghezza d'onda,
P
o
t
e
r
e

e
m
i
s
s
i
v
o

m
o
n
o
c
r
o
m
a
t
i
c
o
,

W
/
m
2
T = 6000 K
T = 5000 K
T = 4000 K
T = 3000 K
m
m

Fig. 2.2 Potere emissivo monocromatico del corpo nero.


Il suo valore fu ricavato per via sperimentale da Stefan, e da Boltzmann, che vi
pervenne successivamente sulla base di considerazioni termodinamiche; per questo
motivo lequazione che la esprime nota come Legge di Stefan-Boltzmann
1
:
E
n
= T
4
2.4
con (costante di Stefan-Boltzmann), pari a 5.67 10
8
W/(m
2
K
4
).
In alcuni problemi pu essere utile disporre di un metodo rapido per conoscere
la frazione di radiazione emessa dal corpo nero che si trova contenuta in una
determinata porzione dello spettro. Ci possibile introducendo il concetto di fattore
di radiazione f

:
f

0
E
n

d
T
4
2.5
Si dimostra che il valore di f

in realt funzione soltanto del prodotto T, come


illustrato in g. 2.3. Da tale diagramma si vede che oltre il 99 % della radiazione
1
Da un punto di vista cronologico la legge di Stefan-Boltzmann precede la legge di Planck.
97
2. IRRAGGIAMENTO
0.00
0.10
0.20
0.30
0.40
0.50
0.60
0.70
0.80
0.90
1.00
1000 10000 100000
Prodotto

T ( m K)
f

Fig. 2.3 Fattore di radiazione.


emessa nellintervallo 1000 mK < T < 30000 mK e oltre il 90 % nellintervallo
2000 mK < T < 20000 mK. A titolo di esempio, per un corpo nero a 3000 K il
90 % della radiazione emessa fra 0.67 m e 6,7 m, mentre per un corpo nero a 300
K il 90 % della radiazione emessa fra 6,7 m e 67 m.
Se si vuole calcolare la frazione di radiazione visibile (0.4m < < 0.8m) emessa
dal Sole, che pu essere assimilato ad un corpo nero a circa 6000 K, sufciente
svolgere il seguente calcolo:
f
vis
= f
0.86000
f
0.46000
0.61 0.14 = 0.47
Il 14 % sar pertanto radiazione ultravioletta ( < 0.4m) e il 39 % infrarossa
( > 0.8m).
2.2. CARATTERISTICHE RADIATIVE DELLE SUPERFICI REALI
In un corpo opaco reale il fattore di riessione sempre diverso da zero, quindi il
fattore di assorbimento minore di uno. Anche il potere emissivo monocromatico, in
un corpo reale, una frazione, variabile con la lunghezza donda, del potere emissivo
98
2. IRRAGGIAMENTO
monocromatico del corpo nero E
n

, alla stessa temperatura T. Questa frazione detta


fattore di emissione monocromatico emisferico:

=
E

(T)
E
n

(T)
dove E

(T) il potere emissivo monocromatico del corpo.


La legge di Kirchhoff stabilisce che, quando un corpo in equilibrio termico, si deve
avere:

2.6
Il fattore di emissione emisferico integrale dato da:
=
E(T)
E
n
(T)
=
E(T)
T
4
in cui:
E(T) =

E
n

d
Si deniscono grigie le superci in cui il fattore di emissione non dipende dalla
lunghezza donda. In questo caso si ha:
=
2.3. SCAMBIO TERMICO PER IRRAGGIAMENTO FRA CORPI NERI
Irraggiamento fra due superci nere
Per ricavare il usso termico scambiato per irraggiamento fra due superci nere
necessario denire il fattore di vista (o di forma, o ancora di congurazione). Il fattore
di vista dalla supercie 1 alla supercie 2 (F
12
) rappresenta la frazione di radiazione
uscente dalla supercie 1 che raggiunge la supercie 2. Ovvero:
F
12
=

Q
12

Q
1
2.7
99
2. IRRAGGIAMENTO
E dunque:

Q
12
= E
1
n
A
1
F
12
il usso che da A
1
raggiunge A
2

Q
21
= E
2
n
A
2
F
21
il usso che da A
2
raggiunge A
1
Il usso netto scambiato vale:

Q = E
n
1
A
1
F
12
E
n
2
A
2
F
21
2.8
Un caso particolare della 2.8 quello in cui T
1
= T
2
. In questo caso E
n
1
= E
n
2
, ma
deve anche essere

Q = 0 . Perci:
A
1
F
12
= A
2
F
21
2.9
La 2.9 una relazione puramente geometrica e pertanto deve valere sempre, indipen-
dentemente dai valori assunti dalle temperature. Essa nota come teorema o relazione
di reciprocit. Lo scambio netto vale pertanto:

Q = A
1
F
12
(E
n
1
E
n
2
) = A
1
F
12

T
4
1
T
4
2

2.10
in cui il fattore di vista dato da:
F
12
=
1
A
1

A
1

A
2
cos
1
cos
2
dA
1
dA
2
r
2
2.11
ed riportato nella gura 2.4, a titolo desempio, per due superci rettangolari
affacciate.
Irraggiamento fra n superci nere
Nel caso in cui si debba valutare il usso termico scambiato per irraggiamento fra n
superci nere il usso netto uscente dalla supercie i-esima varr:

Q
i
= E
n
i
A
i

j=1
A
j
F
ji
E
n
j
che, utilizzando il teorema di reciprocit (A
j
F
ji
= A
i
F
ij
) si riscrive come:

Q
i
= A
i
(E
n
i

n

j=1
F
ij
E
n
j
) 2.12
100
2. IRRAGGIAMENTO
R
a
p
p
o
r
t
o

Y
/
L
0.01
0.1
1
0.1 10
Rapporto X/L
F
12
5
0.1
1
2
0.5
10
1000
L
Y
X
1
Fig. 2.4 Fattore di vista fra due rettangoli uguali (XxY), allineati e paralleli a
distanza L.
Inoltre, se le n superci nere costituiscono una cavit chiusa, vale la seguente
propriet:
n

j=1
F
ij
= 1
per cui la 2.12 pu essere riscritta cos:

Q
i
= A
i

j=1
F
ij
(E
n
i
E
n
j
) 2.13
Essendo note le temperature di tutte le n superci, le n equazioni come la 2.13
permettono di calcolare immediatamente il usso netto uscente dalle n superci.
2.4. SCAMBIO TERMICO PER IRRAGGIAMENTO FRA SUPERFICI GRIGIE
Lo scambio termico fra superci grigie presenta qualche ulteriore complessit rispetto
a quello fra superci nere. Infatti, poich non tutto il usso incidente su una supercie
viene assorbito, una parte di quello riesso torner sulla supercie da cui proviene il
usso incidente, verr solo in parte assorbito, e cos via.
101
2. IRRAGGIAMENTO
Si dimostra che il usso termico scambiato fra due superci grigie vale:

Q =

T
4
1
T
4
2

1
1

1
A
1
+
1
A
1
F
12
+
1
2

2
A
2
= F

A
1

T
4
1
T
4
2

2.14
avendo posto:
F

1
1

1
+
1
F
12
+
A
1
A
2
1
2

1
2.15
facile dimostrare che per i corpi neri F

= F
12
e la 2.14 si riduce alla 2.10.
Valori di F

per alcune geometrie particolari


Per due superci piane, parallele e innite si avr A
1
= A
2
e F
12
= F
21
= 1, e
la 2.15 diverr:
F

1
+
1

2
1

1
2.16
Per una supercie di area A
1
contenuta in una cavit di area A
2
>> A
1
, essendo
F
12
= 1, la 2.15 diviene semplicemente:
F

=
1
2.17
Linearizzazione del usso di irraggiamento
Come gi visto nel CAPITOLO 1.3, nella soluzione analitica di problemi di irraggia-
mento spesso conveniente esprimere i ussi termici scambiati come funzione lineare
della differenza di temperatura:

Q = h
r
A
1
(T
1
T
2
)
Questa relazione pu essere agevolmente desunta dalla 2.14, attraverso le propriet dei
prodotti notevoli:

Q = F

A
1

T
4
1
T
4
2

= F

A
1

T
2
1
+T
2
2

(T
1
T
2
) (T
1
+T
2
)
e ponendo:
h
r
= F

T
2
1
+T
2
2

(T
1
+T
2
) 4F

T
3
m
2.18
con T
m
= (T
1
+T
2
)/2.
102
2. IRRAGGIAMENTO
possibile dimostrare che lapprossimazione insita nella 2.18
T
2
1
+T
2
2
2T
2
m
tanto pi accettabile quanto pi prossime fra loro sono le temperature T
1
e T
2
.
103
3. CONVEZIONE
La convezione lo scambio di calore fra una supercie ed un uido, a
temperatura diversa, che la lambisce. I fenomeni di scambio termico sono
concentrati in un sottile strato adiacente alla parete (strato limite termico) e
consistono nellinterazione fra conduzione (e in minor misura irraggiamento)
e trasporto di energia associata al uido in moto (in direzione anche diversa da
quella principale del moto).
A seconda che il moto relativo fra parete e uido sia determinato da forze
esterne o sia provocato da variazioni di densit del uido (dovute a loro volta
a differenze di temperatura) in presenza di un campo di forze di massa, la
convezione si dice rispettivamente forzata o naturale.
Nel caso della convezione forzata, se le propriet del uido possono essere
considerate costanti (il che implica che esse siano indipendenti dalla tempe-
ratura e che, nel caso di un gas, siano trascurabili le variazioni di pressione),
il problema uidodinamico e quello termico non si inuenzano a vicenda e
possono essere dunque affrontati separatamente.
Al contrario, nella convezione naturale questa separazione della trattazione
non mai possibile perch il moto del uido proprio determinato dai
gradienti di temperatura allinterno della massa uida.
In entrambi i casi, di convezione forzata o naturale, consuetudine esprimere il
usso termico convettivo attraverso lespressione nota come legge di Newton:

Q = h
c
A(T
s
T
f
) 3.1
dove:
A = area di scambio, m
2
h
c
= coefciente di scambio termico liminare convettivo o adduttanza
superciale, W/(m
2
K)
105
3. CONVEZIONE
T
s
= temperatura della supercie lambita dal uido,

C
T
f
= temperatura del uido

C
La 3.1 solo apparentemente una relazione lineare, perch il coefciente di
scambio termico liminare h
c
dipende, per la natura stessa del fenomeno sico,
da un grande numero di variabili, tra cui compare, insieme alle propriet
termosiche del uido (calore specico, densit, viscosit, conducibilit
termica, etc.), e ad altre grandezze siche e geometriche che caratterizzano il
problema (velocit relativa, forma della supercie, etc.), anche la temperatura.
Lobbiettivo degli studi sulla convezione appunto quello di determinare h
c
.
possibile affrontare il problema dal punto di vista sperimentale o teorico.
Nel primo caso opportuno far precedere la fase sperimentale da una analisi
dimensionale delle grandezze da cui dipende il problema (teorema di Buc-
kingham o teorema ), che consenta di ridurre il numero di variabili. Questo
procedimento, che richiede lidenticazione a priori di tutte le variabili,
consente di giungere a relazioni (nel caso pi semplice monomie) fra un
ristretto numero di parametri adimensionali. Gli esponenti e i coefcienti di
queste relazioni vengono poi determinati per via sperimentale.
Nel caso in cui il problema venga affrontato dal punto di vista puramente
teorico, il uido viene in genere considerato come un mezzo continuo al quale
possibile applicare le equazioni di conservazione della massa (continuit),
della quantit di moto (equazioni di Navier-Stokes) e dellenergia. La soluzio-
ne esatta di queste equazioni presenta difcolt matematiche insormontabili.
Attraverso lintroduzione del concetto di strato limite (PARAGRAFO 3.2)
possibile semplicare notevolmente sia le equazioni di Navier-Stokes che
dellenergia, giungendo a soluzioni esatte per congurazioni particolarmente
semplici e per strato limite laminare.
Lo strato limite pu anche essere esaminato su scala macroscopica applicando
le stesse equazioni di conservazione a una porzione nita di uido (metodi
integrali) e ottenendo in tal modo soluzioni approssimate, ma spesso ancora
accettabili nei problemi di ingegneria. In questo caso il problema pu essere
risolto anche per strato limite turbolento.
In questultimo caso un procedimento matematico spesso adottato per risolve-
re questo tipo di problemi consiste nello stabilire delle analogie fra trasporto
di calore e di quantit di moto (analogia di Reynolds).
Nel seguito sono riportati alcuni richiami, necessariamente sintetici, di moto
dei uidi.
106
3. CONVEZIONE
3.1. REGIME DI MOTO E VISCOSIT
Si deve a Reynolds (1883) la prima osservazione dellesistenza di due tipi fon-
damentali di moto dei uidi, il moto laminare e quello turbolento. Il ben noto
esperimento da lui realizzato gli consent di visualizzare (attraverso liniezione di
un liquido colorante) il usso dacqua in un condotto, al variare della velocit. Per
piccole velocit la traccia di colorante rimane continua e ben denita; lassenza di
miscelamento di particelle di uido evidenzia un campo di moto puramente assiale, e
il moto viene detto laminare.
Allaumentare della velocit la traccia del colorante tende a slacciarsi no a
diffondersi su tutta la sezione del condotto; il rimescolamento delle particelle di
uido evidenzia la presenza di uttuazioni di velocit sia in direzione parallela che
perpendicolare alla direzione del moto, e il moto viene detto turbolento.
Per usso turbolento, anche se il regime di moto stazionario le propriet del uido in
un punto (velocit, pressione, temperatura, etc.) variano dunque nel tempo. Si tratta,
tuttavia, di variazioni a valor medio temporale nullo. Perci sufciente sostituire ai
valori istantanei delle propriet i loro valori medi, esprimendo le componenti uttuanti
attraverso il loro valore quadratico medio.
Quando gli strati di uido scorrono uno sopra laltro sono sottoposti a sforzi
tangenziali che sono bilanciati dagli effetti dissipativi interni al uido, provocati dalla
sua viscosit. Come conseguenza di ci si osserva sperimentalmente la presenza di
un gradiente di velocit in direzione trasversale al moto. In un uido newtoniano gli
sforzi tangenziali sono proporzionali in modo lineare al gradiente di velocit, e la
costante di proporzionalit detta viscosit dinamica :
=
du
dy
3.2
dove u la velocit nella direzione principale del moto e y la direzione
perpendicolare alla supercie su cui scorre il uido.
107
3. CONVEZIONE
Ripetendo lesperimento di Reynolds con uidi aventi propriet siche (viscosit,
densit) e velocit diverse e in condotti aventi diametro diverso si osserva che la
transizione dal moto laminare a quello turbolento si verica sempre in corrispondenza
di uno stesso valore (2000-2500) di un insieme adimensionato di variabili, detto
numero di Reynolds, denito da:
Re =
u D

=
u D

3.3
dove la viscosit cinematica. Per Re < 2000 il moto sar dunque laminare e per
Re > 2500 sar turbolento, qualunque siano i valori assunti singolarmente dalle varie
grandezze.
Un altro parametro particolarmente importante nello studio della convezione il
numero di Prandtl, denito come:
Pr =
c
p

3.4
in cui = c
p
/ la diffusivit termica, denita nel CAPITOLO 1.
Esiste una analogia fra trasporto di massa e di calore in un campo di pressioni
uniforme, evidenziata formalmente dal fatto che per Pr 1 ( = ) la distribuzione
adimensionale della temperatura identica a quella delle velocit. In effetti per la
maggior parte dei gas Pr compreso fra 0.6 ed 1, mentre per i liquidi le variazioni
sono assai pi sensibili.
3.2. CONCETTO DI STRATO LIMITE
Una notevole semplicazione del problema la si ottiene introducendo il concetto di
strato limite. Tale concetto fu introdotto da Prandtl nel 1904 per studiare il moto di
un uido adiacente ad una parete. Egli osserv che, ad una adeguata distanza dalla
parete, il moto del uido non pi inuenzato dalla presenza della parete e den
perci strato limite della velocit quella regione di uido, adiacente alla parete, in cui,
a causa degli sforzi viscosi, esistono degli apprezzabili gradienti di velocit. Detta x la
108
3. CONVEZIONE
x
y
T T T T
s

t
(x)
T T T

T
s

Fig. 3.1 Strato limite termico su una lastra piana.


direzione principale del moto ed u la componente di velocit lungo x, lo spessore (x)
dello strato limite dinamico viene determinato imponendo che u(x, ) non differisca
dalla velocit nella regione indisturbata u

per pi dell1%.
Analogamente, esiste uno strato limite termico in cui la temperatura varia da T
s
(temperatura della parete) a T

(temperatura del uido nella regione indisturbata).


La regione di uido non compresa nello strato limite termico si comporta dunque
come un pozzo termico, in grado di assorbire il calore proveniente dallo strato limite
senza modicare la propria temperatura.
Anche in questo caso, lo spessore
t
dello strato limite termico viene determinato
imponendo che la differenza di temperatura |T (x,
t
) T
s
| sia pari al 99% della
differenza di temperatura fra uido nella zona indisturbata e parete |T

T
s
|
(g. 3.1).
Se si rapporta il usso termico scambiato per convezione attraverso lo strato limite:

Q
c
= h
c
A(T
s
T
f
)
con quello che sarebbe scambiato per pura conduzione attraverso lo strato limite:

Q
k
=

t
(T
s
T
f
)
in cui la conducibilit termica del uido, si ottiene:
109
3. CONVEZIONE

Q
c
/

Q
k
=
h
t

Se al posto dello spessore dello strato limite si riporta nellespressione precedente la


generica lunghezza caratteristica L, si ottiene lespressione del numero di Nusselt:
Nu =
hL

3.5
3.3. ANALISI DIMENSIONALE PER LA CONVEZIONE FORZATA
Lesperienza insegna che il coefciente di scambio termico per convezione forzata
dipende dalle seguenti variabili indipendenti:
h
c
= f(u, , , L, , c
p
) 3.6
dove:
u = velocit
= viscosit dinamica
= conducibilit termica
L = lunghezza caratteristica del problema (es.: diametro)
= massa volumica
c
p
= calore specico
Si hanno dunque 7 variabili (6 indipendenti) che dimensionalmente possono essere
espresse attraverso le 4 dimensioni fondamentali M, L, T, (massa, lunghezza,
tempo e temperatura). Il teorema di Buckingham afferma che:
una relazione fra n variabili dipendenti ed indipendenti funzione
di m dimensioni fondamentali pu essere espressa attraverso una
funzione fra (n m) gruppi adimensionati.
La 3.6 dar dunque luogo ad una funzione di 7 4 = 3 gruppi adimensionati:
110
3. CONVEZIONE
f
1
(
1
,
2
,
3
) = 0
Si ipotizza una funzione monomia del tipo:
h
c
= A u
a

b

c
L
d

m
c
n
p
3.7
Essendo note le equazioni dimensionali delle 7 grandezze (tabella 3.1), si scrivono poi
le equazioni di congruenza dimensionale per le 4 dimensioni fondamentali.

