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MARIO LENTANO

PROPERZIO E I VALORI PRIVATI DEL MOS MAIORUM: UNA LETTURA DELLELEGIA 4, 11

Estratto dal volume :


ACCADEMIA PROPERZIANA DEL SUBASIO
CENTRO STUDI POESIA LATINA IN DISTICI ELEGIACI

PROPERZIO FRA TRADIZIONE E INNOVAZIONE


ATTI DEL CONVEGNO INTERNAZIONALE

Assisi-Spello, 21-23 maggio 2010


a cura di

Roberto Cristofoli, Carlo Santini e Francesco Santucci

ASSISI 2012

MARIO LENTANO

PROPERZIO E I VALORI PRIVATI DEL MOS MAIORUM: UNA LETTURA DELLELEGIA 4, 11

Nellaprire il mio contributo desidero anzitutto ringraziare lAccademia properziana del Subasio per il generoso invito a prendere parte a questa sessione dei suoi lavori. Io mi occupo di antropologia del mondo antico, ma sono anche un allievo di Paolo Fedeli, i cui meriti nel campo degli studi su Properzio non hanno bisogno di essere ricordati; loccasione di questo convegno mi d dunque modo di far convergere, in una sintesi che spero non infelice, entrambe le componenti della mia formazione. 1. Il visitatore della splendida cattedrale di Bamberga, nel distretto bavarese dellAlta Franconia, voluta dallimperatore Enrico II nei primissimi anni dellXI secolo, rimane colpito anzitutto dal sepolcro marmoreo che serba i resti dellimperatore stesso e di sua moglie, santa Cunegonda. Cunegonda era stata incoronata insieme al marito a Roma, nel 1014, da papa Benedetto VIII; dopo la morte di Enrico e la successiva ascesa al trono di Corrado II, si ritir in monastero e l rimase sino alla morte, avvenuta intorno al 1040. I rilievi che si ammirano oggi intorno al sepolcro sono per molto pi recenti: essi risalgono al primo scorcio del Cinquecento e rispecchiano la tradizione biografica che si era nel frattempo stratificata intorno alla coppia imperiale. In particolare, uno dei riquadri del sarcofago mette in scena una Cunegonda sontuosamente abbigliata, con il viso concentrato ma sereno, mentre si sottopone ad una prova di chiaro carattere ordalico: limperatrice solleva delicatamente la veste e pone i propri piedi nudi su lastre di metallo incandescente, disposte a costituire una sorta di camminamento; Enrico presente alla prova e si prepara a compiacersi del suo felice superamento, che anche lo spettatore chiamato a inferire dallespressione sicura di Cunegonda. Laccusa dalla quale limperatrice si difendeva, come sappiamo dalle fonti agiografiche, era quella di aver violato il proprio voto di verginit: quello

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tra i due sovrani era stato infatti, per comune consenso, un matrimonio bianco, e questa circostanza aveva evidentemente propiziato il diffondersi di voci e sospetti a carico di Cunegonda. La prova delle lastre ardenti veniva ora a tacitare quelle insinuazioni e a restituire allonore della regina la sua piena integrit 1. Allindomani dellanno Mille, il motivo della prova di verginit ha naturalmente una lunga vicenda dietro le spalle, che ha lasciato traccia cospicua di s nella tradizione letteraria. Nel Leucippe e Clitofonte ad esempio, lavventuroso romanzo di Achille Tazio scritto probabilmente fra II e III secolo d.C., le prove sono ben due, e riguardano tanto la protagonista della movimentata vicenda, la bellissima Leucippe, quando Melite, chiamata a difendersi dallaccusa di infedelt coniugale. Nel primo caso lordalia cos descritta dal romanziere:
Quando perci qualcuna accusata di non essere vergine, il popolo laccompagna qui fino alla porta della spelonca, e la zampogna [del dio Pan] giudica la controversia. La fanciulla entra, parata nella veste rituale, ed un altro chiude la porta della spelonca. E se vergine, si ode una musica melodiosa e divina [...]. Se invece essa ha mentito nel dirsi vergine, al posto della musica dallantro esce un lamento, e subito il popolo si allontana e lascia la donna nella spelonca. Il terzo giorno la vergine sacerdotessa del luogo entra e trova la zampogna a terra, e la donna scomparsa 2.

Nel caso di Leucippe, invece, deputata a strumento per questo tipo di prova la sorgente dello Stige, presso Efeso:
Quando qualcuna accusata di rapporti venerei spiega Achille Tazio , discesa nella fonte, si lava, ed piccola la fonte e arriva fino a mezza gamba. Il giuramento si fa in questo modo: scritta la formula del giuramento su una tavoletta, la donna se lappende al collo, legata ad una cordicella: e, se il giuramento che fa non falso, lacqua rimane al suo posto, se invece falso, lacqua si gonfia e sale fino al collo e copre la tavoletta 3.

Sulla figura di Cunegonda i dati essenziali sono in Gordini (1964), in particolare coll. 398-99 sulle raffigurazioni dellordalia o di Cunegonda con il vomere in mano; secondo Gordini, lattestazione pi antica sulla prova dei vomeri ardenti (vomeres candentes) costituita dallanonima Vita della santa imperatrice redatta oltre un secolo dopo la sua morte, quando il culto di Cunegonda aveva gi saldamente preso piede, e leggibile nella Patrologia latina, vol. CXL, coll. 205-22, in particolare col. 207 per il racconto dellordalia. Cfr. anche i dati e la bibliografia forniti da Bartlett 1986, 16 ss., in particolare 17, nota 11. 2 Achille Tazio, 8, 6, 12-14 (trad. di Q. Cataudella). 3 Achille Tazio, 8, 12, 8-9 (trad. di Q. Cataudella). Sul passo cfr. Sissa 1984, 1122 ss. e 1992, 73 ss. e ora Castelletti 2006, 270 ss., con numerosi paralleli con altre ordalie dellacqua.

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Inutile dire che entrambe le protagoniste del romanzo superano senza difficolt le rispettive prove. Il motivo ha poi unattestazione in Properzio stesso, allinterno di unelegia affascinante quanto complessa come la 4, 8, oggetto di una specifica relazione al convegno assisiate del 2004 e sulla quale non posso purtroppo qui indugiare: a Lanuvio, allinterno dei riti in onore di Iuno Sospita, ogni anno una vergine veniva fatta scendere in una cavit buia e profonda, con una cesta di cibo da offrire a un enorme serpente celato sul fondo della voragine. Se la fanciulla era illibata, spiega laltra fonte che ci ragguaglia sul singolare rito, il poligrafo Claudio Eliano, il serpente accettava lofferta; in caso contrario i cibi restavano intatti, perch lanimale era in grado di conoscere in anticipo limpurit della donna 4. Direi per che nella tradizione medievale il precedente pi immediato per questo genere di racconti costituito da un episodio relativo alla Madonna stessa: se infatti nei vangeli canonici la verginit di Maria appare come un dato non controverso, ben diversa la situazione nei testi apocrifi, nei quali invece la purezza della Madonna suscita una diffusa incredulit e necessita dunque di essere confermata attraverso una serie di prove. In particolare, gli anonimi autori del Protovangelo di Giacomo e del cosiddetto Vangelo dello pseudo-Matteo imbastiscono un racconto nel quale dopo il concepimento del Cristo Maria, che insiste nel dichiarare la propria verginit, viene sottoposta dai sacerdoti del tempio alla prova dell acqua amara, un rito appartenente alla tradizione ebraica e lungamente descritto nel libro vetero-testamentario dei Numeri. Secondo le prescrizioni del testo biblico, il marito che sospetta uninfedelt della moglie deve condurla davanti ad un sacerdote; questi dar da bere alla donna dellacqua consacrata nella quale stata disciolta una certa quantit di polvere raccolta dal pavimento del tabernacolo. Al termine di un articolato rituale la donna ingerisce la bevanda: se colpevole, lacqua le procura fitte intollerabili; in caso contrario, lassenza di dolore dimostra invece la sua innocenza 5. Naturalmente anche

Cfr. rispettivamente Properzio, 4, 8, 3-13 e Claudio Eliano, La natura degli animali, 11, 16. Lo studio cui faccio riferimento, da assumere peraltro con cautela, Mastroiacovo 2005; per ulteriore bibliografia sul passo mi permetto di rimandare a Lentano 2007, 46-47, nota 35. 5 Cfr. Numeri, 5, ampiamente commentato da James Frazer in un ricchissimo capitolo del suo Folk-lore in the Old Testament (Frazer 1918, vol. III, 304-414). Cfr. ora linteressante contributo di Porter 2008, che alle pp. 56-57, nota 19, reca una vasta bibliografia sul passo vetero-testamentario.

