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Diritto ecclesiastico

F.FINOCCHIARO

SINTESI

Capitolo 1 Considerazioni introduttive

1. Il diritto ecclesiastico e la scienza giuridica

La scienza giuridica ha un carattere eminentemente unitario, perch oggetto del suo studio un aspetto della vita sociale, a sua volta, unitario: il diritto in tutte le sue forme e manifestazioni. Il diritto ecclesiastico studia il settore dellordinamento giuridico dello Stato che volto alla disciplina del fenomeno religioso. La rilevanza sociale di codesto fenomeno ha importato e importa lintervento del legislatore nazionale, a vari livelli, e coinvolge, in numerose ipotesi, lattivit della pubblica amministrazione. Il diritto ecclesiastico, perci, nonostante laggettivo ecclesiastico possa far pensare che abbia come oggetto lo studio di un ordinamento confessionale (per lappunto, del diritto prodotto da una Ecclesia), riguarda uno degli aspetti dellordinamento statale. Per tal ragione, qualche autore ha ritenuto di specificare la formula proponendo quella di diritto ecclesiastico civile, in modo da indicare senza equivoci che oggetto della disciplina il diritto dello Stato e non quello di un ordinamento confessionale. Ma gli equivoci sono stati superati da quando stato abbandonato il criterio monista, seguito dalla scuola storica, implicante lo studio unitario delle norme dello Stato e di quelle della Chiesa cattolica, listituzione religiosa pi importante del nostro paese. La disciplina del fenomeno sociale religioso importa che le norme del diritto ecclesiastico civile riguardino le confessioni religiose, quali che esse siano, non ch i singoli individui, in quanto appartenenti ad una di tali confessioni ovvero in quanto non professino alcuna religione. Il diritto ecclesiastico, per, no n costituito solo dalle norme prodotte direttamente dal legislatore statale, perch, in non poche occasioni, le norme statali, per la disciplina di dati rapporti, rinviano ad un ordinamento confessionale o presuppongono fatti normativi, atti o negozi prodotti da un ordinamento confessionale. Perci, lo studio del diritto ecclesiastico concerne tutto il diritto efficace ed applicabile nellordinamento statale per la disciplina del fenomeno religioso; un diritto che, se di 1

prevalente produzione statale, pu tuttavia importare anche lapplicazione del diritto prodotto da ordinamenti confessionali.

Nellambito degli studi giuridici il diritto ecclesiastico appartiene allarea del diritto pubblico, per ragioni storiche e per loggetto stesso della sua analisi. Riguardo alla storia, come vedremo, occorre ricordare che il rapporto fra religione e potere civile, in passato, stato stretto e che anche oggi la disciplina del fenomeno religioso non indifferente per le forze politiche. Quanto alloggetto dello studio, esso concerne, in larga misura, norme costituzionali e norme che disciplinano lattivit della pubblica amministrazione, attinenti, come evidente, al settore del diritto pubblico. Questa collocazione sistematica, per, non toglie che il diritto ecclesiastico non trovi terreni di incontro con altre discipline. Poich esso concerne anche lo studio del rapporto fra Stato e singoli individui in materia di religione, il diritto ecclesiastico ha un terreno comune di ricerche con il diritto civile per quanto attiene al riconoscimento del matrimonio religioso, ai rapporti contrattuali e successori che involgano interessi religiosi, alla propriet fondiaria, ecc.. Del pari il diritto ecclesiastico presenta contatti con il diritto internazionale quante volte si tratti di studiare la posizione della Santa Sede, la natura dei trattati e dei concordati da questa stipulati, gli atti internazionali che proteggono la libert religiosa o riguardanti la guarentigia offerta a determinati luoghi, considerati sacri da una o pi confessioni religiose. La dottrina, dalla fine della guerra 1939-1945, nellesaminare i problemi posti dal diritto ecclesiastico, ha privilegiato una chiave di lettura delle norme che mettesse in risalto la posizione soggettiva dellindividuo, credente o non, nei confronti sia dello Stato sia delle confessioni religiose, una posizione di libert, ed ha perci qualificato la disciplina come analisi di una legislatio libertatis . Se tale qualifica trova un riscontro positivo nelle norme della vigente Costituzione, riguardanti il fattore religioso, tuttavia non esaustiva, giacch una notevole parte delle norme oggetto della nostra osservazione mal si presta a rientrare nello schema della garanzia della libert individuale. Si pensi, per es., a tutto il corpo delle disposizioni sugli enti ecclesiastici e sulla gestione del patrimonio di essi: potranno essere considerate in chiave di libert, ma si tratter non della libert dei singoli, bens della libert delle organizzazioni confessiona li, la quale non sempre facilmente conciliabile con la libert individuale. Il diritto ecclesiastico, perci, non si presenta solo come studio di una legislatio libertatis, ma come analisi di un settore dellordinamento statuale in cui, accanto alla garanzia della libert individuale, vi la considerazione delle vicende organizzative alle quali d origine il fattore religioso. 2

2. Le fonti di cognizione del diritto ecclesiastico Le fonti di cognizione del diritto ecclesiastico civile si trovano in disposizioni legislative dello Stato, emanate sia unilateralmente, sia in esecuzione di accordi con le confessioni religiose. Tali fonti sono di vario livello. 1) Nella Costituzione repubblicana vi sono numerose disposizioni nelle quali il fattore religioso espressamente menzionato: artt. 3, 7, 8, 19 e 20. Altre disposizioni, in modo diretto o indiretto, possono valere a disciplinare i rapporti di religione, come lart. 2 e le norme degli art. 13 - 18 e 21 - 25, che garantiscono le libert civili. 2) Vi sono, poi, le norme di derivazione concordataria che sono garantite dagli artt. 7 cpv. e 8, comma 3, della Costituzione. Sono garantiti dallart. 7, comma 2, della Costituzione i Patti lateranensi, ossia gli accordi fra Stato e Chiesa stipula ti l11 febbraio 1929 e resi esecutivi dalla l. 27 maggio 1929, n. 810, consistenti in un Trattato , per la soluzione della questione romana, con la creazione dello Stato Citt del Vaticano e altre garanzie, cui allegata una Convenzione finanziaria ; un Concordato , volto a disciplinare il trattamento della Chiesa cattolica in Italia. Di tali testi, ormai, rimasto in vigore solo il Trattato, essendo stato il Concordato abrogato dallart. 13 dell Accordo del 18 febbraio 1984, reso esecutivo dalla l. 25 marzo 1985, n. 121, che ha sostituito il Concordato del 1929. Sono garantite dallart. 8, comma 3, della Costituzione le leggi approvate in base ad intese con le confessioni religiose di minoranza. Attualmente sono in vigore la l. 11 agosto 1984, n. 449, che riproduce l Intesa fra lo Stato e le Chiese rappresentate dalla Tavola valdese, le l. 22 novembre 1988, n. 516 e 517, riguardanti le Intese con lUnione italiana delle Chiese avventiste del settimo giorno e con le Assemblee di Dio in Italia , la l. 8 marzo 1989, n. 101, sull Intesa con le Comunit ebraiche, la l. 12 aprile 1995, n. 116, sull Intesa con lUnione cristiana evangelica battista dItalia , 3

la l. 29 novembre 1995, n. 520, sull Intesa con la Chiesa evangelica luterana dItalia . Altre leggi di derivazione concordataria riguardanti la Chiesa cattolica, oltre a quella, gi menzionata, n. 121 del 1985, sono: la l. 20 maggio 1985, n. 206, che d esecuzione al Protocollo del 15 novembre 1984, riguardante gli enti ecclesiastici e il sostentamento del clero, la l. 20 maggio 1985, n. 222, che riproduce i contenuti del detto accordo. Le l. n. 121 e n. 206 del 1985, che autorizzano la ratifica e danno esecuzione agli accordi con la Santa Sede, non sono garantite, come vedremo a suo luogo dallart. 7 cpv. Cost., ma, quali atti assimilabili alle leggi di esecuzione dei trattati internazionali, dallart. 10, comma 1, Cost.. 3) Nel nostro ordinamento, inoltre, vi sono leggi che dettano norme formalmente attribuibili alla volont unilaterale dello Stato , come quelle che hanno previsto le norme di applicazione del Concordato del 1929: la l. 27 maggio 1929, n. 847, riguardante il matrimonio, che rester in vigore sino a quando non sar approvata una legge matrimoniale che consenta una migliore applicazione dellart. 8 dellAccordo 18 febbraio 1984; la l. 27 maggio 1929, n. 848 e il successivo regolamento dettato con R.D. 2 dicembre 1929, n. 2262, riguardante gli enti, luno e laltro abrogati dalle citate l. n. 206 e 222 del 1985, che, per hanno mantenuto in vigore talune norme in tema di confraternite, fabbricerie, ecc. Del pari sono di unilaterale derivazione statale le norme sulle confessioni di minoranza, diverse dalle confessioni che hanno stipulato Intese con lo Stato, ossia la l. 24 giugno 1929, n. 1159 e il R.D. 28 febbraio 1930, n. 289, concernenti tutte le dette confessioni, pi di recente, le norme sulla previdenza sociale dei ministri di culto di cui alla l. 22 dicembre 1973, n. 903. 4) Oltre alle norme sin qui ricordate, le quali sono dettate da fonti normative dirette, in modo specifico ed esclusivo, a disciplinare il fenomeno sociale religioso, ulteriori disposizioni riguardanti tale materia si trovano sparse in testi legislativi coinvolgenti pi vasti interessi e che ricorderemo a suo luogo. Si tratta di norme contenute nei codici (civile, penale, di procedura civile, di procedura penale), in leggi speciali, quali il t.u. delle leggi di pubblica sicurezza e connesso regolamento (R.D. 18 giugno 1931, n. 773 e R.D. 6 maggio 1940, n. 635), le leggi sul reclutamento delle forze armate e sullobiezione di coscienza (R.D. 24 febbraio 1938, n. 329 e l. 15 dicembre 1972, n. 772), lo statuto dei lavoratori (l. 20 marzo 1970, n. 300), la legge sui licenziamenti individuali (l. 15 luglio 1966, n. 604), la legge sullo scioglimento del matrimonio (l. 1 dicembre 1970, n. 898).

3. Le fonti di produzione del diritto ecclesiastico Le fonti di produzione del diritto ecclesiastico, ossia i procedimenti dai quali sono poste legittimamente le norme che trovano collocazione nella nostra disciplina, sono di vario livello e pongono taluni problemi. 1) Occorre tenere presente che, come vedremo meglio in seguito, vi un settore nel quale la fonte normativa pu essere alternativamente sia la legge ordinaria , sia la legge costituzionale . Si tratta di quelle norme che, essendo dettate dalla legge di esecuzione dei Patti lateranensi o dalla legge che dia esecuzione alle intese con le confessioni religiose di minoranza, sono protette dagli art. 7 cpv. e 8, comma 3, Cost.. Tali norme possono essere modificate da una legge ordinaria, se questa dia esecuzione a un nuovo accordo; se, invece, il legislatore intende modificarle per propria autonoma deliberazione, la legge ordinaria insufficiente e occorrer ricorrere allemanazione di una legge costituzionale. Perci, sotto il profilo della validit della legge e della competenza del legislatore ordinario, il meccanismo introdotto dalle citate norme della Costituzione quello di consentire una decostituzionalizzazione delle norme garantite. Quando vi sia un accordo fra lo Stato e la Chiesa cattolica (o fra lo Stato e una confessione che abbia stipulato unIntesa approvata per legge), diretto a modificare le norme a suo tempo concordate, per lesecuzione o lapprovazione di esso basta una legge ordinaria, la quale modifica validamente le norme garantite senza che occorra provvedere con una legge costituzionale. Nel settore che non garantito dagli art. 7 cpv. e 8 3 comma Cost., la legge ordinaria la fonte principale di norme di diritto ecclesiastico. La legge ordinaria non pone problemi, allorch disciplina una materia non toccata da alcun accordo fra Stato e confessioni religiose (come, per es., la previdenza sociale dei ministri di culto). Invece, i problemi possono sorgere, quando la legge ordinaria sia chiamata ad applicare le norme gi introdotte da altra legge esecutiva di un accordo Stato -confessioni. In tal caso, infatti, possibile domandarsi in quale misura il legislatore ordinario, oltre a dettare norme secundum legem , possa dettare anche norme praeter legem e, addirittura, norme contra legem , purch, sintende, non contra jus. Al riguardo, dopo la stipulazione del Concordato del 1929, furono sollevate varie questioni circa la conformit de lle norme di applicazione poste dalle leggi del 1929 n. 847 (sul 5

matrimonio) e n. 848 (sugli enti ecclesiastici e il patrimonio) con la l. n. 810 che aveva reso esecutivo il Concordato. Questioni che erano state superate nel senso della prevalenza delle norme poste dalle leggi di applicazione, in forza dei principi della specialit di tali leggi, dirette a disciplinare interamente i rapporti da esse considerati e perci prevalenti rispetto alla legge generale di esecuzione del Concordato; della successione di esse nel tempo e perci delleffetto abrogativo prodotto dalle stesse sulle norme generali eventualmente contrarie poste dalla legge desecuzione. E bene, infatti, ricordare che la legge di esecuzione dei Patti lateranensi, n. 810 del 1929, per quanto involgesse una materia di spiccata rilevanza costituzionale (art. 12 n. 6, l. 9 dicembre 1928, n. 2693), in regime di costituzione flessibile, era una legge che, al pari dello Statuto albertino, poteva essere sospesa, derogata, modificata o abrogata da una legge ordinaria successiva. 2) Al livello normativo inferiore stanno le norme regolamentari ora dettate con decreto del Presidente della Repubblica e, in passato, con regio decreto. Tali provvedimenti disciplinano le modalit applicative delle norme di legge e, perci, devono essere conformi a queste. Leventuale contrasto con la norma di legge pu essere sindacato dallautorit giudiziaria ordinaria o dal giudice amministrativo, secondo che la norma regolamentare violi un diritto soggettivo o un interesse legittimo ovvero tocchi materia riservata alla giurisdizione esclusiva del secondo. 3) Scendendo nella scala gerarchica delle fonti ricordiamo le norme interne della pubblica amministrazione, di solito dettate con circolari, le quali si impongono come norme dazione degli uffici inferiori in base al principio gerarchico. Anche tali disposizioni interne, pur disciplinando negli aspetti pratici e pi minuti lo svolgimento dellazione amministrativa, possono toccare interessi di terzi e, perci, devono costantemente essere conformi alla legge e ai regolamenti. Il campo in cui le norme interne trovano ampio spazio di applicazione quello nel quale le norme di legge o regolamentari danno, a loro volta, spazio al dispiegarsi della discrezionalit amministrativa. In tale, settore, la circolare vale a disciplinare lesercizio dei poteri discrezionali attribuiti agli organi di governo. 4) Le regioni, sia a statuto ordinario, sia a statuto speciale, non hanno competenza nella materia oggetto della legislazione prevista dagli art. 7 cpv. e 8, comma 3, Cost.. Tuttavia, poich talune delle materie di competenza regionale, come la beneficenza pubblica, lassistenza sanitaria e ospedaliera, lassistenza scolastica e listruzione artigiana e professionale, possono rientrare anche negli interessi delle confessioni religiose, non escluso che le leggi regionali possano essere comprese fra le fonti di norme di diritto ecclesiastico, allorch indirettamente vengono a toccare gli enti delle confessioni religiose, in quanto creino diritto comune applicabile a tutte le persone giuridiche. Invece, affinch le leggi regionali siano chiamate a disciplinare in modo diretto e specifico la materia ecclesiastica, occorre che tale competenza legislativa sia attribuita alle regioni da una legge dello Stato che sia esecutiva di un accordo con le confessioni religiose. 6

Non sembra che possa indurre in contrario avviso la disposizione dellart. 13.2 dellAccordo fra Italia e Santa Sede del 18 febbraio 1984 (l. n. 121 del 1985), il quale, per la disciplina delle materie non considerate dallAccordo stesso, prevede, oltre ad ulteriori accordi fra le due parti, intese fra le competenti autorit dello Stato e la Conferenza Episcopale Italiana. Al riguardo, per ritenere ammissibili accordi a livello regionale, sarebbe necessario interpretare in senso ampio e generico la formula competenti autorit dello Stato, in modo da intendere fra queste anche le autorit regionali, preposte, per lappunto, ad una regione dello Stato. Diversamente, ossia interpretando la formula alla lettera, la competenza regionale per le dette intese dovrebbe essere esclusa. 5) Vi sono poi ipotesi di esecuzione di intese fra autorit statali e confessioni religiose. Si pensi alle intese fra le autorit scolasti che italiane e la Conferenza episcopale italiana, riguardo allinsegnamento della religione nella scuola pubblica (art. 9 n. 2 dellAccordo fra Italia e Santa Sede del 18 febbraio 1984 - l. n. 121 del 1985 -); agli art. 18 e 20 della l. 11 agosto 1984 n. 449 - la quale ha approvato lIntesa con la Tavola valdese -, che prevedono, rispettivamente, ulteriori accordi per lelaborazione della legge di applicazione e ulteriori intese in occasione della formulazione dei disegni di legge che coinvolgono rapporti delle chiese rappresentate dalla Tavola valdese con lo Stato. Nei casi anzidetti, e negli altri eventuali, nei quali siano previsti accordi fra le autorit italiane e la Conferenza episcopale - come del resto per ulteriori intese o accordi fra lItalia e la Santa Sede o fra lItalia e i rappresentanti delle confessioni di minoranza - non vi stata n vi una delegificazione delle materie oggetto di tali accordi, poich nessuna delle disposizioni in questione esprime una norma che escluda la necessit di una legge per disciplinare le materie da esse considerate come oggetti possibili o necessari di un accordo. Perci le intese dovranno essere eseguite nellordinamento dello Stato da una fonte idonea a modificare le norme sulle quali incidono gli accordi. Se essi riguardano una materia disciplinata da leggi ordinarie o rispetto alle quali vi sia una riserva di legge, per lesecuzione occorrer una legge ordinaria. Se riguardano materie disciplinate da regolamenti, occorrer un decreto del Presidente della Repubblica. Se, infine, incidono su preesistenti norme interne, baster lemanazione di nuove norme di tale tipo con circolari, normali e simili. 3.1 Un modo probabilmente illegittimo di eseguire le intese: il caso dei giorni festivi In contrasto con quanto osservato e anche con gli art. 70 - 72 Cost., un decreto, il d.p.r. 28 dicembre 1985, n. 792, anzich una legge, ha riconosciuto agli effetti civili un elenco di festivit religiose della Chiesa cattolica, determinato dintesa con la Santa Sede, ai sens i dellart. 6 dellAccordo 18 febbraio 1984 (l. n. 121 del 1985). Lart. 6 dellAccordo 18 febbraio 1984 (l. n. 121 del 1985), come noto, prevede che la Repubblica italiana riconosce come giorni festivi tutte le domeniche e le altre festivit religiose determinate dintesa tra le Parti.

La festivit domenicale legittimamente confermata, perch lAccordo reso esecutivo con legge, ma la norma concordataria, rinviando la determinazione degli altri giorni festivi a ulteriori intese, non ha delegificato la materia, bens ha garantito alla Santa Sede che le modifiche del calendario delle feste religiose (cattoliche) sarebbero state introdotte daccordo, anzich in modo unilaterale dallo Stato, e ha differito la soluzione della questione ad altri tempi e ad altri accordi. Una volta stipulata lintesa, il riconoscimento delle festivit andava fatto per legge. La disciplina dei giorni festivi agli effetti civili, invero, sembra materia riservata alla legge per pi di una ragione. In proposito, occorre ricordare che lelenco di tali giorni stato sempre fissato per legge. Inoltre, i nuovi giorni festivi sono stati sempre introdotti per legge. Infine, la materia dei giorni festivi tocca, per pi versi, i diritti soggettivi, sia per ci che concerne i rapporti di lavoro, sia perch i giorni festivi prorogano di diritto la scadenza dei termini (art. 2963, comma 3, cod. civ.), ovvero ne anticipano la scadenza, allorch il termine debba essere calcolato in giorni liberi (come nel caso previsto dallart. 190, commi 2 e 3, cod. proc. civ.). Perci, ogni disposizione in proposito influisce sullesercizio dei diritti soggettivi nei pi vari settori dellordinamento e la materia della disciplina dei diritti soggettivi non pu restare affidata alla discrezionalit del g overno.

3.2 Poteri di indirizzo del Parlamento e legislazione in materia ecclesiastica

Per la disciplina di quei casi in cui intese o accordi ulteriori, fra lo Stato e la Santa Sede o fra organi dello Stato e la Conferenza episcopale italiana, riguardino materie riservate alla legge o regolate dalla legge, nel corso della discussione avanti alla Camera dei deputati sul disegno di legge destinato a dare esecuzione allAccordo del 18 febbraio 1984 (diventato la I. n. 121 del 1985), il 20 marzo 1985 stato presentato un ordine del giorno di indirizzo. Tale documento (n. 9/2021/2) impegna il governo a sottoporre preventivamente al Parlamento ogni proposta o ipotesi di intesa, concernente nuove materie o lattuazione di principi sanciti dallaccordo concordatario, al fine di consentire alle Camere di esercitare in tempo utile i propri poteri di indirizzo. Il governo ha accettato tale ordine del giorno, precisando che i detti poteri di indirizzo devono essere intesi come quelli costituzionalmente attribuiti alle Camere, e non altri. E noto che lordine del giorno, come strumento di indirizzo, ha un oggetto specifico, perch si inserisce in un procedimento legislativo in corso, al fine di impegnare il governo a una determinata interpretazione e attuazione delle norme in via di approvazione. Laccettazione del governo, di regola, fa assumere allordine del giorno la veste di una mera raccomandazione ed esclude, come avvenuto nella specie, una votazione sul documento. Nella prima attuazione di tale indirizzo, il governo ha ritenuto di adempiere limpegno facendo riferire in commissione dal Ministro competente (si trattava del Ministro della

pubblica istruzione, competente per lintesa con la CEI sullinsegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche) le linee fondamentali del progetto di accordo. Peraltro, questo modo di sottoporre al Parlamento la proposta di intesa sembrato inadeguato per consentire lesercizio dei poteri di indirizzo, che avrebbero potuto essere compiutamente esercitati solo se il governo avesse presentato integralmente e tempestivamente il testo della bozza di accordo. Il governo, invece, ha ritenuto che i poteri dindirizzo del Parlamento potessero essere esercitati, come del resto erano stati esercitati, anche in base allinformativa. Allo stato attuale dei rapporti fra governo e Parlamento, pertanto, i poteri dindirizzo non risultano intesi in modo univoco, specie quando, come in sede di legislazione ecclesiastica, il dictum dei rappresentanti del popolo risulti da un ordine del giorno accettato, con una sua interpretazione, dal governo e non votato. Ma, anche quando lindirizzo di politica ecclesiastica sia espresso con i pi generali strumenti della mozione e della risoluzione, limpegno che deriva dallapprovazione di questi ha carattere politico. Tale impegno, infatti, riguarda i rapporti, in materia di indirizzo politico, fra due organi costituzionali dello Stato, basati sulla fiducia delle Camere al governo. Ove questo si rendesse inadempiente, ci importerebbe una sua responsabilit politica, la quale troverebbe rimedio attraverso mezzi politici, come lapprovazione da parte delle Camere di una mozione di sfiducia o, comunque, come una crisi di governo, ovvero, allopposto, come il mutamento dellindirizzo in precedenza impartito. Linadempimento governativo, invece, non importerebbe, da s solo, lillegittimit degli atti compiuti per raggiungere le intese e, ancor meno, lillegittimit delle norme che dessero esecuzione ad esse, senza che le Camere avessero esercitato i propri poteri dindirizzo. Inoltre, dato il rapporto, basato sulla fiducia esistente fra governo e maggioranza parlamentare, lindirizzo espresso in una mozione o in una risoluzione o, pi limitatamente, in un ordine del giorno, riguarda i rapporti di quel determinato governo con quella determinata maggioranza, che ha approvato il documento contenente lindirizzo, onde questo non vincolante per un nuovo governo o per una nuova maggioranza.

3.3 Singolare rapporto tra le due leggi n. 206 e n. 222 del 1985 In occasione della modificazione del Concordato del 1929 la modificazione oggetto di maggiori attenzioni, comera naturale che fosse, stata quella della disciplina degli enti ecclesiastici. In tale settore, peraltro, il legislatore ha agito in modo confuso, dando luogo ad alcuni problemi nellambito delle fonti normative concernenti i rapporti fra lo Stato e la Chiesa cattolica. E avvenuto, infatti, che lart. 75 delle norme sugli enti, concordate dalla commissione paritetica prevista dallart. 7.6 dellAccordo del 18 febbraio 1984, prevedesse lentrata in vigore delle norme con la contestuale pubblicazione di esse nella Gazzetta Ufficiale e negli Acta Apostolicae Sedis. Questa norma passata, cos come era, nella l. 20 maggio 1985, n. 222 che, formalmente, una legge ordinaria e unilaterale dello Stato, sicch avvenuto, per la prima volta nella storia della legislazione italiana, che per lentrata in vigore, di una legge fosse prevista non solo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, ma anche la pubblicazione sugli atti ufficiali di un altro ordinamento. 9

Tali pubblicazioni sono avvenute, la legge entrata in vigore, ma sarebbero sorti problemi giuridici non privi di interesse, ora superati dai fatti, se la Santa Sede, per una qualche ragione, non avesse pubblicato le norme sui suoi Acta . Non meno discutibile la vicenda, nel diritto statuale, dei due disegni di l. n. 2336 e 2337 riguardanti, rispettivamente, lautorizzazione alla ratifica e la prevista esecuzione del protocollo del 15 novembre 1984, con cui le parti avevano approvato le norme concordate dalla commissione paritetica, e ladozione delle norme stesse con legge statuale. Non sembra, per, riuscito il tentativo di separare, in due momenti distinti, lautorizzazione alla ratifica del protocollo e lesecuzione nellordinamento italiano delle norme in questione.

Nel corso dell iter parlamentare del d.d.l. n. 2336 - che in origine non le riportava - sono state allegate al progettato provvedimento le norme adottate dalla commissione paritetica. Sicch le stesse, ora, sono in vigore in base a due diverse fonti: la I. n. 206, che autorizza la ratifica del protocollo che le ha approvate, e la I. n. 222, che, in modo indipendente, detta identiche norme. I due testi differiscono formalmente solo proprie formule le poche modificazioni introdurre nelle disposizioni proposte disposizioni, nel testo riportato dalla I. n. modificazione allegate al protocollo. per il fatto che la I. n. 222 ha recepito nelle che le altre parti avevano ritenuto di dover dalla commissione paritetica, laddove tali 206, devono essere coordinate con le note di

Poich, dopo tale operazione ermeneutica, le norme espresse dalle due I. n. 206 e n. 222 del 1985 sono identiche, evidente che si profilino problemi non privi di interesse nel settore delle fonti del diritto. La I. n. 206 con le norme concordate stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 27 maggio 1985 n. 123 (supplemento ord.) e le ratifiche sono state scambiate il 3 giugno 1985. In conseguenza, anche se il legislatore ordinario modificasse, derogasse o abrogasse la I. n. 222 del 1985, le norme concordate rimarrebbero in vigore, in modo inalterato, in forza della I. n. 206, finch non fosse data esecuzione a un nuovo accordo con la Santa Sede per la modifica, la deroga o labrogazione delle norme approvate dal protocollo del 15 novembre 1984.

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Capitolo 2 La religione e lorganizzazione dei potere civile

1. Premessa. Lunione dei sacro con il politico

Il fenomeno religioso nellambito sociale ha sempre avuto una rilevanza primaria, dato il collegamento esistente fra i valori espressi dallo spirito e la determinazione della condotta umana. Religio , nella lingua dei latini, aveva significati polivalenti, perch indicava, fra laltro, sia il culto del divino, sia la superstizione La religio, in entrambi i significati, ha avuto (ed ha) una grande importanza, rispettivamente, presso le societ progredite e presso le societ primitive nel governo del gruppo. In proposito, basti ricordare come nella Roma arcaica (come anche nelle citt greche, nellordinamento ebraico e negli Stati orientali) non vera distinzione tra istituzioni politiche e organizzazioni religiose. Anche quando, con la Repubblica romana, il governo civile venne a distinguersi dal sacerdozio, la funzione svolta dal collegio pontificale, per lo stretto legame esistente fra politica e religione, continu ad essere funzione pubblica, adempiuta da un organo dello Stato; organo pubblico al pari dei consoli, del senato, dei comizi e delle varie magistrature. Il jus sacrum era, in conseguenza, un ramo del jus pubIicum , ossia del diritto che disciplinava il governo dello Stato. Solo con la Lex duodecim tabularum tutti i romani del IV secolo a.C. poterono conoscere le leggi civili da cui erano retti, perch sino a quel momento tali norme, di carattere consuetudinario, erano ben note soltanto alla casta dei sacerdoti. Con lavvento dell Impero romano, le funzioni di pontefice massimo furono assunte direttamente dal capo dello Stato, il quale, addirittura, in quanto incarnazione vivente della perennit e sacert dellordinamento imperiale, divent divus, divinit oggetto di culto. Da ci lavversione dellautorit imperiale nei confronti dei cristiani, perseguitati non per ragioni ideologiche (giacch la Roma imperiale accettava ogni religione) ma per ragioni dordine pubblico e politiche, soprattutto perch essi, disconoscendo la divinit

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dellimperatore e rifiutando di partecipare al culto che gli era dovuto, si rendevano rei di lesa maest.

2 I rapporti fra Stato e confessioni religiose: a) il cesaro-papismo

Lunione del potere politico con il potere religioso esistente nellorganizzazione dellImpero romano non venne meno con il riconoscimento del cristianesimo come religio licita , in forza degli editti di Milano e di Nicomedia emessi nel 313 d.C. da Costantino e da Licinio. Gli imperatori romani, come erano stati pontefici massimi del paganesimo, una volta fattisi cristiani, diventarono, secondo la tradizione romana, i pontefici massimi della nuova religione. Era lImperatore il capo supremo della Chiesa. Tale sistema dei rapporti fra Stato e religione, fra Stato e organizzazione ecclesiastica, per la commistione nellImperatore delle due funzioni di capo dello Stato e di capo della Chiesa stato definito con il termine di cesaro-papismo. In particolare, il cesaro-papismo vale a scolpire la situazione di unautorit suprema, insieme temporale e spirituale, la situazione di unione del potere civile con il potere ecclesiastico. Il cesaro-papismo cess nellEuropa occidentale con la fine dellImpero romano di occidente, ma persistette nellImpero di Bisanzio sino al suo crollo (1453). E, da allora, emigrato ancor pi a est, perch, essendo il cri stianesimo degli slavi di derivazione bizantina, il sistema cesaro-papista era stato adottato anche dagli zar, onde sopravvissuto nellimpero russo sino alla fine della monarchia zarista (1917).

Uno degli esempi pi illustri della commistione fra potere la religione supremo civile e suprema potest religiosa, esistente nel sistema cesaro -papista, dato dal Corpus juris civilis , il quale nel Codex giustinianeo riporta, in apertura le norme imperiali che sancivano il dogma della Trinit e gli altri princ ipi della fede cattolica, come legge che tutti i cristiani dovevano abbracciare.

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3. Segue: b) Il giurisdizionalismo

Il cesaro-papismo era cessato nelloccidente europeo per il venire meno di unautorit politica centrale, che potesse arrogarsi un potere supremo su tutta la Chiesa. Ma, nel frattempo, era venuta crescendo l autorit del Vescovo di Roma , il quale non manc di rivendicare una potest anche dordine temporale. I conflitti tra Papato e Impero dellalto medio evo erano dordine politico e non ideologico. Ricordiamo, in proposito, la lotta per le investiture, combattuta tra lultimo quarto dellXI secolo e il c. d. Concordato di Worms (1122), che prendeva alimento da una questione di potere e non da divergenze dordine religioso. Invero, una volta rotta, con la caduta dellImpero romano, lunit del potere civile con il potere ecclesiastico, sera fatta strada la dottrina evangelica della distinzione tra i due poteri, costantemente affermata dalla letteratura patristica occidentale (S. Ambrogio; S. Agostino; S. Gregorio Magno), onde, sino al XIV secolo circa, era coscienza comune che i due poteri fossero distinti e le controversie riguardavano semmai la delimitazione di essi. Le lotte tra Papato e Impero cessarono con lindebolirsi del potere temporale del Papa (compensato dal contemporaneo affievolirsi del potere imperiale sulla Santa Sede e dalla riforma della Chiesa promossa da Gregorio VII) e il frantumarsi del sogno di un rinnovato impero romano-cristiano. Tali vicende importarono notevoli conseguenze. Il sorgere di grandi compagini nazionali o di piccoli Stati organizzati sotto il potere di un principe, se non attribuiva a questo la forza per definire dogmi o convocare Concili, gli attribuiva per la suprema potest sul territorio e lo svincolava da ogni potest esterna, fosse essa lImperatore o il Papa. Per organizzare lo Stato, il principe era portato a dominare su qualsiasi altra potest o ceto esistente sul territorio . Era lalba dello Stato moderno. In questa prospettiva lorganizzazione della Chiesa non poteva sfuggire al potere regio. Il contrasto fra la potest civile e quella ecclesiastica si manifestarono attraverso eventi di grande rilievo, quali il grande scisma doccidente, il manifestarsi delle eresie (in 13

Francia, Italia, Germania, Boemia, Inghilterra), la riforma protestante e le successive guerre di religione. Le controversie dottrinali del XIV e XV secolo, che miravano a sostenere il potere civile, talora con marcati accenti antipapali trovarono la sistemazione pi compiuta nelle tesi sostenute da Niccol Machiavelli sullo Stato assoluto, territorialista e giurisdizionalista. Le guerre di religione furono concluse dalla pace di Augusta (1555), che riconobbe solo ai principi la libert di aderire o non alla religione riformata e attribu loro il jus reformandi, ossia, fra laltro, il potere di imporre la religione da essi professata a quei sudditi che non avessero preferito emigrare in altro paese. Doveva passare quasi un secolo perch, con la pace di Westfalia (1648), alla fine della guerra dei Trentanni, si avesse riguardo per le minoranze religiose, attribuendo uguali diritti a cattolici, luterani e calvinisti. 3.1 Nel periodo intercorso fra le due date menzionate si consolidarono i sistemi nei quali la Chiesa era subordinata allo Stato, al potere civile, allora impersonato dal monarca assoluto . Tali sistemi hanno assunto varie denominazioni: - territorialismo in Germania, dove, con la trasformazione del regno in un nominale Stato federale e la sua frantumazione in principati grandi e piccoli, i principi di ciascuno di essi esercitavano tutti i poteri pubblici, compresi i poteri sulla locale Chiesa riformata, onde i beni di essa appartenevano al principe e i funzionari della stessa erano inquadrati nellorganizzazione statale; - gallicanesimo in Francia, dove, fra laltro, si sosteneva che i poteri del Papa riguardavano solo le materie spirituali, mentre spettavano al re tutti i poteri in materia temporale; - giuseppinismo o febbronianesimo in Aus tria, dai nomi, rispettivamente, di Giuseppe Il e di Febronius, pseudonimo con cui il vescovo suffraganeo di Treviri, Giovanni Nicol di Hontheim, aveva pubblicato nel 1763 lopera De statu Ecclesiae et legitima potestate Romani Pontificis liber singularis, nella quale erano sostenute tesi vicine a quelle gallicane; - leopoldismo, dal granduca Leopoldo I, in Toscana; - tanuccismo, dal ministro Tanucci, nel regno di Napoli; - diritto ecclesiastico siculo , in Sicilia, dove listituto della Legazia Apostolica, risalente al 1098, consentiva al re di considerarsi legato nato del Papa per lesercizio dei supremi poteri ecclesiastici nellisola. In Italia, per, tali sistemi, dalle denominazioni variegate, sono stati indicati con lespressione onnicomprensiva di giurisdizionalismo, la quale sta ad indicare il prevalere della giurisdizione statale su quella ecclesiastica. 3.2

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In sintesi, i poteri propri dei sistemi giurisdizionalisti sono stati tradizionalmente classificati secondo due grandi filoni: - poteri volti a proteggere la Chiesa; - poteri diretti a difendere lo Stato dalla Chiesa. Entrambi tali poteri facevano parte dei jura maiestatica circa sacra e comprendevano:

1) quanto alla protezione della Chiesa: - il jus advocationae o protectionis , in forza del quale lo Stato garantiva lunit della Chiesa e la purezza della fede, combattendo ogni tentativo di apostasia, eresia o scisma; tutelava gli enti ecclesiastici da eventuali affari dannosi; il jus reformandi, che negli Stati protestanti, dati i jura in sacris che si attribuiva il principe, importava anche il potere di costui di intervenire nellorganizzazione interna della Chiesa, determinandola o modificandola, nonch di mutare la religione dei sudditi; mentre negli Stati cattolici, che ri vendicavano solo i jura circa sacra, implicava il potere di introdurre nella Chiesa quelle riforme ritenute necessarie per un buon funzionamento dei suoi istituti e per eliminare gli eventuali abusi. In entrambi gli Stati il jus reformandi, altres compren deva il potere di ammettere le minoranze religiose in via di tolleranza.

