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CECCO DASCOLI FILOSOFO

Non facile, forse impossibile, un profilo organico del pensiero e delle opere di Cecco dAscoli, destinato a scontrarsi con le difficolt di testi non ancora disponibili in edizione critica, le cui fonti sono spesso in cerca di autore. Chi affronti la lettura sistematica delle sue opere latine e volgari ne rimane infatti turbato, per laffollarsi di temi e di idee: nel commento alla Sfera di Giovanni di Sacrobosco confonde, apparentemente, astrologia e magia, e nella Acerba, sullo sfondo di un universo rigidamente determinato dagli influssi astrali, canta la lode alla libert delluomo e rifiuta in modo categorico lazione degli astri sulla volont umana. Si dimostra convinto dellesistenza di spiriti benigni e maligni situati nei punti cardinali del globo, ma in apertura del suo commento al De principiis astrologiae di Alcabizio polemizza con alcuni saggi arabi a proposito di teorie inconciliabili con la fede. Come una volta ha lamentato Claudio Ciociola, la quasi totalit della critica ha fino ad ora evitato di leggere lopera di Cecco nel suo complesso, privilegiando piuttosto uno o laltro dei suoi lavori, spesso soltanto la sua celebre Acerba, che invece agli scritti latini fa spesso riferimento. Con il risultato di contrapporre scienza e magia, filosofia e racconto popolare, elementi che per Cecco facevano parte di una precisa concezione del mondo, che quanto intendo qui se non dimostrare, almeno porre come tema di discussione.

I. Sono li cieli organi divini Nel luglio del 1378, pochi anni dopo la scomparsa del Petrarca, Coluccio Salutati scrive a Jacopo Allegretti: Lascia al genere umano il libero arbitrio. Se cercherai di toglierlo, sopprimerai insieme lumano e il divino. Questi versi si leggono ancora nel primo capitolo del III libro del suo De fato, fortuna et casu, in cui Coluccio discute appunto dellastrologia divinatrice e degli astrologi, fra gli altri anche Cecco dAscoli, a cui dedica un intero capitolo. Cecco, infatti, non era solo colpevole di aver accusato ingiustamente Dante, ma soprattutto si era dimostrato incapace di comprendere la dottrina dantesca riguardo la fortuna ed il fato. Coluccio Salutati cita, traducendolo, un passo cruciale dellAcerba, in cui Cecco definisce fortuna una disposizione dei cieli, intesi come organi della potenza divina:

Sono li cieli organi divini Per la potentia di natura eterna, chin lor splendendo son di gloria plini. In forma di disio innamorati, movendo, cos il mondo si governa per questi eccelsi lumi immacullati. () Fortuna non altro ch disposto Cielo, che dispone cosa animata, qual disponendo, si trova lopposto. Non viene necessitato il ben felice. Essendo in libert lanima creata

3 Fortuna in lei non pu se contradice. (Acerba I,I 12)

La traduzione latina dei versi di Cecco esatta e laccusa di Coluccio fondata. Mentre per Dante la fortuna soprattutto uno strumento nelle mani di Dio, e quindi segno della Provvidenza, idea che risale fino a Boezio, per Cecco essa una vis caeli, ovvero la regola di funzionamento del mondo. Il Salutati appare scandalizzato proprio dalla metafora usata da Cecco, ovvero i cieli come organi della potenza divina, perch segno di una visione animistica del mondo. In questo egli, forse inconsapevolmente, si mostrava daccordo con il vescovo Tempier che nel 1277 condannava una tesi analoga (nella edizione di Roland Hissett la n. 75), che recita:

Quod anima celi est intelligentia et orbes celestes non sunt instrumenta intelligentiarum, sed organa, sicut auris et oculus sunt organa virtutis sensitive.

Laccostamento della tesi esposta da Cecco nellAcerba alla proposizione condannata da Tempier potrebbe apparire arbitrario. Cecco non fa riferimento alla virt visiva dellocchio, ma parla appunto in modo generico di organi della virt divina. Per nostra fortuna soccorre nellinterpretazione lo stesso Cecco, il quale nel commento latino che, accompagna lopera in volgare, cos chiosa le stanze citate:

Sono li cieli etc. Hic dicit quod isti celi sunt organa divine virtutis que resplendet in eis, qua influentia splendoris gubernat entia universi, unde subaudi quia, sicut oculi informantur visione virtute visiva et exerceant eorum actum visionis, ita celi ex influentia divine essentiae (virtutis Cas) exercent actum conservationis sperarum in mundo.