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la Madonna supera senza alcuna difficolt la prova, confermando cos oltre ogni dubbio il carattere soprannaturale della sua gravidanza 6. Cunegonda, insomma, come Maria: un parallelo tanto pi invitante in quanto, come si diceva pocanzi, anche quello tra limperatrice e laugusto consorte, al pari dellunione tra Maria e Giuseppe, era stato un matrimonio non consumato, quello che nella cultura medievale era chiamato per lappunto matrimonio di san Giuseppe. Il punto sul quale vorrei attirare lattenzione per la scelta di effigiare la prova dei vomeri ardenti sul sepolcro della santa: linfamante accusa della quale Cunegonda era stata oggetto non viene in alcun modo occultata; essa diventa semmai loccasione che ha consentito allimperatrice, grazie al sostegno della divinit, di fugare ogni dubbio circa la sua controversa castit. 2. Spostiamoci ora di un millennio pi indietro, anche se continuiamo a parlare di sepolcri e della loro complessa interazione con il mondo dei vivi. Nel suo bel saggio Il folclore a Roma, apparso per la prima volta nel 1983, Paul Veyne osserva non senza stupore che nelle epigrafi funerarie latine vizi e colpe del defunto venivano additate al biasimo del lettore senza troppi infingimenti o attenuazioni, anche semplicemente per ribadire che il dedicatario dellepigrafe ne era rimasto immune, e rintraccia il medesimo atteggiamento in numerosi testi letterari, pertinenti ai generi pi diversi. Veyne conclude che Era dunque un complimento, a Roma, lodare una moglie perch non adultera e un adolescente perch non ha costumi equivoci. Bisogna credere che, per loro, ci che meravigliava non era il vizio bens la virt: si lodava la gente per il fatto di non avere determinati vizi . Lo studioso francese continua quindi rilevando che la censura dellopinione pubblica era dura; essa tendeva, osiamo dire, a dare voti al di sotto della sufficienza. Tale rigorismo si spiega senza dubbio con lideale assai esigente e mai realizzato che il subconscio collettivo degli Antichi sognava [...]: ogni cittadino deve considerarsi al servizio della citt; egli non un semplice governato bens uno strumento di governo. Il che esigeva da lui le elevate qualit individuali che ci si pu aspettare da un soldato di carriera o da un militante 7. In realt, quella che emerge da unepigrafe funeraria solo lultima e definitiva immagine di s che lindividuo negozia con il contesto che

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Cfr. rispettivamente Protovangelo di Giacomo, 16 e Vangelo dello pseudo-Matteo, 12. Veyne 1990, 203-204.

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lo circonda e che per tutta la vita lo ha osservato e giudicato. In una societ del faccia a faccia, quale per molti versi quella romana, uomini e donne si muovono infatti costantemente entro una foresta di occhi, come stato efficacemente detto, nella quale il comportamento individuale esposto in permanenza allo scrutinio dello sguardo altrui; e non si tratta, di norma, di uno sguardo benevolo o indulgente, tuttaltro 8. soprattutto il rispetto delle norme che attengono alla sfera della sessualit ad essere oggetto, com prevedibile, di una vigilanza sociale particolarmente attenta: non a caso si tratta dellambito cui si riferiscono anche gli esempi citati da Veyne. Prendiamo un tema di grande rilievo come la legittimit della discendenza: preoccupazione centrale in una cultura come quella romana, patriarcale e patrilineare, nella quale, a giudizio di uno specialista come Yan Thomas, due sono le ossessioni di un padre, quella di vedersi sottrarre il frutto del proprio seme e quella, speculare, di vedersi assegnare un figlio che non appartenga a lui 9. Questa preoccupazione si esprime, tra laltro, attraverso una serie di racconti che sceneggiano il tentativo da parte di un figlio di confermare attraverso le proprie azioni o il superamento di specifiche prove il proprio titolo ad appartenere al genus familiare da cui proviene. Tali prove si realizzano quasi sempre alla presenza di un pubblico, chiamato a verificarne lavvenuto superamento; inoltre, il lessico adottato nelle storie che le raccontano ruota intorno ad una costellazione di termini tutti legati alla sfera della prova, della testimonianza, della ricerca indiziaria, da argumentum a indicium, da testis a fides a pignus, da probare a

Di societ del faccia a faccia a proposito del mondo antico parla ad esempio Vernant 2000, X: In una societ del faccia a faccia, in una cultura della vergogna e dellonore in cui la competizione per la gloria lascia poco spazio al senso del dovere e ignora quello del peccato, lesistenza di ognuno posta incessantemente sotto lo sguardo degli altri. Limmagine di s si costruisce nellocchio di chi ci sta di fronte, nello specchio che questo ci presenta. Non esiste coscienza della propria identit senza questo altro che ci riflette e si contrappone a noi, fronteggiandoci . Limmagine della foresta di occhi invece in Gleason 1990 (= 1995, 55). Interessante, anche ai fini della successiva analisi sullelegia 4, 11 di Properzio, un passo delle Epistulae ex Ponto ovidiane, rivolto alla moglie del poeta esule: Quidquid ages igitur, scaena spectabere magna / et pia non parvis testibus uxor eris. / Crede mihi, quotiens laudaris carmine nostro / qui legit has laudes an mereare rogat. / Utque favere reor plures virtutibus istis / sic tua non paucae carpere facta volent. / Quarum tu presta ne livor dicere possit / haec est pro miseri lenta salute viri (3, 1, 59-66; ringrazio qui la dottoressa Beatrice Larosa per la cortese segnalazione di questa pagina ovidiana). 9 Cfr. Thomas 1987, 200-201.

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explorare a fidem facere. A quanto pare, insomma, nella cultura romana la legittimit parla il linguaggio del processo e delle prove che in esso vengono addotte allo scopo di decidere della colpevolezza o dellinnocenza di un imputato; laccertamento della legittimit di un figlio avvertito alla stessa stregua dellaccertamento della verit in un tribunale, come una costruzione a pi voci che prevede linterazione di un accusato, di un giudice e di un pubblico in grado di valutare gli argomenti messi in campo dalle parti. Lascrizione alla stirpe non appare come un dato pacifico, n la nascita come tale fornisce, di per s, alcuna garanzia in merito; piuttosto, la legittimit deve essere dimostrata al termine di unistruttoria che coinvolge virtualmente lintera collettivit e nella quale ogni indizio utile accuratamente soppesato da giudici esigenti e sospettosi. Quel che pi conta, infine, in questo genere di racconti non sembra funzionare alcuna presunzione di innocenza: al contrario, si direbbe che nella cultura romana ogni figlio sia potenzialmente illegittimo sino a quando non abbia potuto dimostrare il contrario 10. Ora, a me sembra che una percezione analoga, e analogamente sospettosa, investa a Roma anche un altro aspetto di grande rilevanza come la pudicizia femminile, e che questo presupposto consenta di accostarsi con strumenti interpretativi pi adeguati ad uno dei testi pi celebrati dellintero corpus properziano, sul quale ora finalmente concentro la mia attenzione: lelegia 4, 11, la regina elegiarum, lelogio funebre della matrona Cornelia 11. 3. Io credo che oggi nessuno pi consideri la 4, 11 la minuta di un testo da incidere sul sepolcro di Cornelia o ritenga che Properzio abbia concepito la sua elegia alla stregua di uniscrizione funeraria 12; e tuttavia lelogio postumo della matrona assolve, come spero di dimostrare, un ruolo non dissimile da quello che il rilievo con lordalia di santa

10 Ho ripreso qui succintamente le conclusioni di Lentano 2007, 235 ss., cui rimando per una trattazione pi ampia del problema della legittimit e delle relative prove nella cultura romana. 11 Questa premessa pu aiutare altres a intendere perch il discorso di Cornelia, nel quale lelegia 4, 11 in ultima istanza si risolve, appaia una defensio ohne Anklage , come si detto di recente (Gebhardt 2009, 162): il fatto che anche nel caso della pudicizia femminile non vale alcuna presunzione di innocenza, ed da questo che la matrona properziana si difende. Preciso che tutte le citazioni properziane presenti in questo contributo seguono ledizione teubneriana di Paolo Fedeli (1984), di cui discuto peraltro, nelle prossime pagine, alcune soluzioni testuali. 12 Ci crede ancora Hallet 1985, 77.

