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Appunti di Analisi matematica 1

Paolo Acquistapace
7 ottobre 2013
Indice
1 Numeri 4
1.1 Alfabeto greco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4
1.2 Insiemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4
1.3 Funzioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9
1.4 Il sistema dei numeri reali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12
1.5 Assioma di completezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16
1.6 Numeri naturali, interi, razionali . . . . . . . . . . . . . . . . . 24
1.7 La formula del binomio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34
1.8 Radici n-sime . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46
1.9 Valore assoluto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53
1.10 La funzione esponenziale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57
1.11 Geometria nel piano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70
1.12 Numeri complessi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 90
2 Successioni 123
2.1 Limiti di successioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 123
2.2 Serie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 135
2.3 Successioni monotone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 140
2.4 Criteri di convergenza per le serie . . . . . . . . . . . . . . . . 150
2.5 Convergenza assoluta e non . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 159
2.6 Successioni di Cauchy . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 168
2.7 Serie di potenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 171
2.8 Riordinamento dei termini di una serie . . . . . . . . . . . . . 186
2.9 Moltiplicazione di serie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 195
3 Funzioni 200
3.1 Spazi euclidei R
m
e C
m
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 200
3.2 Funzioni reali di m variabili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 215
2
3.3 Limiti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 223
3.4 Propriet` a delle funzioni continue . . . . . . . . . . . . . . . . . 239
3.5 Asintoti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 251
4 Calcolo dierenziale 253
4.1 La derivata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 253
4.2 Derivate parziali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 269
4.3 Propriet` a delle funzioni derivabili . . . . . . . . . . . . . . . . 280
4.4 Condizioni sucienti per la dierenziabilit` a . . . . . . . . . . 290
4.5 Dierenziabilit` a di funzioni composte . . . . . . . . . . . . . . 293
4.6 Derivate successive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 298
4.7 Confronto di innitesimi e inniti . . . . . . . . . . . . . . . . 304
4.8 Formula di Taylor . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 313
4.9 Massimi e minimi relativi per funzioni di una variabile . . . . 326
4.10 Forme quadratiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 338
4.11 Massimi e minimi relativi per funzioni di pi` u variabili . . . . . 344
4.12 Convessit` a . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 350
5 Calcolo integrale 360
5.1 Lintegrale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 360
5.2 Propriet` a dellintegrale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 369
5.3 Alcune classi di funzioni integrabili . . . . . . . . . . . . . . . 375
5.4 Il teorema fondamentale del calcolo integrale . . . . . . . . . . 382
5.5 Metodi di integrazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 388
5.6 Integrazione delle funzioni razionali . . . . . . . . . . . . . . . 398
5.7 Formula di Stirling . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 417
5.8 Integrali impropri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 421
6 Equazioni dierenziali 432
6.1 Generalit` a . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 432
6.2 Alcuni tipi di equazioni del primo ordine . . . . . . . . . . . . 446
6.3 Analisi qualitativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 453
6.4 Equazioni lineari del secondo ordine . . . . . . . . . . . . . . . 469
Indice analitico 476
3
Capitolo 1
Numeri
1.1 Alfabeto greco
Un ingrediente indispensabile per lo studente che aronta un corso di analisi
matematica `e la conoscenza dellalfabeto greco, di cui verranno usate a vario
titolo gran parte delle lettere (minuscole e maiuscole). Eccolo:
alfa A iota I ro P
beta B cappa K sigma
gamma lambda tau T
delta mu (mi) M iupsilon Y
epsilon E nu (ni) N
zeta Z csi chi X
eta H omicron o O psi
teta pi omega
Esercizi 1.1
1. Scrivere il proprio nome e cognome in lettere greche.
1.2 Insiemi
Il concetto di insieme `e un concetto primitivo, che quindi non pu`o essere de-
nito se non ricorrendo a circoli viziosi; comunque in modo vago ma ecace
possiamo dire che un insieme `e una collezione di elementi. Indicheremo gli
insiemi con lettere maiuscole A, B, . . . e gli elementi di un insieme con lettere
4
minuscole a, b, x, t, . . . .
Per evitare paradossi logici, `e bene parlare di insiemi solo dopo aver ssato
un insieme universo X, che `e lambiente dentro al quale lavoriamo, e con-
siderarne i vari sottoinsiemi (cio`e gli insiemi A contenuti in X). La scelta
dellambiente X va fatta di volta in volta e sar` a comunque chiara dal conte-
sto.
Come si descrive un insieme? Se esso `e nito (ossia ha un numero ni-
to di elementi), e questi elementi sono pochi, la descrizione pu`o avvenire
semplicemente elencandoli; ma se linsieme ha molti elementi, o ne ha ad-
dirittura una quantit` a innita (si dice allora che linsieme `e innito), esso si
pu` o descrivere individuando una propriet`a p(x) che gli elementi x delluni-
verso X possono possedere o no, e che caratterizza linsieme che interessa.
Per esempio, linsieme
A = 1, 2, 3, 4, 6, 12
`e altrettanto bene descritto dalla propriet` a
p(x) = x `e divisore di 12,
la quale, allinterno dei numeri naturali (che in questo caso costituiscono il
nostro universo), contraddistingue esattamente gli elementi dellinsieme A.
Introduciamo alcuni simboli che useremo costantemente nel seguito.
x A signica: x appartiene ad A, ovvero x `e un elemento di A.
A B, B A signicano: A `e contenuto in B, ovvero B contiene
A, ovvero ogni elemento di A `e anche elemento di B, o anche A `e
sottoinsieme di B.
A = B signica: A coincide con B, ovvero A e B hanno gli stessi
elementi, ovvero A B e B A.
A B, B A signicano: A `e strettamente contenuto in B, ovvero A
`e sottoinsieme proprio di B, ovvero ogni elemento di A `e elemento di
B ma esiste almeno un elemento di B che non `e elemento di A, ovvero
A B ma A non coincide con B.
Per negare le propriet` a precedenti si mette una sbarretta sul simbolo corri-
spondente: ad esempio, x / A signica che x non appartiene allinsieme A,
A ,= B signica che gli insiemi A e B non hanno gli stessi elementi (e dunque
5
vi `e almeno un elemento che sta in A ma non in B, oppure che sta in B ma
non in A), eccetera.
Sia X un insieme e siano A, B sottoinsiemi di X. Deniamo:
AB = unione di A e B, ossia linsieme degli x X che appartengono
ad A oppure a B (oppure ad entrambi).
A B = intersezione di A e B, ossia linsieme degli x X che
appartengono sia ad A che a B.
A B = dierenza fra A e B, ossia linsieme degli x X che apparten-
gono ad A, ma non a B.
A
c
= X A = complementare di A in X, ossia linsieme degli x X
che non appartengono ad A.
= insieme vuoto, ossia lunico insieme privo di elementi.
Si noti che A B = B A, A B =
BA, ma in generale AB ,= BA. Se
A B = , gli insiemi A e B si dicono
disgiunti.
Vi sono altre importanti propriet`a degli insiemi e delle operazioni su di es-
si, di cui non ci occupiamo qui: ne parleremo di volta in volta quando ci
occorreranno. Introduciamo ora alcuni insiemi importanti:
N = insieme dei numeri naturali = 0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, . . ..
N
+
= insieme dei numeri naturali diversi da 0 = 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, . . ..
Z = insieme dei numeri interi = 0, 1, 1, 2, 2, 3, 3, 4, 4, . . ..
6
Q = insieme dei numeri razionali, cio`e di tutte le frazioni
p
q
con p Z,
q N
+
.
R = insieme dei numeri reali: su questo insieme ci soermeremo a
lungo; esso contiene Q, ma anche numeri irrazionali come , e,

2,

3.
C = insieme dei numeri complessi, cio`e i numeri della forma a + ib,
con a, b R; la quantit` a i si chiama unit`a immaginaria e verica
luguaglianza i
2
= 1: essa non `e un numero reale. Anche su questo
insieme avremo molto da dire.
Notiamo che valgono le inclusioni proprie
N
+
N Z Q R C.
Nelle nostre formule useremo alcuni altri simboli che sono delle vere e proprie
abbreviazioni stenograche, e che andiamo ad elencare.
Il simbolo signica per ogni: dunque dire che x B x A
equivale a dichiarare che ogni elemento di A sta anche in B, cio`e che
A B.
Il simbolo signica esiste almeno un: dunque aermare che x
A tale che x B vuol dire che c`e almeno un elemento di A che sta
anche in B, ossia che A B non `e vuoto. i due simboli , vengono
detti quanticatori esistenziali.
Il simbolo ! signica esiste un unico: dunque la frase ! x A
tale che x B indica che c`e uno ed un solo elemento di A che sta in
B, ossia che A B `e costituito da un solo elemento.
Il simbolo : signica tale che: dunque lenunciato ! x A : x
B ha lo stesso signicato dellaermazione del punto precedente.
Il simbolo = signica implica: quindi la frase x A = x B
vuol dire che se x A allora x B, ossia che A B. Useremo anche il
simbolo contrario = per indicare unimplicazione nel verso opposto:
con la frase x A = x B intendiamo dire che se x B allora
x A, ossia che B A.
7
Il simbolo signica se e solo se: si tratta della doppia implica-
zione, la quale ci dice che i due enunciati a confronto sono equivalenti.
Ad esempio la frase x A x B indica che A = B.
Nel nostro corso non ci occuperemo di questioni di logica formale e non
parleremo di predicati, proposizioni, variabili, tabelle di verit`a, eccetera; cer-
cheremo di ragionare secondo il nostro buon senso, anato (si spera) dalle
passate esperienze scolastiche, rimandando al corso di logica la sistemazione
rigorosa di questi aspetti. Ci limitiamo ad osservare che la pulizia formale `e
sempre fondamentale, ma non determinante al ne di dire cose giuste: laf-
fermazione di poco sopra x A : x B `e formalmente perfetta ma, se
ad esempio
A = n N : n 5, B = n N : n
2
> 25,
essa risulta inequivocabilmente falsa.
Come si fa a negare unaermazione della forma x A y B : x = y?
Dobbiamo formulare lesatto contrario dellenunciato precedente: dunque, a
lume di naso, ci sar`a almeno un x A per il quale, comunque si scelga y B,
risulter` a sempre x ,= y; e dunque, x A : x ,= y y B. Si noti come i
quanticatori e si siano scambiati di posto.
Unaltra importante operazione fra due insiemi X, Y `e il prodotto cartesiano
X Y : esso `e denito come linsieme di tutte le coppie (x, y) con x X e
y Y . Pu`o anche succedere che Y = X, ed in tal caso scriveremo spesso
X
2
in luogo di X X; in questo caso si noti che entrambe le coppie (x, y) e
(y, x) appartengono allinsieme X
2
, e che esse sono diverse luna dallaltra.
Esercizi 1.2
1. Sia A R. Scrivere la negazione delle seguenti aermazioni:
(i) y R : x < y x A,
(ii) x A y A : x < y,
(iii) y, z R : y < x < z x A,
(iv) x A y, z A : y < x < z.
2. Elencare gli elementi di ciascuno dei seguenti insiemi:
A =
_
k Z :
1
k
Z
_
;
8
B = k Z : h Z : k = 6h;
C = n N : m N : m 10, n = 6m;
D =
_
n N :
1
n+2
N
_
;
E = n N : m N : n = 3
m
;
F = n N : n + m > 25 m N.
3. Dimostrare che
_
x R :
x
2
5x + 6
x
2
3x + 2
> 0
_
=] , 1[[3, +[.
4. Sono vere le seguenti aermazioni?
(i) 1 x R : x
2
< 1, (ii) 0 x R : x
2
< 1,
(iii) 1 x R : x
2
= 1, (iv) 2 x R : x
2
4.
5. Disegnare i seguenti sottoinsiemi di R
2
:
A = (x, y) R
2
: y = 2x,
B = (y, x) R
2
: y = 2x,
C = (x, y) R
2
: x = 2y.
6. Siano A, B, C, D sottoinsiemi di un insieme X. Provare le seguenti
relazioni (formule di de Morgan):
(i) (A B) C = (A C) (B C),
(ii) (A B) C = (A C) (B C),
(iii) (A B) (C D) = (A C) (B D),
(iv) (A B) (C D) (A C) (B D),
(v) (A B) C = (A C) (B C),
(vi) (A B) C = (A C) (B C).
1.3 Funzioni
Uno dei concetti pi` u importanti della matematica, e non solo dellanalisi, `e
quello di funzione. Una funzione f `e una corrispondenza (di qualunque na-
tura) fra due insiemi X e Y , con lunica regola di associare ad ogni elemento
9
x di X uno e un solo elemento di Y , che viene indicato con f(x). Si suole
scrivere f : X Y (si legge f da X in Y ) e si dice che f `e denita
su X, a valori in Y . Linsieme X `e il dominio di f, mentre limmagine, o
codominio, di f `e il sottoinsieme f(X) di Y costituito da tutti i punti di Y
che sono immagini mediante f di punti di X, cio`e sono della forma f(x)
per qualche x X. Pu`o benissimo capitare che uno stesso y sia immagine
di diversi punti di X, ossia che si abbia y = f(x) = f(x

) per x, x

X e
x ,= x

; quello che non pu` o succedere `e che ad un x X vengano associati


due distinti elementi di Y , cio`e che risulti f(x) = y e f(x) = y

con y ,= y

.
Esempi di funzioni appaiono dappertutto: a ciascun membro dellinsieme S
degli studenti che sostengono un esame si pu` o associare il relativo voto: que-
sta `e una funzione S N. Ad ogni capoluogo dItalia si possono associare le
temperature minima e massima di una data giornata: questa `e una funzione
dallinsieme C delle citt`a capoluogo italiane nel prodotto cartesiano Z
2
. Ad
ogni corridore che porta a termine una data corsa ciclistica si pu`o associare
il tempo impiegato, misurato ad esempio in secondi: avremo una funzione a
valori in R (se teniamo conto dei decimi, centesimi, millesimi, eccetera).
Il graco di una funzione
f : X Y `e il sottoin-
sieme del prodotto carte-
siano X Y costituito da
tutte le coppie della forma
(x, f(x)), cio`e da tutte e
sole le coppie (x, y) X
Y che risolvono lequazione
y = f(x).
Le funzioni si possono comporre: se f : X Y e g : Y Z sono fun-
zioni, ha senso considerare la funzione composta g f : X Z, denita da
g f(x) = g(f(x)) per ogni x X. Naturalmente, anche la composizione
abbia senso, occorre che il codominio di f sia contenuto nel dominio di g.
Una funzione si dice iniettiva se a punti distinti vengono associate immagini
distinte, ovvero se
f(x) = f(x