Massa M : 1 = b + c + m
Lunghezza L : 0 = a b + c + d 3m + 2n
Tempo t : 3 = a b 3c 2n
Temperatura : 1 = c n
3.8
Tab. 3.1 Equazione dimensionale per le variabili del problema.
grandezza unit di
misura s.i.
unit
fond. s.i.
equazione
dimensionale
M L T
h
c
W/(m
2
K) kg/(s
3
K) 1 0 -3 -1
u m/s m/s 0 1 -1 0
N s/m
2
kg/(s m) 1 -1 -1 0
W/(m K) kgm/(s
3
K) 1 1 -3 -1
D m m 0 1 0 0
kg/m
3
kg/m
3
1 -3 0 0
c
p
J/(kg K) m
2
/(s
2
K) 0 2 -2 -1
Il sistema 3.7 di 4 equazioni in 6 incognite. Esprimendo a, b, c, d in funzione di m, n
si ottiene:
a = m
b = n m
c = 1 n
d = m1
111
3. CONVEZIONE
Sostituendo nella 3.9 e raccogliendo i termini con uguale esponente si ottiene:
h
c
= Au
m

nm

1n
L
m1

m
c
n
p
= A

u D

c
p

L
da cui:
Nu = ARe
m
Pr
n
3.9
opportuno sottolineare come nella 3.9 si sia giunti a due sole variabili indipendenti
(Re e Pr), dalle sei che comparivano nella 3.6.
Per ricavare il valore del coefciente A e degli esponenti m ed n che compaiono
nella 3.9 necessario ricorrere a tecniche sperimentali. In Tab. 3.2 si possono trovare
tali valori per alcune congurazioni ricorrenti.
Tab. 3.2 Valori delle costanti dellequazione 3.9 per alcune congura-
zioni geometriche semplici.
Caso A m n
Moto turbolento completamente sviluppato allinterno di
un condotto per uido che si raffredda (equazione di
Dittus e Boelter)
1
0.023 0.8 0.3
Moto turbolento completamente sviluppato allinterno
di un condotto per uido che si riscalda (equazione di
Dittus e Boelter)
1
0.023 0.8 0.4
Fluido che scorre su una lastra piana indenita per
strato limite laminare
0.664 0.5 0.33
Fluido che scorre su una lastra piana indenita per
strato limite turbolento(Re
L
> 10
5
)
2
0.036 0.8 0.33
1
Le propriet del uido vanno calcolate alla temperatura media del uido.
2
In questo caso la 3.9 fornisce il valore medio di Nu nel tratto L.
112
3. CONVEZIONE
Per alcuni uidi di uso comune (aria, acqua) esistono delle correlazioni semplicate
in cui si fornisce direttamente h
c
in funzione delle principali variabili indipendenti (la
velocit u e, a volte, una caratteristica dimensionale). Ad esempio, per aria che scorre
su una parete si ha:
h
c
= 3 + 2 u
3.4. CONVEZIONE NATURALE
Applicando lanalisi dimensionale alla convezione naturale, possibile ottenere:
Nu = f(Gr, Pr)
con Gr, numero di Grashof, denito da:
Gr =
g T l
3

2
3.10
dove
T = differenza di temperatura fra uido (T

) e parete (T
0
)
L = lunghezza caratteristica
= coefciente di dilatazione termica, pari a
1
V

V
T

p
, ovvero 1/T per i
gas ideali, come laria
Le relazioni sono del tipo:
Nu = C (Pr Gr)
m
= C Ra
m
3.11
con
Ra = Gr Pr (numero di Rayleigh) 3.12
I numeri di Grashof e Prandtl vanno valutati alla cosiddetta temperatura di lm T
f
,
denita come:
T
f
= (T
s
+ T

)/2
113
3. CONVEZIONE
Calcolo dello scambio termico per convezione naturale per alcuni casi particolari
I valori dei coefcienti C ed m dipendono dalla geometria del problema e dal valore
del numero di Rayleigh, come indicato nella tabella 3.3.
Tab. 3.3 Costanti C ed m da usare nella 3.11.
Geometria Ra C m
Piano o cilindro verticale 10
4
10
9
0.59 1/4
10
9
10
13
0.10 1/3
Piano orizzontale (usso ascendente) 2 10
4
8 10
6
0.54 1/4
8 10
6
10
11
0.15 1/3
Piano orizzontale (usso
discendente)
10
5
10
11
0.58 1/5
Quando il uido aria possono essere utilizzate le equazioni semplicate riportate in
tabella 3.4.
Tab. 3.4 Espressioni semplicate di h
c
per l aria.
Congurazione Regime
laminare (10
4
< Ra < 10
9
) turbolento (Ra > 10
9
)
Piano o cilindro verticale h
c
= 1.42 (T/L)
1/4
h
c
= 0.95 (T)
1/3
Piano orizzontale (usso
ascendente)
h
c
= 1.32 (T/L)
1/4
h
c
= 1.43 (T)
1/3
Piano orizzontale (usso
discendente)
h
c
= 0.61
`
T/L
2

1/5
114
3. CONVEZIONE
u
0
T
s1
T
s2
T
a
T
Fig. 3.2 Campo termico e di velocit in una intercapedine.
Intercapedini daria
Il caso di intercapedini daria limitate da pareti molto frequente in edilizia. Nelle
intercapedini si ha un doppio scambio termico convettivo parete calda-aria e aria-
parete fredda che produce il tipico campo di moto e di temperatura riportato in
gura 3.2.
Per le intercapedini si ricorre talvolta al concetto di conducibilit termica equivalente

e
. Essa rappresenta il valore di conducibilit termica di un immaginario materiale
omogeneo inserito nellintercapedine tale per cui, a parit di temperatura delle due
facce, il usso per conduzione risulterebbe pari a quello effettivamente trasmesso
attraverso lintercapedine per convezione naturale.
Si ha allora:

Q/A = h
c
(T
1
T
2
) =

e

(T
1
T
2
) 3.13
dove = spessore dellintercapedine.
115
3. CONVEZIONE
I valori di
e
si ricavano attraverso il rapporto adimensionato:
Nu

=
h
c

=

e

in cui Nu

, numero di Nusselt calcolato per L = , rappresenta il rapporto fra il usso


convettivo e quello che si avrebbe nel caso di pura conduzione. Esso dato da:
Nu

= C (Gr

Pr)
n
(L/)
m
3.14
con:
Gr

= numero di Grashof calcolato perL =


L = altezza o lunghezza dellintercapedine
C, m, n = coefcienti riportati nella tabella 3.5
Per numeri di Grashof inferiori a 2000 si assume
e
, ovvero Nu

= 1. Ci
signica che non si innescano moti convettivi e il trasporto di calore avviene per pura
conduzione.
Tab. 3.5 Valori delle costanti dellequazione 3.14 per alcune geometrie
semplici
Geometria Gr

Pr L/ C m n
Verticale 6 10
3
2 10
5
11 42 0.197 -1/9 1/4
2 10
5
1.1 10
7
11 42 0.073 -1/9 1/3
Orizzontale 1700 7000 .......... 0.059 0 0.4
(usso ascendente) 7000 3.2 10
5
.......... 0.212 0 1/4
> 3.2 10
5
.......... 0.061 0 1/3
116
4. PROBLEMI TERMOIGROMETRICI NELLE PARETI
EDILIZIE
4.1. SCAMBIO TERMICO MISTO IN INTERCAPEDINI
Si visto nel CAPITOLO 1 (eq. 1.21) come il usso di calore trasmesso attraverso una
parete piana multistrato in regime stazionario sia dato dallespressione

Q
A
= U (T
i
T
e
) 4.1
dove U, detta trasmittanza termica o coefciente di scambio termico globale, data
da (CAPITOLO 1, eq. 1.22):
U =
_
_
1
h
i
+
n

j=1
s
j

j
+
1
h
e
_
_
1
Tutti i termini fra parentesi rappresentano delle resistenze termiche. Esistono alcuni
componenti di parete la cui resistenza termica non pu essere determinata attraverso
il rapporto s/. Si tratta di intercapedini daria, blocchi di laterizio o cemento
alleggerito, etc. In questi casi si preferisce introdurre nella 1.22 direttamente la loro
resistenza termica, ovvero:
U =
_
_
1
h
i
+
n

j=1
s
j

j
+

R
j
+
1
h
e
_
_
1
4.2
Si esaminer ora in particolare il calcolo della resistenza termica delle in intercapedini
daria, comunemente impiegate in edilizia, sia nelle pareti opache che in quelle
117
4. PROBLEMI TERMOIGROMETRICI NELLE PARETI EDILIZIE
ari a
T
1
T
2
irraggiamento
convezione
T
a
Fig. 4.1 Flussi termici in intercapedini.
vetrate. Nelle intercapedini si ha uno scambio termico per irraggiamento diretto fra
le due facce delle pareti, e uno scambio termico convettivo parete calda-aria e aria-
parete fredda (vedi g. 4.1). Il usso complessivamente scambiato nellintercapedine
vale dunque:

Q
A
=
_

Q
A
_
conv
+
_

Q
A
_
rad
= h
c
(T
1
T
2
) +h
r
(T
1
T
2
) =
(h
c
+h
r
) (T
1
T
2
) =
T
1
T
2
R
int
4.3
Lo studio dellirraggiamento fra le due facce di unintercapedine si pu ricondurre a
quello fra due superci piane, parallele e innite, analizzato nel CAPITOLO 2. Il usso
scambiato per unit di supercie vale in questo caso
_

Q
A
_
rad
= F

_
T
4
1
T
4
2
_
= h
r
(T
1
T
2
)
con
h
r
= 4 F

T
3
m
=
4T
3
m
1

1
+
1

2
1
Dalla g. 4.2 si vede che il valore di h
r
dipende debolmente dalla temperatura media
delle due facce (in K), ma fortemente inuenzato dalla loro emissivit.
118
4. PROBLEMI TERMOIGROMETRICI NELLE PARETI EDILIZIE
0.000
1.000
2.000
3.000
4.000
5.000
6.000
0.000 0.200 0.400 0.600 0.800 1.000
c
o
e
f
f
i
c
i
e
n
t
e

r
a
d
i
a
t
i
v
o

h
r

(
W
/
m
2
K
)
Tm = 275 K
Tm = 290 K
F
Fig. 4.2 Coefciente radiativo h
r
in intercapedini per vari valori di F

e T
m
.
Per quanto riguarda la convezione in intercapedini, essa stata analizzata nel
CAPITOLO 3. Si ha
1
.

Q/A = h
c
(T
1
T
2
)
con
h
c
=

e

dove
= spessore dellintercapedine

e
= conducibilit termica effettiva (o equivalente) dellintercapedine
La conducibilit termica effettiva dipende a sua volta in modo complesso dallo
spessore dellintercapedine, dalla differenza di temperatura e dalla lunghezza (altezza)
1
Si noti che, contrariamente alla consuetudine, il usso convettivo non viene assunto propor-
zionale alla differenza fra la temperatura di una faccia e dellaria, ma alla differenza fra le
temperature delle due facce.
119
4. PROBLEMI TERMOIGROMETRICI NELLE PARETI EDILIZIE
0.000
0.200
0.400
0.600
0.800
1.000
1.200
1.400
1.600
2 3 4 5 6 7 8 9 10
Differenza di temperatura fra le facce (C)
d = 2 cm d = 5 cm d = 8 cm
h
c
(
W
/
m
2
K
)
Fig. 4.3 Coefciente convettivo h
c
in intercapedini al variare di differenza di
temperatura e spessore dellintercapedine (L = 3m).
dellintercapedine. In g. 4.3 illustrata la dipendenza dalla differenza di temperatura
e dallo spessore dellintercapedine.
In denitiva le variabili da cui dipende la resistenza dellintercapedine sono:
lemissivit delle facce
la differenza di temperatura fra le due facce
lo spessore dellintercapedine
laltezza dellintercapedine
In generale si pu dire che la resistenza dellintercapedine aumenta fortemente al
diminuire dellemissivit delle due facce e diminuisce debolmente allaumentare della
differenza di temperatura e al diminuire dellaltezza dellintercapedine. Ha invece un
andamento variabile al variare dello spessore: cresce no a circa 6 cm, poi diminuisce
lentamente.
Per intercapedini in pareti opache o vetrate non trattate lemissivit delle due facce
circa uguale a 0.93-0.95, da cui risulta F

= 0.87-0.90. Si pu assumere in tal caso


R
int
= 0.18-0.19 m
2
K/W.
120
4. PROBLEMI TERMOIGROMETRICI NELLE PARETI EDILIZIE

T
R R
tot
R
0-x
T
x
T
e
T
i
Fig. 4.4 Diagramma (T, R).
Viceversa, quando si impiegano vetri speciali, denominati basso-emissivi, che con-
sentono di raggiungere valori di F

= 0.10-0.20, si pu avere R
int
= 0.4-0.5 m
2
K/W.
4.2. DIAGRAMMA (T,R)
La 4.1 pu essere riscritta, ricordando la 1.19a

Q
A
=
T
i
T
e
R
tot
La formula mostra che in regime stazionario le differenze di temperatura sono
proporzionali alle resistenze termiche. La costante di proporzionalit proprio la
densit di usso termico:
T
i
T
e
=
_

Q/A
_
R
tot
4.4
Riportando le temperature su un diagramma (T, R), come indicato in g. 4.4 si ottiene
una retta che consente di determinare la temperatura in una sezione qualsiasi (x)
della struttura in funzione della generica resistenza termica R
ox
dallaria interna
alla sezione considerata.
121
4. PROBLEMI TERMOIGROMETRICI NELLE PARETI EDILIZIE
4.3. TRASMISSIONE DEL CALORE IN PARETI OPACHE IN PRESENZA DI
RADIAZIONE SOLARE
Si vuole calcolare il usso trasmesso attraverso una parete multistrato di spessore s
e costituita da n strati, sulla cui faccia esterna incide un usso termico radiativo di
origine solare. Siano T
i
e T
e
le temperature dei due ambienti che essa separa. Si
tratta di un problema con condizioni al contorno del 3

tipo su entrambe le facce della


parete. In particolare, sulla faccia esterna si avr:

Q
A

x=s
= h
e
(T
n+1
T
e
) I
dove il fattore di assorbimento della parete e I lirradianza solare, espressa in
W/m
2
. Seguendo la procedura indicata nel PARAGRAFO 1.4 si ricava la differenza di
temperatura fra laria interna e la supercie esterna:

Q
A
_
_
n

j=1
s
j

j
+
1
h
i
_
_
= T
i
T
n+1
Aggiungendo a questa equazione la condizione al contorno sulla faccia esterna si
ottiene:

Q
A
= U (T
i
T
e
)
U I
h
e
= U (T
i
T
s,a
)
avendo chiamato temperatura sole-aria la quantit
T
s,a
= T
e
+
I
h
e
4.5
4.4. IL PROBLEMA DELLA CONDENSA SUPERFICIALE
Quando la temperatura superciale di una parete a contatto con laria interna scende
al di sotto della temperatura di rugiada si ha formazione di condensa. Se il fenomeno
ricorrente si creano condizioni favorevoli allo sviluppo di colonie fungine e muffe
122
4. PROBLEMI TERMOIGROMETRICI NELLE PARETI EDILIZIE
che deturpano laspetto della parete e creano un ambiente malsano per le persone che
vi risiedono
2
.
Il problema si sintetizza nel confronto fra la temperatura superciale
T
si
= T
i

U
h
i
(T
i
T
e
)
e la temperatura di rugiada T
r
dellaria interna, che a sua volta dipende, oltre che dalla
temperatura dellaria, dalla sua umidit relativa (vedi il CAPITOLO 4 della PARTE
PRIMA). Per evitare la condensa superciale occorre che sia:
T
si
> T
r
Tuttavia, poich la temperatura superciale interna risente delle variazioni della
temperatura esterna, pi conveniente effettuare il confronto utilizzando il concetto
di fattore di temperatura della parete:
f =
T
si
T
e
T
i
T
e
4.6
in quanto si dimostra facilmente che questo solo funzione delle caratteristiche di
resistenza termica della parete (R
tot
) e dello strato liminare interno (R
i
):
f =
T
si
T
e
T
i
T
e
=
T
si
T
e
+T
i
T
i
T
i
T
e
= 1
T
i
T
si
T
i
T
e
= 1
R
i
R
tot
Occorre allora imporre che f sia superiore al valore massimo ammissibile f
max
, dato
a sua volta da:
f
max
=
T
r
T
e
T
i
T
e
2
Alcune muffe riescono a proliferare anche quando lumidit relativa locale inferiore al 100 %,
no a valori prossimi all80%.
123
4. PROBLEMI TERMOIGROMETRICI NELLE PARETI EDILIZIE
4.5. DIFFUSIONE DEL VAPORE E CONDENSA INTERSTIZIALE
La diffusione quel particolare fenomeno di trasporto di massa provocato su scala
microscopica da gradienti di concentrazione presenti allinterno di una miscela di
gas. Per concentrazione si intende il rapporto fra la quantit di sostanza di uno dei
componenti la miscela e il volume totale della miscela. La condensa interstiziale
un fenomeno che si verica quando il vapore dacqua, nella sua diffusione attraverso
una parete, incontra zone a temperatura pi bassa della temperatura di saturazione del
vapore.
Legge di Fick
Si abbia un volume contenente una miscela di gas a concentrazione non uniforme.
Attraverso una supercie immaginaria tracciata in modo da dividere il volume
occupato dalla miscela in due parti, passeranno, per mera agitazione molecolare, pi
molecole dal lato a concentrazione pi elevata a quello a concentrazione pi bassa che
non viceversa. Ne risulta un trasporto netto di massa nella direzione in cui il gradiente
di concentrazione minore di zero.
Lesperienza dimostra che la portata di diffusione proporzionale al gradiente della
concentrazione, secondo la legge, detta Legge di Fick, valida in regime stazionario:
n
A
= D
C
x
4.7
in cui
n = usso di quantit di sostanza, kmoli/s
D = diffusivit, m
2
/s
C = concentrazione molare, in kmoli/m
3
, data da:
C =
n
V
Si osservi la perfetta analogia fra la 4.7 e la legge di Fourier, scritta in funzione della
diffusivit termica = /c
p
, che ha le stesse dimensioni di D :