4 Laffinit tra i due luoghi notevole: Tempier intendeva colpire soprattutto la teoria dellanimazione dei cieli, secondo la quale ogni sfera celeste sarebbe animata da un principio vitale dipendente da unintelligenza, che ne garantiva la regolarit del movimento. La fonte della tesi condannata non stata ancora individuata, ma probabile che qui si volesse colpire la visione di un universo animato e per questo autosufficiente, posizione condivisa, come vedremo meglio in seguito, dallo stesso Cecco, il quale nel suo commento prosegue:

Et subdit in eadem mossa: accipiendo celos cum omnibus intelligentiis; et dicit quod isti celi contemplatione divine essentie exercent actum motus in forma dilectionis et desiderii. Unde ex motu etiam insequuntur finem ad quem sunt ordinati.

Ovvero: i cieli, con le loro intelligenze, contemplando lessenza divina, si muovono spinti dallamore e dal desiderio. Anche questa idea, ovvero che i cieli si muovano spinti da una virtus appetitiva, fu condannata da Tempier (prop. 73). Certo la Parigi universitaria del 1277 non certo la Bologna di Cecco o la Firenze di Coluccio Salutati. Se, infatti, lassociazione di intelligenze (di origine avicenniana) alle stelle e alle sfere celesti mantenuta, la loro relazione viene per chiarita e precisata in modo da escludere una interpretazione animista e soprattutto un carattere occulto del motore del mondo. Vincer, come noto, lopzione tomista, secondo cui luniverso si muove secondo un movimento circolare, la cui ragion dessere Dio stesso, che sia causa efficiente che causa finale del cosmo e del suo movimento. Luniverso mosso secondo un duplice movimento: da una parte il movimento delle sfere superiori si trasmette gradualmente ai livelli inferiori ed esercita la sua influenza fino alla regione sublunare, dove provoca movimenti di generazione e corruzione. Dallaltra parte luniverso obbedisce alla legge di attrazione esercitata su tutti gli esseri dal principio supremo in quanto fine di ogni aspirazione al bene e alla felicit.

5 A questa legge si riferisce Cecco nel passo ora commentato e lo stesso Dante, che alla fine del Paradiso (33, 143-145) canta: Ma gi volgeva il mio disio el velle/ s come rota chigualmente mossa/ lamor che move il sole e laltra stelle. Niente di scandaloso o di nuovo dunque.

II. El principio che move queste rote La concezione tomista (che sembra essere il riferimento culturale di Cecco) provoc, secondo Stefano Caroti, una rottura con la tradizione animista di derivazione avicenniana. La forza motrice dei cieli, infatti, ovvero langelo, ha un rapporto di esteriorit rispetto al suo mobile e quindi le sfere sono strumenti e non organi della potenza divina. Un mondo celeste cos concepito, ha osservato ancora Tiziana Suarez Nani, non si prestava ad una concezione delluniverso o a pratiche di tipo magico: ciascuna sfera non altro che uno strumento diretto dallangelo in conformit alla volont e alla disposizione divina delle cose. Da qui si spiega sia il senso della proposizione condannata da Tempier (orbes caelestes non sunt instrumenta intelligentiarum, sed organa), sia anche la critica di Coluccio Salutati a Cecco. Questi facendo delle sfere celesti organi della virt divina tramuta la fortuna in un fatto naturale, e quindi ineluttabile, e non dea ministra di Dio. Coluccio dunque irato conclude: Cumque celos organa velis esse divina, cur eis tantum tribuis quod inferiora dicas a rotarum suarum virtutibus dependere? Pendene causata ab instrumentis an potius a causa, que et instrumenta produxerit et effectus?

Cecco in realt, nonostante laccusa lanciata da Coluccio di protervia contro la fede, si era prudentemente allineato alla tradizione. Un confronto con il testo della Summa theologiae di Tommaso lascia emergere non pochi punti in comune tra Cecco e lAquinate, non ultimo