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Cunegonda svolge sulla tomba dellimperatrice germanica o quello delle epigrafi che tanto avevano sollecitato linteresse di Paul Veyne. Gi, perch anche lelegia 4, 11 mette in scena, com ben noto, un processo: un processo nel quale compare unaccusata, che insieme anche lavvocato di se stessa, in cui esiste una corte, un presidente della giuria, dei testimoni, un pubblico chiamato ad assistere al dibattimento, assimilabile alla corona dei tribunali romani e al pari di questultima perentoriamente invitato a serbare il silenzio perch larringa possa avere inizio 13. Questo aspetto del carme properziano non stato, a mio avviso, sufficientemente valorizzato, mentre appare centrale per la corretta interpretazione dellelegia: le tanto celebrate virt di Cornelia il suo statuto di univira, la cura che esibisce nei confronti dei propri familiari, e soprattutto la pudicitia che ha ispirato il suo lungo matrimonio con Paolo Emilio Lepido sono bens ripetutamente proclamate nel discorso della donna, ma non appaiono dati pacificamente ammessi e che come tali possano essere semplicemente enunciati; al contrario, la matrona avverte il bisogno di ribadirli e rivendicarli e lungamente difenderli nel corso di un dibattimento che pur sempre, almeno virtualmente, aperto alla possibilit che le ragioni dellimputata escano soccombenti. Di che natura sia laccusa dalla quale Cornelia si difende chiarito in versi che sono posti, non a caso, nel cuore stesso dellelegia (vv. 41-44):
me neque censurae legem mollisse neque ulla labe mea vestros erubuisse focos. Non fuit exuviis tantis Cornelia damnum: quin et erat magnae pars imitanda domus.

Lultimo commentatore di Properzio, Gregory Hutchinson, ha osservato a proposito di questi versi che laccumulo delle negazioni nella frase recante il giuramento di Cornelia (neque... neque... non... quin...) contrasta con il carattere assertivo dellanaloga assicurazione di fedelt

13 La natura di arringa difensiva del discorso di Cornelia stata enfatizzata in particolare da Cicerale 1978, che rintraccia nelle parole della matrona, non senza qualche forzatura, le articolazioni di una vera e propria orazione giudiziaria; cfr. ora Gebhardt 2009 sulle prozessuale Situationen nellelegia latina, in particolare pp. 160 ss. sulla 4, 11. Approfitto per osservare che intento foro, al v. 22, difficilmente significher rigorous court (cos, sia pure con qualche dubbio, Hutchinson 2006); intentus ha piuttosto il significato che riveste in Virgilio, Eneide, 2, 1 (conticuere omnes intentique ora tenebant), dove ugualmente abbinato allidea del tacere (conticuere in Virgilio, taceant in Properzio, al v. 23). Sul comportamento spesso rumoroso del pubblico durante i processi a Roma cfr. ora la ricca sintesi di Bablitz 2007, in particolare 133 ss.

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prestata da Cinzia nella 4, 7, unelegia i cui molteplici punti di contatto con la 4, 11 sono stati da tempo rilevati: Cinzia che rivolgendosi al poeta afferma senzaltro me servasse fidem 14. Hutchinson non va oltre questa constatazione; ma le diverse espressioni della medesima rivendicazione non dipendono solo da scelte stilistiche o sintattiche differenti e in fondo arbitrarie: il fatto che Cinzia non ha una lex censurae da osservare, Cornelia s. ladulterio infatti, com naturale, la violazione cui Cornelia fa riferimento in questi versi. La nozione di vergogna cui rimanda un verbo come erubuisse ne un chiaro segnale: in un bel frammento del perduto De matrimonio di Seneca, conservato da Girolamo, della donna che osserva la pudicitia si afferma che essa bene meretur de maioribus, quorum sanguinem furtiva subole non vitiat, bene de liberis, quibus nec de matre erubescendum nec de patre dubitandum est 15. Qui Seneca coglie con chiarezza la posizione della donna come cerniera fra le generazioni, come snodo mai del tutto affidabile eppure imprescindibile di un percorso che connette strettamente antenati e discendenti. Ecco perch la pudicizia descritta dal filosofo bifronte, guarda sia verso il passato che verso il futuro, sia verso gli antenati, da cui la donna riceve, trasmesso attraverso le generazioni, il patrimonio di virt del gruppo familiare, sia verso i discendenti, cui questo patrimonio va consegnato integro. Ho parlato non a caso di patrimonio, giacch proprio alla sfera patrimoniale che fa riferimento un termine come damnum, impiegato da Cornelia al v. 43: come ha ben spiegato mile Benveniste, damnum designa in latino anzitutto la spesa, la perdita di denaro, poi pi in generale la situazione che consegue ad una menomazione della propria ricchezza 16. Naturalmente per il danno cui Cornelia si dichiara estranea non intacca alcun bene concretamente inteso: ci che la matrona ha preservato piuttosto il patrimonio immateriale della stirpe cui essa appartiene, quel capitale invisibile fatto di onore, prestigio, credibilit pubblica, altrettanto essenziale nella definizione dellidentit aristocratica e suscettibile al pari dellaltro di essere compromesso o senzaltro dilapidato. Come la sposa pudica di Seneca, anche la matrona properziana, insomma, ha ben meritato dei propri antenati.

14 Hutchinson 2006, 239, nota al v. 41. Analisi congiunte delle due elegie properziane sono offerte tra gli altri da Lange 1979; Dimundo 1990, 88-95; Rambaux 2001, 30912; Dufallo 2003 e 2007; cfr. anche Ramsby 2007, 66-70; Gebhardt 2009, 162-63. 15 Si tratta del fr. 78 Haase = 50 Vottero. 16 Alludo a note pagine di Benveniste 1979, vol. II, 455-56.

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Proprio i maiores, del resto, sono evocati da Cornelia nei versi immediatamente precedenti come garanti del giuramento che la donna si accinge a prestare (vv. 37-40):
Testor maiorum cineres tibi, Roma, colendos, sub quorum titulis, Africa, tunsa iaces, et Persen proavi s[t]imulantem pectus Achilli, quique tuas proauo fregit Achille domos.