Q
A
=
T
x
=
( c
p
T)
x
124
4. PROBLEMI TERMOIGROMETRICI NELLE PARETI EDILIZIE
Diffusione del vapore acqueo attraverso una parete
Esaminiamo adesso il caso della diffusione del vapore acqueo attraverso un materiale
permeabile. Poich il vapore dacqua allo stato gassoso si pu, con qualche
approssimazione, applicare lequazione di stato dei gas ideali:
p V = nRT
in cui p la pressione parziale del vapore nellaria. Dalla denizione di concentrazione
molare si ricava
C =
p
R T
4.8
Sostituendo la 4.8 nella 4.7 si ha:
n
A
=
D
R T

p
x
o anche, moltiplicando per la massa molecolare :
m
A
= D

R T
p
x
=
p
x
4.9
avendo denito permeabilit al vapore la quantit
=
D
R

T
Applicando la 4.9 ad una parete piana multistrato in regime stazionario per usso
di vapore monodimensionale, si ottiene, con procedimento del tutto analogo a
quello descritto per ricavare il usso di calore per conduzione attraverso una parete
multistrato (CAPITOLO 1.4):
m
A
= M (p
i
p
e
) 4.10
dove
M =
_
1

i
+

+
1

e
_
1
4.11
la permeanza al vapore della parete, che ha il suo analogo termico nella trasmittanza
termica U del CAPITOLO 1.4.
I termini riportati nella parentesi hanno le dimensioni di una resistenza alla diffusione
del vapore (R
v
); in particolare i coefcienti dimensionati
i
e
e
forniscono lentit
125
4. PROBLEMI TERMOIGROMETRICI NELLE PARETI EDILIZIE
della diffusione del vapore dallaria alla parete e viceversa. Il loro valore molto
elevato rispetto ai valori di /s dei principali materiali, per cui spesso si pu assumere
1/
i
= 1/
e
= 0
Pertanto la 4.5 pu essere riscritta come:
M =
_

_
1
4.11 a
I valori di permeabilit di alcuni fra i materiali pi comunemente impiegati in edilizia
sono forniti in Tabella 4.1.
Tab. 4.1 Valori di permeabilit al vapor dacqua ().
Materiale (kg/s m Pa) Materiale (kg/s m Pa)
Aria 17.8 10
11
Legno di pino 0.10 10
11
Calcestruzzo da 2300
kg/m
3
0.5 10
11
Muratura di mattoni
pieni e forati
2.0 10
11
Calcestruzzo di pomi-
ce da 280 kg/m
3
5.9 10
11
Fibra minerale
(lastre)
3 15 10
11
Calcestruzzo leggero 1.8 4.8 10
11
Foglio di alluminio,
vetro cellulare
0
Cartonfeltro bitumato 1.8 10
14
Foglio di polietilene 0.2 0.5 10
14
Eternit 0.27 10
11
Polistirolo espanso 0.4 0.8 10
11
Intonaco di gesso 2.9 10
11
Polistirolo estruso 0.21 10
11
Intonaco di malta di
cemento
0.9 10
11
PVC 0.8 1.7 10
12

126
4. PROBLEMI TERMOIGROMETRICI NELLE PARETI EDILIZIE
Tab. 4.1 Valori di permeabilit al vapor dacqua ().
Materiale (kg/s m Pa) Materiale (kg/s m Pa)
Intonaco di malta e
calce
1.8 10
11
Resina epossidica in
lastre rinforzate con
bra di vetro
0.83 10
15
Legno di faggio 0.05 10
11
Vermiculite, perlite e
argilla espansa
sciolta
17.8 10
11
Diagramma di Glaser
Il diagramma di Glaser costituisce un utile strumento non soltanto per la verica dei
rischi di condensa in una parete, ma anche per la correzione di tale inconveniente.
Essa ha la resistenza alla diffusione del vapore in ascisse e la pressione parziale di
vapore in ordinate. E dunque un diagramma (p, R
v
) e gode delle stesse propriet di
cui gode il diagramma (T, R) descritto al PARAGRAFO 4.2.
Il procedimento di costruzione del diagramma consiste nei seguenti passi:
a. Si riportano in ascisse, in successione, i valori delle resistenze s/ alla
diffusione del vapore degli strati costituenti la parete, dallinterno allesterno,
no a raggiungere laria esterna (R
v,tot
).
b. Si riportano i valori delle pressioni parziali del vapore interna (p
i
) ed esterna
(p
e
), rispettivamente in corrispondenza di R
v
= 0 e R
v
= R
v,tot
.
c. Si traccia la retta che unisce i due punti cos ottenuti. Essa rappresenta
landamento delle pressioni parziali su ogni supercie attraversata dal usso
di vapore. Infatti, analogamente alla 4.4, si ha
p
e
= p
i

m
A
R
v,tot
d. Conoscendo le temperature in corrispondenza dei vari strati si ricavano le cor-
rispondenti pressioni di saturazione p
s
(vedi tab. 4.2 e g. 4.1 della PARTE I) e
le si riportano sul diagramma di Glaser.
127
4. PROBLEMI TERMOIGROMETRICI NELLE PARETI EDILIZIE
p
e
p
i
p
si
p
se
R
v R
v,tot
p
Fig. 4.5 Diagramma di Glaser per una parete in cui non si manifestano fenomeni di
condensa.
Tab. 4.2 Valori della pressione di saturazione dellacqua fra 20

C e
39

C.
T(

C) p
vs
(Pa) T(

C) p
vs
(Pa) T(

C) p
vs
(Pa) T(

C) p
vs
(Pa)
-20 103 -5 402 10 1228 25 3169
-19 114 -4 437 11 1312 26 3363
-18 125 -3 476 12 1403 27 3567
-17 137 -2 518 13 1498 28 3782
-16 151 -1 563 14 1598 29 4008
-15 165 0 611 15 1706 30 4246
-14 181 1 657 16 1819 31 4496
-13 199 2 706 17 1938 32 4759
-12 217 3 758 18 2064 33 5035
-11 238 4 814 19 2198 34 5324
-10 260 5 873 20 2339 35 5628
-9 284 6 935 21 2488 36 5947
-8 310 7 1002 22 2645 37 6281
-7 338 8 1073 23 2811 38 6632
-6 369 9 1148 24 2985 39 7000
128
4. PROBLEMI TERMOIGROMETRICI NELLE PARETI EDILIZIE
p
e
p
i
p
si
p
se
R
v
R
v,2 R
v,1
R
v,tot
p
1
p
2
p
Fig. 4.6 Prolo delle pressioni reali in presenza di condensazione.
Se in nessun punto la pressione reale supera quella di saturazione si ha la situazione
di g. 4.5.
In caso contrario si ha formazione di condensa allinterno della parete, evidenziata
dallarea tratteggiata (g. 4.6). Tuttavia, in questo caso il prolo delle pressioni reali
cambia rispetto a quello ricavato con le considerazioni precedenti, poich la pressione
reale non pu mai superare la pressione di saturazione. Per ricavare il prolo di
pressione reale si deve tener conto del fatto che, poich parte della portata di vapore
condensa, la portata uscente sar minore di quella entrante.
Pertanto, devono essere rispettate le due condizioni:
portata costante quando p < p
s
(
p
R
v
= costante)
p p
s
in ogni sezione della parete
Landamento delle pressioni reali che soddisfa le precedenti condizioni quello in cui
la retta delle pressioni reali tangente alla curva di saturazione (tratti p
i
p
1
e p
2
p
e
)
o coincide con essa (tratto p
1
p
2
).
129
4. PROBLEMI TERMOIGROMETRICI NELLE PARETI EDILIZIE
p
i
p
si
R
v
R
v,add
p
se
p
e
p
Fig. 4.7 Correzione del problema della condensa interstiziale mediante resistenza
aggiuntiva (barriera al vapore).
La portata di vapore, ovvero la pendenza dp/dR
v
, sar costante nel tratto i 1,
decrescente nel tratto 1 2 e di nuovo costante, ma inferiore a quella del tratto i 1,
nel tratto 2 e.
La portata condensata varr dunque:
_
m
A
_
cond
=
_
m
A
_
in

_
m
A
_
out
=
_
p
R
v
_
i1

_
p
R
v
_
2e
=
p
i
p
1
R
v,1

p
2
p
e
R
v,2
Nel caso in cui si voglia correggere la stratigraa della parete in modo da evitare la
formazione di condensa al suo interno, si pu ancora utilizzare il diagramma di Glaser.
Si traccia la retta partente da p
e
e tangente alla curva di saturazione no a raggiungere
il valore p
i
, sulla sinistra dellasse (g. 4.7). La distanza di tale punto dallasse p
rappresenta la resistenza R
v,add
aggiuntiva che deve essere introdotta, attraverso una
opportuna barriera al vapore, per evitare rischi di condensa.
4.6. TRASMISSIONE DEL CALORE IN PARETI VETRATE
Nel caso di pareti vetrate, in presenza di radiazione solare, si ha un duplice fenomeno
di scambio termico, di cui si tiene conto separatamente. Vi un usso termico per
130
4. PROBLEMI TERMOIGROMETRICI NELLE PARETI EDILIZIE
differenza di temperatura (trasmissione per conduzione, con condizioni al contorno
radiativo-convettive) e un usso termico entrante per effetto della radiazione solare.
Il usso termico per differenza di temperatura sar dato, come in precedenza, dalla 4.1
_

Q
A
_
cond
= U (T
i
T
e
)
Quello legato alla radiazione solare somma di due componenti, una di trasmissione
diretta verso linterno, laltra dovuta allassorbimento e riemissione verso linterno
della radiazione
_

Q
A
_
sol
= (
sol
+n
sol
) I 4.12
in cui
n = frazione riemessa verso linterno della quota assorbita

sol
= fattore di assorbimento alla radiazione solare

sol
= fattore di trasmissione alla radiazione solare
Spesso la quantit fra parentesi nella 4.12 viene detta fattore solare (g ) :
g = +n
sol
131
progetto
didattica in rete
p
r
o
g
e
t
t
o
d
i
d
a
t
t
i
c
a

i
n

r
e
t
e
Politecnico di Torino, giugno 2003
Dipartimento di Energetica
Fisica Tecnica Ambientale
Parte III: acustica applicata

G.V. Fracastoro
otto editore
PARTE III
acustica applicata
Giovanni Vincenzo Fracastoro
Fisica Tecnica Ambientale
parte III - acustica applicata
Prima edizione giugno 2003
vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuato, compresa la
fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata.
INDICE
1. Aspetti sici generali 137
1.1. Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 137
1.2. Equazioni delle onde acustiche e grandezze caratteristiche 138
2. Acustica siologica 143
2.1. Sensazioni acustiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 143
2.2. Audiogramma normale . . . . . . . . . . . . . . . . . . 145
3. Campi sonori e acustica degli ambienti chiusi 147
3.1. Interazione suono-parete . . . . . . . . . . . . . . . . . 147
3.2. Campo libero o diretto . . . . . . . . . . . . . . . . . . 150
3.3. Campo diffuso o perfettamente riverberato . . . . . . . . 150
3.4. Campo semiriverberante . . . . . . . . . . . . . . . . . 154
4. Fonoassorbimento e fonoisolamento 157
4.1. Fonoassorbimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 157
4.2. Fonoisolamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 158
5. Criteri di valutazione del rumore 165
5.1. Sorgenti di rumore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 165
5.2. Criteri di valutazione del disturbo da rumore . . . . . . . 168
135
1. ASPETTI FISICI GENERALI
1.1. INTRODUZIONE
Il suono unoscillazione di pressione che si propaga in un mezzo elastico. A
differenza delle onde elettromagnetiche, le onde acustiche sono onde elastiche, che
necessitano cio di un mezzo di supporto, che pu essere un gas, un liquido o
un solido.
I fenomeni acustici sono provocati dalla vibrazione di un corpo, detto sorgente
acustica. Le oscillazioni della sorgente acustica creano negli strati del mezzo ad essa
adiacente delle onde di pressione (pressione acustica), ovvero delle uttuazioni della
pressione intorno ad un valor medio, con un succedersi di onde di compressione e
di rarefazione:
p(t) = p(t) p
a
1.1
dove p(t) la pressione dellaria nellistante t e p
a
la pressione media (pressione
atmosferica)
1
.
1
Si noti che il valore della pressione acustica di parecchi ordini di grandezza inferiore a quello
della pressione atmosferica: esso varia infatti, normalmente, da qualche centomillesimo di
pascal a qualche pascal.
137
1. ASPETTI FISICI GENERALI
In modo del tutto analogo le vibrazioni della sorgente acustica provocano lo sposta-
mento periodico (oscillazione), con una velocit u(t) detta velocit di oscillazione,
delle particelle del mezzo adiacente.
Le onde di pressione e quelle di velocit di oscillazione si propagano agli strati
contigui con una velocit, detta velocit di propagazione del suono (c). Poich
la velocit di oscillazione delle particelle ha la stessa direzione della velocit di
propagazione dellonda le onde acustiche sono onde longitudinali.
La velocit di propagazione del suono
Attraverso la teoria della propagazione delle piccole perturbazioni si dimostra che la
velocit del suono in un mezzo elastico data da:
c =

1.2
dove K il modulo di compressione e la densit del mezzo.
Ad esempio, per lacciaio (K = 2.110
11
Pa, = 7800 kg/m
3
), si ottiene c = 5176 m/s,
mentre per lacqua (K = 210
9
Pa, = 1000 kg/m
3
) si ottiene c = 1414 m/s.
Per un gas ideale si ottiene:
c =

p
k

k R

T 1.3
in cui k rappresenta lesponente dellisentropica (pari al rapporto fra i calori specici
a pressione costante e a volume costante), R

la costante elastica del gas e T la sua


temperatura assoluta. Per laria (k = 1.4, R* = 287 J/kg K) a 20

C si ottiene c =
343 m/s.
1.2. EQUAZIONI DELLE ONDE ACUSTICHE E GRANDEZZE CARATTERI-
STICHE
Partendo da considerazioni termouidodinamiche e considerando il mezzo continuo,
omogeneo e perfettamente elastico possibile ricavare le equazioni differenziali delle
onde acustiche:
138
1. ASPETTI FISICI GENERALI

2
(p) =
1
c
2

2
(p)
t
2
1.4a

2
u =
1
c
2

2
u
t
2
1.4b
Quando la sorgente acustica lontana dal punto considerato londa pu essere
considerata piana e supponendo che la sorgente acustica sia caratterizzata da una sola
frequenza di vibrazione f e che non vi sia componente riessa, integrando le 1.4a- 1.4b
si ha:
p(t) = p
max
cos
_

_
t
x
c
__
1.5a
u(t) =
p
max
c
cos
_

_
t
x
c
__
1.5b
essendo
x = direzione di propagazione
= densit dellaria
c = velocit di propagazione
= 2f = pulsazione dellonda sonora
Pertanto, in assenza della componente riessa londa di pressione e londa di
oscillazione sono in fase e si ha:
p (t) = c u (t) 1.6
in cui la quantit ( c) viene detta impedenza acustica. Per laria a temperatura
ambiente (20

C) essa vale 413 kg/(m
2
s) e diminuisce di circa 0.7 kg/(m
2
s) per ogni
grado di aumento di temperatura.
Si denisce intensit sonora (in W/m
2
) la quantit:
I =
1
T
T
_
0
p(t)u(t)dt 1.7a
In assenza di componente riessa si ha pertanto:
139
1. ASPETTI FISICI GENERALI
I =
1
T
T
_
0
[p(t)]
2
c
dt =
p
2
c
1.7b
avendo introdotto la pressione efcace p (in Pa):
p =