6 limpossibilit, soprattutto filosofica, che enti corporei, ovvero non animati (come invece la metafora dellorgano lascerebbe supporre) agiscano su enti spirituali, ovvero gli intelletti umani che per questo sono anche liberi. E difatti Cecco in pi luoghi, a dispetto del giudizio del Salutati, sembra negare che i corpi celesti siano animati. Per esempio nellAcerba libro II, I 36, per difendere la libert delluomo, afferma che corpi inanimati non possono influenzare qualcosa di spirituale come lintelletto umano. Oppure pi chiaramente nel De principiis astrologie Cecco dAscoli scrive: Dico quod quamvis corpora celestia sint inanimata, tamen a suis substantiis et mediantibus intelligentibus moventibus habent proprietates in diversis partibus celi in quibus dicuntur gaudere et tristari effective in nobis, scilicet disponendo nos ad bonum et malum. Un lettore attento tuttavia non pu non rimanere perplesso di fronte ad alcune affermazioni di Cecco. Mi riferisco in particolare allAcerba libro I,II 612:

El principio che muove queste rote Sono intelligentie separate

Fin qui niente di nuovo. Queste intelligenze, tuttavia,

Movendo stelle e lor diverse spere Diverse gienti con contrari acti Forma la lor potentia qual non pre. Ovvero, secondo il commento latino, queste intelligenze muovendo i cieli, le diverse sfere e le stelle, muovono, ovvero portano dalla potenza allatto, genti diverse e le dispongono a diversi e operazioni. E aggiunge:

7 Ma lalma bella del Fattor simile Per suo vallor a queste po far ombra, se non se inclina el suo voler gentile. Quando linfluentia vien da quelle Se sua virt per queste non si sgombra, allora donna sopra tute stelle. (Acerba I,II 24)

Il passo chiaro e non ha bisogno di molto commento. Forse solo una precisazione. E vero che non c nulla di sconveniente nel fatto che gli angeli alias intelligenze, muovendo i cieli, influiscano indirettamente i moti di generazione e corruzione propri del mondo sublunare: dottrina aristotelica. Meno esente da rischi invece ammettere, che linfluenza delle intelligenze investa anche, sempre indirettamente, la sfera morale. Tommaso lo aveva ammesso, seppur con un certo pudore, nella Summa theologiae, dove concede la possibilit che i cieli, influendo sulla complessione dei corpi, abbiano una certa influenza anche sulle anime umane e sulla volont. Nel luogo appena citato Cecco si riferisce proprio a questo secondo tipo di influenza, come dimostra il riferimento ai popoli e ai caratteri degli individui, che egli si perita anche di esemplificare (il beato, il fannullone, lo sciocco etc.). Lascia per perplessi un secondo elemento ovvero laffermazione che luomo nel libero esercizio della sua volont possa opporsi non solo allinfluenza dei cieli (che dottrina), ma anche allinfluenza delle intelligenze ovvero, secondo linterpretazione ortodossa, degli angeli (queste e quelle infatti nel passo citato si riferiscono alle intelligenze motrici). Non precisazione di poco conto, come vedremo. Il termine influentia poco consono a descrivere lazione degli angeli, seppur moventi. E difatti deriva, come noto, non dalla fenomenologia angelica cristiana, quanto dalla filosofia di

8 origine araba, ed indica il fluire ordinato e gerarchico delle forme dal primo principio al mondo del divenire attraverso una serie di termini medii (le intelligenze appunto). Tale fluire delle forme, o con altra terminologia, inducere, viene ad esempio utilizzato da Alberto il Grande nelle sue opere scientifiche, come ad esempio nel suo commento alla metafisica per dimostrare laffidabilit delloperare degli astrologi, i quali appunto osservando i loca stellarum pronosticano alcuni effetti, indotti dalle stelle nelle cose inferiori. E appena il caso di ricordare che per Alberto le intelligenze dei cieli, che di sfera in sfera trasmettono le forme, non sono assimilabili agli angeli della tradizione cristiana. E lo stesso Tommaso, che in materia aveva idee diverse, accortamente nella Summa contra gentiles alla questione Quod distinctio rerum non est per angelum inducentem in materiam diversas formas (in parole povere langelo non pu influire o inducere forme direttamente nella materia) afferma chiaramente: Neque igitur totalis acquisitio formarum in materia potest fieri per motum ab aliqua susbtantia separata, cuiusmodi est Angelus; sed oportet, quod hoc fiat vel mediante agente corporeo (ovvero i cieli), vel creante qui agit sine motu (ovvero Dio). Il senso del testo di Tommaso chiaro: le intelligenze (o angeli), anzi proprio in quanto angeli, non possono influire direttamente nulla, come invece sembra pensare Cecco. E non a caso Coluccio Salutati, nel III libro del suo De fato et fortuna, critica proprio il concetto, tanto usato (e abusato) dagli astrologi, di influentia:

Sed iam videre videor huius scientie studiosos paratos solvere, quod dicant celos non agere complexione, sed influentie proprietate. Vellem autem ab eis doceri quid velint intelligi per influentiam. Nam cum influere proprie sit in aliquid fluere, quod est alicuius rei motus in aliam transeuntis, necesse fit influendo eius quod influat vel substantiam permisceri vel qualitatem vel saltem eius quod influere dixerimus, quamvis improprie, voluntatem. Celi vero substantiam fluere ridiculum est putare vel eam qua penitus careat qualitatem; nec voluntas celis est

9 ascribenda, ne fateri oporteat quod celi sint animati et intelligentiis quod intelligi non potest tanquam formis, non solummodo velut motoribus, sociati.

Il passo del Salutati significativo almeno per due motivi: 1. Il concetto di influenza non elimina la possibilit che ad essere soggetto e oggetto di influenza non siano soltanto corpi o qualit, ma anche in un certo senso la volont. 2. Non pu influire la sostanza di corpi inanimati, n del resto si pu attribuire ai cieli una qualche volont, per non cadere nellerrore di supporre dei cieli animati e uniti alle intelligenze non come motori, ma come forma, ovvero la tesi che abbiamo visto essere stata condannata da Tempier. In altre parole il Salutati aveva ben compreso che il concetto di influenza implica quello di animazione dei cieli, inteso non, come voleva Tommaso, nel senso debole di cielo mosso per motore estrinseco, quale appunto gli angeli, ma nel senso forte di unanima o intelligenza forma del corpo.

III. Nove sono queste che moven li cerchi Ora, pur nel suo formale rispetto dellortodossia, Cecco sembra mantenere una, credo consapevole, ambiguit nei confronti delle intelligenze celesti, che egli vede, certo come angeli, ma anche come principi capaci autonomamente di influire sul mondo sublunare. Offre conferma di tale ipotesi unesplicita adesione dello stesso Cecco ad un sistema filosofico, che non prevede le intelligenze angeliche di marca cristiana: lemanazionismo avicenniano. Si tratta di un elemento dellopera di Cecco dAscoli ancora poco considerato dalla critica, se si esclude un significativo accenno di Nicolas Weill-Parot nel suo recente contributo Les anges dans la magie astrale. Veniamo al testo, anzi ai testi, ed cominciamo in particolare da un noto passo dellAcerba I,II 3036 in cui Cecco riprende il concetto di intelligenze motrici dei cieli, descritte poco prima:

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Nove sono queste che moven li cerchi, e unaltra sotto a queste pone altrui, qual spira lalma de li atti soverchi. Intelligentia del terrestro mondo Con la benignit conforma nui, prendendo lalma de lesser secondo. E questa lalma, ch una in tuti, ch soto il cerchio della prima stella: e daltra vita smo privi e struti. E questo pone il falso Averoise Con sua sophistica e pnta novella: ma or pi vert che quando visse

Non un passo facile e questa volta il commento latino, non aiuta, anzi in alcuni casi complica le cose (a causa anche di un testo ancora poco affidabile). La prima e ovvia interpretazione che se ne pu trarre che qui Cecco condanni il cosiddetto monopsichismo di Averro, ovvero la teoria di un intelletto possibile unico per tutti gli uomini, teoria che condannava lanima delluomo a perire con il proprio corpo. Tale, ad esempio, linterpretazione offerta da Gabriele Frasca nel suo Cecco dAscoli avversario di Dante. Lo studioso vede nella condanna della decima intelligenza una polemica contro Dante, che in Inferno VII definiva Fortuna una entit che con le altre prime creature (ovvero le altre nove intelligenze) fa ruotare la sua sfera. Secondo Frasca, dunque, la polemica di Cecco mirava a colpire una tendenza latamente averroista di Dante. Lipotesi ingegnosa, perch presuppone che Cecco non conoscesse gli ulteriori sviluppi del concetto di Fortuna nel Purgatorio