Sono gli Scipioni che hanno schiacciato lAfrica, Emilio Paolo che ha stroncato le velleit di Perseo, cui si allude in un distico testualmente assai compromesso e sul quale mi soffermo poco pi avanti 17. Sono loro che la matrona prende a testimoni, alla loro virt che essa fa appello, una virt al riparo da ogni contestazione perch consegnata per sempre alla memoria collettiva attraverso le imprese che essi hanno compiuto e che Cornelia succintamente richiama. Che degli exploits bellici siano invocati per ribadire il rispetto della pudicizia coniugale potrebbe apparire come lennesima conferma della vecchia intuizione di Jean-Pierre Vernant per cui il matrimonio costituisce per le donne ci che la guerra rappresenta per gli uomini; ma nelle parole di Cornelia non c solo questo. Nella cultura romana i maiores sono oggetto di divinizzazione: sono gli dei o divi parentes, o parentum, divinit della famiglia la cui natura stata indagata in tempi recenti da una specifica ricerca di Maurizio Bettini 18. Proiezione tra i defunti dei meccanismi di parentela esistenti tra i vivi, gli dei parentes, scrive Bettini, hanno altres il compito di vegliare sulle regole di comportamento sessuale della famiglia , in quanto ad essi veniva attribuita la capacit di mantenere un certo controllo sui discendenti vivi . Questo scrutinio pu risolversi in una piena approvazione del comportamento del discendente, che acquista allora i tratti di una prova di legittimit felicemente superata: il caso dei maiores evocati in un celebre elogium epigrafico, quello di Cornelio Scipione Ispano siamo dunque ancora una volta nel contesto di una iscrizione funeraria , i quali lodano il proprio discendente e si com-

17 Gli Scipioni, e non solo lEmiliano, perch nellevocazione delle vittorie in Africa alluso implicitamente anche lAfricano, come giustamente interpreta una parte degli studiosi (cfr. Camps 1965, 158, nota ai vv. 29-30; Spagnuolo Vigorita 2002, 33 e 124, nota 99; Hutchinson 2006, 238, nota al v. 37; Heyworth 2008, 511; Syndikus 2010, 365, nota 328); contra Zecchini 2005, 102, che vede inoltre in questi versi della 4, 11 una conferma della freddezza di Properzio verso lAfricano , e Scardigli 2008, 156 e 164. 18 Alludo a Bettini 2009, di cui cito pi in basso le pp. 119 e 124.

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piacciono che egli sia nato da loro 19; ma quel comportamento pu anche scelerare gli dei parentes, secondo lespressione impiegata da Catullo, ovvero imprimere su di essi una labes, come vuole la Cornelia properziana, quando esso non si conforma alle regole culturali delle quali i maiores sono considerati depositari e insieme garanti 20. Mi permetto a questo punto di aprire una brevissima parentesi filologica. Io non saprei addurre nuove proposte testuali per il tormentato distico 39-40; sono abbastanza incline a ritenerlo un locus desperatus, come fa la Viarre nella recente edizione Belles Lettres di Properzio; e tuttavia mi sentirei piuttosto sicuro nellaccettare la variante simulantem in luogo di stimulantem, accolta da Fedeli nella sua teubneriana, nonostante la presunta imitazione del passo properziano da parte di Silio Italico, che sembra presupporre la lezione trasmessa da quasi tutti i manoscritti 21. Io credo infatti che di Perseo Properzio volesse sottolineare proprio la sua natura di discendente fasullo di Achille, e che il verbo simulo abbia dunque nel verso della nostra elegia la medesima valenza che si coglie in un passo di Velleio Patercolo, casualmente relativo ancora alla casata macedone: dopo la sconfitta e la cattura di Perseo , spiega Velleio, lo Pseudo-Filippo, cos chiamato dalla menzogna di una discen-

CIL I2 15 (= ILS 6 = ILLRP 316 = Courtney 1995, n. 13, con commento alle pp. 228-29): Virtutes generis mieis moribus accumulavi, / progeniem genui, facta patris petiei. / Maiorum optinui laudem ut sibei me esse creatum / laetentur: stirpem nobilitavit honor. Ho citato la bibliografia su questo documento fondamentale della cultura repubblicana latina in Lentano 2007, 174, nota 49. 20 Cfr. ancora Bettini 2009, 113 ss. Lespressione divos scelerare parentes in Catullo, 64, 404, labes al v. 42 dellelegia properziana. 21 La storia delle cure filologiche ed esegetiche su questo tormentato distico properziano lunga e non pu essere analiticamente ripercorsa in questa sede; rimando quindi al Thesaurus criticus di Smith (1970, 335 ss.), al Commentarius criticus di Enk (1978, 355 ss.) e pi recentemente alla Cynthia di Heyworth (2008, 511) e alla ponderata valutazione di Formicola (2011, 54-55). Numerose anche le proposte di diversa dislocazione dei due versi: da ultimo Finkenauer 2001 propone di collocarli fra i vv. 30 e 31. Divergenti, come spesso, le scelte degli editori properziani pi recenti: mentre Viarre 2005, come si detto, pone fra cruces lintero distico, Giardina 2005 ne propone di fatto una vera e propria riscrittura, stampando et Persei proavo stimulatum pectus Achille / quique tuas, proavus, fregit, Achille, domos e traducendo e Lucio Emilio Paolo, che sconfisse larroganza di Perseo, stimolata dallavere Achille come antenato, / e la tua casata, Achille antenato di Perseo ; infine, loxoniense di Heyworth 2007 stampa et <..., et illum> / qui tumidas proavo fregit Achille domos. La supposta imitazione di Silio Italico, che fa propendere molti editori per il mantenimento di stimulantem, in 14, 93-95 (tam praecipiti materna furori / Pyrrhus origo dabat stimulos proavique superbum / Aeacidae genus atque aeternus carmine Achilles).

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denza fasulla (simulatae originis) e che dava ad intendere di essere Filippo e di appartenere a stirpe regale, laddove invece era di condizione infima, [...] in breve tempo scont la pena della sua sfrontatezza ; era stato questa volta Quinto Cecilio Metello a incaricarsi di smentire le pretese del Filippo spurio schiacciando la sollevazione di cui questi si era posto a capo 22. Tanto nel caso del Perseo properziano quanto in quello dello Pseudo-Filippo di cui parla Velleio siamo dunque di fronte ad una prova di legittimit mancata: se proprio lanalogia tra le azioni di un soggetto e quelle dei suoi maiores il pegno pi probante dellappartenenza ad un certo genus, la mancata rassomiglianza ne costituisce, per converso, la smentita pi secca; linettitudine bellica di Perseo, cos come la rapida sconfitta dello Pseudo-Filippo, fungono insomma da disconferma, smascherano la loro abusiva pretesa di discendere dal pi valoroso degli eroi greci e di appartenere alla famiglia regale macedone, tradiscono la falsit di una costruzione genealogica spuria quanto scioccamente pretenziosa. Non occorre ipotizzare, come qualcuno ha fatto, che Properzio fosse a conoscenza delle voci secondo le quali Perseo non era figlio di Filippo V, a differenza del fratello Demetrio, ovvero era nato dalla relazione del sovrano macedone con una concubina, voci attestate per noi da Livio, Plutarco ed Eliano 23; secondo lo storico latino, in particolare, Perseo, nato da una donna che si dava a tutti, non aveva alcun tratto che indicasse chiaramente la sua paternit 24. Naturalmente, possibile che Properzio avesse letto da qualche parte questa storia, ma dimostrarlo

22 Velleio Patercolo, 1, 11, 1: Post victum captumque Persen, qui quadriennio post in libera custodia Albae decessit, Pseudophilippus, a mendacio simulatae originis appellatus, qui se Philippum regiaeque stirpis ferebat, cum esset ultimae, armis occupata Macedonia, adsumptis regni insignibus, brevi temeritatis poenas dedit. interessante che secondo la periocha 49 di Livio lo Pseudo-Filippo che si chiamava in realt Andrisco sosteneva di essere nato da Perseo e da una concubina (ex paelice se et Perseo rege ortum), replicando forse quanto si raccontava a proposito dello stesso Perseo, cfr. subito appresso nel testo. Aggiungo che difficilmente simulantem in Properzio andr inteso nel senso di qui tenta dimiter , come propone Coutelle 2005, 575. 23 Lipotesi formulata da La Penna 1993; le fonti antiche sulla presunta origine illegittima di Perseo sono costituite da Livio, 39, 53, 3 (citato qui sotto, alla nota 24); Plutarco, Emilio Paolo, 8, 11; Arato, 54, 7; Claudio Eliano, Varia storia, 12, 43. 24 Livio, 39, 53, 3: nam etsi minor aetate quam Perseus esset [scil. Demetrius], hunc iusta matre familiae, illum paelice ortum esse; illum ut ex volgato corpore genitum nullam certi patris notam habere, hunc insignem similitudinem Philippi prae se ferre. Si noti che lespressione illum paelice ortum esse pressoch identica a quella impiegata dalla periocha di Livio a proposito dello Pseudo-Filippo nel passo citato alla nota 22.