_
1
T
T
_
0
[p(t)]
2
dt 1.8
Si denisce poi potenza sonora (in W) la quantit:
W =
_
S
IdS 1.9
in cui S rappresenta larea della supercie del fronte donda.
Si denisce inne densit sonora (in J/m
3
) la quantit di energia sonora contenuta
nellunit di volume:
U =
dE
dV
=
Wdt
dV
Nel caso di onda piana e qualora sia presente la sola componente diretta, lo spazio
percorso dallonda nel tempo innitesimo dt varr c dt e pertanto, supponendo piano
il fronte donda, il volume dV occupato dallonda nel tempo dt varr:
dV = S c dt
lenergia innitesima dE contenuta dal volume dV sar pari a:
dE = I S dt
e dunque, tenendo anche conto della 1.7b:
U =
dE
dV
=
I
c
=
p
2
c
2
1.10
Un suono puro caratterizzato da una frequenza ben precisa. Le caratteristiche
dellonda di un suono puro sono:
140
1. ASPETTI FISICI GENERALI
= 2f (pulsazione) 1.11
f = 1/T (frequenza) 1.12
= c T (lunghezza d

onda) 1.13
Naturalmente si ha anche:
c = f 1.14
Nel caso in cui il suono sia distribuito con continuit su tutte le frequenze, si suddivide
lo spettro in bande dottava, ovvero in intervalli di frequenza delimitati da due
frequenze f
1
e f
2
tali che:
f
2
= 2f
1
e caratterizzati da una frequenza, detta frequenza centrale o nominale (f
c
), pari a:
f
c
=
_
f
1
f
2
Le frequenze centrali delle bande dottava adottate nella pratica sono riportate in
Tab. 1.1.
Tab. 1.1 Frequenze centrali normalizzate delle bande dottava.
Frequenza
nominale
[Hz]
Frequenza limite
[Hz]
Frequenza
nominale
[Hz]
Frequenza limite
[Hz]
Inferiore Superiore Inferiore Superiore
16.0 11.2 22.4 1000 710 1400
31.5 22.4 45.0 2000 1400 2800
63.0 45.0 90.0 4000 2800 5600
125.0 90.0 180.0 8000 5600 11200
250.0 180.0 355.0 16000 11200 22400
500.0 355.0 710.0
Talvolta si impiegano bande di ennesimi di ottava, per le quali le frequenze estreme di
ogni banda sono legate dalla relazione:
f
2
= 2
1/n
f
1
141
1. ASPETTI FISICI GENERALI
Fra queste le pi impiegate sono le bande di un terzo dottava (Tab. 1.2).
Tab. 1.2 Frequenze centrali e limite delle bande normalizzate di un terzo
dottava.
Frequenza
nominale
[Hz]
Frequenza limite
[Hz]
Frequenza
nominale
[Hz]
Frequenza limite
[Hz]
Inferiore Superiore Inferiore Superiore
16.0 14.3 18.0 630 560 710
20.0 18.0 22.4 800 710 900
25.0 22.4 28.0 1000 900 1120
31.5 28.0 35.5 1250 1120 1400
40.0 35.5 45.0 1600 1400 1800
50.0 45.0 56.0 2000 1800 2240
63.0 56.0 71.0 2500 2240 2800
80.0 71.0 90.0 3150 2800 3550
100.0 90.0 112.0 4000 3550 4500
125.0 112.0 140.0 5000 4500 5600
160.0 140.0 180.0 6300 5600 7100
200.0 180.0 224.0 8000 7100 9000
250.0 224.0 280.0 10000 9000 11200
315.0 280.0 355.0 12500 11200 14000
400.0 355.0 450.0 16000 14000 18000
500.0 450.0 560.0 20000 18000 22400
142
2. ACUSTICA FISIOLOGICA
2.1. SENSAZIONI ACUSTICHE
Dal punto di vista delle sensazioni provocate dalle onde sonore possibile osservare
che:
1. lorecchio umano sensibile ai suoni aventi una frequenza compresa fra circa
20 Hz e 20.000 Hz, con un massimo della sensibilit intorno ai 3-4000 Hz.
2. a 1000 Hz la minima pressione efcace capace di produrre una sensazione
acustica p
0
= 2 10
5
Pa = 20Pa (soglia di udibilit). Alla stessa
frequenza la massima pressione efcace sopportabile dallorecchio umano
di 20 Pa, a cui corrisponde la cosiddetta soglia del dolore.
3. la variazione dellintensit di sensazione acustica (S) proporzionale
allincremento relativo dellintensit acustica I (Legge di Weber-Fechner):
dS = k
dI
I
2.1
da cui si desume che la differenza di sensazione proporzionale al logaritmo
del rapporto delle intensit acustiche, ovvero alla differenza dei loro logaritmi:
S S
0
= k ln
I
I
0
2.2
4. Per i motivi esposti al punto 3) si sono denite delle nuove grandezze, basate
sulla scala logaritmica, dette livelli, misurati in decibel (dB). Si introducono
143
2. ACUSTICA FISIOLOGICA
cos il livello di pressione L
p
, il livello di intensit L
I
e il livello di potenza L
W
L
p
= 20 log
p
p
0
= 10 log
p
2
p
2
0
2.3
L
I
= 10 log
I
I
0
2.4
L
W
= 10 log
W
W
0
2.5
dove p
o
la pressione corrispondente alla soglia uditiva a 1000 Hz, pari a
210
5
Pa (20 Pa), I
o
lintensit sonora di riferimento, pari a 10
12
W/m
2
e W
o
la potenza di riferimento, pari a 10
12
W.
5. La sensazione acustica dipende dalla frequenza, perci un apparecchio che
misuri lintensit di un suono cos come esso viene percepito dallorecchio
umano deve simulare la risposta in frequenza dellorecchio umano (curve di
ponderazione, si veda al CAPITOLO 5).
Livello di pressione e livello di intensit assumono in campo diretto quasi esattamente
lo stesso valore. Infatti, introducendo la 1.7b nella denizione 2.3:
L
p
= 10 log
p
2
p
2
0
= 10 log
c I
p
2
0
10 log
I
10
12
= L
I
dato che, come si visto in precedenza, limpedenza acustica (c) vale poco pi di
400 kg/(m
2
s).
Con le denizioni sopra riportate si vede che, al variare della pressione sonora dal
valore di soglia (20 Pa) a quello corrispondente alla soglia del dolore (20 Pa), i
corrispondenti livelli di pressione sonora variano fra 0 e 120 dB.
Alcuni livelli di pressione sonora tipici sono riportati di seguito:
L
p
(dB) Esempi Tipici
30 40 biblioteca
50 60 ufcio
60 70 conversazione
70 80 incrocio stradale
80 90 interno dautobus
90 100 treno, metr
110 120 clacson a 1 m
> 120 martello pneumatico
144
2. ACUSTICA FISIOLOGICA
Fig. 2.1 Audiogramma normale secondo la ISO-R226 (S = soglia di udibilit); ascolto
binaurale in campo libero, sorgente sonora disposta in fronte allascoltatore.
2.2. AUDIOGRAMMA NORMALE
Linsieme delle considerazioni precedentemente esposte ha consentito di costruire un
diagramma (detto diagramma di Fletcher e Munson) in cui riportato landamento
delle curve di uguale sensazione uditiva. Nel 1961 stata approvata una versione
normalizzata di tale diagramma (vedi Fig. 2.1), che ha preso il nome di audiogramma
normale. Esso stato costruito come segue:
si adotta un suono di riferimento a 1000 Hz, di intensit variabile
si esamina un suono di prova di intensit e frequenza qualunque
si varia lintensit del suono di riferimento no a che lascoltatore non lo
giudica di intensit equivalente a quello di prova
si assume come valutazione numerica (soggettiva) dellintensit del suono di
prova il valore in decibel dellintensit (oggettiva) del suono di riferimento.
Tale valutazione espressa in phon.
145
2. ACUSTICA FISIOLOGICA
Si ottengono in tal modo delle curve di ugual sensazione uditiva dette linee isophon.
Dove esse presentano un minimo si ha il massimo della sensibilit uditiva, poich
necessario il livello di pressione sonora pi basso per produrre la stessa sensazione.
Si pu osservare come la massima sensibilit uditiva si verichi in corrispondenza di
circa 3 4 kHz per tutte le curve isophon. Tuttavia, la differente sensibilit alle varie
frequenze molto pi pronunciata ai bassi livelli che non agli alti livelli (le curve
isophon si appiattiscono al crescere del livello sonoro).
146
3. CAMPI SONORI E ACUSTICA DEGLI AMBIENTI
CHIUSI
3.1. INTERAZIONE SUONO-PARETE
La descrizione dei fenomeni acustici richiede la conoscenza del campo sonoro, ovvero
della porzione di spazio nella quale si propagano le onde sonore.
In presenza di un ostacolo alla sua propagazione lenergia sonora viene in parte
riessa, in parte assorbita (e trasformata in calore) e in parte trasmessa attraverso
lostacolo.
Detta W
i
la potenza acustica incidente e W
a
, W
r
, W
t
(vedi Fig. 3.1) le potenze
rispettivamente assorbita, riessa e trasmessa, vengono deniti rispettivamente fattore
di assorbimento (a

), di riessione (r) e di trasmissione (t) le quantit:


a

=
W
a
W
i
r =
W
r
W
i
t =
W
t
W
i
ovviamente, si ha:
r +a

+t = 1 3.1
Spesso si introduce un fattore di assorbimento apparente a:
a = 1 r = a

+t 3.2
i cui valori, per alcuni materiali, sono forniti nella Tab. 3.1.
147
3. CAMPI SONORI E ACUSTICA DEGLI AMBIENTI CHIUSI
Fig. 3.1 Potenza incidente, trasmessa, assorbita e riessa.
Tab. 3.1 Valori del coefciente di assorbimento. (da I. Sharland
Lattenuazione del rumore, Woods Italiana, Milano, 1994)
Tipo di materiale Spess. Frequenza, Hz
(mm) 125 250 500 1000 2000 4000
Superci interne
normali
Muratura in mattoni - 0.05 0.04 0.02 0.04 0.05 0.05
Calcestruzzo - 0.01 0.01 0.02 0.02 0.02 0.03
Lastra di vetro di
spessore no a
4 mm
4 0.35 0.25 0.20 0.10 0.05 0.05
Lastra di vetro
spessore 6 mm
6 0.15 0.06 0.04 0.03 0.02 0.02
Marmo o piastrelle
vetricate
- 0.05 0.05 0.05 0.05 0.05 0.05
Intonaco su muro
pieno
12 0.04 0.05 0.06 0.08 0.04 0.06
Rivestimenti di
pareti e softti
Intonaco acustico 12 0.10 0.15 0.20 0.25 0.30 0.35
Materassini di lana
di vetro o di roccia
25 0.10 0.35 0.60 0.70 0.75 0.80
(valori tipici per
materiali di
50 0.20 0.45 0.65 0.75 0.80 0.80
media densit) 100 0.45 0.75 0.80 0.85 0.85 0.90
150 0.55 0.90 0.90 0.85 0.90 0.95
Schiuma di
poliuretano esp.
25 0.15 0.30 0.60 0.75 0.85 0.90
(a cellule aperte) 50 0.25 0.50 0.85 0.95 0.90 0.90
100 0.50 0.70 0.95 1.00 1.00 1.00

148
3. CAMPI SONORI E ACUSTICA DEGLI AMBIENTI CHIUSI
Tab. 3.1 Valori del coefciente di assorbimento. (da I. Sharland
Lattenuazione del rumore, Woods Italiana, Milano, 1994)
Tipo di materiale Spess. Frequenza, Hz
(mm) 125 250 500 1000 2000 4000
Lastra di gesso di
9 mm ssata su
listelli di legno;
intercapedine daria
di 18 mm riempita
con lana di vetro
27 0.30 0.20 0.15 0.05 0.05 0.05
Legno compensato
di 5 mm, ssato su
listelli di legno,
intercapedine daria
di 50 mm riempita
con lana di vetro
55 0.40 0.35 0.20 0.15 0.05 0.05
Legno compensato
di 12 mm ssato su
listelli;
intercapedine daria
di 59 mm riempita
con lana di vetro
71 0.30 0.20 0.15 0.10 0.15 0.10
Pannelli di gesso
per rivestimenti
murali e contro
softtature con
grandi intercapedini
daria
- 0.20 0.15 0.10 0.05 0.05 0.05
Cartone di bra su
supporto rigido
12 0.05 0.10 0.15 0.25 0.30 0.30
Pavimentazioni
Battuto di cemento - 0.05 0.05 0.05 0.05 0.05 0.05
Moquette a pelo
raso, su substrato
di feltro
6 0.05 0.05 0.10 0.20 0.45 0.65
Moquette a pelo
medio, su substrato
di gommapiuma
10 0.05 0.10 0.30 0.50 0.65 0.70
Piastrelle di gomma 6 0.05 0.05 0.10 0.10 0.05 0.05
Pannelli per
rivestimenti acustici
Fissati direttamente
a parete o a softto,
con intercapedine
daria
12-75 0.10 0.25 0.50 0.60 0.60 0.45
Montati come
softti sospesi
- 0.30 0.40 0.50 0.65 0.75 0.70

149
3. CAMPI SONORI E ACUSTICA DEGLI AMBIENTI CHIUSI
3.2. CAMPO LIBERO O DIRETTO
Quando in un campo sonoro esistono solo le onde sonore direttamente irradiate dalla
sorgente il campo sonoro si dice libero o diretto. Se il campo libero, e la sorgente
puntiforme, lintensit si riduce di circa 6 dB raddoppiando la distanza dalla sorgente.
Infatti, detti L
1
e L
2
i livelli di intensit alle distanze d
1
e d
2
= 2d
1
, si ha:
L
1
= 10 log
W/S
1
I
0
L
2
= 10 log
W/S
2
I
0
con S
1
= 4 d
2
1
e S
2
= 4 (2 d
1
)
2
= 4 S
1
. Pertanto:
L
1
L
2
= 10 log
S
2
S
1
= 10 log 4 = 6.02 dB
Normalmente il campo sonoro diretto si manifesta in ambienti esterni, lontano
da superci che possano riettere il suono. Tuttavia, esistono ambienti interni
speciali, detti camere anecoiche, le cui pareti sono rivestite con materiali quasi
perfettamente assorbenti (a 1), nelle quali si genera un campo sonoro che pu essere
denito diretto.
3.3. CAMPO DIFFUSO O PERFETTAMENTE RIVERBERATO
Se invece in ogni punto del campo sonoro lintensit sonora associata alle onde
riesse supera lintensit delle onde dirette, essendo praticamente costante in ogni
direzione, lintensit netta uguale a zero, la densit di energia uniforme ed il campo
viene detto diffuso o perfettamente riverberante. In questo caso allontanandosi dalla
sorgente il decremento di livello nullo.
150
3. CAMPI SONORI E ACUSTICA DEGLI AMBIENTI CHIUSI
Quando il campo diffuso non possibile impiegare la relazione fra intensit e densit
di energia ricavata con la 1.15, in condizioni di campo diretto, ma deve essere adottata
la seguente (in cui il pedice "d" denota il campo diffuso):
U
d
=
4 I
d
c
3.3
DIMOSTRAZIONE
Infatti, lintensit acustica risultante su un piano deriva dal seguente integrale:
I
d
=
Z
2
I cosd = 2 I
/2
Z
0
cos sind = I D.1
dove langolo solido, mentre la densit di energia, U
d
, vale:
U
d
=
Z
4
U d = 2 U

Z
0
sin d = 4 U D.2
da cui, tenendo presente la 1.15, deriva immediatamente la 3.3.
Una delle conseguenze della riverberazione che, al cessare della emissione sonora, la
densit di energia sonora non si riduce a zero istantaneamente, ma decresce tanto pi
lentamente quanto pi lambiente riverberante (fenomeno della coda sonora). Per
denire le caratteristiche di riverberazione di un ambiente si usa allora il cosiddetto
tempo di riverberazione
60
, ovvero il tempo necessario perch il livello sonoro
decresca di 60 dB, o anche, per la 3.3, perch la densit di energia sonora si riduca
di un milione di volte.
Il tempo di riverberazione pu essere misurato, oppure calcolato conoscendo le
caratteristiche geometriche e di assorbimento dellambiente in esame.
La formula comunemente impiegata per il suo calcolo si chiama formula di Sabine
(vedi DIMOSTRAZIONE a pagina 153). Essa d:

60
= 0.163
V
A
tot
3.4
151
3. CAMPI SONORI E ACUSTICA DEGLI AMBIENTI CHIUSI
in cui V il volume dellambiente e A
tot
rappresenta le unit fonoassorbenti, in m
2
,
a loro volta denite dallespressione:
A
tot
=

(a
j
S
j
) +

A
j
3.5
in cui
a
j
= fattore di assorbimento apparente della j-esima supercie interna del
locale (vedi Tab. 3.1)
A
j
= unit assorbenti (in m
2
) di elementi fonoassorbenti (vedi Tab. 3.2)
Tab. 3.2 Unit assorbenti da aggiungere allequazione 3.5 per ogni unit
considerata (in m
2
).
Frequenze [Hz] 125 250 500 1000 2000 4000
Sedie in legno 0.01 0.015 0.02 0.035 0.05 0.06
Poltrone imbottite 0.35 0.35 0.35 0.35 0.35 0.35
Persone in piedi 0.20 0.35 0.47 0.45 0.50 0.40
Persone in poltrona 0.42 0.41 0.40 0.48 0.51 0.55
A causa delle ipotesi semplicative adottate la formula di Sabine non una relazione
esatta. Ad esempio, al tendere di a ad uno, essa non tende a zero come dovrebbe
avvenire.
In base a considerazioni teoriche alle unit assorbenti A
tot
si dovrebbe sostituire la
cosiddetta costante della sala R, denita come:
R =
A
tot
1 a
m
3.6
in cui
R =
A
tot
1 a
m
3.7
152
3. CAMPI SONORI E ACUSTICA DEGLI AMBIENTI CHIUSI
DIMOSTRAZIONE
Per calcolare
60
si ipotizza un ambiente chiuso perfettamente riverberante in cui sia
inizialmente in funzione una sorgente, di potenza W.
Si denisce cammino libero medio L
m
dellenergia sonora quello che separa due suc-
cessive riessioni. In base a considerazioni statistiche si ricava che esso funzione
del volume V e della supercie S:
L
m
=
4 V
S
D.1
Il tempo libero medio sar dunque dato da:

m
=
4 V
c S
D.2
Si scrive ora lequazione di conservazione dellenergia sonora in forma di potenza,
ovvero:
potenza emessa potenza assorbita = variazione energia sonora D.3
La potenza assorbita pari alla potenza incidente sulle pareti dellambientemoltiplicata
per il fattore di assorbimento apparente, a. A sua volta la potenza incidente pu essere
calcolata supponendo che lenergia sonora presente in ambiente (pari a V U, avendo
omesso il pedice "d" per brevit) si distribuisca equamente sulle pareti nel tempo
m
(ipotesi di continuit):
potenza incidente =
V U

m
=
cUS
4
per cui la potenza assorbita vale:
potenza assorbita =
cUA
tot
4
dove si introdotto il numero di unit fonoassorbenti (A
tot
) del locale, denito dalla 3.5.
In denitiva, la D.3 diviene:
W
c
4
UA = V
dU
d
D.4
in regime stazionario (
dU
d
= 0 ) si ha W =
c
4
UA e dunque:
U =
4W
cA
D.5
153
3. CAMPI SONORI E ACUSTICA DEGLI AMBIENTI CHIUSI
durante la coda sonora (W = 0) si ha:
d =
4 V
c A
dU
U
che, integrata fra listante iniziale ( = 0) in cui U = U
0
e listante generico , d:
=
4V
cA
ln U
U
D
0
D.6
o anche
U = U
0
e
(

cA
4V
)
D.7
Imponendo nella D.6 la condizione che la densit di energia si riduca di un milione di
volte, passando ai logaritmi decimali e sostituendo c = 340 m/s si ottiene il tempo di
riverberazione con lespressione detta formula di Sabine:

60
= 0.163
V
A
D.8
3.4. CAMPO SEMIRIVERBERANTE
Negli ambienti chiusi, o comunque delimitati da pareti riettenti, londa diretta
coesiste con quelle riesse (una o pi volte) creando un campo sonoro detto
semiriverberante.
Anche in un ambiente chiuso possibile, avvicinandosi sufcientemente alla sorgente,
trovarsi in campo diretto, ma, a mano a mano che ci si allontana il campo tende a
divenire semiriverberato e poi diffuso.
Livello di intensit sonora in ambienti connati
Da quanto detto nei precedenti paragra possibile ricavare le espressioni che
forniscono il livello di pressione sonora allinterno di un ambiente connato, nelle
tre ipotesi di campo libero, perfettamente riverberato e semiriverberato, in funzione
del livello di potenza della sorgente sonora e del suo fattore di direttivit Q