2) quanto alla tutela dello Stato dalla Chiesa: - il jus nominandi, per il quale il principe concorreva, in vario modo, alla nomina dei funzionari ecclesiastici, in particolare, dei vescovi; - il jus exclusivae, con il quale lintervento dello Stato nelle nomine anzidette si manifestava dichiarando minus grata la persona nominata; - lexequatur o pareatur, altrimenti detto jus placeti regii ovvero placitum regium o placitazione, consistente nel potere dello Stato di esaminare gli atti emanati dallautorit ecclesiastica, anche in materia di fede, per accertare che non contenessero alcunch di pericoloso per lo stesso Stato. Senza il visto o lapprovazione regia gli atti ecclesiastici non potevano essere pubblicati e, in conseguenza, non avevano neppure efficacia canonica; - il sequestro di temporalit, ossia il sequestro dei beni di un istituto ecclesiastico, che poteva avere carattere amministrativo o politico, secondo che il rappresentante dellente avesse male amministrato o avesse tenuto una condotta contraria agli interessi dello Stato; - il jus appellationis , in base al quale gli ecclesiastici o i fedeli potevano ricorrere al sovrano, con lappello per abuso, contro provvedimenti o sentenze dellautorit ecclesiastica ritenuti lesivi dei diritti dei singoli o degli interessi dello Stato; 15

- il jus dominii eminentis , appartenente al sovrano su tutto il territorio dello Stato, il quale, come nel rapporto enfiteutico, importava che i sudditi fossero considerati solo domini utili dei loro beni. Tale potere, nei confronti degli enti ecclesiastici, implicava la facolt di imporre tributi, di amministrare i beni in caso di vacanza, facendo propri i frutti, e, quando la necessit polit ica lo esigesse, di incamerarne i beni con le leggi di ammortizzazione (leges de amortizando); - il jus inspiciendi, ossia il generale potere del principe di intervenire e vigilare sulle istituzioni ecclesiastiche, controllandone gli acquisti e lamministrazione dei beni, istituire nuovi enti, sopprimere quelli inutili o dannosi, sorvegliare la professione dei voti religiosi, linsegnamento nei seminari e nelle altre scuole, e, ancor di pi, di sorvegliare sui Concili e sulle missioni ed inoltre di limitare le relazioni fra tali istituti e la Santa Sede. 4. Segue: c) la teocrazia Il sistema teocratico, ossia della soggezione dello Stato alla Chiesa, e, in particolare, alla Santa Sede, non si pu dire che si sia mai realizzato pienamente nellesperienza della civilt europea. E stata, invece, una rivendicazione che si manifestata, fin dal tempo delle persecuzioni della Chiesa primitiva, come indifferenza, avversione e disprezzo dellImpero, chiamato da S. Agostino, magnum latrocinium . Per questo padre della Chiesa la Civitas terrena , quando tenda solo alla felicit mondana dei sudditi, commette peccato al pari dellindividuo che cerchi soltanto la felicit terrena. Lo Stato pu sottrarsi a tale situazione peccaminosa subordinando le sue leggi e la sua azione alla legge divina, perch solo cosi pu anticipare la Civitas coelestis. 4.1 Questa stata la premessa delle rivendicazioni teocratiche, tali qualificabili perch, in taluni scrittori del XIII secolo, il Papa era divinizzato. Nel pensiero politico medioevale la Chiesa avrebbe dovuto perseguire lordinatio ad unum, cui gi aveva mirato lImpero romano . Caduto questultimo, solo la Chiesa, fondata da Dio e una, poteva far valere e attuare il principio di unit, perch essa era la sola legittima potest, il suo monarca era Cristo e, in nome di lui, lo era il suo Vicario, il Papa Le tesi teocratiche sopra accennate poterono essere fatte valere dalla Santa Sede nel periodo della sua maggiore potenza, allincirca tra linizio del pontificato di Gregorio VII (1073) e la fine di quello di Bonifacio VIII (1303), come risulta da due importanti documenti di questi pontefici: il Dictatus papae del primo e la bolla Unam Sanctam dellaltro. E al Papa che appartengono tutti i poteri esercitabili nel mondo, sia dordine spirituale sia dordine temporale, perch li ha avuti direttamente da Dio. Tutte le potest temporali sono esercitate sulla terra per delegazione del Papa. Si tratta del fenomeno della potestas directa in temporalibus. 4.2 Dalla potestas directa in temporalibus derivano diverse conseguenze: solo alla Chiesa spettava il potere di decidere in modo unilaterale su ci che fosse di sua competenza e su ci che fosse di competenza dello Stato; tutta la materia ecclesiastica era sottratta ad ogni ingerenza del potere civile; 16

il potere civile era tenuto a mettere a disposizione della Chiesa i suoi mezzi coercitivi per lesecuzione dei provvedimenti dellautorit ecclesiastica (il c.d. braccio secolare); nel contrasto tra leggi civili e leggi ecclesiastiche, dovevano essere queste a prevalere; le leggi civili contrarie ai diritti della Chiesa erano, ipso jure, illegittime, nulle e non obbliganti; nessuna autorit era legittima se non derivava il proprio potere da una investitura ecclesiastica (si ricordino le incoronazioni degli imperatori di Germania in Roma), che poteva essere revocata in caso di indegnit, sciogliendo i sudditi dal vincolo di sudditanza (si pensi al caso di Enrico IV, deposto da Gregorio VII e supplice a Canossa); solo il Papa poteva decidere in ultima istanza della guerra e della pace, ripartire le terre scoperte (bolla pontificia del 1493 di divisione dellAmerica) e, in generale, disporre delle persone e delle cose di tutto il mondo. 4.3 Ma le posizioni anzidette non potevano essere sostenute nei fatti dopo lindebolimento dellautorit papale e dopo la rottura dellunit dei cristiani doccidente, in seguito alla riforma. E del 1581, in epoca immediatamente successiva alla chiusura del Concilio di Trento, lopera di Roberto Bellarmino De Summo Pontifice, nella quale per la prima volta fu delineata la potestas indirecta in temporalibus, ossia il potere della Chiesa di regolare con le proprie leggi anche i rapporti civili, di sciogliere i fedeli dallobbligo dellosservanza delle leggi civili contrarie agli interessi ecclesiastici, di premere indirettamente sui governanti affinch siffatte leggi non siano emanate. Tale opera fu messa allIndice dei libri proibiti e dovevano passare oltre due secoli perch la potestas indirecta in temporalibus facesse capolino in un documento pontificio (nel Sillabo di Pio IX: 1864). Oggi, e da tempo, lunica potest in materia temporale, qualificata come potestas mediata, che sia rivendicata dalla Chiesa. 4.4 La configurazione che della potestas indirecta era possibile fare nell et dello Stato assoluto , ben diversa da quella effettuabile nei confronti di uno Stato democratico. Nel primo caso, la potestas poteva essere esercitata nei confronti del sovrano cattolico e suscettibile, come uomo, di peccare. Nel secondo caso, in cui la sovranit appartiene al popolo, la potestas pu essere esercitata influendo sui fedeli elettori, affinch orientino le loro scelte nel senso indicato dallautorit ecclesiastica. E palese che, in questo nuovo contesto politico, la tesi tramontata. 4.5

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Peraltro, fuori della Chiesa cattolica, di quando in quando, le aspirazioni unitarie, implicanti la subordinazione del governo civile al potere religioso, hanno trovato varie manifestazioni Basti pensare al regime teocratico istituito da Calvino a Ginevra nel 1535, alla repubblica fondata nellAmerica del Nord dai padri pellegrini sbarcati nel 1620 dal Mayflower, un ordinamento il cui capo era Ges Cristo e la legge fondamentale la Bibbia. Ai nostri giorni, esempi di Stato teocratico sono riscontrabili nel mondo islamico, come, per es., nellordinamento dellIran, successivo alla caduta dello sci.

5. Segue: d) Il separatismo

I vari sistemi di rapporti fra Stato e confessioni religiose sono in reciproco rapporto dialettico e sono stati realizzati secondo quanto consentivano le circostanze storiche e politiche del momento. A questa sorte non si sottrae lulteriore sistema, che, in astratto, dovrebbe essere un nonsistema (o un sistema de-istituzionalizzato) dei rapporti fra Stato e confessioni religiose, che convenzionalmente indicato come quello della separazione tra tali entit Il separatismo , al pari degli altri sistemi, ha una lunga storia di idee e di realizzazioni, che hanno dato luogo a molteplici e variegate esperienze. 5.1 Lidea separatista stata proposta originariamente per realizzare l indipendenza della Chiesa, tutelandone gli interessi, eventualmente anche contro gli interessi dello Stato. Dopo la Riforma stata sostenuta: dagli Anabattisti in Germania; dai Congregazionalisti e dagli Indipendenti in Inghilterra, dove il suo maggior teorico stato il Milton. Secondo la tesi sostenuta dalle correnti anzidette lo Stato, quando non si conformava alla legge divina, era opera malefica; la Chiesa poteva dipendere solo da Cristo, onde ogni dominazione dello Stato sulla Chiesa era dominazione dellAnticristo. In particolare, come sosteneva Milton, il patrimonio ecclesiastico avrebbe dovuto essere utilizzato per scopi di pubblica utilit e la Chiesa avrebbe dovuto svolgere la propria attivit con le libere contribuzioni dei fedeli. Ma la realt ha deluso tali aspirazioni, evidenziandosi contrasti tra la teoria separatista e la prassi.

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Quando Cromwell, capo degli Indipendenti, conquist il potere, si guard bene dallattuare il separatismo; concesse ampia libert ai dissidenti, ma mantenne la Chiesa ufficiale, creata da Enrico VIII ed Elisabetta I. A loro volta, quando i Congregazionalisti di origine inglese (i Pellegrini) si trasferirono nel Massachusetts (1620), la prima colonia puritana da essi fondata non fu per nulla separatista, ma teocratica. Il separatismo, come mezzo di affrancazione della Chiesa, nel 1800 stato sostenuto in Europa sia dal protestantesimo liberale tedesco sai dal cattolicesimo liberale svizzero e francese. Tratto comune tra il protestantesimo tedesco e quello francofono che la religione, il rapporto fra uomo e Dio, un fatto personale . Da ci, la prima corrente derivava che allinterno delle Chiese ufficiali non vi era libert di espressione del sentimento religioso individuale, sicch non avrebbe dovuto esistere alcuna Chiesa di Stato. I sostenitori della seconda corrente (es. Vinet) ritenevano che le due diverse origini della societ civile (formatasi pe r necessit) e della societ religiosa (creata dal sentimento) dovevano essere distinte e indipendenti, onde gli ecclesiastici non dovevano essere pi considerati pubblici ufficiali e i gruppi confessionali dovevano essere pienamente liberi di organizzarsi e di scegliere i propri ministri di culto. 5.1.2. Il separatismo dei cattolici francesi visse una peculiare vicenda. Il cattolicesimo liberale francese prese lavvio dopo la rivoluzione del 1830. Il Lamennais, che insieme al Lacordaire e al Montalembert aveva fondato il giornale LAvenir, convertitosi dalle originarie tesi teocratiche ai principi del1789, sosteneva la libert di coscienza, la libert di stampa, di associazione e di insegnamento, nonch la separazione tra Stato e Chiesa. La Chiesa, libera da questi impacci, avrebbe potuto svolgere pienamente la sua missione benefica per la societ. Ma tali tesi furono condannate da Gregorio XVI con lenciclica Mirari vos (1832). Lamennais non accett la condanna papale e divenne apostata (1834). Lacordaire e Montalembert, rimasti fedeli a Roma, pur addomesticando lideale separatista, continuarono a sostenerne la necessit, tanto che il Montalembert nel 1863 pubblic la raccolta dei suoi discorsi in difesa del separatismo dal titolo LEglise libre dans lEtat libre, una formula che, in Italia, nel 1861, era stata mutuata dal Cavour. 5.2 Altro fine del separatismo quello motivato dalla volont di fare prevalere lautorit dello Stato . Si tratta di una corrente essenzialmente antiecclesiastica, che presenta molte varianti.

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Il primo annunzio di essa nella tesi di Ruggero Williams, il quale vedeva nello Stato un ente del tutto laico che si doveva astenere dallingerirsi in materia di religione, per rispetto di questa. La Chiesa era un mero ente privato , che non aveva nulla in comune con lo Stato. Quella del Williams era una tesi liberale. Era una tesi che tendeva a ridurre la Chiesa al rango di associazione privata per rinvigorirne lo spirito religioso. Unimpronta spiccatamente anticlericale ha avuto, invece, la concezione sostenuta dal Condorcet, nella seconda met del 700, secondo il quale lo Stato non aveva motivo di interessarsi della religione, perch il disordine in tale materia, diversamente da quanto accade negli affari civili, pu avvantaggiare lo Stato. Questo deve evitare qualsiasi influenza ecclesiastica negli affari pubblici e nella pubblica istruzione, ma deve pienamente concedere la libert alle confessioni religiose. La rivoluzione francese, peraltro, introdusse il separatismo tardi (21 febbraio 1795) dopo che, sfumato loriginario anelito religioso dei membri dellAssemblea costituente. Fu una separazione fondata, fra laltro, sul presupposto che la religione fosse morta, uccisa dalla filosofia, onde era una separazione antiecclesiastica. Solo appena sei anni dopo il sistema separatista francese sarebbe caduto, con il Concordato stipulato da Napoleone nel 1801, ma sarebbe ritornato in auge a un secolo di distanza, durante la 1H Repubblica, con gli stessi connotati del 1795. Invero, la legge di separazione del 1905 non si limitava a dichiarare il disinteresse dello Stato nei confronti del fenomeno religioso, ma pretendeva di disciplinare gli ordinamenti interni delle confessioni religiose, obbligandole a organizzarsi sulla base di associazioni cultuali. Era una legge che, perci, disconosceva le preesistenti strutture confessionali, onde non era una legge liberale ma una legge antiecclesiastica, pretendendo di riformare ab extra le confessioni religiose. I suoi sostenitori pi accesi sostenevano di voler laicizzare la religione; decattolicizzare o decristianizzare il paese. 5.3 Il separatismo ha seguito altre vie negli Stati Uniti dAmerica. Tocqueville, trattando della democrazia in quel paese, ebbe ad osservare che nel sistema separatista era possibile armonizzare gli interessi della societ civile e della societ religiosa. Ed invero, alla fine del 700, nel processo che port allindipendenza delle ex colonie inglesi, occorreva superare i contrasti esistenti tra le varie teocrazie locali, costituite sulla base di differenti confessioni, e la via praticabile era quella del separatismo fondato sulla libert religiosa. Questa era stata proclamata dalla Dichiarazione della Virginia del 1776, con un principio riprodotto nel Primo emendamento apportato nel 1791 alla Costituzione federale del 1787. Tale emendamento vieta al Congresso di approvare leggi che interdicano una confessione religiosa o che prevedano lo stabilimento di una determinata confessione. Non un separatismo esente da problemi, ma si svolge in un contesto politico nel quale, essendo pienamente rispettate tutte le libert fondamentali e, fra esse, la libert di associazione. 20

Il Primo emendamento, peraltro, non ha impedito al governo U.S.A. di distinguere tra Chiesa e Chiesa e, cos , di accreditare un proprio ambasciatore presso la Santa Sede. 5.4 Il separatismo ha acquistato un ulteriore significato negli Stati dell est europeo. NellU.R.S.S., lart. 52 della Costituzione dichiarava che la Chiesa separata dallo S tato. Questo principio doveva essere inquadrato in un ordinamento nel quale le libert individuali, e perci anche la libert religiosa, erano concepite nella visione marxista leninista in funzione del fine che la societ civile doveva raggiungere; e quale fosse tale fine era il partito a determinarlo. E cos il primo comma del citato art. 52 garantiva la libert di coscienza, ossia il diritto di professare qualsiasi religione, o di non professarne alcuna, e il diritto di praticare il culto, ma riconosceva solo il diritto di svolgere propaganda ateistica, non quello di propaganda religiosa. Invero, secondo i principi marxisti-leninisti, il buon cittadino deve attivamente contribuire a liberare i compatrioti dalle convinzioni errate e illusorie sul mondo, sulla natura, sulla societ, indotte dai pregiudizi religiosi. Non bisogna, poi, dimenticare le limitazioni che incontravano, nellordinamento sovietico, le attivit delle associazioni con fine religioso e la formazione dei ministri di culto, nonch le discriminazioni cui andavano incontro i credenti. In tale contesto, la separazione tra Stato e Chiesa era una separazione in senso antiecclesiastico, in quanto importava una compressione della posizione giuridica dei singoli e delle confessioni religiose. 5.5 Il separatismo in Italia non stato il frutto di autoctone teorizzazioni dei rapporti fra Stato e Chiesa, ma, piuttosto, un mezzo politico per risolvere la c.d. questione romana nel quadro dellunit dItalia. Lenunciazione della tesi separatista dovuta al Cavour ed compendiabile nella celebre formula Libera Chiesa in libero Stato . Ma tale soluzione il Cavour, con riferimento al Piemonte, laveva prospettata sin dal 1848. Comunque il separatismo in Italia ha avuto una modesta applicazione. Negli anni del contrasto le Leggi eversive del 1848, 1855, 1866, 1867 rientravano nel solco della tradizione giurisdizionalista, secondo cui lo Stato competente a giudicare quali enti ecclesiastici siano utili alla societ e quali no. La legge sulle guarentigie pontificie del 13 maggio 1871, n. 214, che assicura la libert di discussione in materia religiosa (art. 2) e la libert di riunione dei membri del clero (art. 14), se si ispir alle idee separatiste con labolizione di vecchi istituti giurisdizionalisti (art. 15 - 16, comma 1), tuttavia altri ne mantenne in vita (art. 16, commi 2 e 3) e, soprattutto, non pot esimersi dal disciplinare la situazione della Santa Sede (art. 1 - 13). Sicch, sino ai Patti lateranensi del 1929, il sistema dei rapporti fra Stato e Chiesa in Italia non era qualificabile come separatismo, bens comegiurisdizionalismo liberale . Invero, vivevano a norma del diritto comune solo le varie denominazioni cristiane riformate, mentre la Chiesa cattolica e le Comunit israelitiche erano disciplinate da norme speciali. Agli inizi del XX secolo il rapporto fra libert religiosa e uguaglianza di trattamento delle confessioni religiose form oggetto di una controversia dottrinale tra due maestri della nostra disciplina, il Ruffini e lo Scaduto. 21

Affermava il Ruffini che linstaurazione di un regime giuridico uguale per tutte le confessioni, date le differenze esistenti tra di esse, non attuava una vera uguaglianza, la quale, per contro, sarebbe consistita nel dare a ciascuno il suo; il sistema separatista, perci, non avrebbe avuto effetto favorevole sulla libert religiosa. Sosteneva lo Scaduto, invece, che solo in regime separatista, operando tutte le confessioni a norma del diritto comune, era possibile trattare in modo uguale tutte le confessioni e assicurare una vera libert religiosa. Tale dibattito dottrinale era coevo al ralliament dei cattolici alla politica attiva (1913) e alla manifestazione delle convinzioni non concordatarie del Presidente del Consiglio dellepoca, Giovanni Giolitti, secondo. il quale lo Stato e la Chiesa erano due rette parallele, destinate a non incontrarsi mai.

Nel 1944 Arturo Carlo Jemolo, in previsione della futura riorganizzazione dello Stato, riproponeva allattenzione dellopinione pubblica il separatismo, come sistema pi adeguato per assicurare la libert religiosa e luguaglianza di trattamento delle varie confessioni religiose. Ma tale tesi non ha avuto influenza sulle vicende che hanno portato alla formazione dellattuale Costituzione.

5.6 Dopo lentrata in vigore della Costituzione, il confessionismo di fatto dello Stato nel primo decennio della Repubblica ha dato luogo alla riproposizione del separatismo in funzione antiecclesiastica, da parte di intellettuali della sinistra laica (Gaetano Salvemini, Ernesto Rossi ed altri). Si tratto per di proposte che non avevano possibilit di essere tradotte in pratica, per cui furono solo un elemento della polemica politica di quegli anni. Il separatismo , sempre in funzione antiecclesiastica, stato sostenuto a decorrere dalla seconda met degli anni 60 da vari gruppi, sia di cattolici (del c. d. dissenso), sia di laici. Quanto allatteggiamento da parte dei cattolici, va ricordato che il Concilio Vaticano II, conclusosi nel 1965, ha fatto sorgere speranze di rinnovamento e fermenti di crescita religiosa. Ma linizio dellattuazione delle deliberazioni conciliari coinciso con il sorgere, nel mondo occidentale, di un movimento generalizzato di protesta, contro le autorit e le istituzioni, che, prendendo lavvio dai campus delle Universit americane, giunto in Europa nel 1968. Tale movimento ha toccato anche la Chiesa cattolica, dando luogo, fra laltro, nel nostro paese ad un notevole sviluppo di associazioni spontanee di laici, spesso in polemica e talora in contrasto con lautorit ecclesiastica. Nel seno di tali movimenti (Comitati di Base, Cristiani per il socialismo, ecc.) lidea del separatismo coltivata come mezzo per purificare la Chiesa. Una Chiesa non privilegiata, una Chiesa non concordataria, una Chiesa povera, non condizionata da accordi politici, secondo lideologia dei detti gruppi, potrebbe meglio testimoniare il Vangelo nella societ contemporanea.

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Il separatismo sostenuto dalla dottrina laica ha fondamento nellidea che una legge uguale per tutte le confessioni religiose agevolerebbe la libert dei singoli; la legge, data la progressiva secolarizzazione dello Stato, dovrebbe dar vita a un diritto comune delle confessioni religiose, dovrebbe deconfessionalizzare tale disciplina, entro la quale potrebbero operare tutte le aggregazioni sociali con fine di religione. Anche questa tesi in funzione antiecclesiastica.

Occorre comunque tenere presente che il principio della separazione tra Stato e confessioni religiose , per s, un postulato dell idea liberale , sebbene, talora, nellesperienza storica, sia stato attuato, in senso antireligioso, da forze politiche che nulla avevano di liberale. La meta del liberalismo la costruzione dello Stato di diritto, che non sia uno Sta to qualunque, ma consista nellorganizzazione della libert; la realizzazione di uno Stato che, circoscrivendo entro stretti limiti la propria competenza, lasci liberi i singoli di orientarsi senza vincoli giuridici in materia di religione, di filosofia, di scienze o di politica. Ma lo Stato, secondo lidea liberale, non pu ignorare lesistenza sul proprio territorio di istituzioni, quali le confessioni religiose. Nei confronti di queste lo Stato liberale, data la sua incompetenza in materia di fede, deve necessariamente operare una separazione dei propri poteri da quelli propri delle medesime. Si tratta di una separazione in senso giuridico, attuata per lasciar liberi gli individui di accettare spontaneamente le dottrine morali o religiose. Secondo le tesi sopra accennate il mezzo per realizzare la detta situazione di libert la legge dello Stato, laddove i Concordati avrebbero un contenuto privilegiario e, perci, sarebbero atti in contrasto con il principio di uguaglianza. Tali tesi sono state oggetto di critica. Nel separatismo, infatti, occorre distinguere il principio sopra accennato della separazione dei due poteri, il civile e lecclesiastico, un principio pratico, che nasce dallesperienza storica e ha sue precise conseguenze giuridiche (essendo volto a escludere che lo Stato possa usare la sua forza per imporre una fede religiosa e per discriminare lo stato personale dei cittadini in base alla religione), da quellaspetto dellideologia del separatismo secondo il quale ogni accordo dello Stato con le confessioni religiose avrebbe carattere privilegiario. E vero che anche tale opinione fondata sullesperienza di documenti, ma la storia insegna, altres, che lo Stato, quando volesse privilegiare, nel bene o nel male, questa o quella organizzazione - Chiesa, partito, ecc. - pu farlo con una sua legge, senza che occorra alcuna intesa formale con i rappresentanti dellorganizzazione favorita o sfavorita. Basti pensare ai casi dello Stato totalitario, che ammette un solo partito, e, nel nostro campo, dello Stato confessionista, che ammette una sola religione. Perci, la disciplina privilegiaria a favore di una confessione religiosa pu essere introdotta non solo da una legge che esegua un accordo, ma anche da una legge unilateralmente prodotta dal legislatore statuale. In conseguenza, il contenuto privilegiario di un atto normativo non elevabile a caratteristica individuante, che consenta di distinguere un sistema separatista dal sistema concordatario, bens un fatto accidentale verificabile. 23

Le tesi separatiste sopra accennate prospettano, in ogni caso, soluzioni de jure condendo, giacch la nostra Costituzione larga nel riconoscimento dei diritti di libert dei singoli individui, ma non manca di riconoscere anche i diritti delle formazioni sociali e, per quanto ci interessa, delle confessioni religiose (art. 7 e 8 Cost.). Daltronde, se la Costituzione avesse ignorato queste o le altre formazioni, quali i partiti o i sindacati, avrebbe dato un quadro dellassetto sociale italiano diverso da quello effettivo.

6. Segue: e) la coordinazione e i concordati

Accanto ai sistemi separatisti e teocratici, pu delinearsi un ulteriore sistema, quello della coordinazione. Tale sistema quello indicato dalla Costituzione italiana (art. 7 e 8) per disciplinare i rapporti fra lo Stato e le confessioni religiose. Il sistema stesso, per ci che attiene alla Chiesa cattolica, prende corpo nei concordati stipulati dalla Santa Sede con gli Stati . Si tratta di uno strumento negoziale, destinato a disciplinare le materie di comune interesse (le c.d. res mixtae). Un accordo, talora a carattere transattivo, con il quale le parti si obbligano, rispetto a tali materie, a tenere un dato comportamento nellambito della sovranit territoriale dello Stato stipulan te. Il concordato ecclesiastico un istituto - il cui primo precedente indicato nellaccordo di Worms del 1122 -, che convissuto con il sistema giurisdizionalista e che valso, anzi, a introdurre istituti giurisdizionalistici o a legittimare nei confronti della Santa Sede quelli introdotti unilateralmente dallo Stato. In definitiva il sistema della coordinazione un sistema neutro, nel senso che il contenuto dellaccordo, di volta in volta stipulato, a consentire una valutazione effettiva della posizione reciproca dello Stato e della Chiesa in un determinato paese. 6.1 Pu dar luogo a problemi la determinazione della natura giuridica dei concordati. Al riguardo, gli ordinamenti da considerare sono tre: quello della Chiesa cattolica, quello dello Stato e quello dellordinamento in cui i rapporti stessi si svolgono. Secondo lordinamento canonico i concordati, essendo gravioris momenti negotia, sono di competenza della Santa Sede (can. 220 c.j.c. 1917; can. 333 c.j.c. 1983), che soggetto di diritto internazionale. Di conseguenza, lordinamento in cui si svolgono i rapporti concordatari lordinamento internazionale. 24

Per ci che riguarda lordinamento italiano, la norma dellart. 7, comma 1, Cost. non obbliga lo Stato a concordate con la Chiesa la disciplina delle materie di comune interesse. Per, quando lo Stato si ponga sulla via degli accordi bilaterali, tali atti non sono atti di diritto interno, ma atti di diritto esterno. In passato, unautorevole dottrina sosteneva che i concordati ecclesiastici, compreso il Concordato italiano del 1929 fossero solo dei contratti di diritto pubblico interno, nello stipulare i quali non solo lo Stato non riconosce sul terreno giuridico la superiorit della Chiesa, ma neppure le riconosce una potest gi uridica n pari n analoga alla propria e non considera la Chiesa come un ente esterno allo Stato, ad esso coordinato, entro un ordinamento giuridico superiore ad entrambi, ma afferma, invece, la propria sovranit sulla Chiesa e considera lorganizzazione cattolica esistente in Italia soggetta alle proprie leggi. Questa tesi, cui idealmente potrebbe essere contrapposta lantica tesi curialista che vedeva nel concordato un privilegio concesso dalla Chiesa allo Stato , era controbattuta con buoni argomenti da quanti sostenevano che il concordato ecclesiastico fosse un negozio di diritto esterno, simile ai trattati internazionali, al quale, perci, con le riserve dipendenti dalla particolare natura di una delle due parti - la Chiesa, priva di una sovranit territoriale -, sono applicabili le norme dellordinamento internazionale riguardanti tali atti. Larticolo 7 Cost., dichiarando che la Chiesa , nel proprio ambito, sovrana e indipendente dallo Stato, indica che v un settore di materie nel quale lo Stato e la Chiesa trattano da pari a pari e, perci, si pongono in un ordinamento esterno (tesi internazionalistica). Ancor prima dellentrata in vigore della Costituzione non mancava la coscienza del fatto che i rapporti concordatari fra Stato e Chiesa si svolgessero in un ordinamento esterno ad entrambi, ma era controverso se questordinamento fosse quello internazionale tout-court, sia pure un settore speciale dellordinamento internazionale, ovvero se la stipulazione di ogni concordato desse luogo alla formazione di un ordinamento giuridico, distinto dalle due parti contraenti, ma anche distinto dallordinamento internazionale. Si tratta, anche in questultimo caso, di un ordinamento nel quale trovano applicazione le regole comuni a ogni tipo di accordo fra soggetti che si considerano in posizione di parit. La norma dellart. 7 Cost. lascia impregiudicata la soluzione del problema dellappartenenza dei concordati allordinamento internazionale generale o ad uno speciale settore di questo, ma, daltra parte, si colora secondo che saccolga luna o laltra tesi. In proposito, il Finocchiaro ritiene preferibile la prima, dato che lordinamento internazionale non costituito soltanto da una comunit di Stati, ma comprende anche organismi non statali e, fra questi, la Santa Sede. Onde non vi motivo per pensare che, quando lo Stato e la Chiesa sincontrano, sul piano di un ordinamento esterno, per disciplinare i loro rapporti, tale ordinamento sia terzo rispetto allordinamento internazionale. In questa prospetti va, il primo comma dellart. 7 Cost. vale a confermare che i concordati ecclesiastici sono, per il diritto italiano, accordi fra due ordinamenti primari, ossia atti simili ai trattati internazionali, sicch lItalia, quando conclude un concordato, si sente legata al rispetto delle norme internazionali generali concernenti la materia E da notare, per, che questo riconoscimento costituzionale non impegna in alcuna misura lordinamento internazionale, nel quale i concordati ecclesiastici, in tanto possono essere considerati simili ai trattati internazionali, in quanto vi sia una norma di questordinamento che riconosca ad essi tale natura giuridica. Or non vi sono dubbi che una serie di ragioni storiche e giuridiche (la personalit internazionale della Santa Sede; la posizione di parit che assumono i contraenti; le 25

regole formali che accompagnano la stipulazione degli accordi; la vincolativit di questi in un ordine esterno) lasciano pensare che il diritto internazionale generale considera i concordati come atti formati nel proprio ordinamento. Una conferma di ci offerta nellordinamento internazionale dalla codificazione del diritto dei trattati, operata dalla convenzione di Vienna del 23 maggio 1969, resa esecutiva in Italia con la l. 12 febbraio 1974, n. 112. Infatti, per quanto questa convenzione sia applicabile solo nei rapporti fra Stati (art. 1) e, ai fini della stessa, siano qualificati come trattati internazionali solo gli accordi conclusi fra Stati (art. 2, lett. a), onde le norme di essa non risultano applicabili agli accordi stipulati tra Stati e soggetti di diritto internazionale diversi dagli Stati (art. 3), tuttavia la Convenzione ammette, in modo espresso, il valore giuridico, dal punto di vista del diritto internazionale, di questi ultimi accordi e lapplicazione ad essi di tutte le regole della Convenzione che valgono nellordinamento internazionale in modo indipendente dalla Convenzione stessa (art. 3 Cost.). 7. La qualificazione dello Stato rispetto alle credenze di religione

Nei vari sistemi di rapporti fra Stato e confessioni religiose, sorge il problema della qualificazione dello stesso Stato a livello costituzionale , circa la sua posizione nei confronti del fenomeno religioso. Di solito, nei paesi in cui lo Stato esercita una forma di dominio o di controllo nel settore in questione, al fine di proteggere una confessione religiosa (sistemi di unione; giurisdizionalisti e/o concordatari), a tale atteggiamento si accompagna il riconoscimento della confessione protetta come religione dello Stato (Stato confessionista). Le altre confessioni non sono protette, ma tollerate e godono di una misura pi limitata di libert, perch lo Stato, aderendo ai principi della religione dominante e facendoli propri, tende ad escludere linfluenza sulla societ civile dei principi delle altre confessioni, spesso ritenuti, contrari agli interessi nazionali. Occorre, per, avvertire che parlare di confessionismo dello Stato nel XX secolo non lo stesso che parlare di tale fenomeno nel XVI o XVII secolo, perch i contenuti storici e politici della formula, come avviene rispetto a tutte le figure giuridiche, sono mutati nel corso dei tempi. Per es., il confessionismo del Piemonte o del Regno delle Due Sicilie nel secondo decennio dell800 non la stessa cosa dei confessionismo italiano allepoca del regime fascista. Nel primo caso, latteggiamento confessionista dello Stato derivava dalla totale accettazione, da parte di questo, dei principi religiosi sentiti e manifestati dal re; nel caso pi recente ladozione del confessionismo stata un espediente politico, al fine di potersi avvalere della religione come mezzo di governo. 7.1 Il contrapposto del confessionismo la qualificazione dello Stato come laico. una qualificazione poco adatta alla repubblica italiana. una qualifica che compete agli Stati in cui vige un sistema separatista, ossia nel quale tutte le confessioni godono dello stesso trattamento, in base al diritto comune, e sono parimenti ed effettivamente libere nellesercizio delle attivit di religione e di culto. La Chiesa cattolica distingue una laicit buona dello Stato - quella dello Stato liberale - da un laicismo cattivo - quello che persegue una politica antiecclesiastica o senzaltro antireligiosa. 26

7.2 La Costituzione italiana non contiene norma alcuna che, in modo espresso, qualifichi lo Stato dal punto di vista confessionale . Non vi una professione di laicit, n la designazione di una religione come religione di Stato. Questo silenzio, in passato, ha fatto s che, da una parte, si pensasse, in vista del collegamento fra la disposizione del secondo comma dellart. 7 Cost. e quella dellart. 1 del Trattato del Laterano, di definire la Repubblica come uno Stato democratico sostanzialmente e formalmente cattolico, dallaltra, si ritenesse, sulla base dei principi di libert e di democrazia affermati dalla Costituzione e dellabrogazione, ad opera di questa, di tale norma pattizia, che lItalia fosse qualificabile come Stato laico, nel senso della classica laicit liberale, scevra di anticlericalismo. Una parte della dottrina ritiene che una qualifica dello Stato sarebbe possibile, a posteriori, attraverso lanalisi dei suoi organi, ossia dopo un esame della sua legislazione, dellattivit amministrativa non vincol ata, dei comportamenti politici. Esaminando tali attivit, alla fine degli anni 60, un autore ha ritenuto possibile attribuire allo Stato italiano la qualifica politica di Stato confessionista in senso cattolico, in quanto Stato che orientato in modo da riconoscere alla Chiesa cattolica, ai suoi organi, ai suoi enti, ai suoi beni, una posizione di particolare favore, senza che ci importi compressione per altre confessioni religiose. Ma questa qualificazione ha carattere meramente politico, ed dovuta al confessionismo in senso cattolico seguito di fatto dalle forze dominanti sino alla met degli anni 60. Successivamente, la qualifica in questione stata contraddetta proprio dalla politica legislativa dello Stato orientata, nella soluzione di vari problemi, in senso del tutto contrario alle concezioni cattoliche: si pensi alle leggi sullo scioglimento del matrimonio (1970), sullaborto (1978), sul cambiamento del sesso (1982). Anche se oggi lo Stato considera sempre con favore la Chiesa cattolica, nella sua azione non ispirato a principi tout-court cattolici, ma a principi del tutto laici, quali quello del pluralismo delle confessioni religiose, del rispetto delle minoranze, anche a costo di allontanarsi dai principi del cattolicesimo. Questo atteggiamento dello Stato trova giustificazione nella Costituzione del 1948 e nellAccordo del 18 febbraio 1984 con la Santa Sede.

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Riguardo alla qualifica dello Stato nei lavori preparatori della Costituzione, dobbiamo ricordare che lAssemblea costituente, rigett un emendamento sostitutivo dellattuale art. 7, diretto, nel primo comma, a riconoscere che la Religione cattolica la religione ufficiale della Repubblica italiana. Ma la mancanza di una dichiarazione esplicita non escludeva che ladesione formale al principio confessionista od a quello della laicit, in una Costituzione lunga, come quella italiana, potesse essere identificata attraverso altre enunciazioni. La dottrina sera domandata, al riguardo, se, attraverso la menzione dei Patti del 1929, si fosse operato un richiamo dallart. 7 Cost. allart. 1 dei Patti Lateranensi, con il quale lItalia riconosce e riafferma il principio consacrato nellart. 1 dello Statuto albertino del 1848, per il quale la religione cattolica, apostolica e romana la sola religione dello Stato. Quanti hanno ritenuto che la Costituzione, con la formula del secondo comma dellart. 7 Cost., abbia inteso garantire la vigenza di tutte le singole norme pattizie, hanno ritenuto, altres, che la disposizione dellart. 1 del Trattato fosse ancora vigente.

7.3 Questultima tesi, per, sembra non tener conto del fatto che, se veramente lart. 7 Cost. avesse confermato il principio fissato dallart. 1 del Trattato del Laterano, conferendo ad esso un valore pari a quello di tutte le altre norme della Costituzione, vi sarebbe stata una palese ed insanabile contraddizione tra un tal principio e le disposizioni - quanto meno degli art. 3, 8 e 19 della Carta, le quali assicurano unincondizionata libert ed uguaglianza ai singoli ed ai gruppi sociali in materia religiosa. Per contro, lart. 1 del Trattato mirava a ridar vigore allart. 1 dello Statuto albertino, il quale delineava uno Stato confessionista, che riconosceva come sola religione, liberamente professabile, quella cattolica. Lart. 1 del Trattato tendeva a ripristinare il vigore normativo di quella dimenticata disposizione statutaria e, nel quadro del regime dellepoca, vi riusc: dal 1929 in poi, infatti, solo la Chiesa cattolica e i cattolici godettero dellesercizio della libert religiosa, mentre le altre confessioni e gli acattolici, che nel periodo liberale avevano goduto della stessa misura di libert, regredirono da questa posizione ad un regime di tolleranza dispotica che limitava in stretti confini lesercizio, anche privato, del culto ed escludeva la propaganda e il proselitismo. E evidente che se la Costituzione avesse inteso confermare tale significato normativo, si sarebbe posta in contraddizione con le sue stesse disposizioni, sopra ricordate. Poich una simile contraddizione non era possibile, era logico pensare che fosse stata operata un abrogazione del principio confessionista da parte della Costituzione.

7.4 La tesi dellabrogazione del principio confessionista dalla Costituzione trova conferma nel n. 1 del Protocollo addizionale allAccordo del 18 febbraio 1984 (l. n. 121 dei 1985), nel quale le parti hanno convenuto di non considerare pi in vigore il principio, originariamente richiamato dai Patti lateranensi, della religione cattolica come sola religione dello Stato italiano. La qualifica della Repubblica emergente dalla Costituzione formale, e segnatamente dagli art. 2, 3, 7, 8, 19 e 20, perci, quella di uno Stato liberale e pluralista , che riconosce pienamente la libert religiosa degli individui e dei gruppi sociali, che non differenzia lo status dei cittadini secondo la religione professata o non, che si riserva di intrattenere rapporti paritari con le confessioni religiose organizzate, quando vi sia da dettare la 28

disciplina giuridica alla quale possano avere interesse; e che assicura a tali ordinamenti una pari misura di libert, anche se, in vista dello specifico di ciascuno di essi, potranno essere previsti trattamenti differenziati. Ma alla qualificazione dello Stato non basta la considerazione del disegno costituzionale del suo rapporto con le confessioni religiose, occorrendo, invece, tener presenti anche le disposizioni normative, attinenti al fenomeno religioso, di livello pari o inferiore a quelle costituzionali e, in particolare, alle norme introdotte in esecuzione di accordi o intese con le confessioni religiose, secondo le previsioni degli art. 7 cpv. e 8, comma 3, Cost.. E, allora, potr emergere che lo Stato non alieno dal provvedere alle necessit di qualcuna di esse. Segnatamente dellex religione di Stato con sacrificio per il proprio bilancio (come risulta dagli art. 46 e 47 della legge n. 222 del 1985), con interventi che non sembrano pi quelli dello Stato giurisdizionalista o confessionista, ma di uno Stato che nella sua socialit inserisce anche la religione.

7.5 La Corte costituzionale , con la sentenza - interpretativa di rigetto - del 12 aprile 1989, n. 203 ha ritenuto che, dalle norme degli art. 2, 3 e 19, nonch 7, 8 e 20 Cost., le quali qualificano la Repubblica come liberale e pluralista, sarebbe desumibile il principio supremo della laicit dello Stato italiano . Tale principio - secondo la Corte - implica non indifferenza dello Stato dinnanzi alle religioni ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libert di re ligione, in regime di pluralismo confessionale e culturale. Il Finocchiaro critica la posizione della Corte costituzionale, sostenendo che, se le ragioni che sostengono la laicit statuale, come principio supremo dellordinamento costituzionale, sono que lle sopra accennate, sembra che il principio supremo non sia quello della laicit, bens quello di libert e pluralismo . Invero, la qualifica di laico, per s generica, risulta incongrua per uno Stato che assume nei confronti del fenomeno sociale religioso linteressamento cui abbiamo accennato. Dire che lo Stato laico nel senso liberale e non in senso anticlericale, una forzatura del termine, perch, storicamente, lo Stato laico quando professa, quanto meno, indifferenza nei confronti del fenomeno religioso. Se non indifferente, n avverso, sar liberale e pluralista, come sembra essere la nostra repubblica, ma non laico.

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8. La politica legislativa Italiana in materia ecclesiastica: a) dal 1848 al 1922

Parlare di politica ecclesiastica italiana a decorrere dal 1848, quando lunit del paese era ancora lontana, non contraddittorio, perch in quellanno che prese lavvio in Piemonte la politica ecclesiastica della Destra, i cui riflessi sul piano normativo furono estesi progressivamente alle altre regioni italiane dal 1859 in poi. Come accennato, lart. 1 dello Statuto del 1848 dichiarava la religione cattolica la sola religione dello Stato e le altre confessioni allora esistenti tollerate conformemente alle leggi. Si aveva dunque un confessionismo de jure. Ma questa professione di confessionismo della corte fu, di l a poco, ridimensionata dal Parlamento subalpino con lapprovazione della l. 19 giugno 1848, n. 735, che, ribadendo e generalizzando vari provvedimenti sovrani di parificazione, coevi allo Statuto, dichiar che la differenza di religione non poteva dar luogo a discriminazioni nel godimento dei diritti civili e politici e nellammissibilit alle cariche civili e militari. Ci rivelava una libert religiosa e unuguaglianza dei cittadini de facto . Ancor pi il confessionismo statutario doveva essere contraddetto dallandamento delle trattative con la Santa Sede per la revisione dei concordati stipulati con i Savoia e dalla lotta nei confronti di quelle organizzazioni ecclesiastiche le quali, con il loro atteggiamento nei confronti dei problemi politici del tempo (lunit dItalia e il rinnovamento dello Stato), ostacolavano la politica delle forze dominanti. 8.1 Gli anni 1848 - 1849 non erano i migliori per trattare con la Santa Sede una riforma dei vecchi concordati piemontesi, perch Pio IX, profugo a Gaeta a causa delle vicende della Repubblica romana, non era disposto ad alcuna concessione. Fallite le trattative, il Parlamento approv due delle leggi proposte dal Guardasigilli Siccardi, la l. 9 aprile 1850, n. 1013 e la l. 5 giugno 1850, n. 1037, riguardanti, rispettivamente, labolizione di ci che rimaneva del privilegio del foro ecclesiastico e lautorizzazione agli acquisti degli enti (anche ecclesiastici).