11 e nel Paradiso, dove, come a ragione ha visto ancora Frasca, scompare lidea della Fortuna come decima intelligenza. Interpretare tuttavia la decima intelligenza come lintelletto possibile unico per tutti non cos scontato, come il testo lascerebbe credere. In questo caso basta dare uno sguardo al commento in latino per rendersene conto. Qui, commentando, Cecco afferma: Aliqui ponunt sub istis (ovvero i nove cieli) unam aliam intelligentiam, que dicitur intelligentia agens vel terrestris mundi et ista est intelligentia, per quam nos intelligimus. In queste righe Cecco si riferisce chiaramente ad unintelligentia agens e non ad un intellectus possibilis come ci si aspetterebbe. Ovvero, almeno qui Cecco non sta descrivendo la dottrina di Averro. Il sospetto diviene certezza quando leggiamo che questa decima intelligenza detta intelligentia agens oppure intelligenza del mondo terrestre, come nel testo in volgare. Ora, com noto, questa non dottrina di Averro, ma di Avicenna, che nel IX libro della sua Metaphysica scrive:

Unde numerus intelligentiarum separatarum post primum principium erit secundum numerum motum (). Et tunc earum numerus erit decum post primum. Primum autem earum est intelligentia quae non movetur, cuius est movere sphaeram corporis ultimi. Deinde id quod sequitur est quod movet spheram fixarum. Deinde sequitur quod movet spheram Saturni. Similiter est quousque pervenitur ad intelligentiam, a qua fluit super nostras animas, et haec. est intelligentia mundi terreni

Averro conosce questa teoria, che critica nel commento n. 18 del XII libro della Metafisica. La decima intelligenza, o dator formarum (secondo una denominazione in voga presso i latini) influiva nel mondo sublunare le forme che, secondo Averro, erano gi presenti in qualche modo nella materia. E legittimo allora ipotizzare un errore cos madornale e anche ingenuo da parte di

12 Cecco, ovvero confondere il monopsichismo di Averro con la dottrina del dator formarum di Avicenna? Se il passo citato fosse lunico luogo in cui compare tale definizione, il sospetto sarebbe lecito. E tuttavia in due altre occorrenze, rintracciabili nelle opere latine, Cecco stesso non ci permette di dubitare, ovvero nel commento alla Sfera di Sacrobosco e nel trattato De eccentricis et epicyclis. Nel primo testo Cecco affronta il problema del numero dei principi moventi e pone due soluzioni da lui ritenute ugualmente probabili. Una quella, notoria, di Aristotele, secondo cui ogni sfera ha pi movimenti e dunque pi motori. Poi aggiunge: Alia est opinio Avicenne quam teneo et credo veram. Ponit in 9 sue metaphysice, si bene recolo, duplicem ordinem intelligentiarum separatarum. Quedam enim est intelligentia prima que est motor universitatis et primum principium totius causae. Secundariae autem intelligentie sunt in decem ordinibus, ut ipse ponit (). De decima sic dicit: Decima est intelligentia que influit (a qua fluit super P) naturas, animas, e intelligentias et est intelligentia mundi terreni, et vocamus ipsam intelligentiam intelligentiam agentem. Et ex hoc, conclude, multi accipiunt, quod intellectus agens sit intelligentia decimi ordinis intelligentiarum separatarum. La stessa citazione si legge, come ho detto, nel De eccentricis et epcyclis, dove contro Averro e Alpetragio, che negano lesistenza di eccentrici ed epicicli, invoca accanto alla consueta autorit di Aristotele, anche quella di Ipparco, ovvero lo pseudo Ipparco e di Avicenna:

Et contra ipsum est Yparcus in libro de vinculis spiritus, qui ponit duplicem ordinem intelligentiarum; que verba sibi appropriat Avicenna. Dicit enim quod quedam est intelligentia prima, que est motio universitatis et primum principium totius cause; secundarie autem intelligentie sunt in decem ordinibus, ut ipse ponit. Decima est intelligentia a qua fluit super nostras animas intelligibilis et est intelligentia mundi terreni et ipsam vocamus intelligentiam agentem.

