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Appunti di Elettrotecnica

per le classi 3° , 4° , 5° del corso "Elettrotecnica ed Automazione" nell'Istituto Tecnico


Industriale "G. Galilei" di Mirandola (MO) http://www.galileimirandola.it a cura del prof.
Egidio Rezzaghi.

L'attuale versione, aggiornata al 17/04/2004, è completa della parte di teoria per le classi terza,
quarta e quinta e degli esercizi per la classe quarta. Sono stati inseriti i primi quattro esercizi sui
motori asincroni trifasi, altri seguiranno. Sono state fatte importanti modifiche agli appunti sui
transitori delle reti elettriche e correzioni in diverse altre parti. Infine è stato aggiornato il driver
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scritti in tempi diversi ed utilizzati per dotare gli allievi di appunti rispecchianti il lavoro
effettivamente svolto in classe. Quindi è ben lontano dal poter essere ritenuto un
riferimento esaustivo dei contenuti della disciplina od un significativo documento
multimediale. In definitiva si tratta soltanto di un semplice strumento didattico. Saranno
oltremodo bene accettati sia suggerimenti che segnalazioni di eventuali errori presenti.

Prof. Egidio Rezzaghi

info@galileimirandola.it , egidiorezzaghi@infinito.it

Programma per la classe terza


Programma per la classe quarta
Programma per la classe quinta
Download di programmi per l'elettrotecnica e le misure elettriche
Errata corrige

Classe terza

Indice dei contenuti:

1. Elettrostatica
2. Campi e circuiti magnetici
3. Reti elettriche in corrente continua e corrente alternata
4. Misure elettriche
Elettrostatica
Indice dei contenuti:

1. Introduzione, legge di Coulomb


2. Campo elettrico
3. Condensatore elettrico
4. Comportamento elettrostatico dei corpi conduttori
5. Induzione elettrostatica e spostamento elettrico
6. Flusso del vettore spostamento elettrico, teorema di Gauss
7. Applicazioni del teorema di Gauss
8. Polarizzazione dei dielettrici, rigidità dielettrica
9. Costante dielettrica e rigidità dielettrica: tabella
10. Energia nel campo elettrico
11. Forze attrattive tra le armature di un condensatore carico
12. Campo elettrico nei corpi conduttori percorsi da corrente
13. Transitorio di carica e scarica nei condensatori

Introduzione, legge di Coulomb

Quanto esposto in questi appunti ha lo scopo di riassumere quelle conoscenze della elettrostatica già
note dal corso di fisica del biennio e di proporre quelle integrazioni che più direttamente fanno
riferimento alle applicazioni elettrotecniche. Nelle espressioni, le grandezze vettoriali sono indicate
mediante sottolineatura.

Con elettrostatica si intende la teoria che studia l'effetto di forza dovuto a cariche elettriche
immobili.

Si chiama carica elettrica la quantità di elettricità positiva o negativa di un corpo, essa è sempre un
multiplo intero della carica elementare (quanto elementare) e = 1,602·10-19 [C] (la più piccola
quantità di carica elettrica esistente è la carica dell'elettrone, pari a -e ).

Una delle proprietà più importanti delle cariche elettriche è descritta dalla legge di Coulomb : la
forza elettrica F di attrazione (cariche di segno opposto) o di repulsione (cariche di uguale segno)
fra due cariche puntiformi Q1 e Q2 immerse in un mezzo isolante è proporzionale al prodotto delle
cariche ed inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza :

La direzione della forza è la retta passante per le due cariche. La grandezza ε è chiamata costante
dielettrica assoluta del mezzo isolante e, per il vuoto, essa vale :

Per un mezzo diverso dal vuoto si è soliti esprimerla come prodotto tra la costante dielettrica del
vuoto e la costante dielettrica relativa del mezzo ε = εo · εr .
Campo elettrico

E' così chiamata ogni regione dello spazio ove si esercitano forze elettriche su cariche elettriche. Il
campo elettrico è determinato in ogni punto dalla grandezza vettoriale E , quindi è definito in ogni
punto da una intensità, una direzione ed un verso. L'intensità, la direzione ed il verso sono pari a
quelli della forza elettrica che agisce su un'unità di carica positiva posta in quel punto. Se ne ha una
rappresentazione visibile mediante le linee di forza e le superfici equipotenziali. Le linee di forza
sono linee orientate secondo il verso di E le cui tangenti coincidono in ogni punto del campo con la
direzione del vettore E .

Con potenziale di un punto del campo elettrico si intende il valore di energia potenziale che l'unità
di carica positiva possiede in quel punto. Si sceglie a piacere un punto come punto zero dell'energia
potenziale. I punti di eguale potenziale sono posti su superfici equipotenziali, tali superfici sono
perpendicolari alle linee di forza. Una carica elettrica positiva può essere mossa su di una superficie
equipotenziale senza perdita ne guadagno di energia, mentre per essere mossa da una superficie a
minor potenziale verso una a maggior potenziale richiede un lavoro che, infine, si ritrova sotto
forma di maggior energia potenziale posseduta dalla carica. Qualunque carica positiva collocata in
un punto del campo elettrico tende a muoversi nel verso della linea di forza passante per quel punto,
così facendo vede diminuire il proprio potenziale.

Si definisce differenza di potenziale tra due punti M, N del campo elettrico la differenza tra il
potenziale nel primo punto ed il potenziale nel secondo punto : VMN = VM - VN .

Nota Bene.: quello di campo è un concetto fondamentale per la descrizione di stati ed effetti nello
spazio, risalente a Faraday. I campi di forza (campi vettoriali), quali quelli di forza elettrica, di forza
magnetica, di forza gravitazionale, sono definiti dalla intensità, dalla direzione e dal verso di una
forza per ogni punto dello spazio. I campi scalari indicano invece la distribuzione nello spazio di
valori numerici, ad esempio di temperatura o densità.

Se in un punto dello spazio caratterizzato da una intensità di campo elettrico pari ad E vi è una
carica pari a Q, si avrà agente sulla carica una forza elettrica pari a F = E·Q , da cui si ricava che
l'unità di misura del campo elettrico è il [N / C] . La direzione di questa forza è la stessa del campo,
il verso è quello del campo se la carica è positiva, altrimenti è ad esso opposto.

Il potenziale elettrico, essendo un'energia per unità di carica, si misura in [J/C]. Così è pure per la
differenza di potenziale. Se in un punto di un campo elettrico ove il potenziale vale V è presente
una carica Q , tale carica possederà una energia potenziale elettrica pari a W = Q·V [Joule]. Il [J/C]
è chiamato volt [V].

Consideriamo ora un campo elettrico stazionario (cioè non variabile nel tempo) ed uniforme (cioè
non variabile al variare del punto considerato). Prendiamo due punti M, N sulla stessa linea di forza,
distanti tra di loro d , ed immaginiamo una carica positiva Q che passi dal punto M al punto N .
Tale carica perderà energia potenziale e compirà un lavoro se VM > VN perché sarà la forza elettrica
a determinarne lo spostamento, viceversa acquisterà energia potenziale e su di essa bisognerà
compiere un lavoro se VM < VN perché si dovrà vincere la forza elettrica con una forza esterna. In
ogni caso, per il principio di conservazione dell'energia, dovrà essere il lavoro uguale alla
variazione di energia potenziale :

F·d = Q·VM - Q·VN = Q·VMN ⇒ E·Q·d = Q·VMN ⇒

La situazione appena descritta è quella che si verifica nel dielettrico (isolante) posto tra le armature
piane e parallele di un condensatore.

Nel caso di campi elettrici non uniformi, quanto detto rimane ancora valido solo che si dovranno
considerare punti M ed N a distanza tra di loro talmente piccola da potersi ritenere in tale tratto
uniforme il campo.

Per i campi elettrici si può inoltre dire che il lavoro connesso al movimento di una carica tra due
punti M ed N (situati anche su diverse linee di forza) non dipende dal percorso seguito dalla carica
per passare da M ad N , ma dipende solo dalla posizione dei punti M ed N ( i campi che godono di
tale proprietà sono detti campi conservativi e tale è anche il campo gravitazionale).

Condensatore elettrico

E' così chiamato il dispositivo atto a realizzare un adeguato valore concentrato di capacità elettrica.
Per capacità elettrica si intende l'attitudine di un circuito ad accumulare carica elettrica. La capacità
elettrica è definita dalla legge C = Q / V e si misura in [Farad]. Un condensatore si realizza
generalmente mediante due piastre di materiale conduttore con interposto un mezzo dielettrico
(isolante). Applicando una differenza di potenziale tra le armature si crea un campo elettrico nel
dielettrico e, grazie al lavoro del generatore, un accumulo di carica sulle stesse (carica positiva
sull'una e negativa sull'altra), tanto più grande quanto più è grande la capacità del condensatore.
Una volta che il condensatore si è caricato, per i circuiti in corrente continua si ha che nel ramo ove
è inserito il condensatore non può più passare la corrente elettrica.

Se si hanno diversi condensatori in parallelo, ovvero sottoposti alla stessa differenza di potenziale,
la capacità totale è pari alla somma aritmetica delle singole capacità:

Se si hanno diversi condensatori in serie, ovvero tutti aventi la stessa quantità di carica elettrica, la
capacità totale è pari all'inverso della somma aritmetica degli inversi delle singole capacità:

Comportamento elettrostatico dei corpi conduttori

Nei corpi conduttori elettrizzati (cioè che abbiano acquisito carica elettrica, ad esempio sotto forma
di elettroni se si tratta di metalli) si verifica quanto segue :

a) in condizione di equilibrio le cariche elettriche libere sono distribuite unicamente sulla superficie
esterna del corpo conduttore perché, data la mobilità delle cariche elettriche libere, le interazioni
coulombiane che si esercitano tra di esse, essendo le cariche libere tutte dello stesso segno, portano
tutte le cariche a raggiungere la superficie limite del corpo conduttore.

b) le cariche elettriche libere in equilibrio sulla superficie del conduttore devono assumere una
distribuzione tale che il potenziale di ciascun punto P1 , P2 , P3 , ecc. rispetto ad un riferimento O
sia sempre lo stesso, ovvero VP1 = VP2 = VP3 = ecc. Si dice così che la superficie è equipotenziale.
Se fosse diversamente avremmo tra due punti, ad esempio P1 e P2 , una differenza di potenziale
che provocherebbe uno spostamento degli elettroni liberi verso il punto a potenziale maggiore,
contraddicendo così la condizione di equilibrio statico.

c) le cariche elettriche libere in equilibrio sulla superficie dei conduttori producono un campo
elettrico E sempre perpendicolare alla superficie stessa del conduttore, se così non fosse si avrebbe,
oltre alla componente normale En , una componente tangenziale Et a causa della quale una carica
elettrica libera superficiale Q si muoverebbe essendo sotto l'azione di una forza elettrica Ft = Et·Q
la qual cosa contraddice la condizione di equilibrio statico.

d) il campo elettrico all'interno di un corpo conduttore in equilibrio statico è sempre nullo in quanto,
se fosse diverso da zero, gli elettroni liberi sarebbero in movimento la qual cosa contraddice la
condizione di equilibrio statico. Ne risulta in particolare che l'equilibrio elettrico di un conduttore
elettrizzato non viene alterato se si immagina di scavare internamente il conduttore stesso fino a
ridurlo ad un involucro, anche sottilissimo, costituito da una pellicola metallica corrispondente alla
superficie esterna. Nei fenomeni elettrostatici, quindi, il comportamento di un conduttore massiccio
non differisce da quello di un conduttore internamente cavo avente eguale forma e dimensioni.
Nell'interno di questi conduttori cavi (praticamente sono degli involucri metallici) il campo elettrico
rimane sempre nullo , qualunque sia la carica elettrica distribuita sulla superficie esterna, e cioè
qualunque sia l'intensità del campo elettrico nello spazio esterno al conduttore cavo. Si intende che,
se nell'interno dell'involucro sono racchiusi dei conduttori isolati dalle pareti del l'involucro ed
elettrizzati, questi vi producono un campo elettrico il quale rimane del tutto indipendente da tutte le
eventuali cariche elettriche situate all'esterno. Si può dire che un involucro metallico completamente
chiuso costituisce uno schermo elettrostatico che protegge l'intera regione interna dalle azioni di
tutti i campi elettrici esterni (schermo di Faraday).

Induzione elettrostatica e spostamento elettrico


Per induzione elettrostatica si intende l'azione di un campo elettrico esterno su un conduttore
isolato. Le cariche elettriche alla superficie vengono separate dalle forze di Coulomb. Poiché il
bilancio di carica del conduttore non è alterato dall'induzione, il conduttore resta nel complesso
elettricamente neutro.

Con spostamento dielettrico (eccitazione dielettrica) si intende il vettore D = ε·E , esso corrisponde
alla carica prodotta nell'unità di superficie per induzione elettrostatica e si misura in [C / m2] .

Flusso del vettore spostamento elettrico, teorema di Gauss

Si consideri una superficie di area S immersa in un campo elettrico uniforme (cioè costante in tutti i
punti e perciò con le linee di forza rettilinee e parallele), per il quale il vettore spostamento elettrico
sia D . Si definisce flusso del vettore spostamento elettrico attraverso la superficie S la grandezza
scalare :

α) [C]
ΦS(D) = D·S·cos(α

Il flusso viene considerato positivo se il campo elettrico è orientato concordemente col versore N
(vettore adimensionale unitario ortogonale alla superficie) diversamente esso è considerato
negativo.

Il teorema di Gauss afferma che il flusso totale del vettore spostamento attraverso una superficie
chiusa qualsiasi ΦSC(D) è uguale alla somma algebrica delle cariche elettriche QSC racchiuse
all'interno della superficie considerata :
Il flusso, per quanto precedentemente detto, sarà uscente dalla superficie chiusa se la carica
racchiusa è positiva, altrimenti sarà entrante nella superficie.

Applicazioni del teorema di Gauss

a) Campo elettrico originato da una carica puntiforme.

Consideriamo una carica puntiforme positiva Q ed un punto P distante d dalla carica. Consideriamo
la superficie chiusa sferica S avente la carica al suo centro. Si può affermare che il vettore
spostamento elettrico D è sempre ortogonale alla superficie e costante per qualunque punto sulla
superficie (quindi α = 0 e cos(αα) = 1 ). Il flusso del vettore spostamento elettrico attraverso la
superficie varrà quindi :

ΦS(D) = D·S·cos(α
α) = D·4· π·d2 [C]

Applicando il teorema di Gauss sarà D·4· π·d2 = Q.

Ricordando che in ogni punto del campo elettrico è D = ε·E , sostituendo si avrà :

che è quanto cercato.

b) Capacità di un condensatore con armature piane e parallele.

Consideriamo l'armatura carica positivamente Q ed applichiamo il teorema di Gauss alla superficie


chiusa SC che racchiude tale armatura. Siccome il campo elettrico è praticamente nullo
esternamente allo spazio racchiuso tra le armature, è costante e normale alla superficie internamente
alle armature, possiamo limitarci a considerare la sola parte della superficie chiusa SC coincidente
con la superficie interna S dell'armatura stessa e scrivere :

ΦSC(D) = ΦS(D) = D·S = ε·E·S = Q [C]

Ricordando che il campo elettrico uniforme tra le armature distanti d del condensatore è legato alla
tensione V applicata tra le armature stesse dalla relazione E = V / d , sostituendo nella espressione
precedente e risolvendo rispetto alla Q si ottiene infine :
dove, per omogeneità dimensionale deve essere :

la capacità del condensatore.

Polarizzazione dei dielettrici, rigidità dielettrica

Si chiama polarizzazione la costituzione e l'orientamento dei dipoli elettrici (coppia di cariche


puntiformi di segno opposto ed eguale valore fra loro vincolate in modo da mantenere costante la
distanza che le separa) nei mezzi dielettrici a causa della presenza di un campo elettrico non nullo. I
meccanismi della polarizzazione sono molteplici, in generale si può dire che alla base vi sono le
forze elettriche, il più semplice da comprendere è riassunto nel seguente disegno :

La quantità di elettricità che, per effetto della polarizzazione, si sposta per unità di superficie è
ancora determinata dallo spostamento elettrico così che, in un condensatore, a parità di superficie, la
quantità di carica elettrica che per induzione si raccoglie sulle armature è uguale alla quantità di
carica elettrica che nel dielettrico si sposta per polarizzazione.

Ovviamente, aumentando l'intensità di campo elettrico aumentano le forze elettriche che agiscono
sui due poli del dipolo così che si potrà arrivare alla rottura del legame che tiene unito il dipolo
elettrico : si definisce rigidità dielettrica di un materiale isolante il massimo valore di campo
elettrico che in esso può essere presente senza che avvenga la rottura dei dipoli elettrici e la
conseguente scarica distruttiva. Tale valore dipende fortemente dalle condizioni ambientali del
dielettrico (temperatura, pressione, presenza di umidità o di impurità, ecc.). Per sicurezza, le
condizioni di impiego dei materiali isolanti devono essere tali per cui il campo elettrico al loro
interno sia molto inferiore alla loro rigidità dielettrica. Un fenomeno direttamente legato alla rigidità
dielettrica dell'aria ( 3 [KV / mm] per l'aria secca e pura) è l'effetto corona che si manifesta nelle
linee aeree messe in tensione. Accade infatti, in presenza di forte umidità, che la rigidità dielettrica
dell'aria possa scendere al di sotto del valore di campo elettrico nell'intorno della superficie del
conduttore così che si verificano scariche distruttive avvertibili sotto forma di sfrigolio e
luminescenza.

Costante dielettrica e rigidità dielettrica: tabella


La tabella sottostante riporta le più importanti caratteristiche dielettriche di alcuni materiali isolanti.

Costante dielettrica assoluta del vuoto εo = 8,854·10-12 [F/m]


Mezzo dielettrico Costante dielettrica Rigidità dielettrica
relativa [KV/mm]
Aria secca (alla pressione di 1 [bar]) 1,0006 3
Acqua pura 81,07 15
Olio minerale 2,2 ÷ 2,5 7,5 ÷ 16
Olio per trasformatori 2 ÷ 2,5 12 ÷ 17
Bachelite 5,5 ÷ 8,5 10
Carta comune 2 6
Carta paraffinata 2,5 ÷ 4 40 ÷ 50
Carta da condensatori 5 ÷ 5,5 30
Gomma 2,2 ÷ 2,5 15 ÷ 40
Mica 6÷8 50 ÷ 100
Polietilene 2,3 50
Porcellana 4÷7 12 ÷ 30
Vetro 6÷8 25 ÷ 100
Ossido di titanio 90 ÷ 170 5
Titanati di Ba-Sr 1000 ÷ 10000 5

Energia nel campo elettrico

Considerando il condensatore inizialmente scarico, a partire dall'istante nel quale si chiude


l'interruttore M si ha che il generatore inizia a spostare la carica elettrica, convenzionalmente quella
positiva, dall'armatura di destra verso quella di sinistra ovvero si originerà una corrente elettrica.
Così facendo il generatore compie un lavoro, e per una quantità di carica pari a dq si avrà un lavoro
pari a dW = dq·v rappresentato dall'area tratteggiata. A carica del condensatore esaurita, la tensione
ai suoi capi varrà V = E , la carica accumulata varrà Q = C·V ed il lavoro complessivamente
compiuto dal generatore sarà pari all'area del triangolo (0 Q N) ovvero :
Per il principio di conservazione dell'energia, non essendovi alcuna dissipazione, tutto il lavoro
compiuto dal generatore per caricare il condensatore verrà a ritrovarsi sotto forma di energia
elettrostatica nel dielettrico compreso tra le armature del condensatore che, in effetti, sarà
polarizzato.

Distaccando, una volta caricato, il condensatore dal generatore accade che l'energia elettrostatica
rimane immagazzinata nel dielettrico. Infatti, se si collega il condensatore caricato ad una resistenza
esterna si avrà una circolazione di corrente di verso contrario a quello di carica che produrrà una
dissipazione per effetto Joule nella resistenza esterna e tale corrente persisterà, seppure con intensità
decrescente, fino a quando il condensatore non sarà del tutto scaricato.

Supponendo il dielettrico omogeneo ( ovvero ε = costante ) ed il campo elettrico uniforme, cosa


accettabile nel caso del condensatore, possiamo facilmente esprimere l'energia elettrostatica
specifica:

la cui unità di misura è [Joule / m3] e dove si è applicato il teorema di Gauss e la definizione di
intensità di campo elettrico.

Forze attrattive tra le armature di un condensatore carico

Facciamo riferimento ad un condensatore carico ed isolato, ovvero non collegato ad un circuito


esterno . Indichiamo con d la distanza tra le sue armature, con S la superficie, con Q la carica, con
V la differenza di potenziale e con ε la costante dielettrica. Lasciata libera, l'armatura di destra
tenderà a muoversi verso sinistra perché attratta dalla forza elettrica F dovuta alla carica di segno
opposto distribuita sulle armature. Per non contraddire le condizioni di staticità del sistema,
immaginiamo che a causa della forza F l'armatura compia uno spostamento infinitamente piccolo
dx.

Tale spostamento per poter avvenire necessita di un lavoro che, considerando il sistema isolato, può
solo provenire dall'energia elettrostatica posseduta nel dielettrico del condensatore. In conseguenza
dello spostamento dx possiamo dire che la carica delle armature non può essere cambiata essendo il
condensatore isolato, la capacità del condensatore sarà aumentata di una quantità infinitesima a
causa della diminuzione dx della distanza d tra le armature, la differenza di potenziale tra le
armature, essendo inversamente proporzionale alla capacità, sarà diminuita di una quantità
infinitesima, lo spostamento elettrico (e quindi il campo elettrico) sarà rimasto invariato essendo
invariate sia Q che S, l'energia elettrostatica specifica sarà rimasta invariata essendo invariati sia il
campo che lo spostamento elettrico.

Il lavoro compiuto attraverso lo spostamento dx dell'armatura vale dL = F·dx , mentre la variazione


(diminuzione) dell'energia elettrostatica vale dW = Ws·S·dx .

Per il principio di conservazione dell'energia dovrà essere dL = dW e quindi:

Allo stesso risultato si perviene considerando il condensatore collegato ad un generatore.

Campo elettrico nei corpi conduttori percorsi da corrente

Prendiamo in considerazione un tratto M N di conduttore omogeneo di resistività elettrica ρ , avente


lunghezza d e sezione S . Sia questo conduttore percorso da una corrente elettrica costante I nel
verso che va da M a N . Potremo scrivere che la tensione tra i punti M ed N vale, per la legge di
Ohm :

e che il campo elettrico E al suo interno è legato alla tensione fra le sezioni M ed N dalla relazione
VMN = E·d .

Eguagliando le due espressioni si ottiene :

La grandezza J = I / S [A /m2] è chiamata densità di corrente elettrica.

In termini vettoriali si potrà infine scrivere E = ρ·J .

Nota Bene : quanto esposto esula dall'elettrostatica in quanto viene fatto riferimento a cariche
elettriche in movimento.
Transitorio di carica e scarica nei condensatori

Prendiamo in considerazione le leggi di variazione nel tempo della corrente nel circuito i(t) e della
tensione v(t) ai capi del condensatore durante la fase di carica dello stesso. Assumiamo che il
condensatore sia inizialmente scarico v(0-) = 0 , ovvero sia inizialmente nulla la carica accumulata
sulle sue armature (condizioni iniziali nulle). Individuiamo come istante iniziale t = 0 [s] quello
coincidente con la chiusura dell'interruttore K . A partire da tale istante iniziale si avrà un graduale
aumento della tensione ai capi del condensatore che raggiungerà il valore definitivo Vo solo dopo
un tempo infinito. In realtà si potrà ritenere esaurita la fase di carica quando la tensione ai capi del
condensatore avrà superato il 99% del valore finale Vo (valore a regime). Tale intervallo di tempo,
durante il quale variano sia la tensione ai capi del condensatore che la corrente nel circuito, viene
detto transitorio elettrico ed è presente in qualsiasi circuito che contenga dispositivi capaci di
immagazzinare energia (condensatori ed induttori) ogniqualvolta vari una delle grandezze (tensione
o corrente) applicate al circuito. Infatti, nel corso della carica del condensatore, l'energia
immagazzinata nel suo campo elettrico richiede tempo per passare da zero al valore finale. Se così
non fosse, ovvero se la carica si realizzasse istantaneamente, si dovrebbe presumere di avere a che
fare con un generatore di potenza infinita la qual cosa è un assurdo fisico. Per ciascun circuito
elettrico si può individuare una grandezza caratteristica chiamata costante di tempo τ che serve a
valutare la durata del transitorio. Infatti si può dimostrare che il transitorio ha una durata pari a circa
5· τ . La legge di variazione sia della tensione ai capi del condensatore che della corrente nel circuito
è di tipo esponenziale.

Vediamo di riassumere le più importanti proprietà.


A sinistra sono mostrate le leggi che regolano la carica, a destra quelle della scarica. Al flusso
ordinato di carica elettrica costituente la corrente di carica (scarica) corrisponde uno spostamento
elettrico di carica nel dielettrico compreso tra le armature del condensatore che si polarizza
(depolarizza). Al lavoro compiuto dal generatore corrisponde, a meno della potenza elettrica
dissipata nelle resistenze, l'energia accumulata nel dielettrico del condensatore; tale energia è
totalmente dissipata nelle resistenze durante la scarica.
Si ricorda che la lettera e che compare nella espressione esponenziale è la base dei logaritmi
naturali, ovvero il numero 2,718...

In qualsiasi processo regolato da una legge esponenziale, la costante di tempo rappresenta il tempo
necessario al completamento del processo nel caso in cui lo stesso avvenga ad una velocità costante
e pari a quella dell'istante iniziale. Detto in altre parole, la tangente nell'origine alla curva
esponenziale interseca l'orizzontale di ordinata pari al valore a regime in corrispondenza dell'ascissa
pari alla costante di tempo.
Campi e circuiti magnetici
Indice dei contenuti:

1. Introduzione
2. Campo magnetico
3. Induzione magnetica, permeabilià magnetica
4. Flusso concatenato con un circuito
5. Induttanza elettrica di un circuito
6. Coefficiente di mutuo accoppiamento tra due circuiti
7. Legge generale dell'induzione elettromagnetica
8. Forze elettromagnetiche
9. Forze elettrodinamiche
10. Coppia agente su di una spira immersa in un campo magnetico
11. Moto di una carica elettrica in un campo magnetico
12. Energia immagazzinata in un campo magnetico
13. Tensione magnetica, legge della circuitazione magnetica
14. Circuiti magnetici, legge di Hopkinson
15. La non linearità dei mezzi ferromagnetici
16. Caratteristiche dei più comuni materiali ferromagnetici: tabelle
17. La risoluzione dei problemi diretti e dei problemi inversi
18. Circuiti magnetici a più maglie
19. Forza portante di un elettromagnete
20. Perdite di potenza nei materiali ferromagnetici
21. Significato delle unità di misura nel magnetismo
22. Transitorio elettrico nei circuiti ohmico-induttivi

Introduzione

Quanto esposto in questi appunti ha lo scopo di riassumere quelle conoscenze sul magnetismo già
note dal corso di fisica del biennio e di proporre quelle integrazioni che più direttamente fanno
riferimento alle applicazioni elettrotecniche. Nelle espressioni, le grandezze vettoriali sono indicate
mediante sottolineatura.

Originariamente col termine magnetismo si intendeva la proprietà di certi corpi, detti magneti, di
attirare il ferro e di attirare, o respingere, altri magneti. Oggi si intende la teoria dei fenomeni
magnetici, cioè la teoria del campo magnetico e del comportamento della materia in esso. E' bene
precisare che non esiste un magnetismo separato da correnti elettriche o campi elettrici.

Nella natura (ma possono anche essere prodotti artificialmente) esistono dei materiali, detti magneti
permanenti, che riescono a sviluppare delle forze, anche a distanza, sul ferro attirandolo verso se
stessi o che interagiscono tra di loro con forze di attrazione o repulsione secondo come vengono
avvicinati. In definitiva nello spazio circostante tali materiali esiste un campo di forze, detto
appunto campo magnetico. La teoria dei campi permette lo studio dei fenomeni legati al
magnetismo ed avvicina tale studio a quanto già considerato a proposito della elettrostatica.

Campo magnetico

E' così chiamato il campo di forza prodotto da un magnete, oppure da una corrente elettrica, oppure
da un campo elettrico variabile nel tempo. Con campo magnetico si intende anche la grandezza
fisica, simbolo H [A / m] , che indica la forza che agisce nel campo su un polo magnetico di
intensità unitaria.

Cominciamo col prendere in considerazione il campo magnetico generato da un magnete avente


forma di barretta. Si possono individuare due poli, più precisamente il polo Nord dal quale escono
le linee di forza del campo magnetico ed il polo Sud nel quale entrano le linee di forza del campo
magnetico. Si osserva che, a differenza dei campi elettrici, nel caso dei campi magnetici le linee di
forza sono chiuse. I due poli sono così chiamati perché, se il magnete è lasciato libero di orientarsi
nello spazio, rivolge sempre l'estremità individuata come polo Nord verso il Nord geografico e
l'altra verso il Sud geografico. Ciò accade perché la Terra è per sua natura un gigantesco magnete,
avente il polo Sud magnetico quasi in corrispondenza del polo Nord geografico, che agisce nello
spazio circostante attraverso un suo campo magnetico e due magneti tendono ad attrarsi se sono
affacciati coi poli opposti.

Una ulteriore proprietà dei magneti è quella che, se sminuzzati, tendono a formare ulteriori magneti
di dimensioni più piccole, questo perché i poli magnetici Nord e Sud non possono essere divisi in
alcun modo.

Ancora si deve dire che i materiali ferrosi, se avvicinati ad un magnete in modo tale da entrare nel
suo campo magnetico, subiscono il fenomeno della magnetizzazione, ovvero anche essi diventano
magnetici e presentano dal lato col quale sono accostati una polarità magnetica opposta a quella del
magnete permanente. Questo è il motivo per il quale il ferro viene attratto dai magneti. Se poi i
materiali ferrosi sono allontanati dal campo magnetico del magnete permanente accade che essi
perdono quasi tutto il magnetismo precedentemente acquisito.

Prendiamo ora in considerazione il campo magnetico prodotto dalle correnti elettriche.


In un conduttore rettilineo percorso da una corrente di intensità I, il campo magnetico nello spazio
circostante avrà le linee di forza come in figura e la sua intensità in un punto distante d dalla
corrente varrà H = I / (2· π·d) [A /m] ( legge di Biot-Savart ).

Consideriamo come ulteriore esempio un solenoide (avvolgimento avente forma di bobina), di


lunghezza l molto maggiore del diametro, composto di N spire e percorso dalla corrente di intensità
I . Per tale sistema si può dire che il campo all'interno è praticamente uniforme e di intensità H =
N·I / l [A / m] .

Infine consideriamo un solenoide toroidale la cui principale caratteristica è quella di contenere tutto
il campo al proprio interno. Se N è il numero di spire, r è la lunghezza del raggio medio ed I
l'intensità della corrente, sarà H = N·I / (2· π·r) [A / m] .

In ogni caso, qualsiasi sia il circuito, tra il verso della corrente nel circuito ed il verso del campo
magnetico generato dalla corrente, esiste sempre la stessa relazione che si riscontra tra il verso di
rotazione di una vite ed il verso di avanzamento della vite stessa.

Induzione magnetica, permeabilità magnatica

Gli effetti dovuti alla presenza di campo magnetico dipendono, oltre che dal valore del campo,
anche dalla natura del mezzo entro il quale il campo si sviluppa. Rispetto al loro comportamento nei
confronti dei campi magnetici, le sostanze si possono classificare in :
diamagnetiche pure : sono così chiamate perché presentano solo diamagnetismo (proprietà
riconducibile alla precessione di Larmor degli elettroni nel campo magnetico, comune a tutte le
sostanze). Il diamagnetismo è indipendente dallo stato fisico del mezzo, tali sostanze si
magnetizzano solo in presenza di un campo magnetico esterno assumendo una polarità opposta a
quella del campo esterno. Per tale motivo, in un campo magnetico non omogeneo, agisce su di un
corpo diamagnetico una forza che cerca di spingerlo fuori dal campo magnetico, mentre in un
campo magnetico omogeneo la presenza di un corpo diamagnetico produce la deformazione delle
linee di campo rappresentata in figura. Sono sostanze diamagnetiche i gas nobili, l'azoto, l'idrogeno,
la grafite, l'oro, la salgemma e l'acqua.

paramagnetiche : sono così chiamate quelle sostanze che, a causa della presenza di livelli elettronici
non chiusi, tendono a costituire molecole magneticamente dipolari (assimilabili a magnetini
elementari). Per tali sostanze la magnetizzazione provocata da un campo magnetico esterno è in
linea e concorde con questo e le sostanze paramagnetiche vengono attirate da un campo esterno non
omogeneo verso le zone con maggiore intensità di campo. In un campo magnetico omogeneo la
presenza di un corpo paramagnetico produce la deformazione delle linee di campo rappresentata in
figura. Il paramagnetismo diminuisce coll'aumentare della temperatura e già alla temperatura
ambiente i magnetini elementari si trovano in disordine statistico a causa del movimento termico.
Sono sostanze paramagnetiche l'alluminio, il magnesio, il manganese, il cromo, il sodio, il potassio,
l'ossigeno e l'aria.

ferromagnetiche : sono così chiamate quelle sostanze che, a causa del loro particolare stato
cristallino, presentano delle aree con magnetizzazione costante (domini di Weiss) nelle quali i
magnetini elementari sono orientati parallelamente tra di loro. Godono delle stesse proprietà dei
materiali paramagnetici con l'aggiunta di poter essere, già alla temperatura ambiente, loro stesse
sorgenti di campo magnetico qualora siano state precedentemente immerse in un campo magnetico.
Le sostanze ferromagnetiche perdono le loro proprietà e diventano paramagnetiche se sottoposte ad
una temperatura uguale o maggiore alla temperatura di Curie ( 768 [°C] per il ferro). Sono sostanze
ferromagnetiche il ferro, il nickel, il cobalto e speciali leghe.
Nelle sostanze ferromagnetiche la tendenza a "catturare" le linee di campo magnetico, propria anche
delle sostanze paramagnetiche, è particolarmente accentuata (vedi figura). Tale fatto viene utilizzato
al fine di creare degli schermi magnetici che rendono lo spazio al loro interno praticamente
insensibile ai campi magnetici esterni. Sono varie le applicazioni degli schermi magnetici, ad
esempio in alcuni strumenti la schermatura serve ad evitare che il campo magnetico terrestre od i
campi magnetici spuri prodotti nel laboratorio possano alterare i valori misurati.

Si chiama induzione magnetica (o densità di flusso magnetico) il vettore associato al campo


magnetico la cui grandezza rappresenta una misura dell'intensità dell'azione di un campo
magnetico; in essa viene compreso l'influsso del materiale attraversato dal campo e del relativo
stato di magnetizzazione. Così che l'induzione magnetica, a parità di campo magnetico inducente,
ad esempio è maggiore nel ferro piuttosto che nell'aria:

B = µ·H [Wb / m2] , nel vuoto si ha µo = 1,257·10-6 [H / m]

Per i mezzi diversi dal vuoto, la permeabilità magnetica assoluta µ si esprime relativamente a quella
del vuoto µ = µr
µ · µo dove µr è un numero puro chiamato permeabilità relativa. Per le sostanze
diamagnetiche si ha che µr è di pochissimo inferiore ad uno, per le sostanze paramagnetiche µr è di
pochissimo superiore ad uno, per le sostanze ferromagnetiche µr è di molto più grande di uno (può
arrivare anche a 100.000).

Flusso concatenato con un circuito

Considerando un campo magnetico omogeneo di induzione costante B ed una superficie piana di


area S orientata rispetto al campo in modo tale che la normale N alla superficie formi un angolo α
con la direzione del campo, si chiama flusso del vettore induzione magnetica attraverso la superficie
di area S la grandezza scalare :
Φ = B·S·cos(α
α) [Wb]

chiamata più semplicemente flusso magnetico.

Se poi la superficie S è quella delimitata dal perimetro di un circuito elettrico, si parla di flusso
concatenato col circuito elettrico Φc.

Siccome, come si vedrà più avanti, nelle applicazioni elettrotecniche si cerca di rendere massimo il
flusso concatenato coi circuiti elettrici, si dà a questi la forma di avvolgimenti. Si osserva che una
linea qualsiasi del campo magnetico è concatenata con un circuito elettrico se attraversa un numero
dispari di volte la superficie chiusa delimitata dal perimetro del circuito stesso.

Induttanza elettrica di un circuito

E', più correttamente, chiamata coefficiente di autoinduzione. Rappresenta l'attitudine di un circuito


elettrico a concatenarsi col flusso di campo magnetico Φac originato dalla corrente elettrica I che
percorre il circuito stesso :

L = Φac / I [H]

Tale parametro dipende dalla forma e dalle dimensioni geometriche del circuito elettrico oltre che
dalla permeabilità magnetica µ del mezzo entro il quale si sviluppa il campo magnetico prodotto
dalla corrente che percorre il circuito stesso. Tende ad essere grande per i circuiti con forma ad
avvolgimento ed avvolti su nuclei ferromagnetici. Ad esempio, per un solenoide rettilineo di
lunghezza l superiore di almeno 10 volte del diametro, di sezione S e composto da N spire,
l'induttanza vale :

L = µ·S·N2 / l [H]

La stessa espressione vale pure per il solenoide toroidale già visto.

I dispositivi che realizzano valori concentrati elevati di induttanza sono chiamati induttori. Possono
essere collegati in serie od in parallelo, se collegati in serie l'induttanza complessiva è pari alla
somma delle singole induttanze, se collegati in parallelo l'inverso dell'induttanza complessiva è pari
alla somma degli inversi delle singole induttanze.

Nei circuiti elettrici, il parametro induttanza elettrica viene indicato col simbolo sopra disegnato.

Coefficiente di mutuo accoppiamento tra due circuiti

Dati due circuiti, il loro coefficiente di mutuo accoppiamento esprime l'attitudine del sistema
formato dai due circuiti a far si che il flusso di campo magnetico prodotto dalla corrente che circola
nel primo si concateni col secondo e viceversa . Chiamando con Φ c21 il flusso che, originato dalla
corrente I2 che circola nel secondo circuito, si concatena col primo circuito e con Φ c12 il flusso che,
originato dalla corrente I1 che circola nel primo circuito, si concatena col secondo circuito, si può
scrivere :
M = Φc21 / I2 = Φc12 / I1 [H]

Si osserva che il coefficiente di mutua induzione può essere sia positivo che negativo, perché il
segno dipende dalla relazione esistente tra i flussi generati dai due circuiti in quanto se questi sono
concordi M è positivo, se questi sono discordi M è negativo. Inoltre M non cambia di valore se i
due circuiti si scambiano di posto.

Il coefficiente di mutua induzione tra due circuiti è legato al valore delle rispettive induttanze dalla
relazione :

dove k è il coefficiente di accoppiamento espresso da un numero positivo compreso tra zero ed uno.
Se k = 0 non vi è alcun mutuo accoppiamento, se k = 1 vi è un accoppiamento perfetto.

Nei circuiti elettrici il simbolo col quale si indica il mutuo accoppiamento è quello riportato nella
figura sopra disegnata. I puntini neri posti ad una estremità di ciascuno degli avvolgimenti indicano
i morsetti corrispondenti del componente, nel senso che il valore di M risulta positivo se la corrente
in entrambi gli avvolgimenti entra nel morsetto contraddistinto dal puntino, negativo in caso
contrario.

Legge generale dell'induzione elettromagnetica

E' alla base del principio di funzionamento di gran parte delle macchine e applicazioni elettriche
(generatori, motori, trasduttori, ecc.) e prende anche il nome di legge di Faraday-Neuman-Lenz.
Essa dice che ogniqualvolta varia nel tempo il flusso concatenato con un circuito elettrico, nel
circuito elettrico scaturisce una forza elettromotrice indotta di intensità proporzionale alla velocità
di variazione del flusso concatenato.

Con riferimento ad un intervallo finito di tempo ∆t , il valore medio della f.e.m.i. vale :

Il verso della f.e.m.i. è tale da opporsi alla variazione di flusso concatenato che l'ha generata, ovvero
se nel circuito, grazie alla ei , può circolare una corrente essa avrà verso tale da dar luogo ad un
campo magnetico concorde con quello concatenato che sta variando se questi sta diminuendo,
opposto se questi sta aumentando.

Se il flusso concatenato che varia è quello dovuto alla induttanza stessa del circuito elettrico, si
parla di forza elettromotrice autoindotta :
dove la prima espressione è da riferirsi ad una variazione di corrente mentre la seconda è da riferirsi
ad una variazione della forma o della posizione del circuito.

Quale esempio consideriamo quello del circuito di figura, costituito da tre lati indeformabili ed un
lato MN di lunghezza l che può scorrere verticalmente. Supponiamo che tale movimento avvenga
senza attrito. Sia R la resistenza complessiva de circuito. Il circuito sia concatenato con un campo
magnetico di induzione B uniforme, le cui linee di forza siano perpendicolari ed entranti nel piano
su cui giace il circuito. Si consideri il lato MN in movimento verso il basso con una velocità
costante ve . Se all'istante t la posizione occupata dal lato in movimento è quella indicata a tratto
pieno,dopo un intervallo di tempo ∆t , e quindi all'istante (t + ∆t) , la posizione occupata sarà quella
indicata in tratteggio essendo lo spazio percorso ∆x = ve· ∆t . Nell'intervallo di tempo ∆t , a causa
dell'aumento della superficie del circuito intersecata dalle linee di campo magnetico, sarà aumentato
il flusso concatenato di una quantità pari a ∆Φc
∆Φ = B·l· ∆x e, quindi, per la legge generale della
induzione elettromagnetica si sarà sviluppata una f.e.m.i. di valore :

Il verso di tale f.e.m.i. dovrà essere tale da opporsi alla variazione di flusso concatenato e, quindi,
considerando che il flusso concatenato aumenta, la ei dovrà tendere a far circolare una corrente da
M verso N così che il flusso generato da tale corrente si opponga a quello preesistente dovuto
all'induzione B . Molto semplicemente il verso della f.e.m.i. si può determinare con la regola delle
tre dita della mano destra, orientate a formare una terna cartesiana ortogonale ( col pollice nel verso
della velocità del conduttore rispetto al campo, l'indice nel verso dell'induzione magnetica, il medio
nel verso della f.e.m.i.).

Nel caso in cui il conduttore di lunghezza l sia soggetto ad una velocità formante un generico
angolo α con l'asse del conduttore stesso, sarà:

Forze elettromagnetiche
L'esempio riportato nel paragrafo precedente permette di evidenziare come dall'interazione tra un
campo magnetico ed una corrente elettrica possa scaturire una forza elettromagnetica. Infatti, a
causa della f.e.m.i. circolerà nel circuito una corrente I che produrrà per effetto Joule una
dissipazione di potenza nella resistenza R . Durante l'intervallo di tempo ∆t si avrà lo sviluppo di
una quantità di calore pari a Wj = R·I2· ∆t . Per il principio di conservazione dell'energia, a tale
calore dovrà corrispondere un lavoro fatto sul sistema e, per come avviene il processo, l'unico
lavoro possibile è quello fatto per muovere il conduttore di ∆x . Questo significa che lo spostamento
del conduttore non avviene liberamente ma solo vincendo una forza Fe contraria al movimento. Il
lavoro fatto sul sistema varrà quindi WL = - Fe· ∆x . Dal momento che l'energia complessiva deve
restare invariata, dovrà essere Wj + WL = 0 ovvero R·I2· ∆t - Fe· ∆x = 0 . Ponendo R·I2 = I·ei e
risolvendo rispetto Fe si ottiene infine :

La forza Fe è appunto chiamata forza elettromagnetica. Essa è orientata, da quanto detto, verso
l'alto (opposta allo spostamento ∆x) . In ogni caso il suo verso si può determinare con la regola delle
tre dita della mano sinistra, orientate a formare una terna cartesiana ortogonale ( col pollice nel
verso della forza, l'indice nel verso dell'induzione magnetica, il medio nel verso della corrente).
Se il conduttore percorso dalla corrente non è esattamente perpendicolare al campo magnetico (vedi
figura sopra disegnata), ma forma un angolo α , allora sarà Fe = I·B·l·sin(α
α).

Forze elettrodinamiche

Sono chiamate forze elettrodinamiche quelle forze che scaturiscono tra due conduttori entrambi
percorsi da corrente. In effetti ciascuno dei due conduttori si trova immerso nel campo magnetico
prodotto dalla corrente circolante nell'altro conduttore. Risulta facile verificare che, se i due
conduttori sono paralleli, le forze sono di attrazione se le correnti hanno lo stesso verso, le forze
sono di repulsione se le correnti hanno versi opposti. Nel caso di due conduttori paralleli, entrambi
di lunghezza l , posti alla distanza d , immersi in un mezzo di permeabilità µ , percorsi da correnti di
intensità I1 ed I2 , si ha :

Due conduttori disposti ad angolo e percorsi da corrente tendono a orientarsi in modo da rendere le
correnti che li attraversano concordi in quanto l'azione elettrodinamica tende a chiudere l'angolo α
compreso tra le direzioni positive delle due correnti, come si vede in figura.

Coppia agente su di una spira immersa in un campo magnetico


Si immagini un circuito avente forma di spira rettangolare, libero di ruotare attorno all'asse verticale
Nr, immerso in un campo magnetico di induzione B diretto ortogonalmente rispetto l'asse Nr e
formante l'angolo α rispetto all'asse Ns ortogonale alla superficie delimitata dai lati del circuito. Se
il circuito è percorso da una corrente I si avrà che, a causa dell'interazione tra il campo e la corrente
nei lati, si svilupperanno sui quattro lati della spira quattro forze elettromagnetiche.

Più precisamente sui due lati di lunghezza a si avranno le forze Fv = a·B·I·sin(90 - α) mentre sui
due lati di lunghezza l si avranno le forze Fr = l·B·I .

Mentre le forze Fv sono opposte sulla stessa direzione e quindi danno risultante nulla, le forze Fr
sono opposte su due direzioni parallele e distinte e, quindi, danno luogo ad una coppia di valore C =
Fr·b = l·B·I·a·cos(90 - α) .

Si osserva che l·a rappresenta la superficie delimitata dalla spira e, quindi, Φmax = B·l·a
rappresenta il massimo flusso attraverso la superficie stessa (che si ha quando α = 0 ). Inoltre
cos(90 - α) = sin(α
α) e,quindi, C = Φ max·I·sin(α α) .

Si può quindi dire che la coppia si annulla quando la spira assume la posizione per la quale è
massimo il flusso concatenato. Questa osservazione fatta nel caso particolare di una spira è valevole
in generale, ovvero un qualsiasi circuito elettrico percorso da corrente, libero di muoversi o di
deformarsi ed immerso in un campo magnetico, assume sempre quella posizione o quella forma per
la quale il valore del flusso concatenato diventa massimo.

Analogamente, in un sistema isolato, due spire percorse da corrente tendono, se libere di muoversi,
a sovrapporsi affinché il flusso magnetico concatenato risulti massimo.
Moto di una carica elettrica in un campo magnetico

Una carica elettrica Q (supposta positiva) che si muova in un campo magnetico di induzione B
subisce un'azione di forza da parte di quest'ultimo. Ciò è logico se si considera che una carica in
movimento dà luogo ad una corrente, la quale esiste però solamente là dove la carica si sta
muovendo, si parla infatti di elemento di corrente ( I· ∆l ). Indicata con Ve la velocità e con ∆l il
tratto di traiettoria percorso nell'intervallo di tempo ∆t dalla carica, la corrente I associabile al tratto
di traiettoria ∆l è data dalla relazione :

sulla carica agisce perciò la stessa forza che si manifesterebbe su un tratto di circuito lungo ∆l e
percorso da una corrente avente l'intensità sopra ricavata, ovvero F = B·I· ∆l·sin(α α) =
B·Ve·Q·sin(α α) ove α è l'angolo formato dalla traiettoria della carica con le linee di induzione
magnetica.

La forza elettromagnetica F risulta perpendicolare alla traiettoria e, quindi, alla velocità Ve ed


all'induzione B , il verso si troverà con la regola delle tre dita della mano sinistra. Quando però la
carica in movimento è negativa (ad esempio un elettrone) si dovrà considerare quale verso della
corrente quello opposto al verso della velocità posseduta dalla carica, questo perché il verso della
corrente è convenzionalmente quello delle cariche positive. Si possono avere i seguenti casi :

a) se la carica entra in un campo magnetico con velocità inizialmente parallela alle linee del campo,
essa non subisce alcuna azione di forza essendo α = 0 .

b) se la carica ha velocità inizialmente ortogonale alle linee del campo magnetico, essa verrà a
descrivere successivamente una traiettoria circolare contenuta nel piano ortogonale alle linee di
campo e di raggio :

La traiettoria risulta circolare perché viene percorsa sotto l'azione di una forza centripeta costante (

B·Ve·Q ) ed a questa forza fa equilibrio la forza centrifuga ( ) . Dalla eguaglianza tra le


due forze viene dedotta la relazione che fornisce il raggio (m [Kg] è la massa della particella avente
carica pari a Q) .

c) se la velocità inizialmente posseduta dalla carica è obliqua rispetto alle linee di campo magnetico,
la carica verrà a percorrere una traiettoria elicoidale a causa della componente di velocità parallela
alle linee di campo che si aggiunge alla velocità del moto rotatorio impresso dalla forza
elettromagnetica.

Energia immagazzinata in un campo magnetico

Si consideri un circuito costituito da una pura induttanza lineare L percorsa da una corrente che, nel
tempo 0 [s] ÷ T [s], vari da 0 [A] a I [A]. Ovviamente il flusso di campo magnetico autoconcatenato
con il circuito varierà, nello stesso intervallo di tempo, da 0 [Wb] a Φ [Wb] essendo Φ = L·I. Per la
legge generale dell'induzione elettromagnetica, considerato un intervallo di tempo ∆t si avrà lo
sviluppo di una f.e.m.a.i. di valore medio pari a:

Moltiplicando ambo i membri per ( Im· ∆t ) si ottiene:


dove è facile riconoscere per ∆W le dimensioni di una energia corrispondente all'area del trapezio
tratteggiato di figura. Il significato di questa energia è quello di "erogata" dal generatore ed
"immagazzinata" nel campo magnetico che risulta concatenato col circuito. Se anziché considerare
l'intervallo di tempo ∆t consideriamo l'intero intervallo 0 [s] ÷ T [s] avremo che l'energia diverrà
pari all'area del triangolo ( O, Φ, N ) ovvero:

L'energia immagazzinata in un campo magnetico si può pure esprimere nella forma di densità
d'energia. Immaginando che nel volume Vol [m3] siano costanti in ogni suo punto il campo
magnetico e la permeabilità magnetica, dalle I = H·l , Φ = B·S si avrà :

Tensione magnetica, legge della circuitazione magnetica

Si consideri una linea di campo magnetico e si individuino diversi tratti ∆l per ciascuno dei quali si
possano ritenere costanti la permeabilità magnetica, il campo magnetico e, quindi, l'induzione
magnetica.

∆l [A] viene chiamato tensione magnetica (per analogia


Per ciascuno di questi tratti, il prodotto H·∆
col caso elettrostatico, ove il prodotto del campo elettrico per la lunghezza fornisce una tensione
elettrica). Se si desidera la tensione magnetica tra i punti M e K si dovrà considerare:

∆l1 + H2· ∆l2 + H3· ∆l3


(H· ∆l)MH = H1·∆
La legge della circuitazione (nota anche come legge di Ampere) dice che se si estende la
sommatoria all'intera linea chiusa di campo magnetico si ha :

H1· ∆l1 + H2·∆


∆l2 + H3· ∆l3 + . . . = N·I

dove N rappresenta il numero di volte per il quale la linea di campo magnetico di concatena col
circuito percorso dalla corrente di intensità I .

Se la stessa linea di forza è concatenata con più circuiti elettrici si avrà :

H1· ∆l1 + H2·∆


∆l2 + H3· ∆l3 + . . . = ± Na·Ia ± Nb·Ib ± Nc·Ic ± . . .

dove a , b , c , . . . sono i vari circuiti concatenati con la stessa linea di forza. I vari termini ± N·I
[A] si chiamano forze magnetomotrici (per analogia con le forze elettromotrici dei circuiti elettrici).
Le forze magnetomotrici si assumono positive se favoriscono un campo magnetico concorde col
verso della linea chiusa, altrimenti si considerano negative.

Circuiti magnetici, legge di Hopkinson

Si chiama tubo di flusso del vettore induzione magnetica lo spazio tubolare racchiuso dalla
superficie descritta dalle linee di forza passanti per i punti di una qualsiasi linea chiusa tracciata nel
campo.

Si definisce circuito magnetico una qualunque regione dello spazio costituita da un tubo di flusso
del vettore induzione magnetica. Un tronco di circuito magnetico si dice omogeneo se in esso sono
costanti la sezione, la permeabilità magnetica e l'induzione magnetica.

Considerando un circuito magnetico composto da k tronchi omogenei sui quali agiscono m


avvolgimenti, la legge di Hopkinson afferma che:

dove:

è chiamata riluttanza magnetica.

Nelle espressioni sopra scritte, con lj si intende la lunghezza del tronco generico j misurata in [m] e
con Sj la sua sezione misurata in [m 2].

La legge di Hopkinson viene usata per il calcolo dei circuiti magnetici mediante il metodo delle
riluttanze. Tale legge è analoga formalmente alla legge di Ohm per i circuiti elettrici. L'analogia
riveste notevole importanza in quanto si mantengono formalmente valide, con le opportune
schematizzazioni, le leggi relative ai collegamenti delle resistenze elettriche ed i due principi di
Kirchhoff con le seguenti corrispondenze:
intensità di corrente I [A] ⇒ flusso Φ [Wb]

densità di corrente δ [A/m2] ⇒ campo magnetico B [Wb/m2]

f.e.m. Eo [V] ⇒ forza magnetomotrice N·I [A]

resistenza elettrica R [Ω] ⇒ riluttanza magnetica R [H-1]

Φ = H·l [A]
caduta di tensione R·I [V] ⇒ caduta di tensione magnetica R·Φ

d.d.p. VMN [V] ⇒ tensione magnetica (H·l)MN [A]

resistività elettrica ρ [Ω·m] ⇒ inverso della permeabilità magnetica, µ−1 [H-1·m]

Ad esempio, per il tronco omogeneo di sezione SAD riportato sopra, si può scrivere l'analoga della
legge di Ohm applicata ad un tronco di circuito:

Φ
(H·l)DA = + N1·I1 - N2·I2 + RAD·Φ

µ·SAD) [H-1]
ove RAD = lAD / (µ

Vale inoltre:

(H·l)DA = H·lAD

oppure

(H·l)AD = -(H·l)DA =-H·lAD

ove H = B / µ [A/m] e B = Φ / SAD [Wb/m2].

Si osservi come i segni nelle equazioni scritte seguano le regole già viste per gli analoghi circuiti
elettrici.

La non linearità dei mezzi ferromagnetici

Nei materiali ferromagnetici accade che la funzione che lega l'induzione con il campo magnetico
non è rappresentabile con una retta, questo è dovuto al fatto che la permeabilità magnetica varia al
variare del campo magnetico.
Per curva di prima magnetizzazione si intende il diagramma che rappresenta l'induzione magnetica
in funzione del campo magnetico per un materiale ferromagnetico vergine (cioè mai
precedentemente immerso in un campo magnetico). La curva è formata da quattro tratti a
caratteristiche diverse. Il tratto 0-1 tipico delle intensità di magnetizzazione piccole, per il quale la
permeabilità aumenta partendo da un valore iniziale µi . Il tratto 1-2 caratterizzato da una pendenza
che può essere anche molto elevata, nel quale la permeabilità raggiunge il valore massimo µmax . In
tale tratto l'andamento della caratteristica è pressoché rettilineo e, per tale motivo, è chiamato tratto
lineare; di solito è proprio questa la zona di funzionamento prescelta per le più importanti
applicazioni elettrotecniche dei materiali ferromagnetici. Il tratto 2-3 , tipico delle intensità di
magnetizzazione elevate, nel quale viene abbandonato l'andamento rettilineo e la permeabilità
prende a diminuire. Per la sua forma, si parla di ginocchio della caratteristica. Infine il tratto a destra
del punto 3 ove, pur aumentando moltissimo il campo, l'induzione si incrementa di pochissimo
essendo l'andamento pressoché orizzontale. Si parla di tratto di saturazione e la permeabilità ha un
valore costante pari alla permeabilità nel vuoto.

Il ciclo d'isteresi è il diagramma che esprime la relazione tra il campo e l'induzione per un materiale
ferromagnetico sottoposto a variazioni alternative del campo magnetizzante. Elementi caratteristici
sono l'induzione di saturazione Bs, l'induzione residua Br , il campo coercitivo Hc. La forma del
ciclo dipende dalle escursioni del campo magnetizzante, dalla natura del materiale e dalle
lavorazioni cui esso è stato sottoposto. L'area racchiusa è proporzionale all'energia dissipata nel
materiale ad ogni ciclo completato.
Caratteristiche dei più comuni materiali ferromagnetici: tabelle
La tabella sottostante riporta la caratteristica di magnetizzazione dei più comuni materiali
ferromagnetici. La tabella è seguita da un grafico che rappresenta gli stessi valori, sul grafico è
immediato cogliere la grande diversità di comportamento per i diversi materiali.

Permeabilità magnetica del vuoto µo = 1,257·10-6 [H/m]


Ferro fucinato ed Ghisa Lamiere Lamiere al silicio Lamiere a cristalli
acciaio fuso normali orientati
Induzione Campo Perm. Campo Perm. Campo Perm. Campo Perm. Campo Perm.
2
[Wb/m ] [A/cm ] relativa [A/cm ] relativa [A/cm ] relativa [A/cm ] relativa [A/cm ] relativa
0,1 0,7 1136 2 398 0,45 1768 0,8 994
0,2 0,9 1768 4,5 354 0,5 3182 1 1591
0,3 1 2387 8 298 0,6 3978 1,25 1909
0,4 1,2 2652 13 245 0,7 4546 1,45 2195
0,5 1,4 2841 20 199 0,9 4420 1,6 2486
0,6 1,7 2808 28 170 1,3 3672 1,8 2652
0,7 2,2 2531 40 139 1,7 3276 2 2784
0,8 2,7 2357 55 116 2,3 2767 2,5 2546
0,9 3,2 2237 80 89 3,3 2170 3,1 2310
1 4 1989 110 72 4,7 1693 4 1989 0,4 19887
1,1 5 1750 150 58 6,3 1389 5 1750 0,58 15088
1,2 6,2 1540 200 48 8 1193 7 1364 0,75 12729
1,3 8,5 1217 10,5 985 12 862 0,88 11752
1,4 12 928 13,5 825 23 484 1 11138
1,5 20 597 18 663 40 298 1,4 8524
1,6 35 364 31 411 75 168 4,5 2829
1,7 60 225 52 260 140 97 16 845
1,8 100 143 90 159 240 60
1,9 160 94 148 102 370 41
2 250 64 300 53 510 31
2,1 400 42 460 36
2,2 750 23 670 26
2,3 1300 14 920 20
2,4 2100 9 1200 16
2,5 3000 7 1500 13
Vediamo ora i dati caratteristici di alcuni materiali ferromagnetici dolci (adatti alla costruzione dei
nuclei, ovvero dei circuiti magnetici, delle apparecchiature elettriche).

Materiale Nome Permeabilità Permeabilità Induzione di Campo di Campo Punto


commerciale iniziale massima saturazione saturazione coercitivo Curie
relativa relativa [T] [A/m] [A/m] [°C]
Ferro 10000 200000 2,15 - 4 770
Fe-Si (4% Si) 500 7000 1,97 120000 40 690
laminato a
caldo
Fe-Ni (50% Ni) Isoperm 50 90 100 1,6 - 480 500
Fe-Ni-Mo (79% Supermalloy 100000 1000000 0,79 800 0,2 400
Ni, 5% Mo)

Per ultimo esaminiamo i dati caratteristici di alcuni materiali ferromagnetici duri (adatti alla
costruzione dei magneti permanenti).

Materiale Nome Campo coercitivo Induzione residua Campo di


commerciale [A/m] [T] saturazione [A/m]
Fe-C (1% C) Acciaio al 4000 1 20000
carbonio
Fe-Co (35% Co) Acciaio al cobalto 20000 0,9 100000
Fe-Ni-Al-Co-Cu Alnico 40000 0,8 200000
Ferrite (Fe-Co) Vectolite 72000 0,16 360000
Fe-Ni-Al-Co-Cu Ticonal 51000 1,27 255000

Osservazione: l’alnico ed il ticonal combinano gli stessi elementi chimici, ma in quantità


percentuali diverse.

La risoluzione dei problemi diretti e dei problemi inversi

I problemi che praticamente si presentano nelle soluzioni dei circuiti magnetici sono essenzialmente
due e precisamente:

1. assegnate le caratteristiche strutturali e geometriche del circuito ed il flusso che in esso si


vuole ottenere, determinare il numero delle amperspire necessarie per avere il flusso
richiesto ( problema diretto);
2. assegnato il numero delle amperspire e le caratteristiche geometriche e strutturali del
circuito, determinare il flusso che vi si stabilisce ( problema inverso ).

Nel primo caso la soluzione di qualsiasi circuito magnetico si riconduce alla applicazione della
legge della circuitazione ( metodo delle forze magnetomotrici parziali ) o della legge di Hopkinson (
metodo delle riluttanze ), in quanto la conoscenza delle caratteristiche geometriche e strutturali
consente di determinare la riluttanza di qualunque tronco omogeneo del circuito.

Nel secondo caso la soluzione si presenta semplice solamente quando il circuito è costituito da un
sol tronco ( nel qual caso si ricava il campo dalla H = N·I / l , si risale al valore di induzione B
usando le caratteristiche o le tabelle di magnetizzazione, infine si calcola il flusso mediante Φ = B·S
).

Se il circuito si compone di più tronchi accade che la non linearità della caratteristica di
magnetizzazione rende impossibile prevedere il valore della permeabilità o del campo magnetico
nelle diverse parti del circuito mediante l'applicazione diretta di equazioni risolutrici. Bisogna
quindi procedere per tentativi applicando il seguente algoritmo:

a) si stabilisce il valore di accuratezza percentuale ε% che si desidera soddisfare. Esso può essere
convenientemente espresso relativamente alla f.m.m. assegnata (N·I)A ;

b) si assegna arbitrariamente l'induzione B in uno dei tronchi del circuito. E' bene scegliere per il
primo tentativo un valore centrale fra quelli possibili tabulati sulle caratteristiche di
magnetizzazione del mezzo ferromagnetico interessato;

c) si calcola quale f.m.m. (N·I)C è necessaria per sostenere tale induzione. Questa fase della
risoluzione corrisponde ad un problema diretto, si può risolvere indifferentemente col metodo delle
riluttanze o col metodo delle forze magnetomotrici parziali;

d) si verifica se la condizione di accuratezza è soddisfatta, ovvero si verifica se risulta essere:

0,01·
0,01 ε%·(N·I)
ε% A ≤ (N·I)C ≤ (N·I)A+ 0,01·
0,01 ε%·(N·I)
ε% A;

e) se la condizione non è soddisfatta, si assegna un nuovo valore B all'induzione decidendo


opportunamente se esso deve essere superiore od inferiore al valore assegnato nel tentativo
precedente, quindi si ripetono nell'ordine i passi c) , d) , e) . Se la condizione è soddisfatta si
procede al passo seguente;
f) si comunica che il valore di induzione B è quello che soddisfa il problema.

Osservazione : molto spesso le caratteristiche di magnetizzazione sono note sotto forma tabellare.
Questo significa che si conoscono solo alcune triple dei valori di induzione, campo, permeabilità. In
tal caso, se si ha bisogno dei valori di una tripla non riportata sulla tabella è consentito linearizzare
le caratteristiche nell'intorno del punto K interessato. Ciò equivale a sostituire la curva (che
effettivamente rappresenta la caratteristica) con la retta passante per i due punti noti P , Q che
stanno l'uno immediatamente prima e l'altro immediatamente dopo il punto interessato K:
Circuiti magnetici a più maglie

La risoluzione dei circuiti magnetici è relativamente semplice se i circuiti sono del tipo tutto serie
(ovvero con i tronchi omogenei che si succedono l'uno all'altro così che il flusso sia costante in tutte
le sezioni del circuito).

Nel caso di circuiti formati da più maglie, ovvero con tronchi percorsi da flussi anche tra di loro
diversi, la risoluzione è alquanto più complessa. Capita infatti che anche nel caso di problemi del
tipo diretto, a causa della non linearità del mezzo ferromagnetico non si possa prevedere il flusso
nei vari rami e, quindi, si debba procedere per tentavi. Solo la presenza di simmetrie nel circuito
può, in certi casi, semplificare la risoluzione permettendo il calcolo diretto dei flussi nei vari rami.

Forza portante di un elettromagnete

Gli elettromagneti sono dispositivi di largo impiego nella tecnica odierna (comandi, controlli
automatici, ecc.). Essi constano di un nucleo ferromagnetico, costituito da una parte fissa e da una
mobile (detta ancora), e di uno o più avvolgimenti (detti di eccitazione).

Quando negli avvolgimenti di eccitazione circola una corrente, accade che l'ancora viene attratta
perché si magnetizza per induzione.
La forza di attrazione per ciascun polo è così determinabile:

assumiamo che, grazie ad una forza esterna Fe , l'ancora subisca uno spostamento virtuale dx
(ovvero talmente piccolo da non modificare i valori di induzione, campo e permeabilità nel
traferro). La forza esterna compirà un lavoro dl = Fe·dx . A causa dello spostamento dx sarà pure
aumentato il volume del traferro di una quantità dv = A·dx dove A è la sezione del tubo di flusso in
aria. Tenendo conto che la densità di energia vale:

avremo un aumento di energia nel traferro compreso tra polo ed ancora pari a:

che per il principio di conservazione dell'energia dovrà eguagliare il lavoro compiuto dalla forza
esterna dl = dw ovvero:

da cui:

Il fatto che per allontanare l'ancora sia necessaria una forza esterna di intensità Fe indica che
l'ancora stessa è attratta verso l'elettromagnete da una forza di uguale intensità. Quindi la forza di
attrazione per ciascun polo dell'elettromagnete F avrà la stessa espressione di Fe sopra calcolata.

Passando alle due forme costruttive riportate sopra, indicando con I la corrente di eccitazione
dell'elettromagnete, per l'elettromagnete di sinistra, trascurando le cadute di tensione magnetica nel
ferro rispetto a quelle nel traferro si ha:
Sostituendo nell'espressione della forza si ha:

Per l'elettromagnete di destra, sempre trascurando le cadute di tensione magnetica nel ferro rispetto
a quelle nel traferro si ha:

Sostituendo nell'espressione della forza si ha:

Si osservi che l'ancora, essendo un organo mobile, introduce una variabilità nel valore δ del traferro
così che la forza di attrazione ad ancora staccata risulta di valore notevolmente inferiore di quella ad
ancora attaccata (forza portante dell'elettromagnete). Infatti, a parità di corrente d'eccitazione, un
raddoppio del traferro comporta la riduzione di quattro volte della forza di attrazione.

Perdite di potenza nei materiali ferromagnetici

Si manifestano quando il materiale è attraversato da un flusso di induzione di campo magnetico


variabile nel tempo, oppure quando il materiale è in movimento rispetto alle linee di campo
magnetico venendo così tagliato dalle linee stesse. Si considerano due diversi tipi di perdite:

a) perdite per isteresi, causate da fenomeni d'attrito nella struttura cristallina del materiale
ferromagnetico. Se il flusso varia ciclicamente con frequenza pari ad f [Hz], le perdite per isteresi in
ciascun [Kg] peso valgono:

α
Pis = Kis · f · BM [W/Kg]

dove Kis è una costante che dipende dalla natura del materiale ferromagnetico, BM è il valore
massimo dell'induzione elettromagnetica, l'esponente α vale 1,6 se BM < 1 [Wb/m2] , 2 se BM ≥ 1
[Wb/m2] .

b) perdite per correnti parassite (o di Foucault), causate dalle correnti parassite che si instaurano nel
materiale essendo questo conduttore. Tali correnti parassite sono sostenute dalle f.e.m. indotte nel
materiale ferromagnetico tagliato dal flusso di induzione variabile. Se il flusso varia ciclicamente
con frequenza pari ad f [Hz] , le perdite per correnti parassite in ciascun [Kg] peso valgono:

Pcp = Kcp · (Kf · f · BM)2 [W/Kg]


dove Kcp è una costante che dipende dalla natura del materiale ferromagnetico e dallo spessore dei
singoli lamierini nel caso di nuclei a lamierini, Kf è il fattore di forma dell'onda di variazione del
flusso nel tempo (esso vale 1,111 nel caso di variazioni perfettamente sinusoidali).

Quasi sempre le due perdite vengono riassunte in un'unica perdita, si parla così di perdita
complessiva nel ferro. I costruttori di materiali ferromagnetici forniscono ai loro clienti un dato
tecnico molto importante, noto come cifra specifica di perdita cp . La cifra specifica di perdita per
un dato materiale ferromagnetico rappresenta le perdite complessive nel ferro riferite ad 1 [Kg] di
materiale, con una frequenza di 50 [Hz] , una forma d'onda sinusoidale ed una induzione massima
di 1 [Wb / m2]. Nota la cifra specifica di perdita, con l'espressione empirica:

è possibile determinare le perdite nel ferro nel caso in cui si abbia una induzione massima pari a BM
[Wb/ m2], una frequenza pari ad f [Hz] ed un peso del ferro pari a G [Kg].

Significato delle unità di misura nel magnetismo

Nelle applicazioni tecniche è particolarmente importante saper valutare quantitativamente i valori


assunti dalle varie grandezze fisiche interessate, solo così è possibile rendersi conto di eventuali
grossolani errori di calcolo. Inoltre è altrettanto importante conoscere il significato fisico delle unità
di misura delle grandezze fisiche, così da tenere sotto controllo la correttezza delle trasformazioni
cui si sottopongono le numerose equazioni necessarie alla risoluzione dei problemi.

Particolarmente importante è il weber [Wb] , unità di misura del flusso. Infatti la gran parte delle
macchine elettriche basa il proprio funzionamento sulla legge generale dell'induzione
elettromagnetica. Si definisce 1 weber la quantità di flusso che, variando in un secondo, produce nel
circuito concatenato una f.e.m. pari ad 1 volt :

1[Wb] = 1[V] · 1[s]

I valori che può assumere il flusso variano dai milliweber a pochi weber, secondo la potenza ed il
tipo di macchina interessata.

In diretta relazione col flusso abbiamo l'induzione magnetica la cui unità di misura è il tesla (oppure
il weber / metroquadro). Si definisce 1 tesla l'induzione prodotta dal flusso di 1 weber attraverso
una sezione di 1 metroquadro :

1[T] = 1[Wb] / 1[m2]

I valori che può assumere l'induzione variano da qualche decimo a poco meno di 2 tesla, secondo la
potenza ed il tipo di macchina interessata.

Il flusso autoconcatenato con un circuito dipende dal coefficiente di autoinduzione (induttanza


elettrica) del circuito stesso la cui unità di misura è l' henry. Si definisce 1 henry l'induttanza di quel
circuito che, se percorso da una corrente di intensità 1 ampere, determina 1 weber di flusso
autoconcatenato :
I valori che può assumere l'induttanza di un circuito variano dai millihenry a qualche henry,
secondo la forma del circuito ed il mezzo materiale nel quale esso è immerso.

L'induzione magnetica in un determinato mezzo viene determinata dalla presenza nel mezzo di un
campo magnetico H . A sua volta il campo magnetico è quasi sempre originato da una corrente
circolante in un avvolgimento e, come è facile dedurre dalla legge di Biot-Savart, si misura in
ampere / metro . Si definisce 1 ampere / metro quel campo magnetico che produce nel vuoto una
induzione pari a 4· π·10-7 = 1,257·10-6 tesla.

I valori di campo magnetico internamente alle macchine elettriche possono variare da qualche
ampere / metro a qualche centinaia di migliaia di ampere / metro.

Il valore dell'induzione, oltre che dall'intensità di campo magnetico, dipende anche dalla
permeabilità magnetica assoluta del mezzo la cui unità di misura è :

Il valore di µ varia da µo = 1,257·10-6 [H / m] a qualche decina di migliaia di µo , secondo il tipo di


mezzo.

Per finire giustifichiamo l'unità di misura della riluttanza magnetica :

Transitorio elettrico nei circuiti ohmico-induttivi

Consideriamo il circuito di figura. E' evidente che, con l'interruttore nella posizione 0, la corrente è
nulla e, quindi, saranno pure nulle le cadute di tensione ai capi della resistenza e dell'induttanza;
tutto questo si riassume dicendo che le condizioni iniziali nel sistema sono nulle, ovvero i(0-) = 0 ,
avendo assunto quale istante iniziale del transitorio l'istante del passaggio dell'interruttore dalla
posizione 0 alla posizione 1. La corrente i(t) nel circuito non può tuttavia assumere istantaneamente
∞) = Ir = Vo / R che essa avrà a regime, infatti, se così fosse, si dovrebbe
il valore finito i(∞
presumere che il generatore abbia potenza infinita visto che trasferirebbe al campo elettromagnetico
l'energia 0,5·L·Ir2 in un tempo nullo, il che è un assurdo fisico. In effetti la corrente passa da zero
al valore di regime in un tempo teoricamente infinito, seguendo una legge di variazione
esponenziale e determinando così un transitorio. Quello che accade è che il passaggio della corrente
durante il transitorio provoca un aumento di flusso autoconcatenato con un conseguente sviluppo di
forza elettromotrice autoindotta e(t) che, dovendosi opporre all'aumento di flusso concatenato,
dovrà necessariamente essere contraria alla forza elettromotrice del generatore. Tale f.e.m.a.i. sarà
massima, e pari a -Vo , nell'istante iniziale essendo in tale istante massima la variazione di corrente.
Quindi, col trascorrere del transitorio, si ridurrà con legge esponenziale essendo la variazione
dell'intensità di corrente nel tempo (e quindi del flusso concatenato) sempre più piccola. A regime
raggiunto (teoricamente dopo un tempo infinito, praticamente dopo un tempo pari a 5· τ ) sarà nulla
la caduta di tensione ai capi dell'induttanza mentre sarà massima, e pari a Vo , la caduta sulla
resistenza. Si può quindi dire che un'induttanza, in un circuito sollecitato da generatori di tensione
costante e continua, si comporta a regime come un semplice cortocircuito. In effetti, a regime, la
corrente nel circuito si mantiene rigorosamente costante e, con essa, rimane costante il flusso
autoconcatenato. Non vi sarà, quindi, nessun fenomeno di induzione di forza elettromotrice.

Se, dopo aver raggiunto la condizione di regime, si porta istantaneamente l'interruttore dalla
posizione 1 alla posizione 2 , accade che tutta l'energia precedentemente immagazzinata nel campo
elettromagnetico verrà riceduta al circuito e dissipata sotto forma di calore nella resistenza R .
Ancora una volta il processo non può essere istantaneo, in quanto è assurdo pensare ad una
trasformazione d'energia a potenza infinita. Il tutto avviene seguendo la solita legge esponenziale.
In particolare la corrente diminuirà dal valore iniziale Ir a zero circolando con lo stesso precedente
verso.

Nel caso in cui l'interruttore venga portato dalla posizione 1 alla posizione 0 accade che il circuito
risulta metallicamente interrotto. La corrente, e quindi il campo elettromagnetico con la relativa
energia immagazzinata, si dovrà quindi annullare. Siccome il processo, per il solito motivo, non può
avvenire istantaneamente, la corrente si annullerà gradualmente. Dal momento che il circuito
metallico è interrotto, si creerà tra i due elettrodi dell'interruttore un arco elettrico (tratto di circuito
ove il conduttore è costituito da gas ionizzato) che permetterà il passaggio della corrente di
estinzione dell'energia immagazzinata dal campo elettromagnetico e che si estinguerà con
l'estinguersi dell'energia. L'arco elettrico introduce una ulteriore resistenza (di tipo non ohmico) nel
circuito, così che il tempo di estinzione della corrente sarà diverso che nel caso precedente ed anche
la legge di estinzione non sarà più strettamente esponenziale.
Si ricorda che la lettera e che compare nella espressione esponenziale è la base dei logaritmi
naturali, ovvero il numero 2,718...

In qualsiasi processo regolato da una legge esponenziale, la costante di tempo rappresenta il tempo
necessario al completamento del processo nel caso in cui lo stesso avvenga ad una velocità costante
e pari a quella dell'istante iniziale. Detto in altre parole, la tangente nell'origine alla curva
esponenziale interseca l'orizzontale di ordinata pari al valore a regime in corrispondenza dell'ascissa
pari alla costante di tempo.

Reti elettriche in corrente continua e corrente alternata


Indice dei contenuti:

1. Introduzione, bipoli fondamentali


2. Principali grandezze elettriche
3. Leggi e principi fondamentali
4. Resistività e coefficiente di temperatura di alcuni materiali: tabella
5. Risoluzione delle reti mediante i principi di Kirchhoff
6. Risoluzione delle reti mediante il metodo di Maxwell
7. Teorema del generatore equivalente di Thevenin
8. Teorema del generatore equivalente di Norton
9. Principio di sovrapposizione degli effetti
10. Principio di Millman
11. Caratteristica esterna e rendimento dei generatori, teorema della massima potenza trasferita
12. Esercizio 1, circuito in corrente continua
13. Esercizio 2, circuito in corrente continua
14. Esercizio 3, circuito in corrente continua
15. Esercizio 4, circuito in corrente continua
16. Esercizio 5, circuito in corrente continua
17. Grandezze alternate sinusoidali
18. Grandezze alternate sinusoidali e vettori ruotanti
19. Forme rappresentative per i numeri complessi, operazioni
20. Significato fisico del valore efficace
21. Circuito puramente resistivo in regime sinusoidale, potenza attiva
22. Circuito puramente induttivo in regime sinusoidale, reattanza induttiva
23. Circuito puramente capacitivo in regime sinusoidale, reattanza capacitiva
24. Complementi matematici
25. Potenza elettrica associata ad una corrente in quadratura con la tensione, potenza reattiva
26. Impedenza elettrica, triangolo delle potenze
27. Ammettenza elettrica
28. Criterio di Kennelly-Steinmetz
29. Esercizio 6, circuito in corrente alternata
30. Teorema di Boucherot
31. Linee semplici monofase, rifasamento
32. Risonanza

Introduzione, bipoli fondamentali

Ancor prima di passare in rassegna le grandezze fisiche e le leggi che caratterizzano i sistemi
elettrici, cerchiamo di capire il significato di circuito elettrico facendo riferimento ad un caso
semplice. Consideriamo una "torcia elettrica", essa contiene un circuito elettrico che comprende
alcuni dei fondamentali dispositivi che costituiscono i sistemi elettrici. Più precisamente troviamo:

a. un generatore elettrico, nella fattispecie una pila chimica;


b. un utilizzatore (detto anche carico), nella fattispecie una lampada ad incandescenza;
c. un dispositivo di comando, nella fattispecie un interruttore;
d. dei fili di materiale metallico conduttore (rame) per il collegamento elettrico dei dispositivi.

Il sistema elettrico appena descritto si può riassumere con un circuito equivalente che ne
rappresenta il modello:
Con Vo è indicato il generatore (più precisamente la sua forza elettromotrice), con K è indicato
l'interruttore e con Lp è indicata la lampada ad incandescenza. I conduttori di collegamento sono
rappresentati mediante delle linee continue e senza alcuna indicazione letterale, questo perché nella
trattazione semplice che stiamo facendo li supponiamo ideali (ovvero capaci di condurre la corrente
elettrica senza che questa incontri alcuna resistenza al suo avanzamento). Quando l'interruttore è
aperto (come in figura) il circuito è interrotto e si dice che il sistema è a riposo. Quando
l'interruttore è chiuso si dice che il sistema è attivo ed è questa la condizione che ci interessa
discutere. Il generatore separa al suo interno la carica elettrica positiva da quella negativa,
concentrando la prima sul suo polo positivo e la seconda sul suo polo negativo. Siccome le cariche
di uguale segno tendono naturalmente a respingersi, il generatore è obbligato a compiere un lavoro
e quindi necessita di energia (nel nostro caso energia chimica, che col trascorrere del tempo tenderà
ovviamente ad esaurirsi), a lavoro compiuto (cioè a cariche separate) tale energia si sarà tramutata
in energia potenziale elettrica posseduta dalle cariche accumulate ai poli. Le cariche accumulate sui
poli tenderanno a ricombinarsi attraverso il circuito esterno al generatore visto che l'interruttore è
chiuso, quindi considerando che il conduttore metallico permette il solo passaggio degli elettroni
(cariche negative), avremo un flusso ordinato di cariche negative (elettroni) che circoleranno in
senso antiorario nel circuito costituendo così la corrente elettrica. E' tuttavia bene introdurre fin da
ora una importante convenzione adottata nei sistemi elettrici: la corrente elettrica è definita come un
flusso ordinato di carica elettrica positiva, quindi, anche se in realtà a spostarsi sono gli elettroni
(carica negativa), si ragionerà sempre e soltanto sulla carica positiva. Allo scopo basta applicare un
piccolo artificio che consiste nel considerare, invece del flusso di elettroni, un flusso uguale ma
opposto di carica elettrica positiva. Adottando tale convenzione diremo che la carica accumulata sul
polo positivo del generatore circola in senso orario nel circuito per ricombinarsi con la carica
negativa che si trova sul polo opposto e così facendo sostiene la corrente elettrica I. La carica
elettrica attraverserà l'utilizzatore Lp e nell'attraversamento perderà l'energia elettrica potenziale
che si trasformerà in altra forma, nel nostro caso in calore che porterà all'incandescenza il filamento
della lampadina determinando quindi l'emissione di radiazione luminosa. Una volta che la carica
positiva avrà raggiunto, grazie al circuito esterno, il polo negativo del generatore, il generatore
stesso provvederà a ricondurla al polo positivo fornendole nuova energia potenziale elettrica e
consumando nel compiere tale lavoro una parte dell'energia chimica posseduta. Quanto descritto
continuerà nel tempo fin tanto che non verrà riaperto l'interruttore oppure fin tanto che non si sarà
esaurita l'energia chimica posseduta dal generatore (pila chimica). Vi è una stretta relazione tra la
quantità di carica elettrica che si muove nel circuito, la forza elettromotrice del generatore ed il
lavoro compiuto (sia quello speso nel generatore che quello utile eseguito nell'utilizzatore), più
precisamente la forza elettromotrice del generatore rappresenta il lavoro che può compiere un
coulomb di carica elettrica separata sui suoi poli.

Quanto finora esposto ha inteso descrivere sommariamente l'organizzazione e lo scopo di un


semplice circuito elettrico, quanto seguirà permetterà di analizzare anche quantitativamente il
comportamento di circuiti comunque complessi.

Con rete elettrica si intende un qualsiasi circuito, comunque complesso, formato da generatori (nei
quali l'energia di qualsiasi forma viene trasformata in elettrica) ed utilizzatori (nei quali l'energia
elettrica viene trasformata in altra forma).

Nei circuiti elettrici si distinguono i nodi e le maglie. Per nodo si intende ogni punto in cui
concorrono almeno tre lati o rami indipendenti, mentre una maglia è un circuito chiuso che si
ottiene partendo da un nodo della rete e ritornando allo stesso dopo aver percorso i rami della
maglia una sola volta in un senso arbitrario prefissato.

Una rete elettrica si dice lineare se è costituita soltanto da componenti lineari. Sono tali quei
componenti i cui parametri caratteristici non dipendono dai valori di tensione e corrente che li
interessano.

Una rete elettrica si dice invariante se i suoi componenti hanno parametri caratteristici costanti nel
tempo.

Una rete elettrica si dice funzionante a regime (o in condizioni stazionarie) se si trova nel tempo
sufficientemente lontana rispetto all'istante nel quale si sia applicata ad essa l'ultima sollecitazione,
ovvero se si è esaurito qualsiasi fenomeno transitorio.

Noi studieremo reti elettriche comprendenti i seguenti cinque componenti bipolari:

regolati dalle seguenti note leggi:

generatore ideale di tensione:

v(t) = vo(t) [V]

generatore ideale di corrente:

i(t) = io(t) [A]

resistore ideale:
v(t) = R · i(t) [V] , R [Ω] è la resistenza elettrica

condensatore ideale:

induttore ideale:

dove con dv , di , dt si intendono variazioni infinitesime ( od almeno talmente piccole da poterle


ritenere infinitesimali) della tensione, della corrente e del tempo, mentre con v(t) , i(t) si intendono i
valori istantanei della tensione e della corrente.

I parametri dei componenti passivi sono rispettivamente R (resistenza), C (capacità), L


(induttanzanza) invarianti nel tempo.

I parametri dei componenti attivi (generatori) sono la forza elettromotrice vo(t) per il generatore
ideale di tensione, la corrente impressa io(t) per il generatore ideale di corrente. Nelle reti che noi
considereremo, la forza elettromotrice e la corrente impressa potranno essere soltanto o costanti nel
tempo (reti in corrente continua) o variabili sinusoidalmente nel tempo (reti in corrente alternata).

Lo studio delle reti elettriche che noi condurremo, oltre a rispondere ai requisiti sopra esposti,
presuppone che le reti medesime siano del tipo a parametri concentrati, ovvero si dovranno
considerare i valori di resistenza, capacità ed induttanza concentrati in punti particolari della rete ed
interconnessi mediante conduttori ideali.

Lo studio delle reti è importantissimo sia in ambito elettronico che elettrotecnico, per quest'ultimo
tipo di applicazioni, in particolare, esso permette l'analisi dei modelli dei sistemi di distribuzione
dell'energia elettrica e dei modelli delle macchine elettriche.

Principali grandezze elettriche

Carica elettrica : è la quantità di elettricità positiva o negativa di un corpo, essa è sempre un


multiplo intero della carica elementare (quanto elementare pari alla carica di un elettrone). L'unità
di misura della quantità di carica elettrica è il coulomb. 1 [C] è, a meno del segno, la carica
posseduta da 6,242·1018 elettroni. Nello studio delle reti che noi faremo, trascureremo la natura
corpuscolare della carica elettrica ed immagineremo che tale grandezza fisica vari con continuità.

Intensità di corrente : è il rapporto tra la quantità di carica elettrica che attraversa la sezione di un
conduttore ed il tempo impiegato per tale attraversamento. Se il tempo impiegato ha valore finito si
parla di intensità media:

[A]

se il tempo impiegato ha valore infinitesimo si parla di intensità istantanea:

[A]
Si dice che l'intensità di corrente vale 1 [A] se nel tempo di 1 [s] la sezione del conduttore è
attraversata da 1 [C] di carica elettrica.

Per convenzione, si assume quale verso di riferimento della corrente quello relativo al movimento
di carica positiva, anche se nella maggior parte dei conduttori le cariche libere il cui flusso
costituisce corrente sono elettroni (cariche negative).

Corrente impressa : è l'intensità di corrente che un generatore ideale di corrente imprime nel ramo
ove esso si trova inserito.

Differenza di potenziale (tensione elettrica) : si intende sempre valutata tra due punti, ad esempio
A e B , si indica con VAB [V] ed è espressa dal rapporto tra il lavoro W [J] necessario per trasferire
la carica positiva Q [C] dal punto A al punto B e la carica stessa:

[V]

Si considera positiva se, nel passare da A a B, la carica positiva compie lavoro cedendo all'esterno
parte della propria energia potenziale elettrica che si trasformerà in altra forma, si considera
negativa se è dall'esterno che si deve compiere lavoro aumentando così l'energia potenziale elettrica
della carica. L'unità di misura della differenza di potenziale è il volt. Si dice che tra due punti vi è la
d.d.p. di 1 [V] se lo spostamento di 1 [C] di carica tra essi comporta un lavoro di 1 [Joule].

Potenziale : si intende sempre valutato in un punto, ad esempio A , si indica con VA [V], e


rappresenta la d.d.p. tra il punto considerato ed un punto di riferimento ( chiamato punto di massa )
al quale si assegna il valore nullo di potenziale. Il potenziale è legato alla differenza di potenziale
dalla seguente relazione VAB = VA - VB [V].

Caduta di tensione : è la d.d.p. valutata ai capi di un utilizzatore o di un generico dispositivo


passivo. Rappresenta il lavoro compiuto da un coulomb di carica elettrica che attraversi
l'utilizzatore.

Forza elettromotrice : è la d.d.p. che un generatore ideale di tensione impone tra i due punti
attraverso i quali esso è inserito nella rete. Rappresenta l'energia potenziale elettrica posseduta da un
coulomb di carica elettrica separata e raccolta sui poli del generatore.

Potenza elettrica : è, in un certo istante t e con riferimento ad un bipolo di morsetti A e B , il


prodotto tra i valori istantanei della corrente i(t) entrante nel morsetto A del bipolo e della tensione
vAB(t) presente tra i capi A e B del bipolo:

Infatti al passaggio da A a B della quantità di carica dq [C] corrisponde un lavoro pari a:

Se tale passaggio avviene nel tempo dt [s] la potenza associata al lavoro vale:
Se il risultato del prodotto è positivo si ha che nel bipolo avviene una trasformazione da energia
elettrica in altra forma, se il risultato è negativo avviene la trasformazione inversa.

Leggi e principi fondamentali

Legge di Ohm per i conduttori filiformi

La resistenza elettrica R [Ω] di un conduttore metallico filiforme dipende dalla natura del
conduttore e dalle sue dimensioni secondo la relazione:

ρ · l) / S [Ω]
R = (ρ

con ρ in [Ω·mm2/m] , l in [m] , S in [mm2] , si ricorda che la resistività elettrica ρ dipende dalla
temperatura.

La caduta di tensione ai capi di un utilizzatore dipende dalla resistenza dell'utilizzatore ed è


direttamente proporzionale alla corrente che lo attraversa ( legge di Ohm ):

VAB = R · I [V] , VBA = - VAB = -R · I [V]

la corrente percorrendo l'utilizzatore determina la riduzione dell'energia potenziale posseduta dalla


carica elettrica il cui flusso costituisce la corrente stessa, tale energia potenziale elettrica si
trasforma in calore (o lavoro meccanico, o lavoro chimico secondo il tipo di utilizzatore) e viene
così ceduta all'esterno del sistema "rete elettrica". Da tale fatto dipende la relazione tra il verso della
corrente ed il verso della caduta di tensione ai capi dell'utilizzatore, i due versi sono ovviamente
opposti.

Variazione della resistività elettrica con la temperatura

Se ρt [Ω·mm2/m] e αt [°C-1] sono la resistività elettrica ed il coefficiente di temperatura di un


determinato conduttore alla temperatura t [°C] , la resistività elettrica alla temperatura T varrà:

ρT = ρt·(1 + αt·(T-t)) [Ω·mm2/m]


Inoltre vale la relazione:

con H = 234,5 [°C] per il rame ed H = 230 [°C] per l'alluminio. T , t , RT , Rt sono due diverse
temperature e le rispettive resistenze.

Legge di Ohm generalizzata applicata ad un circuito chiuso

Dato un circuito elettrico, tutto serie, composto di un'unica maglia e quindi interessato da un'unica
corrente, la somma algebrica delle f.e.m. dei generatori presenti è uguale alla somma aritmetica
delle c.d.t. nei vari utilizzatori :

dove le f.e.m. vanno prese positive se concordi col verso della corrente.

Vediamo un esempio riferito ad un circuito in corrente continua :

+V01 -V02 -V03 +V04 = R1·I + R2·I + R3·I + R4·I = I·( R1+ R2+ R3+ R4 )

Legge di Ohm generalizzata applicata ad un tronco di circuito

La d.d.p. ai capi di un tronco di circuito, anche costituito da più rami, è pari alla somma algebrica
delle f.e.m. dei generatori e delle c.d.t. negli utilizzatori presenti lungo il tronco :

Le une e le altre devono essere prese positive se contribuiscono a rendere positiva l'estremità del
tronco ( A ) assunta a potenziale maggiore.

Per quanto riguarda la c.d.t. negli utilizzatori, è bene ricordare che essa presenta la polarità positiva
nel morsetto ove entra la corrente, negativa ove la corrente esce.

Vediamo un esempio riferito ad un circuito in corrente continua :


Se decidiamo di determinare VAB , significa che supponiamo VA > VB e quindi scriveremo:

VAB = -V01 + V02 + V03 + R1·I1 - R2·I2 + R3·I3 [V]

Primo principio di Kirchhoff

La somma delle correnti entranti in un nodo è uguale alla somma delle correnti uscenti dal nodo :

Il principio è valido pure per un nodo esteso, dove con nodo esteso si intende una porzione di rete
elettrica delimitata da una sezione chiusa della rete medesima.

Vediamo un esempio riferito ad un circuito in corrente continua :

I1 + I4 = I2 + I3 + I5

Secondo principio di Kirchhoff

La somma algebrica di tutte le d.d.p. (f.e.m. e c.d.t.) che si incontrano percorrendo una qualsiasi
maglia chiusa di una rete elettrica è pari a zero. Tale fatto risulta ovvio, infatti il punto di partenza
coincide col punto di arrivo e, quindi, non vi può essere variazione di potenziale elettrico :

Per applicare tale legge conviene scegliere innanzitutto un verso positivo ( + ) di percorrenza della
maglia e confrontare le varie d.d.p. con tale verso al fine di stabilire se i singoli contributi sono da
considerarsi positivi o negativi (è bene tenere conto del fatto che le c.d.t. sulle resistenze hanno
verso opposto alle correnti che le producono).

Vediamo un esempio riferito ad un circuito in corrente continua :


+ V01 + R1·I1 - V02 + R2·I2 - V03 - R3·I3 + V04 - R4·I4 = 0

Riduzione di resistenze in serie o parallelo

Più resistenze si dicono in serie quando sono percorse dalla stessa corrente, in tal caso la resistenza
equivalente vale:

RS = R1 + R2 + R3 + ... [Ω]

Più resistenze si dicono in parallelo quando ai loro capi presentano la stessa tensione, in tal caso la
resistenza equivalente vale:

Trasformazione triangolo - stella e viceversa

Con riferimento ad un circuito in corrente continua :


Trasformazione di generatori reali

I modelli di generatore elettrico si dicono reali se tengono conto delle dissipazioni di potenza e delle
cadute di tensione che si hanno internamente ai generatori stessi, in tal caso il circuito equivalente
presenta il parametro resistenza interna Ro. Con riferimento ai generatori reali di tensione e
corrente continua si ha:

Osservazione : se in una rete elettrica è presente un generatore ideale di tensione, allora è nota la
d.d.p. tra i due punti ai quali è applicato il generatore e tale d.d.p. è pari alla f.e.m. del generatore
ideale di tensione. Se in una rete elettrica è presente un generatore ideale di corrente, allora è nota la
corrente nel ramo in serie al quale è inserito il generatore e tale corrente è pari alla corrente
impressa del generatore ideale di corrente.

Legge di Joule

Quando una resistenza elettrica è attraversata da una corrente accade che parte dell'energia elettrica
potenziale posseduta dalla carica elettrica (il cui flusso costituisce la corrente stessa) si trasforma in
calore (infatti il potenziale elettrico diminuisce mano a mano che la corrente attraversa la
resistenza). La quantità di calore sviluppato si calcola moltiplicando la potenza elettrica per il
tempo. Con riferimento ad un circuito in corrente continua (ma la cosa è analoga in corrente
alternata) si ha:
Additività delle potenze elettriche

In una rete elettrica qualsiasi (purché non interconnessa con altre reti), la somma delle potenze
generate dai generatori elettrici (calcolate come prodotto della f.e.m. per la corrente erogata) è
sempre uguale alla somma delle potenze dissipate per effetto Joule nelle resistenze elettriche
presenti nella rete.

Resistività e coefficienti di temperatura dei materiali più comuni: tabella


La tabella sottostante riporta la resistività elettrica ed il coefficiente di temperatura di alcuni
materiali riferiti alla temperatura di 0 [°C]

Temperatura di riferimento 0 [°C]


Resistività Coefficiente di
Materiale elettrica ρ0 temperatura α0
[Ω·mm2/m] [1/°C]]
Argento 0,015 4·10-3
Buoni Rame 0,016 4,2·10-3
conduttori Oro 0,021 3,9·10-3
Alluminio 0,026 4,3·10-3
Tungsteno (Wolframio) 0,05 4,5·10-3
Stagno 0,115 4,3·10-3
Ferro dolce 0,13 4,8·10-3
Piombo 0,2 4,2·10-3
Conduttori
Manganina (Cu, Mn, Ni) 0,4 0,01·10-3
Costantana (Cu, Ni) 0,5 ∼0
Ferro-Nichel 0,85 0,6·10-3
Mercurio 0,951 0,9·10-3
Carbone 30 negativo
Semiconduttori Germanio purissimo 5·105 negativo
Silicio purissimo 25·108 negativo
Olio minerale ∼ 1·1017
Porcellana ∼ 1·1018
Isolanti Mica ∼ 1·1020
Polistirolo ∼ 1·1022

Se servono la resistività ed il coefficiente di temperatura ad una temperatura t [°C] diversa da 0


[°C], si possono calcolare con le seguenti espressioni:
Risoluzione mediante i principi di Kirchhoff

In una rete elettrica, indicando con n il numero dei nodi, con m il numero delle maglie indipendenti
e con r il numero dei rami, si ha sempre (r = n - 1 + m) . La risoluzione mediante i principi di
Kirchhoff consiste nello scrivere un sistema di r equazioni in r incognite (le correnti nei rami). Le
prime (n -1) equazioni consistono nel primo principio di Kirchhoff applicato ad (n -1) nodi, le
rimanenti (r - n + 1) equazioni consistono nel secondo principio di Kirchhoff applicato a (r - n + 1)
maglie indipendenti. Più maglie si dicono indipendenti se nessuna di loro è una combinazione
lineare delle altre, ad esempio tutte le maglie topologicamente contigue e che non si comprendono
l'una nell'altra sono sicuramente indipendenti.

Con riferimento alla rete in corrente continua riportata nella figura sottostante, si individuano
quattro nodi, otto maglie delle quali tre sono indipendenti e sei rami. Quindi, dopo aver prefissato
un arbitrario verso per la corrente in ciascuno dei sei rami e per l'orientamento di ciascuna maglia
indipendente, scriveremo un sistema lineare di sei equazioni in sei incognite. Delle sei equazioni,
tre saranno relative ai rami e tre alle maglie. Risolvendo il sistema si determineranno le intensità
delle sei correnti. Se l'intensità è positiva si potrà dire che il verso prefissato è quello effettivo,
diversamente il verso effettivo sarà opposto a quello prefissato.
Risoluzione mediante il metodo di Maxwell

Si assumono come incognite le correnti di circolazione delle maglie indipendenti che sono correnti
fittizie e non rappresentano quelle che percorrono ciascun ramo della rete. Quindi, detto m il
numero delle maglie indipendenti, si ha m = r - (n-1) e di conseguenza il numero delle incognite è
minore di quello del metodo precedente. Il sistema risolvente si comporrà di tante equazioni,
corrispondenti al secondo principio di Kirchhoff, quante sono le maglie indipendenti. Con questo
metodo il primo principio di Kirchhoff risulta senz'altro verificato in quanto la corrente in ogni
nodo si intende una volta entrante ed una volta uscente. La corrente in ogni ramo comune a due
maglie contigue risulta la somma algebrica delle due correnti fittizie relative alle due maglie.

Applichiamo il metodo alla rete già risolta con Kirchhoff, assumendo quali correnti fittizie di
maglia Im1 (maglia superiore di sinistra), Im2 (maglia superiore di destra), Im3 (maglia inferiore).
I versi delle correnti di maglia sono stati scelti arbitrariamente. Si dovrà comporre un sistema
lineare di tre equazioni in tre incognite (le correnti fittizie di maglia) essendo tre il numero delle
maglie indipendenti:
Risolvendo il sistema si determinano le tre correnti di maglia Im1 , Im2 , Im3. Per le correnti nei
sei rami della rete bisogna, per prima cosa, prefissarne i versi. Supponendo che i versi siano quelli
riportati nello schema elettrico, le correnti varranno:

I1 = -Im1 [A], I2 = -Im2 [A], I3 = +Im1-Im2 [A]


I4 = -Im3 [A], I5 = +Im1-Im3 [A], I6 = +Im2-Im3 [A]
Teorema del generatore equivalente di Thevenin

Risulta particolarmente adatto per determinare la corrente Ir che circola in un qualsiasi ramo (o la
tensione Vr ai capi di esso) di una rete elettrica lineare comunque complessa. Considerata allora
una rete elettrica lineare nella quale siano accessibili due morsetti P e Q qualsiasi, il teorema
afferma che, per quanto riguarda il calcolo della corrente (o della tensione) relativa al ramo ad essi
collegato, il resto della rete equivale ad un generatore reale di tensione avente f.e.m. Veq e
resistenza interna Req :

Il generatore reale di tensione Veq , Req è chiamato generatore equivalente di Thevenin e la rete
semplificata è chiamata rete equivalente di Thevenin.

La f.e.m. Veq del generatore equivalente è il valore della tensione a vuoto (cioè dopo aver
distaccato il ramo interessato) esistente tra i morsetti P e Q.

La resistenza Req è quella della rete di partenza, resa passiva e priva del ramo interessato, vista dai
morsetti P e Q. Per rendere passiva la rete di partenza bisogna annullarne i generatori, ovvero aprire
i generatori ideali di corrente e cortocircuitare quelli di tensione.
E' importante osservare che la polarità positiva del generatore equivalente di Thevenin deve essere
rivolta verso lo stesso morsetto del ramo interessato rispetto al quale si è assunta positiva la d.d.p.
Veq quando questa è stata calcolata.

Teorema del generatore equivalente di Norton

E' il duale di quello di Thevenin, solo che il generatore reale equivalente, anziché di tensione, è di
corrente. Esso viene chiamato generatore equivalente di Norton.

La sua resistenza interna Req si determina così come già visto per il generatore di Thevenin. La sua
corrente impressa Ieq è quella corrente che, nella rete lineare di partenza, circolerebbe nel
cortocircuito che unisce i punti P e Q .

E' importante osservare che il verso della corrente impressa Ieq è legato al verso col quale si è
trovata la corrente nel cortocircuito che unisce i punti P e Q . Più precisamente la corrente impressa
Ieq deve puntare verso P se la corrente nel cortocircuito è stata determinata col verso che va da P a
Q.
Principio di sovrapposizione degli effetti

La corrente in un ramo qualsiasi (o la d.d.p. ai capi dello stesso) appartenente ad una rete elettrica
lineare comunque complessa nella quale agiscono simultaneamente più generatori di tensione e/o di
corrente, si ottiene facendo la somma algebrica delle correnti (o delle d.d.p.) relative al ramo
considerato e dovute a ciascun generatore supposto agente da solo, con i rimanenti annullati
(cortocircuitati se di tensione, aperti se di corrente).

Principio di Millman

Si applica quando la rete ha solo due nodi M ed N , cioè è costituita da rami tutti in parallelo tra di
loro. Se J è il numero di rami, Vok è la f.e.m. totale per il ramo k-esimo , Rk è la resistenza totale
per il ramo k-esimo , la d.d.p. fra i due nodi vale:

Nella somma algebrica a numeratore, il singolo termine è positivo se la f.e.m. Vok è tale da rendere
positivo il potenziale del punto M rispetto al potenziale del punto N .

Caratteristica esterna e rendimento dei generatori, teorema della massima potenza


trasferita

Caratteristica esterna di un generatore

I generatori elettrici sono macchine che trasformano energia di altro tipo in energia elettrica. Per ora
ci limitiamo a considerare generatori di tensione e corrente continua, ma esistono (ed anzi sono
molto più diffusi in ambito elettrotecnico) anche i generatori di tensione e corrente alternata. Il
motivo per il quale esistono due diversi modelli, generatore di tensione e generatore di corrente, per
la stessa macchina è dovuto al fatto che nelle applicazioni si hanno sia dispositivi che tendono a
mantenere costante la tensione d'uscita al variare della resistenza dell'utilizzatore alimentato, e per
essi è più opportuno come modello il generatore di tensione, sia dispositivi che tendono a mantenere
costante la corrente erogata al variare della resistenza dell'utilizzatore alimentato, e per essi è più
opportuno come modello il generatore di corrente.
Per caratteristica esterna di un generatore si intende la funzione V = f (I) ovvero la tensione d'uscita
in funzione della corrente erogata.

Vediamo nel caso di generatori ideali (cioè privi di dissipazioni interne di potenza) quale è
l'andamento della caratteristica esterna, allo scopo supponiamo che i generatori alimentino un
utilizzatore avente una resistenza Ru che dobbiamo immaginare variabile tra ∞ [Ω] (funzionamento
a vuoto del generatore) e 0 [Ω] (funzionamento in cortocircuito del generatore):

Per il generatore ideale di tensione la caratteristica esterna sarà una retta orizzontale di equazione V
= Vo in quanto la sua tensione d'uscita è rigorosamente uguale alla sua forza elettromotrice,
qualsiasi sia la resistenza dell'utilizzatore alimentato e quindi qualsiasi sia la corrente erogata. Per il
generatore ideale di corrente la caratteristica esterna sarà una retta verticale di equazione I = Io in
quanto la corrente erogata è rigorosamente uguale alla sua corrente impressa, qualsiasi sia la
resistenza dell'utilizzatore alimentato e quindi qualsiasi sia la tensione d'uscita.

Passiamo ora ad esaminare il caso di generatori reali (cioè generatori per i quali si considerino i
fenomeni dissipativi interni). Il circuito equivalente dei generatori dovrà ora prevedere una
resistenza interna Ro grazie la quale si può tenere conto delle perdite interne di potenza. Tale
resistenza verrà messa in serie nel caso del generatore di tensione (e vale zero se il generatore è
ideale), mentre verrà messa in parallelo nel caso del generatore di corrente (e vale infinito se il
generatore è ideale). Infatti la resistenza interna, oltre che delle perdite di potenza, dovrà pure tenere
conto della diminuzione della tensione d'uscita all'aumentare della corrente erogata per il generatore
reale di tensione e della diminuzione della corrente erogata all'aumentare della tensione d'uscita per
il generatore reale di corrente.

Vediamo la discussione nel caso del generatore reale di tensione, il caso del generatore reale di
corrente è del tutto analogo.

L'equazione della caratteristica esterna V = f (I) si determina applicando la legge di Ohm al tronco
di circuito comprendente il generatore:

V = Vo - Ro·I

si tratta dell'equazione di una retta sul piano cartesiano (I,V) avente pendenza negativa, la pendenza
è tanto più accentuata quanto più è grande la resistenza interna del generatore. L'intersezione con
l'ordinata rappresenta il punto di funzionamento a vuoto essendo nulla la corrente erogata, quindi
con resistenza dell'utilizzatore di valore infinito, e la tensione d'uscita è in tal caso pari alla f.e.m.
del generatore. L'intersezione con l'ascissa rappresenta il punto di funzionamento in cortocircuito
essendo nulla la tensione d'uscita, quindi con resistenza dell'utilizzatore di valore nullo, e la corrente
erogata è in tal caso uguale a:

V = 0 ⇒ Icc = Vo / Ro
Per una generica condizione di funzionamento del generatore si avrà una tensione d'uscita che
risulterà inferiore alla f.e.m. del generatore stesso di una quantità pari a Ro·I che rappresenta la
caduta di tensione interna al generatore dovuta alla sua resistenza interna.

Viene chiamata retta di carico l'equazione corrispondente alla legge di Ohm applicata
all'utilizzatore, ovvero:

V = Ru·I

Sul piano cartesiano (I,V) tale equazione rappresenta una retta passate per l'origine ed avente
pendenza positiva. Se i due assi hanno il medesimo fattore di scala, risulta essere:

α) = Ru
tg(α

quindi la retta di carico coincide con l'ascissa se Ru = 0, coincide con l'ordinata se Ru = ∞. Il punto
di intersezione tra la caratteristica esterna e la retta di carico individua il punto di lavoro del sistema
formato dal generatore e dall'utilizzatore, ovvero la coppia di valori (I,V) che soddisfa il sistema
elettrico complessivo.

Rendimento elettrico di un generatore

Data una qualsiasi macchina si definisce rendimento η il rapporto tra la potenza erogata Pe e la
potenza assorbita Pa. Siccome ogni macchina reale è inevitabilmente sede di perdite di potenza Pd,
risulterà la potenza erogata sempre inferiore alla potenza assorbita e quindi il rendimento sarà
sempre inferiore all'unità:

Per un generatore elettrico si definisce rendimento elettrico ηE il rapporto tra la potenza elettrica
erogata Pe e la potenza elettrica generata Pg:

Naturalmente il termine (Ro·I2) rappresenta le perdite di potenza per effetto Joule sulla resistenza
interna del generatore. Abbiamo considerato un generatore reale di tensione, per quello di corrente
valgono considerazioni analoghe.

Teorema della massima potenza trasferita

Vediamo, sempre per il generatore reale di tensione, come varia la potenza erogata in funzione della
resistenza dell'utilizzatore. Allo scopo è necessario studiare la funzione Pe = f(Ru):
Si osserva che per Ru = 0 risulta essere Pe = 0, inoltre per Ru tendente ad infinito di nuovo Pe
tende a zero, infine Pe assume valori sempre positivi. Quindi la funzione Pe = f(Ru) ha un
andamento a campana e si potrebbe dimostrare che il massimo della campana si ha quando Ru è
uguale a Ro:

Ponendo nell'equazione Pe = f(Ru) al posto di Ru la Ro si ottiene l'espressione della massima


potenza erogabile dal generatore:

Per quanto riguarda il rendimento elettrico in coincidenza della condizione Ru = Ro di massima


potenza erogata si ha:

Si può quindi enunciare il seguente teorema della massima potenza trasferita:

se una rete elettrica (o un generatore reale) alimenta un'altra rete (o un carico) si ha il massimo
trasferimento di potenza quando la resistenza di uscita della rete alimentante (o la resistenza interna
del generatore) è uguale alla resistenza d'ingresso della rete alimentata (o alla resistenza del carico),
si suole dire allora che il carico è adattato in potenza. In queste condizioni il rendimento vale 0,5 e,
quindi, il problema dell'adattamento è particolarmente sentito nei circuiti a basso livello di potenza
(telefonia, telegrafia, ecc.) e non in quelli ad alto livello di potenza tipici delle applicazioni
industriali dell'elettrotecnica.

Esercizio 1, circuito in corrente continua

Proponiamoci di risolvere la rete elettrica:


con tutti i metodi sopra visti. I valori delle f.e.m. e delle resistenze della rete siano i seguenti:

V01 = 100 [V] , V02 = 200 [V] , R1 = 1 [Ω] , R2 = 2 [Ω] , R3 = 3 [Ω] , R4 = 4 [Ω]

I versi delle correnti incognite siano quelli indicati in figura.

Risolvo coi principi di Kirchhoff

Sostituendo nel sistema risolvente alle f.e.m. ed alle resistenze i rispettivi valori si ha:

Risolvo col metodo di Maxwell


Sostituendo nel sistema risolvente alle f.e.m. ed alle resistenze i rispettivi valori si ottengono le
correnti fittizie di maglia (i cui versi sono quelli indicati nella figura e le cui denominazioni sono
Im1 per la maglia in alto a sinistra, Im2 per la maglia in alto a destra, Im3 per la maglia in basso):

Componendo linearmente le correnti di maglia:

I1 = -Im1 , I2 = -Im2 , I3 = +Im1-Im2 , I4 = -Im3 , I5 = +Im1-Im3 , I6 = +Im2-Im3

si determinano le correnti nei rami che assumono i valori già riportati nell'esempio coi principi di
Kirchhoff.