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In precedenza, la l. 25 agosto 1848, n. 777 aveva soppresso la Compagnia di Ges, vietando ogni sua adunanza in qualunque numero di persone, e la corporazione delle Dame del Sacro Cuore di Ges. Si trattava di un provvedimento tipicamente giurisdizionalista e per nulla liberale, giacch non solo negava la personalit giuridica della congregazione dei gesuiti, ma escludeva anche il diritto di associazione e il diritto di riunione degli stessi; diritti che sarebbero stati di nuovo riconosciuti molti anni pi tardi, dopo la conquista di Roma, con lart. 14 della l. 13 maggio 1871 n. 214 (la c.d. legge delle Guarentigie). Come si vede, la Destra storica, sebbene ispirata dalle idee liberali, nella sua azione politica non si sottraeva dallusare gli strumenti del giurisdizionalismo al fine di raggiungere i propri scopi, ma, daltra parte, di fronte al problema di Roma capitale, accettava di impostare i rapporti fra Stato e Chiesa in chiave separatista, secondo il programma esposto dal Cavour nel marzo - aprile 1861.

Tale prassi giurisdizionalista fu portata avanti negli anni seguenti al 1848 con la l. 29 maggio 1855 n. 878, la quale, distinguendo tra enti ecclesiastici utili e enti ritenuti inutili, soppresse le associazioni religiose di vita contemplativa, i capitoli collegiati senza cure danime e i benefici semplici (c.d. soppressione dellasse ecclesiastico). Di impronta nettamente giurisdizionalista anche il d. luogot. 7 luglio 1866, n. 3036, che soppresse tutte le associazioni religiose, incamerandone il patrimonio, e convert in rendita pubblica al 5% i beni di tutti gli altri enti ecclesiastici, eccettuati i benefici parrocchiali e le chiese recettizie. La successiva l. 15 agosto 1867, n. 3848, sulla stessa linea, soppresse varie categorie di enti ecclesiastici secolari, devolvendone allo Stato i beni, e provvide per la liquidazione dei beni acquisiti con tale legge e con le precedenti. Rispetto al patrimonio degli enti ecclesiastici la Destra storica accoglieva, in tal modo, il principio regalista di considerare i beni stessi come beni nazionali, di cui il paese poteva disporre quando fosse necessario. Le due leggi da ultimo citate, in seguito, furono estese, insieme ad altre, alla provincia di Roma con particolari accorgimenti. 8.2 Ma la debellatio dello Stato pontificio e la presenza in Roma della Santa Sede avevano posto il serio problema della situazione giuridica della stessa e del Papa (c.d. questione romana), che, nella impossibilit di unintesa, fu risolto con la gi citata l. 13 maggio 1871, n. 214 (la c.d. legge delle Guarentigie ). Questa era divisa in due titoli. Il primo, dedicato alle prerogative del Sommo Pontefice e della Santa Sede ; il secondo destinato a disciplinare le relazioni fra Stato e Chiesa. Tale legge frutto di una commistione fra principi giurisdizionalisti e principi separatisti. Lo Stato, da un canto, rinunziava allesercizio di un dato numero di poteri di controllo sulla Chiesa, daltro canto, si riteneva sempre competente ad esercitare i poteri che erano stati mantenuti e, soprattutto, si riteneva competente a dettare in modo unilaterale le norme attinenti alle garanzie offerte alla Santa Sede e al Papa. Questa soluzione non deve meravigliare, perch vi sempre una differenza tra le soluzioni teoriche dei problemi politici e la loro definizione pratica e non era facile risolvere la situazione che si era venuta a creare con loccupazione di Roma e con il Papa che si era proclamato prigioniero in Vaticano. 8.3 31

Caduta la Destra storica nel 1876, non cambi l indirizzo liberal-giurisdizionalista della politica ecclesiastica . Nel 1878 erano venuti meno due protagonisti delle vicende italiane di quellultimo trentennio: Vittorio Emanuele II e Pio IX. Il successore di questo, Leone XIII, uomo di grande cultura e di mente aperta, aveva s suscitato limpressione che una qualche intesa potesse essere raggiunta, ma si tratt solo di una impressione, priva di ogni risultato. Va rilevato che la Camera dei deputati era eletta a suffragio limitato, sicch rappresentava le idee e gli interessi di una sfera sociale altrettanto limitata. I cattolici non potevano partecipare alle competizioni elettorali politiche, perch la Sacra Penitenzieria nel 1874, esercitando la potestas indirecta in temporalibus, aveva dichiarato non essere opportuna (non expedit) tale partecipazione. Tale presa di posizione pontificia, che, vietando ai cattolici di essere eletti o elettori, mirava a indebolire le nuove istituzioni, fu confermata per un trentennio, sino al 1904, e persistette formalmente sino al 1919, senza peraltro sortire leffetto sperato. Invero, essendo stati i cattolici incoraggiati a partecipare al potere legislativo per ragioni gravissime, nellinteresse del supremo bene sociale, dallenciclica di Pio X Il fermo proposito dell11 giugno 1905, il non expedit si era attenuato. Cos , dopo lesperienza delle elezioni del 1904 e del 1909, nel 1913 pot aver luogo unintesa elettorale fra Giolitti e il conte Gentiloni, presidente dellunione cattolica italiana, intesa nota con il nome di Patto Gentiloni, che diede luogo allalleanza, per le elezioni politiche di quellanno, delle organizzazioni cattoliche con esponenti dei liberali conservatori. Di l a qualche tempo, il grande movimento che accompagn la prima guerra mondiale influ sulle vicende qui considerate: quel conflitto vide la piena partecipazione dei cattolici. Finita la guerra, la politica vide irrompere sulla sua scena, attraverso il suffragio universale (solo maschile, per allora), i partiti di massa: il partito socialista, fondato nel 1891, e il partito popolare italiano, di cui era animatore un sacerdote siciliano, don Luigi Sturzo, partito fondato nel gennaio del 1919. Il non expedit fu definitivamente e formalmente abolito. 8.4 La fine della guerra e linizio, a Parigi, delle trattative per la pace diedero occasione ai Presidenti del Consiglio del tempo (Vittorio Emanuele Orlando, prima, Francesco Saverio Nitti, poi) di aver contatti con rappresentanti della Santa Sede in vista di una soluzione amichevole della questione romana. Ma tali contatti non andarono oltre ad alcuni incontri personali, perch la situazione politica e sociale molto confusa dellItalia nel periodo 1919 - 1920 non poteva consentire ai governi del tempo decisioni impegnative e importanti. Lincomunicabilit tra i partiti di massa e la loro crisi, insieme ad altri fattori, avrebbe favorito nel 1922 lascesa al potere del fascismo.

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9. Segue: b) dal 1922 al 1947

Il movimento fascista, nel marzo 1919, non aveva una propria ideologia politica. Presentandosi alle elezioni di quellanno, i fascisti esposero un programma che mutuava varie idee della sinistra italiana e, fra queste, la tesi che occorresse di nuovo devolvere allo Stato i beni ecclesiastici. Un programma anticlericale , perci. Ma nelle elezioni del 1919 i fascisti non riuscirono a mandare alcun deputato in Parlamento. Quando, con le elezioni anticipate del 1921, Mussolini ottenne il mandato parlamentare, nel suo primo discorso alla Camera, mostr che il programma di politica ecclesiastica del fascismo era cambiato . Egli, infatti, trattando della politica estera, sottoline limportanza del Papato e lopportunit di buoni rapporti con esso, al fine di accrescere linfluenza dellItalia nel mondo. Era l utilizzazione della religione come instrumentum regni. 9.1 In tale clima iniziarono nel 1926 le trattative per la stipulazione di quegli accordi che avrebbero preso il nome di Patti lateranensi. Furono trattative segrete, che importarono la redazione di vari testi. La Conciliazione fu resa nota con la solenne stipulazione dei Patti nel palazzo del Laterano l11 febbraio 1929. Gli accordi riguardavano : 1) la soluzione della questione romana, alla quale dedicato il Trattato , che prevedeva creazione dello Stato Citt del Vaticano immobili con privilegio di extraterritorialit; posizione del Pontefice; garanzie di libert della Santa Sede. 2) in generale, secondo le proposte fatte dalla Santa Sede allinizio delle trattative, le condizioni della religione e della Chiesa in Italia, a cui dedicato il Concordato . La Santa Sede, infatti,

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in vista delleliminazione della questione romana, riconosceva lo Stato italiano (art. 26 Trattato) ; in vista della posizione fatta alla Chiesa in Italia, si impegnava a condonare le sanzioni canoniche a tutti coloro che erano venuti in possesso di beni ecclesiastici per effetto delle leggi eversive (art. 28 del Concordato). Il Concordato del 1929, inserendosi nel filone della tradizionale politica ecclesiastica italiana, se riconosceva ampia libert alla Chiesa cattolica (art. 1 e 2) e rinunziava a taluni vecchi strumenti dellapparato giurisdizionalista (art. 24 e 25), tuttavia manteneva in vigore quelli ritenuti ancora funzionali, come lassenso governativo alle nomine di vescovi e parroci (art. 19 e 21) e addirittura ne potenziava formalmente qualcuno, per es., con lesigere il giuramento di fedelt allo Stato previsto per i vescovi (art. 20), sino ad allora escluso dalla legge delle Guarentigie.

9.2 Il Concordato non port una pace assoluta, giacch il timore che i circoli di azione cattolica svolgessero attivit politica o sindacale indusse i fascisti ad azioni violente contro sedi e persone, che cessarono solo con il nuovo e specifico accordo del 1931. Salvo il latente contrasto circa leducazione della giovent, la Conciliazione, in complesso, era stata funzionale, avvenendo tra uno Stato autoritario e una Chiesa ancora non pacificata con il mondo moderno. 9.3 Del resto, il governo italiano, accettando di rinverdire il principio della Religione di Stato, era stato di parola, perch le minoranze religiose, se pure erano passate da culti tollerati - secondo lo Statuto albertino - a culti ammessi - secondo la nuova dizione -, avevano visto deteriorare la propria posizione. Da libere che erano state nel periodo che va dallunit dItalia al 1929, in quellanno, si videro fare oggetto di una legge apposita (la l. 24 giugno 1929, n. 1159) la quale doveva segnare la fine della libert di culto pubblico e della libert di proselit ismo. Dello stesso indirizzo il codice penale del 1930, che, prevedendo i reati contro il sentimento religioso, conteneva una norma specifica per punire il vilipendio della religione dello Stato (art. 402) e altre per il vilipendio attraverso loffesa di persone (art. 403) o di cose (art. 404) e per la turbativa delle funzioni religiose (art. 405). Le ultime tre disposizioni garantivano anche i culti ammessi, ma la pena era diminuita (art. 406). Lidillio tra Stato e Chiesa cattolica, per, non era destinato a durare a lungo. Gi nel 1938, volendo il regime imitare la politica razzista del Terzo Reich, i provvedimenti legislativi emanati in proposito incontrarono lostilit della Santa Sede.

9.4

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Travolto il fascismo dalla guerra del 1940 - 1945, negli incerti anni che hanno preceduto la formazione della Repubblica, i rapporti dello Stato con le confessioni religiose sono andati avanti sulla base dei Concordato e delle leggi del 1929 - 1931.

10. Segue: c) dal 1947 ai nostri giorni

Allorch erano stati stipulati i Patti lateranensi, tale evento incontr le critiche delle forze antifasciste , costrette allesilio o alla clandestinit. La Conciliazione, invero, costituiva un successo del governo e, per le modalit che lavevano accompagnata e seguita, era un avallo dato dalla pi alta autorit della Chiesa al fascismo. Critiche furono espresse anche da quei pochi cattolici che avevano dovuto allontanarsi dallItalia . 10.1 La Chiesa, negli anni 1943 - 1945, aveva fatto il suo dovere: quanti fossero perseguitati da parte dei nazifascisti poterono trovare rifugio nei suoi istituti, fra essi alcuni degli uomini delle forze antifasciste. I cattolici, da parte loro, contribuirono alla resistenza. Il rinato partito dei cattolici, la Democrazia Cristiana, faceva parte del Comitato di liberazione nazionale (CLN). Alla vigilia delle elezioni per l Assemblea costituente e del referendum istituzionale, nei congressi dei partiti di sinistra, nessuna voce propose la denuncia dei Patti lateranensi o una politica ecclesiastica contraria alla Chiesa cattolica. Era questa latmosfera politica che, nel 1946 - 1947, port alla formazione delle norme costituzionali per la disciplina del fenomeno sociale religioso e alla riconferma dei Patti lateranensi. A criticare tali protocolli, nellAssemblea costituente, rimasero i partiti della sinistra laica, ossia i deputati del piccolo Partito dazione e del Partito repubblicano. I deputati del Partito liberale erano divisi fra favorevoli e contrari allart. 7. Lestrema destra, rappresentata allora dal Partito nazionale monarchico e dal movimento dellUomo qualunque, formulava proposte pi cattoliche di quelle della Democrazia cristiana.

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Questa, nella vicenda riguardante il richiamo dei Patti lateranensi nella Costituzione, segu puntualmente le direttive, ricollegabili alla potestas indirecta in temporalibus, della Santa Sede, preoccupata dopo la caduta del fascismo di ottenere per quegli accordi la firma della Repubblica. La menzione dei Patti nella Costituzione ebbe leffetto di consolidare quegli accordi per un periodo di tempo pi lungo di quello che era trascorso dal 1929 al 1945. 10.2 In tal senso ha influito la situazione politica generale del nostro paese. Infatti, i governi centristi della prima legislatura repubblicana, nella quale la DC aveva conquistato la maggioranza assoluta, non furono per nulla solerti nellapplicare la Costituzione entrata in vigore il 1 gennaio 1948. In ci il governo era favorito dalla tesi della Cassazione, secondo la quale le norme costituzionali erano distinguibili in tre categorie: precettive di immediata attuazione, precettive ad applicazione differita e programmatiche. Per il Ministero dellinterno non erano precettive le norme sulla libert religiosa, con intuitive conseguenze a discapito delle minoranze confessionali. In generale, in quegli anni era possibile dire che lo Stato italiano praticava un confessionismo di fatto. E stato alla fine della seconda legislatura repubblicana, nel declino dei governi centristi, che la Corte costituzionale con le sentenze del 1957, 1958 e 1959, ripristin la libert di culto delle minoranze religiose. Nel clima ora accennato era vivace la polemica contro i Patti del 1929, condotta soprattutto da intellettuali dellarea della sinistra laica, che ebbe la sua espressione pi organica nel convegno degli Amici del Mondo del 1957, su Stato e Chiesa, concluso da una mozione che auspicava la denuncia dei Patti lateranensi e linstaurazione di un regime separatista. Era una reazione al prevalente clericalismo di quegli anni, una reazione che peraltro non incontr le simpatie del pi grande partito di sinistra come dimostrano le vivaci critiche espresse da Togliatti, preoccupato della pace religiosa e del dialogo con i cattolici. 10.3 Il periodo dei governi di centro-sinistra, che tante speranze di rinnovamento e di riforme aveva suscitato ai suoi inizi, fu, per contro, deludente, giacch si spensero tutti i progetti riformatori. In tale clima era difficile pensare ad una revisione del Concordato, m a fu proprio nel tramonto dellesperienza dei governi di centrosinistra che un episodio di cronaca (il divieto di rappresentare in Roma il Vicario, del drammaturgo tedesco Hochhuth, perch ritenuta opera in contrasto con il carattere sacro della citt: a rt. 1, 20 comma, del Concordato lateranense), diede luogo nel 1965 alla presentazione da parte di Lelio Basso di una mozione che poneva sul tappeto la questione della revisione del vecchio Concordato . Per lesame di tale mozione i tempi sono stati lunghi, perch la Camera dei deputati pot discutere il tema proposto da essa e da altre mozioni solo due anni dopo. 10.4 A questo proposito, dobbiamo ricordare che, votato dalla Camera dei deputati laccennato ordine del giorno, il Ministro di grazia e giustizia nomin, nel novembre 1968, una 36

commissione per lo studio delle proposte da fare alla Santa Sede, che fu insediata nel febbraio 1969. Tale commissione concluse i suoi lavori nel luglio 1969. Le proposte, per il vero, non avevano un grande significato, perch erano solo un restauro estetico del vecchio Concordato. Peraltro, quando erano in corso i lavori della citata commissione di studio, gi si erano profilati i presupposti perch la trattativa con la Santa Sede non potesse essere avviata (polemica sul divorzio ). Gi nel 1966 la Santa Sede aveva manifestato la sua preoccupazione per leventuale introduzione del divorzio in Italia. Nel 1968, con la nuova legislatura, aveva ricominciato il suo iter parlamentare la proposta di legge Baslini - Fortuna sullo scioglimento del matrimonio, suscitando le proteste della Santa Sede, perch la proposta stessa prevedeva lapplicazione della legge anche ai matrimoni concordatari. Entrata in vigore codesta legge (n. 898) nel dicembre 1970, la lotta contro di essa non cess e un comitato di cattolici, che ebbe lappoggio della Chiesa, propose nei suoi confronti nel 1971 il referendum abrogativo, per il quale gli elettori hanno potuto, per, votare, a causa dello scioglimento anticipato delle Camere, soltanto nel maggio 1974.

10.5 Le trattative con la Santa Sede per la revisione del Concordato hanno potuto avere effettivo inizio solo dopo la consumazione di questa vicenda, quando si insedi il primo dei governi di solidariet nazionale . Forse sar stato anche per que sto nuovo quadro politico che vi stato un mutamento di stile nelle trattative per giungere al nuovo accordo. Non pi trattative riservate o, addirittura, segrete, ma parlamentarizzazione dellaccordo, nel senso che il governo ha presentato al Parlamento le prime tre delle bozze predisposte dalla Commissione paritetica italo-vaticana, che hanno formato oggetto di esame critico da parte di deputati e senatori, e un pro-memoria in occasione della discussione che ha preceduto la stipulazione dellAccordo del 18 febbraio 1984. Questo pu fare pensare che la materia dei rapporti fra Stato e Chiesa sia stata considerata dalle forze politiche come questione istituzionale, alla cui soluzione era opportuno che concorressero anche le opposizioni, rappresentate in Parlamento e non nel governo, e comunque, quelle forze che, pur appoggiando il governo dallesterno (PCI), non avevano propri ministri nellorganizzazione del governo stesso. Ma anche la parlamentarizzazione stata limitata, avendo riguardato solo il testo dellAccordo del 18 febbraio 1984, mentre dellimportante accordo del 15 novembre 1984 il Parlamento ha preso piena conoscenza solo in sede di approvazione della legge di autorizzazione alla ratifica. Questa estraniazione delle opposizioni dalla formazione delle nuove norme su enti e patrimonio della Chiesa stata temperata con la nomina di un esperto del PCI nella commissione mista italo-vaticana che ha elaborato tali disposizioni. A motivo della accennata vicenda e delle ricorrenti crisi governative, la revisione del Concordato stata molto lenta e tale lentezza ha messo in moto altri meccanismi per il rinnovamento della disciplina dei rapporti fra Stato e Chiesa cattolica. Lordine del giorno del 1967 aveva ufficialmente constatato che vi erano norme del Concordato da rivedere, da armonizzare con la nuova Costituzione. Londa lunga della contestazione iniziata nel 1968 aveva dimostrato che nessuna istituzione intangibile. 37

I tribunali italiani, che, sino ad allora, avevano escluso che potesse essere profilato un contrasto tra norme del Concordato e norme della Costituzione, a decorrere dal 1968, presero a sollevare questioni di legittimit delle norme dorigine concordataria (prevalentemente nel settore del diritto matrimoniale), deferendole alla Corte costituzionale. Dalla fine degli anni 60 e per tutti gli anni 70, con riflessi sugli inizi degli anni 80, i rapporti fra Stato e Chiesa sono stati, perci, in qualche misura giurisdizionalizzati, in un duplice senso. In primo luogo, perch, nellinerzia del governo e languendo la revisione del Concordato, in un ordinamento complesso come quello della nostra Repubblica, la detta materia stata attratta nellambito dei poteri dei giudici, dellautorit giudiziaria ordinaria e della Corte costituzionale. Secondariamente, perch il rinnovamento della legislazione ecclesiastica a mezzo di sentenze della Corte costituzionale, era s limitata a questa o quella norma, dal meccanismo delle questioni incidentali di legittimit, ma avveniva in modo unilaterale da parte dello Stato, secondo una prassi tipicamente giurisdizionalista, donde le proteste della Santa Sede nei confronti delle sentenze n. 16 e 18 del 1982 della Corte costituzionale.

10.6 Le trattative per la revisione si sono svolte lungo tappe contrassegnate da vari schemi o bozze di Accordo. Il tratto comune di tali progetti daccordo stato quello di lasciare ad unaltra intesa la disciplina della materia degli enti e del patrimonio della Chiesa, della quale lart. 7 Cost. ha previsto soltanto alcuni dei principi fondamentali. LAccordo del 18 febbraio 1984 stato stipulato in forma solenne a Villa Madama, in territorio dello Stato italiano, dal Segretario di Stato Cardinale Agostino Casaroli e dal Presidente del Consiglio Bettino Craxi. Tale atto stato qualificato dalle parti nellintitolazione e nellart. 13.1 come Accordo di modificazioni del Concordato lateranense, per collegarne la formazione al patto del 1929 e allart. 7 della Costituzione italiana. Il collegamento al vecchio Concordato rispecchiato anche dallo stile diplomatico della stipulazione poich, secondo la prassi internazionale dellalternanza delle sedi, esso ha avuto luogo in territorio italiano, mentre nel 1929 i Patti erano stati stipulati nel Palazzo del Laterano, che, secondo lart. 5 della legge delle guarentigie (n. 214 del 1871), era un bene indisponibile destinato al godimento del Papa. Tuttavia, per quanto tali collegamenti formali sussistano, dal punto di vista sostanziale, lAccordo anzidetto e il successivo Protocollo del 15 novembre 1984 (stipulato dagli stessi organi sopra indicati e riguardante la materia degli enti ecclesiastici, del patrimonio di essi, nonch del sostentamento del clero), formano un nuovo Concordato, perch nulla rimasto del vecchio. Le autentiche modificazioni sono contenute nei n. 1 e 2 lett. c del Protocollo addizionale al primo Accordo, i quali toccano due norme di tipo concordatario contenute nel Trattato del 1929, che, per il resto, non ha subito alcun altro ritocco, rimanendo in vigore quale era in origine. Ma, fra il vecchio Concordato del 1929 e i nuovi Accordi del 1984 vi una notevole differenza quantitativa. Il primo conteneva in 45 articoli tutte le norme e tutti i principi che le parti avevano ritenuto di dovere ufficialmente riconoscere come frutto di trattative bilaterali. Il resto, oggetto delle 38

leggi di applicazione n. 847 e 848 del 1929, era formalmente disciplinato da norme dettate in modo autonomo dallo Stato. I nuovi accordi, invece, con gli articoli 14 + 7 dellAccordo e Protocollo addizionale 18 febbraio 1984 e con i 75 articoli approvati dal Protocollo 15 novembre 1984, hanno esteso notevolmente lambito delle norme concordate, trasferendo in questa categoria norme che nel 1929 erano nelle leggi applicative. Cos, ora,il nuovo Concordato contiene, sia pure in testi diversi, ben 96 articoli.

10.7 Piuttosto, quello che vi di comune fra gli accordi del 1929 e gli accordi del 1984 la linea continua della politica ecclesiastica italiana dagli anni 20 in poi: la soluzione per via di concordati delle questioni pendenti tra Stato e Chiesa. Lo Stato non si professa indifferente rispetto a tali questioni, n impone proprie soluzioni unilaterali, ma ritiene opportuno che le sue leggi diano esecuzione ad accordi con laltra parte. Le ragioni profonde delle due stipulazioni potranno essere diverse, perch nel 1929 lo Stato intendeva utilizzare la religione cattolica come mezzo di governo, mentre tale fine sembra estraneo alle forze politiche che hanno dato il proprio appoggio agli accordi del 1984, le quali si sono mosse nellottica della struttura corporativa della societ italiana , una struttura pienamente riconosciuta dagli art. 7 e 8, comma 3, Cost. con riferimento alle confessioni religiose. Di questa disponibilit a considerare le esigenze delle istituzioni estranee allorganizzazione statale, hanno usufruito anche le confessioni valdese e metodista , le cui Chiese, unitariamente rappresentate dalla Tavola valdese, hanno stipulato con lo Stato, in forma sole nne, l Intesa del 21 febbraio 1984. Sulla scia dellIntesa con valdesi e metodisti, lo Stato ha concluso il 2 dicembre 1986 altre due intese con denominazioni cristiane: le Assemblee di Dio in Italia (l. 22 novembre 1988, n. 516) e l Unione italiana delle Chiese avventiste dei settimo giorno (l. 22 novembre 1988, n. 517). Pi laboriosa stata la conclusione dell Intesa con lebraismo italiano, in quanto si trattava di concordare un regime che consentisse di superare le norme del 1930 - 1931, le quali costituivano un eccezionale esempio di statuto di una confessione religiosa dettato da una legge dello Stato (anche se di fatto quelle norme unilaterali erano state concordate con i rappresentanti delle comunit ebraiche).

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Occorreva, perci, che le Comunit e braiche, oltre a concordare lIntesa con lo Stato, provvedessero a elaborare uno statuto interno autonomo che sostituisse lo statuto legale. In conseguenza, l Intesa, stipulata il 27 febbraio 1987, anchessa in forma solenne, ha previsto che il Governo avrebbe provveduto a presentare in Parlamento il disegno di legge per lapprovazione dellaccordo solo dopo che lUnione delle Comunit ebraiche avesse depositato presso il Ministero dellinterno il nuovo statuto. Tale statuto stato approvato dal Congresso straordinario dellUnone di dette Comunit, celebrato in Roma nei giorni 6 - 8 dicembre 1987, sicch lIntesa ha formato oggetto della l.1. 8 marzo 1989, n. 101, che ha abrogato i r.r.d.d. 30 ottobre 1930, n. 1731 e 19 novembre 1931, n. 1561, dichiarando, altres , non pi efficaci, nei confronti di tutte le istituzioni ebraiche, la l. 24 giugno 1929, n. 1159 e il r.d. 28 febbraio 1930, n. 289 e sue successive modificazioni. Il 29 marzo 1993 stata stipulata un Intesa con lUnione cristiana evangelica dItalia (UCEBI) (l. 12 aprile 1995, n. 116) e il 20 aprile 1993 stata raggiunta un Intesa con la Chiesa evangelica luterana in Italia (CELI) (l. 29 novembre 1995, n. 520). Con lentrata in vigore di tali leggi alla UCEBI e alla CELI non sono pi applicabili la I. n. 1159 del 1929 e il r.d. n. 289 del 1930.

Capitolo 3 Lordinamento statuale e il fenomeno religioso. I soggetti religiosi e i poteri pubblici

1. Premessa Lordinamento dello Stato, a tutti i livelli normativi, nel disciplinare il fenomeno sociale religioso, considera una molteplicit di soggetti : le persone fisiche, in quanto professino, o non, una religione; gli enti personificati, o non, con un fine di religione o di culto; le confessioni religiose.

Lordinamento statuale, inoltre, rispetto ad alcune materie, attribuisce rilevanza giuridica, nel proprio ambito, alle norme delle confessioni religiose, alle quali talora rinvia, o che, il pi delle volte, presuppone nella disciplina di rapporti giuridici compresi nel settore considerato. Lo Stato, infine, ha, nel proprio apparato, uffici con competenze specifiche in materia ecclesiastica e organizza uffici ecclesiastici per lassistenza spirituale di talune comunit separate.

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2. Le persone fisiche Nel diritto italiano, essendo assicurata la libert dei singoli in materia di religione, con una garanzia che riguarda tutti (art. 19 Cost.), cittadini, stranieri e apolidi, di regola, la posizione religiosa individuale (art. 3, comma 1, Cost.) indifferente , nel senso che la posizione giuridica del singolo nellordinamento statuale non subisce alcuna modifica in relazione agli atteggiamenti assunti dagli individui in sede confessionale. Nel vigore del Concordato del 1929 questa regola subiva pesanti deroghe a proposito dellassunzione degli ecclesiastici in pubblici uffici, che dipendeva dal nulla osta dellordinario diocesano, e della rilevanza in sede civile delle sanzioni canoniche inflitte ai sacerdoti, che, se apostati o colpiti da censura, non potevano assumere o mantenere un ufficio o un impiego in cui fossero a contatto immediato con il pubblico (art. 5). Queste norme sono state abrogate dallAccordo del 18 febbraio 1984, che ha realizzato uno dei postulati del diritto di libert religiosa. Lindifferenza, che, di regola, lo Stato professa nei confronti delle opzioni religiose dei singoli, non impedisce che la legge, nel rispetto dellanzidetto diritto, attribuisca rilevanza allappartenenza ad una confessione religiosa o al fatto di rivestire, nellambito di questa, particolari qualifiche. Cos, lappartenenza confessionale rilevante nellordinamento dello Stato, in alcuni casi, sia in modo diretto, in immediato rapporto con la detta appartenenza, sia in modo indiretto, presupponendo questa come motivo per il compimento da parte del singolo di atti giuridicamente rilevanti. La qualificazione confessionale presa in considerazione in modo diretto dalla legge, quando prevede il pagamento di contributi degli appartenenti a favore della propria confessione religiosa, in quanto previsto dallo statuto di questa (es. Comunit ebraiche) ovvero quando prevede lappartenenza a una confessione religiosa ai fini di uno specifico trattamento nellordinamento civile (es. prestare i giuramenti richiesti dalla legge tenendo il capo coperto, per gli ebrei che lo richiedessero), o laver diritto al riposo festivo del sabato (sempre per le Comunit ebraiche), nonch in occasione di festivit specificatamente indicate dalla legge (es. per le Comunit ebraiche). La qualifica confessionale pu assumere rilevanza in via indiretta , quando la legge prevede di destinare una quota del gettito fiscale alla Chiesa cattolica, allUnione delle 41

Chiese avventiste, alle A.D.I. o alle Chiese rappresentate dalla Tavola valdese secondo le indicazioni dei contribuenti o alla Chiesa evangelica luterana o alle Comunit ebraiche. Inoltre nel diritto dello Stato assumono rilevanza le qualifiche, spettanti a talune persone fisiche, di ecclesiastico, sacerdote, diacono, religioso, di Arcivescovo, Vescovo, Coadiutore, Abate, Prelato, Parroco, Sommo Pontefice, di ministro di culto. La qualifica di ministro di culto propria dellordinamento statuale e si riferisce a chi rivesta, nellambito di una confessione religiosa, una posizione differenziata da quella del semplice fedele. Perci, la qualifica in questione una norma in bianco che si colora, di volta in volta, attraverso la qualifica attribuita al soggetto dalla confessione religiosa di appartenenza. Sono, cos, mini stri di culto il sacerdote cattolico, il pastore o anziano delle Chiese Riformate, il rabbino della confessione ebraica. La qualifica di ecclesiastico pi ampia di quella di ministro di culto, perch sono ecclesiastici, secondo la Chiesa cattolica, non solo i sacerdoti, ma anche coloro che abbiano ricevuto il diaconato. I Religiosi sono gli aderenti alle associazioni religiose di vita consacrata (ordini e congregazioni), che, come richiede lart. 4 dellAccordo, abbiano pronunciato i voti. 3. Gli enti. Le formazioni sociali.

Come per lo Stato , di regola, indifferente la posizione di un individuo in materia religiosa, cos indifferente, ai fini del regime giuridico, che un ente abbia o no carattere confessionale. Al riguardo, lart. 20 della Costituzione, con una norma ribadita dallart. 7.1 dellAccordo 18 febbraio 1984, prevede che il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto di unassociazione o di una fondazione non possono importare speciali limitazioni legislative o speciali gravami fiscali per la sua costituzione, per la capacit giuridica e per ogni forma di attivit. Questo, per, non significa che le leggi non possano prendere in considerazione il carattere ecclesiastico di un ente o il suo fine di religione, per dettare apposite norme, purch queste non siano pi restrittive di quelle previste dal diritto statuale per tutte le altre associazioni o istituzioni. Un ente, per il diritto statuale, ecclesiastico - ai fini del riconoscimento della personalit giu ridica civile (l. n. 222/1985; l. n. 206/1985) se stato costituito o approvato dallautorit ecclesiastica e se abbia in modo essenziale un fine di religione o di culto. In questa materia, producono effetti civili, per la Chiesa cattolica, le certificazioni dellautorit ecclesiastica circa il proprio assenso o circa lassenso della Santa Sede ed presupposta la disciplina canonistica della Conferenza episcopale italiana e, in genere, degli enti che rientrano nella sfera di competenza della Chiesa cattolica. Lo stesso avviene per gli enti delle altre confessioni religiose, secondo quanto dispongono gli art. 2 della I. n. 1159 del 1929 e 10 e segg. del r.d. n. 289 del 1930, nonch lIntesa fra lo Stato e la Tavola valdese, lIntesa con lUnione delle Chiese avventiste, lIntesa con

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lUnione delle Comunit ebraiche, lIntesa con lUnione cristiana evangelica, lIntesa con la Chiesa luterana. In tutti questi casi rilevante agli effetti civili lappartenenza dellente alla confessione religiosa. In particolare, assumono rilevanza giuridica nel diritto dello Stato la deliberazione sinodale con cui diventano istituti autonomi nellambito dellordinamento valdese gli enti di quella confessione e dalla quale risultano i fini di tali enti, la deliberazione dellUnione delle Chiese avventiste per gli enti di tale confessione, lapprovazione della Comunit competente per territorio e dellUnione delle Comunit ebraiche per gli enti ebraici, la deliberazione motivata dellAssemblea generale dellUnione cristiana evangelica battista, la deliberazione del Sinodo della Chiesa luterana per le Comunit a questa appartenenti.

Nellordinamento italiano assumono rilevanza, anche fuori di una pi vasta organizzazione confessionale, le formazioni sociali con fine di religione o di culto . Tali formazioni rientrano nella previsione dellart. 2 Cost., che le garantisce, in quanto siano centri di svolgimento della personalit individuale. 4. Le confessioni religiose Le istituzioni operanti in materia di religione che assumono un preminente rilievo nella Costituzione del 1947 sono le confessioni religiose. Lart. 7, comma 1, Cost. menziona esplicitamente la Chiesa cattolica, la confessione religiosa di maggioranza in Italia. Il successivo art. 8 Cost. considera tutte le confessioni religiose, nel comma 1, e le confessioni di minoranza, nei commi 2 e 3. Nessuna delle due norma d, per, la nozione di confessione religiosa. Questatteggiamento del legislatore costituente non nuovo, poich in nessuna legge anteriore alla Costituzione dato rintracciare una formula sintetica che valga a definire la nozione de qua. N una tale definizione agevole, poich i vari gruppi sociali, che sono qualificati intuitivamente come confessioni religiose o che aspirano a questa qualifica, sono spesso molto diversi luno dallaltro. Un dato implicito della norma costituzionale che una confessione religiosa un gruppo sociale con fine religioso, posto che le norme degli art. 7 e 8 Cost. non avrebbero senso, se fossero riferite ad una confessione di fede religiosa che equivalesse alla professione individuale di fede religiosa. 4.1 Nel settore del fenomeno sociale religioso, sono proliferate, specie nella seconda met del nostro secolo, le iniziative pi varie, che si autoqualificano come religiose. In proposito, evidente che uno stato liberale e pluralista non ha alcuna competenza in materia dottrinale. Sicch, al fine di qualificare tali organismi come religioni tutelate dagli art. 8, 19 e 20 Cost., poco produttivo attardarsi in un esame di esse sotto il profilo ideologico. Dal punto di vista giuridico interessa considerare quale sia il rapporto fra i dirigenti di tali organizzazioni e gli aderenti e, in particolare, quali siano le modalit del proselitismo,

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secondo i criteri raccomandati dalla risoluzione approvata dal Parlamento europeo il 22 maggio 1984. Secondo i detti criteri, i nuovi movimenti religiosi per essere considerati leciti: non dovrebbero accogliere minorenni; dovrebbero assicurare ai proseliti un sufficiente periodo di riflessione prima di assumere impegni finanziari o personali; dopo ladesione dovrebbero essere assicurati i contatti dei proseliti con i parenti e con gli amici, sia direttamente, sia mediante la corrispondenza e il telefono; le telefonate dei parenti dovrebbero essere comunicate e la corrispondenza dovrebbe essere inoltrata immediatamente ai destinatari. Oltre ad aver assicurati tali diritti, laderente dovrebbe potere: abbandonare liberamente lorganizzazione, chiedere consigli legali o daltro tipo fuori dellorganizzazione, chiedere assistenza medica. Inoltre, le organizzazioni non dovrebbero mai incoraggiare gli aderenti a infrangere la legge, specie ai fini della raccolta di fondi (per es., esercitando la questua o la prostituzione); dovrebbero fornire alle pubbliche autorit informazioni sulla residenza o sulla dimora dei membri. Quando gli anzidetti criteri non siano rispettati, il fenomeno sociale non pu essere qualificato come religioso e le organizzazioni non possono essere considerate confessioni religiose. 5. Le confessioni religiose come ordinamenti giuridici

Nel diritto italiano incontroverso che la Chiesa cattolica dia luogo a un ordinamento giuridico originario e ci ben risulta dallart. 7, comma 1, Cost.. Invece, per alcuni, dubbio che tale qualifica competa alle altre confessioni religiose, proprio in vista di quanto prevede lart. 8, comma 2, Cost.. Tale disposizione, dicendo che le confessioni diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino cori lordinamento giuridico italiano, enuncia norme che interessano le strutture di codesti gruppi sociali e il loro rapporto con lo Stato. La libert, cos riconosciuta dalla Carta, importa una garanzia pi vasta del mero riconoscimento della liceit dellattivit di organizzazione. Il fine stesso della norma costituzionale, infatti, di far s che i gruppi sociali con finalit religiosa diversa dalla cattolica, quando diano vita ad un ordinamento giuridico., ossia quando perch sia possibile dire che esista un ordinamento giuridico, sono riconosciuti dal diritto dello Stato, per lappunto, come ordinamenti. Qualcuno ha creduto di cogliere un collegamento tra la norma dellart. 8, comma 2, Cost. e quella dellart. 18 Cost., riguardante la libert di associazione. E indubbio che lart. 18 garantisca anche lassociazione stabile con fine di religione o di culto, ma i due fenomeni - dellesistenza di un ordinamento giuridico confessionale e dellammissibilit di unassociazione ne lla fede comune -, se esteriormente presentano delle affinit, quale la molteplicit degli aderenti, lesistenza di una regola comune e di unorganizzazione, sono diversi, come mota il Finocchiaro, dal punto di vista della struttura interna.

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Lesistenza di un ordinamento giuridico, infatti, qualcosa di diverso dallesistenza di unassociazione. Lordinamento giuridico un fenomeno originato dal c.d. impulso organizzatorio del gruppo sociale; un evento che prescinde dallesistenza o dalla successiva creazione di un ente esponenziale, quale potrebbe essere unassociazione. Lassociazione, a sua volta, pur esistendo, potrebbe non essere un ordinamento giuridico, ove si pensi che il quid caratterizzante di un ordinamento consiste in una normazione propria, la quale potrebbe essere in conflitto con quella dellordinamento generale, laddove gli statuti di societ e di associazioni devono essere necessariamente conformi a questa ultima. La tesi che non vi sia un sicuro criterio per distinguere le associazioni religiose dalle confessioni, le une e le altre rifluenti nelle formazioni sociali con finalit religiose, non tiene conto del dato che le associazioni con fini leciti, quali che siano, sono regolate dagli accordi degli associati, secondo quanto prevedono gli art. 36 e segg. cod. civ., laddove una confessione religiosa resta fuori da tale schema. Non si , infatti, cristiani, ebrei, musulmani, buddisti o che altro in forza di un contratto soggetto alle leggi dello Stato, ma per un impulso che non ha nulla di negoziale. Alla base di esse non vi sono accordi fra gli associati garantiti dallordinamento dello Stato. Quando vi siano tali accordi, sia pure con un fine di religione, suscettibili di creare diritti e obblighi fra i contraenti, si tratter di un associazione, ma non di una confessione. Lassociazione ha il suo habitat naturale dentro lordinamento statuale, la confessione religiosa ne prescinde.