.
Questo denito come il rapporto fra lintensit nella direzione sorgente-ascoltatore
e lintensit media nellintero angolo solido, a una distanza d dalla sorgente:
154
3. CAMPI SONORI E ACUSTICA DEGLI AMBIENTI CHIUSI
Q

=
I
I
m
=
4d
2
I
W
da cui:
I =
Q

W
4d
2
naturalmente Q

vale 1 per una sorgente che irradia secondo onde sferiche, vale 2
per sorgenti emisferiche, 4 per sorgenti che formano fronti donda equiparabili ad un
quarto di supercie sferica, etc.
campo relazione fra L
p
e L
W
diretto L
p
= L
W
10 log (4/Q

) 20 log d
perfettamente
riverberato
L
p
= L
W
10 log A
tot
+ 6
semiriverberato L
p
= L
W
+ 10 log

4d
2
+
4
R

-30.0
-24.0
-18.0
-12.0
-6.0
0.0
0.1 1 1 0 100 Distanza (m )
L

-

L
W

(
d
B
)
R=15 m
2
R=30 m
2
R=50 m
2
R=100 m
2
R=200 m
2
R=300 m
2
R=500 m
2
R=1000 m
2
R=2000 m
2
Fig. 3.2 Campo semiriverberato.
155
4. FONOASSORBIMENTO E FONOISOLAMENTO
Nelle applicazioni dellacustica in campo edilizio i problemi che pi
frequentemente si riscontrano sono due:
la cattiva ricezione del suono (musica o voce) in ambienti destinati
ad ospitare eventi sonori (sale da concerto, aule scolastiche, sale
conferenze, cinema, teatri, ...)
la trasmissione di rumori dallesterno o da altri ambienti adiacenti
Il primo un problema che si risolve sia con una opportuna scelta delle
dimensioni e della forma della sala che adottando materiali di rivestimento
idonei (fonoassorbimento). Il secondo invece un problema che si risolve
soprattutto con la corretta progettazione acustica dei divisori, in modo da
realizzare un adeguato fonoisolamento.
4.1. FONOASSORBIMENTO
I valori di
60
alle varie frequenze vanno confrontati con quelli ottimali (
ott
),
funzione del tipo di audizione che si svolge nellambiente e del suo volume, riportati
per le frequenze da 250 Hz a 2 kHz, come indicato in Fig. 4.1. Il progetto acustico
di una sala per audizioni richiede dunque ladozione di materiali di rivestimento delle
pareti (vedi Ta b . 3.1) tali da garantire un fonoassorbimento il pi vicino possibile a
quello ottimale, almeno alle frequenze centrali (1-2 kHz).
157
4. FONOASSORBIMENTO E FONOISOLAMENTO
musica sinfonica
musica da camera
teatro
parola
cinema
opera
chiese
Volume (m )
3
100 1000 1000 100000
Fig. 4.1 Tempo ottimale di riverberazione alle varie frequenze.
4.2. FONOISOLAMENTO
Per proteggere un ambiente da un rumore prodotto al di fuori di esso occorre ostacolare
la propagazione del rumore dalle sorgenti verso lambiente, ovvero incrementare il
potere fonoisolante delle pareti che separano la sorgente dallambiente disturbato.
Si denisce potere fonoisolante (R) di una parete la quantit (Fig. 4.2):
R = 10 log
Wi
W
t
= 10 log
1
t
4.1
in cui W
i
e W
t
rappresentano rispettivamente la potenza sonora incidente e trasmessa.
Come si vedr, buoni risultati si possono per ottenere anche limitando la
riverberazione nellambiente disturbato.
Le onde acustiche possono propagarsi sia per via diretta (Fig. 4.2), ovvero attraverso
laria, sia per via solida, o indiretta, attraverso le strutture delledicio. Qualora questo
contributo possa essere trascurato si ha soltanto trasmissione diretta e il problema pu
essere analizzato come segue, supponendo il campo perfettamente riverberante ed il
regime stazionario.
158
4. FONOASSORBIMENTO E FONOISOLAMENTO
W
1
via diretta
1 2
via indiretta
Fig. 4.2 Trasmissione del rumore da un ambiente ad un altro.
possibile dimostrare che la differenza di livello sonoro fra un ambiente disturbante
(1) e uno disturbato (2) separati da un divisorio avente potere fonoisolante R ed area
S
d
data da:
L = 10 log
1
t
+ 10 log
A
2
S
d
= R + 10 log
A
2
S
d
4.2
DIMOSTRAZIONE
Essendo presente nellambiente 1 una sorgente stazionaria di rumore W
1
, la densit
di energia che vi si stabilisce vale, per la (D.5, della dimostrazione di pag. 153):
U
1
=
4 W
1
c A
1
e dunque lintensit acustica su una parete vale, per la 3.3:
I
1
= U
1
c
4
D.1
Pertanto la potenza W
i
incidente sul divisorio di area S
d
che separa lambiente 1
dallambiente 2 vale:
W
i
= I
1
S
d
D.2
La potenza trasmessa attraverso il divisor io varr, tenendo presenti le D. 1 e D. 2 :
W
t
= t W
i
= t I
1
S
d
= t U
1
c
S
d
4
D.3
159
4. FONOASSORBIMENTO E FONOISOLAMENTO
Il divisorio agisce nellambiente 2 come se esso stesso fosse una sorgente acustica di
potenza W
t
. Poich siamo in regime stazionario la densit di energia nellambiente 2
varr, per la D5, pag. 153:
U
2
=
4 W
t
c A
2
=
t U
1
S
d
A
2
D.4
con A
2
=
P
a
i
S
i
. E dunque
U
1
U
2
=
A
2
t S
d
da cui, ricordando che L = 10 log
p
2
1
p
2
2
= 10 log
U
1
U
2
si ottiene la 4.2.
La 4.2 mostra come la differenza di livello acustico fra un locale disturbante ed
un locale disturbato cresca non soltanto al crescere del potere fonoisolante R del
divisorio, ma anche al crescere del potere fonoassorbente del locale disturbato.
Valutazione del potere fonoisolante delle pareti edilizie
Per una parete costituita da un solo strato di materiale omogeneo, il potere fonoisolante
, in prima approssimazione, funzione della frequenza f del suono e della massa
frontale M
s
della parete, a sua volta denita come la massa per unit di supercie della
parete, in kg/m
2
. Per onde sonore diffuse, ovvero provenienti da tutte le direzioni, esso
pu essere calcolato come:
R = 20 log(f M
s
) 48 4.3
La 4.3, nota come legge della massa, mostra come il potere fonoisolante cresca di circa
6 dB per ogni raddoppio della frequenza o della massa frontale.
In realt landamento tipico del potere fonoisolante di una parete in funzione della
frequenza quello indicato in Fig. 4.3.
La legge della massa vale soltanto in una banda limitata di frequenze (regione II). Per
frequenze pi basse (regione I) si risentono gli effetti di risonanza dei modi propri
di vibrazione essionale del tramezzo. Per frequenze pi elevate (regione III) R
costantemente inferiore a quanto previsto dalla legge della massa. Ci dovuto al
cosiddetto effetto di coincidenza, che si manifesta quando fra la lunghezza donda
160
4. FONOASSORBIMENTO E FONOISOLAMENTO
Regione I:
risonanza
Regione II:
legge della
massa
Regione III:
coincidenza
Frequenza
f
c
Fig. 4.3 Potere fonoisolante di una parete.

a
delle onde sonore incidenti secondo un angolo e la lunghezza donda
d
delle
vibrazioni essionali nel divisorio (vedi Fig. 4.4) si verica la relazione:

a
=
d
sin()
La massima lunghezza donda
a,max
per cui si verica leffetto di coincidenza
dunque quella che corrisponde allincidenza radente ( = 90

). Ad essa corrisponde
la minima frequenza di coincidenza f
c
= c/
a,max
, detta frequenza critica della
parete, alla quale si manifesta un minimo relativo del potere fonoisolante.
Negli impieghi pratici si utilizza una curva di valutazione (vedi Fig. 4.5) proposta
dallISO che consente di esprimere con un solo numero la capacit di isolamento
acustico di una parete. Questo numero, detto indice di valutazione (I), dato dal
valore che assume la curva di valutazione ISO a 500 Hz quando la si trasla in
verticale no ad ottenere la migliore approssimazione con la curva reale. Questa
approssimazione denita dalle condizioni:

(I
i
R
i
) < 12 e (I
i
R
i
)
max
< 5
In Tab. 4.1 sono riportati i valori del potere fonoisolante alle varie frequenze e
dellindice di valutazione per alcuni tipi comuni di parete edilizia.
161
4. FONOASSORBIMENTO E FONOISOLAMENTO
d
Fig. 4.4 Effetto di coincidenza.
Fig. 4.5 Curva di valutazione.
162
4. FONOASSORBIMENTO E FONOISOLAMENTO
In presenza di trasmissione indiretta il potere fonoisolante si riduce di 35 dB e viene
detto potere fonoisolante apparente.
Tab. 4.1 Potere fonoisolante e indice di valutazione (in dB) di alcune
pareti.
Tipo di divisorio Frequenze (Hz) Indice I
125 250 500 1000 2000 4000 (ISO)
Parete di mattoni
pieni intonacata
(spessore 12 cm,
peso 220 kg/m
3
)
34 35 40 50 55 57 45
Idem (spessore 24 cm,
peso 440 kg/m
3
)
40 44 50 56 57 57 54
Parete di mattoni forati
(spessore 28 cm)
37 43 52 60 64 65 57
Parete in calcestruzzo
intonacata (spessore
18 cm, peso 440 kg/m
3
)
40 42 50 58 66 68 54
Parete in calcestruzzo
(2 strati di 5 cm separati
da intercapedine di
2.5 cm)
37 40 44 50 56 62 49
Idem (2 strati di 7.5 cm
separati da
intercapedine di 7.5 cm)
37 40 50 54 56 63 52
Divisorio in gesso perlite
(spessore 5 cm, peso 49
kg/m
3
)
26 28 30 31 42 47 33
Idem (spessore 6.3 cm,
peso 107 kg/m
3
)
31 30 29 35 45 52 34
Tramezzo mobile 15 22 26 27 33 35 29
Tramezzo mobile munito
di pannelli vetrati
(cristallo 79 mm di
spessore)
17 20 25 24 28 28 26
Tramezzo mobile munito
di pannelli vetrati con
doppio cristallo (2 lastre
uguali, distanti 1 cm)
17 20 23 33 33 33 25
Tramezzo mobile munito
di pannelli vetrati con
doppio cristallo (2 lastre
di diverso spessore,
distanti 4 cm)
22 27 30 30 36 38 32
Idem con porta 20 22 27 30 30 35 30
Doppia nestra 16 24 36 50 54 58 36
163
5. CRITERI DI VALUTAZIONE DEL RUMORE
Per affrontare il problema della riduzione del rumore, un problema sempre
pi grave sia nei luoghi di lavoro sia nelle abitazioni e nellambiente esterno,
occorre prendere in esame i seguenti punti:
Caratteristiche delle sorgenti di rumore
Modalit di propagazione dei rumori
Rilevamento sperimentale dei dati fonometrici
Criteri di valutazione dei rischi di danno
Progetto di interventi per la riduzione della rumorosit
Nei paragra che seguono si forniranno alcune delucidazioni sulle sorgenti di
rumore e sui criteri di valutazione del disturbo da esse provocato.
5.1. SORGENTI DI RUMORE
Le sorgenti di rumore sono caratterizzate da:
potenza emessa (W)
distribuzione della potenza emessa nelle varie bande di frequenza
distribuzione direzionale della potenza
ubicazione della sorgente
La potenza emessa pu essere determinata a partire dai livelli di intensit, misurati
ad una distanza nota dalla sorgente. Occorre innanzitutto separare la componente
165
5. CRITERI DI VALUTAZIONE DEL RUMORE
del livello dovuta al rumore di fondo da quella dovuta effettivamente alla sorgente
considerata. Conoscendo i due livelli di intensit con (L
r
) e senza (L
f
) sorgente
lintensit I della sola sorgente varr:
I = I
0

10
L
r
10
10
L
f
10

e dunque il livello di intensit L della sola sorgente vale:


L = 10 log

10
L
r
10
10
L
f
10

Quando L
r
supera L
f
di pi di 10 dB, L coincide praticamente con L
r
.
Ricordando la 1.9, nel caso di campo libero si ha:
W =

s
IdS
dove S la supercie su cui si distribuisce la potenza W.
Il sistema di ponderazione
Poich, come si visto in 2.2, la sensibilit dellorecchio umano varia in funzione della
frequenza, per ottenere dal fonometro una indicazione proporzionale alla sensazione
acustica necessario ltrare opportunamente le pressioni (e dunque le intensit) in
ingresso alle varie frequenze, riducendo lintensit dei suoni a bassa frequenza, cos
come indicato dallaudiogramma normale. Questa operazione viene eseguita per
mezzo di ltri o curve di ponderazione.
Si ormai consolidato luso della curva di ponderazione A, e dei corrispondenti livelli
misurati, indicati in dBA, o dB(A).
166
5. CRITERI DI VALUTAZIONE DEL RUMORE
Fig. 5.1 Curva di ponderazione A.
Tab. 5.1 Curva di ponderazione A.
Frequenza centrale Correzione (dB) Frequenza centrale Correzione (dB)
31.5 -39.4 1000 0
40 -34.6 1250 0.6
50 -30.2 1600 1.0
63 -26.2 2000 1.2
80 -22.5 2500 1.3
100 -19.1 3150 1.2
125 -16.1 4000 1.0
160 -13.4 5000 0.5
200 -10.9 6300 -0.1
250 -8.6 8000 -1.1
315 -6.6 10000 -2.5
400 -4.8 12500 -4.3
500 -3.2 16000 -6.6
630 -1.9 20000 -9.3
800 -0.8
167
5. CRITERI DI VALUTAZIONE DEL RUMORE
5.2. CRITERI DI VALUTAZIONE DEL DISTURBO DA RUMORE
La maggior parte dei criteri di valutazione del disturbo da rumore si basa sul livello
equivalente L
eq
, denito come il valore di livello, costante nel tempo, che corrisponde
alla stessa quantit di energia sonora (equal energy rule) a cui stato effettivamente
esposto il soggetto considerato, ovvero:
L
eq
= 10 log

I
A
I
0
= 10 log

1
T
T

0
I
A
(t)
I
0
dt

5.1
dove

I
A
rappresenta il valor medio dellintensit sonora, ltrato attraverso la curva di
ponderazione A.
Nel caso di campionamenti discreti dei livelli la 5.1 diviene:
L
eq
= 10 log

1
T
n

j=1
t
j
10
L
j
/10

5.2
ovvero, nel caso di campionamenti regolari:
L
eq
= 10 log

1
n
n

j=1
10
L
j
/10

Il livello equivalente la base del criterio di valutazione ISO 1996 (Stima del rumore
in rapporto alle reazioni della collettivit) e ISO 1999 (Disturbi uditivi in ambiente
di lavoro). In accordo con la ISO 1996 stata promulgata in Italia la Legge 447
del 26/10/1995 (Legge Quadro sullinquinamento acustico) che demanda al DPCM
14/11/97 la denizione dei livelli equivalenti massimi di immissione, in dBA, in
funzione della classe del territorio e del periodo del giorno (Tab. 5.2).
La ISO 1999 stabilisce una relazione empirica, espressa tramite il livello equivalente,
fra la percentuale probabile di persone affette da perdita di udito (ovvero innalzamento
del livello di soglia di almeno 25 dB) e lesposizione al rumore nel corso della loro
attivit lavorativa (Tab. 5.3).
168
5. CRITERI DI VALUTAZIONE DEL RUMORE
Tab. 5.2 Livelli massimi di immissione secondo il DPCM 14/11/97.
Classe di territorio
Periodo del giorno
Diurno
(6-22)
Notturno
(22-6)
I - Aree particolarmente protette 50 40
II - Aree prevalentemente residenziali 55 45
III - Aree di tipo misto 60 50
IV - Aree di intensa attivit umana 65 55
V - Aree prevalentemente industriali 70 60
VI - Aree esclusivamente industriali 70 70
Tab. 5.3 Percentuali di rischio di perdita di udito secondo la norma ISO
1999.
L
eq
Anni di esposizione
dBA 0 5 10 15 20 25 30 35 40 45
<80 a 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
b 1 2 3 5 7 10 14 21 33 50
85 a 0 1 3 5 6 7 8 9 10 7
b 1 3 6 10 13 17 22 30 43 57
90 a 0 4 10 14 16 16 18 20 21 15
b 1 6 13 19 23 26 32 41 54 65
95 a 0 7 17 24 28 29 31 32 29 23
b 1 9 20 29 35 39 45 53 62 73
100 a 0 12 29 37 42 43 44 44 41 33
b 1 14 33 42 49 53 58 65 74 83
105 a 0 18 42 53 58 60 62 61 54 41
b 1 20 45 58 65 70 76 82 87 91
110 a 0 26 55 71 78 78 77 72 62 45
b 1 28 58 76 85 88 91 93 95 95
115 a 0 36 71 83 87 84 81 75 64 47
b 1 38 74 88 94 94 95 96 97 97
169
progetto
didattica in rete
p
r
o
g
e
t
t
o
d
i
d
a
t
t
i
c
a

i
n

r
e
t
e
Politecnico di Torino, giugno 2003
Dipartimento di Energetica
Fisica Tecnica Ambientale
Parte IV: illuminotecnica