Risolvo col teorema di Thevenin

Ci proponiamo di determinare la corrente attraverso la resistenza R2 con verso da B a C. Il circuito


equivalente di Thevenin, ottenuto dopo aver ridotto la rete iniziale con l'esclusione del ramo CB ad
un semplice generatore reale di tensione, è quello disegnato sotto.

Per definirlo è necessario determinare i valori della f.e.m. e della resistenza interna del generatore
equivalente di Thevenin.

Determino Req , allo scopo considero la rete di partenza privata del ramo interessato e resa passiva
mediante la cortocircuitazione dei generatori ideali di tensione presenti. Calcolo quindi la resistenza
che si misurerebbe tra i nodi C e B.
Determino Veq , allo scopo considero la rete lineare di partenza privata del ramo interessato e, visto
che il generatore equivalente di Thevenin ha la polarità positiva rivolta verso il punto C , pongo
Veq = VCB*.

Risolvo il circuito equivalente di Thevenin, allo scopo basta applicare la legge di Ohm:

Risolvo col teorema di Norton

Si vuole determinare la corrente attraverso la resistenza R3 con verso da C a D. Il circuito


equivalente di Norton, ottenuto dopo aver ridotto la rete iniziale con l'esclusione del ramo CD ad un
semplice generatore reale di corrente, è quello disegnato sotto.
Per definirlo è necessario determinare i valori della corrente impressa e della resistenza interna del
generatore equivalente di Norton.

Determino Req , allo scopo considero la rete di partenza privata del ramo interessato e resa passiva
mediante la cortocircuitazione dei generatori ideali di tensione presenti. Calcolo quindi la resistenza
che si misurerebbe tra i nodi C e D.

Determino Ieq , allo scopo considero la rete lineare di partenza col ramo interessato sostituito da un
cortocircuito. Visto che il generatore equivalente di Norton imprime la corrente con un verso tale
per cui la corrente stessa circola nel ramo interessato da C verso D, dovrò calcolare Ieq come quella
corrente che, nel cortocircuito CD , circola con verso da C a D.
Risolvo il circuito equivalente di Norton, allo scopo basta applicare la legge di Ohm:

Risolvo col principio di sovrapposizione degli effetti

Ci proponiamo di determinare la corrente attraverso la resistenza R1 con verso da C ad A. Siccome


sono presenti due generatori, sono da considerarsi due effetti.

Effetto del generatore V01, per valutarlo devo annullare gli altri generatori:

Effetto del generatore V02, per valutarlo devo annullare gli altri generatori:
Compongo algebricamente i due effetti, trovando così la corrente cercata:

I1 = -I1' + I1" = -45,455 + 54,545 = 9,090 [A]

Esercizio 2, circuito in corrente continua

Vediamo ora un esempio di applicazione del teorema di Millman. Nella rete di figura ( R1 = 1 [Ω] ,
R2 = 2 [Ω] , R3 = 3 [Ω] , V01 = 100 [V] , V02 = 200 [V] ), si debba determinare la corrente
circolante, con verso dall'alto al basso, nella resistenza R1.
Esercizio 3, circuito in corrente continua

La rete di figura:

presenta una curiosità, infatti i valori di R1 , R2 , R3 non influiscono sul valore della corrente
attraverso R4. Questo perché la tensione tra i nodi A e B è vincolata dai due generatori ideali di
tensione al valore VAB = +V01 - V02.

Per tale motivo, le correnti nei diversi rami si possono determinare applicando ripetutamente il
primo principio di Kirchhoff e la legge di Ohm, senza ricorrere ad uno specifico metodo
risoluzione:
Esercizio 4, circuito in corrente continua

Negli esempi fino ad ora visti compaiono soltanto generatori di tensione. Nel caso in cui compaiano
pure generatori di corrente, se ad essi è posta in parallelo una resistenza, questa può sempre essere
intesa come resistenza interna del generatore e, quindi, il generatore di corrente può essere
trasformato in un generatore reale di tensione. Se il generatore di corrente non ha in parallelo alcuna
resistenza diventa impossibile la trasformazione e, in tal caso, nelle equazioni applicate al circuito si
deve considerare nota, e pari alla corrente impressa, la corrente nel ramo ove è inserito il generatore
ideale di corrente ed, eventualmente, incognita la tensione ai capi del ramo stesso.

A titolo d'esempio, si determino le correnti I1 , I2 e la tensione VAB nella rete seguente, ove V01=8
[V] , R01=0,2 [Ω] , R1=3,8 [Ω] , I01=4 [A] , I02=35 [A] , R02=0,4 [Ω] , R2=3,6 [Ω].

Per prima cosa trasformo il generatore reale di corrente in un generatore reale di tensione:

Quindi applico i principi di Kirchhoff per risolvere la rete rispetto alle incognite proposte, allo
scopo applico il primo principio di Kirchhoff al nodo A ed il secondo alle due maglie contigue
(adottando quale verso di maglia quello orario):

Esercizio 5, circuito in corrente continua

Determinare la tensione VAB nella rete dell'esercizio precedente impiegando i teoremi di Thevenin,
di Norton ed il principio di Millman.

Metodo del teorema di Thevenin


Determino Req :

Determino Veq :

Risolvo il circuito equivalente di Thevenin :

VAB = Veq + I01·Req =11 + 4·2 = 19 [V]

Metodo del teorema di Norton


Determino Req : Req = 2 [Ω]

Determino Ieq :

Risolvo il circuito equivalente di Norton : VAB = Req·(Ieq + I01) = 2·(5,5 + 4) = 19 [V]

Metodo del principio di Millman

Osservazione : nella rete studiata, una eventuale resistenza collegata in serie al generatore ideale di
corrente I01 non influisce sulla d.d.p. tra i nodi A e B perché la corrente nel ramo centrale è
forzatamente pari alla corrente impressa I01.

Grandezze alternate sinusoidali

Sono grandezze (nel caso di circuiti elettrici tensioni e correnti) che variano nel tempo secondo la
legge:

ω·t + αΟ)
y(t) = YM·sen(ω

rappresentabile anche graficamente:


Si tratta di grandezze periodiche in quanto riassumono sempre lo stesso valore ad istanti di tempo
tra di loro intervallati di K·T [s] con K = ±1 , ±2 , ... ove T [s] è detto periodo.

Si tratta di grandezze alternate in quanto, considerato un intervallo qualsiasi di tempo di ampiezza


pari al periodo T , l'area sottesa dalla parte positiva della funzione è uguale all'area sottesa dalla
parte negativa della funzione. Per tale motivo si dice che il valore medio in un periodo è nullo.

I valori caratterizzanti di una grandezza che varia sinusoidalmente nel tempo sono:

a) Il valore massimo YM ;

b) Il periodo T [s] ;

c) La frequenza f = 1 / T [Hz] che rappresenta il numero di sinusoidi al secondo;

d) La pulsazione:

e) L'argomento iniziale αO [rad];

f) Il valore iniziale YO;

g) Il valore medio in un semiperiodo:

che rappresenta l'altezza del parallelogramma di base T / 2 affinché l'area del parallelogramma
stesso sia uguale all'area sottesa da un'intera semionda positiva;

h) Il valore efficace:
che, matematicamente, ha il significato di radice quadrata del valore medio in un periodo dei
quadrati dei valori istantanei (più avanti esamineremo il suo significato fisico);

i) Il fattore di forma:

Grandezze alternate sinusoidali e vettori ruotanti

E' possibile creare una corrispondenza biunivoca tra i vettori ruotanti e le grandezze sinusoidali.
Questo significa che le grandezze sinusoidali possono essere raffigurate come vettori ruotanti:

La figura rappresenta il vettore ruotante , di modulo pari al valore massimo YM della grandezza
sinusoidale, nella posizione che esso assume nell'istante t = 0 [s]. Ad esso corrisponde il valore
istantaneo Yo della grandezza sinusoidale che è, anche, il valore della proiezione del vettore
sull'asse dei valori istantanei. Siccome il vettore ruota in senso antiorario (scelta convenzionale) ad
una velocità ω [rad/s] pari alla pulsazione della grandezza sinusoidale, al generico istante t [s] esso
ω·t + αO) e quindi la proiezione del
si troverà ad aver descritto, rispetto all'asse polare, l'angolo (ω
vettore sull'asse dei valori istantanei varrà YM·sen(ω ω·t + αO) , ovvero y(t). Convenzionalmente, gli
angoli si intendono positivi se misurati in senso antiorario.
La figura sopra mostra la rappresentazione mediante il vettore ruotante di una grandezza sinusoidale
che ha un argomento iniziale negativo ( pari a - αO ).

L'espressione analitica, sul piano di Gauss, del generico vettore ruotante è:

Dove ej· ω·t è il termine che determina la rotazione.

Le grandezze sinusoidali (tensioni e correnti) nei circuiti che noi studiamo sono tutte
isofrequenziali, questo significa che tutti i vettori ruotanti che le rappresentano ruotano alla
medesima velocità angolare ω [rad/s]. Per tale motivo i vettori ruotanti conservano nel tempo una
posizione reciproca costante, quindi è sufficiente rappresentarli nella posizione che essi occupano
all'istante t = 0 [s]. A questo punto, per rappresentare una grandezza sinusoidale è sufficiente un
vettore statico e, per il suo trattamento analitico, l'equivalente numero complesso.

Nella figura seguente sono rappresentate due grandezze sinusoidali yA(t) ed yB(t) :

ω·t + αOA) , yB(t) = YMB·sen(ω


yA(t) = YMA·sen(ω ω·t + αOB)

mediante i corrispondenti vettori ed che sono riportati su di un unico piano di Gauss


essendo le due grandezze sinusoidali isofrequenziali (stessa pulsazione ω). Nella rappresentazione è
omessa l'informazione riguardante il fatto che i vettori sono ruotanti e gli stessi sono riportati nella
posizione assunta all'istante t = 0 [s]. Il piano di Gauss è il luogo ove rappresentare in forma grafica
i numeri complessi, più precisamente l'ascissa diventa l'asse dei valori reali Re mentre l'ordinata
diventa l'asse dei valori immaginari Im.
Gli angoli αOA ed αOB sono gli argomenti iniziali delle grandezze sinusoidali, servono per orientare
i vettori rappresentativi delle grandezze sinusoidali sul piano di Gauss e vengono riportati a partire
dal semiasse reale positivo seguendo la nota convenzione secondo la quale gli angoli si intendono
positivi se misurati in senso antiorario (convenzione che discende direttamente da quella, già
dichiarata, per la quale il verso di rotazione dei vettori ruotanti è antiorario).

L'angolo ϕAB rappresenta lo sfasamento tra la grandezza sinusoidale yA(t) e la yB(t). Analiticamente
si ha:

ϕAB = αOA - αOB , ϕBA = αOB - αOA , ϕAB = - ϕBA

Forme rappresentative per i numeri complessi, operazioni

Vediamo ora in quali forme si può rappresentare un numero complesso che, analiticamente,
raffigura un vettore giacente sul piano di Gauss. Inoltre prenderemo in considerazione alcune delle
operazioni che si possono eseguire sui numeri complessi. Quanto segue si limita a quelle poche
informazioni direttamente utili nell'analisi dei circuiti elettrici in corrente alternata sinusoidale, una
trattazione più completa e rigorosa dei numeri complessi viene fatta nel corso di matematica.

a) Forma algebrica : ove a è la parte reale, j·b è la parte immaginaria. I valori di a , b


sono numeri reali (quindi possono essere sia positivi che negativi). Tale forma è utile nel caso si
debba eseguire la somma di due numeri complessi:

b) Forma polare : ove Y è il modulo ed α l'argomento. Il modulo è un numero reale


sempre positivo, mentre l'argomento è l'angolo misurato tra il semiasse reale positivo ed il vettore e,
quindi, positivo se misurato in senso antiorario, negativo se misurato in senso orario. Tale forma è
utile nel caso si debba eseguire il prodotto od il quoziente tra due numeri complessi:
Per convertire dalla forma algebrica (detta anche rettangolare) alla forma polare:

Per convertire dalla forma polare alla forma algebrica:

c) forma trigonometrica : con ovvio significato.

d) forma esponenziale : che deriva dalla formula di Eulero per la quale si ha:

Tale forma è particolarmente utile nel caso in cui il numero complesso debba rappresentare un
vettore ruotante (come accade per le grandezze sinusoidali quando non si voglia omettere
l'informazione riguardante la pulsazione); infatti se ω è la velocità angolare si ha:

Significato fisico del valore efficace

Nella figura riportata sopra sono rappresentate le funzioni i(t) ed [i(t)]2 . La prima esprime una
ω·t) [A] mentre la seconda esprime i quadrati della prima.
corrente sinusoidale i(t) = IM·sen(ω
La funzione [i(t)]2 è di tipo periodico, sempre positiva, di frequenza doppia rispetto ad i(t) , ma non
è una funzione sinusoidale. Tale funzione ha un valore massimo pari a IM2 ed un valore medio che,
per evidenti motivi di simmetria, vale IM2/2. La definizione matematica data al valore efficace di
una grandezza sinusoidale porta ad affermare che il valore efficace della i(t) vale:

come già si sapeva.

Per capire il significato fisico del valore efficace di una corrente, immaginiamo che la corrente
sinusoidale i(t) percorra una resistenza di valore R [Ω]. Nell'intervallo di tempo infinitamente
piccolo dt [s] (vedi figura) si può ritenere che la corrente abbia un valore costante pari ad i [A] e
che l'energia dissipata per effetto Joule nella resistenza valga [J]. La quantità dA =
i2 · dt [A2·s] corrisponde all'area del rettangolo di base dt e di altezza i2. Se ora si immagina di
considerare il numero infinito di intervalli dt [s] presenti nell'intervallo finito T [s] pari al periodo, è
evidente che la somma degli infiniti termini dA verrà a coprire un'area coincidente con l'area A
sottesa dalla funzione [i(t)]2 nell'intervallo di tempo pari a T [s], area che è legata al valore medio
della [i(t)]2 dalla relazione:

L'energia dissipata nel tempo pari a T [s] si può quindi scrivere:

Osservando che:

si avrà W = R·I2·T [J] ovvero il valore efficace I [A] della corrente sinusoidale è responsabile,
attraverso il suo quadrato, dell'energia dissipata nel tempo T [s] attraverso la resistenza R [Ω].
Esattamente la stessa espressione si sarebbe ottenuta qualora si fosse dovuto calcolare la potenza
dissipata nel tempo T [s] attraverso la resistenza R [Ω] da una corrente continua di intensità I [A].

Si può dire che il valore efficace di una corrente sinusoidale rappresenta quella intensità di corrente
continua che, in pari tempo, produce i medesimi effetti termici. Esattamente la stessa cosa si può
dire per il valore efficace della tensione e sia le correnti che le tensioni sinusoidali vengono sempre
comunicate mediante il loro valore efficace.

Circuito puramente resistivo in regime sinusoidale, potenza attiva

E' così chiamato un circuito totalmente privo di effetti d'autoinduzione dovuta a campi magnetici
variabili e di accumulo di carica dovuta a campi elettrici.
Sollecitando la resistenza R [Ω] con una corrente sinusoidale i(t) [A] si avrà (legge di Ohm) per
ogni istante t ai capi della resistenza una caduta di tensione pari a v(t) = R·i(t) [V] pure essa
sinusoidale, di eguale pulsazione, di eguale argomento iniziale e di valore massimo VM = R·IM [V].

Per quanto riguarda i valori efficaci si avrà la relazione V = R·I [V].

Siccome gli argomenti iniziali della tensione e della corrente sono gli stessi, si suole dire che esse
sono tra di loro in fase.

Facendo riferimento ad una corrente sinusoidale qualsiasi, per l'espressione ai valori istantanei si
avranno le seguenti relazioni:

ω·t + αO) , v(t) = VM·sen(ω


i(t) = IM·sen(ω ω·t + αO) [A]

Per l'espressione simbolica si avrà:

Per quanto riguarda la potenza, applicando la legge di Joule in ogni istante t si può calcolare come
varia la potenza istantanea p(t) facendo il prodotto dei valori istantanei i(t) e v(t).
Dal grafico che così si ottiene si osserva che la potenza p(t) è una grandezza periodica (non
sinusoidale) pulsante, sempre maggiore di zero,di frequenza doppia di quella della corrente. Sempre
dal grafico si può osservare che il valore medio P [W] della p(t) è la metà del suo valore massimo
PM , ovvero:

L'area sottesa dalla forma d'onda di p(t) rappresenta in un determinato intervallo di tempo l'energia
( [W]·[s] = [J] ) e tale energia è sempre positiva, questo significa che nella resistenza avviene una
trasformazione di energia sempre nel senso energia elettrica ⇒ calore. Per tali motivi P prende il
nome di potenza attiva (cioè ad essa corrisponde una effettiva trasformazione di energia).
Ricordando la legge di Ohm, la potenza attiva si può anche calcolare con le relazioni:

Circuito puramente induttivo in regime sinusoidale

E' tale un circuito totalmente privo di resistenza ohmica e di accumulo di carica dovuto a campi
elettrici. L'unico parametro elettrico che caratterizza un circuito puramente induttivo è perciò la sua
induttanza. L'induttanza (chiamata pure coefficiente di autoinduzione) è definita dal rapporto tra il
flusso di campo magnetico (originato dalla corrente che percorre il circuito) che si concatena col
circuito e la corrente che percorre il circuito stesso:

Il valore di induttanza di un circuito dipende dalla geometria del circuito e dalla permeabilità
magnetica del mezzo che circonda il circuito: se queste sono costanti, l'induttanza è costante. Per
tale motivo, l'induttanza di un circuito avvolto su di un nucleo ferromagnetico non è costante ma
varia al variare della corrente nel circuito in quanto al variare della corrente varia il campo
magnetico e, con esso, la permeabilità (noi, comunque, considereremo costante l'induttanza).
Invece, l'induttanza di un circuito in aria è rigorosamente costante essendo costante la permeabilità
magnetica dell'aria.
Si supponga di avere un circuito puramente induttivo, di induttanza costante L [H], percorso da una
ω·t) [A]. A causa della induttanza L, si autoconcatenerà col
corrente sinusoidale i(t) = IM·sen(ω
circuito un flusso:

φΑC(t) = L· i(t) = L·IM· sen(ω


ω·t) = ΦACM· sen(ω
ω·t) [Wb]

con ΦACM = L·IM [Wb]. Ovviamente tale φΑC(t) , essendo proporzionale in ogni istante alla
corrente, varierà esso pure nel tempo con legge sinusoidale.

Per via della legge generale dell'induzione elettromagnetica, la variazione nel tempo del flusso
autoconcatenato produrrà una forza elettromotrice autoindotta di valore:

che gode delle seguenti proprietà:

a) eai(t) è proporzionale alla rapidità con cui varia il flusso concatenato nel tempo;

b) eai(t) ha in ciascun istante un verso tale da opporsi alla causa che la genera, perciò sarà contraria
alla corrente quando questa aumenta facendo aumentare φΑC(t) , mentre avrà lo stesso verso della
corrente quando questa diminuisce facendo diminuire φΑC(t).

Dal secondo punto si determina immediatamente il segno della f.e.m.a.i., dal primo punto si
determina la sua intensità che è nulla quando la pendenza della i(t) , e quindi di φΑC(t) , è nulla
(vedi gli istanti T/4 , 3·T/4 ), mentre è massima quando la pendenza della i(t) , e quindi di φΑC(t) , è
massima (vedi gli istanti 0 , T/2 ,T ).

Il risultato che si ottiene è una f.e.m.a.i. sinusoidale ed in ritardo di un quarto di periodo (ovvero π/2
) rispetto sia al flusso che alla corrente:

Inoltre, qualitativamente, si può pure affermare che il valore massimo di f.e.m.a.i. sarà tanto più
grande quanto più è grande il valore massimo del flusso e quanto più rapida è la variazione di φΑC(t)
nel tempo (cioè quanto più è grande la sua pulsazione ω):

Abbiamo fino ad ora dedotto quanto vale la f.e.m.a.i. dovuta ad una corrente sinusoidale circolante
in un circuito puramente induttivo, supponiamo ora che la corrente i(t) venga impressa nel circuito
puramente induttivo da un generatore sinusoidale.

Applicando la legge di Ohm generalizzata all'intero circuito (generatore più resistenza) e facendo
riferimento ai valori istantanei si deduce che dovrà essere in ogni istante nulla la somma algebrica
della tensione vL(t) ai capi dell'induttanza e della forza elettromotrice indotta eai(t) :

cioè la tensione vL(t) è in ogni istante uguale ed opposta alla f.e.m.a.i. eai(t). Ciò significa (vedi
anche il grafico):

dove ovviamente VLM = EaiM. Confrontando con i(t), si dirà che la tensione vL(t) ai capi
dell'induttanza è in anticipo di π/2 ed il suo valore massimo vale .

Passando dall'espressione delle grandezze sinusoidali nella forma di valori istantanei alla forma
simbolica (vettori ruotanti e relativi numeri complessi) quanto ottenuto può essere così riassunto:
con ΦAC = L·I [Wb] ( ΦAC ed I valori efficaci ).

con Eai = VL = ω·L·I [V].

La quantità:

è chiamata reattanza induttiva ed ha le dimensioni di una resistenza. La quantità è


chiamata reattanza induttiva immaginaria ed è un operatore vettoriale in quanto se applicato al
numero complesso rappresentante la corrente fornisce il numero complesso rappresentante la
tensione ai capi dell'induttanza:

La figura riportata sopra mostra le varie grandezze sinusoidali prese fino ad ora in considerazione
rappresentate sul piano di Gauss.

Circuito puramente capacitivo in regime sinusoidale

E' così chiamato un circuito totalmente privo di resistenza ohmica e di effetti d'autoinduzione dovuti
a variazioni di campi elettromagnetici. L'unico parametro elettrico che caratterizza un circuito
puramente capacitivo è la sua capacità elettrica. La capacità del circuito rappresenta l'attitudine del
circuito ad accumulare carica elettrica quando nel dielettrico circostante sia presente un campo
elettrico. Se V è la d.d.p., Q la carica accumulata, C la capacità elettrica, si ha:

Al fine di dedurre il comportamento della capacità in regime sinusoidale, è importante ricordare il


fenomeno della carica e della scarica del condensatore facendo particolare attenzione al verso della
corrente i(t) e della tensione vC(t) ai capi del condensatore:
N.B.: l'istante t = 0 [s] coincide, sia per la carica che per la scarica all'istante di chiusura
dell'interruttore nel relativo circuito. Le varie funzioni vC(t) ed i(t) sia nella carica che nella scarica
sono di tipo esponenziale, con costante di tempo pari a R·C [s] e quindi con un tempo
d'esaurimento pari a circa 5·R·C [s]. Nel caso di circuito in corrente continua, in ogni caso, una
volta esauritosi il transitorio la corrente nel circuito è identicamente nulla in quanto il condensatore
costituisce a regime un'interruzione del ramo ove si trova inserito.

Supponiamo ora di avere un condensatore di capacità C, inizialmente scarico, collegato ai morsetti


di un generatore di tensione sinusoidale v(t). Vediamo di ricavare qualitativamente l'andamento
della corrente. Le considerazioni che seguono sono conseguenti al fatto che:

a) durante gli intervalli di carica la corrente deve avere lo stesso verso (segno) della tensione,
mentre durante gli intervalli di scarica la corrente è opposta alla tensione;

b) la corrente ha modulo massimo quando inizia la carica, nullo quando la tensione di carica
raggiunge il massimo.
Nel primo quarto di periodo (1), avendosi un intervallo di carica la tensione aumenta positivamente
da zero al valore massimo VCM , il condensatore deve corrispondentemente assorbire una corrente
di carica positiva, la quale parte dal suo valore massimo IM e va poi gradatamente diminuendo fino
a ridursi a zero nell'istante in cui il condensatore raggiunge il suo stato di massima carica.

Nel secondo quarto di periodo (2), trattandosi di un intervallo di scarica la tensione alle armature
diminuisce da VCM a zero, il condensatore dovrà corrispondentemente scaricarsi mediante una
corrente analoga alla precedente ma di verso (segno) opposto e perciò negativa.

Nel terzo quarto di periodo (3), trattandosi di un intervallo di carica di segno opposto a quello della
fase (1), la tensione alle armature aumenterà da zero a -VCM ed il condensatore sarà interessato da
una corrente di carica che varierà da -IM a zero.

Nell'ultimo quarto di periodo (4), trattandosi di un intervallo di scarica la tensione alle armature
diminuirà in valore assoluto da |-VCM| a zero e la corrente dovrà variare analogamente a quanto
avvenuto nell'intervallo (3) ma con verso (segno) opposto.

E' importante osservare che la tensione ai capi del condensatore è obbligata ad essere uguale a
quella sinusoidale del generatore, cioè deve essere v(t) = vC(t) e che la corrente, sia durante gli
intervalli di carica che di scarica, non potrà variare con legge esponenziale essendo sia la carica che
la scarica non libere ma vincolate dalla tensione sinusoidale presente ai capi del condensatore.
Quindi anche la corrente i(t) sarà sinusoidale.

Si riconosce in tal modo che mentre la tensione alle armature del condensatore varia secondo la
funzione sinusoidale vC(t) , la corrente attraverso il condensatore varia secondo una funzione i(t)
pure sinusoidale, ma sfasata di un quarto di periodo in anticipo rispetto alla tensione. In forma
analitica:

ω·t) [V] , i(t) = IM·sen(ω


vC(t) = VCM·sen(ω ω·t + π/2) [A]

Si può poi dimostrare che è IM = ω·C·VCM [A] ed analoga relazione vale per i valori efficaci.
Intuitivamente si può infatti osservare che tanto più grandi sono C e VCM , tanto più grande sarà la
quantità di carica accumulata sulle armature del condensatore. Inoltre la variazione nel tempo della
quantità di carica accumulata rappresenta l'intensità della corrente e, perciò, se è elevato ω sarà più
grande la corrente essendo più grande la variazione di carica nel tempo.

Passando dall'espressione delle grandezze sinusoidali nella forma di valori istantanei alla forma
simbolica (vettori ruotanti e relativi numeri complessi) quanto ottenuto può essere così riassunto:

con VC [V] ed I [A] valori efficaci.

La quantità:

è chiamata reattanza capacitiva ed ha le dimensioni di una resistenza. La quantità


è chiamata reattanza capacitiva immaginaria ed è un operatore vettoriale in
quanto se applicato al numero complesso rappresentante la corrente fornisce il numero complesso
rappresentante la tensione ai capi del condensatore:

La figura riportata sopra mostra le varie grandezze sinusoidali prese fino ad ora in considerazione
rappresentate sul piano di Gauss.

Complementi matematici

Nelle dimostrazioni delle relazioni tra tensione e corrente in regime sinusoidale per le induttanze e
le capacità abbiamo fatto ampiamente ricorso all'intuito. Dimostrazioni analiticamente rigorose si
possono fare solo conoscendo l'operazione di derivazione rispetto al tempo di una funzione,
argomento che si affronterà in matematica nel corso del quarto anno. A titolo di complemento
anticipiamo quanto sarà comprensibile solo il prossimo anno:

Induttanza
capacità

Potenza elettrica associata ad una corrente in quadratura con la tensione, potenza


reattiva

Questo stato di regime si verifica in un circuito puramente induttivo (corrente in ritardo di 90° sulla
tensione), oppure puramente capacitivo (corrente in anticipo di 90° sulla tensione). Eseguendo per
ogni istante il prodotto v(t)·i(t) si ottiene p(t) che è una grandezza ancora sinusoidale di frequenza
doppia rispetto alla corrente ed alla tensione. Si osserva che l'asse di simmetria della p(t) coincide
con l'asse dei tempi (ascissa) e, quindi, la potenza non ha più carattere pulsante ma ha carattere
alternativo e conseguentemente il suo valor medio è nullo.
Quindi, in un circuito nel quale la tensione e la corrente sono in quadratura tra di loro, la potenza
istantanea è tale per cui l'energia viene alternativamente scambiata tra il circuito ed il campo
(elettrico per la capacità, elettromagnetico per l'induttanza), più precisamente l'energia viene ceduta
dal circuito al campo quando la potenza è positiva e viceversa quando è negativa. Quindi,
considerando un intero periodo, il bilancio energetico tra circuito e campo è nullo così che si può
dire che la potenza media è nulla, ovvero non vi è alcuna trasformazione permanente di energia. Per
tali motivi si suole dire che un circuito puramente induttivo o puramente capacitivo non è
interessato da potenza attiva.

Viene convenzionalmente considerata, sotto il nome di potenza reattiva, la quantità


. Tale potenza reattiva non riveste assolutamente il significato fisico di potenza,
ma costituisce un puro riferimento convenzionale ai valori efficaci della tensione V [V] e della
corrente I [A] in quadratura tra di loro e, per questa ragione, la potenza reattiva non si misura in
[Watt] ma si esprime in VoltAmpereReattivi [VAR].

A tale potenza vengono convenzionalmente associati segni opposti a secondo che il circuito sia
induttivo o capacitivo. Le norme assegnano il segno positivo alla potenza reattiva induttiva QL = X
2 2
L·I ed il segno negativo alla potenza reattiva capacitiva QC = X C·I . Ciò perché è positivo lo
sfasamento tra tensione e corrente nel circuito induttivo, negativo nel circuito capacitivo.

Impedenza elettrica, triangolo delle potenze

Si tratta di un operatore vettoriale (quindi una grandezza complessa, non una grandezza variabile
sinusoidalmente nel tempo) così definito:

L'impedenza riassume la resistenza e la reattanza complessive di un ramo infatti se ω è la


pulsazione della tensione alternata sinusoidale applicata al ramo, si ha:

Il modulo dell'impedenza vale ovviamente:


mentre il suo argomento vale:

e tale argomento coincide con lo sfasamento tra la tensione applicata all'impedenza e la corrente
che percorre l'impedenza.

Le potenze che riguardano l'impedenza sono:

potenza attiva :

ϕV,I) = R·I2 [W]


P = V·I·cos(ϕ

potenza reattiva, da considerarsi induttiva se positiva, da considerarsi capacitiva se negativa :

ϕV,I) = (XL - XC)·I2 [VAR]


Q = V·I·sen(ϕ

modulo potenza apparente, che riassume le prime due :

potenza apparente complessa ( è il coniugato di ):

Le tre potenze di cui sopra si possono riassumere nel seguente triangolo delle potenze:

per il quale valgono le seguenti relazioni:

Ammettenza elettrica
E' un operatore vettoriale definito come l'inverso dell'impedenza:

La parte reale dell'ammettenza è chiamata conduttanza, la parte immaginaria è chiamata


suscettanza. L'ammettenza, la conduttanza e la suscettanza si misurano in siemens, [Ω-1] = [S].

Si dimostra facilmente che il modulo dell'ammettenza è pari all'inverso del modulo dell'impedenza,
mentre l'argomento dell'ammettenza è l'opposto dell'argomento dell'impedenza.

L'operatore vettoriale ammettenza può essere usato per la risoluzione delle reti elettriche. La legge
di Ohm diventa:

La serie di più ammettenze si calcola con l'espressione:

mentre il parallelo di più ammettenze si calcola con l'espressione:

Vediamo ora la trasformazione serie-parallelo dei parametri di una impedenza:

Perché i due circuiti siano equivalenti, quando vengono sottoposti alla stessa tensione devono
assorbire la stessa corrente. Quindi sarà:

da cui:
Si osserva che i parametri parallelo dell'impedenza altro non sono che l'inverso della conduttanza e
della suscettanza dell'ammettenza equivalente all'impedenza data.

Criterio di Kennelly - Steinmetz

Le equazioni che si possono scrivere per un circuito elettrico in regime sinusoidale permanente sono
sostanzialmente le stesse che si scriverebbero per lo stesso circuito se considerato in corrente
continua, coll'avvertenza però che ora le tensioni, le correnti, le f.e.m. e le correnti impresse
(grandezze sinusoidali) devono apparire in forma simbolica (mediante i rispettivi numeri complessi
ed ) e che al posto delle resistenze compaiono le impedenze (operatori vettoriali complessi).

Quindi tutti i metodi di analisi delle reti elettriche sono applicabili sia alle reti in corrente continua
che alle reti in corrente alternata.

Esercizio 6, circuito in corrente alternata

Applicando il metodo dei principi di Kirchhoff determinare le correnti i(t) , i1(t) , i2(t) nei tre rami
della seguente rete:

I valori dei parametri della rete sono i seguenti:

vO(t) = 141,4·sen(314,2·t) [V] , R0 = 5 [Ω] , R1 = R2 = 20 [Ω] , L1 = L2 = 95,48 [mH] , C =


79,57 [µF]

Per prima cosa passo al circuito delle impedenze:


Ora assegniamo il verso alle correnti nei tre rami (che dovrà essere lo stesso nel circuito di partenza
e nel circuito alle impedenze), quindi assegniamo il verso alle due maglie contigue e scriviamo il
sistema risolvente applicando il primo principio di Kirchhoff al nodo superiore ed il secondo
principio alle due maglie contigue:

che ordinato e risolto rispetto fornisce:

L'espressione ai valori istantanei delle tre correnti vale (con gli argomenti iniziali espressi in
radianti per omogeneità con le pulsazioni in [rad/s] ):

I diagrammi vettoriale ed ai valori istantanei sono:


Teorema di Boucherot

In un sistema elettrico in regime sinusoidale costituito da più utilizzatori si può dire che:

a) la potenza attiva totale è data dalla somma aritmetica delle singole potenze attive:

b) la potenza reattiva totale è data dalla somma algebrica delle singole potenze reattive assunte
positive se induttive, negative se capacitive:

c) la potenza apparente complessa totale è data dalla somma vettoriale delle singole potenze
apparenti complesse, in ogni caso il modulo della potenza apparente totale si può più
convenientemente determinare con:

Linee semplici monofase, rifasamento

Sono quelle per le quali è valido il seguente circuito equivalente:


Si definisce caduta di tensione industriale della linea la differenza aritmetica tra la tensione
all'arrivo a vuoto e la tensione all'arrivo a carico:

calcolabile con l'espressione semplificata:

Si definisce rendimento della linea:

dove PA = PU è la potenza all'arrivo della linea mentre PP è la potenza alla partenza della linea.

Al fine di ridurre la c.d.t. industriale ed aumentare il rendimento della linea, se il carico ha un basso
fattore di potenza si può procedere al rifasamento del carico stesso che consiste nel porgli in
parallelo un condensatore di adeguata capacità. Indicando con ϕA* lo sfasamento desiderato
all'arrivo della linea (con ovviamente ϕA* < ϕU ), il valore della capacità rifasante sarà dato da:

Risonanza
Un circuito in corrente alternata, comunque complesso, nel quale siano presenti resistenze,
induttanze e capacità si dice in risonanza quando rispetto alla tensione che lo alimenta si comporta
come un circuito puramente ohmico.
Si parla di risonanza serie (chiamata anche risonanza di tensione) quando i bipoli R , L , C sono
collegati in serie tra di loro. Affinché il circuito si comporti come se fosse puramente ohmico deve
ovviamente essere XL = XC . La pulsazione per la quale questa condizione si verifica è chiamata
pulsazione di risonanza e vale:

come è facile dimostrare.

Per pulsazioni più grandi di ω0 il circuito si comporta da ohmico-induttivo, tendente al puramente


induttivo per ω0 tendente ad infinito. Per pulsazioni più piccole di ω0 il circuito si comporta da
ohmico-capacitivo, tendente al puramente capacitivo per ω0 tendente a zero.

Se si immagina di alimentare il circuito con un generatore di tensione di valore efficace costante e


pulsazione variabile, è facile verificare che in coincidenza della pulsazione di risonanza è massima
la corrente che varrà [A]. Quindi ai capi dell'induttanza e della capacità si può avere una
c.d.t. molto grande, anche maggiore della tensione applicata al circuito. Infatti se per si ha
XL0 = XC0 >> R accadrà che sarà VL0 = VC0 >> VR0 = V.

Si parla di risonanza parallelo (chiamata anche risonanza di corrente o antirisonanza) quando si


presenta il circuito riportato sopra. La pulsazione di risonanza, per la quale la tensione ai capi del
parallelo è in fase con la corrente che lo alimenta, si dimostra che vale:
e, nel caso di RL = RC, tale espressione diventa uguale a quella della risonanza serie. In coincidenza
di ω0 si ha che il parallelo assume il valore massimo di impedenza (tale impedenza è puramente
ohmica) pari a:

Per pulsazioni più grandi di ω0 il circuito si comporta da ohmico-capacitivo, tendente al puramente


capacitivo per ω0 tendente ad infinito. Per pulsazioni più piccole di ω0 il circuito si comporta da
ohmico-induttivo, tendente al puramente induttivo per ω0 tendente a zero.

Se si immagina di alimentare il circuito con un generatore di corrente di valore efficace costante e


pulsazione variabile, accade che in coincidenza della pulsazione di risonanza è massima la tensione
ai capi del parallelo. Quindi nei rami del parallelo si può avere una corrente molto grande, anche
maggiore della corrente erogata dal generatore.

Misure Elettriche
Indice dei contenuti:

1. Introduzione, unità di misura, campioni elettrici


2. Teoria degli errori, propagazione degli errori, cifre significative ed arrotondamenti
3. Strumenti di misura
4. Alimentazione e regolazione dei circuiti di misura
5. Misura di corrente
6. Misura di tensione
7. Misura di resistenza in corrente continua
8. Misura di forza elettromotrice col metodo di opposizione
9. Misura di potenza reale, wattmetro
10. Misura di potenza reattiva, apparente e del fattore di potenza
11. Misura di resistenza effettiva in corrente alternata
12. Induttori, misura industriale di induttanza
13. Condensatori, misura industriale di capacità
14. Misura di frequenza
15. Oscilloscopio a raggi catodici

Introduzione, unità di misura, campioni elettrici

Le misure elettriche sono parte integrante della metrologia, cioè della scienza che si occupa dei
metodi e dei mezzi necessari per effettuare la misurazione di una grandezza fisica. In generale si
definisce come misura il risultato del processo di misurazione, tale risultato è l'insieme di tre dati:

a) un numero reale dato dal rapporto tra la grandezza presa in esame e la grandezza assunta come
campione;

b) l'unità di misura che rappresenta la grandezza usata come campione;

c) l'incertezza (imprecisione) da cui è affetta la misura, a volte si fa riferimento ai termini


accuratezza (precisione) attribuendo loro lo stesso significato.
Le unità di misura devono appartenere al Sistema Internazionale di Unità (SI). Tale sistema si fonda
su sette unità fondamentali e su due supplementari.

Sono unità fondamentali:

1) il metro [m], è la lunghezza pari a 1.650.763,73 lunghezze d'onda nel vuoto della radiazione
corrispondente alla transizione fra i livelli 2p10 e 5d5 dell'atomo di cripto 86 (approvato nel 1960).

2) il kilogrammo [kg], è la massa del prototipo internazionale del kilogrammo (approvato nel 1901).

3) il secondo [s], è il tempo necessario perché si completino 9.192.631.770 periodi della radiazione
corrispondente alla transizione fra i due livelli iperfini dello stato fondamentale dell'atomo di cesio
133 (approvato nel 1967).

4) l'ampere [A], è l'intensità di una corrente elettrica costante che, mantenuta in due conduttori
paralleli rettilinei di lunghezza infinita, di sezione circolare trascurabile, posti alla distanza di un
metro l'uno dall'altro nel vuoto, produrrebbe fra questi conduttori una forza uguale a 2·10 -7
[newton] su ogni metro di lunghezza (approvato nel 1948).

5) il kelvin [K], è la frazione 1/273,16 della temperatura termodinamica del punto triplo dell'acqua
(approvato nel 1967). Per gli usi pratici è pure ammessa la temperatura celsius, la cui unità viene
denominata grado celsius, indicata con il simbolo [°C], definita dalla differenza t = T - T0 tra due
temperature termodinamiche T e T0, con T0 = 273,15 [K]. Un intervallo o una differenza di
temperatura possono essere espressi in kelvin o in gradi celsius. L'unità grado celsius è uguale
all'unità kelvin.

6) la mole [mol], è la quantità di sostanza di un sistema che contiene tante entità elementari quanti
sono gli atomi in 0,012 [kg] di carbonio 12. Quando si usa la mole, le entità elementari devono
essere specificate, esse possono essere atomi, molecole, ioni, elettroni, altre particelle o
raggruppamenti di particelle (approvato nel 1971).

7) la candela [cd], è l'intensità luminosa, in una determinata direzione, di una sorgente che emette
una radiazione monocromatica di frequenza 540·1012 [Hz] e la cui intensità energetica in tale
direzione è 1/683 watt allo steradiante (approvato nel 1979).

Sono unità supplementari:

8) il radiante [rad], è l'angolo piano compreso fra due raggi che, sulla circonferenza di un cerchio,
intercettano un arco di lunghezza pari a quella del raggio (approvato nel 1965).

9) lo steradiante [sr], è l'angolo solido che, avendo il vertice al centro di una sfera, delimita sulla
superficie di questa un'area pari a quella di un quadrato di lato uguale al raggio della sfera
(approvato nel 1965).

Fra le unità di misura derivate dalle nove sopra citate, ricordiamo:

1) l'hertz [Hz] = [s-1], è la frequenza di un evento periodico che si ripete una volta al secondo.

2) il newton [N] = [m·Kg·s-2], è la forza che deve essere applicata alla massa di 1 [Kg] affinché in 1
[s] subisca un incremento di velocità di 1 [m/s] nella direzione della forza.
3) il pascal [Pa] = [m-1· Kg·s-2], è la pressione uniforme che agendo su una superficie piana di area
1 [m2] esercita perpendicolarmente a tale superficie una forza totale di 1 [N].

4) il joule [J] = [m2· Kg·s-2], è il lavoro prodotto da una forza di 1 [N] il cui punto di applicazione si
sposta di 1 [m] nella direzione della forza. Altre grandezze fisiche aventi la stessa unità di misura
del lavoro sono l'energia e la quantità di calore.

5) il watt [W] = [m2· Kg·s-3], è la potenza di una macchina che compie il lavoro di 1 [J] nel tempo
di 1 [s]. Omogeneo alla potenza è il flusso energetico.

6) il coulomb [C] = [s·A], è la carica elettrica trasportata da una corrente di 1 [A] nel tempo di 1 [s].

7) il volt [V] = [m2· Kg·s-3·A-1], è la differenza di potenziale elettrico ai capi di un conduttore


percorso dalla corrente costante di 1 [A] quando in esso viene dissipata la potenza di 1 [W]. La
d.d.p. è anche chiamata tensione elettrica, omogenee alla d.d.p. sono la forza elettromotrice ed il
potenziale elettrico.

8) l'ohm [Ω] = [m2· Kg·s-3·A-2], è la resistenza elettrica di un conduttore filiforme che sottoposto
alla d.d.p. di 1 [V] è attraversato dalla corrente di 1 [A].

9) il siemens [S] = [m-2· Kg-1·s3·A2], è la conduttanza elettrica, inverso della resistenza.

10) il farad [F] = [m-2· Kg-1·s2·A2], è la capacità elettrica ovvero il rapporto, in un condensatore, tra
la carica elettrica distribuita sulla superficie di un'armatura e la d.d.p. tra le due armature quando il
rapporto stesso è unitario.

11) il weber [Wb] = [m2· Kg·s-2·A-1], è il flusso di induzione magnetica che, tagliato da un
conduttore in un secondo, vi induce la forza elettromotrice di 1 [V].

12) il tesla [T] = [Kg·s-2·A-1], è l'induzione magnetica ovvero il rapporto tra il flusso concatenato
con la linea di contorno di una superficie chiusa e l'area della proiezione di tale superficie su un
piano ortogonale alla direzione del campo, quando il rapporto stesso è unitario.

13) l'henry [H] = [m2· Kg·s-2·A-2], è l'induttanza di un circuito nel quale si autoinduce una forza
elettromotrice di 1 [V] quando la corrente elettrica che lo percorre varia uniformemente di 1 [A] al
secondo.

14) il lumen [lm] = [cd·sr], è il flusso luminoso emesso, sotto l'angolo solido di 1 [sr], da una
sorgente luminosa puntiforme, uniforme e posta nel vertice dell'angolo solido, che ha un'intensità
luminosa di 1 [cd].

15) il lux [lx] = [m-2·cd·sr], è l'illuminamento di una superficie che riceve perpendicolarmente,
uniformemente ripartito, un flusso luminoso di 1 [lm] su ogni metro quadrato.

Altre unità di misura, non appartenenti al SI ma spesso usate nelle mondo delle applicazioni
elettrotecniche, sono il cavallo vapore [CV] ≅ 735,5 [W] per la potenza; la caloria internazionale
[cal] ≅ 4,186 [J] e il kilowattora [kWh] = 3,6·106 [J] per l'energia; il kilogrammo forza [kgf] ≅ 9,807
[N] per la forza; il bar [bar] = 105 [Pa] , il millimetro di colonna di mercurio [mmHg] ≅ 133,3 [Pa] ,
l'atmosfera fisica [atm] ≅ 101,3·103 [Pa] e l'atmosfera tecnica [at] ≅ 98,07·103 [Pa] per la pressione,
l'amperora [Ah] = 3,6·103 [C] per la carica elettrica.
Infine ricordiamo i multipli ed i sottomultipli decimali delle unità:

potenza in abbrevia- potenza in abbrevia-


prefisso prefisso
base 10 zione base 10 zione
1012 tera... T 10-2 centi... c
9 -3
10 giga... G 10 milli... m
106 mega... M 10-6 micro... µ
3 -9
10 kilo... k 10 nano... n
2 -12
10 etto... h 10 pico... p
101 deca... da 10-15 femto... f
-1 -18
10 deci... d 10 atto... a

Gli oggetti fisici mediante i quali si materializzano le unità di misura si chiamano campioni.
Tralasciamo la descrizione generalizzata dei campioni per ricordare soltanto che tutte le misure
elettriche e magnetiche si fondano sulla disponibilità di campioni di forza elettromotrice e di
campioni di resistenza, dai quali, con l'ausilio di campioni di tempo e di campioni di lunghezza, si
possono ricavare le misure di tutte le altre grandezze. Nei laboratori di misure elettriche, quale
campione di f.e.m. si impiega spesso la pila Weston che fornisce ai morsetti, a circuito aperto ed
alla temperatura di 20 [°C], una tensione pari a 1,01865 [V] nota con l'incertezza dello 0,001%;
nell'impiego pratico è essenziale che tale campione non venga attraversato da corrente, se non di
valore piccolissimo e per tempi brevi. Per quanto riguarda i campioni di resistenza, essi vengono
realizzati in manganina (lega ternaria composta di rame, manganese e nichel) visto che presenta
un'ottima stabilità nel tempo, un coefficiente di temperatura piccolissimo, un alto valore della
resistività (compreso tra 0,42 e 0,45 [µΩ·m]) ed un potenziale termoelettrico rispetto al rame
trascurabile; l'incertezza cui possono arrivare le resistenze campione è dell'ordine dello 0,001% e la
potenza massima che in esse si può dissipare è di circa 1 [W].

Teoria degli errori, propagazione degli errori, cifre significative ed arrotondamenti

Teoria degli errori

Una misura non è mai esatta, se non per caso, ma sempre affetta da errori. Con particolare
riferimento alle misure elettriche, oltre agli errori grossolani dovuti a disattenzione, di ampiezza tale
da essere immediatamente riconoscibili, che ovviamente portano a risultati che vanno subito
scartati, si possono avere due tipi di errori:

a) errori sistematici, che influenzano il risultato della misura sempre nello stesso senso e non
possono pertanto venire compensati facendo la media di più misurazioni. Sono tali gli errori
strumentali dipendenti dalle caratteristiche costruttive degli strumenti di misura e gli errori
dipendenti dall'autoconsumo degli strumenti impiegati e cioè conseguenti agli assorbimenti di
corrente degli strumenti collegati in derivazione ed alle cadute di tensione provocate dagli strumenti
collegati in serie. Gli errori sistematici possono essere sempre determinati (eseguendo un'accurata
indagine critica del metodo impiegato e delle apparecchiature usate) e risulta così possibile
apportare le opportune correzioni al risultato della misura od almeno individuare l'incertezza che
accompagna il risultato della misura.

b) errori accidentali, dovuti a cause che si possono immaginare in linea di principio ma di cui non si
possono prevedere gli effetti. In genere sono conseguenza dell'incertezza con cui sono poste
determinate condizioni di misura che vengono invece considerate come se fossero attuate
esattamente: per esempio piccole oscillazioni della temperatura ambiente, piccole variazioni della
resistenza di contatto di morsetti o commutatori possono influenzare i risultati di una misura
introducendo errori rispetto al valore vero della grandezza misurata. Gli errori accidentali hanno la
proprietà di essere variabili sia in valore che in segno e si individuano ripetendo una misura diverse
volte con gli stessi strumenti e in condizioni che, per quanto sta nelle facoltà dell'operatore, possono
essere ritenute costanti. L'eventuale discordanza dei risultati, supposto nullo ogni errore sistematico,
sarà dovuta alla presenza di errori accidentali. La teoria degli errori accidentali viene svolta
mediante la matematica probabilistica e tale argomento esula dalla nostra trattazione.

Ricordiamo solo che, ripetendo n volte la misura della stessa grandezza, se xi è il risultato della
prova i-esima, il valore più probabile della grandezza in misura è la media aritmetica dei risultati:

Si definisce scarto della misura i-esima rispetto al valore medio la differenza zi = xi - Xm con:

Il valore dell'errore assoluto da associare al valore medio è lo scarto quadratico medio:

Nella pratica normale delle misure elettriche accade che gli errori sistematici che non si riesce a
correggere, chiamati errori sistematici residui, prevalgono nettamente sugli errori accidentali così
che prove ripetute sulla medesima grandezza danno tutte gli stessi risultati. Si assume pertanto
come misura della grandezza il valore ottenuto da un'unica prova e come errore l'errore massimo
(somma di tutti gli errori sistematici residui).

Si definisce errore assoluto la differenza tra il valore misurato ed il valore vero di una grandezza:

Si definisce errore relativo il rapporto fra l'errore assoluto ed il valore vero, considerando però che
∆X è di solito piccolo, al valore vero si può sostituire il valore misurato:

Se l'errore assoluto ∆X è noto nel valore e nel segno si può calcolare il valore vero, noto che sia
quello misurato:
Più spesso si hanno errori noti in ampiezza ma non nel segno, quindi si potrà solo determinare
l'intervallo di valori entro il quale certamente è contenuto il valore vero:

Risulta così definita l'incertezza (imprecisione) con la quale si conosce il risultato della
misurazione, esprimibile in valore assoluto od in valore relativo percentuale .

Propagazione degli errori

Spesso è necessario ricavare il valore di una grandezza sviluppando operazioni di calcolo sui valori
misurati di altre grandezze. Chiamiamo con Am , ∆A , eA , Bm , ∆B , eB i valori misurati e gli errori
assoluto e relativo di due grandezze, di tali errori si immagina di non conoscerne il segno e quindi
di assumerli nei calcoli ponendosi sempre nelle condizioni più sfavorevoli.

a) somma aritmetica delle grandezze:

Sm = Am + Bm , ∆S = ± (∆
∆A + ∆B) ,

Si può osservare che nel caso di somma di più termini, se uno di essi è molto piccolo rispetto agli
altri, l'importanza dell'errore che ad esso compete è piccola anche se tale errore è relativamente
elevato. Inoltre l'errore relativo della somma è sempre più piccolo dell'errore relativo massimo
commesso nelle misure delle singole grandezze.

b) differenza aritmetica delle grandezze:

Dm = Am - Bm , ∆D = ± (∆
∆A + ∆B) ,

Il risultato della differenza è affetto da un errore relativo sempre maggiore degli errori relativi delle
singole grandezze sulle quali si è operato. Tale errore relativo è tanto più grande quanto più le
grandezze misurate sono tra di loro vicine, addirittura tende ad infinito se Bm tende ad Am. Quindi
bisogna evitare metodi di misura che prevedano calcoli di differenza tra due grandezze.

c) prodotto delle grandezze:

Pm = Am · Bm , ∆P = ± (∆
∆A·Bm + ∆B·Am+ ∆A·
∆ ∆B)
∆ ≅ ± (∆
∆A·Bm + ∆B·Am)

Essendo l'errore relativo del prodotto pari alla somma degli errori relativi delle singole grandezze
misurate, queste devono essere tutte misurate con la stessa cura.

d) potenza e radice (sottocasi del prodotto):

Wm = Amn , eW ≅ ± n·eA
e) quoziente delle grandezze:

Valgono le stesse considerazioni fatte sul prodotto.

f) coseno:

ϕm , eC ≅ ± ∆ϕ·tgϕ
C = cosϕ ∆ϕ ϕm , ∆C ≅ ± eC·C

dove ϕm è il valore misurato dell'angolo e ∆ϕ il corrispondente errore assoluto.

Cifre significative ed arrotondamenti

Nell'esprimere il risultato di una misura per mezzo del corrispondente valore numerico occorre
tenere presente che, a causa della imprecisione della misura, tale valore numerico potrebbe
contenere una o più cifre prive di significato.

Ad esempio supponiamo di leggere sulla scala di un voltmetro l'indicazione Vm = 156,4 [V]. Se


l'incertezza della misura, espressa in valore assoluto, vale ∆V = 5 [V] risulta evidente che non ha
nessun senso trascrivere anche l'ultima cifra del valore misurato e cioè i 4 decimi di [V].

In linea generale i risultati di una misura debbono essere rappresentati in modo da limitare il
numero di cifre significative a quelle che sono prive di incertezza, fatta eccezione per l'ultima che
deve essere arrotondata in relazione alle cifre seguenti. Una regola pratica che può essere adottata è
la seguente: nel riportare il risultato di una misura possono essere trascurate tutte quelle cifre che
comportano una variazione minore di un decimo dell'errore assoluto della misura stessa.

Osservazione: le cifre significative sono quelle che si incontrano nel numero a partire dalla prima
cifra di sinistra diversa dallo zero. Ad esempio il valore 0,00201 ha tre cifre significative, il valore
0,002010 ha quattro cifre significative.

Osservazione: gli esempi seguenti mostrano come arrotondare a due cifre significative alcuni valori:

0,1245 ≅ 0,12 , 0,12501 ≅ 0,13 , 0,1205 ≅ 0,12 , 0,125 ≅ 0,12 , 0,135 ≅ 0,14

In definitiva, la cifra da approssimare si lascia inalterata (arrotondamento per difetto) se quella che
segue è minore di 5, si aggiunge una unità (arrotondamento per eccesso) se quella che segue è
maggiore di 5 (oppure 5 seguito da altre cifre non tutte nulle), è indifferente come si approssima se
quella che segue è 5 seguito eventualmente da tutti zeri anche se è in uso lasciare la cifra inalterata
se è pari e aggiungere una unità se è dispari.

Strumenti di misura
Possono essere classificati a seconda del modo con cui è misurata la grandezza elettrica, si hanno:
a) strumenti indicatori che visualizzano istantaneamente il valore della quantità misurata senza
memorizzarla; b) strumenti registratori che forniscono l'andamento temporale della grandezza da
misurare; c) strumenti integratori che forniscono in uscita l'integrale nel tempo della grandezza in
oggetto, sono anche detti contatori.

Noi tratteremo soltanto gli strumenti indicatori. Si possono avere strumenti indicatori analogici e
strumenti indicatori digitali. Vediamone le specifiche più importanti.

Strumenti indicatori analogici

In tali strumenti il risultato della misura è fornito dalla lettura della deviazione di un indice
materiale o luminoso che si muove su una scala graduata, la deviazione dell'indice è una funzione
continua della grandezza misurata.

Si hanno strumenti analogici elettromeccanici e strumenti analogici elettronici.

Gli strumenti analogici elettromeccanici sfruttano fenomeni per i quali l'interazione di grandezze
elettriche o magnetiche dà luogo ad una forza o ad una coppia meccanica. Sono costituiti da un
equipaggio mobile, avente una posizione iniziale di riposo, sul quale agisce una coppia motrice CMX
funzione continua della grandezza elettrica GX che si intende misurare. Alla coppia motrice viene
opposta una coppia antagonista, normalmente di tipo elastico e realizzata tramite una molla, che
tende a ricondurre l'equipaggio mobile nella posizione iniziale al cessare dell'azione prodotta dalla
coppia motrice stessa. Dall'equilibrio delle due coppie, trascurando gli attriti, si ottiene una
deviazione angolare δAX proporzionale alla grandezza elettrica misurata. All'equipaggio mobile
viene fissato un indice che ruota in corrispondenza di una scala graduata in divisioni che permette la
lettura dello strumento sotto forma di numero di divisioni δX. Lo schema a blocchi di un tale
strumento può essere il seguente:

A seconda del principio di funzionamento alla base del convertitore elettromeccanico si possono
avere diversi tipi di strumenti. I più importanti sono:

a) strumenti magnetoelettrici (detti a bobina mobile), usati in corrente continua e che possono essere
impiegati come amperometro, voltmetro, Ohmetro. Portano il simbolo disegnato sotto impresso sul
quadrante.

b) strumenti elettromagnetici (detti a ferro mobile), usati sia in corrente continua che alternata e che
possono essere impiegati come amperometro, voltmetro, frequenzimetro. Portano il simbolo
disegnato sotto impresso sul quadrante.
c) strumenti elettrodinamici, usati sia in corrente continua che alternata e che possono essere
impiegati come amperometro, voltmetro, frequenzimetro, wattmetro, contatore. Portano il simbolo
disegnato sotto impresso sul quadrante.

d) strumenti ad induzione, usati in corrente alternata e che possono essere impiegati come
wattmetro, contatore. Portano il simbolo disegnato sotto impresso sul quadrante.

Gli strumenti analogici elettronici sono impiegati per misure sia in continua che in alternata e
contengono apparati elettronici (quali filtri, oscillatori, raddrizzatori, amplificatori, ...) che
manipolano la grandezza elettrica da misurarsi GX trasformandola in corrente continua IGX ad essa
proporzionale misurata infine da uno strumento magnetoelettrico. La presenza di un amplificatore
permette di realizzare strumenti ad alta sensibilità. Ulteriore caratteristica di questi strumenti è
quella di avere una altissima impedenza d'ingresso con conseguente bassissimo consumo. Quale
aspetto negativo si ha la necessità di alimentarli (solitamente alla tensione alternata di 220 [V], 50
[Hz]) perché possano funzionare gli apparati elettronici che li compongono, mentre gli apparecchi
elettromeccanici non esigono alimentazione. L'impiego più comune è come voltmetro o
frequenzimetro, anche se attualmente tendono ad essere sostituiti dagli strumenti digitali. Lo
schema a blocchi di uno strumento analogico elettronico può essere il seguente:

Le specifiche più importanti che caratterizzano uno strumento analogico sono:

a) sensibilità: rappresenta il rapporto tra una variazione ∆GX della grandezza misurata e la
corrispondente variazione ∆δX della deviazione dello strumento. L'unità di misura della sensibilità è
il rapporto tra l'unità di misura della grandezza oggetto della misurazione e l'unità di misura della
deviazione (ad esempio per un voltmetro si ha [V/δ]).

b) risoluzione: esprime la minima variazione della grandezza misurata rilevabile con sicurezza
attraverso uno spostamento dell'indice.

c) portata: indica il valore massimo della grandezza incognita misurabile con lo strumento. La
portata corrisponde al limite superiore assoluto del campo di misura.
d) sovraccarico: indica la possibilità di effettuare misure di grandezze superiori alla portata, il
sovraccarico è spesso espresso in percento della portata.

e) prontezza: è il tempo impiegato dallo strumento per indicare il valore della grandezza misurata
entro i suoi limiti di accuratezza.

f) gamma di frequenza: è l'intervallo di frequenza entro il quale lo strumento assicura l'accuratezza


nominale.

g) impedenza d'ingresso: è l'impedenza [Ω] offerta dallo strumento al segnale da misurare, per gli
strumenti elettromeccanici ha una natura prevalentemente Ohmica.

h) indice della classe di precisione: definisce l'accuratezza dello strumento ed è il limite superiore

dell'errore assoluto rapportato alla portata PG e moltiplicato per 100, ovvero:

arrotondato al valore normalizzato immediatamente superiore. Gli indici che definiscono le classi di
precisione per gli strumenti elettrici industriali sono i seguenti:

0,05 - 0,1 - 0,2 - 0,3 - 0,5 - 1 - 1,5 - 2 - 2,5 - 3 - 5

Ovviamente gli indici più piccoli sono riferiti agli strumenti destinati ai laboratori, i più alti agli
strumenti da quadro.

i) divisioni di fondo scala: è il numero δFS delle divisioni che compongono la scala dello strumento.

l) costante della scala: è il rapporto tra la portata e le divisioni di fondo scala . L'unità
di misura della costante della scala è il rapporto tra l'unità di misura della portata e l'unità di misura
della deviazione (ad esempio per un voltmetro si ha [V/δ]).

Vediamo mediante un esempio come si impiegano alcune delle specifiche sopra elencate.
Immaginiamo di effettuare la misura di una corrente continua con un amperometro magnetoelettrico
avente portata PA = 5 [A] , numero di divisioni di fondo scala δFS = 100 , classe di precisione Cl =
0,2 , impedenza d'ingresso (resistenza interna, che si può ritenere nota senza errore) RA = 0,15 [Ω].
Supponiamo che l'indice dello strumento si sia fermato, nella misurazione, sulla sessantacinquesima
divisione della scala, si potrà calcolare:

a) il valore misurato:

b) l'errore assoluto strumentale e l'errore relativo percentuale:


E' importante osservare che l'errore assoluto strumentale dipende dalla classe di precisione ed è
costante per tutto il campo di misura, quindi l'errore relativo si fa tanto più grande quanto più
piccolo è il valore misurato rispetto alla portata. Per questo motivo è opportuno utilizzare strumenti
aventi una portata tale da collocare il valore misurato oltre i due terzi della portata stessa.

c) il valore vero:

Abbiamo ritenuto che l'incertezza della misura sia determinata unicamente dall'errore proprio dello
strumento, il cui segno è per sua natura ignoto. Questo modo di procedere è accettabile solo se si
può escludere la presenza di altri errori (sistematici o accidentali) oppure se gli altri eventuali errori
sono di entità trascurabile.

Per quanto riguarda il numero di cifre significative con le quali trascrivere il valore misurato,
ricordando che devono essere trascurate quelle che comportano una variazione inferiore ad un
decimo dell'errore assoluto e quindi inferiore a 0,001 [A], sarà Im = 3,350 [A]. In tale valore, le
prime tre cifre significative sono da considerarsi esatte mentre la quarta è stata aggiunta al fine di
informare sul grado di accuratezza che caratterizza la misura (se il risultato della misura fosse stato
composto da più di quattro cifre significative, si sarebbe dovuto limitare il valore alle prime quattro
approssimando la quarta cifra secondo i criteri già esposti).

d) l'autoconsumo dello strumento:

si può calcolare come potenza dissipata internamente all'amperometro oppure come caduta di
tensione interna all'amperometro (nel caso lo strumento fosse stato un voltmetro, anziché calcolare
la c.d.t. si deve calcolare la corrente derivata), quindi:

PAI = RA·Im2 = 0,15·3,3502 = 1,683 [W] , VAI = RA·Im = 0,15·3,350 = 0,5025 [V]

L'autoconsumo in potenza è noto con un errore relativo percentuale pari a ± 0,6 (essendo calcolato
attraverso il quadrato della corrente, affetta da un errore relativo percentuale pari a ± 0,3,
moltiplicato per la resistenza interna nota senza errore), mentre l'autoconsumo in tensione è noto
con un errore relativo percentuale pari a ± 0,3 (di facile giustificazione).

Strumenti indicatori digitali

Gli strumenti con presentazione in forma digitale o numerica diretta offrono molteplici vantaggi
rispetto ai corrispondenti tipi analogici, ed in particolare: facilità di lettura essendo abolita
l'operazione di interpolazione tra due divisioni contigue e il calcolo della costante della scala,
maggiore accuratezza e risoluzione, basso livello di rumore, elevata velocità di misura, possibilità di
inserimento in un complesso di misura automatico controllato da un elaboratore elettronico. Quale
aspetto negativo si ha la necessità di alimentarli (solitamente alla tensione alternata di 220 [V], 50
[Hz]) perché possano funzionare gli apparati elettronici che li compongono. La figura seguente
mostra lo schema a blocchi di uno strumento digitale:
Si osserva che la grandezza da misurare GX viene convertita in un segnale continuo di tensione VX
che, a sua volta, viene convertito in un segnale digitale binario (successione di bit) inviato infine
alla sezione di decodifica e visualizzazione che avviene sotto forma numerica. Il tutto è gestito da
un controllore, di solito costituito da un microprocessore. Il numero di cifre col quale viene fornita
l'indicazione numerica dipende dall'accuratezza dello strumento, essendo inutile rappresentare cifre
non significative (delle quali, cioè, non può essere assicurata la fondatezza). Tuttavia, molto spesso
il numero visualizzato comprende una cifra in più rispetto all'accuratezza dello strumento, questo
per rendere massima la risoluzione. Ad esempio, uno strumento col visualizzatore a cinque cifre e
quindi con 100000 punti di misura (da 00000 a 99999) ha una risoluzione del visualizzatore pari a
1/100000 = 10-5 mentre la sua accuratezza potrebbe essere pari a 10-4.

Gli strumenti digitali offrono inoltre la possibilità di effettuare la memorizzazione ed il successivo


richiamo dei valori misurati, nonché la loro elaborazione e controllo remoti potendo tali strumenti
essere interfacciati con sistemi a microprocessore fino ad ottenere strutture automatiche di misura
(SAM).

Le specifiche più importanti che caratterizzano uno strumento digitale sono:

a) accuratezza (precisione): definisce l'errore strumentale e può essere espressa come:

1) errore relativo percentuale sul fondo scala, del tutto analogo alla classe di precisione degli
strumenti analogici:

dove PG è il fondo scala (portata) dello strumento, Gm e Gv il valore misurato e quello vero.

2) errore relativo percentuale sul valore misurato:

3) numero di digit, ovvero numero di unità della cifra meno significativa del visualizzatore.

In generale il costruttore per indicare la precisione dello strumento fornisce almeno due dei tre
valori sopra definiti, nella forma:

accuracy = ±(eFS% + eVM%);


accuracy = ±(eFS% + Ndigit);
accuracy = ±(eVM% + Ndigit);

b) tempo di misura: è il tempo impiegato dallo strumento per effettuare un ciclo di misura. Anziché
il tempo, può essere indicata la frequenza, ovvero il numero di cicli di misura effettuabili in un
secondo.

c) risoluzione: è il peso dell'ultima cifra del visualizzatore nella portata più bassa. Ad esempio per
un voltmetro di portata minima 0,1 [V] con display a 4 cifre, l'ultima cifra a destra indica i
centesimi di [millivolt], quindi la risoluzione di tale strumento è di 0,01 [mV]. A volte la
risoluzione è indicata in parti per milione, nell'esempio fatto si hanno 100 p.p.m..

d) sovraportata: lo strumento digitale è in grado di misurare grandezze superiori al fondo scala


(portata). Si definisce sovraportata la percentuale rispetto al fondo scala del campo di misura
ricoperto dallo strumento oltre la portata. Ad esempio, un voltmetro di portata 100 [V], con display
a 3 cifre e con una sovraportata del 20% può misurare fino a 120 [V]. Per permettere misure in
sovraportata lo strumento dispone di una quarta indicazione sul display (ad esempio una barra
verticale) che si illumina quando lo strumento va in sovraportata. Tale indicazione viene chiamata
mezza cifra e si dice che lo strumento dell'esempio è a 3½ cifre.

e) punti di misura: è il numero di indicazioni distinte che lo strumento può dare, compresa
l'eventuale sovraportata. Ad esempio uno strumento a 3 cifre dispone di 1000 punti di misura (da
000 a 999), uno strumento a 3½ cifre con sovraportata del 20% dispone di 1200 punti (da 0000 a
1199).
Osservazione: attualmente l’uso della ½ cifra è più spesso fatto col seguente criterio. Uno strumento
a 3 cifre, ad esempio, permette di visualizzare valori tra 000 e 999, quindi rende possibili 1000
diverse letture. La risoluzione del visualizzatore sarà quindi 1/1000 ovvero lo 0,1%. Per ampliare il
margine di misura e la risoluzione si ricorre alla ½ cifra. Si tratta di dotare il visualizzatore di una
cifra aggiuntiva (la prima a sinistra) che può indicare solamente i valori 0 ed 1. Ad esempio nel caso
di 3½ cifre il campo di misura va da 0000 a 1999 con una risoluzione del visualizzatore pari a
1/2000 ovvero 0,05%.

f) impedenza d'ingresso: è l'impedenza all'ingresso dello strumento.

g) rumore: rappresenta la fluttuazione casuale, dovuta a cause fisiche intrinseche allo strumento, che
si sovrappone al segnale utile da misurare. Si manifesta con fluttuazioni della cifra meno
significativa.

h) reiezione di modo normale (NMR): indica l'attitudine dello strumento di distinguere il segnale da
misurare dai rumori nell'ingresso di misura, si esprime in decibel.

i) reiezione di modo comune (CMR): indica l'attitudine dello strumento di distinguere il segnale da
misurare dai rumori presenti fra ingresso di misura e massa, si esprime in decibel.

Vediamo mediante un esempio come si impiegano alcune delle specifiche sopra elencate.
Effettuiamo la misura di una corrente continua con un amperometro digitale di portata PA = 100
[mA] , display di 3 ½ cifre ed accuracy ± (0,1% della lettura + 1 digit).

Se la misura è stata di 90 [mA], l'accuratezza risulterà pari a:


dove lo 0,1 [mA] che compare come secondo termine per il calcolo dell'errore assoluto è il
contributo di 1 digit per errore di risoluzione, ovvero avendo 3 cifre piene e quindi 1000 punti di
misura in assenza di sovraportata, un errore pari a:

Il valore vero della corrente misurata sarà IV = (90 ± 0,19) [mA].

Alimentazione e regolazione dei circuiti di misura

Nel condurre una misura elettrica è quasi sempre necessario approntare un circuito di misura,
alimentare e regolare l'intensità della tensione applicata al circuito o, la qual cosa è equivalente,
regolare la corrente nel circuito. Noi ci limiteremo, per il momento, ad approfondire il caso di
circuiti in corrente continua per la cui regolazione si impiegano dei resistori regolabili (a due
morsetti) o dei resistori potenziometrici (a tre morsetti):

I resistori potenziometrici, alimentati da una tensione costante V [V] tra i morsetti A e B,


consentono di derivare una tensione variabile tra 0 e V [V] tra i morsetti C e B. La tensione derivata
è 0 quando il cursore si trova all'estrema destra, è V [V] quando il cursore si trova all'estrema
sinistra.

Alimentazione dei circuiti di misura in corrente continua

La più importante qualità richiesta alle sorgenti di energia è la stabilità nel tempo della tensione
fornita. Si usano solitamente le seguenti sorgenti:

a) Batterie di accumulatori al piombo. La tensione ai morsetti di un accumulatore al piombo durante


la scarica si abbassa rapidamente da 2,2 [V] a 2 [V] per elemento e poi, molto più lentamente,
decresce fino a 1,9 [V]. In seguito la diminuzione si accentua e alla tensione di 1,8 [V] si può
ritenere l'accumulatore scarico. Lavorando nella zona compresa tra 2 e 1,9 [V] si ottiene quindi una
discreta stabilità della tensione soprattutto se si fa erogare alla batteria una corrente notevolmente
inferiore al suo valore nominale. Collegando in serie parecchi elementi si formano batterie aventi
tensioni fino a 200 ÷ 300 [V] con capacità di alcune decine di [Ah]. Collegando in parallelo pochi
elementi aventi ciascuno capacità di alcune centinaia di [Ah] si formano batterie capaci di erogare,
su circuiti di piccola resistenza, valori di corrente di 1000 ÷ 2000 [A].

b) Gruppi generatori. Sono costituiti da un motore in corrente alternata che trascina una dinamo
(oppure da un motore in corrente continua, alimentato da batterie di accumulatori, accoppiato
sempre ad una dinamo). Hanno il vantaggio di permettere una variazione continua della tensione,
mentre le batterie di accumulatori necessitano di reostati in derivazione che determinano notevoli
dispendi d'energia. Inoltre, dotando il gruppo di un sensibile regolatore di velocità, è possibile
rendere estremamente stabile la tensione sia nel tempo che al variare della corrente erogata. Hanno
lo svantaggio di fornire una tensione modulata (cioè costituita da una componente continua e da
una, seppur piccola, alternata sovrapposte) e per le misure di elevata precisione questo fatto può
essere causa di disturbi.

c) Alimentatori elettronici. Questi apparecchi tendono a sostituire le sorgenti sopra citate.

Ricevono energia dalla rete in corrente alternata e la presentano ai morsetti d'uscita trasformata in
corrente continua con elevata stabilità. La figura mostra lo schema a blocchi di un alimentatore.
Vediamo che la tensione di rete è applicata ad un circuito raddrizzatore e successivamente ad un
circuito filtro particolarmente efficace da cui esce trasformata in tensione continua avente una
componente alternata trascurabile. Tale tensione è poi sottoposta all'azione di un circuito regolatore
automatico che è comandato, attraverso un amplificatore, da un segnale di tensione differenza tra la
tensione d'uscita e una tensione costante di riferimento. La tensione d'uscita passa infine per un
circuito di regolazione manuale mediante il quale si può ottenere il valore desiderato ai capi del
circuito di misura. Si costruiscono alimentatori che forniscono tensioni continue fino a 30 [KV] ed
altri che erogano correnti fino a 1000 [A]. Le variazioni della tensione d'uscita sono contenute a ±
0,001% del valore prefissato anche per variazioni della tensione alternata d'alimentazione di ± 10%
del valore nominale.

Regolazione in corrente continua con resistori in serie

Lo schema riportato sopra mostra la regolazione con resistore in serie. Con V0 [V] si è indicata la
f.e.m. costante del generatore (assunto ideale e quindi privo di resistenza interna) che alimenta il
circuito, con R [Ω] la resistenza propria del circuito di misura, con RS [Ω] la resistenza del resistore
ed rS [Ω] la porzione di resistore inserita. Per un prefissato valore di R, il valore minimo della
corrente nel circuito vale [A] ottenibile con rS = RS, il valore massimo vale
[A] ottenibile con rS = 0. Queste relazioni permettono di scegliere opportunamente il
valore del reostato o della tensione di alimentazione una volta fissato il campo di regolazione
desiderato per la corrente.

Vediamo di determinare come varia la corrente nel circuito al variare della porzione di reostato
inserita, supponendo costanti RS ed R. Applicando la legge di Ohm si ha ,
dividendo entrambi i membri per si ha:

Infine dividendo numeratore e denominatore per RS e ponendo si ha:

Il diagramma sopra riportato mostra la funzione I/Imax = f(α α) per diversi valori di RS/R. Si osserva
che tale variazione è quasi lineare (con lineare si intende rettilinea in modo tale che le variazioni di
corrente siano proporzionali alle variazioni di reostato inserito) solo nel caso di RS/R molto piccolo
e, purtroppo, con tale condizione il campo di variazione per la corrente è molto piccolo. Se si
desidera un campo di variazione ampio bisogna aumentare RS/R ma così facendo si ha una
variazione assolutamente non lineare e quindi sgradita. In nessun modo si riesce a raggiungere il
valore zero per la corrente nel circuito. In definitiva questo tipo di regolazione è accettabile purché
non sia necessario raggiungere il valore zero di corrente ed il campo di variazione sia limitato.

Regolazione in corrente continua con resistori in derivazione


Lo schema riportato sopra mostra la regolazione con resistore in derivazione. Con V0 [V] si è
indicata la f.e.m. costante del generatore (assunto ideale e quindi privo di resistenza interna) che
alimenta il circuito, con R [Ω] la resistenza propria del circuito di misura, con RD [Ω] la resistenza
del resistore ed rD [Ω] la porzione di resistore inserita. Per un prefissato valore di R, il valore
minimo della corrente I nel circuito di misura vale 0 [A] ottenibile con rD = 0, il valore massimo
vale [A] ottenibile con rD = RD (questa relazione permette di scegliere
opportunamente il valore della tensione di alimentazione una volta fissato il campo di regolazione
desiderato per la corrente).

Vediamo di determinare come varia la corrente I nel circuito di misura al variare della porzione di
reostato inserita, supponendo costanti RD ed R. Analizzando il circuito si ottiene:

dividendo entrambi i membri per si ha:

Infine dividendo numeratore e denominatore per RD e ponendo , dopo opportune


semplificazioni si ha:
Il diagramma sopra riportato mostra la funzione I/Imax = f(α α) per diversi valori di RD/R. Si osserva
che l'andamento approssima tanto più quello lineare quanto più è piccolo RD/R , questo significa
dover tenere valori piccoli per RD il che comporta come conseguenza la presenza di valori molto
elevati di corrente I0 ed ID sul reostato anche per correnti I molto piccole nel circuito di misura.
Ovviamente questo fatto è indesiderato in quanto la portata dei reostati di precisione è limitata e,
inoltre, si ha una significativa dissipazione per effetto Joule anche in assenza di corrente nel
circuito.

Alimentazione dei circuiti di misura in corrente alternata

Deve essere garantita la stabilità sia del valore efficace che della frequenza della tensione, inoltre la
forma d'onda deve essere perfettamente sinusoidale. Si usano solitamente le seguenti sorgenti:

a) Rete di distribuzione ENEL. E' il sistema più diffuso anche perché la frequenza è garantita al
valore 50 ± 0,05 [Hz]. Il valore efficace può variare in modo più ampio, tuttavia l'impiego di
adeguati stabilizzatori riconduce le variazioni a valori accettabili (la presenza degli stabilizzatori
può però deformare la forma dell'onda).

b) Gruppi generatori. Sono costituiti da un motore in corrente continua, alimentato da batterie, che
trascina un alternatore il quale produce l'energia in corrente alternata necessaria. Questa scelta
permette di avere una alimentazione completamente autonoma, esente dai disturbi eventualmente
presenti nella rete di distribuzione. Inoltre permette di variare a piacere la frequenza ed il valore
efficace della tensione senza determinare deformazioni nella forma dell'onda.

c) Stazioni di alimentazione elettroniche. Sono dispositivi elettronici completamente statici che


permettono di generare tensioni alternate con frequenze comprese tra 5 e 100000 [Hz]. Le tensioni
ottenibili arrivano a 1000 [V], le correnti a 20 [A]. La stabilità della frequenza e del valore efficace
della tensione arriva a ± 0,01%. La deformazione della forma dell'onda è ancor più piccola di quella
propria della rete ENEL.

Regolazione in corrente alternata


Nel caso di alimentazione dalla rete è necessario rendere variabile, meglio se con continuità, il
valore fisso di tensione che la rete fornisce al circuito di misura. Questo compito viene
generalmente assolto mediante i regolatori a induzione e i variatori a contatto strisciante
(VARIAC). I primi sono impiegati quasi esclusivamente in circuiti di potenza elevata (dell'ordine
delle decine di chilovoltampere) e consistono di un motore asincrono trifase alimentato dal rotore il
quale non è libero di girare ma può essere fatto ruotare solo manualmente o mediante un dispositivo
automatico, la tensione regolata si preleva dallo statore. I secondi sono preferiti per i circuiti di
potenza inferiore e consistono di autotrasformatori a rapporto di trasformazione variabile.

Misura di corrente

Vengono impiegati gli amperometri. Caratteristica generale di questa categoria di strumenti è


l'inserzione in serie nel circuito da misurare, da ciò consegue che la loro resistenza interna deve
essere piccola e quindi trascurabile rispetto a quella del circuito sul quale sono inseriti (in tal modo
si ha un autoconsumo molto ridotto e non si alterano le condizioni di funzionamento del circuito).

Misura nei circuiti in corrente continua

Si possono impiegare amperometri magnetoelettrici a bobina mobile, amperometri elettromagnetici


a ferro mobile, amperometri elettrodinamici con bobine in parallelo, amperometri termici a coppia
termoelettrica, multimetri analogici o numerici commutati sulla misura di corrente continua.E'
fondamentale inserirli rispettando le polarità dello strumento: la corrente continua deve essere
entrante nel morsetto contrassegnato positivamente.

Nel caso in cui la portata dello strumento superi la corrente da misurarsi si effettua l'inserzione
diretta. Se IP [A] è la portata, δFS sono le divisioni di fondo scala, Cl la classe di precisione, RA [Ω]
la resistenza interna (supposta nota con precisione assoluta), δ le divisioni lette, la corrente Im [A]
misurata e gli errori ad essa associati valgono:

La caduta di tensione e l'autoconsumo nello strumento valgono:


Nel caso in cui la corrente nel circuito superi la portata dello strumento si deve ricorrere
all'inserzione tramite uno shunt (derivatore di corrente). Lo shunt è una resistenza RS che, inserita in
parallelo all'amperometro, deriverà una parte IS della corrente I del circuito, così che la parte Im
che attraverserà l'amperometro sarà inferiore alla portata dello stesso. Si dimostra che I = KS·Im
[A] con:

Nell'ipotesi di conoscere le resistenze con precisione assoluta, si hanno gli stessi errori visti nel caso
precedente.

La caduta di tensione e l'autoconsumo valgono:

VAS = RA·Im= RS·IS= (RA//RS)·I [V] , PAS = RA·Im2 + RS·IS2 = (RA//RS)·I2 [W]

Se si ha un amperometro di resistenza interna RA e si desidera aumentare la sua portata di un fattore


KS, si dovrà porre in parallelo uno shunt di resistenza:

Naturalmente la portata in corrente dello shunt dovrà essere adeguata alla corrente che lo
attraverserà.

Misura nei circuiti in corrente alternata

Si possono impiegare amperometri elettromagnetici a ferro mobile, amperometri elettrodinamici


con bobine in parallelo, amperometri termici a coppia termoelettrica, multimetri analogici o
numerici commutati sulla misura di corrente alternata.

Nel caso in cui la portata dello strumento sia inferiore alla corrente nel circuito, si dovrà inserire
l'amperometro tramite un trasformatore di misura amperometrico (TA). In corrente alternata non è
lecito usare derivatori di corrente in quanto se così si facesse si produrrebbero delle deformazioni
nella forma d'onda sinusoidale delle grandezze elettriche.

Misura di tensione

Vengono impiegati i voltmetri. Caratteristica generale di questa categoria di strumenti è l'inserzione


in parallelo (derivazione) nel circuito da misurare, da ciò consegue che la loro resistenza interna
deve essere grande rispetto a quella del circuito sul quale sono inseriti (in tal modo si ha un
autoconsumo molto ridotto e non si alterano le condizioni di funzionamento del circuito).

Misura nei circuiti in corrente continua

Si possono impiegare voltmetri amperometrici (si ottengono dagli amperometri già visti collegando
in serie un resistore addizionale), voltmetri elettrostatici, spinterometri (solo per tensioni
elevatissime), multimetri analogici o numerici commutati sulla misura di tensione continua. E'
fondamentale inserirli rispettando le polarità dello strumento: la tensione continua deve essere
applicata con la polarità positiva al morsetto dello strumento contrassegnato positivamente.
Nel caso in cui la portata dello strumento superi la tensione da misurarsi si effettua l'inserzione
diretta. Se VP [V] è la portata, δFS sono le divisioni di fondo scala, Cl la classe di precisione, RV [Ω]
la resistenza interna (supposta nota con precisione assoluta), δ le divisioni lette, la tensione Vm [V]
misurata e gli errori ad essa associati valgono:

La corrente assorbita e l'autoconsumo nello strumento valgono:

Nel caso in cui la tensione nel circuito superi la portata dello strumento si deve ricorrere
all'inserzione tramite uno partitore di tensione. Si tratta di una resistenza RP che, inserita in serie al
voltmetro, farà cadere una parte VP della tensione V del circuito, così che la parte Vm che rimarrà
applicata al voltmetro sarà inferiore alla portata dello stesso. Si dimostra che V = KP·Vm [V] con:

Nell'ipotesi di conoscere le resistenze con precisione assoluta, si hanno gli stessi errori visti nel caso
precedente.

La corrente assorbita e l'autoconsumo valgono:


Se si ha un voltmetro di resistenza interna RV e si desidera aumentare la sua portata di un fattore
KP, si dovrà porre in serie un partitore di resistenza [Ω]. Naturalmente la
portata in corrente del partitore dovrà essere adeguata alla corrente che lo attraverserà (di solito
piccolissima).

Misura nei circuiti in corrente alternata

Si possono impiegare gli stessi strumenti visti per le correnti continue (con l'eccezione dei voltmetri
derivati dagli amperometri magnetoelettrici). Nel caso in cui la portata dello strumento sia inferiore
alla tensione nel circuito, si dovrà inserire il voltmetro tramite un trasformatore di misura
voltmetrico (TV). In corrente alternata non è lecito usare partitori di tensione in quanto se così si
facesse si produrrebbero delle deformazioni nella forma d'onda sinusoidale delle grandezze
elettriche.

Nei circuiti in corrente alternata può inoltre interessare la misura del valore medio in un
semiperiodo della tensione oppure la misura del valore massimo della tensione. Per questo scopo si
devono usare voltmetri appositi che possono essere di tipo elettronico (sia analogico che numerico)
oppure di tipo elettromeccanico (in tal caso si tratta di strumenti magnetoelettrici alimentati
attraverso dei circuiti raddrizzatori statici).

Misura di resistenza in corrente continua

Le misure di resistenza si differenziano da quelle di corrente e tensione per il fatto che si deve
misurare una grandezza, la resistenza o la resistività, la quale costituisce una proprietà fisica del
materiale impiegato come conduttore nel circuito. Per misurare il valore di questa grandezza
occorre quindi rendere elettricamente attivo il materiale conduttore, ossia applicargli una sorgente
di forza elettromotrice esterna che consenta la circolazione di una corrente. Inoltre non bisogna
dimenticare che la resistenza e la resistività variano al variare della temperatura, quindi i valori di
resistenza misurati andranno sempre associati alla temperatura del conduttore sottoposto a misura.

Si definiscono resistenze piccole quelle inferiori a 1 [Ω] (piccolissime se < 0,01 [Ω]); resistenze
medie quelle comprese tra 1 e 100.000 [Ω]; resistenze grandi quelle superiori a 100.000 [Ω].

I metodi e gli strumenti atti alla misura di resistenze sono numerosi, vediamone alcuni.

Doppio ponte di Thomson


E' particolarmente adatto alla misura di resistenze piccolissime. Tale metodo ha la caratteristica
fondamentale di fornire una indicazione indipendente da eventuali variazioni di corrente nel circuito
sul quale è inserita la resistenza in prova e pure indipendente entro grandi limiti dalle resistenze di
collegamento (sono le resistenze dei fili impiegati per comporre il circuito di misura) e dalle
resistenze di contatto (sono le resistenze che si presentano nei punti di connessione del circuito e
dipendono dalla superficie di contatto, dalla pressione tra le parti in contatto, dal tipo di lavorazione
superficiale e dalla purezza delle parti in contatto).

Il doppio ponte di Thomson permette di eseguire il confronto diretto tra le due cadute di tensione
provocate rispettivamente dalla resistenza incognita RX e da una resistenza campione RC mediante
il rapporto tra i valori di due coppie uguali di resistenze note e variabili R1, R2, regolate in modo da
ridurre a zero la deviazione di un galvanometro G.

La resistenza campione è una resistenza di valore noto con elevatissima precisione. Tale resistenza
viene costruita con quattro morsetti, due amperometrici e due voltmetrici. I morsetti amperometrici,
riconoscibili perché di sezione molto grande, si impiegano per alimentare in corrente la resistenza. I
morsetti voltmetrici, di sezione più piccola, tra i quali è presente la resistenza nominale, servono per
prelevare la caduta di tensione che la corrente produce sulla resistenza.

Il galvanometro è uno strumento rilevatore del passaggio di corrente continua in un circuito. Viene
costruito con lo zero centrale sulla scala (perché di solito non è noto a priori il verso della corrente).
La sua sensibilità è altissima, arriva a segnalare la presenza di correnti dell'ordine dei nanoampere,
tanto che noi assumeremo la corrente nota e pari a zero con errore nullo quando l'indice si troverà
sullo zero della scala. Il galvanometro deve sempre essere inserito con uno shunt di protezione. Lo
shunt è costituito da una resistenza RS posta in parallelo allo strumento, il suo valore deve essere
piccolissimo (massima protezione, minima sensibilità) nelle fasi iniziali della misura, altissimo e
poi infinito (protezione nulla, massima sensibilità) nelle fasi finali della ricerca delle condizioni
d'equilibrio.

Il circuito di misura è costituito da:

a) un circuito amperometrico composto da un generatore di f.e.m. V0, un reostato variabile R0 per


regolare la corrente, un amperometro A per tenere sotto controllo la corrente stessa, un interruttore
TA col quale si comanda l'inserimento o meno del generatore al circuito, le resistenze incognita e
campione. Lo scopo di questo circuito è quello di alimentare in corrente le resistenze RX ed RC al
fine di produrre le cadute di tensione VMN e VPQ che verranno confrontate attraverso il circuito
voltmetrico. La corrente nel circuito amperometrico deve essere regolata su di un valore inferiore
alla portata della resistenza campione, peraltro indicata sulla sua targa.

b) un circuito voltmetrico composto di due rami identici aventi ciascuno le resistenze R1 ed R2.
Intervenendo sul valore di R1 ed R2 si impone la condizione di equilibrio del doppio ponte, ovvero
si impone che sia nulla la corrente IG nel ramo AB.

La condizione di equilibrio è senz'altro raggiungibile, infatti:

se R1 = 0 , R2 ≠ 0 ⇒ VAB = VMN > 0 e la corrente IG circola da A verso B

se R1 ≠ 0 , R2 = 0 ⇒ VAB = VQP > 0 e la corrente IG circola da B verso A

Quindi esisterà una posizione intermedia con R1 ed R2 entrambe non nulle per la quale sarà nulla la
corrente IG ed il galvanometro avrà l'indice sullo zero.

Ad equilibrio raggiunto le correnti nei vari rami saranno quelle indicate sullo schema e si potrà
scrivere:

VMN = RX·I = R1·IA - R1·IB = R1·(IA - IB)


VPQ = RC·I = R2·IA - R2·IB = R2·(IA - IB)

Dividendo membro a membro si ottiene infine:

Trascurando l'errore dovuto alla sensibilità finita del galvanometro, si hanno i seguenti errori sul
valore misurato ed il seguente valore vero di resistenza misurata:

La sensibilità complessiva del metodo è tanto maggiore quanto minore è la somma delle resistenze
(R1 + R2), tuttavia la necessità di rendere trascurabili le resistenze di collegamento sconsiglia di
assegnare a tale somma un valore minore di qualche decina di ohm. E' opportuno impiegare
galvanometri di resistenza interna limitata, preferibilmente dello stesso ordine di grandezza della
somma (R1 + R2). La sensibilità cresce aumentando la corrente nel circuito amperometrico, la quale
verrà peraltro regolata sul massimo valore che si ritiene compatibile per non provocare sensibili
sopraelevazioni di temperatura nella resistenza incognita o nella resistenza campione (quasi sempre
è consigliabile che tale corrente non superi un decimo della più piccola delle portate delle due
resistenze). E' conveniente che risulti così da ottenere l'equilibrio con un rapporto
.

Metodo voltamperometrico

Il circuito di misura può essere col voltmetro a valle (commutatore T2 posizionato su N) oppure col
voltmetro a monte (commutatore T2 posizionato su M) dell'amperometro:

L'inserzione col voltmetro a valle si utilizza nel caso di misura di resistenze piccole. Il valore della
resistenza incognita vale sicuramente [Ω]. Mentre l'indicazione del voltmetro vale
Vm = VX [V], l'indicazione dell'amperometro sarà pari a Im = IX + IV [A] dove IV è la corrente
derivata dal voltmetro. Se si mettono a rapporto i valori misurati di tensione e corrente si ha:

chiamata resistenza misurata. Si osserva che è Rm < RX. Per potere calcolare la vera resistenza
incognita bisogna eseguire:

dove RV è la resistenza interna del voltmetro. La differenza (Rm - RX) < 0 [Ω] è un errore di tipo
sistematico dovuto all'autoconsumo del voltmetro. Tale errore risulta trascurabile solo se Im ≅ IX
ovvero solo se IV << IX, ma perché ciò accada deve essere RX << RV considerando che
e che . Riassumendo si può dire che la resistenza misurata è
praticamente coincidente con quella incognita solo se questa è piccola e se il voltmetro ha una
resistenza interna molto elevata, usando invece la formula corretta dall'errore di autoconsumo si
calcola senz'altro la resistenza incognita anche se non è soddisfatta la condizione appena citata.
Si dimostra che la resistenza misurata coincide col parallelo tra la resistenza incognita e la
resistenza interna del voltmetro.

L'inserzione col voltmetro a monte si utilizza nel caso di misura di resistenze grandi. Il valore della
resistenza incognita vale sicuramente [Ω]. Mentre l'indicazione dell'amperometro
vale Im = IX [A], l'indicazione del voltmetro varrà Vm = VX + VA [V] dove VA è la caduta di
tensione sull'amperometro. Se si mettono a rapporto i valori misurati di tensione e corrente si ha:

chiamata resistenza misurata. Si osserva che è Rm > RX. Per potere calcolare la vera resistenza
incognita bisogna eseguire:

dove RA è la resistenza interna dell'amperometro. La differenza (Rm - RX) > 0 [Ω] è un errore di
tipo sistematico dovuto all'autoconsumo dell'amperometro. Tale errore risulta trascurabile solo se
Vm ≅ VX ovvero solo se VA << VX, ma perché ciò accada deve essere RA << RX considerando che
e che .

Riassumendo si può dire che la resistenza misurata è praticamente coincidente con quella incognita
solo se questa è grande e se l'amperometro ha una resistenza interna molto piccola, usando invece la
formula corretta dall'errore di autoconsumo si calcola senz'altro la resistenza incognita anche se non
è soddisfatta la condizione appena citata.

Si dimostra che la resistenza misurata coincide con la serie tra la resistenza incognita e la resistenza
interna dell'amperometro.

Indipendentemente dall'errore sistematico d'autoconsumo e dal tipo di inserzione, il grado di


approssimazione che il metodo voltmetrico consente di conseguire dipende dall'entità degli errori
che si commettono nella misura della tensione e della corrente. Se eV% ed eA% rappresentano il
valore degli errori percentuali relativi a queste misure, nel calcolo della resistenza incognita si
commette un errore:

eR% = eV% + eA%

L'errore assoluto sarà:

ed il valore vero varrà:

Per tale motivo in queste misure è sempre necessario impiegare strumenti di buona classe.
Ponte di Wheatstone

Si tratta di un circuito di misura a sei lati e quattro nodi adatto alla misura di precisione delle
resistenze medie. Dei sei lati, uno è costituito dalla resistenza incognita RX, tre da altrettante
resistenze di precisione tarate, di cui almeno una variabile, mentre gli altri due sono rappresentati
rispettivamente da un galvanometro magnetoelettrico (sulla diagonale di rivelazione) e da un
generatore costituito da una pila o da un accumulatore (sulla diagonale di alimentazione).

In un circuito di questo tipo risultano a priori determinati, in base alla polarità della pila, i versi
delle correnti nella diagonale di alimentazione e nei quattro lati del quadrilatero, mentre la corrente
nella diagonale di rivelazione può assumere l'uno o l'altro dei due versi oppure annullarsi, a seconda
che il potenziale elettrico in B risulti maggiore, minore o eguale a quello in D : in quest'ultimo caso
il galvanometro non accuserà più alcuna deviazione e si dirà che il ponte si trova nella condizione di
equilibrio.

Con riferimento alle notazioni indicate in figura, quando è realizzata la condizione di equilibrio del
ponte valgono le relazioni seguenti:

IG = 0 ; I1 = I4 ; I2 = I3 ; VB = VD

Poiché in tali condizioni i punti B e D vengono a trovarsi allo stesso potenziale, la caduta di
tensione che si ha nella resistenza R1 eguaglia esattamente la caduta che si ha nella resistenza R2, e
risulta quindi:

R1·I1 = R2·I2

Per la stessa ragione deve anche essere:

RX·I4 = R3·I3
Eseguendo il rapporto tra queste due relazioni e ricordando le eguaglianze I1 = I4 , I2 = I3 si ottiene
la condizione di equilibrio del ponte:

Il procedimento per la misura della resistenza incognita si riduce pertanto a variare almeno una
delle altre tre resistenze fino a realizzare la condizione di equilibrio del ponte, la quale è raggiunta
quando si osserva che aprendo e chiudendo il tasto TG del galvanometro, questo rimane immobile.

Poiché la misura si effettua regolando il ponte in modo da annullare la corrente che attraversa il
galvanometro, si dice che il procedimento in questione (come già quello del doppio ponte di
Thomson) è un metodo di riduzione a zero.

Le due resistenze R1 ed R2 di cui interessa sostanzialmente il solo rapporto vengono indicate col
nome di lati di proporzione del ponte, mentre la resistenza R3 viene considerata come lato di
paragone.

Una caratteristica importante del ponte è rappresentata dalla sua sensibilità. Per definire questa
grandezza si consideri il ponte nella sua condizione di equilibrio in cui IG = 0 [A]. A partire da
questa condizione si immagini di imprimere alla resistenza RX una piccolissima variazione ∆RX ,
nella diagonale di rilevazione si determina in tal modo un certo incremento di corrente ∆IG. Il
rapporto:

definisce la sensibilità del ponte, che quindi è tanto più elevata quanto minore sarà lo scostamento
che può subire rispetto al valore di equilibrio la resistenza inserita nel lato di misura per provocare
la minima deviazione apprezzabile dal galvanometro.

Si può dimostrare che la sensibilità del ponte:

a) è tanto più grande quanto più è grande la sensibilità del galvanometro inserito;

b) è tanto più elevata quanto più è elevata la tensione di alimentazione V0, con la limitazione
imposta dalla limitata portata in corrente delle resistenze inserite;

c) a parità di altre condizioni, è massima quando:

dove R0T ed RG sono le resistenze della diagonale di alimentazione e della diagonale di rilevazione.

In generale la sensibilità sopra definita raggiunge valori sufficientemente elevati da rendere


trascurabile l'errore sistematico di misura che vi è connesso.

Più importante è l'errore dipendente dalla imprecisione propria delle tre resistenze campione che
compongono il ponte. Se con e1%, e2%, e3% si indicano gli errori relativi percentuali delle tre
resistenze, l'errore relativo percentuale che si commette nella determinazione della resistenza
incognita vale:

eX% = e1% + e2% + e3%

L'errore assoluto sarà:

ed il valore vero varrà:

Metodo di sostituzione

Quando la resistenza da misurare diviene troppo elevata (nel caso della resistenza d'isolamento per i
cavi si raggiunge il milione di megaohm) l'impiego del ponte di Wheatstone non dà più risultati
attendibili perché di questo ordine è la resistenza d'isolamento dei morsetti tra i quali si allaccia la
resistenza da misurare: ciò significa che in parallelo alla resistenza da misurare se ne trova un'altra
che è dello stesso ordine di grandezza e che quindi fa perdere ogni validità alla misura. Inoltre è
anche difficile poter dare a tutti gli elementi del ponte dei valori di resistenza che siano dello stesso
ordine di grandezza di quella incognita. In questi casi si ricorre al metodo di sostituzione, il quale
consiste nel misurare la corrente circolante in un circuito nel quale sia inserito alternativamente il
resistore incognito RX ed un resistore campione RK di valore molto elevato: dal loro confronto si
può risalire al valore cercato.

Pur avendo menzionato l'esistenza di tale metodo, noi non lo tratteremo.

Ohmmetri

Sono strumenti da tavolo o portatili che permettono la misura diretta di resistenze. Ne esistono di
vari tipi, fra quelli elettromeccanici si hanno gli ohmetri amperometrici e gli ohmetri a bobine
incrociate. Vi sono poi multimetri, sia elettromeccanici che digitali, che presentano tra le altre
funzioni anche quella di ohmetri.

Fino a qualche anno fa la precisione di tali strumenti era inadeguata per soddisfare misure di elevato
livello, ora sono disponibili nella versione digitale strumenti che permettono buoni livelli di
precisione. Pur avendo menzionato l'esistenza di tali strumenti, noi non lo tratteremo.

Misura di forza elettromotrice col metodo di opposizione

La misura di f.e.m. di un generatore elettrochimico è essenzialmente una misura di tensione. Se si


desidera che tale misura sia di eccellente precisione bisogna assicurarsi che:

1. il generatore non eroghi corrente durante la misurazione, infatti, se così non fosse si
finirebbe per misurarne la tensione d'uscita che differisce sensibilmente dalla f.e.m. a causa
della caduta di tensione interna al generatore stesso (ovvero si deve fare la misura col
generatore a vuoto);
2. l'errore di misura sia piccolissimo, questo fatto preclude la possibilità di impiegare voltmetri
che limiterebbero la precisione raggiungibile alla loro intrinseca classe di precisione.

Per tali motivi si è messo a punto un metodo di misura indiretto basato sull'impiego del
galvanometro, chiamato metodo di opposizione (o metodo potenziometrico). L'importanza di tale
metodo è rilevante in quanto un gran numero di misure elettriche può sempre ricondursi a
opportune misure di tensione, così che il metodo in questione e le varie realizzazioni tecniche che
ne derivano assumono nel campo delle misure elettriche un carattere universale.

Il circuito di misura è riportato sopra. Si osserva la presenza di due reostati variabili (realizzati nella
forma di cassette a decadi di elevata precisione) R1 e R2 di valore inserito tale per cui la somma
R1+R2 = RC sia costante: si tratta in definitiva di un resistore potenziometrico (da cui la
denominazione di metodo potenziometrico). Vi sono poi due pile, una campione EC ed una di f.e.m.
incognita EX, selezionabili attraverso il commutatore T3 ed un galvanometro G (col suo shunt di
protezione RG) inseribile mediante il tasto T2. Infine si nota la sorgente continua V1 necessaria per
alimentare il circuito ed il reostato di regolazione della corrente R0, il tasto T1 permette di inserire o
no il circuito d'alimentazione.

Il procedimento di misura consiste nelle seguenti fasi:

1. col tasto T2 aperto e nessuna pila inserita si regola R0 in modo tale che, assegnata una
tensione d'alimentazione V1, la corrente IP assuma il valore desiderato, compatibile con le
portate in corrente dei reostati a cassetta R1 ed R2 (si consideri che R1+R2 = RC è costante e
noto). Questa fase è chiamata fase di dimensionamento del circuito d'alimentazione, i valori
di V1 e di R0 non dovranno poi più essere modificati.
2. si chiude il tasto T1 e si commuta T3 in modo tale da inserire la pila campione. Quindi si
chiude il tasto T2 e si variano R1 ed R2 (mantenendo costante la loro somma) fino a che il
galvanometro si azzera. Realizzata tale condizione si potrà scrivere la relazione EC = R 1C·IP
dove R 1C è il valore di reostato R1 che realizza l'azzeramento del galvanometro (si consideri
che col galvanometro azzerato è nulla la corrente nel suo ramo e, quindi, nulla la c.d.t. sul
galvanometro stesso; inoltre, sempre per lo stesso motivo, la corrente su R1 sarà la stessa
presente su R0). Infine si riapre il tasto T2.
3. si commuta T3 in modo tale da inserire la pila di f.e.m. incognita. Quindi si chiude il tasto
T2 e si variano R1 ed R2 (mantenendo costante la loro somma) fino a che il galvanometro si
azzera. Realizzata tale condizione si potrà scrivere la relazione EX = R 1X·IP dove R 1X è il
valore di reostato R1 che realizza l'azzeramento del galvanometro (la spiegazione è la stessa
data sopra). Per ultimo, essendo finita la fase operativa, si aprono entrambi gli interruttori T1
e T2 .

Mettendo a rapporto le espressioni sopra scritte si ha:

Si osserva come la misura venga eseguita senza che la pila eroghi alcuna corrente, ovvero si è
sicuramente misurata la sua f.e.m.. Inoltre la f.e.m. incognita è calcolata in funzione della f.e.m.
della pila campione, nota con grandissima precisione, e dei valori del reostato variabile R1, pure
noti con grandissima precisione se si tratta di un reostato a cassetta variabile a decadi, in definitiva
la precisione raggiungibile è sicuramente migliore di quella ottenibile con un qualsiasi voltmetro
(l'impiego del voltmetro porterebbe inoltre lo svantaggio di dare luogo ad una erogazione di
corrente da parte della pila, impedendone la misura della vera f.e.m.).

Se si pensa alle operazioni eseguite risulta chiaro il perché della denominazione di metodo di
opposizione, infatti si è operato opponendo alle f.e.m. delle pile via via inserite la caduta di tensione
su reostati di precisione.

E' importante porre ulteriormente in evidenza il fatto che non sia stata necessaria la misura diretta di
nessuna grandezza elettrica, a volte si inserisce un amperometro per il controllo della corrente nel
circuito di alimentazione ma la sua indicazione non viene assolutamente utilizzata.

Per quanto riguarda l'errore da attribuire al valore misurato di f.e.m., ipotizzando che l'incertezza
del galvanometro sia trascurabile, vale quanto segue:

1) la pila campione ha una incertezza pari ai decimali non riportati nel suo valore nominale. Se il
suo valore nominale è EC = 1,0193 [V] la sua incertezza sarà ∆EC = 0,00009 [V] che comporta un
errore relativo percentuale:

2) il reostato di precisione R1 presenta un errore relativo percentuale pari a eRC% riportato sulla sua
targa, da considerarsi costante qualsiasi sia il valore impostato. Quindi gli errori relativi sui valori di
R1 che azzerano il galvanometro valgono eRC%.

3) tenendo conto della propagazione degli errori si ha infine:


Se si assumono eEC% = 0,009 , eRC% = 0,05 (valori facilmente ottenibili) si ha un errore relativo
finale pari a eEX% = 0,109 , quasi 5 volte più piccolo di quello ottenibile con i normali voltmetri da
laboratorio di classe 0,5.

Descriviamo ora in dettaglio la fase di dimensionamento del circuito d'alimentazione. Supponiamo


di disporre di una sorgente continua V1 = 12 [V] e di reostati di precisione R0 , R1 , R2 variabili tra
0 [Ω] e 11111 [Ω] con portata in corrente pari a In = 22 [mA]. Con tali scelte il valore costante del
potenziometro dovrà essere R1+R2 = RC = 11111 [Ω] e la corrente nel circuito di alimentazione
potrà variare tra i due estremi:

Tali valori sono pienamente compatibili con la portata in corrente dei reostati di precisione scelti.
Potremmo fissare come corrente nel circuito d'alimentazione IP = 1 [mA] il che comporterebbe la
assegnazione al reostato R0 del valore:

Tale valore non dovrà più essere cambiato.

Dopo aver stabilito la corrente di alimentazione sarà opportuno calcolare i valori di R1 ed R2 per i
quali si dovrebbe azzerare il galvanometro quando è inserita la pila campione. Assumendo per la
pila campione il valore EC = 1,0193 [V] si ha:

Passando all'esecuzione potrebbe anche verificarsi che tali valori non azzerino il galvanometro,
questo perché la tensione di alimentazione può differire leggermente dal valore prefissato e perché
possono essere sensibili gli effetti introdotti dalle resistenze dei collegamenti e dei contatti. Si
tratterà allora di procedere per tentativi variando i due reostati R1 ed R2 fino all'azzeramento del
galvanometro. E' importante osservare tuttavia che tali problemi non hanno alcun effetto negativo
sulla precisione del metodo, purché durante la prova non vengano variati V1 ed R0.

Per quanto riguarda la sensibilità del metodo di opposizione, ovvero la capacità di rilevare
attraverso una deviazione dell'indice del galvanometro una seppur piccola variazione della f.e.m.
incognita, si può dimostrare che la sensibilità è tanto più grande:

1. quanto più è sensibile il galvanometro;


2. quanto minore è la resistenza del circuito di opposizione (che comprende la resistenza
interna della pila e del galvanometro;
3. quanto minore è la resistenza del reostato di regolazione della corrente d'alimentazione;
4. quanto più elevata è la corrente d'alimentazione;
5. quanto più vicino all'unità è il rapporto tra la f.e.m. che si vuole misurare e la tensione di
alimentazione.
Misura di potenza reale, wattmetro

Nel caso di circuiti in corrente continua, la misura della potenza assorbita da un utilizzatore è
riconducibile ad una misura di tensione e di corrente essendo per la legge di Joule P = V·I [W].
Quindi basta approntare una normale inserzione voltamperometrica e tenere conto dell'autoconsumo
dello strumento inserito a valle:

voltmetro a valle:

amperometro a valle:

dove Vm [V], Im [A] sono i valori misurati di tensione e corrente, mentre RV [Ω], RA [Ω] sono le
resistenze interne del voltmetro e dell'amperometro.

Nel caso di circuiti in corrente alternata il prodotto dei valori efficaci V , I della tensione e della
corrente non è sufficiente a definire la potenza reale (potenza attiva) in watt, ma definisce solamente
la potenza apparente in voltampere. Per ottenere la potenza reale bisogna moltiplicare ancora per il
fattore di potenza cosϕϕ (dove ϕ è l'angolo di sfasamento tra la tensione e la corrente). La stessa
espressione si può interpretare come il prodotto scalare tra i vettori ed :

Per quanto riguarda il prodotto scalare tra due vettori è bene ricordare che esso gode di tutte le
proprietà dei prodotti algebrici ed in particolare delle tre proprietà associativa, distributiva e
commutativa.

Quindi, per misurare la potenza reale in corrente alternata sono necessari un voltmetro, un
amperometro ed un fasometro (misura il f.d.p.) ed è poi necessario eseguire il prodotto delle tre
grandezze misurate. Si verrebbe così a propagare un errore di misura pari alla somma degli errori
relativi delle tre singole determinazioni.

Per questo motivo la potenza reale nei circuiti in corrente alternata non viene mai determinata
attraverso la misura dei singoli fattori, ma viene sempre misurata nel suo complesso mediante un
unico strumento a lettura diretta denominato wattmetro (che, se di tipo tradizionale
elettromeccanico, è nelle forme più pregiate uno strumento elettrodinamico):
La figura in alto a sinistra mostra l'inserzione di un wattmetro in un sistema monofase. Si osserva la
presenza di quattro morsetti, due amperometrici (indicati con ma) e due voltmetrici (indicati con
mv). Ai morsetti amperometrici fa capo l'equipaggio amperometrico fisso, ai morsetti voltmetrici fa
capo l'equipaggio voltmetrico mobile, inoltre per ciascuna delle due coppie il morsetto d'ingresso è
opportunamente contrassegnato. Si osserva che nell'esempio l'equipaggio amperometrico è inserito
a valle rispetto quello voltmetrico (che, quindi, si dice inserito a monte).

I dati caratteristici più significativi dello strumento sono:

1) classe di precisione Cl che determina nella misura della potenza un errore strumentale pari a:

dove PW [W] è la portata di fondo scala del wattmetro.

2) errore d'angolo ε [rad] che determina nella misura della potenza un errore di fase pari a
, dove ϕ espresso in gradi sessagesimali (°) è l'angolo di sfasamento tra la
tensione applicata all'equipaggio voltmetrico e la corrente che attraversa l'equipaggio
amperometrico (tale errore è sensibile solo nelle misure di potenza in circuiti fortemente reattivi).

3) massima frequenza di impiego.

4) portata in corrente dell'equipaggio amperometrico PA [A].

5) resistenza interna amperometrica RAW [Ω] (qualche decimo di ohm). La componente reattiva di
tale circuito è trascurabile.

6) portata in tensione dell'equipaggio voltmetrico PV [V].

7) resistenza interna voltmetrica RVW [Ω] (qualche decina di migliaia di ohm). La componente
reattiva di tale circuito è trascurabile.
ϕW del wattmetro per basso cosϕ. Normalmente cosϕ
8) cosϕ ϕW =1, ma per i wattmetri a molla
antagonista indebolita necessari per la misura di potenza in circuiti fortemente reattivi tale
parametro può assumere valori molto piccoli (tipicamente 0,1 o 0,2).