Quanto osservato trova conferma nella diversa posizione che hanno, nel diritto italiano, gli statuti delle confessioni e gli statuti delle associazioni. Gli statuti delle associazioni, previsti dagli art. 14 e seg. e 16 e segg. cod. civ., non solo devono conformarsi interamente alle previsioni non derogabili delle leggi ordinarie e dei regolamenti emanati dallautorit governativa, ma, tutte le volte in cui una legge o un regolamento ne impongano la modifica, la deroga o la sospensione, gli associati sono tenuti, volendo mantenere legittimamente in vita lorganizzazione, ad adeguare i loro accordi a tali nuove previsioni. Gli statuti delle confessioni religiose, invece, essendo garantiti dallart., comma 2, Cost., non possono essere sostituiti, modificati, derogati, sospesi o abrogati dalla legge ordinaria o da altra, inferiore, fonte normativa; anzi, possono valere da norme interposte nel giudizio sulla costituzionalit di norme di legge ordinaria che riguardassero la confessione. Perci, lart. 8 Cost., nel suo secondo comma, effettua un riconoscimento che qualcosa di diverso di quanto prevede il successivo art. 18 Cost.. Lart. 18 Cost. vale a garantire la creazione di enti esponenziali delle confessioni religiose, i quali, dovendosi conformare alle previsioni del limite della legge penale e del carattere non segreto dellassociazione, potrebbero essere impedite a costituirsi qualora intendessero svolgere riti contrari al buon costume, mentre dovrebbero dar riscontro a quelle comunicazioni che fossero richieste dalle autorit al fine di evitare la segretezza. Invece, lart. 8, comma 2, Cost. riconosce la giuridicit degli ordinamenti creati in modo originario dai gruppi sociali diversi dai cattolici, anche quando non abbiano dato vita ad alcun ente esponenziale, ad alcuna associazione. Una prima questione data dall entit numerica minima che debba aver e un gruppo, per potere aspirare alla qualifica. Secondo un antico ed autorevole insegnamento non ogni congrega di tre amici, forte del principio secondo il quale tres faciunt collegium , pu pretendere di essere considerata una confessione religiosa.

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In altri termini, un requisito sufficiente a dar vita ad unassociazione non sempre pu consentire di individuare una confessione religiosa. La dottrina per risolvere il problema ha posto laccento: ) o sul carattere istituzionale , organizzativo e normativo, che dovrebbe presentare il gruppo, legato, in modo permanente, dal vincolo di una fede comune che dia ad esso un assetto unitario, ) ovvero sulla peculiarit del fine specifi co perseguito dal gruppo sociale nel campo religioso, ) ovvero sul fatto che trattasi di un gruppo perseguente una finalit religiosa consolidata nella tradizione italiana, ) ovvero sul fatto che trattasi di un gruppo perseguente una finalit religiosa conforme allopinione comune nella societ italiana su ci che sia religione , ) ovvero sull esistenza di principi riguardanti il rapporto tra luomo e Dio e di un complesso di riti caratterizzanti il gruppo. Critica del Finocchiaro alla tesi istituzionale Lopinione che il gruppo, per essere qualificabile come confessione, debba avere carattere istituzionale va oltre la legge. Tale opinione, infatti, per individuare lesistenza di una confessione, esige che il gruppo abbia unorganizzazione ed una normazione propria, ossia che si tratti di un ordinamento giuridico. Per contro, il secondo comma dellart. 8 Cost., prevedendo che le confessioni religiose possano organizzarsi secondo propri statuti, riconosce a gruppi sociali esistenti e gi qualificabili come confessioni religiose, il diritto di darsi unorganizzazione e, perci, implicitamente ammette che possano darsi confessioni religiose organizzate e non organizzate, ma tutte egualmente qualificabili confessioni religiose. Ci, daltra parte, conforme al dato dellesperienza. Inoltre, la Costituzione prevede lesistenza di tre diversi tipi di confessioni religiose: la Chiesa cattolica, le confessioni di minoranza organizzate, accostate alla prima dallart. 8, comma 2, Cost., le confessioni di minoranza non organizzate. Critica del Finocchiaro alla tesi legata alla tradizione La conformit del fine religioso alla tradizione italiana sembra estraneo alla prescrizione normativa, posto che la Costituzione mostra di riconoscere libert organizzativa a tutte le confessioni di minoranza e non solo a quelle entrate nella tradizione italiana. Critica del Finocchiaro alla tesi della peculiarit del fine Il requisito della peculiarit del fine specifico non riesce a chiarire la nozione di confessione religiosa, giacch anche le associazioni - anzi proprio queste - hanno un fine specifico, onde andrebbe smarrita la distinzione tra associazioni religiose e confessioni religiose, con evidente danno per una corretta interpretazione della Carta. Gruppo con fine di religione, comunit, con fessione religiosa, sono espressioni di una molteplicit di persone raccolte in un organismo sociale. Peraltro la differenza tra unassociazione con fine di religione e una confessione religiosa risulta evidente ove si pensi al fatto che ogni confessione ha una propria originale concezione totale dei mondo, che investe, oltre ai rapporti fra uomo e Dio, i rapporti fra uomo e uomo, dettando regole che disciplinano non solo la vita sociale di un intero gruppo, ma anche il comportamento dei singolo appartenente al gruppo, allorch si muove allinterno di altre comunit sociali. Le associazioni con fine di religione o di culto, invece, non hanno una propria originale concezione del mondo e, quando tendano ad attuarne una, emerge il loro carattere di

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organismi proliferati da una comunit pi vasta da cui traggono i principi fondamentali e alla quale sono legati. Perci lessenza strutturale di una confessione religiosa quella di avere una propria concezione del mondo. Detto ci, non vi per ancora chiarezza circa i rapporti del fenomeno sociale in esame con altri simiIi. Si pensi ai partiti politici fortemente ideologizzati. Il fine di religione proprio di varie organizzazioni, ognuna delle quali ha una propria visione del sacro. Religione, nel senso che il fenomeno presenta nellesperienza storica del ceppo ebraicocristiano-islamico, quel complesso di dottrine costruito intorno al esistenza di un Essere trascendente, che sia in rapporto con gli uomini, al quale dovuto rispetto, obbedienza. A questo punto, pu dirsi che la definizione di confessioni religiose rilevante sul piano giuridico quella di comunit sociali stabili dotate o non di organizzazione e normazione propria ed aventi una propria ed originale concezione del mondo, basata sullesistenza di un Essere trascendente, in rapporto con gli uomini. E questo complesso di elementi che caratterizza le confessioni religiose rispetto a ogni altro gruppo sociale, differenziandole anche da eventuali gruppi, aventi un fine religioso di segno negativo, ossia nei confronti di circoli ateistici, che mirino ad affermare una concezione del mondo senza Dio. Questo particolare porta ad escludere che tali comunit siano confessioni religiose. Altro fenomeno, pur esso attinente alla vita religiosa, ma che non d luogo allesistenza di una confessione, quello dei dissidenti da una confessione gi esistente , i quali, staccandosi da questa, creino un organismo separato. Lo Stato, per attribuire ad un gruppo sociale la qualifica di confessione religiosa, non pu considerare il merito delle varie credenze di religione. Se cos facesse, genererebbe un nuovo giurisdizionalismo, escluso dalla Costituzione. Lo Stato in questa materia deve limitarsi a compiere valutazioni formali . In proposito la Corte Costituzionale con la sentenza n. 195 del 1993 ha enunciato i criteri da seguire per assegnare la detta qualifica: stipulazione di unintesa ex art. 8, comma 3, Cost.; eventuali precedenti riconoscimenti pubblici; uno statuto che esprima i caratteri dellorganizzazione; la comune considerazione. Tali criteri vanno utilizzati separatamente luno dallaltro e procedendo dal primo allultimo. Nel caso dellart. 8, comma 2, Cost., come gi in quello del precedente art. 7, il costituente, in esecuzione del suo disegno pluralistico, ha tradotto, con espressioni diverse da quelle adoperate per la Chiesa cattolica, lipotesi di lavoro dellordinamento giuridico elaborata dalla dottrina. La Costituzione non dice che tutte le confessioni diverse, dalla cattolica sono ordinamenti. Essa dice che una di tali confessioni, quando dia vita ad un ordinamento giuridico, un ordinamento anche per il diritto dello Stato. Questa dichiarazione costituzionale potrebbe, in astratto, sembrare inutile, ma, in pratica, essa di grande rilievo, in quanto garantisce che la legge ordinaria non potr considerare codesti gruppi sociali come entit prive delle caratteristiche di ordinamento giuridico e che, in conseguenza, non potr imporre dautorit uno statuto che si sovrapponga alle norme della confessione, le abroghi, le deroghi o, comunque, le sostituisca. Essa assicura, dunque, che gli statuti di codesti gruppi sociali valgono a disciplinare i rapporti interni fra i vari membri di essi e d rilevanza alle varie situazioni giuridiche 47

promananti da tali statuti, compresi i poteri che gli statuti conferiscono a quanti occupino, nelle strutture dellorganizzazione una posizione direttiva. I riconoscimenti contenuti nella norma in esame non sono incondizionati. Infatti, per la formazione di un ordinamento confessionale, che goda della posizione giuridica ora ricordata, esige che gli statuti organizzativi siano conformi allordinamento giuridico italiano. Da questa previsione di conformit una parte della dottrina ha tratto due conseguenze. La prima, riguarda la differenza che esisterebbe tra il riconoscimento della Chiesa cattolica come ordinamento primario, effettuato dallart. 7, comma 1, Cost. e la formula ora in esame, con cui il legislatore costituente avrebbe concepito gli ordinamenti delle altre confessioni non come primari, bens come subordinati a quello statuale e da questo derivanti. La seconda conseguenza concerne il significato conclusivo della disposizione in esame, che secondo qualche autore, data la riserva della conformit degli statuti or ganizzativi allordinamento italiano, avrebbe sostanzialmente lo stesso contenuto normativo dellart. 1, comma 1, della l. 24 giugno 1929, n. 1159, per il quale sono ammessi nello Stato i culti diversi dal cattolico, purch non professino principi e non seguano riti contrari aIIordine pubblico o al buon costume. Onde la Costituzione conterrebbe il divieto di ammissibilit dei culti che professassero principi o seguissero riti contrari allordine pubblico o al buon costume, al pari della legge del 1929.

6. Segue: Inapplicabilit dellart. 1 della l. 24 giugno 1929, n. 1159

La seconda delle posizioni sopra segnalate, la quale finisce con lattribuire allart. 8, comma 2, Cost. lo stesso significato che aveva lart. 1 della legge del 1929, non secondo il Finocchiaro accettabile per una serie di ragioni. Innanzi tutto le leggi di esecuzione delle Intese fra lo Stato e la Tavola valdese, le Chiese cristiane avventiste, le Chiese delle A.D.I., lUnione delle Comunit ebraiche, lUnione cristiana evangelica battista hanno dichiarato inapplicabili a tali confessioni le disposizioni sui culti ammessi dettate dalle l. 24 giugno 1929, n. 1159 e dal r.d. 20 febbraio 1930, n. 289. Perci, la disposizione sopra citata dellart. 1 sulla I. 1159 ha perduto il carattere di generalit e non utilizzabile per intendere lart. 8, comma 2, Cost.. In secondo luogo la tesi inaccettabile, perch applica la norma costituzionale, dettata a garanzia della conformit degli statuti organizzativi allordinamento statuale, alla diversa materia della conformit di tutte le altre regole statutarie di carattere etico -ideologico, concernenti i principi religiosi professati dalle confessioni. Dal coordinamento, poi, dellart 19 Cost., il quale limita il controllo dello Stato stesso alleventuale contrariet dei riti - e solo di questi - al buon costume con lart. 8, commi 1 e 2, Cost. evidente che la norma dellart. 1 l. n. 1159 del 1929, secondo la quale i culti di minoranza sono ammessi purch non professino principi e non seguano riti contrari allordine pubblico non pi applicabile, non solo alle Chiese di cui alle citate leggi di Intese, ma a tutte le confessioni, essendo la vecchia norma in contrasto con tali norme della Costituzione.

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E evidente che le disposizioni contenute nella legge del 1929, che consentivano allo Stato di controllare la conformit dei principi delle confessioni religiose allordine pubblico ed al buon costume e la conformit dei riti allordine pubblico stato del tutto sovvertito dalla Costituzione repubblicana, la quale ha trasformato il regime di tolleranza in regime di libert religiosa, sicch lo Stato, come non pu valutare i principi accolti dalla Chiesa cattolica, non pu sindacare quelli delle altre confessioni. La tesi della persistente applicabilit dellart. 1 della I. n. 1159 del 1929, dovuta al timore che prendano ad agire nel Paese delle confessioni stravaganti, che incitino ad attivit pratiche in contrasto con i doveri imposti dallordinamento civile e sostengano nuove forme di convivenza familiare e sociale contrarie alla convivenza comune. Entrambe le posizioni non sembrano, per, fondate.

La differenza riscontrabile tra la formulazione dellart. 7, comma 1, Cost e quella dellart. 8, comma 2, Cost. non dipende dal fatto che la Chiesa cattolica sia un ordinamento primario, mentre le altre confessioni sarebbero ordinamenti subordinati allo Stato, ma da altre ragioni. Anzitutto, sta nel fatto che la prima disposizione concerne un determinato ordinamento giuridico, affermatosi nel corso di molti secoli, molte volte riconosciuto dallordinamento italiano, avente una struttura organizzativa notissima e con il quale il diritto dello Stato collegato per la disciplina di molte materie. La seconda disposizione, invece, si riferisce ad un numero indeterminato di confessioni religiose, considerate per la prima volta nella storia come ordinamenti, alcune esistenti e note per la loro struttura organizzativa, altre non note ed altre ancora non esistenti, e tuttavia suscettibili di venirsi a formare. Di fronte ad un fenomeno dai contorni cos generici la Carta ha precisato i termini in cui pu avvenire il riconoscimento di tali gruppi sociali con fine di religione o di culto, come ordinamenti giuridici. Ma ci non significa che il riconoscimento del carattere di ordinamento giuridico di questi gruppi sia diverso dal riconoscimento riguardante la Chiesa cattolica. Un gruppo sociale in tanto d vita ad un ordinamento giuridico in quanto si dia una normazione propria che origini dal gruppo e simponga allosservanza dei suoi componenti anche quando vi sia possibilit di conflitto con le norme dettate dallordinamento. In ci sta il carattere primario di un ordinamento. In questo senso, le confessioni diverse dalla cattolica e organizzate, in questi ordinamenti sono indipendenti dallordinamento statuale allo stesso modo dellordinamento della Chiesa cattolica. Non ci si deve lasciare fuorviare dalla condizione che gli statuti dorganizzazione, ex art. 8, comma 2, Cost., debbano essere conformi allordinamento statuale, poich questa riserva non sta a significare che gli ordinamenti confessionali siano subordinati allo Stato, ma 49

significa che questo non riconosce come ordinamenti giuridici primari quelle confessioni i cui statuti organizzativi siano abnormi rispetto ai principi accolti dal diritto statuale in tema di organizzazioni plurisoggettive. Dallart. 8, comma 2, Cost. emerge che lo Stato riconosce come ordinamenti giuridici quelle confessioni i cui statuti organizzativi siano conformi al suo ordinamento, cosicch in presenza di difformit con il medesimo, la confessione non considerata come ordinamento, ma solo come mera associazione. In definitiva, le confessioni diverse dalla cattolica aventi statuti organizzativi non in contrasto con lordinamento italiano costituiscono, a loro volta, ordinamenti indipendenti, nella sfera loro propria, Iaddove le confessioni rette da statuti abnormi sono entit subordinate al diritto dello Stato, non hanno un ordine proprio da questo riconosciuto e vivono alla stregua delle norme statuali di diritto comune e di quelle applicabili alle confessioni religiose che non abbiano stipulato intese con lo Stato

7. La personalit delle confessioni religiose nel diritto italiano

Secondo principi generalmente riconosciuti, la Chiesa ha personalit nel diritto pubblico italiano, cio unistituzione con caratteri del tutto speciali, poich titolare di poteri pubblicistici. Tale pubblicit non paragonabile a quella degli enti che fanno pa rte dellorganizzazione statuale, sfuggendo la Chiesa al regime di questi, ma pu essere accostata alla soggettivit pubblicistica presentata, per taluni rapporti, dagli Stati stranieri nel diritto italiano. E altrettanto pacifico che la Chiesa universale non abbia nel nostro ordinamento personalit di diritto privato , perch questa non le mai stata riconosciuta e perch peculiare della tradizione giuridica italiana indicare come soggetti titolari dei beni ecclesiastici i singoli enti della Chiesa, e non questa considerata in modo unitario. Neppure le confessioni religiose di minoranza hanno, di regola, personalit giuridica di diritto privato nellordinamento statuale. E vero che lart. 8, comma 2, ha attribuito ai gruppi sociali professanti religioni diverse dalla cattolica la soggettivit giuridica. E certo che le confessioni organizzate potrebbero ottenere il riconoscimento della personalit giuridica nel loro complesso unitario, ma va escluso che la citata norma costituzionale abbia attribuito ad esse ope legis detta personalit.

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8. La rilevanza degli ordinamenti confessionali nel diritto dello Stato Nei casi in cui lo Stato riconosce agli effetti civili lappartenenza confessionale di una persona fisica o di un ente o la qualifica rivestita, nellambito di una confessione religiosa; dalluna o dallaltro, la legge attua un collegamento fra lordinamento statale e lordinamento confessionale , il quale viene ad assumere efficacia nella sfera civilistica. Secondo la dottrina tradizionale, il collegamento Ira ordinamenti giuridici attuato secondo le modalit del rinvio recettizio, del rinvio formale, del presupposto in senso tecnico. Nel caso del collegamento dellordinamento italiano con il diritto canonico o con altri ordinamenti confessionali, le modalit utilizzate sono, quelle del presupposto in senso tecnico e del rinvio formale. Non ricorre, invece, il rinvio recettizio o materiale , giacch questo ha luogo quando un dato ordinamento, ritenendosi competente a disciplinare una materia, attua tale disciplina riproducendo nel proprio ambito le norme dettate da un altro ordinamento. In tal caso le norme richiamate sono inquadrate nellordinamento richiamante, che le fa proprie. naturale che la modalit di colle gamento ora accennata non abbia, n possa avere, attuazione nella disciplina del fenomeno sociale religioso, nella quale il diritto italiano riconosce ampia autonomia alla Chiesa cattolica ed alle altre confessioni religiose e dichiara, di regola, la propria indifferenza nei confronti delle scelte religiose dei singoli Perci, proprio in vista dellaccennata incompetenza statuale in materia religiosa, il collegamento presuppone la competenza degli ordinamenti confessionali, le cui norme o rimangono estranee allordinamento statuale, venendo solo presupposte, o producono effetti proprio come norme estranee allordinamento civile. Il caso del presupposto in senso tecnico si ha tutte le volte in cui il diritto dello Stato attribuisce efficacia ad una qualifica confessionale. Ad es. le posizioni di fedele di una o di unaltra confessione, di ecclesiastico, di Vescovo, di Sommo Pontefice, di ente ecclesiastico sono assunte dal nostro ordinamento cos come sono disciplinate dagli ordinamenti confessionali, senza attribuire efficacia civile alle norme di questi, concernenti lassunzione delle qualifiche, ma avendo riguardo al fatto che per lordinamento confessionale a un dato soggetto compete una data qualifica. Altre volte la legge rinvia allordinamento confessionale per la disciplina di materie, che sono parimenti disciplinate dal diritto statale, perch di competenza di questo, ma che sono anche di competenza del detto ordinamento confessionale (c.d. rinvio formale ). Cos, per es., vi un rinvio a l diritto canonico a proposito dei controlli effettuati dallautorit ecclesiastica sugli enti della Chiesa e del riconoscimento civile dei matrimoni canonici. Si tratta di norme di adattamento dellordinamento statuale agli ordinamenti confessionali, analoghe a quelle che nel diritto internazionale presiedono al collegamento fra ordinamenti statuali. La caratteristica di dette norme data dal fatto che lo Stato competente a disciplinare materie quali il controllo sugli enti o il matrimonio, ma, poich tali vicende coinvolgono aspetti di carattere confessionale, alieni alla competenza statuale, lordinamento civile attribuisce rilevanza al diritto o agli atti di origine confessionale.

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Comunque, gli atti rientranti nellautonomia riconosciuta dallo Stato alle confessioni religiose (si pensi, per es., a tutti gli atti del magistero della Chiesa) sono privi di rilevanza giuridica o, semmai, risultano meramente leciti, per il diritto statuale, nel quale, di regola, non producono effetti. Diverso il caso in cui la volont privata attribuisca a determinati fatti di ordine religioso o spirituale taluni effetti giuridici, prevedendo il verificarsi di questi come condizione per lefficacia o la risoluzione di un negozio. In questo caso la norma o latto previsto non assumono rilevanza come norme o atti di un ordinamento esterno, ma come meri fatti giuridici, che possono essere apprezzati in quanto tali dallautorit civile, restando solo da vedere quale sia il potere di questa nella valutazione delle certificazioni provenienti dagli organi della confessione religiosa.

8.1 Segue: 53

La giurisdizione confessionale e il diritto dello Stato

Il collegamento, istituito dallordinamento giuridico dello Stato con gli ordinamenti confessionali, pu importare la rilevanza nel diritto statuale di atti autoritativi compiuti nellambito degli ordinamenti confessionali stessi. Si tratta, di volta in volta, di atti normativi, di atti amministrativi o di atti giurisdizionali diretti, questi ultimi, a dirimere controversie insorte allinterno degli ordinamenti confessionali o ad irrogare sanzioni. Per evidenti ragioni di carattere storico e sociale, la rilevanza degli atti in questione, nel nostro paese, ha luogo in particolar modo con riferimento agli atti della Chiesa cattolica. Al riguardo, la dottrina ha indagato con attenzione sulla rilevanza civile della giurisdizione ecclesiastica, dellattivit amministrativa della Chiesa; con speciale riferimento al potere di certificazione, nonch sugli effetti degli status ecclesiastici, da cui la legge fa discendere varie conseguenze giuridiche. Occorre avvertire, per, che, quando si parla della rilevanza della giurisdizione ecclesiastica, questa espressione, nel diritto dello Stato, ha un significato diverso da quello che essa ha nellordinamento canonico. Infatti, nel diritto della Chiesa, le espressioni di potest di giurisdizione o di potest di regime indicano in modo onnicomprensivo il potere di governare i fedeli nella vita sociale della Chiesa e, perci, lespressione vale a indicare tutti i poteri:. legislativo, amministrativo e giudiziario, poteri che nellordinamento canonico non sempre sono separabili. Invece, quando si parla della rilevanza della giurisdizione ecclesiastica nel diritto dello Stato, lespressione si. riferisce agli effetti prodotti in tale ordinamento dai provvedimenti assunti dallautorit ecclesiastica nella soluzione di controversie o nellirrogazione di sanzioni, ossia alla rilevanza nel diritto dello Stato di provvedimenti emanati da detta autorit nellesercizio del potere giudiziario o con le modalit proprie degli atti giudiziari.

Negli accordi del 1984 fra lItalia e la Santa Sede, nonch nel Trattato lateranense del 1929, 1) circa i provvedimenti canonici di carattere giudiziario lo Stato: ha riconosciuto effetti giuridici alle sentenze emesse dai tribunali ecclesiastici riguardanti la nullit dei matrimoni canonici trascritti nei registri dello stato civile a norma dellart. 8.1 del primo di tali accordi; ha riconosciuto, sia pure in diversa misura, la giurisdizione degli appositi organi di composizione nominati dallautorit ecclesiastica per risolvere - le controversie tra i sacerdoti e gli Istituti per il sostentamento del clero in materia di assegni; ha riconosciuto la rilevanza civile dei provvedimenti disciplinari presi dallautorit ecclesiastica nei confronti di ecclesiastici e religiosi. 2) circa i provvedimenti canonici di carattere amministrativo , stata prevista la rilevanza agli effetti civili di vari provvedimenti per lerezione degli enti ecclesiastici, per la creazione degli Istituti per il sostentamento del clero, per lestinzione dei vecchi .enti beneficiari, per la determinazione della sede e della denominazione delle diocesi e delle parrocchie, per la nomina agli uffici ecclesiastici, ecc..

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3) Connesso allesercizio, rilevante agli effetti civili, della potest amministrativa dellautorit ecclesiastica, il riconoscimento del potere di certificazione, giacch gli atti amministrativi non solo producono effetti nel diritto dello Stato, ma certificano la situazione giuridica esistente nellordinamento della Chiesa. Tale certificazione ha luogo, per es., sia quando il parroco attesta la celebrazione di un matrimonio ai fini della sua trascrizione civile, sia quando la Segnatura apostolica attesta che la sentenza di nullit, pronunciata dai Tribunali ecclesiastici su tale matrimonio, divenuta definitiva, sia quando un provvedimento determina la misura dellassegno dovuto dallIstituto per il sostentamento del clero a un sacerdote, sia quando il vescovo determina lambito territoriale e la denominazione di una parrocchia, certificando questa situazione canonistica agli effetti civili. Connessa alla rilevanza del potere di certificazione riconosciuto alle confessioni religiose nei confronti della qualit di ministro di culto rivestita da un soggetto appartenente a una di esse la rilevanza del potere di certificazione degli eventuali fatti sfavorevoli riguardanti tali soggetti. Infatti, quando una confessione certifichi che un suo appartenente abbia perduto la qualifica di ministro di culto, tale persona non sar pi considerata investita di detta qualifica anche ai fini del diritto dello Stato, tutte le volte in cui la qualifica stessa possa essere rilevante, come, per es., in materia penale, in materia di assistenza spirituale delle comunit separate, di certificazione dei matrimoni, ecc.. Il dato che il preponderante numero di norme statuali di riconoscimento dei poteri esercitati da autorit conf essionali riguarda i rapporti con la Chiesa cattolica, non ci pu far dimenticare che altre norme statuali riconoscono taluni poteri anche ad autorit delle confessioni religiose di minoranza. La potest di governo delle confessioni religiose e, perci, a nche lesercizio della giurisdizione confessionale, quando siano riconosciuti nellordinamento dello Stato come lecita estrinsecazione dellautonomia del gruppo confessionale, incontrano un limite nei diritti inviolabili garantiti ai singoli dalla Costituzione. Ma anche quando; come nei casi sopra accennati, lesercizio dei poteri attribuiti dagli ordinamenti confessionali ai propri esponenti sia riconosciuto efficace nel diritto dello Stato, tale riconoscimento non esente da limiti o da controlli. Cos ,ad es., le sentenze di nullit dei matrimoni canonici trascritti nei registri dello stato civile, devono essere dichiarate esecutive dalla competente autorit giudiziaria italiana.

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9. Poteri e uffici dello Stato aventi competenza in materia ecclesiastica

Numerosi organi costituzionali e uffici dello Stato hanno specifiche competenze nella disciplina del fenomeno sociale religioso. 9.1 Il Presidente della Repubblica , per ci che concerne i rapporti con la Chiesa cattolica, ha il potere di nominare plenipotenziari per la conclusione di concordati e di ratificare, previa, occorrendo, lautorizzazione del Parlamento, i concordati conclusi (art. 80 e 87, comma 8, Cost.); per quanto riguarda le confessioni di minoranza, esercita il suo potere di promulgazione delle leggi basate su intese con tali ordinamenti (art. 8, comma 3, Cost.); inoltre, accredita gli ambasciatori italiani presso la Santa Sede e riceve le credenziali del nunzio apostolico accreditato presso la Repubblica italiana. Il Presidente del Consiglio dei ministri rappresenta, di regola, lo Stato negli accordi con le confessioni religiose e coordina lattivit dei vari dicasteri in materia ecclesiastica. Comunque, come in ogni altra questione, il governo responsabile, nel suo co mplesso, dellandamento generale pur in tale settore della politica. Il Consiglio dei ministri delibera sugli atti concernenti i rapporti dello Stato con la Chiesa cattolica e con le confessioni di minoranza e, perci, oltre ad approvare per la presentazione in Parlamento i disegni di legge riguardanti sia lautorizzazione alla ratifica e lesecuzione degli accordi con la Santa Sede, sia lesecuzione di intese con le confessioni di minoranza, determina e mantiene lindirizzo politico in materia ecclesiastica. 9.2 Lorgano dellamministrazione centrale con una competenza generale in materia ecclesiastica il Ministro dellinterno. Presso il Ministero degli Interni, in forza del d.p.r. 24 luglio 1977, n. 617, le preesistenti due Direzioni generali sono sta te fuse in un unico ufficio centrale, che ha assunto la denominazione di Direzione generale degli affari dei culti. 9.3 Attualmente, le competenze di tale Direzione generale riguardano: - tutta la materia concernente gli enti della Chiesa cattolica e delle confessioni di minoranza (ricono scimento della personalit giuridica, ecc.); - la vigilanza e la tutela sugli enti delle confessioni di minoranza ancora disciplinate dalle norme del 1929 - 1930; - lapprovazione della nomina dei ministri di culto di tali confessioni (diverse da quelle che abbiano stipulato Intese con lo Stato). La Direzione ha amministrato sino al 31 dicembre 1986 tre Fondi: il Fondo per il culto, il Fondo di religione e -di beneficenza nella Citt di Roma e i Patrimoni riuniti ex econo miali, nonch i Fondi di religione delle nuove province.

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9.4 La funzione principale svolta dal Fondo per il culto stata quella di corrispondere i supplementi di congrua agli appartenenti al clero cattolico che ne avevano il diritto. LAccordo 15 novembre 1984 ha previsto la soppressione dal 1 gennaio 1987 del Fondo per il culto e del Fondo di beneficenza e religione nella citt di Roma. A decorrere dalia stessa data sono soppresse anche le Aziende speciali di culto, variamente denominate; e aventi scopi di culto, di beneficenza e di religione, gestiti dalle Prefetture. Il patrimonio dei fondi e delle Aziende speciali, oggetto della soppressione, a decorrere dal. 1 gennaio 1987, riunito in patrimonio unico, denominato Fondo edifici di culto (FEC), il quale succede in tutti i rapporti attivi e passivi dei fondi, aziende e patrimoni anzidetti. I proventi di tale massa patrimoniale sono destinati al perseguimento dei fini del Fondo e sono integrati dallo Stato con un contributo annuo. Fanno parte del patrimonio del Fondo gli edifici di culto cattolici acquisiti dallo Stato, con tutti gli accessori e tutte le pertinenze, in forza delle leggi eversive dellasse ecclesiastico emanate prevalentemente nella seconda met dell800. Il Fondo edifici di culto una persona giuridica pubblica, rappresentata giuridicamente dal Ministro dellinterno e amministrata dal Ministero, in sede centrale, attraverso la Direzione generale degli affari di culto, e, in sede provinciale, attraverso i Prefetti. Lattribuzione al FEC della personalit giuridica vale a sottolineare lautonomia della gestione del patrimonio ad esso attribuito, ma non vale a nascondere che si tratta di un organismo strutturato in regime di immedesimazione con lamministrazione pubblica. Infatti, la sua organizzazione coincide del tutto con quella della Direzione generale degli Affari dei culti e, perci, il Fondo non altro che un ufficio dello Stato, un organo statale dotato di personalit giuridica. II Fondo edifici di culto, in quanto ente pubblico, amministrato secondo le norme che disciplinano le gestioni patrimoniali dello Stato, con i privilegi, le esenzioni e le agevolazioni fiscali ad esse spettanti. 9.5 Organi periferici del Ministero dellinterno sono le Prefetture.

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10. Uffici ecclesiastici organizzati dallo Stato e da altri enti pubblici per lassistenza spirituale delle comunit separate

Nel diritto dello Stato, accanto agli uffici pubblici aventi competenze in materia ecclesiastica, sopra descritti, esistono uffici ecclesiastici organizzati dallo stesso Stato , per lassistenza spirituale delle Forze armate, ovvero da altri enti pubblici, per altre comunit. Lassistenza spirituale delle c.d. comunit separate (Forze armate, ospedali, carceri, ecc.) tende a r ealizzare nel concreto il diritto di libert religiosa, in quanto consente ai singoli, che trascorrono gran parte del loro tempo in pubblici stabilimenti, talora senza poterne uscire, la possibilit di usufruire del conforto spirituale della confessione da essi professata e di seguire le pratiche del culto. Ma tale servizio di assistenza organizzato in modo diverso, secondo che si tratti di far fronte alle esigenze di un numero indeterminato di persone, di piccoli gruppi o di singoli. Nel primo caso, lassistenza religiosa organizzata dallo Stato o dallente che amministra le comunit, come un proprio servizio offerto alla generalit dei componenti di queste. Negli altri casi, invece, si tratta di un servizio garantito dalla legge a chi ne faccia richiesta. In tali casi evidente che leffettiva prestazione del servizio di assistenza legata sia alla disponibilit; del ministro di culto di cui venga richie sto lintervento, sia alla buona volont di chi, ricevuta la richiesta dellambito dellorganizzazione cui appartiene, chiamato a dare corso ad essa. Lorganizzazione dell assistenza spirituale per i cattolici, da parte dello Stato e degli altri enti pubblici, importa che gli ecclesiastici di ci incaricati siano nominati dalle competenti autorit it aliane su designazione dellautorit ecclesiastica, secondo lo stato giuridico, lorganico e le modalit stabiliti dintesa fra tali autorit (art. 11.2 Accordo 18 febbraio 1984: l. n. 121 del 1985). Circa l assistenza delle forze armate , attualmente la materia disciplinata dalla l: 1 giugno 1961, n. 512, sullo stato giuridico, avanzamento e trattamento economico del personale addetto allassistenza spirituale delle forze armate, Tale legge stata in parte modificata dal d.lgs. 30 dicembre 1997, n. 490, che ha riordinato lo stato giuridico e lavanzamento di tutti gli ufficiali delle Forze armate. Tale servizio diretto dallordinario militate, che un vescovo rivestito di dignit arcivescovile, coadiuvato da una curia costituita da un vicario generale militare e da tre ispettori. Questi ecclesiastici sono nominati con decreto del Capo dello Stato, su proposta del Presidente del Consiglio, di concerto con i Ministri dellinterno e della difesa, previa designazione dellautorit ecclesiastica. I cappellani militari, invece, sono nominati con decreto del Capo dello Stato su proposta del Ministro della difesa, previa designazione dellordinario militare. Come per qualsiasi altro rapporto dimpiego con lo Stato , i sacerdoti, per essere nominati cappellani militari, devono avere il godimento dei diritti civili e politici e, trattandosi di un servizio militare, devono essere idonei allincondizionato servizio, ossia devono essere forniti dei requisiti fisici per potere bene esercitare tutte le funzioni inerenti allassistenza spirituale in qualsiasi sede, sia in pace, sia in guerra. Lordinamento gerarchico del ruolo dei cappellani equiparato ai gradi degli ufficiali delle Forze armate. I cappellani militari sono distinti in: cappellani in servizio permanente, cappellani in congedo (perch di complemento o della riserva) e cappellani in congedo assoluto (ossia, che non hanno obblighi di servizio). 58

Il rapporto dimpiego con lo Stato dei cappellani militari in servizio permanente a pieno tempo ed incompatibile con qualsiasi altra attivit diversa dallassistenza spirituale delle forze armate . Quanto alla responsabilit in sede penale e in sede disciplinare, i cappellani militari sono assoggettati, rispettivamente, alla giurisdizione penale militare e al regolamento di disciplina militare soltanto in caso di mobilitazione totale o parziale e in caso di imbarco di servizio presso unit delle forze armate dislocate fuori del territorio dello Stato. I cappellani in servizio presso gli istituti di prevenzione e pena non sono impiegati di ruolo dello Stato, ma fanno parte, insieme ad altri funzionari che concorrono allandamento di codesti istituti (sanitari, insegnanti, farmacisti, suore), del personale aggregato. Per quanto concerne i cappellani che operano presso enti pubblici diversi dallo Stato, questi possono provvedere a tale servizio nel modo in cui ritengono pi opportuno, con un impiego di ruolo o con un incarico, occorrendo, in ogni caso, unintesa con lordinario locale. 10.1 Nello Stato confessionista del passato era normale che il sovrano avesse al proprio servizio un cappellano maggiore o elemosiniere, nominato in base a concessioni della Santa Sede, a Concordati o ad antiche consuetudini. Si trattava di un ufficio che non aveva mere attribuzioni spirituali, ma del quale il capo dello Stato si avvaleva per esercitare i suoi diritti di patronato, di nomina agli uffici ecclesiastici beneficiari, di percezione dei redditi dei benefici vacanti e simili.

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Capitolo 4 La Costituzione italiana e il fenomeno religioso

1. La garanzia di libert e i rapporti fra ordinamenti

La Costituzione del 1947 , nel dettare i principi fondamentali della disciplina del fattore religioso , ha seguito un duplice criterio: ha garantito la libert religiosa individuale e dei gruppi informali (art. 2, 3 comma, 19, ecc. Cost.), ma ha garantito anche la libert delle confessioni religiose in misura uguale per tutte (art. 8, 1 comma, Cost.), riconoscendo il carattere originario e indipendente dellordinamento della Chiesa cattolica (art. 7, 1 comma, Cost.) e delle altre confessioni religiose (art. 8, 2 comma, Cost). Inoltre, la Costituzione, nellart. 20, ha garantito la libert e il trattamento paritario, nei confronti degli altri enti civili, degli enti ecclesiastici e con fini di religione o di culto, e, negli art. 7, 2 comma, e 8, 3 comma, ha dettato norme riguardanti le fonti del diritto idonee a disciplinare i rapporti fra lo Stato e le confessioni religiose. Tutte le norme sopra menzionate concernenti la libert religiosa possono essere coordinate in sistema, al quale sono da collegare anche quelle altre norme costituzionali che o riguardano un settore comune con il diritto di libert religiosa, quale il diritto di manifestare il proprio pensiero (art. 21 Cost.) o garantiscono diritti di libert che possono essere utilizzati strumentalmente per lesercizio della libert religiosa. Si pensi agli art. 13 18 Cost. e, in particolare, al diritto di riunione e al diritto di associazione, entrambi tanto rilevanti nellesercizio del diritto di libert religiosa in forma associata. Anche le norme della Costituzione riguardanti i rapporti istituzionali fra lo Stato e le confessioni religiose (artt. 7, comma 2, e 8, comma 3, Cost.) possono essere coordinate con quelle sulla libert religiosa, data . limportanza che questa ha anche per le istituzioni. Considerando in modo complessivo la materia religiosa, possibile osservare che il pluralismo garantito dalla Costituzione del 1947 non concerne solo la libert di scelta degli individui, ma anche il diritto allesistenza, allorganizzazione e alla funzionalit delle varie istituzioni, sorte da iniziative del tutto autonome da quelle dello Stato e degli altri enti pubblici, senza le quali la libert. di s celta individuale non potrebbe essere realmente esercitata. 1.1 Fra le disposizioni sopra menzionate gli art. 7 e 8 Cost. racchiudono le norme fondamentali sui rapporti fra lo Stato e tutte le confessioni religiose. Secondo lart. 7 - Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani (comma 1). - I loro rapporti sono regolati dai Patti lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale (comma 2). A sua volta, lart. 8 dispone - Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge (comma 1). - Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con lordinamento giuridico italiano (comma 2). - I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze (comma 3). Al fine di intendere il significato di queste formule, rilevante anche sotto il profilo politico; occorre ricordare che tali disposizioni devono essere inquadrate insieme alle altre, contenute nella Costituzione e sopra menzionate. 60

Ci, infatti, d la misura del pluralismo riconosciuto dalla Costituzione. Questa visione delle cose, mirante ad escludere lorgogliosa e solipsistica onnipotenza dello Stato, era ben presente alla mente del Costituente. In particolare nei lavori preparatori sullart. 7 Cost. furono proposte varie formulazioni della norma: - Formula del Dossetti: lo Stato, riconoscendosi membro della comunit internazionale, per ci stesso riconosceva come originari lordinamento giuridico internazionale, gli ordinamenti giuridici degli altri Stati e lordinamento della Chiesa. Sulla formula proposta dal Dossetti non fu possibile raggiungere un accordo e, in sostituzione di essa, furono presentate altre proposte. - Formula del Togliatti: Lo Stato indipendente e sovrano nei confronti di ogni organizzazione religiosa ed ecclesiastica / Lo Stato riconosce la sovranit della Chiesa Cattolica nei limiti dellordinamento giuridico della Chiesa stessa / I rapporti tra Stato e Chiesa sono regolati in termini concordatari; - Formula del Tupini: Art. 1. Le norme di diritto internazionale fanno parte dellordinamento della Repubblica. Le leggi della Repubblica non possono contraddirvi. Art. 2. La Repubblica riconosce la sovranit della Chiesa cattolica nella sfera dellordi namento giuridico di essa. Art. 3. 1 Patti lateranensi, Trattato e Concordato, attualmente in vigore sono riconosciuti come base dei rapporti tra la Chiesa cattolica e lo Stato. Lart. 7, comma 1, Cost. nei lavori preparatori Come risulta dal confronto fra la proposta Togliatti e la proposta Tupini, lattuale primo comma. dellart: 7 della Costituzione una sintesi delle due proposizioni sopra riportate, su cui non fu difficile trovare un accordo, tanto che la detta disposizione fu approvata, senza variazioni, sin dalla seduta del 18 dicembre 1946 della I Sottocommissione per la Costituzione, e non sub alcun a modifica nellulteriore elaborazione della Carta. Formatasi una larga maggioranza, restarono prive di eco le critiche mosse da parte dei giuristi di formazione laica, i quali rilevavano che la disposizione stessa produceva una norma fuor di luogo in un testo costituzionale e, semmai, comprensibile in un trattato internazionale, in cui due potest riconoscono la reciproca indipendenza e sovranit, e che, in tanto avrebbe avuto senso giuridico, in quanto fosse esistita una norma, superiore allo Stato ed alla Chiesa, che delimitasse la sfera dellordinamento delluno e dellaltra. A queste patenti dinutilit, peraltro, le parti interessate allapprovazione del comma replicarono che la disposizione aveva un suo significato, riguardando la posizione reciproca di due ordinamenti diversi, perch uno, la Chiesa, non era paragonabile allo Stato, con il quale aveva comunanza di territorio e di soggetti. Comunque, per quel che possono valere i lavori preparatori in sede dinterpretazione della legge, ricordiamo che quei parlamentari i quali esaminarono sub specie iuris la formula qui considerata, favorevoli o contrari che fossero ad essa, non esitarono ad ammettere che essa valeva a riconoscere 1originariet dellordinamento giuridico della Chiesa.