) = x = x

.
Una funzione si dice surgettiva se si ha f(X) = Y , cio`e se ogni y Y `e
immagine di almeno un x X.
Una funzione si dice bigettiva, o invertibile, o biunivoca, se `e sia iniettiva che
10
surgettiva: in tal caso, per ogni y Y vi `e un unico x X tale che f(x) = y.
In questo caso `e denita la funzione inversa f
1
(si legge f alla meno uno);
f
1
`e denita su Y , a valori in X, e ad ogni y Y associa quellunico x per
cui f(x) = y. Si dice allora che f denisce una corrispondenza biunivoca fra
gli insiemi X e Y . In particolare, se f `e bigettiva si ha f
1
(f(x)) = x per
ogni x X ed anche f(f
1
(y)) = y per ogni y Y : in altre parole, risulta
f
1
f = I
X
, f f
1
= I
Y
, avendo indicato con I
X
e I
Y
le funzioni identit`a
su X e su Y , denite da I
X
(x) = x per ogni x X e I
Y
(y) = y per ogni y Y .
Osservazione 1.3.1 Se f : X X `e
una funzione invertibile e f
1
: X X
`e la sua funzione inversa, le equazioni
y = f(x) e x = f
1
(y) sono equivalenti
e descrivono entrambe il graco di f.
Invece, scambiando fra loro le variabi-
li x, y (ossia eettuando una simmetria
rispetto alla retta y = x nel piano car-
tesiano X X), la seconda equazione
diventa y = f
1
(x) e descrive il graco
di f
1
, il quale `e dunque il simmetrico
del graco di f rispetto alla bisettrice
del primo quadrante.
Si noti che `e sempre possibile supporre che una data funzione f : X Y
sia surgettiva: basta pensarla come funzione da X in f(X). Il problema `e
che nei casi concreti `e spesso dicile, e talvolta impossibile, caratterizzare il
sottoinsieme f(X) di Y .
Vedremo innumerevoli esempi di funzioni e di graci nel seguito del corso.
Esercizi 1.3
1. Posto f : R R, f(x) = 3x 1, e g : R R, g(t) = t
2
, scrivere
esplicitamente le funzioni composte
g f(x) = g(f(x)), x R, f g(t) = f(g(t)), t R.
2. Quali di queste funzioni a valori in R sono iniettive, quali surgettive e
11
quali invertibili?
(i) f(x) = 1/x, x R 0; (ii) f(x) = x
3
x, x R;
(iii) f(x) =
1
x
2
+1
, x R; (iv) f(k) = (1)
k
, k Z;
(v) f(s) = s
2
, s R; (vi) f(x) =
_
x
2
se x 0
x
2
se x < 0.
3. Sia f(x) = 2x 1, x R. Tracciare il graco delle seguenti funzioni:
(i) f(x); (ii) f(x);
(iii) maxf(x), f(x); (iv) f(f(x));
(v)
f(x)f(x)
2
; (vi)
f(x)+f(x)
2
;
(vii) minf(x), 0; (viii) maxf(x), 0.
1.4 Il sistema dei numeri reali
Denire in modo rigoroso che cosa siano i numeri reali `e un compito tuttaltro
che elementare anche per un matematico di professione: non `e il caso quindi
di addentrarsi in questa problematica allinizio di un corso di analisi. Ma
anche senza avere pretese fondazionali, per lavorare coi numeri reali occorre
conoscerne le propriet` a, e riettere per un momento sul signicato dei simboli
e delle formule che siamo abituati a manipolare pi` u o meno meccanicamente
n dalle scuole elementari.
Le propriet`a dei numeri reali si possono classicare in tre gruppi:
(a) propriet`a algebriche, riguardanti le operazioni che si possono eseguire tra
numeri reali;
(b) propriet`a di ordinamento, relative alla possibilit` a di confrontare tra loro
i numeri reali per identicarne il maggiore;
(c) propriet`a di continuit`a, pi` u profonde e nascoste, legate allidea che devo-
no esistere abbastanza numeri per rappresentare grandezze che va-
riano con continuit`a, quali il tempo o la posizione di un punto su una
retta.
12
Tutte queste propriet` a caratterizzano il sistema R dei numeri reali, nel senso
che esse si possono assumere come assiomi che deniscono ed individuano in
modo unico il sistema R. Noi non entreremo in questa questione, limitandoci
pi` u modestamente a mettere in rilievo il fatto che le propriet` a (a) e (b) sono
alla base di tutte le regole di calcolo che abbiamo imparato ad usare n
dallinfanzia.
Propriet`a algebriche
Nellinsieme R sono denite due operazioni, laddizione e la moltiplicazione,
le quali associano ad ogni coppia a, b di numeri reali la loro somma, che
indichiamo con a+b, e il loro prodotto, che indichiamo con a b od anche con
ab. Valgono le seguenti propriet`a:
1. associativit`a: a + (b + c) = (a + b) + c, a(bc) = (ab)c per ogni a, b, c R;
2. commutativit`a: a + b = b + a, ab = ba per ogni a, b R;
3. distributivit`a: a(b + c) = ab + ac per ogni a, b, c R;
4. esistenza degli elementi neutri: esistono (unici) due numeri reali distinti,
che indichiamo con 0 e 1, tali che a + 0 = a, a 1 = a per ogni a R;
5. esistenza degli opposti: per ogni a R esiste un (unico) b R tale che
a + b = 0, e tale numero b, detto opposto di a, si indica con a;
6. esistenza dei reciproci: per ogni a R 0 esiste un (unico) b R tale
che ab = 1; tale numero b si dice reciproco di a e si indica con
1
a
od
anche con a
1
.
Dalle propriet` a precedenti seguono facilmente tutte le regole usuali dellalge-
bra elementare, quali:
il fatto che a 0 = 0 per ogni a R;
la semplicazione per laddizione: se a + b = a + c, allora b = c;
la semplicazione per la moltiplicazione: se ab = ac e a ,= 0, allora
b = c;
13
la denizione di sottrazione: per ogni a, b R esiste un unico c R
tale che a + c = b, e tale numero c, detto dierenza fra b e a, si indica
con b a;
la denizione di divisione: per ogni a, b R con a ,= 0 esiste un unico
c R tale che ac = b, e tale numero c, detto quoziente, si indica con
b
a
;
la legge di annullamento del prodotto: se ab = 0 allora deve essere a = 0
oppure b = 0 (oppure entrambi).
Provate a dimostrare gli enunciati precedenti utilizzando gli assiomi 1-6!
Propriet`a di ordinamento
Nellinsieme dei numeri reali esiste un sottoinsieme P, i cui elementi sono
detti numeri positivi, dotato delle propriet` a seguenti:
7. se a, b sono numeri positivi, anche a + b e ab sono positivi;
8. per ogni a R vale una e una sola di queste tre possibilit`a: a `e positivo,
oppure a `e positivo, oppure a = 0.
Si noti che, per lassioma 8, il numero reale 0 non pu`o essere positivo. I
numeri diversi da 0 e non positivi si dicono negativi: dunque un numero
reale a `e negativo se e solo se a `e positivo. Si scrive a > 0 quando a `e
positivo, e b > a (o equivalentemente a < b) quando b a `e positivo, cio`e
b a > 0; in particolare, x < 0 signica x > 0, cio`e x negativo. Si scrive
poi a 0 quando a `e positivo o uguale a 0, e b a (o equivalentemente
a b) quando b a 0. Si osservi che
a b e a b a = b.
Dagli assiomi 7-8 discendono i seguenti altri fatti (esercizi 1.4.2 e 1.4.3).
Il prodotto di due numeri negativi `e positivo; in particolare, se x `e
un numero reale diverso da 0, il suo quadrato, ossia il numero reale x
2
denito come x x, `e sempre positivo:
x
2
= x x > 0 x R 0.
Il numero 1 `e positivo (e quindi N
+
P).
14
Inoltre si deducono facilmente tutte le usuali regole di calcolo con le disugua-
glianze: invitiamo il lettore a farlo.
Introduciamo adesso alcuni speciali sottoinsiemi di R deniti mediante lor-
dinamento: gli intervalli. Se a, b R ed a b, poniamo:
[a, b] = x R : a x b = intervallo chiuso di estremi a, b;
]a, b[ = x R : a < x < b = intervallo aperto di estremi a, b;
[a, b[ = x R : a x < b = intervallo semiaperto a destra di estremi
a, b;
]a, b] = x R : a < x b = intervallo semiaperto a sinistra di
estremi a, b;
] , b] = x R : x b = semiretta chiusa di secondo estremo b;
] , b[ = x R : x < b = semiretta aperta di secondo estremo b;
[a, +[ = x R : a x = semiretta chiusa di primo estremo a;
]a, +[ = x R : a < x = semiretta aperta di primo estremo a;
] , +[ = R = retta reale.
(I simboli e + si leggono pi` u innito, meno innito e non
sono numeri reali.)
Esercizi 1.4
1. Provare che se u `e un elemento di R tale che a u = u, ove a `e un ssato
numero reale diverso da 1, allora u = 0.
2. Provare che il prodotto di due numeri negativi `e positivo.
3. Provare che 1 `e un numero positivo.
4. Sia a b. Dimostrare che se c 0 allora ac bc, mentre se c < 0 si
ha ac bc.
15
1.5 Assioma di completezza
Le propriet` a 1-8 sin qui viste non sono prerogativa esclusiva di R, dato che
sono ugualmente vere nellinsieme dei numeri razionali Q. Ci` o che davvero
caratterizza R `e la propriet`a di continuit`a, che si esprime con il corrispon-
dente assioma di continuit`a, detto anche assioma di completezza. Prima di
enunciarlo in una delle sue numerose formulazioni equivalenti, conviene dare
alcune denizioni.
Denizione 1.5.1 Sia A R. Diciamo che A `e limitato superiormente
se esiste m R tale che m a per ogni a A. Tale numero m si dice
maggiorante dellinsieme A.
Denizione 1.5.2 Sia A R. Diciamo che A `e limitato inferiormente se
esiste R tale che a per ogni a A. Tale numero si dice minorante
dellinsieme A.
Denizione 1.5.3 Sia A R. Diciamo che A `e limitato se `e sia limitato
superiormente, sia limitato inferiormente.
`
E chiaro che se A `e limitato superiormente e m `e un maggiorante di A, allora
ogni numero reale x m `e ancora un maggiorante di A; analogamente, se
A `e limitato inferiormente e `e un minorante di A, allora ogni numero reale
x `e ancora un minorante di A.
Ad esempio, se A = [0, 1] linsieme dei minoranti di A `e la semiretta ] , 0]
mentre linsieme dei maggioranti di A `e la semiretta [1, +[. Se A =]0, 1[,
oppure [0, 1[, oppure ]0, 1], succede esattamente lo stesso. Invece, se A =
[0, +[, allora A non ha maggioranti, mentre sono minoranti di A tutti i
numeri non positivi.
Denizione 1.5.4 Sia A R un insieme limitato superiormente. Diciamo
che A ha massimo m se:
(i) m `e un maggiorante di A,
(ii) m A.
In tal caso, si scrive m = max A.
Denizione 1.5.5 Sia A R un insieme limitato inferiormente. Diciamo
che A ha minimo se:
16
(i) `e un minorante di A,
(ii) A.
In tal caso, si scrive = min A.
Non `e detto che un insieme limitato superiormente abbia massimo: per esem-
pio, [0, 1[ non ha massimo, perche esso `e disgiunto dallinsieme dei suoi mag-
gioranti. Analogamente, non `e detto che un insieme limitato inferiormente
abbia minimo. Notiamo anche che se A ha massimo, allora max A `e il mini-
mo dellinsieme dei maggioranti di A, e che se A ha minimo, allora min A `e
il massimo dellinsieme dei minoranti di A.
Denizione 1.5.6 Due sottoinsiemi non vuoti A, B R si dicono separati
se si ha
a b a A, b B.
Esempi 1.5.7 Sono coppie di insiemi separati:
] , 0], [0, [; ] , 0], ]0, [; ] , 0[, ]0, [;
[0, 1[, [2, 3]; [2, 1], N; 0, 3; 0, 0.
Sono coppie di insiemi non separati:
1/2, Z; Q, RQ; [0, 2], [1, 3]; x R : x
2
< 2, x R : x
2
> 2.
Osserviamo inoltre che:
se A, B sono insiemi separati, allora ogni elemento b B `e un maggio-
rante di A e ogni elemento a A `e un minorante di B;
se A `e non vuoto e limitato superiormente, e se M `e linsieme dei
maggioranti di A, allora A e M sono separati;
similmente, se A`e non vuoto e limitato inferiormente, e se N `e linsieme
dei minoranti di A, allora N e A sono separati.
Lassioma di completezza di R asserisce la possibilit` a di interporre un numero
reale fra gli elementi di qualunque coppia di insiemi separati: in sostanza,
esso ci dice che i numeri reali sono in quantit`a suciente a riempire tutti i
buchi fra coppie di insiemi separati. Lenunciato preciso `e il seguente:
17
9. (assioma di completezza) per ogni coppia A, B di sottoinsiemi di R non
vuoti e separati, esiste almeno un elemento separatore, cio`e un numero reale
tale che
a b a A, b B.
Questo assioma sembra avere un carattere abbastanza intuitivo: in eetti `e
facile determinare esplicitamente gli elementi separatori in tutti i casi degli
esempi 1.5.7 in cui essi esistono. Tuttavia, come vedremo, le conseguenze
dellassioma di completezza sono di larghissima portata.
Si osservi che in generale lelemento separatore fra due insiemi separati A e
B non `e unico: se A = 0 e B = 1, sono elementi separatori fra A e B
tutti i punti dellintervallo [0, 1]. Per` o se A `e un insieme non vuoto limitato
superiormente e scegliamo come B linsieme dei maggioranti di A, allora vi
`e un unico elemento separatore fra A e B. Infatti ogni elemento separatore
deve soddisfare la relazione
a b a A, b B;
in particolare, la prima disuguaglianza dice che `e maggiorante per A, ossia
B, e la seconda ci dice allora che = min B. Poiche il minimo di B `e
unico, ne segue lunicit` a dellelemento separatore.
In modo analogo, se B `e non vuoto e limitato inferiormente e prendiamo come
A linsieme dei minoranti di B, allora vi `e un unico elemento separatore fra
A e B: il massimo dei minoranti di B.
Denizione 1.5.8 Sia A R non vuoto e limitato superiormente, sia M
linsieme dei maggioranti di A. Lunico elemento separatore fra A e M si
dice estremo superiore di A e si denota con sup A.
Il numero reale sup A`e dunque il minimo dei maggioranti di A. In particolare,
esso coincide con max A quando questultimo numero esiste.
Denizione 1.5.9 Sia A R non vuoto e limitato inferiormente, sia N
linsieme dei minoranti di A. Lunico elemento separatore fra N e A si dice
estremo inferiore di A e si denota con inf A.
Il numero reale inf A `e dunque il massimo dei minoranti di A e coincide con
min A quando questultimo numero esiste.
Lestremo superiore di un insieme A (non vuoto e limitato superiormen-
te), la cui esistenza `e conseguenza diretta dellassioma di completezza, si
caratterizza in questo modo:
18
Proposizione 1.5.10 Sia A R non vuoto e limitato superiormente, e sia
m R. Si ha m = sup A se e solo se m verica le seguenti due propriet`a:
(i) a m per ogni a A;
(ii) per ogni > 0 esiste a A tale che m < a m.
Dimostrazione Se m = sup A, allora m `e un particolare maggiorante di A:
quindi vale (i). Daltra parte, essendo m il minimo dei maggioranti di A, per
ogni > 0 il numero m non `e un maggiorante per A: quindi c`e almeno
un elemento a A per il quale m < a, il che implica la condizione (ii).
Viceversa, se m verica (i) e (ii), allora m `e maggiorante di A mentre per
ogni > 0 il numero m non pu` o esere maggiorante di A. Ne segue che
m `e il minimo dei maggioranti di A, ossia m = sup A.
Una caratterizzazione analoga, la cui dimostrazione viene omessa essendo
identica alla precedente, vale per lestremo inferiore:
Proposizione 1.5.11 Sia A R non vuoto e limitato inferiormente, e sia
R. Si ha = inf A se e solo se verica le seguenti due propriet`a:
(i) a per ogni a A;
(ii) per ogni > 0 esiste a A tale che a < + .
Esempi 1.5.12 (1) Se A = [0, 1], si ha sup A = max A = 1, inf A =
min A = 0.
(2) Se A = [0, 1[, si ha ancora inf A = min A = 0, sup A = 1, mentre max A
non esiste.
(3) Se A = 1, 7, 8, si ha inf A = min A = 1, sup A = max A = 8.
(4) Questo esempio mostra limportanza dellassioma di completezza: esso
permette di costruire, nellambito dei reali, il numero

2. Sia
A = x R : x
2
< 2;
ovviamente A non `e vuoto, perche 1 A. Mostriamo che A `e limitato
superiormente: a questo scopo basta far vedere che sono maggioranti di A
tutti i numeri positivi t tali che t
2
> 2. Infatti se t > 0 e t
2
> 2, e se t
non fosse un maggiorante di A, troveremmo un x A con x > t; allora
19
avremmo anche x > 0 e quindi 2 < t
2
< xt < x
2
< 2: ma la relazione 2 < 2 `e
assurda. Dunque A `e limitato superiormente e per lassioma di completezza
esiste m = sup A. Poiche 1 A, si ha m 1; aermiamo che m
2
= 2.
Infatti, non pu` o essere m
2
< 2, poiche in tal caso, scrivendo per ogni ]0, 1[
(m + )
2
= m
2
+
2
+ 2m < m
2
+ + 2m,
avremmo (m + )
2
< m
2
+ + 2m < 2 pur di scegliere
< min
_
1,
2 m
2
2m + 1
_
:
tale scelta `e sempre possibile, prendendo ad esempio come la met` a del
numero a secondo membro. Ci`o signicherebbe che m + appartiene ad A,
contro il fatto che m `e uno dei maggioranti di A.
Daltra parte non pu`o nemmeno essere m
2
> 2, poiche in tal caso avremmo
per ogni ]0, m[
(m)
2
= m
2
+
2
2m > m
2
2m,
e dunque (m)
2
> m
2
2m > 2 pur di scegliere
<
m
2
2
2m
.
Ci` o signicherebbe, per quanto osservato allinizio, che m `e un maggio-
rante di A; ma allora m non pu`o essere il minimo dei maggioranti di A, e ci` o
`e assurdo. Pertanto lunica possibilit`a `e che sia m
2
= 2.
Si noti che m`e lunica radice reale posi-
tiva dellequazione x
2
= 2; tale numero
si dice radice quadrata di 2 e si deno-
ta con

2; lequazione x
2
= 2 ha poi
unaltra radice reale che `e negativa: `e
il numero

2.
Osservazione 1.5.13 Si vede facilmente che il numero reale

2 non pu` o
essere un numero razionale. Infatti supponiamo che sia

2 =
p
q
con p, q N
+
,
e che la frazione sia stata ridotta ai minimi termini: allora si ha
p
2
q
2
= 2, ossia
p
2
= 2q
2
. Ci`o implica che p
2
, e quindi anche p, `e un numero pari: sar` a
dunque p = 2k, con k N
+
. Ma allora 4k
2
= p
2
= 2q
2
, da cui 2k
2
= q
2
:
20
ne segue che q
2
`e pari e pertanto anche q `e pari. Ci` o per`o `e assurdo, perche
la frazione sarebbe ulteriormente semplicabile, cosa che era stata esclusa.
Dunque

2 non `e un numero razionale.