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non in fondo cos importante; il poeta elegiaco non intendeva pronunciarsi in merito alla corretta genealogia del sovrano macedone: quello che gli interessava era contrapporre la mancata rassomiglianza tra Perseo e il suo presunto avo Achille alla perfetta adeguatezza di Cornelia alle virt dei suoi antenati, anche se ai trionfi di questi ultimi sui nemici sconfitti fa da pendant, nel caso della matrona, il femineus triumphus su quella tendenza alladulterio che costituisce, nella cultura romana, la cifra pi profonda della natura femminile (vv. 71-72):
Haec est feminei merces extrema triumphi, laudat ubi emeritum libera fama rogum 25.

4. Riprendiamo allora il filo del nostro discorso precedente: il carattere difensivo del discorso di Cornelia, la sua natura di arringa tesa a ribadire linnocenza della matrona, si manifesta infatti anche in altri punti della lunga elegia. Tra coloro che non dovranno arrossire per lei sono menzionate infatti anche Quinta Claudia e la vestale Emilia, questultima, come osservano tutti i commentatori, appartenente alla medesima gens di Paolo e del suo avo vincitore della Macedonia (vv. 49-54):
quaelibet austeras de me ferat urna tabellas: turpior assessu non erit ulla meo. Vel tu, quae tardam movisti fune Cybeben, Claudia, turritae rara ministra deae, vel cuius cassos cum Vesta reposceret ignis, exhibuit vivos carbasus alba focos.

Ora, significativo che in entrambi i casi Cornelia abbia scelto figure la cui pudicizia era stata messa in dubbio e che avevano dovuto fugare i dubbi sulla propria reputazione attraverso prove concettualmente non dissimili da quella affrontata dallimperatrice Cunegonda. Le vicende sono note e ben attestate nelle fonti: la matrona Claudia libera da sola la nave che trasporta lungo il Tevere il simulacro della dea Cibele e che sembrava irrimediabilmente incagliata in una secca del fiume; la vestale Emilia accusata di violazione dellobbligo di verginit dopo che il fuoco

25 I trionfi militari, campo di espressione della virtus maschile, e la pudicizia, in cui si manifesta invece il trionfo femminile, sono affiancati e contrapposti in un altro interessante frammento del De matrimonio senecano, il n. 79 Haase: Viros consulatus illustrat, eloquentia in nomen aeternum effert, militaris gloria triumphusque novae gentis consecrat. Multa sunt, quae praeclara ingenia nobilitent: mulieris virtus proprie pudicitia est.

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sacro stato trovato spento, ma viene sciolta da ogni addebito quando fa nuovamente brillare la fiamma gettandovi sopra la propria veste. Nella versione del primo episodio che si legge in Appiano, contro Claudia anzi in corso un vero e proprio processo per adulterio, ma i giudici non si sono ancora pronunciati sulla colpevolezza dellimputata; quando gli indovini proclamano che solo una donna immune dal contatto con uomini estranei (xnoi ndres, che traduce il latino alieni viri) potr liberare la nave con il simulacro della Magna Mater, Claudia si fa avanti ed esegue con facilit il compito, dimostrando cos linconsistenza degli addebiti che le venivano rivolti 26. Nel suo caso come in quello di Emilia dunque lintervento divino, preventivamente invocato, a consentire alle donne di vedere riconosciuta la propria innocenza. In una versione che attestata per noi a partire da Seneca, anche Claudia diventa una vestale sospettata di incesto; laccostamento con Emilia presente in Properzio potrebbe far supporre che una tradizione del genere fosse nota gi in et augustea, ma lipotesi non necessaria; ancora in Ovidio Claudia una matrona di nobilissima origine, al pari di Cornelia, casta quidem, sed non et credita; a sollevare dubbi sulla sua pudicizia sono il cultus raffinato, le acconciature elaborate, un linguaggio giudicato troppo sciolto dai rigidi senes dei suoi tempi 27. La sua vicenda, e quella di Emilia, ricordano le testimonianze relative a unaltra vestale accusata di incesto, Tuccia, anchessa liberatasi dai sospetti, almeno secondo una parte della tradizione che la riguarda, attraverso una prova di tipo ordalico: dopo aver invocato Vesta, Tuccia riempie con lacqua del Tevere un crivello, che reca poi al tempio della dea senza che una sola goccia dacqua si spanda dal contenitore, sorta di inversione di quella pena inflitta negli inferi alle Danaidi sulla quale dovr tornare tra breve 28. Insomma, anche in questo caso Cornelia evoca casi di pudicizia contestata, spesso attraverso i rumores di anonimi osservatori siamo pur

26 Appiano, 7, 56: A quanto si dice, la nave che recava il simulacro si blocc in una secca del Tevere e in nessun modo poteva essere smossa; alla fine, avendo gli indovini profetizzato che limbarcazione avrebbe seguito solo una donna pura dal contatto con uomini estranei (+ereuvou ajdrw`), Quinta Claudia, che era soggetta ad unaccusa di adulterio ma non era stata ancora giudicata e laccusa era tanto pi credibile per via della sua sregolatezza , dopo aver a lungo invocato gli di a testimoni della sua innocenza, leg allo scafo la sua cintura, e la dea la segu . Ad un processo a carico di Claudia sembra alludere anche la versione di Erodiano, 1, 11, 4. 27 Il passo di Ovidio cui alludo in Fasti, 4, 305 ss. Altre fonti e discussione sulla figura di Claudia e sulle diverse tradizioni che la riguardano in Scheid 1994; cfr. anche le ricche note di Vottero 1998, 266-68. 28 Sullepisodio di Tuccia cfr. Cantarella 1991, 229-30; Boldrini 1995.

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sempre dentro la foresta di occhi della quale parlavamo allinizio , talora anche nelle forme ritualizzate del processo, come quello al quale, nella citata versione di Appiano, sarebbe stata sottoposta la matrona Quinta Claudia. Non si tratta genericamente di donne fedeli in questo ambito Cornelia avrebbe avuto ampie possibilit di scelta, evocando ad esempio la sua omonima antenata, la figlia dellAfricano, assurta presto a modello proprio come esempio di moglie univira, prolifica, casta; questa possibilit era a portata di mano, era anzi la pi ovvia, eppure la protagonista dellelegia 4, 11 la scarta, preferendo esempi di donne (matrone o vestali) il cui rispetto delle regole culturali era stato messo in dubbio e aveva potuto risaltare con certezza solo attraverso il superamento di prove i cui giudici erano stati le divinit stesse, esattamente come le divinit sono ora chiamate a valutare larringa difensiva che Cornelia sta pronunciando di fronte a loro. La pudicizia una virt fragile, sempre esposta al dubbio e proprio per questo oggetto dello scrutinio costante e occhiuto della collettivit: a torto Seneca, ancora nel perduto De matrimonio, osserva, a proposito di Quinta Claudia, che il trasporto della nave di Cibele doveva essere piuttosto il riconoscimento tributato ad una castit senza sospetti che la conferma di una pudicizia esposta al dubbio; a torto, perch la sanzione divina si rende invece opportuna per confermare oltre ogni ragionevole incertezza una virt che per definizione sfugge al preciso accertamento di un occhio umano 29. Lunica figura femminile incontestabilmente positiva che Cornelia evoca in relazione a se stessa richiamata solo ex silentio: posto che davvero, nellinvocare su di s la pena delle Danaidi in caso di confessione mendace dei propri meriti, Cornelia intendesse richiamare per contrasto la vicenda di Ipermestra, e che questa non sia invece uninterpretazione eccessivamente sottile degli esegeti moderni:
ipsa loquor pro me: si fallo[r], poena sororum infelix umeros urgeat urna meos 30.