ϕW [W].
9) portata in potenza del wattmetro, PW = PA·PV· cosϕ

10) divisioni di fondo scala δFS.

11) costante strumentale .

Il wattmetro deve sempre essere inserito accompagnandolo con un voltmetro ed un amperometro,


questo per assicurarsi di rispettare le portate dell'equipaggio voltmetrico e dell'equipaggio
amperometrico.

Con l'esclusione dei wattmetri per basso cosϕ, quasi sempre l'equipaggio voltmetrico sopporta
sovraccarichi del 50% mentre l'equipaggio amperometrico del 100%, in ogni caso è bene verificare
controllando le caratteristiche dello strumento che si sta impiegando.

Insieme all'errore strumentale ed all'errore di fase, dipendenti dalla classe di precisione e dall'errore
d'angolo, un'altra importante causa di errore nelle misure di potenza è costituita dall'autoconsumo
delle bobine del wattmetro e degli altri strumenti inseriti. Per valutare tale errore occorre distinguere
tra i due possibili schemi di inserzione noti come inserzione con le voltmetriche a monte ed
inserzione con le voltmetriche a valle.

Inserzione con le voltmetriche a monte

L'inserzione è così chiamata perché il voltmetro e l'equipaggio voltmetrico del wattmetro sono
derivati a monte (con riferimento al verso della corrente nel circuito) sia della bobina
amperometrica del wattmetro che dell'amperometro. Con questa inserzione la corrente nel
wattmetro è la stessa del carico, mentre la tensione che agisce sui circuiti voltmetrici è diversa
dalla applicata al carico.

La potenza attiva assorbita dal carico vale :

La potenza misurata dal wattmetro vale :


Dove RAT = RA + RAW [Ω] è la resistenza serie totale degli equipaggi amperometrici. La potenza
PAA = RAT·I2 [W] rappresenta l'autoconsumo del sistema amperometrico di misura e deve essere
detratta dalla potenza misurata per avere la potenza al carico :

Conseguentemente, se si assumesse Pm come potenza al carico, si commetterebbe un errore


sistematico pari a :

Si osserva che tale errore è tanto minore quanto più piccolo è il valore della caduta di tensione VAT
rispetto alla tensione V del circuito, quindi questo schema è particolarmente indicato per circuiti
con correnti piccole e tensioni elevate. In ogni caso l'errore si fa tanto più grande quanto più piccolo
è il f.d.p. del carico.

Il voltmetro indica una tensione Vm diversa dalla tensione V applicata al carico. Posto:

si dimostra che è :

Inserzione con le voltmetriche a valle

L'inserzione è così chiamata perché il voltmetro e l'equipaggio voltmetrico del wattmetro sono
derivati a valle (con riferimento al verso della corrente nel circuito) sia della bobina amperometrica
del wattmetro che dell'amperometro. Tale inserzione è preferita essendo la resistenza interna degli
equipaggi voltmetrici nota con più precisione di quella degli equipaggi amperometrici.

Con questa inserzione la tensione che agisce sui circuiti voltmetrici è la stessa applicata al carico,
mentre la corrente nei circuiti amperometrici differisce da quella del carico.
Applicando il primo principio di Kirchhoff risulta infatti essere :

La potenza attiva assorbita dal carico vale :

La potenza misurata dal wattmetro vale :

Dove RVT = RA // RAW [Ω] è la resistenza parallelo degli equipaggi voltmetrici. La potenza
rappresenta l'autoconsumo del sistema voltmetrico di misura e deve essere
detratta dalla potenza misurata per avere la potenza al carico :

Conseguentemente, se si assumesse Pm come potenza al carico, si commetterebbe un errore


sistematico pari a :

Si osserva che tale errore è tanto minore quanto più grande è il prodotto (RVT·I) rispetto alla
tensione V del circuito, quindi questo schema è particolarmente indicato per circuiti con correnti
elevate e tensioni piccole. In ogni caso l'errore si fa tanto più grande quanto più piccolo è il f.d.p.
del carico.

L'amperometro indica una corrente Im diversa dalla corrente I assorbita dal carico. Posto:
si dimostra che è :

Misura di potenza reattiva, apparente e del fattore di potenza

Le condizioni di funzionamento di un impianto o di una macchina in corrente alternata vengono


precisate indicandone, oltre la potenza attiva P [W], anche la potenza reattiva Q [VAR] e la potenza
apparente S [VA] :

Nella pratica tecnica la potenza reattiva può essere misurata con misure dirette impiegando un
varmetro, oppure con misure indirette impiegando un wattmetro, un voltmetro ed un amperometro.
Criteri analoghi valgono per la misura del fattore di potenza, nel caso di misura diretta si dovrà
impiegare un fasometro.

I metodi di misura diretti mediante varmetri e fasometri vengono riservati alle installazioni fisse da
quadro, l'inserzione di questi strumenti è del tutto analoga a quella dei wattmetri.

Se la misura è del tipo indiretto si dovranno inserire un wattmetro, un voltmetro ed un


amperometro. Di solito si adotta l'inserzione con le voltmetriche a valle, i calcoli da effettuarsi dopo
le letture Vm [V], Im [A], Pm [W] degli strumenti sono i seguenti :

Il valore di potenza reattiva non richiede alcuna correzione in quanto la potenza reattiva impegnata
dai circuiti voltmetrici è sempre trascurabile (data la loro natura prevalentemente ohmica).

Per quanto riguarda la potenza attiva sarà invece bene tenere conto dell'errore di autoconsumo, così
che si avrà P = Pm -PAV [W].

La potenza apparente corretta ed il fattore di potenza si potranno così calcolare :


Il metodo di misura indiretto non permette in nessun caso di determinare il segno della potenza
reattiva, deve perciò essere nota a priori la natura induttiva o capacitiva del carico. L'errore relativo
risultante può raggiungere valori elevati essendo pari alla somma degli errori relativi commessi dai
tre strumenti inseriti, se poi l'angolo di sfasamento è molto piccolo si può addirittura, a causa
dell'errore, incorrere nell'assurdo fisico di una potenza apparente minore di quella reale o di un
f.d.p. maggiore dell'unità.

Misura di resistenza effettiva in corrente alternata

Mentre in corrente continua il flusso di elettroni che costituisce la corrente si distribuisce


uniformemente su tutta la sezione trasversale del conduttore, in corrente alternata (a causa
dell'effetto pellicolare, dell'effetto di prossimità e del taglio di linee di campo magnetico variabile
trasversali al conduttore) il flusso di elettroni si addensa verso la periferia del conduttore così che la
sezione utile al passaggio della corrente si riduce rispetto la sezione trasversale del conduttore
stesso.

In definitiva la resistenza elettrica che un circuito oppone alla corrente alternata è sempre maggiore
della resistenza che esso oppone alla corrente continua. Alle basse frequenze e per circuiti filiformi
di piccola sezione questa differenza è in generale trascurabile, ma può diventare sensibile nei
circuiti a sezione rilevante ed aventi la forma di avvolgimenti, soprattutto se immersi in campi
alternativi (caso di macchine elettriche di grande potenza). In questi casi è bene distinguere la
resistenza in corrente continua RC [Ω] dalla resistenza in corrente alternata RA [Ω]. Viene chiamata
resistenza addizionale RAD = RA - RC [Ω].

A causa dei diversi valori di resistenza, a parità di circuito e di intensità della corrente, anche le
perdite di potenza attiva saranno maggiori in corrente alternata rispetto alla corrente continua, con
ovvio significato dei simboli si potrà scrivere :

Siccome la resistenza varia al variare della temperatura, anche le perdite sono funzione della
temperatura. E' importante osservare che mentre la resistenza e le perdite in corrente continua
(chiamate anche ohmiche) aumentano all'aumentare della temperatura, la resistenza e le perdite
addizionali diminuiscono all'aumentare della temperatura. A tale fatto bisogna prestare attenzione
nel caso si intenda riportare i valori di resistenza o perdita dalla temperatura di prova ad una
temperatura diversa. Inoltre si deve sempre porre in relazione la resistenza di un circuito con la
temperatura alla quale si trova il circuito.

Vediamo ora come procedere per la determinazione della resistenza in corrente continua, in corrente
alternata ed addizionale di un circuito.

Per prima cosa si rileverà la temperatura t [°C] del circuito che, se il circuito è rimasto a riposo per
un tempo sufficiente ed il laboratorio non ha subito importanti sbalzi termici, coinciderà con la
temperatura ambientale.
Quindi si misurerà la resistenza in corrente continua RCt [Ω] impiegando uno dei metodi già
studiati. Al fine di evitare che la temperatura del circuito possa aumentare rispetto quella
ambientale, si dovrà utilizzare una corrente di misura sufficientemente piccola e la durata della
misura dovrà essere il più possibile breve.

Infine si misurerà la resistenza in corrente alternata RAt [Ω]. Allo scopo si appronterà un circuito per
la misura della potenza attiva che potrà essere indifferentemente con le voltmetriche a monte oppure
a valle, l'impedenza dell'utilizzatore sarà costituita dal circuito del quale si vuole misurare la
resistenza. Si applicherà la tensione alternata al circuito facendo attenzione che la frequenza sia
quella nominale (perché la resistenza in c.a. dipende dalla frequenza) e che l'intensità della corrente
sia tale da non produrre un significativo riscaldamento del conduttore.

Tenendo conto degli eventuali errori d'autoconsumo, si determinerà la potenza attiva assorbita dal
circuito PAt [W] che, unitamente alla corrente circolante I [A], grazie alla legge di Joule, permetterà
di calcolare la resistenza in corrente alternata :

Per conoscere la resistenza addizionale basterà calcolare RADt = RAt - RCt [Ω]. Tale resistenza è
normalmente molto più piccola di quella in corrente continua, essa assume valori significativi solo
in alcuni eccezionali casi. Addirittura, a causa degli inevitabili errori di misura, può accadere che sia
RAt < RCt la qual cosa costituisce un assurdo fisico. Se così accade si dovrà ritenere trascurabile la
resistenza addizionale.

Se si desidera trasportare le resistenze dalla temperatura di prova t [°C] ad una temperatura diversa
T [°C], basta operare come segue :

Induttori, misura industriale di induttanza.

L'induttanza (coefficiente di autoinduzione) di un circuito elettrico è un parametro che tiene conto


dell'attitudine che ha il circuito a concatenarsi col campo magnetico originato dalla corrente che
percorre il circuito stesso, viene definita come:

I dispositivi che realizzano valori concentrati di induttanza sono chiamati induttori, vengono
realizzati nella forma di solenoidi (avvolgimenti a spire serrate ad uno o più strati). Se l'induttore è
avvolto in un mezzo omogeneo, isotropo a permeabilità costante (come l'aria), l'induttanza ha un
valore costante. Diversamente se la permeabilità del mezzo varia al variare del campo magnetico
(come nei materiali ferromagnetici) accade che l'induttanza dell'induttore varia al variare della
corrente in esso (in quanto al variare della corrente varia l'intensità di campo magnetico).

Gli induttori, oltre all'induttanza, presentano pure parametri parassiti quali resistenza e capacità. La
resistenza parassita tiene conto delle perdite di potenza che si hanno nel conduttore (perdite
ohmiche e perdite addizionali) e delle eventuali perdite di potenza nel ferro se l'induttore è avvolto
su un nucleo ferromagnetico. La capacità parassita tiene conto degli effetti capacitivi tra spira e
spira oltre che tra le spire ed altri corpi conduttori, tuttavia tale parametro è trascurabile nelle
applicazioni elettrotecniche considerando il basso valore (50 [Hz]) che ha la frequenza industriale.
In conclusione il modello di un induttore può essere rappresentato col seguente circuito equivalente
serie :

L'indicatore della qualità di un induttore è il suo fattore di merito (coefficiente di bontà), definito
come il rapporto tra la potenza reattiva impegnata e la potenza attiva dissipata :

Se la resistenza parassita fosse costante, il coefficiente di bontà risulterebbe direttamente


proporzionale alla pulsazione, invece quando la pulsazione sale oltre determinati valori si ha che
aumentano rapidamente sia le perdite addizionali nel conduttore che le perdite nel ferro così che il
coefficiente di bontà prende a calare. Per gli induttori avvolti in aria il fattore di merito vale poco
più di uno alla frequenza di 40 ÷ 60 [Hz], vale 50 ÷ 500 alle alte frequenze. Per induttori avvolti su
ferro, alla frequenza industriale, il fattore di merito vale poche centinaia, 400 nelle bobine più
accurate.

Il metodo industriale di misura dei parametri di un induttore viene impiegato quando l'induttore è
destinato ad applicazioni industriali caratterizzate dalla frequenza costante di 50 [Hz] e la precisione
richiesta non è eccessiva.

La misura deve essere fatta nelle effettive condizioni d'impiego, il metodo consiste nel far
attraversare l'induttore incognito da una corrente di intensità e frequenza prestabilite per misurare
insieme la tensione e la potenza attiva assorbita. E' consigliato usare lo schema con le voltmetriche
a valle, impiegare un wattmetro per basso cosϕ, tenere conto degli errori d'autoconsumo ed
eventualmente anche dell'errore di fase.

Indicando con P [W], V [V], I [A] i valori già corretti dagli errori, si ha :

Condensatori, misura industriale di capacità

La capacità elettrica è un parametro che misura l'attitudine di un circuito ad accumulare carica


elettrica, viene definita come :
I dispositivi che realizzano valori concentrati di capacità elettrica sono chiamati condensatori.
Tecnologicamente un condensatore si realizza interponendo un mezzo dielettrico (isolante) tra due
armature conduttrici.

I condensatori, oltre alla capacità, presentano pure parametri parassiti quali resistenza ed induttanza.
La resistenza parassita tiene conto delle perdite di potenza dovute alla resistenza equivalente
d'isolamento (idealmente infinita) tra le armature, delle perdite dielettriche, delle perdite dovute alla
resistenza ohmica delle armature stesse. L'induttanza parassita è invece del tutto trascurabile
considerando le frequenze di impiego in elettrotecnica. In conclusione il modello di un
condensatore può essere rappresentato col seguente circuito equivalente parallelo :

La resistenza parassita prende anche il nome di resistenza di perdita (o resistenza di fuga), l'angolo
δ è detto angolo di perdita e tgδ
δ è chiamato fattore di perdita. Il fattore di perdita è esprimibile come
rapporto tra la potenza attiva e potenza reattiva :

Il fattore di perdita per condensatori comuni vale ≅ 10-3 , per quelli di qualità vale ≅ 10-4 e varia
poco con la frequenza, mentre aumenta di poco all'aumentare della tensione sino ad un determinato
valore (che dipende dal tipo di dielettrico ed è chiamato valore di ionizzazione) oltre il quale inizia
un aumento rapidissimo.

Il fattore di merito di un condensatore è l'inverso del suo fattore di perdita, quindi risulta essere
molto grande anche nelle realizzazioni comuni. Questo ci permette di dire che un condensatore
approssima la capacità molto meglio di quanto un induttore approssimi l'induttanza.

La misura industriale di capacità si realizza solo per condensatori di capacità elevata (quali i
condensatori di rifasamento) e si limita alla determinazione della sola reattanza capacitiva. Il
metodo è voltamperometrico e si deve alimentare il condensatore con la tensione e frequenza
nominali. Inserendo un wattmetro per basso cosϕ si potrebbe anche risalire al valore del fattore di
perdita, tuttavia il grande valore che assume l'errore di fase in tale misura rende aleatori i risultati.
In pratica il collaudo dei condensatori industriali si limita al controllo della temperatura raggiunta
dal condensatore nel funzionamento con tensione e frequenza nominali.

Misura della frequenza


Le misure di frequenza si compiono, industrialmente, mediante strumenti denominati
frequenzimetri, i quali vengono sempre collegati in derivazione tra i fili di linea, come i voltmetri. I
frequenzimetri possono essere a lamelle vibranti in risonanza meccanica, ad indice oppure numerici
(digitali) che attualmente hanno in pratica soppiantato i primi due tipi. Nel nostro corso, pur
impiegando spesso frequenzimetri, non approfondiremo l'argomento.

Oscilloscopio a raggi catodici

Si tratta di uno strumento che permette la visualizzazione attraverso un'immagine bidimensionale di


un segnale elettrico variabile nel tempo. Nel caso di segnali periodici è quindi possibile visualizzare
la forma dell'onda, rilevando così l'ampiezza, la frequenza ed il periodo del segnale stesso, oppure,
se l'oscilloscopio è a doppia traccia, confrontare due segnali evidenziandone le relazioni di fase.

Con riferimento all'oscilloscopio a semplice traccia, il principio di funzionamento consiste nel


disporre di un fascio di elettroni (raggi catodici) al quale vengono impresse due deviazioni
trasversali rispetto al fascio ed ortogonali tra di loro : la prima deviazione verticale viene provocata
direttamente dal segnale elettrico da registrare di cui ricopia fedelmente le variazioni, la seconda
deviazione orizzontale è provocata da un segnale elettrico periodico ausiliario che serve a fornire la
misura dei tempi.

L'oscilloscopio è formato da un'ampolla di vetro, ad alto vuoto, avente la forma di un cono a base
sferica, munito di un collo cilindrico entro il quale sono sistemati gli organi essenziali dello
strumento:
Il filamento riscaldante Fil, percorso da corrente continua, riscalda per irraggiamento il catodo Ca
realizzato in nichel e ricoperto di ossidi di bario o stronzio. A causa del riscaldamento subito, gli
elettroni contenuti negli ossidi si liberano ed abbandonano disordinatamente il catodo.

La griglia di controllo (chiamata anche griglia di Wehnelt) Gr1 a forma cilindrica con un foro
centrale lascia passare un certo numero di elettroni. Siccome tale griglia è tenuta ad un potenziale
negativo rispetto al catodo, aumentando la d.d.p. tra griglia e catodo aumenta il numero di elettroni
respinti verso il catodo e diminuisce il numero di elettroni che passano attraverso il foro. Il
potenziometro RIL (chiamato Intensity)permette quindi di regolare l'intensità del fascio catodico
(chiamato anche pennello elettronico) e di conseguenza l'intensità luminosa della traccia sullo
schermo S.

La griglia preacceleratrice Gr2 essendo a potenziale positivo rispetto al catodo accelera il fascio
catodico.

L'anodo focalizzatore An1 agisce unitamente all'anodo acceleratore An2 sul pennello elettronico
così come una lente convergente agisce su di un fascio luminoso, l'entità della focalizzazione si
regola col potenziometro RF (chiamato Focus).

Proseguendo nel loro cammino, gli elettroni che costituiscono il fascio catodico passano attraverso
le placche di deflessione verticale Y1-Y2 e le placche di deflessione orizzontale X1-X2. Alle placche
di deflessione verticale è applicato il segnale (tensione) da visualizzare, alle placche di deflessione
orizzontale è applicata una tensione periodica a dente di sega di opportuno periodo. La tensione
applicata a ciascuna coppia di placche determina un campo elettrico che agisce sul fascio catodico
deviandolo : le placche Y1-Y2 determinano una deviazione verticale, le placche X1-X2 determinano
una deviazione orizzontale. La deviazione orizzontale essendo causata dal segnale a dente di sega
sarà proporzionale al tempo, mentre la deviazione verticale sarà proporzionale al valore istantaneo
del segnale da visualizzare.
Il fascio catodico, deviato dal sistema di placche, viene ulteriormente accelerato dalle fasce
intensificatrici FI1, FI2, FI3 a potenziale via crescente.

A questo punto, essendo l'energia cinetica posseduta dagli elettroni sufficiente, il fascio catodico
colpirà lo schermo fluorescente (ovvero trattato con sostanze a base di fosforo) e determinerà
un'emissione luminosa più o meno persistente nei punti colpiti. Se la persistenza è uguale al periodo
del segnale a dente di sega, sullo schermo rimarrà visualizzata la forma d'onda del segnale in prova.
Risulta evidente che se il periodo del segnale a dente di sega è uguale al periodo del segnale in
prova si visualizzerà un'intera onda di quest'ultimo, se il periodo del segnale a dente di sega è
doppio del periodo del segnale in prova si visualizzeranno due onde di quest'ultimo, eccetera.

Al completamento del periodo del segnale a dente di sega, il fascio catodico verrà riportato nella
posizione di partenza all'estrema sinistra ed affinché non compaia sullo schermo la traccia di ritorno
saranno attivati opportuni circuiti che permettono la cancellazione (blanking) della traccia.

Si osserva come per il funzionamento del tubo siano necessarie due alte tensioni, l'alta tensione di
polarizzazione della griglia di controllo VATP (negativa) e l'alta tensione di postaccelerazione VATA
(positiva).

Per adattare l'impiego dell'oscilloscopio alle esigenze delle specifiche misure, lo strumento viene
dotato di un ricco pannello di controllo. Con riferimento ad un oscilloscopio a doppia traccia, si
incontra:

1) area dei controlli generali :

POWER, interruttore di accensione ON e spegnimento OFF.

INTENSITY, regolazione dell'intensità luminosa della traccia.

FOCUS, regolazione della messa a fuoco del fascio catodico.

CAL., uscita del calibratore (si tratta di un segnale ad onda quadra di ampiezza 1 [V] e frequenza 1
[KHz]).

GND, è il morsetto di massa (ground).

BEAM FINDER, comando a pulsante premendo il quale viene elevata al massimo la luminosità e
contemporaneamente la traccia viene riportata entro lo schermo.

2) area di selezione del modo di funzionamento MODE :

CH1, funziona il solo canale 1.

CH2, funziona il solo canale 2.

ALT, funzionamento in doppia traccia in modalità ALTERNATE, da usarsi per segnali di


frequenza superiore a 30 [KHz].

CHOP, funzionamento in doppia traccia in modalità CHOPPED, da usarsi per segnali di frequenza
inferiore a 500 [Hz].
3) area dei controlli relativi al canale 1, denominata CH1 or Y :

INPUT, connettore ingresso segnale (del tipo BNC).

AC-GND-DC, commutatore che in posizione AC permette di eliminare l'eventuale componente


continua in ingresso, in posizione GND elimina totalmente il segnale dall'ingresso, in posizione DC
visualizza l'intero segnale in ingresso.

VOLTS / DIV, attenuatore del canale verticale.

POSITION, controllo della posizione verticale.

4) area dei controlli relativi al canale 2, denominata CH2 or X :

analoga a CH1 or Y.

5) area di controllo della base dei tempi :

SWEEP TIME/DIV, controlla la velocità di scansione orizzontale e quindi permette di variare la


scala dell'asse orizzontale. Dispone di una posizione X-Y che esclude il generatore interno di rampa
e permette il funzionamento XY nel quale il canale CH1 controlla la deflessione verticale, mentre il
canale CH2 controlla la deflessione orizzontale.

POSITION, controllo della posizione orizzontale.

6) area di controllo del trigger, denominata TRIGGERING :

LEVEL, regola il livello del segnale d'ingresso in coincidenza del quale deve iniziare la rampa
della base dei tempi (permette di migliorare la visualizzazione).

PULL AUTO, tirando la manopola del comando LEVEL si attiva il funzionamento automatico.

HOLD-OFF, consente di variare la durata dell'intervallo tra una rampa e la successiva, è utile per
stabilizzare l'immagine di particolari segnali.

SLOPE, permette di selezionare il fronte positivo o negativo del segnale d'ingresso.

SOURCE, permette di selezionare da dove prelevare il segnale di trigger.

EXT, ingresso per il segnale di trigger esterno.

Il normale oscilloscopio è adatto alla visualizzazione di segnali periodici, nel caso di segnali
variabili ma non periodici occorre ricorrere ad oscilloscopi a memoria.

Tra i dati più importanti relativi ad un oscilloscopio abbiamo l'impedenza d'ingresso, verso la quale
sono sensibili i segnali prelevati da sorgenti ad elevata impedenza d'uscita, normalmente
l'impedenza d'ingresso è equivalente al parallelo tra una resistenza di qualche [MΩ] ed una capacità
di 10 ÷ 50 [pF].
Vi è poi la larghezza di banda BL [Hz] che indica la gamma di frequenze che lo strumento è in
grado di visualizzare correttamente, per strumenti comuni è limitata a poche decine di [MHz], per
strumenti di qualità si raggiungono le centinaia di [MHz].

Infine gioca un ruolo importante il tempo di salita TS [s], ovvero il tempo necessario alla traccia per
portarsi dal 10% al 90% del valore finale quando in ingresso è applicato un gradino di tensione.
Tale parametro condiziona la visualizzazione dei segnali impulsivi ed è legato alla larghezza di
banda dalla relazione BL·TS ≅ 0,35.

Per quanto riguarda il valore massimo della tensione applicabile in ingresso, esso è indicato sullo
strumento ed è di solito 400 [V].

Per finire diciamo che il segnale deve essere portato in ingresso all'oscilloscopio tramite una
opportuna sonda, accessorio che sempre accompagna lo strumento. La sonda permette di ridurre i
disturbi in ingresso e di selezionare, se necessario, particolari valori di attenuazione.

Che cosa si studia nella classe quarta


Il corso di Elettrotecnica per la classe quarta prevede il completamento dello studio delle reti
elettriche lineari in regime stazionario ed allo scopo si trattano i sistemi trifasi simmetrici sia
equilibrati che squilibrati, quindi se il tempo a disposizione lo permette si passa all'analisi dei
transitori condotta col metodo operazionale della trasformata di Laplace. Successivamente si
affronta lo studio della prima macchina elettrica, ovvero il trasformatore industriale; tale macchina
sarà esaminata in condizioni stazionarie di funzionamento. Infine, sempre che il tempo a
disposizione lo permetta, si presentano i Contatori di energia.

La gran parte degli argomenti sopra elencati si presta ad attività integrative di laboratorio consistenti
in vere e proprie misure elettriche eseguite secondo le prescrizioni delle norme CEI oppure
consistenti in simulazioni al computer.

Indice dei contenuti:

1. Sistemi trifasi
2. Transitori nei circuiti elettrici
3. Trasformatori elettrici
4. Contatori ad induzione

Sistemi trifasi
Indice dei contenuti:

1. Terne simmetriche di tensioni stellate e concatenate


2. Sistemi simmetrici ed equilibrati
o Sistema a tre fili e carico a triangolo
o Sistema a quattro fili e carico a stella
o Sistema a tre fili e carico a stella
3. Sistemi simmetrici e squilibrati
o Sistema a tre fili e carico a triangolo
o Sistema a quattro fili e carico a stella
o Sistema a tre fili e carico a stella
4. Casi particolari
5. Semplici linee simmetriche ed equilibrate
6. Misure di potenza nei sistemi a tre fili simmetrici ed equilibrati
o Misura di potenza attiva, inserzione ARON, wattmetro su centro stella artificiale
o Misura di potenza reattiva, inserzione ARON, wattmetro in quadratura
o Misura del fattore di potenza
7. Misure di potenza nei sistemi a tre fili simmetrici ma squilibrati
o Misura di potenza attiva, inserzione ARON
o Misura di potenza reattiva, inserzione RIGHI
o Misura di potenza reattiva, inserzione BARBAGELATA
o Misura del fattore di potenza
8. Misure di potenza nei sistemi a quattro fili
o Misura di potenza attiva
o Misura di potenza reattiva, inserzione CICLICA
9. Gli errori nelle misure di potenza trifasi
10. Wattmetri e varmetri trifasi (cenni)
11. Sequenscopio
o Sequenscopio dinamico a campo rotante
o Sequenscopio statico a lampade
12. Esercizio N° 1 (sistema a tre fili simmetrico, carico equilibrato a stella, caso di guasto)
13. Esercizio N° 2 (sistema a tre fili simmetrico, carico equilibrato a triangolo, caso di guasto)
14. Esercizio N° 3 (sistema a quattro fili alimentante un MAT ed un carico monofase)
15. Esercizio N° 4 (linea aerea trifase in media tensione, nota la tensione all'arrivo)
16. Esercizio N° 5 (linea in cavo trifase in bassa tensione, nota la tensione alla partenza)
17. Esercizio N° 6 (carico squilibrato a ste

Terne simmetriche di tensioni stellate e concatenate

Il sistema di distribuzione trifase si compone di tre fili di linea (fili 1, 2, 3) sempre presenti e di un
filo neutro (filo 0) che può anche mancare.

Le tensioni presenti tra ciascun filo di linea ed il neutro sono chiamate tensioni stellate (o tensioni di
fase). Esse costituiscono una terna isofrequenziale di tensioni sinusoidali sfasate di 120° l'una
rispetto all'altra e di uguale valore efficace:
Il posizionamento della prima tensione stellata è del tutto arbitrario, ovviamente da tale scelta
dipendono poi le posizioni delle altre tensioni (è conveniente utilizzare sempre lo stesso
posizionamento, che può essere quello di figura).

Le tensioni presenti tra due fili di linea sono chiamate tensioni concatenate (o tensioni di linea).
Esse risultano essere la differenza tra due tensioni stellate e si dimostra facilmente che costituiscono
una terna isofrequenziale di tensioni sinusoidali sfasate di 120° l'una rispetto all'altra e di uguale
valore efficace. Il valore di tali tensioni è volte il valore delle tensioni stellate e la terna
concatenata è in anticipo di 30° sulla terna stellata:

In un impianto trifase, la tensione nominale è sempre quella concatenata.

Nella distribuzione finale in bassa tensione i valori convenzionali sono rispettivamente di 380 [V]
per la tensione concatenata e di:

per quella stellata alla frequenza industriale di 50 [Hz] cui corrisponde la pulsazione di 314,2
[rad/s].

Sistemi simmetrici ed equilibrati

Sono i sistemi trifasi nei quali sia le tensioni concatenate (e quindi anche quelle stellate) che le
correnti di linea costituiscono una terna simmetrica di grandezze alternate sinusoidali.
Perché le correnti di linea costituiscano una terna simmetrica è necessario che le tre impedenze di
carico siano tra di loro uguali. Si parla di sistemi simmetrici nelle tensioni ed equilibrati nelle
correnti (o nel carico).

Sistema simmetrico a tre fili e carico equilibrato a triangolo


Su ciascuna impedenza del carico:

è applicata la tensione concatenata, quindi in ciascuna impedenza circolerà una corrente, chiamata
corrente di fase di modulo pari a:

sfasata dell'angolo α rispetto alla corrispondente tensione concatenata (la figura è riferita al caso di
carico Ohmico-induttivo nel quale la corrente di fase è in ritardo rispetto alla tensione concatenata
di un angolo pari all'argomento dell'impedenza). Ovviamente le tre correnti di fase
costituiranno una terna trifase simmetrica di vettori.

Le correnti di linea si trovano come differenza vettoriale tra quelle di fase:

ed è facile verificare che avranno eguale modulo pari a:

e saranno sfasate rispetto alle corrispondenti tensioni stellate di un angolo ϕ uguale all'argomento α
dell'impedenza di carico. Anche le tre correnti di linea costituiranno una terna trifase simmetrica di
vettori.

Per quanto riguarda le potenze, si può scrivere:


dove la potenza reattiva sarà negativa nel caso di carico Ohmico-capacitivo essendo negativa la
reattanza capacitiva.

E' anche possibile calcolare le potenze nel seguente modo:

ed in effetti sono proprio queste le espressioni più spesso impiegate per il calcolo delle potenze nei
sistemi trifasi simmetrici ed equilibrati e, come vedremo, rimangono invariate qualunque sia il
collegamento del carico.

Sistema simmetrico a quattro fili e carico equilibrato a stella

A causa del collegamento del centro stella 0' al filo neutro 0 si ha che ciascuna impedenza di fase:

è sottoposta alla corrispondente tensione stellata. La corrente in ciascuna impedenza di fase è la


stessa di linea ed ha la stessa intensità per tutte e tre le fasi, più precisamente:

In ciascuna fase la corrente è sfasata rispetto alla tensione stellata di un angolo uguale all'argomento
dell'impedenza (supposta Ohmico-induttiva in figura) e le tre correnti di linea
costituiranno una terna simmetrica sfasata rispetto alla terna delle tensioni stellate dell'angolo ϕ =
α.

Ovviamente sarà:

così che, applicando il primo principio di Kirchhoff al centro della stella, risulterà per il neutro:

Per quanto riguarda le potenze, si può scrivere:

dove la potenza reattiva sarà negativa nel caso di carico Ohmico-capacitivo essendo negativa la
reattanza capacitiva.

E' anche possibile calcolare le potenze nel seguente modo:

come già anticipato nel paragrafo precedente.

Sistema simmetrico a tre fili e carico equilibrato a stella

Considerando che nel collegamento del centro stella al neutro non circola alcuna corrente è
possibile togliere il collegamento stesso senza alterare il regime elettrico della rete. Si conclude così
che il sistema a tre fili col carico equilibrato a stella è del tutto analogo al caso dei quattro fili sopra
visto. Risulta inoltre che la tensione presente ai capi di ciascuna impedenza di fase di una stella
equilibrata vale sempre:

indipendentemente dal valore dell'impedenza.

Da quanto sopra esposto si ha che teoricamente è del tutto indifferente realizzare o meno il
collegamento del centro di una stella equilibrata al filo neutro, nella pratica tale collegamento può
invece essere molto importante. Infatti se si verifica un guasto qualsiasi in una delle tre impedenze
della stella si avrà che cambierà il valore dell'impedenza stessa così che la stella diverrà squilibrata:
nelle nuove condizioni il comportamento dell'impianto è sostanzialmente diverso nel caso di
collegamento del centro al neutro rispetto al caso nel quale il collegamento manchi. Se vi è il
collegamento al neutro la tensione ai capi di ciascuna fase rimarrà la stessa nonostante il guasto, se
manca il collegamento la tensione ai capi delle tre fasi cambierà dopo il guasto e potrà assumere
valori anche molto maggiori di quelli che si avevano prima del guasto (tutto questo sarà chiarito nei
seguenti paragrafi).

Come si vedrà, le potenze possono anche essere determinate tramite l'inserzione di wattmetri sui fili
di linea. Nel caso di sistemi simmetrici ed equilibrati, siano essi col carico a stella che a triangolo, si
usa lo schema Aron sia per la potenza attiva che per la reattiva.

Osservazione: nei sistemi trifasi simmetrici ed equilibrati, siano essi col carico a stella che a
triangolo, per sfasamento si intende l'angolo misurato tra la terna delle tensioni stellate e la terna
delle correnti di linea. Tale angolo coincide con l'argomento dell'impedenza del carico.

Sistemi simmetrici e squilibrati

Sono i sistemi trifasi nei quali solo le tensioni concatenate (e quindi le stellate) costituiscono una
terna simmetrica di vettori, le correnti di linea e quella nel neutro (se presente) soddisfano invece
unicamente il primo principio di Kirchhoff:

Sistema simmetrico a tre fili e carico squilibrato a triangolo

Con riferimento allo schema si calcolano per prima cosa le correnti di fase:

Quindi, applicando Kirchhoff, si calcolano le correnti di linea:

Le tre correnti dovranno soddisfare la condizione .


Per quanto riguarda le potenze:

Sistema simmetrico a quattro fili e carico squilibrato a stella

Con riferimento allo schema si calcolano subito le correnti di linea:

mentre la corrente nel neutro varrà:

Per quanto riguarda le potenze:

Sistema simmetrico a tre fili e carico squilibrato a stella

Mancando il collegamento del centro stella 0' al neutro 0 non si può più dire che la tensione
applicata a ciascuna impedenza coincida con la tensione stellata. In effetti le tensioni applicate alle
singole fasi dipendono dal valore delle impedenze e si possono determinare dopo avere determinato
lo spostamento del centro stella [V], ovvero la differenza di potenziale esistente tra il centro
della stella ed il neutro.

Tutto questo è possibile applicando il principio di Millman alla rete equivalente al sistema trifase:

La tensione applicata a ciascuna impedenza varrà:

La corrente in ciascuna fase (che corrisponde alla corrente di linea), varrà:

Le tre correnti dovranno soddisfare la condizione .

Per quanto riguarda le potenze valgono le stesse equazioni del caso precedente.

Come si vedrà, le potenze possono anche essere determinate tramite l'inserzione di wattmetri sui fili
di linea. Nel caso di sistemi simmetrici e squilibrati, siano essi col carico a stella che a triangolo, per
la potenza attiva si usa lo schema Aron, per la potenza reattiva si usa lo schema Righi o lo schema
Barbagelata.

Si definisce f.d.p. globale:


Osservazione: nei sistemi trifasi simmetrici e squilibrati, siano essi col carico a stella che a
triangolo, per sfasamento globale ϕG si intende l'angolo del quale è necessario ruotare rigidamente
la terna (non simmetrica) dei vettori rappresentanti le correnti di linea al fine di rendere massima la
potenza attiva dell'intero sistema.

Casi particolari

Nel sistema a tre fili con carico a stella (o a quattro fili ma senza il collegamento del centro stella al
neutro), se una delle fasi è in cortocircuito ideale accade che il centro della stella assume il
potenziale del filo di linea al quale la fase stessa è collegata. In queste condizioni non è possibile
applicare la formula di Millman (perché due frazioni avrebbero denominatore nullo), si deve quindi
risolvere applicando convenientemente le note leggi dell'elettrotecnica.

Se il carico è a triangolo oppure a stella col collegamento del centro al neutro, la condizione di una
fase in cortocircuito ideale produce un assurdo e,quindi, non è studiabile (la corrente nella fase in
cortocircuito tende ad essere infinitamente grande).

L'interruzione di una fase, pur producendo sempre uno squilibrio nel sistema, conduce a casi
risolvibili applicando quanto esposto nei paragrafi precedenti.

Semplici linee trifasi simmetriche ed equilibrate

Sono quelle per le quali è valido il seguente circuito equivalente:

Con RL [Ω] ed XL [Ω] si intendono la resistenza e la reattanza di ciascun filo della linea. Per
convenzione si definisce come tensione di linea la tensione concatenata.

Si definisce caduta di tensione industriale della linea la differenza aritmetica tra la tensione
concatenata all'arrivo a vuoto e la tensione concatenata all'arrivo a carico:

Si definisce rendimento della linea:


Per ridurre la c.d.t. industriale ed aumentare il rendimento della linea può essere opportuno rifasare
l'arrivo della linea stessa. Il rifasamento può essere realizzato collegando le tre capacità a stella od a
triangolo. Si adotta il rifasamento a stella se la linea è in media od alta tensione, si adotta il
rifasamento a triangolo se la linea è in bassa tensione. Indicando con ϕA lo sfasamento prima del
rifasamento e con ϕA* quello dopo il rifasamento, con ovviamente ϕA > ϕA* , si ha:

Osservazione: naturalmente anche per i sistemi trifasi risulta molto utile il ricorso al teorema di
Boucherot, specialmente nella risoluzione dei problemi riguardanti le linee.

Misure di potenza nei sistemi a tre fili simmetrici ed equilibrati

In questi sistemi risulta essere :

Lo scopo degli schemi che vedremo, nel caso di sistemi sia equilibrati che squilibrati, è quello di
realizzare la misura della potenza attiva, della potenza reattiva e del fattore di potenza mediante
l'inserzione di soli wattmetri (senza, quindi, impiegare varmetri o cosfimetri). Per realizzare
correttamente gli schemi di misura è indispensabile conoscere con esattezza il senso ciclico delle
fasi, cioè è necessario sapere individuare quale filo di linea fare corrispondere alla prima fase, quale
filo fare corrispondere alla seconda e quale filo fare corrispondere alla terza. Se il senso ciclico
delle fasi non è noto bisogna, prima di procedere alla misura di potenza, determinarlo mediante
l'impiego di un sequenscopio (che può essere del tipo dinamico a campo rotante, oppure statico a
lampade).

Misura di potenza attiva, wattmetro su centro stella artificiale, inserzione Aron

E' possibile misurare la potenza attiva inserendo un solo wattmetro sul centro stella artificiale
secondo lo schema disegnato sopra. Se le resistenze addizionali Ra [Ω] sono uguali alla resistenza
dell'equipaggio voltmetrico del wattmetro accade che la stella di figura è equilibrata e, quindi,
all'equipaggio voltmetrico del wattmetro è applicata la tensione stellata . Il wattmetro darà
una indicazione di valore:
essendo l'angolo tra la tensione stellata e la corrispondente corrente di linea pari allo sfasamento ϕ
del sistema trifase. Risulta evidente che l'intera potenza attiva assorbita dal carico vale P = 3·WA
[W].

Molto più usato è il ricorso a due wattmetri inseriti secondo lo schema Aron (questo perché dalle
indicazioni dei due wattmetri è possibile risalire pure alla potenza reattiva). I due wattmetri
vengono inseriti su due fili di linea qualsiasi e gli equipaggi voltmetrici sono collegati tra il filo sul
quale il wattmetro è inserito ed il filo rimasto libero (nella figura si sono utilizzati i fili di linea 1 e
2, ma si potrebbero usare anche i fili 1 e 3 oppure 2 e 3). Dei due wattmetri, quello inserito sulla
fase che si trova ad essere immediatamente in anticipo (secondo la sequenza ...-1-2-3-1-2-3-1-... )
viene chiamato primo wattmetro (o wattmetro in ponte maggiore) mentre l'altro viene chiamato
secondo wattmetro (o wattmetro in ponte minore), nel nostro esempio il primo wattmetro è il WA
mentre in secondo è il WB.

L'indicazione dei due wattmetri, per un sistema simmetrico nelle tensioni ed equilibrato nel carico,
vale:

essendo α e β gli sfasamenti interni dei due wattmetri rispettivamente pari a α = ϕ - 30° , β = ϕ +
30° , come si può dedurre osservando il diagramma vettoriale riportato sotto e facente riferimento al
caso di un carico di natura Ohmico-induttiva (correnti di linea in ritardo dell'angolo ϕ rispetto alle
corrispondenti tensioni stellate).

Se ora facciamo la somma delle indicazioni dei due wattmetri otteniamo:


α +V·I·cosβ
WA+WB = V·I·cosα β = V·I·(cosα
α + cosβ)
β) =

= V·I·[cos(ϕ
ϕ - 30°) + cos(ϕ
(ϕ + 30°)]
)] =

= V·I·(cosϕ
ϕ·cos30° + senϕ
ϕ·sen30° + cosϕ
ϕ·cos30° - senϕ
ϕ·sen30°)) = V·I·(2·cosϕ
ϕ·cos30°) =

ovvero risulta che la somma delle indicazioni dei due wattmetri corrisponde alla potenza attiva
assorbita dal carico.

Misura di potenza reattiva, wattmetro in quadratura, inserzione Aron

E' possibile misurare la potenza reattiva inserendo un solo wattmetro in quadratura secondo lo
schema disegnato sopra. Perché un wattmetro possa dirsi inserito in quadratura, è necessario che la
tensione concatenata applicata al suo equipaggio voltmetrico sia in ritardo di 90° rispetto alla
tensione stellata che compete alla fase sulla quale è inserito l'equipaggio amperometrico. Nello
schema di figura si è inserito il wattmetro sulla prima fase ed in effetti risulta essere in
quadratura in ritardo rispetto . E' tuttavia possibile anche inserire il wattmetro sulla seconda o
sulla terza fase, se viene inserito sulla seconda fase l'equipaggio voltmetrico deve essere collegato
tra i fili 3 ed 1, se viene inserito sulla terza fase l'equipaggio voltmetrico deve essere collegato tra i
fili 1 e 2 (si nota la regola per la quale l'equipaggio voltmetrico deve essere collegato tra i due fili
rimasti liberi rispettando l'ordine ciclico delle fasi).

L'indicazione del wattmetro vale:

Risulta evidente che sarà:


Molto più usato è il ricorso a due wattmetri inseriti secondo lo schema Aron:

Se si esegue la differenza tra le indicazioni dei due wattmetri si ottiene:

α -V·I·cosβ
WA-WB = V·I·cosα β = V·I·(cosα
α - cosβ)
β) = V·I·[cos(ϕ
ϕ - 30°) - cos(ϕ
(ϕ + 30°)]
)] =

= V·I·(cosϕ
ϕ·cos30° + senϕ
ϕ·sen30° - cosϕ
ϕ·cos30° + senϕ
ϕ·sen30°)) = V·I·(2·senϕ
ϕ·sen30°) =

Ricordando l'espressione della potenza reattiva per un sistema trifase simmetrico ed equilibrato si
ha infine:

Misura del fattore di potenza

Il fattore di potenza per un sistema trifase simmetrico ed equilibrato consiste nel coseno dell'angolo
di sfasamento tra la corrente di linea e la tensione stellata. Tale angolo è lo stesso per tutte e tre le
fasi, inoltre coincide con l'argomento dell'impedenza di carico.

Un primo modo di calcolarlo, dopo avere misurato le potenze attiva e reattiva, consiste nel fare
riferimento al triangolo delle potenze:

Un secondo modo è quello di utilizzare la formula di Block che impiega il rapporto tra le
indicazioni dei due wattmetri inseriti in Aron:

dividendo a numeratore ed a denominatore per WA e ricordando l'espressione di X si ha:


La funzione espressa dalla formula di Block ha la proprietà di rimanere invariata se si sostituisce X
con ( 1/X ) . Per tale motivo è indifferente calcolare X come X = WB/WA oppure come X =
WA/WB. Approfittando di questa proprietà si è convenuto di calcolare X in modo tale che risulti
e di usare il diagramma di Block per conoscere il fattore di potenza noto che sia X (si
usa la prima espressione nel caso di carichi Ohmico-induttivi, la seconda nel caso di carichi
Ohmico-capacitivi).

La figura sottostante mostra il diagramma di Block:

Osservazione: nel caso di sistemi simmetrici ed equilibrati è possibile dedurre immediatamente


dalle indicazioni dei wattmetri inseriti secondo Aron la natura del carico (basta ricordare le
espressioni di P e di Q, oltre che di WA e WB in funzione dell'angolo di sfasamento ϕ):

se WA = WB allora il carico è puramente Ohmico , X = 1;

se WA = - WB allora il carico è puramente reattivo , X = - 1;

se WA > WB allora il carico è Ohmico-induttivo;

se WA < WB allora il carico è Ohmico-capacitivo;

se WA > 0 e WB = 0 allora ϕ = + 60° ed il f.d.p. vale 0,5 in ritardo , X = 0;

se WA > 0 e WB < 0 allora ϕ > + 60° ed il f.d.p. è minore di 0,5 in ritardo , X < 0;
se WB > 0 e WA = 0 allora ϕ = - 60° ed il f.d.p. vale 0,5 in anticipo , X = 0;

se WB > 0 e WA < 0 allora ϕ < - 60° ed il f.d.p. è minore di 0,5 in anticipo , X < 0;

se WA + WB < 0 allora vi è un errore nella inserzione oppure la potenza fluisce in senso opposto al
previsto.

Misure di potenza nei sistemi a tre fili simmetrici ma squilibrati

In questi sistemi risulta essere soddisfatto il primo principio di Kirchhoff :

ma le tre correnti non costituiscono più una terna simmetrica di vettori.

Misura di potenza attiva, inserzione Aron

E' utile lo schema di Aron. Facendo riferimento sopra mostrata e ricordando come le tensioni
concatenate sono legate a quelle stellate, si ha:

dove P1 , P2 , P3 sono le potenze assorbite dalle singole fasi del carico mentre P è la potenza
globalmente assorbita dal carico trifase. Quindi l'inserzione Aron permette di calcolare la potenza
attiva in un sistema trifase qualsiasi (anche dissimmetrico e squilibrato, purché sia a tre fili)
mediante la somma delle indicazioni dei due wattmetri.

Misura di potenza reattiva, inserzione Righi

Nei sistemi simmetrici ma squilibrati è necessario l'impiego di tre wattmetri, i primi due inseriti
secondo Aron ed il terzo inserito in quadratura sul filo rimasto libero.

Ciascun wattmetro indica:


Per il primo principio di Kirchhoff deve essere nulla la somma dei tre vettori rappresentanti le
correnti di linea, quindi sarà pure nulla la somma delle proiezioni dei vettori stessi su una generica
direzione, ad esempio la direzione r del vettore rappresentante . Le proiezioni valgono:

Impongo che la somma sia nulla:

α = WA , V·I2·cosβ
Si osserva che V·I1·cosα β = WB e che V·I1·senα α + V·I2·senβ β corrisponde alla
somma delle indicazioni di due varmetri inseriti secondo Aron e, quindi, alla potenza reattiva Q
impegnata dal carico. Sostituendo:
Risulta dimostrato come l'inserzione Righi permetta di misurare la potenza reattiva impegnata dal
carico in un sistema simmetrico ma squilibrato. Ovviamente facendo la somma dei due wattmetri in
Aron si ha pure la potenza attiva assorbita dal carico.

Osservazione: se il carico è equilibrato si ha WA - WB = WC.

Misura di potenza reattiva, inserzione Barbagelata

Viene anche chiamata inserzione delle quattro letture in quanto, come vedremo, mentre i wattmetri
necessari possono anche essere solo due, le letture devono sempre essere quattro.

Si compone di due wattmetri inseriti secondo Aron e di due wattmetri in inserzione simmetrica
(vale a dire disposti sugli stessi fili dei wattmetri in Aron e con gli equipaggi voltmetrici sottoposti a
tensioni tra di loro opposte). Si dimostra che i due wattmetri in inserzione simmetrica sono del tutto
equivalenti al singolo wattmetro in quadratura visto per l'inserzione Righi, infatti:

come volevasi dimostrare.

Quindi si può applicare il risultato già dimostrato per l'inserzione Righi:

Osservazione: se il carico rimane costante nel tempo è possibile effettuare la misura impiegando
due soli wattmetri più un commutatore oppure un semplice tasto. Gli schemi sono i seguenti:

Nello schema di sinistra è mostrato l'impiego del commutatore: posizionato a sinistra determina
l'inserzione secondo Aron dei due wattmetri, posizionato a destra determina l'inserzione simmetrica
dei due wattmetri.
Nello schema di destra è mostrato l'impiego del tasto: chiuso determina l'inserzione secondo Aron
dei due wattmetri, aperto determina l'inserzione simmetrica dei due wattmetri (in tale occasione, se i
due wattmetri hanno uguale resistenza voltmetrica, si dovrà raddoppiare la loro costante strumentale
poiché essendo essi in serie si avrà ai capi di ciascuno metà della tensione concatenata del sistema).

Qualunque sia lo schema prescelto, visto che la misura si deve effettuare in due distinti istanti, sarà
necessario che rimangano costanti il carico e le tensioni di linea.

Misura del fattore di potenza

Il fattore di potenza per un sistema trifase simmetrico ma squilibrato consiste nel coseno dell'angolo
di sfasamento globale. Per sfasamento globale ϕG si intende l'angolo del quale è necessario ruotare
rigidamente la terna (non simmetrica) dei vettori rappresentanti le correnti di linea al fine di rendere
massima la potenza attiva dell'intero sistema.

Un primo modo di calcolarlo, dopo avere misurato le potenze attiva e reattiva, consiste nel fare
riferimento al triangolo delle potenze:

Un secondo modo è quello di utilizzare la formula o il diagramma di Block che impiega le


indicazioni dei wattmetri inseriti:

Omettiamo la dimostrazione per le formule di X.

Misure di potenza nei sistemi a quattro fili

Si tratta dei sistemi costituiti dai tre fili di fase più il neutro.

Misura della potenza attiva

Se il sistema è simmetrico ed equilibrato si può porre un unico wattmetro su uno qualsiasi dei fili di
fase e con l'equipaggio voltmetrico collegato tra il filo di fase ed il neutro. In tal modo si misura la
potenza attiva assorbita da una fase, basterà moltiplicare per tre al fine di avere quella complessiva.

Se il sistema è squilibrato bisogna impiegare tre wattmetri inseriti sui tre fili di fase e con gli
equipaggi voltmetrici collegati tra i corrispondenti fili di fase ed il neutro. In tal modo ciascun
wattmetro indicherà la potenza assorbita dalla fase sulla quale esso è inserito e per avere la potenza
totale basterà sommare le tre indicazioni. Tale inserzione rimane valida pure per i sistemi
dissimmetrici.

Osservazione: si potrebbero anche inserire i tre wattmetri in modo tale che uno sia sul neutro. In tale
caso tutti gli equipaggi voltmetrici dovrebbero fare capo al filo di fase rimasto libero. Ancora la
somma delle tre indicazioni darebbe la potenza attiva totale, ma l'indicazione di ciascun wattmetro
non coinciderebbe più con la potenza assorbita dalla fase sulla quale esso è inserito. Quanto detto
sulla misura della potenza attiva deriva da un teorema generale detto teorema di Blondel per il quale
il numero di letture wattmetriche necessarie per determinare la potenza attiva totale in un sistema
alimentato con n fili è pari a (n -1) purché gli equipaggi voltmetrici facciano tutti capo al filo non
occupato dai wattmetri impiegati.

Misura della potenza reattiva, inserzione ciclica

Nel caso di sistemi comunque dissimmetrici e squilibrati, se si conosce a priori la natura (induttiva
o capacitiva) del carico di ogni singola fase è possibile misurare separatamente la potenza reattiva
delle singole fasi col metodo già visto per i circuiti monofasi. Basta inserire un wattmetro, un
amperometro ed un voltmetro tra ciascuna fase ed il neutro. In tal modo si ha la misura diretta di P
[W] , VY [V] , I [A] e per determinare la potenza reattiva si calcolerà:

Sommando algebricamente le potenze reattive delle tre fasi si ha quella totale.

Nella realtà i sistemi a quattro fili possono sempre ritenersi simmetrici nelle tensioni, anche se sono
squilibrati nel carico. In tal caso la potenza reattiva si può agevolmente misurare con tre wattmetri
in inserzione ciclica. Si tratta di collegare tre wattmetri in quadratura, ciascuno su di una fase,
lasciando libero il neutro.

Il primo wattmetro in quadratura indica:

dove Q1 è la potenza reattiva impegnata dalla prima fase. Analogamente si dimostra che:

Sommando le tre indicazioni si ottiene:

Gli errori nelle misure di potenza trifasi

Gli errori che si commettono nella misura della potenza attiva sono di tre tipi: a) errori di
autoconsumo, b) errori di fase, c) errori strumentali. Gli errori del tipo a) e b) sono errori sistematici
che, quindi, possono essere determinati con precisione e sottratti alla potenza misurata lasciando
come unica incertezza quella dovuta agli errori strumentali. Normalmente quando si devono
scegliere gli strumenti per effettuare la misura di potenza attiva e reattiva si fa in modo di inserire
nel circuito di misura wattmetri identici, di adottare l'inserzione con le voltmetriche a valle essendo
le resistenze degli equipaggi voltmetrici note con maggiore precisione di quelle amperometriche
(così da poter correggere con più precisione gli errori d'autoconsumo), di non alterare la simmetria
del sistema (per esempio inserendo l'amperometro sul filo lasciato libero dai wattmetri in Aron e
scegliendo tale amperometro di caratteristiche uguali alle amperometriche dei wattmetri).

Discutiamo ora gli errori facendo riferimento alla misura di potenza mediante l'inserzione Aron in
un sistema simmetrico ed equilibrato a tre fili, nel quale le voltmetriche siano inserite a valle.

Per quanto riguarda gli errori d'autoconsumo bisogna tenere conto della potenza dissipata dagli
equipaggi voltmetrici a valle di ciascun wattmetro:

dove RVWA [Ω] , RVWB [Ω] , RVV [Ω] sono le resistenze interne voltmetriche degli strumenti inseriti
mentre WA [W], WB [W], V [V] sono le indicazioni dei wattmetri e del voltmetro e PAA [W] , PAB
[W] sono gli autoconsumi che riguardano ciascun wattmetro.

Nel caso in cui non si corregga l'errore, i valori assoluto e relativo dell'errore di autoconsumo che si
commettono valgono:

Per quanto riguarda gli errori di fase, se εA [rad] , εB [rad] sono gli errori d'angolo dei due wattmetri
impiegati, gli errori di fase commessi da ciascun wattmetro valgono:

dove α e β sono gli angoli di sfasamento interni di ciascun wattmetro, facilmente calcolabili
conoscendo la potenza indicata da ciascun wattmetro ed i valori di tensione e corrente applicati.

Gli errori di fase assoluto e relativo valgono complessivamente:


Volendo tenere conto dell'errore di fase, il suo valore assoluto andrebbe sottratto dalla somma delle
indicazioni dei wattmetri.

Per quanto riguarda gli errori strumentali, se ClA e ClB sono le classi di precisione e PNA [W] , PNB
[W] sono le portate nominali dei due wattmetri impiegati, il valore assoluto ed il valore relativo
dell'errore strumentale complessivo valgono:

Tuttavia non è possibile correggere questo errore visto che non se ne conosce il segno.

Il grado di approssimazione complessivo che si può attribuire alla misura di potenza trifase è dato
dalla somma aritmetica dei valori assoluti di tutti gli errori sopra definiti:

Nelle misure su linee trifasi il caso peggiore si verifica misurando la potenza attiva per un carico
fortemente reattivo col metodo dei due wattmetri in Aron. Questo perché la potenza è calcolata per
differenza aritmetica fra due indicazioni poco diverse tra di loro. Per misure di questo tipo è
preferibile perciò ricorrere al metodo dei tre wattmetri inseriti su centro stella artificiale (usando
magari wattmetri per basso f.d.p.).

Wattmetri e varmetri trifasi (cenni)

I wattmetri trifasi sono strumenti che danno direttamente l'indicazione della potenza attiva totale
assorbita da un sistema trifase a tre o quattro fili. La loro classificazione può avvenire o in base al
principio di funzionamento o in base al metodo di inserzione che adottano. Essendo normalmente
strumenti da quadro, sono di tipo elettrodinamico, ferrodinamico o ad induzione. I wattmetri trifasi
risultano essere costituiti da uno o più wattmetri monofasi, riuniti meccanicamente ed agenti su un
unico indice in modo da indicare la somma algebrica delle singole indicazioni in applicazione dei
metodi di misura già visti. Si hanno pertanto: a) wattmetri trifasi ad un solo sistema wattmetrico; b)
wattmetri trifasi a due sistemi wattmetrici; c) wattmetri trifasi a tre sistemi wattmetrici.

I wattmetri trifasi ad un solo sistema wattmetrico, detti anche wattmetri pseudotrifasi, sono
essenzialmente di due tipi e vengono impiegati nei sistemi trifasi simmetrici ed equilibrati. Il primo
tipo è costituito da un wattmetro inserito con l'amperometrica su un filo di linea e con la voltmetrica
inserita tra il filo di linea e il filo neutro, se accessibile, o un centro stella equilibrato creato
artificialmente.
Il secondo tipo, riportato nella figura sopra, è costituito da due circuiti amperometrici in cui le
correnti scorrono in senso inverso e da un circuito voltmetrico. Essendo in un sistema simmetrico ed

equilibrato ed essendo lo sfasamento tra ed pari a ϕ , il wattmetro


dà una indicazione uguale a [W].

I wattmetri trifasi a due sistemi wattmetrici non sono altro che due wattmetri monofasi, inseriti
secondo Aron.

I wattmetri trifasi a tre sistemi wattmetrici sono costituiti da tre circuiti amperometrici e da tre
circuiti voltmetrici e sono equivalenti a tre wattmetri monofasi. Vengono impiegati nei sistemi
trifasi a quattro fili, quando il sistema risulta dissimmetrico e squilibrato.

Analoghe considerazioni possono svolgersi per i varmetri trifasi.

Sequenscopio

E' uno strumento che permette di individuare il senso ciclico delle fasi. Viene realizzato in due
diversi tipi.

Sequenscopio dinamico a campo rotante

si compone di tre elettromagneti ET statici collegati a stella ed orientati a 120° l'uno rispetto
all'altro. Gli elettromagneti vengono allacciati, attraverso tre morsetti R , S , T , alla linea trifase per
la quale si cerca il senso ciclico, in tal modo si crea un campo rotante (analogamente a quanto
accade nei motori asincroni trifasi) che agisce su di un disco d'alluminio DA mettendolo in
rotazione. Vi è poi un indicatore IN solidale con gli elettromagneti. Se il disco ruota con una
velocità Ω nel senso positivo in dicato da IN, allora i conduttori di linea sono collegati
conformemente al senso ciclico positivo delle fasi ( anticipa di 120° su che anticipa di
120° su ). Diversamente, tenendo come riferimento il morsetto R , vanno scambiati gli indici
delle fasi degli altri due fili.
Sequenscopio statico a lampade

E' costituito da una stella squilibrata formata da due lampade puramente Ohmiche di uguale
resistenza ed un condensatore di adeguata reattanza. La forte dissimmetria produce uno
spostamento del centro stella da O ad O' e le due lampade risultano sottoposte a due tensioni tra di
loro molto diverse con V2O' >> V3O' , quindi la lampada LS collegata alla fase 2 sarà più illuminata.
Sempre si illumina di più la lampada che è collegata al filo di linea successivo come ordine ciclico
di fase a quello cui fa capo il condensatore e, fissata come riferimento la fase cui è collegato il
morsetto centrale R, risulta immediato riconoscere la fase che precede e quella che segue.

Osservazione: al variare del valore della reattanza del condensatore ( ma avendo sempre le lampade
di resistenza uguale) accade che il centro stella O' si muove sulla semicirconferenza γ.

Esercizio N° 1 (sistema a tre fili simmetrico, carico equilibrato a stella, caso di


guasto )
E’ dato un sistema trifase a tre fili, simmetrico nelle tensioni, V = 380 [V], f = 50 [Hz], che
alimenta tre impedenze uguali di valore collegate a stella.

Determinare :

a) le tensioni applicate a ciascuna impedenza, le correnti di linea, le potenze attiva e reattiva


complessive, le indicazioni di due wattmetri inseriti secondo Aron sui fili di linea 3 e 1;

b) ipotizzando che a causa di un guasto l’impedenza collegata alla fase 2 si interrompa,


rideterminare le tensioni applicate alle singole impedenze, le correnti di linea, le potenze
attiva e reattiva complessive, le indicazioni di tre wattmetri inseriti secondo Righi;

c) ipotizzando che a causa di un guasto l’impedenza collegata alla fase 2 vada in


cortocircuito, rideterminare le tensioni applicate alle singole impedenze, le correnti di linea,
le potenze attiva e reattiva complessive, le indicazioni di quattro wattmetri inseriti secondo
Barbagelata.

Risoluzione

Risposta alla domanda a)

Essendo il carico a stella ed equilibrato, su ciascuna impedenza è applicata la corrispondente


tensione stellata del sistema simmetrico di tensioni trifasi e, quindi,:

Le correnti di linea, essendo il carico equilibrato, costituiranno una terna simmetrica di vettori
sfasata dell’angolo ϕ = α = 20° rispetto alla terna di tensioni stellate (inoltre, essendo le impedenze
di natura ohmico-induttiva perché α > 0°, le correnti saranno in ritardo sulle tensioni stellate).
L’intensità delle tre correnti è la stessa e i valori simbolici delle correnti di linea sono:

Le potenze attiva e reattiva complessive, essendo il sistema simmetrico ed equilibrato, si possono


determinare con le espressioni:

Le indicazioni di due wattmetri inseriti secondo Aron sui fili 3 e 1 valgono rispettivamente:

Si può immediatamente verificare che, a meno della cifra approssimata, è:

Il diagramma vettoriale sul piano di Gauss rappresentante le tensioni e correnti calcolate è il


seguente:
Risposta alla domanda b)

Se l’impedenza Z2 si interrompe, il carico trifase si squilibra così che il centro stella 0’ viene ad
assumere un potenziale diverso da quello che competerebbe al filo neutro se fosse presente. Il
sistema si può studiare ricorrendo allo spostamento del centro stella, oppure applicando
semplicemente la legge di Ohm. Vediamo il secondo metodo, per quanto riguarda le correnti si ha:
Per le tensioni si ha:

Lo spostamento del centro stella vale:

Le potenze attiva e reattiva si dovranno calcolare applicando il teorema di Boucherot:

Le indicazioni dei tre wattmetri inseriti secondo Righi saranno le seguenti:

Si può immediatamente verificare che, a meno della cifra approssimata, è:

Il diagramma vettoriale sul piano di Gauss rappresentante le tensioni e correnti calcolate è il


seguente:
Risposta alla domanda c)

Se l’impedenza Z2 si cortocircuita, il carico trifase si squilibra così che il centro stella 0’ viene ad
assumere un potenziale diverso da quello che competerebbe al filo neutro se fosse presente. Più
precisamente il centro stella 0' coincide col punto 2 e lo spostamento del centro stella vale la
tensione stellata V20Y. Il sistema si può studiare applicando semplicemente la legge di Ohm. Per
quanto riguarda le correnti si ha:

Per le tensioni applicate alle singole impedenze si ha:

Lo spostamento del centro stella vale:

Le potenze attiva e reattiva si dovranno calcolare applicando il teorema di Boucherot:

Le indicazioni dei quattro wattmetri inseriti secondo Barbagelata saranno le seguenti:

Si può immediatamente verificare che, a meno della cifra approssimata, è:

Il diagramma vettoriale sul piano di Gauss rappresentante le tensioni e correnti calcolate è il


seguente:
Esercizio N° 2 (sistema a tre fili simmetrico, carico equilibrato a triangolo, caso di
guasto )

E’ dato un sistema trifase a tre fili, simmetrico nelle tensioni, V = 380 [V], f = 50 [Hz], che
alimenta tre impedenze uguali di valore collegate a triangolo.

Determinare :

a) le tensioni applicate a ciascuna impedenza, le correnti di linea, le potenze attiva e reattiva


complessive, le indicazioni di due wattmetri inseriti secondo Aron sui fili di linea 2 e 3;

b) ipotizzando che a causa di un guasto l’impedenza collegata tra la fase 2 e la fase 3 si


interrompa, rideterminare le tensioni applicate alle singole impedenze, le correnti di linea, le
potenze attiva e reattiva complessive, le indicazioni di tre wattmetri inseriti secondo Righi;

Risoluzione

Risposta alla domanda a)


A ciascuna impedenza risulta applicata la corrispondente tensione concatenata, quindi assumendo
come riferimento la tensione stellata sulla prima fase con argomento +90°, si avrà:

Ciascuna impedenza assorbirà una corrente di fase di intensità:

in ritardo (perché l'impedenza è ohmico-induttiva) di 20° (l’argomento delle impedenze) sulla


rispettiva tensione concatenata. La loro espressione simbolica sarà quindi:

Le correnti di linea costituiranno una terna simmetrica di intensità:

e saranno in ritardo di 20° (l’argomento delle impedenze) rispetto alle corrispondenti tensioni
stellate. La loro espressione simbolica sarà quindi:

Le potenze attiva e reattiva complessive, considerando che il sistema è simmetrico ed equilibrato e


che lo sfasamento vale 20° , si possono trovare con le relazioni:
Confrontando i risultati con quelli dell’esercizio precedente si osserva che le stesse impedenze
collegate a triangolo anziché a stella, se sottoposte alla stessa tensione, determinano assorbimenti di
corrente e impegni di potenza tre volte più grandi.

Le indicazioni di due wattmetri inseriti secondo Aron sui fili 2 e 3 valgono rispettivamente:

Si può immediatamente verificare che, a meno della cifra approssimata, è:

Le tensioni e correnti calcolate hanno sul piano di Gauss la seguente rappresentazione:

Risposta alla domanda b)


A ciascuna delle due impedenze risulta applicata la corrispondente tensione concatenata, quindi
assumendo come riferimento la tensione stellata sulla prima fase con argomento +90°, si avrà:

Ciascuna delle due impedenze assorbirà una corrente di fase di intensità:

in ritardo di 20° (l’argomento delle impedenze) sulla rispettiva tensione concatenata. La loro
espressione simbolica sarà quindi:

Le correnti di linea non costituiranno più una terna simmetrica ed avranno valore:

Le potenze attiva e reattiva si dovranno calcolare applicando il teorema di Boucherot:

Le indicazioni dei tre wattmetri inseriti secondo Righi saranno le seguenti:


Si può immediatamente verificare che, a meno della cifra approssimata, è:

Le tensioni e correnti calcolate hanno sul piano di Gauss la seguente rappresentazione:

Esercizio N° 3 (sistema a quattro fili alimentante un MAT ed un carico monofase)

E’ dato un sistema trifase a quattro fili, simmetrico nelle tensioni, V = 380 [V], ω = 314,2 [rad/s],
che alimenta un motore asincrono trifase (MAT) collegato ai tre fili di linea ed un dispositivo di
riscaldamento a resistenza collegato tra il filo di linea 1 ed il neutro.

Il MAT sviluppa una coppia all'albero di 195 [N·m] con velocità di 1470 [g/1'], ha un rendimento
del 91% ed un fattore di potenza pari a 0,83 r.

Il dispositivo di riscaldamento ha una potenza utile di 10000 [Kcal/h] con un rendimento del 90%.

Determinare :

a) le correnti assorbite dai due utilizzatori;

b) le correnti nei tre fili di linea e nel neutro;


c) le potenze attiva e reattiva complessive, le indicazioni di tre wattmetri in inserzione
ciclica;

d) la capacità per fase di una batteria di condensatori atta a portare al valore unitario il
fattore di potenza globale dei due carichi.

Risoluzione

Risposta alla domanda a)

Per calcolare la corrente entrante nel motore devo innanzitutto determinare la potenza elettrica da
esso assorbita:

Conoscendo la tensione d'alimentazione ed il f.d.p., la corrente in valore efficace varrà:

Considerando che e ponendo la tensione stellata relativa alla prima fase


sul semiasse immaginario positivo, l'espressione simbolica delle correnti nelle tre fasi sarà:
Per quanto riguarda il dispositivo di riscaldamento, la sua potenza utile espressa in watt varrà:

Mentre la potenza elettrica assorbita varrà:

Considerando che si tratta di un carico monofase sottoposto alla tensione stellata e che il suo fattore
di potenza sarà unitario essendo il dispositivo puramente ohmico, la corrente assorbita varrà:

Essendo il carico puramente ohmico, tale corrente sarà in fase con la tensione V10Y applicata, quindi
l'espressione simbolica della corrente sarà:

Risposta alla domanda b)

Per trovare le correnti nei tre fili di linea e nel neutro dovrò applicare il primo principio di Kirchhoff
ai fili stessi:

A titolo di verifica si può controllare che, per il primo principio di Kirchhoff, è:

Le tensioni e le correnti calcolate hanno sul piano di Gauss la seguente rappresentazione:


Risposta alla domanda c)

Le potenze attiva e reattiva complessive si possono determinare applicando il teorema di Boucherot:

Le indicazioni dei tre wattmetri in inserzione ciclica valgono:

E' ora possibile verificare la nota relazione che lega le tre indicazioni dei wattmetri in inserzione
ciclica con la potenza reattiva complessiva:
Risposta alla domanda d)

Al fine del rifasamento totale, scegliendo di collegare tre batterie di condensatori ai tre fili di linea
secondo lo schema a triangolo (perché il sistema è in bassa tensione), ciascuna batteria avrà
capacità:

Esercizio N° 4 (linea aerea trifase in media tensione, nota la tensione all'arrivo)

Una linea elettrica aerea trifase di distribuzione in media tensione ha tre conduttori in corda di rame
di sezione 140 [mm2] ciascuno, disposti ai vertici di un triangolo equilatero di lato 1,5 [m], ha
lunghezza 20 [Km] ed alimenta alla tensione di 20 [KV] tre utenze trifasi equilibrate che assorbono
rispettivamente:

ϕu1 = 0,866 in ritardo;


utenza 1) Pu1 = 1500 [KW] , cosϕ

ϕu2 = 0,707 in ritardo;


utenza 2) Pu2 = 1000 [KW] , cosϕ

ϕu3 = 0,8 in ritardo;


utenza 3) Pu3 = 500 [KW] , cosϕ

Ipotizzando una temperatura massima di funzionamento pari a 50 [°C], determinare :

a) la corrente di linea ed il fattore di potenza all'arrivo della linea;

b) la tensione ed il fattore di potenza alla partenza della linea;

c) la caduta di tensione industriale ed il rendimento della linea;

d) la capacità per fase di una batteria di condensatori atta a portare al valore 0,9 in ritardo il
fattore di potenza all'arrivo della linea e la corrente di linea dopo il rifasamento.

Risoluzione

Risposta alla domanda a)

Le linee aeree con lunghezza non superiore a 60 [Km] e tensione non superiore a 60 [KV] sono
chiamate linee corte e per esse si possono trascurare i parametri trasversali (conduttanza e
suscettanza), così che il loro circuito equivalente prevede unicamente i parametri longitudinali
(resistenza RL [Ω] e reattanza XL [Ω]).

La resistenza elettrica di un conduttore della linea è data dall'espressione:

dove L [Km] è la lunghezza della linea, S [mm2] è la sezione del conduttore, ρΤ [Ω·mm2/Km] è la
resistività del conduttore alla temperatura massima di funzionamento T [°C], K1 è un coefficiente
che tiene conto dell'effetto di cordatura vale 1 per i fili mentre vale 1,02 ÷ 1,035 per le corde (infatti
la lunghezza di un conduttore costituito da un unico filo coincide con la lunghezza della linea,
mentre nel caso delle corde si hanno più fili e quelli esterni sono più lunghi per effetto del
montaggio ad elica), K2 è un coefficiente che compare solo nel caso di linee in corrente alternata e
tiene conto di diversi fenomeni quali le perdite addizionali (per effetto pelle, effetto di prossimità) e
le perdite per isteresi e per correnti parassite nell'anima delle corde alluminio-acciaio, tale
coefficiente vale 1 ÷ 1,05. Per quanto riguarda la resistività di solito è data quella a 20 [°C] (essa
vale 17,8 [Ω·mm2/Km] per il rame crudo e 28,4 [Ω·mm2/Km] per l'alluminio crudo), se la
temperatura massima di esercizio T [°C] è diversa da 20 [°C] si calcolerà la resistività con
l'espressione:

dove α20 è il coefficiente di temperatura a 20 [°C] che vale 3,91·10-3 [°C-1] per il rame crudo e 4·10-
3
[°C-1] per l'alluminio crudo.

Il parametro di linea RL vale R se la linea è trifase, mentre vale 2·R se la linea è monofase.

La reattanza elettrica di un conduttore è presente solo nel caso di linea in corrente alternata e
rappresenta la f.e.m. di autoinduzione nel circuito del quale fa parte il conduttore quando è percorso
da una corrente unitaria (nel caso di linea trifase si aggiungono le f.e.m. di mutua induzione
generate nello stesso conduttore dalle correnti che percorrono gli altri conduttori). Per linee trifasi il
parametro reattanza elettrica si calcola con XL = ω·LL [Ω], per linee monofase con XL = 2· ω·LL
[Ω], dove LL [H] è il coefficiente di autoinduzione (induttanza) di ciascun conduttore della linea.
L'induttanza di ciascun conduttore nel caso monofase e nel caso trifase ove i conduttori siano posti
ai vertici di un triangolo equilatero (figura a) si calcola con l'espressione:

dove D e d sono rispettivamente la distanza tra gli assi di due conduttori ed il diametro di ciascun
conduttore espressi nella medesima unità di misura, L è la lunghezza della linea espressa in [Km].

Nel caso di linea trifase, se i tre conduttori non sono disposti ai vertici di un triangolo equilatero
bensì su un piano orizzontale (figura b) o verticale, viene a cessare la condizione di simmetria per la
quale i conduttori hanno la stessa induttanza, in tal caso risulta necessario fare la trasposizione dei
conduttori in modo tale che ogni fase venga ad occupare tutte e tre le possibili posizioni lungo la
linea. L'induttanza da attribuire a ciascun conduttore è ancora espressa dalla relazione sopra scritta,
solo che adesso alla distanza D bisogna attribuire il valore .

In ogni caso per le linee corte ben dimensionate e realizzate si ha una reattanza chilometrica circa
uguale a 0,32 ÷ 0,38 [Ω/Km].

Lo schema elettrico unifilare che riassume l'impianto allo studio è il seguente:

Per prima cosa calcolo i parametri longitudinali della linea:

Quindi calcolo il carico complessivo applicando Boucherot:


Risposta alla domanda b)

Applicando Boucherot risalgo ai valori della potenza alla partenza della linea:

Risposta alla domanda c)

La caduta di tensione industriale è calcolabile con:

Il rendimento della linea vale:

Risposta alla domanda d)

Considerando che il sistema è in media tensione si dovrà adottare il rifasamento a stella:

La corrente in linea dopo il rifasamento varrà:

Si osserva la notevole riduzione della corrente in linea conseguente al rifasamento, con grandi
benefici quali la minore caduta di tensione e le minori perdite in linea. Per completare l'elenco dei
benefici originati dal rifasamento bisogna anche ricordare che la minore potenza apparente richiesta
dalle utenze comporterà una minore potenza nominale delle macchine elettriche impiegate nella
generazione e nella trasmissione dell'energia elettrica (alternatori e trasformatori).

Esercizio N° 5 (linea in cavo trifase in bassa tensione, nota la tensione alla partenza)
I seguenti tre carichi trifasi equilibrati:

ϕu1 = 0,6 in ritardo;


carico 1) Pu1 = 20 [KW] , cosϕ

ϕu2 = 0,7 in ritardo;


carico 2) Qu2 = 15 [KVAR] , cosϕ

ϕu3 = 0,8 in anticipo;


carico 3) Su3 = 10 [KVA] , cosϕ

sono alimentati mediante una linea in cavo trifase della lunghezza di 200 [m]. Sapendo che la
tensione alla partenza della linea vale 400 [V], 50 [Hz] e che il cavo impiegato, alla temperatura di
funzionamento, ha una resistenza chilometrica pari a rL = 0,664 [Ω/Km] ed una reattanza
chilometrica pari a xL = 0,0783 [Ω/Km] (nei cavi correttamente costruiti, la reattanza chilometrica
alla frequenza industriale non si scosta mai molto da 0,08 [Ω/Km]) , determinare:

a) la tensione applicata ai carichi , la corrente nel cavo ed il fattore di potenza all'arrivo del
cavo;

b) il fattore di potenza alla partenza del cavo;

c) la caduta di tensione industriale ed il rendimento della cavo;

d) la capacità per fase di una batteria di condensatori atta a portare al valore 0,9 in ritardo il
fattore di potenza alla partenza del cavo.

Risoluzione

Risposta alla domanda a)

Per prima cosa si deve determinare il carico complessivo col relativo fattore di potenza ed allo
scopo è necessario applicare il teorema di Boucherot:
Siccome è nota la tensione alla partenza della linea e tale tensione non può ovviamente essere posta
in diretta relazione con la potenza ed il fattore di potenza all'arrivo, per determinare la corrente di
linea e la tensione all'arrivo devo applicare un metodo approssimato che consiste nel risolvere il
seguente sistema di secondo grado:

In tale sistema le incognite sono la corrente di linea IL e la tensione all'arrivo VA , il sistema è di


secondo grado perché nella prima equazione le incognite sono moltiplicate tra di loro. Quindi si
avranno due coppie di soluzioni, ma solo una sarà accettabile e per verificare quale si dovrà valutare
la compatibilità coi dati caratteristici dell'impianto (allo scopo si tenga conto del fatto che la caduta
di tensione industriale ed il rendimento della linea devono essere pochi percento rispettivamente
della tensione alla partenza e della potenza all'arrivo).

La resistenza e la reattanza di linea valgono rispettivamente:

Sostituendo e risolvendo il sistema si ottiene:

E' del tutto evidente che solo la prima soluzione del sistema è compatibile coi dati caratteristici
dell'impianto (la seconda soluzione comporterebbe una c.d.t.i. in linea superiore al 95% la qual
cosa è del tutto assurda).
Risposta alla domanda b)

Per determinare il fattore di potenza alla partenza del cavo posso ricorrere al teorema di Boucherot:

Risposta alla domanda c)

La caduta di tensione industriale nella linea in cavo vale:

∆VL = VAO - VA = VP - VA = 400 - 383,8 = 16,2 [V]

Si osserva che tale risultato corrisponde al valore della tensione d'arrivo nella soluzione del sistema
che è stata scartata, questo fatto è sempre verificato.

Il valore percentuale della c.d.t.i. sarà:

Per quanto riguarda il rendimento della linea in cavo si avrà:

Risposta alla domanda d)

Essendo la linea in cavo in bassa tensione, il rifasamento verrà fatto collegando a triangolo le tre
capacità rifasanti, quindi si avrà per ciascuna capacità il valore teorico pari a:

Esercizio N° 6 (carico squilibrato a stella, spostamento del centro stella,


sequenscopio)

Dato un sequenscopio statico costituito da due lampade ad incandescenza aventi targa 380 [V], 15
[W] e da un condensatore da 2 [µF]:
a) si dica come è possibile individuare la sequenza delle fasi;

b) ipotizzando che il sequenscopio sia inserito su una linea a 380 [V], 50 [Hz], si calcolino
le tensioni applicate alle lampade indicando quale si illumina maggiormente.

Risoluzione

Risposta alla domanda a)

Il sequenscopio è un dispositivo che permette di individuare il senso ciclico delle fasi in un sistema
trifase simmetrico. Esso, nella versione statica, è costituito da una stella squilibrata formata da due
lampade puramente ohmiche di uguale resistenza RL ed un condensatore di reattanza XC. La forte
dissimmetria produce uno spostamento del centro stella da O ad O’ col punto O' che si troverà sulla
semicirconferenza γ (individuata attraverso il diametro 1M ed il centro C). Più precisamente O'
coinciderà con il vertice 1 se XC è nullo ed O' tenderà al punto M se XC tenderà ad infinito. Infatti,
qualsiasi sia il rapporto tra le resistenze delle lampade e la reattanza del condensatore e quindi
qualsiasi sia il punto O', le due correnti ILS ed ILT che attraversano le lampade devono
necessariamente essere in fase e proporzionali alle rispettive tensioni V2O’ e V3O’, quindi la
risultante di queste due correnti dovrà essere sovrapposta alla risultante di dette tensioni e in
definitiva dovrà passare per il punto medio M del lato 32 del triangolo equilatero 123. Per il primo
principio di Kirchhoff la risultante tra le due correnti ILS ed ILT è uguale ed opposta alla corrente IC
che attraversa il condensatore, la quale è in quadratura in anticipo sulla tensione V10'. Ne consegue
che l'angolo 1O'M deve essere rettangolo e ciò richiede che il punto O' si trovi sulla
semicirconferenza γ che ha per diametro 1M. Le due lampade risultano così sottoposte a due
tensioni tra di loro molto diverse con V2O’ >> V3O’ , quindi la lampada LS collegata alla fase 2 sarà
più luminosa. Sempre è più luminosa la lampada che è collegata al filo di linea successivo come
ordine ciclico di fase a quello cui fa capo il condensatore e, fissata come riferimento R la fase
arbitraria cui è collegato il morsetto del condensatore, risulta immediato riconoscere la fase che
precede (collegata alla lampada meno luminosa) e quella che segue (collegata alla lampada più
luminosa).

Si osserva che nella figura, allo scopo di rendere meglio comprensibile la spiegazione, i vettori V10',
V20' , V30' , ILT , ILS ed IC col suo opposto sono applicati non nell'origine O ma nel centro stella
spostato O'.

Risposta alla domanda b)

Per prima cosa calcolo la resistenza delle lampade e la reattanza del condensatore:

Quindi, considerando che il carico costituito dal sequenscopio è del tipo a stella squilibrata, calcolo
lo spostamento del centro stella:

Si osserva come il centro stella O' sia situato nel secondo quadrante, quindi il diagramma vettoriale
sopra disegnato non è riferito al caso numerico in esame, ma è riportato solo con lo scopo di rendere
più facile la comprensione della dimostrazione.

La tensione ai capi della lampada LT vale:


La tensione ai capi della lampada LS vale:

Essendo la lampada LS soggetta ad una maggiore tensione si avrà che essa si illuminerà
maggiormente, come già anticipato dalla trattazione teorica.

Le correnti nelle lampade saranno in fase con le rispettive tensioni essendo le lampade puramente
ohmiche, le intensità saranno:

A titolo di verifica controlliamo ora se il centro stella O' appartiene veramente alla
semicirconferenza γ. Allo scopo calcolo il diametro ed il raggio della semicirconferenza:

Quindi individuo le coordinate sul piano di Gauss del centro C, assumendo che O sia l'origine:

Infine calcolo la distanza del punto O' dal centro C della semicirconferenza:

Essendo tale distanza, a meno degli errori di approssimazione sull'ultima cifra, uguale al raggio
della semicirconferenza, risulta verificato che il centro stella O' sta effettivamente sulla
semicirconferenza γ.

Il diagramma vettoriale relativo al circuito studiato è il seguente (i vettori V10', V20' , V30' , ILT , ILS e
l'opposto di IC sono applicati non nell'origine O ma nel centro stella spostato O'):
Transitori nelle reti elettriche
Indice dei contenuti:

1. Generalità
2. La trasformata di Laplace
3. Metodi di antitrasformazione
4. Esempio1, rete RL sollecitata in tensione continua
5. Esempio2, rete RC sollecitata in tensione continua
6. Analisi operazionale del transitorio
7. Esempio 3, rete RLC sollecitata in tensione continua
8. Esempio 4, rete RLC sollecitata in tensione alternata
9. Esempio 5, rete RL sollecitata a frequenza industriale
10. Analisi del transitorio mediante la funzione di trasferimento
11. Esempio 6, rete RLC sollecitata con diversi segnali
12. Tipi di risposta dei sistemi elettrici

Generalità
L’analisi ed il progetto dei sistemi di controllo retroazionati (che si studierà nella materia
Sistemi Automatici) prevede ovviamente lo studio del comportamento del sistema in condizioni non
stazionarie, ovvero lo studio del transitorio del sistema.
Avendo noi maggiore familiarità coi sistemi elettrici tratteremo lo studio del transitorio facendo
soprattutto riferimento alle reti elettriche (in ogni caso le conclusioni che trarremo saranno valide
per sistemi di qualsiasi natura, non bisogna dimenticare che spesso sistemi diversi da quelli elettrici
si studiano attraverso l’analogo elettrico).

Quando in una rete elettrica qualsiasi si passa da una condizione di funzionamento ad un'altra,
sia per una variazione delle f.e.m. o delle correnti impresse dai bipoli attivi (generatori di tensione e
corrente), sia per una variazione del valore dei parametri caratteristici di alcuni bipoli passivi che la
costituiscono, si verifica sempre una situazione transitoria durante la quale i valori della tensione e
della corrente nei vari rami si modificano passando da quelli preesistenti a quelli finali o di regime.
Durante tale fase sia la tensione che la corrente possono assumere valori anche notevolmente
differenti da quelli di regime e provocare sollecitazioni dielettriche, magnetiche, termiche,
meccaniche che è necessario conoscere sia per un corretto dimensionamento dei singoli
componenti, sia per controllare che non si verifichi un funzionamento instabile della rete stessa.

Lo studio dei fenomeni transitori può essere condotto con metodi del tutto generali (ad esempio
utilizzando le equazioni differenziali), applicabili quindi anche a campi differenti dall'elettrotecnica.
Noi tratteremo il metodo operazionale della trasformata di Laplace ed il metodo della funzione di
trasferimento particolarmente idonei all'analisi dei transitori nei sistemi elettrici oltre che
propedeutici allo studio dei controlli automatici.

LA TRASFORMATA DI LAPLACE
I sistemi dinamici invarianti e lineari (e tali sono le reti elettriche) possono essere studiati , nel
dominio del tempo, attraverso le equazioni differenziali nelle quali l'incognita non è un numero
reale, come nelle equazioni algebriche, bensì una funzione del tempo.

Ad esempio la condizione d’equilibrio (legge generalizzata di Ohm) per una rete elettrica
costituita dalla serie di un condensatore di capacità C ed una resistenza di valore R, alimentata da
un generatore di tensione qualsiasi avente f.e.m. e(t), si scrive:

che costituisce appunto una equazione differenziale dove l’incognita è vc(t), ovvero una
funzione del tempo (che oltretutto dipende anche dal valore che nell’istante iniziale aveva la
tensione ai capi del condensatore vc(0¯ ), ovvero che dipende dalle condizioni iniziali). Lo studio
analitico di una simile equazione sarà visto nel corso di matematica ove si impareranno le regole per
la risoluzione delle equazioni differenziali.

Lo studio dei transitori, tuttavia, diventa più agevole, pur restando rigoroso, se si trasferisce il
calcolo dal campo reale, ove le variabili sono funzione del tempo t , al campo complesso, ove le
variabili sono funzione di s = σ + j ω ed s è chiamata frequenza complessa.

Tale operazione avviene mediante la trasformazione di Laplace:


dove deve essere f(t)=0 per t<0 , f(t) definita per ogni t ≥ 0 , f(t) soddisfacente alle
condizioni di Dirichlet in ogni intervallo finito di tempo (ovvero presentare un numero finito di
discontinuità, oscillare tra un valore massimo e minimo un numero finito di volte, assumere
solamente valori finiti). Tali condizioni sono, almeno nelle applicazioni che ci interessano, sempre
soddisfatte.

E' possibile anche la antitrasformazione ossia il passaggio dalla F(s) alla f(t):

Esiste quindi una corrispondenza biunivoca tra le funzioni f(t) trasformabili secondo Laplace
e le loro trasformate F(s). Nei casi più comuni non è necessario calcolare l'integrale ma è
sufficiente consultare la tabella riportata nelle pagine seguenti.

Le regole fondamentali di trasformazione, utilizzate nelle applicazioni che ci interessano, sono


le seguenti:

1) La trasformata di Laplace del prodotto di una costante K per la funzione f(t) è data dal
prodotto fra la costante stessa e la trasformata F(s) della f(t):
L[ K·f(t) ] = K·F(s)

2) La trasformata della derivata di una funzione f(t) è data dalla trasformata F(s) della
funzione moltiplicata per s e diminuita del valore f(0-) che la funzione assume all'istante t
= 0- (condizioni iniziali); in detto enunciato è anche riassunto il cosiddetto teorema della
trasformata della derivata generalizzata:

3) La trasformata dell'integrale di una funzione f(t) corrisponde alla F(s) divisa per s:

dove, nei casi pratici, l’integrale scritto a secondo membro altro non è che la grandezza f(t)·t
calcolata nell’istante iniziale.

4) Teorema del valore iniziale: il valore assunto dalla funzione f(t) all'istante t=0 si ottiene
moltiplicando s per la trasformata della funzione stessa e calcolandone successivamente il
limite per s tendente all'infinito:

5) Teorema del valore finale: il valore assunto dalla funzione f(t) quando t tende a infinito si
ottiene moltiplicando s per la trasformata della funzione stessa e calcolandone
successivamente il limite per s che tende a 0. Questo teorema vale solo se il denominatore
della s·F(s) ha radici tutte a parte reale minore di zero.
Questi due teoremi consentono di valutare rispettivamente il valore iniziale e quello finale
(condizione di regime statico) della grandezza assoggettata ad un fenomeno transitorio, nota
che sia la trasformata della grandezza stessa.

6) La trasformata della somma di due funzioni f1(t) e f2(t) è data dalla somma delle
trasformate delle due funzioni (la stessa regola vale anche per le antitrasformate):
L [ f1(t) + f2(t) ] = F1(s) + F2(s)

7) Teorema della moltiplicazione per t:

8) Teorema della traslazione in s:

Ovvero una traslazione α nel dominio della variabile s corrisponde nel tempo a
moltiplicare per la quantità e-αα·t .

9) Teorema della traslazione nel tempo:

Ovvero una traslazione τ nel dominio del tempo corrisponde a moltiplicare per il termine
e-s· τ nel dominio della s.

Il grande vantaggio di condurre l'analisi del transitorio nel dominio della frequenza
complessa consiste nel fatto che la trasformazione di Laplace consente di ricondurre operazioni
con derivate ed integrali ad operazioni algebriche ovvero di ricondurre equazioni differenziali
ad equazioni algebriche. Quindi, in linea del tutto generale, possiamo concludere che assegnata
una qualsiasi equazione differenziale, purché siano rispettate le condizioni sopra richiamate, è
possibile mediante la trasformata di Laplace passare dal dominio del tempo al dominio della
frequenza complessa, risolvere algebricamente l’equazione in s così ottenuta, ed infine
antitrasformare per avere la soluzione nel dominio del tempo.

Metodi di antitrasformazione
Abbiamo visto che il metodo della trasformata di Laplace richiede, per ottenere infine
l'andamento della variabile nel tempo, di antitrasformare la funzione di s rappresentante la
variabile stessa nel dominio della frequenza.

Se la Y(s) = N(s) / D(s) è semplice si utilizza la tabella sotto riportata:

FUNZIONE DEL TEMPO TRASFORMATA


impulso unitario: ⇔
gradino unitario: 1 ⇔

rampa unitaria: t ⇔

esponenziale: ⇔
potenza ennesima: ⇔

sinusoide: ⇔

cosinusoide: ⇔

sinusoide sfasata: ⇔


sinusoide smorzata:


cisoide:

Se la Y(s) è complicata, per poter usare la tabella sopra riportata è necessario scomporre la
generica frazione rappresentante la Y(s) nella somma di più frazioni semplici per ciascuna delle
quali sia data l'antitrasformata in tabella. L'antitrasformata della Y(s) complessiva si otterrà
applicando il principio di linearità di cui gode la trasformata.

Il procedimento per la scomposizione della Y(s) in una sommatoria di frazioni semplici è


diverso a secondo che il denominatore della Y(s) si annulli per valori di s reali semplici , reali
multipli , complessi coniugati.

1° caso - Il denominatore di Y(s) si annulli per valori di s tutti reali semplici.

In tal caso la Y(S) si presenta nella forma:

La somma di frazioni semplici cercata sarà del tipo:

I coefficienti Ao , A1 , ... , Am (detti residui) si trovano imponendo l'eguaglianza tra il


NUM(s) ed il numeratore calcolato della somma di frazioni semplici.

Esempio:
Si deduce che questo tipo di antitrasformata è pari ad una somma di esponenziali.
2° caso - Il denominatore della Y(S) si annulli per valori di s anche reali multipli.
In tal caso a denominatore della Y(s), dopo aver scomposto in fattori, si ha un fattore del tipo
(s - Pi)n.

Vediamo un esempio al fine di dedurre il metodo generale.

Ancora una volta si ha la somma di termini esponenziali, alcuni dei quali sono però moltiplicati
per t elevato all'ordine di molteplicità meno uno.

3° caso - Il denominatore di Y(s) si annulla per valori di s anche complessi e coniugati.

Si osserva che la antitrasformata ha i caratteri di una oscillazione di pulsazione ω, racchiusa in


una fascia delimitata dall'esponenziale di esponente − α . Ovviamente solo se − α è negativo
l'oscillazione sarà smorzata. Si verifica che − α rappresenta la parte reale delle radici
complesse coniugate del trinomio di secondo grado a denominatore mentre ω ne è la parte
immaginaria presa in valore assoluto. Questo tipo di funzioni prende il nome di funzioni
cisoidali.
Di particolare interesse è il caso di parte reale negativa, in tal caso l’antitrasformata è un
segnale che tende ad un valore finito per il tempo tendente ad infinito. Prende il nome di
pulsazione naturale la quantità:

si tratta del modulo del numero complesso.


Viene chiamato coefficiente di smorzamento la quantità:

Per valori del coefficiente di smorzamento inferiori ad uno si hanno delle sovraelongazioni
durante il transitorio rispetto al valore assunto a regime tanto più grandi quanto più è piccolo lo
smorzamento. Per valori del coefficiente uguali o maggiori di uno la risposta tende
asintoticamente al valore finale senza mai superarlo.

Esempio 1, rete RL sollecitata da un generatore di tensione continua

Data la rete di figura nella quale Vo=24 [V], R=10 [Ω], L=0,5 [H], determinare come varia nel
tempo l’intensità della corrente a partire dall’istante di chiusura dell’interruttore.
Per prima cosa scrivo l’equazione che rappresenta l’equilibrio elettrico della rete (legge di Ohm
generalizzata):

dove:

Sostituendo si ha infine:

Si tratta di una equazione differenziale avente per incognita i(t). Per la sua risoluzione è
necessario conoscere le condizioni iniziali, ovvero il valore che aveva la grandezza incognita
immediatamente prima dell’istante iniziale. Risulta del tutto evidente che tale condizione non può
essere che i(0-)=0 [A].
Risolviamo tale equazione mediante la trasformata di Laplace.
Per prima cosa trasformo tutti i termini dell’equazione:

Utilizzando la tabella e le proprietà della trasformata si ottiene:

Questa è un’equazione algebrica che risolvo rispetto I(s):

Si osservi come l’espressione finale sia stata scritta mettendo in evidenza a denominatore tutti i
fattori, ciascuno con il termine in s di grado maggiore col coefficiente unitario. E’ questa una forma
conveniente in quanto le tabelle di trasformazione presentano le espressioni in s proprio nella stessa
forma.
Ora bisogna antitrasformare I(s) per avere i(t). L’espressione ottenuta non è una frazione
semplice presente in tabella e per tale motivo bisogna provvedere alla sua rielaborazione. Siamo nel
caso di radici a denominatore tutte reali e semplici, quindi si procede nel seguente modo:

Perché le due espressioni di I(s) corrispondano dovrà essere:

Adesso è possibile applicare a ciascun termine della I(s) la tabella di antitrasformazione:


[A]
Questa è la soluzione del problema proposto. Si tratta di una esponenziale crescente avente
costante di tempo pari a 1/20= 0,05 [s], ovvero pari a L/R come già sapevamo dalla Elettrotecnica.
A regime raggiunto la corrente varrà i(∞ ∞)=2,4 [A], anche questo concorda con quanto già noto
dall’Elettrotecnica, infatti in una rete in corrente continua, a regime, l’induttanza si comporta come
un cortocircuito così che la corrente risulta limitata dalla sola resistenza. Nell’istante iniziale i(0)=0
[A], infatti la presenza dell’induttanza impedisce alla corrente di avere una variazione finita in un
tempo infinitesimo in modo tale che la corrente all’istante iniziale deve essere uguale a quella che si
aveva prima della chiusura dell’interruttore.

L’aspetto del grafico della i(t) è il seguente:

Esempio 2, rete RC sollecitata da un generatore di tensione continua

Data la rete di figura nella quale Vo=100 [V], R=10 [Ω], C=0,05 [F] e col condensatore carico
al valore iniziale QC=1,5 [C] determinare come varia nel tempo l’intensità della corrente a partire
dall’istante di chiusura dell’interruttore.

Per prima cosa scrivo l’equazione che rappresenta l’equilibrio elettrico della rete (legge di Ohm
generalizzata):

dove:

Sostituendo si ha infine l’equazione differenziale:


con la condizione iniziale QC(0-)=1,5 [C].
Applico la trasformata di Laplace:

Utilizzando la tabella e le proprietà della trasformata si ottiene:

dove
Il segno del termine dovuto alle condizioni iniziali non nulle è positivo perché la carica iniziale
è positiva sull’armatura superiore del condensatore e quindi essa è di segno concorde con la
tensione vC(t).
Risolvo rispetto I(s):

Antitrasformo:
[A]
Si tratta di una esponenziale decrescente. La costante di tempo è 1/2=0,5 [s], ovvero proprio
R·C come già si sapeva dall’elettrotecnica. A regime raggiunto la corrente vale i(∞ ∞)=0 [A] in
quanto nei circuiti in corrente continua la capacità costituisce a regime una interruzione del circuito
stesso. Il valore iniziale è i(0)=7 [A], infatti essendo il condensatore già carico a QC=1,5 [C], esso
presenta ai suoi capi la d.d.p. iniziale vC(0)=QC/C=1,5/0,05=30 [V] e di conseguenza la corrente
iniziale nel circuito (tenendo conto anche della polarità della carica del condensatore) dovrà valere
i(0)=(Vo-vC(0))/R=(100-30)/10=7 [A].
L’aspetto del grafico della i(t) è il seguente:

Analisi operazionale del transitorio


Si effettua attraverso il seguente procedimento:
a) si disegna la rete topologicamente equivalente a quella assegnata, ma costituita non dai
bipoli effettivamente esistenti (e descrittivi nel dominio del tempo) bensì dai corrispondenti
bipoli (descrittivi nel dominio della frequenza complessa) ottenuti applicando la
trasformazione di Laplace;
b) si applicano alla rete (descrittiva nel dominio della frequenza complessa) i noti teoremi e
metodi risolutivi tipici della analisi delle reti elettriche (principi di Kirchhoff, principio di
sovrapposizione degli effetti, teoremi del generatore equivalente, teorema di Millman,
metodo di Maxwell, ecc.) con lo scopo di determinare le correnti e tensioni incognite, che
saranno funzione della frequenza complessa s anziché del tempo t;
c) si antitrasformano tali funzioni ottenendo così le corrispondenti funzioni del tempo.

Per poter eseguire il primo passo basta tener conto di quanto segue:

generatori di tensione:

generatori di corrente:

resistore:

condensatore:

induttore:
I versi delle f.e.m. e correnti impresse nei generatori fittizi (che tengono conto di eventuali
condizioni iniziali di carica dei condensatori e corrente negli induttori non nulle) riportati negli
schemi sopra disegnati sono relativi ad una Vc(0¯ ) concorde con Vc(t) ed una IL(0¯ ) concorde
con IL(t) , t ≥ 0.

Esempio 3, rete RLC sollecitata in corrente continua


Assegnata la rete elettrica di figura, determinare in funzione del tempo la legge di variazione
delle correnti che circolano nell'induttore e nel condensatore quando, all'istante considerato come
iniziale, si chiude il tasto T:

Alla chiusura del tasto T la rete può essere trasformata in quella topologicamente equivalente
sotto riportata, nella quale si è tenuto conto delle condizioni iniziali non di quiete a causa della
corrente circolante nell'induttore e della carica del condensatore presenti ancor prima di chiudere il
tasto T:

Determino per prima cosa il valore della forza elettromotrice dei due generatori di tensione
fittizi che tengono conto delle condizioni iniziali non nulle:
Applicando il metodo di Maxwell, dopo aver fissato il verso delle correnti di maglia, si può
scrivere:

Dopo aver determinato le grandezze richieste nel dominio della frequenza complessa, per
conoscerne l'andamento nel dominio del tempo si rende necessaria la loro antitrasformazione.
Entrambi i denominatori presentano radici complesse coniugate, quindi entrambe le variabili
conterranno termini cisoidali.

Antitrasformo I2(s):

Antitrasformo I1(s):
Vediamo l’andamento grafico delle due correnti durante l’evolversi del transitorio:
Esempio 4, rete RLC sollecitata da un generatore di tensione
alternata
Assegnato il circuito di figura, determinare in funzione del tempo la legge di variazione della
corrente I(t) quando si apre, all'istante considerato come iniziale, il tasto T.
Si osserva come il generatore di tensione sia ora di tipo sinusoidale, più precisamente è applicata al
circuito una f.e.m sinusoidale di ampiezza massima 100 [V], di pulsazione 500 [rad / s] ed
argomento iniziale nullo. Le condizioni iniziali sono nulle riguardo al condensatore (esso è
cortocircuitato prima dell'istante iniziale) mentre non sono nulle riguardo all'induttore in quanto vi è
una corrente attraverso l'induttore ancor prima dell'istante iniziale.

Il circuito nel dominio della frequenza complessa sarà quindi il seguente:


E' facile verificare che il terzo termine della sommatoria che costituisce l'espressione della I(t)
non è altro che la componente della corrente a regime permanente raggiunto (dopo cioè un tempo
infinito dall'istante di apertura del tasto). Infatti il circuito è sollecitato da un generatore sinusoidale
e, per quanto riguarda il comportamento a regime, si può studiare col noto metodo simbolico.

Il valore iniziale della corrente si determina col noto teorema del valore iniziale applicato alla
trasformata I(s) oppure calcolando la I(t) dopo aver posto t = 0, in ogni caso il risultato (come è
facile verificare) vale - 2 [A].
Il valore finale non esiste, infatti per sua natura la corrente in questo circuito è sinusoidale e quindi
varierà a regime raggiunto tra il valor massimo + 3,2 [A] ed il valor minimo - 3,2 [A].

Vediamo l'oscillogramma della corrente nel circuito:


Esempio 5, rete RL sollecitata a frequenza industriale
Quanto fino ad ora visto ci permette di verificare un fenomeno che si manifesta nei circuiti elettrici
di natura ohmico-induttiva quando venga bruscamente applicata una f.e.m. sinusoidale.

Facciamo riferimento al seguente circuito:

E(t) = 311,1·sen(314,2·t) [V] , R = 1 [Ω] , L = 0,02 [H]

Si tratta evidentemente di una rete elettrica alimentata alla tensione di 220 [V] efficaci ed alla
frequenza industriale di 50 [Hz] (da cui la pulsazione di 314,2 [rad/sec]). Vediamo di studiare ciò
che succede subito dopo la chiusura dell'interruttore ed allo scopo passiamo dal dominio del tempo
al dominio della frequenza complessa. Siccome negli istanti precedenti quello iniziale la corrente è
sicuramente nulla (essendo il circuito aperto), al bipolo induttore non sarà associato alcun
generatore fittizio ed il circuito equivalente sarà quello sopra raffigurato.
Si osserva che la corrente risulta composta di due termini, il primo è esponenziale decrescente e si
potrà ritenere esaurito dopo un tempo pari a cinque volte la costante di tempo e cioè dopo 5·(1 / 50)
= 0,1 [sec], il secondo termine è sinusoidale e coincide esattamente con la corrente di regime
stazionario (come si può facilmente verificare).

Dal punto di vista pratico è importante osservare come, durante il transitorio, la corrente possa
assumere valori istantanei molto più grandi di quelli tipici del regime stazionario. Questo fatto è ben
visibile sul primo grafico della pagina seguente che mostra l'evoluzione nel tempo della corrente e
della sua componente esponenziale.

Applicando lo stesso ingresso ad un circuito sempre ohmico-induttivo, ma con induttanza L = 0,01


[H] e resistenza tale da dar luogo ad una impedenza che abbia lo stesso modulo di quella
precedente si ha invece:
Analisi del transitorio mediante la funzione di trasferimento
Presa una qualsiasi rete elettrica, comunque complessa, inizialmente in quiete (nessuna carica sulle
armature dei condensatori e nessuna corrente attraverso gli induttori nell'istante t = 0¯ [sec]) nella
quale agisca un solo bipolo attivo, assunta X(t) quale grandezza di ingresso ed Y(t) quale
grandezza d'uscita (X(t) ed Y(t) possono indifferentemente essere tensioni o correnti) viene
definita funzione di trasferimento H(s):

dove X(s) è la trasformata dell'ingresso X(t) ed Y(s) è la trasformata dell'uscita Y(t).

Tale linguaggio è mutuato direttamente da quello tipico dei Controlli Automatici per lo studio dei
quali la funzione di trasferimento costituisce uno strumento importantissimo.

La funzione di trasferimento non dipende dalla particolare funzione del tempo in ingresso, ma solo
dai parametri caratteristici della rete ed è, quindi, tipica per ciascuna rete.
L'uscita di una rete nel dominio complesso è data dal prodotto della trasformata dell'ingresso per la
funzione di trasferimento. Quindi, se l'ingresso è la funzione impulsiva, avendo questa trasformata
pari ad 1, si potrà affermare che l'uscita si identifica con la funzione di trasferimento. Da questo
caso particolare si può ricavare un'altra interpretazione della funzione di trasferimento di una rete:
essa coincide con la trasformata di Laplace della risposta della rete ad un impulso unitario in
ingresso (purché le condizioni iniziali siano nulle e l'unico bipolo attivo sia quello che determina
l'impulso).
Per il calcolo della funzione di trasferimento di una rete è conveniente prendere in considerazione la
rete equivalente nel dominio della frequenza complessa ed applicare ad essa i metodi tradizionali di
analisi delle reti lineari.

Il procedimento che permette di individuare la variazione dell'uscita di una rete elettrica


conseguente alla applicazione di un segnale al suo ingresso si sviluppa attraverso i seguenti passi:

1) si determina la funzione di trasferimento H(s) della rete elettrica;


2) si trasforma il segnale di ingresso X(t) nel corrispondente X(s) consultando l'apposita
tabella;
3) si calcola la trasformata dell'uscita Y(s) = X(s)·H(s);
4) si antitrasforma Y(s) in Y(t) ottenendo così la legge con cui l'uscita si evolve nel tempo.
Osservazione: la trattazione della funzione di trasferimento fatta in questo momento è
assolutamente riduttiva rispetto quanto è necessario conoscere sul tale argomento nell'ambito della
disciplina dei Controlli Automatici. In effetti noi vediamo (al momento) la funzione di trasferimento
soltanto quale strumento per la determinazione del transitorio in una rete elettrica, trascurando
totalmente le implicazioni riguardo alla stabilità ed alla risposta in frequenza della rete.

Esempio 6, rete RLC sollecitata con diversi segnali


Assegnata la rete elettrica di figura, assumendo che essa sia inizialmente a riposo, determinare
l'andamento della tensione Vc(t) ai capi del condensatore a partire dall'istante di chiusura
dell'interruttore T per i vari tipi di ingresso indicati:
Per prima cosa disegno la rete topologicamente equivalente alla data ma con le grandezze formulate
nel dominio della frequenza complessa:

Determino quindi la funzione di trasferimento. Allo scopo applico le tecniche di analisi tipiche per
le reti lineari:

La trasformata del segnale di ingresso del tipo impulsivo vale:

La trasformata del segnale di ingresso del tipo a gradino vale:

La trasformata del segnale di ingresso del tipo a rampa vale:


La trasformata del segnale di ingresso del tipo sinusoidale vale:

La trasformata dell'uscita, il valore iniziale ed il valore a regime quando in ingresso vi è un impulso


unitario valgono:

La trasformata dell'uscita, il valore iniziale ed il valore a regime quando in ingresso vi è un gradino


valgono:

La trasformata dell'uscita, il valore iniziale ed il valore a regime quando in ingresso vi è una rampa
valgono:

Il teorema del valore finale non è applicabile in quanto la funzione s·Vc(s) presenta a denominatore
una radice nulla. In effetti Vc(t) per t tendente ad infinito tende pure ad infinito.

La trasformata dell'uscita, il valore iniziale ed il valore a regime quando in ingresso vi è una


sinusoide valgono:

Il teorema del valore finale non è applicabile in quanto la funzione s·Vc(s) presenta a
denominatore una coppia di radici immaginarie e quindi a parte reale nulla. In effetti a regime
l'uscita sarà una grandezza sinusoidale e quindi sarà contenuta fra un valor massimo ed un valor
minimo, oscillando tra detti valori.
L'uscita nel dominio del tempo quando in ingresso vi è un impulso unitario si determina
antitrasformando la associata Vc(s):
Si tratta di una funzione cisoidale e più precisamente di una oscillazione esponenziale smorzata il
cui andamento è il seguente:

L'uscita nel dominio del tempo quando in ingresso vi è un gradino di 2 [V] si determina
antitrasformando la associata Vc(s), cosa già fatta nel paragrafo relativo ai metodi di
antitrasformazione:

Si tratta di un termine costante cui si sovrappone una funzione cisoidale costituita da una
oscillazione esponenziale smorzata; l'andamento complessivo è il seguente:
L'uscita nel dominio del tempo quando in ingresso vi è una rampa unitaria si determina
antitrasformando la associata Vc(s):

L'oscillogramma corrispondente è il seguente:


L'uscita nel dominio del tempo quando in ingresso vi è una sinusoide si determina antitrasformando
la associata Vc(s):
Il primo termine corrisponde alla sinusoide di regime raggiunto, il secondo alla parte transitoria che
si esaurirà dopo un tempo pari a circa cinque volte la costante di tempo ovvero (5·1/50)=0,1 [sec].
L'oscillogramma è il seguente:

Tipi di risposta dei sistemi elettrici


Le sorgenti che alimentano un circuito possono essere di due tipi:
a) sorgenti esterne, che danno luogo alla risposta forzata;
b) sorgenti interne, che danno luogo alla risposta libera o naturale.