G.V. Fracastoro
otto editore
Giovanni Vincenzo Fracastoro
Fisica Tecnica Ambientale
parte IV - illuminotecnica
Prima edizione giugno 2003
vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuato, compresa la
fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata.
PARTE IV
illuminotecnica
WWW.POLITO.IT
INDICE
1. Fotometria 175
1.1. Luce e fattore di visibilit . . . . . . . . . . . . . . . . . 175
1.2. Grandezze fotometriche . . . . . . . . . . . . . . . . . . 178
1.3. Cenni di colorimetria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 179
2. Sorgenti luminose 187
2.1. Efcienza di una sorgente luminosa . . . . . . . . . . . 187
2.2. Sorgenti luminose naturali . . . . . . . . . . . . . . . . 188
2.3. Sorgenti luminose articiali . . . . . . . . . . . . . . . . 190
2.4. Apparecchi illuminanti e indicatrice di emissione . . . . 195
3. Illuminazione articiale di esterni 197
3.1. Calcolo dellilluminamento prodotto in un punto . . . . . 197
3.2. Calcolo pratico dellilluminamento . . . . . . . . . . . 198
4. Illuminazione di interni 203
4.1. Requisiti essenziali per lilluminazione articiale . . . . 203
4.2. Determinazione del usso luminoso . . . . . . . . . . . 206
4.3. Illuminazione naturale di interni . . . . . . . . . . . . . 209
Bibliograa 215
173
1. FOTOMETRIA
1.1. LUCE E FATTORE DI VISIBILIT
La luce convenzionalmente denita come linsieme delle radiazioni elettromagneti-
che, di lunghezza donda compresa tra 0.38 m e 0.78 m, che locchio umano in
grado di percepire.
Il fattore di proporzionalit fra la quantit di energia posseduta da una radiazione
monocromatica che raggiunge locchio umano e lintensit della sensazione visiva non
costante, ma dipende dalla lunghezza donda della radiazione. La visibilit di una
radiazione integrale risulta pertanto dalla somma dei contributi delle varie radiazioni
monocromatiche, ognuno dei quali viene pesato in modo diverso a seconda della sua
lunghezza donda.
Detto pertanto:

e
() =
d
e
d
il usso energetico monocromatico, ovvero la potenza associata ad una radiazione
monocromatica (in W/m), il usso energetico integrale varr:

e
=

e
()d
175
1. FOTOMETRIA
e (), usso luminoso monocromatico, misurato in lumen
1
al micron (lm/m), sar
dato da:
() = K()
e
() 1.1
dove K() il fattore di visibilit, o semplicemente la visibilit, le cui dimensioni
sono [lm/W]. Il usso luminoso sar dunque dato da:
=


0
K()
e
() d 1.2
A seconda della luminosit della sorgente luminosa nellocchio umano entrano in
funzione due tipi di fotorecettori. Per bassi valori di luminosit (visione notturna o
scotopica) operano i bastoncelli, che non consentono la visione dei colori. Per valori
pi alti (visione diurna o fotopica) operano i coni, che a loro volta presentano tre tipi
di fotorecettori, sensibili al rosso, al verde e al blu, consentendo allocchio umano
la visione cosiddetta tricromatica. Ai due meccanismi di visione corrispondono due
diversi andamenti del fattore di visibilit.
In entrambi i casi il fattore di visibilit pu essere espresso in forma adimensionale,
introducendo il fattore di visibilit relativo V (), variabile fra 0 ed 1:
V () =
K()
K
max
1.3
dove K
max
rappresenta il valore massimo del fattore di visibilit.
In visione diurna si ha K
max
= 683 lm/W alla lunghezza donda di 0.555 m.
In visione notturna si ha K
max
= 1700 lm/W alla lunghezza donda di 0.505 m.
La CIE (Commission Internationale de lEclairage) ha denito nel 1924 due curve
normalizzate che rappresentano il fattore di visibilit relativo (vedi Fig. 1.1 e Tab. 1.1)
in funzione della lunghezza donda per visione fotopica e scotopica. La curva fotopica
di visibilit relativa presenta pertanto il massimo (V () = 1) alla lunghezza donda
di 0.555 m, mentre la curva scotopica ha il massimo per = 0.505 m.
1
Il lumen lunit di misura del usso luminoso, il cui valore sar precisato nel seguito.
176
1. FOTOMETRIA
0
0. 1
0. 2
0. 3
0. 4
0. 5
0. 6
0. 7
0. 8
0. 9
1
350 450 550 650 750
lunghezza d' onda ( nm)
Fig. 1.1 Fattori di visibilit relativi normalizzati CIE (fotopica: linea continua;
scotopica: tratteggiata).
Tab. 1.1 Valori del coefciente di visibilit in visione fotopica.
(m) V () (m) V () (m) V ()
0,38 0,00004 0,52 0,710 0,65 0,107
0,39 0,00012 0,53 0,862 0,66 0,061
0,40 0,0004 0,54 0,954 0,67 0,032
0,41 0,0012 0,55 0,995 0,68 0,017
0,42 0,004 0,555 1,000 0,69 0,0082
0,43 0,0116 0,56 0,995 0,70 0,0041
0,44 0,023 0,57 0,952 0,71 0,0021
0,45 0,038 0,58 0,870 0,72 0,00105
0,46 0,060 0,59 0,757 0,73 0,00053
0,47 0,091 0,60 0,631 0,74 0,00025
0,48 0,139 0,61 0,503 0,75 0,00013
0,49 0,208 0,62 0,381 0,76 0,00007
0,50 0,323 0,63 0,265 0,77 0,00003
0,51 0,503 0,64 0,175
177
1. FOTOMETRIA
1.2. GRANDEZZE FOTOMETRICHE
La grandezza fondamentale in fotometria lintensit luminosa (I), la cui unit di
misura la candela (cd), denita come il usso luminoso emesso in una data direzione
nellunit di angolo solido da una sorgente monocromatica di frequenza 54010
12
Hz
(equivalente ad una lunghezza donda = 0.555 m), la cui intensit energetica in tale
direzione vale 1/683 W/sr.
2
Il usso luminoso legato allintensit luminosa attraverso la relazione:
I =
d
d
1.4
e dunque:
=

4
I d 1.5
Lunit di misura del usso luminoso , come si gi detto, il lumen (lm), pari pertanto
a 1 candela per steradiante.
Si denisce poi la radianza o emettenza M:
M =
d
dS
em
1.6
dove S
em
la supercie emittente. Lunit di misura della emettenza il lm/m
2
(talvolta detto "lux sul bianco" o "lux s.b.").
Unultima importante caratteristica delle sorgenti luminose la luminanza L:
L =
d
2

d dS
em
cos
=
dI
dS
em
cos
=
dM
d cos
1.7
dove langolo di emissione, cio langolo formato dal raggio emesso con la
normale alla supercie emittente.
Lunit di misura della luminanza la cd/m
2
(detta anche nit).
2
Si osservi che in tal modo, poich il fattore di visibilit per la lunghezza donda = 0.555 m
massimo e vale 683 lm/W, lintensit luminosa di questa sorgente vale proprio 1 lm/sr, ovvero
1 cd.
178
1. FOTOMETRIA
possibile dimostrare che, nel caso in cui una supercie luminosa emetta con
luminanza costante al variare della direzione (si parla in tal caso di una sorgente
lambertiana, ovvero che segue la legge di Lambert), sussiste fra luminanza ed
emettenza la relazione:
M = L 1.8
Vi inne unaltra importante grandezza fotometrica, caratteristica non della sorgente
luminosa ma della supercie illuminata, detta illuminamento (E), denita come:
E =
d
dS
ric
1.9
in cui S
ric
rappresenta la supercie ricevente. Lunit di misura dellilluminamento
il lux (lx), pari a 1 lm/m
2
.
Nellinterazione fra la radiazione elettromagnetica e una supercie si erano a suo
tempo deniti i fattori di trasmissione, assorbimento e riessione (rispettivamente ,
, ). Allo stesso modo quando la luce, ovvero la radiazione visibile, interagisce con
una supercie, pu essere trasmessa, assorbita o riessa, e i rispettivi fattori vengono
detti fattore di trasmissione luminosa, di assorbimento luminoso e di riessione
luminosa (
l
,
l
,
l
).
Se, pertanto, su una supercie lambertiana avente fattore di riessione
l
presente un
illuminamento E, questa supercie diverr essa stessa una sorgente luminosa avente
emettenza M =
l
E e luminanza:
L =

l
E

1.10
1.3. CENNI DI COLORIMETRIA
La colorimetria rappresenta il legame fra gli stimoli, di natura sica, che raggiungono
locchio umano (radiazioni elettromagnetiche) e la sensazione, di natura siologica
(colore) che essi producono. Le radiazioni di lunghezza donda diversa producono
sensazioni cromatiche (colori) diverse (Tab. 1.2).
179
1. FOTOMETRIA
0
1
2
3
4
5
6
430 480 530 580 630
lunghezza d'onda (nm)
S
o
g
l
i
a

c
r
o
m
a
t
i
c
a

d
i
f
f
e
r
e
n
z
i
a
l
e

(
n
m
)
Fig. 1.2 Soglia cromatica differenziale.
Tab. 1.2 Corrispondenza fra colore e lunghezza donda.
Colore Campo di lunghezza donda (nm)
violetto < 430
blu 430-500
verde 500-570
giallo 570-590
arancio 590-610
rosso > 610
La sensibilit dellocchio umano alle variazioni di lunghezza donda della radiazione
elettromagnetica ben descritta dal concetto di soglia differenziale (Fig. 1.2). Questa
rappresenta la variazione di lunghezza donda fra due radiazioni monocromatiche
necessaria afnch venga percepita una variazione cromatica (o di tinta) fra di esse.
La soglia cromatica differenziale a sua volta funzione della lunghezza donda, ed ha
due minimi relativi (pari a circa 1 nm) intorno a 500 e 600 nm. Ne risulta che locchio
umano in grado di percepire almeno 150 colori puri diversi. Se a livello di radiazioni
monocromatiche esiste una relazione di biunivocit fra lunghezza donda e sensazione
180
1. FOTOMETRIA
cromatica, ci non pi vero per radiazioni caratterizzate da spettri complessi; ovvero,
a diverse distribuzioni spettrali possono corrispondere uguali sensazioni cromatiche.
Inoltre, se due colori puri vengono sovrapposti, locchio non pi in grado di
distinguerne le componenti, diversamente da quanto accade, ad esempio, per due suoni
puri sovrapposti.
Le leggi di Grassman
A queste considerazioni Grassmann, gi alla ne del secolo scorso, diede un carattere
di sistematicit attraverso una serie di leggi, che possono essere cos riassunte:
1. in un colore locchio distingue tre caratteristiche
splendore, legato alla luminanza della sorgente
tinta, legata alla lunghezza donda
saturazione, legata alla purezza, ovvero alla quantit di bianco
presente nel colore
2. miscelando due colori le caratteristiche della miscela cromatica variano con
continuit al variare delle proporzioni dei due colori
3. laggiunta di uno stesso colore a due colori uguali produce nuovamente due
colori uguali, indipendentemente dalla loro distribuzione spettrale originaria
4. la luminanza di una miscela di colori la somma delle luminanze dei colori
componenti
Lapparecchio che consente di vericare sperimentalmente luguaglianza fra due
colori si chiama colorimetro. Esso costituito da uno schermo bianco (avente cio
= 1 per tutte le lunghezze donda) illuminato per met dal colore incognito C e
per met da tre sorgenti monocromatiche primarie, rossa R ( = 0.700 m), verde G
( = 0.546 m) e blu B ( = 0.436 m).
Regolando opportunamente lintensit delle tre luci R, G, B (e dunque la loro
luminanza) si pu ottenere un colore equivalente a C. Quando non possibile ottenere
il colore C per via additiva, sempre possibile ottenere una equivalenza fra due delle
181
1. FOTOMETRIA
tre sorgenti primarie e la terza sommata al colore C, in tal modo "sottraendo" la terza
sorgente primaria.
Si pu pertanto scrivere:
L(C) = L
R
+L
G
+L
B
1.11
ovvero il colore C, di luminanza L(C), viene ottenuto come miscela dei colori R,
G, B, di luminanze L
R
, L
G
, L
B
(dette luminanze dei colori primari in condizioni di
equilibrio, o unit tricromatiche della luminanza del colore).
Il triangolo dei colori
Per motivi di opportunit, ad esempio per evitare che vi siano dei colori che in uno
spazio L
R
, L
G
, L
B
assumono coordinate negative, si operato un cambiamento di
coordinate denendo un nuovo spazio tricromatico X, Y , Z in cui:
X = 2.7689L
R
+ 0.38159L
G
+ 18.801L
B
Y = L
R
+L
G
+L
B
1.12
Z = 0.012307L
G
+ 93.066L
B
Si osservi che la coordinata Y coincide con la luminanza del colore considerato.
Si deniscono poi le coordinate ridotte:
x =
X
X +Y +Z
y =
Y
X +Y +Z
z =
Z
X +Y +Z
1.13
Vale naturalmente:
x +y +z = 1 1.14
e dunque bastano due coordinate ridotte per rappresentare un colore. Si scelto il
piano (x,y). Su questo piano la (1.14) individua un triangolo di vertici (0,0), (0,1),
(1,0) detto triangolo dei colori o diagramma cromatico CIE (Fig. 1.3). In realt,
non tutti i punti allinterno di tale triangolo corrispondono a dei colori. Questi sono
infatti contenuti allinterno di una linea (V GR) che rappresenta i colori puri o saturi,
182
1. FOTOMETRIA
W
(V)(B)
BIANCO
6000
4000
2000
Fig. 1.3 Diagramma cromatico CIE.
ovvero i colori rappresentabili con radiazioni monocromatiche. Il punto V (violetto)
corrisponde alla lunghezza donda di 0.400 m, il G (verde) a = 0.546 m, il punto
R (rosso) a = 0.780 m.
Il punto W, di coordinate x
W
= y
W
= z
W
= 1/3, detto bianco di uguale energia.
Tale punto assai prossimo a quello che si otterrebbe da una radiazione caratterizzata
da
e
() costante su tutto lo spettro visibile.
Il segmento (V R) non corrisponde ad alcun colore puro spettrale, ma a colori costituiti
da una miscela di violetto e rosso che prendono il nome di porpore o magente. Due
colori si dicono complementari se il segmento che li unisce nel triangolo dei colori
passa per W.
Ogni colore C situato allinterno della linea (V GR), eccettuati quelli contenuti nel
triangolo V RW, una miscela di un colore puro D (detto dominante di C) e di
bianco (W). La sua purezza colorimetrica o saturazione (p
c
) data dal rapporto
fra i segmenti WC e CD:
183
1. FOTOMETRIA
p
c
=
WC
WD
1.15
Ovviamente:
p
c
(W) = 0 e p
c
(D) = 1
Se si utilizza come sorgente luminosa un corpo nero a temperature diverse, si osserva
che a ciascuna temperatura corrisponde un diverso effetto cromatico. Riportando
tale effetto cromatico sul triangolo dei colori si ottiene una linea curva, detta luogo
planckiano, che permette di stabilire una correlazione fra la dominante del colore e la
temperatura del corpo nero (temperatura di colore).
Note le luminanze Y
1
e Y
2
e le coordinate colorimetriche ridotte (x
1
, y
1
), (x
2
, y
2
) di
due colori C
1
e C
2
si pu ricavare sul triangolo dei colori il colore C
3
miscela dei due.
Infatti, per la quarta legge di Grassmann:
X
3
= X
1
+X
2
Y
3
= Y
1
+Y
2
Z
3
= Z
1
+Z
2
ovvero:
x
3
=
X
3
X
3
+Y
3
+Z
3
=
X
1
+X
2
X
1
+Y
1
+Z
1
+X
2
+Y
2
+Z
2
1.16a
y
3
=
Y
3
X
3
+Y
3
+Z
3
=
Y
1
+Y
2
X
1
+Y
1
+Z
1
+X
2
+Y
2
+Z
2
1.16b
Ponendo:
T
1
=
Y
1
y
1
=
X
1
+Y
1
+Z
1
Y
1
Y
1
= X
1
+Y
1
+Z
1
1.17a
T
2
=
Y
2
y
2
=
X
2
+Y
2
+Z
2
Y
2
Y
2
= X
2
+Y
2
+Z
2
1.17b
si avr, dalle 1.16:
x
3
=
X
1
+X
2
T
1
+T
2
e y
3
=
Y
1
+Y
2
T
1
+T
2
184
1. FOTOMETRIA
ma:
X
1
= x
1
T
1
e X
2
= x
2
T
2
Y
1
= y
1
T
1
e Y
2
= y
2
T
2
e pertanto:
x
3
=
x
1
T
1
+x
2
T
2
T
1
+T
2
y
3
=
y
1
T
1
+y
2
T
2
T
1
+T
2
1.18
185
2. SORGENTI LUMINOSE
2.1. EFFICIENZA DI UNA SORGENTE LUMINOSA
Le sorgenti luminose vengono distinte in:
naturali (il Sole, la volta celeste) e
articiali (lampade)
La caratteristica fondamentale di una sorgente luminosa la sua efcienza luminosa.
Nel caso di sorgenti naturali essa pari al rapporto fra il usso luminoso emesso e il
usso di energia radiante emessa (usso energetico):
=

e
2.1a
Poich il usso energetico emesso soltanto per irraggiamento, si pu scrivere,
ricordando la (1.2) e la (1.3):
=

e
= K
max

0
V ()
e
() d

e
() d
Nelle sorgenti articiali, invece, lespressione dellefcienza luminosa la seguente:
=