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1.2 Lart. 7, comma 2, Cost. nei lavori preparatori Quanto rapida stata lapprovazione del primo comma dellart. 7 da parte della Costituente, tanto laboriosa e combattuta stata lelaborazione e lapprovazione del secondo comma, riguardante i Patti laterane nsi. Su questo tema sapr un dibattito serrato e non breve, che fu certo uno dei pi elevati che abbiano avuto luogo nella formazione della nostra Carta costituzionale. Anzitutto, sembra ben chiaro che il tema fondamentale su cui ferv la battaglia parla mentare fu quello del valore che la norma in questione avrebbe attribuito ai Patti, essendo dubbio se tale valore fosse uguale, o non, a quello delle norme della stessa Costituzione. Secondariamente, sembra che, approvando la formula in esame, secondo la quale i rapporti fra Stato e Chiesa sono regolati dai Patti lateranensi, il legislatore costituente non intese vincolare in eterno i rapporti fra i due ordinamenti ai Patti del 1929, tant vero che la disposizione stessa prevede, nella sua seconda parte, il procedimento per la modifica di tali accordi. Rispetto alla ricostruzione della voluntas legislatoris, si pu osservare che tutti coloro che considerarono il valore giuridico e gli effetti della formula in esame e che erano stati convinti sostenitori di essa sostennero che, la stessa, con il richiamo ai Patti, non attribuiva alle singole norme derivanti da tali protocolli, gi resi esecutivi nel diritto italiano, un valore uguale a quello delle norme costituzionali (tesi della non costituzionalizzazione dei Patti lateranensi). In specie, il Dossetti, relatore di maggioranza, neg recisamente che la formula in esame valesse a costituzionalizzare i Patti del 1929 (in base al rilievo che le norme di essi potevano essere modificate con legge ordinaria, qua ndo la modifica fosse stata concordata con la Santa Sede) e afferm, invece, che essa produceva non una norma materiale, bens una norma strumentale, una norma sulla produzione giuridica, la quale serviva ad indicare liter da seguire per formulare le ulteriori, eventuali, norme modificatrici di tali Patti. La tesi opposta (tesi della costituzionalizzazione dei Patti lateranensi) in base alla quale nella Costituzione venivano ad essere introdotte di soppiatto delle norme in netto contrasto con quelle che lAssemblea costituente stava elaborando per la nuova Carta, fu sostenuta da quanti erano contrari allapprovazione della formula stessa. Tesi del Finocchiaro Tale autore ritiene che sia fuor di dubbio che era intenzione comune dellAssemblea di non costituzionalizzare i Patti e che codesta intenzione del legislatore coincida in modo perfetto con il senso della formula approvata fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse (art. 12 disp. sulla legge in generale). Infatti, quali che possano essere stati i reconditi obiettivi delleterogeneo schieramento politico favorevole allapprovazione del secondo comma dellarticolo in esame, al Finocchiaro sembra chiaro che nessuna delle parole in esso contenute, presa in s o collegata con tutte le altre, enunci la regola secondo la quale le norme dei Patti lateranensi avrebbero unefficacia ed un valore del tutto pari a quello delle norme della stessa Costituzione. II travaglio che accompagn la formulazione del testo era dovuto allimportanza politica, ancor prima che giuridica, di esso. Con o senza costituzionalizzazione tale testo significava il mantenimento del regime concordatario introdotto nel 1929. Questo risultato, se poteva sembrare obiettivo politico gradito ed anche vivamente desiderato per alcuni; era sgradito per altri, ostili ai Patti del 1929 per ragioni sia politiche, sia ideologiche. Va ricordato, per, che i rappresentanti dei partiti politici di sinistra avevano pi volte dichiarato di non voler rimettere in discussione i Patti, ma, nello stesso tempo, di non 62

volere pregiudicare, con la menzione di questi protocolli nella Carta, lesecuzione con legge ordinaria delle future modifiche concordate con la Santa Sede, rese necessarie dal sopravvenuto mutamento di regime costituzionale. Queste dichiarazioni, per, dovettero sembrare insincere. Lincertezza intorno al futuro della Repubblica, le obiezioni dordine tecnico-giuridico che aveva sollevato la formula della prima parte del secondo comma qui considerato (I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi), proposta in origine dai democristiani, di fronte. alla quale, da varie parti, era stato segnalato il contrasto esistente tra alcune norme dei Patti e quelle accolte dalla Carta, fecero temere che, a non lontana scadenza, una semplice maggioranza parlamentare avrebbe potuto imporre la fine del regime concordatario e della pace religiosa che questo aveva consentito. Ad evitare questo risultato non sembrava idonea la formula di compromesso (I rapporti tra Stato e Chiesa cattolica sono regolati in termini concordatari) proposta dai comunisti, poich si credeva che questa non garantisse la vigenza dei Patti del 1929 e, nel contempo, non impedisse che le trattative per la stipulazione di un nuovo Concordato fossero rinviate ad un futuro indefinito. Per superare la posizione di stallo in cui sera venuta. a trovare la Prima Sottocommissione per la Costituzione, fu proposto un emendamento aggiuntivo alla formula originaria, il quale, con riferimento ai Patti, diceva che qualunque modifica di essi, bilateralmente accettata, non richieder un procedimento di revisione costituzionale, ma sar sottoposta a normale procedura di ratifica. Questa stata la formula che, con qualche ritocco, stata inserita in modo de finitivo nel testo in esame.

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1.3 Lart. 8 Cost. nei lavori preparatori Lattuale art. 8, 1 comma, Cost. frutto di un emendamento aggiuntivo allart. 5 del Progetto della Costituzione, che il risultato della scelta dellAssemblea tra due diversi testi, i quali esprimevano due differenti concezioni dei rapporti fra lo Stato e le confessioni religiose. II primo emendamento, presentato da Laconi ed altri, mirava ad introdurre una norma che parificasse tutte le confessioni religiose, poich prevedeva che Tutte le confessioni religiose sono eguali davanti alla legge. Tale emendamento fu respinto. LAssemblea approv lemendamento aggiuntivo Cappi - Gronchi, corrispondente allattuale testo dellart. 8, 1 comma, Cost.: Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. II Cappi, illustrando la proposta, dichiar di non accettare lemendamento Laconi, perch questo poteva implicare una specie di giudizio nel merito, sul contenuto delle singole confessioni religiose: giudizio di parit che (...) non solo i cattolici, ma neanche gli appartenenti ad altre confessioni religiose non possono ammettere, perch impossibile che un credente di una data fede ammetta una parit con le altre fedi. N lo Stato ha competenza in ci. A lui premeva che fosse libero lesercizio della confessione religiosa e fosse libero con parit, tanto per la Chiesa cattolica quanto per le confessioni di minoranza. LAssemblea costituente, inoltre, ebbe a discutere sul testo del secondo comma dellart. 8 Cost. , rispetto al quale Giancarlo Pajetta aveva presentato un emendamento per sopprimere la riserva - in quanto non contrastino con lordinamento giuridico italiano, - prevista dallart. 5 del Progetto a proposito degli statuti organizzativi -, perch, essendovi pieno accordo fra le varie parti politiche su molti aspetti significativi della nuova disciplina costituzionale la riserva de qua creava per le confessioni acattoliche una sorta di discriminazione. 1.4 Lart. 19 Cost. nei lavori preparatori Lapprovazione dell art. 19 Cost., che garantisce a tutti la libert religiosa, nonch lesercizio del culto, purch non si tratti di riti contrari al buon costume, non ha dato luogo a problemi. 1.5 Lart. 20 Cost. nei lavori preparatori Il quadro delle norme costituzionali riguardanti in modo specifico il fenomeno sociale religioso, nel Progetto definitivo della Costituzione, era completato dallart. 15, corrispondente allattuale art. 20 della Carta, secondo il quale il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto duna associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, n di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacit giuridica e ogni forma di attivit. Il Dossetti osserv che la disposizione valeva ad impedire un trattamento odioso e deccezione per gli enti ecclesiastici o con fine di religione o di culto (privazione della personalit giuridica, incapacit dacquistare o di possedere). Lo Stato, infatt i, avrebbe potuto porre limiti alla posizione di tali enti solo quando avessero riguardato tutte le persone giuridiche. La disposizione de qua fu approvata, senza discussione alcuna dallAssemblea costituente.

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2. Le tesi dottrinali sullart. 7, comma 1, della Costituzione

II dibattito dottrinale intorno alle disposizioni ha seguto la via gi tracciata dallAssemblea costituente. In proposito, alle voci secondo le quali il riconoscimento della reciproca indipendenza e sovranit dello Stato e della Chiesa sia solo un omaggio politico a questultima, in quanto istituzione tutta particolare, sia solo una formula utopistica e inconcludente priva di effetti giuridici, altre sono seguite, le quali hanno, invece, precisato il valore di essa dal punto di vista del diritto positivo. Anzitutto, posto che la formula de qua importa il riconoscimento delloriginariet dellordinamento canonico, del suo carattere di ordinamento primario, tale in quanto nato per forza propria, senza il tramite di alcun intervento creatore esterno, da parte di alcun altro ente, ci vuol dire che la figura dellordinamento giuridico, da mera ipotesi scientifica divenuta un principio riconosciuto a livello costituzionale. ben vero che loriginariet dellordinamento della Chiesa - indipendente da ogni riconoscimento statuale - era generalmente ammessa dopo il tramonto della tesi della statualit del diritto e che essa, inoltre, gi risultava da altre norme del diritto italiano, nonch dal fatto della stipulazione, su un piano di assoluta parit e nelle forme proprie dei trattati internazionali, dei Patti lateranensi e che, infine, lordinamento canonico non perderebbe la sua originariet pur se la formula in esame dovesse essere abrogata con una legge di revisione della Costituzione (art. 138). Tuttavia, il fatto che questoriginariet sia riconosciuta in modo esplicito dalla Carta importa che tale qualit sia elevata a presupposto costituzionale della posizione della Chiesa nei confronti del diritto statuale. In conseguenza, sarebbero in contrasto con la norma in esame tutti quegli atti statuali i quali, venendo a considerare nel suo complesso la Chiesa come ordinamento, la trattassero alla stregua di un ordinamento subordinato allo Stato. evidente che, con ci, la Costituzione non esclude che lo Stato possa intervenire autoritativamente in quei settori della vita ecclesiastica che toccano la sfera di sua competenza, ma esclude che lo Stato possa considerare la Chiesa come unentit sottoponibile a un regime giuridico, il quale involga la totalit delloperare di essa. La norma de qua , per, oltre alla Chiesa, tende a garantire anche lo Stato e, perci, impegna i suoi organi ad escludere che possa essere introdotto un sistema di rapporti con la Chiesa nel quale lo Stato sia subordinato a questa.

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3. Lordine dello Stato e lordine della Chiesa: il problema della c.d. competenza delle competenze

La formula del primo comma dellart. 7 non sembra al Finocchiaro che sia suscettibile di ulteriori conseguenze, sul piano pratico e della ricostruzione del sistema degli attuali e futuri rapporti fra Stato e Chiesa, oltre a quelle sinora considerate. Anzi, la formula stessa particolarmente elusiva l dove avrebbe potuto produrre un qualche ulteriore effetto. Essa, inve ro, non si limita a riconoscere che lo Stato e la Chiesa sono entrambi indipendenti e sovrani ; ma soggiunge che tale indipendenza e sovranit realizzata da ognuna delle due entit nel proprio ordine . Sarebbe stata una precisazione utile, secondo il Finocchiaro, se la Costituzione avesse detto qual , in concreto, lordine della Chiesa e lordine dello Stato . In mancanza di questa determinazione, la dottrina ha pensato, in via ipotetica, che lordine proprio delle Chiesa coincida, grosso modo, con i rapporti spirituali e religiosi. Tale tesi stata criticata, in quanto linterprete, raggiunto questo risultato, ancora al punto di partenza, poich gli resta da stabilire quale materia sia spirituale e quale temporale. Questo problema, prima ancora dessere degli operatori giuridici, un problema dei rapporti fra i due ordinamenti, che non stato risolto n dal Concordato, n dalla norma costituzionale qui esaminata. Si tratta del problema della c.d. competenza delle competenze, ossia la determinazione del soggetto cui spetti di risolvere un eventuale conflitto di competenza insorto fra lo Stato e la Chiesa. Essendo impensabile che la Santa Sede possa sottomettersi al giudizio dello Stato o di terzi e dovendosi escludere, proprio in forza della norma costituzionale in esame, che possa essere lo Stato a rimettersi al giudizio della Santa Sede, non resta altro che il tentativo di eliminare la controversia di comune intesa. Questa soluzione, fra laltro, -per quanto concerne la materia disciplinata dal Concordato, stata esplicitamente prevista dalle parti (art. 44 Concordato 1929; art. 14 Accordo 1984). naturale, per, che, quando le eventuali trattative non dovessero raggiungere alcun risultato, lo Stato potrebbe sempre decidere in modo unilaterale se la materia rientri, o non, nella propria competenza. Infatti, in base allordinamento statuale, allo Stato che appartiene la c. d. competenza delle competenze. Per quanto, poi, riguarda la determinazione dellambito delle rispettive competenze dello Stato e della Chiesa da parte delloperatore del diritto, questi tenuto a compiere tale operazione sulla base dellordinamento italiano, considerando tutte le disposizioni positive di esso, e non solo queste, ma anche ogni altra norma statuale che dovesse risultare utile.

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4. Linterpretazione dottrinale dellart. 7 cpv. Il dibattito dottrinale sullinterpretazione dellart. 7 cpv. Cost. stato molto vivace almeno sino a quando, molti anni dopo lentrata in vigore della Carta, non intervenuta sul tema la Corte costituzionale. ) Tesi della costituzionalizzazione dei Patti lateranensi Con questa parola poco elegante la dottrina successiva allentrata in vigore della Costituzione intendeva significare che la Costituzione aveva recepito le norme degli Accordi del 1929, dando a ciascuna di esse, quali norme materiali regolatrici dei singoli rapporti considerati nei Patti, lo stesso valore formale delle norme costituzionali. Con lattribuzione di questo valore, le singole disposizioni di origine pattizia avrebbero acquistato unefficacia pari a quella delle norme costituzionali, onde esse non solo prevarrebbero rispetto alle norme poste da qualsiasi legge ordinaria, ma; nella veste di norme costituzionali speciali, prevarrebbero anche nei confronti delle norme generali della stessa Costituzione. Com agevole vedere, questa tesi non ha fatto altro che adottare gli argomenti polemici esposti durante i lavori della Costituente da coloro che erano contrari allapprovazione della norma in esame. Ci nonostante, la tesi stessa ha ricevuto adesioni in dottrina e, qualche volta, anche in sede giurisprudenziale. La Cassazione, dopo aver, in varie occasioni, eluso il problema del significato della disposizione de qua, , negli anni 60, ha creduto di poter dichiarare che la disposizione stessa ha recepito tali Patti, nellordinamento della Repubblica, in tutto il loro contenuto, onde le singole norme pattizie hanno lo stesso valore e la stessa efficacia che avrebbero se fossero, state incluse nella Carta costituzionale o, fossero state . approvate da legge costituzionale, ed anzi, potrebbe dirsi un valore pi intenso, per la sancita inapplicabilit del procedimento di revisione costituzionale. Era ancora lontano il tempo in cui la stessa Cassazione avrebbe. pronunciato le ordinanze di rimessione che avrebbero dato luogo alla sentenza della Corte costituzionale n. 18 del 1982. ) Tesi della costituzionalizzazione del principio concordatario Tale tesi ha avuto pi di una versione. 1) Secondo una prima tendenza, lo Stato sarebbe obbligato a regolare concordatariamente tutte le materie che toccassero gli interessi della Chiesa cattolica. Lart. 7 cpv. Cost., perci, oltre a garantire i Patti lateranensi e la sua legge di esecuzione, garantirebbe anche le modificazioni di essi riguardanti le materie gi disciplinate nel 1929. Tali norme; al pari di quelle previste dallart. 11 Cost., essendo esecutive di un precetto costituzionale, resisterebbero alle successive leggi ordinarie che fossero in contrasto con esse. 2) Unulteriore versione concorda con la precedente quanto al dato che tale principio costituzionale garantirebbe i Patti del 1929 e stabilirebbe la necessit che i rapporti fra lo Stato e la Chiesa cattolica fossero disciplinati da accordi paritari. Essa, per, va oltre, ritenendo che lart. 7 cpv. Cost. avrebbe creato nellordinamento dello Stato un sistema particolare, un jus singulare, che non subirebbe influenza di sorta da alcuna norma costituzionale e le cui disposizioni, anzi, a motivo della propria specialit, prevarrebbero sulle norme costituzionali generali interferenti nella disciplina della stessa categoria di. rapporti da esso contemplati. 3) Una terza formulazione vede nellart. 7 cpv. Cost. il riconoscimento della regola internazionalistica dello stare pactis, onde. tale disposizione svolgerebbe una funzione analoga a quella degli art. 10 e 11 Cost. e garantirebbe, oltre alle norme del 1929, anche qualsiasi altra convenzione stipulata o da stipulare con la Santa Sede. Le norme di legge ordinaria in contrasto. con le norme garantite . dallart. 7 cpv. Cost. sarebbero viziate da illegittimit costituzionale. 67

) Tesi della costituzionalizzazione del principio pattizio Tale principio, accolto dallart. 7 cpv. Cost., oltre alla conservazione delle norme dorigine concordataria del 1929, garantirebbe i nuovi accordi solo se riguardassero le stesse materie disciplinate dai Patti lateranensi. Invece, gli accordi su materie diverse non usufruirebbero di tale garanzia. ) Tesi dellart. 7 cpv. come norma di adattamento automatico agli accordi conclusi tra lItalia. e la Santa Sede Secondo tale tesi, la norma in questione, prevederebbe; nella sua seconda parte, un procedimento automatico di adattamento dellordinamento italiano ai vecchi e ai nuovi accordi, onde introdurrebbe le disposizioni di questi nel diritto statuale con il valore e lefficacia formale delle norme costituzionali. Lart. 7 cpv., perci, sarebbe un ordine di esecuzione nellordinamento interno delle norme pattizie. ) Tesi dellart. 7 cpv. Cost. come norma sulle fonti del diritto 1) Una prima tendenza presuppone che nella scala delle fonti dellordinamento italiano tra il gradino occupato dalle norme della Costituzione e dalle leggi costituzionali e il gradino occupato dalle leggi ordinarie, ne esisterebbe uno intermedio, occupato da, fonti normative atipiche, perch, pur avendo il valore di leggi ordinarie, resistono allabrogazione; alla modificazione, alla deroga e alla sospensione, al pari delle norme di legge costituzionale. Su tale presupposto la tesi in esame ritiene che la l. n. 810 del 1929 esecutiva dei Patti lateranensi, essendo garantita dalla Costituzione, sarebbe una fonte atipica e perci occuperebbe lanzidetto gradino intermedio, proprio di tale categoria di fonti. In conseguenza, le norme garantite dallart. 7 cpv. Cost. non possono essere abrogate, modificate, derogate o sospese da norme di legge ordinaria, ma, a loro volta, non possono essere in contrasto con le norme della Costituzione e delle leggi costituzionali. 2) Secondo un altro autore, le norme di cui allart. 7 cpv. Cost., proprio perch garantite da questo anzich da appositi procedimenti previsti da leggi ordinarie, non potrebbero essere collocate in un gradino intermedio tra le norme costituzionali e quelle di legge ordinaria, ma dovrebbero essere considerate delle fonti pseudo-atipiche. ) Tesi dellart. 7 cpv. Cost. come norma avente effetto sui poteri dello Stato Da questa prospettiva, loggetto della tutela risulta essere duplice: i Patti lateranensi nellordinamento internazionale e la legge di esecuzione di essi n. 810 del 1929 nellordinamento interno. Rispetto al primo ambito, la norma costituzionale avrebbe privato il governo della legittimazione a denunciare i Patti. Rispetto al secondo ambito, essa avrebbe escluso la competenza del legislatore ordinario ad abrogare, modificare, derogare o sospendere le norme della detta legge. Nel caso di mutamento radicale delle circostanze poste alla base dei Patti, il governo sarebbe legittimato solo a intavolare trattative con la Santa Sede e a procedere, in caso di fallimento di queste, a una modificazione delle norme di origine concordataria con legge costituzionale. ) La dottrina che ha affrontato linterpretazione dellart. 7 cpv. Cost., dopo che la Corte costituzionale aveva pronunciato sul contrasto tra norme derivanti dai Patti e norme costituzionali (sentenze n. 30, 31 e 32 del 1971), ha ritenuto che la norma in questione abbia parificato la legge di ratifica ed esecuzione n. 810 del 1929 alle leggi costituzionali, prevedendo, peraltro, un procedimento di decostituzionalizzazione, il quale si verifica quando tale legge, per le parti toccate da un nuovo accordo, perde la parificazione alle leggi costituzionali e, per essere modificata, basta una legge ordinaria di ratifica ed esecuzione del nuovo accordo fra lItalia e la Santa Sede. 68

5. Lart. 7 della Costituzione e i Patti lateranensi nella giurisprudenza della Corte costituzionale

La Corte costituzionale, investita delle questioni relative ad eventuali contrasti tra le norme dei Patti del 1929 (l. n. 810) e la Costituzione formale, oltre a procedere con molta prudenza, ha colto loccasione offerta dalle questioni stesse, sia per inquadrare i problemi dei rapporti fra la Costituzione e le norme derivanti dal Concordato del 1929, disciplinati dallart. 7 Cost., insieme a quelli dei rapporti fra la Costituzione e la legge di esecuzione dei trattati delle Comunit Europee, disciplina ti dallart. 11 Cost., sia al fine di precisare la propria competenza giurisdizionale, quale giudice della legittimit costituzionale delle leggi (art. 134 Cost.). A questultimo proposito, la Corte ha compreso nellambito della propria competenza non solo il giudizio sulla legitimit costituzionale delle norme di legge o rdinaria, ma anche il giudizio sulla legittimit delle norme poste dalle leggi di revisione della Costituzione e dalle altre leggi costituzionali (art. 138, 1 comma, Cost.). Una competenza, questa, che generalmente ammessa nei confronti dei vizi formali di tali leggi (per es. di una legge costituzionale approvata senza il rispetto del procedimento previsto dallart. 138 Cost.), ma che non da tutti riconosciuta nei confronti degli eventuali vizi di legittimit costituzionale dordine sostanziale. Affinch la Corte costituzionale possa avere riconosciuta la competenza a giudicare della legittimit delle leggi costituzionali per violazioni di carattere sostanziale, occorre ammettere che nel nostro ordinamento esistono principi costituzionali superiori alle norme della Costituzione formale e appartenenti a quella che, unautorevole dottrina qualifica come la Costituzione in senso materiale . Sono principi tali che, essendo posti su un livello superiore a quello della Costituzione formale e delle altre leggi costituzionali, perch sono la matrice di entrambe, possono valere come parametri per il giudizio di legittimit costituzionale sostanziale delle norme poste dalle leggi costituzionali. La Corte costituzionale, con molta cautela, dopo le prime avvisaglie rappresentate dalle sentenze n. 38 del 1957 e n. 6 del 1970, entrata in questordine di idee. Essa ha affrontato linterpretazione dellart. 7 Cost. solo dopo oltre quindici anni dalla sua entrata in funzione Secondo tali prime pronunce, infatti, lart. 7 Cost. non sancisce solo un generico principio pattizio da valere nella disciplina dei rapporti fra lo Stato e la Chiesa cattolica, ma contiene altres un preciso riferimento al Concordato in vigore e, in relazione al contenuto di questo, ha prodotto diritto (sentenza n. 30 del 1971). Al fine di precisare quale fosse il diritto prodotto dallart. 7 Cost., la Corte, in modo non meno generico, ha collegato il cpv. di tale disposizione con il primo comma. dello stesso articolo, per osservare che, riconoscendo questultima disposizione una posizione reciproca di indipendenza e di sovranit allo Stato e alla Chiesa, il richiamo dei Patti non pu avere forza di negare i principi supremi dellordinamento costituzionale dello Stato (sent. n. 30 del 1971), e, sotto questo profilo, ha ammesso il proprio sindacato di costituzionalit (sent. cit., e n. 31 e 32 del 1971; n. 175 del 1973; n. 185 del 1972; ecc.). II riferimento ai principi supremi dellordinamento costituzionale dello Stato ha molto discutere.

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Ma la verit era molto pi lineare di quanto la dottrina sospettasse, perch se le norme derivate dai Patti lateranensi potevano essere dichiarate incostituzionali solo ove fossero state in contrasto con i principi supremi, ci stava a significare che lart: 7 Cost. aveva prodotto diritto nel senso di equiparare tali norme dorigine concordataria alle norme poste da leggi costituzionali. Questo criterio di giudizio stato confermato in modo pi chiaro da successive pronunce della Corte costituzionale, sia ritenendo ammissibile il giudizio di legittimit costituzionale di norme di legge ordinaria che si assumeva fossero in contrasto con norme dorigine concordataria, sia giudicando su altre questioni di legittimit sollevate a proposito di queste. Il carattere di norme parificate a quelle prodotte da leggi costituzionali delle norme derivanti dai Patti lateranensi emerge, con maggiore evidenza, dalla sentenza che ha dichiarato inammissibile il referendum proposto per labrogazione di tali norme proprio, perch la legge desecuzione dei Patti (n. 810 del 1929) era da considerare protetta o garantita dalla Costituzione (sent. n. 16 del 1978) e, come tale, non soggetta a referendum abrogativo, nonch dalla sentenza che, per la prima volta, ha dichiarato lillegittimit costituzionale di norme poste dalla citata l. n. 810 del 1929, con riferimento a taluni principi supremi dellordinamento costituzionale individuati dalla stessa sentenza (sent. n. 18 del 1982). Una parte della dottrina ha ritenuto di contestare alla Corte costituzionale il potere di precisare codesti principi supremi , ma il Finocchiaro ritiene che alla Corte non possa essere precluso il potere di interpretare e precisare il parametro costituzionale del giudizio di legittimit ad essa demandato e, in conseguenza, il potere di qualificare un dato principio come supremo e come appartenente allordinamento costituzionale, ossia alla costituzione in senso materiale. Allo stato attuale della giurisprudenza della Corte costituzionale, pu dirsi che la legge di esecuzione dei Patti lateranensi (n. 810 del 1929) sia protetta alla stregua di una legge costituzionale. Lequiparazione della legge di esecuzione dei Patti alle leggi costituzionali importa, poi, che le norme di essa possono derogare, quando rispettino i principi supremi, le norme della Costituzione formale, ma tali deroghe sollevano notevoli perplessit, anche per la difficolt di cogliere il confine fra principi supremi e principi non supremi dellordinamento costituzionale. Cos, per es., la Corte ha ritenuto che la norma dallart. 7 consentisse deroghe anche alla norma dellart. 3, 1 comma, Cost. - riguardante luguaglianza dei cittadini senza distinzione di religione -, quando la dfferenza di trattamento dipendesse o dal carattere confessionale della disciplina canonistica rilevante agli effetti civili, ovvero da una scelta consapevole del cittadino tra un istituto civilistico e un istituto canonistico (sent. n. 32/1971 e n. 16/1982). Tali soluzioni sono tuttaltro che pacifiche, essendo ancora da dimostrare che il principio di uguaglianza formale sia supremo solo nel suo nucleo essenziale, come generico principio che vieti al legislatore di compiere discriminazioni arbitrarie, e non anche in rapporto alle singole caratteristiche, elencate dallart. 3, 1 comma, Cost..

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Va aggiunto che la giurisprudenza della Corte stata oscillante nel determinare quali fossero le norme di legge protette dallart. 7 Cost. . Nelle sue prime sentenze del 1971, la Corte ha mostrato di ritenere protette non solo le norme di origine concordataria introdotte dalla l. n. 810 del 1929 che ha eseguito nellordinamento interno i Patti del Laterano, ma anche quelle poste dalla legge 27 maggio 1929, n. 847 e dalla legge 27 maggio 1929, n. 848. Nella successiva sentenza n. 1 del 1977, poi, la Corte ebbe a precisare che lart. 7 Cost. protegge solo la l. n. 810 del 1929, che ha dato esecuzione ai protocolli del Laterano, e le cui norme potevano essere dichiarate illegittime solo se in contrasto con i principi supremi dellordinamento costituzionale, mentre le leggi di applicazione n. 847 e 848 del 1929 erano comuni leggi ordinarie, le cui norme potevano risultare illegittime per contrasto con norme della Costituzione formale. Peraltro, con la sentenza n. 16 del 1982, riguardante la questione di legittimit costituzionale di norme della citata legge ordinaria n. 847 dei 1929, la Corte ha ritenuto di dover tornare a decidere alla luce dei principi supremi dellordinamento. costituziona le. Dopo lentrata in vigore degli Accordi del 18 febbraio e del 15 novembre 1984, che hanno abrogato il Concordato del 1929 (per le norme non riprodotte), la garanzia offerta dallart. 7 Cost. dovrebbe essere limitata al Trattato del Laterano, lunico protocollo superstite dei Patti del 1929. Ma la Corte costituzionale sembra presupporre che lart. 7 Cost. garanti sca anche i nuovi Accordi.

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6. Gli Accordi del 18 febbraio e del 15 novembre 1984 e la Costituzione Secondo la formulazione letterale dellepigrafe della l. 25 marzo 1985, n.121, che ha dato esecuzione allAccordo del 18 febbraio 1984, e della l. 20 maggio 1985, n. 206, che ha dato esecuzione allAccordo del 15 novembre 1984, codesti nuovi protocolli avrebbero apportato modificazioni al Concordato lateranense dell11 febbraio 1929. ) Tesi della pseudo-modificazione del Concordato del 1929 (Finocchiaro) Il principio per cui i nuovi protocolli avrebbero apportato modificazioni al Concordato lateranense dell11 febbraio 1929 valso al fine di inquadrare il procedimento legislativo nellalveo dellart. 7 cpv. Cost che, come detto, consente le modificazioni dei Patti lateranensi con leggi ordinarie in presenza di accordi fra le parti. Ma gli Accordi del 1984 e le leggi che ad essi hanno dato esecuzione hanno avuto sul Concordato del 1929, e sulla l. n. 810 che lha eseguito, un effetto ben pi ampio di quello di una modificazione, perch tali Accordi hanno abrogato tutte le norme del vecchio Concordato e della legge che lha eseguito. Invero, lart. 13.1 dellAccordo 18 febbraio 1984, pur insistendo sul proprio carattere modificatorio, dichiara abrogate le disposizioni del vecchio Concordato non riprodotte nel presente testo. Perci sembra fuor di luogo ritenere che le parti (Chiesa cattolica e Stato italiano) abbiano solo modificato il Concordato del 1929. La verit che esse; volendo restare in un soddisfacente rapporto di collaborazione, in vista dei problemi attuali della Chiesa cattolica e dello Stato italiano, diversi dai problemi del 1929, hanno ritenuto, opportuno stipulare un nuovo Concordato. In ogni caso, secondo tale opinione, da escludere che le leggi di esecuzione n. 121 e n. 206 del 1985 e gli accordi cui esse si riferiscono siano garantiti dallart. 7 cpv. Cost.. ) Tesi della modificazione del Concordato del 1929 Quanti ritengono di dover accogliere la tesi opposta, si avvalgono soprattutto di una ragionevole considerazione. Essi osservano che, negando alle leggi di autorizzazione alla ratifica e di esecuzione dei nuovi Concordati la garanzia dellart. 7 cpv. Cost., agli accordi riguardanti la Chiesa cattolica, intervenuti tra lo Stato e la Santa Sede, sarebbe riservato un trattamento deteriore rispetto a quello previsto dallart. 8, 3 comma, Cost. per le intese con le altre confessioni, le cui leggi di approvazione sono sempre e in ogni caso garantite da tale norma. Critica del Finocchiaro alla tesi della modificazione del Concordato del 1929 Il Finocchiaro nota che, se indubbio il fondamento equitativo di tale tendenza, tuttavia essa si scontra con il testo inequivocabile dellart. 7 cpv. Cost., che tutela solo ed esclusivamente i Patti lateranensi. In proposito occorre ricordare che, proprio quando si accetti la tesi, seguita dalla Corte costituzionale, per la quale le norme di esecuzione dei Patti lateranensi (l. n. .810 del 1929) sarebbero state parificate dallart. 7 cpv. Cost. alle norme poste da leggi costituzionali, sembra sia fatale escludere che le leggi di ratifica ed esecuzione dei nuovi accordi - l.l. n.121, n. 206 e n. 222 del 1985 - rientrino nella garanzia offerta da tale norma costituzionale. Invero, il procedimento di decostituzionalizzazione della l. n. 810 del 1929, previsto dallart. 7 cpv. Cost. ha leffetto, in presenza di un accordo con la Santa Sede, di degradare le norme poste da quella legge dalla posizione di norme parificate a norme di una legge costituzionale alla posizione subalterna di norme di legge ordinaria. 72

La conseguenza che, una volta attivato il meccanismo previsto dalla seconda parte dellart. 7 cpv. Cost., la legge ordinaria di ratifica ed esecuzione del nuovo accordo abroga le norme degradate. Ma le nuove norme abrogatrici sono e restano norme di legge ordinaria, suscettibili, perci, di essere modificate da successive norme di legge ordinaria. Si tratta di un fenomeno analogo a quello della delegificazione, in base al quale, nelle materie non coperte da riserva assoluta di legge, una volta legittimamente abrogata e sostituita una norma di legge da una norma di regolamento, questa e rimane una norma regolamentare, modificabile in futuro da altra norma regolamentare. Peraltro, negando che lart.. 7 cpv. Cost. garantisca le leggi di autorizzazione alla ratifica e di esecuzione degli Accordi del 1984; non mancano vie per riconoscere lesistenza di una garanzia costituzionale derivante da altri principi dellordinamento. In primo luogo si pu pensare alla tesi che lart. 7 cpv. Cost. garantisca, almeno pro parte , anche i nuovi Accordi, in quanto, secondo unautorevole opinione, detta norma garantirebbe non qualsiasi nuovo accordo, bens solo quei nuovi accordi che riguardassero materie gi disciplinate dai Patti del 1929. In codesta prospettiva la garanzia costituzionale riguarda non la generalit dei rapporti fra lo Stato e la Santa Sede, che siano formalizzati in accordi, bens solo i rapporti concernenti le materie gi disciplinate dai Patti anzidetti. Ma se la garanzia, per questo verso, pu sembrare limitata, essa diventa problematica nel momento in cui linterprete voglia determinare lestensione delle materie pattizie che sarebbero garantite dalla Costituzione. evidente che, ponendosi su questa via, linterprete si allontana da un esame obiettivo delle fonti, per abbandonarsi a scelte ampiamente discrezionali, che non agevolano la certezza del diritto. In secondo luogo, occorre tener presente che gli accordi fra lo Stato e la Santa Sede sono parificabili ai trattati internazionali, sicch essi risultano garantiti dellart. 10 Cost., ove si ritenga, in contrasto con una parte della dottrina internazionalistica, che ta le disposizione, costituzionalizzando le norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, abbia costituzionalizzato, fra laltro, il principio pacta sunt servanda, ponendo sotto la garanzia di esso gli accordi internazionali resi esecutivi nell'ordinamento italiano. Accettando. questa tesi gli Accordi del 1984 sono garantiti non dall'art. 7 Cost., ma dal successivo art. 10. D'altronde, secondo il Finocchiaro, possibile pensare .che i rapporti fondamentali tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica, quando siano disciplinati da accordi con la Santa Sede, attengano alla materia costituzionale, a prescindere dalla previsione del vigente art. 7 Cost., con riferimento ai principi supremi dell'ordinamento costituzionale, ossia alla costituzione in senso materiale. Perci, ove si ritenga che, in forza dell'art. 10 Cost. ovvero al livello della costituzione materiale, i rapporti fra Stato e Chiesa cattolica appartengano alla materia costituzionale, da ci stesso discende la conseguenza che gli accordi, stipulati fra le due parti e resi esecutivi nell'ordinamento dello Stato, sono garantiti dalla Costituzione nei confronti delle leggi ordinarie che avessero l'effetto di modificare, derogare o abrogare le norme di autorizzazione alla ratifica e di esecuzione di codesti accordi. Occorre, peraltro, avvertire che l'ordinamento vigente sembra orientarsi nel senso che l'art. 7 cpv. Cost. garantisca anche gli Accordi del 1984. Infatti, la Corte costituzionale con le sentenze 12 aprile 1989, n. 203, e 14 gennaio 1991, n. 13, ha affrontato questioni di legittimit riguardanti norme di esecuzione dell'Accordo del 18 febbraio 1984 (l. n. 121 del 1985), e, in impliciti obiter dicta - giacch non si posta il problema della copertura dei nuovi Accordi ad opera dell'art. 7 cpv. Cost. -, ha ritenuto che anche in tali casi il giudizio di legittimit delle norme contestate potesse essere espresso non con riferimento a qualsiasi norma costituzionale, ma solo avvalendosi del parametro dei principi supremi dell'ordinamento :costituzionale. Un parametro che utilizzato dalla Corte per giudicare della legittimit costituzionale delle norme di legge costituzionale ed equiparate. 73

Capitolo 5 Lo Stato e le confessioni religiosi di minoranza nella Costituzione

1. Le confessioni religiose di minoranza nella Costituzione

La Costituzione , dopo aver fissato nellart. 7 i principi riguardanti i rapporti dello Stato con la Chiesa cattolica, nel successivo art. 8, commi 2 e 3, detta le norme fondamentali sui rapporti con tutte le altre confessioni. Per indicare queste la Carta usa una perifrasi, qualificandole come confessioni religiose diverse dalla cattolica. Si tratta di una formula che, nella sua genericit; evoca realt socio -religiose molto diverse tra loro: dalle molteplici e variegate espressioni del cristianesimo allislamismo, dallebraismo alle religioni delloriente e alle pi varie manifestazioni del sincretismo. Mentre lart. 7 Cost. disciplina i rapporti con la confessione di maggioranza, le norme dellart. 8, commi 2 e 3, Cost. riguardano le confessioni di minoranza, cos intese tutte le altre manifestazioni del religioso. Tutte le confessioni religiose organizzate, secondo l art. 8, 2 comma, Cost. (il quale contiene una norma generale di riconoscimento, analoga a quella speciale dellart. 7, 1 comma, Cost. riguardante la Chiesa cattolica), danno vita ad altrettanti ordinamenti giuridici originari e indipendenti da quello dello Stato . Tale riconoscimento non privo di conseguenze a proposito della normazione sui rapporti di dette confessioni con lo Stato. Infatti, se lart. 7, 2 comma, Cost., per quanto riguarda la normazione concernente la Chiesa cattolica, richiamando i Patti lateranensi del 1929, sembra alludere alla doverosit di una trattativa bilaterale, del pari, quando lo Stato intenda dettare norme che riguardino le altre confessioni religiose, lart. 8, 3 comma, Cost. prevede che i rapporti di esse con lo Stato siano regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.