Le sorgenti esterne sono i generatori che possono fornire una tensione (chiamata forza
elettromotrice) o una corrente (chiamata corrente impressa) avente diversi possibili andamenti nel
tempo (es. continuo, sinusoidale, impulsivo rettangolare, a dente di sega, ecc.).
Le sorgenti interne sono rappresentate dall’eventuale energia presente, nell’istante iniziale, nel
campo elettrico di un condensatore e/o nel campo magnetico di un induttore e, quindi, dalle tensioni
iniziali presenti ai capi dei condensatori e/o dalle correnti iniziali che attraversano gli induttori. Si
usa dire che queste tensioni e/o correnti determinano lo stato del circuito e, pertanto, sono chiamate
variabili di stato.

La risposta libera, detta anche risposta ad ingresso nullo (zero input), è conseguente alla
presenza di sorgenti interne non nulle e, tenuto conto della presenza di elementi resistivi nel circuito
che dissipano via via l’energia inizialmente accumulata nei campi, avrà un andamento smorzato al
passare del tempo, fino ad esaurirsi praticamente del tutto.

La risposta forzata, detta anche risposta a stato nullo (zero state), è conseguente alla presenza di
sorgenti esterne non nulle ed avrà nel tempo un andamento dipendente sia dalla forma della
sorgente applicata, sia dal tipo di circuito e dai componenti in esso presenti. Se sono presenti solo
componenti resistivi, la risposta forzata assume istantaneamente la forma del termine forzante (se
quest’ultimo è di tipo sinusoidale, sarà pure essa sinusoidale con la stessa pulsazione e la stessa fase
mentre l’ampiezza sarà generalmente differente). Se invece sono presenti nel circuito elementi con
memoria (cioè capaci di immagazzinare energia quali condensatori e/o induttori), la risposta forzata
non potrà assumere istantaneamente la forma voluta dal termine forzante (in quanto la tensione ai
capi di un condensatore e/o la corrente in un induttore non possono variare subendo discontinuità).
Viene chiamato transitorio il tempo che impiega la risposta forzata ad adeguarsi al termine forzante,
viene invece chiamata risposta a regime permanente la risposta forzata a transitorio esaurito.

Lo studio dei transitori da noi effettuato conduce quindi a risultati che sono funzioni del tempo
rappresentanti correnti e/o tensioni. Tali funzioni riassumono sia la risposta libera che la risposta
forzata. Alla parte transitoria concorrono la risposta libera alle sorgenti interne e la reazione dei
componenti con memoria alle sorgenti esterne (tali risposte hanno lo stesso andamento temporale e
possono quindi essere sommate e dare luogo ad un’unica componente), alla parte a regime concorre
soltanto l’adeguamento della risposta all’andamento delle sorgenti esterne.

Trasformatori industriali
Indice dei contenuti:

1. Generalità, principio di funzionamento


2. Trasformatore monofase ideale
o Funzionamento a vuoto
o Funzionamento a carico
3. Trasformatore monofase reale
4. Circuito equivalente del trasformatore monofase reale
o Circuito equivalente semplificato ridotto al secondario
o Circuito equivalente semplificato ridotto al primario
5. Dati di targa del trasformatore
6. Funzionamento a vuoto del trasformatore monofase reale
7. Funzionamento in cortocircuito del trasformatore monofase reale
8. Funzionamento a carico del trasformatore monofase reale
9. Caduta di tensione industriale nel trasformatore monofase reale
10. Diagramma di KAPP
11. Caratteristiche esterne
12. Caratteristiche di regolazione
13. Rendimento
14. Fattore di carico
15. Trasformatore trifase
16. Parallelo dei trasformatori
o Requisiti per il parallelo
o Condizioni per il parallelo perfetto a vuoto
o Condizioni per il parallelo perfetto a carico
o Come si studia il parallelo
17. Aspetti costruttivi dei trasformatori trifasi
18. Rapporto di trasformazione, spostamento angolare nei trasformatori trifasi
19. Corrente a vuoto nei trasformatori trifasi
20. Funzionamento dei trasformatori trifasi con carico squilibrato
21. Trasformatori di distribuzione
22. Autotrasformatori
23. Trasformatori a corrente costante
24. Trasformatori di misura
25. Misure sui trasformatori
o Dati di targa e dati dei costruttori
o Prove speciali
o Ricerca delle polarità e dell'indice orario
o Misura del rapporto di trasformazione
o Rilievo indiretto delle caratteristiche
 Misura della resistenza ohmica degli avvolgimenti
 Prova a vuoto
 Prova in cortocircuito
 Tracciamento delle caratteristiche
o Rilievo diretto delle caratteristiche
26. Rilievo della cifra specifica di perdita di una lamiera ferromagnetica
o L'apparecchio di EPSTEIN
o Esecuzione della misura
27. Esercizio N° 1 (sui trasformatori monofasi, TR - linea - carico)
28. Esercizio N° 2 (sui trasformatori monofasi, linea - TR - carico, rifasamento)
29. Esercizio N° 3 (sui trasformatori monofasi, trasformatore come adattatore di carico)
30. Esercizio N° 4 (sui trasformatori trifasi, come si studiano)
31. Esercizio N° 5 (sui trasformatori trifasi, parallelo perfetto a vuoto ed a carico)
32. Esercizio N° 6 (sui trasformatori trifasi, parallelo perfetto a vuoto ma non a carico)
33. Esercizio N° 7 (sui trasformatori trifasi, parallelo non perfetto a vuoto ed a carico)

Generalità, principio di funzionamento

Col nome di trasformatori si definiscono delle macchine elettriche statiche (cioè senza organi in
movimento) che permettono di trasferire potenza elettrica (attiva e reattiva) tra due sistemi elettrici
(in corrente alternata) tra di loro non direttamente connessi e funzionanti a tensioni anche diverse. I
trasformatori che assolvono principalmente a questa funzione sono detti trasformatori di potenza e
possono essere monofasi o trifasi. Si hanno poi trasformatori speciali quali gli autotrasformatori (nei
quali manca l'isolamento tra i sistemi elettrici connessi) ed i trasformatori a corrente costante (usati
per alimentare gli impianti di illuminazione stradale con lampade in serie). Infine vi sono i
trasformatori di misura, voltmetrici o amperometrici, che servono ad adattare i valori di tensione e
corrente alternata da misurare alle portate degli strumenti impiegati. Tutti i trasformatori fino ad ora
denominati sono caratterizzati dal funzionare alla frequenza industriale che, nel nostro paese ed in
Europa vale 50 [Hz], ed è di questi che noi tratteremo. Esistono ulteriori applicazioni del
trasformatore a frequenze diverse da quella industriale, ma noi non le prenderemo in considerazione
essendo di interesse più elettronico che elettrotecnico.

Per quanto riguarda il principio di funzionamento, si può brevemente dire che la macchina
(monofase) si compone di due avvolgimenti di materiale conduttore (rame o alluminio),
l'avvolgimento primario e l'avvolgimento secondario tra di loro isolati, mutuamente accoppiati
attraverso un circuito magnetico (chiamato nucleo e realizzato, come vedremo, sovrapponendo
lamierini ferromagnetici). Allacciando l'avvolgimento primario in derivazione al sistema dal quale
si intende prelevare potenza elettrica e collegando ai morsetti dell'avvolgimento secondario il
sistema al quale si intende trasferire la potenza, nel caso in cui questo sistema abbia un'impedenza
non infinita avviene il trasferimento di potenza. Maggiori dettagli sul principio di funzionamento
saranno esposti nel paragrafo seguente.

Costruttivamente il trasformatore monofase può essere realizzato nei due seguenti modi:
Lo scopo di quanto seguirà è quello di studiare la macchina al fine di ricavarne un modello che,
considerando la natura elettrica della macchina, sarà costituito da un circuito equivalente. Una volta
noto il modello sarà possibile prevedere il comportamento della macchina in qualsiasi condizione di
funzionamento attraverso delle simulazioni e, in definitiva, sarà possibile utilizzare la macchina nel
miglior modo possibile.

Considerando la complessità della macchina, risulta conveniente iniziarne lo studio e ricavarne il


modello per condizioni ideali e, successivamente, introdurre nel modello tutte quelle correzioni che
permettono di tenere conto dei tanti aspetti reali non trascurabili. In ogni caso il modello che si
ottiene è sempre il risultato di indispensabili ipotesi semplificative, oltre che della corretta
valutazione delle numerose leggi che governano il funzionamento della macchina. Il processo di
modellazione di un sistema, pur se con procedure diverse, è comune a tutti gli ambiti scientifico-
tecnologici e, sempre, si cerca di arrivare ad un modello matematico essendo questo particolarmente
idoneo alle elaborazioni, anche numeriche. Nel nostro caso, il modello matematico sarà costituito
dalle equazioni elettrotecniche riferite al circuito equivalente.

Trasformatore monofase ideale

Si definisce ideale un trasformatore caratterizzato dalle seguenti proprietà:

a) resistività elettrica del materiale conduttore impiegato per gli avvolgimenti di valore nullo, così
da potersi ritenere nulle le resistenze Ohmiche degli avvolgimenti;

b) permeabilità magnetica del mezzo circostante il nucleo di valore nullo, così da potersi ritenere
tutto il flusso magnetico confinato nel nucleo stesso e concatenato con entrambi gli avvolgimenti.
Permeabilità del nucleo finita e costante, così da poter ritenere lineare il mezzo ferromagnetico.

c) perdite nel materiale ferromagnetico del nucleo nulle.

Funzionamento a vuoto del trasformatore ideale


Alimentando alla tensione sinusoidale V1 il primario del trasformatore composto di N1 spire, in esso
circolerà una corrente sinusoidale Iµ (chiamata corrente magnetizzante, in quadratura in ritardo
rispetto alla tensione) che creerà una forza magnetomotrice sinusoidale N1·Iµ e, quindi, un flusso
sinusoidale Φ0 (in fase con la corrente magnetizzante). Tale flusso, in base alle ipotesi fatte, si
chiude tutto attraverso il circuito magnetico ed, essendo variabile sinusoidalmente, indurrà per via
della legge generale dell'induzione elettromagnetica una forza elettromotrice sinusoidale in
ciascuno dei due avvolgimenti. Tali f.e.m. sono entrambe in ritardo di 90° rispetto al flusso e
valgono in valore efficace rispettivamente:

dove f è la frequenza della tensione d'alimentazione, Φ0M [Wb] è il valore massimo del flusso.
Essendo il trasformatore a vuoto, la corrente da esso erogata sarà nulla I2 = 0 e l'impedenza di
carico che si immagina applicata al secondario del trasformatore sarà infinita Zu = ∞ .

La dimostrazione dell'espressione della f.e.m. è la seguente. Per i valori istantanei, il flusso nel
nucleo vale:

ed il flusso concatenato con l'avvolgimento primario vale:

Dalla legge generale dell'induzione elettromagnetica, ricordando che:

si ottiene per la f.e.m. indotta al primario:

Chiamando:
α) = -sen(α
il valore massimo della f.e.m. indotta al primario e ricordando che sen(-α α) e che cos(α
α) =
sen(ππ/2 - α) , l'espressione ai valori istantanei diventa:

che conferma il ritardo di 90° della f.e.m. rispetto al flusso, per quanto riguarda il valore efficace si
ha:

come volevasi dimostrare.

Passando dai valori efficaci ai valori vettoriali, così da tenere conto delle relazioni di fase tra le
varie grandezze, e considerando il flusso ad argomento iniziale nullo, si avrà:

Inoltre, applicando la legge di Ohm alla maglia del primario si ha ovvero


mentre al secondario si ha . Il tutto è riportato sul piano di Gauss nel
diagramma sopra disegnato e fa riferimento ad un trasformatore riduttore ( N1 > N2).

Si osserva che la corrente assorbita dal trasformatore ideale a vuoto è composta unicamente dalla
corrente magnetizzante ed è in ritardo di 90° rispetto alla tensione applicata, quindi di essa si può
tenere conto nel circuito equivalente con una reattanza fittizia induttiva Xµ [Ω] di adeguato valore.
Tale reattanza andrà posta trasversalmente, ovvero sottoposta alla tensione applicata V1 in quanto la
corrente magnetizzante ha un valore massimo che vale:

(ricavato dalla legge di Hopkinson applicata al circuito magnetico, dove [H-1] è la riluttanza di
detto circuito) e, dipendendo dal flusso massimo, dipende dalla f.e.m. E1 e quindi dalla tensione V1.
La reattanza trasversale fittizia potrà essere calcolata come:
Si osserva che, fissata la tensione e la frequenza di alimentazione del trasformatore, il flusso è del
tutto indipendente dalla configurazione e dalla riluttanza del nucleo essendo uguale a:

mentre tali parametri intervengono solo a determinare l'entità della corrente magnetizzante (e quindi
della reattanza trasversale) necessaria a sostenere il flusso.

Si osserva che, mettendo a rapporto le f.e.m. si ha:

dove m è chiamato rapporto di spire. Questa relazione tra le f.e.m. vale sia per il trasformatore
ideale che per quello reale, qualunque sia la condizione di funzionamento.

Funzionamento a carico del trasformatore ideale

Il trasformatore si dice a carico quando eroga corrente al secondario, ovvero quando, col primario
alimentato, si collega una impedenza di valore finito ai morsetti d'uscita del secondario. Nel
passaggio da vuoto a carico, se si mantengono costanti la tensione applicata e la frequenza, dovrà
pure rimanere costante il flusso (basta guardare la sua espressione). Per questo motivo la forza
magnetomotrice complessiva nel passaggio da vuoto a carico dovrà rimanere costante, in altri
termini dovrà essere:

dalla quale si ricava:

alla quantità:
si da il nome di corrente di reazione primaria. La corrente assorbita a carico al primario del
trasformatore si potrà quindi scrivere come:

tale espressione viene interpretata sul circuito equivalente tramite il primo principio di Kirchhoff
applicato al nodo dal quale si dirama il ramo trasversale. Supponendo che il carico applicato al
trasformatore ideale sia di natura Ohmico-induttiva, con α > 0° , il diagramma
vettoriale sul piano di Gauss si modifica come sopra raffigurato (ovviamente ).
Nel diagramma è stato tolto il pedice 0 a tutte le grandezze rappresentate, questo perché si fa
riferimento al funzionamento a carico e non a vuoto. Il flusso, le f.e.m., le tensioni e la corrente
magnetizzante hanno lo stesso valore a carico ed a vuoto (se si alimenta con tensione e frequenza
costanti).

Si osserva che, mettendo a rapporto la corrente di reazione con la corrente erogata si ha:

Questa relazione vale sia per il trasformatore ideale che per quello reale, qualunque sia la
condizione di funzionamento.

Trasformatore monofase reale

Il trasformatore reale si differenzia da quello ideale nei seguenti aspetti:

a) resistenze Ohmiche R1 , R2 degli avvolgimenti non nulle. A causa di ciò le correnti primaria e
secondaria produrranno delle cadute di tensione Ohmiche e delle perdite di potenza per effetto
Joule. Il valore delle resistenze Ohmiche aumenta con la temperatura, quindi per il circuito
equivalente si dovrà fare riferimento ad una ben precisa temperatura chiamata temperatura
convenzionale di riferimento T [°C] che vale 75 [°C] per le classi d'isolamento A, E, B oppure 115
[°C] per le classi F, H. Dal momento che gli effetti prodotti dalla presenza delle resistenze
dipendono dalle correnti, nel circuito equivalente che costituisce il modello del trasformatore reale,
le resistenze R1 , R2 andranno poste in serie al circuito, in modo da essere percorse rispettivamente
dalle correnti primaria e secondaria. Queste resistenze vengono proporzionate in modo tale che, a
pieno carico, le perdite per effetto Joule al primario ed al secondario siano circa uguali, ciò equivale
a fissare per i due avvolgimenti la stessa densità di corrente (nei trasformatori trifasi di media e
grande potenza 2,5 ÷ 3,5 [A/mm2] per il rame, 1,5 ÷ 2 [A/mm2] per l'alluminio, nei piccoli
trasformatori monofase 1,5 ÷ 2,4 [A/mm2] decrescente all'aumentare della potenza per il rame).

b) presenza di flussi di dispersione al primario ed al secondario Φd1 , Φd2, causati dal fatto che la
permeabilità del mezzo circostante il nucleo non è nulla. Si tratta di flussi alternati sinusoidali di
frequenza pari a quella della tensione d'alimentazione, indipendenti dalla temperatura, sostenuti
rispettivamente dalla corrente primaria e secondaria, concatenati con un solo avvolgimento e che si
sviluppano prevalentemente in aria. Si ha così un flusso autoconcatenato in ciascun avvolgimento
che determinerà un'autoinduzione di f.e.m. e, in definitiva, una caduta di tensione reattiva induttiva
ed un impegno di potenza reattiva in ciascun avvolgimento. Di tali aspetti si terrà conto mediante
due reattanze di dispersione:
Tali reattanze, se la frequenza è costante, si potranno ritenere costanti perché il flusso di dispersione
che le origina, sviluppandosi in gran parte in aria, percorre un circuito magnetico che è lecito
ritenere a permeabilità magnetica costante. Inoltre andranno poste in serie nel circuito equivalente,
in modo da essere percorse dalle correnti primaria e secondaria, infatti gli effetti da esse prodotti
dipendono da tali correnti.

c) perdite nel ferro del nucleo dovute all'isteresi magnetica ed alle correnti parassite. L'entità di tali
perdite, riferite ad 1 [Kg] di ferro, ammonta rispettivamente a:

Pis = Kis·f·BMα [W/Kg] , α = 1,6 se BM < 1 [Wb / m2], α = 2 se BM ≥ 1 [Wb / m2]

Pcp = Kcp·(Kf·f·BM)2 [W/Kg] , dove Kf è il fattore di forma del flusso alternato.

In tali espressioni BM è il valore massimo dell'induzione alternata, Kis e Kcp sono due costanti
dipendenti dal tipo di mezzo ferromagnetico.

Entrambe le perdite si possono riassumere nell'espressione:

Si tratta di una espressione empirica, dove Cp è la cifra specifica di perdita che rappresenta le
perdite in 1 [Kg] di ferro quando la frequenza vale 50 [Hz] e l'induzione massima vale 1 [Wb/m2].

Le espressioni sopra scritte evidenziano come le perdite varino con la frequenza ad induzione
costante e con l'induzione a frequenza costante.

Se invece si immagina di mantenere costante la tensione applicata V1 (caso pratico più frequente,
specialmente per il trasformatore), allora si dimostra che le perdite per correnti parassite sono
indipendenti dalla frequenza, mentre le perdite per isteresi diminuiscono all'aumentare della
frequenza secondo l'esponente (1 - α) < 0.

Infatti:

avendo trascurato la caduta sull'avvolgimento primario e quindi considerato . Ponendo Y =


4,443·N1·S e sostituendo nelle espressioni delle perdite si ha:
dalla quale si evince che a tensione costante le perdite per isteresi diminuiscono all'aumentare della
frequenza;

dalla quale si evince che a tensione costante le perdite per correnti parassite non dipendono dalla
frequenza.

Dalle stesse relazioni si nota come, per frequenza costante, le perdite per correnti parassite e per
isteresi aumentano proporzionalmente al quadrato della tensione (potendosi ritenere di solito
α uguale a 2). Quindi è da evitare l'impiego del trasformatore a tensioni superiori ed a frequenze
inferiori alle nominali.

Delle perdite complessive nel ferro si terrà conto nel circuito equivalente con una resistenza fittizia
trasversale R0 in parallelo alla Xµ, perché le perdite nel ferro sono pressoché proporzionali al
quadrato della BM e, perciò, della E1. Tale resistenza varrà:

Si chiama attiva la componente Ia di corrente assorbita che tiene conto delle perdite nel ferro. La Iµ
e la Ia sono sempre presenti nel funzionamento del trasformatore. Nel funzionamento a vuoto esse
sono le sole correnti e dalla loro composizione si ha la corrente assorbita a vuoto .
Ovviamente la corrente attiva è in quadratura in anticipo rispetto alla corrente magnetizzante e vale
.

d) perdite addizionali dovute alla maggior resistenza presentata dagli avvolgimenti in corrente
alternata rispetto alla corrente continua. Le perdite addizionali diminuiscono all'aumentare della
temperatura e sono originate dall'effetto pelle, dall'effetto di prossimità e dalle correnti parassite che
i flussi dispersi fanno scaturire nei mezzi conduttori da essi intersecati. Di tali perdite si tiene conto,
conglobandole assieme a quelle Ohmiche, mediante la resistenza equivalente ridotta al primario od
al secondario, riferita alla temperatura convenzionale.

e) non linearità del mezzo ferromagnetico, che determina l'impossibilità di avere


contemporaneamente sinusoidali la corrente magnetizzante ed il flusso. Infatti la permeabilità di un
materiale ferromagnetico non è costante, ma dipende dal valore del campo magnetico. Quindi la
caratteristica di magnetizzazione B = f(H) non è rettilinea così che a variazioni costanti di campo
corrispondono variazioni diverse d'induzione e la stessa cosa succede nella relazione tra flusso
(proporzionale all'induzione) e corrente magnetizzante (proporzionale al campo). Considerando che
il trasformatore viene alimentato da una tensione forzatamente sinusoidale e che la f.e.m. è
pressoché uguale alla tensione si può senz'altro ritenere sinusoidale il flusso (direttamente
proporzionale alla f.e.m.) e, quindi, deformata la corrente magnetizzante. La deformazione è tanto
più accentuata quanto più il punto di lavoro sulla caratteristica di magnetizzazione si addentra nelle
zone del ginocchio e della saturazione. Nella pratica si lavora con valori d'induzione massima nel
nucleo (1,3 ÷ 1,75 [Wb/m2] a secondo del tipo di lamierino per i trasformatori trifasi di media e
grande potenza, 0,8 ÷ 1,4 [Wb/m2] per i piccoli trasformatori monofase) tali da raggiungere a
malapena la zona del ginocchio così che la deformazione della corrente magnetizzante è poco
marcata. In tali condizioni è lecito ritenere la corrente magnetizzante uguale alla somma delle sue
componenti di prima (detta fondamentale) e terza armonica come mostrato in figura.

La componente di terza armonica, di frequenza 150 [Hz], può, nel caso non sia sufficientemente
piccola, provocare disturbi nelle linee telefoniche poste in prossimità alla linea che alimenta il
trasformatore essendo la sua frequenza nel campo dell'udibile.

f) sovracorrente d'inserzione, si presenta nell'istante di messa in tensione del TR a vuoto quando la


tensione ad esso applicata ha argomento iniziale nullo, cioè è esprimibile nella forma v1(t) =
V1M·sen(ω ω·t). In tale caso il flusso nel nucleo assume inizialmente un valore massimo doppio
rispetto a quello normale e, mandando in saturazione il ferro, determina il richiamo di una
intensissima corrente magnetizzante, anche 40 volte quella normale. Poichè la corrente
magnetizzante può anche essere il 5% della nominale a carico, si osserva che all'inserzione (durante
la prima semionda) la corrente può diventare anche il doppio della nominale a pieno carico e di ciò
si dovrà tenere conto nella scelta dei dispositivi di protezione contro i cortocircuiti dei trasformatori.
La condizione migliore di inserzione è quella per la quale v1(t) = V1M·sen(ω ω·t + π/2), infatti in tal
caso il flusso assume fin dalla prima semionda il valore normale che poi conserverà.

Circuito equivalente del trasformatore monofase reale

Partendo dal circuito equivalente del trasformatore ideale e tenendo conto degli aspetti che
caratterizzano il trasformatore reale si ottiene, per quest'ultimo, il seguente circuito:
Il significato dei vari parametri che compaiono nel circuito equivalente è stato chiarito nei paragrafi
precedenti. Il circuito equivalente è da intendersi a parametri costanti, cioè invarianti nel tempo.
Perché ciò sia vero deve essere costante sia la frequenza della tensione di alimentazione che la
temperatura di funzionamento. Per quanto riguarda la temperatura, essa deve essere quella
convenzionale di riferimento.

Le equazioni interne alla macchina (costituenti il suo modello matematico), sono:

Le equazioni esterne, che vincolano la macchina ad un specifico funzionamento, sono:

E' importante osservare come nel trasformatore reale, pur mantenendo costanti la tensione e la
frequenza di alimentazione, il flusso utile Φ non possa ritenersi costante. Infatti al variare del carico
(cioè al variare della corrente erogata I2 in conseguenza di variazioni dell'impedenza del carico)
varierà la corrente di reazione primaria I1' e, quindi, la corrente I1 al primario del trasformatore.
Questo fatto determina una variazione della c.d.t. sull'impedenza longitudinale dell'avvolgimento
primario e, in definitiva, una variazione della f.e.m. primaria dalla quale dipende direttamente il
flusso. E' facile immaginare le complicazioni nell'uso del modello che tale fatto implica.

Oltre al rapporto di spire sono pure significativi il rapporto reale di trasformazione a carico:

ed il rapporto di trasformazione nominale, definito come il rapporto tra la tensione primaria


nominale V1n e la corrispondente tensione al secondario a vuoto V20n:
Si può facilmente verificare che, nel caso di carico Ohmico-induttivo, risulta essere Ko < K mentre
è sempre lecito considerare .

Circuito equivalente semplificato ridotto al secondario

E' il più utilizzato dei circuiti equivalenti. Se si trascurano le c.d.t. provocate dalla sulla
impedenza (la qual cosa è lecita essendo in condizioni di funzionamento
nominali la corrente a vuoto pochi percento della corrente assorbita al primario), allora si può
immaginare che i rami trasversali siano sottoposti alla anziché e quindi è possibile
trasportarli a monte di tutto il circuito. Ciò equivale a ritenere il flusso nel trasformatore costante al
variare del carico (purché siano costanti la tensione e la frequenza di alimentazione). In tale ipotesi
si può ritenere che l'impedenza sia percorsa dalla anziché dalla e si può scrivere:

Ricordando le relazioni che legano le f.e.m. e le correnti attraverso il rapporto di spire e


moltiplicando ambo i membri per si ottiene:

Risolvendo rispetto alla f.e.m. secondaria si ha:

Si osserva che essendo , sarà:


Applicando la legge di Ohm al secondario e sostituendo si ottiene:

Vengono chiamate resistenza equivalente secondaria [Ω] :

e reattanza equivalente secondaria [Ω]:

così che la legge di Ohm si può riscrivere come:

correttamente trascritta nel circuito equivalente sopra disegnato.

Volendo si possono portare al secondario anche i parametri trasversali, è facile verificare che
anch'essi devono essere divisi per il quadrato del rapporto di spire.

Circuito equivalente semplificato ridotto al primario

Applicando la legge di Ohm al secondario del circuito equivalente e ricordando le relazioni che
legano le f.e.m. e le correnti al rapporto di spire si ha:

.
Moltiplicando per N1/N2 = m si ottiene:

dalla quale si ricava:

Ovvero è possibile sostituire a tutto il circuito a valle della il circuito corrispondente al secondo
membro dell'equazione sopra scritta. Se inoltre si suppone in via semplificativa che la macchina
lavori a flusso costante, ovvero se si trasporta il ramo trasversale a monte di tutto, allora si può
considerare l'impedenza del primario percorsa dalla anziché dalla e scrivere:

che corrisponde al circuito sopra disegnato. Si osserva che è la tensione d'uscita


riportata al primario e è l'impedenza di carico riportata al primario, infatti:

Quindi, per portare un parametro dal secondario al primario, si moltiplica per m2 (mentre per fare il
passaggio inverso, come abbiamo visto, si divide per m2 ).

Osservazione: i circuiti equivalenti semplificati vengono praticamente impiegati al posto di quello


non semplificato dal quale si è partiti. Infatti la semplificazione effettuata (quella di considerare la
macchina funzionante a flusso costante) non introduce significative differenze nei risultati ottenibili
mediante il modello, inoltre i parametri longitudinali equivalenti sono più significativi di quelli
separati per i due avvolgimenti. Questo perché i parametri equivalenti si ottengono attraverso prove
fatte sulla macchina attraverso le quali le resistenze equivalenti longitudinali tengono conto, oltre
che delle perdite Ohmiche, anche delle perdite addizionali. Infine, per motivazioni teorico-tecniche,
che noi non prendiamo in considerazione, si può anche dire che le reattanze di dispersione
considerate singolarmente per i due avvolgimenti variano (leggermente) al variare del carico,
mentre la reattanza equivalente (non importa se riportata al primario od al secondario) è più
prossima all'essere indipendente dal carico.

Dati di targa del trasformatore

Il trasformatore, come tutte le macchine, è caratterizzato da una targa che riporta i valori nominali
di funzionamento. Si tratta dei valori che servono a definire le prestazioni della macchina agli effetti
delle garanzie e del collaudo. Non bisogna infatti dimenticare che l'efficienza della macchina
dipende, oltre che dalle sue parti attive (ferro del nucleo, rame degli avvolgimenti), anche dal buon
funzionamento degli isolanti impiegati. Gli isolanti sono condizionati dall'ambiente nel quale
lavorano, dalle tensioni che devono sopportare e dalla temperatura che la macchina (in particolare
gli avvolgimenti) raggiunge a regime termico. La temperatura a regime dipende dalle perdite di
potenza interne alla macchina, perdite nel ferro che sono funzione del quadrato della tensione
applicata e perdite nel rame che sono funzione del quadrato della corrente negli avvolgimenti. I
valori nominali sono quei valori che le grandezze elettriche possono assumere garantendo il corretto
funzionamento della macchina e, di solito, garantendo il più alto rendimento possibile.

Per il trasformatore, i più importanti dati di targa sono:

a) la frequenza nominale fn [Hz];

b) le tensioni nominali primaria V1n [V] e secondaria V20n [V] (concatenate per la macchina
trifase), in valore efficace e riferite al funzionamento a vuoto;

c) il rapporto nominale di trasformazione

d) le correnti nominali primaria I1n [A] e secondaria I2n [A], in valore efficace e riferite ai terminali
di collegamento del trasformatore alle linee;

e) la potenza nominale definita come Sn = V1n·I1n = V20n·I2n [VA] per il trasformatore monofase,
Sn = ·V1n·I1n = ·V20n·I2n [VA] per il trasformatore trifase;

f) le perdite a vuoto espresse in percento della potenza nominale Po% , la corrente assorbita a vuoto
ϕ0 quando il trasformatore è
in percento della corrente nominale Io% , il f.d.p. a vuoto cosϕ
ϕ0 = Po% / Io% );
alimentato a tensione e frequenza nominali (esiste la relazione cosϕ

g) le perdite in cortocircuito espresse in percento della potenza nominale Pcc% , la tensione


applicata in cortocircuito in percento della tensione nominale Vcc% , il f.d.p. in cortocircuito
cosϕϕCC quando il trasformatore ha i morsetti d'uscita cortocircuitati, ha gli avvolgimenti percorsi
dalle correnti nominali e la temperatura è quella convenzionale di riferimento (esiste la relazione
);

h) il gruppo (o la famiglia) d'appartenenza, solo per i trasformatori trifase;

i) la classe d'isolamento, che definisce la temperatura convenzionale di riferimento della quale


abbiamo già parlato;

l) il tipo di servizio (continuo, di durata limitata, intermittente).

Per ultimo è bene ricordare che, indipendentemente dall'impiego che se ne farà (riduttore o
elevatore di tensione), si definisce primario l'avvolgimento di alta tensione e i morsetti dei due lati
(di alta e bassa tensione) si identificano mediante lettere maiuscole dal lato di alta tensione e
minuscole dal lato di bassa tensione, usando la stessa lettera per i morsetti dei due lati che si
corrispondono (ovvero che assumono contemporaneamente il potenziale positivo o negativo).

Funzionamento a vuoto del tr monofase reale


Il trasformatore si dice funzionante a vuoto se è nulla la corrente da esso erogata, ovvero se è Zu =
∞ [Ω] , I2 = 0 [A]. Sotto tale ipotesi è ovviamente nulla anche la corrente di reazione al primario e,
con riferimento al circuito equivalente semplificato ridotto al secondario, si può scrivere: ,
. In tale condizione di lavoro è sicuramente nulla la potenza erogata dal trasformatore,
mentre la potenza assorbita al primario coincide con le perdite nel ferro e vale:

Se la tensione e la frequenza di alimentazione sono quelle nominali, V1n , fn, risulta evidente come,
misurando la corrente e la potenza assorbite nel funzionamento a vuoto, Pon, I10n sia possibile
calcolare i parametri trasversali del circuito equivalente semplificato:

Normalmente la corrente a vuoto e la potenza assorbita a vuoto si esprimono in percento:

Valori normali sono Io% = 1 ÷ 30 , Po% = 0,2 ÷ 10 passando dai trasformatori trifase di grande
potenza ai monofase di piccolissima potenza.

Osservazione: nel funzionamento a vuoto di un trasformatore reale viene assorbita anche una
piccola potenza poi dissipata per effetto Joule nel rame dell'avvolgimento di alimentazione.
Tuttavia, essendo la corrente assorbita a vuoto molto più piccola della nominale (pochi percento), è
lecito trascurare queste perdite.

Funzionamento in cortocircuito del tr monofase reale


Il trasformatore si dice in cortocircuito se l'impedenza collegata ai suoi morsetti d'uscita è nulla,
ovvero se Zu = 0 [Ω] , V2 = 0 [V]. In tali condizioni è impensabile applicare al trasformatore la sua
tensione nominale, infatti la corrente negli avvolgimenti, a causa della piccolissima impedenza
interna (l'impedenza longitudinale del circuito equivalente semplificato), tenderebbe ad assumere un
valore enormemente più grande del nominale distruggendo così gli avvolgimenti stessi. Per questo
motivo, al trasformatore in cortocircuito si applica una tensione ridotta, più precisamente si applica
la tensione di cortocircuito che è quella tensione per la quale la corrente negli avvolgimenti, col
trasformatore cortocircuitato, assume il valore nominale. Essendo tale tensione molto più piccola
della nominale (pochi percento), anche il flusso utile nel nucleo sarà molto inferiore al nominale e,
quindi, saranno piccolissime le perdite nel ferro e piccolissima la corrente magnetizzante. In
definitiva, nel circuito equivalente semplificato saranno trascurabili (cioè di impedenza infinita) i
parametri trasversali.

Se le correnti e la frequenza di alimentazione sono quelle nominali, I1n , I2n , fn, e la temperatura è
quella convenzionale di riferimento, risulta evidente come, misurando la tensione applicata e la
potenza assorbita nel funzionamento in cortocircuito, V1ccn, Pccn, sia possibile calcolare i
parametri longitudinali del circuito equivalente semplificato:

Normalmente la tensione di cortocircuito e la potenza assorbita in cortocircuito si esprimono in


percento:

Valori normali sono Vcc% = 3 ÷ 20 , Pcc% = 1 ÷ 15 passando dai trasformatori trifase di grande
potenza ai monofase di piccolissima potenza.

Osservazione: nel funzionamento in cortocircuito di un trasformatore reale viene assorbita anche


una piccola potenza poi dissipata nel ferro del nucleo. Tuttavia, essendo la tensione applicata molto
più piccola della nominale (pochi percento), è lecito trascurare queste perdite.

Funzionamento a carico del trasformatore monofase reale


Il funzionamento a carico risulta descritto dalle equazioni già presentate. Con riferimento al circuito
equivalente semplificato ridotto al secondario:

immaginando che l'impedenza di carico sia Ohmico-induttiva, con α > 0°, si ottiene il
diagramma vettoriale sotto riportato (disegnato a partire dal flusso posizionato sul semiasse reale
positivo):

In tale diagramma ϕ1 è lo sfasamento d'ingresso, ϕ10 è lo sfasamento d'ingresso a vuoto, ϕ2 è lo


sfasamento d'uscita, ϕ20 è lo sfasamento interno. Ovviamente lo sfasamento d'uscita coincide con
l'argomento dell'impedenza di carico, cioè ϕ2 = α . Lo sfasamento interno vale invece:
dove Xu e Ru sono la reattanza ed la resistenza dell'impedenza di carico. Si osserva come sia
, questo perché ci stiamo riferendo al circuito equivalente semplificato. La corrente
erogata vale:

La tensione d'uscita a carico differisce da quella a vuoto di una quantità pari alla caduta
vettoriale di tensione sull'impedenza equivalente riportata al secondario:

Caduta di tensione industriale nel tr monofase reale

Viene definita come la differenza aritmetica tra il valore efficace della tensione d'uscita a vuoto ed
il valore efficace della tensione d'uscita a carico ∆V2 = V20 - V2 [V], mantenendo costante la
tensione e la frequenza d'alimentazione.

E' possibile calcolarla con un'espressione semplificata. Con riferimento al circuito equivalente
semplificato avente i parametri riportati al secondario ed alla figura riportata sopra (relativa ad un
carico di natura Ohmico-induttiva), possiamo scrivere:

∆V2 = V20 - V2 = O_D - O_A = A_D

Se l'angolo δ è piccolo (pochi gradi), allora l'arco C_D si può confondere con la semicorda C_E,
ovvero si può trascurare E_D rispetto A_D, così che si ha:

∆V2 ≅ A_E = A_N + N_E


∆V2 ≅ I2·(Re"·cosϕ
ϕ2 + Xe"·senϕ
ϕ2) [V]
Per trasformatori correttamente dimensionati e che erogano su carichi normali (Ohmico-induttivi),
l'espressione approssimata sopra dimostrata è sufficientemente precisa. Volendo, esiste
un'espressione meglio approssimata che noi non stiamo a dimostrare:

Molte volte la c.d.t. industriale viene espressa percentualmente rispetto alla tensione secondaria a
vuoto oppure a carico. Nei trasformatori ben costruiti, la c.d.t. industriale a pieno carico assume
valori percentuali poco discosti dal 4%.

Diagramma di Kapp di un tr monofase

E' una costruzione che permette di determinare graficamente la c.d.t. industriale e di fare importanti
considerazioni sul funzionamento del trasformatore, ipotizzando costanti la tensione di
alimentazione, la frequenza, la corrente erogata.

La costruzione si basa sul triangolo fondamentale OAB (triangolo di cortocircuito) del


trasformatore disegnato per la corrente erogata I2 per la quale si vuole determinare la c.d.t.
industriale. In questo triangolo, il cateto orizzontale O_A è proporzionale alla caduta sulla
resistenza equivalente secondaria Re"·I2 , il cateto verticale A_B è proporzionale alla caduta sulla
reattanza equivalente secondaria Xe"·I2 , l'ipotenusa O_B è proporzionale alla caduta
sull'impedenza equivalente secondaria Ze"·I2 , l'angolo sul vertice O è l'angolo di cortocircuito
ϕCC. La costruzione prevede poi che siano tracciate due circonferenze γ' , γ" di raggio uguale pari a
V20 e centro rispettivamente O e B. Una semiretta r orizzontale tracciata a partire dal vertice B
costituirà il riferimento per impostare lo sfasamento d'uscita ϕ2 per il quale si desidera conoscere la
c.d.t. industriale:
Dopo avere disegnato il triangolo fondamentale, le due circonferenze e la retta di riferimento per gli
sfasamenti, se si desidera conoscere la c.d.t. industriale per il generico sfasamento d'uscita ϕ2, basta
tracciare dal vertice B una semiretta formante l'angolo ϕ2 rispetto al riferimento r: il segmento C_D
formato dall'intersezione di questa semiretta con le due circonferenze rappresenta senz'altro la c.d.t.
industriale cercata.

Questo perché, essendo O_C e O_B rappresentativi rispettivamente della V20 e della Ze"·I2 , sarà
B_C pari alla tensione d'uscita V2 essendo soddisfatta l'equazione . Inoltre
B_D è per costruzione uguale a V20, quindi è sicuramente C_D = B_D - B_C uguale alla ∆V2.

E' facile verificare che quando ϕ2 = ϕCC si ha la massima c.d.t. industriale, pari alla caduta di
tensione sull'impedenza equivalente secondaria. Quando lo sfasamento d'uscita, di natura Ohmico-
capacitiva, è pari a ϕ2* si ha una c.d.t. industriale nulla. Quando lo sfasamento d'uscita, di natura
Ohmico-capacitiva, supera ϕ2* si ha una c.d.t. industriale negativa, ovvero la tensione d'uscita a
carico supera quella a vuoto.

Caratteristiche esterne di un tr monofase

Sono le V2 = f(I2) con V1 = cost. , f = cost. , ϕ2 = cost. e si possono ricavare analiticamente, noti
che siano i parametri longitudinali del trasformatore, oppure graficamente basandosi sul triangolo
fondamentale disegnato per la corrente nominale.

La costruzione necessaria per ricavarle graficamente è la seguente: si disegna il triangolo


fondamentale OAB per la corrente nominale I2n, quindi si traccia un arco di circonferenza centrato
in O e di raggio γ pari a V20 = V1 / K0, dove V1 è la tensione primaria per la quale si desidera la
caratteristica esterna. Per ultimo, a partire dal vertice O si traccia una semiretta r di riferimento per
lo sfasamento d'uscita ϕ2 per il quale si desidera la caratteristica esterna. Si dimostra facilmente che,
preso un generico punto B' sull'ipotenusa OB o sul suo prolungamento, il segmento O_B' nella
scala delle correnti rappresenta la corrente erogata dal trasformatore. Inoltre il segmento B'_C'
mandato da B' e formante con r un angolo ϕ2 pari allo sfasamento d'uscita desiderato, rappresenta
la tensione d'uscita. Ovviamente il segmento B_CN mandato dal vertice B rappresenta la tensione
d'uscita quando la corrente erogata è quella nominale, il segmento O_C0 mandato da O rappresenta
la tensione d'uscita a vuoto. Il segmento O_BCC rappresenta invece, nell'opportuna scala, la corrente
di cortocircuito alla quale corrisponde una tensione d'uscita nulla.
Le caratteristiche esterne intersecano tutte l'ordinata nel valore V20 [V] e l'ascissa nel valore I2CC =
V20 / Ze" [A]. Le caratteristiche esterne hanno andamento decrescente quando il carico è Ohmico,
Ohmico-induttivo, oppure Ohmico-capacitivo debolmente sfasato. Possono essere crescenti per
carichi Ohmico-capacitivi fortemente sfasati. La caratteristica per ϕ2 = ϕCC è la più bassa di tutte ed
è l'unica ad andamento rettilineo, questo fatto può facilmente essere dimostrato e ciò verrà fatto
quando sarà discussa l'analoga caratteristica per l'alternatore.

Caratteristiche di regolazione di un tr monofase

Sono le V1 = f(I2) con V2 = cost. , f = cost. , ϕ2 = cost. e si possono ricavare analiticamente, noti
che siano i parametri longitudinali del trasformatore, nel seguente modo:

Questa espressione è facilmente ricavabile dal diagramma vettoriale del trasformatore a carico.
L'andamento delle caratteristiche di regolazione è opposto rispetto a quello delle caratteristiche
esterne (se le prime sono crescenti le seconde sono calanti). Sono utili perché permettono di sapere
quale tensione applicare al primario per ottenere una determinata tensione al secondario, con
prefissate condizioni di carico.

Rendimento di un trasformatore monofase

Si distingue il rendimento effettivo:

nel quale sia la potenza assorbita P1 [W] che la potenza erogata P2 [W] sono direttamente misurate,
dal rendimento convenzionale:
nel quale una delle due potenze si ricava dall'altra tenendo conto delle perdite PP [W] (calcolate con
riferimento al modello semplificato).

Le perdite nel ferro Pfe [W] valgono Po (potenza assorbita nella prova a vuoto, riportata sulla targa)
se il trasformatore è alimentato a tensione e frequenza nominali, altrimenti si calcolano con:

Le perdite nel rame Pcu [W] valgono Pcc (potenza assorbita nella prova in corto, riportata sulla
targa) se il trasformatore ha gli avvolgimenti percorsi dalle correnti nominali, altrimenti si calcolano
con:

Il trasformatore viene dimensionato per dare il massimo rendimento intorno ai 3/4 del pieno carico.
Si dimostra che il rendimento è tanto più grande quanto più è grande il f.d.p. del carico. Inoltre, se si
trascura la c.d.t. industriale, cioè se si immagina costante la tensione d'uscita al variare della
corrente erogata, allora la corrente per la quale si ha il massimo rendimento è quella che produce nel
rame le stesse perdite che si hanno a vuoto nel ferro, ovvero:

Qualitativamente, l'andamento del rendimento in funzione della corrente erogata è quello sopra
raffigurato. Nei trasformatori ben costruiti e funzionanti a pieno carico il rendimento è sempre
molto elevato, anche pari al 99,5% per le macchine di elevata potenza.

Fattore di carico di un trasformatore monofase

E' definito come:


ed indica quanto un trasformatore viene utilizzato rispetto alla sua prestazione nominale. Valori
normali per il fattore di carico sono 0,7 ÷ 1.

Trasformatore trifase

Al fine dei calcoli necessari per studiarne il comportamento (rendimento, c.d.t.i., ecc.), è possibile
sostituire un trasformatore trifase, qualunque sia il tipo di collegamento degli avvolgimenti al
primario ed al secondario, con un trasformatore equivalente Y/Y. Il circuito equivalente farà
riferimento ad una sola fase in quanto il sistema è sicuramente simmetrico ed equilibrato (a carico,
dovrà essere equilibrato l'utilizzatore alimentato dal trasformatore):

I parametri si determinano dai dati di targa, il procedimento è del tutto analogo a quello già visto
per il trasformatore monofase. Si tiene presente che le tensioni e le f.e.m. sono quelle stellate, le
correnti sono quelle di linea, le perdite sono un terzo delle totali:

La c.d.t. industriale e le perdite si calcolano con le espressioni:

∆V2 = · ∆V
∆ 2Y ≅ ϕ2 + Xe"·senϕ
·I2·(Re"·cosϕ ϕ2) [V]
Parallelo dei trasformatori

Due trasformatori si dicono funzionanti in parallelo quando sono alimentati da una stessa linea ed
erogano potenza su uno stesso carico. L'impiego di due trasformatori collegati in parallelo permette
di trasformare una potenza maggiore di quella possibile con un trasformatore singolo, inoltre
garantisce una più sicura continuità di servizio.

Noi facciamo riferimento al caso di trasformatori trifasi, quanto verrà detto è comunque valido
anche per i trasformatori monofasi. Possiamo rappresentare due trasformatori funzionanti in
parallelo mediante uno schema semplificato unifilare oppure mediante il circuito equivalente Y/Y
riferito ad una fase:

Requisiti per il parallelo

a) i due trasformatori devono essere costruiti per la stessa tensione nominale primaria e per la stessa
frequenza di funzionamento;
b) i due trasformatori devono avere uguale rapporto nominale di trasformazione, od almeno rapporti
molto prossimi;

c) i due trasformatori devono appartenere allo stesso gruppo (o alla stessa famiglia), questa
condizione riguarda i soli trasformatori trifase;

d) nel collegamento alle sbarre i morsetti omologhi si devono corrispondere.

Condizione per il parallelo perfetto a vuoto

I due trasformatori devono avere uguale rapporto di trasformazione a vuoto, ovvero devono avere
stessa tensione nominale secondaria. Se questo non accade, ovvero se V20A ≠ V20B, allora si avrà
una corrente di circolazione a vuoto IC0 nella maglia formata dai secondari dei due trasformatori e
la tensione a vuoto alle sbarre secondarie V20 avrà un valore compreso tra V20A e V20B.

Condizioni per il parallelo perfetto a carico

a) il parallelo deve essere perfetto a vuoto;

b) i due trasformatori devono avere uguali tensioni di cortocircuito affinché la corrente erogata a
carico si suddivida tra i due trasformatori proporzionalmente alle rispettive potenze nominali. Se ciò
non accade, ovvero se V2CCA ≠ V2CCB, allora i due trasformatori si caricheranno diversamente e
tenderà a caricarsi maggiormente quello che presenta più piccola impedenza interna;

c) i due trasformatori devono avere lo stesso fattore di potenza di cortocircuito affinché la corrente
erogata al carico sia uguale alla somma aritmetica delle correnti erogate dai singoli trasformatori. Se
ciò non accade, ovvero se cosϕ ϕCCA ≠ cosϕ ϕCCB, allora le correnti erogate dai singoli trasformatori
saranno sfasate tra di loro e sfasate rispetto alla corrente erogata al carico, in altri termini la corrente
erogata al carico sarà inferiore alla somma aritmetica delle correnti erogate dai singoli trasformatori.

Come si studia il parallelo

Nel caso di parallelo perfetto a vuoto conviene fare riferimento al seguente circuito:

Se il parallelo è perfetto sia a vuoto che a carico si ha:

IC0 = 0 [A] , V20 = V20A = V20B [V]


ϕ2A = cosϕ
cosϕ ϕ2B = cosϕ
ϕ2

Se il parallelo è perfetto a vuoto mentre a carico risulta essere V2CCA ≠ V2CCB ed inoltre cosϕ
ϕCCA =
ϕCCB si ha:
cosϕ

IC0 = 0 [A] , V20 = V20A = V20B [V]

ϕ2A = cosϕ
cosϕ ϕ2B = cosϕ
ϕ2

ϕCCA ≠ cosϕ
Se il parallelo è perfetto a vuoto mentre a carico risulta cosϕ ϕCCB , comunque siano le
tensioni di cortocircuito si ha:

IC0 = 0 [A] , V20 = V20A = V20B [V]

ϕ2A ≠ cosϕ
cosϕ ϕ2B ≠ cosϕ
ϕ2

Nel caso di parallelo non perfetto a vuoto, per determinare la corrente di circolazione e la tensione
alle sbarre a vuoto conviene fare riferimento al circuito:

Invece, per determinare le correnti erogate dai singoli trasformatori si può ricorrere al principio di
sovrapposizione degli effetti ed alle formule di ripartizione:
Oppure si può risolvere la rete applicando Thévenin:

Aspetti costruttivi dei trasformatori trifasi

Anche per i trasformatori trifasi si distinguono due tipi di nucleo: nucleo a colonne, nucleo
corazzato (o a mantello). Mentre per i trasformatori monofasi la differenza tra i due tipi di nucleo
era una differenza tecnologica, per i trasformatori trifasi il tipo di nucleo implica effettive differenze
nel funzionamento del trasformatore.

La prima evidente differenza tra i due tipi di nucleo è data dal fatto che nel trasformatore a colonne,
figura (a), applicando il primo principio di Kirchhoff al nodo A si vede che i tre flussi devono
soddisfare alla condizione , cioè i tre flussi non sono liberi di variare
arbitrariamente nelle tre fasi, ma devono variare in modo tale da soddisfare alla relazione vista, per
tale motivo questi tipi di nucleo prendono il nome di nuclei a flussi vincolati. Una seconda
differenza consiste nel fatto che il trasformatore con nucleo a colonne presenta la riluttanza
magnetica relativa alla colonna centrale minore della riluttanza relativa alle colonne laterali, per i
trasformatori con nucleo a mantello, figure (b) e (c), la riluttanza è uguale per tutte e tre le colonne.
Questo fatto si spiega in questa maniera: mentre il flusso prodotto nella colonna centrale si chiude
attraverso due circuiti magnetici (i due gioghi) in parallelo tra di loro rispetto alla colonna centrale, i
flussi prodotti invece dalle colonne laterali incontrano nei loro circuiti magnetici i gioghi che sono
in serie: da questo fatto deriva che i circuiti magnetici di questo tipo di nucleo presentano diversa
riluttanza. Questa differenza di riluttanza provoca anche una differenza nelle correnti assorbite a
vuoto dagli avvolgimenti posti sulle diverse colonne e precisamente dovendo i flussi essere uguali
ed essendo la riluttanza della colonna centrale minore della riluttanza delle altre due colonne, sarà la
corrente relativa alla colonna centrale minore delle altre due. Siccome lo squilibrio di riluttanza che
si presenta nel caso di nuclei a colonne dipende dalla riluttanza dei gioghi, per evitare questo
squilibrio si fa in modo che la sezione dei gioghi sia maggiore di quella delle colonne, infatti, al
limite, se la riluttanza dei gioghi fosse nulla la riluttanza dei circuiti magnetici delle varie colonne
sarebbe uguale.

I nuclei del tipo a mantello possono a loro volta suddividersi in nuclei con flussi equiversi, figura
(b), e nuclei con flussi controversi, figura (c). I nuclei con flussi equiversi presentano i flussi nelle
tre colonne diretti nello stesso verso, mentre i nuclei con flussi controversi presentano il flusso nella
colonna centrale opposto al verso dei flussi nelle altre due colonne.

Nel caso del nucleo con flussi equiversi si osserva che il flusso nei gioghi periferici è metà del
flusso nelle colonne mentre il flusso nei gioghi intermedi è pari alla differenza vettoriale tra i due
flussi . Tali flussi sono uguali come intensità ma sfasati tra di loro di 120°, per cui
la loro differenza è pari a:
Per cui i gioghi intermedi dovranno avere una sezione volte maggiore di quella dei gioghi
periferici, volendo avere la stessa induzione in tutti i gioghi.

Nel caso di flussi controversi, allora il flusso nei gioghi centrali sarà pari a:

In tal caso tutti i gioghi, sia quelli esterni che quelli interni, sono attraversati da uno stesso flusso e
perciò anche la sezione è uguale per tutti. Si preferisce evidentemente il nucleo con flussi
controversi in quanto il suo peso è minore e, con esso, è minore anche il costo.

Per quanto riguarda gli avvolgimenti, primario e secondario, si possono realizzare concentrici
oppure alternati. I primi vedono le bobine di alta e bassa tensione concentriche sulla colonna, i
secondi vedono le bobine primaria e secondaria scomposte in bobine più piccole disposte
alternativamente sulla colonna. I collegamenti delle fasi possono essere di tre tipi: a stella, a
triangolo, a zig-zag. Il collegamento a stella o a triangolo può trovarsi indifferentemente sia al
primario che al secondario del trasformatore mentre quello a zig-zag è limitato solo al secondario
del trasformatore.

Rapporto di trasformazione, spostamento angolare nei TR trifasi

Si definisce rapporto di trasformazione nominale di un trasformatore trifase:

dove le tensioni sono quelle concatenate. Vedremo che tale rapporto non sempre coincide col
rapporto di spire m = N1 / N2.

Si denota col nome di spostamento angolare l'angolo, misurato quale ritardo della bassa tensione
rispetto all'alta tensione, che determina la reciproca posizione angolare fra la terna delle tensioni
concatenate (o stellate) dal lato AT e la terna delle tensioni concatenate (o stellate) dal lato bt. Tale
spostamento angolare è funzione del tipo di collegamento dell'avvolgimento AT e
dell'avvolgimento bt.
Lo spostamento angolare è determinante per il collegamento in parallelo dei trasformatori trifasi,
infatti due trasformatori trifasi possono essere collegati in parallelo solo se hanno lo stesso
spostamento angolare. Questo perché nel caso di diversi spostamenti angolari si avrebbe la
circolazione di una elevatissima (non sopportabile) corrente nella maglia formata dai secondari
dovuta al fatto che, nella maglia stessa, le f.e.m. a vuoto non si troverebbero tra di loro in
opposizione.

Si denota col nome di gruppo il numero ottenuto dividendo lo spostamento angolare per 30°. I
gruppi possibili sono 0, 1, 2, ..., 11. I vari gruppi originano le seguenti famiglie:

famiglia I : gruppi 1, 5, 9
famiglia II : gruppi 2, 6, 10
famiglia III : gruppi 3, 7, 11
famiglia IV : gruppi 0, 4, 8

I gruppi appartenenti alla medesima famiglia sono tra di loro scambiabili con la semplice
ridefinizione della morsettiera del trasformatore. I gruppi marcati sono quelli ai quali le norme CEI
facevano riferimento prima dell'introduzione della classificazione in famiglie.

I manuali per periti elettrotecnici riportano delle tabelle che mostrano per i vari collegamenti
possibili quale è il gruppo di appartenenza. Il trasformatore viene classificato mediante una sigla
composta dalla successione di un carattere maiuscolo (Y per la stella, D per il triangolo) che denota
il tipo di collegamento dal lato AT, un carattere minuscolo (y per la stella, d per il triangolo, z per
lo zig-zag) che denota il tipo di collegamento dal lato bt, un numero che denota il gruppo di
appartenenza. Se il secondario è a stella (o a zig-zag) e vi è il collegamento del centro al neutro si
aggiunge alla sigla il carattere n.

Vediamo alcuni esempi. Per ottenere lo spostamento angolare è importante disegnare la terna delle
f.e.m. dal lato di AT ponendo la f.e.m. della seconda fase con l'estremità rivolta in alto. Inoltre, le
terne si riportano sotto forma di triangolo equilatero nel caso di collegamento delle fasi a triangolo,
sotto forma di stella simmetrica nel caso di collegamento delle fasi a stella. Infine bisogna tenere
presente che il senso ciclico delle fasi cui fare riferimento è quello antiorario normale (prima fase in
anticipo di 120° sulla seconda, a sua volta in anticipo di 120° sulla terza). Per ultimo, il confronto
viene fatto con riferimento alle tensioni stellate relative alla prima fase VAY (alta tensione), VaY
(bassa tensione).

Yy0 (primario e secondario a stella)


Il rapporto di trasformazione vale:

Lo spostamento angolare vale α = 0° e quindi il gruppo è lo 0.

Yy6 (primario e secondario a stella, con la stella al secondario rovesciata)

Questo collegamento si può pensare ottenuto dal precedente spostando il centro della stella al
secondario dalla parte opposta delle bobine, oppure lasciando inalterato il centro della stella e
cambiando il senso di avvolgimento delle bobine dal lato secondario rispetto al senso di
avvolgimento delle bobine dal lato primario.
Il rapporto di trasformazione vale:

Lo spostamento angolare vale α = 180° e quindi il gruppo è il 6.

Dd0 (primario e secondario a triangolo)


Il rapporto di trasformazione vale:

Lo spostamento angolare vale α = 0° e quindi il gruppo è lo 0.

Yd11 (primario a stella e secondario a triangolo rovesciato)


Il rapporto di trasformazione vale:

Lo spostamento angolare vale α = 330° e quindi il gruppo è l' 11.

Dy11 (primario a triangolo e secondario a stella)


Il rapporto di trasformazione vale:

Lo spostamento angolare vale α = 330° e quindi il gruppo è l' 11.

Yz11 (primario a stella e secondario a zig-zag)

Ciascuna fase dell'avvolgimento a zig-zag è costituita da due bobine uguali, collocate su colonne
contigue, collegate in serie unendo insieme una coppia di capi non corrispondenti delle due bobine.
Le tre fasi dell'avvolgimento a zig-zag si collegano a stella unendo insieme una terna di capi
corrispondenti delle tre fasi. Con riferimento allo schema sotto riportato si ha:
Il rapporto di trasformazione vale:

Lo spostamento angolare vale α = 330° e quindi il gruppo è l' 11.

E' il caso di osservare che, a parità di tensione primaria e di numero di spire N1 ed N2, la tensione
secondaria nel trasformatore Yz è minore della tensione secondaria del trasformatore Yy ( risulta
essere V20Yz = 0,866·V20Yy ) e perciò anche la potenza del trasformatore Yz, a parità di correnti
nominali, è inferiore nella stessa misura rispetto alla potenza del trasformatore Yy.
Dy5 (primario a triangolo e secondario a stella rovesciata)

Il rapporto di trasformazione vale:

Lo spostamento angolare vale α = 150° e quindi il gruppo è il 5.

Corrente a vuoto nei trasformatori trifasi

Lo studio della corrente a vuoto nei trasformatori trifasi va fatto in funzione del tipo di
collegamento delle fasi. Se il trasformatore è alimentato a tensione sinusoidale, a causa della non
linearità del nucleo ferromagnetico sappiamo che, affinché possa essere sinusoidale la f.e.m.
indotta, deve essere la corrente magnetizzante assorbita da ogni fase non sinusoidale ma deformata (
cioè composta da una fondamentale e da una armonica del terzo ordine; sono presenti anche
armoniche di ordine superiore, ma essendo la loro intensità molto piccola si possono trascurare).
Nei trasformatori con nucleo a colonne si suppone la corrente magnetizzante nelle tre fasi uguale,
anche se in realtà la corrente nella fase centrale è diversa dalla corrente nelle altre due. Vediamo i
possibili casi:

Primario a stella con neutro, secondario a stella


Ciascuna delle tre correnti magnetizzanti iµ(t) assorbite nelle tre fasi si compone di una
fondamentale i1(t) (a 50 [Hz]) ed un'armonica di terzo ordine i3(t) (a 150 [Hz]):

iµA(t) = i1A(t) + i3A(t)


iµB(t) = i1B(t) + i3B(t)
iµC(t) = i1C(t) + i3C(t)

Applicando il primo principio di Kirchhoff al centro della stella O, si ottiene che le tre componenti
fondamentali a 50 [Hz], essendo sfasate di un terzo di periodo, cioè 120° tra di loro, danno come
risultante zero i1A(t) + i1B(t) + i1C(t) = 0 . Di conseguenza, attraverso il filo neutro non circolerà
alcuna componente fondamentale di corrente magnetizzante.

Le componenti armoniche di terzo ordine a 150 [Hz], invece, essendo tra di loro in fase (come si
può osservare nella figura sopra riportata ), danno una risultante pari a i3A(t) + i3B(t) + i3C(t) =
3·I3(t) . Questa corrente, di frequenza 150 [Hz], si chiuderà quindi attraverso il neutro.

La possibilità di circolazione per la componente di terza armonica della corrente magnetizzante


permette alla corrente magnetizzante stessa di deformarsi la qual cosa fa si che il flusso, e quindi la
f.e.m. indotta, sia sinusoidale (ed è questa la condizione ricercata). L'unico inconveniente che
potrebbe prodursi è costituito dal possibile disturbo che la corrente alla frequenza di 150 [Hz]
circolante nel neutro introduce nelle linee telefoniche vicine alla rete elettrica che alimenta il
trasformatore.

Primario a stella, secondario a stella

Essendo in questo caso il primario del trasformatore privo del filo neutro è chiaro che la somma
delle correnti deve dare nel punto O una risultante nulla, sia che si tratti delle componenti
fondamentali che delle componenti di terza armonica. Le componenti fondamentali, essendo sfasate
di 120° l'una rispetto all'altra, soddisfano alla condizione di dare una risultante nulla. Le componenti
di terza armonica, essendo in fase tra di loro, per soddisfare al primo principio di Kirchhoff nel
nodo O devono essere identicamente nulle, ovvero i3A(t) = i3B(t) = i3C(t) = 0 . Ne consegue che la
corrente magnetizzante deve essere sinusoidale (non potendo avere componenti armoniche che la
deformino), di conseguenza dovrà essere deformato il flusso e, con esso, dovranno essere deformate
le f.e.m. indotte in ciascuna fase.

La deformazione cui è soggetto il flusso viene mostrata nella figura riportata sopra. Con le f.e.m.
indotte saranno deformate le tensioni stellate al secondario mentre le tensioni concatenate, essendo
date dalla differenza vettoriale tra due tensioni stellate, risulteranno sinusoidali (infatti le
componenti di terza armonica delle tensioni stellate sono in fase tra di loro e, quindi, si elidono
facendone la differenza).

Primario a stella, secondario a triangolo

Per il primario è valido il ragionamento fatto nel caso precedente e cioè la corrente magnetizzante
risulta sinusoidale per cui saranno deformati i flussi e, con essi, le f.e.m. indotte. Al secondario le
f.e.m. indotte si trovano tra di loro in serie nella maglia chiusa del triangolo: le componenti
fondamentali a 50 [Hz] essendo sfasate tra di loro di 120° danno luogo ad una risultante nulla,
mentre le componenti armoniche del terzo ordine a 150 [Hz], essendo tra di loro in fase, impongono
la circolazione di una corrente pure a 150 [Hz]. Tale corrente di terza armonica tenderà per la legge
di Lenz ad opporsi alla causa che l'ha generata, perciò tenderà a limitare la terza armonica nei flussi.
Ne segue che con il collegamento a triangolo del secondario si diminuisce sensibilmente la
deformazione delle f.e.m. indotte.

Osservazione: per i collegamenti Yy e Yd privi del neutro al primario abbiamo osservato che il
flusso risulta deformato e precisamente costituito da una componente fondamentale e da una
componente di terza armonica. Se il nucleo del trasformatore è a colonne, applicando il primo
principio di Kirchhoff ai flussi in uno dei due nodi del circuito magnetico deve risultare nulla la
sommatoria dei flussi. Si verifica che solamente le componenti fondamentali dei flussi (sfasate di
120° tra di loro) soddisfano tale relazione mentre le componenti di terza armonica (tra di loro in
fase) non possono dare risultante nulla. Questo fatto impone ai flussi di terza armonica di chiudersi,
per i trasformatori a secco, non attraverso le colonne bensì attraverso l'aria. Se il trasformatore si
trova in un cassone d'olio allora il flusso si chiuderà attraverso la carcassa del contenitore dell'olio
presentando questa una permeabilità magnetica maggiore di quella dell'aria e, essendo la carcassa
metallica, le perdite nel suo ferro saranno rilevanti tenendo conto che il flusso ha frequenza 150
[Hz].

Primario a triangolo, secondario a stella

Siccome nulla si oppone alla deformazione delle correnti magnetizzanti in ciascuna fase del
primario (la componente di terza armonica della corrente magnetizzante può circolare liberamente
nella maglia formata dal triangolo), saranno sinusoidali sia il flusso che le f.e.m. indotte al primario
ed al secondario. Le correnti di linea, essendo date dalla differenza vettoriale di due correnti di fase,
risultano sinusoidali in quanto le componenti di terza armonica, essendo tra di loro in fase, si
elidono. Risulta evidente la bontà di comportamento, rispetto ai problemi di non linearità del
nucleo, del trasformatore trifase Dy.

Funzionamento dei trasformatori trifasi con carico squilibrato

Il migliore funzionamento del trasformatore trifase si ha quando il carico allacciato ai suoi morsetti
d'uscita è equilibrato. Solo in tale caso, applicando al primario una perfetta terna simmetrica di
tensioni, si ha una perfetta terna simmetrica pure al secondario. Nella realtà può accadere che il
carico applicato al secondario sia squilibrato, quindi è importante conoscere qualitativamente il
comportamento del trasformatore trifase in tali condizioni di carico in funzione del tipo di
collegamento tra le fasi al primario ed al secondario.

Primario e secondario a stella

Immaginiamo inizialmente di avere la presenza del neutro sia al primario che al secondario. Un
tipico caso di carico squilibrato è rappresentato da un carico monofase inserito tra la fase C ed il
neutro. Nella fase del secondario interessata circola una corrente I2C la quale richiama una corrente
di reazione I1C' nella corrispondente fase primaria. Tale corrente si richiude a sua volta attraverso il
filo neutro che rappresenta la via a minore impedenza. In questo modo la corrente di reazione non
va ad interessare le altre due fasi del primario e perciò non si ha nessun squilibrio nelle forze
magnetomotrici delle due fasi non caricate, il flusso nelle tre colonne rimarrà quindi costante.
Questo tipo di collegamento si presta perciò per trasformatori che alimentano carichi squilibrati.
Se si toglie il filo neutro al primario lasciando inserito il carico monofase al secondario, allora la
corrente secondaria I2C richiama una corrente di reazione I1C' nella fase primaria corrispondente la
quale deve necessariamente chiudersi attraverso le altre due fasi primarie (metà sulla fase A e metà
sulla fase B). Le correnti nelle due fasi primarie A e B non trovano una corrispondente corrente
nelle rispettive fasi secondarie per cui il loro effetto è totalmente magnetizzante, in altri termini si
crea uno squilibrio nelle f.m.m. delle fasi A e B con un conseguente aumento di flusso e quindi
delle f.e.m. sia al primario che al secondario. Questo tipo di collegamento non si presta perciò per
trasformatori che alimentano carichi squilibrati.

Si può quindi concludere dicendo che il sistema Yy senza il neutro al primario può essere
esclusivamente impiegato per il servizio su linee secondarie a tre fili con carico sicuramente
equilibrato. La connessione delle fasi a stella presenta il vantaggio di richiedere un isolamento verso
massa proporzionato alla tensione stellata che è volte più piccola della tensione concatenata e,
sotto questo aspetto, la connessione Yy è particolarmente adatta per le alte tensioni.

Primario a triangolo, secondario a stella con neutro


La corrente di reazione I1C' richiamata al primario dalla corrente secondaria I2C si chiuderà
attraverso la linea senza interessare le altre due fasi. Perciò questo tipo di collegamento delle fasi
primarie e secondarie viene usato nei trasformatori che devono alimentare carichi squilibrati perché
non da origine a dissimmetrie nelle forze elettromotrici. Ogni colonna del trasformatore viene a
funzionare come un trasformatore monofase indipendente. Questo tipo di connessioni è perciò
particolarmente impiegato nei trasformatori riduttori che alimentano le reti distributrici a bassa
tensione a quattro fili.

Primario a triangolo, secondario a stella senza neutro

La connessione triangolo dal lato bt e stella senza filo neutro dal lato AT trova impiego nei
trasformatori elevatori delle centrali generatrici dove la connessione a stella degli avvolgimenti ad
alta tensione riesce più conveniente per le ragioni inerenti all'isolamento già spiegate mentre la
connessione a triangolo del primario, come sappiamo, consente la circolazione della componente di
terza armonica delle correnti magnetizzanti ed assicura perciò l'andamento sinusoidale dei flussi e
delle forze elettromotrici. Si osserva che in tali trasformatori la tensione applicata al primario è
quella d'uscita degli alternatori (6 ÷ 20 [KV]) mentre la tensione al secondario è quella adatta al
trasporto (220 ÷ 380 [KV]).

Primario a stella, secondario a zig-zag con neutro


Un carico monofase inserito tra una fase e il filo neutro al secondario richiama corrente in due fasi
primarie. Essendo le fasi interessate al primario le stesse del secondario non viene a crearsi alcuno
squilibrio delle forze magnetomotrici e, quindi, le forze elettromotrici rimangono costanti nelle tre
fasi. Pur senza arrivare all'estrema condizione di squilibrio del carico appena descritta, la
ripartizione del carico di ciascuna fase su due diverse colonne produce l'effetto di compensare gli
squilibri delle tensioni dovute alle dissimmetrie di carico sulle tre fasi. Un'altra caratteristica
importante consiste nella eliminazione della terza armonica dalla tensione secondaria stellata,
questa è infatti data dalla differenza tra le due tensioni relative alle due metà della fase che si
considera e, poiché le terze armoniche sono in fase tra di loro, eseguendo questa differenza la terza
armonica si elimina. Nonostante che, a parità del numero di spire, il collegamento a zig-zag del
secondario fornisca una tensione secondaria pari all' 86,5% della tensione che si otterrebbe con il
collegamento a stella normale, tuttavia il maggior costo si ritiene compensato dal vantaggio di
rendere il trasformatore meglio adatto a sopportare i carichi squilibrati e dal vantaggio di eliminare
la terza armonica dalle tensioni stellate secondarie.

Primario a triangolo, secondario a zig-zag con neutro

E', assieme al Dy con neutro, usato quando si richiede l'accessibilità del neutro al secondario e si
prevede la possibilità di forti squilibri di carico in esercizio. Consente la massima simmetria delle
tensioni e la migliore ripartizione del carico al primario. Le terze armoniche nella corrente
magnetizzante dovute alla non linearità del nucleo si manifestano con una corrente che circola
soltanto nel triangolo del primario.

Primario a triangolo, secondario a triangolo

Anche questo tipo di collegamento delle fasi permette ottimamente di alimentare dei carichi
squilibrati senza che si manifestino delle dissimmetrie nelle forze elettromotrici. Questo tipo di
collegamento ha inoltre la caratteristica di mantenere invariate le tensioni secondarie anche se si
interrompe una fase del triangolo, si ottiene infatti così il trasformatore a V. Avendo un
trasformatore trifase Dd, se per un motivo qualsiasi va fuori servizio una fase, si può avere
automaticamente il collegamento a V che risulta essere un collegamento di emergenza in quanto
permette ancora la trasformazione trifase però con potenza trasformata minore: infatti le tensioni
rimangono immutate mentre le correnti di linea, coincidendo con quelle di fase, sono ridotte di
volte. Ne consegue che anche la potenza trasformata viene ridotta di volte.

Trasformatori di distribuzione

Per i trasformatori di distribuzione, dovendosi rendere disponibile al secondario l'accesso al neutro,


le possibili combinazioni sono Yzn e Dyn , per le quali equivalente risulta il costo di esecuzione
(ma la seconda è di gran lunga la più usata nel nostro paese) e la Dzn, certamente di esecuzione più
costosa (anche perché non di serie) da adottarsi nel caso siano previsti fortissimi squilibri di carico.

Autotrasformatore

Disponendo di un trasformatore monofase riduttore avente un avvolgimento primario composto da


N1 spire ed il secondario composto da N2 spire (N2 < N1) è lecito in ogni caso collegare un punto
dell'avvolgimento primario con un punto dell'avvolgimento secondario, ad esempio il punto B col
punto b , senza che il funzionamento del trasformatore vari. Essendo il numero delle spire primarie
maggiore del numero delle spire secondarie si potrà trovare lungo l'avvolgimento primario un punto
δ che sia equipotenziale con il punto a del secondario. In tal caso è possibile collegare
elettricamente il punto δ con il punto a senza che venga alterato il funzionamento della macchina.
L'avvolgimento di N2 spire risulta così superfluo, per cui si può realizzare il trasformatore con un
unico avvolgimento: la macchina così realizzata prende il nome di autotrasformatore monofase.

Nel funzionamento a vuoto il comportamento è del tutto analogo a quello del trasformatore, le
equazioni sono le stesse.

Nel funzionamento a carico, se rimangono costanti la tensione e la frequenza di alimentazione,


dovrà rimanere costante il flusso utile (come già visto per il trasformatore) e, quindi, vi sarà il
richiamo al primario di una corrente di reazione. Se si trascura la corrente a vuoto rispetto alla
corrente di reazione si potrà ritenere:

La corrente al primario sarà quindi opposta alla corrente erogata e di modulo minore. Applicando il
primo principio di Kirchhoff al nodo δ si ottiene:
questa relazione ci informa del fatto che nella parte di spire N2 comuni al primario ed al secondario
circola una corrente che può essere significativamente inferiore alla corrente erogata
dall'autotrasformatore.

Per vedere i vantaggi dell'autotrasformatore rispetto al trasformatore occorre valutare la differenza


tra la potenza di dimensionamento dell'uno e dell'altro. Per potenza di dimensionamento di un
avvolgimento si intende il prodotto tra la tensione ai capi dell'avvolgimento e la corrente che lo
percorre.

In un trasformatore, essendo , la potenza di dimensionamento dei due avvolgimenti


è uguale e coincide con la potenza apparente nominale del trasformatore.

In un autotrasformatore, invece, il tratto di avvolgimento compreso tra A e δ è percorso dalla


corrente I1 ed è sottoposto alla tensione (V1 - V2) e quindi la potenza di dimensionamento per
questo tratto vale (V1 - V2)·I1.

Ricordando che e sostituendo si ottiene infine:

Il tratto di avvolgimento compreso tra δ e B è percorso dalla corrente I ed è sottoposto alla tensione
V2, quindi la potenza di dimensionamento vale . Ricordando che:

e sostituendo si ottiene la stessa potenza di dimensionamento vista sopra, quindi in un


autotrasformatore le potenze di dimensionamento delle due diverse parti dell'avvolgimento sono le
stesse. Inoltre la potenza di dimensionamento nell'autotrasformatore è pari a quella del
trasformatore moltiplicata per il coefficiente:

che è sempre minore di uno, quindi, a parità di potenze nominali, la potenza di dimensionamento
dell'autotrasformatore è sempre minore di quella del trasformatore. Ovviamente la potenza di
dimensionamento dell'autotrasformatore è tanto più piccola quanto più V2 è prossimo a V1, al limite
se V2 è uguale a V1 la potenza di dimensionamento è nulla. Per questo motivo gli autotrasformatori
risultano convenienti per rapporti di trasformazione non superiori a 3 ÷ 4.

Per quanto sopra detto l'autotrasformatore richiede minor spesa nella costruzione, perché la sua
minore potenza di dimensionamento permette di ridurre la sezione del nucleo e la sezione dei
conduttori degli avvolgimenti.

Il rendimento dell'autotrasformatore sarà maggiore, infatti a parità di densità di corrente negli


avvolgimenti si avrà per le perdite nel rame la relazione:
(per quanto riguarda le perdite nel ferro a parità di induzione, pur essendo il peso del ferro
impiegato per l'autotrasformatore minore di quello per il trasformatore, la riduzione delle perdite è
meno significativa).

Per riassumere gli aspetti vantaggiosi dell'autotrasformatore si può concludere dicendo che esso ha
un unico avvolgimento (anziché due) e che una parte di questo avvolgimento è percorsa da una
corrente minore di quella che si ha nel secondario del trasformatore.

Vi sono però anche degli svantaggi. Il primo inconveniente è costituito dal fatto che mentre nel
trasformatore i due avvolgimenti sono elettricamente separati, nell'autotrasformatore sono connessi
tra di loro. Per questo motivo, mentre un trasformatore permette sempre di mettere a terra il suo
avvolgimento secondario, l'autotrasformatore permette la messa a terra solo se è alimentato da una
linea a neutro isolato o se è alimentato tra fase e neutro di una linea con neutro a terra e si è certi di
mettere a terra il morsetto collegato al neutro.

Un altro inconveniente è costituito dal fatto che mentre nel trasformatore in seguito ad interruzione
di una spira secondaria il carico resta sottoposto a tensione nulla, nell'autotrasformatore in caso di
rottura di una spira sull'avvolgimento secondario il carico viene ad essere sottoposto ad una
tensione pari alla primaria, con ovvie conseguenze.

Gli autotrasformatori vengono anche costruiti in configurazione trifase. Il tipo di collegamento più
usato è quello Yy, in esso la tensione secondaria può essere variata tra 0 [V] e V2 ≤ V1 [V] (gli
autotrasformatori a rapporto variabile sono chiamati Variac). Il collegamento Dd è meno usato in
quanto la tensione secondaria può essere variata tra i valori V1/2 e V1 [V], infine la potenza di
dimensionamento è volte maggiore che nello Yy. Il rapporto di trasformazione a vuoto vale
sempre N1/N2 e lo spostamento angolare 0°.

Trasformatore a corrente costante

Si tratta di trasformatori monofasi che, se alimentati a tensione e frequenza costanti, erogano al


secondario una corrente costante indipendentemente dal valore della resistenza di carico.
Vengono usati per alimentare gli impianti di illuminazione stradale realizzati con lampade in serie.
Questo tipo di illuminazione stradale è indicato nel caso vengano impiegate lampade ad
incandescenza (oggi abbandonate a favore delle lampade a scarica nei gas) ed è adottato per densità
di carico di 10 ÷ 20 [KW] per chilometro di strada. Presenta il vantaggio di realizzare una economia
del conduttore necessario per l'impianto. Inoltre, mentre le lampade alimentate in serie sono
percorse tutte dalla stessa corrente e quindi sono sottoposte ad una tensione uguale per tutte (visto
che la resistenza RL è la stessa per tutte le lampade), nel caso delle lampade alimentate in parallelo
si verifica che le lampade più lontane sono sottoposte ad una tensione minore in quanto risentono
della caduta di tensione della linea. Dipendendo il flusso luminoso dalla tensione applicata al
quadrato, si verifica che l'intensità luminosa è costante per le lampade in serie mentre per quelle in
parallelo è variabile da un punto all'altro della linea. Inoltre le lampade in serie, richiedendo un
filamento più grosso, sono meccanicamente più resistenti alle sollecitazioni meccaniche.
L'inconveniente delle lampade in serie è quello dello spegnimento di tutte qualora una di esse si
interrompa a causa di un guasto, per ovviare a ciò si usano le valvole di tensione collegate in
parallelo alle lampade (appena una lampada si interrompe, l'intera tensione V2 si presenta ai capi di
detta lampada e questo fa intervenire la valvola).

Il trasformatore monofase a corrente costante è costruito col nucleo corazzato, ha la bobina primaria
fissa collocata sul fondo della colonna centrale e la bobina secondaria mobile lungo la colonna. La
bobina primaria viene alimentata a tensione e frequenza costanti, quella secondaria è tenuta sospesa
mediante un contrappeso FG [N] che contribuisce a determinare la seguente condizione di equilibrio
FI + FG = FP dove FI [N] è la forza di repulsione elettrodinamica dovuta all'interazione tra la
corrente I2 nella bobina secondaria e la corrente I1 presente nella bobina primaria, FP [N] è la forza
peso della bobina secondaria. Se in prima approssimazione si suppone costante il flusso utile ΦU
[Wb], allora si potrà ritenere la forza di repulsione elettrodinamica pressoché indipendente dalla
posizione lungo la colonna della bobina secondaria e, quindi, affinché l'equilibrio si conservi deve
essere costante la corrente erogata I2.

Nel funzionamento a vuoto, essendo nulla la corrente erogata, non potrà sussistere l'equilibrio tra le
forze e, quindi, la bobina secondaria si troverà in basso lungo la colonna e graverà sulla primaria
con una forza pari a (FP - FG).

Nel funzionamento a pieno carico (per il quale la macchina è dimensionata), la corrente erogata al
secondario sarà quella nominale I2N tale da determinare la forza di repulsione elettrodinamica
necessaria e sufficiente a produrre la condizione d'equilibrio FI + FG = FP per la quale la bobina
secondaria, pur trovandosi nella posizione più bassa lungo la colonna, non graverà più sulla bobina
primaria. In queste condizioni la resistenza applicata al secondario è quella nominale:

determinata dal numero massimo NLN di lampade alimentabili in serie e dalla resistenza RL [Ω] di
ciascuna lampada (SN [VA] con cosϕ ϕ2 = 1 è la potenza nominale). Il trasformatore presenta la
minima reattanza di dispersione equivalente al secondario Xe" [Ω] a causa della vicinanza tra i due
avvolgimenti ed una impedenza totale vista al secondario del circuito equivalente semplificato pari
a:

dove Re" [Ω] è la resistenza equivalente al secondario.

Se ora immaginiamo di ridurre la resistenza di carico al valore R2 < R2N (ad esempio mandando
fuori servizio qualche lampada) accadrà che, inizialmente, la corrente erogata tenderà ad aumentare
e, con essa, aumenterà la forza di repulsione elettrodinamica. Quindi si romperà l'equilibrio tra le
forze e, prevalendo la forza diretta verso l'alto, la bobina secondaria si allontanerà dalla primaria.
Con questo, aumentando il flusso di dispersione ΦD, aumenterà la reattanza di dispersione al
secondario che ad un certo istante assumerà un valore (Xe"+Xa) tale da ridimensionare l'intensità
della corrente erogata al valore nominale I2N, con tale corrente si ripristinerà l'equilibrio delle forze
e cesserà l'innalzamento della bobina secondaria. Risulta evidente che se la tensione e la frequenza
di alimentazione sono rimaste costanti, dovrà essere rimasto costante e,
qualunque sia la posizione lungo la colonna per la quale si è ricreato l'equilibrio, dovrà essere:

L'altezza della colonna è dimensionata in modo tale che la condizione di equilibrio possa
ricostituirsi anche nel caso di cortocircuito tra i morsetti d'uscita del trasformatore, ovvero del caso
di R2 = 0 [Ω]. In tal caso la reattanza addizionale Xacc che si aggiunge a quella di dispersione Xe"
dovrà soddisfare la relazione:

Partendo da una qualsiasi condizione di equilibrio compresa tra il funzionamento a pieno carico ed
il funzionamento in cortocircuito si può quindi dire che, se aumenta la resistenza d'uscita la bobina
secondaria si abbassa riducendo così la reattanza di dispersione al fine di mantenere costante Z20N,
se diminuisce la resistenza d'uscita la bobina secondaria si innalza aumentando così la reattanza di
dispersione al fine di mantenere costante Z20N, in ogni caso rimarrà costante e pari al valore
nominale la corrente erogata.

Il tutto si può interpretare attraverso il seguente circuito equivalente:


nel quale molto spesso è lecito trascurare i parametri trasversali, visto che la corrente erogata è
costantemente quella nominale e, quindi è sempre I1' >> I10.

Trascurando la corrente assorbita a vuoto, e quindi assumendo la corrente al primario uguale a


quella di reazione, si ha il diagramma vettoriale disegnato sotto ove si mostra la variazione delle
correnti nel passaggio dal pieno carico al cortocircuito e il conseguente grande aumento dello
sfasamento.

Valgono le seguenti ovvie relazioni:

Essendo il carico di natura puramente Ohmica, sarà sempre la tensione d'uscita in fase con la
corrente erogata e quest'ultima avrà modulo costante pari ad I2N (varierà solo il suo sfasamento
rispetto ). Per una generica resistenza di carico 0 ≤ R2 < R2N si avrà una corrispondente
reattanza Xa addizionale a quella di dispersione a pieno carico Xe" di valore tale da soddisfare alla
condizione Z20N = costante.
Completiamo questo argomento ricordando che il trasformatore a corrente costante richiede che la
bobina secondaria mobile sia munita di un opportuno smorzatore affinché il passaggio da una
posizione a un'altra avvenga senza oscillazioni che produrrebbero altrettante fluttuazioni di corrente
erogata.

Trasformatori di misura

Servono ad adeguare i valori di tensione e corrente alternata alle portate di voltmetri ed


amperometri. Nel primo caso si parla di trasformatori (riduttori) voltmetrici, nel secondo di
trasformatori (riduttori) amperometrici.

Trasformatori voltmetrici.

Sono trasformatori aventi numero di spire al primario N1 maggiore del numero di spire al
secondario N2. Affinché il rapporto di trasformazione effettivo K sia molto vicino al rapporto di
trasformazione nominale Kn è necessario che sia trascurabile la caduta di tensione interna e questo
accade solo se il trasformatore funziona in condizioni prossime al funzionamento a vuoto, in tali
condizioni è infatti:

Sempre per rendere trascurabile la c.d.t. interna bisogna che siano estremamente piccole la
resistenza Ohmica e la reattanza di dispersione dei due avvolgimenti, tutte queste condizioni si
realizzano adottando per gli avvolgimenti delle densità di corrente molto più piccole di quelle tenute
nei trasformatori industriali e curando l'accoppiamento elettromagnetico tra il primario ed il
secondario così da minimizzare i flussi dispersi.

Si definisce errore di rapporto percentuale:


dove (Kn·V2) è la tensione al primario calcolata attraverso il prodotto della tensione secondaria per
il rapporto di trasformazione nominale e V1 è la effettiva tensione primaria. Se K è l'effettivo
rapporto di trasformazione sarà anche:

Si definisce errore d'angolo l'angolo di sfasamento tra e , considerandolo positivo se la


seconda è in anticipo sulla prima e negativo viceversa. Questo errore non ha alcun effetto sulle
misure della sola tensione, influenza invece le misure di potenza (o d'energia) per le quali è
necessario che lo sfasamento esistente tra la tensione e la corrente di linea sia lo stesso che si ha
tra la tensione ϕ,
e la corrente di linea (è noto infatti come la potenza sia determinata dal cosϕ
oltre che dai valori efficaci di tensione e corrente).

I dati di targa più significativi del trasformatore di tensione sono:

a) prestazione nominale Sn [VA], è la massima potenza apparente che il TV può erogare sugli
equipaggi voltmetrici (tutti in parallelo) da esso alimentati senza che il TV superi i limiti di errore
caratterizzati dalla sua classe di appartenenza (la prestazione è riferita al fattore di potenza nominale
che vale convenzionalmente 0,8r);

b) tensione nominale primaria V1n [V], tensione nominale secondaria V2n [V] uniformata a 100
[V];

c) frequenza nominale [Hz];

d) rapporto nominale di trasformazione ;

e) classe di precisione, che delimita gli errori d'angolo e di rapporto;

Mediante la prestazione e la tensione secondaria nominale è possibile determinare la massima


ammettenza (o la minima impedenza) che è possibile collegare al secondario del TV, sarà infatti:

Le protezioni ammesse per i TV sono quelle contro i cortocircuiti, quindi i fusibili che vanno posti
sul primario o sul secondario (o su entrambi i lati).

Trasformatori amperometrici.
Sono trasformatori aventi numero di spire al primario N1 minore del numero di spire al secondario
N2. Per questi trasformatori il rapporto di trasformazione è definito come rapporto tra la corrente al
primario e corrente al secondario. Affinché il rapporto di trasformazione effettivo K sia molto
vicino al rapporto di trasformazione nominale Kn è necessario che sia trascurabile la corrente a
vuoto rispetto alla corrente di reazione primaria e questo accade solo se il trasformatore funziona in
condizioni prossime al funzionamento in cortocircuito, in tali condizioni è infatti:

Per rendere trascurabile la corrente a vuoto rispetto alla corrente di reazione bisogna tenere molto
bassa l'induzione nel nucleo ed usare lamierini a bassissima perdita specifica, ovvero bisogna tenere
una sezione del nucleo molto più grande di quella di un equivalente trasformatore industriale. E'
evidente che il primario andrà inserito in serie alla linea della quale si intende misurare la corrente.
Volendo si può limitare il primario ad un'unica spira, in questo caso non è necessario interrompere
la linea sulla quale si deve fare la misura in quanto il filo stesso della linea costituisce l'unica spira
primaria. L'avvolgimento secondario andrà sistemato attorno al filo di linea, le ampiamente usate
pinze amperometriche altro non sono che TA ad un'unica spira primaria.

Si definisce errore di rapporto percentuale:

dove (Kn·I2) è la corrente al primario calcolata attraverso il prodotto della corrente secondaria per il
rapporto di trasformazione nominale e I1 è la effettiva corrente primaria. Se K è l'effettivo rapporto
di trasformazione sarà anche:
Si definisce errore d'angolo l'angolo di sfasamento tra e , considerandolo positivo se la
seconda è in anticipo sulla prima e negativo viceversa. Questo errore non ha alcun effetto sulle
misure della sola corrente, influenza invece le misure di potenza (o d'energia) per le quali è
necessario che lo sfasamento esistente tra la corrente e la tensione di linea sia lo stesso che si ha
tra la corrente ϕ,
e la tensione di linea (è noto infatti come la potenza sia determinata dal cosϕ
oltre che dai valori efficaci di tensione e corrente).

I dati di targa più significativi del trasformatore di corrente sono:

a) prestazione nominale Sn [VA], è la massima potenza apparente che il TA può erogare sugli
equipaggi amperometrici (tutti in serie) da esso alimentati senza che il TA superi i limiti di errore
caratterizzati dalla sua classe di appartenenza (la prestazione è riferita al fattore di potenza nominale
che vale convenzionalmente 0,8r);

b) corrente nominale primaria I1n [A], corrente nominale secondaria I2n [A] uniformata a 5 [A];

c) frequenza nominale [Hz];

d) rapporto nominale di trasformazione ;

e) classe di precisione, che delimita gli errori d'angolo e di rapporto.

Mediante la prestazione e la corrente secondaria nominale è possibile determinare la massima


impedenza che è possibile collegare al secondario del TA, sarà infatti:

La protezione ammessa per il TA è una valvola di tensione posta sul secondario. Infatti nel caso in
cui il TA si venisse a trovare a vuoto si verificherebbe una elevatissima sopraelevazione di tensione
ai morsetti secondari. La causa di questo sta nell'aumento di forza magnetomotrice conseguente
all'assenza di corrente secondaria mentre permane la normale corrente al primario. Considerando la
bassissima induzione nel ferro che normalmente si ha nel TA, l'aumento della forza
magnetomotrice produce un aumento dell'induzione e del flusso fino alla saturazione con
conseguente aumento della f.e.m. indotta al secondario e della relativa tensione. L'intervento della
valvola di tensione impedisce a tale tensione di raggiungere valori pericolosi.

Misure sui trasformatori industriali

Il campo delle misure sulle macchine elettriche è vastissimo e coinvolge problematiche riguardanti
le normative e le certificazioni, oltre il collaudo delle macchine medesime. La parte che noi
tratteremo è quella direttamente utile alla comprensione del funzionamento delle macchine ed alla
verifica di quanto affermato in teoria, inoltre ci limiteremo a quelle prove per le quali abbiamo
l'attrezzatura necessaria al loro effettivo svolgimento. In ogni caso tutto ciò che verrà esposto
rispetterà le prescrizioni che il Comitato Elettrotecnico Italiano prevede e dispone relativamente alle
prove sulle macchine elettriche e che si trova riassunto nelle apposite norme CEI.

Si possono distinguere i seguenti tipi di prove:


a) prove di carattere generale: sono comuni a tutte le macchine elettriche e comprendono le prove di
riscaldamento (che studieremo con riferimento ai motori asincroni trifasi), le prove di isolamento e
le prove di rendimento;

b) prove speciali (che studieremo): sono specifiche per ogni singolo tipo di macchina e riguardano
essenzialmente la determinazione delle varie caratteristiche di funzionamento;

c) prove sul rumore acustico e sulla compatibilità elettromagnetica.

Dati di targa e dati dei costruttori

Il trasformatore, come tutte le macchine, è caratterizzato da una targa che riporta i valori nominali
di funzionamento. Si tratta dei valori che servono a definire le prestazioni della macchina agli effetti
delle garanzie e del collaudo. Non bisogna infatti dimenticare che l'efficienza della macchina
dipende, oltre che dalle sue parti attive (ferro del nucleo, rame degli avvolgimenti), anche dal buon
funzionamento degli isolanti impiegati. Gli isolanti sono condizionati dall'ambiente nel quale
lavorano, dalle tensioni che devono sopportare e dalla temperatura che la macchina (in particolare
gli avvolgimenti) raggiunge a regime termico. La temperatura a regime dipende dalle perdite di
potenza interne alla macchina, perdite nel ferro che sono funzione del quadrato della tensione
applicata e perdite nel rame che sono funzione del quadrato della corrente negli avvolgimenti. I
valori nominali sono quei valori che le grandezze elettriche possono assumere garantendo il corretto
funzionamento della macchina e, di solito, garantendo il più alto rendimento possibile.

Per il trasformatore, i più importanti dati di targa sono:

a) la frequenza nominale fn [Hz];

b) le tensioni nominali primaria V1n [V] e secondaria V20n [V] (concatenate per la macchina
trifase), in valore efficace e riferite al funzionamento a vuoto;

c) il rapporto nominale di trasformazione

d) le correnti nominali primaria I1n [A] e secondaria I2n [A], in valore efficace e riferite ai terminali
di collegamento del trasformatore alle linee;

e) la potenza nominale definita come Sn = V1n·I1n = V20n·I2n [VA] per il trasformatore monofase,
Sn = ·V1n·I1n = ·V20n·I2n [VA] per il trasformatore trifase;

f) le perdite a vuoto espresse in percento della potenza nominale Po% , la corrente assorbita a vuoto
ϕ0 quando il trasformatore è
in percento della corrente nominale Io% , il f.d.p. a vuoto cosϕ
alimentato a tensione e frequenza nominali (esiste la relazione );

g) le perdite in cortocircuito espresse in percento della potenza nominale Pcc% , la tensione


applicata in cortocircuito in percento della tensione nominale Vcc% , il f.d.p. in cortocircuito
cosϕϕCC quando il trasformatore ha i morsetti d'uscita cortocircuitati, ha gli avvolgimenti percorsi
dalle correnti nominali e la temperatura è quella convenzionale di riferimento (esiste la relazione
);

h) il gruppo (o la famiglia) d'appartenenza, solo per i trasformatori trifase;

i) la classe d'isolamento, che definisce la temperatura convenzionale di riferimento della quale


abbiamo già parlato;

l) il tipo di servizio (continuo, di durata limitata, intermittente).

E' bene ricordare che, indipendentemente dall'impiego che se ne farà (riduttore o elevatore di
tensione), si definisce primario l'avvolgimento di alta tensione e i morsetti dei due lati (di alta e
bassa tensione) si identificano mediante lettere maiuscole dal lato di alta tensione e minuscole dal
lato di bassa tensione, usando la stessa lettera per i morsetti dei due lati che si corrispondono
(ovvero che assumono contemporaneamente il potenziale positivo o negativo).

Dovendo valutare la qualità di un trasformatore dopo averlo sottoposto alle varie prove, è utile fare
riferimento ai valori espressi dalle macchine costruite a regola d'arte, messi a disposizione dalle
aziende costruttrici o fornitrici di TR a norma.

Sn Po Io Pcc Vcc η
[KVA] % % % % %
0,3 5 20 7,5 9 89
3 3,1 6 ÷ 10 4,3 6 94
15 1,8 4÷7 2,6 5,2 95
50 0,66 3,1 2,2 4 96,6
100 0,43 2,9 1,9 4 97,2
500 0,24 2 1,27 4 98,2
1000 0,235 1,8 1,17 4,4 98,3
N.B.: la tabella fa riferimento ai trasformatori trifasi, per adattarla ai
monofase bisogna scegliere la riga relativa alla potenza di targa tre volte
più grande di quella del trasformatore monofase interessato. Il
rendimento è riferito al funzionamento a pieno carico e fattore di potenza
d'uscita pari a 0,8r.

Prove speciali sui trasformatori

Le prove che si devono eseguire sui trasformatori hanno lo scopo di determinare:

a) le polarità corrispondenti nei trasformatori monofasi, il gruppo di appartenenza (chiamato anche


indice orario) nei trasformatori trifasi.

b) il valore del rapporto di trasformazione.

c) l'andamento della caratteristica esterna:

ϕ2 = cost.
V2 = f(I2) per V1 = V1n = cost. , f = fn = cost. , cosϕ
che è la curva della tensione secondaria al variare della corrente erogata con tensione applicata e
frequenza costanti pari ai valori nominali e fattore di potenza d'uscita costante.

d) l'andamento della caratteristica di regolazione:

ϕ2 = cost.
V1 = f(I2) per V2 = cost. , f = fn = cost. , cosϕ

che è l'andamento della tensione primaria al variare della corrente erogata per avere, con frequenza
e fattore di potenza d'uscita costanti, una tensione d'uscita costante.

e) l'andamento della curva del rendimento:

η = f(I2) per V1 = V1n = cost. , f = fn = cost. , cosϕ


ϕ2 = cost.

che è l'andamento del rendimento al variare della corrente erogata con tensione applicata e
frequenza costanti pari ai valori nominali e fattore di potenza d'uscita costante.

E' bene osservare che le più recenti norme CEI non considerano il rendimento in quanto il confronto
dell'efficienza tra trasformatori deve essere fatto solo in base alle perdite. Il motivo di questa scelta
sta nel fatto che tali macchine hanno tutte rendimenti molto elevati (prossimi al 100%) e perciò
difficilmente misurabili con adeguata precisione. Solo per motivi didattici noi, dopo aver valutato le
varie perdite, calcoleremo anche il rendimento che si potrà chiamare rendimento convenzionale
dato che verrà valutato col metodo indiretto.

Per i trasformatori di potenza superiore ad 1 [KVA] se monofasi e 5 [KVA] se trifasi le


caratteristiche esterna e di regolazione si devono ricavare con il metodo indiretto, ovvero attraverso
i parametri del circuito equivalente semplificato. Per i trasformatori di potenza inferiore è invece
lecito l'impiego del metodo diretto che consiste nel rilevare le varie grandezze elettriche
direttamente sulla macchina mentre questa è sotto carico.

Sempre le norme CEI impongono una serie di prescrizioni da osservare durante l'esecuzione delle
prove. Le prove devono essere eseguite sulle macchine finite e pronte per il funzionamento, alla
temperatura ambiente purché compresa tra +10 [°C] e +40 [°C] e non superiore a +25 [°C] per
l'acqua nel caso di macchine impieganti tale fluido nel circuito di raffreddamento. Gli strumenti da
usare per le varie prove devono avere una precisione uguale o migliore della classe 0,5 ed i riduttori
(TV e TA) della classe 0,2. Le portate degli strumenti devono essere scelte in modo tale che le
letture vengano eseguite oltre il primo terzo della scala ed i risultati devono essere corretti dagli
errori propri degli strumenti e dei riduttori, dagli errori di autoconsumo e da ogni altro errore noto
quando essi non siano trascurabili. Le tensioni di prova, se alternate, devono essere sinusoidali, se
trifasi sinusoidali e simmetriche.

Ricerca delle polarità e dell'indice orario

La ricerca della polarità nei trasformatori monofasi consiste nella individuazione dei morsetti
corrispondenti, sono così chiamati quelli che durante la semionda positiva della tensione primaria
hanno polarità positiva sia al primario che al secondario. I morsetti corrispondenti vengono indicati
con le stesse lettere, maiuscole dal lato di alta tensione, minuscole sul lato di bassa tensione.

Vediamo il metodo dei due voltmetri. Si usa lo schema sotto riportato, si fa un ponte fra un
morsetto del primario ed uno del secondario (vincolando così allo stesso potenziale i due morsetti) e
si dispongono due voltmetri V1 , V' per tensione alternata come indicato in figura. Quindi si
alimenta il lato di AT con una tensione uguale o minore della tensione nominale.

Si possono verificare due casi:

a) i morsetti collegati dal ponte si corrispondono ed allora si avrà V' = V1 - E2 < V1 , si parla in tal
caso di polarità sottrattiva;

b) i morsetti collegati dal ponte non si corrispondono ed allora si avrà V' = V1 + E2 > V1 , si parla in
tal caso di polarità additiva.

La ricerca dell'indice orario nei trasformatori trifasi consiste nella misura dello spostamento
angolare, ovvero dell'angolo di ritardo della terna di bt rispetto alla terna di AT. Per eseguire tale
misura esistono specifici circuiti che tuttavia noi non stiamo a vedere.

Misura del rapporto di trasformazione

Abbiamo già visto in teoria come esso è definito. Fra i vari metodi di misura possibili consideriamo
il metodo voltmetrico.

Nel caso di trasformatore monofase il circuito di misura è il seguente:

Si alimenta il trasformatore attraverso un variatore di tensione ad induzione (nel caso di figura si


tratta di un autotrasformatore a rapporto variabile, denominato industrialmente VARIAC) e si
misurano le tensioni primaria e secondaria a vuoto. Dal loro rapporto si calcola il rapporto di
trasformazione. Normalmente si eseguono N diverse misurazioni con tensioni sempre inferiori (od
al più uguali) alla nominale e si esegue la media aritmetica tra i diversi valori calcolati:
Affinché la misura sia sufficientemente precisa è necessario che il voltmetro posto sul secondario
abbia una impedenza interna molto elevata (ad esempio se si tratta di un voltmetro digitale la sua
impedenza interna è > 10 [MΩ]), solo così è possibile ritenere il trasformatore effettivamente
funzionante a vuoto.

Altri metodi sono il metodo amperometrico, il metodo potenziometro ed il metodo di opposizione


che noi non stiamo a vedere.

Per i trasformatori trifasi si può ancora usare il metodo voltmetrico. Lo schema è analogo a quello
già visto per il trasformatore monofase ed i voltmetri devono essere inseriti tra due morsetti (sia al
primario che al secondario) in modo tale da misurare le tensioni concatenate. Indicando con A, B, C
i morsetti dal lato di alta tensione e con a, b, c i corrispondenti dal lato di bassa si avrà:

Oltre quanto già detto bisogna aggiungere che il trasformatore trifase deve essere alimentato da una
terna rigorosamente simmetrica di tensioni sinusoidali

Rilievo indiretto delle caratteristiche

Oltre alla ricerca della polarità e dell'indice orario ed alla misura del rapporto nominale di
trasformazione sappiamo che per un trasformatore è pure necessario determinare le caratteristiche
esterne, le caratteristiche di regolazione e le curve del rendimento. Se la potenza nominale è
maggiore di 1 [KVA] per i TR monofasi o 5 [KVA] per i TR trifasi le caratteristiche di cui sopra
devono ricavarsi col metodo indiretto. Tale metodo richiede che si eseguano sulla macchina le
seguenti ulteriori prove:

a) misura della resistenza Ohmica degli avvolgimenti;

b) prova a vuoto;

c) prova in cortocircuito.

Salvo alcune variazioni negli schemi, che si metteranno in evidenza durante la trattazione, le prove
da eseguire sulle macchine trifasi sono identiche a quelle per le macchine monofasi per cui si farà
un'unica trattazione mettendo in risalto, al momento opportuno, le differenze.

Misura della resistenza Ohmica degli avvolgimenti

Deve essere eseguita in corrente continua, con un adeguato metodo di misura, tenendo conto del
fatto che si tratta quasi sempre di una resistenza di piccolo valore. E' importante che la macchina sia
stata lungamente a riposo e che l'ambiente del laboratorio non abbia nel contempo subito importanti
sbalzi termici. Solo così si può ritenere la temperatura t [°C] degli avvolgimenti uguale a quella
ambientale. La corrente continua di misura deve essere inferiore ad 1/10 della corrente nominale
dell'avvolgimento, così che non si produca un riscaldamento dello stesso durante la prova (è noto
che per effetto Joule un conduttore percorso da corrente tende a riscaldarsi).

Nel caso di TR monofase si rileverà per il primario (convenzionalmente l'avvolgimento di AT) la


resistenza R1t [Ω] e per il secondario (convenzionalmente l'avvolgimento di bt) la resistenza R2t
[Ω].

Nel caso di TR trifase si può misurare la resistenza di ciascuna delle tre fasi e poi farne la media
aritmetica.

Per il primario R1Ft [Ω], poi se le fasi sono collegate a stella si ha che quella equivalente a stella
coincide con R1Ft , se invece le fasi sono collegate a triangolo si dovrà ovviamente dividere per 3 al
fine di avere quella equivalente a stella:

Oppure si può misurare la resistenza tra i tre morsetti A, B, C, due a due lasciando il terzo aperto, e
poi farne la media aritmetica Rm [Ω]. Qualunque sia il tipo di collegamento tra le fasi, per avere
quella equivalente a stella basta calcolare:

Per il secondario si procederà in modo del tutto analogo fino a calcolare la resistenza equivalente a
stella R2t [Ω].

Tali resistenze Ohmiche andranno associate alla temperatura di prova t [°C].

Prova a vuoto del trasformatore

Serve per la determinazione delle perdite nel ferro, oltre che della corrente assorbita a vuoto (col
relativo fattore di potenza). Inoltre permette di determinare i parametri trasversali del circuito
equivalente semplificato.

Viene condotta alimentando il trasformatore con frequenza nominale ed i risultati vanno riferiti alla
tensione nominale, infatti le perdite nel ferro dipendono sia dalla tensione che dalla frequenza.

Per il trasformatore monofase il circuito di misura consigliato è il seguente:


Tutti gli strumenti di misura impiegati devono essere per corrente alternata e frequenza pari a quella
di prova, inoltre la loro classe di precisione deve essere pari a 0,5 o migliore, così che si possano
trascurare gli errori sistematici strumentali e si possa tenere conto unicamente degli errori
sistematici d'autoconsumo (che andranno corretti in relazione al tipo d'inserzione impiegato nella
prova).

L'alimentazione del circuito deve essere in alternata con forma d'onda sinusoidale.

La regolazione del valore della tensione deve essere effettuata in modo tale da non introdurre
deformazioni nella forma dell'onda. Ad esempio può essere utilizzato (come mostra lo schema) un
autotrasformatore con rapporto di trasformazione variabile. E' lecito anche l'impiego di
trasformatori a rapporto di trasformazione variabile, di regolatori ad induzione oppure di gruppi di
generazione autonomi (motore ed alternatore) nel qual caso, oltre alla tensione, potrà essere variata
anche la frequenza. Non si possono invece impiegare reostati di regolazione perché le eventuali
deformazioni della corrente magnetizzante assorbita dalla macchina produrrebbero inevitabilmente
delle deformazioni nelle c.d.t. sui reostati e, quindi, nella tensione applicata al circuito.

Il frequenzimetro, inserito a monte del variatore di tensione perché per un corretto funzionamento
necessita di una tensione applicata sufficientemente grande, verifica che la frequenza sia quella
nominale (dalla frequenza dipendono le perdite nel ferro).

Il voltmetro, inserito tra due fili di linea per misurare il valore della tensione applicata.

L' amperometro serve a misurare la corrente assorbita a vuoto.

Il wattmetro serve a misurare la potenza assorbita dal trasformatore. Siccome il f.d.p. per un
trasformatore a vuoto è tipicamente molto basso, è consigliato l'impiego di un wattmetro a basso
cosϕ , si hanno così risultati più accurati.

L'inserzione adottata è del tipo con le voltmetriche a monte, questo perché il trasformatore a vuoto è
assimilabile ad un'impedenza di grande valore e tale inserzione favorisce errori d'autoconsumo più
piccoli (in ogni caso tali errori verranno corretti).

Il trasformatore deve essere alimentato dal lato di bassa tensione (lato secondario). Questo perché la
corrente assorbita a vuoto è pochi percento della nominale e, per avere valori circolanti rilevabili
con maggiore precisione, risulta conveniente scegliere il lato di bassa tensione nel quale la corrente
nominale è più alta.

Se si desidera unicamente determinare il valore delle grandezze sopra elencate si può fare un'unica
prova con tensione e frequenza nominali. Se invece si vogliono tracciare le caratteristiche a vuoto è
necessario fare diversi rilievi, tutti alla frequenza nominale, a partire da una tensione applicata
leggermente superiore alla nominale, ad esempio 1,1·V2n [V], e procedere riducendo la tensione
fino a zero.

Per ciascuna delle prove si determineranno:

V2 [V]

direttamente indicata dal voltmetro.

I20 [A]

direttamente indicata dall'amperometro.

P0 = W - RWA·I202 - RA·I202 [W]

essendo RWA [Ω] la resistenza interna amperometrica del wattmetro e RA [Ω] la resistenza interna
dell'amperometro. La potenza così calcolata è quella assorbita dal trasformatore a vuoto che
coincide (a meno delle perdite provocate dalla corrente a vuoto nel rame dell'avvolgimento di bt
che si possono ritenere trascurabili visto il basso valore della corrente) con le perdite nel ferro.

che rappresenta il f.d.p. a vuoto del trasformatore.

Grazie ai valori sopra calcolati, si possono determinare le seguenti caratteristiche a vuoto:

a) corrente assorbita in funzione della tensione applicata I20 = f(V2).

La caratteristica corrisponde a quella di magnetizzazione del nucleo della macchina, infatti la


tensione applicata è proporzionale al flusso e quindi all'induzione e la corrente assorbita (per gran
parte magnetizzante) è proporzionale al campo magnetico. Considerando che il circuito magnetico
ha traferri molto limitati, la caratteristica è abbastanza incurvata.

Il punto di funzionamento nominale, se il trasformatore è bene dimensionato, si situa nella zona


iniziale del ginocchio. Questo permette di contenere sia i fenomeni di non linearità propri del mezzo
ferromagnetico che le perdite nel ferro (legate ai valori dell'induzione).
In corrispondenza della tensione secondaria nominale V20n [V] si leggerà sul diagramma la corrente
secondaria a vuoto I20n [A].

b) perdite nel ferro in funzione della tensione applicata P0 = f(V2).

Le perdite nel ferro, a frequenza costante, dipendono pressoché dal quadrato dell'induzione
massima e, quindi, dal quadrato della tensione applicata. Per tale motivo questa caratteristica ha
andamento parabolico.

In corrispondenza della tensione secondaria nominale V20n [V] si leggeranno sul diagramma le
corrispondenti perdite nel ferro P0n [W].

ϕ0 = f(V2).
c) fattore di potenza a vuoto in funzione della tensione applicata cosϕ

Il valore del fattore di potenza a vuoto si mantiene parecchio al di sotto del valore uno. La sua
limitata variazione al variare della tensione applicata è dovuta al variare del rapporto tra la potenza
attiva e la potenza reattiva assorbite ed è legata anche ai fenomeni di non linearità propri del mezzo
ferromagnetico.

Dalle caratteristiche tracciate si determinano le seguenti grandezze riferite alla tensione e frequenza
nominali:
Tali valori andranno confrontati con quelli forniti dalle tabelle dei costruttori al fine di valutare la
bontà del comportamento a vuoto del trasformatore provato.

Si possono poi determinare i parametri trasversali del circuito elettrico equivalente semplificato:

Osservazione: le portate amperometriche e voltmetriche degli strumenti di misura andranno definite


con riferimento ai dati di targa ed ai dati riportati sulle tabelle dei costruttori.