29 Seneca, De matrimonio, fr. 80 Haase (= 43 Vottero): Melius tamen, inquit Lucani poetae patruus, cum illa esset actum, si hoc, quod evenit, ornamentum potius exploratae fuisset pudicitiae quam dubiae patrocinium. Cfr. anche la bella nota di Reitzenstein 1970 ai vv. 37 ss. Anche Cunegonda, nel racconto del suo biografo, rivolge una preghiera al dio cristiano prima di sottoporsi alla prova dei vomeres candentes: Domine deus, creator coeli et terrae, qui probas renes et corda, iudica iudicium meum et eripe me. Te enim testem et iudicem hodie invoco, quia nec hunc praesentem Henricum, nec aliquem virum carnali commistione [sic] umquam cognovi (il testo quello riportato nella Patrologia latina, citato alla nota 1, col. 207). 30 Cfr. Curran 1968, 136: in calling down upon herself the punishment of the Danaids [...] Cornelia thus implicitly associates herself with Hypermestra, the one

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Certo il richiamo al supplizio dellurna forata, cui la matrona sarebbe sottoposta se giurasse il falso, non mi pare abbia ricevuto ancora una spiegazione adeguata; tra i commentatori, non tutti sembrano rilevare il problema, che invece a mio avviso sussiste: perch uneventuale violazione della pudicizia da parte di Cornelia dovrebbe meritarle quella pena, legata invece, come noto, ad una vicenda ben altrimenti torbida di omicidio coniugale plurimo? 31 Probabilmente perch tra i grandi dannati delloltretomba, da Cornelia topicamente evocati poco prima Tantalo, Sisifo, Issione , le Danaidi sono le uniche a essersi macchiate di un crimine riconducibile, ancora una volta, alla sfera del matrimonio; senza contare che Lucrezio, in un passo celeberrimo, aveva fatto proprio delle Danaidi e della pena cui sono sottoposte il simbolo dellinsaziabilit dei desideri umani 32. La spiegazione forse un po debole; riconosco di non poterne proporre per il momento una migliore, ma credo valga la pena di sollevare una questione esegetica che, lo ripeto, mi sembra rimasta un po in ombra negli studi su questa elegia 33. 5. Quali prove della propria integrit pu addurre Cornelia? Abbiamo gi menzionato il giuramento compiuto sulle ceneri dei maiores; ma le donne, si sa, audacter iurant, come osserva nellAmphitruo di Plauto il protagonista della commedia allorch Alcmena invoca Giove e Giunone a testimoni del fatto che al di fuori di te nessun mortale ha toccato il mio corpo con il suo per rendermi impudica ; un passo, questo plautino,

Danaid who remained a loyal wife . Linterpretazione ripresa da Hutchinson 2006 e da Vaiopoulos 2009, 209. 31 La pi ampia discussione a me nota sul significato delle Danaidi nella 4, 11 in Janan 2001, 156-58, che mi lascia piuttosto perplesso. Secondo la studiosa, peraltro, le Danaidi rappresentano qui linaccettabile difesa della verginit, incarnando dunque un comportamento opposto al potenziale adulterio dal quale Cornelia si difende. Cfr. anche Johnson 1997, 172-73 e Lowrie 2009, 351. 32 Lucrezio, 3, 1003-1010. Alle Danaidi dedicano non pi che un fuggevole accenno anche i numerosi contributi che si sono occupati specificamente della rappresentazione properziana degli inferi, cfr. Grimal 1986; Foulon 1996; Jouteur 2006; den Boeft 2008, che accenna alle pp. 324-25 alla possibilit che Properzio riprenda motivi lucreziani. Cfr. anche Williams 1968, 394 ss. Prende in considerazione la sola 4, 7 Grtner 2009. Una comoda sintesi recente sul tradizionale catalogo dei dannati celebri offre Bordone 2007-2008, in particolare 281 ss. per le Danaidi. 33 Va detto peraltro che in 2, 20, 29 ss. Properzio invoca su di s la pena di Tizio e quella di Sisifo se venisse meno alla fides nei confronti di Cinzia, senza che anche in questo caso si possa rinvenire un nesso preciso fra il tipo di colpa di cui si macchierebbe il poeta e quelle dei celebri dannati; possibile dunque che per levocazione delle Danaidi da parte di Cornelia il legame sia altrettanto generico.

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di grande interesse ma che nessun commentatore, se ho ben visto, richiama a riscontro dellelegia properziana 34. Meglio allora affiancare al giuramento testimonianze meno sospette provenienti da figure appartenenti allimmediato entourage di Cornelia, in primo luogo le lacrime provocate dalla sua scomparsa: le lacrime di Paolo, lungamente evocate nei versi iniziali e poi di nuovo in quelli finali della 4, 11, il pianto della madre Scribonia e quello dei testimoni al termine dellarringa di Cornelia, cui si accenna al v. 99, infine, e soprattutto, le lacrime di Augusto, lacrime provenienti da un dio, come Properzio non manca di sottolineare, e capaci dunque di confermare autorevolmente la virt della matrona scomparsa: le mie ossa , sintetizza la stessa Cornelia, sono difese dal pianto di Cesare 35. Defensa: siamo ancora dentro limmaginario e il lessico del processo, pi precisamente al momento in cui la difesa convoca il suo testimone decisivo: al culmine di una climax in cui Cornelia ha gi ricordato il pianto della madre e il cordoglio dellintera citt, a sancire linnocenza dellimputata ora chiamata la stessa divinit 36. C poi ancora il rigoroso rispetto da parte della matrona di leggi e norme di comportamento, leges e mores, come avrebbero detto i latini: termini che non a caso ricorrono ripetutamente nellelegia. Sono le leges degli inferi, cui Cornelia ormai soggetta e cui essa invita perentoriamente Paolo ad adeguarsi, ed la lex della censura, incarnata dal marito e alla quale stata invece lei a doversi conformare; iura sono definite poi le decisioni, auspicabilmente miti, che i giudici infernali sono chiamati ad assumere sul suo conto 37. Ma lidea della soggezione di Cornelia a vincoli che le sono imposti dallesterno si esprime anche in altre forme, ad esempio nella strutturazione degli spazi a lei pertinenti:

34 Si tratta di Plauto, Amphitruo, 831-837 (AL. Per supremi regis regnum iuro et matrem familias / Iunonem, quam me vereri et metuere est par maxime, / ut mihi extra unum te mortalis nemo corpus corpore / contigit, quo me impudicam faceret. AM. Vera istaec velim. / AL. Vera dico, sed nequiquam, quoniam non vis credere. / AM. Mulier es, audacter iuras. AL. Quae non deliquit, decet / audacem esse, confidenter pro se et proterve loqui), su cui rimando ancora allo specifico contributo di Porter 2008. 35 Vv. 57-60: Maternis laudor lacrimis urbisque querelis, / defensa et gemitu Caesaris ossa mea. / Ille sua nata dignam vixisse sororem / increpat, et lacrimas vidimus ire deo. Nulla su lacrime e pianto nella 4, 11 nel recente e specifico Fgen 2009. 36 Bene su questo punto Johnson 1997, 168: the defendant who can show at her funeral the lamentations of an emperor and the tears of a god needs no further witnesses for her case . 37 Si tratta rispettivamente dei vv. 3, 41 e 18. Anche per questo leges, al v. 3, non va toccato (magari sostituendolo con il banalizzante sedes), come da ultimo ribadisce anche Morelli 2009, 625.

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in vita e in morte, la matrona si mossa sempre entro coordinate circoscritte, in uno spazio che tende a serrarsi intorno a lei, a stringerla, a chiuderla, che si tratti delle porte degli inferi, dellonda della palude stigia, delluna e dellaltra benda che le hanno cinto la testa, prima come vergine poi come sposa 38. Persino la sua agency sintattica limitata: i verbi che di Cornelia si predicano sono ripetutamente al passivo, da legatur a iungor, da legar a imitanda, da laudor a defensa, da condita sunt a rapta, da mihi solvitur a detractum est mihi a vehantur 39; soggetto di parola da morta ci torneremo , da viva essa ha rispettato pienamente la consegna del silenzio imposta dalla cultura romana alla matrona, lasciando semmai alla collettivit la possibilit di esprimersi sul suo conto attraverso il riconoscimento di fama e laus. Soprattutto, il termine lex ricorre in un verso che la pi bella definizione a me nota di quella idea di continuit generazionale cos profondamente radicata nella cultura aristocratica romana (v. 47): mi natura dedit leges a sanguine ductas 40. Ci voleva la peculiare caratura della scrittura properziana per convogliare in un solo esametro una tale densit semantica: lobbligo di assomigliare ai propri antenati, di preservare e accrescere il patrimonio immateriale di virt che da essi si eredita, di uniformare i propri comportamenti al modello costituito dai maiores, assume il carattere vincolante di una legge che si trasmette lungo gli anelli della catena generazionale e della quale il sangue costituisce il tramite concreto e insieme il precipitato simbolico: quel sangue che proprio per questo una donna non deve annacquare attraverso la mescolanza con un sangue altro e diverso, che finirebbe per alterarne irreversibilmente la natura. La sorgente di questa legge identificata da Cornelia nella natura: natura perch il modello della continuit gentilizia, costruzione culturale quantaltre mai, intende invece presentarsi con levidenza di un dato oggettivo, naturale appunto; ma anche natura nel senso di nascita, dal momento che il termine non perde mai, in latino, il suo nesso etimologico con il verbo nascor da cui deriva: nascere in una certa famiglia, ereditare un certo sangue, comporta contestualmente la sottoposizione alle norme di cui quel sangue veicolo, implica e