In modo assolutamente analogo (esercizio 1.5.2) si prova lesistenza della
radice quadrata di un arbitrario numero positivo x, che sar` a in generale un
numero irrazionale.
In denitiva, imponendo lassioma 9 siamo necessariamente usciti dallambito
dei numeri razionali, che sono troppo pochi per rappresentare tutte le
grandezze: per misurare la diagonale del quadrato di lato unitario occorre il
numero irrazionale

2. In altre parole, nellinsieme Q non vale lassioma di


completezza.
Osservazione 1.5.14 Nel seguito del corso useremo massicciamente, pi` u
che lassioma di completezza in se, il fatto che ogni insieme non vuoto e
limitato superiormente `e dotato di estremo superiore. Notiamo a questo
proposito che se, invece, A R non `e limitato superiormente, A non ha
maggioranti e dunque lestremo superiore non esiste; in questo caso si dice
per convenzione che A ha estremo superiore + e si scrive sup A = +.
Analogamente, se A non `e limitato inferiormente, si dice per convenzione
che A ha estremo inferiore e si scrive inf A = . In questo modo,
tutti i sottoinsiemi non vuoti di R possiedono estremo superiore ed inferiore,
eventualmente inniti. Per linsieme vuoto, invece, non c`e niente da fare!
Esercizi 1.5
1. Provare che

2 = inf x R : x
2
< 2.
2. Provare che per ogni numero reale a > 0, lequazione x
2
= a ha esat-
tamente due soluzioni reali, una lopposta dellaltra; quella positiva si
chiama radice quadrata di a e si indica con

a. Si provi inoltre che

a = sup x R : x
2
< a,

a = inf x R : x
2
< a.
Cosa succede quando a = 0? E quando a < 0?
3. Determinare linsieme delle soluzioni reali delle seguenti equazioni:
(i)

x
2
= x , (ii) (

x)
2
= x , (iii)
_
(

x)
2
=
_

x
2
.
21
4. Dimostrare che

3 `e un numero irrazionale.
5. Sia n N. Dimostrare che

n `e un numero razionale se e solo se n `e
un quadrato perfetto.
[Traccia: Si consideri dapprima il caso in cui n `e un numero primo;
si ricordi poi che ogni numero naturale n ha ununica scomposizione in
fattori primi.]
6. Siano m, n N e supponiamo che almeno uno dei due non sia un
quadrato perfetto. Provare che il numero

m +

n `e irrazionale.
7. Provare che per ogni n N
+
il numero

4n 1 `e irrazionale.
8. Stabilire se i seguenti sottoinsiemi di R sono separati e determinarne
eventualmente gli elementi separatori:
(i) [0, 1], [1, 7];
(ii) [0, 2[, 2, 3;
(iii) x R : x
3
< 2, x R : x
3
> 2;
(iv) n N : n < 6, n N : n 6;
(v) r Q : r
2
< 2, ]

2, +[;
(vi) x R : x
2
< 1, x R : x
4
> 1.
9. Una sezione di R `e una coppia (A, B) di sottoinsiemi separati di R, tali
che A B = R, e a b per ogni a A e per ogni b B. Si dimostri
che lenunciato
per ogni sezione (A, B) di R esiste un unico elemento separatore fra
A e B
`e equivalente allassioma di completezza di R.
10. Si provi che esistono sezioni (A, B) di Q prive di elemento separatore
in Q.
[Traccia: si considerino A = x Q : x 0x Q : x > 0, x
2
< 2
e B = Q A.]
11. Provare che se A B R e A ,= , allora
inf B inf A sup A sup B;
si forniscano esempi in cui una o pi` u disuguaglianze sono strette.
22
12. Sia A un sottoinsieme non vuoto e limitato di R, e poniamo
B = x : x A.
Si provi che
sup B = inf A, inf B = sup A.
13. Provare che se A, B sono sottoinsiemi non vuoti e limitati di R si ha
sup A B = maxsup A, sup B, inf A B = mininf A, inf B.
14. Provare che se A, B sono sottoinsiemi di R con A B ,= , allora
sup A B minsup A, sup B, inf A B maxinf A, inf B;
si verichi che le disuguaglianze possono essere strette.
15. Siano A, B sottoinsiemi di ]0, [. Se esiste K > 0 tale che xy K per
ogni x A e per ogni y B, si provi che
sup A sup B K.
16. Calcolare lestremo superiore e lestremo inferiore dei seguenti sottoin-
siemi di R, specicando se si tratta di massimi o di minimi:
(i)
_
2x
x
2
+1
: x R
_
; (ii) x
2
+ y
2
: x, y [1, 1], x < y;
(iii)
_
x +
1
x
: x > 0
_
; (iv) x
2
y
2
: 0 < x < y < 4;
(v)
_
n1
n
: n N
+
_
; (vi)
_
1
1+x
2
: x R
_
;
(vii)
_
(1)
k
k
: k N
+
_
; (viii)
_
1
k
3
: k Z 0
_
.
17. Siano a, b, c, d Q. Mostrare che:
(i) a + b

2 = 0 a = b = 0;
(ii) a + b

2 + c

3 = 0 a = b = c = 0;
(iii) a + b

2 + c

3 + d

5 = 0 a = b = c = d = 0.
18. Per quali x R sono vere le seguenti asserzioni?
(i) (x) x
2
> x; (ii)

x
2
= x; (iii) (x
2
)
2
> 16.
23
1.6 Numeri naturali, interi, razionali
A partire dagli assiomi di R, ed in particolare dallassioma di continuit`a,
possiamo ora rivisitare in maniera pi` u rigorosa alcuni concetti che abbiamo
conosciuto e adoperato su base intuitiva n dalla scuola dellobbligo. Comin-
ciamo ad esaminare linsieme N dei numeri naturali e le sue apparentemente
ovvie propriet` a.
Ci occorre anzitutto la seguente
Denizione 1.6.1 Un insieme A R si dice induttivo se verica le seguenti
condizioni:
(i) 0 A,
(ii) per ogni x A si ha x + 1 A.
Ad esempio sono insiemi induttivi R, [a, +[ per ogni a 0, ]b, +[ per
ogni b < 0. Si noti che se A, B R sono induttivi, anche la loro intersezione
AB lo `e; anzi, dato un qualunque insieme di indici I e presa una arbitraria
famiglia di insiemi induttivi A
i

iI
, la loro intersezione

iI
A
i
= x R : x A
i
i I
`e un insieme induttivo: infatti 0 A
i
per ogni i I in quanto ciascun A
i
`e induttivo, e se x A
i
per ogni i I, lo stesso si ha per x + 1, sempre a
causa dellinduttivit` a di ciascun A
i
.
Denizione 1.6.2 Chiamiamo insieme dei numeri naturali, e denotiamo
con N, lintersezione di tutti i sottoinsiemi induttivi di R.
Da questa denizione segue subito che N `e il pi` u piccolo insieme induttivo:
infatti se A R `e induttivo, esso viene a far parte della famiglia di insiemi
di cui N `e lintersezione, cosicche N A. Dunque in N c`e il minimo
indispensabile di numeri che occorre per essere induttivo: perci` o ci sar` a
0, ci sar` a 1 = 0 + 1, ci sar` a 2 = 1 + 1, ci sar`a 3 = 2 + 1, e cos` via.
Questa denizione di N `e stata per` o introdotta proprio per evitare di far uso
della locuzione ...e cos` via: a questo scopo conviene introdurre il seguente
fondamentale
24
Teorema 1.6.3 (principio di induzione) Sia A N un insieme denito
da una certa propriet`a p(n), ossia A = n N : p(n). Supponiamo di
sapere che
(i) p(0) `e vera, ovvero 0 A;
(ii) p(n) = p(n + 1) per ogni n N, ovvero se n A allora n + 1 A.
Allora p(n) `e vera per ogni n N; in altre parole, si ha N A e dunque
A = N.
Dimostrazione Si tratta di una immediata conseguenza della denizione
di N. In eetti, per ipotesi A `e contenuto in N; le condizioni (i) e (ii) ci dicono
daltronde che linsieme A `e induttivo, e quindi A contiene N per denizione
di N: se ne deduce che A = N.
Il principio di induzione `e importante non solo come metodo dimostrativo,
come vedremo, ma anche perche consente di introdurre denizioni ricorsive
in modo non ambiguo.
Esempi 1.6.4 (1) (Fattoriale) Consideriamo la sequenza di numeri cos`
deniti:
_
a
0
= 1,
a
n+1
= (n + 1) a
n
n N.
Si vede subito che a
1
= 1, a
2
= 2 1, a
3
= 3 2 1, a
4
= 4 3 2 1, e cos`
via; ssato n N, il numero a
n
cos` introdotto si chiama fattoriale di n e si
scrive a
n
= n! (si legge n fattoriale).
(2) (Somme nite) Data una famiglia innita di numeri reali a
n

nN
, con-
sideriamo la sequenza di numeri cos` denita:
_
s
0
= a
0
s
n+1
= a
n+1
+ s
n
n N.
Si ha chiaramente
s
1
= a
0
+ a
1
s
2
= a
0
+ a
1
+ a
2
s
3
= a
0
+ a
1
+ a
2
+ a
3
s
4
= a
0
+ a
1
+ a
2
+ a
3
+ a
4
25
e cos` via; per il numero s
n
, che `e la somma di a
0
, a
1
, a
2
, eccetera, no ad
a
n
, si usa il simbolo
s
n
=
n

k=0
a
k
.
Si noti che la variabile k dentro il simbolo di somma `e muta: ci` o signica
che s
n
`e un numero che dipende solo dallestremo n della somma, e non da k, il
quale `e solo una lettera per denotare gli addendi della somma. In particolare,
potremmo usare qualunque altro simbolo al posto di k senza alterare il valore
di s
n
:
n

k=0
a
k
=
n

i=0
a
i
=
n

&=0
a
&
=
n

pippo=0
a
pippo
.
Naturalmente, `e anche lecito considerare somme nite il cui primo estremo
sia un numero diverso da 0: ad esempio
34

k=30
k = 30 + 31 + 32 + 33 + 34 = 160.
(3) (Prodotti niti) In modo analogo al caso delle somme, data una famiglia
a
n

nN
di numeri reali si denisce la seguente sequenza di numeri:
_
p
0
= a
0
p
n+1
= a
n+1
p
n
n N;
si ha p
1
= a
0
a
1
, p
2
= a
0
a
1
a
2
, p
3
= a
0
a
1
a
2
a
3
, e per il numero p
n
si usa il
simbolo
p
n
=
n

k=0
a
k
,
ove nuovamente k `e una variabile muta. Si noti che, in particolare,
n! =
n

k=1
k n N
+
.
(4) Sia q un numero reale. La somma
1 + q + q
2
+ q
3
+ ... + q
n
=
n

k=0
q
k
26
si dice progressione geometrica di ragione q. Naturalmente, q
k
signica 1 se
k = 0, mentre se k > 0 denota il prodotto di k fattori uguali a q; nel caso
speciale k = 0 e q = 0 il simbolo q
k
deve intendersi come 1.
Proviamo che si ha
n

k=0
q
k
=
_
n + 1 se q = 1
1q
n+1
1q
se q ,= 1
n N,
Se q = 1, la dimostrazione `e banale e si lascia per esercizio. Supposto q ,= 1,
indichiamo con p(n) lenunciato seguente:
p(n) = vale luguaglianza
n

k=0
q
k
=
1 q
n+1
1 q
.
Allora p(0) `e vera in quanto
0

k=0
q
k
= q
0
= 1 =
1 q
1
1 q
;
Supponiamo adesso che p(n) sia vera per un dato n N, e proviamo a dedurre
p(n +1) (il che, di per se, non signicher` a che p(n) e p(n +1) siano vere per
davvero!). Si pu` o scrivere, isolando lultimo addendo,
n+1

k=0
q
k
=
n

k=0
q
k
+ q
n+1
,
e poiche stiamo supponendo vera p(n), otteniamo
n+1

k=0
q
k
=
1 q
n+1
1 q
+ q
n+1
=
1 q
n+1
+ (1 q)q
n+1
1 q
=
1 q
n+2
1 q
,
che `e proprio p(n + 1). Abbiamo cos` provato che p(n) implica p(n + 1) per
ogni n N. Poiche p(0) `e vera, dal principio di induzione segue che p(n) `e
vera per ogni n N.
(5) Proviamo la disuguaglianza
2
n
(n + 1)! n N.
27
Posto p(n) =2
n
(n + 1)!, si ha che p(0) `e vera in quanto 2
0
= 1 `e
eettivamente non superiore a 1! = 1. Supposto ora che p(n) sia vera, si pu` o
scrivere
2
n+1
= 2 2
n
2 (n + 1)! ;
da qui ricaviamo, essendo ovviamente 2 n + 2 per ogni n N,
2
n+1
(n + 2)(n + 1)! = (n + 2)! ,
il che mostra che vale p(n+1). Abbiamo cos` provato che p(n) implica p(n+1)
per ogni n N: essendo anche p(0) vera, per il principio di induzione p(n) `e
vera per ogni n N.
(6) Proviamo la disuguaglianza
n
2
2
n
n N, n 4.
Posto p(n) =n
2
2
n
, osserviamo che p(0), p(1) e p(2) sono vere mentre
p(3) `e falsa; inoltre p(4) `e vera. Proviamo adesso che p(n) = p(n + 1) per
ogni n N con n 4: usando lipotesi induttiva, si ha
2
n+1
= 2 2
n
2n
2
> n
2
+ 2n + 1 = (n + 1)
2
;
la seconda disuguaglianza `e vera in quanto equivale a n
2
2n + 1 > 2, ossia
a (n1)
2
> 2, e questultima `e vericata addirittura per ogni n 3. Poiche
p(4) `e vera e p(n) implica p(n+1) per ogni n 4, per il principio di induzione
(applicato, per essere precisi, non a p(n) ma a q(n) = p(n + 4)) segue che
p(n) `e vera per ogni n 4.
Propriet`a di N, Z, Q
Anzitutto deniamo rigorosamente gli insiemi Z e Q.
Denizione 1.6.5 Linsieme dei numeri interi Z `e N n : n N;
linsieme dei numeri razionali Q `e
m
n
: m Z, n N
+
(ricordiamo che
N
+
= N 0).
Dalla denizione di N seguono abbastanza facilmente alcune sue propriet` a.
Proposizione 1.6.6 N `e illimitato superiormente.
28
Dimostrazione Supponiamo per assurdo che N sia limitato superiormente:
in tal caso L = sup N `e un numero reale, che per la proposizione 1.5.10
verica
(a) L n per ogni n N,
(b) per ogni ]0, 1[ esiste N tale che L < L.
Avendo scelto < 1, da (b) segue che il numero naturale + 1 verica
L < + < + 1,
il che contraddice (a). Dunque L = +.
Di conseguenza, Z e Q sono illimitati sia superiormente che inferiormente.
Proposizione 1.6.7 (propriet`a di Archimede) Per ogni coppia a, b di
numeri reali positivi esiste n N tale che na > b.
Dimostrazione Poiche sup N = +, il numero
b
a
non `e un maggiorante di
N; quindi esiste n N per cui risulta n >
b
a
. Moltiplicando per a, che `e
positivo, ne segue la tesi.
Una conseguenza della propriet`a di Archimede `e la densit`a dei razionali in R,
cio`e il fatto che in ogni intervallo ]a, b[ R cade almeno un numero razionale
(e quindi inniti: vedere lesercizio 1.6.4). Si ha infatti:
Corollario 1.6.8 Per ogni coppia a, b di numeri reali con a < b, esiste r Q
tale che
a < r < b.
Dimostrazione Supponiamo dapprima a 0. Per la propriet`a di Archi-
mede, esiste n N tale che n(b a) > 1, ossia
1
n
< b a.
Consideriamo ora linsieme
A =
_
m N :
m
n
a
_
;
esso `e ovviamente limitato superiormente (n a ne `e un maggiorante) e non
vuoto (0 A). Posto L = sup A, e ssato ]0, 1[, dalla proposizione 1.5.10
29
segue che esiste A tale che L < L, ossia L < + < +1;
pertanto A mentre + 1 / A (essendo + 1 > sup A). Si ha allora