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2. Le intese delle confessioni di minoranza con lo Stato: natura giuridica di esse

Al fine di qualificare esattamente la posizione e la natura delle intese dello Stato con le confessioni di minoranza, volte a costituire la base di una legge che le riguardi; occorre tenere presente, da un lato il carattere istituzionale delle confessioni religiose, dallaltro il fatto che l art. 8, 2 comma, Cost., garantendo a esse la libert organizzativa; disciplina i rapporti dello Stato con tali organizzazioni riguardo alla sfera interna di ciascuna, escludendo lingerenza statuale nella formazione degli statuti. Lart. 8, 3 comma, Cost. , invece, prevede il caso che si renda necessario od opportuno che il legislatore detti norme riguardanti le confessioni di minoranza, quando si pongano in rapporto con il mondo esterno e agiscano nellambito della societ civile, e in vista di ci, garantisce a tali organismi che la legge sar emanata regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze. Peraltro, i rapporti fra lo Stato e queste confessioni preesistono alle intese, dato che i gruppi sociali, pur riconosciuti come ordinamenti giuridici, tutte le volte in cui agiscono nellambito del diritto statuale, avvalendosi delle norme di esso, no nch dei servizi che sono resi dalla pubblica amministrazione e dagli organi che garantiscono la giustizia, entrano in rapporto con lo Stato. I rapporti disciplinati dalla norma in esame riguardano un settore diverso dallattivit statuale, ossia presiedono allemanazione delle norme di legge che concernono le confessioni diverse dalla cattolica. La norma stessa, perci, una norma sulla produzione giuridica, una norma sulle fonti, parallela a quella prevista dallart. 7 cpv. per le modifiche della legge di esecuzione dei Patti lateranensi. La norma qui considerata ha dato luogo a vari problemi , in particolare riguardo alla natura giuridica delle intese, alla posizione di queste nei confronti del procedimento legislativo, alla capacit a stipularle, alla determinazione della rappresentanza dei culti e al possibile contenuto delle intese stesse. La norma del 3 comma dellart. 8 contiene una riserva di legge nella materia della disciplina dei rapporti fra Stato e confessioni diverse dalla cattolica . La riserva in questione, poich vale a garantire la libert religiosa, un valore non minore della libert personale (art. 13 Cost.), la cui disciplina rientra sicuramente fra le riserve assolute, sembra da annoverare fra le riserve assolute di legge o, secondo unulteriore prospettiva, fra le riserve rinforzate o aggravate, nel senso che il potere legislativo deve essere esercitato con modalit particolari, ossia, nella specie, solo sulla base degli accordi e delle intese previste dagli art. 7 e 8 Cost. con le confessioni religiose interessate. La norma in questione, dunque, prevedendo lemanazione di leggi concordate, usa alle confessioni di minoranza un trattamento analogo a quello previsto per la Chiesa cattolica e, perci, assicura ad esse un rispetto formale senzaltro maggiore di quello mostrato per qualsiasi altro gruppo sociale che entri in rapporto con lo Stato. Questa previsione, peraltro, del tutto giustificata dalla precedente norma, dettata dal 2 comma dellart. 8 Cost., la quale riconosce alle confessioni organizzate il rango di ordinamenti giuridici indipendenti e non subordinati:

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Circa la natura giuridica delle intese ) tesi negatrice di qualsiasi natura giuridica Una tesi estrema nega alle intese qualsiasi natura giuridica, considerandole solo come atti, aventi un valore politico, i quali, per non essere regolati nelle forme, non vincolerebbero il legislatore a conformarsi alle statuizioni di esse. In definitiva, non sarebbe viziata di incostituzionalit quella legge ordinaria che disciplinasse un culto di minoranza senza che vi fossero state le intese stesse . ) tesi delle intese come condizione di legittimit costituzionale Secondo questa impostazione le intese appartengono effettivamente al campo del diritto. Posto che la norma in esame garantisce alle confessioni di minoranza che le leggi destinate a regolare i loro rapporti con lo Stato saranno emanate sulla base di intese, in palese conflitto con la ratio di questa garanzia ritenere conforme alla Costituzione una legge la quale fosse emanata senza le intese o in modo difforme da esse. Cos come impensab ile che una tale legge basata sulle intese, una volta emanata, possa essere abrogata o modificata senza che labrogazione o la modifica fosse stata previamente concordata con le confessioni religiose interessate o senza seguire il procedimento di revisione costituzionale. Le intese, perci, sono, rispetto alla legge di cui stanno alla base, una condizione di legittimit costituzionale, un limite per il legislatore ordinario, il quale, per non eludere la garanzia costituzionale offerta alle minoranze religiose, obbligato, ove voglia legiferare, ad attenersi alle intese, trasfondendo il contenuto di esse nelleventuale legge.

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3. La capacit delle confessioni a stipulare le intese: intese plurime e intese collettive

La dottrina si posta la questione della capacit a stipulare le intese. ) tesi dellesclusiva capacit, anche in vista del collegamento tra il secondo e il terzo comma dellart. 8 Cost., delle confessioni di minoranza organizzate, ossia de gruppi che, avendo gi usufruito della libert di organizzazione garantita dal comma 2 dellart. 8 Cost., abbiano assunto un preciso assetto istituzionale. Questa tesi sembra accettabile, secondo il Finocchiaro, per almeno due motivi. Anzitutto, perch sarebbe strano che un gruppo con fini di religione o di culto, il quale volesse essere solo una comunit spirituale, non contaminata dallombra di diritti e di doveri che leghino i soci fra di loro ed il gruppo verso i terzi, sentisse il bisogno di una legge disciplinatrice dei suoi rapporti con lo Stato. In secondo luogo, perch un gruppo anorganico difficilmente potrebbe esprimere quei rappresentanti che dovrebbero concordare le intese con lautorit statuale.

Altro problema quello di vedere se le intese possano concerne re solo i rapporti tra lo Stato e una confessione religiosa, ovvero se possano essere stipulate con il concorso di pi confessioni religiose e dare luogo ad una legge che le concerna. ) tesi delle intese non plurime Qualche autore sostiene che le intese possano concernere solo i rapporti tra lo Stato e una confessione religiosa, - o considerando che le intese possono avere come oggetto solo questioni particolari di carattere facoltativo, - o in vista del fatto che ogni confessione ha un carattere specifico e le intese devono tenere conto della natura obiettivi, scopi ed esigenze di ciascun gruppo confessionale, - o perch una legge generale, approvata senza che lo Stato regolasse sulla base di intese i rapporti con le singole confessioni religiose, sarebbe in contrasto con il 3 comma dellart. 8 Cost.. ) tesi delle intese plurime Le difficolt ravvisate dalla tesi precedente non sembrano insormontabili, sia perch il carattere specifico di ogni confessione, ovvero loggetto delle intese, non escludono che tutte le confessioni di minoranza o un gruppo rilevante di esse possano avere interessi comuni, sia perch non esclude che tutte le confessioni acattoliche esistenti in Italia possano addivenire ad unintesa collettiva con lo Stato, o che, stipulata unintesa con una data confessione, a questa aderiscano altre o che la stessa sia riprodotta con altre confessioni. In ogni caso, evidente che la legge risulter applicabile solo a quegli organismi confessionali che siano stati parte delle intese.

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4. Lorgano statuale competente a stipulare le intese

Quanto al potere statuale competente a stipulare le intese, sembra indubbio che tale competenza spetti al governo. Le intese, invero, sono dirette allemanazione di una legge. Esse, perci, non toccano 1a responsabilit dellamministrazione, bens la responsabilit politica del governo. Le intese non sono negozi, che debbano essere valutati sotto il profilo della conformit a preesistenti regole giuridiche o a principi di buona amministrazione, come accadrebbe se fossero accordi stipulati a livello burocratico, ma sono accordi che devono essere valutati sotto il profilo dellopportunit politica e del rispetto della Costituzione. Appartenendo la stipulazione delle intese alla competenza degli organi di direzione politica, richiedono - lintervento del Presidente del Consiglio , per le intese a carattere generale o aventi contenuti molteplici, - lintervento del Ministro che ha la direzione politica del settore interessato , quando lintesa investa la competenza di un singolo dicastero. ovvio che sia il Presidente del Consiglio, sia i singoli ministri potrebbero delegare, di volta in volta, altri soggetti per lo svolgimento delle trattative e la stipulazione degli accordi. In ogni caso, poich, secondo le norme che disciplinano lattivit di governo, gli atti concernenti i rapporti previsti dallart. 8 della Costituzione devono essere sottoposti alla. deliberazione del Consiglio dei ministri (art. 2 lett. l della l. 23 agosto 1988, n. 400), lintesa raggiunta sia dal Presidente del Consiglio, sia da singoli Ministri, deve essere sempre portata allesame del Consiglio dei ministri, il quale competente tanto ad autorizzare la stipulazione dellintesa, quanto a deliberare la presentazione del disegno di legge di approvazione dellintesa stipulata. In relazione alla competenza attribuita al Consiglio dei ministri; la materia delle intese sembra del tutto assorbita nellambito della Presidenza del Consiglio. Cos , norme interne emanate dal Presidente del Consiglio prevedono listituzione, presso la Presidenza, di unapposita Commissione, presieduta dal Sottosegretario alla stessa Presidenza, la quale ha il compito di preordinare gli studi e le linee operative per realizzare le intese che siano richieste dalle confessioni di minoranza. Tale Commissione si avvale dellausilio tecnico dellufficio legislativo della Presidenza del Consiglio. Il Sottosegretario, una volta conclusa la trattativa e siglata la bozza di intesa con i rappresentanti della confessione interessata, la trasmette con una sua relazione al Presidente del Consiglio. La stipulazione dellintesa con il Presidente del Consiglio seguir a tali adempimenti e, se del caso, dopo che il Consiglio stesso lavr autorizzata.

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5. Il contenuto delle intese

La dottrina si posta anche il proble ma delleventuale contenuto delle intese. Parte della dottrina, pur ritenendo che le intese possano, in genere; prevedere norme parallele a quelle del Concordato con la Chiesa cattolica, ha dubitato che alcune materie possano essere oggetto di intesa: per esempio, la disciplina del matrimonio, celebrato davanti ai ministri dei culti diversi dal cattolico, poich, in proposito, verrebbe in considerazione solo la legislazione statale e perch tale matrimonio pu essere celebrato nel vigore della l. n. 1159 del 1929 - anche da chi non appartenga alla confessione del ministro di culto. Altri, pi in generale, pensa che le intese possano riguardare solo questioni particolari di carattere facoltativo. Le limitazioni ai possibili temi degli accordi, non sono, per, a parere del Finocchiaro, giustificate dal nostro ordinamento, che impone al Parlamento - il quale ha la parola definitiva nel tradurre in legge le intese - solo il rispetto della Costituzione. Nellambito dei principi e delle norme costituzionali, lintesa ammissibile per qualsiasi materia. naturalmente da escludere che, attraverso le intese, lo Stato possa derogare alle norme sulla libert religiosa o che le confessioni acattoliche possano disporre delle facolt, discendenti da tale diritto pubblico, per rinunciare a qualcuna di esse (per esempio, alla propaganda) in cambio di aiuti economici o di altre utilit, ovvero che lo Stato possa concedere ad una confessione un regime privilegiato di libert in violazione dellart. 8, 1 comma, Cost.. Non sembra, per, contestabile la legittimit costituzionale delle intese che tendessero ad eliminare gli ostacoli intralcianti lesercizio della libert religiosa delle confessioni di minoranza, o che mirassero ad eliminare le differenze, eventualmente esistenti in tale settore, tra le opportunit offerte dallordinamento ad una confessione religiosa e quelle offerte ad unaltra.

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6. La concezione delle intese come atti di diritto interno o di diritto esterno: in particolare, la forma di esse

) tesi delle intese come atti di diritto interno I sostenitori di tale tesi ritengono che, se i concordati sono convenzioni esterne , regolate, quanto alla formazione e alla validit, da un ordinamento diverso da quelli espressi dallo Stato e dalla Chiesa, con norme presupposte dallart. 7 della Costituzione, le intese sono, invece, convenzioni di diritto pubblico interno , la cui forma libera e i cui vizi, in sede di formazione della legge, danno luogo soltanto a questioni di legittimit costituzionale . Ci sul presupposto che le confessioni di, minoranza non siano ordinamenti primari. Nello schema generale dellatto di diritto interno, sono state proposte varie soluzioni, accostando le intese - ora ai contratti collettivi (normativi) di lavoro, disciplinati dalla l. 14 luglio 1959, n. 741, - ora alle convenzioni stipulate tra gli Stati e le confessioni cristiane non cattoliche, studiate dalla dottrina tedesca della c.d. Koordinationrechtsordnungstheorie, - ora alle condotte che erano stipulate fra le comunit israelitiche e i principi di Savoia , - ora formulando la categoria del negozio costituzionale.

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) tesi delle intese come atti di diritto esterno Allopposto dei fautori della tesi precedente, i sostenitori della teoria delle intese come atti di diritto esterno, partendo dal presupposto che le confessioni di, minoranza siano ordinamenti primari, ammettono che le intese non siano atti di diritto interno. Con ci, per, si specifica che non detto che esse siano concordati, uguali a quelli stipulati con la Chiesa cattolica. I concordati, infatti, sono atti disciplinati nella forma - solenne -, nella validit e nella efficacia da apposite norme di diritto internazionale generale; le intese con le altre confessioni, invece, non sembra che siano prese in considerazione da alcuna specifica norma di tale ordinamento. Sennonch nulla pu consentire di affermare che il solo ordinamento esterno esistente sia lordinamento internazionale, tanto che qualche autore pensa che i rapporti fra Stato e Chiesa si svolgano in un ordinamento esterno che per non sarebbe quello internazionale, bens un singolare ordin amento concordatario, creato di volta in volta dallincontro della volont dello Stato con la volont della Chiesa. Nella specie, sarebbe possibile dire, in astratto, che le intese sono atti di un ordinamento esterno, creato. dallincontro della volont de llo Stato con la volont della confessione di minoranza, disciplinati in via analogica, nella sostanza, da quelle regole di buona fede e di lealt che presiedono ai rapporti bilaterali tra ordinamenti indipendenti e, nella forma, da quei criteri che le parti, di volta in volta, riterranno di seguire. Questa soluzione sarebbe in linea con lipotesi- della pluralit degli ordinamenti giuridici e della socialit del diritto. Il fenomeno dellesistenza di ordinamenti esterni i quali non vivono a pieno titolo nellordinamento internazionale, non ignoto al nostro diritto, il quale, per esempio, riconosce la qualit di soggetto di diritto esterno, nella sua massima espressione, il diritto internazionale, all Ordine di Malta, il quale un organismo privo di potest territoriale in ci simile alle confessioni di minoranza -; partecipa, anche se limitatamente alla vita della comunit internazionale - e in ci differisce dalle confessioni di minoranza -, onde sovrano, sebbene, in quanto associazione reli giosa, dipenda dalla Santa Sede. In definitiva, per lordinamento italiano, le confessioni diverse dalla cattolica non hanno soggettivit di diritto internazionale, ma il diritto italiano, dichiarando che esse costituiscono, in quanto siano organizzate, ordinamenti giuridici e prevedendo di regolare i rapporti con le stesse sulla base di intese bilaterali, esteriorizza nei propri confronti, tali rapporti. Con ci esclude che questi si svolgano nel proprio ambito e siano regolati dai propri principi; esclude cio che, in sede di stipulazione delle intese, le confessioni di minoranza appaiano come sudditi dello Stato e che le intese stesse siano atti interni dellordinamento italiano. Le intese, dunque, sono atti bilaterali che, per garantire in modo perfetto la libert e lindipendenza delle confessioni di minoranza, la Costituzione mostra di collocare in una sfera giuridica, che non quella dellordinamento statuale, ma quella di un ordinamento che viene creato, di volta in volta, dallincontro della volo nt dello Stato e delle comunit confessionali.

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7. La legge per lesecuzione delle intese nel sistema delle fonti di diritto

Il procedimento legislativo per lesecuzione delle intese ha inizio con la presentazione al Parlamento del disegno di legge necessario per adattare lordinamento italiano al contenuto delle intese stesse. Liniziativa legislativa compete in modo esclusivo al governo, poich solo il governo legittimato a stipulare le intese e, in conseguenza, a far attribuire ad esse efficacia nel diritto statuale. La legge non deve far altro che dare esecuzione alle intese. I disegni di legge qualificano le disposizioni proposte non come norme dirette a eseguire lintesa, bens come norme diapprovazione dellintesa. Nel corso del dibattito parlamentare non sono ammissibili emendamenti che mutino il senso delle disposizioni concordate. Le leggi di approvazione; sino a oggi emanate, costantemente affermano che i rapporti tra lo Stato e la confessione sono regolati dalle disposizioni degli articoli che seguono, sulla base dellintesa stipulata il (...), allegata alla presente legge. Tale formula consente, perci; agevolmente di controllare la conformit della legge allintesa, in quanto le disposizioni di quella ripetono fedelmente le disposizioni di questa, con eventuali modeste varianti formali dovute al trasferimento del testo di un accordo in un testo legislativo. Lesperienza ha indotto ad adottare per le intese laccorgimento di inserire in un preambolo dellaccordo le dichiarazioni unilaterali delle parti, in modo da evitare difformit tra larticolato del testo dellintesa e quello della successiva legge di approvazione. Tale legge, come tutte le leggi previste dallart. 8, 3 comma, Cost., non pu essere sospesa, modificata, derogata o abrogata, se non in esecuzione di nuove intese fra lo Stato e la confessione interessata. Codeste leggi sono garantite dalla Costituzione nei confronti di qualsiasi legge ordinaria. Il legislatore, per riacquistare libert di azione, dovrebb e emanare una legge costituzionale per modificare o abrogare la legge esecutiva delle intese, ovvero dovrebbe abrogare, con procedimento di revisione costituzionale, lart. 8, 3 comma, Cost.. Questa garanzia ha fatto s che le leggi previste dallart. 8, 3 comma, Cost. fossero inserite dalla dottrina nella categoria delle leggi rinforzate o in quella delle fonti atipiche. In ogni caso, quale che sia la classificazione adottata, il Finocchiaro evidenzia che si tratta di leggi ordinarie, le quali producono nel nostro ordinamento norme che non possono essere inquadrate secondo il tradizionale criterio gerarchico della forza formale dellatto da cui promanano, nel senso che, mentre sono poste da una legge ordinaria, e perci non possono essere in contrasto con la Costituzione o con leggi costituzionali, resistono, con una forza passiva uguale a quella delle leggi costituzionali, allabrogazione o alla modificazione, che volesse essere operata attraverso altre leggi ordinarie non esecutive di intese.

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8. Lart. 8, comma 3, della Costituzione e le leggi sui culti ammessi emanate prima del 1948

Il 3 comma dallart. 8 Cost., ha prodotto effetti sulle norme delle precedenti leggi concernenti i culti di minoranza, che, indirettamente, sono state rafforzate nei confronti dellabrogazione o della modificazione che volesse essere operata dal legislatore ordinario senza intese. Tale garanzia concerne la l. 24 giugno 1929, n.1159 e il r.d. 28 febbraio 1930, n. 289, riguardanti tutte le confessioni di minoranza. Tutte le leggi emanate sulla base di intese prevedono, infatti, in modo altrettanto espresso, che nei confronti delle confessioni religiose, che sono parte delle intese stesse, cessano di, avere efficacia la l. n. 1159 del 1929 e il r.d. n. 289 del 1930. Ben si intende che le norme delle leggi da ultime citate, ove fossero in contrasto con la Costituzione, sarebbero inapplicabili e la Corte costituzionale, investita del caso, dovrebbe dichiararne lillegittimit. Il legislatore ordinario potrebbe abrogare codeste norme in contrasto con la Costituzione senza che occorressero le intese con le confessioni diverse dalla cattolica, ma, qualora volesse sostituire le norme abrogate con norme nuove, dovrebbe attendere che il governo concludesse le intese occorrenti. Peraltro, stato obiettato che la legislazione del 1929-1930, essendo stata emanata senza raccogliere n lassenso, n il dissenso delle confessioni interessate potrebbe essere unilateralmente abrogata dal legislatore, restando del tutto salva lautonomia delle dette confessioni, in quanto lart. 8, 3 comma, Cost., disponendo per lavvenire, non pu garantire una legislazione unilaterale precedente, alla quale le confessioni non hanno preso parte. Queste critiche, per, non tengono conto del fatto che lart. 8, c o m m a 3 , Cost. una norma sulle fonti che limita oggi la competenza del legislatore ordinario nella materia dei rapporti fra Stato e confessioni di minoranza. Poich la legislazione del 1929 - 1930 riguarda tali rapporti e, in base alla stessa, le confessioni interessate hanno ottenuto il riconoscimento di enti, lautorizzazione alla destinazione al culto di templi o di oratori, lapprovazione della nomina di ministri di culto, ecc., labrogazione di quelle leggi metterebbe a repentaglio una serie di diritti quesiti,. eccedenti rispetto al diritto comune. In conseguenza il legislatore ordinario pu abrogare quelle norme delle leggi del 1929 1930 che, essendo limitatrici delluguale libert di tutte le confessioni, siano in contrasto con la Costituzione, m a non pu abrogare quelle norme che abbiano consentito alle confessioni di minoranza lacquisizione di diritti e di potest non conseguibli in base al diritto comune.

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Capitolo 6 La libert religiosa nellordinamento italiano

1. II riconoscimento giuridico della libert religiosa

Nel diritto italiano la garanzia della libert religiosa offerta alle persone fisiche, agli enti, alle formazioni sociali e alle confessioni religiose. Basti in proposito ricordare le gi citate nor me degli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione, alle quali possiamo affiancare quelle degli art. 17,18, 21, 33, 51 ecc., che garantiscono diritti di libert strumentali per lesercizio della libert religiosa. Ma, oltre a queste norme, devono essere tenute presenti quelle introdotte nellordinamento in esecuzione di convenzioni internazionali.

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1.1. Segue: nei trattati internazionali bilaterali

Lordinamento italiano ha preso ad assumere obbligazioni rilevanti nellambito internazionale, in materia di libert religiosa, in. epoca successiva alla stipulazione dei trattati di pace che conclusero la guerra del 1915 - 1918. Lattribuzione allItalia dei territori dellIstria, comprese Fiume e Zara, importava linclusione nella potest di governo italiana di cittadini di religione ortodossa e di etnia serba, croata e slovena. Al fine di disciplinare i rapporti fra tali comunit ortodosse e lo Stato, negli anni 1924 - 1925 sono stati stipulati fra lItalia e la Jugoslavia una serie di accordi. Tali accordi sono stati travolti dalla guerra del 1939 - 1945 e dal Trattato di .pace che lha conclusa. Tuttavia, utile osservare che essi garantivano la libert religiosa delle istituzioni ecclesiastiche ortodosse, ma non la libert dei singoli fedeli e che tale libertas Ecclesiae non escludeva lesercizio sulle comunit serbe di Fiume, Zara e Peroi di quei poteri giurisdizionalisti che, in quel tempo, erano esercitati dallo Stato italiano sulla Chiesa cattolica in base alle previsioni degli art. 15 e segg. della l. n. 415 del 1871 (c.d. legge sulle guarentigie pontificie). Pur con i limiti accennati, gli accordi anzidetti possono essere iscritti fra la normazione derivante dallordinamento internazionale, diretta a garantire la libert religiosa, in quanto gli accordi consentivano alle comunit istituzionali una libert che si rifletteva sui singoli, come fedeli di una minoranza religiosa avente anche una base etnica. Il singolo, agendo nellambito dellistituzione, era libero da impedimenti che potessero derivare dallordinamento statuale. Lautorit dello Stato doveva rispettare tale libert e non poteva interferire sul suo esercizio. Un ulteriore accordo bilaterale, in cui, fra laltro, garantita la libert religiosa, il Trattato di amicizia, commercio e navigazione stipulato, insieme ad altri protocolli, fra lItalia e gli U.S.A. in Roma il 2 febbraio 1948. Tale trattato, oltre ad assicurare la libert di coscienza e di culto, in privato e in pubblico, con il limite della pubblica morale o dellordine pubblico, considera una serie di attivit pratiche (riconoscimento della personalit giuridica di enti, trattamento fiscale di persone fisiche ed enti, sepoltura dei defunti; ecc.) volte al conseguimento di fini religiosi.

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1.2. Segue: nei trattati internazionali multilaterali

La libert religiosa, dopo la fine della guerra mondiale 1939 - 1945, stata proclamata come principio da osservare, in una serie d convenzioni internazionali multilaterali, dalle. dichiarazioni pi volte espresse dallO.n.u. e da accordi da essa promossi. Assumono una specifica rilevanza nel diritto italiano le norme sulla libert religiosa contenute nelle convenzioni che sono state rese esecutive nel nostro ordinamento interno. La prima di queste il trattato di pace del 1947 tra lItalia e vari paesi. Lart.15 di tale trattato obbliga lItalia a rispettare, come compresa fra i diritti delluomo e le libert fondamentali, la libert di culto, non disgiunta dalla libera manifes tazione del pensiero. La seconda la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti delluomo e delle libert fondamentali , stipulata in Roma il 4 novembre 1950, integrata da un Protocollo addizionale stipulato in Parigi il .20 marzo 1952. Tale Convenzione riconosce a ogni persona il diritto alla libert di coscienza e di religione, inclusa la facolt di cambiare liberamente religione, di manifestare con il culto, con lesecuzione di riti e con linsegnamento la propria religione o il proprio credo, sia in forma individuale, sia in forma associata, con il solo limite, stabilito per legge, della protezione dellordine pubblico, della salute, della moralit pubblica e dei diritti e della libert degli altri (art. 9). Essa, altres, garantisce la libert di manifestazione del pensiero (art. 10),la libert di riunione (art. 11) e la libert di uomini e donne di unirsi in matrimonio per fondare una famiglia, secondo la propria legge nazionale (art. 12). Il diritto di libert religiosa, garantito, al pa ri di altri diritti fondamentali, assicurato anche dal Trattato sullUnione europea stipulato a Maastricht il 7 febbraio 1992. Le norme derivanti da tali accordi internazionali sono state poste nellordinamento italiano da leggi ordinarie, le quali, per, sono garantite dal dato che, sino a quando gli accordi in questione saranno in vigore nellordinamento internazionale fra gli Stati che li hanno ratificati, esse non potranno essere unilateralmente abrogate dal legislatore ordinario. Di tali disposizioni solo quella riprodotta nel 1947, dando esecuzione al trattato di pace, ha avuto carattere di novit per lordinamento italiano. Le altre, essendo sostanzialmente ripetitive di norme costituzionali gi vigenti in Italia, introdotte nel nostro ordinamento interno, non hanno avuto un effetto innovativo, ma hanno avuto la funzione di ribadire i diritti assicurati dagli art. 2, 3, 7, 8, 13 : e segg. della Costituzione repubblicana. Tuttavia, dette disposizioni, finch restano in vigore nellordinamento internazionale, continuerebbero a vigere anche nellordinamento italiano, pur se le citate norme costituzionali fossero abrogate, derogate . o sospese secondo le previsioni dellart. 13.8 Cost..

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1.3. Segue: nello Statuto dellO.N.U. e nelle convenzioni promosse dallO.N.U. LO.N.U., secondo gli art. 1 e 56 del: suo Statuto 16 giugno 1945, ha fra i suoi quello di promuovere e incoraggiare il rispetto dei diritti delluomo e delle libert fondamentali senza distinzione di razza, sesso, lingua o religione. Nellambito dellO.N.U. sono state stipulate varie Convenzioni, cui lItalia ha aderito, nelle quali il fattore religioso garantito, sotto vari aspetti: - in alcuni casi, escludendolo come pretesto giustificatore del delitto di genocidio, o come motivo di discriminazione, sia nellattribuzione della qualifica di apolide, sia nel campo del godimento dei diritti economici, sociali e culturali, sia nel rispetto dei diritti del fanciullo, anche in materia di religione ; - in altri casi, per contro, elevandolo a motivo di giustificazione per ottenere lo status di rifugiato. Le Convenzioni sopra ricordate sono trattati internazionali multilaterali , che importano il sorgere di obbligazioni tra gli Stati ratificanti e che, una volta eseguiti nellambito dellordinamento interno di ciascun paese, producono norme giuridiche obbliganti per lo Stato nei confronti delle persone fisiche, dei gruppi sociali e degli enti che operino nella sfera della sua sovranit.

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1.4. Segue: nelle Dichiarazioni dellO.N.U.

Diverso il valore e diversa lefficacia delle Dichiarazioni di principi approvate allAssemblea generale dellO.N.U., fra cui la celebre Dichiarazione universale dei diritti delluomo del 10 dicembre 1948 n. 217-III, e le altre risoluzioni, deliberate prima e dopo di essa, a proposito del genocidio, dei diritti del fanciullo, della discriminazione delle donne, ecc., nelle quali la religione dichiarata come diritto di libert. Tali dichiarazioni di.principi non costituiscono una autonoma fonte di diritto internazionale generale, perch lAssemblea delle N.U. ha solo il potere di emanare raccomandazioni (art. 13 dello Statuto). In conseguenza, le Dichiarazioni anzidette non hanno per s effetti giuridici obbligatori, n nellordinamento internazionale, n nellordinamento dei singoli; Stati associati nellO.N.U.. Tuttavia le Dichiarazioni possono influire sulla prassi degli Stati e, quando essa dia luogo a una lunga serie di comportamenti conformi, questi, nel concorso degli altri requisiti, possono formare una consuetudine internazionale. In tale caso, la fonte autonoma del diritto non la Dichiarazione dellO.N.U., bens la consuetudine.

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1.5. Segue: nei documenti della C.S.C.E. e dellO.S.C.E.

Accanto agli accordi internazionali riguardanti la libert religiosa e aventi una rilevanza giuridica variabile, esistono atti internazionali contenenti dichiarazioni di principio, che per non hanno efficacia giuridica, essendo essa esclusa o dalle dichiarazioni delle parti o dal testo stesso del documento. Fanno parte degli accordi del tipo ora considerato i documenti che dal 1975 hanno concluso le riunioni della Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa (C.S.C.E.). Al riguardo, occorre ricordare lAtto finale di Helsinki del 1 agosto 1975, il cui punto VI dedicato al rispetto dovuto dagli Stati ai diritti delluomo e alle libert fondamentali, inclusa la libert di pensiero, coscienza, religione o credo. Del pari, i successivi Documenti finali della C.S.C.E. di Madrid del 9 settembre 1983 e di Vienna del 19 gennaio 1989, hanno espresso i propositi degli Stati per lattuazione pratica dei diritti e delle libert in questione. Ma tali accordi, se hanno avuto una grande importanza politica, specie nei rapporti fra il mondo occidentale e i paesi dellest europeo sul finire degli anni 80, non possono essere considerati come produttivi di effetti giuridici. Nella Conferenza dei Capi di Stato e di governo della C.S.C.E., svoltasi a Budapest nel dicembre 1994; tale organismo stato trasformato in Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione europea (O.S.C.E.). L8 parte della Dichiarazione conclusiva di tale Conferenza, destinata alla Dimensione umana, ha ribadito i principi sulla tutela dei diritti delluomo come fondamento essenziale della societ civile democratica. In particolare ha confermato limpegno dei Paesi partecipanti di garantire la libert di coscienza e di religione e di promuovere un clima di tolleranza e rispetto reciproci di diverse comunit, nonch fra credenti e non credenti.

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1.6. Segue: nelle risoluzioni del Parlamento europeo

LAssemblea dellUnione Europea o Parlamento europeo, pur essendo un organo eletto dal popolo a suffragio universale e diretto, non pu essere considerato un organo legislativo dellUnione. Tuttavia esso, facendosi carico dei problemi dei paesi associati, ha varie volte interloquito a proposito della libert religiosa e del suo esercizio con proprie risoluzioni.

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1.7. Segue : nei Concordati e nelle Intese

Ma la libert religiosa, oltre ad essere garantita dalle norme sino ad ora ricordate, protetta dalle norme che rendono esecutivi i Concordati con la Santa Sede e le Intese con i rappresentanti delle altre confessioni religiose.

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1.8. Segue: nel diritto privato

Anche norme riguardanti i rapporti fra privati specificano le garanzie giuridiche offerte dallordinamento alla libert religiosa. In proposito, basti ricordare la disciplina dei rapporti fra i componenti della famiglia e di quelli sorti nellambito del lavoro subordinato, un settore nel quale il perfezionamento della protezione delluomo come lavoratore ha portato allemanazione di apposite norme.

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2. Cenni sugli aspetti giuridici e non giuridici della libert religiosa

La libert religiosa pu essere intesa in vario senso, non solo dal punto di vista giuridico, ma anche dal punto di vista filosofico e da quello teologico. Sotto questultimo profilo essa coincide con la c.d. libertas ecclesiastica , ossia con la libert degli appartenenti a una determinata confessione di conformare gli atti della propria vita, privata e pubblica, ai precetti di questa, cui lo Stato dovrebbe lasciare campo per esplicarsi nel modo pi ampio possibile. In questipotesi, per, si tratterebbe del riconoscimento della libert di una sola confessione religiosa, laddove la libert assicurata dal la Costituzione, nellart. 19 e nei precedenti art. 3, 1 comma, e 8, 1 comma, concerne in ugual misura tutti gli uomini e tutte le confessioni religiose. Dal punto di vista filosofico, la libert religiosa coincide con la libert di pensiero , poich sta a indicare la liberazione dello spirito delluomo da ogni preconcetto dogmatico, da ogni limitazione confessionistica sulla via del conseguimento della verit scientifica. Ora, se la libert riconosciuta dalla norma in esame strettamente legata, nel sis tema della nostra Costituzione, a quella del successivo art. 21, tuttavia se ne distingue, non solo per il pi ristretto ambito da essa protetto, ma anche per le diverse facolt ad essa connesse, soggette a limiti legali garantiti in modo diverso nelle due ipotesi. Nella disposizione dellart. 19 Cost. la libert religiosa considerata come un diritto soggettivo dei singoli e dei gruppi sociali - garantito nel suo pratico estrinsecarsi - alla professione della fede religiosa, alla propaganda in materia religiosa e allesercizio privato e pubblico del culto. Queste tre fondamentali facolt riguardano tutte le manifestazioni esteriori della vita religiosa. una posizione, quella garantita dal vigente ordinamento costituzionale, ben diversa dalla posizione risultante dal regime anteriore. Nella norma in esame non c lassicurazione di libert a favore di una sola confessione religiosa, ma unassicurazione a favore di tutti gli individui e di tutte le confessioni (art. 3, 1 comma; 8, 1 comma). Non v discriminazione tra una religione ufficiale o dello Stato e tutte le altre confessioni. Per contro, tutti gli individui e tutti , i gruppi sociali possono esercitare le facolt della professione della fede religiosa, della propaganda e del culto; riconosciute dalla norma in esame, senza che lautorit dello Stato possa pretendere di esercitare alcun controllo preventivo sul compimento di tali attivit.

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3. La libert religiosa come diritto pubblico soggettivo: sue pretese limitazioni . II particolare significato di Roma

La libert religiosa non solo un diritto soggettivo, ma un diritto pubblico soggettivo. Pubblico perch pu essere azionato nei confronti dello Stato. La Costituzione esclude che qualsivoglia provvedimento dellautorit po ssa limitare le facolt menzionate dallarticolo qui esaminato ed esclude, altres, la legittimit di quelle norme di legge ordinaria che mirassero a questo fine. In tali casi, i singoli o i gruppi sociali interessati potrebbero adire lautorit giudiziari a, per fare dichiarare lillegittimit del provvedimento limitativo e, nellipotesi di provvedimento assunto in forza di norme di legge in contrasto con la Costituzione, potrebbero stimolare tale autorit a sollevare la questione di legittimit costituzion ale. Ci stante la precisa e categorica formula dellart. 19 Cost. - che non ammette interventi preventivi di alcun genere e che, in sede repressiva, consente solo provvedimenti nei confronti di riti contrari al buon costume. In proposito; occorre tener presente che i diritti di libert garantiti dalla Costituzione - e fra questi la libert religiosa - corrono il serio rischio di degradare da diritto a mero interesse legittimo, ove non si tenga fermo il principio che un diritto , garantito in modo specifico dalla Carta, pu essere limitato da un potere dellautorit di governo solo quando tale potere sia. stato a questa attribuito, in modo altrettanto specifico, dalla stessa Costituzione. Al riguardo, la Corte costituzionale, nella quasi totalit delle sue sentenze, afferma che i diritti di libert possono essere limitati solo da altri precetti e principi costituzionali, ossia dal rilievo che hanno altri beni o interessi protetti dalla Costituzione. Qualche altra rara sentenza, per, mostra di deflettere da questo corretto e sicuro criterio, fondato sul principio della preminenza gerarchica delle norme costituzionali, per dar spazio a incerte valutazioni, in cui al diritto di libert sono contrapposti interessi quali lordine pubblico, inteso come ordine legale della convivenza sociale, la sicurezza pubblica, intesa come finalit immanente del sistema, o della morale . Questi generici interessi possono offrire allautorit di governo il destro per emettere, adducendo la necessit di una tutela di essi, provvedim enti discrezionali limitativi dei diritti di libert. Nella Costituzione repubblicana le libert civili sono state promosse al rango di diritti fondamentali, onde gli eventuali provvedimenti autorizzatori devono essere fondati su un potere espressamente previsto dalla stessa Costituzione. Una violazione del diritto di libert religiosa da parte dellautorit di governo, oltre allillegittimit dellatto limitativo, importerebbe la responsabilit dellagente, a norma dellart. 28 Cost., da far valere avanti allautorit giudiziaria ordinaria, la cui giurisdizione non potrebbe essere esclusa, neppure quanto al giudizio sulla legittimit del provvedimento, con il pretesto della degradazione del diritto a interesse legittimo. Questa degradazione del tutto inconcepibile, poich lart. 19 Cost. non conferisce allautorit alcun potere che possa limitare lesercizio del diritto, riconosciuto, dalla stessa disposizione, ai singoli e ai gruppi sociali, nonch dallart. 8, comma 1, Cost. alle confessioni religiose.