W
el
2.1b
187
2. SORGENTI LUMINOSE
in cui W
el
rappresenta la potenza elettrica assorbita dalla rete. Questa pari alla
potenza termica dissipata dalla lampada per irraggiamento e, in parte minore, per
convezione. Pertanto W
el
>
e
.
2.2. SORGENTI LUMINOSE NATURALI
Le due principali sorgenti luminose naturali sono il Sole e la volta celeste.
Dal punto di vista energetico lentit della potenza inviata direttamente dal Sole
sullunit di supercie viene detta irradianza solare diretta. La radiazione solare
presenta, fuori dellatmosfera, uno spettro continuo, assai simile a quello di un corpo
nero a 5800 K, compreso dunque, per il 90% circa, nella regione dello spettro che
va da 0.3 m a 2.5 m (si veda il concetto di fattore di radiazione di pag. 97).
Lentit dellirradianza solare diretta extra-atmosferica su una supercie normale ai
raggi solari alla distanza media Sole-Terra viene detta costante solare ed ha un valore
di circa 1360 W/m
2
. Fuori dellatmosfera il cielo appare invece nero.
Nellattraversare gli strati atmosferici, la radiazione solare viene in parte riessa (in
particolare dalle nuvole), in parte diffusa (scattering) dalle molecole di azoto ed
ossigeno, in parte assorbita da alcuni gas atmosferici (ozono, anidride carbonica e
vapor dacqua). Ne risultano due fenomeni:
lattenuazione della irradianza solare diretta, soprattutto in corrispondenza
delle bande di lunghezza donda dove si manifesta lassorbimento dei gas
atmosferici (vedi Fig. 2.1);
la nascita di una componente di irradianza solare diffusa dal cielo.
A terra, col Sole allo Zenit e il cielo sereno, lirradianza solare diretta orizzontale
(I
bh
) raggiunge i 700-800 W/m
2
, mentre la diffusa (I
dh
) vale circa 150-200 W/m
2
. Al
diminuire dellaltezza del Sole sullorizzonte la quota orizzontale diretta si riduce per
due motivi:
188
2. SORGENTI LUMINOSE
campo del visibile
Fig. 2.1 Potere emissivo monocromatico del Sole.
la diminuzione, secondo la legge del coseno, della componente verticale
dellirradianza
laumento della massa daria attraversata
La massa daria (m) rappresenta il rapporto fra il percorso dei raggi solari negli strati
atmosferici e lo spessore dellatmosfera. Essa calcolabile come:
m = 1/sin
dove laltezza del Sole sullorizzonte.
Lefcienza luminosa del Sole di circa 100-120 lm/W, valore assai lontano dal
massimo teorico (680 lm/W). Tuttavia, interessante notare che la temperatura di
5800 K assai vicina a quella a cui corrisponde la massima efcienza luminosa di un
corpo nero (vedi Fig. 2.2).
189
2. SORGENTI LUMINOSE
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100
0 1000 2000 3000 4000 5000 6000 7000 8000 9000 10000
Temperatura (K)
E
f
f
i
c
i
e
n
z
a

l
u
m
i
n
o
s
a

(
l
m
/
W
)
Fig. 2.2 Efcienza luminosa di un corpo nero in funzione della sua temperatura.
2.3. SORGENTI LUMINOSE ARTIFICIALI
Le sorgenti luminose articiali, dette comunemente lampade, si dividono in due grandi
categorie:
a incandescenza
a scarica nei gas (o a luminescenza)
Lampade ad incandescenza
Il funzionamento delle lampade ad incandescenza basato sulla dissipazione di
potenza per effetto Joule da parte di una resistenza (lamento) percorsa da corrente
elettrica. A causa di ci il lamento raggiunge alte temperature (intorno ai 2300 -
3000

C) e parte del usso termico irraggiato risulta visibile.
Le lampade ad incandescenza sono costituite da quattro componenti principali:
il bulbo o ampolla
lattacco
il lamento
il gas di riempimento
190
2. SORGENTI LUMINOSE
che pu esser cos descritta: lo iodio, dissociatosi in corrispondenza del lamento
a causa delle elevate temperature l esistenti, reagisce con il tungsteno che tende a
migrare verso la faccia interna del bulbo, formando, alla temperatura di 600-700

C,
ioduro di tungsteno:
W + 2I W I
2
Lo ioduro di tungsteno precipita sul lamento dove, a causa dellelevata temperatura,
si dissocia:
W I
2
W + 2I
Viene cos liberato tungsteno, che si rideposita sul lamento, e iodio atomico, che
migra nuovamente verso la periferia della lampada per ricominciare la sua funzione di
rigenerazione.
Questo processo ha consentito di innalzare notevolmente la temperatura del lamento
(no a 3000

C) e dunque lefcienza della lampada.
Le lampade ad alogeni trovano impiego nei proiettori e nei fari degli autoveicoli.
Lampade a luminescenza
Il principio su cui si basa questo tipo di lampade pu essere descritto come segue.
Si introduce in un bulbo di vetro di forma allungata un gas o un vapore metallico. Agli
estremi del bulbo (o tubo) sono posizionati due elettrodi, che vengono sottoposti ad
una differenza di potenziale. Il catodo emette elettroni i quali, accelerati dal campo
elettrico, attraversano il tubo urtando gli elettroni periferici degli atomi del gas che vi
stato introdotto. Se lenergia cinetica degli elettroni bassa lurto di tipo elastico,
cio lelettrone urtato non si sposta dalla propria orbita. Superato un certo valore della
differenza di potenziale fra gli elettrodi (potenziale di risonanza) lenergia cinetica
degli elettroni diviene tale da rendere anelastico lurto; gli elettroni atomici si spostano
in conseguenza di ci su unorbita caratterizzata da un livello energetico pi alto. Nel
riportarsi allo stato normale essi emettono sotto forma di fotoni una quantit di energia
pari alla differenza di livello energetico delle due orbite. La lunghezza donda a cui
viene emessa la radiazione data da:
192
2. SORGENTI LUMINOSE
corrente di scarica
normale anormale
arco
tensione di
accensione
transitorio
V
O
A
B
C
Fig. 2.3 Diagramma tensione-corrente nelle lampade a scarica nei gas.
=
1234
V
[nm] 2.2
dove V il potenziale di risonanza, funzione del tipo di atomo del gas introdotto nella
lampada. La radiazione emessa dunque di tipo monocromatico. Al crescere della
differenza di potenziale gli urti fra gli elettroni si moltiplicano, e nuove righe appaiono
nello spettro della radiazione emessa.
Dal diagramma tensione-corrente caratteristico della scarica nei gas, illustrato in
Fig. 2.3, si vede che, al crescere della tensione V la corrente I cresce (tratto OA)
no a raggiungere la saturazione (tratto AB), su un valore peraltro molto debole.
A partire da B la tensione diviene sufciente a conferire agli elettroni una energia
cinetica tale da ionizzare gli atomi. Gli elettroni cos liberati ionizzeranno a loro
volta altri atomi, con un effetto detto valanga elettronica. In queste condizioni
sufciente un piccolo aumento di tensione per far crescere rapidamente la corrente
(tratto BC). Il valore di tensione cos raggiunto viene detto tensione di accensione. Il
suo valore dipende dal prodotto fra pressione del gas e distanza fra gli elettrodi (legge
di Paschen). Una volta innescata la scarica luminescente, la tensione pu essere ridotta
al valore di funzionamento normale, stabilizzando la corrente mediante una bobina di
autoinduzione.
Dalla Fig. 2.3 si vede che per linnesco occorre una sovratensione momentanea
rispetto alla tensione di funzionamento. In altri casi linnesco viene facilitato
adottando un elettrodo ausiliario, pi vicino, che viene poi escluso nel funzionamento
193
2. SORGENTI LUMINOSE
normale, oppure preriscaldando gli elettrodi, in modo da ridurre il potenziale di
estrazione, per mezzo di uno starter che, chiudendosi, li mette in corto circuito, per
poi riaprirsi dopo uno o due secondi.
I principali gas impiegati nelle lampade a luminescenza sono i vapori di sodio e di
mercurio. Neon e argon vengono spesso aggiunti per innescare la scarica (luce violetta
iniziale).
Appartengono a questa categoria anche le lampade uorescenti, nelle quali un sottile
strato di una sostanza, detta per lappunto uorescente, viene spalmato sulla faccia
interna del tubo entro il quale avviene la scarica. Queste sostanze (tungstato di calcio
e di magnesio, silicato di calcio, zinco e cadmio, fosfato di calcio, etc.) hanno la
propriet di assorbire la radiazione ultravioletta emettendo a loro volta radiazione
di lunghezza donda maggiore (e quindi almeno in parte luminosa). Esse vengono
impiegate soprattutto nelle lampade a vapori di mercurio, nelle quali la potenza emessa
nellUV (circa un quarto del totale) viene spostata per uorescenza nel visibile e
nellIR.
Tab. 2.1 Riepilogo caratteristiche delle lampade.
Principio di
funzionamento
Tipo di
lampada
Potenza
(W)
Efcienza
(lm/W)
Durata
utile
(ore)
Campi
di impiego
Incandescenza
Normale a
bulbo
25-100 8-12 1000 abitazioni,
negozi
100-1500 12-20 1000 negozi, locali di
servizio
ad alogeni 10-100 25-30 150 autoveicoli
100-2000 14-25 2000 atri, impianti
sportivi, esterno
edici
Luminescenza
a vapori
di Hg
50-2000 35-65 6000-
10000
capannoni
industriali
a luce
miscelata
100-500 11-30 6000 fabbriche, ma-
gazzini, strade
a vapori di
Na (a bassa
pressione)
18-210 72-145 10000 incroci, svincoli,
gallerie stradali,
aree allaperto

194
2. SORGENTI LUMINOSE
Tab. 2.1 Riepilogo caratteristiche delle lampade.
Principio di
funzionamento
Tipo di
lampada
Potenza
(W)
Efcienza
(lm/W)
Durata
utile
(ore)
Campi
di impiego
a vapori di
Na (ad alta
pressione)
70-1000 75-120 9000 capannoni in-
dustriali, strade,
aeroporti, porti
Fluorescenti
normali 18-58 40-75 6000-
8000
ofcine
ad alta
emissione
115-215 55-62 6000-
8000
ofcine
ad alta resa
cromatica
18-58 51-76 6000-
8000
impieghi civili e
industriali

2.4. APPARECCHI ILLUMINANTI E INDICATRICE DI EMISSIONE


In genere la lampada contenuta in un apparecchio illuminante, che ha la funzione di:
orientare il fascio luminoso
evitare labbagliamento diretto
proteggere la lampada contro choc meccanici e penetrazione di umidit
proteggere lutente da choc elettrici
Il controllo del usso luminoso si ottiene sfruttando le propriet di riessione,
rifrazione e diffusione di alcuni materiali e conferendo particolari forme alla parte
ottica (riettore o rifrattore) degli apparecchi illuminanti. In conseguenza di ci
lintensit luminosa dellinsieme lampada+apparecchio varia in funzione dellangolo
solido di emissione. Si ha cio:
I = I () 2.3
Introducendo un sistema di coordinate polari (, ), con:
d = sin d d 2.4
195
2. SORGENTI LUMINOSE
la funzione I = I (, ) rappresenta una supercie, luogo dei punti estremi dei vettori
intensit luminosa, detta supercie fotometrica. Il volume da essa delimitato viene
detto solido fotometrico. Il solido fotometrico si rappresenta di solito tracciandone una
o pi sezioni che prendono il nome di curve fotometriche o indicatrici di emissione.
Se la supercie fotometrica una supercie di rotazione ed langolo formato dalla
direzione di emissione con lasse di rotazione, si ha I = I (), ed sufciente la
conoscenza, sotto forma graca, tabulare o (pi raramente) analitica, di una indicatrice
di emissione per descrivere compiutamente la supercie fotometrica. In caso contrario
tale supercie viene in genere espressa per mezzo di due indicatrici di emissione,
determinate dallintersezione di due piani, in genere ortogonali fra loro e passanti per
lasse principale della lampada, con la supercie fotometrica.
Un caso particolare quella delle lampade a supercie fotometrica sferica, in cui
lintensit costante in tutte le direzioni (I = I
0
). In questo caso la relazione fra
usso e intensit particolarmente semplice:
= 4I = 4I
0
2.5
Geometria delle sorgenti luminose
Nel calcolo dellilluminazione articiale opportuno distinguere, in base alla
geometria del problema, fra sorgenti:
puntiformi, quando le dimensioni della sorgente luminosa sono trascurabili
rispetto alla distanza fra la sorgente stessa e il punto illuminato
lineari, quando due delle tre dimensioni della sorgente sono trascurabili
superciali, quando una delle tre dimensioni trascurabile
estese in volume, quando nessuna delle tre dimensioni della sorgente luminosa
trascurabile rispetto alla distanza.
Nel seguente capitolo verr trattato a titolo esemplicativo il caso di illuminazione
prodotta da sorgenti puntiformi.
196
3. ILLUMINAZIONE ARTIFICIALE DI ESTERNI
3.1. CALCOLO DELLILLUMINAMENTO IN UN PUNTO
In ambienti esterni la sorgente pu essere considerata, con buona approssimazione,
puntiforme. Lilluminamento prodotto da una sorgente puntiforme in un punto P
appartenente ad una supercie ricevente S
r
, per le 1.4 e 1.9 dato da:
E = I
d
dS
r
e, detto j langolo di incidenza (angolo formato dalla direzione del raggio con
la normale alla supercie S
r
nel punto P), si ha immediatamente, ricordando che
dw = dS
r
cos j

d
2
(vedi Fig. 3.1):
E = I
cos j
d
2
3.1
Si osservi che tutti e tre i termini che compaiono nella (3.1) dipendono dalla posizione
relativa del punto illuminato rispetto alla sorgente. Al crescere della distanza del punto
illuminato dalla sorgente cresce in genere anche langolo j, e dunque diminuisce
sensibilmente il termine cos j

d
2
. Per compensare tale fenomeno occorre adottare
una lampada caratterizzata da una idonea indicatrice di emissione I = I (, ).
A tal proposito occorre ricordare che langolo di emissione e langolo di incidenza non
sono in genere uguali, a meno che lasse principale della lampada non sia normale alla
supercie illuminata.
197
3. ILLUMINAZIONE ARTIFICIALE DI ESTERNI
S
r
S
dS
n
r
d

j
d
P

asse lampada

Fig. 3.1 Illuminamento prodotto da sorgente puntiforme.


3.2. CALCOLO PRATICO DELLILLUMINAMENTO
Per calcolare lilluminamento medio su una supercie occorre suddividerla in areole
elementari e calcolare lilluminamento nel baricentro di ogni areola, assumendo che il
suo valore in tale punto sia pari a quello medio nellareola considerata.
Noto lilluminamento e larea per ogni supercie elementare, lilluminamento medio
si calcola dalla relazione:

E =
1
S

S
E dS =
1
S

i=1
E
i
S
i

3.2
dove n il numero di areole. Se tutte le areole S
i
sono uguali (n = S/S
i
) si ottiene:

E =
1
n
n

i=1
Ei
La distribuzione dellilluminamento su una supercie pu essere rappresentata gra-
camente attraverso le linee isolux (linee di uguale illuminamento), oppure pi
sinteticamente attraverso il rapporto di uniformit, denito come il rapporto fra
illuminamento minimo e medio, oppure fra minimo e massimo. Nel caso in cui, come
per le superci stradali, quello che conta la luminosit della supercie illuminata, a
prescindere dal usso luminoso che vi incide sopra, il parametro che occorre rispettare
198
3. ILLUMINAZIONE ARTIFICIALE DI ESTERNI
in realt la luminanza, che si calcola, se la supercie lambertiana ed ha un
coefciente di riessione
l
, come indicato dalla (1.10):
L =

l
E

Requisiti per lilluminazione di esterni


Per le strade il rapporto di uniformit viene calcolato come rapporto fra le luminanze
(anche se, in realt, ci equivale a operare un rapporto fra gli illuminamenti). Si
denisce un rapporto di uniformit generale U
0
:
U
0
=
L
min

L
=
E
min
/


E/
=
E
min

E
3.3a
dove i valori minimo e medio sono valutati sullintera supercie stradale, e un rapporto
di uniformit longitudinale U
l
:
U
l
=
L
min
L
max
=
E
min
E
max
3.3b
Tab. 3.1 Valori minimi raccomandati di luminanza e del fattore di
uniformit per le strade (norma UNI 10439).
Classe Tipo di strada Livello medio
di luminanza
Rapporto di
uniformit
(cd/m
2
) U
0
(%) U
l
(%)
A Autostrade 2.0 40 70
B Strade extraurbane principali 2.0 40 70
C Strade extraurbane secondarie 1.5 40 70
D Strade urbane di scorrimento
veloce
2.0 40 70
D Strade urbane di scorrimento 1.0 40 50
E Strade urbane interquartiere 1.5 40 70
E Strade urbane di quartiere 1.0 40 50
F Strade extraurbane locali 1.0 40 50
F Strade urbane locali interzonali 0.75 40 50
F Strade urbane locali 0.50 35 40
199
3. ILLUMINAZIONE ARTIFICIALE DI ESTERNI
A titolo di esempio, in Tab. 3.1 sono riportati i valori minimi della luminanza e
del fattore di uniformit da adottare per il progetto di un impianto di illuminazione
stradale. Si osservi che lindicazione di una luminanza minima pu essere facilmente
convertita in una prescrizione di illuminamento minimo ricordando ancora la 1.10: i
coefcienti di riessione delle strade variano da 0.13 - 0.21 per rivestimenti chiari e
levigati a 0.26 - 0.45 per rivestimenti scuri e scabri.
Un altro importante parametro per denire la qualit di un sistema di illuminazione
il coefciente di utilizzazione del usso (C
u
), dato dal rapporto fra il usso incidente
sul piano utile
u
e il usso globalmente emesso :
C
u
=

u

3.4
Il valore di
u
pu essere calcolato attraverso lilluminamento medio sul piano utile.
Infatti:

u
=

S
E dS =
n

i=1
E
i
S
i
=

E S 3.5
Il valore del usso emesso in genere un dato fornito dal costruttore assieme
allindicatrice di emissione
1
, dalla quale pu essere ricavato, nel caso non sia noto,
ricordando la relazione (1.5):
=

4
I d =
n

i=1
I
i

i
3.6
Metodo graco per la soluzione della 3.6.
Tale integrale pu essere risolto gracamente impiegando un meto-
do (vedi Fig. 3.2) basato sulla seguente propriet geometrica: una
supercie sferica sezionata da n piani paralleli ed equidistanti d
luogo a n superci di area uguale e pari a 4 r
2

n. I corrispondenti
1
Per gli apparecchi illuminanti vengono in genere forniti diagrammi fotometrici in cui le intensit
sono riferite a 1 klm (1000 lm) di usso emesso. Per cui, una volta scelta la lampada con i
relativi dati di potenza e usso luminoso , i valori di intensit letti sullindicatrice di emissione
vanno moltiplicati per /1000.
200
3. ILLUMINAZIONE ARTIFICIALE DI ESTERNI

Fig. 3.2 Metodo graco per la determinazione del usso emesso.