n
a <
+ 1
n
=

n
+
1
n
< a + (b a) = b.
Il numero razionale r =
+1
n
soddisfa dunque la tesi.
Supponiamo ora a < 0. Se b > 0, si ha la tesi scegliendo r = 0. Se invece
b 0, per quanto gi`a provato esiste un razionale r tale che b < r < a, e
dunque il numero razionale r appartiene ad ]a, b[. La tesi `e provata.
Osservazione 1.6.9 Non `e dicile dimostrare che il numero L della di-
mostrazione precedente `e in realt` a un massimo. Si dimostra anzi che ogni
sottoinsieme limitato di N ha massimo (esercizio 1.6.2).
Vi `e un risultato di densit` a pi` u ne, che `e il seguente:
Teorema 1.6.10 Sia un numero reale. Linsieme
E = k + h : k, h Z
`e denso in R se e solo se `e irrazionale.
Dimostrazione Se Q, =
m
n
, allora
E =
_
km+ hn
n
: k, h Z
_
=
_
p
n
: p Z
_
e quindi i punti di E distano fra loro almeno
1
n
: pertanto E non pu` o essere
denso in R.
Supponiamo invece R Q: proveremo la densit` a di E in R mostrando
che per ogni x R e per ogni > 0 esistono k, h Z tali che
x < k + h < x + .
`
E chiaramente suciente provare la tesi per > 0. Sia dunque > 0 e
cominciamo con il caso x = 0. Fissiamo N N e poniamo
E
N
= k + h : k, h Z [N, N].
Poiche `e irrazionale, gli elementi di E
N
sono tutti distinti e sono esatta-
mente in numero di (2N + 1)
2
. Inoltre
E
N
[N(1 + ), N(1 + )].
30
Consideriamo adesso, per 1 m
_
4N(1+)

_
+1, gli intervalli chiusi adiacenti
I
m
=
_
N(1 + ) + (m1)

2
, N(1 + ) + m

2
_
,
la cui unione ricopre lintervallo [N(1 + ), N(1 + )], e quindi E
N
. Sce-
gliamo N sucientemente grande, in modo che
_
4N(1 + )

_
+ 1 < (2N + 1)
2
:
ci` o `e certamente possibile, risolvendo la disequazione pi` u forte
(2N + 1)
2
>
4N(1 + )

+ 1,
o quella ancora pi` u forte, ma pi` u facile,
(2N + 1)
2
> (2N + 1)
2(1 + )

+ (2N + 1).
Allora, necessariamente, almeno uno fra gli intervalli I
m
dovr` a contenere
due diversi elementi di E
N
(questo `e il cosiddetto principio dei cassetti: se
mettiamo p oggetti in q cassetti vuoti, e se p > q, allora esiste almeno un
cassetto che contiene pi` u di un oggetto). Quindi esistono quattro interi p
1
,
p
2
, q
1
, q
2
, non superiori a N in valore assoluto, tali che
p
1
+ q
1
, p
2
+ q
2
I
m
per un opportuno m. In particolare, poiche I
m
ha ampiezza minore di ,
< (p
1
p
2
) + (q
1
q
2
) < ,
e ci`o prova la tesi nel caso x = 0.
Sia ora x > 0: per quanto gi` a provato, esistono m, n Z tali che
< m + n < ,
e rimpiazzando eventualmente m, n con m, n possiamo supporre che
0 < m + n < .
Adesso scegliamo p N tale che
p(m + n) x < (p + 1)(m + n)
(sar` a quindi p =
_
x
m+n

). Si ha allora
x < x (m + n) < p(m + n) x < x +
e quindi abbiamo la tesi con k = mp, h = np.
31
Esercizi 1.6
1. Dimostrare, sulla base della denizione di N, i seguenti enunciati:
(i) Non esiste alcun numero naturale minore di 0.
(ii) Se p, q N, allora p + q, pq N.
(iii) Se p N
+
, allora p 1 N.
(iv) Se p, q N e p > q, allora p q N.
(v) Se p, q N e p > q, allora p q N
+
.
[Traccia: per (ii), mostrare che S = p N : p + q N e P = p :
pq N sono insiemi induttivi; per (iii), mostrare che T = 0 p
N : p 1 N `e induttivo; per (iv), mostrare che A = p N : p q
N q N [0, p[ `e induttivo; inne (v) segue da (iv).]
2. Si provi che ogni sottoinsieme limitato di N ha massimo.
3. Dati a, b R con a < b, trovare un numero irrazionale c tale che
a < c < b.
4. Siano a, b R con a < b. Provare che esistono inniti numeri razionali
compresi fra a e b.
5. Un numero intero k si dice pari se esiste m Z tale che k = 2m, si
dice dispari se k + 1 `e pari. Dimostrare che:
(i) nessun intero `e simultaneamente pari e dispari;
(ii) ogni numero intero `e o pari, o dispari;
(iii) la somma e il prodotto di numeri pari sono numeri pari;
(iv) la somma di due numeri dispari `e pari mentre il prodotto `e dispari.
6. Dimostrare le uguaglianze
[a, b] =

n=1
_
a
1
n
, b
_
, ]a, b] =

_
n=1
_
a +
1
n
, b
_
.
7. Sia b N, b 2. Provare che linsieme delle frazioni in base b, ossia
_
m
b
n
: m Z, n N
+
_
,
`e denso in R.
32
8. Quanti sono i sottoinsiemi distinti di un ssato insieme di n elementi?
9. Per quali n N
+
risulta 2
n
n! n
n
?
10. Si consideri la seguente forma modicata del principio di induzione:
Sia A = n N : p(n). Supponiamo che valgano i seguenti fatti:
(a) p(0) `e vera,
(b) se vale p(k) per ogni k N con k n, allora vale p(n + 1).
Allora p(n) `e vera per ogni n N, ossia A = N.
(i) Si provi che questo enunciato implica il principio di induzione.
(ii) Si provi che questo enunciato `e implicato dal principio di induzione.
[Traccia: Per (ii), si applichi il principio di induzione allaermazione
q(n) denita da q(n) =p(k) per ogni k N con k n.]
11. Si provi che ogni insieme non vuoto E N ha minimo.
[Traccia: se cos` non fosse, posto p(n) =n / E, si applichi a p(n) il
principio di induzione nella forma dellesercizio 1.6.10.]
12. Si dimostri che ogni n N
+
`e scomponibile in fattori primi.
[Traccia: Utilizzare il principio di induzione nella forma dellesercizio
1.6.10.]
13. Provare che:
(i)

n
k=1
k =
n(n+1)
2
per ogni n N
+
;
(ii)

n
k=1
(2k 1) = n
2
per ogni n N
+
;
(iii)

n
k=1
k
2
=
n(n+1)(2n+1)
6
per ogni n N
+
;
(iv)

n
k=1
k
3
=
n
2
(n+1)
2
4
per ogni n N
+
.
14. Siano a, b, c, d reali positivi. Provare che
min
_
a
c
,
b
d
_

a + b
c + d
max
_
a
c
,
b
d
_
.
15. Stabilire se sono vere o false le seguenti aermazioni:
33
(i) la somma di due irrazionali `e irrazionale;
(ii) il prodotto di due irrazionali `e irrazionale;
(iii) la somma di un razionale e di un irrazionale `e irrazionale;
(iv) il prodotto di un razionale e di un irrazionale `e irrazionale.
16. Siano a, b R. Provare che se 0 < a < b allora 0 < a
n
< b
n
per ogni
n N
+
.
17. Provare che:
(i) n k(n + 1 k)
1
4
(n + 1)
2
per ogni k N con 1 k n;
(ii) (n!)
2
=

n
k=1
k(n + 1 k) per ogni n N
+
;
(iii) n
n
(n!)
2

_
n+1
2
_
2n
per ogni n N
+
.
18. Siano a
1
, . . . , a
n
, b
1
, . . . , b
n
numeri reali. Denotiamo con a
k
il riordi-
namento crescente e con a
k
il riordinamento decrescente della sequen-
za a
k
, e similmente per b
k
. Si provino le disuguaglianze seguenti:
(i)

n
k=1
a
k

b
k

n
k=1
a
k
b
k

n
k=1
a
k

b
k
,
(ii)

n
k=1
a
k

b
k

1
n
(

n
k=1
a
k
) (

n
k=1
b
k
)

n
k=1
a
k

b
k
.
[Traccia: si pu` o supporre che b
k
sia gi` a riordinata in modo crescente.
Consideriamo le due disuguaglianze di destra: per (i), si verichi che
se i < j e a
i
> a
j
, allora risulta a
i
b
i
+ a
j
b
j
< a
j
b
i
+ a
i
b
j
; per (ii), si
decomponga la quantit` a

n
k,h=1
( a
k
a
h
)(

b
k

b
h
) e si noti che essa `e non
negativa. Le disuguaglianze di sinistra si ottengono applicando quelle
di destra a a
k
e a b
k
.]
1.7 La formula del binomio
Per ogni n, k N con n k deniamo i coecienti binomiali
_
n
k
_
(si legge
n su k) nel modo seguente:
_
n
k
_
=
n!
k!(n k)!
.
34
Si noti che
_
n
k
_
= 1 quando k = n e quando k = 0; negli altri casi si ha
_
n
k
_
=
n(n 1) (n k + 1)
k!
,
e questa espressione si prester`a ad ulteriori generalizzazioni nel seguito del
corso. Dalla denizione seguono subito queste propriet`a:
(simmetria)
_
n
k
_
=
_
n
n k
_
,
(legge del triangolo di Tartaglia)
_
n
k 1
_
+
_
n
k
_
=
_
n + 1
k
_
.
1
1 1
1 2 1
1 3 3 1
1 4 6 4 1
1 5 10 10 5 1
1 6 15 20 15 6 1
1 7 21 35 35 21 7 1
1 8 28 56 70 56 28 8 1

Il triangolo di Tartaglia, qui sopra riprodotto, ha tutti 1 sui lati obliqui ed
ogni suo elemento allinterno `e la somma dei due elementi ad esso soprastanti.
Gli elementi del triangolo sono appunto i coecienti binomiali:
_
n
k
_
si trova
al posto k-simo nella riga n-sima (cominciando sempre a contare da 0).
La denominazione coeciente binomiale nasce dal fatto che questi numeri
saltano fuori come coecienti nella formula di Newton che d`a lo sviluppo del
binomio (a +b)
n
, formula che adesso dimostreremo. Ricordiamo preliminar-
mente che se x R0 e n N, la potenza x
n
, il cui signicato `e comunque
ovvio, andrebbe denita rigorosamente nel seguente modo:
_
x
0
= 1
x
n+1
= x x
n
n N;
se invece x = 0, si pone 0
n
= 0 per ogni n N
+
, mentre 0
0
non si denisce.
Ci` o posto, si ha:
35
Teorema 1.7.1 Se a, b R 0 e n N
+
, si ha
(a + b)
n
=
n

k=0
_
n
k
_
a
k
b
nk
.
Dimostrazione Utilizziamo il principio di induzione. Se n = 1 la formula
`e vera perche
a + b =
_
1
0
_
a
0
b
1
+
_
1
1
_
a
1
b
0
= b + a.
Supponiamo vera la formula per un binomio di grado n e proviamola per un
binomio di grado n + 1. Si ha
(a + b)
n+1
= (a + b)(a + b)
n
= (per ipotesi induttiva)
= (a + b)
n

k=0
_
n
k
_
a
k
b
nk
=
n

k=0
_
n
k
_
a
k+1
b
nk
+
n

k=0
_
n
k
_
a
k
b
n+1k
=
(ponendo h = k + 1 nella prima somma e h = k nella seconda)
=
n+1

h=1
_
n
h 1
_
a
h
b
n+1h
+
n

h=0
_
n
h
_
a
h
b
n+1h
=
(isolando lultimo addendo nella prima somma e il primo addendo
nella seconda)
=
_
n
n
_
a
n+1
b
0
+
_
n
0
_
a
0
b
n+1
+
n

h=1
_
n
h 1
_
a
h
b
n+1h
+
+
n

h=1
_
n
h
_
a
h
b
n+1h
=
= a
n+1
+ b
n+1
+
n

h=1
__
n
h 1
_
+
_
n
h
__
a
h
b
n+1h
=
(per la legge del triangolo di Tartaglia)
= a
n+1
+ b
n+1
+
n

h=1
_
n + 1
h
_
a
h
b
n+1h
=
n+1

h=0
_
n + 1
h
_
a
h
b
n+1h
.
Per il principio di induzione la formula `e vera per ogni n N
+
.
Osservazioni 1.7.2 (1) La formula del binomio vale pi` u in generale per
a, b R e n N, se in tale formula si conviene di interpretare il simbolo 0
0
come 1.
36
(2) Scelti a = 1, b = 1, n N
+
si ottiene
0 = (1 + 1)
n
=
n

k=0
_
n
k
_
(1)
k
1
nk
,
cio`e
n

k=0
(1)
k
_
n
k
_
= 0 n N
+
.
(3) Scelti a = 1, b = 1, n N si ottiene
n

k=0
_
n
k
_
= 2
n
n N.
Questa uguaglianza ha una interpretazione combinatoria: 2
n
`e il numero di
sottoinsiemi distinti di un ssato insieme con n elementi (esercizio 1.6.8),
mentre
_
n
k
_
`e il numero di sottoinsiemi distinti aventi k elementi di un in-
sieme con n elementi (esercizio 1.7.2). Si tratta dunque di contare tutti i
sottoinsiemi raggruppandoli per numero di elementi.
(4) Un altro modo di enunciare la propriet`a dellesercizio 1.7.2 `e il seguente:
_
n
k
_
`e il numero di modi in cui si possono sistemare k palline indistinguibili
in n scatole distinte, una per scatola: infatti ogni distribuzione di palline
individua un sottoinsieme di k scatole (sulle n complessive). In termini pro-
babilistici si pu` o anche dire: data unurna contenente k palline bianche e
n k palline nere, la probabilit`a dellevento che consiste nellestrarre le k
palline bianche nelle prime k estrazioni (intesa come rapporto tra gli esiti
favorevoli e gli esiti possibili) `e pari a
1
_
n
k
_.
Infatti, nella prima estrazione ci sono k esiti favorevoli su n possibili, nella
seconda k 1 su n 1, e cos` via, nche nella k-sima si ha un solo esito
favorevole su nk+1 possibili: dunque la probabilit`a che levento considerato
si verichi `e
k
n

k 1
n 1

1
n k + 1
=
1
_
n
k
_.
37
Ad esempio la probabilit` a di fare 6 al Superenalotto `e
1
_
90
6
_ =
1
622.614.630
0.000000016
(qui le palline bianche sono i 6 numeri prescelti e il simbolo signica
circa uguale a).
(5) Dalla formula del binomio segue subito la seguente disuguaglianza di
Bernoulli:
(1 + x)
n
1 + nx x 0, n N
(basta osservare che tutti gli addendi nello sviluppo del binomio (1+x)
n
sono
non negativi); una versione pi` u generale di questa disuguaglianza `e enunciata
nellesercizio 1.7.5. Si pu` o anche osservare che risulta
(1 + x)
n
1 + nx +
n(n 1)
2
x
2
x 0, n N.
Esempio 1.7.3 Sia A un insieme di k elementi e sia B un insieme di n ele-
menti (k, n 1). Mentre `e facile, come ora vedremo, determinare il numero
delle applicazioni iniettive da A in B, il calcolo del numero delle applicazioni
surgettive da A in B appare un po pi` u intricato, seppur sempre elementare.
Cominciamo con il caso delle applicazioni iniettive da A in B.
`
E chiaro che
se k < n non ce n`e neanche una. Se k n, e denotiamo con x
1
, . . . , x
k
gli
elementi di A, possiamo scegliere in n modi il valore f(x
1
); fatto ci`o, pos-
siamo scegliere in n 1 modi il valore f(x
2
), in n 2 modi il valore f(x
3
),
eccetera, nche per il valore di f(x
k
) avremo a disposizione n k +1 scelte.
Il totale delle applicazioni iniettive `e dunque di n(n 1) . . . (n k + 1).
Si noti che in particolare quando k = n il numero delle applicazioni iniettive
(dunque bigettive) da A in B `e n!.
Calcoliamo adesso il numero S
k,n
delle applicazioni surgettive da A in B:
sar` a necessario un procedimento alquanto pi` u complicato. Ovviamente
S
k,n
= 0 k < n, S
n,n
= n!;
vogliamo calcolare S
k,n
per k > n 1. Naturalmente
S
k,1
= 1 k > 1.
Il numero di tutte le applicazioni da A in B `e n
k
, in quanto per ogni
j 1, . . . , k abbiamo n scelte per ssare il valore f(x
j
): possiamo allo-
ra arrivare a un calcolo induttivo di S
k,n
nel modo seguente.
38
Raggruppiamo le n
k
applicazioni f : A B secondo il numero di elementi
dellimmagine f(A), che indichiamo con j (1 j n). Tutte le funzioni
f tali che f(A) ha j elementi si distinguono, a loro volta, cos`: ssato un
insieme di j elementi contenuto in B, vi sono (per denizione) S
k,j
funzioni
che hanno tale insieme come immagine; dato che i sottoinsiemi di B con j
elementi sono
_
n
j
_
, il totale delle funzioni f : A B la cui immagine ha j
elementi `e dato da
_
n
j
_
S
k,j
. Sommando rispetto a j otteniamo
n
k
=
n

j=1
_
n
j
_
S
k,j
k > n 1.
Questa relazione, risolta rispetto a S
k,n
, d` a la caratterizzazione induttiva
cercata: _