38 Cfr. rispettivamente ianua (v. 2), porta (v. 8), implicat (v. 11, su cui cfr. le belle osservazioni di Williams 1968, 398-99), catena e sera (v. 26), vinxit e vitta (v. 34). 39 I verbi citati sono rispettivamente ai vv. 14, 35, 36, 44, 57, 58, 64, 66, 69-70, 95, 102. 40 Su questo verso dellelegia mi rimasto purtroppo inaccessibile Petersmann 1993; cfr. comunque la bella nota di Reitzenstein 1970, 35-36 nonch Lowrie 2009, 356.

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impone che insieme al patrimonio genetico, per cos dire, di un ceppo familiare se ne acquisisca anche il codice di comportamento. Del resto, il modello prevede anche una declinazione al futuro. Nellepigrafe di Cornelio Scipione Ispano, che abbiamo gi richiamato e che costituisce un vero e proprio manifesto delletica aristocratica romana, la generazione di una discendenza (progeniem genui) menzionata nello stesso pentametro in cui si rivendica il merito di aver imitato le gesta paterne (facta patris petiei), a sottolineare che ogni anello della catena gentilizia guarda contemporaneamente sia allindietro che in avanti; allo stesso modo, anche Cornelia d rilievo alla propria discendenza, chiamata a sua volta a riprodurne e accrescerne le virt. Tale obbligo ricade in prima istanza sulla figlia; a lei che viene rivolto infatti lesplicito invito a imitare la scelta materna di legarsi ad un unico marito:
filia, tu specimen censurae nata paternae fac teneas unum nos imitata virum.

Per un istante intravediamo cos un brandello di quella conversazione madre-figlia che doveva essere a Roma fittissima, ma di cui le fonti non ci parlano quasi mai 41. Sempre alla figlia di Cornelia implicitamente rivolto anche il v. 44 (quin et erat magnae pars imitanda domus), nel quale il ricorso al gerundivo rende esplicito lobbligo di riproduzione di un modello: il fatto che Cornelia si definisca porzione della famiglia meritevole di imitazione subito dopo aver ribadito il proprio rigoroso rispetto della fedelt coniugale non lascia dubbi sul fatto che queste parole siano dirette anzitutto alla figlia; e del resto il medesimo verbo ricorre nel gi menzionato v. 68, fac teneas unum nos imitata virum: la coscienza di essere imitanda diventa nel corso dellelegia lauspicio di essere imitata. Ai tre figli nel loro insieme invece rivolto linvito a fulcire genus, a sostenere la stirpe attraverso la generazione di una lunga catena di discendenti (vv. 69-70):
et serie fulcite genus: mihi cumba volenti solvitur aucturis tot mea fata meis.

Qui il testo di Properzio presenta nuovamente qualche difficolt; io sono daccordo con quegli studiosi che leggono nel pentametro, sia pure

41 Cfr. Dixon 1988, 219-20. Ad un possibile parallelo tra la 4, 11 e lelogio epigrafico di Scipione Ispano accenna anche Erasmo 2008, 199-200.

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al prezzo di un triplice intervento sul testo trdito, aucturis tot mea facta meis. La prima e lultima correzione sono accettate da quasi tutti gli editori; alla seconda viene opposta di solito lobiezione per cui un termine impegnativo come facta sarebbe incongruo rispetto alla tipologia di meriti che Cornelia pu rivendicare, meriti che sono di natura etica pi che pragmatica 42. Lobiezione per tuttaltro che decisiva: in tutta lelegia la matrona si appropria di termini e immagini che pertengono di norma a referenti maschili (al verso successivo, ad esempio, compare triumphus); nella 4, 11, come stato detto, the terminology of male civic responsibility is incorporated into the sphere of the female 43. Del resto, augere fata sarebbe un nesso ai limiti delloscurit, come confermano le interpretazioni e le traduzioni assai differenziate proposte dai moderni; augere facta, come tutti i commenti riportano, si giova invece del conforto di un distico rivolto da Tibullo al suo patrono Messalla: per te, invece, venga su una discendenza che accresca le imprese / del padre e da vecchio ti circondi, colma di venerazione 44. Ma quello con Tibullo non lunico confronto possibile; salvo errore, ai commentatori sfuggito un passo dello Stichus di Plauto nel quale lo schiavetto Pinacio proclama la propria intenzione di accrescere le azioni meritorie dei miei antenati (bene facta maiorum meum / exaugeam) (vv. 303-304). Lintento di Plauto era naturalmente quello di suscitare il riso nel proprio pubblico: per definizione, infatti, uno schiavo non ha una identit genealogica ed dunque privo di maiores. Lironia di Pinacio, tuttavia, nulla toglie al valore dellimmagine cui il servo fa ricorso:

42 Fata stampa ad esempio Fedeli, osservando in apparato ego vero quae sint Corneliae facta intellegere nequeo ; il trdito fata difeso inoltre, tra gli altri, da Shackleton Bailey 1956, 265-66, secondo il quale aucturis mea fata could properly and appropriately mean bring me glory in death , mentre facta seems scarcely fitting in the mouth of a Roman matron of the old school . Facta difeso invece da Williams nella sua recensione al volume di Shackleton Bailey (1957, 247), dal commento di Hutchinson 2006, che suggerisce lulteriore correzione di mea facta in benefacta (e gli avrebbe fatto gioco il passo di Plauto che citiamo pi in basso nel testo) e infine da Heyworth 2008, 512; alle loro osservazioni aggiungo la ricorrenza di facta a proposito di Fabia, la moglie di Ovidio, nel passo delle Epistulae ex Ponto citato nella parte finale della nota 8. Segnalo infine che uncturis, recato da una parte della tradizione manoscritta, accolto da Richardson 1977. 43 Wyke 2007, 113, ma si tratta di osservazione comune: cfr. tra gli altri Curran 1968; Hallet 1985; Heyworth 2008, 512; Lowrie 2009, 358. 44 Tibullo, 1, 7, 55-56: At tibi succrescat proles, quae facta parentis / augeat et circa stet veneranda senem (noto tra parentesi che il quadro properziano di Paolo vecchio felicemente circondato dalle premure dei suoi figli, ai vv. 93-96, presenta qualche analogia con il secondo verso di Tibullo).