angoli solidi saranno anchessi uguali e varranno
i
= 4/n. Perci
la (3.6) diviene:
=
i
n
X
i=1
I
i
=
4
n
n
X
i=1
I
i
in cui I
i
il valore dellintensit in corrispondenza dellangolo
solido
i
.
Occorre tener presente che il usso emesso tende a ridursi col tempo, a causa del
degrado luminoso delle lampade e dellapparecchio illuminante. Del primo fatto si
tiene conto attraverso un coefciente di deprezzamento D, variabile fra 0.85 e 0.90, e
del secondo attraverso un coefciente di manutenzione M, variabile fra 0.55 e 0.80.
Tenendo conto delle (3.4) e (3.5) il usso effettivo dato pertanto da:

eff
=

E S
DM C
u
3.7
201
4. ILLUMINAZIONE DI INTERNI
4.1. REQUISITI ESSENZIALI PER LILLUMINAZIONE ARTIFICIALE
I requisiti essenziali di un impianto destinato allilluminazione articiale di interni
sono indicati dalla norma UNI 10380. Esso deve:
a. assicurare un adeguato livello e uniformit di illuminamento
b. evitare forti contrasti
c. evitare labbagliamento diretto o riesso
d. restituire adeguatamente i colori.
a. I valori di illuminamento raccomandati per alcuni ambienti sono riportati
in Tab. 4.1. I tre valori riportati (minimo-medio-massimo) si riferiscono
rispettivamente a compiti visivi:
svolti occasionalmente e in cui velocit e accuratezza non sono importanti
normali
particolarmente importanti per velocit e accuratezza
Luniformit di illuminamento viene denita attraverso il rapporto fra il
valore minimo ed il valor medio spaziale dellilluminamento. La UNI 10380
prescrive un valore minimo di 0.8.
203
4. ILLUMINAZIONE DI INTERNI
b. Il contrasto luminoso viene espresso attraverso un coefciente, detto fattore di
contrasto, denito come:
C =
|L
2
L
1
|
L
1
4.1
in cui L
1
e L
2
sono le luminanze di due punti vicini del campo visivo. Si deve
avere:
C < 3 tra oggetto e piano di lavoro
C < 10 tra oggetto e ambiente circostante
C < 20 tra sorgente e fondo
C < 40 tra due punti qualunque nel campo normale della vista
c. Per evitare labbagliamento necessario che la luminanza degli oggetti nel
campo visivo non superi 1400 - 3000 cd/m
2
.
d. Da un punto di vista del colore della luce possono essere utilizzati diversi
indicatori:
temperatura di colore
tonalit di colore (Tab. 4.2)
indice di resa cromatica
resa del colore
Tab. 4.1 Valori di illuminamento raccomandati per alcuni ambienti (da
UNI 10380).
Tipo di ambiente Illuminamento
(lx)
Tonalit di
colore
Resa del
colore
Residenze
Locali di passaggio 50-100-150 W 1A
Camere, illuminazione
generale
50-100-150 W 1A
Camere (zona letti) 200-300-500 W 1A
Bagni, illuminazione
generale
50-100-150 W 1A

204
4. ILLUMINAZIONE DI INTERNI
Tab. 4.1 Valori di illuminamento raccomandati per alcuni ambienti (da
UNI 10380).
Tipo di ambiente Illuminamento
(lx)
Tonalit di
colore
Resa del
colore
Bagni (zona specchio) 200-300-500 W 1A
Cucine 200-300-500 W 1A
Edici per ufci
Ufci generici 300-500-750 W,I 1B
Ufci disegno 500-750-1000 W,I 1B
Sale riunioni 300-500-750 W,I 1B
Scuole
Aule, illuminazione
generale
300-500-750 W,I 1B
Palestre 300-500
Ospedali
Corsie, illuminazione
generale
50-100-150 W 1A
Locali per esami 300-500-750 W 1A
Laboratori,
illuminazione generale
300-500-750 W 1A
Chirurgia, illuminazione
generale
500-750-1000 I 1A
Chirurgia, illuminazione
localizzata
10000-30000-
100000
I,C 1A
Negozi
Aree di circolazione 150-200-300 I 1B
Esposizione merci 300-500-750 I 1B
Vetrine 500-750-1000 W,I,C 1B

Tab. 4.2 Tonalit di colore in funzione della temperatura di colore.


Tonalit di colore Range di temperatura di colore (K)
bianco-calda (W) < 3300
bianco-neutra (I) 3300 - 5300
bianco-fredda (C) > 5300
Lindice di resa cromatica (Colour Rendering Index) denisce la capacit di una
sorgente luminosa di restituire fedelmente i colori rispetto ad una sorgente luminosa
di riferimento. La scala varia fra 100 (accordo perfetto fra luce campione e luce di
205
4. ILLUMINAZIONE DI INTERNI
riferimento) e 0 (nessun accordo). In Tab. 4.3 sono indicate le corrispondenze fra
lindice di resa cromatica e la cosiddetta resa del colore.
Tab. 4.3 Corrispondenza fra resa del colore e indice di resa cromatica.
Indice di resa cromatica (CRI) Resa del colore (Ra)
> 90 1A
80 - 90 1B
60 - 80 2
40 - 60 3
20 - 40 4
4.2. DETERMINAZIONE DEL FLUSSO LUMINOSO
La principale difcolt del calcolo di illuminazione degli interni consiste nel fatto che
il usso luminoso non giunge sul piano utile solo direttamente dalle lampade, ma vi
viene anche riesso dalle pareti e dal softto.
Esistono numerosi metodi per calcolare il usso luminoso necessario per realizzare
un determinato illuminamento. Il pi semplice il metodo del usso totale, la cui
formula risolutiva identica alla (3.7) per lilluminazione di esterni:

eff
=

E S
C
u
DM
4.2
Questa volta, per, il valore di

E da introdurre ricavato dalla norma UNI 10380 e
il valore di C
u
deve essere calcolato con lausilio di diagrammi o tabelle, in funzione
dei seguenti fattori:
a. tipo di apparecchio illuminante
b. geometria del problema
c. fattore di riessione delle pareti.
206
4. ILLUMINAZIONE DI INTERNI
a. Gli apparecchi illuminanti si possono distinguere in funzione del sistema di
illuminazione secondo cui operano, che pu essere diretto, semidiretto, misto,
semindiretto e indiretto. A sua volta questa classicazione dipende dalla
percentuale di usso luminoso inviata verso il basso, come di seguito indicato
(Tab. 4.4).
Tab. 4.4 Sistema di illuminazione.
Sistema di illuminazione % di usso inviato verso il basso
diretta >90
semidiretta 60-90
mista 40-60
semidiretta 10-40
indiretta <10
b. La geometria del locale riassunta in un indice i, detto indice del locale,
funzione delle dimensioni a, b, h e h

(v. Fig. 4.1):
i =
a b
h (a +b)
per illuminazione diretta, semidiretta o mista 4.3a
i =
a b
h

(a +b)
per illuminazione indiretta o semidiretta 4.3b
A sua volta lindice del locale serve a denire la classe del locale, secondo la
Tab. 4.5.
c. I valori dei coefcienti di riessione delle pareti per i pi comuni colori sono
riportati in Tab. 4.6.
Una volta noti il tipo di illuminazione, lindice del locale ed il fattore di
riessione delle pareti e del softto, il coefciente di utilizzazione del usso
pu essere ricavato dalla Tab. 4.7, o da altre similari.
207
4. ILLUMINAZIONE DI INTERNI
h
b
h'
piano utile
a
Fig. 4.1 Parametri geometrici per la denizione dellindice del locale.
Tab. 4.5 Corrispondenza fra indice e classe del locale.
Indice i 0.5-0.7 0.7-0.9 0.9-1.2 1.2-1.4 1.4-1.7 1.7-2.7 2.7-4.0 4-6
Classe A B C D E F G H
Tab. 4.6 Coefcienti di riessione per alcune tinte di impiego comune.
Tinta Coefciente di
riessione
Tinta Coefciente di
riessione
bianco 0.90-0.75 azzurro chiaro 0.45-0.40
avorio 0.85-0.80 grigio chiaro 0.40-0.15
crema 0.80-0.70 grigio scuro,
marrone
0.15-0.05
giallo chiaro 0.70-0.60 blu, verde e
rosso scuro
0.10-0.05
rosa 0.60-0.45 nero 0.04-0.01
verde chiaro 0.50-0.40
208
4. ILLUMINAZIONE DI INTERNI
4.3. ILLUMINAZIONE NATURALE DI INTERNI
Per studiare lilluminazione naturale in un interno il procedimento rigoroso consi-
sterebbe nel considerare le nestre come sorgenti luminose di luminanza nota e nel
calcolare poi punto per punto i valori di illuminamento tenendo conto delle riessioni
interne. Tale procedimento di difcile attuazione. Anche in questo caso si preferisce
adottarne uno semplicato, che fa riferimento ad un indice detto fattore di luce diurna
(FLD), denito come:
FLD =
E
i
E
o
4.4
dove:
E
i
= illuminamento orizzontale in un punto dellambiente interno
E
o
= illuminamento orizzontale allesterno, misurato su una supercie non
sottoposta a irraggiamento solare diretto e senza ostacoli che ostruiscono il
cielo.
Il fattore di luce diurna varia, in un locale, da punto a punto. Il suo valore medio pu
essere calcolato con la seguente espressione approssimata, che non tiene conto, ad
esempio, della forma e della posizione della nestra:
FLD
m
=

l
A
v
F
(1
l,m
) S
4.5
con
A
v
= area parete vetrata

l
= coefciente di trasmissione del vetro

l.m
= coefciente medio di riessione di tutte le pareti interne (inclusa la
nestra)
S = area delle pareti interne
F = fattore nestra
209
4. ILLUMINAZIONE DI INTERNI
Tab. 4.7 Valori del coefciente di utilizzazione, in %.
Curv a
fotometrica
Indice
locale
Coefciente di utilizzazione
Fattore di
manutenzione
Illuminazione
semidiretta
d=1,1 h
J 0.28 0.22 0.18 0.26 0.21 0.18 0.20 0.17 Plaf oniera
nuda o con
coppa
diffondente
I 0.35 0.29 0.25 0.33 0.27 0.24 0.26 0.24
H 0.39 0.33 0.30 0.37 0.32 0.28 0.30 0.27
G 0.45 0.38 0.33 0.40 0.36 0.32 0.33 0.30
F 0.49 0.42 0.37 0.43 0.39 0.34 0.37 0.33
E 0.56 0.50 0.44 0.49 0.44 0.40 0.42 0.38
D 0.60 0.55 0.50 0.53 0.48 0.44 0.47 0.44
C 0.64 0.59 0.54 0.56 0.51 0.47 0.50 0.47
B 0.68 0.62 0.59 0.61 0.56 0.53 0.54 0.52
A 0.70 0.65 0.62 0.65 0.62 0.60 0.58 0.57 0.8 0.7 0.6
Illuminazione
mista
d = 1,1 h
J 0.26 0.23 0.21 0.23 0.21 0.19 0.19 0.17 Diffusore
I 0.32 0.29 0.27 0.28 0.26 0.24 0.23 0.21
H 0.37 0.33 0.31 0.31 0.29 0.27 0.26 0.24
G 0.40 0.36 0.34 0.34 0.31 0.30 0.28 0.26
F 0.42 0.39 0.36 0.36 0.33 0.32 0.30 0.28
E 0.46 0.43 0.40 0.41 0.38 0.35 0.32 0.30
D 0.50 0.46 0.43 0.44 0.40 0.39 0.34 0.33
C 0.52 0.48 0.45 0.46 0.44 0.41 0.37 0.36
B 0.55 0.52 0.49 0.48 0.46 0.45 0.39 0.38
A 0.57 0.54 0.51 0.49 0.47 0.46 0.42 0.41 0.75 0.7 0.65
>>
210
4. ILLUMINAZIONE DI INTERNI
Curv a
fotometrica
Indice
locale
Coefciente di utilizzazione
Fattore di
manutenzione
Illuminazione
diretta
d = h
J 0.38 0.32 0.28 0.37 0.32 0.28 0.31 0.28 Riettore a
fascio largo
I 0.46 0.42 0.38 0.46 0.41 0.38 0.41 0.38
H 0.50 0.46 0.43 0.50 0.46 0.43 0.46 0.43
G 0.54 0.50 0.48 0.53 0.50 0.47 0.49 0.47
F 0.58 0.54 0.51 0.56 0.53 0.50 0.52 0.50
E 0.62 0.59 0.56 0.60 0.58 0.56 0.58 0.56
D 0.67 0.64 0.61 0.65 0.63 0.61 0.62 0.61
C 0.69 0.66 0.63 0.67 0.65 0.63 0.64 0.62
B 0.72 0.70 0.67 0.70 0.68 0.66 0.67 0.66
A 0.74 0.71 0.69 0.72 0.70 0.68 0.69 0.67 0.75 0.65 0.55
Illuminazione
diretta
d = 0.9 h
J 0.35 0.32 0.30 0.35 0.32 0.30 0.32 0.30 Riettore a
fascio medi o
I 0.43 0.39 0.37 0.42 0.39 0.37 0.39 0.37
H 0.48 0.45 0.42 0.47 0.44 0.42 0.43 0.41
G 0.53 0.50 0.47 0.52 0.49 0.47 0.48 0.46
F 0.57 0.53 0.50 0.55 0.52 0.50 0.52 0.50
E 0.61 0.57 0.55 0.59 0.57 0.54 0.56 0.54
D 0.64 0.61 0.59 0.62 0.60 0.58 0.59 0.57
C 0.66 0.63 0.61 0.63 0.61 0.60 0.61 0.59
B 0.68 0.66 0.63 0.66 0.64 0.63 0.63 0.62
A 0.69 0.67 0.66 0.67 0.66 0.64 0.65 0.63 0.75 0.65 0.55
Fattore di
riessione pareti
Fattore di
riessione softto
75% 50% 30%
211
4. ILLUMINAZIONE DI INTERNI
Il fattore nestra rappresenta il rapporto fra il usso luminoso che giunge sul piano
della nestra e quello sul piano orizzontale. Il usso luminoso che raggiunge la
nestra proviene a sua volta sia dal cielo che dal terreno, mentre quello sul piano
orizzontale esterno proviene per denizione soltanto dal cielo. In assenza di radiazione
diretta e supponendo isotropi la volta celeste ed il terreno il fattore nestra pu essere
calcolato con la formula seguente:
F =
1 + cos ( + )
2
+
t
1 cos ( + )
2
4.6
in cui linclinazione della parete sullorizzontale,
t
il coefciente di riessione
(o albedo) del terreno e lelevazione media delle eventuali ostruzioni sullorizzonte.
I valori limite di FLD
m
da rispettare sono riportati in Tab. 4.8.
Tab. 4.8 Valori limite di FLD medio (*).
FLD>1% FLD>2% FLD>3% FLD>5%
Edilizia
residenziale
tutti i locali di
abilitazione
Edilizia
scolastica
ufci, spazi di
distribuzione,
scale, servizi
igienici
palestre, refet-
tori e aule co-
muni
ambienti a
uso didattico,
laboratori
aule giochi e
aule nido
Edilizia
ospedaliera
come edilizia
scolastica
palestre e
refettori
ambienti di
degenza,
diagnostica,
laboratori
(*) Valori tratti da:
Decreto del Ministero della Sanit del 5/7/1975 indirizzato alledilizia residenziale
Decreto Ministeriale del 18/12/1975 indirizzato alledilizia scolastica
Circolare del Ministero dei Lavori pubblici n

13011 del 22/12/1974 indirizzata alledilizia ospedaliera


A partire dal livello di illuminamento medio E
i
desiderato in un ambiente possibile,
conoscendo il fattore medio di luce diurna, determinare la frazione di tempo in cui la
luce diurna in grado di garantire una illuminazione sufciente dellambiente. Sono
212
4. ILLUMINAZIONE DI INTERNI
0
2000
4000
6000
8000
10000
12000
14000
16000
30 35 40 45 50 55 60
latitudine ( )
i
l
l
u
m
i
n
a
m
e
n
t
o

e
s
t
e
r
n
o

(
l
x
)
60% 70% 80%
85%
90%
95%
Fig. 4.2 Percentuale di tempo fra le 9 e le 17 in cui si supera un determinato valore
di illuminamento esterno in funzione della latitudine del luogo (Diagramma di Dresler ).
infatti disponibili dei diagrammi che forniscono la percentuale di tempo in cui viene
superato un certo livello di illuminamento allesterno E
o
in un determinato periodo
del giorno (9 - 17 per la Fig. 4.2), in funzione della latitudine del luogo. Noti il valore
di illuminamento richiesto e il fattore medio di luce diurna del locale si ha:
E
o
= E
i
/FLD
m
In corrispondenza del valore di E
o
cos determinato e della latitudine del luogo si
determina la frazione di tempo in cui non richiesto lausilio dellilluminazione
articiale.
Ad esempio, per una localit a 45

di latitudine, lilluminamento esterno superiore a


10.000 lx per l80% del tempo compreso fra le 9 e le 17. Ci signica che in un locale
avente FLD
m
= 0.02 per l80% del tempo lilluminamento sar superiore a 200 lx.
213
BIBLIOGRAFIA
I testi di riferimento da consultare per lapprofondimento dei temi trattati nelle
varie parti di questo volume sono:
Barducci I., Collana di Fisica Tecnica, Edizioni Scientiche Associate, Roma,
1982.
Boffa C., Gregorio P., Elementi di Fisica Tecnica, Levrotto e Bella, Torino,
1977.
engel Y.A., Termodinamica e trasmissione del calore, McGraw-Hill Libri
Italia, Milano, 1998.
Per ulteriori pi specici approfondimenti si indicano di seguito i seguenti
testi:
Parte I
Abbott M.M., Van Ness H.C., Thermodynamics, McGraw-Hill Book
Company, New York, 1972.
Cal M., Gregorio P., Termodinamica, Progetto Leonardo, Bologna,
1996.
Cavallini A., Mattarolo L., Termodinamica Applicata, CLEUP, Padova,
1992.
Zemansky M.W, Termodinamica per ingegneri, Zanichelli, Bologna,
1970.
Parte II
Bonacina C., Cavallini A., Mattarolo L., Trasmissione del calore,
CLEUP, Padova, 1989.
215
Guglielmini G., Pisoni C., Elementi di trasmissione del calore, Veschi,
Milano, 1990.
Holman J.P., Heat Transfer, McGraw-Hill Book Company, New York,
1977.
Mastrullo R., Mazzei P., Naso V., Vanoli R., Fondamenti di
trasmissione del calore, Vol. I, Liguori Editore, Napoli, 1982.
Parte III
Cirillo E., Acustica applicata, McGraw-Hill Book Company Inc., 1997.
Spagnolo R., Manuale di acustica applicata, UTET, Torino, 2001.
Parte IV
Moncada Lo Giudice, G., de Lieto Vollaro, A., Illuminotecnica,
Masson Editoriale ESA, Milano 1996.
216

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