_
S
k,1
= 1 k 1,
S
k,n
= n
k

n1

j=1
_
n
j
_
S
k,j
n > 1, k n.
Ma si pu`o trovare anche una formula esplicita per S
k,n
. A questo scopo `e
essenziale il seguente lemma.
Lemma 1.7.4 Siano a
1
, . . . , a
N
numeri reali o complessi. Posto
b
n
=
n

j=1
_
n
j
_
(1)
j
a
j
, 1 n N,
risulta
a
n
=
n

p=1
_
n
p
_
(1)
p
b
p
, 1 n N.
In altre parole, lapplicazione (a
1
, . . . , a
N
) (b
1
, . . . , b
N
) sopra denita `e
linversa di se stessa.
Dimostrazione Per 1 n N si ha
n

p=1
_
n
p
_
(1)
p
b
p
=
n

p=1
_
n
p
_
(1)
p
p

j=1
_
p
j
_
(1)
j
a
j
=
=
n

p=1
p

j=1
_
n
p
__
p
j
_
(1)
p+j
a
j
.
39
Adesso notiamo che risulta, come `e facile vericare direttamente,
_
n
p
__
p
j
_
=
_
n
j
__
n j
p j
_
;
inoltre la doppia somma si riferisce alle coppie di interi (p, j) tali che 1 j
p n, e quindi essa pu`o riscriversi come

n
j=1

n
p=j
. Dunque
n

p=1
_
n
p
_
(1)
p
b
p
=
n

j=1
n

p=j
_
n
j
__
n j
p j
_
(1)
p+j
a
j
=
=
n

j=1
_
n

p=j
(1)
p
_
n j
p j
_
_
(1)
j
a
j
=
=
n

j=1
_
nj

q=0
(1)
q
_
n j
q
_
_
(1)
2j
a
j
.
Ora si osservi che, ovviamente, (1)
2j
= 1 per ogni j; inoltre, per la formula
di Newton,
nj

q=0
(1)
q
_
n j
q
_
=
_
1 se n = j,
(1 + 1)
nj
= 0 se n > j;
e dunque nella somma esterna sopravvive solo laddendo con j = n. Pertanto,
come richiesto,
n

p=1
_
n
p
_
(1)
p
b
p
= a
n
.
A questo punto applichiamo il lemma scegliendo N = k e
b
n
= n
k
, a
n
= (1)
n
S
k,n
n = 1, . . . , k.
Lipotesi del lemma vale, in quanto, come sappiamo,
b
n
= n
k
=
n

j=1
_
n
j
_
S
k,j
=
n

j=1
_
n
j
_
(1)
j
a
j
;
dunque vale la tesi, che ci d`a
(1)
n
S
k,n
= a
n
=
n

p=1
_
n
p
_
(1)
p
b
p
=
n

p=1
_
n
p
_
(1)
p
p
k
.
40
Ne segue inne la formula cercata:
S
k,n
=
n

p=1
_
n
p
_
(1)
np
p
k
k > n 1.
Si noti che, in particolare, per k = n le applicazioni surgettive da A in B
sono tutte e sole le applicazioni iniettive: dunque si ha
n! = S
n,n
=
n

p=1
_
n
p
_
(1)
np
p
n
k > n 1.
(si vedano anche gli esercizi 1.7.9, 1.7.10 e 1.7.11).
Algoritmo della radice quadrata
Vogliamo giusticare rigorosamente il metodo di calcolo approssimato della
radice quadrata di un numero razionale dato, che viene di solito esposto in
modo meccanico agli studenti della scuola media inferiore. Il problema `e
il seguente: dato y 0, si vuol trovare un numero x 0 il cui quadrato
approssimi y per difetto; si richiede cio`e che sia x
2
y < (x + 1)
2
. Poiche
(x + 1)
2
= x
2
+ 2x + 1, si cerca equivalentemente x tale che x
2
+ r = y, con
0 r < 2x + 1.
Per arontare questa questione, scriviamo y in base 100:
y =
k

h=1
b
h
100
kh
= 100
k1
b
1
+ . . . + 100b
k1
+ b
k
,
ove 0 b
h
99 per h = 1, . . . , k. Scriviamo invece il numero incognito x in
base 10:
x =
k

h=1
c
h
10
kh
= 10
k1
c
1
+ . . . + 10c
k1
+ c
k
,
con 0 c
h
9 per h = 1, . . . , k.
Lemma 1.7.5 Posto, per 1 p k,
s
p
=
_
p

h=1
c
h
10
ph
_
2

_
p1

h=1
c
h
10
ph
_
2
=
_
2
p1

h=1
c
h
10
ph
+ c
p
_
c
p
,
41
r
p
=
p

h=1
b
h
100
ph

_
p

h=1
c
h
10
ph
_
2
,
risulta
_
r
1
= b
1
s
1
r
p
= 100r
p1
+ b
p
s
p
p 2, . . . , k.
Dimostrazione Verica diretta per induzione, noiosa ma facile.
Andiamo a costruire gli interi c
h
passo a passo. Scegliamo c
1
imponendo che
c
2
1
b
1
< (c
1
+ 1)
2
,
il che determina c
1
univocamente, con 0 c
1
9. Essendo s
1
= c
2
1
e
r
1
= b
1
s
1
, la condizione si riscrive come
0 r
1
< 2c
1
+ 1.
Per ogni p 2, . . . , k, supposti noti c
1
, . . . , c
p1
scegliamo c
p
imponendo
che
_
p

h=1
c
h
10
ph
_
2

h=1
b
h
100
ph
<
_
p

h=1
c
h
10
ph
+ 1
_
2
,
il che determina c
p
univocamente, con 0 c
p
9. Sottraendo il primo
membro dagli altri due, la condizione si pu` o riscrivere nel modo seguente,
per denizione di r
p
e di s
p
:
0 r
p
=
p

h=1
b
h
100
ph

_
p

h=1
c
h
10
ph
_
2
<
<
_
p

h=1
c
h
10
ph
+ 1
_
2

_
p

h=1
c
h
10
ph
_
2
= 1 + 2
p

h=1
c
h
10
ph
,
ovvero
0 r
p
= 100r
p1
+ b
p
s
p
< 2
p

h=1
c
h
10
ph
+ 1.
In particolare, per p = k, la condizione che determina c
k
`e
x
2
=
_
k

h=1
c
h
10
kh
_
2
y =
k

h=1
b
h
100
kh
<
_
k

h=1
c
h
10
kh
+ 1
_
2
= (x + 1)
2
;
42
essa si riscrive, ponendo r = r
k
, come
0 r < 2
k

h=1
c
h
10
kh
+ 1 = 2x + 1.
Il numero r risolve il nostro problema, dato che
x
2
+ r =
_
k

h=1
c
h
10
kh
_
2
+
k

h=1
b
h
100
kh

_
k

h=1
c
h
10
kh
_
2
= y.
Osservazione 1.7.6 Se si vuole unapprossimazione no alla m-sima cifra
decimale, baster` a considerare gli sviluppi di y in base 100 e di x in base 10
arrivando a h = k + m anziche a h = k, il che corrisponde a considerare gli
sviluppi no alla m-sima cifra dopo la virgola per x e y nelle rispettive
basi.
Esempi 1.7.7 (1) Sia y = 4810: quindi y = 100 48+10. Cerchiamo x della
forma 10c
1
+c
2
. La condizione per c
1
d` a c
1
= 6 (perche 7
2
= 49 > 48 > 36 =
6
2
). Dunque s
1
= 36 e r
1
= 4836 = 12. Ne segue 100r
1
+b
2
= 1210. Adesso
si determina c
2
in modo che s
2
= (20c
1
+c
2
)c
2
< 10r
1
+b
2
, ossia (120+c
2
)c
2
<
1210: dato che si trova (120+9)9 = 1299 = 1161 < 1210, deve essere c
2
= 9,
da cui s
2
= 1161 e r = r
2
= 100r
1
+b
2
s
2
= 12101161 = 49. Qui si termina.
In denitiva si ha x = 69, ed infatti risulta x
2
+ r = 69
2
+ 49 = 4810 = y.
Possiamo tradurre lintero algoritmo nello schema seguente:
c
1
c
2

100 48 + 10 =

48 10 6 9
s
1
= 36 c
1
= 6
s
2
= (120 + c
2
)c
2
r
1
= 12; 100r
1
+ b
2
= 12 10 129 9 = 1161 = s
2
< 1210, c
2
= 9
s
2
= 11 61
r = 49
(2) Sia y = 33333 = 3 100
2
+ 33 100 + 33. Cerchiamo di conseguenza
x = 10
2
c
1
+ 10c
2
+ c
3
. Lo schema `e:
43
c
1
c
2
c
3

100
2
3 + 100 33 + 33 =

3 33 33 1 8 2
s
1
= 1 c
1
= 1
s
2
= (20 + c
2
)c
2
r
1
= 2, 100r
1
+ b
2
= 2 33 28 8 = 224 = s
2
< 233, c
2
= 8
s
2
= 2 24
s
3
= (360 + c
3
)c
3
r
2
= 9, 100r
2
+ b
3
= 9 33 362 2 = 724 = s
3
< 933, c
3
= 2
s
3
= 7 24
r = 2 09
In conclusione si ha x = 182 ed infatti x
2
+ r = 182
2
+ 209 = 33333 = y.
(3) Sia y = 39472.11 = 3 100
2
= 94 100 + 72 + 11 100
1
. Cerchiamo
x = c
1
10
2
+ c
2
10 + c
3
+ c
4
10
1
.
Lo schema `e
c
1
c
2
c
3
c
4

3 94 72. 11 1 9 8. 6
s
1
= 1 c
1
= 1
r
1
= 2, 100r
1
+ b
2
= 2 94 29 9 = 261 = s
2
< 294 c
2
= 9
s
2
= 2 61
r
2
= 33, 100r
2
+ b
3
= 33 72 388 8 = 3104 = s
3
< 3372 c
3
= 8
s
3
= 31 04
r
3
= 31, 100r
3
+ b
4
= 2 68. 11 3966 6 = 23796 = s
4
< 26811 c
4
= 6
s
4
= 2 37. 96
r = 30. 15
In conclusione si ha x = 198.6 ed infatti x
2
+ r = (198.6)
2
+ 30.15 =
39472.11 = y.
44
Esercizi 1.7
1. Provare che:
(i) k
_
n
k
_
= n
_
n1
k1
_
per ogni n, k N con n k 1;
(ii)

n
k=1
k
_
n
k
_
= n 2
n1
per ogni n N
+
;
(iii)

n
k=1
k
2

_
n
k
_
= n(n + 1) 2
n2
per ogni n N
+
;
(iv)

n
m=k
_
m
k
_
=
_
n+1
k+1
_
per ogni n, k N con n k.
2. Provare che un insieme di n elementi ha
_
n
k
_
sottoinsiemi distinti con k
elementi (0 k n).
3. Calcolare la probabilit` a di fare un terno al lotto.
4. Calcolare la probabilit` a di fare 5 + 1 al Superenalotto.
5. (Disuguaglianza di Bernoulli) Provare che risulta
(1 + x)
n
1 + nx x 1, n N
+
.
6. Provare che
sup
__
1
x
n
2
_
n
: n N
+
_
= 1 x 0.
[Traccia: utilizzare la disuguaglianza di Bernoulli.]
7. Si generalizzi la formula del binomio al caso di tre addendi.
8. Dimostrare per n N
+
le seguenti formule:
(i)
n

k=0
k

h=0
_
n
k
__
k
h
_
= 3
n
, (ii)
n

k=0
k

h=0
h

i=0
_
n
k
__
k
h
__
h
i
_
= 4
n
,
e trovare una formula analoga che dia come risultato p
n
, ove p `e un
ssato numero naturale.
9. Si provi che la formula che fornisce il numero delle applicazioni sur-
gettive S
k,n
vale anche quando 0 k < n, allorche S
k,n
= 0: in altre
parole si mostri, per induzione, che
n

p=1
_
n
p
_
(1)
np
p
k
= 0 per 0 k < n.
45
10. Si provi che
S
n+1,n
=
n

p=1
_
n
p
_
(1)
np
p
n+1
=
n
2
(n + 1)! n N
+
.
11. Si provi la formula ricorsiva
S
k,n
= n[S
k1,n
+ S
k1,n1
] k, n N
+
.
12. Si mostri che
n! =
n

h=0
_
n
h
_
(1)
nh
(h + 1)
n
n N.
13. Determinare la radice quadrata approssimata per difetto dei seguenti
numeri:
1200, 35.99, 123456.789, 0.000678.
1.8 Radici n-sime
Proviamo adesso unaltra conseguenza dellassioma di continuit`a, vale a dire
lesistenza della radice n-sima di qualunque numero reale non negativo.
Teorema 1.8.1 Sia n N
+
. Per ogni numero reale a 0 esiste un unico
numero reale r 0 tale che r
n
= a; tale numero si chiama radice n-sima di
a, e si scrive r =
n