Per il trasformatore trifase il circuito di misura consigliato è il seguente:

Lo schema sopra disegnato impiegante l'inserzione Aron è utilizzabile senz'altro nel caso di
trasformatore trifase con nucleo corazzato (detto anche a mantello). Infatti per tale tipo il
comportamento a vuoto (dove la corrente magnetizzante è prevalente) è di tipo equilibrato e, quindi,
si può utilizzare tale inserzione pure per calcolare il fattore di potenza. Se il nucleo è a colonne
bisogna tenere conto dello squilibrio della corrente magnetizzante nelle tre fasi (discusso in teoria) e
di conseguenza bisogna ricorrere ad un diverso schema, ad esempio si possono impiegare tre
wattmetri uguali inseriti su un centro stella equilibrato:

Tale inserzione è pure consigliabile nel caso di nucleo corazzato, infatti diventa possibile usare tre
wattmetri a basso cosϕ ed in tal modo si possono ridurre significativamente gli errori strumentali (si
ricordi che il f.d.p. a vuoto è bassissimo, inferiore di 0,5 in ritardo, ed impiegando l'inserzione Aron
si avrebbe il secondo wattmetro con indicazione negativa. Di conseguenza la potenza attiva
andrebbe calcolata come differenza aritmetica tra il primo ed il secondo wattmetro con la
conseguente propagazione di un grave errore sul risultato).
Sempre riguardo al circuito di misura bisogna aggiungere che l'alimentazione deve essere costituita
da una terna simmetrica di tensioni sinusoidali e che si pongono tre amperometri per controllare che
le correnti nelle tre fasi siano pressoché uguali (differenze significative starebbero ad indicare un
cattivo funzionamento ed in tal caso si dovrebbe sospendere la misura). Valgono inoltre tutte le altre
considerazioni già fatte per il circuito relativo al trasformatore monofase.

Se non si desidera tracciare le caratteristiche a vuoto è possibile fare un'unica misura con tensione e
frequenza nominali. Con ovvio significato dei simboli, le espressioni con le quali elaborare i
risultati sperimentali sono le seguenti:

V20n [V]

direttamente indicata dal voltmetro.

I20n = (A1 + A2 + A3) / 3 [A]

purché le indicazioni dei tre amperometri non differiscano sensibilmente.

P0n = WA + WB - 2·RWA·I20n2 - 3·RA·I20n2 [W]

essendo RWA [Ω] la resistenza interna amperometrica dei wattmetri (supposti uguali) e RA [Ω] la
resistenza interna degli amperometri (supposti uguali). La potenza così calcolata è quella assorbita
dal trasformatore a vuoto che coincide (a meno delle perdite provocate dalla corrente a vuoto nel
rame degli avvolgimenti di bt che si possono ritenere trascurabili visto il basso valore della
corrente) con le perdite nel ferro.

Se si fosse utilizzata l'inserzione coi tre wattmetri sul centro stella artificiale si sarebbe calcolato:

P0n = W1 + W2 + W3 - 3·RWA·I20n2 - 3·RA·I20n2 [W]

che rappresenta il f.d.p. a vuoto del trasformatore.

Le formule per il calcolo dei valori percentuali e dei parametri trasversali del circuito equivalente
semplificato sono esattamente le stesse del trasformatore monofase.

Prova in corto circuito del trasformatore

Serve per la determinazione delle perdite negli avvolgimenti, oltre che della tensione di
cortocircuito (col relativo fattore di potenza). Inoltre permette di determinare i parametri
longitudinali del circuito equivalente semplificato.

Per quanto riguarda le perdite negli avvolgimenti esse sono di due tipi:

a) perdite Ohmiche che dipendono dalla resistenza Ohmica misurata in corrente continua, dalla
corrente al quadrato ed aumentano all'aumentare della temperatura.
b) perdite addizionali che si aggiungono a quelle Ohmiche quando l'avvolgimento è in corrente
alternata. Queste perdite dipendono dalla frequenza, dal quadrato della corrente e diminuiscono
all'aumentare della temperatura.

Viene condotta alimentando il trasformatore con frequenza nominale e tensione ridotta (tensione di
cortocircuito) così che il trasformatore abbia negli avvolgimenti le correnti nominali, infatti
entrambe le perdite nel rame dipendono dalla corrente e la reattanza di dispersione e le perdite
addizionali dipendono dalla frequenza.

Per il trasformatore monofase il circuito di misura consigliato è il seguente:

Tutti gli strumenti di misura impiegati devono essere per corrente alternata e frequenza pari a quella
di prova, inoltre la loro classe di precisione deve essere pari a 0,5 o migliore, così che si possano
trascurare gli errori sistematici strumentali e si possa tenere conto unicamente degli errori
sistematici d'autoconsumo (che andranno corretti in relazione al tipo d'inserzione impiegato nella
prova).

L'alimentazione del circuito di misura deve avere forma d'onda sinusoidale.

La regolazione del valore della tensione deve essere effettuata in modo tale da non introdurre
deformazioni nella forma dell'onda. Ad esempio può essere utilizzato (come mostra lo schema) un
autotrasformatore con rapporto di trasformazione variabile. E' lecito anche l'impiego di
trasformatori a rapporto di trasformazione variabile, di regolatori ad induzione oppure di gruppi di
generazione autonomi (motore ed alternatore) nel qual caso, oltre alla tensione, potrà essere variata
anche la frequenza. Non si possono invece impiegare reostati di regolazione perché le eventuali
deformazioni della corrente magnetizzante assorbita dalla macchina produrrebbero inevitabilmente
delle deformazioni nelle c.d.t. sui reostati e, quindi, nella tensione applicata al circuito.

Il frequenzimetro, inserito a monte del variatore di tensione perché per un corretto funzionamento
necessita di una tensione applicata sufficientemente grande, verifica che la frequenza sia quella
nominale.

Il voltmetro verifica il valore della tensione di cortocircuito.

L' amperometro serve a verificare che la corrente assorbita sia quella nominale.

Il wattmetro serve a misurare la potenza assorbita dal trasformatore. Siccome il f.d.p. per un
trasformatore in corto è tipicamente basso, è consigliato l'impiego di un wattmetro a basso cosϕ , si
hanno così risultati più accurati.

Il termometro serve a misurare la temperatura degli avvolgimenti t [°C] (praticamente uguale a


quella ambientale se la macchina è stata a riposo per un tempo sufficiente). Se la prova ha una
durata contenuta nel tempo ed è condotta con i necessari accorgimenti si potrà ritenere tale
temperatura costante durante il suo svolgimento.

L'inserzione adottata è del tipo con le voltmetriche a valle, questo perché il trasformatore in corto è
assimilabile ad un'impedenza di piccolo valore e tale inserzione favorisce errori d'autoconsumo più
piccoli (in ogni caso tali errori verranno corretti).

Il trasformatore deve essere alimentato dal lato di alta tensione (lato primario). Questo perché la
tensione di cortocircuito è pochi percento della nominale e, per avere valori rilevabili con maggiore
precisione, risulta conveniente scegliere il lato di alta tensione.

Se si desidera unicamente determinare il valore delle grandezze sopra elencate si può fare un'unica
prova con applicata la tensione ridotta necessaria a fare circolare le correnti nominali, la frequenza
deve essere la nominale. Se invece si vogliono tracciare le caratteristiche di cortocircuito è
necessario fare diversi rilievi, tutti alla frequenza nominale, a partire da una tensione applicata
sufficiente a fare circolare una corrente leggermente superiore alla nominale, ad esempio 1,1·I1n
[A], e continuare riducendo la tensione fino a zero. E' importante procedere riducendo le correnti
circolanti, questo per facilitare il raffreddamento degli avvolgimenti durante la prova così da potere
ritenere la temperatura degli stessi costante e pari al valore t [°C] che essi avevano prima di
cominciare la prova.

Per ciascuna delle prove si determineranno:

t [°C]

direttamente indicata dal termometro e costante.

V1CCt [V]

direttamente indicata dal voltmetro.

I1 [A]

direttamente indicata dall'amperometro.

essendo RWV [Ω] la resistenza interna voltmetrica del wattmetro e RV [Ω] la resistenza interna del
voltmetro. La potenza così calcolata è quella assorbita dal trasformatore in corto che coincide (a
meno delle perdite nel ferro che si possono ritenere trascurabili visto il basso valore della tensione)
con le perdite negli avvolgimenti.

che rappresenta il f.d.p. in corto del trasformatore.

Grazie ai valori sopra calcolati, si possono disegnare le caratteristiche di cortocircuito:


a) tensione applicata in funzione della corrente assorbita V1CCt = f(I1).

Se durante la prova la temperatura è rimasta costante e così pure la frequenza, saranno rimaste
costanti la resistenza e la reattanza di dispersione degli avvolgimenti. Per tale motivo la
caratteristica avrà un andamento rettilineo essendo la tensione proporzionale alla corrente attraverso
l'impedenza equivalente (costante per quanto sopra esposto).

In corrispondenza della corrente primaria nominale I1n [A] si leggerà sul diagramma la tensione
primaria nominale di cortocircuito V1CCtn [V] riferita alla temperatura di misura t [°C].

b) perdite negli avvolgimenti in funzione della corrente assorbita PCCt = f(I1).

La curva ha un andamento pressoché parabolico dato che le perdite negli avvolgimenti variano con
il quadrato della corrente e, per le ragioni dette prima, la resistenza degli stessi si può ritenere
costante.

In corrispondenza della corrente primaria nominale I1n [A] si leggeranno sul diagramma le
corrispondenti perdite negli avvolgimenti PCCtn [W] alla temperatura di misura t [°C].

ϕCCt = f(I1).
c) fattore di potenza in corto in funzione della corrente assorbita cosϕ
Tale curva ha un andamento quasi orizzontale dato che il f.d.p. si ricava dal rapporto tra la
resistenza e l'impedenza che si possono ritenere costanti per le ragioni sopra esposte.

Dalle caratteristiche tracciate si determinano le seguenti grandezze riferite alla corrente nominale
I1n [A] , alla frequenza nominale ed alla temperatura di misura t [°C]:

V1CCtn [V] , PCCtn [W]

Si tratta ora di riportare i risultati dalla temperatura di misura t [°C] alla temperatura convenzionale
di riferimento T [°C] che, come già detto, dipende dalla classe d'isolamento del trasformatore. Per
fare questa operazione è necessario separare le perdite Ohmiche dalle perdite addizionali perché le
prime aumentano con la temperatura mentre le seconde diminuiscono all'aumentare della
temperatura.

Si procede come segue.

Per prima cosa si calcolano le perdite Ohmiche impiegando le resistenze Ohmiche R1t [Ω], R2t [Ω]
rilevate con la misura in corrente continua già descritta:

PΩtn = R1t·I1n2 + R2t·I2n2 [W]

Quindi si confrontano le perdite Ohmiche PΩtn [W] con quelle misurate in corrente alternata nella
prova di cortocircuito PCCtn [W]. Deve sempre essere PCCtn > PΩtn in quanto passando dalla
corrente continua alla corrente alternata accade che alle perdite Ohmiche si aggiungono quelle
addizionali. Ecco allora che si è in grado di separare le perdite addizionali alla temperatura di
misura:

PADtn = PCCtn - PΩtn [W]

Dopo avere separato le perdite si possono riportare le stesse dalla temperatura di misura t [°C] alla
temperatura convenzionale T [°C] (che vale 75 [°C] per isolamenti in classe A, E, B e 115 [°C] per
isolamenti in classe F, H). Allo scopo si deve calcolare il coefficiente di trasporto, che per il rame
vale:
e ricordare come le perdite variano rispetto la temperatura:

Osservazione: le perdite addizionali, pur sempre presenti, assumono valori significativi solo nei
trasformatori aventi avvolgimenti di sezione elevata (avvolgimenti per alte correnti e basse
tensioni). Diversamente esse sono molto piccole e può accadere che a causa degli inevitabili errori
di misura (sistematici ed accidentali) risulti essere PCCtn ≤ PΩtn la qual cosa è un assurdo fisico. Se
si verifica questo caso bisogna porre PADtn = 0 [W] ed assumere PCCTn = PCCtn·Kt [W].

Quindi si può procedere alla determinazione dei parametri longitudinali del circuito equivalente
semplificato. I passaggi necessari sono di seguito esposti.

Per la reattanza di dispersione equivalente riportata al primario, ricordando che essa è indipendente
dalla temperatura, si ha:

Per la resistenza equivalente riportata al primario si ha:

Per l'impedenza equivalente riportata al primario si ha:

Dalla teoria è noto che i parametri riportati al secondario si determinano da quelli al primario
dividendo per il quadrato del rapporto di trasformazione nominale a vuoto:

Noti i parametri del circuito equivalente si determinano la tensione di cortocircuito secondaria ed il


fattore di potenza di cortocircuito:

Infine si calcolano i valori percentuali delle perdite e della tensione di cortocircuito per poterli
confrontare con quelli forniti dai costruttori e così giudicare sulla buona progettazione e
realizzazione della macchina in prova:
Per il trasformatore trifase il circuito di misura consigliato è il seguente:

Essendo il TR trifase in cortocircuito un sistema essenzialmente equilibrato qualunque sia il tipo di


nucleo (questo perché, a causa del valore ridotto della tensione applicata, la corrente di
magnetizzazione è del tutto trascurabile), è lecito adottare l'inserzione ARON anche per determinare
il fattore di potenza.

Sempre riguardo al circuito di misura bisogna aggiungere che l'alimentazione deve essere costituita
da una terna simmetrica di tensioni sinusoidali. Valgono inoltre tutte le altre considerazioni già fatte
per il circuito relativo al trasformatore monofase.

Se non si desidera tracciare le caratteristiche di cortocircuito è possibile fare un'unica misura con
applicata la tensione ridotta tale da far circolare negli avvolgimenti le correnti nominali, con
frequenza nominale. Con ovvio significato dei simboli, le espressioni con le quali elaborare i
risultati sperimentali sono le seguenti:

t [°C]

direttamente indicata dal termometro.

V1CCtn [V]

direttamente indicata dal voltmetro.

I1n [A]

direttamente indicata dall'amperometro.

essendo RWV [Ω] la resistenza interna voltmetrica dei wattmetri (supposti uguali) e RV [Ω] la
resistenza interna del voltmetro. La potenza così calcolata è quella assorbita dal trasformatore in
corto che coincide (a meno delle perdite nel ferro che si possono ritenere trascurabili visto il basso
valore della tensione) con le perdite negli avvolgimenti.

Si tratta ora di riportare i risultati dalla temperatura di misura t [°C] alla temperatura convenzionale
di riferimento T [°C] che, come già detto, dipende dalla classe d'isolamento del trasformatore.
Si procede come per il trasformatore monofase, ovviamente si deve tenere conto del fatto che le
tensioni sono quelle concatenate, le correnti sono quelle di linea, le perdite sono quelle complessive
nelle tre fasi ed i parametri sono riferiti al trasformatore Yy.

PΩtn = 3·R1t·I1n2 + 3·R2t·I2n2 [W]


PADtn = PCCtn - PΩtn [W]

Se PCCtn ≤ PΩtn allora PADtn = 0 [W] e PCCTn = PCCtn·Kt [W]

Tracciamento delle caratteristiche

Tracciamento delle caratteristiche esterne

Vedi appunti precedenti di teoria.

Tracciamento delle caratteristiche di regolazione

Vedi appunti precedenti di teoria.

Tracciamento delle curve del rendimento convenzionale

Vedi appunti precedenti di teoria.

Rilievo diretto delle caratteristiche del trasformatore

Ha lo scopo di rilevare tutte le varie caratteristiche durante l'effettivo funzionamento della


macchina. Ovviamente deve essere disponibile in laboratorio un dispositivo di caricamento del
trasformatore. Tale metodo è applicabile solo per trasformatori di piccola potenza, inferiore ad 1
[KVA] se monofasi, inferiore a 5 [KVA] se trifasi. E' bene, prima di procedere al rilievo delle
caratteristiche, porre sotto carico nominale il trasformatore fin tanto che la temperatura degli
avvolgimenti non abbia raggiunto il valore di regime termico.

Con riferimento al trasformatore trifase il carico deve essere equilibrato ed un possibile circuito di
misura è il seguente:
In tale schema la componente attiva del carico è realizzata mediante un reostato trifase R e la
componente reattiva mediante un motore sincrono M.S. (che andrà sottoeccitato se si vuole un f.d.p.
in ritardo, sopraeccitato se si vuole un f.d.p. in anticipo).

Il rilievo della caratteristica esterna e della curva del rendimento si esegue alimentando
l'avvolgimento primario con tensione e frequenza nominali (che andranno mantenute costanti per
tutta la prova intervenendo quando necessario col variatore di tensione). Quindi si regola il carico in
modo da avere al secondario la corrente nominale ed il f.d.p. desiderato. In queste condizioni si ha il
primo punto (corrispondente al funzionamento a pieno carico) della caratteristica esterna ed il primo
punto della curva del rendimento. Per quanto riguarda gli autoconsumi, con riferimento allo schema
riportato, al primario andranno detratti dalla potenza ( WA1 + WB1 ) quelli volmetrici per avere la
potenza assorbita dal trasformatore ed al secondario andranno sommati alla potenza ( WA2 + WB2 )
quelli voltmetrici per avere la potenza erogata dal trasformatore. Quindi, intervenendo sul carico, si
riduce la corrente erogata e si rilevano altri punti fino ad avere il funzionamento a vuoto. Per essere
sicuri che il f.d.p. al secondario sia costante si dovrà controllare che rimanga costante il rapporto tra
le indicazioni dei wattmetri inseriti al secondario.

Per il rilievo della caratteristica di regolazione si inizia col trasformatore a vuoto e si regola la
tensione al primario in modo da avere al secondario la tensione che si vuole mantenere costante.
Quindi si inserisce il carico e gradualmente lo si aumenta e di volta in volta si regola la tensione di
alimentazione del primario per avere al secondario il valore costante di tensione prefissato, la
costanza del f.d.p. al secondario sarà verificata attraverso la costanza del rapporto tra le indicazioni
dei wattmetri inseriti in uscita del trasformatore.

Rilievo della cifra specifica di perdita di una lamiera ferromagnetica

Le perdite nel ferro del nucleo di una macchina elettrica sono dovute all'isteresi magnetica ed alle
correnti parassite. L'entità di tali perdite, riferite ad 1 [Kg] di ferro, ammonta rispettivamente a:

Pis = Kis·f·BMα [W/Kg] , α = 1,6 se BM < 1 [Wb / m2], α = 2 se BM ≥ 1 [Wb / m2]

Pcp = Kcp·(Kf·f·BM)2 [W/Kg] , dove Kf è il fattore di forma del flusso alternato.

In tali espressioni BM è il valore massimo dell'induzione alternata, Kis e Kcp sono due costanti
dipendenti dal tipo di mezzo ferromagnetico.

Entrambe le perdite si possono riassumere nell'espressione:


Si tratta di una espressione empirica, dove Cp è la cifra specifica di perdita che rappresenta le
perdite in 1 [Kg] di ferro quando la frequenza vale 50 [Hz] e l'induzione massima vale 1 [Wb/m2].

Come si vede, al fine di contenere le perdite ed avere quindi un elevato rendimento, è importante
conoscere la cifra specifica di perdita della lamiera ferromagnetica dalla quale si ricaveranno i
lamierini impiegati per la costruzione del nucleo. Allo scopo si esegue una adatta misura.

L'apparecchio di Epstein

E' un dispositivo, avente forma e dimensioni normalizzate, per la misura delle perdite totali nei
materiali ferromagnetici laminati appartenenti alle seguenti categorie:

A - laminati a caldo in fogli di spessore da 0,31 a 1 [mm];

B - laminati a caldo oppure a freddo in fogli o nastri, per applicazioni in corrente continua, di
spessore da 0,80 a 2 [mm];

C - laminati a freddo, non orientati, in nastro o fogli tagliati di spessore da 0,31 a 1 [mm];

D - laminati a freddo, non orientati, in nastri di spessore da 0,10 a 0,30 [mm] per impieghi con
frequenza compresa tra 16 e 100 [Hz] ed induzione fino ad un valore massimo di 1,6 [T] (Tesla,
pari al [Wb/m2]).

L'apparecchio è costituito da quattro tubi di bachelite di sezione 35 X 35 [mm] e di lunghezza 440


[mm] disposti secondo i lati di un quadrato e fissati su una base di legno stagionato di forma
quadrata recante ai quattro vertici apposite morse in modo da esercitare una conveniente pressione
sui quattro giunti del provino e da mantenerlo fermo durante la prova. Su ogni tubo sono disposti
due solenoidi, in filo di rame smaltato, uguali e sovrapposti, uno esterno primario magnetizzante ed
uno interno secondario, di 150 spire ognuno e occupanti 420 [mm] in lunghezza. I quattro primari
sono collegati in serie tra di loro a formare un unico avvolgimento P*_P avente in totale 600 spire.
Analogo collegamento unisce i quattro solenoidi del secondario così da formare un unico
avvolgimento S*_S di 600 spire. Tale apparecchio risulta essere quindi un trasformatore avente
rapporto di trasformazione unitario e il cui nucleo magnetico, che costituisce il provino, viene
realizzato con il materiale in prova.

Il provino è composto di una massa di circa 10 [Kg] di lamierini tranciati nella dimensione di 500
[mm] di lunghezza e 30 [mm] di larghezza. Le strisce, isolate tra di loro, andranno a comporre il
nucleo ed i giunti angolari dovranno preferibilmente essere del tipo alternato.

Dopo avere assemblato il tutto, si darà tensione al primario e si regolerà la pressione delle quattro
morse disposte in corrispondenza dei giunti angolari fino ad ottenere il minimo valore di corrente
magnetizzante assorbita.

Rilievo sperimentale della cifra specifica di perdita

Il circuito di misura nel quale va inserito l'apparecchio di Epstein è il seguente:

L'alimentazione è realizzata mediante un generatore sincrono (alternatore). Tale macchina permette


di avere una tensione V1 applicata al primario dell'apparecchio alternata sinusoidale variabile sia nel
valore che nella frequenza. La possibilità di variare la frequenza, e quindi di eseguire due prove a
due diverse frequenze, rende possibile, come vedremo, la misura separata delle perdite nel ferro per
isteresi da quelle per correnti parassite. Per variare la frequenza bisogna variare la velocità n [g/1']
del rotore dell'alternatore ed allo scopo si impiega quale motore primo M un motore in corrente
continua (se l'alternatore ha un numero di coppie polari pari a p, la relazione tra la frequenza e la
velocità è [Hz]). Per variare la tensione bisogna variare la corrente di eccitazione Iec
[A] degli avvolgimenti induttori dell'alternatore ed allo scopo si impiega il reostato di campo Rc
[Ω]. Affinché la tensione generata dall'alternatore sia perfettamente sinusoidale è necessario che la
sua potenza nominale sia molto più grande (almeno 5 volte) della potenza assorbita dal circuito di
misura e dall'apparecchio di Epstein.

Il frequenzimetro permette di misurare la frequenza, la stessa può essere anche controllata


attraverso la velocità di rotazione n [g/1'] del rotore dell'alternatore essendo le due grandezze
proporzionali tra di loro secondo la relazione sopra scritta.

L'amperometro indica la corrente assorbita dal primario dell'apparecchio di Epstein, tale grandezza
non ha alcun peso nell'elaborazione dei risultati della prova e serve unicamente per verificare di non
superare la portata amperometrica del wattmetro.
Il wattmetro misura la potenza assorbita dall'apparecchio di Epstein. Essendo questo analogo ad un
trasformatore monofase a vuoto, presenterà un fattore di potenza bassissimo così che sarà opportuno
impiegare un wattmetro a basso cosϕ. Si nota che l'equipaggio voltmetrico del wattmetro è
sottoposto alla tensione d'uscita V2 dell'apparecchio di Epstein e non alla tensione V1 applicata al
primario. Il motivo di tale collegamento è nel fatto che, essendo l'apparecchio di Epstein analogo ad
un trasformatore funzionante praticamente a vuoto, risulta essere V2 ≅ E2 ed essendo il rapporto di
trasformazione m = 1 sarà V2 ≅ E2 = E1. Quindi l'indicazione del wattmetro [W] sarà
più prossima alle sole perdite nel ferro che non nel caso del collegamento della voltmetrica al
primario. Infatti in tal caso si avrebbe [W] che è pari alla somma delle perdite nel
ferro con le perdite per effetto Joule nell'avvolgimento primario (vale la pena osservare che la
corrente assorbita dall'apparecchio di Epstein è molto più grande della corrente che un analogo
trasformatore assorbirebbe a vuoto, questo perché l'assemblaggio del provino porta inevitabilmente
ad un nucleo avente traferri molto più estesi di quelli di un trasformatore e, di conseguenza, al
richiamo di una corrente magnetizzante notevolmente più grande). L'interruttore T2 serve per
escludere i due voltmetri nel momento nel quale si legge il wattmetro (mentre l'interruttore T1 dovrà
ovviamente essere chiuso). In tale modo il funzionamento dell'apparecchio sarà più prossimo a
quello a vuoto (l'unica impedenza di carico inserita è costituita dalla resistenza dell'equipaggio
voltmetrico del wattmetro) e l'autoconsumo del circuito di misura sarà più ridotto.

Il voltmetro a valore efficace ed il voltmetro a valore medio devono essere inseriti e letti
contemporaneamente chiudendo l'interruttore T2 (mentre l'interruttore T1 dovrà essere aperto). E'
necessario conoscere sia il valore efficace che quello medio in un semiperiodo perché in tal modo si
potrà calcolare il fattore di forma della tensione d'uscita dell'apparecchio di Epstein.
Infatti le perdite nel ferro per correnti parassite dipendono dal quadrato del fattore di forma e le
norme CEI impongono che tale fattore sia sempre contenuto tra 1,07 e 1,15. Se così non è la forma
d'onda della tensione applicata all'apparecchio è troppo diversa da quella sinusoidale (per la quale
Kf = 1,11) e non si può procedere nella misura.

La prova consiste innanzitutto nel rilevare le caratteristiche pFe = f(BM) per due diverse frequenze di
funzionamento f1 ed f2 (dove pFe [W/Kg] sono le perdite specifiche nel ferro, BM [T] è l'induzione
massima). Per fare questo bisogna per prima cosa avviare il generatore sincrono e portarlo alla
velocità n1 [g/1'] corrispondente alla frequenza f1 [Hz] desiderata. Quindi, mantenendo costante la
velocità, si varia la tensione applicata al primario dell'apparecchio di Epstein mediante la
regolazione del reostato di campo Rc. Durante tale operazione bisogna porre estrema attenzione
all'indicazione dell'amperometro, infatti nel momento in cui il nucleo si appresta ad entrare in
saturazione avverrà un improvviso richiamo di corrente magnetizzante che potrà assumere valori
molto intensi, pericolosi se si avvicinano alla portata degli equipaggi amperometrici inseriti.

Per i diversi valori di tensione applicata si rileveranno:

dove E è direttamente letta sul voltmetro a valore efficace mentre Vm [V] è l'indicazione del
voltmetro a valore medio, entrambe rilevate tenendo chiuso l'interruttore T2 ed aperto l'interruttore
T1. Per la E si tratta della f.e.m. nei due avvolgimenti ( E1 = E2 = E perché m = 1), considerando
che la caduta di tensione nell'avvolgimento secondario è del tutto trascurabile essendo il secondario
stesso praticamente a vuoto. Solo se il valore del fattore di forma rientra nel campo 1,07 ÷ 1,15 la
prova è accettabile.
dove W è l'indicazione del wattmetro, RWV [Ω] è la resistenza dell'equipaggio voltmetrico del
wattmetro, G [Kg] è il peso del provino. La lettura del wattmetro deve essere fatta tenendo chiuso
l'interruttore T1 ed aperto l'interruttore T2.

dove n [g/1'] è la velocità del rotore e p è il numero di coppie polari dell'alternatore.

dove N = 600 è il numero di spire di ciascun avvolgimento, SFe [m2] è la sezione di ferro del
provino. Tale sezione si calcola conoscendo il peso G [Kg] del provino, il peso specifico della
lamiera sotto prova γ [Kg/m3] e la lunghezza l = 0,5 [m] dei lamierini tranciati per il provino
mediante la relazione:

La sezione non deve essere valutata attraverso una misura geometrica, infatti quella che interessa è
unicamente la sezione utile del solo ferro.

L'espressione per il calcolo dell'induzione massima si dimostra ricordando che nel caso di
grandezza sinusoidale è:

e che (vedi la teoria del funzionamento a vuoto del trasformatore ideale):

c.v.d.

Dopo aver eseguito le due prove alle due diverse frequenze f1, f2 si possono tracciare le curve delle
perdite specifiche in funzione dell'induzione massima:
Il loro andamento è pressoché parabolico considerando la dipendenza delle perdite nel ferro in
funzione dell'induzione a frequenza costante. In corrispondenza dell'induzione massima pari ad 1
[T] si rileveranno le perdite specifiche pFe1 e pFe2 [W/Kg].

Avendo a disposizione le perdite specifiche all'induzione massima di 1 [T] si può ora procedere alla
separazione delle perdite nel ferro per isteresi dalle perdite nel ferro per correnti parassite (chiamate
anche correnti di Foucault). Allo scopo basta ricordare che le prime sono funzione della frequenza
mentre le seconde sono funzione della frequenza al quadrato. Chiamando con KI il coefficiente
delle perdite per isteresi e con KF il coefficiente delle perdite per correnti parassite si ha:

Infine, ricordando che la cifra specifica di perdita deve essere espressa alla frequenza di 50 [Hz], si
ha:

Cp = KI·50 + KF·502 [W/Kg]

In base al valore ottenuto si potrà classificare la lamiera provata e decidere per quali tipi di
applicazioni essa è idonea.

Osservazione: se si costruisce il diagramma I = f(E) per le due frequenze di prova è possibile


verificare che a parità di f.e.m. (e quindi di tensione applicata) la corrente assorbita (di tipo
prevalentemente magnetizzante) è maggiore per la frequenza minore. Questo accade perché, a parità
di tensione, il flusso è tanto più grande quanto più è piccola la frequenza. Di conseguenza si dovrà
porre molta attenzione nella prova a frequenza più bassa perché la saturazione del nucleo avviene
per una tensione più piccola che non nel caso della frequenza maggiore.
Esercizio N° 1 (sui trasformatori monofasi, TR - linea - carico)

Un trasformatore monofase presenta i seguenti dati di targa :

Sn = 50 [KVA] , V1n = 1 [KV] , V20n = 230 [V] , fn = 50 [Hz]


Po% = 3 , Io% = 4 , Pcc% = 3,2 , Vcc% = 6

Tale trasformatore alimenta, attraverso una linea monofase di resistenza RL = 0,02 [Ω] e reattanza
XL = 0,025 [Ω], un'utenza monofase costituita da due carichi :

- un carico che assorbe la potenza Pu1 = 25 [KW] con fattore di potenza 0,8 in ritardo ;

- un carico che impegna la potenza apparente Su2 = 30 [KVA] con f.d.p. 0,9 in anticipo ;

Sapendo che la tensione applicata all'utenza vale Vu = 220 [V], determinare :

a) i parametri trasversali (riportati al primario) e longitudinali (riportati al secondario) del circuito


equivalente semplificato del trasformatore ;

b) la tensione d'uscita del trasformatore, la corrente erogata ed il relativo fattore di potenza ;

c) la tensione al primario del trasformatore, la corrente assorbita ed il relativo fattore di potenza ;

d) il rendimento della linea, quello del trasformatore e quello totale ;

e) la c.d.t. industriale della linea, quella del trasformatore e quella totale ;

f) il fattore di carico del trasformatore ;

g) la corrente teorica di massimo rendimento del trasformatore.

Risoluzione

L'impianto può essere riassunto nel seguente schema unifilare :


Nello schema si sono messe in evidenza per le sue diverse sezioni la tensione, le potenze ed il
fattore di potenza. Questo perché la risoluzione si basa sulla applicazione ripetuta del teorema di
Boucherot e, così facendo, risulta più semplice contabilizzare correttamente le varie potenze.

Risposta alla domanda a)

µ' si fa riferimento ai dati di targa relativi alla prova a


Per determinare i parametri trasversali Ro', Xµ
vuoto, quindi :

Per determinare i parametri longitudinali Re", Xe" si fa riferimento ai dati di targa relativi alla
prova in cortocircuito, quindi :

Risposta alla domanda b)

ϕu, allo
Per prima cosa si determinano le caratteristiche complessive del carico Pu, Qu, Su, cosϕ
scopo si applica Boucherot :
Quindi, considerando che è nota la tensione Vu applicata al carico, si calcola la corrente I2 da esso
assorbita. Tale corrente è la stessa che è presente nella linea e che è erogata la trasformatore :

ϕ2, si
Per determinare la tensione d'uscita del trasformatore V2 ed il relativo fattore di potenza cosϕ
applicherà Boucherot risalendo da valle verso monte nell'impianto :

Risposta alla domanda c)

Per risalire dal primario al secondario del trasformatore si deve utilizzare il rapporto nominale di
trasformazione:

e, quindi, serve innanzitutto determinare la tensione secondaria a vuoto V20 nelle condizione di
carico in esame. Per questo applico ancora Boucherot al circuito equivalente semplificato coi
parametri longitudinali riportati al secondario :
La tensione al primario varrà :

ϕu1 si
Per determinare la corrente assorbita al primario I1 ed il relativo fattore di potenza cosϕ
utilizzerà ancora una volta il teorema di Boucherot risalendo al primario. Si dovrà tenere conto del
fatto che le perdite nel ferro e la potenza reattiva impegnata per sostenere il flusso avranno valori
diversi da quelli assunti nella prova a vuoto, questo perché la tensione di alimentazione del
trasformatore non è quella nominale.

Risposta alla domanda d)

Con ovvio significato dei simboli :

Risposta alla domanda e)

Con ovvio significato dei simboli :


Oppure si potevano usare le espressioni approssimate, ad esempio :

Risposta alla domanda f)

Con ovvio significato dei simboli :

Si osserva che il trasformatore è leggermente sovraccaricato, comunque in misura accettabile.

Risposta alla domanda g)

Con ovvio significato dei simboli :

Si osserva come questa corrente sia prossima a quella nominale. Con questo è possibile affermare
che il trasformatore è correttamente dimensionato nelle sue parti di ferro e di rame.

Esercizio N° 2 (sui trasformatori monofasi, linea - TR - carico, rifasamento)

Un trasformatore monofase presenta i seguenti dati di targa :

Sn = 10 [KVA] , V1n = 380 [V] , V20n = 240 [V] , fn = 50 [Hz]


Po% = 3 , Io% = 5 , Pcc% = 4 , Vcc% = 7

Il trasformatore, alimentato da una linea monofase di resistenza RL = 0,8 [Ω] e reattanza XL = 0,7
[Ω], alimenta un'utenza monofase che assorbe la potenza Pu = 6 [KW] con cosϕ ϕu = 0,8 in ritardo.

Sapendo che la tensione applicata alla partenza della linea vale Vp = 400 [V], 50 [Hz] determinare :

a) la tensione d'uscita del trasformatore, la corrente erogata ed il relativo fattore di potenza ;

b) la tensione al primario del trasformatore, la corrente assorbita ed il relativo fattore di potenza ;

c) il rendimento della linea, quello del trasformatore e quello totale ;

d) il fattore di carico del trasformatore ;


e) la c.d.t. industriale totale ;

f) la capacità per rifasare a 0,9 in ritardo il primario del trasformatore e la corrente di linea dopo il
rifasamento, nell'ipotesi che la tensione al primario rimanga invariata.

Risoluzione

L'impianto può essere riassunto nel seguente schema unifilare :

Nello schema si sono messe in evidenza per le sue diverse sezioni la tensione, le potenze ed il
fattore di potenza. Questo perché la risoluzione si basa, tra l'altro, sulla applicazione ripetuta del
teorema di Boucherot e, così facendo, risulta più semplice contabilizzare correttamente le varie
potenze.

Risposta alla domanda a)

Essendo nota la tensione di alimentazione della linea Vp e dovendosi trovare la tensione d'uscita del
trasformatore V2, conviene fare riferimento al circuito equivalente nel quale siano riportati al
secondario sia i parametri longitudinali del trasformatore che quelli della linea. Ovviamente tutto
ciò significa trasportare i parametri trasversali del trasformatore a monte di tutto ed immaginarli
sottoposti alla tensione di partenza della linea anziché alla f.e.m. primaria del trasformatore. Detto
diversamente, si assume la f.e.m. primaria del trasformatore costante e pari alla tensione di partenza
della linea.

Per determinare i parametri longitudinali Re", Xe" del trasformatore si fa riferimento ai dati di
targa relativi alla prova in cortocircuito, quindi :
Per riportare al secondario del trasformatore i parametri della linea, essendo questa al primario,
dovrò dividere per il quadrato del rapporto nominale di trasformazione :

I parametri longitudinali equivalenti complessivi (linea più trasformatore) varranno :

Essendo applicata alla linea la tensione Vp = 400 [V], considerando il circuito equivalente
semplificato avremo una tensione secondaria a vuoto pari a V20T = Vp/Ko = 400/1,583 = 252,7 [V].

La tensione d'uscita e la corrente erogata dal trasformatore dovranno soddisfare sia la c.d.t.
industriale complessiva che la potenza attiva trasferita al carico, quindi è lecito impostare il
sistema :

Questo sistema è di secondo grado (in quanto nella seconda equazione le due incognite V2 ed I2
sono tra di loro moltiplicate) e conduce ad una soluzione approssimata essendo approssimata la
prima equazione. Delle due soluzioni si accetterà quella compatibile coi dati di targa del
trasformatore.
Considerando che la corrente secondaria nominale del trasformatore vale 41,67 [A], la soluzione
accettabile è :

ϕ2 = cosϕ
V2 = 226 [V] , I2 = 33,19 [A] , cosϕ ϕu = 0,8r

La soluzione scartata offre, come vedremo, quale valore di tensione la caduta industriale
dell'impianto.

Risposta alla domanda b)

Per determinare la tensione al primario del trasformatore applico il teorema di Boucherot, con
riferimento allo schema unifilare posso scrivere :

La tensione al primario varrà :

ϕu1 si
Per determinare la corrente assorbita al primario I1 ed il relativo fattore di potenza cosϕ
utilizzerà ancora una volta il teorema di Boucherot risalendo al primario. Si dovrà tenere conto del
fatto che le perdite nel ferro e la potenza reattiva impegnata per sostenere il flusso avranno valori
diversi da quelli assunti nella prova a vuoto, questo perché la tensione di alimentazione del
trasformatore non è quella nominale.

Risposta alla domanda c)


Per determinare il rendimento della linea devo risalire alla potenza alla partenza della linea :

Risposta alla domanda d)

Risposta alla domanda e)

La c.d.t. totale può essere determinata in modo approssimativo facendo riferimento al circuito
equivalente avente al secondario sia i parametri longitudinali del trasformatore che la linea :

Così facendo non si tiene conto della caduta di tensione che la corrente assorbita a vuoto dal
trasformatore produce nella linea (oltre alla caduta di tensione che la stessa corrente produce nel
primario del trasformatore).

Volendo, è possibile calcolare separatamente la c.d.t. nel trasformatore ∆V2TR e quella nella linea
∆VL , quindi sommare le due tenendo conto del fatto che quella nella linea deve essere riportata al
secondario del trasformatore :

Risposta alla domanda f)

Con ovvio significato dei simboli :

Il rifasamento, riducendo la corrente di linea, determinerà per la linea stessa un aumento del
rendimento ed una diminuzione della caduta di tensione industriale.

Esercizio N° 3 (sui trasformatori monofasi, trasformatore come adattatore di


carico)
Una linea trifase a tre fili, simmetrica nelle tensioni, alimenta alla tensione V = 30 [KV], 50 [Hz] il
carico raffigurato:

Il carico è configurato a stella e prevede sulle prime due fasi due resistenze uguali di valore R = 7
[MΩ] e sulla terza fase un trasformatore monofase da considerarsi ideale. Il trasformatore ha
rapporto di trasformazione m = N1/N2 = 200 ed alimenta una resistenza di valore Ru = 175 [Ω].

Determinare la tensione d'uscita V2 del trasformatore.

Risoluzione

Dalla teoria è noto che in un trasformatore è possibile portare una impedenza dal secondario al
primario moltiplicandola per m2. Nel caso nostro, portando Ru al primario si ottiene una resistenza
RAB applicata tra i punti A e B di valore:

RAB = Ru·m2 = 175·2002 = 7 [MΩ]

Quindi, essendo anche le altre due fasi della stella caricate con resistenze da 7 [MΩ], la stella di
centro O sarà equilibrata. Di conseguenza la tensione applicata al primario del trasformatore V1 sarà
uguale alla tensione stellata del sistema:

La tensione d'uscita del trasformatore varrà quindi:

Concludiamo osservando che nell'esercizio in esame il trasformatore ideale altro non è che un
dispositivo che adatta il carico secondo la relazione:

dove Z1 e Z2 sono le impedenze ai morsetti del primario e del secondario.

Esercizio N° 4 (sui trasformatori trifasi, come si studiano)


Nel caso di trasformatori trifasi, a parità di impianto, l'approccio per la risoluzione è lo stesso già
visto nei precedenti esercizi sui trasformatori monofasi. Le regole che permettono di costruire una
analogia tra la risoluzione di problemi con trasformatori trifasi e quelli con trasformatori monofasi
sono le seguenti :

1. il trasformatore trifase deve sempre essere riassunto col circuito equivalente Y/Y, comunque
siano i collegamenti al primario ed al secondario;
2. siccome i sistemi che studiamo sono equilibrati, si deve fare riferimento ad una sola fase
dell'intero impianto visto come se fosse a Y e, con riferimento ad una sola fase, le potenze
complessive vanno divise per tre, le tensioni sono quelle stellate, le correnti sono quelle di
linea;
3. naturalmente le risoluzioni devono fare riferimento all'impianto trifase e quindi le
risoluzioni devono esprimere le potenze complessive, le tensioni concatenate, le correnti di
linea;
4. per quanto riguarda i parametri delle linee, mentre nei sistemi monofase la resistenza e la
reattanza sono quelle complessive che tengono conto sia del conduttore d'andata che del
conduttore di ritorno, nei sistemi trifasi i parametri sono quelli di uno solo dei tre conduttori.

A titolo di esempio viene ora mostrato l'impianto trifase analogo all'impianto monofase studiato
nell'esercizio N° 1:

I dati di targa del trasformatore trifase analogo a quello monofase visto nell'esercizio N° 1 sono i
seguenti :

Sn = 50·3 = 150 [KVA] , V1n = 1·1,732 = 1,732 [KV] , V20n =230·1,732= 398,4 [V] , fn = 50 [Hz]

Po% = 3 , Io% = 4 , Pcc% = 3,2 , Vcc% = 6

I parametri della linea trifase hanno gli stessi valori di quella monofase RL = 0,02 [Ω] e XL = 0,025
[Ω], solo che adesso sono riferiti a ciascuno dei tre conduttori.

Il primo carico assorbe la potenza Pu1 = 25·3 = 75 [KW] con fattore di potenza 0,8 in ritardo.

Il secondo carico impegna la potenza apparente Su2 = 30·3 = 90 [KVA] con f.d.p. 0,9 in anticipo.

La tensione applicata all'utenza vale Vu = 220·1,732 = 381 [V].

Le risposte alle varie domande dell'esercizio sono le seguenti :

a) i parametri del TR trifase Y/Y sono gli stessi del monofase ;


b) V2 = 225,4·1,732 = 390,4 [V], corrente e f.d.p. uguali al caso monofase ;

c) V1 = 1023·1,732 = 1772 [V], corrente e f.d.p. uguali al caso monofase ;

d) i rendimenti sono gli stessi del caso monofase ;

e) ∆V2TR = 9,9·1,732 = 17,15 [V] , ∆V2L = 5,4·1,732 = 9,35 [V] , ∆V2TR+L = 15,3·1,732 = 26,5
[V] ;

f) il fattore di carico è lo stesso del caso monofase ;

g) la corrente teorica di massimo rendimento è la stessa del caso monofase.

Esercizio N° 5 (sui trasformatori trifasi, parallelo perfetto a vuoto ed a carico)

E' necessario alimentare alla tensione Vu = 380 [V], 50 [Hz] un'utenza trifase equilibrata che
assorbe la potenza Pu =200 [KW] con cosϕ ϕu = 0,8r avendo a disposizione un trasformatore trifase
che presenta i seguenti dati di targa :

SnA = 80 [KVA] , V1nA = 6 [KV] , V20nA = 400 [V] , fnA = 50 [Hz]


Po%A = 2 , Io%A = 5 , Pcc%A = 3 , Vcc%A = 8 , Dy11

Siccome la potenza del trasformatore a disposizione è insufficiente si decide di porne un secondo in


parallelo così da rendere possibile la trasformazione.

Sapendo che la tensione d'alimentazione dei trasformatori è V1 = 6 [KV], determinare i dati di targa
che deve avere il trasformatore da acquistare affinché il parallelo sia perfetto a vuoto ed a carico.

Risoluzione

Lo schema unifilare dell'impianto sarà il seguente :

Alcuni dei dati di targa del trasformatore da acquistare sono immediatamente determinabili
pensando al funzionamento del parallelo.

a) per soddisfare i prerequisiti del parallelo deve essere:

V1nB = V1nA = 6 [KV], fnB = fnA = 50 [Hz] , gruppo Dy11


b) per soddisfare il perfetto funzionamento a vuoto del parallelo deve essere:

V20nB = V20nA = 400 [V]

c) per soddisfare il perfetto funzionamento a carico del parallelo deve essere:

ϕccB = cosϕ
Vcc%B = Vcc%A = 8 , cosϕ ϕccA e quindi Pcc%B = Pcc%A = 3

Siccome i valori di targa riferiti al funzionamento a vuoto non hanno alcuna influenza sul
comportamento del parallelo, l'unico dato di targa che ancora manca è il valore nominale della
potenza del trasformatore da acquistare.

Per determinare la potenza di targa bisogna considerare che, al fine di avere applicata al carico la
tensione desiderata Vu = 380 [V], siccome si alimenta il parallelo alla tensione nominale dei
trasformatori e quindi sarà la tensione d'uscita a vuoto V20n = V20nB = V20nA = 400 [V], si dovrà
verificare una caduta di tensione industriale pari a:

∆V2 = ∆V2A = ∆V2B = V20n - Vu = 400 - 380 = 20 [V]

La conoscenza di questa c.d.t. industriale ci permette di calcolare la corrente erogata dal


trasformatore A, una volta che si siano determinati i suoi parametri longitudinali:

Per quanto riguarda la corrente erogata dal trasformatore A, considerando che lo sfasamento
d'uscita dei due trasformatori è lo stesso ed è uguale a quello complessivo, essa varrà:

Ricordando che in un parallelo perfetto la somma aritmetica delle correnti erogate dai singoli
trasformatori è uguale alla corrente complessiva al carico, possiamo calcolare la corrente erogata
dal trasformatore B:
Infine, ricordando che in un parallelo perfetto le correnti erogate dai singoli trasformatori sono
direttamente proporzionali alle potenze nominali dei trasformatori stessi, possiamo determinare la
potenza di targa del trasformatore da acquistare:

Naturalmente il valore calcolato andrà poi confrontato coi valori commerciali reperibili.

Esercizio N° 6 (sui trasformatori trifasi, parallelo perfetto a vuoto ma non a carico)

Due trasformatori trifasi presentano i seguenti dati di targa :

SnA = 100 [KVA] , V1nA = 10 [KV] , V20nA = 400 [V] , fnA = 50 [Hz]
Po%A = 2 , Io%A = 5 , Pcc%A = 2 , Vcc%A = 4 , Dy11
SnB = 50 [KVA] , V1nB = 10 [KV] , V20nB = 400 [V] , fnB = 50 [Hz]
Po%B = 3 , Io%B = 6,5 , Pcc%B = 3 , Vcc%B = 6 , Dy11

Tali trasformatori, collegati in parallelo, alimentano alla tensione Vu = 380 [V], 50 [Hz] un'utenza
trifase equilibrata che assorbe la potenza Pu = 112 [KW] con cosϕ ϕu = 0,8r.

Dopo avere discusso il parallelo, determinare :

a) la corrente erogata dal parallelo ed il relativo fattore di potenza ;

b) la corrente erogata da ciascun trasformatore ed il relativo fattore di potenza ;

c) il fattore di carico di ciascun trasformatore ;

d) la tensione alle sbarre primarie, la corrente assorbita dal parallelo ed il relativo f.d.p ;

e) la c.d.t. industriale in ciascun trasformatore ;

f) il rendimento di ciascun trasformatore e quello complessivo ;

g) la capacità per rifasare a 0,9 in ritardo il primario del parallelo e la corrente assorbita dal
parallelo dopo il rifasamento, nell'ipotesi che la tensione al primario rimanga invariata.

Risoluzione

Lo schema unifilare dell'impianto sarà il seguente :


Discussione del parallelo : i prerequisiti per il parallelo sono soddisfatti, infatti i due trasformatori
sono costruiti per la stessa tensione nominale primaria e la stessa frequenza, inoltre hanno la stessa
tensione nominale secondaria (sarebbe sufficiente che le due tensioni fossero prossime tra di loro)
ed appartengono allo stesso gruppo. E' quindi sufficiente porre attenzione a come si realizzano i
collegamenti alle sbarre primarie e secondarie al fine di determinare una corretta inserzione.

Il parallelo a vuoto è perfetto essendo V20nA = V20nB, quindi la tensione a vuoto alle sbarre
secondarie del parallelo sarà la stessa che si avrebbe su ciascun trasformatore nel caso fosse
alimentato singolarmente, inoltre non vi sarà corrente di circolazione a vuoto nella maglia formata
dagli avvolgimenti secondari dei trasformatori e dalle sbarre secondarie del parallelo.

Il parallelo a carico non è perfetto in quanto Vcc%A ≠ Vcc%B quindi i due trasformatori si
caricheranno in misura diversa e, più precisamente, si caricherà maggiormente il trasformatore
avente più piccola impedenza interna. Tuttavia essendo il parallelo perfetto a vuoto ed essendo i
fattori di potenza di cortocircuito dei due trasformatori uguali:

si può affermare che le correnti erogate dai due trasformatori saranno in fase tra di loro ed in fase
con la corrente complessiva, ovvero il f.d.p. d'uscita dei due trasformatori è lo stesso ed è uguale al
f.d.p. del carico alimentato dal parallelo.

Lo studio dell'impianto può essere fatto facendo riferimento al seguente circuito equivalente
semplificato, sempre utilizzabile nel caso di parallelo perfetto a vuoto:
Risposta alla domanda a)

La corrente erogata dal parallelo può essere immediatamente calcolata coi dati forniti dalla traccia:

Risposta alla domanda b)

E' innanzitutto necessario calcolare i parametri longitudinali dei due trasformatori.

Per il primo trasformatore :

Per il secondo trasformatore :

Ricordando che il parallelo è perfetto a vuoto mentre a carico è soddisfatta l'eguaglianza tra i f.d.p.
di cortocircuito dei trasformatori, si può impostare e risolvere il sistema:
Agli stessi risultati si perveniva applicando le formule di ripartizione, scritte per i moduli dei numeri
complessi visto che le impedenze interne dei due trasformatori hanno lo stesso argomento (e questo
perché cosϕϕccA = cosϕ ϕccB):

Risposta alla domanda c)

Il fattore di carico per ciascun trasformatore, espresso in percento, vale:

Si ha la conferma del fatto che i due trasformatori si caricano diversamente e, più precisamente, si
carica maggiormente il trasformatore avente più piccola impedenza interna che normalmente è
quello di maggiore potenza nominale.

Risposta alla domanda d)

Per risalire alle sbarre primarie del parallelo è conveniente applicare il teorema di Boucherot
facendo riferimento al circuito equivalente semplificato.

Con ovvio significato si può scrivere per le potenze attive:

Per le potenze reattive si può scrivere:


Considerando che la corrente in tale sezione è ancora I2, si può calcolare la tensione secondaria a
vuoto del parallelo:

Ricorrendo al rapporto nominale di trasformazione si calcola infine la tensione alle sbarre primarie:

Per calcolare la corrente ed il relativo f.d.p. alle sbarre primarie del parallelo proseguo nella risalita
a monte mediante il teorema di Boucherot. Devo ora mettere in conto le potenze attiva e reattiva
dovute agli effetti del nucleo di ferro.

Con ovvio significato dei simboli, per le potenze attive, sarà:

Per le potenze reattive sarà:


La potenza apparente alle sbarre primarie varrà:

Considerando che è nota la tensione al primario, la corrente assorbita dal parallelo varrà:

Risposta alla domanda e)

La caduta di tensione industriale sarà la stessa in entrambi i trasformatori ed il parallelo, questo


perché il parallelo è perfetto a vuoto. Il suo valore sarà:

∆V2 = ∆V2A = ∆V2B = V20 - V2 = 396,3 -380 =16,3 [V]

Si può verificare col calcolo approssimato :

Risposta alla domanda f)

I rendimenti valgono:

Risposta alla domanda g)

Essendo il primario in media tensione si adotterà l'inserzione a stella delle tre capacità di
rifasamento, quindi ciascuna capacità varrà :

La corrente al primario del parallelo dopo il rifasamento, assumendo costante la tensione, varrà:
Si osserva che la corrente risulta essere inversamente proporzionale al fattore di potenza.

Esercizio N° 7 (sui trasformatori trifasi, parallelo non perfetto a vuoto ed a carico)

Due trasformatori trifasi presentano i seguenti dati di targa :

SnA = 100 [KVA] , V1nA = 10 [KV] , KoA = 25 , fnA = 50 [Hz]


Po%A = 2 , Io%A = 5 , Pcc%A = 2 , Vcc%A = 4 , Dy11
SnB = 50 [KVA] , V1nB = 10 [KV] , KoB = 25,2 , fnB = 50 [Hz]
Po%B = 3 , Io%B = 6,5 , Pcc%B = 3 , Vcc%B = 6 , Dy11

Tali trasformatori, collegati in parallelo ed alimentati alla tensione nominale, alimentano un carico
trifase equilibrato avente i seguenti dati di targa:

ϕnu = 0,8r
Vnu = 380 [V] , fnu = 50 [Hz] , Snu = 140 [KVA] , cosϕ

Dopo avere discusso il parallelo, determinare :

a) la tensione secondaria a vuoto del parallelo e la corrente di circolazione a vuoto ;

b) la corrente erogata a carico dal parallelo ed il relativo fattore di potenza, la tensione al carico ;

c) la corrente erogata da ciascun trasformatore ed il relativo fattore di potenza ;

d) il fattore di carico di ciascun trasformatore ;

e) la corrente assorbita dal parallelo ed il relativo f.d.p ;

f) la c.d.t. industriale per il parallelo ;

g) il rendimento di ciascun trasformatore e quello complessivo.

Risoluzione

Lo schema unifilare dell'impianto sarà il seguente :


Discussione del parallelo : i prerequisiti per il parallelo sono soddisfatti, infatti i due trasformatori
sono costruiti per la stessa tensione nominale primaria e la stessa frequenza, inoltre hanno rapporti
nominali di trasformazione prossimi tra di loro ed appartengono allo stesso gruppo. E' quindi
sufficiente porre attenzione a come si realizzano i collegamenti alle sbarre primarie e secondarie al
fine di determinare una corretta inserzione.

Il parallelo a vuoto non è perfetto essendo KoA ≠ KoB, quindi la tensione a vuoto alle sbarre
secondarie del parallelo sarà compresa tra V20nA e V20nB visto che il parallelo è alimentato alla
tensione nominale primaria dei trasformatori, inoltre vi sarà corrente di circolazione a vuoto nella
maglia formata dagli avvolgimenti secondari dei trasformatori e dalle sbarre secondarie del
parallelo (si noterà come, pur differenziandosi i rapporti di trasformazione per meno dell'uno
percento, questa corrente avrà un valore considerevole).

Non essendo il parallelo perfetto a vuoto, esso non sarà perfetto nemmeno a carico.

Risposta alla domanda a)

Per la determinazione della corrente di circolazione a vuoto ICO e della tensione alle sbarre
secondarie a vuoto V20 si deve fare riferimento al seguente circuito equivalente (riferito ad una fase
equivalente a stella):

E' innanzitutto necessario calcolare i parametri longitudinali dei due trasformatori.

Per il primo trasformatore :


Per il secondo trasformatore :

Siccome si devono eseguire i calcoli con la notazione complessa, è necessario assumere un


orientamento per i vettori rappresentanti le tensioni stellate secondarie a vuoto dei due trasformatori
il cui valore sarà quello nominale essendo la tensione applicata al parallelo quella nominale. Pur
essendo la scelta arbitraria sarà bene fare riferimento al diagramma vettoriale del circuito
equivalente semplificato del trasformatore e, quindi, porre i flussi sul semiasse reale positivo così
che le tensioni secondarie a vuoto (in quadratura in ritardo rispetto al flusso) cadranno sul semiasse
immaginario negativo. Risolvendo il circuito si potrà scrivere :

Si osserva che la corrente di circolazione a vuoto è circa il 5% della corrente nominale del primo
trasformatore e circa il 10% della corrente nominale del secondo trasformatore, quindi un valore
assolutamente non trascurabile che fa peggiorare il funzionamento del parallelo determinando un
aggravio di perdite e di caduta di tensione industriale.
Risposta alla domanda b)

Per determinare la corrente erogata a carico dal parallelo si può applicare il teorema di Thevenin al
circuito equivalente del parallelo :

L'impedenza equivalente a stella dell'utilizzatore si determina grazie ai suoi dati di targa :

La f.e.m. del generatore equivalente di Thevenin coincide con la tensione alle sbarre a vuoto e
l'impedenza interna del generatore equivalente è data dal parallelo tra le impedenze interne dei
trasformatori :

Applicando la legge di Ohm si calcolano la corrente erogata e la tensione alle sbarre secondarie:
Risposta alla domanda c)

La corrente erogata da ciascun trasformatore si può determinare ancora applicando la legge di Ohm
ed il primo principio di Kirchhoff:

Agli stessi risultati si perveniva applicando il principio di sovrapposizione degli effetti e, quindi, le
formule di ripartizione:

Risposta alla domanda d)

Il fattore di carico per ciascun trasformatore, espresso in percento, vale:

Risposta alla domanda e)

Per risalire alle sbarre primarie del parallelo è conveniente applicare il teorema di Boucherot
facendo riferimento al circuito equivalente semplificato.

Con ovvio significato si può scrivere per le potenze attive:


Per le potenze reattive si può scrivere:

Per calcolare la corrente ed il relativo f.d.p. alle sbarre primarie del parallelo proseguo nella risalita
a monte mediante il teorema di Boucherot. Devo ora mettere in conto le potenze attiva e reattiva
dovute agli effetti del nucleo di ferro.

Con ovvio significato dei simboli, per le potenze attive, sarà:

Per le potenze reattive sarà:

La potenza apparente alle sbarre primarie varrà:


Considerando che è nota la tensione al primario, la corrente assorbita dal parallelo varrà:

Risposta alla domanda f)

La caduta di tensione industriale sarà diversa nei due trasformatori. Per il parallelo il suo valore
varrà:

∆V2 = V20 - V2 = 399,1 -382,6 =16,5 [V]

Risposta alla domanda g)

I rendimenti valgono:

Contatori ad induzione
Indice dei contenuti:

1. Principio costruttivo dei contatoti di energia


2. Contatore elettromeccanico ad induzione
3. Errore di fase e sua compensazione
4. Attrito di primo distacco e sua compensazione
5. Schemi di inserzione
6. Prescrizioni del CEI sui contatori
7. Rilievo sperimentale della curva degli errori
8. Verifica con contatore campione su carico reale
9. Verifica con wattmetro e cronometro su carico fittizio

Principio costruttivo dei contatori d'energia

Un contatore d'energia è un apparecchio integratore della potenza elettrica nel tempo :


Il principio di funzionamento consiste nel realizzare un piccolo motore elettrico che sviluppi una
coppia motrice Cm(t) proporzionale alla potenza P(t) assorbita dal circuito sul quale il contatore è
inserito e nel contrapporre a questa una coppia resistente Cr(t) proporzionale alla velocità di
rotazione Ω(t) del motore stesso. Se l'attrito sui perni e rispetto all'aria è nullo (od è opportunamente
compensato), l'albero del motore raggiunge e mantiene quella velocità per la quale la coppia
motrice eguaglia la coppia resistente (condizione di equilibrio dinamico del sistema) :

cosicché, essendo Ω(t) proporzionale a P(t) , se nel diagramma (t , P) in ordinata si sostituisce P(t)
con Ω(t) si ottiene un diagramma (t , Ω) di egual andamento (a parte il cambiamento di scala).

L'area del diagramma (t , Ω)


Ω sarà proporzionale all'area del diagramma (t , P) ; d'altra parte l'area
del diagramma (t , Ω) non è altro che l'integrale esteso tra t1 e t2 della funzione Ω(t) e cioè lo
spazio angolare descritto dall'albero del motore nel tempo (t2 - t1) , o, in altre parole, il numero di
giri n compiuti dall'albero del motore nell'intervallo di tempo considerato.

Se n1 è il numero di giri all'istante t1 ed n2 è il numero di giri all'istante t2 , si avrà n = n2 - n1 ,


W12 = K·n = K·(n2 - n1) e la misura dell'energia elettrica consumata da una utenza in un certo
intervallo di tempo viene così ricondotta alla numerazione dei giri compiuti dall'albero del motore
nello stesso intervallo di tempo.

Ovviamente sarà necessaria la previa determinazione sperimentale della costante di proporzionalità


K : questa rappresenta l'energia che corrisponde a ciascun giro del motore e viene espressa in [KWh
/ giro].

Il valore N = 1 / K prende il nome di costante di integrazione del contatore ed assume valori


compresi tra le centinaia e le migliaia di [giri / KWh].

Contatore elettromeccanico ad induzione

E' il più diffuso tra i misuratori di energia nei sistemi elettrici in corrente alternata. Si compone
essenzialmente di tre parti : un motore ad induzione che sviluppa una coppia motrice proporzionale
alla potenza assorbita dall'utenza, un magnete permanente che sviluppa una coppia resistente
proporzionale alla velocità di rotazione del motore, un ruotismo contagiri detto anche numeratore :

Per quanto riguarda il motore ad induzione, esso consta di uno statore formato da due
elettromagneti a nucleo laminato Ev , Ea e di un rotore formato da un disco Da di materiale
conduttore (lega di alluminio) calettato sull'albero Al del motore stesso.

L'elettromagnete voltmetrico è alimentato dalla tensione di linea V ed è composto di un


avvolgimento fatto di numerosissime spire realizzate con filo smaltato di piccola sezione, così da
poter ritenere il circuito puramente induttivo e quindi tale da assorbire una corrente Iv in ritardo di
90° rispetto a V.

L'elettromagnete amperometrico è alimentato in serie alla linea e quindi è percorso dalla stessa
corrente I di linea. Per tale motivo il suo avvolgimento viene realizzato con filo smaltato di sezione
adeguata alla I e con poche spire.

Se si trascurano la caduta di tensione nell'avvolgimento dell'elettromagnete voltmetrico, gli effetti


trasformatorici derivanti dall'interazione elettromagnetica tra elettromagneti e disco e le perdite nei
nuclei dei due elettromagneti si potranno ritenere i flussi sinusoidali Φv e Φa generati dagli
elettromagneti in fase con le rispettive correnti sinusoidali Iv ed Ia . Con riferimento ad un
utilizzatore ohmico - induttivo di sfasamento ϕ , si potrà disegnare il seguente diagramma
vettoriale:
Come per tutti gli strumenti ad induzione, dalla interazione fra il flusso sinusoidale prodotto
dall'elettromagnete amperometrico e la corrente sinusoidale indotta nel disco dal flusso sinusoidale
prodotto dall'elettromagnete voltmetrico e dalla interazione fra il flusso sinusoidale prodotto
dall'elettromagnete voltmetrico e la corrente sinusoidale indotta nel disco dal flusso sinusoidale
prodotto dall'elettromagnete amperometrico si sviluppa una coppia che vale:

Φv·Φ
Cm = k·Φ Φa·sen(β
β)

dove k è una costante che dipende dalla posizione e forma dei due elettromagneti.

Essendo:

β = 90° - ϕ ⇒ sen(β
β) = sen(90° - ϕ) = cos(ϕ
ϕ)

ed essendo Φv proporzionale ad Iv e quindi proporzionale a V e Φa proporzionale ad I si ha infine:

ϕ) ⇒ Cm = Km·P
Cm = Km·V·I·cos(ϕ

come volevasi dimostrare.

Si osserva che sullo stesso principio funziona il wattmetro ad induzione, soltanto che per tale
strumento la coppia antagonista è fornita da una apposita molla così che la coppia motrice, anzichè
far ruotare un disco come nel contatore, fa deviare di un angolo proporzionale alla coppia motrice
stessa l'indice.

Per quanto riguarda il magnete permanente Mp , il suo scopo è di produrre una coppia resistente
proporzionale in ogni istante alla velocità Ω di rotazione del disco. Ciò è assicurato dal fatto che,
per via della legge generale dell'induzione elettromagnetica, il campo magnetico costante prodotto
dalle espansioni polari del magnete permanente, essendo tagliato dal disco in rotazione, indurrà nel
disco stesso delle forze elettromotrici e quindi delle correnti (perchè il disco è di materiale
conduttore). Le correnti indotte nel disco avranno verso tale per cui, interagendo col campo
magnetico che le ha prodotte, svilupperanno delle coppie elettromagnetiche tali da opporsi alla
causa che le ha generate, ovvero tali da opporsi alla rotazione del disco. Le coppie frenanti saranno
tanto più intense quanto più veloce è la rotazione del disco, si potrà quindi scrivere Cr = Kr·Ω Ω
come volevasi dimostrare.
Vi è però da osservare che, oltre alla coppia frenante originata dal magnete permanente, vi sono
altre due coppie frenanti parassite originate dalla interazione fra il flusso sinusoidale prodotto da
ciascun elettromagnete e la corrente sinusoidale indotta nel disco dal flusso medesimo. Tali coppie
frenanti dipendono, oltre che dalla velocità, dalla tensione al quadrato (per l'elettromagnete
voltmetrico) e dalla corrente al quadrato (per l'elettromagnete amperometrico) e, quindi, non
soddisfano alla condizione di essere proporzionali alla velocità di rotazione del disco. Per contenere
gli errori dovuti alla presenza di tali coppie parassite è necessario che esse siano trascurabili rispetto
alla coppia frenante originata dal magnete permanente : ciò è garantito solo se il magnete
permanente è del tipo ad alta induzione residua e con un traferro piccolissimo.

Per quanto riguarda il numeratore ci limitiamo a ricordare che esso è costituito nella parte iniziale
da una vite senza fine Vsf e da una ruota dentata Rd e nella parte terminale da un numero di rulli
variabile da 4 a 7, sui quali sono incise le cifre da 0 a 9 la cui lettura fornisce l'indicazione della
energia misurata.

Errore di fase e sua compensazione

Scaturisce dal fatto che, nei contatori reali, l'eguaglianza β = 90° - ϕ non è verificata. All'origine di
tale errore vi è quanto segue:

a) l'avvolgimento dell'elettromagnete voltmetrico non si comporta come un puro avvolgimento


induttore in quanto in esso vi è una caduta di tensione causata dalla resistenza ohmica Ro del
conduttore ed una caduta di tensione causata dalla reattanza di dispersione Xd originata dai flussi
dispersi (quelli che non interagiscono col disco). Inoltre sono da considerare le perdite nel ferro che
costituisce il nucleo dell'elettromagnete di cui si tiene conto con la resistenza fittizia trasversale Rf ,
l'assorbimento di corrente magnetizzante necessaria a sostenere il flusso utile di cui si tiene conto
µ e l'effetto trasformatorico che si stabilisce tra avvolgimento
con la reattanza fittizia trasversale Xµ
dell'elettromagnete (analogo al primario di un trasformatore) e disco (analogo al secondario di un
trasformatore).
A causa di quanto sopra esposto accade che la tensione applicata all'elettromagnete voltmetrico V è
sfasata di un certo angolo δv rispetto alla posizione di anticipo di 90° sul flusso voltmetrico Φv che
essa dovrebbe avere. Inoltre la corrente Iv non è in fase col flusso che essa produce, bensì in
anticipo di un angolo pari a εv.

b) l'elettromagnete amperometrico è attraversato necessariamente dall'intera corrente I di linea.


Tuttavia bisogna tenere conto anche per esso delle perdite nel ferro e dell'effetto trasformatorico che
si instaura tra elettromagnete e disco. La conseguenza di tutto questo è che la corrente I anziché
essere in fase con Φ a risulta in anticipo di un angolo εa.

Fra i vari angoli sussiste la relazione β + εa + ϕ = 90° +δ


δv.

Siccome per il funzionamento del contatore deve essere β = 90° - ϕ , dovrà essere verificato εa = δv
. Questa relazione esprime la condizione generale che deve essere realizzata in sede costruttiva o di
regolazione per consentire una esatta compensazione dell'errore di fase del contatore. Praticamente
la esatta compensazione si ha quando, sotto un carico puramente reattivo, il disco rimane immobile.

I dispositivi pratici di compensazione sono applicati ai due elettromagneti. Per l'elettromagnete


voltmetrico si dispone una derivazione sul circuito magnetico a traferro variabile così da poter
variare l'entità del flusso disperso e con esso la reattanza di dispersione e quindi l'angolo δv. Per
l'elettromagnete amperometrico si dispone un avvolgimento ausiliario chiuso su di una resistenza
variabile così da poter variare l'entità delle perdite complessive dell'elettromagnete amperometrico e
con esse quindi l'angolo εa.

Attrito di primo distacco e sua compensazione


La coppia frenante dovuta agli attriti si può esprimere con Cat = Co + Kat· Ω , dove Co è la coppia
di attrito di primo distacco. Pur essendo gli attriti molto bassi (infatti l'equipaggio mobile è
costituito da un disco leggero di alluminio) si deve tuttavia provvedere a compensare la coppia di
attrito di primo distacco mediante una opportuna coppia ausiliaria (se così non si facesse, il disco
non si metterebbe in rotazione fin tanto che la coppia motrice principale non supererebbe il valore
Co, ed in tal modo non sarebbe registrata una energia che invece è stata consumata).

Siccome la coppia ausiliaria deve essere presente quando ancora è nulla la potenza attiva al carico,
si dovrà generare la coppia ausiliaria sfruttando l'elettromagnete voltmetrico che si trova sempre
sotto tensione.

Uno dei metodi impiegati consiste nel deviare una piccola parte Φ'v del flusso voltmetrico Φv in
modo tale che intersechi il disco in una posizione diversa rispetto a quella che compete alla maggior
quantità Φ''v di flusso. Se il flusso deviato Φ'v percorre una parte di ferro dolce massiccia (ad
esempio il corpo di una vite affogata dentro alla espansione polare laminata) esso sarà sede di
perdite specifiche nel ferro più elevate che non quelle relative al flusso Φ''v e quindi sarà più
sfasato rispetto Iv. Da ciò consegue che i due flussi Φ'v e Φ''v saranno fra di loro sfasati e quindi
daranno luogo ad una coppia motrice ausiliaria Caus = Kaus·Φ Φ'v·Φ Φ''v·sen(αα).

Regolando la profondità della vite si regola l'intensità della coppia ausiliaria.

Per evitare che il disco, una volta messo in rotazione, continui a ruotare anche quando torna ad
annullarsi la potenza al carico, esso viene munito di una banderuola di arresto in ferro che induce il
disco stesso ad arrestarsi quando la banderuola passa di fronte al magnete permanente (a causa della
leggera attrazione esercitata dal magnete permanente sulla banderuola).

Schemi di inserzione

Per i contatori comuni aventi un unico circuito amperometrico lo schema di inserzione è il seguente
:
Il ponticello p permette di avere il circuito voltmetrico già collegato in derivazione fra i morsetti
amperometrici. Qualora sia necessario avere il circuito voltmetrico indipendente da quello
amperometrico (ad esempio per poter alimentare uno od entrambi i circuiti attraverso trasformatori
di misura, oppure per eseguire la verifica della taratura mediante wattmetro e cronometro su carico
artificiale) basta togliere il ponticello p ed eseguire i necessari collegamenti.

Prescrizioni del CEI sui contatori

Con riferimento ai contatori monofasi ad induzione di classe 2 , frequenza di impiego 50 [Hz] ,


tensione di alimentazione ≤ 600 [V] , le norme CEI prescrivono le seguenti prove di carattere
generale :

a) prova di isolamento : si deve applicare per un minuto una tensione di forma sinusoidale, di valore
efficace 2 [KV] con frequenza 50 [Hz], fra da una parte tutti i morsetti collegati tra di loro e
dall'altra parte la custodia se questa è metallica, oppure una superficie metallica piana su cui
appoggia il contatore se la custodia è di materiale isolante. Il contatore non deve subire danni.

b) marcia a vuoto : il contatore, collegato secondo lo schema di inserzione, alimentato con la


tensione di riferimento e percorso da una corrente pari a 0,001·Ib con cosϕϕ=1, deve avere il disco
che compie meno di un giro completo.

c) avviamento : il contatore, collegato secondo lo schema di inserzione, alimentato con tensione di


riferimento e percorso da una corrente pari a 0,006·Ib con cosϕϕ=1, deve avere il disco che compie
più di un giro completo.

d) limiti di errore : i limiti di errore ammessi alle varie condizioni di carico, quando la tensione di
alimentazione sia quella di riferimento, sono riportati nella seguente tabella :

valore di corrente : fattore di potenza : errore percentuale :


0,05·Ib 1 ±4
0,1·Ib ÷ Imax 1 ±3
0,1·Ib 0,5 r ±4
0,2·Ib ÷ Imax 0,5 r ±3

In quanto sopra esposto per corrente di base Ib si intende quel valore di corrente in relazione al
quale sono fissate le principali caratteristiche del contatore, per corrente massima Imax si intende il
valore massimo di corrente per il quale il contatore soddisfa alle prescrizioni ( normalmente Imax =
4·Ib ).

Rilievo sperimentale della curva degli errori

E' necessario per verificare la taratura del contatore e dovrà essere l'errore percentuale contenuto
nella fascia individuata dalle prescrizioni CEI sui limiti di errore. La verifica si può fare per
confronto diretto con un contatore campione oppure mediante wattmetro e cronometro. Di solito si
adotta il contatore campione quando si intende procedere alla verifica senza distaccare il contatore
sotto esame dal suo carico reale, si utilizzano invece wattmetro e cronometro quando il contatore
sotto esame può essere trasportato in un laboratorio ove sarà sottoposto ad un carico fittizio.

In ogni caso quella che si ottiene è la curva dell'errore relativo in funzione della corrente di linea.

In un contatore correttamente tarato per valori di corrente paragonabili alla corrente di base, in
assenza del dispositivo di correzione dell'errore dovuto all'attrito di primo distacco si avrebbe un
errore per difetto enorme ai bassi carichi.

Sempre in un contatore ben tarato per i carichi intermedi, in assenza di dispositivi di correzione
adeguati si avrebbe ai carichi prossimi alla massima corrente un errore per difetto enorme a causa
dell'effetto frenante sul disco che l'elettromagnete amperometrico sviluppa (ben superiore all'effetto
frenante desiderato prodotto dal magnete permanente) :

Il dispositivo di compensazione degli errori ai bassi carichi lo abbiamo già visto (è lo stesso che
seve a sviluppare la coppia ausiliaria per vincere l'attrito di primo distacco).
Per quanto riguarda il dispositivo di compensazione degli errori ai carichi elevati basti sapere che si
tratta di un derivatore di flusso magnetico posto sul nucleo dell'elettromagnete amperometrico la cui
azione è tanto più intensa quanto più è elevata la corrente di carico.

Per tarare il contatore ai carichi intermedi si interviene invece sulla posizione dei poli del magnete
permanente rispetto al centro di rotazione del disco. Infatti allontanando i poli dal centro aumenta il
braccio della coppia frenante e quindi aumenta la coppia frenante stessa e con ciò si trasla verso il
basso la curva degli errori, mentre se si avvicinano i poli al centro si riduce la coppia frenante e
quindi si trasla verso l'alto la curva degli errori. La posizione più conveniente per il magnete
permanente è quella che permette di avere la curva degli errori contenuta nella fascia prescritta dalle
norme CEI il tutto l'intervallo dei carichi intermedi.

Verifica su contatore campione su carico reale

Il contatore campione è un particolare strumento integratore, analogo come principio di


funzionamento al contatore ad induzione, che tuttavia presenta una classe di precisione migliore di
quella del contatore in verifica, un dispositivo a pulsante per la partenza e l'arresto del
funzionamento dopo un tempo prefissato ed una manopolina che consente la messa a zero dello
strumento.

Si collegano il contatore campione e quello in verifica in modo che le rispettive voltmetriche siano
sottoposte alla stessa tensione, cioè in parallelo, e le amperometriche siano percorse dalla medesima
corrente, cioè in serie.

Si collega in circuito anche un voltmetro e un frequenzimetro adatti alla tensione e frequenza


nominali e un amperometro la cui portata sia adatta alla corrente massima da far passare nel
circuito.

Se la verifica è fatta sul campo senza distaccare il contatore sotto esame si individua un passaggio
della traccia del disco del contatore in verifica e per quell'istante si preme il pulsante del contatore
campione provocandone l'inizio del funzionamento. Lasciato passare un tempo il più lungo
possibile (in modo tale che l'errore dovuto alla difficoltà di apprezzare correttamente gli istanti di
inizio e di arresto sia il più piccolo possibile), si aspetta che il disco del contatore sotto esame
completi il giro numero nv e si preme nuovamente il pulsante del contatore campione provocandone
l'arresto. Sul contatore campione si potranno leggere i giri e le frazioni di giro nc .
Nota la costante di integrazione del contatore in verifica Nv [giri / KWh], l'energia Wv che il
contatore in verifica ha rilevato transitare durante il tempo di misura si può calcolare con la
relazione Wv = nv / Nv [Kwh] .

Analogamente l'energia Wc che il contatore campione ha rilevato transitare durante lo stesso tempo
si può calcolare con la relazione Wc = nc / Nc [KWh] .

L'errore assoluto proprio del contatore in esame sarà ea = Wv - Wc .

L'errore relativo percentuale sarà er% = 100·(ea / Wc) .

Se invece la verifica è fatta in laboratorio sarà possibile applicare al contatore carichi reali variabili
così da potersi effettuare il rilievo dell'errore per diversi valori di corrente a partire dalla corrente
minima per arrivare alla corrente massima. Quindi si potrà tracciare la curva degli errori in funzione
della corrente e verificare se essa soddisfa pienamente alle prescrizioni CEI sui limiti di errore.

Verifica con wattmetro e cronometro su carico fittizio

Si disponga di un wattmetro di precisione e di un cronometro, e si voglia con essi verificare un


contatore. Ovviamente tale verifica è possibile solo in laboratorio dove, potendosi mantenere
assolutamente costanti sia il valore della tensione che del carico, conviene adottare il metodo del
carico fittizio.

Le ragioni che giocano a favore del carico fittizio sono diverse :

- anzitutto minore potenza in gioco appunto perché il carico è simulato e questo va inteso sotto due
aspetti, e precisamente : una minore energia consumata ed una minor quantità di calore prodotto;

- in secondo luogo la possibilità di regolazione indipendente della tensione e della corrente senza
influenza reciproca delle due grandezze.

Si aggiunga a questo la possibilità di variare comodamente anche il fattore di potenza


indipendentemente dai valori della tensione e della corrente. Ciò è tanto più necessario in quanto le
ϕ = 1 ed a
norme CEI stabiliscono, per le verifiche di taratura, una serie di verifiche relative a cosϕ
cosϕϕ = 0,5 induttivo.
Per effettuare la taratura si realizzano due circuiti distinti, uno per l'alimentazione delle voltmetriche
ed l'altro delle amperometriche. Il circuito amperometrico comprende in serie un amperometro,
l'amperometrica del wattmetro e l'amperometrica del contatore in verifica. Esso è alimentato (ad
una tensione ridotta) dalla rete mediante un variatore di tensione ad induzione. La corrente può poi
essere regolata finemente mediante un reostato a cursore di opportuna portata.

Il circuito voltmetrico è composto da un voltmetro, un frequenzimetro, la bobina voltmetrica del


wattmetro e la bobina voltmetrica del contatore collegati in parallelo. Questo circuito è alimentato
attraverso un variatore di fase ad induzione che consente, fermo restando il valore della tensione
fornita, di sfasarne il vettore rispetto al vettore corrente di un angolo desiderato. La regolazione fine
del valore della tensione applicata al circuito si può fare interponendo un variatore di tensione ad
induzione.

Realizzati i due circuiti e assegnato un certo valore alla tensione (quello nominale) ed alla corrente
(quello della desiderata frazione di carico), si simula dapprima il carico ohmico ruotando il
volantino del variatore di fase fino ad ottenere il massimo della indicazione del wattmetro. Per tale
condizione si procede per punti alla verifica del contatore ricercando gli errori relativi.
Successivamente per simulare il carico ohmico- induttivo a cosϕ ϕ = 0,5 si ruota il volantino del
variatore di fase nel senso opportuno fino ad ottenere dal wattmetro una indicazione pari alla metà
della precedente ripetendo la verifica per punti.

Per ogni punto, qualsiasi sia il carico purché costante, occorrerà dedurre dall'indicazione del
contatore in verifica il valore della potenza associata e confrontarla con quella del wattmetro
assunto quale campione.

Premendo il pulsante del cronometro in corrispondenza del passaggio della traccia, incisa sul disco
del contatore, si prosegue contando un certo numero prefissato di giri nv del disco, per una durata
non inferiore a 30 secondi, rilevando in corrispondenza la potenza Pc indicata dal wattmetro in
[watt] che dovrà essere rimasta rigorosamente costante. Al raggiungimento del numero di giri nv
prefissato si preme ancora il pulsante del cronometro leggendo il tempo t trascorso in [secondi].

Se Nv è la costante di integrazione del contatore espressa in [giri / KWh], la potenza relativa


all'indicazione del contatore si calcolerà con :

Il confronto fra questa potenza e quella letta sul wattmetro potrà mettere in evidenza gli eventuali
errori :

ea = Pv - Pc errore assoluto;

er% = 100·ea / Pc errore relativo percentuale.

Vale la pena di ricordare ancora una volta che il metodo appena descritto cade in difetto nel caso in
cui non si riesca a mantenere costante la tensione di alimentazione ed il carico (in tali casi è
indispensabile ricorrere al contatore campione).

Che cosa si studia nella classe quinta


Il corso di Elettrotecnica per la classe quinta prevede lo studio delle macchine elettriche rotanti
considerate nelle condizioni di funzionamento stazionario, solo eccezionalmente si faranno cenni
qualitativi riguardanti i transitori..

La prima macchina che si affronta è quella asincrona, questo perché vi sono forti analogie con i
trasformatori già studiati nella classe quarta. La macchina asincrona andrà esaminata soprattutto
nel suo funzionamento come motore essendo questo il suo impiego principale. Se il tempo a
disposizione lo permette, si prenderanno poi in considerazioni i problemi termici delle macchine
elettriche con particolare riguardo ai motori asincroni trifasi. Si passerà poi a considerare la
macchina sincrona, vista con particolare riguardo al funzionamento come generatore (alla
macchina si da in tal caso il nome di alternatore). Infine si studieranno le macchine in corrente
continua, sia nel funzionamento come generatori (chiamati anche dinamo) che come motori.

La gran parte degli argomenti sopra elencati si presta ad attività integrative di laboratorio consistenti
in vere e proprie misure elettriche eseguite secondo le prescrizioni delle norme CEI oppure
consistenti in simulazioni al computer.

Indice dei contenuti:

1. Macchine asincrone
2. Macchine sincrone
3. Macchine in corrente continua

Macchine asincrone
Indice dei contenuti:

1. Generalità
2. Campo rotante bifase e trifase
3. Principio generale di funzionamento
4. Forze elettromotrici indotte negli avvolgimenti di statore
5. Grandezze che caratterizzano il rotore
6. Reazione rotorica
7. Circuito equivalente
8. Caratteristica elettromeccanica
9. Bilancio delle potenze
10. Separazione delle perdite nel ferro dalle perdite meccaniche
11. Diagramma circolare
12. Interpretazione del diagramma circolare, caratteristiche del motore
13. Doppia funzione del reostato di avviamento
14. Funzionamento a 50 e 60 [Hz] con tensione applicata costante
15. Funzionamento a tensione diversa dalla nominale e frequenza costante
16. Metodi di avviamento
17. Variazione della velocità
18. Altri modi di funzionamento della macchina asincrona
19. Metodi di frenatura del motore asincrono
20. Impuntamento e vibrazioni nei motori asincroni
21. Motore asincrono monofase
22. Prove sui motori asincroni
o dati di targa per le macchine asincrone
o dati forniti dai costruttori per i motori asincroni
o prove speciali sui motori asincroni
o prove speciali indirette sui motori asincroni
 misura della resistenza Ohmica di una fase statorica
 prova a vuoto
 prova a rotore bloccato
 determinazione del rendimento convenzionale
 tracciamento del diagramma circolare e suo impiego
o Prova diretta sul motore asincrono
o Misura del rapporto di trasformazione
o Misura dello scorrimento
23. Prove termiche con particolare riferimento ai motori asincroni trifasi
o generalità
o temperatura ambiente e sovratemperatura ammissibile
o classificazione delle macchine in base al tipo di servizio ed al tipo di raffreddamento
o curva di riscaldamento teorica
o curva di raffreddamento teorica
o comportamento termico di una macchina elettrica in relazione al tipo di servizio
o misura della temperatura ambiente
o misura della temperatura delle varie parti della macchina
o rilievo sperimentale della curva di riscaldamento
o rilievo sperimentale della curva di raffreddamento
o metodi di carico della macchina
o esempio di prova termica su di un motore
24. Esercizio N° 1 (f.e.m. di statore e rotore, impiego della macchina quale sfasatore,
riavvolgimento)
25. Esercizio N° 2 (separazione delle perdite meccaniche da quelle nel ferro, rendimento,
coppie)
26. Esercizio N° 3 (separazione delle perdite meccaniche da quelle nel ferro, rendimento,
coppie, avviamento con reostato)
27. Esercizio N° 4 (rilievo indiretto delle caratteristiche di funzionamento)

Generalità

Nella trattazione esposta in questi appunti si immagina che il campo rotante abbia una distribuzione
dell'induzione nel traferro perfettamente sinusoidale e che il rotore sia di tipo avvolto (nel caso di
rotore a gabbia il comportamento è lo stesso purché il numero delle sbarre che costituiscono la
gabbia sia sufficientemente elevato).

Campo rotante bifase e trifase

E' tale un campo magnetico di intensità costante la cui direzione ruota in un piano con moto
uniforme. E' del tutto simile a quello che può essere ottenuto con la rotazione di un magnete
permanente o di un solenoide eccitato in corrente continua.

Componenti rotatorie di un campo alternativo sinusoidale.

ω·t) produrrà lo
La circolazione nel solenoide di una corrente alternata sinusoidale i(t) = IM·sen(ω
sviluppo lungo il suo asse x di un campo sinusoidale h(t) = HM·sen(ω ω·t). Si dimostra che, in ogni
istante, il campo sinusoidale h(t) è pari alla somma vettoriale di due campi ed di intensità pari
ad HM/2 e ruotanti in sensi contrapposti alla velocità angolare ω [rad/s] pari alla pulsazione del
campo sinusoidale. Infatti, se si conta il tempo a partire dall'istante in cui è h(t) = 0 , cioè
dall'istante in cui i due vettori ed sono contrapposti, allora dopo un certo tempo t i due vettori
avranno ruotato dello stesso angolo α = ω·t , per cui si potrà scrivere:

Osservazione: per la rappresentazione si conviene di fissare le componenti rotatorie ed nella


posizione che esse assumono, rispetto all'asse orientato x lungo il quale si sviluppa il campo
sinusoidale, nell'istante t = 0 [s].
Conclusione: una bobina percorsa da corrente sinusoidale i(t) crea lungo il suo asse x un campo
magnetico alternativo sinusoidale h(t) equivalente a due campi ed di intensità costante e pari
alla metà valore massimo del campo sinusoidale, simmetricamente ruotanti in versi opposti. Si
deduce che, sovrapponendo due o più campi alternati di eguale ampiezza e frequenza, agenti in
direzioni opportune ed opportunamente sfasati nel tempo, è possibile ottenere che le rispettive
componenti rotatorie in un dato verso si annullino e che invece le componenti rotatorie nell'altro
verso si sommino così che l'effetto risultante sia un campo rotante puro di intensità costante.

Campo rotante bifase.

Le due bobine siano uguali e con gli assi x1 ed x2 fra di loro ortogonali. Le correnti di eccitazione
delle bobine (e quindi i campi magnetici da esse originati) siano sinusoidali di eguale valore
massimo ed eguale pulsazione, con i1(t) in quadratura in anticipo su i2(t). Il campo rotante che ne
consegue ha intensità pari a:

infatti le componenti ed si elidono perché opposte. La velocità con la quale ruota il campo
rotante è uguale alla pulsazione delle correnti nelle bobine ed il verso di rotazione è quello che va
dalla direzione positiva del campo sfasato in anticipo alla direzione positiva del campo sfasato in
ritardo (il verso, quindi, cambia invertendo la corrente in uno dei due avvolgimenti).

Campo rotante trifase.


Le tre bobine siano uguali e con gli assi orientati a 120° tra di loro (con x1 in anticipo su x2 ed in
ritardo su x3 ), le tre correnti sinusoidali (e quindi i corrispondenti campi magnetici) abbiano lo
stesso valore massimo e la stessa pulsazione ω ma siano sfasate tra di loro di un terzo di periodo,
con i1(t) in anticipo su i2(t) ed in ritardo su i3(t).

Il campo rotante che si genera ha intensità pari a:

in quanto le componenti , , formando una terna simmetrica si elidono. Il campo rotante


ruota alla velocità ω con lo stesso verso già descritto a proposito del campo bifase.

Osservazione:

Per i campi multipolari, se 2·p è il numero di poli ed f [Hz] la frequenza delle correnti sinusoidali
che alimentano le bobine, si ha la velocità del campo rotante:

Principio generale di funzionamento


La figura sottostante a sinistra riporta le principali parti costituenti un normale motore asincrono,
con particolare riferimento al motore con rotore a gabbia. Il disegno vuole essere una vista in
sezione del motore, col piano di sezione normale all'asse longitudinale della macchina (asse
dell'albero del motore). Non sono quindi rappresentate le due calotte che completano la chiusura
protettiva ed i cuscinetti che sostengono l'albero tenendolo centrato sull'asse di rotazione. Inoltre per
lo statore non sono riportati gli avvolgimenti induttori (del tipo aperto per correnti alternate trifase)
che sostengono il campo rotante, ma è solo riportata la vista a forma di corona circolare di uno dei
lamierini ferromagnetici che compongono il pacco statorico per il quale sono raffigurate le cave
(separate da denti) destinate a contenere i conduttori attivi dell'avvolgimento statorico. Per il rotore
sono in vista le sezioni delle barre di alluminio che compongono la gabbia di scoiattolo che
costituisce l'avvolgimento d'indotto della macchina (non compaiono gli anelli di cortocircuito della
gabbia stessa) e la vista di uno dei lamierini del pacco rotorico.

La figura di destra riassume invece il principio di funzionamento.

Gli avvolgimenti trifasi statorici, alimentati da una terna simmetrica di tensioni e quindi percorsi da
una terna trifase di correnti sinusoidali, generano un campo magnetico rotante di intensità B [Wb
/m2] la cui velocità n1 [g / 1'] dipende dalla frequenza di alimentazione f1 [Hz] e dal numero p di
coppie polari secondo la relazione:
Immaginando inizialmente il rotore fermo, n2 = 0 , tale campo rotante, bipolare nella
rappresentazione, taglierà trasversalmente i conduttori attivi rotorici raffigurati che costituiscono i
lati attivi di una spira chiusa in cortocircuito. Nella spira si svilupperà, grazie alla legge generale
dell'induzione elettromagnetica, una forza elettromotrice indotta che farà circolare una corrente I2
col verso di figura. Tale corrente interagirà col campo magnetico rotante induttore dando luogo a
delle forze elettromagnetiche di intensità Fe dirette in modo tale da formare una coppia motrice CM
. A causa della coppia motrice il rotore si metterà in movimento nello stesso senso del campo
rotante. Mano a mano che il rotore acquista velocità sotto l'azione della coppia diminuirà la velocità
con la quale il campo rotante taglia i conduttori attivi di rotore e con essa le correnti rotoriche e la
coppia motrice. Idealmente, se si trascurano gli attriti, la coppia motrice si annulla quando la
velocità n2 del rotore eguaglia la velocità n1 del campo rotante. In realtà, anche se il motore è a
vuoto (cioè senza coppie frenanti applicate al suo albero), le perdite meccaniche dovute all'attrito
nei cuscinetti ed alla ventilazione del rotore nell'aria, fanno si che sia sempre n2 < n1 e che quindi
permanga la piccola coppia motrice necessaria a vincere la coppia resistente.

Se, col motore alimentato (e quindi col campo rotante induttore presente) e funzionante a vuoto, si
applica una coppia frenante all'albero si ha che il rotore rallenta così che aumenta la velocità con la
quale il campo rotante taglia gli avvolgimenti rotorici. Aumenta quindi la corrente rotorica e con
essa la coppia motrice fino a che la coppia motrice eguaglierà la coppia resistente esterna
ripristinando nuove condizioni di equilibrio dinamico ad una velocità del rotore inferiore alla
precedente. Nel caso in cui la coppia frenante sia eccessiva, il rotore rallenterà fino a fermarsi ed il
motore si troverà a funzionare nella condizione di cortocircuito (o rotore bloccato) non sostenibile
se non per un breve istante di tempo a causa dell'elevata intensità delle correnti negli avvolgimenti.

Forze elettromotrici indotte negli avvolgimenti di statore

La figura sottostante rappresenta attraverso un disegno panoramico due poli successivi del campo
rotante, un Nord ed un Sud, raffigurati attraverso il profilo sinusoidale che i valori locali di
induzione assumono. Bi è un valore generico dell'induzione, BMAX il suo valore massimo, Bm il
valore medio per polo. E' inoltre raffigurata la porzione di statore interessata dai due poli,
ipotizzando di avere due cave per polo e per fase e quindi sei cave sotto l'effetto del medesimo polo.
In ciascuna cava è calato l'avvolgimento d'indotto ed i lati attivi di tale avvolgimento sono visti in
sezione. Se il campo rotante taglia i lati attivi scorrendo con velocità lineare Ve [m/s] da sinistra
verso destra, in ciascun lato attivo si svilupperà una forza elettromotrice indotta avente verso
entrante nei conduttori tagliati dal polo Nord e verso uscente nei conduttori tagliati dal polo Sud. I
lati attivi appartenenti alla stessa fase (1, 1', 2, 2' per la prima, 3,3',4,4' per la terza, 5,5',6,6' per la
seconda) sono collegati in serie tra di loro. La figura rappresenta lo schema panoramico dell'intero
motore se i suoi poli sono due, metà dell'intero se i suoi poli sono quattro, un terzo dell'intero se i
suoi poli sono sei, eccetera.
Si supponga che il campo rotante (di velocità n1 [g /']) abbia una distribuzione d'induzione
sinusoidale nel traferro e che si muova con una velocità lineare costante Ve [m / s] rispetto agli
avvolgimenti di statore. In ciascun conduttore attivo posto nelle cave di statore si indurrà una f.e.m.
di valore istantaneo ei(t) = bi(t)·l·Ve [V], dove bi(t) [Wb / m2] è il valore istantaneo della
componente d'induzione normale al conduttore ed l [m] è la lunghezza attiva del conduttore.

Poiché l'induzione è sinusoidale nello spazio e scorre con velocità costante, in ogni conduttore si
induce una f.e.m. sinusoidale nel tempo. Si deduce che il tempo T [s] che impiega l'intera onda di
induzione (che occupa il doppio di un passo polare τ [m]) a tagliare il conduttore corrisponde al
periodo della f.e.m. indotta nel conduttore medesimo. Per essa la frequenza varrà:

Il valore efficace della f.e.m. indotta nel conduttore si potrà esprimere con Ei = B·l·Ve [V] ed in tale
espressione il valore efficace B non ha alcun significato fisico perché l'induzione varia
sinusoidalmente nello spazio, mentre la f.e.m. varia sinusoidalmente nel tempo. Tuttavia si può
legare il valore di B al valore medio Bm che l'induzione ha attraverso un polo (ovvero in un
semiperiodo dell'onda sinusoidale dell'induzione) mediante la relazione:

L'espressione del valore efficace della f.e.m. indotta diventa così:

Poiché Bm [Wb/m2] è il valore medio d'induzione attraverso una espansione polare, chiamando con
Φpp [Wb] il flusso per polo e con Sp [m2] la sezione trasversale di un polo, si avrà:
che sostituita nell'espressione del valore efficace della f.e.m. indotta dà:

Infine, considerando che per comporre una fase statorica si collegano N1 conduttori in serie e che
l'avvolgimento sarà caratterizzato da un coefficiente di Blondel Kb1 e da un eventuale coefficiente
di accorciamento di passo Kp1 , il valore efficace che assume la f.e.m. indotta in ciascuna fase
statorica varrà:

che, riassumendo tutte le costanti, si riduce alla:

Osservazione: il fattore Kf è analogo al fattore di forma delle grandezze alternate e se la


distribuzione dell'onda d'induzione al traferro è sinusoidale vale:

Osservazione: il fattore di Blondel Kb tiene conto del fatto che la sommatoria vettoriale delle N1
f.e.m. indotte nei conduttori collegati in serie che costituiscono una fase statorica è inferiore al
prodotto Ei·N1 che ne costituisce la somma aritmetica per via del fatto che le varie f.e.m. sono tra di
loro sfasate:

In questa espressione q identifica il numero di cave per polo e per fase mentre αec rappresenta
l'angolo elettrico di cava, ovvero l'angolo di sfasamento tra le f.e.m. indotte nei conduttori posti in
due cave adiacenti. Tale angolo si calcola con:

dove αmc è l'angolo meccanico di cava (calcolabile dividendo 360° per il numero totale di cave
statoriche e p è il numero di paia di poli dell'avvolgimento statorico).

Osservazione: il fattore di accorciamento di passo Kp tiene conto del fatto che, per eliminare
dall'onda della f.e.m. indotta le componenti armoniche dovute alla non perfetta sinusoidalità della
distribuzione dell'induzione nel traferro, molto spesso si ricorre a raccorciare il passo, ovvero i
conduttori posti in una cava non vengono collegati in serie con quelli che si trovano nella cava
distante un passo polare bensì con quelli che si trovano in una cava più vicina. Raccorciando di un
terzo di passo polare si elimina la componente armonica del terzo ordine, raccorciando di un quinto
del passo polare si elimina la componente armonica del quinto ordine, eccetera. Il fattore di passo si
determina mediante l'espressione:

dove β è il passo di spira, ovvero l'angolo elettrico abbracciato da una spira dell'avvolgimento
(ovviamente β = 180° se il passo è intero).

Grandezze che caratterizzano il rotore

- f.e.m. indotta in ciascuna fase rotorica: che,


riassumendo tutte le costanti, si riduce alla .Tale f.e.m. risulta essere
variabile al variare delle frequenze rotoriche;

- velocità meccanica del rotore: n2 [g/1'];

- velocità con la quale il campo rotante taglia i conduttori di rotore: (n1 - n2) [g/1'];

- scorrimento assoluto:

- scorrimento percentuale: s% = 100·s ;

- dall'espressione dello scorrimento assoluto si ricava: n2 = n1·(1 -s) [g/1'];

- essendo la velocità n1 del campo rotante legata alla frequenza f1 di alimentazione degli
avvolgimenti statorici dalla , analogamente si avrà per il rotore:

cioè la frequenza rotorica varia con lo scorrimento;

- sostituendo nell'espressione della E2 ad f2 l'espressione appena ricavata si ottiene l'espressione


.Chiamando la f.e.m. rotorica
quando lo scorrimento vale 1 (ovvero quando il rotore è fermo) e quindi le frequenze rotoriche sono
uguali a quelle statoriche, si avrà , cioè la f.e.m. rotorica varia con lo scorrimento
;

- rapporto di trasformazione del motore m = E1/E2(1) = (KA1·N1) / (KA2·N2) ;


- reattanza di dispersione di una fase rotorica X2(s) = X2(1)·s dove X2(1) è la reattanza a rotore
bloccato quando le frequenze rotoriche sono uguali a quelle statoriche ;

- corrente in una fase rotorica I2(s) = E2(s) / Z2(s) , variabile con lo scorrimento essendo variabili sia
la f.e.m. che la parte reattiva dell'impedenza.

Reazione rotorica

Le f.e.m. indotte negli avvolgimenti rotorici E2(s) generano delle correnti I2(s) negli avvolgimenti
stessi (essendo questi chiusi in cortocircuito). Tali correnti, circolando in avvolgimenti polifasi
simmetrici ed essendo sostenute da sistemi simmetrici di f.e.m. producono un campo rotante, detto
campo rotante di indotto, il quale ha lo stesso numero di coppie polari del campo rotante induttore
(quello originato dalle correnti presenti negli avvolgimenti statorici). La velocità del campo
d'indotto rispetto al rotore vale:

Per ricavare la velocità del campo d'indotto rispetto allo statore bisognerà sommare alla sua velocità
rispetto al rotore la velocità del rotore rispetto allo statore (n1 -n2) + n2 = n1. Si osserva così che il
campo d'indotto ruota nel traferro con la stessa velocità del campo rotante induttore, qualunque sia
la velocità n2 propria del rotore (equivale a dire che i due campi conservano invariata durante la
rotazione la loro posizione reciproca).Ne consegue che le correnti rotoriche, qualunque sia il
funzionamento del motore, esercitano una reazione rotorica d'indotto sul sistema induttore
(avvolgimenti statorici) con la stessa frequenza f1 propria degli avvolgimenti statorici. Ovvero
l'effetto di reazione delle correnti rotoriche I2(s) sullo statore è perfettamente analogo all'effetto di
reazione, in un trasformatore, della corrente I2 circolante negli avvolgimenti secondari sugli
avvolgimenti primari, indipendentemente dalla rotazione meccanica del rotore. Tutto ciò rende il
circuito equivalente del motore analogo a quello del trasformatore. Infatti ciascuna fase dello statore
è concatenata con un flusso ΦC alternato sinusoidale di frequenza f1 (purchè sia sinusoidale la
distribuzione nel traferro del flusso per polo e sia costante la velocità del campo rotante) e, come nei
trasformatori, se sono costantì la tensione e la frequenza di alimentazione dovrà essere pressoché
costante la f.e.m. indotta in ciascuna fase statorica che, a sua volta, presuppone la costanza di ΦC e
quindi della forza magnetomotrice che sostiene il flusso ( nelle equazioni seguenti Ri è la riluttanza
del circuito magnetico):

a vuoto:

a carico:
proprio come nei trasformatori.

Circuito equivalente

Essendo la macchina trifase, si fa riferimento ad una fase del motore equivalente Y/Y (quindi le
correnti sono uguali a quelle di linea, mentre le tensioni sono quelle stellate che andranno
moltiplicate per al fine di ottenere quelle concatenate di linea).

Per quanto riguarda lo statore, il suo circuito equivalente è uguale a quello del primario di un
trasformatore, valgono le stesse identiche considerazioni con l'osservazione che la f.e.m. indotta
è originata dal taglio degli avvolgimenti statorici da parte del campo magnetico rotante avente
distribuzione sinusoidale nel traferro, mentre nei trasformatori la stessa f.e.m. indotta era originata
dalla concatenazione con l'avvolgimento primario del flusso utile variabile sinusoidalmente nel
tempo.

Per quanto riguarda il rotore, si devono considerare:

a) la resistenza ohmica di una fase equivalente a stella R2 [Ω] indipendente dalla velocità del
motore;

b) la reattanza di dispersione di una fase equivalente a stella dovuta ai flussi dispersi di rotore
Xd2(s) [Ω]. Tale reattanza non è costante ma varia al variare della velocità del rotore (cioè è
funzione dello scorrimento s ). Infatti, variando lo scorrimento, varia il valore della frequenza
rotorica così che:

dove Xd2(1) è la reattanza di dispersione rotorica a rotore bloccato. Si osserva che Xd2(1) è il
massimo valore che la reattanza può assumere, infatti mano a mano che il rotore acquista velocità lo
scorrimento diminuisce ( s = 1 all'avviamento, s vale pochi centesimi a regime, s = 0 teoricamente a
vuoto). Si può quindi dire che l'impedenza rotorica vale:

Considerando che la f.e.m. stellata che agisce su ciascuna fase rotorica vale , la corrente che
circola in ciascuna fase del rotore sarà data da:
Si osserva che la corrente che circola in ciascuna fase del rotore, quando esso ruota con scorrimento
s , è la stessa che si avrebbe se il rotore fosse fermo ( s = 1 ) ma con la resistenza ohmica di ogni
fase rotorica aumentata dal valore R2 [Ω] al valore [Ω].

La quantità rappresenta la potenza trasmessa dallo statore al rotore.


Tale potenza sarà pari alla somma della potenza dissipata per effetto joule nella resistenza rotorica
e della potenza elettrica trasformata in meccanica (potenza meccanica
generata):

Pertanto, sdoppiando il termine nella somma:

si possono mettere in evidenza separatamente la potenza persa per effetto joule PJR e la potenza
meccanica generata PM per ciascuna fase. Ci riduciamo così al circuito equivalente di una fase Y/Y
sopra disegnato. In tale circuito, che altro non è che l'interpretazione circuitale dell'equazione (*) ,
le frequenze rotoriche sono le stesse dello statore essendo f2(1) = f1. Osserviamo che se il rotore è
bloccato (situazione all'avviamento) si ha s = 1 ed e pertanto tutta la potenza trasmessa
viene dissipata per effetto joule, invece se il rotore raggiunge la velocità del campo magnetico
rotante (cosa naturalmente impossibile) si ha ed così che il circuito rotorico
risulta aperto e quindi sono nulle sia la corrente rotorica che la potenza trasmessa.

Come per il trasformatore, è possibile riportare allo statore (primario) gli elementi del rotore
(secondario) dando luogo al circuito equivalente:
Se poi si trascura la c.d.t. nello statore, ovvero si ritiene la f.e.m. indotta nello statore E1 costante ed
uguale alla tensione applicata V1Y , ovvero si suppone che la macchina funzioni a flusso per polo
costante, si potrà trasportare i due rami trasversali a monte di tutto ed ottenere così il circuito
equivalente semplificato ridotto a statore riportato sopra, per il quale:

Re' = R1 + R2' [Ω] , Xe' = Xd1 + Xd2'(1) [Ω]


Caratteristica elettromeccanica

Questa caratteristica fornisce il valore della coppia elettromagnetica generata CM [N·m] in funzione
dello scorrimento s . Per ricavarla bisogna far riferimento al circuito equivalente coi parametri di
rotore riportati allo statore:

Per prima cosa possiamo scrivere:

dove PM [W] è la potenza meccanica generata, Ω2 [rad /s] è la velocità angolare del rotore.

La velocità angolare vale:

dove Ω1 è la velocità angolare del campo rotante.

Con riferimento al circuito equivalente coi parametri del rotore riportati allo statore, la potenza
meccanica generata è legata alla resistenza fittizia RM'(s) dalla relazione:
Dividendo per l'espressione di Ω2 e semplificando si ha infine:

Se si fa riferimento al circuito equivalente semplificato, confondendo E1 con V1Y si ha:

L'andamento qualitativo di tale funzione è il seguente:

Il caratteristico andamento della funzione CM = f(s) si giustifica osservando che quando s = 0 si ha


CM = 0 . All'aumentare di s aumenta pure CM , per valori di s molto piccoli, potendosi trascurare a
denominatore s·[Xd2(1)]2 rispetto , si ha che CM cresce con legge proporzionale con s e la
caratteristica è rettilinea:

La CM raggiunge il massimo quando i due termini a denominatore sono uguali:

Si osserva che la massima coppia esprimibile dal motore dipende unicamente dalla reattanza di
dispersione rotorica e, quindi, dalla estensione del traferro tra statore e rotore. Inoltre, essendo di
solito Xd2(1) = (5 ÷ 10)·R2 , sarà sCMAX = (0,1 ÷ 0,2).
Per valori di s maggiori di sCMAX la coppia diminuisce all'aumentare dello scorrimento e tende
asintoticamente al valore zero.

All'avviamento, essendo s = 1 , la coppia vale:

Si può facilmente verificare che il tratto di funzionamento stabile è quello che va dall'origine
(funzionamento a vuoto) allo scorrimento di massima coppia.

Il corretto dimensionamento del motore deve prevedere una coppia di normale funzionamento
inferiore a CMAX / 2 così che la macchina sia in grado di far fronte a temporanei sovraccarichi di
coppia superiori al 100%.

Osservazione : lo studio rigoroso della funzione CM = f(s) potrebbe essere fatto impiegando i noti
metodi dell'analisi matematica, i risultati sarebbero comunque quelli esposti.

Bilancio delle potenze

La figura sopra disegnata mostra il flusso delle potenze nel motore, a partire dalla potenza elettrica
assorbita PA fino alla potenza meccanica utile erogata all'albero P . Sono inoltre mostrate le coppie
trasmesse nelle varie sezioni con la relativa velocità in giri al minuto.

Potenza elettrica assorbita:

Perdite nel ferro di statore:

dove PFen sono le perdite nel ferro rilevate con la prova a vuoto condotta con tensione ( V1n ) e
frequenza nominali. Tali perdite avvengono a vuoto nel solo statore, infatti la frequenza rotorica è
circa zero essendo la velocità a vuoto del motore di pochissimo inferiore alla velocità del campo
rotante e quindi le perdite nel ferro di rotore sono a vuoto quasi nulle.

Perdite nel rame di statore PJS = 3·R1·I12 [W], dove R1 è la resistenza ohmica di una fase statorica a
stella. Tale resistenza è uguale a quella di una fase se le fasi sono collegate a stella, è un terzo di
quella di una fase se le fasi sono collegate a triangolo. Invece è sempre la metà di quella misurata
tra morsetto e morsetto, qualunque sia il collegamento interno tra le fasi.

Perdite addizionali di statore:

dove PADSn sono le perdite addizionali quando la corrente ( I1n ) e la frequenza sono quelle
nominali.

Perdite addizionali di rotore PADR [W] sono trascurabili perché, a regime, le frequenze rotoriche
sono piccolissime e, con esse, le perdite addizionali. All'avviamento, essendo le frequenze rotoriche
uguali a quelle statoriche, è lecito attribuire al rotore delle perdite addizionali pari a quelle proprie
dello statore.

Perdite nel ferro di rotore PFeR [W] sono del tutto trascurabili a regime o a vuoto essendo
piccolissime le frequenze rotoriche, mentre all'avviamento si possono considerare pari a quelle
statoriche (essendo la massa di ferro rotorico paragonabile alla massa di ferro statorico e,
all'avviamento, le frequenze rotoriche uguali alle statoriche).

Potenza trasmessa dallo statore al rotore PT = PA - PFeS - PJS - PADS = P + Pm + PJR [W] essendo a
regime trascurabili le PADR e le PFeR. Nel caso in cui le frequenze rotoriche non siano trascurabili
(avviamento) si dovranno considerare le PADR e le PFeR come estranee alla potenza trasmessa in
quanto si intende trasmessa solo la potenza effettivamente raccolta nel circuito rotorico. Nel circuito
equivalente, la potenza trasmessa è calcolabile con:

dove R2 è la resistenza ohmica a stella di una fase rotorica.

Perdite nel rame di rotore:

si osserva che quando il rotore è bloccato si ha PJR = PT , ovvero tutta la potenza trasmessa è
dissipata per effetto joule negli avvolgimenti rotorici.