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lidea di accrescere le gesta degli avi designava evidentemente un aspetto importante della cultura aristocratica, al punto di prestarsi a rappresentare quella cultura quando di essa si voleva fare la parodia 45. In ogni caso, quel che pi conta che nelle parole di Cornelia linvito alla figlia a imitarne i costumi e, in posizione contigua, quello rivolto ai figli in generale ad augere i facta della madre si coglie quel movimento di riproduzione-accrescimento delle virt della stirpe che sintetizza un intero modello culturale e che un testo come lelogio di Cornelio Ispano documenta, ancora una volta, con esemplare nitidezza. 6. Veniamo infine ai mores. Il termine abbastanza raro in Properzio, con una quindicina circa di occorrenze; tanto pi dunque colpisce che nella nostra elegia esso ricorra due volte. In un caso si tratta chiaramente del modo di fare che i figli di Cornelia dovranno osservare nei confronti di uneventuale matrigna, della quale essi potranno evitare la proverbiale ostilit a patto di adottare alcune accortezze suggerite loro da Cornelia (v. 88: capta dabit vestris moribus illa manus). Laltro caso si trova nel distico conclusivo, a sua volta problematico sul piano testuale, e qui invece mores si riferisce senza dubbio al rispetto di norme che trascendono il singolo e attengono a un modello socialmente riconosciuto e valorizzato, come, nel caso di Cornelia, quello della matrona romana esemplare (vv. 101-102):
Moribus et caelum patuit: sim digna merendo, cuius honoratis ossa vehantur avis.

la consueta dialettica fra una dimensione individuale e una collettiva del mos, della quale parla nella sua relazione Maurizio Bettini: un mos che insieme carattere individuale, anche con le sue idiosincrasie come nellespressione morem gerere o nel proverbiale suus cuique mos , e complesso di valori e modelli di comportamento virtualmente vincolanti per lintera collettivit 46. Ai costumi cos intesi, osserva conclusivamente Cornelia, si aperto in passato persino il cielo ; a maggior ragione questa almeno linterpretazione pi diffusa dellesametro il rigoroso rispetto del proprio statuto da parte della matrona, i suoi mores, che sono poi i mores stabiliti

Sul passo dello Stichus mi permetto di rimandare a Lentano 2007, 177 ss. Cfr. il contributo di Maurizio Bettini in questo volume, pp. 99-110. Le riflessioni dello studioso sulla nozione di mos nella cultura romana si leggono anche in Bettini 2000.
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dal codice culturale romano per le donne del suo rango, potranno meritarle la ricompensa, assai meno impegnativa, di una sentenza benevola da parte dei giudici inferi 47. A mio avviso, certo che in questa chiusa Properzio avesse in mente il Somnium Scipionis ciceroniano, come pi di un commentatore ha suggerito: che i protagonisti del Somnium, ai quali appunto si spalancato laccesso al cielo, siano lAfricano, lEmiliano e Lucio Emilio Paolo, e cio esattamente le figure che anche Cornelia ha evocato nel corso dellelegia, per me sufficiente a fugare ogni dubbio 48. Daltra parte, lauspicio della matrona, giunta al termine della sua lunga apologia, quello di ricongiungersi ai propri maiores (se lultima parola dellelegia , come io credo, avis e non il trdito aquis): e dunque, contrariamente a quanto si legge di solito, un destino celeste non affatto escluso neppure per Cornelia 49. Con questo auspicio si chiude larringa difensiva di Cornelia e insieme lelegia di Properzio. La parola spetta ora ai giudici; ma questo dato extratestuale viene anticipato nella certezza, manifestata subito prima del distico finale, che i meriti rivendicati dalla matrona stiano senzaltro per ricevere un adeguato contraccambio 50. E del resto lo stesso carme properziano che testimonia, con la sua esistenza, lavvenuta assunzione di Cornelia nel selettivo pantheon degli exempla: la matrona che si definiva, e si offriva alla propria discendenza, come pars imitanda di una casa e di una famiglia viene ora proposta allimitazione di unintera collettivit, quella cui lelegia si rivolge; la consacrazione della virt di Cornelia raggiunge, attraverso il poeta che la celebra, una visibilit che essa non avrebbe mai osato sperare in vita. La sentenza che definitivamente sancisce la sua innocenza non pronunciata dai giudici infernali, ma da Properzio 51. In un solo aspetto questa matrona esemplare sembra prestare il fianco al biasimo: in quella sua iniziale, orgogliosa affermazione ipsa loquor pro me (v. 27), che contrasta frontalmente con il divieto di perorare la propria causa in tribunale imposto alle donne romane e ribadito in oc-

Cito per tutti Richardson 1977, nota al v. 101: There is emphasis on et: even heaven; what she asks is modest in comparison . 48 La ripresa del Somnium generalmente ammessa, insieme a quella dello Scipio enniano, cfr. per tutti Newman 1997, 331 (che per eccede, a mio avviso, nel ritenere che il giudizio cui Cornelia si sottopone in Properzio intendesse alludere alla tradizione dei processi agli Scipioni del II secolo a.C.). 49 Bene Johnson 1997, 171 e Ramsby 2007, 70. Contra, tra gli altri, Camps 1965, 167; Richardson 1977, 489; Williams 1968, 399; Newman 1997, 337. 50 Vv. 99-100: Causa perorata est. Flentes me surgite, testes, / dum pretium vitae grata rependit humus. 51 Su Cornelia come exemplum cfr. Lowrie 2008, specie 176 ss.

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casione di comportamenti trasgressivi allepoca di Properzio presumibilmente ancora ben presenti nella memoria collettiva, come quelli di Mesia Sentinate, di Ortensia e soprattutto di Afrania (o Carfania), morta nel 49 a.C.: della quale Valerio Massimo ricorda che pro se semper apud praetorem verba fecit, non perch le mancasse la possibilit di ricorrere ad avvocati, ma in quanto inpudentia abundabat; al punto che, stando sempre a Valerio Massimo, alle donne inprobis moribus veniva attribuito lappellativo ingiurioso di Gaia Afrania 52. La scelta di parlare personalmente in propria difesa sembra dunque gettare unombra su Cornelia. In realt unespressione esattamente identica a quella impiegata dalla matrona (pro se loqui) compare sulla bocca della Alcmena plautina nel contesto dellAmphitruo che abbiamo gi avuto modo di richiamare in precedenza: La donna che non si macchiata di alcuna colpa , spiega la donna al sospettoso Anfitrione, ha il diritto di essere audace e di parlare in propria difesa con piena fiducia e sfacciatamente 53. Dunque Alcmena non nasconde che la scelta di prendere la parola rischia di configurarsi, per una donna, come segno di audacia, confidentia o senzaltro protervia, ma rivendica lopportunit di correre questo rischio quando ci sia in gioco la tutela della propria pudicizia: in questo campo non pu valere alcuna consegna del silenzio 54. E comunque, a ben guardare, anche laffermazione di parlare in prima persona a propria difesa non del tutto vera: perch quella di Cornelia resta pur sempre una personata vox, una prosopopea o sermocinatio, come lavrebbero definita i latini; attraverso la voce fittizia della matrona defunta, chi parla pur sempre Properzio, e dietro di lui i

52 Valerio Massimo, 8, 3, 2: C. Afrania vero Licinii Bucconis senatoris uxor prompta ad lites contrahendas pro se semper apud praetorem verba fecit, non quod advocatis deficiebatur, sed quod inpudentia abundabat. Itaque inusitatis foro latratibus adsidue tribunalia exercendo muliebris calumniae notissimum exemplum evasit, adeo ut pro crimine inprobis feminarum moribus C. Afraniae nomen obiciatur. Sullepisodio cfr., tra gli altri, Cantarella 1996, 15 ss. 53 I versi plautini in questione sono citati supra, nota 34. 54 Interessante, in questo senso, una controversia di scuola riportata nella raccolta di Seneca il Vecchio e molto studiata in tempi recenti, nella quale un marito accusa di adulterio la moglie che ha taciuto di fronte alle profferte erotiche avanzate da un mercante alla donna durante lassenza del marito stesso: in particolare, questultimo osserva che in un contesto di aperta minaccia alla pudicizia di una donna, il silenzio pu essere molto vicino ad una promessa, o servire senzaltro a stimolare il desiderio del corteggiatore (cfr. in particolare 2, 7, 6: Quod proximum est a promittente, rogata stuprum tacet).

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committenti dellelegia 55. Cosa pensasse davvero Cornelia e quale giudizio avrebbe dato della sua postuma santificazione non lo sapremo mai non pi, almeno, di quanto possiamo immaginare cosa avrebbe detto limperatrice Cunegonda del rilievo che altri volle porre sul suo sepolcro a Bamberga.

Sulla prosopopea in relazione alla parola femminile cfr. limportante contributo di Bettini e Guastella 1995, che si soffermano a lungo proprio su unelegia di Properzio, la 4, 7; su 4, 7 e 4, 11 come prosopopee insiste anche Dufallo 2003 (= 2007).

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