a oppure r = a
1
n
.
Dimostrazione Supporremo n 2, dato che per n = 1 la tesi `e ovvia. Se
a = 0, allora lunica soluzione dellequazione x
n
= 0 `e il numero 0 in virt` u
della legge di annullamento del prodotto. Supponiamo dunque a > 0.
Proviamo dapprima lunicit`a della radice n-sima. Se vi fossero due numeri
r e , entrambi non negativi ed entrambi soluzioni dellequazione x
n
= a,
uno dei due, ad esempio , sarebbe maggiore dellaltro; ma da r < segue
(esercizio 1.6.16) che a = r
n
<
n
= a, il che `e assurdo. Dunque r = e
lunicit` a `e provata.
Per dimostrare lesistenza della radice n-sima, consideriamo linsieme
A = x 0 : x
n
< a
(ovviamente non vuoto, dato che 0 A) e mostriamo:
46
(a) che A `e limitato superiormente,
(b) che r = sup A `e il numero che stiamo cercando, ossia che r
n
= a.
Proviamo (a): se a 1, facciamo vedere che il numero a `e un maggiorante
di A, mentre se 0 < a < 1 facciamo vedere che il numero 1 `e un maggiorante
di A. Sia a 1: se per un x A risultasse x > a, moltiplicando questa disu-
guaglianza per x e per a avremmo x
2
> ax > a
2
; essendo a 1, dedurremmo
x
2
> a
2
a. Procedendo per induzione, avremmo x
n
> a, contraddicendo il
fatto che x A: dunque si ha x a per ogni x A. Sia ora 0 < a < 1: se
per un x A risultasse x > 1, procedendo analogamente troveremmo x
n
> 1;
essendo 1 > a, otterremmo x
n
> a, nuovamente contraddicendo il fatto che
x A. Quindi si ha x 1 per ogni x A. Se ne conclude che pr ogni scelta
di a linsieme A ha maggioranti, e quindi `e limitato superiormente.
Proviamo (b). Notiamo anzitutto che r = sup A > 0. Infatti A contiene
elementi non nulli: ad esempio, se a > 1 si ha 1 A in quanto 1
n
= 1 < a,
mentre se 0 < a < 1 si ha a A poiche a
n
< a; inne se a = 1 si ha
1
2
A
dato che
_
1
2
_
n
<
1
2
< 1 = a.
Dobbiamo mostrare che r
n
= a, e lo faremo provando che sono assurde en-
trambe le relazioni r
n
> a e r
n
< a. Supponiamo che sia r
n
> a: vogliamo
mostrare che, di conseguenza, deve essere
(r )
n
> a
per ogni positivo e sucientemente piccolo; ci` o implicherebbe che linterval-
lo ]r, r[ `e costituito da punti che non appartengono ad A, contraddicendo il
fatto che, essendo r il minimo dei maggioranti di A, in tale intervallo dovreb-
bero cadere punti di A. Invece di ricavare dalla disuguaglianza (r)
n
> a,
che non sappiamo risolvere, ne dedurremo unaltra pi` u restrittiva, ma pi` u fa-
cile da risolvere. A questo scopo osserviamo che per ]0, r[ si ha, grazie
alla disuguaglianza di Bernoulli (esercizio 1.7.5; si noti che

r
> 1)
(r )
n
= r
n
_
1

r
_
n
r
n
_
1 n

r
_
;
se ne deduce (r )
n
> a purche risulti
r
n
_
1 n

r
_
> a.
47
Questa disuguaglianza, che segue da quella originale ed `e quindi pi` u restrit-
tiva di essa, si risolve subito: essa `e vericata se e solo se
<
r
n
_
1
a
r
n
_
,
e dunque si deduce, come volevamo, che
(r )
n
> a
_
0,
r
n
_
1
a
r
n
__
]0, r[;
di qui, come si `e detto, segue lassurdo.
Supponiamo ora che sia r
n
< a: vogliamo analogamente dedurre che
(r + )
n
< a
per ogni positivo ed abbastanza piccolo; da ci` o seguir` a che A contiene
numeri maggiori di r, contraddicendo il fatto che r `e un maggiorante di A.
Trasformiamo la disuguaglianza che ci interessa: si ha
(r + )
n
= r
n
_
1 +

r
_
n
< a
1
r
n
_
1 +

r
_
n
>
1
a
;
daltronde, applicando nuovamente la disuguaglianza di Bernoulli (si noti che

r
1+

r
> 1), risulta
1
_
1 +

r
_
n
=
_
1

r
1 +

r
_
n
> 1 n

r
1 +

r
> 1 n

r
;
quindi al posto della disuguaglianza (r +)
n
> a si ottiene la disuguaglianza
pi` u restrittiva
1
r
n
_
1 n

r
_
>
1
a
che `e vera se e solo se
0 < <
r
n
_
1
r
n
a
_
.
Dunque si ottiene, come si voleva,
(r + )
n
< a
_
0,
r
n
_
1
r
n
a
__
]0, r[,
e quindi, come si `e osservato, lassurdo.
In denitiva, non resta che dedurre luguaglianza r = a.
48
Disuguaglianza delle medie
Un risultato molto importante, utilissimo in svariate situazioni, `e la disugua-
glianza tra media geometrica e media aritmetica di n numeri non negativi. Se
a
1
, a
2
, . . . , a
n
sono numeri non negativi, la loro media geometrica `e il numero
reale
G =
n

_
n

k=1
a
k
,
mentre la loro media aritmetica `e il numero reale
A =
1
n
n

k=1
a
k
.
Si ha allora:
Teorema 1.8.2 Se n N
+
e se a
1
, . . . , a
n
sono numeri non negativi, allora
n

_
n

k=1
a
k

1
n
n

k=1
a
k
;
inoltre vale il segno di uguaglianza se e solo se gli a
k
sono tutti uguali fra
loro.
Dimostrazione Anzitutto, `e chiaro che se gli a
k
sono tutti uguali fra loro
allora G = A. Per provare il viceversa, mostreremo che se gli a
k
non sono
tutti uguali allora risulta G < A; ci`o `e ovvio se qualcuno degli a
k
`e nullo,
perche in tal caso si ha G = 0 < A. Possiamo dunque supporre gli a
k
strettamente positivi e non tutti uguali. Proveremo la disuguaglianza G < A
per induzione.
Se n = 2, la tesi `e vera perche

a
1
a
2
<
1
2
(a
1
+ a
2
) (

a
2

a
1
)
2
> 0,
ed essendo a
1
,= a
2
, la relazione a destra `e vera.
Supponiamo che la disuguaglianza stretta sia vera per ogni n-pla di numeri
positivi non tutti uguali, e dimostriamola nel caso di n+1 numeri. Prendiamo
dunque n+1 numeri positivi a
1
, . . . , a
n
, a
n+1
non tutti uguali: allora ce ne sar` a
almeno uno diverso dalla media aritmetica A; per simmetria, o meglio per
49
denizione stessa di media aritmetica, di numeri diversi da A ce ne dovranno
essere almeno due, a
i
e a
j
, dei quali uno sar`a maggiore ed uno sar` a minore di
A. Quindi, a meno di riordinare gli a
k
, non `e restrittivo supporre che risulti
a
n
< A < a
n+1
.
Il fatto che A `e la media aritmetica degli a
k
si pu`o riscrivere cos`:
n1

k=1
a
k
+ (a
n
+ a
n+1
A) = n A,
e questo ci dice che A `e anche la media aritmetica degli n numeri non negativi
a
1
, . . . , a
n1
, a
n
+a
n+1
A; per ipotesi induttiva, la loro media geometrica `e
non superiore ad A, ossia
n

_
(a
n
+ a
n+1
A)
n1

k=1
a
k
A.
Elevando alla n-sima potenza e moltiplicando per A si ricava allora
A (a
n
+ a
n+1
A)
n1

k=1
a
k
A
n+1
.
Daltra parte risulta
a
n
a
n+1
< A(a
n
+ a
n+1
A)
in quanto
A(a
n
+ a
n+1
A) a
n
a
n+1
= (A a
n
)(a
n+1
A) > 0;
quindi a maggior ragione otteniamo
n+1

k=1
a
k
< A (a
n
+ a
n+1
A)
n1

k=1
a
k
A
n+1
.
La disuguaglianza per n + 1 numeri `e dunque stretta se essi non sono tutti
uguali.
Per il principio di induzione, la tesi `e provata.
50
Esempi 1.8.3 (1) Applicando la disuguaglianza delle medie si dimostra
questa basilare propriet`a delle radici n-sime:
inf
nN
+
a
1
n
= 1 a 1, sup
nN
+
a
1
n
= 1 a ]0, 1].
(Si osservi la notazione: inf
nN
+ a
1
n
signica inf a
1
n
: n N
+
, e analoga-
mente sup
nN
+ a
1
n
denota sup a
1
n
: n N
+
.)
Infatti la propriet` a `e evidente quando a = 1, poiche 1
1
n
= 1 per ogni
n N
+
. Supponiamo adesso a > 1: allora, ssato n 2 e prendendo
a
1
= = a
n1
= 1 e a
n
= a, dalla disuguaglianza delle medie si ha
1 < a
1
n
<
1
n
(n 1 + a) = 1 +
a 1
n
n 2,
da cui
1 inf
nN
+
a
1
n
inf
nN
+
_
1 +
a 1
n
_
= 1.
Ci` o prova la tesi quando a > 1.
Se a < 1, si ha
1
a
> 1 e, per quanto visto,
1 <
_
1
a
_1
n
< 1 +
1
a
1
n
= 1 +
1 a
na
n 2,
da cui
1
1 +
1a
na
< a
1
n
< 1 n 2;
ne segue
1 = sup
nN
+
1
1 +
1a
na
sup
nN
+
a
1
n
1.
(2) Dimostriamo la seguente importante disuguaglianza:
_
1 +
x
n
_
n
<
_
1 +
x
n + 1
_
n+1
x R 0, n N
+
con n > x.
Essa segue dalla disuguaglianza delle medie, scegliendo a
1
= = a
n
= 1+
x
n
e a
n+1
= 1: infatti
_
1 +
x
n
_
n
=
n+1

k=1
a
k
<
_
1
n + 1
n+1

k=1
a
k
_
n+1
=
_
1
n + 1
_
n
_
1 +
x
n
_
+ 1
_
_
n+1
=
=
_
n + x + 1
n + 1
_
n+1
=
_
1 +
x
n + 1
_
n+1
.
51
Esercizi 1.8
1. Provare che per ogni numero reale a > 0 e per ogni intero pari n 2
lequazione x
n
= a ha le due soluzioni reali x = a
1
n
; si provi inoltre
che
a
1
n
= inf x R : x
n
< a.
2. Provare che per ogni a R e per ogni intero dispari n 1, lequazione
x
n
= a ha esattamente una soluzione reale, e cio`e:
x =
_
a
1
n
se a 0,
(a)
1
n
se a < 0;
questo permette di estendere la denizione di radice n-sima, quando n
`e dispari, a tutti i numeri a R.
3. Si dimostri la formula risolutiva per le equazioni di secondo grado.
[Traccia: data lequazione ax
2
+ bx + c = 0, si osservi che non `e re-
strittivo supporre a > 0; si completi il quadrato a primo membro
scrivendola nella forma
_

a x +
b
2

a
_
2
=
b
2
4ac
4a
,
e si analizzi il segno del discriminante b
2
4ac. . . ]
4. Sia n N
+
. Si provi la seguente disuguaglianza tra media armonica e
media geometrica di n numeri positivi:
n

n
k=1
1
a
k

_
n

k=1
a
k
.
5. Dimostrare che la media geometrica `e superadditiva, nel senso che se
n N
+
e se a
1
, . . . , a
n
, b
1
, . . . , b
n
sono numeri positivi, allora
_
n

i=1
a
i
_1
n
+
_
n

i=1
b
i
_1
n

_
n

i=1
(a
i
+ b
i
)
_1
n
.
[Traccia: si divida per la quantit` a a secondo membro e si utilizzi
opportunamente il teorema 1.8.2.]
52
1.9 Valore assoluto
In geometria la retta `e un concetto primitivo, ossia non se ne fornisce la de-
nizione ma la si considera come un ente intrinsecamente noto. Il sistema dei
numeri reali costituisce il modello matematico dellidea intuitiva di retta: si
assume che ad ogni punto della retta corrisponda uno ed un solo numero reale
(che viene detto ascissa del punto). Questo `e un vero e proprio assioma, ma
`e peraltro un enunciato del tutto ragionevole; per realizzare tale corrispon-
denza, si ssa sulla retta un sistema di riferimento, costituito da unorigine,
a cui associamo il numero reale 0, da ununit`a di misura, che ci permette
di identicare i punti a cui associare i numeri interi, e da unorientazione,
allo scopo di distinguere i punti corrispondenti a numeri positivi da quelli
corrispondenti a numeri negativi.
Per misurare la grandezza di un numero, a prescindere dal fatto che esso
sia positivo oppure negativo, `e fondamentale la seguente
Denizione 1.9.1 Il valore assoluto, o modulo, di un numero reale x `e il
numero non negativo [x[ cos` denito:
[x[ =

x
2
=
_
x se x 0
x se x < 0.
Si noti che risulta
[x[ x [x[ x R,
od equivalentemente
[x[ = maxx, x x R.
Si noti anche che
[x[ a a x a
e, pi` u generalmente (esercizio 1.9.4),
[x u[ a u a x u + a.
53
Rappresentando R come retta orientata, [x[ `e la distanza del numero reale x
dallorigine 0, e analogamente [a b[ `e la distanza fra i due numeri reali a e
b.
La proposizione che segue riassume le principali propriet` a del valore assoluto.
Proposizione 1.9.2 Valgono i seguenti fatti:
(i) [x[ 0 per ogni x R, e [x[ = 0 se e solo se x = 0;
(ii) [x[ [y[ = [xy[ per ogni x, y R;
(iii) (subadditivit`a) [x + y[ [x[ +[y[ per ogni x, y R;
(iv) [[x[ [y[[ [x y[ per ogni x, y R;
(v)

1
x

=
1
|x|
per ogni x R 0;
(vi)

x
y

=
|x|
|y|
per ogni x R e y R 0.
Dimostrazione La propriet` a (i) `e evidente. Per (ii) si osservi che dalla
denizione segue subito x
2
= [x[
2
per ogni x R; quindi
([x[ [y[)
2
= [x[
2
[y[
2
= x
2
y
2
= (xy)
2
= [xy[
2
;
da qui segue la tesi estraendo la radice quadrata: infatti
t R,

t
2
= t t 0.
Proviamo (iii): usando (i) e (ii), si ha
[x + y[
2
= (x + y)
2
= x
2
+ y
2
+ 2xy [x[
2
+[y[
2
+ 2[xy[ =
= [x[
2
+[y[
2
+ 2[x[[y[ = ([x[ +[y[)
2
,
da cui la tesi estraendo la radice quadrata.
La (iv) `e conseguenza della subadditivit` a: infatti
[x[ = [(x y) + y[ [x y[ +[y[,
54
da cui [x[ [y[ [x y[; scambiando i ruoli di x e y si ottiene anche
[y[ [x[ [y x[ = [x y[, e quindi
[[x[ [y[[ = max[x[ [y[, [y[ [x[ [x y[.
Dimostriamo (v): da (ii) segue
[x[

1
x

x
1
x

= [1[ = 1,
quindi

1
x

`e linverso di [x[, ossia vale la tesi.