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In passato, era possibile chiedersi se lart. 1 cpv. del Concordato del 1929 - l. n. 810 (secondo il quale, in considerazione del carattere sacro della citt Eterna, sede vescovile del Sommo Pontefice, centro del mondo cattolico e meta di pellegrinaggi, il Governo italiano avr cura dimpedire in Roma tutto ci che possa essere in contrasto col detto carattere) potesse importare limitazioni dordine territoriale allesercizio del diritto di libert religiosa e, in genere, di tutti i diritti di libert garantiti dalla Costituzione, anche fuori dei poteri da questa attribuiti allautorit di governo. La norma del Concordato del 1929 stata abrogata dallAccordo del 18 febbraio 1984 (l. n.121 del 1985), il cui art. 2.4 si limita a prevedere, in modo generico, che la Repubblica italiana riconosce il particolare significato che Roma, sede vescovile del Sommo Pontefice, ha per la cattolicit. Una norma che non consente al governo alcun potere per limitare lesercizio dei diritti di libert. Ma il quesito sopra proposto meritava una risposta negativa anche nel vigore del Concordato del 1929, in vista del fatto che la citata disposizione dellart. 1 cpv. di questo aveva, in quel tempo, una forza normativa diversa da quella che aveva conservato dopo lentrata in vigore della Costituzione repubblicana. Nel 1929, infatti, la cura assuntasi dal governo italiano importava la possibilit di esercitare quegli ampi poteri discrezionali conferiti al governo stesso e ai suoi uffici subalterni dal t.u. delle leggi di p.s. e dalle altre disposizioni proprie di un regime autoritario, per vietare qualsiasi cosa sgradita al governo o alla Santa Sede. Quei poteri o sono venuti meno o sono stati ridimensionati, in seguito allentrata in vigore della Costituzione repubblicana, sicch la cura del governo non poteva estrinsecarsi nel vietare solo in Roma quelle manifestazioni della libert religiosa e, pi in generale, di tutte le libert garantite dalla Carta, che erano ammissibili in altre parti dItalia; essendo uniforme il vigore della Costituzione in ogni comune della Repubblica.

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4. Le tesi riduttive del diritto di libert religiosa . La libert religiosa e le libert formali

Quanto esposto il risultato raggiungibile in base al diritto positivo. Ma non sono mancate tesi restrittive , le quali, dal dato della legge, talora non senza forzature, hanno cercato di trarre principi diversi, in particolare, limitando il contenuto del diritto di libert o nelladesione a una confessione relig iosa o nelladesione, previa scelta, ai valori posti in risalto dallordinamento civile. ) Secondo un autore, poich il diritto di libert religiosa, in quanto diritto di fare il proprio dovere, avrebbe ad oggetto il bene giuridico della fede, qualsiasi forma di ateismo attivo sarebbe illecita, alla stregua di un attentato alla religiosit altrui. 1) Secondo altri; in modo pi sfumato, la vera libert consisterebbe nelladesione finale a uria legge morale, che, sul piano giuridico, per ci che attiene alla libert religiosa, si esaurirebbe nel diritto di aderire a una istituzione e di adempiere i doveri derivanti da tale adesione. Critica alle tesi ) e 1) Le tesi ) e 1), sebbene ampiamente argomentate, vedono lattuale assetto costituzionale come lopera di un legislatore, il quale abbia inteso assicurare la libert delle varie confessioni religiose, senza considerare per nulla la libert delleterodossia individuale e di gruppo. La Costituzione italiana, per, il prodotto di esperienze morali e po litiche pi complesse e tesi tanto riduttive non possono essere accolte. ) Unaltra tesi, pur preoccupandosi della protezione della religiosit del singolo e pur individuando nellateismo attivo un atteggiamento spirituale non dissimile da quello religioso, vuole dare al diritto di libert qui esaminato un contenuto non solo formale, ma reale. Questa tesi, per conseguire tale fine, oltre ad attribuire allo Stato la funzione di rendere concretamente possibile una scelta di carattere religioso veramente libera, ancor prima dogni manifestazione esterna, cio sin dallinizio dellintimo orientarsi delle coscienze, vede la libert religiosa come facolt di ognuno di fare le cose che sono degne dessere fatte, ossia nel fare il proprio dovere di coscienza, orientandosi nella scelta fra i valori posti in risalto dallordinamento (libert come virt). Critica alla tesi ) Questa tesi vede la libert come virt, come impegno civile anche nei confronti delle opzioni spirituali, secondo una concezione aristocratica, valida per gli uomini forti, laddove la Costituzione repubblicana, garantendo a tutti la libert religiosa, ha inteso proteggere, in primo luogo, gli uomini comuni. A questi la Costituzione garantisce non solo il diritto di scegliere, ma anche il diritto di non compiere alcuna scelta e, altres , di vivere nella pi totale atarassia e, nonostante ci, di essere uomini e cittadini come tutti gli altri, con la stessa dignit sociale, gli stessi diritti e gli stessi obblighi.

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) Secondo questa teoria, i mutamenti sociali e culturali verificatisi sul finire degli anni 60 hanno influito sulla tematica della libert e cos anche della libert religiosa, cosicch si ritiene che, dato il complicarsi della vita di relazione nellera della civilt tecnologica , luomo sia veramente libero, quando partecipi, di fatto, con atti diretti di esercizio del potere sociale e politico, alla formazione delle decisioni o delle scelte cui interessato. Dunque la libert religiosa intesa come libert di partecipazione . Critica alla tesi ) Lequivalenza libert = partecipazione, per, importa certamente una pi compiuta partecipazione alla vita di un dato gruppo con fine di religione o di culto. Ma, nellordinamento statuale, tale equivalenza finisce con il dare al diritto di libert religiosa solo una parte del suo attuale contenuto, perch mette in disparte lesigenza della tutela della posizione individuale, perch trascura quei diritti alla miscredenza e alla non partecipazione ad alcun gruppo, che, invece, sono ben garantiti dalla vigente Costituzione. ) Secondo altra tesi, il risultato cui possibile pervenire in base allesame delle vigenti disposizioni pu fare pensare che la libert da esse garantita sia, senzaltro, una libert formale . Formale nel senso spregiativo, perch sarebbe appannaggio solo di quanti possono di fatto esercitare le facolt ad esse connesse. Una libert, perci, che pu essere utilizzata appieno dalle confessioni religiose meglio organizzate e, in particolare, dalla Chiesa cattolica. Critica alla tesi ) Tale tesi non tiene conto del fatto che lequilibrio pluralista garantito dalla Costituzione non consente - nel settore della libert religiosa - quegli interventi dello Stato altrove possibili e diretti a redistribuire le risorse a disposizione dei singoli e dei gruppi. Allo Stato possibile chiedere che non favorisca la confessione di maggioranza o le confessioni pi importanti, a detrimento delle altre. Qualora lo Stato concedesse un servizio a tutte, il criterio per questa concessione potrebbe essere quello di unassoluta uguaglianza, come se tutte le confessioni avessero la stessa rilevanza sociale. Ma, occorrendo che fossero stabiliti i requisiti perch i vari gruppi accedessero a codesti servizi, in tale determinazione, vi sarebbero sempre degli esclusi, vi sarebbe, sempre il sospetto che, per qualche gruppo, la libert fosse rimasta quella formale.

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5. La libert religiosa come libert privilegiata

Le tesi che finiscono con il ridurre lmbito della libert religios a, si contrappongono idealmente a quelle che, in modo esplicito, esaltano questa come libert privilegiata . Critica Queste tesi sono legate allinterpretazione dellart. 19 Cost., in collegamento o in contrapposizione con le norme costituzionali inerenti alle altre libert garantite dalla Carta. Codesta analisi, infatti, pi volte, ha portato la dottrina a ritenere che la libert religiosa sia una libert privilegiata, nelle sue varie manifestazioni, sia sulle libert di riunione e di associazione, garantite, in via generale, dagli art. 17 e 18, sia sulla libert di manifestazione del pensiero, anchessa tutelata in modo generale dellart. 21. S pensato, cio, che la libert religiosa sia un libert disciplinata da norme costituzionali speciali e pi favorevoli. Questultima opinione ha base nella stessa lettera della Costituzione, nel senso dellestensione soggettiva della garanzia offerta dalla Carta, la quale attribuisce a tutti il diritto di riunione e il diritto di associarsi in materia religiosa, in quanto diritti inerenti alla personalit umana, laddove garantisce tali attivit come diritti pubblici soggettivi, quando siano realizzate per scopi diversi dal quelli religiosi o di culto, solo ai cittadini, perch ha ritenuto che attengano funzionalmente alla personalit di questultima categoria di soggetti. Inoltre la disciplina dei controlli sullattivit. di culto,. in vista della conformit di essa al buon costume, non pu essere confusa con quella prevista dallart. 21, ult. comma, Cost. per prevenire e reprimere le violazioni dello stesso limite ad opera di spettacoli e altre manifestazioni. Difatti, i riti religiosi non sono uno spettacolo o una manifestazione che siano offerti al pubblico, come presuppone lart. 21, ma sono estrinsecazione dellassociarsi dei fedeli nel culto della divinit. Ci sottrae le manifestazioni cultuali a quei controlli preventivi che, invece, sono ammissibili per gli spettacoli. Invece, non sembra dubitabile che lo svolgimento delle riunioni e lesercizio del diritto dassociazione per scopo di religione o di culto siano tutelati anche dagli art. 17 e 18 Cost.. Lesistenza di una norma apposita a garanzia della libert religiosa va ricercata non nel fatto che questa sia una libert privilegiata, bens in ragioni dordine storico, remote e recenti. La libert religiosa, invero, stata la prima delle libert ad essere rivendicata come diritto nei confronti dello Stato.

Escluso che la libert religiosa sia una libert privilegiata in sede costituzionale, tutta via possibile chiedersi se essa non sia privilegiata in sede di legislazione ordinaria. Sotto questo profilo, dato pensare a quelle norme, le quali agevolano lattivit delle confessioni religiose, prevedendo facilitazioni tributarie , lerogazione di contributi, ecc.. Codeste agevolazioni, indubbiamente, favoriscono lesercizio di tutte le facolt promananti dal diritto di libert religiosa e, perci, quando siano erogate con preferenza verso la confessione di maggioranza finiscono con lalterare la concreta misura di libert di cui godono le varie formazioni sociali con fine di religione o di culto. Questa disparit di trattamento non sempre giustificabile in base alla diversa consistenza numerica delle varie confessioni. Le agevolazioni anzidette, per, se possono dar luogo alle questioni ora accennate, considerate in s, non privilegiano la libert religiosa nei confronti delle altre libert, giacch anche queste usufruiscono, in vario modo, degli interventi dello Stato. Basti pensare alle agevolazioni economiche, attribuite in varie forme, allattivit delle scuole private, del mondo dello spettacolo, delleditoria, ecc..

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6. La libert religiosa nei rapporti privatistici: nellmbito della famiglia

La libert religiosa, come osservato, senza dubbio un diritto pubblico soggettivo che i singoli e le formazioni sociali possono far valer, nei confronti dello Stato :e di ogni altro ente che sia collegato allo Stato. Essa, per, anche un diritto soggettivo - indisponibile, al pari di tutti gli altri diritti pubblici soggettivi - valido ed efficace nei rapporti interprivati. Ci non solo perch sarebbe strano che una tale situazione giuridica soggettiva, rientrante fra i diritti inviolabili di cui allart. 2 Cost. fosse rimessa alla discrezione dellautonomia individuale e, perci, fosse resa violabile per private disposizioni, ma anche perch il nostro ordinamento appresta espliciti strumenti per fare valere codesto diritto in tutti i settori dei rapporti privati in cui potesse essere posto in discussione. Nellmbito del diritto di famiglia noto che lart. 147 cod. civ: 1942 imponeva ai genitori di impartire ai figli uneducazione e unistruzione conformi ai principi della morale. Questa formula stata soppressa nel nuovo testo dellart. 147, sostituito dalla l. 151/1975, il quale impone ad entrambi i coniugi di mantenere, istruire ed educare la prole, tenendo conto delle capacit, dellinclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. Per quanto in entrambe le formule legislative non vi sia cenno alleducazione religiosa; insegnamento comune che i genitori abbiano il potere di educare i figli in questa o quella religione, o allateismo; con la riserva, per, che tale educazione, data la materia delicata che investe, non pu rappresentare che un avviamento, non essendo possibile alcuna coercizione, fuor che nei primissimi anni, e dovendosi ammettere che il figlio, ancor prima della maggiore et; abbia il diritto di scegliere la sua vita religiosa.

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Nei rapporti fra i genitori non hanno validit giuridica quei patti intorno alleducazione religiosa della futura prole , che fossero intercorsi fra le parti prima del matrimonio o dopo di esso, sia perch tali accordi investono lesercizio della potest attribuita dalla legge ai genitori, la quale non suscettibile di atti dispositivi, sia perch concernono la materia della libert religiosa, anchessa indisponibile. Circa il modo e la misura in cui ciascun coniuge possa influire sulleducazione religiosa dei figli, pacifico, nel nuovo testo dellart. 316 cod. civ., che entrambi i coniugi possono influire sulleducazione religiosa dei figli in posizione di parit. In caso di disaccordo tra i genitori, che non sia composto nllmbito familiare, potr valere a risolvere il conflitto lintervento del tribunale per i minorenni (art. 316 cod. civ. e 38 disp. att. cod. civ.). Sar invece il tribunale ordinario a dettare provvedimenti in materia, in caso di riconoscimento di figli naturali (art. 277, 2 comma, cod. .civ.). E in vista del preminente interesse dei figli che dovrebbe avvenire laffidamento della prole, nelle ipotesi di separazione legale dei coniugi, di divorzio e di invalidit dei matrimonio: infatti; ormai, secondo la giurisprudenza, il credo religioso dei genitori non un criterio valido per laffidamento dei figli, essendo lordinamento italiano non confessionista e rispettoso delle libere scelte individuali Fra i coniugi vigono, senza riserve, i principi della libert religiosa, sia nel senso che ciascun coniuge libero di credere o non credere, di aderire o non aderire a una religione positiva, sia nel senso che ciascun coniuge pu cercare dinfluire sullaltro, in modo lecito e con tutte le cautele suggerite dalla delicatezza della materia e dallinteresse preminente della pacifica convivenza e dellunit familiare. Nei rapporti fra privati la libert religiosa potrebbe incontrare limiti , in materia successoria, in quegli atti di ultima volont che condizionassero lacquisto delleredit o del legato al fatto che il beneficiario compia, o non, un dato atto, tenga, o non, un determinato atteggiamento in sede religiosa. La validit di tali condizioni dubbia, in relazione alla norma dellart. 634 cod. civ., quando risultasse che il testatore avesse voluto indurre il beneficiato a compiere un atto contrario alle proprie convinzioni, ossia se il testatore avesse voluto limitare la libert del beneficiato. Invece, quando il lascito fosse determinato per agevolare i programmi dellerede o del legatario, la condizione sarebbe lecita.

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7. Segue: nei rapporti di lavoro e nel pubblico impiego

Un altro settore nel quale la libert religiosa potrebbe subire limitazioni quello dei rapporti di lavoro. Al riguardo, per, il legislatore ordinario ha dettato apposite norme, le quali, senza nulla innovare allassetto dato dalla Costituzione alla libert religiosa anche nei rapporti fra privati, hanno avuto leffetto di togliere ogni eventuale dubbio residuo circa lilliceit delle discriminazioni religiose e della limitazione della libert religiosa nel rapporto , di lavoro subordinato. In particolare il licenziamento del prestatore dopera per la fede religiosa di costui, nullo, indipendentemente dalla motivazione adottata (art. 4 della l. 15 luglio 1966, n. 604); del pari, gli atti o gli accordi diretti a subordinare loccupazione, il licenziamento, lattribuzione delle qualifiche, i trasferimenti, ecc. di un lavoratore alla sua appartenenza religiosa sono dichiarati nulli dallart 15 della l. 20 maggio 1970, n. 300. Anche nel rapporto di pubblico impiego non ammissibile che la posizione religiosa dellindividuo costituisca motivo di discriminazione per lassunzione, le promozioni, i trasferimenti, le sanzioni disciplinari, la fine del rapporto, ecc.. Quelle norme le quali escludono che talune persone (ministri di culto, ecclesiastici, religiosi) possano essere chiamate a svolgere date professioni o alcune pubbliche funzioni, non violano la libert religiosa di costoro. Esse, infatti, o sono dettate dallintento di sottrarre tali soggetti, in vista della loro particolare qualifica religiosa, a incarichi non consentanei alla mitezza danimo, da cui dovrebbero essere contraddistinti, ovvero sono dettate, non per fissare unincapacit, ma per stabilire un incompatibilit tra due uffici diversi, allo scopo di garantire un altro interesse costituzionalmente tutelato, come limparzialit della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.). Diverso il caso in cui un ente o unassociazione con unesplicita impronta confessionale richieda per i propri dipendenti lappartenenza a una data confessione e preveda che labbandono di questa importi la risoluzione del rapporto di lavoro. Qui, accanto alla libert del singolo, che, per la Costituzione, pu mutare rel igione quante volte voglia senza dover risentire danno, sono in gioco la libert e lautonomia dellorganizzazione e il diritto di questa alla propria identit confessionale, la quale risulta salvaguardata anche dalla rilevanza che la Costituzione mostra di dare ai vari ordinamenti menzionati negli art. 7, 1 comma, e 8, 2 comma. In questo caso sarebbe legittimo sia subordinare lassunzione allappartenenza religiosa, sia licenziare il dipendente che abbia mutato religione. ll problema posto dal. sistema del reclutamento dei professori universitari di ruolo in servizio presso lUniversit cattolica del S. Cuore e presso lIstituto di magistero Maria Immacolata, i quali fanno parte del corpo dei professori universitari, dello Stato, ma lart. 38 del Concordato del 1929 ne subordinava la nomina al nullaosta della Santa Sede ed ora lart. 10.3 dellAccordo del 18 febbraio 1984, con una norma, che non innovativa, ne subordina la nomina al gradimento, sotto il profilo religioso, della competente autorit ecclesiastica. La Corte costituzionale, investita del problema della compatibilit della norma dellart. 38. del Concordato del 1929 con quelle degli art. 3, 19 e 33 della Costituzione, ha escluso la sussistenza di tale antinomia.

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8. Luguaglianza di trattamento dei singoli senza distinzione... di religione e uguale libert di tutte le confessioni religiose

Fra le norme costituzionali attinenti alla disciplina del fenomeno religioso assumono particolare rilievo le disposizioni degli art. 3 e 8, 1 comma, della Costituzione. La prima, com noto, dichiara la pari dignit sociale e luguaglianza davanti alla legge, senza distinzione... di religione di tutti i cittadini (1 comma) ed attribuisce alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libert e luguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e leffettiva partecipazione di tutti i lavoratori allorganizzazione politica, economica e sociale del Paese (2 comma). Le norme ora riportate incidono , indubbiamente sulla misura dei diritti riconosciuti ai cittadini, in quanto l uguaglianza formale , assicurata dal primo comma dellart. 3, esclude che le caratteristiche elencate dalla disposizione e, perci, anche quella attinente alla religione professata, o non, possano essere assunte dal legislatore ordinario come criteri di discriminazione dei diritti, dello status dei singoli. Lart. 3 non pu essere violato dal legislatore ordinario, ma, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, le sue disposizioni presentano taluni margini di elasticit, sia perch non vietano al legislatore di effettuare in modo ragionevole le discriminazioni occorrenti per disciplinare situazioni diverse, sia perch, nella materia considerata, norme garantite dalla Costituzione, ovvero parificate a norme di legge costituzionale, potrebbero introdurre eccezioni pur nel settore delluguaglianza formale. A queste conclusioni pervenuta la Corte costituzionale, con riguardo alle norme garantite dallart. 7 cpv. Cost., le quali potrebbero, se conformi ai principi supremi dellordinamento costituzionale, consentire deroghe anche al divieto di discriminazioni sulla base della distinzione di religione. Ma, una volta affermato questo principio, ne discende che deroghe alluguaglianza formale potrebbero essere apportate anche da altre leggi protette dalla Costituzione, esecutive di intese con le confessioni religiose diverse dalla cattolica. Mentre lart. 3 della Costituzione riguarda il trattamento dei singoli cittadini, la norma dellart. 8, 1 comma, secondo la quale tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere davanti alla legge, concerne il tema della libert religiosa e occupa una posizione centrale nel sistema. Se la norma attribuisce a tutte le confessioni religiose parit di trattamento, per converso sembra lasci libero il legislatore ordinario nel trattamento delle varie confessioni secondo che la necessit o lopportunit lo richiedano.

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9. Luguaglianza (art. 3 Cost.) e la protezione delle formazioni sociali (art. 2 Cost.) rispetto al trattamento delle confessioni religiose

Secondo il Finocchiaro, la norma delluguaglianza senza distinzione di religione, di cui allart. 3, 1 comma, Cost. si riferisce non solo, come prevede in moda espresso la disposizione, alle persone fisiche aventi la cittadinanza italiana, ma anche alle persone giuridiche e, in generale, ai gruppi sociali e, dunque, anche alla confessioni religiose. La giurisprudenza della Corte costituzionale, in tema di uguaglianza giuridica, non sembra essere pervenuta a conclusioni diverse. Inoltre, secondo il Finocchiaro, non soddisfacente lopinione che collega l art. 2 Cost. allart. 3 Cost., per affermare che le formazioni sociali con finalit religiosa, in quanto soggetti autonomi nei quali si svolge la personalit delluomo, sarebbero tutelate dal principio di uguaglianza, perch forza il chiaro testo dallart. 3 Cost.. Entrambe le norme riguardano, a parere dellautore, in genere, luomo e, in particolare, i cittadini, le formazioni sociali sono uno strumento al servizio del primo e dei secondi. Quando la legge tratti in modo diverso formazioni sociali aventi lo stesso fine, tale disparit potr importare altres una differenziazione dei.singoli nella dignit sociale e nei diritti per uno dei motivi enunciati nel 1 comma dallart. 3, ovvero potr essere in contrasto con il 2 comma dello stesso articolo se impedisca, anzich agevolare, il pieno sviluppo della persona umana. In questi casi, per, v lesione della garanzia offerta dalla Costituzione ai singoli in tema di uguaglianza e, per ci solo, le norme di legge ordinaria sono incostituzionali, senza che occorra andare alla ricerca di una problematica norma della Carta che garantisca luguaglianza delle formazioni sociali. Per. contro, se il trattamento differenziato non tocchi il patrimonio giuridico dei singoli, ci sta a significare che, nonostante tale differenziazione, le formazioni sociali discriminate possono adempiere pienamente alla funzione di far svolgere e sviluppare la personalit delluomo e, per ci stesso, non v violazione di alcuna delle norme o di alcuno dei principi desumibili dallart. 3 Cost..

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10. Luguaglianza sostanziale delle confessioni religiose

Un altro problema attiene allinterpretazione del 1. comma dallart. 8 Cost. che estende il principio delluguaglianza giuridica alle confessioni religiose quanto alla misura della libert loro garantita dallordiname nto. Il problema trova la sua origine nel rapporto tra. libert e uguaglianza. Ai nostri fini sufficiente considerare che un nesso fra i due termini esiste ed bene evidente nel cpv. dellart. 3 Cost., nel quale libert ed uguaglianza dei cittadini sono menzionate come fattori concomitanti dello svi luppo della persona umana e dell effettiva partecipazione di tutti i lavoratori allorganizzazione politica, economica e sociale del Paese. Fuori di questipotesi di concorso, per, non possibile escludere che i due termini entrino in conflitto. Ci quanto pu avvenire rispetto alle confessioni religiose, allorch i vantaggi concessi a una, o pi, di esse cagionano una diminuzione di libert a danno delle altre. Questa possibilit non pu essere esclusa dal rilievo che il privilegio, concesso ad una o pi, non impedisca alle altre di esercitare le varie facolt promananti dal diritto di libert religiosa, essendo legittimo il dubbio che esista libert veramente uguale laddove le condizioni desercizio di essa siano diverse per i vari soggetti. La norma dellart. 8, 1 comma, Cost. garantisce certamente la libert formale e, forse, garantirebbe solo questa in un regime rigidamente separatista, ma, in un regime, in atto concordatario con la Chiesa cattolica e, in potenza, formato sulla base di intese con le altre confessioni, una norma che garantisce un trattamento il quale favorisca il concreto esercizio della libert religiosa e degli altri diritti costituzionali, connessi con questa situazione giuridica e che siano connaturali ad entit diverse dalle persone fisiche. Sennonch questo indirizzo enunciato dalla Costituzione non sempre ha trovato rispondenza nelle norme di legge ordinaria che disciplinano il fenomeno sociale religioso, nellapplicazione che di essa stata fatta in sede giudiziaria, la quale talora valsa a negare ad alcune confessioni religiose non luguaglianza nel godimento sostanziale della libert religiosa, bens la stessa libert religiosa in senso formale. Codesta situazione, in gran parte, dipende dal fatto che, mentre per la Chiesa cattolica esiste gi, in base alle disposizioni dorigine concordataria o dettate in modo unilaterale dallo Stato, un corpo di norme favoritive dellesistenza e dellattivit delle sue istituzioni, non altrettanto avviene per le altre confessioni.

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11. Le facolt promananti dal diritto di libert religiosa

Sotto il profilo della posizione riconosciuta ai singoli, dallesame della Carta, sembra evidente che a tutti gli uomini, cittadini, stranieri o apolidi, sono riconosciute: la facolt di professare la fede religiosa in forma individuale, la facolt di professare la fede religiosa in forma associata, la facolt di esercitare il culto in privato o in pubblico, la facolt di fare propaganda religiosa, la facolt di manifestare c on ogni mezzo il proprio pensiero in materia religiosa (art. 21), la facolt di corrispondere con altri in modo libero e segreto nella materia stessa (art.15), la facolt di riunirsi con altre persone a scopo di religione o di culto (art. 17), la facolt di fondare associazioni con fini di religione o di culto e di aderire a quelle esistenti (art. 18), e, pi in generale, la facolt di esercitare esercitare tutti i diritti garantiti dalla Carta, in funzione della libert religiosa. Sotto il profilo della posizione riconosciuta ai gruppi sociali , non sembra dubbio che, quando essi perseguano un fine di. religione o di culto, oltre a essere titolari di quelle facolt che competono ai gruppi sociali, in quanto tal i, siano anche titolari di quelle stesse facolt, costituzionalmente garantite, appartenenti agli individui e che possano essere esercitate da un organismo collettivo. In tal senso inducono non solo la formula dellart. 2 della Costituzione, la quale protegge le formazioni sociali in vista del bene individuale, ma anche gli art. 7 e 8 della Carta.

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12. Segue: la libert di coscienza, lateismo

Il caput et fundamentum di tutte le facolt discendenti dal diritto di libert religiosa quello attinente alla libert di coscienza, ossia dellintimo e libero atteggiarsi dellindividuo di fronte al problema dellessere e dellesistere, nei suoi aspetti religiosi, etici, politici, sociali, ecc.. Occorre, per, avvertire che, secondo la dottrina tradizionale, la libert di coscienza, al pari di quella di culto, in tanto vengono in rilievo dal punto di vista giuridico, in quanto si manifestino allesterno, con lavvertenza, per, che la protezione delle manifestazioni esteriori rile vante anche al fine di una libera formazione delle coscienze, perch la tutela degli atteggiamenti esterni d valore a ci che avviene in interiore homine, per lappunto, alla coscienza individuale. Com noto, luso dellespressione coscienza polisens o. Coscienza, infatti, consapevolezza di s e di ci che avviene intorno a s, ma anche consapevolezza del valore morale delle proprie azioni. Lespressione vale, altres, a indicare una particolare sensibilit a problemi diversi da quello religioso o di quello morale, onde frequente sentir parlare di una coscienza giuridica, civica, sportiva, politica, ecc.. Si tratta quasi sempre di usi traslati, nei quali lespressione non indica in modo costante, in ognuno dei casi accennati, lesistenza di pretese giuridicamente rilevanti. Sia in campo religioso, sia in campo politico le costituzioni nord-americane ed europee degli ultimi tre secoli hanno dato assicurazioni pi o meno ampie, in materia di libert, accogliendo le tesi liberali o laiche. Peraltro, in epoca pi recente, stato sostenuto che lo Stato dovrebbe garantire, ancora prima della manifestazione esterna della coscienza religiosa o areligiosa, la formazione stessa della coscienza religiosa. stato, altres, sostenuto che lordina mento, per garantire lanzidetta libert di formazione delle coscienze, dovrebbe, in adempimento di quanto prevede lart.3 cpv. Cost., garantire luguaglianza dei punti di partenza anche in tale settore, specie a quanti sono svantaggiati per motivi di carattere economico o sociale. Perci, lo Stato dovrebbe rendere effettivo il diritto allo studio, perch lapprendimento, pur ai livelli pi bassi, la condizione imprescindibile per lacquisizione di una libera coscienza religiosa. In tale prospettazione, sebbene ragionevole, la libert di formazione della coscienza, per, non sembra dar vita a un diritto diverso da quello allistruzione, gi specificatamente garantito dallart. 34 Cost., di cui il diritto alla libera formazione delle coscienze diventerebbe una ridondanza. Ma queste tesi, secondo il Finocchiaro, valicano il confine del diritto positivo, sembrando dimenticare che il diritto soggettivo di libert religiosa, in tanto diritto, in quanto la pretesa dellindividuo o del gruppo sociale sia protetta dallordinamento con la concessione agli interessati di unazione in difesa di tale bene. Lordinamento italiano, per, non sembra garantire un diritto alla formazione della coscienza diverso dal diritto fondamentale, di cui agli art. 15 e 21 della Costituzione, di esprimere il proprio pensiero e di ricevere la comunicazione del pensiero altrui o del diritto allistruzione.

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Il problema della libert di coscienza comprende non solo la facolt di orientarsi fra varie fedi, ma anche la facolt di non aderire ad alcun credo religioso, l ateismo. Al riguardo, occorre tenere presente che lart. 19 Cost., oltre a garantire il libero svolgimento delle facolt pi volte accennate, presenta un ulteriore aspetto, talvolta impropriamente qualificato come negati vo, giacch, nellmbito della sua previsione, garantisce non solo la scelta tra questa o quella religione positiva o lorganizzazione di nuove manifestazioni dello spirito religioso, ma assicura anche il diritto di rifiutare qualsiasi professione di fede, di non ascoltare alcuna propaganda, di non partecipare ad alcun atto di culto. In breve, la libert religiosa, come diritto soggettivo, importa anche la protezione dellateo e del miscredente, i quali non possono essere costretti, in modo alcuno, diretto o indiretto, a compiere atti che implichino una professione di fede religiosa, o una manifestazione di culto, o lesser soggetto passivo di propaganda religiosa. Questa posizione, la quale rafforzata in modo pieno dellart: 3, 1 comma, importa che il nostro ordinamento, se favorisce la manifestazione positiva della spiritualit religiosa, daltra parte, tutela anche la posizione di chi disconosca il valore di tutte le confessioni religiose, per accogliere una concezione personale del divino o per escludere in radice lesistenza del trascendente. Anche lateismo c.d. attivo protetto dalla Carta costituzionale, tanto dalla norma dellart. 19, quanto da quella del successivo art. 21 e da tutte le altre che garantiscono luguaglianza dei cittadini, il diritto di associazione, il diritto di riunione e la libert di insegnamento. In base alle disposizioni ora ricordate, la propaganda ateistica, le eventuali associazioni atee, ecc. sono protette dalla Costituzione. Le organizzazioni atee, ove esistessero, non sarebbero confessioni religiose e, perci, non godrebbero del regime previsto, per tali organismi, dallart. 8 della Costituzione. Ci non toglie, per, che ,esse, poich svolgerebbero la loro azione in materia religiosa, negando la validit delle relig ioni positive e proponendo una propria concezione dei destino delluomo, risulterebbero garantite sia dalla norma in esame, sia dallart. 21, inoltre, gli enti con fine (negativo) di religione, cui desse vita lateismo militante, sarebbero tutelati dal successivo art. 20.

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13. La professione della fede religiosa, lappartenenza confessionale

La facolt di professare la fede religiosa comporta la libert di dichiarare lappartenenza a questa, quella, o nessuna confessione; di dichiarare, in privato o in pubblico, i principi cui lindividuo o il gruppo aderiscono, senza che da tale professione derivi alcuna conseguenza favorevole o sfavorevole per lordinamento statuale; di tenere un comportamento coerente con tali principi, sempre che ci non importi la violazione di altri valori garantiti dalla Costituzione. La libera professione della fede religiosa importa, come prima conseguenza, il diritto , nellordinamento statuale, di aderire liberamente ad una confessione religiosa. Tale appartenenza, anche quando fosse definita come obbligatoria dagli statuti organizzativi confessionali, per lordinamento civile libera e le norme della confessione religiosa non potrebbero produrre effetti in tale ordinamento per costringere alladesione chi non volesse appartenere ad essa. La questione sorta nel diritto italiano con riferimento allart. 4 del r.d. 30 ottobre 1930, n. 1731, sulle Comunit israelitiche, che prevedeva lappartenenza di diritto ad ogni Comunit di tutti gli israeliti che hanno residenza nel territorio di essa. Tale norma stata dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale con la sentenza 30 luglio 1984, n. 239, per contrasto con gli art. 2, 3 e 18 della Costituzione, sul presupposto che lappartenenza qualificata di diritto dalla legge, fosse da ritenere unappartenenza obbligatoria.

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13.1. La professione di fede e le dichiarazioni a proposito della fede professata

Un altro problema attiene al se la facolt di professare lappartenen za a questa, quella o nessuna confessione religiosa, importi anche lobbligo dello Stato di disinteressarsi della religione professata dai cittadini e, quindi, lillegittimit di ogni indagine promossa dallautorit per conoscere la religione professata, o non, dagli italiani. La materia in questione rientra nella c.d. tutela della privacy. Al riguardo lordinamento italiano, conformandosi alla Convenzione n. 108 di Strasburgo del 28 gennaio 1981, eseguita dalla l. 21 febbraio 1989, n. 98, ha opportunamente disciplinato il trattamento dei dati di carattere personale. In conseguenza, la 1. 31 dicembre 1996 n. 675, nellart. 22, statuisce che le convinzioni religiose o di altro genere, nonch lappartenenza ad associazioni od organizzazioni a carattere religioso, possono essere oggetto di trattamento solo con il consenso scritto dellinteressato e previa autorizzazione del Garante. Nellordinamento statuale, peraltro, vi sono norme le quali, in qualche ipotesi specifiche, vietano le indagini sulle opinioni religiose dei singoli (cfr. art. 8, 1. 300/1970), mostrando di voler proteggere in modo assoluto il diritto alla riservatezza della vita privata e alluguaglianza di trattamento. Peraltro, va evidenziato che lAccordo 15 novembre 1984, prevedendo un nuovo sistema per il sostentamento del clero cattolico, attraverso la destinazione allapposito Istituto di parte della quota (8 per mille) del gettito dellIRPEF, destinata a scopi di carattere sodale o umanitario o di carattere religioso, stabiliscono che siano i contribuenti a scegliere la destinazione in sede di dichiarazione annuale dei redditi. Un trattamento analogo, per finanziare le proprie attivit, hanno ottenuto le altre confessioni religiose che hanno stipulato intese con lo Stato. Attraverso tali dichiarazioni sar possibile accertare il numero di contribuenti che intende finanziare la Chiesa cattolica o una delle altre confessioni, ma questa non una schedatura vietata dalla Costituzione, sia perch la dichiarazione facoltativa e volontaria, sia perch tale dichiarazione non lequivalente di una professione di fede, sia perch lamministrazione finanziaria tenuta al segreto sui nominativi dei contribuenti che abbiano scelto la destinazione della quota a favore della Chiesa o di altri e, daltronde, un qualsiasi altro uso che fosse fatto delle dichiarazioni in questione sarebbe illegittimo. Va altres osservato che lart. 26 della l. 26 luglio 1975, n. 354, che ha riformato lordinamento penitenziario, prevede che i detenuti e gli internati hanno libert di professare la propria fede religiosa, di istruirsi in essa e di praticarne il culto, assicura negli istituti la celebrazione dei riti del culto cattolico, prevede la presenza di almeno un cappellano in ogni istituto e d la facolt a quant i professano altre fedi di ricevete, su loro richiesta, lassistenza dei ministri del proprio culto . e di celebrarne i riti.

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13.2. Professione dl fede e istruzione religiosa

Sino al 1985, ossia finch rimasto in vigore lart. 36 del Concordato del 1929 (l. n. 810) il sistema dellistruzione religiosa nelle scuole pubbliche ha avuto unimpronta confessionista, perch lItalia considerava fondamento e coronamento dllistruzione pubblica la dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica. I non cattolici e i non credenti potevano ottenere per i propri figli la dispensa dallinsegnamento religioso. Tale sistema era in contrasto con gli art. 3 8, 1 comma, - 19 - 21 Cost., perch linsegnamento della religione cattolica era obbligatorio e chi chiedeva la dispensa da tale obbligo si autodiscriminava. Con lentrata in vigore della l. n. 121 del 1985, esecutiva dellAccordo 18 febbraio 1984, il sistema creato nel 1929 - 1930 stato cambiato. Lo Stato continuer ad assicurare, nel, quadro delle finalit della scuola, linsegnamento della religione cattolica nelle scuole .pubbliche non universitarie, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano (art. 9.2). In questo approccio, nel quale la religione cattolica non considerata come religione dello Stato, fondamento e coronamento dellistruzione, ma come valore culturale, il suo insegnamento non obbligatorio, salvo dispensa, come nella precedente disciplina del settore, ma facoltativo. Perci, gli studenti o i loro genitori, allatto delliscrizione, saranno invitati dallautorit scolastica a scegliere se avvalersi o meno di tale insegnamento (art. 9.2, secondo e terzo comma).

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13.3. La professione di fede e il giuramento nel processo

Nel nostro ordinamento processuale, le norme che prevedono il giuramento dei testimoni (artt. 142 e 449 cod. proc. pen. 1930; 251 cod. proc. civ.), l dove imponevano a chi giura di rendersi consapevole della responsabilit che. con il giuramento assumeva davanti a Dio, dato il meccanismo del giuramento, con il quale il testimone simpegnava su questa formula, pronunciando le parole lo giuro, senza alcuna limitazione o eccezione, facevano s che il giurante dichiarava dobbligarsi alla verit davanti a un essere soprannaturale e, perci, implicitamente professasse di credere nella sua esistenza. Sotto questaspetto, la formula anzidetta violava la libert religiosa degli atei, che risultavano obbligati a una professione di fede, ed era in contrasto con lart. 19 Cost., oltre che con il successivo art. 21. La Corte costituzionale con la sentenza n. 117 del 1979, ha dichiarato lillegittimit costituzionale della formula del giuramento, nella parte in cui richiamava la responsabilit del dichiarante davanti a Dio. La formula del giuramento della parte, previsto dallart. 238 cod. proc. civ. stata dichiarata incostituzionale dalla Corte cost. con sentenza n. 334 del 1998, limitatamente alle parole davanti a Dio e agli uomini, di cui al 2 comma. Con lentrata in vigore della nuova disciplina del processo penale (cod. proc. pen. 1988), il problema dellobiezione di coscienza nei confronti del giuramento dei testimoni risultata superata, almeno.per quanto concerneva tale processo. Infatti, lart. 497 cod. proc. pen. 1988 non prevede pi che i testimoni prestino un giuramento. Il giuramento, perci, stato sostituito da un impegno solenne, sicch, ne l processo penale, non dovrebbero sussistere quelle difficolt sino ad allora incontrate dai testimoni, quando fossero appartenenti a talune confessioni che ritengono qualsiasi giuramento in contrasto con un precetto religioso. Tali difficolt continuavano a sussistere nel processo civile, nel quale il giura mento dei testimoni era sempre previsto dallart. 251 cod. proc. civ.. Sennonch la Corte costituzionale, chiamata a giudicare sulla legittimit della detta norma, in relazione agli art. 3 e 19 Cost., ha ritenuto giustamente irragionevole il diverso trattamento riservato ai testimoni nel processo civile e in quello penale e ha dichiarato illegittimo lart. 251, 2 comma, cod. proc. civ., riscrivendone il testo: ora il giudice istruttore tenuto a invita re il testimone a rendere una dichiarazione sull impegno a dire tutta la verit e a non nascondere nulla di quanto a mia conoscenza.