Potenza meccanica generata PM = P + Pm = PT -PJR = PT·(1-s) [W], sul circuito equivalente tale
potenza è rappresentata da PM = 3·RM·I22 ove:
Perdite meccaniche Pm [W] che dipendono dalla velocità e si rilevano con la prova a vuoto condotta
a velocità pari (o molto prossima) a quella nominale.

Potenza meccanica utile P = PM - Pm [W] è la potenza meccanica resa all'asse dal motore.

La potenza nominale Pn [W] riportata sulla targa è la potenza meccanica utile in condizioni
nominali di funzionamento.

Coppia elettromagnetica generata:

è la coppia discussa assieme alla caratteristica elettromeccanica, non è tutta utile perché in parte
serve a vincere la coppia resistente dovuta alle perdite meccaniche. Si osserva che Ω1 e Ω2 [rad / s]
sono le velocità angolari rispettivamente del campo rotante e del rotore. All'avviamento questa
potenza è calcolabile, oltre che con l'espressione canonica già vista, anche con:

Coppia utile:

è la coppia che il motore eroga all'albero.

Coppia nominale CEI:

è una coppia convenzionale.

Rendimento convenzionale:

Osservazione : si definiscono perdite costanti al variare del carico le perdite nel ferro e le perdite
meccaniche, si definiscono perdite sotto carico le perdite per effetto joule negli avvolgimenti, le
perdite addizionali e le perdite elettriche nelle spazzole (se esistenti).

Separazione delle perdite nel ferro dalle perdite meccaniche

a) Mediante motore tarato : dopo aver fatto la prova a vuoto a tensione e frequenza nominali ed aver
ricavato la somma delle perdite costanti (PFeS + Pm)n , si accoppia il motore in prova ad un motore
tarato (il quale permette di ricavare la potenza meccanica resa al suo albero una volta che sia nota la
potenza elettrica assorbita) e con esso si fa ruotare il motore in prova alla sua velocità nominale
senza che la macchina venga alimentata. In queste condizioni la potenza resa dal motore tarato
coincide con le sole perdite meccaniche Pm del motore in prova e, quindi, le perdite nel ferro si
avranno per differenza PFeSn = (PFeS + Pm)n - Pm .

b) Metodo del motore a vuoto : dopo aver fatto la prova a vuoto a tensione Vn e frequenza nominali
ed aver ricavato la somma delle perdite costanti (PFeS + Pm)n , si fa un'altra prova a tensione V'
ridotta (comunque non ridotta in quantità tale da far ridurre in misura apprezzabile la velocità a
vuoto del motore) rilevando le nuove perdite (PFeS + Pm)' . Siccome le perdite meccaniche sono
legate solo alla velocità di rotazione, esse rimarranno costanti e pari a Pm , mentre le perdite nel
ferro, a valori bassi di saturazione, sono proporzionali al quadrato della tensione, si potrà scrivere:

c) Metodo della interpolazione grafica : si eseguono diversi rilievi delle perdite costanti (PFeS +
Pm)* per valori della tensione V* applicata al motore variabili da poco più della tensione nominale
fino ad un valore inferiore Vmin per il quale comunque non vari sensibilmente la velocità a vuoto
(la frequenza deve essere sempre quella nominale). Per ogni prova sarà (PFeS + Pm)* = Pmis* -
Pac* - PJS0* dove Pmis* è la potenza misurata dal sistema di misura, Pac* è l'autoconsumo del
sistema di misura e PJS0* = 3·R1·I10*2 è la potenza persa per effetto joule negli avvolgimenti di
statore. Con i valori misurati si costruisce il diagramma della funzione (PFeS + Pm) = f(V) :

Tale diagramma avrà l'aspetto di un ramo di parabola avente il vertice sull'asse delle ordinate e la
concavità rivolta verso l'alto. Estrapolando il tratto rilevato sperimentalmente al valore V = 0 si
ottengono evidentemente le Pm in quanto le perdite nel ferro con tensione applicata nulla sono nulle.
Per estrapolare correttamente, si ricordi che la parabola interseca l'asse delle ordinate con tangente
perpendicolare all'asse stesso, oppure si ricordi che tracciando il grafico (PFeS + Pm) = f(V2)
l'andamento sarà rettilineo e quindi più facilmente riproducibile. Leggendo il valore di ordinata in
corrispondenza di V = Vn si avrà (PFeS + Pm)n per cui sarà PFeSn = (PFeS + Pm)n - Pm .
d) Caso del motore con rotore avvolto : si esegue dapprima la prova a vuoto a tensione e frequenza
nominali con gli avvolgimenti rotorici in cortocircuito e si rilevano le perdite costanti (PFeS + Pm)n
= Pmis - Pac - PJS0 . Quindi, senza togliere l'alimentazione al motore, si apre il circuito rotorico
tramite un interruttore precedentemente collegato ai suoi morsetti e, in brevissimo tempo, si
rilevano le perdite costanti in tali condizioni PFeSn = Pmis* - Pac* - PJS0* . Tali perdite saranno
costituite dalle sole perdite nel ferro in quanto, essendo il rotore aperto, sarà nulla la corrente
rotorica che in precedenza sviluppava la coppia motrice necessaria a vincere le perdite meccaniche
e quindi mancherà nella potenza elettrica assorbita la componente Pm . Come si è già fatto notare, è
importante che il rilievo venga fatto prima che il motore perda sensibilmente velocità altrimenti, a
causa dell'aumentare delle frequenze rotoriche, crescono le perdite nel ferro di rotore (che devono
invece essere trascurabili) e la prova non è più valida. Note (PFeS + Pm)n e PFeSn sarà Pm = (PFeS +
Pm)n - PFeSn .

Diagramma circolare

Considerando la macchina funzionante a flusso per polo costante, si può ritenere che al variare dello
scorrimento sia E1 = V1Y costante e, nel circuito equivalente ridotto alla statore porre il ramo
trasversale a monte di tutto:

Per la legge di Ohm si ha:

Dividendo entrambi i membri dell'equazione per si otterrà:

nella quale il primo membro è un vettore costante al variare dello scorrimento ed in quadratura in
ritardo rispetto . Il secondo membro è invece composto di due termini che rappresentano due
vettori dipendenti dallo scorrimento, tali da essere sempre in quadratura tra di loro (col secondo in
anticipo sul primo) e tali da dare somma costante pari al vettore espresso dal primo membro. Da
quanto detto risulta evidente che i tre vettori rappresentano i tre lati di un triangolo rettangolo
inscritto in una circonferenza di diametro pari al primo membro dell'equazione che è pure
l'ipotenusa del triangolo, mentre al variare dello scorrimento il vertice cui fanno capo i due cateti
(rappresentati dai due termini a secondo membro dell'equazione) si muove sulla circonferenza, così
che al variare dello scorrimento il luogo dei punti descritto dal vettore sarà una
circonferenza.

Siccome , anche l'estremo del vettore rappresentante la corrente assorbita dal


motore descriverà, al variare dello scorrimento, una circonferenza.

Nella figura sopra è mostrato il diagramma circolare del motore asincrono. L'orientamento è
determinato dalla posizione assegnata al flusso concatenato con una delle tre fasi statoriche
(variabile sinusoidalmente essendo il campo rotante distribuito sinusoidalmente nel traferro e
ruotante a velocità costante) e della relativa tensione stellata (ovviamente in anticipo di 90°
come nei trasformatori) applicata alla stessa fase. Prefissata la scala delle correnti 1[mm] = a [A] e
scelto un generico punto di funzionamento P al quale sarà associato lo scorrimento s , si ha la
seguente corrispondenza tra segmenti orientati e correnti:

Sul diagramma circolare assumono particolare rilievo i seguenti punti:

a) Po , punto di funzionamento a vuoto per il quale s = 0 , I1'(s) = 0 , I1(s) = I10 ;

b) Pc , punto di funzionamento in cortocircuito per il quale s = 1 , I1(s) = IAV ;

∞ , punto di funzionamento a scorrimento infinito per il quale R2'/s = 0 ;


c) P∞
d) Px , punto di funzionamento a corrente di reazione reattiva per il quale lo scorrimento è negativo
e pari a s = - R2'/R1 in quanto deve essere R1 + R2'/s = 0.

Interpretazione del Diagramma circolare

Il diagramma circolare viene normalmente dedotto dalle seguenti prove fatte sul MAT:

1) misura della resistenza equivalente a stella di una fase statorica R1 , tale valore deve ovviamente
essere riferito alla temperatura convenzionale di riferimento (che dipende dalla classe di isolamento
della macchina);

ϕo;
2) prova a vuoto dalla quale di ricava la corrente assorbita I10 ed il relativo fattore di potenza cosϕ

3) prova a rotore bloccato (prova di cortocircuito) dalla quale si ricava la corrente di avviamento
ϕcc (valori riferiti alla temperatura convenzionale di
IAV ed il relativo fattore di potenza cosϕ
riferimento).

Gli sfasamenti in ritardo ϕo e ϕcc delle correnti rispetto alla tensione permettono di
individuare le direzioni delle correnti e e, attraverso i moduli delle correnti stesse, i punti
Po e Pc. Sapendo che il centro del diagramma circolare ha la stessa ordinata del punto Po e che il
segmento Po__Pc è una corda della circonferenza, basterà tracciare l'asse di tale corda per ottenere
il centro C come intersezione dell'asse con la semiretta orizzontale mandata da Po. Centrando in C
con raggio C__Po si traccia infine il diagramma circolare.

Pur essendo il diagramma circolare un diagramma di correnti, esso può essere utilizzato per
determinare tutte le grandezze che caratterizzano il funzionamento del MAT. Allo scopo è
necessario individuare le seguenti tre rette di riferimento:

retta delle potenze assorbite : è la semiascissa positiva del diagramma;


retta delle potenze meccaniche erogate : è la semiretta mandata dal punto Po e passante per Pc;

retta delle coppie (o delle potenze trasmesse) : è la semiretta mandata dal punto Po e passante per
P∞∞ . Tale semiretta si può tracciare dopo aver determinato il punto Ec che separa il segmento
Pc__Bc in due parti Pc__Ec , Ec__Bc. Il segmento Pc__Bc rappresenta le perdite complessive nel
rame all'avviamento, il segmento Pc__Ec rappresenta le perdite nel rame di rotore all'avviamento, il
segmento Ec__Bc rappresenta le perdite nel rame di statore all'avviamento. Queste ultime si
possono calcolare con la relazione Pjscc = 3·R1·IAV2 [W] e riportare, attraverso un'opportuna scala
delle potenze, come segmento Ec__Bc.

I fattori di scala con i quali leggere il diagramma circolare sono i seguenti:

1[mm] = a [A] , 1[mm] = 3·V1Y·a = w [W]

Considerati un generico punto P sul diagramma circolare e gli adeguati fattori di scala, si ha la
seguente corrispondenza tra segmenti e caratteristiche del motore:

O__P corrente assorbita;

fattore di potenza;

Po__P corrente di reazione;

P__A potenza elettrica assorbita;

B__A perdite costanti;

E__B perdite nel rame di statore;

D__E perdite nel rame di rotore;

P__D potenza meccanica erogata;

P__E potenza trasmessa e coppia;

rendimento;

scorrimento.

Si osservi che per il fattore di potenza, il rendimento e lo scorrimento di possono anche costruire
adeguate scale graduate, riducendo così a semplici costruzioni grafiche le operazioni necessarie per
conoscere tali caratteristiche.
Tutte queste caratteristiche possono essere infine riassunte in funzione della corrente assorbita dal
motore, dando così luogo ai seguenti diagrammi:

Si osserva come, in un motore correttamente dimensionato, la corrente di funzionamento nominale


I1N si collochi in modo tale da realizzare condizioni prossime a quelle di massimo rendimento e
massimo fattore di potenza, oltre a permettere un più che considerevole sovraccarico di coppia.
Risultano ovvi i motivi di tale scelta.

Nel trarre le caratteristiche di funzionamento dal diagramma circolare si sono effettuate le seguenti
approssimazioni:

a) si è considerata la macchina funzionante a flusso per polo costante, oltre che a tensione e
frequenza costanti.

b) si è assunto nullo lo scorrimento in corrispondenza del funzionamento a vuoto, in realtà così non
è essendo presente la coppia frenante dovuta alle perdite meccaniche che obbliga il motore a
sviluppare un'adeguata (seppure piccola) coppia motrice.

ϕo, ma entrambe queste grandezze sono relative ad


c) il punto Po è determinato dalla I10 e dal cosϕ
una condizione di scorrimento non nullo ed alla presenza di perdite (seppure piccole) nel rame della
macchina. In effetti il punto Po così determinato risulta spostato più in alto rispetto al punto di
funzionamento ideale a vuoto.

d) al variare dello scorrimento sicuramente variano sia le perdite nel ferro di rotore PFeR che le
perdite meccaniche Pm , più precisamente le PFeR aumentano mentre le Pm diminuiscono
all'aumentare dello scorrimento. Nel diagramma circolare, invece, si assume costante la somma
(PFeS + PFeR + Pm) riassunta dal segmento B__A. Tale approssimazione risulta accettabile
considerando la variazione di segno opposto per le perdite suddette.

e) la costruzione è basata sull'ipotesi di valutare le perdite nel rame di statore trascurando la


corrente a vuoto rispetto alla corrente di reazione.

f) la potenza trasmessa viene valutata sul diagramma senza il contributo delle perdite meccaniche
(conglobate nelle perdite costanti e quindi nel segmento B__A). Questo fatto influisce poco sulla
coppia calcolata sul diagramma stesso, infatti tale coppia risulta essere intermedia tra quella
generata e quella erogata definite precedentemente.

In base a semplici considerazioni sul diagramma, risulta facile individuare per quali punti si ha il
massimo per il f.d.p., per il rendimento, per la potenza assorbita, per la potenza erogata, per la
coppia.

Esistono delle costruzioni corrette del diagramma circolare (tutte tendenti ad innalzare leggermente
il centro C) che rimediano parzialmente agli errori dovuti alle approssimazioni sopra ricordate.
Tuttavia, considerando il procedimento sperimentale dal quale trae origine il diagramma stesso, tali
correzioni possono essere ritenute inutili e quindi omesse.

Doppia funzione del reostato di avviamento

Assume grande importanza la coppia allo scorrimento s = 1 , cioè all'avviamento:

Essendo R22 << [Xd2(1)]2 si ha:

dalla quale si deduce che per aumentare la coppia di spunto è necessario aumentare la resistenza
rotorica. A ciò provvede il reostato di avviamento inserito in serie a ciascuna fase rotorica grazie al
quale la resistenza per fase rotorica assume il valore R2* > R2 . L'effetto di una maggiore resistenza
rotorica è quello di fare aumentare lo scorrimento per il quale si ha la massima coppia mantenendo
invariata la coppia massima. Per avere la massima coppia proprio all'avviamento bisogna rendere
R2* = Xd2(1) e pertanto si dovrà disporre un reostato di resistenza Ra = Xd2(1) - R2 . Se invece si
desidera dare luogo alla massima coppia in corrispondenza di un valore di scorrimento sCMAX* >
sCMAX è facile verificare che sarà necessario un reostato di resistenza:

in quanto lo scorrimento di massima coppia è direttamente proporzionale alla resistenza rotorica.


Quale seconda funzione, il reostato riduce la corrente assorbita all'avviamento aumentandone anche
il fattore di potenza.

Ad avviamento completato il reostato deve essere disinserito in quanto, a parità di coppia generata,
lo scorrimento del motore è tanto più grande ed il rendimento è tanto più piccolo quanto più è
grande la resistenza rotorica.

Funzionamento a 50 e 60 [Hz] con tensione applicata costante

Si immagini di avere un motore costruito per funzionare alla tensione V ed alla frequenza f = 50
[Hz]. Ci si chiede come si modificheranno le grandezze più caratteristiche se, mantenendo costante
la tensione, si porta la frequenza a f* = 60 [Hz].

Campo rotante:

la velocità del campo rotante:

risulta essere direttamente proporzionale alla frequenza di alimentazione:

Flusso per polo:

il flusso, e quindi l'induzione nella macchina, risulta essere inversamente proporzionale alla
frequenza di alimentazione. Questo fatto è facilmente dimostrabile ricordando l'espressione della
forza elettromotrice (e quindi della tensione applicata a meno delle cadute di tensione
nell'avvolgimento statorico):
Si avrà quindi:

Perdite nel ferro:

quelle per correnti parassite non variano in quanto esse dipendono dal quadrato sia dell'induzione
che della frequenza e tali grandezze variano in misura inversamente proporzionale tra di loro.
Quelle per isteresi diminuiscono all'aumentare della frequenza perché dipendono linearmente dalla
frequenza e secondo un esponente maggiore di uno ( o 1,6 o 2 a secondo che sia BM < 1 [Wb / m2] o
BM ≥ 1 [Wb / m2] ) dall'induzione. In definitiva le perdite nel ferro diminuiscono leggermente
all'aumentare della frequenza.

Corrente assorbita a vuoto e parametri trasversali:

considerando la piccola diminuzione delle perdite nel ferro conseguentemente all'aumento della
frequenza, è lecito ritenere pressoché costante la componente attiva della corrente assorbita a vuoto.
Questo significa considerare il parametro trasversale Ro del circuito equivalente invariato nel
funzionamento a 50 e 60 [Hz]. Per quanto riguarda la componente magnetizzante della corrente
assorbita a vuoto, si dovrà tenere conto del fatto che il flusso per polo varia con legge inversamente
proporzionale con la frequenza e quindi anche la corrente magnetizzante seguirà la medesima
variazione. Questo significa considerare il parametro trasversale Xµ µ del circuito equivalente
direttamente proporzionale alla frequenza:

Resistenza equivalente:

tale parametro, considerando che tiene conto soprattutto delle perdite ohmiche (ed in parte, molto
minore, delle perdite addizionali) negli avvolgimenti, non varia con la frequenza e quindi ha lo
stesso valore Re' sia a 50 che 60 [Hz]. Per quanto riguarda le perdite addizionali, che comunque
sono una piccola frazione di quelle ohmiche, si ha che esse sono proporzionali al quadrato della
frequenza.

Reattanza equivalente:

tale parametro del circuito equivalente, che tiene conto degli effetti autoinduttivi e dell'impegno di
potenza reattiva causato dalle dispersioni di flusso, varia proporzionalmente con la frequenza
essendo notoriamente la reattanza proporzionale alla frequenza (a parità di coefficiente
d'autoinduzione):
Diagramma circolare:

legenda: O , O* origini del sistema di assi coordinati a 50 e 60 [Hz];

O__A corrente assorbita a vuoto a 50 [Hz];

O*__A corrente assorbita a vuoto a 60 [Hz];

C , C* punti di funzionamento in cortocircuito a 50 e 60 [Hz];

D , D* punti a scorrimento infinito a 50 e 60 [Hz];

A__C , A__C* rette potenze rese a 50 e 60 [Hz];

A__D , A__D* rette coppie a 50 e 60 [Hz];

Da quanto premesso, risulta facile disegnare il diagramma circolare relativo al funzionamento a 60


[Hz] se è noto quello relativo a 50 [Hz]. I due diagrammi conviene che siano tracciati mantenendo
in comune il punto A di funzionamento a vuoto. Ne consegue che i punti O ed O* relativi
all'origine dei vettori rappresentanti le correnti assorbite saranno distinti essendo la componente
magnetizzante della corrente assorbita a vuoto dal motore a 60 [Hz] più piccola di quella relativa al
funzionamento a 50 [Hz]. Anche i diametri AB ed AB* dei cerchi saranno diversi, più precisamente
sarà AB* = AB·0,833 perché il diametro, a parità di tensione applicata, risulta essere inversamente
proporzionale alla reattanza equivalente.

Per quanto riguarda i punti C* e D* sul diagramma a 60 [Hz] relativi rispettivamente agli
scorrimenti 1 ed ∞ , si possono facilmente determinare attraverso la costruzione grafica
rappresentata in figura.

Vediamo la dimostrazione per il punto C* di corto:


Dalla figura:

Quindi ed il punto C* rappresenta effettivamente il punto di funzionamento in


cortocircuito a 60 [Hz].

Avendo ora i due diagrammi circolari a disposizione diventa possibile effettuare, anche
quantitativamente, qualsiasi confronto tra il funzionamento del motore a 50 e 60 [Hz]. Ad esempio
si può verificare che la corrente assorbita a parità di coppia aumenta con la frequenza, a parità di
scorrimento diminuisce, a parità di potenza resa aumenta. Occorre tenere presente che mentre le
scale delle correnti e delle potenze sono le stesse per i due diagrammi, quelle delle coppie variano in
ragione inversa della frequenza (essendo la velocità del campo rotante proporzionale alla
frequenza).

Caratteristica meccanica:

La coppia di avviamento vale:

Ricordando che la reattanza di dispersione dipende dalla frequenza e trascurando a denominatore


R22 rispetto Xd2(1)2 si ha che la coppia di avviamento è inversamente proporzionale al cubo della
frequenza:
La coppia massima vale:

Per quanto sopra detto risulta evidente come la massima coppia sia inversamente proporzionale al
quadrato della frequenza. Sia per la coppia di avviamento che per la coppia massima si può inoltre
affermare che la loro diminuzione in seguito ad un aumento della frequenza è ancora più marcata di
quanto appena detto, infatti all'aumentare della frequenza aumenta pure la reattanza di dispersione
dello statore così che aumenta la caduta di tensione statorica ed, a parità di tensione applicata,
diminuisce la f.e.m. E1 e con essa la coppia.

Lo scorrimento per il quale si ha la massima coppia vale:

Per quanto sopra detto risulta evidente come tale scorrimento vari in misura inversamente
proporzionale con la frequenza. La differenza non dipende invece dalla
frequenza, infatti risulta essere e, mentre n1 aumenta
con la frequenza, sCMAX diminuisce con la frequenza.

Dall'espressione generale della coppia motrice generata:

e nel caso di piccoli scorrimenti, così che a denominatore si possa trascurare Xd2(1)2 rispetto R22 ,
si dimostra che a coppia costante lo scorrimento è inversamente proporzionale alla frequenza.

Potenza meccanica erogata:

è importante tenere presente la legge meccanica con cui varia la coppia resistente delle macchine
operatrici al variare della velocità, questo per valutare le conseguenze che un aumento della
frequenza e quindi della velocità ha sulla potenza meccanica erogata (e quindi anche sulla corrente
assorbita) dal motore.

Per le macchine utensili la coppia resistente non dipende dalla velocità e quindi la potenza erogata
dal motore cresce proporzionalmente con la frequenza.

Per le pompe centrifughe ed i ventilatori la coppia resistente è proporzionale al quadrato della


velocità e quindi la potenza erogata dal motore cresce proporzionalmente col cubo della frequenza.

Funzionamento a tensione diversa dalla nominale e frequenza costante

Se la macchina è poco satura, le variazioni contenute di tensione si ripercuotono pressoché


proporzionalmente sul flusso per polo cosicché, risultando ancor valide le espressioni della coppia,
si può dedurre che la coppia massima e la coppia di spunto, dipendendo dal quadrato della tensione,
avranno variazioni notevolmente più grandi di quelle presentate dalla stessa tensione
d'alimentazione (se la tensione aumenta di molto, a causa della saturazione del circuito magnetico,
il flusso magnetico aumenta meno della tensione così che le coppie aumentano assai meno).

Considerando il diagramma circolare, sempre nell'ipotesi di variazioni contenute della tensione così
che si possa ritenere costante la permeabilità del circuito magnetico e quindi anche i parametri del
circuito equivalente, accade che gli sfasamenti in ritardo sulla tensione della corrente assorbita a
vuoto e della corrente di cortocircuito rimarranno invariati mentre i valori delle correnti stesse
varieranno proporzionalmente alle tensioni. Quindi i due diagrammi per due tensioni diverse V1 e
V1* si corrisponderanno secondo una similitudine geometrica, essendo ( V1/V1* ) il rapporto di
similitudine. Si possono quindi disegnare i due diagrammi per le due diverse tensioni (il diagramma
di diametro maggiore sarà relativo alla tensione maggiore), tenendo comune il punto di
funzionamento a vuoto. Avendo a disposizione i due diagrammi circolari si possono fare tutti i
confronti desiderati tra le due diverse condizioni di funzionamento.

Ad esempio, è facile verificare che, a parità di coppia sviluppata, saranno maggiori sia la corrente
assorbita che lo scorrimento quando la tensione è minore, così che si avranno maggiori perdite negli
avvolgimenti, mentre la minore tensione determinerà minori perdite nel ferro. Il rendimento potrà
essere sia maggiore che minore, tutto dipende dalle variazioni delle perdite, e questo potrà essere
verificato sui diagrammi circolari.

Metodi di avviamento

All'avviamento si ha negli avvolgimenti rotorici la stessa frequenza propria degli avvolgimenti


statorici ed una perfetta analogia col trasformatore in cortocircuito. Tutto questo determina
l'assorbimento di una corrente molto più grande di quella nominale (anche 8 ÷ 10 volte), con un
bassissimo fattore di potenza ( < 0,2r ) essendo Xd2(1) >> R2.

Per tali motivi, l'avviamento a piena tensione, specie se il motore è di media o grande potenza,
provoca perturbazioni inaccettabili nella rete di distribuzione cui esso è allacciato. Si sono quindi
messi a punto diversi metodi di avviamento, tutti tendenti a ridurre l'intensità della corrente
assorbita e, per alcuni, ad aumentare sia il fattore di potenza che la coppia sviluppata.

Avviamento mediante reostato.

E' possibile solo per i motori con rotore avvolto e ad anelli. Consiste nel collegare in serie, prima
dell'avviamento, a ciascuna fase rotorica una resistenza addizionale Ra così da aumentare la
resistenza rotorica stessa da R2 a (R2 + Ra). Si ottiene in tal modo una riduzione dell'intensità di
corrente assorbita, un aumento del fattore di potenza, un aumento della coppia di spunto (questi
aspetti sono già stati discussi a proposito della doppia funzione del reostato di avviamento). E'
adatto ad avviare il motore sotto carico.

A titolo di approfondimento vediamo come, utilizzando il diagramma circolare, sia possibile


calcolare il valore Ra del reostato affinché la coppia di spunto assuma il valore desiderato CAV* ,
noti che siano il rapporto di trasformazione m ed R2.
Sul diagramma la coppia di avviamento propria del motore è CAV individuata dal segmento Pc__Ec
, mentre la corrente assorbita è IAV. Utilizzando la scala delle coppie si può determinare la
lunghezza del segmento Pc*__E* corrispondente alla coppia di spunto desiderata CAV* , quindi si
individua il nuovo punto di avviamento Pc* . Si osserva come la nuova corrente di spunto IAV* sia
più piccola e meno sfasata che non quella precedente. Siccome Pc* è il nuovo punto di
cortocircuito, il segmento Pc*__E* rappresenta, nella scala delle potenze, anche le perdite nel rame
di rotore all'avviamento. Si può quindi scrivere:

PJRCC* =3·(R2 + Ra)·I2AV*2 = 3·(R2 + Ra)·m2·IAV'*2 [W]

dove IAV'* è la corrente di reazione all'avviamento pari al segmento Po__Pc* . Risolvendo rispetto
Ra si ottiene infine:

che è quanto si cercava.

Avviamento Y/D.

Si utilizza per motori di potenza fino a 20 [KW] ed aventi l'avvolgimento statorico collegato con le
fasi a triangolo nel funzionamento normale. Il rotore può essere indifferentemente del tipo avvolto
od a gabbia. Si presta solo per avviamenti a vuoto essendo la coppia di spunto notevolmente ridotta.

La figura sottostante riporta lo schema di potenza di un avviamento Y/D ( u , v , w sono i morsetti


d'inizio delle fasi statoriche del motore, x , y , z sono i morsetti d'uscita delle fasi statoriche del
motore. Non sono riportati i dispositivi di protezione).
All'avviamento, l'interruttore Y deve essere chiuso così che il MAT parta con gli avvolgimenti
statorici a stella. Dopo aver chiuso l'interruttore di linea L si dovrà attendere che il motore abbia
raggiunto circa l'ottanta percento della velocità a vuoto prima di aprire l'nterruttore Y e, subito
dopo, chiudere l'interruttore D relativo al funzionamento con gli avvolgimenti statorici a triangolo.
E' importante che l'interruttore D venga chiuso solo dopo avere aperto l'interruttore Y per evitare il
cortocircuito tra due fasi. Ovviamente accade che viene a mancare per un breve intervallo di tempo
l'alimentazione al motore, così che nell'istante in cui essa si ripristina si presenta una punta di
corrente assorbita che può provocare gravi disturbi elettrici nella linea di alimentazione ed
altrettanto gravi disturbi elettromagnetici nell'ambiente circostante.

L'avviamento a Y comporta la riduzione di tre volte della corrente assorbita (per capirlo basta
considerare l'equivalenza tra due carichi trifasi equilibrati, di eguale impedenza, ma alimentati l'uno
a stella e l'altro a triangolo) e di tre volte della coppia di spunto (perché la coppia dipende dal
quadrato della tensione applicata ed a stella la tensione è più piccola che non a triangolo).

Avviamento mediante autotrasformatore.

E' più costoso dello Y/D , tuttavia è adottato comunemente per i motori di potenza più elevata in
quanto elimina le punte di corrente all'avviamento non mancando mai la tensione durante
l'avviamento. Il rotore può essere indifferentemente del tipo avvolto od a gabbia. Inoltre permette di
rendere più graduale l'avviamento essendo possibile adottare per l'autotrasformatore più prese
intermedie. Anche per questo tipo di avviamento, considerando la dipendenza della coppia dal
quadrato della tensione ed il basso valore che di solito si adotta per la tensione iniziale, si deve
avere il motore a vuoto.

La figura sottostante riporta lo schema di potenza di un avviamento mediante un autotrasformatore


ad un'unica presa intermedia ( u , v , w sono i morsetti d'inizio delle fasi del motore, x , y , z sono i
morsetti d'uscita delle fasi del motore. Non sono riportati i dispositivi di protezione).
La successione delle operazioni da eseguirsi per avviare il motore è la seguente: per primo viene
chiuso l'interruttore T1 così che l'autotrasformatore sia predisposto per il funzionamento a stella. Poi
si chiude T2 (conservando chiuso T1 ) ed il motore viene alimentato tramite l'autotrasformatore ad
una tensione pari a 0,5·Vn. Quindi si apre T1 così che il motore venga alimentato attraverso le
bobine di reattanza dell'autotrasformatore che si trovano in serie alla linea. Per ultimo si chiude T3
ed il motore si trova ad essere alimentato a piena tensione essendo le bobine di reattanza
cortocircuitate.

Nel caso preso in considerazione di un autotrasformatore ad un'unica presa intermedia, la coppia


all'avviamento è ridotta ad 1/4 (essendo la tensione 1/2 della nominale) ed anche la corrente
assorbita è ridotta ad 1/4 della nominale (purché si supponga il motore come un carico d'impedenza
costante: infatti al motore è applicata metà della sua tensione nominale ed esso assorbirà metà della
corrente normale di avviamento; questa corrente poi è ridotta ancora della metà essendo il rapporto
di tensione dell'autotrasformatore due ad uno).

Gli autotrasformatori per questo impiego, essendo destinati ad un servizio di durata limitata (1
minuto circa), lavorano con elevati valori di induzione magnetica (fino a 1,6 [Wb/m2]) e con elevati
valori di densità di corrente (fino a 20 [A /mm2]). Per questo motivo sono molto più compatti e
meno costosi degli autotrasformatori per il servizio continuo (il costo e l'ingombro possono essere
ulteriormente ridotti adottando autotrasformatori con due sole fasi collegate a " V ").

Avviamento mediante reattanze o resistenze statoriche.

Può essere adottato nel caso di piccoli motori alimentati da reti di modesta portata. Il rotore può
essere indifferentemente del tipo avvolto od a gabbia. Rispetto all'avviamento Y/D presenta il
vantaggio di non avere interruzioni nell'alimentazione. Le reattanze vengono bypassate mediante un
cortocircuito ad avviamento completato. La coppia di spunto si riduce secondo il quadrato della
tensione applicata, la corrente assorbita si riduce in misura pressoché proporzionale alla tensione
applicata.

Motori col rotore a doppia gabbia.

Discutendo l'influenza di R2 sul comportamento del motore abbiamo visto come all'avviamento sia
conveniente un elevato valore di R2 , per favorire una elevata coppia di spunto associata ad una
corrente assorbita bassa e poco sfasata, mentre in marcia normale è conveniente un basso valore di
R2 , per favorire un basso scorrimento ed un elevato rendimento. Un modo semplice ed ingegnoso
di soddisfare tali contrastanti esigenze consiste nel costruire il circuito rotorico in forma di doppia
gabbia. Viste in sezione, due generiche barre, esterna Be ed interna Bi (tra di loro poste in parallelo
mediante gli anelli frontali), si presentano nel seguente modo:

La gabbia esterna ha barre di sezione molto minore di quelle della gabbia interna, quindi sarà R2e
>> R2i . La gabbia interna, essendo molto più immersa nel ferro rotorico, è autoconcatenata con una
maggior quantità di flusso disperso così da avere un coefficiente di autoinduzione molto maggiore
Ld2i >> Ld2e.

All'avviamento, essendo le frequenze rotoriche le più alte (uguali a quelle statoriche), l'impedenza
di ciascuna barra è determinata soprattutto dalla componente reattiva (proporzionale alla frequenza)
e, quindi, la barra interna avrà una impedenza maggiore della barra esterna. La corrente rotorica
circolerà prevalentemente nella gabbia esterna che, avendo elevata resistenza, favorirà ottime
condizioni di avviamento.

Mano a mano che l'avviamento procede, le frequenze rotoriche diminuiranno fino a ridursi a
qualche frazione di Hertz (velocità a vuoto) o pochi Hertz (velocità a carico nominale). Per tale
motivo l'impedenza di ciascuna barra sarà sempre più determinata dalla componente ohmica e,
quindi, la barra esterna avrà una impedenza sempre più grande della barra interna. La corrente
rotorica circolerà sempre più nella gabbia interna che, avendo bassa resistenza, favorirà ottime
condizioni di marcia nominale.

Un motore a gabbia semplice, se avviato a piena tensione, presenta l'assorbimento di una corrente 6
÷ 8 volte la nominale ed una coppia di spunto sempre minore della nominale. L'avviamento a piena
tensione è consentito solo per motori di piccola potenza (< 3 [KW]) ed a vuoto; per potenze
maggiori si deve effettuare un avviamento a tensione ridotta e sempre col motore a vuoto. Un
motore a doppia gabbia, se avviato a piena tensione, assorbe una corrente mai superiore di 4 volte la
nominale ed una coppia di spunto che può essere anche il doppio della nominale. Avviandolo a
tensione ridotta la corrente supera non di molto quella nominale e la coppia può eguagliare la
nominale, per cui è possibile anche l'avviamento a carico. I motori vengono costruiti con la gabbia
semplice per potenze fino a 20 [KW], a doppia gabbia per potenze fino a circa 10.000 [KW] (per
potenze attorno ai 20 [KW] si costruiscono motori con gabbia a barre alte che hanno un
comportamento intermedio tra i due).

Il comportamento elettrico di un motore a doppia gabbia si discosta sensibilmente da quanto visto


finora. Infatti i parametri elettrici del rotore (resistenza e induttanza) risultano essere variabili al
variare dello scorrimento. Il diagramma delle correnti è sensibilmente circolare nella parte prossima
al funzionamento nominale, ma presenta un insellamento nella vicinanza della condizione di
cortocircuito (in coincidenza della migrazione della corrente rotorica dall'una all'altra gabbia).
All'insellamento della caratteristica di corrente corrisponde un insellamento della caratteristica
meccanica.

Variazione della velocità dei MAT

Il normale motore a induzione soddisfa ottimamente le esigenze degli azionamenti a velocità


praticamente costante. Molte applicazioni richiedono invece diverse velocità di funzionamento o
addirittura una velocità regolabile con continuità in un certo campo. I metodi più comuni per variare
la velocità sono i seguenti:

Variazione del numero delle coppie polari.

Variando il numero di coppie polari varia la velocità del campo rotante (secondo la relazione n1 =
60·f1/p ) e quindi anche la velocità del motore. L'avvolgimento di statore può essere progettato in
modo che con semplici variazioni nei collegamenti degli avvolgimenti si possa cambiare il numero
di poli nel rapporto 2 a 1 (si parla di avvolgimenti a poli commutabili). Si può quindi scegliere l'una
o l'altra delle due velocità sincrone. Il rotore è quasi sempre del tipo a gabbia, un rotore di tale tipo
infatti presenta il vantaggio di non avere un numero di poli naturale e di dar luogo ad un campo di
rotore con lo stesso numero di poli del campo statorico induttore. Se si usasse un rotore avvolto, si
introdurrebbe una ulteriore complicazione giacché dovrebbe essere variato anche il numero di poli
dell'avvolgimento di rotore. Con due avvolgimenti di statore indipendenti, ciascuno del tipo a poli
commutabili, si possono avere quattro distinte velocità sincrone.
Uno degli schemi più usati è quello Dahlander nel quale ciascuna fase si compone di due bobine
distinte che possono essere collegate in serie (bassa velocità) od in parallelo (alta velocità). La
figura sottostante fa riferimento, attraverso lo schema elettrico e lo schema panoramico, alla prima
fase di un motore avente 12 cave statoriche. A sinistra è raffigurato il collegamento serie dal quale
si ottengono 4 poli (bassa velocità), a destra il collegamento parallelo dal quale si ottengono 2 poli
(alta velocità).

Variando il tipo di collegamento varia, oltre alla velocità del campo rotante, anche l'induzione al
traferro e quindi si possono produrre, per lo stesso motore, diverse caratteristiche coppia-velocità:

la figura mostra tre possibilità nel collegamento per tre motori aventi identica caratteristica coppia-
velocità nel collegamento a velocità alta.

Il collegamento (a) dà luogo a una coppia massima pressoché uguale ad entrambe le velocità (per la
bassa si collegano T1, T2, T3 alla linea e si lasciano aperti T4, T5, T6 mentre per l'alta si collegano
T4, T5, T6 alla linea e si cortocircuitano T1, T2, T3). Viene usato negli azionamenti che chiedono
pressappoco la stessa coppia con entrambe le velocità, ad esempio nei carichi in cui l'attrito è
preponderante e negli argani. Questo collegamento è detto a coppia costante.

Il collegamento (b) determina una coppia pressoché doppia alla velocità inferiore (per la bassa si
collegano T4, T5, T6 alla linea e si cortocircuitano T1, T2, T3 mentre per l'alta si collegano T1, T2,
T3 alla linea e si lasciano aperti T4, T5, T6). Viene applicato ad azionamenti che chiedono potenza
pressoché costante, ad esempio macchine utensili. Questo collegamento è detto a potenza costante.

Il collegamento (c) dà luogo ad una coppia massima notevolmente più ridotta alla velocità inferiore
(per la bassa si collegano T1, T2, T3 alla linea e si lasciano aperti T4, T5, T6 mentre per l'alta si
collegano T4, T5, T6 alla linea e si cortocircuitano T1, T2, T3). Viene utilizzato per azionamenti che
richiedono meno coppia alle basse velocità, come ventilatori e pompe centrifughe. Questo
collegamento è detto a coppia variabile.

Le caratteristiche meccaniche per i tre tipi di motore a poli commutabili appena visti sono:

Variazione della frequenza.

La velocità del campo rotante di un motore ad induzione può essere regolata variando la frequenza
di alimentazione. Per mantenere pressoché costante l'induzione, andrebbe anche variata la tensione
di alimentazione in misura direttamente proporzionale alla frequenza (questo perché il flusso per
polo è direttamente proporzionale alla f.e.m. statorica e quindi, a meno della c.d.t. negli
avvolgimenti statorici, alla tensione applicata ed inversamente proporzionale alla frequenza di
alimentazione). In tal modo la coppia massima rimane pressoché costante. Un motore a induzione
usato in questo modo presenta caratteristiche simili a quelle di un motore in corrente continua ad
eccitazione indipendente a flusso costante e tensione d'armatura variabile.

Per regolare la frequenza si può usare una macchina ad induzione a rotore avvolto o, molto meglio,
si può usare un convertitore statico di frequenza.

Variazione della tensione di alimentazione.


La coppia elettromagnetica sviluppata da un motore a induzione è proporzionale al quadrato della
f.e.m. statorica e quindi, a meno della c.d.t. negli avvolgimenti statorici, della tensione applicata.
Osservando il grafico si nota come si modifica la caratteristica dimezzando la tensione. Se la coppia
resistente Cr è pressoché costante, la velocità si riduce da n2n a n2* con il quasi annullamento dei
margini di sovraccarico. Questo metodo di variazione della velocità, anche a causa del basso
rendimento, è praticamente usato per i piccoli motori a gabbia per il comando di ventilatori.

Variazione della resistenza rotorica.

Abbiamo già visto come si modifica la caratteristica meccanica al variare della resistenza rotorica di
un motore a rotore avvolto, con tensione e frequenza di alimentazione costanti. E' evidente che, se
la coppia resistente è costante, ad un aumento della resistenza di rotore corrisponde un aumento
dello scorrimento e, quindi, una diminuzione di velocità.

Verifichiamo quel che succede nel motore studiando il diagramma circolare:

Se il motore deve sviluppare una coppia costante definita dal segmento P__E , il punto P di
funzionamento rimarrà costante e, con esso, rimarranno costanti la corrente assorbita I1 , la corrente
di reazione, la corrente rotorica, lo sfasamento ϕ1 , la potenza elettrica assorbita pari a P__A.
Ovviamente rimarrà costante anche la potenza trasmessa essendo individuata dal medesimo
segmento della coppia. Aumentando la resistenza rotorica da R2 a (R2+Ra) , a parità di corrente
assorbita, aumenta la perdita per effetto Joule negli avvolgimenti di rotore in tutte le condizioni di
funzionamento. Più precisamente le perdite nel rotore all'avviamento aumentano da Pc__Ec a
Pc*__Ec* ed il punto di funzionamento in corto passa da Pc a Pc* , la retta delle potenze rese ruota
quindi verso l'alto. Inoltre le perdite nel rame di rotore nella condizione di funzionamento indicata
dal punto P aumentano da E__D a E__D* . Infine la potenza meccanica resa diminuisce da P__D a
P__D* , in definitiva diminuisce il rendimento. Per ultimo, essendo il punto di funzionamento più
vicino al punto di cortocircuito si avrà un maggior scorrimento e quindi una più bassa velocità.

Avendo a disposizione il diagramma circolare, risulta facile individuare quantitativamente tutte le


grandezze discusse, in particolare la velocità prima e dopo l'inserzione della resistenza Ra in serie
all'avvolgimento di rotore:

Si osserva come, a coppia costante, aumentando la resistenza rotorica diminuiscono nella stessa
misura sia la potenza meccanica resa che la velocità.

Si può anche facilmente dimostrare che, sempre a coppia costante, lo scorrimento è direttamente
proporzionale alla resistenza rotorica:

dividendo membro a membro si ottiene infine:

come si voleva dimostrare. Lo stesso risultato si ottiene assumendo rettilineo il primo tratto della
caratteristica meccanica e considerando la sua equazione semplificata.

Questo metodo di variazione della velocità ha caratteristiche simili al controllo di velocità di un


motore in corrente continua eccitato in derivazione e regolato per mezzo di resistenze in serie
all'avvolgimento d'armatura. Il suo principale inconveniente consiste nel basso rendimento alle
ridotte velocità.

Variazione della velocità mediante motori in cascata.


Questo tipo di collegamento di due macchine asincrone è stato impiegato nella trazione elettrica in
corrente alternata. Esso consiste nel collegare meccanicamente sullo stesso albero le due macchine,
alimentando direttamente dalla rete lo statore della prima e prelevando le tensioni indotte agli anelli
della prima per alimentare lo statore della seconda macchina. E' evidente che, dato l'accoppiamento
meccanico, le velocità di rotazione dei due rotori saranno sempre identiche. Il reostato collegato al
rotore della seconda macchina si utilizza per agevolare l'avviamento del gruppo.

Vediamo qual è la velocità a vuoto del gruppo. Si supponga per semplicità che le due macchine
abbiano uguali caratteristiche elettriche e numero di coppie polari rispettivamente p1 e p2. Via via
che il gruppo acquista velocità, la frequenza f2 delle correnti rotoriche della prima macchina e
statoriche della seconda diminuisce e, perciò, la velocità di sincronismo della seconda sarà n2 < n1.

Per la prima macchina si può scrivere:

Per la seconda:

Risolvendo rispetto n2 si ottiene infine:

Tale relazione dimostra che la velocità del gruppo è praticamente ridotta rispetto alla velocità del
primo motore secondo il rapporto p1 / (p1 + p2). Se i due motori accoppiati in cascata hanno lo
stesso numero di coppie polari, la velocità del gruppo è metà della velocità di ciascun motore; se i
due motori hanno numero diverso di coppie polari, impiegando i motori singolarmente o accoppiati
in cascata è possibile ottenere tre diverse velocità.

Considerando che:

si può dire che si realizza, a vuoto, la velocità che presenterebbe un motore costruito con un numero
di coppie polari pari a (p1 + p2) ed alimentato alla frequenza f1.

A carico, la velocità differirà di poco rispetto quella che si aveva a vuoto.

Per quanto riguarda le potenze meccaniche, trascurando le perdite, si può dimostrare che la potenza
totale sviluppata dal gruppo si ripartisce tra le due macchine in parti proporzionali al rispettivo
numero di poli. Il primo motore assorbe dalla rete una potenza PA1 che in parte fornisce all'albero
sotto forma meccanica PM1 , in parte fornisce al secondo motore sotto forma elettrica PA2 che esso,
a sua volta, trasforma in meccanica PM2 e cede all'albero. Ricordando che la potenza viene
trasmessa dallo statore al rotore alla velocità di sincronismo, la potenza trasmessa dallo statore al
rotore dal primo motore vale:

mentre la potenza meccanica vale:

Ora, a meno delle perdite, si ha:

Sostituendo alle potenze le loro espressioni:

Mettendo a rapporto PM1 con PM2 si ottiene infine:

come si voleva dimostrare.

In ogni caso l'intera potenza (PM1 + PM2) deve passare attraverso la prima macchina che funziona in
parte come motore ed in parte come trasformatore di alimentazione della seconda. Questo fatto
abbassa notevolmente sia il rendimento che il f.d.p. del gruppo.
Variazione della velocità mediante Inverter.

L'Inverter è essenzialmente un'apparecchiatura statica elettronica che converte una tensione


continua in una terna di tensioni sinusoidali controllabili in ampiezza e frequenza. L'Inverter
permette il completo comando e controllo dei motori asincroni trifasi. Più precisamente, attraverso
l'Inverter è possibile: a) avviare il motore con predeterminate caratteristiche di accelerazione, b)
assegnare al motore una determinata velocità, c) variare con continuità la velocità del motore, d)
frenare il motore con una determinata decelerazione.

Il principio di funzionamento consiste nell'alimentare il motore con una terna sinusoidale di tensioni
variabili in ampiezza e frequenza in modo tale che il rapporto (V1/f1) rimanga per quanto possibile
costante (così che sia costante e pari al valore nominale il flusso per polo nella macchina) e che la
corrente assorbita dal motore non superi il valore nominale per non incorrere in pericolosi
sovrariscaldamenti della macchina.

Se V1n ed f1n sono i valori nominali dell'alimentazione del motore, l'Inverter provvede a fornire al
motore una tensione di caratteristiche variabili nel seguente modo:

Si individuano tre zone di funzionamento.

La prima è chiamata regione a coppia costante e copre le frequenze da zero alla nominale e quindi
le velocità dall'avviamento alla nominale. In tale zona, essendo:

avremo che rimarrà costante la coppia massima esprimibile dal motore mentre la velocità del campo
rotante varierà proporzionalmente alla frequenza. La corrente assorbita dal motore non si discosterà
sensibilmente dalla nominale, considerando che in prima approssimazione la corrente di reazione
può essere ritenuta pari a:
e che la tensione applicata, la f.e.m. statorica e la reattanza di dispersione aumentano in eguale
misura. L'andamento della tensione applicata in funzione della frequenza è teoricamente una retta se
si trascura la resistenza R1. In effetti la presenza della resistenza degli avvolgimenti statorici
richiede una compensazione alle basse velocità al fine di garantire la costanza della corrente
primaria e della coppia massima, quindi alla frequenza zero serve la presenza di una tensione VR1 =
R1·I1n.

La seconda è chiamata regione a potenza costante. Arrivati alla tensione nominale in


corrispondenza della frequenza nominale, se si desidera aumentare ulteriormente la velocità
bisognerà aumentare la frequenza oltre f1n senza tuttavia aumentare la tensione oltre V1n al fine di
evitare possibili guai derivanti da cedimenti nell'isolamento della macchina ed eccessive perdite nel
ferro. Per tale motivo la tensione viene mantenuta al valore nominale e, quindi, aumentando la
frequenza si avrà una diminuzione (secondo la legge dell'inversa proporzionalità) del flusso per
polo e della coppia massima esprimibile dal motore. La potenza resa dal motore rimane costante
essendo la potenza direttamente proporzionale alla velocità angolare (e quindi alla frequenza) ed
alla coppia. La costanza della potenza, unitamente alla costanza della tensione applicata, permette di
ritenere, in prima approssimazione, costante e pari al valore nominale la corrente assorbita.

La terza è chiamata regione a potenza decrescente ( o a corrente limitata). Si manifesta a partire


dalla frequenza f* >> f1n per la quale le reattanze di dispersione del circuito equivalente si elevano
talmente da impedire il passaggio della corrente nominale. In tal caso la corrente rotorica risulta
inversamente proporzionale alla frequenza e, siccome anche il flusso per polo varia in misura
inversamente proporzionale alla frequenza, accade che la coppia diminuisce con legge inversamente
proporzionale col quadrato della frequenza. La potenza erogata, essendo al solito proporzionale sia
alla velocità angolare che alla coppia, diminuirà secondo la legge inversamente proporzionale alla
frequenza.

Qualunque sia la regione di funzionamento, come si è dimostrato in occasione del confronto tra il
funzionamento a 50 e 60 [Hz], accade che la differenza tra la velocità a vuoto n1 e la velocità che
determina la massima coppia nCMAX è costante in quanto non dipende dalla frequenza:

∆n = n1 - nCMAX = n1·sCMAX = costante

e quindi, se la coppia è costante, è lecito ritenere costante lo scostamento in velocità tra la velocità a
regime e la velocità a vuoto, qualsiasi sia la frequenza.

Da quanto sopra detto risulterà la possibilità di variare la velocità del motore secondo la seguente
caratteristica (riferita ad un motore avente due coppie polari, tensione nominale 380 [V], frequenza
nominale 50 [Hz]):
Per quanto riguarda la frenatura del motore, è possibile effettuarla mediante iniezione di corrente
continua (condizione standard), mediante frenatura dinamica (condizione opzionale), mediante
recupero d'energia (solo se il raddrizzatore d'ingresso a monte dell'Inverter è bidirezionale).

Ovviamente, questo tipo di regolazione esige non solo un Inverter con regolazione della tensione e
della frequenza, ma anche che il motore risulti idoneo alle notevoli variazioni di velocità cui sarà
sottoposto in quanto esso, se del tipo autoventilato, alle basse velocità risulterà male raffreddato,
mentre alle alte velocità presenterà un eccesso di perdite meccaniche. Occorrerà verificare pure se i
cuscinetti saranno idonei a sopportare la massima velocità prevista. Naturalmente, oltre alla
variazione della velocità, esistono altri importanti problemi come quelli della protezione contro le
sovracorrenti e i guasti.

Un semplice schema a blocchi dell'intero sistema può essere il seguente:

dove (a) sono gli ingressi / uscite di controllo, (b) è la rete trifase di alimentazione alla tensione e
frequenza nominali, (c) è l'interfaccia esterna, (d) è il circuito di controllo, (e) è il raddrizzatore
d'ingresso (deve essere bidirezionale se si desidera la frenatura a recupero d'energia), (f) raggruppa
l'Inverter col suo filtro. Si tenga presente che, mentre nella sezione R, S, T la tensione e la
frequenza sono costanti e pari al valore nominale, nella sezione u, v, w la tensione e la frequenza
possono essere variate.

Lo sviluppo dei convertitori statici (da corrente continua a corrente alternata, da corrente alternata a
corrente continua) ha portato ad apparecchiature in grado di trattare elevate potenze con accettabili
valori di rendimento ed affidabilità maggiore di quella garantita dalle macchine elettriche rotanti
che svolgevano la stessa funzione. Inoltre si è avuta una sensibile riduzione dei costi dei convertitori
statici e tutto questo ha consentito la revisione e la riutilizzazione di schemi di azionamenti
realizzati nel passato con ingegnose applicazioni delle macchine elettriche, quali i metodi Kramer,
Scherbius, Ward-Leonard.

Una ulteriore applicazione dei convertitori statici si ha negli azionamenti a controllo vettoriale, nei
quali si regola, in modo indipendente, la frequenza, il flusso e la coppia. Di tutte queste ulteriori
applicazioni dell'Inverter per la regolazione dei motori ad induzione noi non parliamo (sia per la
complessità che per l'estensione di tali argomenti).

Altri modi di funzionamento della macchina asincrona

Il funzionamento come motore della macchina è delimitato dal tratto di circonferenza che va dal
punto Po (motore a vuoto) al punto Pc (motore a rotore bloccato) ed è stato ampiamente discusso.
Si ricorda solo che, assumendo positive la potenza elettrica PEL entrante nella macchina e la potenza
meccanica PME uscente dalla macchina, tali potenze nel funzionamento come motore sono entrambe
positive. Inoltre la coppia elettromagnetica generata CM è anch'essa positiva, perché concorde col
verso di rotazione del campo rotante. Sul diagramma PEL è rappresentata dal segmento P1__A1 ,
PME dal segmento P1__D1 , CM dal segmento P1__E1. Riassumendo:

0 ≤ s ≤ 1 , PEL > 0 , PME > 0 , CM > 0

Il funzionamento come freno della macchina si ha quando il rotore è portato in rotazione con verso
opposto a quello del campo rotante e, perciò, con scorrimento s > 1 , a tale funzionamento
∞. Si nota che la macchina continua ad
corrisponde sul diagramma il tratto tra i punti Pc e P∞
assorbire potenza elettrica dalla rete essendo il segmento P2__A2 ancora al di sopra della retta delle
potenze elettriche, ma contemporaneamente essa assorbe anche potenza meccanica dall'albero
essendo il segmento P2__D2 al di sotto della retta delle potenze meccaniche. La coppia
elettromagnetica continua ad essere positiva, cioè favorevole al verso di rotazione del campo rotante
ma opposta al verso di rotazione del rotore e, quindi, agisce da coppia frenante; il segmento che la
rappresenta è P2__E2 ancora al di sopra della retta delle coppie. Entrambe le potenze, elettrica e
meccanica, essendo assorbite dalla macchina, saranno dissipate al suo interno per effetto Joule.
Questo funzionamento viene applicato per arrestare il moto di un motore già in funzione, basta
scambiare rapidamente fra loro due fili di alimentazione in modo da invertire il senso di rotazione
del campo rotante, si parla di frenatura in controcorrente. Naturalmente, per evitare che il motore
prenda a girare in senso opposto dopo essersi arrestato, bisognerà distaccare l'alimentazione quando
la frenatura è completata. Riassumendo:

s > 1 , PEL > 0 , PME < 0 , CM > 0

Il funzionamento come generatore della macchina asincrona corrisponde, sul diagramma circolare,
al tratto Po__P∞∞ che sta al di sotto della retta delle coppie. Perché la macchina si trovi in tale stato
è necessario che sia allacciata ad una rete in grado di fornire la potenza reattiva necessaria a
sostenere il campo magnetico rotante e la potenza reattiva impegnata dalle reattanze di dispersione e
che il rotore venga trascinato da un motore esterno (ad esempio una turbina) nello stesso senso del
campo rotante, ma ad una velocità n2 > n1, così che lo scorrimento sia negativo. In tale modo di
funzionamento risulta facile verificare che è s < 0 , PEL < 0 , PME < 0 , CM < 0 , ovvero la potenza
elettrica è erogata verso la rete, la potenza meccanica è assorbita dall'albero e la coppia
elettromagnetica agisce nel senso contrario al campo rotante ed al senso di rotazione del rotore e,
quindi, è una coppia frenante. Sul diagramma, PEL corrisponde a P3__A3 , PME corrisponde a
P3__D3 , CM corrisponde a P3__E3 Si osserva che la parte di diagramma circolare cui corrisponde
una effettiva erogazione di potenza attiva è solo quella sottostante l'ascissa, infatti solo per tale
tratto risulta essere ovvero la potenza elettrica è erogata e non
assorbita. Si deve ancora osservare che dell'intero tratto di diagramma circolare possibile, ci si
limita ad utilizzare quello cui corrisponde il tratto stabile della caratteristica meccanica (anzi, in
maniera ancor più restrittiva, quello limitato dal punto di intersezione di sinistra con l'ascissa e dal
punto di massima potenza elettrica che è quello di minima ordinata). Per finire ricordiamo che i
generatori asincroni trovano impiego nelle centrali ausiliarie o nelle centrali di cogenerazione
funzionanti in parallelo con le centrali base equipaggiate con generatori sincroni (alternatori) che
devono fornire la potenza reattiva necessaria all'asincrono.

Si può inoltre avere il generatore asincrono in funzionamento isolato. In tal caso, non essendo
disponibile una rete tenuta in tensione da alternatori che possano fornire la corrente magnetizzante
necessaria agli avvolgimenti statorici per sostenere il campo rotante, è necessario collegare ai
morsetti statorici una batteria trifase di condensatori secondo lo schema sotto riportato:

L’avviamento deve avvenire col carico staccato, ovvero a vuoto. Nel momento in cui si pone in
rotazione il rotore del generatore sincrono (mediante il motore esterno), il leggero magnetismo
residuo del ferro rotorico genera una piccola f.e.m. negli avvolgimenti statorici (come se si trattasse
di un alternatore) e quindi genera una tensione d’uscita sufficiente a produrre una piccola corrente
capacitiva verso i condensatori. L’erogazione di corrente capacitiva è del tutto equivalente
all’assorbimento della corrente magnetizzante induttiva con la quale viene sostenuto il campo
rotante e con ciò si rafforza l’induzione al traferro. L’aumento dell’induzione al traferro comporta
l’aumento della tensione d’uscita e della corrente capacitiva erogata e con questo l’aumento
ulteriore dell’intensità dell’induzione al traferro: in pochi secondi si raggiunge la saturazione della
macchina e si stabilizza la tensione d’uscita di normale funzionamento col campo rotante sostenuto
dalla corrente capacitiva erogata verso la batteria di condensatori, si parla quindi di autoeccitazione.
Conclusosi l’avviamento del generatore asincrono, applicando un carico mediante la chiusura
dell’apposito interruttore, potrà avere inizio l’erogazione di potenza attiva (dalla velocità del rotore
dipenderà la frequenza della tensione generata).

In caso di corto circuito o di forte sovraccarico si ha la rapida smagnetizzazione della macchina che
comporta la cancellazione del magnetismo residuo e l’impossibilità di dare luogo alla
autoeccitazione nella successiva manovra di riavvio. Bisogna quindi provvedere a ripristinare il
magnetismo residuo e questo si realizza inviando per un breve tempo una opportuna corrente
continua negli avvolgimenti di statore.

La presenza dei condensatori può dar luogo a fenomeni di risonanza (visto la natura induttiva dei
circuiti statorici del generatore asincrono) con conseguenti possibili sovratensioni che devono
essere opportunamente limitate e smorzate.

Una situazione analoga a quella sopra descritta si può presentare nel caso di un motore asincrono
trifase munito di una batteria di condensatori di rifasamento permanentemente inserita. Infatti
quando viene tolta la tensione di alimentazione per arrestarne la marcia può accadere che durante la
fase transitoria dell’arresto la macchina si autoecciti e passi quindi a funzionare come generatore a
causa dell’inerzia meccanica del sistema rotore-carico. Se ciò accade si determinano pericolose
sovratensioni nella fase iniziale del transitorio.

Infine la macchina asincrona può essere impiegata anche diversamente dal motore o dal generatore.
Tali impieghi possono essere quelli dello sfasatore, del regolatore di tensione, del convertitore di
frequenza. Il livello della trattazione da noi fatta esclude di prendere in considerazione tali impieghi.

Metodi di frenatura dei motori asincroni

Riassumiamo i più usati metodi di frenatura:


Frenatura meccanica. Viene applicata una coppia resistente per attrito (ovviamente dopo avere
distaccato il motore dalla alimentazione). L'energia cinetica delle masse rotanti viene dissipata nel
dispositivo frenante esterno al motore (che quindi non viene sollecitato termicamente). Viene usata
su motori chiamati trifasi autofrenanti, impiegati per il comando di macchine operatrici e
particolarmente di macchine utensili.

Frenatura controcorrente. E' già stata discussa, si osserva che appena effettuata l'inversione lo
scorrimento assume un valore pari quasi a 2 , per cui negli avvolgimenti rotorici diventano molto
alte sia le frequenze che le f.e.m. indotte. Per limitare l'intensità delle correnti rotoriche (e quindi di
quelle statoriche) è necessario, all'atto dell'inversione, inserire delle resistenze rotoriche (se il
motore è ad anelli) oppure abbassare la tensione di alimentazione. Tale tipo di frenatura risulta
piuttosto energico.

Frenatura per iniezione di corrente continua. Il circuito di statore, dopo essere stato distaccato dalla
linea di alimentazione trifase, viene alimentato mediante corrente continua la quale genera entro il
motore un campo magnetico fisso, costante. Gli avvolgimenti rotorici, tagliando tale campo
costante, diventano sede di f.e.m. , e quindi di correnti, alternate che, interagendo col campo
costante producono una coppia frenante. Tutta l'energia cinetica sottratta alle masse rotanti viene
trasformata in calore per effetto Joule negli avvolgimenti rotorici. L'azione frenante può essere
variata variando l'intensità della corrente continua iniettata, il momento frenante inizia dolcemente
per poi aumentare ed annullarsi all'arresto del motore. Questo tipo di frenatura viene normalmente
realizzato negli azionamenti con Inverter.

Frenatura dinamica. E' particolarmente adatta per i motori azionati tramite Inverter. Si realizza
riducendo la frequenza di alimentazione (e quindi la velocità del campo rotante), dando così luogo
ad uno scorrimento negativo. La macchina asincrona si trova a funzionare come generatore e,
quindi, ad erogare potenza elettrica sottraendola all'energia cinetica di rotazione. Tale potenza
elettrica può essere dissipata su di una resistenza di frenatura esterna al motore, collegata
immediatamente a monte dell'Inverter. Se poi il raddrizzatore d'ingresso è del tipo bidirezionale,
l'energia elettrica generata durante la frenatura può essere riversata in rete (e non dissipata in una
resistenza) dando così luogo alla frenatura dinamica con recupero d'energia.

Frenatura per commutazione di poli. Si attua nei motori a poli commutabili quando avviene la
commutazione su di una velocità inferiore. Accade che lo scorrimento diventa negativo e, quindi, la
macchina si trova a funzionare come generatore così che la coppia elettromagnetica esercita
un'azione frenante.

Impuntamento e vibrazioni nei MAT

Il numero delle cave rotoriche deve risultare diverso (generalmente maggiore) dal numero delle
cave statoriche e, questo, per ridurre due inconvenienti:

a) il fenomeno dell'impuntamento, per il quale il rotore, nei motori con debole coppia di spunto,
tende a bloccarsi alla partenza nella posizione di minima riluttanza del circuito magnetico che si
verifica quando coppie di denti statorici e rotorici si trovano affacciati in corrispondenza fra loro.
Infatti, il passaggio ad una posizione diversa fa aumentare la riluttanza e quindi diminuire il flusso
per polo e, conseguentemente, la coppia motrice che potrebbe non essere più adeguata a vincere la
coppia resistente.
b) la rumorosità e le vibrazioni, dovute a forze radiali che nascono dall'interazione di campi rotanti
di statore e rotore aventi frequenze superiori al campo principale e detti campi armonici (originati
dalla non perfetta sinusoidalità della distribuzione di induzione nel traferro).

La riduzione degli inconvenienti sopra citati è ancor più accentuata se il numero di cave statoriche e
rotoriche, oltre che diversi, sono anche primi tra di loro (in tal modo saranno meno numerosi i denti
affacciati, per qualsiasi posizione del rotore rispetto allo statore).

Inoltre, specie per i rotori a gabbia, un ulteriore miglioramento si ha se le cave di rotore non sono
disposte parallelamente all'asse longitudinale della macchina, ma inclinate di una quantità pari al
passo polare delle cave di statore.

Motore asincrono monofase

Sono motori frazionari (cioè di piccola potenza, anche inferiore al KiloWatt) ampiamente utilizzati
negli elettrodomestici più diffusi in quanto funzionano alimentati da tensioni monofase. Il loro
rotore è quasi sempre del tipo a gabbia, mentre lo statore presenta un avvolgimento principale
monofase (che può essere multipolare) ed un avvolgimento ausiliario (necessario unicamente per
l'avviamento).

Trascurando l'avvolgimento ausiliario ed immaginando presente il solo avvolgimento principale, se


si alimenta il motore con una tensione alternata sinusoidale si originerà un campo magnetico
alternativo e sinusoidale che, come abbiamo visto a suo tempo, può essere pensato come la
composizione di due campi rotanti con versi opposti. La velocità dei due campi controruotanti sarà
pari a n1 = 60·f1/p , mentre la loro intensità sarà la metà di quella del campo alternato. Ciò permette
di sostituire idealmente la macchina monofase con due motori trifasi eguali calettati sullo stesso
albero e collegati ad una linea trifase di tensione concatenata pari alla tensione di alimentazione del
motore monofase, con l'avvertenza di dare luogo a due campi rotanti con versi opposti.
Facciamo ruotare l'albero comune alle due macchine con una certa velocità n2 di verso concorde col
verso della velocità del campo rotante della macchina di sinistra, si avranno i seguenti due
scorrimenti:

tra di loro vincolati dalla ovvia relazione (sS + sD) = 2. L'andamento della coppia motrice CM della
macchina monofase sarà ovviamente dato dalla composizione dei diagrammi relativi alle coppie
CMS e CMD delle due macchine trifasi equivalenti. Si ha la particolarità che la coppia di spunto della
macchina monofase è nulla. I campi di stabilità sono ovviamente costituiti dai rami ab e cd.

Cerchiamo di determinare le correnti che circolano nel rotore della macchina monofase. Ricordando
l'equivalenza istituita tra macchina monofase e due macchine trifasi, per la macchina di sinistra,
indicando con s il suo scorrimento, si ha alla frequenza mentre nella
macchina di destra si ha alla frequenza essendo E2(1) la
f.e.m. indotta all'avviamento la stessa per entrambi i motori. Le correnti circolanti nel rotore delle
macchine di sinistra e di destra valgono rispettivamente:

dove Xd2(1) è la reattanza di dispersione all'avviamento, comune per entrambi i motori. Quando le
due macchine sono ferme (s = 1) si ha I2S = I2D = I2AV. Al variare dello scorrimento si osserva che
la I2D resta praticamente costante per ogni condizione di funzionamento perché è,
2
per 0 < s < 1, trascurabile rispetto [Xd2(1)] , inoltre è fortemente sfasata in ritardo sulla f.e.m. ed
ha, infine, una frequenza molto più alta di quella di I2S. In definitiva, nel rotore della macchina
monofase circola una corrente fortemente in ritardo sulla f.e.m. che richiama dalla linea esterna una
corrente altrettanto in ritardo per cui il f.d.p. di un motore asincrono monofase è molto basso.

Per creare una coppia di spunto nel motore asincrono monofase e renderlo così autoavviante si
ricorre all'avvolgimento ausiliario (di poche spire), collegato elettricamente in parallelo al
principale (detto anche avvolgimento di marcia) e collocato nelle cave statoriche in modo tale da
risultare, rispetto al principale, sfasato nello spazio di 90°. All'avvolgimento ausiliario si pone in
serie un condensatore in modo tale che la corrente da esso assorbita risulti quasi in quadratura con
quella assorbita dall'avvolgimento principale. In tal modo si realizza un sistema bifase in grado di
produrre un campo rotante che, se opportunamente dimensionato, può fornire una sufficiente coppia
di spunto. Si può disinserire l'avvolgimento ausiliario ad avviamento avvenuto mediante l'impiego
di un interruttore centrifugo.

Il basso f.d.p. proprio del motore monofase obbliga praticamente al rifasamento, che può essere
fatto lasciando inserito il condensatore di avviamento, oppure utilizzando un secondo condensatore.

L'inversione di marcia all'avviamento si ha invertendo il collegamento alla rete monofase del solo
avvolgimento ausiliario.

Prove sui motori asincroni, introduzione


Il campo delle misure sulle macchine elettriche è vastissimo e coinvolge problematiche riguardanti
le normative e le certificazioni, oltre il collaudo delle macchine medesime. La parte che noi
tratteremo è quella direttamente utile alla comprensione del funzionamento delle macchine ed alla
verifica di quanto affermato in teoria, inoltre ci limiteremo a quelle prove per le quali abbiamo
l'attrezzatura necessaria al loro effettivo svolgimento. In ogni caso tutto ciò che verrà esposto
rispetterà le prescrizioni che il Comitato Elettrotecnico Italiano prevede e dispone relativamente alle
prove sulle macchine elettriche e che si trova riassunto nelle apposite norme CEI.

Si possono distinguere i seguenti tipi di prove:

a) prove di carattere generale: sono comuni a tutte le macchine elettriche e comprendono le prove di
riscaldamento (che studieremo), le prove di isolamento e le prove di rendimento;

b) prove speciali (che studieremo): sono specifiche per ogni singolo tipo di macchina e riguardano
essenzialmente la determinazione delle varie caratteristiche di funzionamento;

c) prove sul rumore acustico e sulla compatibilità elettromagnetica.

Dati di targa per le macchine asincrone

Tipo di macchina (generatore o motore; rotore avvolto o a gabbia).

Tipo di servizio e, se del caso, durata dei cicli e rapporto di intermittenza.

Potenza nominale Pn in [W] o multipli; è la potenza elettrica attiva erogata nei generatori, la
potenza meccanica erogata all'albero nei motori nelle condizioni nominali di funzionamento.

Tensione nominale Vn in [V] ; è la tensione concatenata applicata ai morsetti statorici.

Corrente nominale In in [A] e tipo (alternata); è la corrente assorbita nei motori, erogata nei
generatori in condizioni nominali di funzionamento.

Frequenza nominale fn in [Hz] e numero delle fasi; la frequenza è quella di alimentazione degli
avvolgimenti statorici.

Velocità nominale nn in [giri/1'] o gamma delle velocità nominali con l'indicazione delle potenze
nominali corrispondenti; è la velocità di rotazione dell'albero della macchina.

Classe di isolamento.

Collegamento delle fasi (stella o triangolo); se sono possibili collegamenti diversi, vanno indicate le
tensioni nominali e le correnti nominali per i singoli collegamenti.

Fattore di potenza della corrente nominale; è sempre in ritardo.

Tensione agli anelli a circuito rotorico aperto e corrente di rotore in condizioni nominale (solo per le
macchine con rotore avvolto ed anelli).

Senso di rotazione, con riferimento all'ordine ciclico di alimentazione.

Momento d'inerzia delle masse rotanti.


Oltre ai dati di targa, altre grandezze caratteristiche molto importanti per i motori (che quindi è bene
conoscere), sono:

Corrente di spunto e suo sfasamento, coppia di spunto quando il motore è avviato a tensione
nominale.

Coppia nominale; è la coppia sviluppata quando la corrente assorbita è la nominale.

Coppia massima e scorrimento per il quale essa si verifica.

Perdite meccaniche, perdite nel ferro e perdite negli avvolgimenti in condizioni nominali di
funzionamento.

Rendimento nelle condizioni nominali di funzionamento.

Corrente assorbita a vuoto e suo sfasamento.

Tensione di cortocircuito; è la tensione da applicare agli avvolgimenti statorici affinché il motore,


col rotore bloccato, assorba la corrente nominale.

Dati forniti dai costruttori per i motori asincroni

Dovendo valutare la qualità di un motore dopo averlo sottoposto alle varie prove, è utile fare
riferimento ai valori espressi dalle macchine costruite a regola d'arte, messi a disposizione dalle
aziende costruttrici o fornitrici di motori a norma. Eccone un riassunto:

Pn nn In IAV (Pm+PFe) Io Pcu Vcc Cn CAV CMAX η


cosϕn
[KW] [giri/1'] [A] /In % % % % [N·m] /Cn /Cn %
0,55 1400 1,5 5 0,8 20 75 20 20 3,7 2,3 1,7 71
1,1 1400 2,8 5 0,81 10 60 11 19 7,5 2 2,3 75
3 1410 7 6 0,83 7 50 15 18 20 2,3 2,5 80
11 2935 22,5 6,5 0,84 6 35 10 15 36 2 2,5 87
75 1480 142 6,3 0,86 2,6 28 4,3 17 485 2,4 2,4 93
200 1485 370 6,8 0,87 4 22 3,2 15 1300 2 2,5 93
Nei motori col rotore a gabbia, a parità di potenza resa, all'aumentare del numero di coppie polari
diminuisce (anche se di poco) il rendimento. Nei motori col rotore avvolto il rendimento è il più alto
per quelli a quattro poli, è più piccolo (anche se di poco) negli altri. Il fattore di potenza tende a
diminuire all'aumentare del numero di poli, sempre a parità di potenza, mentre la corrente assorbita
tende ad aumentare.

Prove speciali sui motori asincroni

Le caratteristiche che si devono ricavare sono:

a) caratteristiche elettromeccaniche, sono l'andamento della velocità e della coppia motrice in


funzione della corrente assorbita dal motore per tensione e frequenza applicate alla macchina
costanti e pari a quelle nominali:
n = f(I) , C = f(I) per V = Vn = cost. , f = fn = cost.

b) caratteristica meccanica, è l'andamento della coppia in funzione della velocità di rotazione o


dello scorrimento per tensione e frequenza costanti e pari ai valori nominali:

C = f(n) , C = f(s) per V = Vn = cost. , f = fn = cost.

c) curva del rendimento, è l'andamento del rendimento in funzione della corrente assorbita o della
potenza resa per tensione e frequenza costanti e pari ai valori nominali:

η = f(I) , η = f(P) per V = Vn = cost. , f = fn = cost.

A seconda della potenza e quindi del rendimento del motore, queste caratteristiche si possono
ricavare con il metodo diretto (per macchine con rendimento minore del 90%) o col metodo
indiretto (per quelle con rendimento maggiore del 90%).

Oltre alle caratteristiche sopra ricordate, è utile conoscere per un motore anche tutte le ulteriori
grandezze riportate nelle tabelle dei costruttori, solo così si può giudicare il comportamento del
motore anche con riferimento all'applicazione alla quale è destinato.

Prove speciali indirette sui motori asincroni

Per il calcolo del rendimento convenzionale si assume come potenza resa quella di targa Pn del
motore e si risale alla potenza assorbita PA mediante la valutazione delle varie perdite Pp, per cui si
avrà:

Secondo le norme CEI le perdite che si devono considerare in un motore asincrono sono:

a) perdite costanti al variare del carico, che si compongono delle perdite nel ferro PFe (legate alla
tensione ed alla frequenza) e delle perdite meccaniche Pm (per attrito e ventilazione, legate alla
velocità della macchina);

b) perdite sotto carico, che si compongono delle perdite Joule negli avvolgimenti di statore e di
rotore PJS , PJR , delle perdite elettriche nelle spazzole PSP (se presenti);

c) perdite addizionali a carico PAD, che si compongono delle perdite dovute al carico nel ferro attivo
e delle perdite per correnti parassite nei conduttori di statore e rotore dovute alle pulsazioni del
flusso causate dalla corrente. Tali perdite addizionali a carico, sempre secondo le norme CEI,
devono essere convenzionalmente poste pari allo 0,5% della potenza elettrica assorbita e
considerate variabili col quadrato della corrente di statore, ovvero:

Col metodo indiretto si calcola il rendimento convenzionale a pieno carico dato dalla formula:
dove tutte le perdite si intendono valutate nelle condizioni nominali di funzionamento.

Nel caso si desideri una curva, anche se approssimata, del rendimento in funzione della corrente
assorbita o della potenza resa bisogna prima ricavare il diagramma circolare. Da tale diagramma,
come è già noto dalla teoria, si può ricavare qualsiasi altra caratteristica del motore. Per tracciare il
diagramma circolare bisogna effettuare una prova a vuoto a tensione e frequenza nominali, una
prova a rotore bloccato con corrente e frequenza nominali, una misura in corrente continua della
resistenza di una fase statorica equivalente a stella (i risultati delle ultime due prove devono essere
ricondotti dalla temperatura di prova alla temperatura convenzionale di riferimento che dipende
dalla classe di isolamento della macchina).

Di un certo interesse ed utilità è anche, nel caso dei motori con rotore avvolto e ad anelli, la misura
del rapporto di trasformazione.

Misura della resistenza Ohmica di una fase statorica

Deve essere eseguita in corrente continua, con un adeguato metodo di misura, tenendo conto del
fatto che si tratta quasi sempre di una resistenza di piccolo valore. E' importante che la macchina sia
stata lungamente a riposo e che l'ambiente del laboratorio non abbia nel contempo subito importanti
sbalzi termici. Solo così si può ritenere la temperatura t [°C] degli avvolgimenti uguale a quella
ambientale. La corrente continua di misura deve essere inferiore ad 1/10 della corrente nominale
dell'avvolgimento, così che non si produca un riscaldamento dello stesso durante la prova (è noto
che per effetto Joule un conduttore percorso da corrente tende a riscaldarsi).

Si può misurare la resistenza di ciascuna delle tre fasi e poi farne la media aritmetica Rft [Ω], poi se
le fasi sono collegate a stella si ha che quella equivalente coincide con Rft , se invece le fasi sono
collegate a triangolo si dovrà ovviamente dividere per 3 al fine di avere quella equivalente a stella:

Oppure si può misurare la resistenza tra i morsetti statorici, due a due lasciando il terzo aperto, e poi
farne la media aritmetica Rm [Ω]. Qualunque sia il tipo di collegamento tra le fasi, per avere quella
equivalente a stella basta calcolare:

Infine si deve ricondurre il risultato alla temperatura convenzionale di riferimento T [°C] (che vale
75 [°C] per isolamenti in classe A, E, B oppure 115 [°C] per isolamenti in classe F, H):

Prova a vuoto del motore asincrono


Serve per la determinazione delle perdite costanti, oltre che della corrente assorbita a vuoto (col
relativo fattore di potenza). Inoltre permette di determinare i parametri trasversali del circuito
equivalente semplificato.

Viene condotta alimentando il motore con frequenza nominale ed i risultati vanno riferiti alla
tensione nominale, infatti le perdite nel ferro dipendono sia dalla tensione che dalla frequenza e le
perdite meccaniche dipendono dalla velocità e, quindi, dalla frequenza.

Il circuito di misura consigliato è il seguente:

Tutti gli strumenti di misura impiegati devono essere per corrente alternata e frequenza pari a quella
di prova, inoltre la loro classe di precisione deve essere pari a 0,5 o migliore, così che si possano
trascurare gli errori sistematici strumentali e si possa tenere conto unicamente degli errori
sistematici d'autoconsumo (che andranno corretti in relazione al tipo d'inserzione impiegato nella
prova).

L'alimentazione del circuito di misura deve essere del tipo trifase, simmetrica con forma d'onda
sinusoidale.

La regolazione del valore della tensione deve essere effettuata in modo tale da non introdurre
deformazioni nella forma dell'onda. Ad esempio può essere utilizzato (come mostra lo schema) un
autotrasformatore con rapporto di trasformazione variabile. E' lecito anche l'impiego di
trasformatori a rapporto di trasformazione variabile, di regolatori ad induzione oppure di gruppi di
generazione autonomi (motore ed alternatore) nel qual caso, oltre alla tensione, potrà essere variata
anche la frequenza. Non si possono invece impiegare reostati di regolazione perché le eventuali
deformazioni della corrente magnetizzante assorbita dalla macchina produrrebbero inevitabilmente
delle deformazioni nelle c.d.t. sui reostati e, quindi, nella tensione applicata al circuito.

Il frequenzimetro, inserito a monte del variatore di tensione perché per un corretto funzionamento
necessita di una tensione applicata sufficientemente grande, verifica che la frequenza sia quella
nominale.

Il voltmetro, inserito tra due fili di linea per misurare la tensione concatenata, verifica il valore della
tensione applicata.

I tre amperometri servono a misurare la corrente assorbita a vuoto ed a verificare che per le tre fasi
sia pressoché la stessa (eventuali marcate differenze significherebbero un difetto di costruzione del
motore).

I due wattmetri servono a misurare la potenza assorbita dal motore. Si osserva che sono inseriti
secondo Aron, questo perché il motore funzionante a vuoto costituisce un sistema equilibrato.
Inoltre, siccome il f.d.p. per un motore a vuoto è tipicamente < 0,5 , ci si deve attendere
un'indicazione negativa dal secondo wattmetro. Sempre per lo stesso motivo, se il laboratorio
dispone di tre wattmetri a basso cosϕ , si hanno risultati più accurati inserendo tali wattmetri su di
un centro stella artificiale al posto dei due in Aron.

L'inserzione adottata è del tipo con le voltmetriche a monte, questo perché il motore a vuoto è
assimilabile ad un'impedenza di grande valore e tale inserzione favorisce errori d'autoconsumo più
piccoli (in ogni caso tali errori verranno corretti).

Come è stato visto dalla teoria, esistono diverse tecniche per separare le perdite nel ferro da quelle
meccaniche, per il momento prendiamo in considerazione il metodo della interpolazione grafica che
richiede di condurre diverse prove a vuoto a frequenza nominale e con tensioni decrescenti a partire
da un valore V ≅ 1,1·Vn fino ad un valore Vmin tale per cui non avvenga un rallentamento
apprezzabile del motore. Infatti al diminuire della tensione applicata diminuisce (con legge
quadratica) la coppia generata, così che ad un certo punto si avrà un rallentamento causato dalle
perdite meccaniche. In conseguenza di tale fatto, si creerà uno scorrimento nella macchina tale da
non poter più ritenere n ≅ 0 e, con ciò, non si potrà ritenere più il motore funzionante a vuoto (nel
motore varieranno le perdite meccaniche e si produrrà una corrente rotorica che determinerà una
corrente di reazione statorica).

Per ciascuna delle prove si determineranno:

V [V]

direttamente indicata dal voltmetro.

essendo A1, A2, A3 le indicazioni degli amperometri.

(PFe + Pm) = W1 + W2 - (2·RWA·Io2 + 3·RA· Io2) - 3·RSYt·Io2 [W]

essendo RWA [Ω] la resistenza interna amperometrica di ciascun wattmetro (uguale per entrambi),
RA [Ω] è la resistenza interna degli amperometri (uguale per tutti e tre) e 3·RSYt·Io2 [W] la potenza
che la corrente a vuoto dissipa negli avvolgimenti statorici (non più trascurabile rispetto alla
corrente nominale a causa del suo elevato valore dovuto all'elevata riluttanza del circuito magnetico
originata dall'elevato traferro presente tra lo statore ed il rotore) dove la resistenza equivalente a
stella è alla temperatura di prova.

avendo supposto equilibrato il comportamento del circuito.

Grazie ai valori sopra calcolati, si possono determinare le seguenti caratteristiche a vuoto:

a) corrente assorbita in funzione della tensione applicata:


La caratteristica corrisponde a quella di magnetizzazione del nucleo della macchina, infatti la
tensione applicata è proporzionale al flusso e quindi all'induzione e la corrente assorbita (per gran
parte magnetizzante) è proporzionale al campo magnetico. Rispetto ai trasformatori, tuttavia, la
caratteristica è più lineare a causa del più ampio traferro presente nei motori. Se si prova a ridurre al
di sotto di Vmin la tensione applicata si osserva che, a causa del presentarsi dello scorrimento, la
corrente assorbita tende ad aumentare.

In corrispondenza della tensione nominale Vn si leggerà la corrente a vuoto nominale Ion.

b) perdite nel ferro e meccaniche in funzione della tensione applicata:

dalle quali, come già visto in teoria, si ricavano PFen , Pm , (Pfe + Pm)n. L'operazione può risultare
facilitata se le perdite vengono riportate in funzione del quadrato della tensione, infatti in tal caso la
caratteristica è rettilinea e ne viene facilitata l'estrapolazione fino al valore zero di tensione.

La caratteristica ha andamento parabolico perché le perdite nel ferro, a parità di frequenza,


dipendono dal quadrato dell'induzione e, quindi, della tensione applicata.
c) fattore di potenza a vuoto in funzione della tensione applicata:

L'andamento è crescente al diminuire della tensione applicata. Infatti mentre le perdite meccaniche
sono pressoché costanti (purché la velocità non vari significativamente), la potenza reattiva
impegnata per sostenere il flusso diminuisce (secondo la legge quadratica) col diminuire della
tensione applicata e, quindi, il fattore di potenza tende ad aumentare col diminuire della tensione.

Dalle caratteristiche tracciate si determinano le seguenti grandezze riferite alla tensione e frequenza
nominali:

Pm [W] , PFen [W] , (Pm + PFe)n [W]

Tali valori andranno confrontati con quelli forniti dalle tabelle dei costruttori al fine di valutare la
bontà del comportamento a vuoto del motore provato.

Si possono poi determinare i parametri trasversali del circuito elettrico equivalente semplificato:

Osservazioni:

a) per avviare il motore, al fine di evitare il danneggiamento del circuito amperometrico di misura
causato da una eccessiva corrente nel medesimo, si dovrà procedere ad un avviamento a tensione
ridotta mediante l'autotrasformatore.
b) le portate amperometriche e voltmetriche degli strumenti di misura andranno definite con
riferimento ai dati di targa ed ai dati riportati sulle tabelle dei costruttori.

µ, Io, cosϕ
c) i valori di Ro, Xµ ϕo determinati mediante la prova appena descritta non corrispondono
esattamente a quelli che tali grandezze dovrebbero avere stando alle definizioni date in teoria.
Infatti le perdite meccaniche, facendo parte della potenza che da elettrica si trasforma in meccanica,
dovrebbero essere interpretate dalla resistenza fittizia RM'(s) e non da Ro come noi invece abbiamo
fatto.

Prova a rotore bloccato del motore asincrono

Serve per la determinazione delle perdite sotto carico, oltre che della corrente di avviamento (col
relativo fattore di potenza). Inoltre permette di determinare i parametri longitudinali del circuito
equivalente semplificato.

Viene condotta alimentando il motore con frequenza nominale e tensione ridotta (tensione di
cortocircuito) così che il motore assorba la corrente nominale, infatti le perdite nel rame dipendono
dalla corrente mentre la reattanza di dispersione dipende dalla frequenza.

Questa prova viene anche chiamata prova di cortocircuito a causa dell'analogia col trasformatore in
corto (infatti, a rotore bloccato s = 1 e la resistenza fittizia di rotore vale zero).

Il circuito di misura consigliato è il seguente:

Tutti gli strumenti di misura impiegati devono essere per corrente alternata e frequenza pari a quella
di prova, inoltre la loro classe di precisione deve essere pari a 0,5 o migliore, così che si possano
trascurare gli errori sistematici strumentali e si possa tenere conto unicamente degli errori
sistematici d'autoconsumo (che andranno corretti in relazione al tipo d'inserzione impiegato nella
prova).

L'alimentazione del circuito di misura deve essere del tipo trifase, simmetrica con forma d'onda
sinusoidale.

La regolazione del valore della tensione deve essere effettuata in modo tale da non introdurre
deformazioni nella forma dell'onda. Ad esempio può essere utilizzato (come mostra lo schema) un
autotrasformatore con rapporto di trasformazione variabile. E' lecito anche l'impiego di
trasformatori a rapporto di trasformazione variabile, di regolatori ad induzione oppure di gruppi di
generazione autonomi (motore ed alternatore) nel qual caso, oltre alla tensione, potrà essere variata
anche la frequenza. Non si possono invece impiegare reostati di regolazione perché le eventuali
deformazioni della corrente magnetizzante assorbita dalla macchina produrrebbero inevitabilmente
delle deformazioni nelle c.d.t. sui reostati e, quindi, nella tensione applicata al circuito.
Il frequenzimetro, inserito a monte del variatore di tensione perché per un corretto funzionamento
necessita di una tensione applicata sufficientemente grande, verifica che la frequenza sia quella
nominale.

Il voltmetro, inserito tra due fili di linea per misurare la tensione concatenata, verifica il valore della
tensione di cortocircuito.

L' amperometro serve a verificare che la corrente assorbita sia quella nominale.

I due wattmetri servono a misurare la potenza assorbita dal motore. Si osserva che sono inseriti
secondo Aron, questo perché il motore funzionante a rotore bloccato costituisce un sistema
equilibrato. Inoltre, siccome il f.d.p. per un motore in cortocircuito è piuttosto basso (anche se non
come quello a vuoto), ci si deve attendere un'indicazione negativa dal secondo wattmetro.

Il termometro serve a misurare la temperatura degli avvolgimenti (praticamente uguale a quella


ambientale se la macchina è stata a riposo per un tempo sufficiente).

L'inserzione adottata è del tipo con le voltmetriche a valle, questo perché il motore a rotore bloccato
è assimilabile ad un'impedenza di piccolo valore e tale inserzione favorisce errori d'autoconsumo
più contenuti (in ogni caso tali errori verranno corretti).

Se non interessano le caratteristiche di cortocircuito è possibile fare una sola prova alla frequenza
nominale e con applicata quella tensione ridotta che determina l'assorbimento della corrente
nominale, diversamente si faranno tante prove a partire da una corrente di circa I = 1,1·In [A] per
poi arrivare a tensione applicata nulla. E' preferibile procedere riducendo le correnti al fine di
favorire un migliore raffreddamento degli avvolgimenti e poter così considerare tale temperatura
costante e pari a quella ambientale.

Per ciascuna delle prove si determineranno:

t [°C]

direttamente indicata dal termometro.

VCCt [V]

direttamente indicata dal voltmetro.

I [A]

direttamente indicata dall'amperometro.

dove RWV [Ω] la resistenza interna voltmetrica di ciascun wattmetro (supposta uguale per
entrambi), RV [Ω]è la resistenza interna del voltmetro, [W] sono le perdite
nel ferro che non si possono trascurare essendo nei motori la tensione di cortocircuito non
trascurabile rispetto alla tensione nominale (a causa dell'elevata impedenza interna dovuta alla
elevata reattanza di dispersione). Tali perdite sono presenti sia nello statore che nel rotore (essendo
questo fermo e quindi tagliato dal campo rotante) e, considerando che la massa di ferro rotorica
equivale alla massa di ferro statorica, poste pari al doppio di quelle presenti a vuoto (ricondotte alla
tensione applicata secondo la nota legge di dipendenza quadratica).

avendo supposto equilibrato il comportamento del circuito.

Grazie ai valori sopra calcolati, si possono determinare le seguenti caratteristiche di cortocircuito:

a) tensione di cortocircuito in funzione della corrente assorbita:

La caratteristica ha andamento pressoché rettilineo in quanto la tensione applicata risulta essere


direttamente proporzionale alla corrente assorbita VCCt = 1,732·Ze'·I . Questo purché si trascuri la
presenza dei rami trasversali e si assumano costanti Re' ed Xe'. Per quanto riguarda la resistenza,
essa può essere ragionevolmente ritenuta costante solo se la temperatura degli avvolgimenti non
varia durante la prova. Inoltre, la significativa corrente derivata nei rami trasversali può rendere la
caratteristica rilevata sensibilmente diversa da quella attesa (rettilinea) in corrispondenza dei piccoli
valori di tensione applicata, per i quali l'andamento della corrente magnetizzante assorbita è
avvertibilmente non lineare.

b) potenza di cortocircuito in funzione della corrente:


L'andamento è tipicamente parabolico in quanto le perdite per effetto Joule negli avvolgimenti
dipendono dal quadrato della corrente.

c) fattore di potenza di cortocircuito in funzione della corrente:

L'andamento è pressoché rettilineo orizzontale, infatti se sono costanti Re' ed Xe' , sarà costante
pure il fattore di potenza.

Dalle caratteristiche disegnate, in corrispondenza della frequenza e corrente nominali e della


temperatura di prova t [°C] si leggono:

VCCtn [V] , PCCtn [W]

che andranno ricondotti alla temperatura convenzionale di riferimento T [°C]. Il procedimento per il
caso del motore è più semplice di quello visto per il trasformatore non essendo richiesta la
separazione delle perdite Ohmiche da quelle addizionali (infatti, nei motori, le perdite addizionali
sono convenzionalmente calcolate come lo 0,5% della potenza elettrica assorbita). I passaggi sono i
seguenti:

in quanto la reattanza di dispersione non dipende dalla temperatura. Per la resistenza si calcolerà:

Quindi diventa possibile calcolare:

Per ultimo, è possibile calcolare la corrente di avviamento a piena tensione:

Tali valori andranno confrontati con quelli forniti dalle tabelle dei costruttori al fine di valutare la
bontà del comportamento a rotore bloccato del motore provato.

Osservazioni:

a) per tenere fermo il rotore, se il motore è di piccola potenza, basta tenerlo con le mani, altrimenti
occorre una morsa. In ogni caso la coppia di spunto presentata dal motore in questa prova è piccola
essendo ridotta la tensione applicata e dipendendo la coppia dal quadrato della tensione.

b) bisogna tenere presente che, specialmente nel caso di rotore avvolto, spostando di poco il rotore
la corrente assorbita oscilla tra un massimo ed un minimo: il primo si verifica in tutte quelle
posizioni in cui i denti di statore e rotore si trovano prevalentemente sfalsati (reattanza di
dispersione minima), il secondo invece nelle posizioni in cui i denti di statore e rotore si trovano
prevalentemente affacciati (reattanza di dispersione massima). Nell'esecuzione della prova si
bloccherà il rotore in una posizione per la quale, a parità di tensione, l'assorbimento di corrente è
intermedio tra i due.

c) le portate amperometriche e voltmetriche degli strumenti di misura andranno definite con


riferimento ai dati di targa ed ai dati riportati sulle tabelle dei costruttori.

d) dopo le tre prove appena descritte, è possibile determinare la coppia di avviamento del motore a
tensione e frequenza nominali. Infatti la potenza trasmessa agli avvolgimenti rotorici all'avviamento
risulta essere:
PTAV = PAAV - PJSAV - PFES - PFER - PADSAV - PADRAV [W]

dove PAAV = 1,732·Vn·IAV·cosϕ ϕCC [W] è la potenza assorbita all'avviamento, PJSAV = 3·R1·IAV2
[W] sono le perdite all'avviamento negli avvolgimenti statorici, PFES = PFER [W] sono uguali alle
perdite nel ferro misurate nella prova a vuoto nell'ipotesi di avere all'avviamento uguali perdite nel
ferro di statore e rotore, PADSAV = PADRAV = 0,005·PAAV [W] sono le perdite addizionali nell'ipotesi
che esse all'avviamento siano uguali nel rotore e nello statore. Ricordando che tutta la potenza
trasmessa all'avviamento è dissipata negli avvolgimenti rotorici (essendo nulle le perdite
meccaniche e la potenza erogata) e che la coppia elettromagnetica generata dipende dalla potenza
trasmessa e dalla velocità angolare del campo rotante, si ha infine:

Determinazione del rendimento convenzionale

Giunti a questo punto si hanno gli elementi per il calcolo del rendimento convenzionale a pieno
carico del motore (immaginato senza spazzole):

dove (PJS + PJR)n = PCCTn. Inoltre, ricordandone la definizione, risulta facile verificare che le
perdite addizionali si calcolano con:

Tracciamento e lettura del diagramma circolare

Abbiamo già visto in teoria come dalle prove indirette appena viste sia possibile ricavare il
diagramma circolare ed utilizzarlo per determinare tutte le caratteristiche del motore. Aggiungiamo
soltanto che, volendo, è possibile costruire la scala degli scorrimenti e la scala dei rendimenti:
Dato un punto P qualsiasi sul diagramma circolare, la figura mostra come leggere sulle rispettive
scale il rendimento ed lo scorrimento ad esso corrispondenti.

Prova diretta sul motore asincrono

Ha lo scopo di rilevare tutte le caratteristiche, elettriche e meccaniche, durante l'effettivo


funzionamento della macchina. Ovviamente deve essere disponibile in laboratorio un dispositivo di
caricamento del motore che, nel nostro caso, è un freno Pasqualini:
Si tratta di un freno elettromagnetico. L'estremità dell'albero del motore in prova viene rigidamente
accoppiata, mediante un giunto, ad uno spesso disco di rame la cui periferia è attraversata dal flusso
uscente dai poli di due o più elettromagneti (eccitati in corrente continua perché, a parità di corrente
e quindi di campo prodotto, è richiesta l'applicazione di una minore tensione e perché il campo
magnetico costante non determina perdite nel ferro del giogo della carcassa oscillante). Il circuito
magnetico di ciascun elettromagnete è chiuso attraverso un giogo di ferro che è montato e può
oscillare su due coltelli d'acciaio come il giogo di una bilancia; al giogo è solidale un'asta graduata
ed una bolla di livella (il tutto costituisce la carcassa oscillante del freno). Mediante la regolazione
di un opportuno contrappeso di equilibratura g , il sistema oscillante viene preventivamente
equilibrato in modo da portarne il baricentro appena sotto l'asse di rotazione determinato dai
coltelli: in queste condizioni il peso mobile (romano) G deve trovarsi sullo zero della scala graduata
sull'asta orizzontale che costituisce il braccio della bilancia e la bolla di livella deve essere sul
centro.

Mettendo successivamente in rotazione il motore in prova, ed eccitando gli elettromagneti del freno,
per effetto delle correnti che vengono indotte nel disco si genera fra questo ed i poli degli
elettromagneti una coppia frenante che frena il moto del disco e tende, per reazione, a inclinare
l'intera carcassa oscillante del freno nel verso stesso del moto. La misura della coppia si compie
riportando la carcassa a livello mediante lo spostamento del romano G [Kg]. Se il braccio per il
quale si ha il riequilibrio vale b [m], la coppia resa dal motore sarà C = 9,81·G·b [N·m]. Per
misurare la velocità di rotazione n2 [g/1'] del motore a carico si potrà impiegare un tachimetro
(meccanico od elettronico). Una volta note la coppia e la velocità risulta immediato calcolare la
potenza meccanica erogata dal motore con la relazione [W]. Per quanto
riguarda le grandezze elettriche applicate al motore, per misurarle basterà predisporre
sull'alimentazione un amperometro, un voltmetro, un frequenzimetro e due wattmetri in Aron.

Al fine di avere dei risultati riferibili alla temperatura convenzionale di riferimento del motore in
prova, è necessario lasciare sotto carico in condizioni nominali il motore per un tempo
sufficientemente lungo (almeno cinque volte la sua costante di tempo termica) prima di effettuare la
misura; durante tale tempo, siccome non interessa rilevare la coppia, il sistema oscillante può essere
tenuto bloccato.

Se si intende rilevare le sole caratteristiche riferite alla condizione nominale di carico, si dovrà
ritenere tale la condizione quando la tensione, la frequenza e la corrente assorbita sono ai valori
nominali.

Il freno Pasqualini viene costruito per potenze fino a 20 [KW]. E' da osservare che l'intera potenza
meccanica erogata dal motore in prova viene dissipata per effetto Joule dalle correnti indotte nel
disco, il quale pertanto si riscalda vistosamente.

Misura del rapporto di trasformazione

Se il motore è del tipo ad anelli può essere interessante misurare il rapporto di trasformazione. Lo
schema da usare è del tutto simile a quello visto per i trasformatori. L'alimentazione deve essere
fatta con un sistema trifase di tensioni simmetriche e sinusoidali alla frequenza nominale. Per
ricavare il rapporto di trasformazione è necessario eseguire due prove: una alimentando la macchina
dallo statore e lasciando aperti gli avvolgimenti di rotore, l'altra alimentandola dal rotore e lasciando
aperti gli avvolgimenti di statore e misurando i rispettivi rapporti di trasformazione mS,R , mR,S.
Queste due prove sono necessarie a causa delle elevate reattanze di dispersione che si hanno nei
motori asincroni. Il rapporto di trasformazione sarà la media geometrica:

Misura dello scorrimento

Essendo s = f2 / f1 , la conoscenza dello scorrimento deriva dalla misura della frequenza rotorica che
può essere condotta con uno dei seguenti metodi.

Nel caso di un motore con rotore ad anelli, la misura accurata della frequenza rotorica può essere
fatta con un circuito come quello di figura. Si chiude in cortocircuito l'avvolgimento rotorico e si
preleva la piccola d.d.p. che si ha tra due morsetti mediante un reostato su cui viene inserito un
galvanometro magnetoelettrico. All'atto dell'avviamento del motore, per proteggere il
galvanometro, il cursore deve essere nella posizione di figura. Quando il motore arriva a regime si
sposta il cursore in modo che si abbia una certa d.d.p. ai capi del galvanometro, si vedrà allora
l'indice dello strumento oscillare, in quanto, essendo la frequenza rotorica piuttosto bassa,
l'equipaggio mobile riesce a seguire tali oscillazioni. Con un contasecondi si misura allora il tempo
t [s] impiegato dall'indice del galvanometro a compiere un certo numero n di oscillazioni complete
così che si avrà f2 = n / t [Hz].

Questo metodo lo si può usare anche con motori con il rotore a gabbia tenendo presente che l'albero
del rotore non è mai perfettamente isolato e, quindi, anche in esso si inducono delle correnti che
hanno la stessa frequenza delle correnti rotoriche. Si deriva allora, tramite dei contatti striscianti, il
galvanometro sulle due estremità dell'albero e si sfruttano le piccole c.d.t. determinate dalla
circolazione delle correnti parassite che, in parte, si chiudono attraverso l'albero.

Nel caso non siano accessibili entrambe le estremità dell'albero, si può porre attorno all'albero una
bobina con un elevato numero di spire e collegare i suoi estremi al galvanometro. In questo modo,
concatenandosi la bobina col flusso disperso rotorico, alla frequenza f2, diviene sede di f.e.m.
indotte oscillanti alla frequenza f2 e quindi l'indice del galvanometro si metterà ad oscillare a questa
frequenza. La determinazione di questa frequenza va poi fatta come per il caso del motore ad anelli.

Prove termiche con particolare riferimento ai motori asincroni trifasi

Studiamo il problema del riscaldamento che si verifica in una macchina elettrica durante il suo
funzionamento. L'argomento è del tutto generale, tuttavia faremo uno specifico riferimento ai
motori asincroni.

Generalità sulle prove termiche

La potenza elettrica o meccanica ricavabile da una macchina è, in pratica, limitata dal riscaldamento
conseguente alle dissipazioni di energia (perdite nel ferro e nel rame) che si verificano in essa. Il
riscaldamento eccessivo di una macchina provoca la rapida usura degli isolanti.

Le prove termiche che si eseguono sulle macchine elettriche possono avere due scopi :

1°) verificare che una macchina, già costruita, erogando la sua potenza nominale non superi la
temperatura stabilita dalle norme CEI (perché, diversamente, vorrebbe dire che non è stata
dimensionata per la potenza per cui è garantita);
2°) determinare quale potenza può essere erogata dalla macchina, ancora non classificata, in modo
che la temperatura raggiunta non superi quei valori, stabiliti dalle norme, compatibili con una buona
conservazione dei materiali isolanti.

Le norme CEI dividono i materiali isolanti in diverse classi a seconda della temperatura massima
che possono sostenere. Le classi sono indicate con le lettere :

Y 90 [°C] , A 105 [°C] , E 120 [°C] , B 130 [°C] , F 155 [°C] , H 180 [°C] , C >180 [°C]

La durata dei materiali isolanti dipende da numerosi fattori quali la temperatura, le sollecitazioni
elettriche e meccaniche, le esposizioni ad atmosfere chimicamente aggressive. Le temperature
massime fissate sono quelle che, mantenute per lunghi periodi con intervalli di temperature più
basse, assicurano all'isolamento una durata soddisfacente. Per maggiori ragguagli sulla
classificazione dei materiali isolanti, si consulti il manuale del perito elettrotecnico

Temperatura ambiente e sovratemperature ammissibili

E' intuitivo che una macchina può erogare potenza tanto maggiore quanto più bassa è la temperatura
dell'ambiente o del fluido refrigerante. Le norme CEI stabiliscono quale si deve considerare per
temperatura ambiente. In ogni caso deve intendersi "ambiente" ogni mezzo suscettibile di asportare
il calore generato all'interno della macchina : quando la macchina è a refrigerazione naturale
l'ambiente sarà il locale ove essa è installata e la temperatura ambiente sarà allora la temperatura del
locale stesso, se la macchina è refrigerata artificialmente il concetto di ambiente cambia fisionomia
e la definizione di temperatura ambiente è più difficile, sarà considerata allora come temperatura
ambiente la temperatura del mezzo refrigerante e se i mezzi sono più di uno occorrerà stabilire
convenzionalmente il peso da attribuire alle singole temperature ed eseguire poi una media pesata
per stabilire il valore da assumersi come temperatura ambiente.

Si definisce sovratemperatura la differenza tra la temperatura della macchina (o di una parte di essa)
e la temperatura ambiente. Le norme CEI stabiliscono le massime sovratemperature, con
riferimento alle classi di isolamento, fissando una temperatura ambiente di riferimento pari a 40
[°C] per l'aria e 25 [°C] per l'acqua. Le sovratemperature indicate nelle tabelle tengono conto del
metodo usato per il rilievo delle temperature e del fatto che, in generale, non si riesce a misurare la
temperatura nei punti più caldi della macchina. Se la temperatura dell'ambiente ove opera
effettivamente la macchina è diversa da quella di riferimento, le sovratemperature possono essere
variate della differenza tra la temperatura ambiente di riferimento e la temperatura ambiente
effettiva.

Limiti di sovratemperatura per trasformatori a secco


Parte della macchina. Metodo di Classe di Sovratemperatura
raffreddamento isolamento massima [°C]
Avvolgimenti A 60
(sovratemperatura misurata
col metodo della variazione E 75
di resistenza). Aria naturale o forzata B 80
F 100
H 125
Nuclei a contatto con gli Tutti Stessi valori degli
avvolgimenti. avvolgimenti
Nuclei non a contatto con Tutti Tale da non produrre
gli avvolgimenti. danni al nucleo o ad
altre parti

Limiti di sovratemperatura per trasformatori immersi in olio


Parte della macchina. Sovratemperatura massima [°C]
Avvolgimenti, classe di isolamento A 65, se la circolazione dell'olio è naturale o
(sovratemperatura misurata col metodo della forzata non guidata;
variazione di resistenza).
70, se la circolazione è guidata e forzata.
Olio nella parte superiore (sovratemperatura 60, se il trasformatore è munito di conservatore
misurata col termometro). o è sigillato;

55, se il trasformatore è non munito di


conservatore o non è sigillato;
Nuclei, parti metalliche o altri materiali La temperatura dovrà essere tale da non
adiacenti. danneggiare il nucleo, le altre parti od i materiali

Tabella delle sovratemperature limite per le macchine rotanti (escluse le ventilate in H2). Vale
per gli avvolgimenti isolati per tensioni nominali fino a 11 [KV].

Caso Parte di macchina Classe di isolamento Metodo di


misura
Y A E B F H
1 Avvolgimenti a corrente 45 60 75 80 100 125 Resistenza
alternata eccettuati quelli del
caso 2; avvolgimenti di 35 50 65 70 85 105 Termometro
eccitazione eccettuati quelli dei
casi 3 e 4; avvolgimenti indotti
collegati a commutatori.
2 Avvolgimenti di indotto di 60 70 80 100 125 Resistenza
turbogeneratori da 5 [MVA] e
oltre; avvolgimenti di macchine 60 70 80 100 125 Rivelatori
asincrone e sincrone a poli
salienti da 5 [MVA] o [MW] e
oltre oppure con nucleo avente
un metro o più di lunghezza.
3 Avvolgimenti di eccitazione di 90 110 Resistenza
rotori lisci di macchine sincrone.
4 Avvolgimenti di eccitazione di 45 60 75 80 100 125 Resistenza o
bassa resistenza a più strati; avv. termometro
di compensazione.
Avvolgimenti ad uno strato con 65 80 90 110 135
superfici esposte nude o di
metallo verniciato.
5 Avvolgimenti isolati 45 60 75 80 100 125 Resistenza o
permanentemente chiusi su se termometro
stessi.
6 Avvolgimenti non isolati Le sovratemperature non devono
permanentemente chiusi su se mai raggiungere valori che
stessi. danneggino le parti stesse o parti
vicine.
7 Nuclei di ferro ed altre parti, non
a contatto con gli avvolgimenti.
8 Nuclei di ferro ed altre parti a 45 60 75 80 100 125 Termometro
contatto con gli avvolgimenti.
9 Collettori ad anelli o 45 60 70 80 90 100 Termometro
commutatori.
10 cuscinetti a strisciamento. 50 Termometro
cuscinetti a rotolamento. 60 Termometro

Le tabelle sopra riportate sono prive di alcuni necessari commenti che, se interessa conoscere,
possono essere consultati sulle relative norme CEI.

Classificazione delle macchine in base al tipo di servizio ed al tipo di


raffreddamento

Ai fini delle prove di riscaldamento assumono molta importanza il tipo di servizio ed il tipo di
raffreddamento della macchina.

Nel caso di trasformatori si distinguono tre tipi di servizio :

1) servizio continuo, è il servizio nel quale la macchina funziona alla sua potenza nominale per un
tempo illimitato. Viene designato con la sigla "S.C.";

2) servizio di durata limitata, è il servizio nel quale la macchina funziona alla sua potenza nominale
per un periodo di tempo contenuto, con la condizione che l'intervallo fra due successivi periodi di
lavoro sia sufficiente perché la macchina si riporti alla temperatura ambiente. Viene indicato con la
sigla "S.L.R." se la macchina è alimentata a partire dalla condizione di riposo (cioè distaccata dalla
rete), si usa la sigla "S.L.F." se si parte dalla condizione di funzionamento a vuoto (cioè con la
macchina allacciata alla rete). Si considerano normali le durate di lavoro di 10, 30, 60, 90 minuti;
3) servizio intermittente, è il servizio nel quale la macchina è sottoposta ciclicamente a periodi di
lavoro alla potenza nominale e a successivi periodi di riposo (designazione "S.I.R.") o di
funzionamento a vuoto (designazione "S.I.F.") senza che in questi ultimi periodi la macchina si
raffreddi fino a raggiungere la temperatura ambiente. Un tale servizio è caratterizzato dal rapporto
tra la durata del periodo di lavoro e la durata totale del ciclo (rapporto di intermittenza); si
considerano come normali i valori 15% , 25% , 40%. La durata del ciclo non deve superare i 10
minuti.

Nel caso di macchine rotanti si distinguono otto tipi di servizio che vanno dal servizio continuo
(sigla "S1") al servizio di durata limitata (sigla "S2") fino ai vari tipi di servizio intermittente
periodico (sigle " S3", ... , "S8"). Nel manuale del perito elettrotecnico sono raffigurati i diagrammi
relativi ai vari tipi di servizio per le macchine rotanti.

Si osserva che le sovratemperature massime indicate nelle tabelle non devono essere superate dalle
macchine per servizio continuo e da quelle per servizio intermittente quando esse abbiano raggiunto
la temperatura di regime. Per le macchine per servizio di durata limitata è ammessa al termine del
periodo di lavoro una sovratemperatura maggiore di 10 [°C] rispetto quella riportata in tabella.