Inne (vi) `e conseguenza evidente di (ii) e (v).
Disuguaglianza di Cauchy-Schwarz
Unaltra importante disuguaglianza, che come si vedr`a ha un rilevante signi-
cato geometrico, `e la seguente:
Teorema 1.9.3 Fissato n N
+
, siano a
1
, . . . , a
n
, b
1
, . . . , b
n
numeri reali.
Allora si ha
n

i=1
a
i
b
i

_
n

i=1
a
2
i

_
n

i=1
b
2
i
.
Dimostrazione Fissato t R, consideriamo la quantit`a, certamente non
negativa,

n
i=1
(a
i
+ tb
i
)
2
. Si ha
0
n

i=1
(a
i
+ tb
i
)
2
=
n

i=1
a
2
i
+ 2t
n

i=1
a
i
b
i
+ t
2
n

i=1
b
2
i
t R :
Questa espressione `e un trinomio di secondo grado nella variabile reale t. Il
fatto che esso sia sempre non negativo implica che il discriminante
= 4
_
n

i=1
a
i
b
i
_
2
4
n

i=1
b
2
i
n

i=1
a
2
i
deve essere non positivo (esercizio 1.8.3). La condizione 0 implica la
tesi.
55
Esercizi 1.9
1. Determinare sotto quali condizioni sui numeri reali x, y valgono le
uguaglianze:
(i) [x[ [y[ = [x y[; (ii) [x + y[ = [x y[;
(iii) [x[ [y[ = x y; (iv) [x[ [y[ = x + y;
(v) [[x[ [y[[ = [x + y[; (vi) [[x[ [y[[ = [x y[;
(vii) [[x[ [y[[ = x + y; (viii) [[x[ [y[[ = x y.
2. Risolvere le seguenti equazioni e disequazioni:
(i) [x[ + 1 = [x + 1[, (ii) [x[ x
2
= [[x[ + x[,
(iii) [x + 3[ < [2x 3[, (iv) [[x 1[ + 1[ < 1,
(v)
1
|x|

1
|x+3|
>
1
|x+4|
, (vi) [[2x 1[ [x + 3[[ < [4x + 5[.
3. Risolvere le seguenti equazioni e disequazioni:
(i) [x 1[ < 3; (ii) [2 + 3x[ = [4 x[;
(iii) [10 3x[ = 4; (iv) [1 + 2x[ 1;
(v) [x + 2[ 5x; (vi) [5 + x
1
[ < 1;
(vii) [x
2
2[ 1; (viii) x < [x
2
12[ < 4x;
(ix)
15x 3
x
2
5
3 ; (x)
_
x + 1 > 1
3x + 4 > 2
;
(xi)
[x
2
2[ + 3
3x + 1
1; (xii)
[x + 2[ 2x
x
2
2x
1;
(xiii)
2
x + 2
>
2x
x
2
1
; (xiv) x
2
5[x[ + 6 0.
4. Siano a, b R con b 0. Vericare che
[x a[ < b a b < x < a + b.
5. Determinare un numero reale M tale che si abbia
[x[ 1 = [x
2
x[ M.
56
6. Risolvere le seguenti disequazioni:
(i)
_
x + 1
x + 3
2; (ii)

[x + 2[
[x 1[
> 1;
(iii)

4x
2
1 < x 3; (iv)

3x
2
1 >

x
2
3;
(v) [x[

1 2x
2
> 2x
2
1; (vi)
[x[ 3

x 2
>

x.
7. Provare che per ogni a R si ha
maxa, 0 =
a +[a[
2
, mina, 0 = maxa, 0 =
a [a[
2
.
8. Si dimostri la disuguaglianza di Cauchy-Schwarz utilizzando il principio
di induzione.
1.10 La funzione esponenziale
Vogliamo denire la funzione esponenziale a
x
per ogni base a > 0 e per
ogni esponente x R, naturalmente preservando le propriet`a usuali, noto-
riamente vere quando gli esponenti sono numeri naturali. A questo scopo
procederemo in vari passi.
Prima di cominciare, enunciamo un lemma che useremo a pi` u riprese.
Lemma 1.10.1 (dellarbitrariet`a di ) Siano a, b numeri reali e M, nu-
meri reali positivi. Supponiamo che risulti
a b + M ]0, [;
allora si ha necessariamente a b.
Dimostrazione Se fosse a > b, scegliendo

_
0, min
_
,
a b
M
__
si otterrebbe a > b + M, contro lipotesi.
1
o
passo (esponenti naturali) Ricordiamo che per n N e a R la
57
potenza a
n
`e stata denita allinizio del paragrafo 1.7; `e facile vericare che
se a, b > 0 valgono i seguenti fatti:
(i) a
n
> 0 n N, a
0
= 1;
(ii) a
n+m
= a
n
a
m
n, m N;
(iii) a
nm
= (a
n
)
m
n, m N;
(iv) (ab)
n
= a
n
b
n
n N;
(v) a < b = a
n
< b
n
n N
+
;
(vi)
_
a < 1 = a
n
< 1
a > 1 = a
n
> 1
n N
+
;
(vii)
_
a
m
< a
n
se a < 1
a
m
> a
n
se a > 1
m, n N con m > n.
Le propriet` a (i)-(vi) si vericano per induzione su n (esercizio 1.10.1), mentre
la (vii) segue banalmente da (vi) scrivendo a
m
= a
n
a
mn
.
2
o
passo (radici n-sime) Per n N
+
e a > 0 la quantit` a a
1
n
`e stata
denita nel paragrafo 1.8 come lunica soluzione positiva dellequazione x
n
=
a; dunque per denizione si ha
(a
1
n
)
n
= a n N
+
.
Risulta anche
a
1
nm
= (a
1
n
)
1
m
n, m N
+
(perche, per (iii), i due membri risolvono entrambi lequazione x
mn
= a),
(a
1
n
)
m
= (a
m
)
1
n
n, m N
+
(perche, per (iii), i due membri risolvono entrambi lequazione x
n
= a
m
),
(ab)
1
n
= a
1
n
b
1
n
n N
+
(perche, per (iv), i due membri risolvono entrambi lequazione x
n
= ab),
_
a < 1 = a
1
n
< 1
a > 1 = a
1
n
> 1
n N
+
58
(per lesercizio 1.10.2),
_
a < 1 = a
1
n
< a
1
m
a > 1 = a
1
n
> a
1
m
n, m N
+
con m > n
(elevando entrambi i membri alla potenza mn ed usando (iii), (vii)).
3
o
passo (esponenti razionali) Se r Q, sar`a r =
p
q
con p Z, q N
+
;
se a > 0 poniamo allora, per denizione,
a
p
q
=
_

_
_
a
1
q
_
p
se p 0
1

a
1
q

p
se p < 0.
Occorre per`o vericare che questa `e una buona denizione, nel senso che essa
non deve dipendere dal modo di rappresentare in frazione il numero razionale
r: in altri termini, bisogna controllare che se r =
p
q
=
m
n
, cio`e m = kp, n = kq
con k N
+
, allora risulta a
p
q
= a
m
n
. Ed infatti, supposto ad esempio p 0,
utilizzando le propriet`a precedenti si trova
a
m
n
= (a
1
kq
)
kp
= [((a
1
q
)
1
k
)
k
]
p
= (a
1
q
)
p
= a
p
q
;
il discorso `e del tutto analogo se p < 0.
Si ottengono allora facilmente le estensioni delle propriet` a (i)-(vii) al caso di
esponenti razionali (vedere lesercizio 1.10.3):
(i) a
r
> 0 r Q, a
0
= 1;
(ii) a
r+s
= a
r
a
s
r, s Q;
(iii) a
rs
= (a
r
)
s
r, s Q;
(iv) (ab)
r
= a
r
b
r
r Q;
(v) a < b = a
r
< b
r
r Q con r > 0;
(vi)
_
a < 1 = a
r
< 1
a > 1 = a
r
> 1
r Q con r > 0;
(vii)
_
a
r
< a
s
se a < 1
a
r
> a
s
se a > 1
r, s Q con r > s.
59
4
o
passo (esponenti reali) Manco a dirlo, nellestensione da Q a R `e
essenziale lassioma di continuit`a. Prima di denire la quantit` a a
x
per x R,
dimostriamo il seguente risultato che ci illuminer`a sul modo di procedere.
Proposizione 1.10.2 Siano a, x R con a > 0, e poniamo
A = a
r
: r Q, r < x, B = a
s
: s Q, s > x.
Allora gli insiemi A e B sono separati; in particolare, se a 1 si ha sup A =
inf B, mentre se a 1 risulta inf A = sup B.
Dimostrazione Supponiamo a 1 e poniamo = sup A, = inf B; questi
numeri , sono niti (esercizio 1.10.4). Da (vii) segue che
a
r
< a
s
r, s Q con r < x < s,
quindi risulta . Dobbiamo provare che = . Se fosse invece < ,
dal fatto che
inf
nN
+
a
1
n
= 1
(esempio 1.8.3 (1)) segue che possiamo scegliere n N
+
tale che
1 < a
1
n
<

.
Scelto poi r Q tale che x
1
n
< r < x, il che `e lecito per la densit` a dei
razionali in R (corollario 1.6.8), si ha r +
1
n
> x; dunque, usando (ii),
a
r+
1
n
= a
r
a
1
n
a
1
n
<

= .
Ci` o `e assurdo e pertanto = .
Supponiamo adesso 0 < a 1 e poniamo L = inf A, M = sup B; nuo-
vamente, questi numeri L, M sono niti (esercizio 1.10.4). Da (vii) segue
stavolta
a
r
> a
s
r, s Q con r < x < s,
cosicche L M. Se fosse L > M, preso n N
+
tale che
M
L
< a
1
n
< 1
60
(lecito, essendo sup
nN
+ a
1
n
= 1) e scelto s Q con x < s < x +
1
n
, si ha
s
1
n
< x e dunque, per (ii),
L a
s
1
n
=
a
s
a
1
n

M
a
1
n
< M
L
M
= L.
Ci` o `e assurdo e pertanto L = M.
La precedente proposizione ci dice che la nostra scelta per denire a
x
`e
obbligata: se vogliamo mantenere la propriet`a (vii) siamo forzati a dare
questa
Denizione 1.10.3 Siano a, x R con a > 0. Indichiamo con a
x
il numero
reale seguente:
a
x
=
_
supa
r
: r Q, r < x = infa
s
: s Q, s > x se a 1
infa
r
: r Q, r < x = supa
s
: s Q, s > x se 0 < a 1.
Non `e dicile vericare che nel caso in cui x `e razionale questa denizione
concorda con la precedente (esercizio 1.10.4).
Osservazioni 1.10.4 (1) Dalla denizione segue subito che 1
x
= 1 per
ogni x R.
(2) Per ogni a > 0 e per ogni x R risulta a
x
=
1
a
x
. Infatti, supposto ad
esempio a 1, si ha
a
x
= supa
r
: r Q, r < x = (posto s = r)
= supa
s
: s Q, s > x = (per denizione nel caso
di esponente razionale)
= sup
_
1
a
s
: s Q, s > x
_
= (per lesercizio 1.10.5)
=
1
infa
s
: s Q, s > x
=
1
a
x
;
il discorso `e analogo se 0 < a 1.
Estendiamo adesso le propriet`a (i)-(vii) al caso di esponenti reali. La (i) `e
evidente. Per la (ii) si ha:
Proposizione 1.10.5 Per ogni a > 0 si ha
a
x+y
= a
x
a
y
x, y R.
61
Dimostrazione Supponiamo ad esempio a 1. Poiche
a
x+y
= supa
q
: q Q, q < x + y,
per ogni r, s Q con r < x e s < y si ha r + s < x + y e quindi
a
r
a
s
= a
r+s
a
x+y
.
Passando allestremo superiore separatamente rispetto a r e rispetto a s,
otteniamo (esercizio 1.5.15)
a
x
a
y
a
x+y
.
In modo del tutto analogo, usando il fatto che
a
x+y
= infa
q
: q Q, q > x + y,
si prova che a
x
a
y
a
x+y
. La tesi `e cos` provata quando a 1.
Nel caso 0 < a 1 si procede esattamente come sopra: lunica dierenza `e
che dalla relazione
a
x+y
= infa
q
: q Q, q < x + y
segue che a
x
a
y
a
x+y
, mentre dalla relazione
a
x+y
= supa
q
: q Q, q < x + y
segue che a
x
a
y
a
x+y
.
Proviamo ora (iv) e (iii); per le propriet` a (v), (vi), (vii) si rimanda agli
esercizi 1.10.6, 1.10.7 e 1.10.8.
Proposizione 1.10.6 Per ogni a, b > 0 si ha
(ab)
x
= a
x
b
x
x R.
Dimostrazione Supponiamo a, b 1. Usando la caratterizzazione di a
x
,
b
x
, (ab)
x
mediante gli estremi superiori, si vede che per ogni r Q con r < x
si ha
a
r
b
r
= (ab)
r
(ab)
x
.
Daltra parte ssato > 0 esistono r, r

Q con r < x e r

< x tali che


a
x
< a
r
a
x
, b
x
< b
r

b
x
;
62
quindi posto = maxr, r

si ha a maggior ragione
a
x
< a

a
x
, b
x
< b

b
x
.
Ne segue, scegliendo 0 < < mina
x
, b
x
,
(a
x
)(b
x
) < a

= (ab)

(ab)
x
da cui, essendo
2
> 0,
a
x
b
x
(b
x
+ a
x
) < (ab)
x
ossia
a
x
b
x
< (ab)
x
+ (a
x
+ b
x
) ]0, mina
x
, b
x
[;
per il lemma dellarbitrariet` a di si deduce che a
x
b
x
(ab)
x
.
Utilizzando invece le caratterizzazioni di a
x
, b
x
, (ab)
x
mediante gli estremi
inferiori, si ottiene in modo analogo che a
x
b
x
(ab)
x
. La tesi `e cos` provata
quando a, b 1.
Se a, b 1 si procede in modo simmetrico: usando le caratterizzazioni con
gli estremi superiori si trova che a
x
b
x
(ab)
x
, usando quelle con gli estremi
inferiori si trova laltra disuguaglianza.
Inne se a > 1 > b e, ad esempio, ab 1, allora usando le caratterizzazioni
con gli estremi superiori avremo:
a
r
b
r
= (ab)
r
(ab)
x
r Q con r < x,
e per ogni > 0 esistono r

, s

Q, con r

< x, s

> x, tali che


a
x
< a
r

a
x
, b
x
< b
s

b
x
;
dunque se 0 < < mina
x
, b
x
si ricava, ricordando che b
s

1,
0 < (a
x
)(b
x
) < a
r

b
s

a
r

b
r

= (ab)
r

(ab)
x
,
da cui, procedendo come prima, a
x
b
x
(ab)
x
. Similmente, usando le carat-
terizzazioni con gli estremi inferiori, si arriva alla disuguaglianza opposta. Se
a > 1 > b e ab 1, la procedura `e la stessa, mutatis mutandis, e lasciamo
i dettagli al lettore.
63
Osservazione 1.10.7 Dalla proposizione precedente segue, in particolare,
che
a
x

_
1
a
_
x
= 1
x
= 1 a > 0, x R,
cio`e, ricordando losservazione 1.10.4,
1
a
x
= a
x
=
_
1
a
_
x
a > 0, x R.
Proposizione 1.10.8 Per ogni a > 0 si ha
(a
x
)
y
= a
xy
x, y R.
Dimostrazione
`
E suciente considerare il caso x, y 0: infatti, provata
la tesi in questo caso, se minx, y < 0 ci si riconduce ad esso nel modo
seguente:
(a
x
)
y
=
_
1
a
x
_
y
=
1
a
(x)y
= a
xy
se x < 0 y;
(a
x
)
y
=
1
(a
x
)
y
=
1
a
xy
= a
xy
se y < 0 x;
(a
x
)
y
=
1
(a
x
)
y
=
1
_
1
a
x
_
y
=
1
1
a
(x)(y)
= a
(x)(y)
= a
xy
se x, y < 0.
Siano dunque x, y 0: se x = 0 oppure y = 0 la tesi `e evidente, dunque
possiamo assumere x, y > 0. Consideriamo dapprima il caso a 1: in
particolare avremo anche a
x
1. Usando la caratterizzazione con gli estremi
superiori, si ha
(a
r
)
s
= a
rs
a
xy
r, s Q con r < x e s < y,
e per ogni ]0,
1
2
[ esistono r

, s

Q tali che 0 < r

< x, 0 < s

< y e
a
x
(1 ) < a
r

a
x
, (a
x
)
y
(1 ) < (a
x
)
s

(a
x
)
y
.
Dunque, facendo uso della proposizione 1.10.8 e tenendo conto del fatto che
s

0 e 0 < r

< xy, si ottiene


(a
x
)
y
<
(a
x
)
s

1
=
(a
x
)
s

(1 )
s

(1 )
s

+1
=
[a
x
(1 )]
s

(1 )
s

+1

a
r

(1 )
s

+1

a
xy
(1 )
s

+1
.
64
Da qui, scegliendo n N tale che s

+1 n, e osservando che da <


1
2
segue
1
1
< 1 + 2, concludiamo che
(a
x
)
y
<
a
xy
(1 )
s

+1
< a
xy
(1 + 2)
n
.
Daltra parte, dalla formula del binomio (teorema 1.7.1) e dallosservazione
1.7.2 (3) segue che
(1 + 2)
n
= 1 +
n

k=1
_
n
k
_
(2)
k
< 1 + 2
n

k=1
_
n
k
_
< 1 + 2
n+1
,
da cui nalmente
(a
x
)
y
< a
xy
+ a
xy
2
n+1

_
0,
1
2
_
,
e dunque (a
x
)
y
a
xy
in virt` u dellarbitrariet` a di .
In modo analogo, usando la caratterizzazione con gli estremi inferiori, si prova
la disuguaglianza opposta: ci` o conclude la dimostrazione nel caso a 1.
Se 0 < a 1 si procede in modo analogo: la caratterizzazione con gli estremi
superiori implicher`a che (a
x
)
y
a
xy
, mentre quella con gli estremi inferiori
porter` a alla disuguaglianza opposta. La tesi `e cos` provata.
Logaritmi
Abbiamo visto che la funzione esponenziale di base a (con a numero positivo
e diverso da 1) `e denita per ogni x R ed `e a valori in ]0, [. Essa `e
strettamente monot`ona, ossia verica (esercizio 1.10.8)
x < y = a
x
< a
y
se a > 1, x < y = a
x
> a
y
se a < 1 :
se a > 1 `e dunque una funzione strettamente crescente su R, se a < 1 `e
strettamente decrescente su R. In particolare, essa `e iniettiva: ci`o signica
che ad esponenti distinti corrispondono potenze distinte, ossia
a
x
= a
y
= x = y.
Inoltre la funzione esponenziale ha per codominio la semiretta ]0, [, vale
a dire che ogni numero positivo `e uguale ad una potenza di base a, per un
opportuno esponente x R; ci`o `e garantito dal seguente risultato:
65
Teorema 1.10.9 Se a `e un numero positivo diverso da 1, allora per ogni
y > 0 esiste un unico x R tale che a
x
= y; tale numero x si chiama
logaritmo in base a di y e si indica con x = log
a
y.
Dimostrazione Lunicit` a di x `e conseguenza delliniettivit` a della funzione
esponenziale. Proviamo lesistenza. Trattiamo dapprima il caso a > 1, y > 1:
consideriamo linsieme
A = t R : a
t
< y,
che `e certamente non vuoto, essendo 0 A. Notiamo che A `e anche limi-
tato superiormente. Infatti esiste n N tale che a
n
> y, dato che per la
disuguaglianza di Bernoulli (esercizio 1.7.5) si ha a
n
> 1 +n(a 1) > y non
appena n >
y1
a1
; quindi risulta a
n
> y > a
t
per ogni t A, da cui n > t per
ogni t A, ossia ognuno di tali n `e un maggiorante di A. Poniamo allora
x = sup A, e mostriamo che a
x
= y.
Se fosse a
x
> y, scelto n N in modo che a
1/n
< a
x