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Nel primo luogo citato la tesi avicenniania di un ordine del mondo strutturato secondo due livelli accettata da Cecco senza riserve (quam teneo et credo veram). Nel secondo posta addirittura sotto legida di un altro personaggio, ovvero Ipparco, da cui Avicenna avrebbe copiato. Tale Ipparco, identificato da Parot nella rievocazione del celebre astronomo greco, sfugge ancora a qualsiasi tentativo di identificazione, ma spesso chiamato da Cecco, soprattutto nel commento alla Sfera, come testimone di dottrine e pratiche di negromanzia, non sempre esposte, come voleva Thorndike, a puro titolo informativo. Laccostamento dunque ardito, ma allettante, e, come vedremo tra poco, pu essere funzionale alla concezione che Cecco ha delle influenze astrali, a met strada tra religione, pi o meno ortodossa, e filosofia. Torniamo ora al luogo dellAcerba sopra citato. E evidente che alla luce di quanto fino ad ora esposto, non la dottrina della decima intelligenza ad essere criticata, dottrina che Cecco accetta come vera, quanto linterpretazione che di essa si pu dare. Tento dunque un possibile commento, reso tuttavia impervio dal testo in volgare e latino non del tutto stabile: Nove sono le intelligenze che muovono le sfere ed alcuni (ovvero Ipparco e Avicenna) vi aggiungono unaltra che influisce lanima intellettiva. Lintelligenza del mondo terrestre (che denominazione di Avicenna) con la benignit conforma luomo prendendo (nel senso forse di usando, tramite) lanima dellintelletto possibile, o essere secondo, che poi agisce sullanima sensitiva. Lanima dellessere secondo unica per tutti gli uomini ed sotto la sfera della luna. In questo modo luomo si vede privato dellimmortalit, legata allesistenza di unanima razionale individuale, dottrina com noto, averroista. Mi rendo conto della difficolt, e dellambiguit del testo, che ho dovuto semplificare, ma mi sembra chiaro che nella seconda

14 delle due mosse citate Cecco critichi linterpretazione data da Averro della decima intelligenza, come anima comune a tutto il genere umano. Se la mia ipotesi coglie nel segno, e si potr dimostrare per solo sulla base di un testo filologicamente corretto, cadrebbe lidea che in queste righe Cecco voglia colpire Dante e la sua idea di fortuna. Non solo. Se, come credo, il paradigma filosofico a cui fa riferimento Cecco, quello avicenniano, possibile interpretare diversamente altri luoghi degli scritti latini dellAscolano.

IV. Lintelligentia de lo terrestre mondo Nel IX libro della Metafisica, gi citato, Avicenna descrive il mondo sublunare come il risultato di una duplice causalit, ovvero quella delle intelligenze che moltiplicano la forma del primo principio, e quella dei pianeti, che con i loro movimenti influiscono sulla materia disponendola a ricevere una forma determinata e non unaltra. Il concorrere delle due cause garantisce alluniverso regolarit e conoscibilit, tanto che Alberto il Grande nel XI libro della sua Metaphysica fondava lattendibilit delloperare degli astrologi proprio sul flusso delle forme che si imprimevano nella materia del mondo sublunare. A questa connessione di cause doveva, credo, fare riferimento Cecco quando, nel trattato Super Spheram, risponde ad un quesito di origine popolare, ripreso anche nella sezione IV dellAcerba, ovvero: perch gli uomini temano gli influssi della luna, che nelleconomia delluniverso occupa il luogo pi basso e quindi il meno importante. La risposta di Cecco :

Luna est sicut subiectum, alii planete sunt tamquam forme. Unde sicut in subiecto est virtus forme et forma, sic in luna est virtus omnium planetarum et aliarum stellarum, quia primum

15 mobile imprimit virtutem suam in octavam spheram, octava sphera in spheram Saturni (etc). Ulterius luna cum omnibus influentiis agit elementa, elementa alterant complexiones, complexionibus alteratis alterantur anime, que in nobis sunt, quia anime consequuntur corpora, et iste influentie, quas recipit luna dicuntur influentie communes. Recipit autem influentias speciales sicut per aspectum stellarum vel per coniunctiones.

In altre parole la luna una specie di luogo di smistamento delle influenze celesti che dalla semplicit del primo motore, secondo il modello avicenniano gi presentato, si frammentano e si irraggiano fino alla luna, la quale le ritrasmette poi tramite la decima intelligenza al mondo sublunare. La complicata rete di influenze comuni e speciali, che ricorda in parte lanaloga suddivisione stabilita da Pietro dAbano nella Differenza X del suo Conciliator, giustifica anche loperare per immagini caro ai negromanti. Nel De principiis astrologie Cecco intende spiegare lattivit delle cosiddette triplicit o trigoni. Si tratta di denominazioni astrologiche, che designano i quattro gruppi di tre segni dello zodiaco accomunati da una particolare complessione, da cui la triplicit o trigono prende il nome e quindi avremo una triplicitas ignea, una terrea e cos via. Ognuna di queste triplicit causa, secondo un certo Almenon autore di un altrettanto fantomatico De unitate secreti, dei quattro elementi e anche causa delle virt latenti nel mondo sublunare. Secondo linterpretazione di Cecco per tali virt o forme latenti nella natura (latentia forme seu forma specifica) risultano dallinflusso di ci che Cecco chiama aspetto modale del cielo, ovvero dalla posizione che ogni pianeta ha rispetto allo zodiaco. Questo aspetto modale un tipo di azione diverso dallazione universale del corpo celeste, perch relativo alla posizione rispetto lo zodiaco:

16 Modalis aspectus celestis qui distinguitur contra universalem actionem celestis corporis limitat et modificat proportiones elementorum in creatione misti, ex qua proportione limitata ab isto modali aspectu resultat formam per quam mistum hoc operatur quod non illud () Unde latentia forme vel nature vel forma specifica est debita proporcio elementorum in misto limitata a modali aspectu celestis corporis, quod est dator formarum.

La forma risultante sar dunque dipendente sia dellinfluenza del corpo celeste, sia della sua posizione rispetto al trigono. Ma c di pi. Lespressione dator formarum, come abbiamo visto, la formulazione latina per designare lattivit delle intelligenze analizzata da Avicenna nel IX libro della sua Metaphysica. Non solo: sulla base dellattivit del corpo celeste come datore di forme Cecco fonda anche la legittimit delloperare per immagini. Scrive infatti, quasi ad esemplificare la teoria dellaspetto modale del corpo celeste:

Et hoc modo ymagines que fiunt ad amorem ad honorem et ad similia operantur; quia si fiat ymago ad dilectionem hora veneris, venere existente in piscibus vel in tauro fortificando venerem tunc in illa effuxione stagni per istum aspectum modalem acquiritur debita proportio elementorum unde resultat talis proprietas in re ista. () Unde iste triplicitates mediantibus planetis sunt causa omnis latentie nature.

Le propriet, che gli amuleti o i talismani possiedono, sono dunque leffetto di una forma particolare impressa nelloggetto dal corpo celeste, ovvero il datore di forme della tradizione avicenniana, che dunque in questo contesto legittima la pratica magica. Certo nel testo di Cecco il dator formarum curiosamente non lintelligenza ma il corpo celeste, la cui attivit consiste nellinformare ovvero determinare in un dato modo la proporzione di elementi del misto. Da qui emerge lambiguit, a cui accennavo allinizio, di status del corpo

17 celeste, che ha le caratteristiche di un corpo animato, pur essendo in realt un corpo mosso. E tuttavia questo non consente, a mio parere, di mettere in discussione la tesi proposta. In un altro luogo del De principiis astrologiae, ad esempio, Cecco si riferisce chiaramente alle influenze delle intelligenze agenti quando affronta il problema del sogno premonitore, questione esposta anche nellAcerba IV,IX 4878. Egli divide il sogno fantastico e il sogno contemplativo o oracolo. Il primo originato semplicemente da una particolare complessione corporale. Il secondo invece un sogno, che, scrive Cecco: Provenit ex revelatione intelligentiarum agentium in ipsa vi anime intellective, quibus omnia sunt nota. E queste intelligenze imprimono gli eventi futuri nellanima intellettiva. Ma perch questo possa avvenire, necessaria sia una disposizione naturale di chi sogna (gli uomini che sono soliti dire la verit sognano anche il vero) sia una particolare configurazione dei cieli, ovvero la luna si deve trovare nei cosiddetti segni fissi, cio toro, scorpione, acquario e leone. Lemanazionismo di Avicenna dunque la chiave per comprendere e spiegare razionalmente fenomeni altrimenti inspiegabili. Non a caso Cecco attribuisce la dottrina filosofica e quindi razionale di un cosmo mosso da dieci intelligenze non solo ad Avicenna, come giusto, ma anche a Ipparco, autore, secondo Cecco di testi negromantici, in cui sono descritti incubi e succubi che abitano i coluri e demoni potentissimi situati nei quattro punti cardinali. Secondo Parot la propensione innegabile di Cecco per la magia nera e la sua perizia in demonologia devono molto alla cultura ebraico-cristiana, predominante nelle sue opere rispetto alla tradizione ermetico-araba, pur presente. Non posso che condividere lopinione dello studioso francese. Ma aggiungerei che, come spero di aver dimostrato, il paradigma filosofico di riferimento, che consente ad esempio a Cecco di istituire accanto ad un ordo gratiae, anche un ordo naturae, , seppur certo con molte ambiguit, quello avicenniano, che meglio si prestava, come osserva Caroti, sia ad una spiegazione astrologica della realt fisica sia ad una giustificazione naturale della magia, anche di quella pi sulfurea.