Per quanto riguarda il tipo di raffreddamento, le norme CEI distinguono :

1) macchine a ventilazione naturale, in esse non è previsto alcun dispositivo speciale per aumentare
la ventilazione prodotta dagli organi in moto della macchina o dalla circolazione naturale dell'aria;

2) macchine autoventilate, in esse il rotore è provvisto di organi particolari capaci di attivare il


movimento dell'aria;

3) macchine a ventilazione forzata, in esse l'aria per la ventilazione è spinta all'interno della
custodia con mezzi esterni;

4) macchine ventilate in circuito chiuso, in esse l'aria o altro gas fatto circolare con ventilatori
propri della macchina o esterni, si scalda a contatto con le parti attive, viene spinto in un
refrigerante ad acqua (o altro) per poi tornare in ciclo;

5) macchine raffreddate ad acqua od altro liquido, tali macchine possono essere aperte (cioè in esse
non è previsto alcun dispositivo atto a rendere difficile l'accesso alle sue parti interne) o protette
(cioè in esse esistono i dispositivi accennati precedentemente, ma non è ostacolato il passaggio
dell'aria di raffreddamento). Le macchine possono essere anche chiuse (cioè in esse le parti attive
sono contenute in una custodia che non permette il passaggio dell'aria);

6) macchine a ventilazione esterna, sono chiuse e l'aria di raffreddamento è spinta sulla superficie
esterna della custodia.

Curva di riscaldamento teorica

Lo studio che effettuiamo è approssimato in quanto supponiamo che sia definita una temperatura
esterna (temperatura ambiente) costante, che la macchina sia internamente di conducibilità termica
infinita (il che porta a considerare la macchina come un corpo omogeneo, cioè con tutti i suoi punti
ad una stessa temperatura) e che la macchina funzioni a tensione di alimentazione e carico nominale
costanti così che siano costanti le perdite nell'unità di tempo Pp(t) = cost.
Prendendo in considerazione un intervallo infinitesino di tempo dt [sec], si avrà in esso che
l'energia persa Pp(t)·dt [J] sarà in parte ceduta all'ambiente K·S·DT(t)·dt [J] ed in parte
immagazzinata c·G·d(DT) [J], il tutto sotto forma di calore. Naturalmente la parte immagazzinata
farà aumentare la temperatura della macchina.

La condizione di equilibrio termico descritta è così esprimibile :

Pp(t)·dt = K·S·DT(t)·dt + c·G·d(DT) con DT(0¯ ) = 0

dove :

Pp(t) = potenza istantanea persa in [W]

Pp(t)·dt = energia persa che si trasforma in calore nel tempo dt in [J]

dt = intervallo infinitesimo di tempo in [s]

K = coefficiente di dispersione del calore in [W/(m2·°C)]

S = superficie disperdente in [m2]

DT(t) = differenza tra la temper. della macchina e l'ambiente refrigerante [°C]

c = calore specifico della macchina in [J/(Kg·°C)]

G = massa della macchina in [Kg]

c·G = capacità termica della macchina in [J/°C]

Dividendo entrambi i membri per dt si ottiene la seguente equazione differenziale lineare del primo
ordine :

che si può risolvere rispetto a DT(t) col metodo della trasformata / antitrasformata di Laplace
ricordando le proprietà della derivata:

Si osserva come la trasformata di Pp(t) equivale alla trasformata di un gradino di ampiezza Pp


essendo Pp(t) = 0 per t < 0 e Pp(t) = Pp costante per t >= 0.
dove :

e è il numero di Nepero 2,718...

Dtmax è la differenza di temperatura tra la macchina e l'ambiente esterno refrigerante a regime


termico raggiunto ovvero è il salto di temperatura che la macchina subisce passando da riposo a
regime termico. Si osserva che è direttamente proporzionale alla potenza persa ed inversamente al
calore ceduto all'ambiente.

τ è la costante di tempo termica del sistema, ovvero il tempo impiegato dalla macchina a
raggiungere la sovratemperatura massima Dtmax se non ci fosse scambio di calore con l'esterno.
Corrisponde anche al tempo necessario affinchè la sovratemperatura raggiunga il valore
0,632·Dtmax e si può ritenere che la macchina sia a regime termico dopo un tempo pari a quattro o
cinque volte la costante stessa. Infine è l'ascissa del punto di intersezione fra la tangente alla curva
esponenziale nell'origine e la retta DT(t) = Dtmax.

La soluzione sopra ottenuta è una curva esponenziale crescente, si possono osservare il suo
andamento ed alcuni tipici suoi valori nella figura sottostante:
Curva di raffreddamento teorica

L'equazione che descrive l'equilibrio termico del sistema nella fase di raffreddamento è la stessa
vista per la fase di riscaldamento, solo che essendo la macchina non alimentata saranno nulle le
perdite in essa, così che si potrà porre Pp = 0 :

con : DT(0¯ ) = DTmax

Risolvendo tale equazione rispetto DT(t) con un metodo analogo al precedente :

dove Dtmax è il salto di temperatura tra la macchina e l'ambiente refrigerante nel momento in cui
inizia il raffreddamento.

La soluzione sopra ottenuta è una curva esponenziale decrescente, si possono osservare il suo
andamento ed alcuni tipici suoi valori nella figura sottostante :
Comportamento termico di una macchina elettrica in relazione ai tipi di servizio

Si vuole, anche se in maniera approssimata, determinare, data una macchina destinata al servizio
continuo, quanta potenza può essere da essa sviluppata nel servizio a durata limitata o in quello
intermittente. E' bene tenere presente che, qualunque sia il tipo di servizio, la sovratemperatura
massima da essa raggiunta a regime termico non dovrà mai superare la sovratemperatura limite
DTlim [°C] stabilita dalle norme CEI e riportata nelle tabelle già viste.

Si supponga di avere una macchina che a servizio continuo possa sviluppare la sua potenza
nominale Pn [W] e che durante tale servizio raggiunga una sovratemperatura massima uguale alla
sovratemperatura limite, cioè sia DTmax = DTlim .

Inoltre in questo studio si supporrà, in via approssimata, che la potenza perduta nella macchina Pp
[W] sia principalmente dovuta all'effetto Joule negli avvolgimenti, cioè sia DTmax [°C]
proporzionale a [W] essendo R [Ω] la resistenza ed I [A]la corrente negli avvolgimenti .

Per quanto riguarda il servizio a durata limitata si considerano due casi :

1) Fissato un tempo di funzionamento ts [s] a potenza costante si vedrà quale potenza Ps [W] potrà
essere sviluppata dalla macchina per tale tempo senza superare la sovratemperatura limite DTlim .
Ovviamente sarà fissato un tempo di funzionamento del servizio a durata limitata inferiore a cinque
volte la costante di tempo, altrimenti si avrebbe un servizio analogo a quello continuo.

Nel tempo ts la sovratemperatura raggiunta dalla macchina, se erogante la potenza nominale, sarà:
Se ora si vuole che nel tempo ts la sovratemperatura raggiunta dalla macchina sia quella limite
(maggiore ovviamente di DTs ) bisognerà farle erogare la potenza Ps (maggiore ovviamente di Pn
). In tali condizioni di potenza erogata si potrà scrivere:

dove DTmaxs è la sovratemperatura massima che la macchina raggiungerebbe in servizio continuo


se erogante la potenza Ps .

Ricordando che la massima sovratemperatura raggiunta dalla macchina è proporzionale alle perdite
e che si è deciso di tenere conto solo di quelle negli avvolgimenti, si potrà scrivere :

dove In è la corrente negli avvolgimenti quando viene erogata la potenza nominale e Is è la corrente
quando viene erogata la potenza Ps.

Risolvendo rispetto Is si ottiene:

cioè, supponendo che la tensione applicata alla macchina sia costante e che la potenza erogata sia
proporzionale alla corrente negli avvolgimenti (il che è vero più per i trasformatori che per i
motori):

Ad esempio, è facile verificare che per ts uguale alla costante di tempo risulta essere Ps = 1,26·Pn .

2) Fissata invece la potenza Ps (maggiore di Pn ) che si vuol ottenere dalla macchina nel servizio a
durata limitata, si vedrà quale dovrà essere il suo tempo di lavoro ts se non si vuole superare la
sovratemperatura limite DTlim.

Basterà allo scopo risolvere rispetto a ts l'equazione :

Utilizzando le proprietà dei logaritmi naturali, risulta facile verificare:


Ad esempio:

Si consideri ora il caso di servizio intermittente. Siccome il servizio intermittente è un servizio di


tipo periodico di periodo Tc , per calcolare l'energia che va a riscaldare la macchina è necessario
calcolare il valore efficace della corrente. Infatti sarà :

dove Tt rappresenta il tempo totale durante il quale la macchina viene riscaldata.

Per esempio nel caso di un servizio intermittente del tipo S3 , chiamando Tc la durata del periodo,
Ts la permanenza in servizio durante il periodo, Tr la permanenza in riposo durante il periodo ( con
Ts + Tr = Tc ), con In la corrente costante e pari a quella nominale presente negli avvolgimenti
durante il tempo Ts, si avrà :

da cui si vede che la corrente efficace Ieff che, ritenuta costante durante tutto il periodo Tc, produce
gli stessi effetti termici della corrente In presente negli avvolgimenti per il tempo Ts è sempre
minore della corrente In stessa. Questo significa che nel servizio intermittente si può avere negli
avvolgimenti della macchina una corrente più grande di quella che, nel servizio continuo,
produrrebbe il sovrariscaldamento limite. Immaginando di ritenere le potenze erogate proporzionali
alle correnti negli avvolgimenti, si potrà scrivere:

dove Pn è la potenza che la macchina può erogare in servizio continuo riscaldandosi alla
sovratemperatura limite e Pint è la potenza che nel servizio intermittente S3 produce il medesimo
sovrariscaldamento.

Supponendo ad esempio che il rapporto di intermittenza sia del 40% si avrà :

cioè, nel servizio intermittente la potenza della macchine può essere aumentata del 58% senza
superare il sovrariscaldamento limite.

Misura della temperatura ambiente


Sia la sovratemperatura massima che quella limite sono riferite alla temperatura ambiente per cui è
necessario conoscere tale temperatura per concludere sul buon funzionamento di una macchina.

Per le macchine a ventilazione naturale, autoventilate o a ventilazione forzata con aria proveniente
dal locale ove sono installate e per le macchine chiuse a ventilazione esterna si assume come
temperatura ambiente quella esistente nel locale stesso in vicinanza della macchina. In questo caso
la temperatura ambiente si misura ponendo parecchi termometri intorno alla macchina a metà
altezza della stessa e distanti da questa uno o due metri. I termometri devono essere al riparo da
radiazioni termiche o da raggi solari e da correnti d'aria. Inoltre, allo scopo di evitare gli errori che
possono derivare dalla lentezza con la quale la temperatura delle macchine (specie se di grande
mole) segue le variazioni della temperatura ambiente, si cercherà di dare ai termometri una
adeguata inerzia termica. A tale scopo si usa immergere il bulbo del termometro in pesanti
recipienti metallici contenenti olio minerale, quanto più grande è la macchina da provare tanto
maggiore dovrebbe essere il cilindro di metallo impiegato come recipiente per l'olio. Per macchine
ad elevati flussi dispersi e / o ad elevata frequenza di funzionamento, si devono usare termometri ad
alcool perché se si usassero quelli a mercurio si potrebbero avere delle correnti parassite che,
riscaldando il mercurio, falserebbero la misura della temperatura ambiente.

Nel caso di macchine chiuse con refrigeranti separati e con condotti d'aria, la temperatura del fluido
di raffreddamento intermedio va misurata all'uscita dei refrigeranti. Nel caso di macchine munite di
refrigeranti ad acqua, la temperatura dell'acqua va misurata al suo ingresso nel refrigerante.

In ogni caso, siccome la temperatura ambiente può variare durante la prova, le norme CEI precisano
che il valore da adottare per la temperatura ambiente è la media delle letture fatte ad intervalli
uguali durante l'ultimo quarto della durata della prova. E' sconsigliato effettuare prove di
riscaldamento con temperature ambiente inferiori a 10 [°C] per l'aria ed a 5 [°C] per l'acqua.

Misura della temperatura degli avvolgimenti e delle altre parti della macchina

Per tale misura sono ammessi tre metodi :

1) Metodo termometrico.

Esso si fonda sull'impiego di termometri a mercurio, ad alcool, elettrici a resistenza o a coppia


termoelettrica e serve a misurare temperature superficiali o comunque di parti accessibili. L'uso del
metodo termometrico viene limitato alla misura della temperatura delle seguenti parti di macchina :

- tutti gli organi che non siano avvolgimenti (quindi nuclei di ferro, collettori, morsetti, ecc.);

- punti particolari della superficie degli avvolgimenti;

- avvolgimenti in corto circuito permanente;

- avvolgimenti di bassissima resistenza nei quali i giunti e le connessioni rappresentano una parte
considerevole della resistenza totale.

2) Metodo per variazione di resistenza.

Questo metodo sfrutta il fenomeno per cui la resistività dei materiali conduttori varia al variare della
temperatura, in particolare per i metalli aumenta all'aumentare della temperatura. Pertanto,
misurando la differenza di resistenza di un conduttore metallico da caldo a freddo si può ottenere la
temperatura raggiunta se si conosce il coefficiente di variazione di resistenza del metallo di cui il
conduttore è formato e la sua temperatura prima del riscaldamento. Da quanto detto risulta evidente
che il metodo si applica vantaggiosamente alla misura della temperatura raggiunta negli
avvolgimenti.

La sovratemperatura DT [°C] si deduce dalla formula :

dove :

T2 [°C] è la temperatura dell'avvolgimento a caldo;

T1 [°C] è la temperatura dell'avvolgimento freddo al momento della misura della resistenza R1 [Ω].
Tale temperatura, misurata col termometro, deve essere praticamente uguale a quella del fluido di
raffreddamento (temperatura ambiente) e perciò è necessario che la macchina abbia riposato a lungo
nell'ambiente che, a sua volta, non deve aver subito grandi sbalzi termici;

Ta [°C] è la temperatura del fluido di raffreddamento (temperatura ambiente) nell'istante in cui si è


misurata R2 [Ω];

R2 [Ω] è la resistenza dell'avvolgimento caldo alla temperatura T2 , misurata in corrente continua;

R1 [Ω] è la resistenza dell'avvolgimento freddo, cioè alla temperatura T1 , misurata in corrente


continua;

A è posto pari a 235 [°C] per gli avvolgimenti in rame, pari a 230 [°C] per gli avvolgimenti in
alluminio.

Osservazione : la temperatura così misurata (e quindi la sovratemperatura ) rappresenta il valore


medio lungo tutto l'avvolgimento e non quello massimo. La differenza può essere in certi casi
notevole, ad esempio nelle bobine dei trasformatori a raffreddamento naturale in olio situate nelle
parti basse ed alte del cassone, ed anche negli avvolgimenti delle macchine rotanti che hanno
sempre le testate più ventilate delle parti di avvolgimento situate nelle cave.

3) Metodo per variazione di resistenza senza distacco del carico.

Il metodo sopra descritto richiede, il più delle volte, il distacco del carico (si pensi al caso di
avvolgimenti percorsi da correnti alternate) per la misura della resistenza a caldo. E' evidente che
dall'istante del distacco all'istante di misurazione della resistenza R2 intercorrerà un certo intervallo
di tempo a causa del quale la misura sarà affetta da imprecisione. Si evita tutto ciò ricorrendo al
metodo di sovrapposizione che consiste appunto nel sovrapporre una corrente continua di debole
intensità alla corrente alternata di carico. Mediante adeguati circuiti di misura sarà possibile
sfruttare tale corrente continua per determinare R2.

4) Metodo dei rilevatori interni.

I rilevatori interni per la misura della temperatura sono termometri a termocoppia o a resistenza che
si predispongono durante la costruzione della macchina in punti che risulterebbero inaccessibili a
macchina ultimata e nei quali si presume abbia a manifestarsi la massima temperatura. Essi
rappresentano indubbiamente un ottimo metodo per la misura della temperatura, tanto più che
consentono il controllo di questa durante l'esercizio. Le norme CEI prescrivono tale metodo soltanto
per gli avvolgimenti di statore delle macchine sincrone o asincrone di potenza nominale uguale o
superiore a 5000 [KVA] o [KW].

Rilievo sperimentale della curva di riscaldamento

E' possibile per gli avvolgimenti percorsi da corrente continua, come sono gli avvolgimenti di
eccitazione delle macchine in corrente continua o degli alternatori.

Si misura dapprima, a macchina fredda, il valore R1 della resistenza a freddo dell'avvolgimento e la


temperatura T1 dell'avvolgimento nelle stesse condizioni; allo scopo si adotterà un adeguato
metodo di misura in corrente continua badando a che la corrente di misura sia tale da produrre (per
effetto Joule) un riscaldamento trascurabile nell'avvolgimento e quindi utilizzando una corrente di
misura non superiore ad 1/10 della corrente nominale dell'avvolgimento.

Quindi si realizzano le condizioni di carico nominale della macchina, si aspetta che questa
raggiunga la temperatura di regime e si misura la resistenza R2 dell'avvolgimento e la temperatura
ambiente Ta , tutto questo è possibile senza distaccare il carico in quanto la corrente
nell'avvolgimento è continua e, quindi, basterà predisporre il solito circuito voltamperometrico.

Mediante le espressioni (**) si calcola quindi la massima temperatura raggiunta dall'avvolgimento


T2max e la massima sovratemperatura rispetto all'ambiente DTmax. La sovratemperatura massima
così misurata andrà confrontata con quella limite DTlim riportata nelle tabelle CEI già viste,
considerando ovviamente l'eventuale diverso valore tra la temperatura ambiente di prova Ta e la
temperatura ambiente di riferimento cui le sovratemperature limite delle tabelle CEI fanno
riferimento.

Per rilevare meglio il raggiungimento della condizione di regime termico (si ricorda che per
macchine destinate al servizio continuo è sufficiente che le sovratemperature nelle varie parti della
macchina non varino più di 2 [°C] in un'ora ) conviene tracciare la curva di riscaldamento DT = f(t)
rilevando, in vari istanti, il valore della resistenza R2 e risalendo ai valori di sovratemperatura
mediante le (**). Tale curva ha un andamento pressoché coincidente con quello teorico
esponenziale crescente.

Per le macchine destinate al servizio continuo od intermittente, le norme CEI suggeriscono un


procedimento di estrapolazione grazie al quale, pur arrestando la prova appena raggiunta la
condizione di una variazione di sovratemperatura inferiore ai 2 [°C] per ora, è possibile determinare
la massima sovratemperatura a regime dopo un tempo infinito. Il metodo si fonda sulla
supposizione che la sovratemperatura vari esponenzialmente nel tempo :

si misurano le variazioni di sovratemperatura VDT e le sovratemperature DT ad intervalli di tempo


costanti Dit , questo si può fare leggendo il grafico DT = f(t) . Quindi si riportano su di un sistema
di assi coordinati i valori di VDT (in ascissa) e di DT (in ordinata), ottenendo una serie di punti
praticamente allineati su di una retta a pendenza negativa. Estrapolando la retta fino alla
intersezione con l'ordinata si otterrà la sovratemperatura dopo un tempo infinito DTmax.
Se non si desidera tracciare la curva di riscaldamento, si tenga presente che il tempo necessario alla
macchina, in condizioni di potenza nominale, per raggiungere la temperatura di regime è 4 o 5 volte
la sua costante di tempo. A puro titolo orientativo si può considerare che la costante di tempo valga
0,5 ÷ 1,5 ore per macchine rotanti, 1 ora per i trasformatori a ventilazione forzata, 2 ÷ 3 ore per
trasformatori a raffreddamento naturale, 1 ÷ 2,5 ore per trasformatori in olio a raffreddamento
forzato, 2 ÷ 4 ore per trasformatori in olio a raffreddamento naturale.

Rilievo sperimentale della curva di raffreddamento

Nel caso in cui la temperatura della macchina possa essere rilevata solo dopo il suo arresto (come
per tutti gli avvolgimenti in corrente alternata), a meno che si ricorra ai difficili metodi per
variazione di resistenza senza distacco del carico, si traccerà la curva di raffreddamento DT = f(t) .

Per fare ciò è necessario dapprima misurare la resistenza dell'avvolgimento a freddo R1 e la sua
relativa temperatura T1. Successivamente si fa funzionare la macchina col suo carico nominale per
un tempo sufficiente a farle raggiungere la temperatura di regime e si misura la temperatura
ambiente finale Taf . Infine si distacca il carico e si toglie l'alimentazione e, nello stesso tempo, si
fa partire un cronometro contasecondi e si inizia a misurare, in diversi istanti successivi, la
resistenza a caldo R2 e la relativa temperatura ambiente Ta . Applicando più volte le relazioni (**)
si calcolerà per ogni istante la sovratemperatura corrispondente DT . Tali valori, riportati su un
diagramma avente il tempo in ascissa e la sovratemperatura in ordinata, permetteranno il
tracciamento della curva di raffreddamento che avrà il tipico andamento esponenziale decrescente.
Estrapolando la curva al valore t = 0 [sec] si ottiene la sovratemperatura massima
dell'avvolgimento, cioè la sovratemperatura che esso aveva nell'istante di distacco del carico.
Perché l'estrapolazione sia lecita, la temperatura deve essere misurata, a partire dall'istante di
distacco del carico, dopo non oltre 30 [sec] per le macchine aventi potenza nominale inferiore a 50
[KVA] o [KW] , dopo non oltre 90 [sec] per le macchine aventi potenza nominale superiore.

Inoltre, poichè per la determinazione della temperatura ha più importanza l'esattezza della
differenza tra la resistenza a caldo e quella a freddo che non il valore assoluto delle resistenze
stesse, è bene che tutte le misure di resistenza siano fatte con lo stesso metodo sia a freddo che a
caldo (ad esempio voltamperometrico con voltmetro a valle ) utilizzando gli stessi strumenti con le
stesse portate e, possibilmente, con la stessa corrente continua di prova (non superiore ad 1/10 della
corrente nominale per evitare un riscaldamento artificioso dell'avvolgimento).

Per rendere più facile e precisa l'estrapolazione della curva di raffreddamento si ricordi la sua
equazione:

facendo il logaritmo naturale di entrambi i membri si avrà:

che è l'equazione di una retta avente t come variabile indipendente, ln(DT) come variabile
dipendente, (-1 / τ) come pendenza, ln(DTmax) come intersezione con l'asse delle ordinate.
Quindi, converrà disegnare non il grafico di andamento esponenziale DT = f(t) , bensì il grafico
rettilineo ln(DT) = f(t) , la cui intersezione con le ordinate fornirà ln(DTmax) mentre il rapporto
dell'intersezione con l'ascissa con l'intersezione delle ordinate fornirà la costante di tempo.

Al termine della prova, dopo aver ricavato la sovratemperatura massima DTmax , si controlla sulle
tabelle CEI se questo valore è compatibile con la sovratemperatura limite DTlim , ovviamente
tenendo nel giusto conto la temperatura ambiente finale Taf e quella convenzionale Tacon . I casi
che si possono avere sono tre :

(DTmax + Taf) = (DTlim + Tacon) la macchina è ben progettata e dimensionata;

(DTmax + Taf) < (DTlim + Tacon) la macchina è poco sfruttata e quindi sarebbe possibile
aumentarne la potenza erogata;

(DTmax + Taf) > (DTlim + Tacon) la macchina è mal dimensionata e, se non si diminuisce la
potenza sviluppata o il tempo di funzionamento, l'isolamento ne risulterà danneggiato
irreparabilmente.

Se ci si trova in uno degli ultimi due casi, supponendo ancora che la sovratemperatura sia
proporzionale alle perdite per effetto Joule negli avvolgimenti e quindi al quadrato della corrente,
nel caso in cui DTmax sia poco diverso dalla sovratemperatura DTlim* che, con la temperatura
ambiente Taf , produce la temperatura limite nell'avvolgimento (DTlim + Tacon) , e quindi si
possa trascurare la variazione della resistività elettrica, è possibile calcolare il valore approssimato
della corrente Is che può circolare negli avvolgimenti senza che l'isolamento ne risulti danneggiato:

DTlim* = (DTlim + Tacon) - Taf

mentre nel caso in cui non sia possibile trascurare la variazione di resistività elettrica (perché la
sovratemperatura massima è molto diversa da quella limite), la nuova corrente possibile si calcolerà
con l'espressione :

Se poi si suppone costante la tensione applicata e si ritiene che la potenza erogata sia pressoché
proporzionale alla corrente negli avvolgimenti (cosa vera più per i trasformatori che non per le
macchine rotanti), le espressioni sopra scritte valgono anche per le potenze (purché alla corrente si
sostituisca la potenza).

Metodi di carico della macchina

Per realizzare le volute condizioni di carico della macchina esistono tre metodi :

1) Metodo del carico effettivo : è il metodo concettualmente più semplice. Consiste nel dissipare
interamente la potenza erogata dalla macchina e cioè se la macchina in prova è un motore, lo si
accoppia ad un freno di adeguata potenza fino a fargli erogare la potenza meccanica nominale; se la
macchina in prova è un trasformatore od un generatore, si collegano i morsetti d'uscita ad un carico
costituito da un reostato regolabile di adeguata potenza. Questo sistema presenta il doppio
inconveniente di richiedere per le macchine molto potenti adeguati carichi, non sempre disponibili
in laboratorio, e di dissipare una notevole energia (si pensi alla notevole durata delle prove di
riscaldamento).

2) Metodo a circolazione d'energia : si basa sul principio di accoppiare opportunamente la


macchina in prova con una che effettua la trasformazione inversa, in modo tale che il gruppo
preleva potenza dalla rete di alimentazione con una delle due macchine e la restituisce con l'altra a
meno delle perdite complessive.

3) Metodo delle prove equivalenti : si basa sul seguente principio : se si fa funzionare la macchina
alternativamente a vuoto ed in cortocircuito, la potenza assorbita viene dissipata prevalentemente
nel ferro a vuoto e nel rame in cortocircuito. La potenza assorbita in entrambe le prove deve essere
pari alla potenza dissipata in funzionamento normale nel ferro e nel rame (responsabile del
riscaldamento della macchina): dopo un tempo adeguato, la macchina assumerà una temperatura
media prossima a quella di normale funzionamento.

Esempio di prova termica su di un motore

Questa prova ha lo scopo di verificare la sovratemperatura massima raggiunta in uno degli


avvolgimenti statorici di un motore asincrono trifase.

1) Si misura a freddo (cioè con la macchina a riposo da lungo tempo così che la sua temperatura
coincida con la temperatura ambiente) la resistenza Ohmica R1 e la temperatura T1 di una delle tre
fasi statoriche. Per tale misura si usa il metodo voltamperometrico col voltmetro a valle e si
corregge l'errore di autoconsumo. La corrente di prova deve essere inferiore ad 1/10 di quella
nominale dell'avvolgimento. Dopo aver impostato la corrente di prova è bene aspettare alcuni
secondi prima della lettura degli strumenti affinché si esaurisca il transitorio elettrico dovuto alla
elevata induttanza propria dell'avvolgimento.

2) Si alimenta la macchina alla sua tensione nominale e la si carica (utilizzando un freno Pasqualini)
fin tanto che assorba la sua corrente nominale, quindi la si mantiene sotto carico per un tempo
sufficiente a farle raggiungere la condizione di equilibrio termico (ovvero 4 o 5 volte la costante di
tempo, quindi 4 o 5 ore). Durante tale tempo, se necessario, si varia la tensione di alimentazione
affinché rimanga quella nominale e l'azione del freno affinché la corrente assorbita sia pure quella
nominale. Nella parte finale della durata di carico, si misura la temperatura ambiente finale Taf.

3) Si distacca la macchina dal carico e dalla alimentazione e, entro 30 [sec], si inizia a rilevare la
resistenza a caldo dell'avvolgimento R2 usando gli stessi strumenti e la stessa corrente della misura
a freddo. Contemporaneamente si rilevano il tempo t trascorso dal momento di distacco del carico e
la temperatura ambiente. Tali misure si ripetono più volte, (almeno due). Si calcola quindi la tabella
:
dove :

4) Si traccia il diagramma ln(DT)=f(t) interpolando con una retta i punti sperimentali. Da tale
diagramma si risale al valore massimo della sovratemperatura raggiunta a regime dall'avvolgimento
un istante prima del distacco del carico DTmax ed al valore della costante di tempo t .

5) Si può quindi scrivere l'espressione analitica della funzione esponenziale descrivente la curva di
raffreddamento:

e disegnare la curva stessa.

6) Si procede quindi al confronto tra la temperatura massima raggiunta (DTmax+Taf) e la


temperatura limite ammessa dalle norme CEI (DTlim+Taconv) traendone le dovute conclusioni.
Anche il valore rilevato della costante di tempo andrà confrontato con quello atteso.

7) Nel caso in cui la temperatura massima raggiunta sia diversa da quella limite, supponendo che il
riscaldamento sia causato principalmente dall'effetto Joule e che la potenza erogata sia
proporzionale alla corrente negli avvolgimenti (cosa più lecita per i trasformatori che non per le
macchine rotanti), si può determinare, con riferimento alla stessa temperatura ambiente finale Taf ,
la massima potenza erogabile in servizio continuo Psc con gli avvolgimenti che raggiungono la
temperatura limite:

8) Sempre nei limiti sopra ricordati, è possibile calcolare la potenza Psli erogabile in servizio a
durata limitata avendo prefissato un durata pari a tli [sec] (ovviamente significativamente inferiore
a quattro o cinque volte la costante di tempo), con l'avvolgimento che raggiunge senza superarla la
temperatura limite:

9) Sempre nei limiti sopra ricordati, è possibile determinare la durata di un servizio limitato nel
tempo tsli con potenza erogata prefissata Pli (ovviamente significativamente maggiore di quella
massima per il servizio continuo), con l'avvolgimento che raggiunge senza superarla la temperatura
limite:
10) Per una esecuzione rigorosa della prova sarebbe necessario interporre tra il disco del freno
Pasqualini e l'albero del motore cui esso è coassiale una flangia di adeguato isolante termico. Infatti
l'elevato riscaldamento del disco durante la prova produce per conduzione termica un ulteriore
riscaldamento sia dell'albero che del rotore del motore ed infine, per convezione attraverso il
traferro, un ulteriore riscaldamento dell'avvolgimento statorico in prova. Tali effetti diventano
ancora più accentuati dopo il distacco del carico e l'arresto del motore poiché viene a mancare
l'effetto refrigerante dovuto alla rotazione del disco e del rotore.

Nel nostro caso non procederemo all'interposizione della flangia isolante perché questa potrebbe
rendere meno sicuro l'aggancio del disco all'albero e provocare, nel caso di un distacco improvviso
del disco durante la rotazione, gravi danni.

Per minimizzare gli effetti negativi sulla precisione della misura dovuti a quanto sopra esposto,
rileveremo la temperatura durante il raffreddamento per un tempo breve eseguendo, ad esempio,
due sole misurazioni intervallate di circa soli sei o sette minuti.

Esercizio N° 1 (f.e.m. di statore e rotore, impiego della macchina quale sfasatore,


riavvolgimento)

Un motore asincrono trifase ad anelli presenta le seguenti caratteristiche:

collegamento delle fasi di statore e rotore a stella, numero di poli 2·p=6, avvolgimenti a passo
intero, numero di cave di statore nc1=54, numero di conduttori per cava di statore ncpc1=20,
numero di cave di rotore nc2=72, numero di conduttori per cava di rotore ncpc2=8.

Sapendo che il motore viene alimentato a 380 [V], 50 [Hz], determinare:

a. il flusso per polo;


b. l’induzione media al traferro, sapendo che la lunghezza assiale utile dello statore vale
LS=120 [mm] e che il diametro al traferro vale DS=180 [mm];
c. il rapporto di trasformazione;
d. la frequenza e la f.e.m. rotorica nel caso di rotore bloccato, quindi col rotore che gira a 960
[g/min];
e. ipotizzando di impiegare la macchina quale sfasatore ad induzione, determinare l’angolo di
cui bisogna ruotare il rotore al fine di avere la terna delle f.e.m. di statore in ritardo di 60°
rispetto alla terna delle f.e.m. di rotore.
f. il numero di conduttori che bisogna disporre in ciascuna fase di statore se il motore deve
essere riavvolto per la stessa tensione e per lo stesso flusso per polo, ma per una frequenza
di 60 [Hz] invece di 50 [Hz].

Risoluzione

Risposta alla domanda a)

L’espressione della f.e.m. indotta negli avvolgimenti di statore è la seguente:


Sapendo che il motore è alimentato a 380 [V] e che le fasi sono collegate a stella, se si trascura la
caduta di tensione nello statore, si può scrivere:

I vari fattori che compaiono nell’espressione sopra scritta si possono calcolare tramite i dati
caratteristici dell’avvolgimento.

La frequenza statorica è assegnata e vale f1=50 [Hz].

Il fattore di forma, assumendo sinusoidale la distribuzione dell’onda dell’induzione al traferro, vale


Kf=1,111.

Il fattore di accorciamento di passo allo statore vale Kp1=1 essendo l’avvolgimento a passo intero.

Il fattore di Blondel allo statore vale:

dove l’angolo elettrico di cava allo statore vale:

ed il numero di cave per polo e per fase vale:

ed il numero di conduttori per fase vale:

Risolvendo l’espressione della f.e.m.i. rispetto al flusso si ottiene:

Risposta alla domanda b)

Per prima cosa si calcola il passo polare:


Quindi si calcola la sezione trasversale al flusso di ciascun polo:

Infine, noto il flusso per polo, si calcola l’induzione media al traferro:

Risposta alla domanda c)

Il rapporto di trasformazione si calcola con l’espressione:

Dove il fattore di accorciamento di passo al rotore vale Kp2=1 essendo l’avvolgimento a passo
intero ed il fattore di Blondel al rotore vale:

dove l’angolo elettrico di cava al rotore vale:

ed il numero di cave per polo e per fase al rotore vale:

ed il numero di conduttori per fase al rotore vale:

Risposta alla domanda d)

A rotore bloccato la frequenza e la f.e.m. di rotore valgono:


Quando il rotore gira a 960 [g/min], la frequenza e la f.e.m. di rotore valgono:

dove la scorrimento s vale:

Risposta alla domanda e)

Lo sfasatore ad induzione ha la struttura di un motore asincrono trifase del tipo a rotore avvolto che
viene fatto funzionare col rotore bloccato. Agli avvolgimenti di statore si applica una terna
simmetrica di tensioni, dagli avvolgimenti di rotore si preleva una terna simmetrica di tensioni che
presenta rispetto a quella di statore uno sfasamento dipendente dalla posizione nella quale il rotore è
tenuto bloccato. Le due terne sono tra di loro in fase se le fasi di ciascun polo del rotore sono
perfettamente allineate con le fasi di ciascun polo di statore (figura a), la terna delle f.e.m. di statore
anticipa sulla terna delle f.e.m. di rotore se il rotore è bloccato in una posizione per la quale il
campo rotante taglia le fasi di rotore dopo avere già tagliato quelle di statore (figura b), la terna
delle f.e.m. di statore ritarda sulla terna delle f.e.m. di rotore se il rotore è bloccato in una posizione
per la quale il campo rotante taglia le fasi di rotore prima di tagliare quelle di statore (figura c). Il
disegno seguente cerca di mostrare quanto descritto relativamente ad una sola fase (n1 è la velocità
del campo rotante, ω1 è la pulsazione delle f.e.m. indotte, β m è l’angolo meccanico tra le due fasi
omonime di statore e di rotore, βe è l’angolo elettrico di sfasamento tra le f.e.m. indotte di statore e
di rotore):
Si osserva che essendo il rotore bloccato è necessario limitare la corrente negli avvolgimenti di
rotore al fine di limitare a valori piccolissimi la coppia motrice che sollecita il rotore. Ciò si ottiene
se con le tensioni prelevate dal rotore si alimentano circuiti di elevata impedenza. In effetti lo
sfasatore ad induzione trova impiego nei banchi di taratura dei contatori d’energia e serve ad
alimentare gli avvolgimenti voltmetrici del circuito di misura che, per loro natura, sono di elevata
impedenza.

Tra l’angolo meccanico e l’angolo elettrico di sfasamento esiste la nota relazione per la quale
l’angolo elettrico è pari a quello meccanico moltiplicato per il numero di coppie polari, quindi:

Siccome la f.e.m. di statore deve essere in ritardo su quella di rotore, il rotore andrà bloccato come
disegnato in figura c.

Risposta alla domanda f)

Considerando che rimangono costanti la tensione di alimentazione, il flusso per polo e, ovviamente,
il numero di cave per fase, si potrà scrivere:

Esercizio N° 2 (separazione delle perdite meccaniche da quelle nel ferro,


rendimento, coppie)

Sulla targa di un motore asincrono trifase ad anelli a 4 poli sono indicati i seguenti valori nominali:

Pn = 40 [KW], Vn = 380 [V], fn = 50 [Hz], In = 75 [A], n2n = 1434 [g /1’]

Lo statore ha le fasi collegate a triangolo e la resistenza di una fase alla temperatura di


funzionamento vale RFD=0,225 [Ω].

In una prova a vuoto con avvolgimenti rotorici cortocircuitati, tensione nominale, frequenza
nominale, si è ottenuto:

Pon = 1430 [W], Ion = 13,6 [A] , s ≅ 0

In una prova a vuoto con avvolgimenti rotorici cortocircuitati, tensione pari a 200 [V], frequenza
nominale, si è ottenuto:

Po* = 992 [W], Io* = 8 [A] , s ≅ 0

Determinare :

a. la potenza assorbita, il fattore di potenza, il rendimento a pieno carico;


b. la coppia generata, la coppia CEI, la coppia erogata a pieno carico;
c. in un secondo tempo, in parallelo al motore si allaccia un secondo carico trifase equilibrato
di natura ohmico-induttiva ed impedenza costante, avente i seguenti dati di targa: Vcn=400
[V], Pcn=60 [KW], Icn=150 [A]. Nel caso in cui la tensione in rete rimanga pari a 380 [V],
determinare il f.d.p. complessivo ed il valore della capacità per fase di una batteria di
rifasamento tale da ricondurre il f.d.p. complessivo al valore 0,9 in ritardo;
d. tornando al motore, determinare la coppia massima sapendo che lo scorrimento per cui essa
si verifica vale 0,1.

Risoluzione

Risposta alla domanda a)

Considerando il diagramma che raffigura il flusso della potenza attraverso la macchina risulta
evidente che, nota la potenza erogata P (pari alla potenza nominale del motore), per risalire alla
potenza assorbita PA è necessario calcolare le varie perdite.

Essendo il motore funzionante a pieno carico, le perdite nel ferro di rotore PFeR e le perdite
addizionali di rotore PADR sono trascurabili in quanto in questa condizione di funzionamento le
frequenze rotoriche sono piccolissime.

Dalle due prove a vuoto si ricavano le perdite nel ferro di statore PFES e le perdite meccaniche Pm.
Per prima cosa si devono togliere dalle potenze assorbite a vuoto le perdite per effetto Joule negli
avvolgimenti di statore (infatti la corrente assorbita a vuoto da un motore è una frazione importante
di quella nominale e quindi non sono trascurabili le perdite da essa prodotte). Per fare questo serve
la resistenza equivalente a stella di una fase statorica RSY, essa è calcolabile dividendo per 3 la
resistenza di una fase visto che le fasi sono collegate a triangolo:

La potenza dissipata nel ferro di statore e per perdite meccaniche nelle due prove a vuoto vale
quindi:ù
Considerando che nelle due prove le perdite meccaniche si mantengono costanti in quanto la
velocità del motore è la stessa (oltretutto non molto maggiore della velocità a pieno carico) e che le
perdite nel ferro di statore sono proporzionali al quadrato della tensione applicata, si può impostare
il sistema:

Che risolto produce le soluzioni:

Passo ora a calcolare la potenza meccanica generata PM:

Considerando le note relazioni esistenti tra potenza meccanica generata PM, potenza trasmessa PT,
scorrimento s e perdite negli avvolgimenti di rotore PJR, ricavo la potenza trasmessa:

Le perdite per effetto Joule negli avvolgimenti di statore si possono calcolare direttamente:

Ricordando che le perdite addizionali sono pari al 5% della potenza elettrica assorbita, si può ora
calcolare la potenza assorbita con la relazione:

Il rendimento a pieno carico varrà quindi:

Mentre il fattore di potenza del motore varrà:


Risposta alla domanda b)

La coppia CEI vale per convenzione:

La coppia meccanica generata vale:

La coppia utile erogata all’albero vale:

Risposta alla domanda c)

Considerando che del carico trifase aggiunto si conoscono i dati di targa e che l’impedenza di tale
carico è costante conviene per prima cosa calcolarne l’impedenza equivalente a stella:

Quindi il fattore di potenza:

Quindi considerando che al carico sono applicati 380 [V] si calcolano la corrente assorbita e le
potenze attiva e reattiva:

Applicando il teorema di Boucherot unisco il motore ed il secondo carico in un unico carico:

Il fattore di potenza totale varrà quindi:


La capacità per fase necessaria a ricondurre il f.d.p. complessivo a 0,9r, considerando di effettuare
un rifasamento a triangolo visto che l’impianto è in bassa tensione, varrà:

Risposta alla domanda d)

La coppia massima esprimibile da parte del motore si può trovare attraverso il seguente
ragionamento.

Noi sappiamo che la coppia generata in condizioni nominali di funzionamento vale CM=271,8
[N·m] e che lo scorrimento corrispondente vale s=0,044. Inoltre sappiamo che lo scorrimento di
massima coppia vale sCMAX=0,1, quindi considerando l’espressione generale della coppia generata
possiamo scrivere:

Risolvendo rispetto KM e semplificando si ottiene:

D'altronde si può pure ricavare KM dalla nota espressione della coppia massima:

Eguagliando le due espressioni di KM si ottiene infine un’equazione dalla quale si ricava il valore
della coppia massima:

Esercizio N° 3 (separazione delle perdite meccaniche da quelle nel ferro,


rendimento, coppia, avviamento con reostato)

Si tratta del tema ministeriale per la seconda prova scritta degli esami di maturità per periti
elettrotecnici dell’anno 1986.
Su un motore asincrono trifase ad anelli, avente le seguenti caratteristiche:

• tensione nominale V1=380 [V];


• frequenza nominale f1=50 [Hz];
• numero di poli 2·p=4;
• rapporto di trasformazione m=1,35;

si sono eseguite le seguenti prove:

1. prova a vuoto, con tensione e frequenza nominali, durante la quale la macchina ha


assorbito una corrente I10=21 [A] con un fattore di potenza cosϕϕ10=0,18r;
2. prova a vuoto, con fasi rotoriche aperte, eseguita subito dopo la precedente e prima
che il motore abbia rallentato apprezzabilmente,con tensione e frequenza nominali,
durante la quale la macchina ha assorbito una corrente I10*=16 [A] con un fattore di
potenza cosϕϕ10*=0,14r.

A pieno carico il motore assorbe una corrente pari a I1=90 [A] con un fattore di potenza
ϕ1=0,88r e lo scorrimento è s=2,3%. La resistenza misurata tra due morsetti statorici alla
cosϕ
temperatura di funzionamento risulta pari a 0,12 [Ω].

Considerando le perdite addizionali pari allo 0,5% della potenza assorbita, il candidato determini:

a. la coppia resa ed il rendimento del motore a pieno carico;


b. la resistenza di ciascuna fase del rotore con collegamento a stella;
c. la coppia di spunto del motore alimentato alla sua tensione nominale e senza reostato di
avviamento, sapendo che in tali condizioni la macchina assorbe una corrente pari a 6,5 volte
quella di pieno carico con un fattore di potenza 0,28r;
d. la resistenza del reostato di avviamento affinché la coppia di spunto del motore sia paria 1,5
volte la coppia resa a pieno carico e la corrente assorbita 1,8 volte quella di pieno carico.

Per i punti c) e d) si può ritenere che le perdite nel ferro non varino in maniera apprezzabile.

In un secondo tempo, in parallelo al motore si allaccia un carico trifase equilibrato che, alla tensione
di 380 [V], assorbe la potenza PC=70 [KW] con fattore di potenza cosϕ ϕC=0,71 in ritardo. In tali
condizioni risulta necessario rifasare il carico complessivo in modo che il fattore di potenza sia pari
a 0,9r. Il candidato determini la capacità della batteria di condensatori adatta allo scopo, fissando il
tipo di collegamento dei condensatori stessi e motivando la scelta effettuata.

Si illustrino i criteri adottati nelle diverse determinazioni.

Risoluzione

Risposta alla domanda a)

Per determinare la coppia resa (erogata) ed il rendimento del motore è necessario calcolare prima la
potenza meccanica erogata. Considerando il diagramma che raffigura il flusso della potenza
attraverso la macchina risulta evidente che, nota la potenza elettrica assorbita PA (facilmente
calcolabile coi dati forniti), per risalire alla potenza meccanica erogata P è necessario calcolare le
varie perdite.
Essendo il motore funzionante a pieno carico, le perdite nel ferro di rotore PFeR e le perdite
addizionali di rotore PADR sono trascurabili in quanto in questa condizione di funzionamento le
frequenze rotoriche sono piccolissime.

Dalle due prove a vuoto si ricavano le perdite nel ferro di statore PFES e le perdite meccaniche Pm..
Per fare questo serve innanzitutto la resistenza equivalente a stella di una fase statorica R1, essa è
calcolabile dividendo per due la resistenza misurata tra due morsetti di statore Rm
indipendentemente dal tipo di collegamento (a stella o a triangolo) tra le fasi di statore:

Prendendo in considerazione la seconda prova a vuoto, quella condotta con gli avvolgimenti rotorici
aperti, si osserva che la potenza elettrica assorbita Po* dal motore è composta unicamente dalla
potenza dissipata per effetto Joule negli avvolgimenti statorici e dalle perdite nel ferro di statore
PFeS. Mancano le perdite meccaniche in quanto essendo gli avvolgimenti rotorici aperti non può
circolare la corrente rotorica (e quindi mancherà la corrente di reazione negli avvolgimenti statorici)
nonostante il piccolo rallentamento dovuto agli attriti ed alla ventilazione dia luogo allo sviluppo di
f.e.m. indotta negli avvolgimenti rotorici stessi. Da questa prova si possono quindi calcolare le
perdite nel ferro di statore:

E’ il caso di osservare che questa prova a vuoto deve essere condotta con opportuni accorgimenti,
infatti aprendo gli avvolgimenti si rotore cessa lo sviluppo della coppia motrice (in quanto si
annulla la corrente rotorica) e con ciò il motore tende rapidamente a rallentare dando luogo a
significative perdite nel ferro di rotore. Per evitare questo bisogna effettuare con sollecitudine la
misura prima che il rallentamento diventi significativo, oppure bisogna trascinare il rotore alla
velocità del campo rotante usando un secondo motore ausiliario.

Prendendo in considerazione la prima prova a vuoto, quella condotta con gli avvolgimenti rotorici
normalmente cortocircuitati, si osserva che potenza elettrica assorbita Po dal motore è composta
dalla potenza dissipata per effetto Joule negli avvolgimenti statorici, dalle perdite nel ferro di statore
PFeS e dalle perdite meccaniche Pm. Siccome le perdite nel ferro di statore già si sono calcolate, si
possono ora calcolare le perdite meccaniche:
Sempre con riferimento alle due prove a vuoto risulta corretto che nella prova con avvolgimenti
rotorici aperti la corrente assorbita sia più piccola e con più piccolo fattore di potenza, infatti manca
dalla potenza assorbita la quota che compete alle perdite meccaniche.

Le perdite per effetto Joule negli avvolgimenti di statore PJS si possono calcolare direttamente:

Ricordando che le perdite addizionali PADS sono pari al 5% della potenza elettrica assorbita PA si
ha:

La potenza trasmessa agli avvolgimenti di rotore varrà:

Le perdite nel rame di rotore le calcolo con la nota relazione che le lega alla potenza trasmessa:

La potenza meccanica erogata P varrà:

Il rendimento a pieno carico varrà quindi:

La coppia utile erogata all’albero vale:

Dove la velocità del rotore n2 è calcolata nel seguente modo:


Risposta alla domanda b)

Considerando che è già nota la potenza dissipata per effetto Joule negli avvolgimenti di rotore PJR,
per determinare la resistenza equivalente a stella degli avvolgimenti R2 è sufficiente calcolare prima
la corrente I2 che in essi circola.

Per fare questo si osserva che la corrente rotorica I2 è legata alla corrente di reazione rotorica I1’
attraverso il rapporto di reazione m che è fornito dalla traccia. Si tratta quindi di determinare
innanzitutto la corrente di reazione rotorica e questo si può fare sottraendo dalla corrente I1
assorbita a carico la corrente I10* assorbita a vuoto (vedi il circuito equivalente). Si considera come
corrente a vuoto quella assorbita nella prova con avvolgimenti rotorici aperti poiché, mancando in
questa prova dalla potenza assorbita le perdite meccaniche, tale valore è più prossimo a quello
definito per il circuito equivalente (infatti nel circuito equivalente le perdite meccaniche sono
riassunte nella resistenza fittizia RM che tiene conto di tutta la potenza elettrica che si trasforma in
meccanica). Comunque anche la corrente a vuoto così considerata non corrisponde esattamente a
quella che si trova nel circuito equivalente poiché è comprensiva di una componente attiva
conseguente alle perdite prodotte per effetto Joule negli avvolgimenti di statore.

Visto che siamo in regime sinusoidale e che le correnti I1 e I10* non sono tra di loro in fase
bisognerà operare coi numeri complessi facendo riferimento al seguente diagramma vettoriale:
La resistenza di ciascuna fase rotorica a stella varrà perciò:

Risposta alla domanda c)

Considerando che all’avviamento tutta la potenza trasmessa agli avvolgimenti rotorici PTAV è in essi
dissipata e concorre allo sviluppo della coppia di spunto CAV, per determinare tale coppia basterà
calcolare la PTAV. Per fare questo si dovranno detrarre dalla potenza assorbita all’avviamento PAAV
le varie perdite. Visto che le frequenze rotoriche all’avviamento sono uguali a quelle statoriche, non
sarà più lecito trascurare le perdite nel ferro di rotore e le perdite addizionali di rotore.

La potenza assorbita all’avviamento vale:

dove:

Le perdite per effetto Joule nello statore all’avviamento valgono:

Le perdite addizionali nello statore all’avviamento possono essere calcolate con l’espressione
convenzionale:

Le perdite nel ferro di statore rimangono invariate in quanto esse dipendono dalla tensione e dalla
frequenza di alimentazione e l’avviamento è effettuato a tensione e frequenza nominali:

Le perdite addizionali di rotore all’avviamento non sono determinabili con precisione e quindi le
supponiamo uguali a quelle di statore:
Le perdite nel ferro di rotore all’avviamento, considerando che la massa del ferro di rotore non è
molto diversa da quella di statore, le supponiamo uguale a quelle di statore:

La potenza trasmessa agli avvolgimenti rotorici all’avviamento varrà quindi:

La coppia di avviamento, considerando che la potenza è trasmessa alla velocità propria del campo
rotante, varrà infine:

Si osserva che il motore non si può avviare sotto carico perché la coppia di spunto è inferiore alla
coppia nominale.

Risposta alla domanda d)

L’inserzione del reostato di avviamento permette di ridurre la corrente di spunto, di aumentarne il


fattore di potenza e di aumentare la coppia. Le nuove condizioni di avviamento devono determinare
una corrente assorbita I1AV" ed una coppia pari CAV" a:

Per calcolare il valore del reostato di avviamento RRA si considera che l’intera potenza trasmessa
all’avviamento PTAV" viene dissipata per effetto Joule negli avvolgimenti rotorici di resistenza R2 e
nel reostato RRA collegato in serie ad essi.

La potenza trasmessa si calcola facilmente considerando che è nota la coppia di spunto desiderata:

Per calcolare la resistenza complessiva R2T" degli avvolgimenti rotorici e del reostato di
avviamento si dovrà prima calcolare la corrente rotorica all’avviamento I2AV". Allo scopo si
procederà in modo del tutto analogo a quanto già visto per il calcolo della corrente rotorica in
condizioni normali di funzionamento. Vi è però prima il problema di calcolare il fattore di potenza
ϕAV" all’avviamento col reostato e questo si può fare attraverso il rapporto tra la potenza attiva
cosϕ
PAAV" e la potenza apparente SAAV" assorbite all’avviamento. Con ovvio significato delle
espressioni si ha:
La corrente nel circuito rotorico all’avviamento con reostato varrà:

La resistenza del reostato di avviamento sarà quindi:

Risposta alla domanda e)

Applicando il teorema di Boucherot unisco il motore ed il secondo carico in un unico carico:

Il fattore di potenza totale varrà quindi:

La capacità per fase necessaria a ricondurre il fattore di potenza complessivo a 0,9r, considerando
di effettuare un rifasamento a triangolo visto che l’impianto è in bassa tensione, varrà:
Esercizio N° 4 (rilievo indiretto delle caratteristiche di funzionamento)

Un motore asincrono trifase di costruzione ASGEN col rotore a gabbia presenta i seguenti dati di
targa:

Pn=9,2 [KW], Vn=380 [V], fn=50 [Hz], 2p=2, In=19,5 [A], cosϕ ϕn=0,86, n2n=2935 [g /1’],
servizio continuo, classe d’isolamento E, collegamento tra le fasi statoriche a stella.

Su tale motore si sono eseguite le seguenti prove:

1) misura in corrente continua della resistenza degli avvolgimenti statorici collegati in serie tra di
loro. Tale misura è stata effettuata sulla macchina a riposo alla temperatura ambientale t=21 [°C] e
la resistenza misurata è risultata pari a Rm=0,91 [Ω];

2) due prove a vuoto, entrambe condotte alla frequenza nominale fn=50 [Hz], con scorrimento
praticamente nullo e con la macchina fredda alla temperatura ambientale t=21 [°C].

La tabella riassuntiva dei valori misurati nelle due prove a vuoto è la seguente:

Prova a vuoto
f = 50 [Hz], s ≅ 0, t = 21 [°C]
Voltmetro Amperometro Wattmetro 1 Wattmetro 2
N° V [V] Io [A] W1 [W] RWV1 [Ω] W2 RWV2 [Ω]
[W]
1 380 6,4 1785 15000 -990 15000
2 258 3,11 675 15000 -165 15000

3) una prova a rotore bloccato, condotta alla frequenza nominale fn=50 [Hz], con scorrimento
unitario e con la macchina fredda alla temperatura ambientale t=21 [°C].

La tabella riassuntiva dei valori misurati nella prova a rotore bloccato è la seguente:

Prova a rotore bloccato


f = 50 [Hz], s = 1, t = 21 [°C]
Voltmetro Amperometro Wattmetro 1 Wattmetro 2
N° Vcct [V] I [A] W1 [W] RWV1 [Ω] W2 RWV2 [Ω]
[W]
1 74,43 19,5 1190 5000 -200 5000
Per tutte le prove si è utilizzato lo schema Aron con le voltmetriche a valle e la strumentazione
impiegata è stata tutta di classe 0,5 o migliore. Si è considerato trascurabile l’autoconsumo del
voltmetro poiché si trattava di uno strumento digitale che presenta una impedenza d’ingresso
elevatissima (10 [MΩ]).

Determinare :

a. La resistenza ohmica equivalente a stella di una fase di statore;


b. le perdite meccaniche e quelle nel ferro, la corrente a vuoto col relativo f.d.p., i parametri
trasversali del circuito equivalente semplificato;
c. le perdite negli avvolgimenti, la corrente di avviamento col relativo f.d.p., i parametri
longitudinali del circuito equivalente semplificato;
d. le caratteristiche di funzionamento attraverso il diagramma circolare del motore.

Risoluzione

Risposta alla domanda a)

Considerando che il valore di resistenza misurato è quello delle tre fasi collegate in serie e che le tre
fasi hanno resistenza uguale, la resistenza di una fase alla temperatura di prova sarà:

La stessa resistenza riportata alla temperatura convenzionale di riferimento (pari a 75 [°C] in quanto
la macchina è isolata in classe E) varrà:

Risposta alla domanda b)

Dalle indicazioni degli strumenti di misura rilevo le perdite costanti (perdite nel ferro e perdite
meccaniche) nelle due prove a vuoto. Oltre all’autoconsumo dei wattmetri è necessario detrarre
pure la potenza dissipata per effetto Joule negli avvolgimenti statorici in quanto la corrente assorbita
a vuoto dal motore è una frazione significativa di quella nominale:
Considerando che le perdite meccaniche nelle due prove erano le stesse in quanto per entrambe le
prove lo scorrimento era praticamente nullo e considerando che le perdite nel ferro dipendono dal
quadrato della tensione è possibile impostare il sistema:

Le perdite nel ferro con tensione nominale valgono:

La corrente assorbita a vuoto nella prova a tensione nominale è stata indicata direttamente
dall’amperometro e vale:

Il fattore di potenza a vuoto del motore vale:

I valori percentuali delle perdite costanti e della corrente a vuoto valgono:

I parametri fittizi trasversali del circuito equivalente semplificato riportati allo statore valgono:

Risposta alla domanda c)

La tensione di cortocircuito alla temperatura di prova è stata misurata direttamente dal voltmetro:
Le perdite negli avvolgimenti durante la prova a rotore bloccato condotta con corrente assorbita
nominale si calcolano tenendo conto dell’autoconsumo del circuito di misura e delle perdite nel
ferro di statore e di rotore (all’avviamento infatti le frequenze rotoriche sono pari a quelle statoriche
e con ciò si hanno nel ferro del rotore perdite paragonabili a quelle nel ferro dello statore):

La resistenza longitudinale del circuito equivalente semplificato riportata allo statore e riferita alla
temperatura di prova vale:

L’impedenza longitudinale del circuito equivalente semplificato riportata allo statore e riferita alla
temperatura di prova vale:

La reattanza longitudinale del circuito equivalente semplificato riportata allo statore, indipendente
dalla temperatura, varrà quindi:

La resistenza longitudinale del circuito equivalente semplificato riportata allo statore e riferita alla
temperatura convenzionale vale:

L’impedenza longitudinale del circuito equivalente semplificato riportata allo statore e riferita alla
temperatura convenzionale vale:

I valori assoluti e percentuali della tensione di cortocircuito e delle perdite di cortocircuito varranno:
La corrente di avviamento a piena tensione ed il relativo fattore di potenza varranno:

Possiamo ora disegnare il circuito equivalente semplificato del motore dando ai vari parametri il
loro valore:

Possiamo, dopo le tre prove fatte sul motore, calcolare la coppia di avviamento a tensione e
frequenza nominali. Per la giustificazione dei calcoli sotto effettuati si faccia riferimento alla teoria
delle prove esposta su questi stessi appunti.

Possiamo, dopo le tre prove fatte, calcolare il rendimento convenzionale a pieno carico. Per la
giustificazione dei calcoli sotto effettuati si faccia ancora riferimento alla teoria delle prove esposta
su questi stessi appunti.

Risposta alla domanda d)

Per tracciare il diagramma circolare sono necessari alcuni calcoli preliminari. Innanzitutto si devono
fissare le scale per le correnti, le potenze e le coppie. La scala delle correnti è determinata dalle
dimensioni del foglio da disegno che si ha a disposizione. Nel nostro caso, avendo impiegato per
l’esecuzione un programma CAD, si è posto una unità dello spazio foglio pari ad un ampere. Per
quanto riguarda la scala delle potenze e delle coppie, queste si sono calcolate conseguentemente alla
scala prefissata per le correnti.

Si sono poi calcolate le perdite all’avviamento negli avvolgimenti statorici, necessarie per
individuare il punto Ec e tracciare quindi la retta delle coppie:

Infine si è disegnato il diagramma circolare secondo le modalità di costruzione indicate negli


appunti. Il risultato è stato il seguente:

Oltre alla costruzione, sul diagramma circolare è indicata pure la posizione del punto di
funzionamento nominale Pn.

Dalla lettura del diagramma circolare sono emerse le seguenti caratteristiche del motore:

1. all’avviamento diretto il motore assorbe la corrente di 96,2 [A] con un fattore di potenza
0,443 in ritardo e sviluppa la coppia di 54,5 [N·m] (molto prossimo al valore calcolato più
sopra);
2. in condizioni nominali il motore assorbe la corrente di 19,5 [A] con un fattore di potenza
0,888 in ritardo. Il suo rendimento è 0,856 e la potenza erogata è 9750 [W]. Lo scorrimento
è 0,055 (cui corrisponde la velocità di 2835 [g/1’]) e la coppia è 32,9 [N·m]. Inoltre il punto
di funzionamento nominale si situa correttamente tra quello di massimo fattore di potenza e
quello di massimo rendimento a testimonianza di un corretto dimensionamento della
macchina;
3. la massima coppia è erogata dal motore in corrispondenza dello scorrimento 0,032 e vale
87,7 [Nm];

I risultati emersi dal collaudo del motore sono pienamente soddisfacenti, infatti sono ampiamente
confermati sia i dati di targa della macchina che le previsioni di comportamento riportate sulle
tabelle fornite dai costruttori di motori.

In conclusione vediamo le ulteriori seguenti caratteristiche di funzionamento ricavate dalla ripetuta


lettura del diagramma circolare:
Macchine sincrone
Indice dei contenuti:

1. Generalità
2. Principio di funzionamento ed aspetti costruttivi degli alternatori
3. Funzionamento a vuoto dell'alternatore
4. Funzionamento sotto carico, reazione d'indotto
5. Diagrammi vettoriali di funzionamento, modello di Behn-Eschemburg
6. Equazione e diagramma vettoriale di Behn-Eschemburg
7. Espressione della coppia resistente
8. Determinazione sperimentale dell'impedenza sincrona
9. Caratteristiche esterne, retta di carico
10. Curve di regolazione
11. Potenze generate negli alternatori, coppia resistente
12. Regolazione del carico, curve a V
13. Perdite e rendimento
14. Parallelo degli alternatori, le manovre di parallelo
15. Stabilità del parallelo
16. Ripartizione del carico, corrente di compensazione
17. Cenni sulla reazione d'indotto con carichi squilibrati
18. Oscillazioni pendolari
19. Sistemi di eccitazione
20. Motori sincroni
21. Misure sulle macchine sincrone, generalità
o dati di targa per le macchine sincrone
o Prove speciali
o misura della resistenza ohmica di una fase d'indotto
o prova a vuoto
o prova di cortocircuito
o determinazione dell'impedenza sincrona, caratteristiche esterne, curve di
regolazione, curve a V
o rilievo diretto delle caratteristiche
o misura del rendimento

Generalità sulle macchine sincrone

La macchina sincrona è una macchina rotante reversibile, noi la vedremo inizialmente sotto
l'aspetto del generatore (alternatore) e successivamente del motore. I fenomeni che avvengono
internamente alla macchina durante il suo funzionamento, e quindi il suo modello, sono fortemente
condizionati dagli aspetti costruttivi e dal livello di saturazione del ferro del nucleo. La trattazione
che noi faremo è valida solo se:

a) Il campo magnetico induttore ha distribuzione nel traferro sinusoidale, così che siano sinusoidali
nel tempo le f.e.m. nei conduttori attivi dell'indotto.

b) Il ferro del nucleo lavora nella zona lineare della caratteristica di magnetizzazione, così che
l'intero sistema si possa considerare lineare e sia possibile applicare il principio di sovrapposizione
degli effetti.

c) Il flusso prodotto dalle correnti nell'indotto è in fase con le correnti stesse. Questo è vero se si
trascurano le perdite nel ferro (che fanno sì che il flusso sia in ritardo sulla corrente).
d) La macchina è isotropa, ovvero le linee di induzione del campo magnetico induttore vedono la
stessa riluttanza vista dalle linee di induzione del campo di indotto, qualsiasi sia la natura del carico
sul quale l'alternatore eroga corrente. Questa condizione è bene approssimata solo se l'alternatore ha
il rotore a poli lisci. Ne caso di rotore a poli salienti la macchina è inevitabilmente anisotropa.

e) Il carico alimentato dalla macchina è equilibrato.

Sotto le condizioni sopra esposte la macchina è bene descritta attraverso il modello di Behn-
Eschemburg. Pur potendo essere l'alternatore monofase, noi prenderemo in considerazione solo
quello trifase essendo questo quello impiegato nelle centrali di produzione dell'energia elettrica.

Principio di funzionamento ed aspetti costruttivi degli alternatori

L'alternatore si compone essenzialmente di due parti:

a) Il sistema induttore, costituito da una successione di poli magnetici di segno alterno, solidale col
rotore della macchina. Tali poli si ottengono mediante elettromagneti eccitati in corrente continua
ed aventi la parte estrema dell'espansione polare opportunamente sagomata al fine di determinare
nel traferro una distribuzione sinusoidale dell'induzione.

Si possono avere rotori a poli salienti (nella figura di sinistra è mostrato un quattro poli) oppure
rotori a poli lisci (nella figura di destra è mostrato un due poli), i primi rendono la macchina
anisotropa, i secondi isotropa. Il rotore a poli lisci ha un ingombro radiale più contenuto così che la
sollecitazione centrifuga cui sono sottoposti i poli con i relativi avvolgimenti durante la rotazione
del rotore è più contenuta, per questo motivo il rotore a poli lisci viene adottato per gli alternatori
accoppiati alle turbine a vapore od a gas, caratterizzati da elevate velocità di rotazione (1500 o 3000
[g / 1']). Essendo l'eccitazione in corrente continua, il flusso nel nucleo del polo è costante e, quindi,
il circuito magnetico del rotore può essere realizzato in ferro massiccio. Solo la parte più estrema
dell'espansione polare (chiamata scarpa polare) nei poli salienti deve essere fatta coi lamierini
ferromagnetici perché il fenomeno del pennellamento delle linee di induzione del campo magnetico
nei confronti dell'alternarsi di cave e denti di statore (particolarmente accentuato nel caso di statori a
cave aperte o semichiuse) fa sì che si abbiano perdite nel ferro della scarpa polare.

Le estremità dell'avvolgimento induttore ( + e - ) vengono rese accessibili all'esterno mediante due


anelli di materiale conduttore calettati sull'albero sui quali appoggiano due spazzole che permettono
di applicare all'avvolgimento induttore la tensione continua necessaria a far circolare la corrente di
eccitazione Ie [A].

b) Il sistema d'indotto, costituito da un avvolgimento trifase aperto per correnti alternate, calato
nelle apposite cave dello statore (parte statica della macchina, del tutto uguale a quella che si ha
nelle macchine asincrone). Il circuito magnetico dello statore, essendo interessato da flussi variabili
nel tempo, è realizzato mediante lamierini ferromagnetici. Il numero di poli dell'avvolgimento
d'indotto deve, ovviamente, essere uguale al numero di poli dell'induttore e, nelle cave di statore
sottostanti all'influsso di un polo induttore, devono stare tutte e tre le fasi. Nel caso di alternatore
monofase, l'avvolgimento statorico è del tipo monofase.
Il funzionamento della macchina avviene portando in rotazione a velocità costante n [g/1'] il rotore
(allo scopo, il rotore è accoppiato tramite l'albero ed un giunto alla girante di una turbina) ed
eccitando con una corrente continua Ie [A] l'avvolgimento induttore. Accade così che i conduttori
attivi, calati nelle cave di statore, vengono tagliati dal campo induttore che ha distribuzione
sinusoidale nello spazio e, per la legge dell'induzione elettromagnetica, diventano sede di f.e.m.
indotte sinusoidali nel tempo. Le f.e.m. indotte nei singoli conduttori attivi sono raccolte in serie per
comporre la f.e.m. di ciascuna fase e, se gli avvolgimenti delle tre fasi sono adeguatamente scostati
tra di loro, le tre fasi costituiranno infine una terna trifase simmetrica di f.e.m.. E' facile rendersi
conto che, se p è il numero di coppie polari ed n [g/1'] è la velocità di rotazione del rotore, la
frequenza delle f.e.m. indotte nello statore sarà pari a:

Nel caso in cui i morsetti d'uscita degli avvolgimenti statorici siano collegati ad un carico trifase
equilibrato, si avrà l'erogazione di corrente verso il carico e scaturirà nella macchina una serie di
fenomeni riassunti col termine reazione d'indotto. Tra l'altro, se la corrente erogata ha una
componente in fase con la tensione stellata d'uscita, si ha l'erogazione di potenza elettrica attiva cui
corrisponderà una potenza meccanica assorbita dall'alternatore (fornita dalla turbina che lo trascina)
e, quindi, nel tempo la trasformazione (tipica dei generatori) di lavoro meccanico in energia
elettrica.

Le macchine sincrone sono così chiamate perché la velocità di funzionamento è rigidamente legata
alla frequenza della tensione generata (alternatori) o applicata (motori) ai morsetti degli
avvolgimenti statorici.

Osservazione: le fasi di statore, pur potendo essere anche collegate a triangolo, sono sempre
connesse a stella. Questo perché, a parità di f.e.m. indotta in ciascuna fase e di corrente di fase, la
potenza apparente erogata è la stessa nei due collegamenti, col vantaggio nel collegamento a stella
di un più semplice isolamento verso massa (la tensione stellata è volte più piccola di quella
concatenata) e dell'eliminazione delle componenti di 3° armonica dalle tensioni di linea (essendo
tali tensioni date dalla differenza di due forze elettromotrici le cui eventuali componenti di terza
armonica sono in fase tra di loro).

Osservazione: una macchina elettrica che pure compie la trasformazione di lavoro meccanico in
energia elettrica è la dinamo (generatore di corrente continua). Tuttavia si è consolidato l'uso
dell'alternatore in quanto, nel caso della dinamo, l'intera potenza generata è costretta a fluire
attraverso un sistema assai critico (il collettore a lamelle), mentre nel caso dell'alternatore soltanto
la potenza di eccitazione (non più dell' 1,5% della potenza erogata) è costretta a fluire attraverso il
sistema costituito dalle spazzole e dagli anelli (sistema, comunque, assai meno critico del collettore
a lamelle).

Funzionamento a vuoto dell'alternatore

L'alternatore funziona a vuoto quando, essendo regolarmente eccitato in corrente continua, è


trascinato in rotazione alla sua velocità nominale ed ha il circuito statorico aperto, così che negli
avvolgimenti d'indotto non si abbiano correnti.

In tali condizioni, l'unico campo presente nella macchina è quello induttore Φ0 che, in perfetta
analogia con quanto visto per il motore asincrono, produce in ciascuna fase dell'indotto la f.e.m.
sinusoidale:

Φ0·f·N [V]
E0 = KA·Φ

dove [Hz] e Φ0 [Wb] è il flusso per polo.

Se il collegamento tra le fasi è a stella, la tensione d'uscita a vuoto vale [V], se è a


triangolo si ha [V].

Il motore primo trasmette una potenza Po = Pm + PFe0 + Pec [W] dove Pm sono le perdite
meccaniche (per attrito e ventilazione), PFe0 sono le perdite nel ferro a vuoto (nel nucleo dello
statore e nelle scarpe polari del rotore nel caso di cave statoriche aperte o semiaperte), Pec sono le
perdite per l'eccitazione (da considerarsi solo se l'eccitazione è del tipo coassiale).

Naturalmente, essendo Po fornita dal motore primo funzionante con velocità angolare
[rad/s], la coppia resistente sviluppata dall'alternatore a vuoto sarà:
Nel funzionamento a vuoto risulta essere particolarmente significativa la caratteristica di
magnetizzazione Eo = f(Ie) , ricavata facendo variare la corrente di eccitazione e mantenendo
costante (e pari al valore nominale) la velocità di rotazione.

L'andamento di tale caratteristica è quello tipico dei materiali ferromagnetici, la corrente di


eccitazione è proporzionale al campo magnetico, la f.e.m. è proporzionale al flusso e quindi
all'induzione.

Si osserva che, a causa del magnetismo residuo, tipico nelle macchine eccitate in corrente continua,
si ha una f.e.m. Eor anche con corrente di eccitazione nulla.

Negli alternatori ben dimensionati, la corrente nominale di eccitazione Ien ha un valore tale per cui
il punto di lavoro si situa immediatamente dopo il ginocchio (in contraddizione con l'ipotesi
semplificativa (b)), questo per evitare che piccole accidentali variazioni della eccitazione producano
sensibili variazioni della f.e.m. Eon e quindi della tensione d'uscita dell'alternatore.

Funzionamento sotto carico, reazione d'indotto


L'alternatore funziona a carico quando eroga corrente su un circuito esterno. Il carico viene indicato
considerandone la potenza apparente anziché la potenza reale, in quanto vi può essere erogazione di
corrente anche in assenza di potenza attiva (caso di corrente in quadratura con la f.e.m. e quindi di
erogazione di sola potenza reattiva).

Se il carico è equilibrato, considerando che le f.e.m. statoriche sono una terna simmetrica
sinusoidale, si avrà negli avvolgimenti d'indotto una terna simmetrica di correnti sinusoidali alla
frequenza f [Hz] determinata dal numero di poli e dalla velocità del rotore. Quindi, essendo gli
avvolgimenti statorici trifasi e simmetrici, si originerà un campo magnetico rotante d'indotto avente
la stessa velocità n del rotore; tale campo si sovrapporrà a quello principale induttore e, dalla loro
interazione, scaturirà la reazione d'indotto.

La prima osservazione da fare è che la velocità del campo rotante d'indotto è la stessa del campo
induttore, ovvero n , quindi la posizione relativa tra i due campi è costante. Inoltre gli effetti
derivanti dipendono dall'intensità della corrente erogata dall'alternatore (perché il campo d'indotto
sarà tanto più intenso quanto più è intensa la corrente che lo produce) e dallo sfasamento della
corrente rispetto alla f.e.m. (perché tale sfasamento determina la posizione relativa che intercorre tra
il campo di indotto e i poli induttori).

La figura sopra riportata, riferita al caso di un alternatore con collegamento a stella degli
avvolgimenti d'indotto, avente due poli (disegnati come se fossero salienti) e dodici cave statoriche,
aiuta a capire quello che succede nei tre casi limite corrispondenti a:

figura (a) : corrente in fase con la f.e.m.

Essendo la corrente in fase con la f.e.m. si potranno indicare entrambe le grandezze con lo stesso
verso.

Il campo d'indotto ha linee di forza che non interagiscono coi poli induttori e che originano il campo
d'indotto disperso HID (così chiamato perché le sue linee sono concatenate col solo avvolgimento
d'indotto). Tale campo produce effetti d'autoinduzione nell'indotto e, quindi, una c.d.t. induttiva e
l'impegno di potenza reattiva induttiva.

Il campo d'indotto ha poi linee di forza che interagiscono coi poli induttori e che, all'interno di tali
poli, hanno direzione trasversale rispetto alle linee del campo induttore e che originano il campo
d'indotto trasverso HIT. Tale campo genera una corona di poli d'indotto posizionati in avanti di
mezzo passo polare rispetto ai poli induttori e che, quindi, tendono a spingere all'indietro la ruota
polare induttrice dando così luogo ad una coppia opposta al moto che costituisce la coppia resistente
dell'alternatore. Per tale motivo, dovendo mantenere costante la velocità di rotazione n del rotore,
sarà necessario che la turbina che lo trascina sviluppi un'adeguata coppia motrice e, quindi, eroghi
potenza meccanica. D'altronde, se la corrente è in fase con la f.e.m. si ha che l'alternatore genera ed
invia al circuito esterno una potenza elettrica e, per il principio di conservazione dell'energia, tale
potenza altri non può essere che quella fornita dalla turbina.

Oltre all'effetto meccanico appena descritto, la reazione d'indotto produce un secondo effetto
puramente magnetico. Infatti la direzione trasversale del campo HIT rispetto al campo induttore
origina un effetto distorcente sul campo complessivo tale per cui il campo induttore viene rafforzato
nella parte di coda della scarpa polare ed indebolito nella parte anteriore della stessa. A causa della
saturazione del ferro, tuttavia, l'indebolimento risulta sempre maggiore del rafforzamento così che
si ha una leggera diminuzione del flusso per polo e, quindi, della f.e.m. generata.
figura (b) : corrente in quadratura in ritardo rispetto alla f.e.m.

Essendo la f.e.m. in anticipo sulla corrente, se manteniamo per la corrente nell'indotto lo stesso
verso del caso precedente, dovremo disegnare i poli induttori in una posizione in anticipo di mezzo
passo polare (infatti al passaggio sotto un conduttore d'indotto di una coppia polare, pari a due passi
polari, si ha lo sviluppo di un'intera sinusoide di f.e.m. corrispondente a 360° elettrici, al passaggio
di un polo, pari ad un passo polare, si ha lo sviluppo di una mezza sinusoide di f.e.m.
corrispondente a 180° elettrici, al passaggio di mezzo polo, pari a mezzo passo polare, si ha lo
sviluppo di un quarto di sinusoide di f.e.m. corrispondente a 90° elettrici).

Ancora una volta si ha il campo HID con lo stesso significato e gli stessi effetti visti
precedentemente.

Si hanno poi delle linee di forza del campo d'indotto che interagiscono coi poli e che hanno stessa
direzione ma verso opposto rispetto al campo induttore, tali linee originano il campo longitudinale
opposto HIO. I poli d'indotto risultano esattamente contrapposti ai poli induttori e di eguale nome. I
poli d'indotto e i poli induttori si respingono, ma queste forze hanno esattamente direzione radiale e
perciò il loro effetto è nullo, così come deve essere considerando che l'alternatore non genera alcuna
potenza attiva elettrica e, quindi, nulla deve essere la potenza meccanica assorbita e cioè nulla la
coppia resistente. Per mantenere l'alternatore in rotazione a velocità costante, la turbina deve
erogare la sola potenza meccanica corrispondente alle perdite del sistema. Per quanto riguarda
l'effetto magnetico della reazione d'indotto, trovandosi i poli d'indotto esattamente contrapposti ai
poli induttori di eguale nome, l'effetto sarà vistosamente smagnetizzante con una conseguente
vistosa diminuzione della f.e.m..

figura (c) : corrente in quadratura in anticipo rispetto alla f.e.m.

Risulta facile giustificare la posizione dei poli induttori nella figura. Ancora una volta si ha il solito
campo d'indotto di dispersione HID.

Si hanno poi delle linee di forza del campo d'indotto che interagiscono coi poli e che hanno stessa
direzione e stesso verso del campo induttore, tali linee originano il campo longitudinale concorde
HIC. Nullo è l'effetto meccanico. Per quanto riguarda l'effetto magnetico della reazione d'indotto,
trovandosi i poli d'indotto esattamente contrapposti ai poli induttori di nome opposto, l'effetto sarà
vistosamente sovramagnetizzante con un conseguente vistoso aumento della f.e.m..

Con correnti aventi sfasamenti intermedi, anche i poli dovuti al campo d'indotto assumono posizioni
intermedie. Se si prende come riferimento la posizione dei poli d'indotto relativa a correnti in fase
con le f.e.m., accade che:

a) se la corrente ritarda di ϕ0 rispetto alla f.e.m., anche i poli d'indotto retrocedono di un angolo
elettrico ϕ0 (cui corrisponde un angolo meccanico ϕ0 / p );

b) se la corrente anticipa di ϕ0 rispetto alla f.e.m., anche i poli d'indotto anticipano di un angolo
elettrico ϕ0 (cui corrisponde un angolo meccanico ϕ0 / p ).

Conseguentemente alla posizione reciproca dei poli d'indotto e dei poli induttori, si avrà quale
azione meccanica più o meno coppia frenante, quale azione elettromagnetica sarà possibile sia una
smagnetizzazione che una sovramagnetizzazione.

Diagrammi vettoriali di funzionamento, modello di Behn - Eschemburg


Gli effetti magnetici della reazione d'indotto provocata dalla corrente che fluisce negli avvolgimenti
di statore possono essere assimilati a quelli di una vera e propria forza magnetomotrice FI [As]
proporzionale alla corrente d'indotto che si somma (nel caso di corrente in quadratura in anticipo
sulla f.e.m., effetto sovramagnetizzante) o si sottrae (nel caso di corrente in quadratura in ritardo
sulla f.e.m., effetto smagnetizzante) alla forza magnetomotrice a vuoto F0 [As] dovuta al solo
sistema induttore. Invece, nel caso di corrente nell'indotto in fase con la f.e.m., la FI agisce in
direzione trasversale rispetto alla forza magnetomotrice a vuoto F0.

La f.m.m. di reazione FI è proporzionale alla corrente d'indotto (secondo un coefficiente detto di


Poitier che dipende dalla struttura magnetica della macchina e dal tipo di avvolgimento) e,
nell'ipotesi di mezzo lineare (ovvero di nucleo lontano dalla saturazione), i flussi ΦI e Φ0 [Wb]
prodotti dalle f.m.m. FI e F0 sono proporzionali alle f.m.m. stesse. In definitiva si può affermare
che ΦI e Φ0 sono proporzionali rispettivamente alle correnti I d'indotto ed Ie [A] di eccitazione.

Osservazione: i flussi dei quali abbiamo finora parlato sono da intendersi flussi per polo e, quindi,
costanti nel tempo. I flussi che si concatenano con ciascuna fase dell'indotto sono invece flussi
variabili sinusoidalmente nel tempo (purché sia costante la velocità di rotazione dell'induttore e
l'induzione abbia una distribuzione sinusoidale nel traferro) e, quindi, si possono rappresentare sul
piano di Gauss come tutte le altre grandezze sinusoidali nel tempo. Nel seguito, per non appesantire
il simbolismo, non faremo distinzione tra i due tipi di flusso anche se la differenza è da tenere
presente.

Il flusso sinusoidale complessivo che si concatena con ciascuna fase d'indotto risulterà quindi
dalla somma vettoriale .

La f.e.m. generata a carico negli avvolgimenti d'indotto della macchina risulta dalla relazione E =
KA·ΦΦ ·f·N [V], ove Φ è ovviamente il flusso per polo a carico, mentre la f.e.m. generata dalla
reazione d'indotto vale EI = KA·ΦΦΙ·f·N [V], ove ΦΙ è il flusso di reazione d'indotto. In termini
vettoriali si può anche affermare che la f.e.m. a carico risulta dalla composizione vettoriale delle
f.e.m. prodotte separatamente dal flusso a vuoto e dal flusso di reazione secondo la relazione
con le f.e.m. in ritardo di 90° sui rispettivi flussi ed i flussi in fase con le rispettive
correnti (purché si trascurino le perdite nel ferro).

La figura sottostante mostra i diagrammi vettoriali relativi ai flussi concatenati, alle f.e.m. ed alle
correnti nei tre casi di corrente d'indotto in fase, in quadratura in ritardo, in quadratura in anticipo
rispetto alla f.e.m. a vuoto:
Si nota come, nel caso Ohmico la f.e.m. a carico E risulta essere in ritardo di un certo angolo
rispetto alla f.e.m. a vuoto E0. Inoltre, sempre nel caso Ohmico, le varie condizioni semplificative
fatte portano ad una contraddizione tra quanto mostra il diagramma e quanto accade nella macchina:
sul diagramma sembrerebbe E leggermente maggiore di E0 , mentre in realtà è vero l'opposto.

Si osserva come la f.e.m. di reazione d'indotto EI risulta d'ampiezza proporzionale alla corrente
d'indotto I ed in ritardo di 90° sulla stessa. La EI ha dunque con la I una relazione d'ampiezza e fase
del tipo con [Ω].

Tenendo conto del fatto che , la XI può essere intesa


come una reattanza induttiva e prende il nome di reattanza fittizia di reazione d'indotto. Tale
reattanza fittizia deve essere immaginata in serie al generatore ideale di f.e.m. sinusoidale E0.

Rimane poi da tenere conto della resistenza Ohmica di ciascuna fase d'indotto R0 [Ω] e dei
fenomeni d'autoinduzione causati dal flusso costituito dalla parte di campo magnetico generato
dalla corrente d'indotto e disperso, quindi andrà considerata la reattanza di dispersione d'indotto XD
[Ω].

In definitiva, il comportamento dell'alternatore potrà essere descritto attraverso il modello riassunto


dal seguente circuito equivalente di Behn-Eschemburg (riferito ad una sola fase ed immaginando a
stella il collegamento dell'indotto):
Lo schema impiegato è quello di destra nel quale la reattanza fittizia di reazione d'indotto e la
reattanza di dispersione sono riassunte in un'unica reattanza XS = XI + XD che prende il nome di
reattanza sincrona (questo perché, limitando lo studio al modello di B.E., risulta possibile
determinare sperimentalmente XS ma non XI e XD). Si da poi il nome di impedenza sincrona a

[Ω].

Equazione e diagramma vettoriale di Behn-Eschemburg

Dal circuito equivalente, applicando la legge di Ohm, derivano l'equazione ed il diagramma


vettoriale:

Assumono particolare significato l'angolo di sfasamento d'uscita ϕ che nel caso di figura
presuppone un carico Ohmico-induttivo, l'angolo di sfasamento interno ϕ0 , l'angolo di carico δ che
vede la f.e.m. a vuoto in anticipo sulla tensione d'uscita, l'angolo caratteristico (angolo di
cortocircuito) θ del triangolo fondamentale dell'alternatore.

Osservazione: come vedremo poco più avanti, il modello appena trovato per l'alternatore, oltre ad
essere condizionato dai vincoli semplificativi esposti fin dall'inizio, risulta ulteriormente limitato
nella sua utilizzabilità dal fatto che il parametro XS non è costante ma varia, a causa della variazione
di XI, al variare della corrente di eccitazione, della corrente erogata e dello sfasamento d'uscita. In
ogni caso, da verifiche effettuate, si è osservato che i risultati ottenibili assumendo per XS un valore
costante pari a quello ricavato in corrispondenza della corrente d'eccitazione nominale sono
sufficientemente prossimi ai reali.

Il modello di B.E. permette di rispondere rapidamente ai seguenti due quesiti:

a) determinare quale corrente di eccitazione è necessaria affinché l'alternatore eroghi una corrente I
[A], con una tensione VY [V] ed uno sfasamento d'uscita ϕ.
Allo scopo si calcola la f.e.m. necessaria a vuoto con la relazione:

Infine, dalla caratteristica di magnetizzazione, si ricava la corrente di eccitazione Ie [A] necessaria.

b) determinare quale tensione si ha in uscita quando, data una nota eccitazione Ie, l'alternatore eroga
la corrente I [A] con lo sfasamento ϕ.

Dalla caratteristica di magnetizzazione si ricava la f.e.m. a vuoto E0 [V], quindi si esegue la


seguente costruzione basata sul triangolo fondamentale OAB dell'alternatore:

Il triangolo fondamentale si disegna partendo dal cateto orizzontale O__A di lunghezza pari a R0·I ,
quindi si disegna il cateto verticale A__B di lunghezza pari a XS·I ed infine l'ipotenusa O__B di
lunghezza pari a ZS·I. Ovviamente l'angolo del vertice O è pari all'angolo caratteristico di
cortocircuito θ.

Si traccia poi l'arco di cerchio di centro O e raggio E0, quindi, a partire da B si traccia una semiretta
formante l'angolo ϕ con la retta di riferimento dello sfasamento. Risulta evidente che il segmento
B__P altro non è che la tensione stellata d'uscita considerando che soddisfa l'equazione
.

Espressione della coppia resistente

Abbiamo visto che nel caso in cui l'alternatore eroghi una corrente I, anche solo parzialmente in
fase con la f.e.m. E0, scaturisce una reazione d'indotto che ha come effetto quello di originare una
coppia elettromagnetica frenante CE. Tale coppia, se si trascurano le perdite nel ferro, le perdite
meccaniche e quelle d'eccitazione sarà la stessa erogata dalla turbina che trascina l'alternatore alla
velocità angolare Ω [rad/s], ovvero [N·m] dove PT [W] è la potenza erogata dalla
turbina. Nell'ipotesi fatta possiamo porre [W] essendo PG la potenza
generata dall'alternatore, quindi sarà:
Si osserva come la coppia resistente sia proporzionale al flusso a vuoto (e quindi alla corrente di
eccitazione), alla corrente statorica ed al fattore di potenza interno della macchina.

Determinazione sperimentale dell'impedenza sincrona

L'impedenza sincrona si può determinare attraverso le seguenti tre prove sull'alternatore:

a) misura della resistenza Ohmica equivalente a stella dell'indotto R0t [Ω], che si effettua in modo
del tutto analogo a quello visto per le macchine asincrone. Tale resistenza va associata alla
temperatura t [°C] di prova.

b) prova a vuoto nella quale si rileva la caratteristica di magnetizzazione VY0 = f(Ie) , e la tensione
d'uscita a vuoto VY0n con eccitazione nominale Ien e velocità costante pari a quella nominale ,
questa prova l'abbiamo già discussa.

c) prova in cortocircuito, eseguita col schema sotto riportato :

che permette di rilevare la caratteristica di cortocircuito Icc = f(Ie) e la corrente permanente di


cortocircuito Ip [A] in corrispondenza della eccitazione nominale e velocità costante pari a quella
nominale. Tale misura va associata alla temperatura t [°C] di prova. La caratteristica che si ottiene è
praticamente rettilinea per un ampio intervallo di eccitazione in quanto l'alternatore in cortocircuito
vede un carico che è costituito dalla sua impedenza interna la quale ha un carattere prevalentemente
induttivo. A causa di ciò la reazione d'indotto produce nella macchina una forte smagnetizzazione
che fa si che l'induzione, a parità di eccitazione, sia notevolmente inferiore di quella che si avrebbe
a vuoto e, quindi, che il mezzo sia lineare anche quando a vuoto il ferro sarebbe in saturazione. Solo
per valori estremamente elevati di eccitazione (che in pratica non vengono mai raggiunti) la
caratteristica abbandona l'andamento rettilineo.
Eseguendo per i vari valori della corrente di eccitazione il rapporto tra la f.e.m. a vuoto e la corrente
di cortocircuito si ottiene la caratteristica dell'impedenza sincrona che, si osserva, si mantiene
praticamente costante fino al ginocchio, poi cala rapidamente a causa di una diminuzione di XI
(ovvero di una riduzione degli effetti della reazione d'indotto causata dalla saturazione del ferro).

In corrispondenza dell'eccitazione nominale si calcola :

dalla quale, ricordando che la reattanza non dipende dalla temperatura si ha:

Per la resistenza d'indotto, se T [°C] è la temperatura convenzionale di riferimento, si ha:

e, quindi, R0 = R0t·Kt [Ω].

Infine, l'impedenza sincrona alla temperatura convenzionale varrà:

Per ultimo si calcola l'angolo caratteristico di cortocircuito:

Osservazione: gli alternatori devono sopportare la corrente permanente di cortocircuito per almeno
30 [s].
Osservazione: negli alternatori ben costruiti risulta essere e tale fatto, come
vedremo, garantisce una maggiore stabilità nel funzionamento in parallelo tra più alternatori. Per
tale motivo è sempre θ circa 90° .

Osservazione: il valore dell'impedenza sincrona varia al variare della corrente di eccitazione e,


anche, al variare della corrente d'indotto e dello sfasamento di tale corrente. Quindi il parametro XS
del circuito equivalente è non costante e, se si tenesse conto di tale fatto, il circuito equivalente di
B.E. sarebbe difficilmente utilizzabile. Tuttavia l'esperienza insegna che scegliendo per la reattanza
sincrona il valore corrispondente all'eccitazione nominale si ottengono risultati accettabili, come
grado di approssimazione, anche in altre condizioni di funzionamento. In effetti i risultati ottenibili
con tale scelta sono cautelativi rispetto ad altre condizioni di lavoro in quanto ben difficilmente
capiterà che l'alternatore eroghi su carichi esterni altrettanto induttivi quanto l'impedenza sincrona.

Osservazione: è il caso di ricordare che il modello di B.E. vale per macchine rispondenti alle
condizioni limitative date fin dall'inizio di questi appunti.

Caratteristiche esterne, retta di carico

Si definiscono caratteristiche esterne:

ϕ = cost.
VY = f(I) , n = nn , Ie = Ien , cosϕ

Si definisce retta di carico:

VY = ZUY·I

dove ZUY è il modulo dell'impedenza del carico equivalente a stella ed è legato alla pendenza della
retta di carico dalla relazione α = arctan(ZUY).

Le caratteristiche esterne si possono determinare mediante una costruzione grafica che si basa sul
triangolo di cortocircuito OAB dell'alternatore tracciato per la corrente nominale, sull'arco di
circonferenza γ avente centro in O e raggio pari a E0, sulla semiretta r parallela al lato OA del
triangolo e mandata dal punto B (questa semiretta serve come riferimento per lo sfasamento
ϕ rispetto al quale si desidera la caratteristica esterna).

Fissata una scala per le tensioni (necessaria per costruire il triangolo e tracciare l'arco di cerchio) 1
[mm] = v [V] e preso un generico punto B* sul segmento O__C , si ha che O__B* è proporzionale
alla corrente I secondo la scala 1 [mm] = (v / ZS) [A]. Se poi dal punto B* si invia una semiretta
orientata rispetto ad r secondo un prefissato ϕ , come già visto quando si è discusso l'uso del
modello di B. E. il segmento intercettato dall'arco di cerchio γ rappresenta la tensione d'uscita
stellata VY corrispondente alla corrente erogata I ed allo sfasamento ϕ.

Vediamo separatamente i tre casi:

a) carico puramente Ohmico (figura a), ovvero ϕ = 0°. Si nota come la caratteristica esterna sia
incurvata e cadente. Per I = 0 [A] si ha il punto di funzionamento a vuoto, per VY = 0 [V] si ha il
punto di funzionamento in cortocircuito. Partendo dal funzionamento a vuoto si arriva a quello in
cortocircuito facendo variare l'impedenza del carico da ∞ [Ω] a 0 [Ω]. Sovrapponendo la retta di
carico alla caratteristica esterna si individua il punto di lavoro L coi relativi valori di tensione
d'uscita VYL e corrente erogata IL. Nel funzionamento a vuoto è ovviamente VY0 = E0 [V], mentre
nel funzionamento in cortocircuito è ICC = E0/ZS [A].

b) carico Ohmico-induttivo (figura b), ovvero ϕ > 0°. Si nota come la caratteristica esterna sia
ancora incurvata e cadente e, generalmente, al di sotto di quella del caso Ohmico. La caratteristica
più bassa di tutte è quella relativa ad uno sfasamento d'uscita uguale all'angolo di cortocircuito,
infatti in tal caso tutte le VY sono sovrapposte al segmento che unisce i punti O e C. Se si considera
una generica VY* rappresentata dal segmento B*__C, si ha che il segmento O__B* rappresenta la
caduta di tensione che la corrente associata I* provoca sull'impedenza sincrona ZS e la somma di
detti segmenti è costante e pari ad O__C per qualsiasi punto B*. Ricordando ciò che ogni segmento
rappresenta, si può scrivere , ovvero che è l'equazione di
una retta avente pendenza negativa -ZS ed intersezione con l'ordinata pari ad E0 = VY0.

c) carico Ohmico-capacitivo (figura c), ovvero ϕ < 0°. L'andamento della caratteristica dipende dal
valore dello sfasamento: se ϕ > -(90°-θ θ) la caratteristica è ancora cadente, se ϕ < -(90°-θ
θ) la
caratteristica ha il primo tratto ascendente, ovvero con la tensione d'uscita a carico maggiore di
quella a vuoto. In tal caso si nota come la corrente erogata raggiunga e superi quella di cortocircuito
quando ancora ZUY > 0 [Ω], il fenomeno è tanto più accentuato quanto più grande è lo sfasamento
in anticipo. Se accade che ϕ = -(90°-θ θ) allora la caratteristica interseca ortogonalmente gli assi
coordinati e non si ha alcun effetto di sopraelevazione della tensione a carico. E' facile verificare
che in tali condizioni si ha |XU| = XS e la caduta di tensione sulla reattanza capacitiva del carico
eguaglia la c.d.t. sulla reattanza sincrona, si dice che l'alternatore è in risonanza.

I risultati ottenuti discutendo la caratteristica esterna confermano quanto già detto con riferimento
agli effetti prodotti dalla reazione d'indotto. Infatti la presenza di corrente erogata in quadratura in
ritardo determina una maggiore c.d.t. rispetto al caso di sola corrente in fase e ciò concorda con
l'effetto smagnetizzante dovuto a tale corrente. Viceversa la presenza di corrente erogata in
quadratura in anticipo determina una sopraelevazione della tensione d'uscita e ciò concorda con
l'effetto sovramagnetizzante dovuto a tale corrente.

Curve di regolazione

Si definiscono curve di regolazione:

ϕ = cost.
E0 = f(I) o Ie = f(I) , n = nn , VY = VYn , cosϕ

Si possono ricavare graficamente con una costruzione che si basa sul solito triangolo di
cortocircuito OAB disegnato per la corrente nominale. Il triangolo viene disegnato in coda al
vettore O'__O che rappresenta in scala 1 [mm] = v [V] la tensione stellata per la quale si desidera
la caratteristica ed orientato convenientemente rispetto alla semiretta r secondo lo sfasamento
d'uscita desiderato. Preso un generico punto C sulla semiretta z , il segmento O'__C rappresenta la
f.e.m. a vuoto, il segmento O__C rappresenta nella scala 1 [mm] = ( v/ZS ) [A] la corrente erogata.
Se si desidera la corrente di eccitazione, basta leggerla sulla caratteristica di magnetizzazione in
corrispondenza della f.e.m. a vuoto. L'andamento delle caratteristiche esterne dipende dal valore
dello sfasamento d'uscita, è crescente per ϕ > -(90°-θθ). La caratteristica della Ie ha maggior
pendenza di quella della E0 a causa della non linearità della caratteristica di magnetizzazione.

La f.e.m. a vuoto, oltre che graficamente, può essere calcolata con la relazione:
Potenze generate negli alternatori, coppia resistente

La potenza nominale di un alternatore è la potenza apparente erogata in corrispondenza della


corrente nominale e della tensione nominale [VA]. Tale Sn definisce la
prestazione dell'alternatore, essa è funzione della tensione nominale perché dalla tensione
dipendono le perdite nel ferro e della corrente nominale perché dalla corrente dipendono le perdite
nel rame. Siccome è dalle perdite che dipende la temperatura nella macchina a regime termico
raggiunto, la potenza nominale determina il cimento termico della macchina e tale limite non deve
essere superato per nessun motivo.

Si definisce potenza attiva erogata:

dove ϕ è lo sfasamento esterno determinato dall'argomento dell'impedenza di carico. Tale potenza è


sempre minore della potenza attiva generata:

dove ϕ0 è lo sfasamento interno. Infatti PJ = (PG - P) rappresenta le perdite negli avvolgimenti


d'indotto (statore) che sono pari a

PJ = 3·R0·I2 [W]

Per quanto riguarda le potenze reattive, con ovvio significato:


Il diagramma vettoriale semplificato di B. E. permette una valutazione rapida delle potenze. Tale
diagramma si ottiene dall'equazione vettoriale di B. E. avendo trascurato la resistenza R0 rispetto
alla reattanza sincrona XS, questa operazione è lecita essendo XS>>R0 :

ϕ , O_C = XS·I·senϕ
Nella figura si ha O_B = XS·I , B_C = XS·I·cosϕ ϕ.

Inoltre si ha:

Sostituendo nelle precedenti espressioni si ha infine:

che permettono di affermare che i tre lati del triangolo rettangolo OCB sono proporzionali alle
potenze erogate dall'alternatore.

δ , ovvero:
Osservando il diagramma vettoriale si vede che è anche B_C = E0·senδ

dalla quale si ricava


che ci mostra come la potenza erogata sia funzione dell'angolo di carico δ secondo la funzione seno.
Ovviamente la massima potenza erogabile si ha quando δ = 90°° e vale:

In pratica il funzionamento dell'alternatore deve essere contenuto entro angoli di carico sempre
notevolmente inferiori ai 90° al fine di utilizzare il solo tratto ascendente della curva della potenza.
In tale tratto ogni eventuale aumento della coppia motrice applicata all'asse, facendo aumentare
l'angolo di carico determina un corrispondente aumento della potenza erogata e l'equilibrio
dinamico si ricostituisce perché l'aumento della potenza erogata a sua volta determina l'aumento
della coppia elettromagnetica frenante. L'angolo di carico δ = 90° e la potenza erogata PMAX
rappresentano il limite di stabilità dell'alternatore. Nel funzionamento normale bisogna stare ben al
di sotto di tale limite.

Per quanto riguarda la coppia elettromagnetica frenante, si ricavano le seguenti espressioni:

dove la relazione tra la velocità angolare Ω e la pulsazione ω è:

Regolazione del carico, curve a " V "

Vediamo come è necessario agire affinché l'alternatore possa erogare la potenza attiva e la potenza
reattiva necessarie al carico.

Per quanto riguarda la potenza attiva, è necessario provocare un anticipo δ della f.e.m. E0 rispetto
alla tensione d'uscita VY. A questo scopo si deve imprimere alla ruota polare induttrice uno
spostamento in avanti pari a ( δ/p
δ ) rispetto all'assetto che essa ha nel funzionamento a vuoto. Ciò si
realizza aumentando la coppia motrice mediante un aumento di fluido alla turbina, la temporanea
accelerazione che ne deriva perdura fino a tanto che la coppia frenante generata nell'alternatore
ripristina il necessario equilibrio con la maggiore coppia motrice impressa e con ciò mantiene la
marcia sincrona.

Per quanto riguarda la potenza reattiva, bisogna o aumentare l'eccitazione (erogazione di potenza
reattiva induttiva) o diminuirla (erogazione di potenza reattiva capacitiva):

Una efficace rappresentazione del carico erogato in funzione della eccitazione viene fornita dalle
cosiddette curve a " V " o curve di Mordey:

I = f(E0) o I = f(Ie) , VY = cost. , n = cost. , P = cost.

Tali curve si possono ricavare da una costruzione grafica che si basa sul diagramma vettoriale di B.
E. semplificato. Si traccia secondo la scala 1[mm] = v[V] il segmento verticale O'_O che
rappresenta la VY. Quindi, a sinistra, si disegna la retta r distante da VY della quantità B*_C* [mm]
che rappresenta, nella scala:

la potenza P per la quale si desidera la curva a " V ". Preso un generico punto BG sulla retta r, si ha
che BG_O rappresenta nella scala delle tensioni la caduta sulla reattanza sincrona e, secondo la
scala:

la corrente erogata, O'_BG rappresenta nella scala delle tensioni la f.e.m. a vuoto E0. E' poi facile
individuare per il punto BG prescelto quanto valgono lo sfasamento d'uscita ϕG e l'angolo di carico
δG corrispondenti. Di solito si tracciano le costruzioni per la tensione d'uscita e la frequenza
nominali e per potenze pari a Pn , Pn / 2 , 0 [W]:

Particolarmente significativi sono i punti BΩ che rappresenta il punto di minima corrente erogata e
di f.d.p. unitario, BLS che rappresenta il punto limite di stabilità per il quale l'angolo di carico vale
90° e si ha la minima f.e.m. a vuoto. I punti al di sotto di BLS danno luogo a funzionamento
instabile. I punti al di sopra di BΩ corrispondono ad erogazione di corrente in ritardo sulla tensione
(quindi ad erogazione di potenza reattiva induttiva) ed a regime sovreccitato, i punti al di sotto di
BΩ corrispondono ad erogazione di corrente in anticipo sulla tensione (quindi ad erogazione di
potenza reattiva capacitiva) ed a regime sottoeccitato. Si osserva come, a parità di potenza attiva
erogata, un aumento dell'eccitazione (e quindi della f.e.m. a vuoto) conduca ad una diminuzione
dell'angolo di carico e quindi ad un aumento del margine di stabilità dell'alternatore.
Riportando le coppie di valori (E0 , I) su di un diagramma cartesiano si ottengono le curve a " V "
sotto riportate:

Se si disegnano le curve a " V "come I = f(Ie) , a causa della non linearità della caratteristica di
magnetizzazione, la caratteristica per potenza erogata nulla non sarà composta di due spezzate ma
sarà anch'essa curvilinea.

Perdite e rendimento negli alternatori

Si definisce rendimento elettrico:

dove P [W] è la potenza erogata e PG [W] la potenza generata (pari a quella erogata più quella persa
negli avvolgimenti d'indotto). E' facile verificare che il rendimento diminuisce all'aumentare dello
sfasamento d'uscita e della resistenza degli avvolgimenti d'indotto.

Si definisce rendimento industriale:

dove PA [W] è la potenza assorbita dall'alternatore.

A vuoto, la potenza assorbita vale PA0 = Pm + Pfe0 + Pec0 [W].


A carico, la potenza assorbita vale PA = Pm + Pfe + Pec + PJS + PAD + P = PP + P [W].

Le perdite meccaniche Pm sono costanti qualunque sia il carico in quanto la velocità della
macchina è mantenuta costante. Tali perdite sono dovute all'attrito dei cuscinetti e delle spazzole
oltre che alla ventilazione.

Le perdite nel ferro Pfe , facendo riferimento al carico più comune che è quello Ohmico-induttivo,
aumentano all'aumentare del carico in quanto per mantenere costante la tensione d'uscita è
necessario aumentare l'eccitazione e quindi la f.e.m., dal quadrato della quale dipendono tali
perdite.

Le perdite per eccitazione Pec che aumentano col quadrato della corrente di eccitazione e, dovendo
aumentare l'eccitazione all'aumentare del carico, esse pure aumenteranno. Di solito tali perdite sono
comprensive delle perdite elettriche nelle spazzole per il contatto strisciante delle spazzole stesse
sugli anelli.

Le perdite negli avvolgimenti dell'indotto PJS che dipendono dal quadrato della corrente erogata e
quindi dal quadrato del carico.

Le perdite addizionali PAD, che caratterizzano tutti gli avvolgimenti in corrente alternata e si
aggiungono a quelle Ohmiche tipiche della corrente continua.

Il rendimento industriale è detto effettivo se sia la potenza erogata P che la potenza assorbita PA
sono misurate direttamente. Viene chiamato convenzionale se la potenza assorbita PA è calcolata
come somma di quella erogata P e delle varie perdite PP misurate singolarmente.

E' significativo osservare che il rendimento è massimo quando è minimo il rapporto , infatti
è:

Questo fatto può pure essere dedotto dal grafico riportato sotto dove P* rappresenta la potenza
erogata per la quale si ha il massimo rendimento, infatti per tale ascissa si ha la tangenza alla curva
delle perdite della semiretta mandata dall'origine che è anche la semiretta a pendenza minima tra
tutte quelle che intersecano la curva. Infine rimane da dire che il rendimento diminuisce assieme del
f.d.p. e che l'alternatore è dimensionato per dare il massimo rendimento a circa tre quarti del pieno
carico.
Parallelo degli alternatori, le manovre di parallelo

Per poter adeguare la potenza (attiva e reattiva) erogata alla potenza richiesta e per garantire
continuità di servizio, più alternatori vengono inseriti in parallelo sulla stessa linea elettrica.
L'accoppiamento di più alternatori in parallelo consiste nel farli funzionare alla stessa tensione e
frequenza, con i morsetti omonimi direttamente collegati ad un sistema di sbarre, dalle quali si
dipartono le linee che convogliano la somma delle potenze erogate dalle singole macchine.

Condizione indispensabile per la regolarità della manovra è che questa si compia senza perturbare
lo stato di regime della rete, cioè senza che si determini all'atto della chiusura dell'interruttore
alcuno scambio di corrente fra la nuova macchina inserita e le sbarre. Per tale motivo è necessario
collegare in parallelo i due alternatori nell'istante in cui le loro f.e.m., di eguale valore e frequenza,
sono in opposizione nel circuito costituito dalla macchina che si inserisce in parallelo con la
macchina (o con ciascuna delle macchine della centrale) già in esercizio.

Descriviamo la manovra con riferimento ad alternatori trifasi. L'alternatore G1 sia funzionante e


collegato alle sbarre, l'alternatore G2 sia fermo e non collegato alle sbarre. Si opera come segue:
1) aprendo di poco le valvole di immissione del fluido motore della turbina che trascina l'alternatore
G2 si mette in moto tale gruppo, quindi gli si fa assumere una velocità prossima a quella di
sincronismo ( n1 = n2 solo se p1 = p2 );

2) contemporaneamente si regola l'eccitazione dell'alternatore G2 in modo che l'indicazione del


voltmetro V2 sia uguale all'indicazione del voltmetro V1 (ovvero la tensione a vuoto V02 di G2 sia
uguale alla tensione alle sbarre V1). In tali fasi si è guidati dalle indicazioni dei frequenzimetri e dei
voltmetri della colonnina di parallelo.

3) si osservano lo zerovoltmetro ZV e le lampade inseriti in parallelo fra morsetti corrispondenti


(questa inserzione viene chiamata a lampade spente, lo zerovoltmetro e le lampade devono essere in
grado di poter sopportare una tensione doppia di quella alle sbarre). Se la frequenza f2 della f.e.m.
generata da G2 è diversa dalla frequenza f1 della tensione alle sbarre, la tensione VMN ai capi degli
indicatori di sincronismo oscilla essendo e variando nel tempo la posizione
relativa dei vettori e a causa delle diverse pulsazioni ω1 e ω2 dei vettori stessi. Le lampade
sono accese al massimo e lo zerovoltmetro ha l'indice in massima deflessione quando i due vettori
sono in opposizione fra loro, le lampade sono spente e lo zerovoltmetro ha l'indice sullo zero
quando i due vettori sono sovrapposti. Nel tempo l'indice dello zerovoltmetro oscillerà
sincronicamente con i battimenti della luce delle lampade.

4) si regolerà la velocità dell'alternatore G2 in modo da ridurre i battimenti, fino a farli scomparire,


ottenuta questa regolazione si chiude l'interruttore della macchina G2.

Osservazione : anche se l'alternatore G2 non ha una velocità rigorosamente uguale a quella che
compete alle frequenze di rete, dopo la chiusura dell'interruttore l'alternatore G2 si mette senz'altro
in marcia sincrona con G1. Ciò accade perché ogni sua tendenza ad accelerare o ritardare viene
automaticamente contrastata dalle energiche coppie sincronizzanti che intervengono per effetto
degli scambi di corrente che si verificano tra le macchine quando una di esse tende ad uscire dal
sincronismo. Così, ad esempio, se l'alternatore G2 tende ad anticipare, accade che anche il vettore
si sposta in anticipo rispetto a di un certo angolo δ. Con ciò si realizza la condizione per la
quale l'alternatore G2 eroga potenza attiva dando luogo ad una coppia sincronizzante frenante che è
δ. Nel caso in cui G2 tenda a ritardare, il vettore
proporzionale a senδ si sposta in ritardo rispetto
a e, come vedremo, la seconda macchina assorbirà potenza attiva dalla rete dando origine ad
una coppia sincronizzante motrice. Tutto ciò favorirà la messa in marcia al passo di sincronismo tra
la macchina e la rete cui essa è allacciata.
In sostituzione della colonnina di parallelo si può usare un sincronoscopio ad ago rotante oppure un
sincronoscopio a luce rotante. In tal caso la manovra è facilitata perché il sincronoscopio dà la
diretta indicazione sull'intervento da compiere sulla velocità dell'alternatore da accoppiare. Se le
frequenze f1 ed f2 sono uguali e se V02 è in fase con V1 (condizioni per il parallelo), allora la
lampada L11' è spenta mentre le lampade L23' e L32' sono accese sulla stessa intensità. Se invece
l'alternatore da accoppiare gira a velocità superiore a quella di sincronismo la lampada L11' tenderà
ad accendersi, la lampada L23' tenderà a brillare maggiormente, la lampada L32' tenderà a spegnersi
e l'effetto complessivo sarà quello di una rotazione antioraria della luce di sincronismo. Infine, se
l'alternatore da accoppiare gira a velocità inferiore di quella di sincronismo, si vedrà la luce del
sincronoscopio ruotare in senso orario (come è facile verificare).