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13.4. La professione di fede dei gruppi sociali e lobiezione di coscienza

La professione di fede del gruppo sociale importa il diritto, per il gruppo, sia di affermare i propri principi, sia di manifestare la propria adesione ai gruppi che accettino lo stesso credo, sia di distinguersi da quelli che accettino principi religiosi in tutto o in parte diversi. La professione della fede, da parte della formazione sociale con fine di religione o di culto, una manifestazione essenziale della sua autonomia e, se questa garantita nella misura pi alta e pi ampia dagli art. 7 e 8, 2 e 3 comma, Cost., che riconoscono lesistenza di ordinamenti giuridici confessionali in posizione di alterit nei confronti dello Stato, non pu esservi dubbio sullinammissibilit di qualsiasi interferenza sui principi professati dal gruppo, che non abbia luogo secondo le regole accettate dal gruppo stesso. I principi dordine religioso non incontrano limiti nella nostra Costituzione: non quello dellordine pubblico, mai menzionato dalla Carta, n quello del buon costume, che la norma in esame esige sia rispettato nellesecuzione dei riti, ma non impone per i principi, e che lart. 21, ult. comma, vuole sia rispettato dalle pubblicazioni, dagli spettacoli, e dalle altre manifestazioni pubbliche, ma non esclude che principi contrari al buon costume siano coltivati altrimenti. II problema ha rilevanza, giacch non v confessione religiosa la quale non proponga ai propri aderenti una precettistica morale e pratica. Ora chiaro che tali precetti, anche se contrari al buon costume, possono formare oggetto dadesione in linea di principio, poich una tale adesione non esclusa. Altro pensare alla possibilit che tali precetti siano tradotti in pratica, perch, in molte di queste ipotesi, lordinamento giuridico pone principi antitetici, garantiti dalla Costituzione o da norme di legge ordinaria, che non possono essere violati con la pretesa di aderire ai precetti di questa o quella fede religiosa. Una norma che agevola la professione di fede degli ebrei, a proposito del giuramento , contenuta nellart. 6, 1 comma,. della l. n. 101 del 1989. Il giuramento ha un fondamento obiettivamente religioso, perci, per un credente, quale che sia la formula dellatto, poich con esso si chiama Dio a testimone della propria veridicit o del proprio impegno, un atto accostabile alla preghiera. noto che gli ebrei pregano a capo coperto, onde la norma citata agevola ad essi lesercizio della professione di fede, prevedendo che possano richiedere di prestare a capo coperto il giuramento previsto dalle leggi dello Stato. Inoltre, gli ebrei e i musulmani osservanti possono nutrirsi della carne di animali, purch la macellazione sia stata eseguita con particolari modalit (senza previo stordimento e mediante un coltello affilatissimo, che recida contemporaneamente, con un unico taglio, lesofago, la trachea e i grossi vasi sanguigni del collo), prescritte dal d.m. 11 giugno 1980.

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Circa lobiez ione di coscienza, nei confronti del compimento di quei doveri che sono imposti dallordinamento statuale, vanno effettuate delle specificazioni. Invero, talune confessioni religiose escludono che i propri aderenti possano mai prestare un qualsivoglia giuramento, prestare servizio militare, pagare i pubblici tributi, curare i malati, usare rimedi terapeutici (come le trasfusioni di sangue), ecc, e fondano tali posizioni ideologiche sii principi religiosi, per lo pi tratti da particolari interpretazioni del messaggio evangelico. Finch codesti principi restino allo stato di affermazioni teoriche, nulla quaestio. Il problema sorge, invece, quando si voglia passare allattuazione pratica di essi, perch lordinamento, nel regolare la vita della comunit nazionale, impone come doverosi tutti i comportamenti sopra esemplificati: basti pensare - in tema di doveri imposti dalla Costituzione - a.quanto prescrivono gli art. 32, 52, 53 e 54 riguardo alla tutela della salute, al servizio militare, al concorso nelle spese pubbliche, al giuramento. Nessuno, proclamando di volere seguire i dettami della propria coscienza religiosa, ossia richiamandosi alla norma costituzionale in esame, pu sottrarsi al compimento dei doveri previsti dalla legge. In specie, molto travagliato stato il riconoscimento giuridico dellobiezione di coscienza., nei confronti del servizio militare. La l. 15 dicembre 1972, n. 772, ha riconosciuto (art. 1) lobiezione di coscienza degli obbligati alla leva militare che dichiarino di essere contrari alluso personale delle armi per imprescindibili motivi di coscienza attinenti ad una concezione generale della vita basata su profondi convincimenti religiosi o filosofici o morali professati dal soggetto. Al servizio di leva sostituito, per gli ammessi al beneficio, un servizio militare non armato o un servizio civile sostitutivo, che era di durata superiore di otto mesi alla, durata del servizio militare. Ma lart. 2 della 1. 24 dicembre 1986, n. 958, sul servizio militare di leva, ha parificato il servizio civile sostitutivo al servizio militare, trattandosi di due modi analoghi di adempiere il dovere di difendere la patria. Correlativamente, la Corte costituzionale, con sentenza 31 luglio 1989, n. 470, ha parificato la durata del servizio sostitutivo a quella del servizio di leva, dichiarando lillegittimit dellart. 5, 1 comma, l. n. 772 del 1972. Lobiezione di coscienza al servi zio militare stata, dunque, promossa a diritto soggettivo dei giovani di leva.

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13.5. La professione di fede e i giorni festivi

Ogni confessione religiosa ha i suoi giorni festivi. Per la Chiesa cattolica e altre confessioni cristiane giorno festivo la domenica, insieme ad altre festivit, fisse o mobili; Per gli ebrei ed alcune confessioni cristiane il giorno festivo il sabato. Per i musulmani il giorno festivo il venerd. Il rispetto dei giorni festivi un obbligo di coscienza dei credenti. Per quanto concerne le festivit cattoliche , con lart. 6 dellAccordo del 1984 fra lItalia e la Santa Sede, sono stati riconosciuti come giorni festivi tutte le domeniche e le altre festivit religiose determinate dintesa fra le parti . Con tali norme la festivit prevista dalle disposizioni ecclesiastiche diventa una festivit civile, con tutte le conseguenze da ci derivanti nel diritto dello Stato, come, per es., in materia dei termini legali. Tali norme, in quanto, ipoteticamente, riguardano la generalit dei cittadini, valgono a formare il calendario comune, sul quale regolato anche il funzionamento dei pubblici uffici. Circa le festivit delle altre confessioni , la necessit di onorare i giorni festivi presentata in modo analogo. Cos la materia dei giorni festivi stata disciplinata, in taluna delle Intese con codeste organizzazioni, con variazione rispetto alle previsioni riguardanti la Chiesa cattolica. Lart. 18 della l. n. 516 del 1988, di approvazione dellIntesa con lUnione delle Chiese avventiste, e lart. 4 della l. n. 101 del 1989, di approvazione dellIntesa con le Comunit ebraiche, prevedono il riconoscimento civile della festivit del sabato. Ma il sabato degli avventisti non coincide con quello degli ebrei, perch, per questi, il riposo sabatico va da mezzora prima del tramonto del venerd a unora dopo il tramonto del sabato; mentre, per i primi, il riposo va dal tramonto del venerd al tramonto del sabato. In forza delle norme sopra citate, sia gli avventisti sia gli ebrei, i quali siano dipendenti pubblici o privati, lavoratori autonomi, militari o addetti al servizio civile sostitutivo, ecc., hanno diritto di fruire, a loro richiesta, del riposo sabatico come giorno di riposo settimanale. Restano, per, salve le imprescindibili esigenze dei servizi essenziali previsti dallordinamento civile. In ogni caso, il diritto al riposo sabatico, che esercitato nel quadro della flessibilit dellorganizzazione del lavoro, comporta il recupero della giornata lavorati va nella domenica o in altro giorno, senza diritto ad alcun compenso straordinario. Nella scuola si considerano giustificate le assenze degli alunni avventisti o ebrei nel giorno del sabato, effettuate a richiesta dei genitori o degli alunni maggiorenni.

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14. Lesercizio pubblico del culto e lapertura dl templi e di oratori

Lesercizio del culto in privato e in pubblico pienamente garantito dallart. 19 Cost.. Ma, mentre lesercizio del culto in privato non d luogo a problemi alla stregua della vigente normativa, problemi sono posti dall esercizio del culto in pubblico. La materia tanto delicata che, per quanto lesercizio pubblico del culto sia assicurato a tutte le confessioni religiose, in misura uguale, dagli art. 8, 1 comma, e 19 Cost., tale garanzia stata ribadita in sede concordataria dallAccordo 18 febbraio 1984. Lesercizio pubblico del culto coinvolge il problema dellapertura di luoghi destinati a tale fine (chiese, oratori, sinagoghe, moschee, ecc.) e il contemporaneo esercizio del diritto di riunione di cui allart. 17 Cost. Lapertura di luoghi di culto , in particolare, un problema che tocca lesercizio in forma associata della libert religiosa e, perci, in primo luogo, riguarda luguale misura di libert garantita dallart. 8, 1 comma, Cost. a tutte le confessioni. Vigenti gli art. 1 e 2 del r.d. 28 febbraio 1930, n. 289 , le confessioni religiose di minoranza non avevano un vero e proprio diritto ad aprire templi od oratori. Esse, infatti, a tale fine, bisognavano di unapposita autorizzazione governativa, ampiamente discrezionale, ed i fedeli potevano riunirsi liberamente in tali locali autorizzati solo se la riunione fosse stata presieduta da un ministro di culto approvato; in mancanza, occorreva avvertire lautorit di polizia, come per qualsiasi riunione in luogo aperto al pubblico (secondo le previsioni dellart. 18 t.u. delle leggi di p.s. del 1931). Poich nessuna di queste limitazioni era prevista per la Chiesa cattolica, evidente chele altre confessioni erano svantaggiate quanto alla concreta possibilit di esercizio pubblico del culto assicurata in misura uguale per tutte le confessioni dagli art. 8, 1 comma, e 19 della Costituzione. Quanto alla discrezionalit del provvedimento autorizzativo dellapert ura del tempio, basti ricordare che il citato r. d. n. 289 del 1930 prevedeva che essa dovesse essere autorizzata con decreto del capo dello Stato, quando fosse domandata da un ministro di culto (la cui nomina fosse stata gi approvata dal Ministero delli nterno), documentando che ledificio era necessario per soddisfare effettivi bisogni religiosi di importanti nuclei di fedeli ed era fornito di mezzi sufficienti per sostenere le spese di manutenzione. evidente come queste norme attribuissero allautorit governativa, nellautorizzare lapertura di tali tempi od oratori, un ampio potere discrezionale, essendo svincolato da ogni precisa regola il giudizio su ognuno dei requisiti menzionati dalla legge. evidente, inoltre, che, secondo i criteri accolti dallordinamento italiano, le minoranze religiose, in base a tali norme, non avevano alcun diritto soggettivo allautorizzazione dellapertura di un edificio di culto, bens un mero interesse legittimo, fra laltro difficilmente tutelabile. Lautorizzazione governativa dellapertura di un tempio od oratorio assumeva una grande rilevanza in quanto lart. 2 dello stesso r.d. n. 289 del 1930 prevedeva che i fedeli dei culti diversi dal cattolico potessero riunirsi liberamente, ossia senza preventiva autori zzazione dellautorit governativa, solo in un edificio autorizzato e quando la riunione fosse presieduta od autorizzata da un ministro di culto, la cui nomina fosse stata approvata . In mancanza di uno di questi requisiti, la riunione era disciplinata dalle norme comuni per le riunioni pubbliche, in altri termini, dagli art. 18 o 25 del t.u. delle leggi di p.s. (r.d. 18 giugno 1931 n. 773), i quali prevedevano lavviso al questore almeno tre giorni prima della riunione. Pertanto, gli appartenenti a tali confessioni, che fossero privi di un edificio di culto autorizzato, per riunirsi, dovevano, di volta in volta, dare avviso della riunione allautorit di polizia, la quale poteva impedire che la manifestazione avesse luogo nel caso di omesso avviso ovvero per ragioni di ordine pubblico, di moralit o di sanit pubblica. In altri termini, fuori di un edificio di culto autorizzato dal governo, lo svolgimento delle riunioni 115

delle confessioni di minoranza era rimesso alla discrezione della locale autorit d i polizia, che poteva vietarle ovunque avvenissero e tutte le volte in cui ricorresse una delle ipotesi latamente previste dalla legge: lordine pubblico, la moralit, la sanit pubblica. Questa disciplina non mut per effetto della sola entrata in vigore della Costituzione. Il Ministero dellinterno, infatti, riteneva che lart. 17 di questa non fosse applicabile alle riunioni di culto in luogo aperto al pubblico e che lart. 19 Cost. non avesse valore precettivo, onde i subalterni uffici di polizia ave vano per fermo che le riunioni a scopo di culto degli appartenenti alle confessioni di minoranza fossero unicamente disciplinate dallart. 18 del t.u. delle leggi di p.s., con la conseguenza di ritenere come pubbliche le riunioni che si svolgessero in privato (considerando il numero delle persone) e, perci, di vietare quelle che non fossero state annunciate allautorit di polizia. Solo con l entrata in funzione della Corte costituzionale la libert per chi non fosse cattolico di aprire edifici al culto pubblico e di tenere riunioni in luogo aperto al pubblico ha avuto concreta efficacia. Per ci che concerne lesercizio del culto, la norma dellart. 19 Cost., che esonera da ogni controllo di polizia il culto che sia esercitato in luogo privato o in luogo aperto al pubblico, deve essere collegata con quella dellart. 17 Cost. per ci che attiene alle riunioni . di culto in luogo pubblico: in quest .ultimo caso, occorre che gli organizzatori della manifestazione diano preavviso di essa allautorit, che potre bbe vietarne lo svolgimento soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumit pubblica.

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14.1. I riti e il limite del buon costume

Lavversione nei confronti delle minoranze religiose era stata istituzionalizzata nellordinamento italiano dalla legislazione del 1929 - 1930, la quale aveva mortificato, in vario modo , lesercizio del culto e della propaganda da parte delle minoranze religiose. Ma la Costituzione ha restaurato la libert e lugua glianza giuridica di esse, prevedendo, come unico limite allattivit di qualsiasi confessione religiosa, che i riti, non siano contrari al buon costume. Si noti, in proposito, che, nelloriginaria formulazione della disposizione considerata, la libert religiosa era ga rantita purch non si trattasse di una confessione che coltivasse principi o riti contrari allordine pubblico e al buon costume . Le parole principi e ordine pubblico furono soppresse da un emendamento accolto dallAssemblea costituente. Questa regolamentazione pi favorevole esclude che lesercizio delle facolt inerenti al diritto di libert religiosa possa essere sottoposto al controllo per ci che attiene ai principi professati e sotto il generico profilo dell ordine pubblico, espressione che, fra laltro, scomparsa dalla Costituzione. Il motivo di questa sparizione risulta chiaro ove si pensi che il termine, nella prassi di polizia, assume un significato molto vasto, ben noto al legislatore costituente, il quale lha voluto eliminare dal novero dei possibili limiti delle libert da esso garantite proprio al fine di sottrarre questi valori alla discrezione dellautorit di governo. Venuto meno ogni sindacato sui principi ed escluso che valga il limite dellordine pubblico a proposito dei riti resta, come unico limite, che questi ultimi devono essere conformi al buon costume. Tale limite, in verit, sembra pi teorico che pratico, poich lesperienza religiosa del nostro Paese non conosce formazioni confessionali che compiano riti contrari al buon costume. Il contenuto sostanziale di tale limite non diverso da quello previsto dallart. 21, ult. comma, Cost..

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15. Le associazioni a carattere religioso o cultuale

Per ci che concerne le associazioni a carattere religioso o cultuale , esse, in quanto perseguono un fine non vietato dalla legge penale, anzi garantito dalla norma dellart. 19 Cost., sono protette e disciplinate anche dalle norme dellart. 18 e, proprio in quanto hanno il fine anzidetto, sono garantite dal successivo art. 20 della Carta. Questo significa che la formazione di tali entit, o ladesione ad esse, non subordinata ad alcun provvedimento autorizzativo da parte dello Stato e che nessuna legge ordinaria pu prevedere norme limitative o speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacit giuridica e attivit, diverse dalle limitazioni o dai gravami esistenti, o da introdurre, per qualsiasi altra associazione. Ma significa anche che lautorit di governo potrebbe chiedere alle associazioni in esame tutte quelle informazioni occorrenti per escludere che si tratti di unassociazione segreta. Peraltro, lautorit dello Stato non potrebbe sindacare il merito di quei provvedimenti presi, in conformit degli statuti, dagli organi dellassociazione, con cui, per motivi ideologici o disciplinari, fossero allontanati dei soci dallorganizzazione. Infatti, se lo Stato pensasse di controllare nel merito questi provvedimenti interferirebbe sulla libert dellassociazione e, perci, violerebbe la norma in esame. La creazione di nuove associazioni, se esclude qualsiasi controllo preventivo da parte dello Stato, pu dar luogo a controversie in sede giurisdizionale. Una di queste potrebbe concernere l a denominazione che si desse una nuova associazione, la quale. avesse la pretesa di collegarsi a un organismo preesistente o a una confessione religiosa, in contrasto con le deliberazioni dei rappresentanti responsabili delluno o dellaltra. Unassociazione c h e si proclamasse cattolica, o valdese, o israelita, ecc., quando lautorit di questi ordinamenti disconoscesse lesistenza del legame confessionale, non avrebbe diritto di presentarsi con la denominazione contestata, il cui uso potrebbe essere interdetto dallautorit giudiziaria, a domanda di chi abbia la rappresentanza della confessione religiosa cui lassociazione pretende collegarsi. Lo stesso criterio vale nei rapporti tra associazione nuova e associazioni preesistenti. Invero, la garanzia della libert religiosa, offerta dalla norma dellart. 19 Cost., assic ura a tutti la facolt di creare qualsiasi associazione con fine di religione o di culto. La stessa norma, per, unitamente a quelle degli art. 7 e 8, garantisce lidentit delle formaz i o n i sociali preesistenti, caratterizzate dalla comunione i n una data fede e dallesistenza di determinati statuti organizzativi, sicch lappartenenza a tali formazioni o il rapporto con esse, che consenta luso della denominazione confessionale, deve avvenire in base a tali regolamenti interni. Ove ci non si desse, vi sarebbe un abuso della denominazione, che violerebbe il diritto della formazione preesistente (associazione o confessione che sia) ad essere qual e quale vuole essere, ossia la snaturerebbe, poich affiancherebbe ad essa unentit dalla stessa non approvata, n riconosciuta coane parte . di s.

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16 La discussione in materia religiosa, la propaganda e il proselitismo

Anche la libert di propaganda e di proselitismo assicurata a tutti dalla norma dellart. 19 Cost., tuttavia, ove si tengano presenti le norme di legge ordinaria che toccano la materia, occorre distinguere tra il regime riservato alla Chiesa cattolica e quello cui sono state assoggettate le minoranze religiose. La prima ha usufruito - e usufruisce - della pi ampia forma di tale facolt. Le minoranze religiose, invece, non sempre hanno potuto esercitare la facolt di propaganda. Tale limitazione era ben visibile prima dellentrata in vigore della Costituzione. Dopo tale evento, ha persistito in virt della vischiosit presentata dall e norme anteriori alla Costituzione, rispetto al nuovo sistema da questa introdotto, e si manifestata sotto vari aspetti, tanto che, tuttora, nel settore in esame, non v uguaglianza di trattamento fra la Chiesa cattolica e le altre confessioni.

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17. La riservatezza sui dati personali riguardanti la religione

La tutela della libert di religione e delluguaglianza dei cittadini a motivo di religione apprestata dallordinamento si arricchita con la l. 31 dicembre 1996, n. 675, volta ad attuare in Italia la Direttiva comunitaria n. 95/46/CE sulla protezione dei dati personali. Lart. 22, 1 comma, della legge cit. stabilisce che possono essere oggetto di trattamento solo con il consenso scritto dellinteressato e previa autorizzazione del Garante una serie di dati personali idonei a rivelare lorigine razziale o etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, ladesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, ecc.. Inoltre, il d.lgs.11 marzo 1999, n.135, integrando la l. n. 675 del 1996, con lart. 5, ha aggiunto nellart. 22 di, questa un comma 1 bis, che ha dichiarato non applicabile il divieto di trattamento dei dati in questione, salvo il consenso scritto degli interessati e lautorizzazione del Garante, quando riguardino gli aderenti alle confessioni religiose o coloro che abbiano contatto con esse, sempre che tali dati non siano comunicati o diffusi fuori delle confessioni.

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18. Il governo delle confessioni religiose

Accanto alla libert di propaganda religiosa, assicurata dalla norma dellart. 19 Cost., sta la libert degli organi delle confessioni religiose di comu nicare - in modo reciproco - con i fedeli, nonch con i terzi, anche per ci che sia ritenuto necessario al fine del governo del gruppo sociale. Questa libert che, concernend o la corrispondenza, garantita dallart. 15 Cost., comprende anche la pubblicazione di atti e di provvedimenti, la quale, in quanto manifestazione del pensiero, assicurata anche dallart. 21 Cost.. Latto di governo della comunit confessionale, quando sia pubblicato, se pu avere una determinata qualifica nellmbito dellordina mento confessionale in cui stato formato, suscettibile di essere valutato, come manifestazione del pensiero, dal punto di vista dellordinamento statuale, cio dal potere giurisdizionale . Per questo, codesta manifestazione potr avere un contenuto lecito, quando la pubblicazione non tocchi alcuno dei valori garantiti dalla Costituzione, un contenuto illecito, invece, ove cagioni una lesione di tali valori, in particolare quando siano tutelati penalmente. Cos , nel caso in cui la comunicazione abbia un contenuto ingiurioso o diffamatorio, sussistendo gli altri estremi di tali reati, il fatto sar punibile a norma degli artt. 594 e 595 cod. pen.. La libert e lautonomia riconosciuta dallo Stato alle confessioni religiose, sia in forza della Costituzione (art. 7 e 8), sia in base agli Accordi e alle Intese da questa previsti, importa che, nel rispetto dei limiti della legge penale, dei diritti fondamentali e del diritto di difesa, rientrino del tutto nella giurisdizione delle confessioni religiose i provvedimenti a carattere spirituale o disciplinare riguardanti il governo dei fedeli. Cos , lesclusione di uno degli appartenenti dalla comunit, deliberata in base allo statuto della confessione, ha efficacia senza che sia esperibile alcuna ingerenza dello Stato: si tratta di casi rispetto ai quali sussiste il difetto di giurisdizione dellautorit giudiziaria italiana.

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19. La libert religiosa e la tutela del sentimento religioso

Il codice penale del 1889 dettava norme specifiche per la tutela della libert religiosa, codice penale del 1930, mutando prospettiva, con gli artt. 402 - 406, punisce i delitti contro la religione dello Stato e i culti ammessi, considerati non come delitti contro la libert religiosa, bens come offese arrecate al sentimento religioso. Pur in questo mutamento di prospettiva del legislatore, non possibile negare che alcune di queste norme, oltre a proteggere con la sanzione penale il sentimento religioso, attuano una garanzia pi completa della libert rel igiosa, perch puniscono, come delitto dazione pubblica, il vilipendio pubblico di chi professi una religione o di un ministro di culto (art. 403, 406 cod. pen.), il vilipendio delle cose oggetto di culto, consacrate al culto o destinate necessariamente allesercizio di esso (art. 404, 406 cod. pen.) e il turbamento delle funzioni religiose (art. 405, 406 cod. pen.), ossia una serie di atti che possono mortificare, impedire o turbare lesercizio delle facolt promananti dal diritto di libert religiosa, e ci sebbene gli art. 594 e 595 puniscano lingiuria e la diffamazione, lart. 610 la violenza privata e gli art. 635 e 639 cod. pen. il danneggiamento, il deturpamento o limbrattamento delle cose altrui. Ci sembra dimostrare che la libert religiosa, di versamente dalle altre libert, garantita da norme penali apposite, che la tutelano ampiamente, mentre lesercizio delle altre libert, anchesse riconosciute dalla Costituzione, di regola, tutelato dalle norme penali generali poste a presidio della libert morale dei singoli, dellonorabilit della persona, ecc.. Unaltra manifestazione di libert che sia tutelata con norme penali speciali la libert del voto , ma questa libert attiene ai rapporti politici (art. 48 Cost.) e non allmbito dei rapporti civili, come la libert religiosa. Esclusa lammissibilit, per linsanabile contrasto con lart. 21 Cost., di qualsiasi norma penale che miri a garantire dalle offese - o come ha inteso la giurisprudenza, dalle critiche immotivate - questa o quella ideologia religiosa o tutte le ideologie religiose, la tutela penale specifica della libert qui considerata, attraverso la protezione delle cerimonie, dei fedeli, dei ministri e delle cose destinate al culto, non d luogo a problemi di legittimit costituzionale, ove sia rispettata luguaglianza di tutte le confessioni e di tutti i cittadini. Tali norme, infatti, potrebbero causare una disparit di trattamento sia tra le varie confessioni religiose, se mantenessero la differenziazione di cui al vigente art. 406 cod. pen., sia tra credenti e atei, qualora non prevedessero la tutela di questi ultimi dalle offese loro rivolte proprio per non essere credenti. Se sono delitti di azione pubblica le offese rivolte a chi professa una religione, non v motivo, una volta affermato che le norme penali de quibus mirano a tutelare la libert religiosa, per non riservare lo stesso trattamento agli atei, posto che la libert garantita dalla norma costituzionale in esame anche libert di non credere, meritevole dello stesso rispetto riservato alla libert di credere.

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19.1 La materia disciplinata dagli art. 402 - 406 cod. pen. stata messa in crisi dal n. 1 del Protocollo addizionale allAccordo del 1984 (l. n. 121 del 1985), che ha dichiarato non essere pi in vigore il principio secondo il quale la religione cattolica era la religione dello Stato. In termini logici, tale dichiarazione comporterebbe il venir meno della tutela dal vilipendio prevista dallart. 402 cod. pen. a favore dei principi dogmatici e rituali di tale religione, in quanto, per lappunto, religione dello Stato. Se non v pi una religione di Stato, venuto a mancare loggetto del reato delineato nellart. 402 cod. pen.. Tuttavia, non sempre la logica governa la formazione del diritto. Cos, la Corte costituzionale ha seguito un percorso oscillante. In particolare, con ordinanza 23 aprile 1987, n. 147, in vista dellentrata in vigore della nuova norma concordataria sopra citata, ha restituito gli atti al giudice a quo, affinch, alla luce della stessa, riconsiderasse la questione di legittimit costituzionale sollevata nei confronti dellart. 402 cod. pen.. Qualche tempo dopo, per, ha ritenuto infondata la questione di legittimit dellart. 724 cod. pen., che puniva la bestemmia pronunciata contro la divinit, i simboli o le persone venerate dalla religione dello Stato (una questione, sotto questaspetto delloggetto della tutela penale, analoga a quella dellart. 402). In proposito, la Corte, pur ritenendo non pi accettabile ogni tipo di discriminazione basata sul numero maggiore o minore di appartenenti alle varie confessioni religiose, ha ammesso che, con il citato n. 1 del Protocollo addizionale, venuto meno il significato originario dellespressione di religione dello Stato, perch, entro il contesto dellart. 724 cod. pen., tale espressione avrebbe assunto il diverso significato di religione cattolica, in quanto gi religione dello Stato. La Corte costituzionale ha avuto occasione di tornare a valutare la legittimit dellart. 724 cod. pen. in relazione agli art. 3 e 8, 1 comma, Cost. e, in parte modificando la sua precedente giurisprudenza, in parte per supplire linerzia del legislatore, pi volte sollecitato ad adeguare la norma penale in esame alla Costituzione, ne ha dichiarato la illegittimit costituzionale, manipolandone la formula, ossia cassando solo le parole o i Simboli o le Persone venerati nella religione dello Stato. La prima parte della formula, invece, rimasta in vigore, essendo conforme alla Costituzione, perch la punizione della bestemmia contro la Divinit in genere protegge gi da ora dalle invettive e dalle espressioni oltraggiose tutti i credenti e tutte le fedi religiose, senza distinzioni o discriminazioni, nellambito del concetto costituzionale di buon c ostume (artt. 19 e 21 Cost.).

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20. Gli enti confessionali e la Costituzione Secondo l art. 20 Cost. il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto duna associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, n di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacit giuridica e ogni forma di attivit. Questa disposizione vale a completare la tutela costituzionale del fenomeno sociale religioso. Essa, infatti, riguarda un aspetto peculiare del fenomeno stesso, diverso dagli aspetti considerati dagli art. 3, 1 comma, 7, 8 e 19 Cost.. Le disposizioni ora citate garantiscono luguaglianza dei cittadini, la posizione della Chiesa cattolica e delle altre confessioni religiose, la libert religiosa di tutti in ogni forma. La disposizione dellart. 20 Cost., invece, ha inteso garantire in modo particolare la facolt dei singoli e delle confessioni religiose di dare vita a enti esponenziali, ad associazioni e a istituzioni aventi carattere ecclesiastico e fine di religione o di culto. Questi enti non potranno essere discriminati in peius dal legislatore, rispetto ad associazioni ed istituzioni di diritto comune. Il riferimento al diritto comune esige una precisazione, perch, nel presente caso, lespressione diritto comune non sembra equivalere a quella di diritto privato. Infatti, il divieto dimporre agli enti in questione speciali limitazioni legislative o speciali gravami fiscali potrebbe far pensare che la Costituzione, al fine di garantire nel modo migliore gli enti stessi, abbia inteso privatizzare tali organismi, vedendo nel diritto privato, nel diritto comune, il terreno pi favorevole per la realizzazione della libert. La norma in esame, sotto questo profilo, verrebbe a porre termine allantica - e in gran parte superata - disputa sulla natura giuridica degli enti ecclesiastici o con fine di religione o di culto, contribuendo ad escludere che possano essere inquadrati fra gli enti pubblici, sia pure intendendo codesta pubblicit in un senso tutto speciale, come talora ha creduto di poter fare la dottrina. Se cos fosse, potrebbero sembrare in contrasto con la norma costituzionale qui considerata sia tutte quelle disposizioni che riservassero agli enti de quibus un trattamento simile a quello previsto per gli enti qualificabili come pubblici, sia le tesi che ritengono applicabili agli enti qui considerati talune norme dettate per gli enti pubblici. Peraltro, la realt dellordinamento molto pi varia della problema tica antitesi tra diritto pubblico e diritto privato, onde se, in linea di principio, la norma costituzionale qui esaminata pu contribuire allaccostamento degli enti ecclesiastici o confine di religione o di culto agli enti privati, non pu produrre, in sede dogmatica, conseguenze ulteriori. Essa, in particolare, non vale ad escludere che la legge possa attribuire a tali enti una posizione, per qualche aspetto, simile a quella degli enti pubblici, n che norme dettate per questi possano risultare applicabili agli enti ecclesiastici o, comunque, confessionali. Sempre che da ci non derivino, a carico degli enti stessi, limitazioni o gravami fiscali, di carattere speciale, ossia diversi, per maggior intensit delle une o maggior peso degli altri, dalle limitazioni e dai gravami posti dalla legge a carico di quegli enti pubblici con i quali sarebbe possibile effettuare la comparazione. La norma dellart. 20 Cost., perci, mentre pone con sicurezza il divieto di discriminare in peggio gli enti ecclesiastici e quelli con fine di religione o di culto, lascia impregiudicato il parametro di comparazione, perch non stabilisce che questo vada sic et simpliciter identificato nel trattamento fatto dalla legge agli enti privati, restando, in conseguenza, libera la possibilit che il raffronto sia istituito con il trattamento riservato a quegli enti pubblici cui - in ipotesi potrebbero essere accostati gli enti garantiti dalla Costituzione. Questa garanzia avrebbe potuto - e potrebbe - essere desunta anche dagli artt. 7, 8 e 19 Cost., che proteggono la libert religiosa sotto ogni aspetto, e dal principio duguaglianza di cui allart. 3 cpv.. 124

21. Gli enti garantiti dallart. 20 della Costituzione e contenuto della garanzia: il riconoscimento della personalit giuri dica

Lart. 20 Cost. testimonia uno degli aspetti pi moderni e originali dellattuale assetto costituzionale ed, in quanto dettata dalla vigente Costituzione, sinserisce e vive nellordinamento giuridico, nel quale produce vari effetti. Essa tutela le associazioni e istituzioni aventi carattere ecclesiastico e fine di religione o di culto. Secondo la dottrina, questa garanzia riguarda gli enti cui possono dar vita indistintamente tutte le confessioni religiose. Occorre, per, specificare che la formula carattere ecclesiastico, secondo luso che si fatto del predicato ecclesiastico nelle leggi sino al 1983, sembra riferirsi in modo esclusivo agli enti della Chiesa cattolica, laddove gli enti espressi dalle confessioni diverse dalla cattolica o creati dagli appartenenti ad esse sono garantiti in quanto rientrino fra quelli con fine di religione o di culto. Questa distinzione venuta ad appannarsi dopo le Intese fra lo Stato e la Tavola valdese, gli enti ecclesiastici avventisti, gli enti ecclesiastici dellordinamento battista e gli enti ecclesiastici luterani. Data tale diffusione dellecclesiasticit, la dottrina ritiene che il carattere ecclesiastico, ormai, si riferisca non solo agli enti collegati con la Chiesa cattolica, ma anche agli enti delle altre confessioni. Peraltro, necessario avvertire che, data la formula adottata dal legislatore costituente, la norma dellart. 20 garantisce non tutti indiscriminatamente gli enti confessionali, bens solo quelli di essi che perseguano un fine di religione o di culto. La disposizione concerne associazioni ed enti, sia che abbiano, sia che non abbiano ottenuto il riconoscimento della personalit giuridica . Non pensabile che essa tuteli solo associazioni e istituzioni riconosciute, perch, fra laltro, la norma in esame, vietando che siano poste speciali limitazioni legislative o speciali gravami fiscali per la costituzione e la capacit giuridica delle organizzazioni garantite, sembra ovvio che protegga anche il momento della formazione dellorganismo e dellacquisto della personalit giuridica e, perci, riguardi pur gli enti solo di fatto, il loro primo inizio e laccoglimento dellistanza di riconoscimento della personalit giuridica. In conseguenza, la legislazione in materia di enti confessionali, nella parte in cui sia meno favorevole a quella di diritto comune, illegittima, perch in contrasto con la norma costituzionale dellart. 20.

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22. Garanzie costituzionali in tema di amministrazione degli enti La rilevanza dellart. 20 Cost. risulta evidente ove si consideri che la materia dell amministrazione degli enti ecclesiastici o con fine di religione o di culto , essendo tali enti collegati con le confessioni religiose, influisce sulla misura della libert religiosa di cui queste possono godere in pratica. Riguardo agli enti in questione, per, occorre tener presente che linteresse al pratico estrinsecarsi della libert di questi trova un ostacolo nella tradizione giurisdizionalista dellordinamento italiano, che solo in anni recenti venuta attenuandosi, nonch dal persistere di unestesa vigilanza e tutela governativa sugli istituti delle confessioni religiose di minoranza diverse dalle confessioni religiose che abbiano stipulato intese con lo Stato. LAccordo del 18 febbraio 1984 fra lItalia e la Santa Sede aveva conservato sugli enti ecclesiastici il controllo statale degli acquisti (art. 7.5 Accordo), ai quali si applica(va)no le disposizioni delle leggi civili relative alle persone giuridiche, ossia le norme degli art. 17, 473, 600 e 782 cod. civ. e 5 - 7 disp. att. cod. civ.. Era cos assicurata la parit di trattamento fra gli enti della Chiesa cattolica e le persone giuridiche private, conformemente allart. 20 Cost.. Ma con le riforme avviate nellamministrazione pubblica tutte le norme sul controllo degli acquisti degli enti sono state abrogate. Sicch tale settore dellattivit delle persone giuridiche civili e confessionali stato liberalizzato. Nei confronti degli enti ecclesiastici, gi congruati o congruabili, secondo lart. 30, 3 comma, del Concordato del 1929, venendo a cessare lerogazione del supplemento di congrua da parte dello Stato, cessato con il 1 gennaio 1986 il controllo sugli atti eccedenti lordinaria amministrazione. Anche sotto tale aspetto la normativa concordataria, abrogando le antiche disposizioni, si allinea con le previsioni dellart. 20 Cost. Peraltro, codesta nonna costituzionale esclude la legittimit costituzionale del controllo per lalienazione dei beni e, in genere, per gli atti eccedenti lordinaria amministrazione, di cui allart. 2, 2 comma, della l: n. 1159 del 1929 e agli art. 18 - 19 del r.d. n. 289 del 1930, esercitato sugli atti compiuti dagli enti espressi dalle confessioni diverse dalla cattolica e appartenenti alla categoria delle associazioni. Infatti, per le associazioni riconosciute, il codice civile non prevede che abbia luogo tale forma di controllo, onde sarebbe illegittimo lesercizio di esso nei confronti delle associazioni collegate con confessioni diverse dalla cattolica riconosciute e le disposizioni da ultimo menzionate, ove esprimessero una norma che consentisse su questi enti un controllo del genere, sarebbero incostituzionali. Un criterio in parte analogo vale per lesercizio dei poteri previsti dagli art. 13, 14 e 15 r.d. n: 289 del 1930 sugli istituti dei culti di minoranza. Tali norme poich non superano lo standard dellart. 25 cod. civ., sono legittime per ci che concerne le fondazioni, mentre sono illegittime, per contrasto con la norma in esame, qualora si ritenga che siano applicabili anche alle associazioni. Lart. 2, comma 3, l. n. 1159 del 1929 e lart. 13 del r.d. n. 289 del 1930 prevedono che, per gli enti delle confessioni diverse dalla cattolica, 1autorit governativa, nel decreto di attribuzione della personalit giuridica, possa introdurre norme speciali per lesercizio della vigilanza e del controllo da parte dello Stato. Tali disposizioni, che non hanno alcun confronto nelle norme di legge disciplinanti le persone giuridiche di diritto comune, sembrano in contrasto con la norma dellart. 20 Cost.. Questa, in ogni caso, importa che, nel decreto governativo di riconoscimento, non possano essere inserite prescrizioni diverse da quelle che la prassi usa inserire nei provvedimenti di riconoscimento delle persone giuridiche disciplinate dagli art. 14 - 35 cod. civ.. Una prescrizione limitatrice, dettata proprio in vista del carattere religioso o di culto dellente, sarebbe illegittima. 126

23. Garanzie costituzionali in tema di capacit contributiva

II divieto dellapprovazione di speciali gravami fiscali, che colpiscano gli enti in questione, d luogo a due diversi problemi: uno di carattere sistematico, circa il rapporto fra la disposizione dellart. 20 Cost. e le altre norme costituzionali riguardanti la materia dei tributi, laltro dordine esegetico, circa gli effetti giuridici del divieto stesso. Per quanto riguarda la prima delle questioni, il Finocchiaro ritiene esatta lopinione che la norma in esame, per ci che concerne il profilo fiscale, lapplicazione al caso particolare degli enti ecclesiastici e con fine di religione o di culto del principio della capacit contributiva fissato dallart. 53 Cost.: la situazione economica degli enti de quibus, e perci la capacit contributiva di essi, non influenzata dalla qualificazione o dai fini confessionali. A proposito degli effetti giuridici della norma qui considerata, si ricorda che essa esclude che possa essere introdotto un qualsiasi tributo speciale a carico dei beni degli enti stessi. Invece, la norma stessa non impedisce che lo Stato possa, con legge, che sia esecutiva di un accordo con la Santa Sede o di unintesa con una o pi confessioni, attribuire efficacia civile a un tributo introdotto dalla autorit religios a sugli appartenenti alla propria confessione o sugli enti a questa collegati . La garanzia costituzionale, infatti, protegge le associazioni e le istituzioni ecclesiastiche o con fine di religione o di culto da speciali gravami fiscali imposti dallo Stato per incrementare le proprie entrate, quale che poi sia la destinazione ultima di esse, mentre non vieta che le confessioni religiose, avvalendosi dellautonomia organizzativa di cui agli art. 7, 1 comma, e 8, 2 comma, Cost., possano conseguire il contributo finanziario dei propri aderenti e degli enti ad esse collegati e che, per lattuazione di tale interesse, ottengano lassistenza dello Stato. Risulta, perci, conforme alla norma dellart. 20 Cost. il sistema di finanziamento della Chiesa cattolica, che andato a regime nel 1990, previsto dagli art. 46 e 47 delle l. n. 206 e 222 del 1985.

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