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Conclusione Sullo sfondo della struttura gerarchica delluniverso pervaso da influssi, che si rinforzano e si condizionano reciprocamente, il ruolo delluomo e della sua libert acquista unaltra connotazione. Luomo, infatti, non soltanto il soggetto di libere scelte, come vuole tutta la tradizione cristiana, ma soprattutto il mago e lartefice che conoscendo le forze manifeste e occulte delluniverso, po fa ombra, per utilizzare una bella espressione dellAcerba, alle intelligenze e ai cieli, che guarda caso vengono sempre nominati insieme, non come alternativa, ma come concause del divenire del mondo. E vero: le virt umane derivano, in quanto disposizioni, dai corpi celesti e persino lamore non sembra sfuggire alla regola ferrea delle influenze del cosmo. Ma dalluomo dipende non solo la possibilit di attuare queste disposizioni e di realizzare la nobilt dono dei cieli, ma anche intervenire nei fenomeni naturali e di utilizzarli per lo scopo pi opportuno. E vero, come afferma nel De principiis astrologie e nellAcerba, che la calamita di necessit attira il ferro, ma secondo Cecco, se si intinge questo nellolio, la calamita non ha pi alcun potere su di lui. La metafora della calamita, come segno del determinismo delle influenze astrali, viene, come acutamente annotava il Boffito da Tolomeo, e Pietro dAbano la utilizzava proprio per provare il legame necessario tra nascite e costellazioni che decidevano del destino delluomo. Cecco invece aggiunge il riferimento ad una pratica empirica (rivestire di olio il ferro per fare ombra allazione della calamita) per dimostrare che non vi nulla di ineluttabile, ma tutto in qualche sottoposto allattivit delluomo sapiente, che parla e discute persino con i demoni di alto lignaggio, come afferma nel trattato Super Spheram. E si tratta di demoni e non degli angeli della tradizione cristiana: demoni che come gli uomini sono sottoposti allinfluenza astrale, ma che diversamente da essi non vi si possono opporre. Lestensione della causalit astrologica agli angeli e demoni della tradizione cristiana avviene dunque a spese delle pi elementari dottrine cristiane. Gli angeli

19 e i demoni non sono pi sottoposti allonnipotenza divina, ma al ferreo determinismo astrale. E in questo senso, come ha acutamente osservato Padot, Cecco non fu un caso isolato, se nellopera di un famoso astrologo e medico bolognese, Angelo da Montolmo, si ritrovano gli stessi elementi appena descritti. Da qui il significato della fortuna come vis caeli e non come ministra della Provvidenza. Paradossalmente, e questo forse era sfuggito a Coluccio Salutati, ad una fortuna ancilla Dei, come voleva la lunga tradizione da Boezio fino a Dante, luomo non potrebbe mai far ombra, ovvero opporsi con la forza del suo sapere e delle sue pratiche. Se la fortuna invece non altro che una disposizione dei cieli, ovvero fenomeno naturale e non espressione di una intelligenza superiore e dunque coercitiva, luomo vi si pu opporre, purch conosca e sappia sfruttare le leggi delluniverso. Non a caso nellAcerba il trattato sulluomo segue la discussione sulla fortuna, che a sua volta si pone alla fine della descrizione delluniverso come sistema organizzato e dunque determinato. Tale universo mostra, inoltre, tutte le caratteristiche del cosmo avicenniano. La mossa dapertura (Ultra non segue pi la luce) canta il livello del primo principio, immobile e indicibile, segue quindi la descrizione dei vari cieli e dei loro motori, ovvero le dieci intelligenze. La descrizione del mondo sublunare si apre poi con luomo e la Fortuna, a cui segue il libro III dedicato agli esseri inferiori. Il libro IV o il libro delle questioni organizzato secondo lo stesso principio gerarchico: prima le questioni inerenti ai cieli, poi quelle relative ai quattro elementi e infine questioni attinenti alluomo.

E possibile dunque sintetizzare cos lopera di Cecco: riflessione morale, ma tesa fra precise indagini scientifiche, seppure a suo modo, e ansia metafisica, con al fondo una fiducia: non c nulla di cos meraviglioso nel mondo che non possa essere indagato e conosciuto.

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