Stabilità del parallelo

Se, a parallelo avvenuto, si suppone che l'alternatore G2 acquisti velocità superiore a quella di
sincronismo, si ha che per qualche istante il vettore E02 anticipa dell'angolo δ rispetto alla
. Osservando il diagramma (disegnato ricordando che nel circuito costituito dal parallelo
tra le due macchine le rispettive tensioni sono in opposizione tra di loro) si nota che dalla
composizione della e della nascerà una tensione risultante che farà circolare la
corrente nel circuito delle due macchine. Tale corrente è sfasata di circa 90° in ritardo rispetto
alla essendo XS >> R0 (normalmente la reattanza sincrona è 20 ÷ 30 volte la resistenza
Ohmica), perciò risulta quasi in fase con e sfasata oltre 90° rispetto . Ciò significa che
l'alternatore G2 eroga potenza elettrica e perciò manifesta una coppia elettromagnetica frenante
mentre l'alternatore G1 assorbe potenza elettrica e perciò manifesta una coppia elettromagnetica
motrice. Le due azioni ripristinano nelle macchine accoppiate elettricamente quella identità di
velocità angolare, quel sincronismo, che sarebbe impossibile ottenere agendo sui regolatori delle
turbine (è come se il parallelo elettrico accoppiasse i due rotori mediante un giunto).

La stabilità del parallelo è quindi dovuta al fatto che XS >> R0 , se fosse l'opposto sarebbe

in fase con e, praticamente, in quadratura sia con che con e non si genererebbe
alcuna coppia sincronizzante indispensabile alla marcia in parallelo degli alternatori. Di due
alternatori marcianti in sincronismo si suole dire che marciano al passo.

Ripartizione del carico, corrente di compensazione

L'alternatore G2 sia stato allacciato in parallelo alla linea e sia funzionante a vuoto, sulla linea
l'alternatore G1 stia erogando le potenze attiva e reattiva richieste dai carichi. In tali condizioni
l'alternatore G2 non eroga corrente e la turbina che lo trascina eroga la potenza meccanica
strettamente necessaria a vincere le perdite a vuoto dell'alternatore.

Affinché l'alternatore G2 eroghi potenza attiva sappiamo che bisogna aumentare la coppia motrice
della sua turbina. Se non è variata la potenza attiva richiesta dalla linea bisogna
contemporaneamente ridurre la potenza attiva erogata dall'alternatore G1 riducendo la coppia
motrice della sua turbina così che la somma delle potenze erogate dai due alternatori sia uguale alla
potenza richiesta dai carichi, altrimenti l'equilibrio dinamico del sistema non può ricostituirsi se non
attraverso una variazione di velocità del sistema e, dunque, della frequenza.

Affinché l'alternatore G2 eroghi potenza reattiva induttiva sappiamo che si deve aumentare la sua
eccitazione. Se la richiesta di potenza reattiva in linea è rimasta invariata, di pari passo si deve
diseccitare l'alternatore G1 perché rimanga invariata la tensione alle sbarre.
In tali condizioni, se i due alternatori sono uguali, l'indicazione dell'eguale ripartizione delle potenze
attive è data dalle eguali indicazioni dei wattmetri di macchina, l'eguale ripartizione delle potenze
reattive dalle eguali indicazioni dei cosfimetri. In tal caso le correnti indicate dagli amperometri di
macchina sono uguali fra di loro e danno una somma aritmetica pari all'intensità della corrente di
linea (vedi il primo grafico).

Partendo dalla situazione appena descritta, si supponga di aumentare l'eccitazione della macchina
G1: si otterrà allora una f.e.m. E01' in tale macchina maggiore di quella precedente E01 e,
contemporaneamente, si dovrà ridurre l'eccitazione della macchina G2 (dando così luogo ad una
f.e.m. E02' inferiore alla precedente E02) se si vuol mantenere costante la tensione alle sbarre. La
condizione di equilibrio delle tensioni V1 = V2 = cost. richiede un'azione smagnetizzante sulla
macchina G1, troppo eccitata, che perciò eroga adesso una corrente I1' maggiormente in ritardo su
V1 (affinché diminuisca il suo flusso per polo) ed un'azione sovramagnetizzante sulla macchina G2,
poco eccitata, che perciò deve erogare una corrente I2' in anticipo su V2 al fine di aumentare il suo
flusso per polo. Queste due correnti I1' e I2' risultano, rispettivamente, somma vettoriale di I1 ed I2
con una nuova corrente swattata IC denominata corrente di compensazione (che non va in linea, ma
circola solamente nel circuito interno costituito dagli avvolgimenti statorici delle due macchine e
dalle sbarre). Questa corrente è nociva perché produce nelle macchine maggiori perdite e si
riconosce, nel caso di macchine uguali ed ugualmente caricate, dalla diversità delle indicazioni dei
due amperometri di macchina e dalle diversità delle correnti di eccitazione. Nel caso più generale di
alternatori di diversa potenza o uguali ma diversamente caricati, si riconosce dalla diversità delle
indicazioni dei cosfimetri di macchina e dal fatto che la somma delle indicazioni degli amperometri
di macchina è maggiore di quella dell'amperometro di linea.

Per togliere un alternatore dal parallelo bisogna dapprima scaricarlo (nel caso in cui la richiesta di
potenza della linea rimanga invariata, si dovrà caricare in eguale misura il secondo alternatore) e,
una volta a vuoto, aprire l'interruttore di linea.

Reazione d'indotto con carichi squilibrati (cenni)

Tale condizione di lavoro può essere immaginata come il risultato della sovrapposizione di un
carico equilibrato con uno o più carichi monofase. I carichi monofase determinano una reazione
d'indotto che si manifesta non più sotto forma di un campo rotante che si muove in perfetto
sincronismo con la ruota polare, bensì sotto forma di un campo alternativo avente una direzione
fissa. L'effetto ultimo è quello di produrre a carico delle f.e.m. aventi forma d'onda deformata, la
deformazione determina la presenza di una componente armonica significativa del terzo ordine (più
altre armoniche meno significative). Per questo motivo la tensione ai morsetti d'uscita sarà pure
deformata (anche se, nel caso di collegamento delle tre fasi del sistema a stella, le tensioni
concatenate, essendo date dalla differenza tra due tensioni stellate saranno depurate dalla
componente più significativa di terza armonica che ha la proprietà di presentarsi in fase sulle tre fasi
del sistema).

E' dunque della massima importanza che negli alternatori trifasi il carico sia mantenuto equilibrato
per evitare deformazioni della tensione ai morsetti. Se si prevede un servizio su carichi fortemente
squilibrati, bisogna munire la ruota polare induttrice di avvolgimenti smorzatori (gabbia di Leblanc,
formata da un avvolgimento composto da solide sbarre di rame sistemate in cave a sviluppo assiale
praticate lungo le espansioni polari e chiuse frontalmente in cortocircuito da due anelli di rame,
analogamente alla gabbia di scoiattolo delle macchine asincrone). In tal modo si realizza una specie
di schermo degli avvolgimenti induttori rispetto al campo d'indotto alternativo.

Oscillazioni pendolari
Se in un alternatore si rompe l'equilibrio dinamico, ad esempio a causa di un improvviso aumento
del carico (corrente attiva erogata), la ruota polare rallenta (a causa della aumentata coppia
elettromagnetica frenante dovuta alla reazione d'indotto) sulla velocità di sincronismo. Per
mantenere la marcia sincrona si dovrà aumentare la coppia motrice del motore primo (turbina) che
trascina l'alternatore fino a raggiungere il valore equivalente all'aumentata coppia elettromagnetica
frenante e produrre l'angolo di carico che soddisfi la maggiore potenza richiesta da carico stesso.
Raggiunta questa posizione di equilibrio delle coppie si ha che, a causa della propria inerzia, la
ruota polare persiste nel rallentamento e la coppia motrice del motore primo, regolata in modo da
ripristinare la velocità sincrona, aumenterà oltre la coppia elettromagnetica frenante facendo
acquisire al gruppo una velocità momentaneamente superiore a quella di sincronismo e un angolo di
carico maggiore di quello necessario: si ripeterà il fenomeno sopra descritto ma in senso opposto. In
definitiva la ruota polare oscillerà attorno alla sua posizione di equilibrio dinamico.

Nel caso di un unico alternatore alimentante una rete, il risultato è di avere delle pulsazioni della
f.e.m. generata che si smorzeranno gradualmente nel tempo.

Se si hanno più macchine sincrone in parallelo si origina un vero e proprio fenomeno di oscillazioni
pendolari libere (così chiamate perché il fenomeno, una volta innescato, si autoalimenta) attorno
alla posizione di equilibrio. Il periodo di tali oscillazioni libere è costante per una data macchina e
dipende dal momento d'inerzia delle masse in rotazione e dalla entità delle coppie sincronizzanti
(originate dagli scambi di corrente fra le varie macchine in parallelo). Il pericolo maggiore è che
l'escursione di tali oscillazioni porti la macchina fuori dal sincronismo qualora l'angolo di carico
superi il limite di stabilità (90°), per tale motivo l'angolo di carico in condizioni nominali di
funzionamento deve essere piccolo. A smorzare queste pendolazioni del rotore concorrono tutti quei
circuiti sulla ruota polare che possono diventare sede di correnti indotte, correnti determinate dalla
pendolazione del rotore rispetto al campo di indotto e che (per il corollario di Lenz della legge
generale dell'induzione elettromagnetica) si oppongono alla causa che le ha generate, cioè si
oppongono alla variazione di velocità. Questi circuiti smorzatori possono essere costituiti dalla
gabbia di Leblanc, qualora manchi la gabbia lo stesso obiettivo si raggiunge realizzando le
espansioni polari in ferro massiccio anziché lamellate.

Ancor più gravi sono le oscillazioni pendolari forzate che si manifestano quando l'alternatore ha
come motore primo un diesel. Tale motore sviluppa una coppia motrice non costante bensì ad
impulsi, cosicché la ruota polare è costretta a seguire tali impulsi. Se accade che il ritmo di questi
coincide (o quasi) col ritmo delle oscillazioni libere dell'alternatore, allora si determina un
fenomeno di risonanza meccanica in seguito al quale le elongazioni successive delle oscillazioni
della ruota polare vanno amplificandosi fino a compromettere la stabilità della macchina sincrona.
In tali condizioni è impossibile il funzionamento in parallelo con altre macchine sincrone. Per
ridurre le oscillazioni forzate può servire un aumento delle masse volaniche del sistema in
rotazione.

Quanto detto vale anche per il motore sincrono, per esso si hanno le oscillazioni pendolari libere
quando è accoppiato in parallelo elettrico con altre macchine sincrone, si hanno le oscillazioni
pendolari forzate quando è accoppiato a compressori alternativi.

Sistemi di eccitazione

Gli avvolgimenti di eccitazione, che fanno parte ovviamente del circuito di eccitazione, servono a
creare il flusso magnetico induttore principale. Essi sono posti attorno ad ogni polo e risultano
collegati tra di loro in serie in modo da essere percorsi dalla stessa corrente Ie [A] affinché ogni
polo generi rigorosamente lo stesso flusso. Detta corrente è continua e viene fornita alla macchina
sincrona con modalità e dispositivi diversi a seconda dei casi.

Nelle macchine di potenza significativa, gli estremi degli avvolgimenti di eccitazione (ruotanti
assieme al rotore) fanno capo a due anelli collettori, isolati tra di loro e rigidamente calettati
sull'albero di rotazione. Su ciascun anello preme una spazzola, tenuta ferma, ed attraverso le due
spazzole si alimenta la serie degli avvolgimenti mediante un opportuno dispositivo di eccitazione in
corrente continua.

Un tempo il sistema di eccitazione era costituito da una dinamo principale D eccitata da un'altra
dinamo ausiliaria D' di minor potenza, entrambe coassiali con l'alternatore (figura a).

Oggi si utilizza un gruppo statico di tiristori (figura b) il quale converte in tensione continua la
tensione alternata trifase dell'alternatore stesso (o di una rete ausiliaria). L'eccitazione statica
garantisce un più elevato rendimento, una maggiore affidabilità ed una migliore regolazione della
corrente di eccitazione. Infatti trattandosi di un sistema elettronico i dispositivi automatici di
regolazione e controllo RV possono realizzare facilmente qualsiasi tipo di regolazione purché al
controllo pervengano , tramite i trasformatori di misura TV ed i TA, i segnali proporzionali alla
tensione ed alla corrente dell'alternatore. Il trasformatore di potenza TP serve ad adattare la tensione
dell'alternatore a quella ottimale per l'eccitazione. E' inoltre presente un dispositivo per l'innesco
dell'eccitazione DI in fase di avviamento.

Un altro sistema di eccitazione è quello di ricorrere ad un generatore rotante senza spazzole


(brushless) accoppiato coassialmente con l'alternatore principale. Questo generatore consiste in un
alternatore ausiliario (eccitatrice) avente il sistema induttore allo statore e l'indotto trifase rotante, la
cui corrente trifase erogata viene raddrizzata mediante un ponte di diodi di potenza al silicio e
quindi inviata agli avvolgimenti induttori dell'alternatore principale (figura c). L'eccitatrice è quindi
costituita da un alternatore trifase ausiliario il cui indotto ruota assieme ai diodi raddrizzatori e agli
avvolgimenti d'eccitazione dell'alternatore principale, l'insieme prende il nome di complesso rotante
coassiale CR. La regolazione della corrente dell'eccitazione principale deve essere realizzata tramite
la corrente della eccitazione dell'alternatore ausiliario ricorrendo ad un piccolo gruppo statico di
conversione alimentato dalla tensione trifase dell'alternatore principale tramite il trasformatore di
potenza TP.

Il tipo di eccitazione della figura (c) è applicato in alternatori di potenza non superiore ai 100
[MVA], ma già per potenze superiori ai 60 [MVA] si tende a preferire l'eccitazione statica di figura
(b), l'eccitazione con dinamo coassiale di figura (a) ha soltanto importanza storica.

La potenza richiesta per l'eccitazione di un alternatore varia dal 5% allo 0,2% della potenza
nominale passando dagli alternatori di piccola potenza a quelli di grande potenza.
Motori sincroni

Principio di funzionamento
Si consideri una macchina sincrona trifase inizialmente ferma e si supponga di alimentare
l'avvolgimento induttore (rotore) con una sorgente ausiliaria di corrente continua e di collegare le
tre fasi dello statore ad un sistema trifase di tensioni. Le correnti che circolano nelle fasi di statore
producono un campo magnetico rotante di velocità [g/1']. Tale campo tende a
trascinare la ruota polare con forze tangenziali, tuttavia, se la velocità del campo rotante è troppo
elevata, per inerzia la ruota polare rimarrà ferma. Infatti, il campo rotante appena avrà ruotato di un
passo polare agirà sulla ruota polare con una forza opposta al moto distruggendo l'impulso
precedente. La stessa vicenda si ripete in seguito ad ogni periodo e la coppia motrice media risulta
nulla.

Si intuisce perciò che la ruota polare dovrà essere preventivamente portata alla velocità di
sincronismo, quindi si ecciterà la macchina fino a determinare una tensione a vuoto uguale alla
tensione di linea e il campo rotante dovrà essere imposto (chiudendo l'interruttore sul montante di
macchina) nel preciso istante in cui esso si troverà in una posizione trasversa rispetto alla ruota
(come in figura).

Successivamente si potrà sopprimere l'azione motrice esterna perché il campo rotante manterrà la
ruota polare in rotazione alla velocità di sincronismo. Se, per qualche motivo, la ruota dovesse
rallentare fino a perdere oltre mezzo passo polare rispetto al campo rotante, ne riceverebbe un
impulso contrario al moto rallentando ulteriormente perdendo così l'intero passo polare τ.
Procedendo nel rallentamento, al secondo passo polare perso l'impulso ricevuto sarebbe nel verso
giusto ma difficilmente in grado di riportare la ruota polare in sincronismo: il risultato finale sarà
l'arresto del rotore in poco tempo. Durante tale tempo si produrranno impulsi di corrente così
violenti da danneggiare la macchina, per tale motivo si deve disporre un interruttore automatico di
massima corrente che stacchi la macchina dalla rete appena si produce il primo impulso.

Passaggio dal funzionamento a vuoto al funzionamento come motore

Da quanto sopra esposto, il funzionamento della macchina sincrona come motore inizia dalla
condizione di parallelo con la linea, è perciò necessaria una iniziale manovra di parallelo. Appena
completata la manovra, la macchina si trova a funzionare a vuoto ovvero non scambia corrente con
la linea essendo la f.e.m. E0 uguale alla tensione di linea VY, tuttavia bisogna tenere allacciato il
motore ausiliario esterno che fornirà la potenza meccanica necessaria a vincere le coppie resistenti
proprie del funzionamento a vuoto. La figura (a) mostra tale condizione con riferimento al modello
di B. E. semplificato, ovvero avendo ritenuto R0 trascurabile rispetto XS.
Se all'albero viene applicata una ulteriore coppia motrice si crea l'angolo δ di anticipo della f.e.m.
E0 rispetto alla tensione d'uscita VY e si passa al funzionamento come generatore rappresentato
dalla figura (b) con erogazione di corrente. La corrente I è erogata essendo cosϕ ϕ positivo.

Se all'albero si applica una coppia frenante la ruota polare viene a subire un ritardo rispetto alla
posizione che le compete nel funzionamento a vuoto e l'angolo δ diventa un angolo di ritardo della
E0 rispetto alla VY. Ora la corrente I non è più erogata ma assorbita dalla macchina essendo cosϕ ϕ
negativo. Invertendo la corrente si invertono le polarità del campo rotante di indotto così che si
determina una coppia elettromagnetica motrice, concorde col senso di rotazione del rotore, atta a
vincere la coppia meccanica frenante applicata dall'esterno. Tale coppia sarà tanto più elevata
quanto più è grande l'angolo δ e tale angolo assumerà quel valore per il quale si ripristinano le
condizioni di equilibrio dinamico. La macchina si trova nel funzionamento come motore
rappresentato dalla figura (c).

Qualunque sia il modo di funzionamento della macchina, sempre il suo modello è riassunto
dall'equazione semplificata di B. E. .

Metodi per avviare i motori sincroni

Il motore sincrono, come l'alternatore, si deve, prima di collegarlo alla rete, avviarlo e fargli
acquistare la velocità sincrona. Per tale scopo si adottano diversi metodi, quali:

a) avviamento del sincrono come asincrono. Si sfruttano le correnti circolanti nella gabbia di
Leblanc oppure nelle testate massicce delle espansioni polari affinché il motore acquisti una
velocità molto prossima a quella di sincronismo.

b) avviamento mediante l'eccitatrice. La dinamo eccitatrice coassiale viene fatta funzionare come
motore, alimentandola con una adeguata sorgente di corrente continua, fino a far ottenere al gruppo
la richiesta velocità.
c) avviamento mediante motore di lancio. Il motore asincrono di lancio, montato di sbalzo
sull'albero del gruppo, ha una potenza dell'ordine di 1/10 di quella del sincrono, un numero di poli
uguale ed è costruito in modo da avere un basso scorrimento.

Usando uno dei suindicati metodi si ottiene una velocità del sincrono molto prossima al
sincronismo. Se, ora, si eccita la ruota polare del sincrono fino a che il voltmetro di macchina segni
un valore di tensione uguale a quella di rete, indi si chiude l'interruttore di macchina, ha origine una
coppia sincronizzante che fa entrare in passo il motore sincrono. Se l'avviamento è stato eseguito
mediante l'asincrono, questo verrà disinserito dopo la sincronizzazione del sincrono.

Metodi per ridurre la corrente all'avviamento

Se si avvia il sincrono come asincrono, la macchina, alla quale nel periodo transitorio
dell'avviamento è applicata la piena tensione di rete, assorbe una elevata corrente (5 ÷ 7 volte quella
di pieno carico) che determina una forte caduta di tensione nella rete; ciò arreca disturbi agli altri
utenti collegati alla linea. Perciò si ricorre inserendo in linea un autotrasformatore trifase
abbassatore ( o delle bobine di induttanza) che verrà escluso ad avviamento avvenuto. Gli schemi
sono analoghi a quelli già visti per i MAT.

Funzionamento con carico costante ed eccitazione variabile

Le condizioni di regime del motore sincrono dipendono da due variabili indipendenti che, entro i
dovuti limiti, possono essere fissate a piacere: a) la coppia resistente applicata all'albero, carico
della macchina; b) la f.e.m. a vuoto del motore, che può essere regolata variando l'eccitazione.

A questo punto è bene osservare che, per convenzione, si considera nel caso del motore positiva la
potenza elettrica assorbita. Rispetto all'alternatore, dove si considera positiva la potenza elettrica
erogata, ciò significa cambiare il segno (e perciò il verso) della corrente. L'equazione semplificata
di B.E. che nell'alternatore è nel caso del motore diventa .

Nel modello di B.E. semplificato, avendo trascurato la resistenza dell'indotto rispetto alla reattanza
sincrona, il segmento B_C rappresenta sia la potenza elettrica attiva assorbita Pa = 3·VY·I·cosϕ ϕ che
ϕ0.
la potenza trasformata da elettrica in meccanica 3·E0·I·cosϕ

Il segmento O_C rappresenta la potenza elettrica reattiva assorbita Qa = 3·VY·I·senϕϕ . Sempre a


meno delle perdite per effetto Joule, B_C rappresenta anche la coppia motrice elettromagnetica
(essendo la velocità angolare rigorosamente costante) che è uguale alla coppia frenante (formata
dalla coppia utile più le coppie passive di attrito).
Nel funzionamento a carico costante dovrà essere C_B costante e, quindi, al variare della
eccitazione il vettore E0 si muoverà sulla retta t , adeguando il proprio sfasamento ed il proprio
modulo. Sempre per lo stesso motivo, la componente della corrente in fase con la tensione, ovvero
ϕ , sarà costante dovendo essere costante la potenza elettrica attiva assorbita, e quindi l'estremo
I·cosϕ
del vettore rappresentante la corrente dovrà stare sulla retta r. Inoltre, rimanendo costante la
tensione applicata al motore, sarà l'estremo del vettore della tensione sempre sulla retta m.

Si osserva che la corrente si adegua al variare della eccitazione in modo tale da soddisfare entrambe
le condizioni I·cosϕ ϕ = cost.. , . Inoltre aumentando l'eccitazione, a parità di
potenza attiva, diminuisce l'angolo di carico δ" < δ < δ' e con questo aumenta il margine di stabilità
del motore sincrono. In tal modo si interviene per evitare la perdita di passo in motori vicini al
limite di stabilità (ovviamente stando attenti che la corrente assorbita sia compatibile coi limiti di
dimensionamento della macchina). Se viceversa, ad un sincrono già caricato, si diminuisce
l'eccitazione si verrà ad aumentare l'angolo di carico e con questo si ridurrà il margine di stabilità
del motore.

Risulta ora facile discutere le tre condizioni:

figura (a) : motore sottoeccitato, assorbe una potenza reattiva induttiva;

ϕ = 1;
figura (b) : motore giustamente eccitato, assorbe la minima corrente essendo cosϕ

figura (c) : motore sovreccitato, assorbe una potenza reattiva capacitiva.

Dai diagrammi precedenti si può mettere in relazione la corrente assorbita con la f.e.m. a vuoto
nelle condizioni di tensione applicata costante, potenza erogata costante ed eccitazione variabile
ottenendo così le curve a " V " del motore. Tali curve sono del tutto uguali a quelle del generatore
già viste. Come per l'alternatore, lo sfasamento delle correnti è sempre determinato dal fatto che nel
regime sovreccitato deve prodursi una reazione d'indotto smagnetizzante, solo che trattandosi di un
motore la corrente deve essere assorbita in anticipo rispetto alla tensione (mentre per il generatore
era la corrente erogata in ritardo rispetto alla tensione).

Funzionamento con eccitazione costante e carico variabile

Se rimane costante l'eccitazione del sincrono, rimane pure costante la f.e.m. E0, di conseguenza, al
variare del carico, varierà soltanto l'angolo δ di ritardo della E0 rispetto alla tensione applicata al
motore VY, per cui l'estremo del vettore E0 viene a descrivere un arco di circonferenza centrato in
O'. Il campo di variabilità va da δ = 0 (carico nullo, assorbimento di sola potenza reattiva) a δ =
90°. In questa situazione il motore lavora al limite della stabilità, infatti essendo la coppia
elettromagnetica motrice quella massima, un ulteriore carico frenante farebbe perdere il passo
all'alternatore.

Nel caso di motore sottoeccitato valgono i diagrammi semplificati (avendo trascurato R0) di B. E.
sotto riportati:

La figura (a) rappresenta il funzionamento a vuoto (cioè senza carico applicato all'albero) nel quale
il motore assorbe una corrente I0 swattata in ritardo (salvo la piccola componente attiva di corrente
assorbita per compensare le perdite nella macchina).

La figura (b) rappresenta il funzionamento a carico nel quale la potenza attiva assorbita,
proporzionale al segmento B_C , vale:

e, a meno delle perdite meccaniche, coincide con la potenza meccanica erogata [W]. La
macchina assorbirà dalla rete che la alimenta anche una potenza reattiva induttiva (perché
sottoeccitata) proporzionale al segmento C_O e pari a Qa = 3·VY·I·senϕ ϕ [VAR].
Potenza, coppia, rendimento

Nei diagrammi precedenti si è trascurata la resistenza dell'indotto R0 rispetto alla reattanza di


dispersione XS. Se si tiene conto di tale resistenza il diagramma di B. E. assume l'andamento
riportato sopra. Da tale diagramma si ha:

ϕ = E0·cosϕ
VY·cosϕ ϕ0 + R0·I

moltiplicando entrambi i membri per 3·I si ha:

ϕ = 3·E0·I·cosϕ
3·VY·I·cosϕ ϕ0 + 3·R0·I2

dove il primo membro rappresenta la potenza elettrica assorbita, il primo termine a secondo
membro la potenza trasformata in meccanica, il secondo le perdite Joule nell'indotto. La coppia
elettromagnetica motrice generata vale:

ϕ=1
Si osserva che, a parità di potenza assorbita, la coppia motrice generata è massima quando cosϕ
essendo in tale condizione minima la corrente.

Il rendimento del motore vale:

dove rappresenta le perdite complessive, analoghe a quelle dei generatori sincroni.

Caratteristiche meccanica e del rendimento


Dove CMAX è la massima coppia elettromagnetica motrice raggiungibile senza uscire dal
sincronismo, CM è la coppia elettromagnetica generata in condizioni nominali, Cm è la coppia
persa per vincere le perdite meccaniche, C è la coppia utile all'asse.

Applicazioni

a) Negli stabilimenti industriali ove sono installati numerosi motori asincroni, si sostituisce uno di
questi con un sincrono sovreccitato che svolge così la doppia funzione di motore e rifasatore.

b) All'arrivo delle linee di trasmissione, collegati in derivazione e funzionanti a vuoto,


opportunamente sovreccitati svolgono la funzione di condensatori sincroni. In tal modo è possibile
disimpegnare gli alternatori delle centrali dalla erogazione di potenza reattiva induttiva.

c) All'arrivo delle linee di trasmissione, collegati in derivazione, funzionanti a vuoto e fortemente


sovreccitati danno luogo ad elevati sfasamenti in anticipo per cui si determina negli alternatori in
centrale una sopraelevazione di tensione (effetto Ferranti) anziché una caduta. E' perciò possibile
regolare il valore della tensione nei centri di consumo. Il sincrono, ubicato nelle stazioni di
trasformazione, funziona come regolatore della tensione al variare del carico.

Misure sulle macchine sincrone, generalità

Il campo delle misure sulle macchine elettriche è vastissimo e coinvolge problematiche riguardanti
le normative e le certificazioni, oltre il collaudo delle macchine medesime. La parte che noi
tratteremo è quella direttamente utile alla comprensione del funzionamento delle macchine ed alla
verifica di quanto affermato in teoria, inoltre ci limiteremo a quelle prove per le quali abbiamo
l'attrezzatura necessaria al loro effettivo svolgimento. In ogni caso tutto ciò che verrà esposto
rispetterà le prescrizioni che il Comitato Elettrotecnico Italiano prevede e dispone relativamente alle
prove sulle macchine elettriche e che si trova riassunto nelle apposite norme CEI.

Si possono distinguere i seguenti tipi di prove:

a) prove di carattere generale: sono comuni a tutte le macchine elettriche e comprendono le prove di
riscaldamento, le prove di isolamento e le prove di rendimento;

b) prove speciali (che studieremo): sono specifiche per ogni singolo tipo di macchina e riguardano
essenzialmente la determinazione delle varie caratteristiche di funzionamento;

c) prove sul rumore acustico e sulla compatibilità elettromagnetica.


Dati di targa per le macchine sincrone

Tipo di macchina (generatore o motore).

Tipo di servizio e, se del caso, durata dei cicli e rapporto di intermittenza.

Potenza nominale, è la potenza elettrica apparente [VA] erogata nei generatori, la potenza
meccanica [W] erogata all'albero nei motori nelle condizioni nominali di funzionamento.

Tensione nominale, è la tensione concatenata [V] ai morsetti statorici.

Corrente nominale e tipo (alternata), è la corrente [A] assorbita nei motori, erogata nei generatori in
condizioni nominali di funzionamento.

Frequenza nominale in [Hz] e numero delle fasi, la frequenza è quella negli avvolgimenti statorici.

Velocità nominale in [giri/1'], è la velocità di rotazione dell'albero della macchina.

Sovravelocità ammissibile in [giri/1'], solo per i generatori accoppiati a turbine idrauliche.

Classe di isolamento o sovratemperature ammissibili.

Collegamento delle fasi nei circuiti d'indotto (stella o triangolo).

Fattore di potenza della corrente nominale.

Tensione e corrente (continue) di eccitazione nominali.

Senso di rotazione.

Momento d'inerzia delle masse rotanti.

Oltre ai dati di targa, altre grandezze caratteristiche molto importanti per gli alternatori (che quindi è
bene conoscere), sono:

Perdite meccaniche, perdite nel ferro, perdite Ohmiche nell'indotto, perdite per l'eccitazione.

Rendimento nelle condizioni nominali di funzionamento.

Variazione della tensione d'uscita da carico a vuoto.

Variazione dell'eccitazione da carico a vuoto.

Prove speciali sulle macchine sincrone

Le caratteristiche che si devono ricavare sono:

a) per i generatori:

1) caratteristica di magnetizzazione, è l'andamento della f.e.m. stellata a vuoto in funzione della


corrente di eccitazione per una frequenza (e quindi una velocità) costante e pari alla nominale:
E0 = f(Ie) , f = fn = cost. , I = 0 [A]

2) caratteristica di cortocircuito, è l'andamento della corrente erogata in funzione della corrente di


eccitazione per una frequenza (e quindi una velocità) costante e pari alla nominale e per una
tensione d'uscita nulla:

ICC = f(Ie) , f = fn = cost. , V = 0 [V]

3) caratteristica a carico swattato (che noi non studieremo), è l'andamento della tensione a carico in
funzione della corrente di eccitazione per un f.d.p. uguale a zero in ritardo per diversi valori costanti
della corrente erogata:

ϕ = 0 r , I = cost.
V = f(Ie) , f = fn = cost. , cosϕ

4) caratteristica esterna, è l'andamento della tensione ai morsetti dell'alternatore in funzione della


corrente erogata, per una frequenza (e quindi una velocità) costante e pari alla nominale, per una
corrente di eccitazione costante e per un valore costante del cosϕϕ:

ϕ = cost. , Ie = cost.
V = f(I) , f = fn = cost. , cosϕ

5) caratteristica di regolazione, è l'andamento della corrente di eccitazione in funzione della


corrente erogata, per una frequenza (e quindi una velocità) costante e pari alla nominale, per una
tensione d'uscita costante e pari al valore nominale e per un valore costante del cosϕϕ:

ϕ = cost. , V = Vn = cost.
Ie = f(I) , f = fn = cost. , cosϕ

b) per i motori:

6) caratteristiche elettromeccaniche (che noi non studieremo), sono l'andamento della velocità e
della coppia in funzione della corrente per tensione ai capi della macchina costante e pari al valore
nominale, per frequenza costante e pari al valore nominale, per corrente di eccitazione e cosϕϕ
costanti:

ϕ = cost. , V = Vn = cost. , Ie = cost.


n = f(I) , C = f(I) , f = fn = cost. , cosϕ

7) caratteristica meccanica (che noi non studieremo), è l'andamento della coppia in funzione della
velocità per una tensione costante e pari al valore nominale, alla frequenza nominale e per corrente
ϕ costanti:
di eccitazione e cosϕ

ϕ = cost. , V = Vn = cost. , Ie = cost.


C= f(n) , f = fn = cost. , cosϕ

c) per generatori e motori:

8) curva del rendimento (che noi non studieremo), è l'andamento del rendimento in funzione della
corrente (erogata per i generatori, assorbita per i motori) mantenendo costante e pari al valore
ϕ costanti:
nominale la frequenza (e la tensione per i motori) e per corrente di eccitazione e cosϕ

η= f(I) , f = fn = cost. , cosϕ


ϕ = cost. , Ie = cost. , V = Vn = cost. (per i motori).
9) curve a "V", sono l'andamento della corrente di macchina in funzione della corrente di
eccitazione (o della f.e.m. a vuoto) per frequenza uguale alla frequenza nominale e costante, per
tensione ai morsetti costanti e pari al valore nominale e per potenza resa (nei generatori) o assorbita
(nei motori) costante:

I= f(Ie) o I = f(E0) , f = fn = cost. , V = Vn = cost. , P = cost.

A seconda della potenza e quindi del rendimento della macchina, queste caratteristiche si possono
ricavare con il metodo diretto (per macchine con rendimento minore del 90%) o col metodo
indiretto (per quelle con rendimento maggiore del 90%).

Misura della resistenza Ohmica di una fase dell'indotto di un alternatore

Vedi quanto già detto per la misura della resistenza degli avvolgimenti statorici del motore
asincrono trifase. Il risultato della prova è la resistenza equivalente a stella di una fase dell'indotto
associata alla temperatura di prova:

R0t [Ω] , t [°C]


Prova a vuoto di un alternatore

Serve per la determinazione della caratteristica di magnetizzazione e della f.e.m. a vuoto E0n
corrispondente alla eccitazione nominale Ien.

Il circuito di misura consigliato è il seguente:

Tutti gli strumenti di misura impiegati devono essere di classe di precisione pari a 0,5 o migliore,
così che si possano trascurare gli errori sistematici strumentali.

Il voltmetro deve essere per corrente alternata e di resistenza interna la più alta possibile onde
evitare che, durante la prova, la macchina eroghi una corrente apprezzabile.

L'amperometro deve essere per corrente continua, ad esempio magnetoelettrico.

La velocità dell'albero del generatore può essere misurata con un contagiri, meccanico od
elettronico.

Il motore primo che deve trascinare il generatore è bene che sia un motore a corrente continua e ad
eccitazione separata in quanto tale motore è finemente regolabile nei confronti della velocità. La sua
potenza è sufficiente che sia quella necessaria a vincere le perdite a vuoto del generatore che, come
visto in teoria, sono le (Pm + PFe0) ed ammontano allo (0,5 ÷ 4)% della potenza nominale.

La sorgente di eccitazione deve essere per corrente continua ed in grado di erogare una corrente
almeno 1,5 volte quella nominale di eccitazione riportata sulla targa del generatore. L'interruttore K
posto in serie serve a determinare la certa condizione di eccitazione nulla.

La prova inizia con l'avviamento del motore primo (accoppiato coassialmente al generatore) e la
regolazione della sua velocità al valore nominale della velocità del generatore [g/1'].
Quindi si effettua la prima lettura del voltmetro con l'interruttore K aperto, condizione di
eccitazione nulla. A causa del magnetismo residuo si avrà una indicazione non nulla del voltmetro
e, quindi, una f.e.m. residua a vuoto pari a [V]. Quindi si chiuderà l'interruttore K e,
intervenendo sul reostato di campo RC, si rileveranno diversi valori della f.e.m. a vuoto per diversi
valori crescenti della corrente di eccitazione. Si andrà oltre la corrente nominale di eccitazione
portando il nucleo in piena saturazione. Il tratto di caratteristica così rilevato è chiamato crescente.

Raggiunta la piena saturazione si darà inizio al rilievo del tratto di caratteristica chiamato
decrescente, allo scopo si ridurrà progressivamente la corrente di eccitazione ed infine si riaprirà
l'interruttore K.

A causa dell'isteresi del circuito magnetico (siamo nel caso di eccitazione in corrente continua) il
tratto decrescente è sempre al di sopra del tratto crescente e, per tale motivo, si assumerà quale
caratteristica di magnetizzazione E0 = f(Ie) dell'alternatore la linea intermedia tra i due tratti. Il
diagramma che si ottiene è riportato negli appunti di teoria, assieme a varie considerazioni sulla
caratteristica medesima.

In corrispondenza della eccitazione nominale Ien [A] si andrà a leggere la f.e.m. corrispondente
E0n [V]. Quindi si valuterà la corretta, o meno, posizione del punto di lavoro nominale sulla
caratteristica.

Osservazioni:

a) E' bene ricordare che per le macchine sincrone, a parità di eccitazione, la f.e.m. a vuoto è
direttamente proporzionale alla velocità di rotazione, per cui se qualche rilevamento viene fatto ad
una velocità diversa basta ricondurlo alla velocità nominale mediante una semplice proporzione.

b) E' importantissimo procedere separatamente al rilevamento dei tratti crescente e decrescente


operando sempre con, rispettivamente, incrementi e decrementi della corrente di eccitazione. Infatti
ogni cambiamento del segno della variazione della corrente di eccitazione comporta il passaggio da
un tratto all'altro di un generico ciclo d'isteresi.

c) Di solito risulta difficile rilevare i punti che si trovano sul ginocchio del tratto crescente a causa
dell'intenso richiamo di corrente di magnetizzazione appena si entra in detta zona. Questo fatto è
particolarmente evidente se la regolazione della corrente di eccitazione viene fatta mediante la
variazione della tensione applicata all'induttore (come avviene nel nostro laboratorio) piuttosto che
attraverso il reostato di campo. Accade quindi di passare direttamente dalla zona lineare a quella di
saturazione. Si può rimediare a questo inconveniente aumentando i punti nella zona del ginocchio
quando si rileva il tratto decrescente.

Prova di cortocircuito di un alternatore


Serve alla determinazione della corrente di cortocircuito permanente e del rapporto di cortocircuito,
oltre che al tracciamento della caratteristica di cortocircuito.

Il circuito di misura è sostanzialmente lo stesso della prova a vuoto, solo che va tolto il voltmetro in
uscita e vanno inseriti tre amperometri per correnti alternate per misurare le correnti erogate dalle
singole fasi dell'alternatore. Se tali correnti sono oltre le portate degli amperometri disponibili in
laboratorio, si dovranno inserire attraverso dei TA. E' necessario predisporre tre amperometri uguali
sia per conservare le condizioni di equilibrio in uscita all'alternatore che per controllare il corretto
funzionamento della macchina.

Per il rilievo della caratteristica di cortocircuito si parte da una corrente di eccitazione uguale a zero
e si legge il valore della corrente di cortocircuito dovuta al magnetismo residuo, poi si aumenta la
corrente di eccitazione e si leggono, di volta in volta, i valori di corrente erogati dalla macchina,
sino ad arrivare ad un valore di corrente erogata di poco superiore al valore nominale.

Coi valori letti si traccia la caratteristica di cortocircuito e da essa si rileva, in corrispondenza della
eccitazione nominale, la corrente di cortocircuito permanente.

Inoltre si calcola il rapporto di cortocircuito, ovvero il rapporto tra la corrente di eccitazione


necessaria per avere a vuoto la tensione d'uscita nominale e la corrente di eccitazione per avere una
corrente di cortocircuito uguale alla corrente nominale. Tale rapporto è significativo ai fini della
stabilità del generatore, valori normali sono 0,5÷ ÷0,6 per turboalternatori raffreddati ad aria,
0,75÷÷0,85 per turboalternatori raffreddati ad idrogeno, 0,8÷ ÷1,1 per alternatori ad elevata velocità
accoppiati a turbine idrauliche, 1,1÷ ÷1,3 per alternatori a bassa velocità accoppiati a turbine
idrauliche.

Ulteriori importanti indicazioni sulla prova in cortocircuito sono riportate negli appunti di teoria.

Osservazione : la prova si può anche eseguire ad una velocità diversa dalla nominale, purché si
rimanga entro limiti di velocità per i quali la resistenza degli avvolgimenti di indotto sia trascurabile
rispetto alla reattanza sincrona.

Determinazione dell'impedenza sincrona e delle varie caratteristiche

Determinazione dell'impedenza sincrona e modello di Behn-Eschemburg

Vedi gli appunti di teoria.

Caratteristiche esterne

Vedi gli appunti di teoria. Su tali caratteristiche, per un determinato sfasamento d'uscita e per
eccitazione nominale, è possibile calcolare la variazione di tensione da carico a vuoto:

dove Vn è la tensione d'uscita con corrente erogata nominale, V0 è la tensione d'uscita a vuoto.

Curve di regolazione
Vedi gli appunti di teoria. Su tali caratteristiche, per un determinato sfasamento d'uscita e per
tensione d'uscita nominale, è possibile calcolare la variazione dell'eccitazione da carico a vuoto
necessaria per mantenere costante la tensione d'uscita:

dove Ien è la corrente di eccitazione per avere l'erogazione della corrente nominale e Ieo è
l'eccitazione a vuoto.

Curve a "V"

Vedi gli appunti di teoria.

Rilievo diretto delle caratteristiche di un alternatore

Le caratteristiche esterne, le curve di regolazione e le curve a "V" possono anche essere rilevate
direttamente. Tale metodo è particolarmente indicato per le macchine di piccola potenza.

Il circuito per la misura è il seguente:

Il carico è realizzato mediante un reostato trifase con in parallelo un motore sincrono (funzionante a
vuoto). Il reostato fornisce il carico reale mentre il motore sincrono fornisce il carico reattivo
(induttivo se il motore è sottoeccitato, capacitivo se è sovraeccitato). La costanza del f.d.p.
complessivo del carico è verificabile mediante la costanza del rapporto tra le indicazioni dei due
wattmetri inseriti secondo Aron. Le caratteristiche si rilevano per il f.d.p. nominale e dopo aver
fatto lavorare a carico nominale l'alternatore per un tempo sufficiente al raggiungimento della
condizione di regime termico.

Caratteristiche esterne: dopo aver portato la macchina alla sua velocità nominale, si regolano
l'eccitazione ed il carico in modo da iniziare la prova dalle condizioni nominali (Vn, In, fn, cosϕ ϕn,
Ien) per cui la caratteristica verrà tracciata a ritroso. Deve essere possibile rilevare anche il valore
della tensione d'uscita a vuoto. Il carico si diminuisce regolando insieme il reostato R e l'eccitazione
del motore in modo che sia W1 / W2 = cost.
Curve di regolazione : al variare del carico si dovrà regolare la corrente di eccitazione in modo da
mantenere costante la tensione d'uscita dell'alternatore, con frequenza e f.d.p. costanti e pari ai
valori nominali. Per questa prova si parte inizialmente dalla condizione di funzionamento a vuoto.

Curve a "V" : si carica la macchina e si realizzano le condizioni di potenza reale erogata e tensione
d'uscita pari ai valori nominali. Quindi si fa variare la corrente di eccitazione del generatore
verificando la corrente erogata. Per facilitare il controllo della potenza è bene sostituire i due
wattmetri in Aron con un solo wattmetro su centro stella artificiale: se l'indicazione dovesse variare
sarà necessario regolare la coppia motrice del motore primo che trascina l'alternatore dopo aver
regolato il carico. E' importante che le regolazioni del carico verifichino anche la condizione di
tensione d'uscita costante. Molto spesso la prova sui generatori si esegue realizzando il parallelo
dell'alternatore con la rete Enel. In questo modo, essendo la rete Enel enormemente prevalente sulla
macchina in prova, si ha la certezza che la frequenza e la tensione d'uscita rimangono costanti.
Basterà variare l'eccitazione e la coppia motrice applicata all'alternatore per realizzare le condizioni
richieste per il tracciamento delle curve.
Misura del rendimento di un alternatore

Metodi diretti

Sono adatti per macchine di piccola potenza. Si deve trascinare l'alternatore in rotazione sotto carico
mediante un dispositivo atto a fornire la misura diretta della potenza meccanica assorbita all'asse
(ad esempio un motore tarato). La misura della potenza erogata può essere fatta mediante due
wattmetri inseriti in Aron. La specifica condizione di carico si può realizzare come nei metodi
diretti precedentemente descritti. Le caratteristiche del rendimento in funzione del carico hanno
l'andamento studiato in teoria.

Nelle centrali idroelettriche si esegue la misura diretta del rendimento complessivo


dell'installazione: per ogni condizione di carico si misura la portata d'acqua Q [m3/s] assorbita dalla
turbina, il livello H [m] esistente tra il pelo libero dell'acqua a monte delle condotte forzate ed il
pelo libero nel canale di scarico. La potenza idraulica spesa per l'azionamento della centrale vale
allora Pi = 9,81·Q·H [KW]. Se P [KW] è la potenza elettrica misurata ai morsetti d'uscita dei
trasformatori elevatori posti a valle dei generatori, sarà il rendimento dell'impianto
comprensivo di tutte le perdite idrauliche, meccaniche ed elettriche.

Nelle centrali termoelettriche invece si usa comunemente esprimere il rendimento globale in modo
indiretto, determinando il peso di combustibile che si deve bruciare per ogni [KWh] di energia
elettrica erogata dalla centrale.

Metodi indiretti

Si basano sulla determinazione separata delle perdite:

a) Le perdite meccaniche Pm e le perdite nel ferro Pfen si possono ritenere pressoché costanti per
variazioni contenute del carico, purché siano costanti la tensione d'uscita, la frequenza e la velocità.
Si possono misurare col metodo della macchina sincrona funzionante come motore a vuoto. Si fa
funzionare la macchina come motore a vuoto con eccitazione tale da dar luogo ad un assorbimento
di corrente con f.d.p. unitario. Mediante due wattmetri in Aron si misura la potenza assorbita dal
motore P0 e, quindi:

Facendo diverse prove per diversi valori di tensione applicata si ricavano le caratteristiche (Pm +
Pfe) = f(V) e mediante l'estrapolazione a V = 0 si trova il valore di Pm e, infine, per differenza, il
valore delle Pfen (il procedimento e le curve ottenute sono simili a quanto già visto per il motore
asincrono).

b) Le perdite per eccitazione Pec si ricavano in base alla resistenza complessiva degli avvolgimenti
induttori e del reostato di campo ed alla corrente di eccitazione secondo la relazione Pec = (RAI +
RC)·Ie2 . Se l'alternatore è provvisto di una dinamo eccitatrice coassiale, si devono considerare
anche le perdite nella dinamo per cui l'espressione delle perdite diventa:

c) Le perdite nelle spazzole Ps sono convenzionalmente poste pari a Ps = 2·Ie [W].

d) Le perdite Joule nell'indotto PJ = 3·R0·I2 [W].

e) Le perdite addizionali PAD.

Tali perdite possono essere determinate facendo una prova come generatore in cortocircuito con
corrente nell'indotto uguale a quella nominale ed eccitazione ridotta. Infatti misurando con un
motore tarato la potenza meccanica che l'alternatore assorbe e detraendo da tale potenza le perdite
meccaniche e le perdite per effetto Joule negli avvolgimenti d'indotto (le perdite nel ferro si possono
trascurare) quello che rimane sono appunto le perdite addizionali.

Le perdite addizionali si possono anche determinare facendo una prova della macchina funzionante
come un motore sincrono a vuoto e con l'eccitazione regolata in modo tale da assorbire dalla rete la
corrente nominale. In tali condizioni la potenza elettrica assorbita dalla rete rappresenta la somma
delle perdite addizionali, delle perdite nel ferro, delle perdite meccaniche e delle perdite per effetto
Joule nell'indotto così che, note le altre perdite, è possibile calcolare quelle addizionali.

Se PE è la potenza elettrica erogata dall'alternatore (misurabile con un'inserzione Aron), il


rendimento indiretto si calcolerà come:

Osservazione: quanto detto vale anche per il motore sincrono. Ovviamente in tale caso il
rendimento è da intendersi come rapporto tra la potenza meccanica PM erogata all'albero e la
potenza ( PM + PP ) [W].

Osservazione: per il calcolo delle perdite Joule, sia quelle del circuito d'eccitazione che quelle del
circuito d'indotto, bisogna fare riferimento alle resistenze riportate alla temperatura convenzionale
di riferimento. Le perdite addizionali non devono essere invece riportate alla temperatura
convenzionale di riferimento.

Macchine in corrente continua


Indice dei contenuti:

1. Generalità
2. Principio di funzionamento della dinamo
3. Funzionamento a vuoto della dinamo
4. Reazione d'indotto nella dinamo
5. La commutazione nella dinamo
6. Avvolgimenti compensatori e poli ausiliari nella dinamo
7. Coppia elettromagnetica frenante nella dinamo
8. Dinamo con eccitazione indipendente
9. Dinamo con eccitazione derivata
10. Dinamo con eccitazione serie
11. Dinamo con eccitazione composta
12. Perdite e rendimento
13. Collegamento tra dinamo, cenni
14. Motori in corrente continua, generalità
15. Motore ad eccitazione derivata e ad eccitazione indipendente
16. Motore con eccitazione in serie
17. Motore con eccitazione composta
18. Gruppi Ward-Leonard
19. Fuga del motore a corrente continua

Generalità sulle macchine in corrente continua

La macchina in corrente continua è reversibile, cioè può funzionare sia come generatore
(trasformando energia meccanica in energia elettrica) che come motore (effettuando la
trasformazione inversa). Nonostante l'impiego come motore sia largamente prevalente, noi
prenderemo inizialmente in considerazione il generatore (chiamato comunemente dinamo) al fine di
facilitare la comprensione dei fenomeni che avvengono nella macchina

Principio di funzionamento della dinamo

La dinamo è un generatore di corrente continua (diversamente dall'alternatore che è un generatore


di corrente alternata).
La figura mostra le parti costituenti una dinamo, con riferimento al caso di una macchina a due poli
e due vie interne. Per alcuni aspetti, che chiariremo più avanti, le macchine attuali differiscono
significativamente dalla schematizzazione fatta, in particolare gli avvolgimenti d'indotto sono
realizzati a tamburo e la corrente continua generata è erogata attraverso un sistema di spazzole e
collettore a lamelle.

Il sistema induttore è ricavato nello statore della macchina: si compone di un nucleo di ferro
massiccio che ha la funzione di convogliare il campo magnetico verso i poli (la cui espansione,
chiamata anche scarpa polare è realizzata mediante lamierini per ridurre le perdite nel ferro dovute
al pennellamento delle linee di campo magnetico nel passaggio dallo statore al rotore) e di un
avvolgimento induttore eccitato in corrente continua Ie che ha lo scopo di generare il campo
magnetico induttore.

Il sistema d'indotto è ricavato nel rotore ed è costituito da un nucleo realizzato con lamierini
essendo il campo magnetico nel rotore variabile e dall'avvolgimento d'indotto (chiamato anche
d'armatura) chiuso in cortocircuito. Nella figura tale avvolgimento è raffigurato nella forma
dell'anello di Pacinotti.

La corrente continua I viene erogata mediante due spazzole di opportuno materiale che appoggiano
sui conduttori attivi che costituiscono l'avvolgimento d'indotto in una zona ove tali conduttori sono
privi d'isolamento (ovviamente non è questo il sistema praticamente impiegato, bensì il collettore a
lamelle che vedremo più avanti). Tali spazzole, sistemate sull'asse interpolare (asse neutro), sono
tenute ferme assieme allo statore e, quindi, realizzano un contatto strisciante al rotore.

Immaginiamo ora che l'avvolgimento induttore sia percorso dalla corrente d'eccitazione continua Ie
[A] così che ciascun polo sia attraversato dal flusso costante Φpp [Wb], inoltre il rotore sia
trascinato alla velocità Ω [rad/s] da un motore primo esterno. I conduttori situati nella parte esterna
dell'anello, tagliando le linee del campo magnetico induttore, saranno sede di f.e.m. indotte che, per
la regola della mano destra, saranno entranti nella parte sinistra dell'anello ed uscenti nella parte
destra. I conduttori che si trovano invece nella parte interna dell'anello non saranno sede di alcuna
f.e.m. in quanto il campo magnetico induttore rimanendo confinato nel nucleo dell'anello non
taglierà tali conduttori (ecco spiegato perché tali conduttori del tutto inattivi vengono eliminati
mediante la realizzazione dell'avvolgimento d'indotto a tamburo). Durante la rotazione, uno stesso
conduttore si troverà alternativamente sotto i poli induttori Nord e Sud, così che la f.e.m. in ciascun
conduttore sarà alternata nel tempo (noi faremo una trattazione di prima armonica supponendo così
sinusoidale tale f.e.m.). Più precisamente la f.e.m. istantanea in un conduttore è nulla quando il
conduttore attraversa l'asse interpolare y - y , è massima positiva o negativa quando attraversa l'asse
polare x - x.

A causa della simmetria con la quale i conduttori sono collocati sull'anello, la f.e.m. alternata in
ciascun conduttore risulta sfasata di un angolo pari ad rispetto a quella nel
conduttore adiacente. Nel nostro caso, essendo il numero di conduttori attivi N = 16 ed essendo il
numero di coppie polari p = 1 , avremo α = 22,5°. Gli N conduttori si trovano in serie tra di loro
così che è nulla la f.e.m. complessiva che agisce nell'indotto essendo questa data dalla somma
vettoriale di N vettori uguali in intensità e disposti a stella simmetrica. Non è invece nulla la somma
delle f.e.m. di una metà dei conduttori, ad esempio la somma delle f.e.m. dei conduttori da 1 a 8
sarà pari ad E.

E' possibile determinare un'espressione approssimata della E. Infatti se il numero di conduttori N è


abbastanza grande (come accade in realtà), il poligono ottenuto sommando le f.e.m. negli N
conduttori si può confondere con la circonferenza ad esso circoscritta:

Se chiamiamo eM il valore massimo di ciascuna f.e.m. indotta, la lunghezza della circonferenza


circoscritta varrà oppure, considerando che il valore massimo E della f.e.m. raccolta ai
capi dei primi N/2 conduttori è anche il diametro della circonferenza, . Eguagliando i due
secondi membri si ha . Ancora, ricordando il legame tra valore massimo e valore
medio in un semiperiodo per una grandezza sinusoidale e sostituendo si ha:

ovvero il valore massimo della f.e.m. raccolta ai capi dei primi N/2 conduttori vale N/2 volte il
valore medio della f.e.m. indotta in ciascuno.

Se indichiamo con T [s] il tempo impiegato dal rotore a compiere un giro e con Φpp [Wb] il flusso
per polo, avremo che il valore medio della f.e.m. indotta in ciascun conduttore attivo in seguito al
passaggio di un polo sotto al conduttore varrà, nel caso di macchine a due poli:

Volendo introdurre la velocità n [giri/1'] di rotazione del rotore:

Sostituendo nell'espressione della f.e.m. massima raccolta ai capi dei primi N/2 conduttori si
ottiene:

dove [rad/s] è la velocità angolare del rotore. Tale espressione è ovviamente


approssimata, infatti si è supposto di considerare il poligono coincidente con la circonferenza
circoscritta, si è fatta una trattazione di prima armonica e non si è tenuto conto del fatto che i vettori
rappresentativi delle f.e.m. indotte nei singoli conduttori attivi modificano la loro posizione sul
piano di Gauss quando, durante la rotazione del rotore, i conduttori assumono una configurazione
non simmetrica (o comunque diversa da quella esposta in figura). Per tali motivi la f.e.m. raccolta ai
capi dei primi N/2 conduttori oscilla fra un valore massimo ed un valore minimo (valori che
tendono ad avvicinarsi tra di loro tanto più quanto più è elevato N).
A questo punto possiamo dire che ciascun conduttore attivo dell'indotto è sede di una f.e.m.
sinusoidale nel tempo, la f.e.m. che agisce nell'intero circuito d'indotto è nulla mentre quella che si
raccoglie nei conduttori posti sotto uno stesso polo (N/2 per macchine bipolari) ha un valore
massimo pari ad E. Se disponiamo due spazzole conduttrici A e B in corrispondenza degli interassi
polari avremo che la f.e.m. tra tali spazzole varrà costantemente E, infatti pur ruotando l'indotto si
avranno sempre N/2 conduttori a destra delle spazzole e N/2 conduttori a sinistra delle spazzole. La
serie di conduttori attivi disposti sotto uno stesso polo è chiamata via interna dell'indotto, nel nostro
esempio abbiamo due vie interne. La direzione delle f.e.m. in ciascuna delle due vie interne è tale
per cui la spazzola A vede la f.e.m. uscire mentre la spazzola B vede la f.e.m. entrare, quindi la
spazzola A è positiva rispetto alla spazzola B. In tal modo tra le spazzole è disponibile una tensione
V che, a meno di cadute di tensione interne, è pari alla f.e.m. costante E. Se si collega una
resistenza Ru si ha l'erogazione di corrente continua I [A]. La figura mostra il circuito equivalente
di una dinamo ideale (nessuna resistenza interna) a due vie interne.

Risulta evidente la precarietà del contatto tra le spazzole ed i conduttori attivi, a ciò si rimedia
mediante il sistema spazzole e collettore a lamelle. Ciascun conduttore attivo viene collegato
elettricamente con una lamella metallica riportata sul collettore coassiale con l'albero del rotore
(ovviamente le lamelle contigue, pur vicinissime, sono tra di loro isolate). In coincidenza con gli
interassi polari sono poi sistemate rigidamente le spazzole, ciascuna spazzola ha una larghezza
sufficiente a farle toccare due lamelle contigue.

Funzionamento a vuoto della dinamo

La dinamo si dice funzionante a vuoto quando, con l'induttore eccitato con la corrente Ie [A] e
l'indotto trascinato in rotazione a velocità costante n [g/1'] , Ω [rad/s], ha i morsetti d'uscita aperti,
ovvero I = 0, Ru = ∞ . In tali condizioni è nulla anche la corrente nelle vie interne e l'unico flusso
presente nella macchina è quello induttore principale Φ0 [Wb].

La f.e.m. che si raccoglie tra le spazzole ha l'espressione che abbiamo dimostrato per il caso di una
macchina a due poli e due vie interne. Nel caso più generale di 2·p poli e 2·a vie interne si ha:
dove N è il numero totale dei conduttori attivi d'armatura. Se nulla viene detto al riguardo, si pone
sempre 2·a = 2·p. Solo se si specifica che l'indotto ha l'avvolgimento ondulato (chiamato in serie) si
porrà 2·a = 2 indipendentemente dal numero di poli (l'avvolgimento ondulato è usato per dinamo
che generano elevate tensioni e piccole correnti; se si desidera generare piccole tensioni ma elevate
correnti si usa l'avvolgimento embricato (chiamato in parallelo)).

Si osserva come la f.e.m. a vuoto (e quindi anche la tensione d'uscita a vuoto) sia direttamente
proporzionale al flusso per polo ed alla velocità. Variando l'una o l'altra di queste due grandezze è
possibile variare la tensione d'uscita della dinamo. E' possibile tracciare la caratteristica di
magnetizzazione della dinamo a velocità costante, del tutto uguale a quella già studiata per
l'alternatore.

Reazione d'indotto nella dinamo

Si manifesta quando alla dinamo, eccitata e trascinata in rotazione, è applicata una resistenza di
carico Ru [Ω]. In tali condizioni la dinamo eroga corrente continua I [A] ed anche nelle sue vie
interne circolerà corrente ( pari ad I/2 se le vie interne sono due).

In tutte le macchine si verifica una distorsione del campo magnetico a carico rispetto al campo
magnetico a vuoto. Questo perché al campo magnetico induttore principale H0 si sovrappone il
campo magnetico d'indotto HI generato dalla corrente circolante nelle vie interne. Il campo
d'indotto ha le linee di forza che sono trasversali rispetto a quelle del campo induttore, ovvero è
come se si presentassero due poli NI ed SI allineati sull'asse interpolare ed arretrati di mezzo passo
polare rispetto a quelli dell'induttore. Ne risulta un campo magnetico complessivo a carico H
distorto rispetto a quello che si aveva a vuoto, con l'asse neutro y',y' non più coincidente con l'asse
interpolare dell'induttore ma spostato in avanti (secondo il senso di rotazione dell'indotto) di un
angolo β .

Mantenendo le spazzole sull'asse interpolare y, y accade che in ciascuna delle due vie interne alcuni
conduttori attivi (due nella nostra raffigurazione) sono sede di f.e.m. opposte a quelle che agiscono
nella rimanente parte della via interna. Questo fatto determina una significativa caduta di f.e.m. per
reazione d'indotto:

∆E = E0 - E [V]
dove E0 è la f.e.m. alle spazzole a vuoto, E quella a carico.

Nelle macchine sature (cioè col circuito magnetico che si trova a lavorare in saturazione, od almeno
nel ginocchio che la precede) si verifica inoltre una riduzione del flusso per polo e, quindi, una
maggior caduta di f.e.m. nel passaggio da vuoto a carico.

Infatti, con riferimento alla figura che rappresenta la macchina sviluppata in piano nella zona
interessata dal polo Nord, si osserva che le linee di induzione del campo magnetico induttore H0
sono dirette verso il basso, mentre quelle del campo magnetico d'indotto HI vanno verso l'alto nella
zona d'entrata e verso il basso nella zona d'uscita della scarpa polare. Il campo magnetico
complessivo (somma di quello induttore e di quello d'indotto) sarà allora indebolito in entrata e
rafforzato in uscita. Se il ferro è lontano dalla saturazione, alle due variazioni del campo
corrispondono in modo proporzionale due variazioni di induzione così che il flusso complessivo del
polo rimane invariato. Se il ferro è in saturazione, alla diminuzione del campo corrisponde una
proporzionale diminuzione dell'induzione mentre all'aumento del campo corrisponde un aumento
piccolissimo di induzione così che il flusso complessivo per polo diminuisce e con esso cala la
f.e.m. indotta.

Infine la distorsione del campo magnetico produce, nelle zone immediatamente precedenti all'asse
interpolare (ove si trovano le spazzole), un gradiente molto elevato d'induzione magnetica (cioè una
variazione molto rapida del valore di induzione per punti anche poco distanti tra di loro). Questo
aspetto è molto più marcato per le dinamo non sature, infatti la saturazione impedisce all'induzione
di poter assumere valori significativamente maggiori di quelli propri della saturazione medesima. A
causa della diversissima induzione per conduttori d'indotto tra loro vicini si avranno in tali
conduttori f.e.m.i. altrettanto diverse e, quindi, elevate differenze di potenziale tra le lamelle
contigue del collettore cui i conduttori fanno capo. Essendo tali lamelle, seppure isolate, molto
vicine, si crea la possibilità di scariche tra le lamelle contigue, tanto più probabili quanto più è
grande la distorsione del campo magnetico e l'intensità della corrente erogata dalla dinamo. Tali
scariche possono produrre importanti effetti termici e, quindi, il deterioramento delle lamelle e
dell'isolante interposto. Se ciò accade, il collettore si deformerà e le lamelle non presenteranno più
una superficie liscia, le spazzole incominceranno a saltare nel loro passaggio sulle lamelle
deformate e, in poco tempo, si arriverà alla distruzione del collettore.
Osservazione: in anni passati si ricorreva allo spostamento delle spazzole dall'asse interpolare y, y
all'asse neutro y', y'. Questa soluzione permetteva di evitare lo scintillamento tra le lamelle in
prossimità delle spazzole ma determinava una forte smagnetizzazione della macchina con una
conseguente vistosa diminuzione della f.e.m. da vuoto a carico. Infatti lo spostamento delle
spazzole dall'asse interpolare y, y all'asse neutro y', y' determina uno spostamento del campo
d'indotto rispetto ai poli induttori e fa si che il campo d'indotto non sia più trasverso rispetto al
campo induttore, quindi si ha che sotto ciascun polo induttore viene ad agire una componente
significativa di campo d'indotto che si oppone al campo induttore e determina una smagnetizzazione
del polo molto più grande di quella dovuta alla distorsione del campo. La soluzione dello
spostamento delle spazzole attualmente è stata abbandonata.

Osservazione: quando la dinamo passa da vuoto a carico, come già si è visto, si creano dei poli
d'indotto N' , S' che si trovano spostati arretrati (con riferimento al senso di rotazione dell'indotto)
di mezzo passo polare rispetto agli omonimi poli induttori. E' evidente che tra i poli induttori ed i
poli d'indotto scaturiscono delle forze che, come è facile verificare, danno origine ad una coppia
elettromagnetica frenante che si oppone alla rotazione dell'indotto. Quindi, per mantenere in
rotazione l'indotto, si dovrà applicare una coppia motrice C attraverso il motore primo che trascina
l'indotto stesso e si dovrà spendere una potenza meccanica Pa = Ω·C [W] che, a meno delle perdite,
verrà erogata al carico sotto forma elettrica.

La commutazione nella dinamo

Quando un conduttore dell'indotto passa da una via interna all'altra (questo avviene durante il
passaggio del conduttore sotto la spazzola) si dice che il conduttore è in commutazione. All'atto
della commutazione si ha che la corrente IC [A] nel conduttore cambia verso ed il contatto
strisciante tra spazzola e lamelle del collettore viene sottoposto ad importanti sollecitazioni
termiche.

Nel caso ideale, trascurando tutte le f.e.m. indotte nella spira che sta commutando, trascurando la
resistenza dei conduttori che costituiscono la spira stessa, considerando la sola resistenza del
contatto spazzola-lamella e supponendo tale resistenza inversamente proporzionale alla superficie di
contatto, accade che la corrente nel conduttore in commutazione varia linearmente durante il tempo
T [s] di commutazione e la densità di corrente rimane costante su tutta la superficie del contatto.

Nel caso reale accade che:

a) nella spira in commutazione soggetta ad una variazione di corrente (passando da una via interna
all'altra la corrente nel conduttore si inverte) scaturisce una f.e.m. di autoinduzione a causa
dell'induttanza propria della spira che, per la legge di Lenz, si oppone all'inversione della corrente;
b) la distorsione del campo magnetico dovuta alla reazione d'indotto fa si che la spira in
commutazione si trovi, all'atto della commutazione, ancora sotto l'influenza del polo di provenienza
e, quindi, interessata da una f.e.m. concorde con quella che si aveva prima della commutazione, la
qual cosa ostacola l'inversione della corrente.

Il risultato complessivo sarà quello di produrre nel conduttore in commutazione una variazione
della corrente non più lineare durante il tempo T. A causa di questo si manifestano due gravi
inconvenienti:

a) la densità di corrente sotto le spazzole non è più costante, più precisamente è maggiore nella zona
d'uscita della spazzola. Tale zona subirà quindi un maggiore riscaldamento con una conseguente
maggiore usura;

b) tra la spazzola e la lamella che sta per essere abbandonata dalla spazzola si stabilisce una elevata
d.d.p. e, di conseguenza, può scoccare una scintilla tra la spazzola e la lamella nell'istante del
distacco (tale fenomeno viene favorito dall'elevata temperatura della spazzola, di cui al punto (a), e
dalle condizioni impure dell'aria circostante il collettore per la presenza di un pulviscolo derivante
dal consumo delle spazzole).

Il frequente verificarsi degli inconvenienti (a) e (b) produce una rapida usura delle spazzole e del
collettore a lamelle.

Per ridurre gli aspetti negativi conseguenti alla commutazione si può:

a) aumentare la resistenza della spira in commutazione e ridurre i flussi dispersi nell'indotto (ovvero
ridurre l'induttanza della spira). In tal modo si riduce la costante di tempo τ = L / R [s] del
transitorio di commutazione e la situazione di regime viene raggiunta in un tempo più breve. Per
aumentare la resistenza della spira si adottano spazzole a base di grafite (conduttore non Ohmico)
ad elevata caduta di tensione;

b) realizzare matasse di poche spire e calate in cave aperte (in tal modo i flussi dispersi si riducono
a causa dell'elevata riluttanza che essi incontrano nell'aria) così che sia piccola la f.e.m. autoindotta
che si oppone all'inversione della corrente;

c) realizzare l'induttore nella forma a poli sporgenti, così che la commutazione avvenga in una zona
ad elevato traferro e, quindi, ad elevata riluttanza del circuito magnetico. In tal modo saranno più
bassi i valori di induzione del flusso tagliato dalla spira prossima alla commutazione e, con ciò, più
basse saranno le f.e.m. indotte che si oppongono all'inversione della corrente nella spira.

Avvolgimenti compensatori e poli ausiliari nelle dinamo

Avvolgimenti compensatori.

Vengono utilizzati per ridurre gli effetti negativi della reazione d'indotto. Consistono in conduttori
inseriti in opportuni canali (paralleli alla generatrice del cilindro dell'indotto) ricavati nelle scarpe
polari induttrici. Tali conduttori devono essere percorsi da una corrente continua con verso opposto
ed intensità proporzionale a quella ( Ia ) che si ha nella via interna sottostante il polo. Tali
avvolgimenti sono posti in serie alle spazzole e quindi sono percorsi dalla corrente ( I ) erogata al
carico. Il campo magnetico da loro generato si oppone al campo d'indotto riducendone gli effetti
negativi.
La figura sottostante mostra, per una dinamo a quattro poli, la disposizione degli avvolgimenti
compensatori e dei poli ausiliari (dei quali parleremo tra breve):

E' possibile dimensionare il numero di conduttori compensatori Nc da porre in ciascun polo.


Indicando con In [A] la corrente nominale erogata dalla macchina, Ia [A] la corrente in ciascuna
via interna, Pn [W] la potenza nominale (potenza elettrica erogata), Vn [V] la tensione nominale
d'uscita, Cc% la porzione dell'intera circonferenza d'indotto coperta dalle espansioni polari espressa
in percento, N il numero totale di conduttori d'indotto, Np il numero di conduttori d'indotto sotto un
singolo polo, 2·a il numero di vie interne, si ha:

Infine, imponendo l'eguaglianza tra la f.m.m. d'indotto e la f.m.m. compensatrice si ha:

Poli ausiliari.

L'impiego degli avvolgimenti compensatori, riducendo la distorsione del flusso che si ha a carico,
favorisce pure una migliore commutazione. Un deciso miglioramento della commutazione si ha
attraverso l'impiego dei poli ausiliari. Tali poli vengono posti nei vani interpolari, quindi sull'asse
interpolare ove avviene la commutazione, e sono tali da indurre nelle spire in commutazione una
f.e.m. che si oppone a quelle che ostacolano la commutazione stessa. Per ottenere ciò occorre che
abbiano la polarità del polo verso il quale vanno i conduttori in commutazione e che la corrente
negli avvolgimenti che li eccitano sia quella ( I ) erogata dalla dinamo (quindi tali avvolgimenti,
come quelli compensatori, devono essere in serie alle spazzole).

Coppia elettromagnetica frenante nelle dinamo

Abbiamo già visto come, nel caso di dinamo sotto carico, la corrente presente nelle vie interne
origina dei poli d'indotto che interagiscono coi poli induttori determinando una coppia
elettromagnetica frenante.
Se E [V] è la f.e.m. presente tra le spazzole ed Ii [A] è la corrente erogata dalle spazzole (chiamata
anche corrente d'indotto), sicuramente E·Ii [W] è la potenza elettrica generata dalla dinamo. A
meno delle perdite meccaniche e nel ferro, E·Ii [W] rappresenta anche la potenza meccanica che il
motore primo fornisce alla dinamo, inoltre essendo Ω [rad/s] la velocità di rotazione dell'albero
coassiale si avrà che tale motore dovrà erogare una coppia:

In condizioni di equilibrio dinamico, questa è ovviamente anche la coppia elettromagnetica frenante


originata dalla dinamo quando essa eroga corrente

Dinamo con eccitazione indipendente

Ha il seguente schema elettrico:

In essa il circuito di eccitazione è totalmente disgiunto dal circuito d'indotto (le piccole dinamo
nelle quali il sistema induttore è costituito da un magnete permanente sono riconducibili al
medesimo modello).

Nel modello si evidenziano:

a) la tensione Ve [V] e la corrente Ie [A] d'eccitazione.

b) la resistenza del reostato di campo Rc [Ω] che permette, a parità di tensione d'eccitazione, di
variare la corrente d'eccitazione e quindi il flusso induttore principale Φ0 [Wb], coincidente col
flusso nella macchina a vuoto.

c) la resistenza degli avvolgimenti induttori Re [Ω]. Per lo studio dei fenomeni transitori è
necessario introdurre nel modello anche l'induttanza Le [H] di tale avvolgimento.

d) la f.e.m. E [V] indotta negli avvolgimenti d'armatura. Tale f.e.m. è esprimibile come:

Φ ·n = Kc·Φ
E = K·Φ Ω = E0 - ∆E [V]
Φ·Ω
dove Φ è il flusso a carico (minore di quello a vuoto Φ0 ). La caduta di f.e.m. per reazione d'indotto
∆E non è esprimibile in forma analitica, può essere nota in seguito a prove fatte sulla macchina ed
espressa in forma tabellare o grafica. In ogni caso vale qualche percento (circa 5%) a pieno carico.

e) la resistenza interna Ri [Ω]. Si tratta della resistenza complessiva dei conduttori costituenti le
varie vie interne (da considerarsi tra di loro in parallelo) dell'indotto, in serie alla resistenza degli
eventuali avvolgimenti compensatori, in serie alla resistenza degli avvolgimenti degli eventuali poli
ausiliari. Per quanto riguarda la resistenza di contatto delle spazzole, essendo queste di tipo non
Ohmico, si preferisce considerare la c.d.t. totale dovuta a tale contatto. Essa è convenzionalmente
assunta pari a 2 [V] nel caso di spazzole in grafite, 0,6 [V] nel caso di spazzole a contenuto
metallico.

Per lo studio dei fenomeni transitori è necessario introdurre nel modello anche l'induttanza Li [H]
del circuito costituito dall'indotto della macchina e dal carico ad essa allacciato, oltre al momento
d'inerzia complessivo delle masse rotanti.

f) la tensione d'uscita V [V] e la corrente erogata I [A]. Per questo tipo di dinamo, la corrente
erogata coincide con la corrente d'indotto Ii [A]. Lo schema disegnato mostra anche la resistenza
Ru [Ω] che riassume l'utilizzatore alimentato dalla dinamo.

Il funzionamento a carico della macchina può essere descritto attraverso le seguenti equazioni
interne:

e l'equazione esterna: V = Ru· I (detta retta di carico).

La caratteristica esterna V = f(I) e la retta di carico V = f'(I) possono pure essere rappresentate
graficamente. Se si trascura la ∆E e si assumono costanti la velocità di rotazione e la corrente di
eccitazione, le due caratteristiche hanno l'aspetto:
dove l'intersezione della caratteristica esterna con l'ordinata costituisce il punto di funzionamento a
vuoto per il quale Ru = ∞ [Ω] , I = 0 [A] , V = E0 [V] , mentre l'intersezione con l'ascissa
costituisce il punto di funzionamento in cortocircuito per il quale Ru = 0 [Ω] , I = Icc = E0 / Ri [A]
, V = 0 [V]. Inoltre è facile verificare che è tg(ββ ) = - Ri , tg(α
α) = Ru. L'intersezione tra la
caratteristica esterna e la retta di carico individua il punto di lavoro del generatore le cui coordinate
corrispondono alla corrente ed alla tensione ai morsetti d'uscita per quella determinata retta di
carico.

Osservazione: la potenza erogata è nulla a vuoto ed in cortocircuito, assume il valore massimo


quando Ru = Ri ed in tal caso vale:

Il rendimento in tali condizioni vale 0,5. Quando si verifica questa condizione si dice che vi è
l'adattamento di massima potenza tra generatore e carico.

Osservazione: se si tiene conto della caduta di f.e.m. per reazione d'indotto, la caratteristica esterna
risulta essere non più rettilinea (a causa della non linearità del fenomeno) e più cadente, per cui la
corrente di cortocircuito Icc' sarà più piccola.

Per variare la tensione d'uscita di una dinamo si può intervenire sulla velocità di rotazione oppure
sulla corrente d'eccitazione. Naturalmente risulta più semplice intervenire sulla corrente
d'eccitazione. In ogni caso la caratteristica esterna si modifica spostandosi parallelamente a se
stessa, infatti sia la f.e.m. a vuoto che la corrente di cortocircuito sono direttamente proporzionali
alla velocità ed al flusso (e, quindi, alla corrente d'eccitazione). La caratteristica si alza se aumenta
la velocità oppure la corrente d'eccitazione, diversamente si abbassa.
Ad esempio, se abbiamo una dinamo che eroga la corrente I' con tensione d'uscita V' quando la
resistenza dell'utilizzatore vale Ru', nel caso in cui la resistenza dell'utilizzatore diventi Ru" < Ru'
varierà la tensione d'uscita da V' a V" < V'. Se si desidera mantenere costante la tensione d'uscita,
bisognerà aumentare la corrente d'eccitazione (o la velocità di rotazione) in modo tale che la
caratteristica esterna si alzi portandosi da a' ad a". Ovviamente assieme alla tensione varierà anche
la corrente erogata.

Altre due caratteristiche significative per la dinamo ad eccitazione indipendente sono la


caratteristica totale e la caratteristica di regolazione, rispettivamente:

E = f(I) , n = cost. , Ie = cost.


Ie = f(I) , n = cost. , V = cost.

di andamento facilmente immaginabile.

Dinamo ad eccitazione derivata

Ha il seguente schema elettrico:


La macchina può funzionare solo se in essa è presente un adeguato magnetismo residuo, solo in tal
caso può avere inizio l'autoeccitazione a vuoto. Per tale motivo essa ha un senso di rotazione
obbligato, infatti il campo prodotto dall'avvolgimento induttore deve essere concorde col campo
originato dal magnetismo residuo.

Nel funzionamento a vuoto é nulla la corrente I erogata verso il carico, quindi si ha una corrente
d'indotto coincidente con quella d'eccitazione, Ii = Ie. Tale corrente è sempre piuttosto piccola, per
tale motivo risulta trascurabile la reazione d'indotto e si può porre E ≅ E0. Il punto di lavoro
nominale Pn sulla caratteristica di magnetizzazione E0 = f(Ie) viene individuato dall'intersezione
della retta E0 = (Rc + Re + Ri)·Ie con la caratteristica stessa e si situa normalmente dopo il
ginocchio. E' fondamentale che il punto di lavoro non cada nel tratto rettilineo della caratteristica di
magnetizzazione, infatti, se questo si verificasse, si avrebbero inaccettabili variazioni della tensione
d'uscita anche per piccolissime variazioni del valore del reostato di campo Rc. Quindi esiste un
punto di lavoro critico PCR a sinistra del quale non si deve andare e ciò impone un valore massimo
alla resistenza complessiva (Rc + Re + Ri):

αCR)
(Rc + Re + Ri)CR = RCR + Ri = tg(α

Quindi, in sede di progetto, il reostato di campo viene dimensionato in modo tale da non superare,
sommato alla resistenza propria degli avvolgimenti d'indotto, il valore RCR.

Nel funzionamento a carico la macchina risulta descritta dalle seguenti equazioni interne:
e dall'equazione esterna: V = Ru· I (retta di carico).

La caratteristica esterna V = f(I) , per resistenza del reostato di campo e velocità di rotazione
costanti, ha il primo tratto che non differisce di molto da quello già visto per la dinamo ad
eccitazione indipendente, solo che ora si presenta con maggiore pendenza perché la tensione ai
morsetti della macchina diminuisce all'aumentare della corrente erogata, oltre che per la reazione
d'indotto e la caduta Ohmica sulla resistenza interna, anche perché diminuisce la corrente
d'eccitazione cosicché si viene a determinare un ulteriore indebolimento del flusso induttore. Tale
fenomeno aumenta mano a mano che la corrente di carico aumenta d'intensità fino al valore Imax
di corrente erogata. Se, raggiunta tale corrente, si diminuisce ulteriormente il valore della resistenza
di carico, succede un fenomeno inconsueto: la corrente erogata diminuisce anziché aumentare e la
tensione d'uscita si abbassa molto rapidamente fino a diseccitare la macchina. Tutto questo accade
perché la corrente di eccitazione è diventata insufficiente a causa del forte abbassamento della
tensione d'uscita. Infatti la corrente d'eccitazione è derivata in parallelo dalla tensione d'uscita e la
sua diminuzione comporta una diminuzione del flusso e, quindi, della tensione d'uscita stessa: in
pratica il fenomeno si esalta portando alla totale diseccitazione della macchina anche se dall'esterno
non si è ulteriormente ridotta la resistenza di carico. Quindi il punto PCR sulla caratteristica esterna
individua la retta di carico di pendenza βCR che costituisce il limite per la stabilità di funzionamento
della dinamo. In definitiva non è possibile ridurre la resistenza del carico ad di sotto del valore RCR
β CR).
= tg(β

Si può affermare che il funzionamento della dinamo è stabile nel tratto di curva che va dal punto di
funzionamento a vuoto (Ru = ∞, I = 0,V = V0) al punto PCR, mentre è instabile nel tratto che va da
PCR al punto di funzionamento in cortocircuito (Ru = 0, I = Icc, V = 0). In una macchina
correttamente dimensionata il punto nominale di funzionamento si colloca come Pn in figura.

La corrente di cortocircuito Icc risulta essere sensibilmente inferiore rispetto quella che si ha in
un'analoga macchina ad eccitazione indipendente, tuttavia è (di solito) significativamente maggiore
della corrente nominale e, per tale motivo, anche in questo generatore è da temere (ed evitare) il
funzionamento in cortocircuito.
Al variare del numero di giri la caratteristica esterna cambia secondo le modalità rappresentate in
figura. Cambiando la caratteristica cambia anche il valore di RCR, più precisamente si verifica che
ad una diminuzione del numero di giri corrisponde un aumento di RCR.

Un'altra caratteristica significativa per la dinamo ad eccitazione derivata è la caratteristica di


regolazione, del tutto analoga a quella già vista per la dinamo ad ecc. indipendente.

Riassumendo, le dinamo con eccitazione derivata sono di più facile installazione delle dinamo ad
eccitazione indipendente non richiedendo alcuna rete ausiliaria in corrente continua per
l'eccitazione. La loro caratteristica esterna (a parità di numero di giri) ha maggior pendenza rispetto
alle dinamo con eccitazione indipendente ma col reostato di campo si può facilmente compensare
questo inconveniente. L'inconveniente maggiore è quello di presentare un valore di resistenza di
carico RCR al di sotto del quale non è possibile andare e che nemmeno risulta avvicinabile essendo
eccessivamente grande la corrente altrimenti erogata dalla macchina. Inoltre, come già detto, hanno
un verso obbligato di rotazione.

Dinamo ad eccitazione serie

Ha il seguente schema elettrico:


La macchina può funzionare solo se in essa è presente un adeguato magnetismo residuo, solo in tal
caso può avere inizio l'autoeccitazione. Per tale motivo essa ha un senso di rotazione obbligato,
infatti il campo prodotto dall'avvolgimento induttore deve essere concorde col campo originato dal
magnetismo residuo. L'azione del reostato è in senso contrario rispetto ai casi precedenti, infatti per
ridurre la tensione occorre diminuire Rc in modo tale che diminuisca Ie, viceversa per aumentare la
tensione.

Nel funzionamento a carico la macchina risulta descritta dalle seguenti equazioni interne:

e dall'equazione esterna: V = Ru· I (retta di carico).

Quindi, per velocità di rotazione e reostato di campo costanti, la caratteristica esterna può essere
determinata detraendo dalla E0 la caduta per reazione d'indotto ∆E e la caduta sulla resistenza
interna e sugli avvolgimenti eccitatori (con eventuale reostato di campo in parallelo):
Al crescere della corrente erogata (cioè al variare della resistenza di carico da infinito a zero) cresce
anche la corrente di eccitazione e, quindi, E0 e, con essa, la tensione d'uscita V. Tuttavia, a causa
del fenomeno di saturazione, la E0 cresce sempre meno mentre la caduta per reazione d'indotto ∆E
cresce sempre di più: prima o poi la tensione d'uscita comincerà a calare per ridursi a zero in
cortocircuito.

Anche per questa dinamo si può parlare di un valore critico RCR della resistenza di carico. Infatti
all'aumentare della resistenza di carico, la retta di carico aumenta la propria pendenza fino a
diventare pressoché parallela al primo tratto della caratteristica esterna. In tali condizioni basta una
piccola variazione della resistenza di carico per avere una forte variazione sia della tensione d'uscita
che della corrente erogata e questo fatto è indesiderato. Quindi è bene che sia Ru << RCR.

Vengono chiamate dinamo a corrente costante quelle dinamo costruite per avere una elevata caduta
interna per reazione d'indotto ∆E. Per tali dinamo la caratteristica esterna ha il tratto finale
decrescente praticamente verticale: utilizzando la macchina in questo tratto della sua caratteristica
esterna si avrà l'erogazione di una corrente (prossima a quella di cortocircuito) costante ed
indipendente dalla tensione d'uscita.
Negli impianti utilizzanti dinamo con eccitazione in serie è importante mantenere costante la
corrente erogata al carico anche quando la resistenza del carico medesimo varia. Ad esempio, se la
resistenza del carico aumenta da Ru' a Ru", a parità di velocità e di reostato di campo, si avrà una
diminuzione della corrente erogata da I a I*. Per mantenere costante e pari ad I la corrente erogata
si dovrà aumentare da Rc' a Rc" il valore del reostato di campo in modo tale da aumentare il flusso
e, con esso, sia la tensione d'uscita che la corrente erogata.

Per le dinamo con eccitazione in serie la caratteristica di regolazione viene definita diversamente,
più precisamente essa è il grafico della corrente di eccitazione in funzione della tensione d'uscita per
valori costanti di velocità e corrente erogata.

Dinamo ad eccitazione composta (compound)

Ha il seguente schema elettrico:

Su ciascun polo induttore della dinamo vengono poste due bobine anziché una, la prima Red
composta di molte spire di piccola sezione eccitata in derivazione, la seconda Res composta di
poche spire di grande sezione eccitata in serie. Tale tipo di eccitazione si può ottenere in due modi,
a corta derivazione (come in figura) o a lunga derivazione.
Le equazioni interne e l'equazione esterna sono analoghe a quelle già viste per le altre dinamo e si
ricavano dal circuito equivalente sopra disegnato.

Per quanto riguarda la caratteristica esterna, siccome per le dinamo in derivazione essa è calante
mentre per le dinamo in serie essa è nel primo tratto crescente, dimensionando opportunamente il
numero di spire degli avvolgimenti d'eccitazione in derivazione ed in serie si riesce a far si che la
caratteristica esterna sia praticamente costante nel primo tratto. Viene chiamata corrente di
compensazione quella corrente erogata per la quale la tensione d'uscita a carico è uguale alla
tensione d'uscita a vuoto. Se In = Ico la dinamo si dice compensata a pieno carico, se In = 2·Ico si
dice compensata a metà carico.

La caratteristica di regolazione è del tutto analoga a quella già vista per le altre dinamo.

Perdite e rendimento nella dinamo

Le perdite che si hanno in una dinamo sono:

Pm , perdite meccaniche per attrito e ventilazione;

Pfe , perdite nel ferro a vuoto, localizzate nell'indotto interessato da un flusso variabile e nelle
testate delle espansioni polari induttrici interessate dal fenomeno di pennellamento delle linee di
campo magnetico;

Pec , perdite per eccitazione, dovute all'effetto Joule negli avvolgimenti induttori e nel reostato di
campo Pec = (Re + Rc)·Ie2 ;

Pj , perdite d'indotto, dovute all'effetto Joule negli avvolgimenti d'indotto, compresi gli
avvolgimenti compensatori e gli avvolgimenti dei poli ausiliari Pj = Ri·Ii2 ;

Ps , perdite nelle spazzole, di tipo non Ohmico essendo le spazzole conduttori non Ohmici. Le
norme CEI impongono di calcolarle convenzionalmente, qualunque sia il numero di spazzole, con
Ps = 2·Ii [W] per spazzole di grafite, Ps = 0,6·Ii [W] per spazzole a contenuto metallico, dove la
corrente è in [A];

Pad, perdite addizionali, sono perdite nel ferro dell'indotto che si aggiungono a quelle che si hanno
a vuoto e sono causate dalla distorsione per reazione d'indotto del flusso a carico. Le norme CEI
impongono di calcolarle nelle condizioni nominali come l'1% della potenza nominale erogata e di
considerarle, per diverse condizioni di carico, variabili col quadrato della corrente erogata.
Si definisce rendimento:

dove V·I è la potenza erogata. Nel caso di funzionamento della dinamo a tensione e velocità
costanti, è lecito ritenere perdite costanti al variare del carico:

Pco ≅ Pm + Pfe + Pec [W]

e perdite variabili con la corrente erogata:

Pva ≅ Pj + Ps + Pad ≅ R*·I2 [W]

Si può quindi scrivere:

questa espressione ha il massimo quando:

e tale massimo cade a 3 / 4 del pieno carico.

Per una dinamo è poi significativa la variazione di tensione percentuale da carico a vuoto calcolata
con:
dove Vn è la tensione nominale, Von è la tensione a vuoto ai morsetti d'uscita quando, a partire
dalle condizioni nominali, si interrompe il carico mantenendo costanti la velocità ed il reostato di
campo.

Collegamento tra dinamo (cenni)

Le dinamo destinate a funzionare a tensione praticamente costante (dinamo ad eccitazione


indipendente, derivata, composta) possono essere collegate in parallelo tra di loro al fine di poter
erogare sull'unico carico una potenza più grande delle specifiche potenze nominali, ovviamente le
dinamo devono avere la stessa tensione nominale. Per le dinamo ad eccitazione indipendente o
derivata il funzionamento in parallelo risulta essere stabile, per quelle ad eccitazione composta è
invece necessario al fine di stabilizzare il parallelo collegare tra di loro i due punti di derivazione in
modo tale che gli avvolgimenti d'eccitazione serie siano tra di loro in parallelo.

Per le dinamo con eccitazione serie, destinate a funzionare a corrente costante, è pensabile il
collegamento in serie (che però non è praticamente impiegato).

Motori in corrente continua, generalità

La stessa macchina, con corrente d'eccitazione e polarità delle spazzole identiche, ruota nello stesso
senso sia come motore che come generatore, solo che quando funziona come motore cambia il
senso della corrente nell'indotto e nelle vie interne così che la f.e.m. E è da intendersi come
controelettromotrice, e la coppia elettromagnetica generata C (dovuta all'interazione tra il campo
magnetico induttore e la corrente nelle vie interne, che origina le due forze F tangenti al cilindro
d'indotto) è da intendersi come motrice essendo concorde col verso di rotazione.
Mentre per i generatori autoeccitati si ha un verso obbligato di rotazione dovuto alla necessità di
sfruttare il magnetismo residuo, nei motori autoeccitati ciò non è più vero in quanto il flusso
d'eccitazione è originato dalla corrente derivata dalla linea di alimentazione stessa che si trova,
sempre, alla tensione V.

La reazione d'indotto si presenta nei motori in forma del tutto analoga a quanto visto per i
generatori, solo che l'asse neutro si trova ad essere spostato in anticipo rispetto all'interasse polare.
Anche la commutazione si presenta con le stesse proprietà già viste per i generatori. I rimedi tesi a
ridurre i problemi dovuti alla reazione d'indotto (avvolgimenti compensatori) ed a facilitare la
commutazione (poli ausiliari) già discussi per i generatori rimangono validi anche per i motori,
tanto è vero che per una macchina, predisposta per funzionare come generatore, nel caso si intenda
impiegarla come motore non è necessario alcun ritocco nei collegamenti degli avvolgimenti
compensatori e nei collegamenti degli avvolgimenti dei poli ausiliari. E' facile verificare che la
corrente negli avvolgimenti compensatori è senz'altro opposta a quella nella via interna sottostante
il polo interessato, mentre l'eccitazione del polo ausiliario è tale per cui esso assume la stessa
polarità del polo induttore dal quale la spira commutante proviene, così come deve essere per i
motori.

Osservazione: quanto esposto all'inizio del paragrafo, viene spesso riassunto dicendo che la stessa
macchina con corrente d'eccitazione e corrente nell'indotto nello stesso verso, ruota come motore in
senso contrario a quando funziona da generatore.

Il motore ad eccitazione indipendente, se si alimenta con le stesse polarità della dinamo, ruota nello
stesso senso della dinamo. Per fargli cambiare verso di rotazione, bisogna invertire la polarità
dell'armatura o la polarità dell'eccitazione.

Il motore ad eccitazione derivata, comunque lo si alimenti, ruota sempre nello stesso senso della
dinamo. Per fargli cambiare verso di rotazione, bisogna invertire il verso della corrente di
eccitazione o d'indotto e questo è possibile solo scambiando il morsetto d'inizio con quello di fine di
uno solo dei due avvolgimenti.

Il motore ad eccitazione serie, comunque lo si alimenti, ruota sempre in senso contrario a quello che
assume funzionando da dinamo. Per fargli cambiare verso di rotazione si deve operare come per il
motore con eccitazione derivata.

Il motore ad eccitazione composta, dato che viene costruito in modo tale che l'eccitazione derivata
prevalga su quella serie, si comporta come il motore con eccitazione derivata.

Motore ad eccitazione derivata (e ad eccitazione indipendente)


Lo schema non differisce sensibilmente da quello della dinamo, sopra è mostrato quello relativo al
motore con eccitazione derivata (per quello ad eccitazione indipendente varranno le stesse
conclusioni). L'unica differenza consiste nella presenza del reostato di avviamento Ra che, fino a
quando non sarà espressamente detto, supporremo di valore zero. Supponiamo per il momento
costante la tensione d'alimentazione V.

Alla chiusura dell'interruttore T , poiché è nulla la velocità n , risulta nulla la f.e.m. indotta E ed in
conseguenza di ciò il circuito d'indotto e quello d'eccitazione si comportano all'inizio
dell'avviamento come due resistenze in parallelo sottoposte alla tensione V. Subito dopo la chiusura
di T , la corrente nell'indotto vale IAV = V / Ri [A] ed è chiamata corrente di spunto, mentre la
corrente d'eccitazione vale Ie = V / (Rc + Re) [A] costante se sono costanti V e Rc. Tale corrente,
circolando nell'avvolgimento d'eccitazione, genera il flusso Φ [Wb] pure costante e, quindi, per la
contemporanea presenza del flusso e della corrente nell'indotto nasce la coppia di spunto che vale
CAV = Kc·Φ Φ ·IAV [N·m]. Sotto l'azione della coppia di spunto e nell'ipotesi che essa prevalga su di
una eventuale coppia resistente applicata all'albero, il motore si avvia e il suo numero di giri n
cresce progressivamente. Dall'interazione del flusso e della velocità nasce ora una f.e.m. indotta che
alle spazzole vale E = K· Φ·n = Kc·Φ Φ ·Ω
Ω [V] opposta alla tensione applicata V e, per questo,
chiamata forza controelettromotrice. La presenza di tale f.c.e.m. che cresce gradualmente con la
velocità genera una conseguente diminuzione della corrente nell'indotto che vale
[A] e, con essa, una diminuzione della coppia motrice C = Kc·Φ Φ·Ii. Il fenomeno prosegue fino a
che la coppia motrice stessa, riducendosi progressivamente, risulta uguale alla coppia resistente
applicata all'albero. A questo punto, essendosi realizzata la condizione di equilibrio dinamico,
termina l'avviamento e si stabilizza il funzionamento a regime del motore.

Viene chiamata velocità a vuoto n0 del motore quella velocità per la quale la f.c.e.m. indotta
eguaglia la tensione applicata all'armatura, ovvero quella velocità per la quale è nulla la corrente
nell'indotto:

La velocità a vuoto non è spontaneamente raggiungibile dal motore a causa dell'inevitabile coppia
resistente corrispondente alle perdite meccaniche del motore stesso, essa può essere realizzata
compensando con un'adeguata coppia motrice applicata dall'esterno la coppia resistente suddetta.
Quando n = n0, essendo Ii = 0, sarà nulla la coppia generata dal motore.

Equazioni e caratteristiche del motore con eccitazione in derivazione

Il motore risulta descritto dalle seguenti equazioni interne:

Φ·Ii = Cr(n) (Cr(n) è la caratteristica della coppia resistente applicata


e dall'equazione esterna: Kc·Φ
all'albero).

La caratteristica più importante del motore è la caratteristica meccanica, definita come:

c = f(n) , V = cost. , Rc = cost.

Sotto l'ipotesi di trascurare la caduta di f.e.m. per reazione d'indotto e di immaginare la macchina
lontana dalla saturazione, si ricava:

Si tratta di una retta a pendenza negativa il cui aspetto è il seguente:

Considerazioni sul funzionamento del motore eccitato in derivazione

Cominciamo considerando il rendimento. Esso vale dove Pa = V·I [W] è la potenza


elettrica assorbita dalla rete, P = Pa - Perdite [W] è la potenza erogata all'albero. Per quanto
riguarda le perdite si può dire che sono le stesse già discusse per la dinamo. Si può dimostrare che
per avere un elevato rendimento è necessario che il motore lavori ad una velocità prossima a quella
a vuoto e che la resistenza d'indotto sia notevolmente minore di quella del circuito d'eccitazione.

Parliamo ora dell'avviamento. Abbiamo già visto come la corrente di avviamento sia molto elevata
in quanto limitata dalla sola resistenza d'indotto che è per sua natura piccola, inoltre l'elevata
corrente di spunto determina un'elevata coppia d'avviamento che può dar luogo ad avviamenti
eccessivamente bruschi.

Per ovviare a tali inconvenienti si dispone in serie all'indotto un reostato di avviamento, la cui
resistenza viene progressivamente disinserita mano a mano che cresce, assieme alla velocità, la
forza controelettromotrice, visto che provvede tale f.c.e.m. a limitare la corrente stessa. Il reostato
deve essere del tutto escluso (cortocircuitato) ad avviamento completato al fine di rendere massimo
il rendimento. La figura riportata sopra mostra un avviamento mediante reostato, nel quale la coppia
di spunto col reostato inserito al massimo valore RA1 vale CAV* mentre la velocità ad avviamento
completato e col reostato cortocircuitato vale nn in corrispondenza di una coppia resistente Crn.

Per quanto riguarda la regolazione della velocità, essa si può ottenere agendo sulla tensione
d'alimentazione ( col reostato di campo costante) oppure sul reostato di campo (con tensione
d'alimentazione costante).

Se si agisce sulla tensione d'alimentazione, la caratteristica meccanica si modifica come riportato


nella figura: la velocità a vuoto non varia al variare della tensione essendo direttamente
proporzionali alla tensione sia il numeratore che il denominatore di n0, la coppia di spunto risulta
essere invece direttamente proporzionale al quadrato della tensione applicata. Di conseguenza, ad
un aumento della tensione applicata corrisponde un aumento della velocità di rotazione.
Se si agisce sul reostato di campo, la caratteristica meccanica si modifica come riportato nella
figura: la velocità a vuoto aumenta all'aumentare del valore del reostato perché mentre il
numeratore di n0 non dipende dal reostato, il suo denominatore diminuisce all'aumentare del
reostato in quanto si ha una diminuzione della corrente di eccitazione e quindi del flusso, la coppia
di spunto invece diminuisce all'aumentare del reostato. Quindi, per valori di coppia resistente al di
sotto del punto di intersezione delle due caratteristiche corrispondenti ai due valori di reostato di
campo (condizione normale di funzionamento) la velocità aumenta all'aumentare del reostato, per
valori al di sopra di tale punto la velocità cala all'aumentare del reostato.

Vediamo ora altri tipi di funzionamento confinanti con quello da motore, tali cioè che ad essi la
macchina possa pervenire sotto opportune condizioni, provenendo dal campo di funzionamento da
motore.

Consideriamo dapprima il campo di funzionamento in cui n > n0 , si riconosce facilmente che in


esso la macchina si comporta da generatore. Infatti, conservano lo stesso segno che avevano nel
funzionamento da motore la tensione applicata V e la velocità dell'indotto n. Conseguentemente lo
stesso accade per la corrente d'eccitazione Ie, il flusso Φ, la f.e.m. indotta E. Cambiano segno la
corrente nell'indotto Ii e la coppia generata C. Infatti, supponiamo che inizialmente la macchina stia
funzionando a vuoto, n = n0, in una situazione cioè in cui la corrente nell'indotto è nulla a causa del
perfetto equilibrio fra la tensione di linea V e la f.e.m. indotta E. A partire da questo funzionamento
un aumento di velocità (ottenuto applicando una coppia motrice dall'esterno) provoca ovviamente
un aumento della f.e.m. indotta e, pertanto, essendo ora la f.e.m. prevalente sulla tensione V, la
corrente Ii nell'indotto assume verso concorde con la E stessa, contrariamente a quanto accade nel
funzionamento da motore. L'inversione della corrente giustifica a sua volta quella della coppia
elettromagnetica (che ora è resistente), risultando C dall'interazione del flusso, che conserva
inalterato il segno, con la corrente nell'indotto che, come si è detto, si inverte. In conseguenza di
quanto esposto accade che sia la potenza elettrica Pe = V·Ii che quella meccanica Pm = C· Ω
invertono il loro segno rispetto al funzionamento da motore e, quindi, la potenza meccanica risulta
assorbita mentre quella elettrica erogata ciò che conferma, in base alle convenzioni assunte, il
funzionamento da generatore. A titolo d'esempio osserviamo che un funzionamento del tipo ora
illustrato può verificarsi in un veicolo a trazione elettrica, equipaggiato con un motore a eccitazione
derivata, quando il veicolo stesso, in discesa, venga trascinato dal proprio peso a una velocità tale
da essere maggiore di n0. In questo caso, che è del tutto analogo a quello che si ha nei motori
asincroni, l'energia fornita dal lavoro della forza peso si converte, a meno delle perdite interne della
macchina, in energia elettrica fornita alla linea.

Consideriamo ora il caso in cui n < 0, ovvero il caso nel quale la macchina è fatta ruotare secondo
un verso opposto a quello del motore. Ragionando similmente al caso precedente si riconosce che
V, Ie, Φ, C, Ii conservano lo stesso segno che avevano nel funzionamento da motore, mentre n, E
invertono il proprio segno. In conseguenza di ciò, risulta che la potenza elettrica ha lo stesso segno
del funzionamento da motore mentre la potenza meccanica ha segno opposto, ossia la macchina
riceve energia sia dall'albero che dalla linea e funziona quindi da freno. Tale funzionamento è
caratterizzato da correnti d'indotto assai elevate (maggiori della corrente d'avviamento del motore)
come risulta evidente se si pensa che l'inversione della E rende concorde la f.e.m. stessa con la
tensione di linea V e, la sua presenza, anziché limitare la corrente d'indotto, ne aumenta il valore.

Motore con eccitazione in serie

Ha uno dei due seguenti circuiti equivalenti:

Nel primo la variazione del flusso si ottiene variando il reostato di campo (una sua diminuzione
comporta una diminuzione della corrente d'eccitazione e quindi del flusso), nel secondo la
variazione del flusso si ottiene variando il numero di spire dell'avvolgimento induttore (un suo
aumento comporta un aumento del flusso). Ai fini della caduta di tensione e delle perdite sul
sistema di eccitazione le due soluzioni sono del tutto equivalenti.

Il motore (nello schema col reostato di campo e supponendo nulla la resistenza del reostato di
avviamento) risulta descritto dalle seguenti equazioni interne:

Φ·Ii = Cr(n) (Cr(n) è la caratteristica della coppia resistente applicata


e dall'equazione esterna: Kc·Φ
all'albero).
Ragionando a tensione applicata costante e reostato di campo costante (oppure numero di spire Ne
costanti) e trascurando la caduta di f.e.m. per reazione d'indotto, all'avviamento, essendo nulla la
velocità, sarà nulla la f.c.e.m. e la corrente di spunto varrà:

Tale corrente sarà notevolmente grande e, con essa, saranno grandi la corrente d'eccitazione ed il
flusso ΦAV [Wb]. Quindi sarà grande la coppia d'avviamento [N·m]. Al
procedere dell'avviamento, aumentando la velocità, aumenta la f.c.e.m. e, quindi, diminuisce la
corrente assorbita. Questa diminuzione comporta una diminuzione della corrente d'eccitazione e del
flusso e, di conseguenza, della coppia elettromagnetica generata. Immaginando che la coppia si
riduca fino ad annullarsi, caso del funzionamento a vuoto, si ha:

Tuttavia, essendo presente un flusso residuo Φ re, la velocità a vuoto risulta limitata al valore:

che, in ogni caso, non è meccanicamente sopportabile dalla macchina. Quindi questi motori non
devono essere utilizzati quando esiste la possibilità che vengano a trovarsi a vuoto (cioè senza
coppia resistente applicata all'albero).

La caratteristica meccanica conseguente alla discussione appena fatta è rappresentata nella figura
riportata sopra. Tale figura mostra pure come avviene una variazione della velocità mediante la
variazione del reostato di campo (o del numero di spire dell'avvolgimento induttore).

L'avviamento di questo motore, a causa dell'elevata corrente di spunto e dell'elevata coppia


d'avviamento (che può produrre avviamenti eccessivamente bruschi), avviene attraverso un
adeguato reostato d'avviamento, come già visto per il motore ad eccitazione derivata. Ovviamente,
per favorire un elevato rendimento, ad avviamento completato il reostato deve essere escluso
(cortocircuitato).
Anche per questa macchina si possono prendere in considerazione funzionamenti diversi dal
motore, riferendoli alla velocità di rotazione. Riassumiamo dicendo che per:

n > 0 si ha il funzionamento da motore;

nFG < n < 0 si ha il funzionamento da freno;

n < nFG si ha il funzionamento da generatore.

dove nFG è una velocità di segno opposto alla velocità n del funzionamento da motore (quindi
negativa) che dipende dai parametri costruttivi (circuito elettrico e circuito magnetico) della
macchina. Avvertiamo che è impossibile la frenatura con recupero d'energia in quanto la dinamo
con eccitazione serie non è adatta a funzionare in parallelo ad una rete a tensione costante, mentre
sono possibili le frenature controcorrente e dinamica (reostatica).

La figura sottostante è riferita al caso dello schema con variatore del numero di spire:

Motori con eccitazione composta

La macchina a eccitazione composta per poter essere utilizzata come motore richiede che si
scambino i collegamenti interni dell'avvolgimento serie.
Infatti, se non si esegue questa operazione si realizza un motore a flussi differenziali (essendo, nel
funzionamento da motore, il flusso-serie opposto al flusso-derivato) e, con tale motore, se si ha un
brusco aumento di carico la corrente assorbita aumenta in modo tale da far prevalere le amperspire
di eccitazione-serie sulle amperspire di eccitazione-derivata. Con ciò cambia la direzione del campo
magnetico e quindi della coppia generata, in tal caso il motore si arresta bruscamente e tende a
riavviarsi in senso opposto: risulta evidente l'impossibilità di impiegare tale tipo di motore.

Se invece si scambiano i collegamenti interni dell'avvolgimento serie si realizza un motore a flussi


addizionali. Tale motore ha caratteristiche intermedie tra il motore ad eccitazione derivata ed il
motore ad eccitazione serie, quindi una forte coppia di spunto, un numero di giri a vuoto ben
definito e limitato, una velocità che presenta una variabilità al variare della coppia resistente meno
accentuata che nei motori serie e più marcata che nei motori derivati.

Tale motore rende possibili tutti e tre i tipi di frenatura elettrica propri dei motori ad eccitazione
derivata (o indipendente), ovvero:

a) frenatura dinamica (reostatica), che consiste nello staccare il motore (in moto) dalla rete e
chiuderlo su un reostato di carico così da farlo funzionare da generatore. L'energia meccanica
sottratta durante la frenatura viene dissipata in calore internamente alla macchina e nel reostato.

b) frenatura a recupero, che consiste nel far funzionare la macchina da generatore nel tratto n > n0.
Siccome n0 diventa tanto più piccola quanto più è grande il flusso, aumentando la corrente di
eccitazione aumenta l'azione frenante. L'energia meccanica sottratta durante la frenatura viene in
parte dissipata internamente alla macchina ed in parte (maggiore) erogata alla rete cui la macchina è
allacciata.

c) frenatura controcorrente, consiste nell'invertire la corrente d'eccitazione in modo tale che la


macchina in moto si trovi a girare in senso contrario a quello che compete al funzionamento da
motore. In sostanza diventa n < 0. Tutta l'energia meccanica sottratta durante la frenatura viene
dissipata internamente alla macchina, la corrente nell'indotto tende a divenire molto grande e deve
essere limitata con dei reostati.

Gruppi Ward-Leonard

Permettono di ottenere un maggior campo di variabilità della velocità e di rendere più agevoli sia le
operazioni di avviamento che di frenatura dei motori.
Il maggior campo di variabilità è possibile grazie alla possibilità di regolare il motore (in questo
caso ad eccitazione indipendente) sia attraverso la variazione del reostato di campo RC2 che della
tensione V applicata all'armatura.

La macchina asincrona funziona normalmente da motore e trascina la macchina in corrente continua


ad essa coassiale, funzionante da generatore, ad una velocità nS praticamente costante al variare del
carico (considerando i valori contenuti dello scorrimento).

Il motore viene fatto partire con una tensione sufficientemente bassa intervenendo sul reostato di
campo RC1, in tal modo non è necessario il reostato d'avviamento del motore e le perdite in fase di
avviamento sono ridotte. Per bassi valori di velocità si fa funzionare il motore con corrente assorbita
costante e reostato RC2 del tutto disinserito, quindi flusso nel motore praticamente costante
(trascurando i fenomeni di saturazione). La velocità viene variata agendo su RC1 e, quindi, sulla
tensione V. In tal modo la coppia del motore è costante (nei limiti in cui sono costanti la corrente
assorbita ed il flusso), e la potenza resa dal motore è proporzionale alla velocità n ed, a meno della
c.d.t. sulla resistenza interna del motore, alla tensione V. Raggiunta la velocità corrispondente alla
tensione massima possibile, si mantiene costante tale tensione massima e si agisce su RC2 per
aumentare la velocità del motore, infatti un aumento del reostato comporta una diminuzione della
corrente d'eccitazione e del flusso e quindi un aumento della velocità.

Per invertire il senso di marcia del motore si inverte la polarità dell'eccitazione della dinamo, infatti
così facendo viene invertita la polarità della tensione applicata all'armatura del motore.

E' possibile la frenatura a recupero, basta ridurre bruscamente la corrente d'eccitazione della
dinamo, in modo che la sua f.e.m. risulti inferiore alla f.e.m. del motore che, ora, funzionerà da
generatore erogando una potenza elettrica pari alla propria energia cinetica specifica ed alla potenza
meccanica ricevuta dalla macchina operatrice MO. La macchina in corrente continua coassiale con
la macchina asincrona funzionerà da motore erogando all'albero la potenza ricevuta sotto forma
elettrica e la macchina asincrona funzionerà da generatore riversando in rete l'equivalente potenza
elettrica.

Fuga del motore a corrente continua

Nei motori ad eccitazione indipendente o derivata, se viene a mancare, durante il normale


funzionamento, la corrente d'eccitazione accade che il flusso si riduce al piccolo valore residuo Φ r.
Come conseguenza si ha:

Φ r·n con il conseguente grande aumento della


a) la riduzione della f.e.m. al piccolo valore Er = K·Φ
corrente d'indotto al valore:

Sicuramente tale corrente è tale da distruggere il collettore a lamelle nel caso in cui non intervenga
una protezione di massima corrente.

b) la coppia del motore diventa CF = Kc·Φ Φ r·IF e può accadere che, nonostante il piccolo valore del
flusso, a causa dell'elevatissima corrente tale coppia superi la coppia resistente applicata all'albero
determinando una accelerazione e, quindi, un aumento incontrollabile della velocità del motore (il
motore è andato in fuga). Tale meccanismo, una volta innestato, può portare alla distruzione
meccanica del motore.

Lo stesso inconveniente può presentarsi anche nel motore con eccitazione composta, tuttavia la
presenza dell'eccitazione in serie garantisce la permanenza di un flusso che limita gli inconvenienti
dovuti alla cessata eccitazione derivata. Nel caso di motori con eccitazione serie l'inconveniente non
può presentarsi perché la mancanza della corrente d'eccitazione significa la contemporanea
mancanza della tensione d'armatura (rimane per tali motori il pericolo derivante dal funzionamento
a vuoto).

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