1
y
, il che `e possibile
grazie allesempio 1.8.3 (1), avremmo a
x1/n
> y > a
t
per ogni t A, da cui
x
1
n
> t per ogni t A: ne seguirebbe che x
1
n
sarebbe un maggiorante
di A, il che contraddice la denizione di x. Se fosse a
x
< y, scelto n in
modo che a
1/n
< y a
x
, avremmo a
x+1/n
< y, cio`e x +
1
n
A, nuovamente
contraddicendo la denizione di x. Perci`o a
x
= y, e la tesi `e provata nel caso
a > 1, y > 1.
Se a > 1, y = 1 allora chiaramente x = 0. Se a > 1, 0 < y < 1, allora
1
y
> 1,
cosicche per quanto gi` a visto esiste un unico x

R tale che a
x

=
1
y
; quindi,
posto x = x

, si ha a
x
= a
x

= y.
Inne, se 0 < a < 1 e y > 0, per quanto visto esiste un unico x

R tale che
(1/a)
x

= y; posto x = x

, ne segue a
x
= y.
La funzione esponenziale (con base positiva e diversa da 1) `e dunque inver-
tibile: la funzione inversa, che ad ogni y > 0 associa lunico esponente x R
per il quale si ha a
x
= y, `e il logaritmo di base a:
a
x
= y x = log
a
y.
La funzione logaritmo `e denita su ]0, [, a valori in R, ed `e ovviamente
anchessa bigettiva: dunque per ogni x R esiste un unico y > 0 tale che
log
a
y = x, e tale y `e precisamente a
x
. Si hanno dunque le relazioni
a
log
a
y
= y y > 0, log
a
a
x
= x x R.
66
Dalle propriet` a dellesponenziale seguono le corrispondenti propriet`a dei lo-
garitmi:
log
a
(bc) = log
a
b + log
a
c b, c > 0, a ]0, [ 1
(conseguenza di a
x+y
= a
x
a
y
, scegliendo x = log
a
b, y = log
a
c);
log
a
1
c
= log
a
c c > 0, a ]0, [ 1
(conseguenza di a
x
=
1
a
x
, scegliendo x = log
a
c);
log
a
c = log
a
b log
b
c c > 0, a, b ]0, [ 1
(conseguenza di (a
x
)
y
= a
xy
, scegliendo x = log
a
b, y = log
b
c). In particolare:
log
a
b
c
= log
a
b log
a
c b, c > 0, a ]0, [ 1,
log
a
1 = 0 a ]0, [1,
log
a
b
c
= c log
a
b c R, b > 0, a ]0, [ 1,
log
a
b =
1
log
b
a
a, b ]0, [ 1.
I graci approssimativi delle funzioni a
x
, log
a
x sono riportati di seguito.
67
Landamento qualitativo
del graco di a
x
`e giu-
sticato dalle seguenti
considerazioni: se a > 1,
lincremento della quantit`a
a
x
nel passaggio da 0 a
`e pari a a

1, mentre
nel passaggio da t a t +
`e pari a a
t+
a
t
, ossia a
a
t
(a

1). Dunque `e lo
stesso di prima, dilatato
o contratto di un fattore
a
t
(che `e maggiore di 1 se
t > 0, minore di 1 se t < 0).
Se 0 < a < 1, vale lo stesso
discorso, ma rovesciato: si
hanno incrementi dilatati
se t < 0, contratti se t > 0.
Il graco qualitativo di log
a
x si ottiene da quello di a
x
per riessione rispetto
alla retta y = x, come sempre accade per le funzioni inverse (osservazione
1.3.1).
Esercizi 1.10
1. Dimostrare le regole di calcolo con esponenti naturali, ossia le propriet` a
(i)-(vi) enunciate nel 1
o
passo.
2. Si provi che
a 1 a
1/n
1 n N
+
;
0 < a 1 a
1/n
1 n N
+
.
3. Dimostrare le regole di calcolo con esponenti razionali, ossia le propriet` a
(i)-(vii) enunciate nel 3
o
passo.
4. Per a > 0 poniamo
A = a
r
: r Q, r < x, B = a
s
: s Q, s > x.
Si provi che A e B sono limitati inferiormente, e che:
68
(i) se a 1, A `e limitato superiormente, mentre, se a 1, B `e limitato
superiormente;
(ii) supposto x =
p
q
Q, se a 1 si ha a
p/q
= sup A = inf B, mentre
se a 1 si ha a
p/q
= inf A = sup B.
5. Sia A un insieme non vuoto contenuto nella semiretta ]0, [. Si provi
che
sup
_
1
x
: x A
_
=
_
+ se inf A = 0
1
inf A
se inf A > 0,
inf
_
1
x
: x A
_
=
_
0 se sup A = +
1
sup A
se sup A < +.
6. Siano a, b > 0 e x > 0. Si provi che se a < b allora a
x
< b
x
.
7. Siano a, x > 0. Si provi che se a < 1 allora a
x
< 1, mentre se a > 1
allora a
x
> 1.
8. Siano a > 0 e x, y R con x < y. Si provi che se a < 1 allora a
x
> a
y
,
mentre se a > 1 allora a
x
< a
y
.
9. Dimostrare che lequazione 37
x
= (0.58)
x
3
non ha soluzioni reali diverse
da 0.
10. Risolvere le seguenti equazioni:
(i)

8
x
=
1
4
; (ii) 9
1/(x1)
= 3
1/(3x1)
;
(iii) 7
x
2
5x+9
= 343; (iv)
(5
2x
)
3+x
25
x1
=
(5
x2
)
2x3
25
2x
125
3
;
(v)
_
x + y = 4
3
xy
= 27
; (vi)
_
x
2
+ y
2
= 17
5
x+y
= 125
;
(vii) 8
5x
2
3
x
2
+1
= 2
153x
2
3x
2
+1
; (viii) 81
2x1
+ 2 9
4x
+ 711 = 81
2x+1
+
1
9
.
69
11. Risolvere le seguenti equazioni e disequazioni:
(i) 7
x+1
+ 7
x1
= 5
x
; (ii)

4
x
15
4

4
x
= 16;
(iii) 3
x+1
5
1x
; (iv)
1
2
< [2
x
1[ < 2;
(v) log
3
x log
1/3
x > 2; (vi) log
1/2
(2x + 3) 3;
(vii) [log
10
[x[[ = 100; (viii) (3 2
x
)(5
x/2
2) > 0;
(ix) log
3
_
log
4
(x
2
5)
_
< 0 ; (x) log
2
[x[ 3 log
4
[x[;
(xi) log
4
x
2
log
8

x =
5
3
; (xii) log
2x
x <
1
2
;
(xiii)
_
y
x
= 10
4
y
1/x
= 10
(xiv)
_
xy = 1/2
x
log
2
y
=
1
4
.
12. Dimostrare che
[a
x
1[ a
|x|
1 a 1, x R.
1.11 Geometria nel piano
In geometria il piano, come la retta, `e un concetto primitivo. Lassioma che
permette di identicare una retta orientata con linsieme dei numeri reali ci
consente anche di rappresentare univocamente i punti del piano con coppie
di numeri reali. Per fare ci` o, si deve ssare il sistema di riferimento, che `e
costituito da tre oggetti: (a) un punto origine O, (b) due direzioni, ossia
due rette orientate (non coincidenti e non opposte) passanti per O, e inne
(c) unorientazione: si deve decidere quale sia la prima direzione e quale la
seconda; la prima retta si chiama asse delle ascisse, o asse x e la seconda asse
delle ordinate, o asse y. Si dice che il sistema `e orientato positivamente se,
partendo dal lato positivo dellasse x e girando in verso antiorario, si incontra
il lato positivo dellasse y prima di quello negativo. Il sistema `e orientato
negativamente nel caso opposto. Noi considereremo soltanto sistemi di rife-
rimento orientati positivamente.
A questo punto si proietta P su ciascuna retta parallelamente allaltra: alle
sue due proiezioni A sullasse x e B sullasse y corrispondono univocamente
(per quanto visto) due numeri reali a, b, che si chiamano coordinate di P (ri-
spettivamente, ascissa e ordinata). La coppia (a, b) determina allora in modo
70
unico il punto P: si noti che se a ,= b le coppie (a, b) e (b, a) individuano punti
diversi. In denitiva, il piano si pu` o identicare con il prodotto cartesiano
R
2
= R R. Nel seguito questa identicazione sar` a sistematica.
`
E comodo, anche se per nulla necessario, utilizzare sistemi di riferimento or-
togonali, nei quali cio`e le due direzioni sono perpendicolari fra loro; `e anche
utile (ma talvolta controindicato) scegliere la stessa unit`a di misura per le
ascisse e per le ordinate: si parla allora di coordinate cartesiane ortogonali
monometriche.
I punti di R
2
si possono sommare fra loro e moltiplicare per una costante
reale, utilizzandone la rappresentazione in coordinate: se P = (x
P
, y
P
) e
Q = (x
Q
, y
Q
) sono punti di R
2
, la loro somma P+Q `e il punto di coordinate
(x
P
+x
Q
, y
P
+y
Q
); se P = (x
P
, y
P
) R
2
e `e un numero reale, il prodotto
P `e il punto di coordinate (x
P
, y
P
). Scriveremo in particolare P in
luogo di (1)P, e questo permette di denire la sottrazione: PQ signica
P+(1)Q e dunque ha coordinate (x
P
x
Q
, y
P
y
Q
). Cos` come il prodotto
per scalari, la somma e la sottrazione si possono rappresentare gracamente,
facendo uso della cosiddetta regola del parallelogrammo.
71
Per queste operazioni valgono le usuali propriet` a della somma e del prodotto
ordinari (associativit` a, commutativit`a, distributivit` a, eccetera). La possibi-
lit` a di eettuare queste operazioni sui punti del piano denisce in R
2
una
struttura di spazio vettoriale, e per questo i punti di R
2
sono anche detti
vettori.
Distanza in R
2
Il passo successivo `e quello di rappresentare, e quindi denire mediante i
numeri reali, le principali propriet` a ed entit` a geometriche. Cominciamo con
la fondamentale nozione di distanza euclidea nel piano.
Denizione 1.11.1 Siano P = (x
P
, y
P
), Q = (x
Q
, y
Q
) due punti di R
2
. La
distanza euclidea fra P e Q `e il numero non negativo
PQ =
_
(x
P
x
Q
)
2
+ (y
P
y
Q
)
2
.
Elenchiamo le propriet`a di cui gade la distanza euclidea:
(i) (positivit`a) PQ 0 e PQ = 0 se e solo se P = Q;
(ii) (simmetria) PQ = QP per ogni P, Q R
2
;
(iii) (disuguaglianza triangolare) PQ PR + RQ per ogni P, Q, R R
2
.
72
Le propriet` a (i) e (ii) sono ovvie per de-
nizione; proviamo la (iii). Poniamo, al
solito,
P = (x
P
, y
P
), Q = (x
Q
, y
Q
), R = (x
R
, y
R
)
ed anche, per comodit` a,
u = x
P
x
R
, v = y
P
y
R
,
w = x
R
x
Q
, z = y
R
y
Q
.
Dobbiamo dimostrare che
_
(u + w)
2
+ (v + z)
2

u
2
+ v
2
+

w
2
+ z
2
.
In eetti si ha, utilizzando la disuguaglianza di Cauchy-Schwarz (teorema
1.9.3),
(u + w)
2
+ (v + z)
2
= u
2
+ w
2
+ v
2
+ z
2
+ 2(uw + vz)
u
2
+ v
2
+ w
2
+ z
2
+ 2

u
2
+ v
2

w
2
+ z
2
=
= (

u
2
+ v
2
+

w
2
+ z
2
)
2
.
La distanza euclidea ha unaltra fondamentale propriet` a: linvarianza per
traslazioni. Una traslazione `e una trasformazione del piano (cio`e una funzione
da R
2
in R
2
) che manda ogni punto P nel punto P + U, ove U `e un ssato
punto di R
2
. Dalla denizione di distanza `e evidente il fatto che
(P + U)(Q + U) = PQ P, Q, U R
2
,
il che esprime appunto linvarianza per traslazioni della distanza euclidea.
Invece la trasformazione del piano che manda ogni punto P di R
2
nel punto
P, ove `e un ssato numero reale, si dice omotetia; il comportamento della
distanza rispetto alle omotetie `e il seguente:
(P)(Q) = [[PQ P, Q R
2
, R.
La distanza fra due punti `e anche, come suggerisce lintuizione, invariante
rispetto a rotazioni e simmetrie del piano (esercizi 1.11.22 e 1.11.23).
73
Osservazione 1.11.2 La distanza euclidea PQ fra due punti P e Q coin-
cide, come abbiamo visto, con la distanza di PQ dallorigine O, cio`e con
O(P Q). In luogo di questultima notazione si usa spessissimo la seguente:
[PQ[ = PQ =
_
(x
P
x
Q
)
2
+ (y
P
y
Q
)
2
P, Q R
2
;
se Q = O, si scriver` a pi` u semplicemente [P[ in luogo di [PO[ (si dice che
[P[ `e il modulo del vettore P). Con questa notazione si pu`o scrivere, in modo
pi` u naturale,
[(P+U) (Q+U)[ = [PQ[ P, Q, U R
2
,
[PQ[ = [[ [PQ[ P, Q R
2
, R.
Alla distanza euclidea si as-
sociano in modo naturale
alcuni speciali sottoinsiemi
del piano: i dischi e le cir-
conferenze. Siano P =
(a, b) R
2
e r > 0. Il di-
sco, o cerchio, di centro P e
raggio r `e linsieme
B(P, r) = X R
2
: [XP[ < r = (x, y) R
2
: (x a)
2
+(y b)
2
< r
2
;
il disco chiuso di centro P e raggio r `e
B(P, r) = X R
2
: [XP[ r = (x, y) R
2
: (xa)
2
+(y b)
2
r
2
;
la circonferenza di centro P e raggio r `e
S(P, r) = X R
2
: [XP[ = r = (x, y) R
2
: (x a)
2
+(y b)
2
= r
2
.
Rette
Tutti i sottoinsiemi del piano, in linea di principio, possono essere descritti in
termini delle coordinate dei propri punti, tramite equazioni e disequazioni.
Vediamo come si rappresentano le rette in R
2
.
74
Se una retta `e orizzontale (parallela allasse x), i suoi punti avranno ordinata
y costante e quindi la retta sar`a descritta dallequazione
y = k,
ove k `e un ssato numero reale. Analogamente, una retta verticale (parallela
allasse y) `e costituita da punti di ascissa costante e quindi la sua equazione
sar` a
x = h
con h ssato numero reale.
Consideriamo ora una retta r obliqua, ossia non parallela agli assi coordinati.
Fissiamo due punti distinti P e Q in r. Siano poi r

la retta per P parallela


allasse x e r

la retta per Q parallela allasse y: tali rette sono perpendicolari


fra loro e quindi si incontrano in un punto T. Il triangolo PTQ `e rettangolo,
di cateti PT e QT. Se prendiamo due altri punti distinti P

e Q

su r,
e ripetiamo la stessa costruzione, otteniamo un altro triangolo rettangolo
P

, di cateti P

e Q

, il quale `e simile al precedente. Quindi fra le


lunghezze dei rispettivi cateti vale la proporzione
QT : PT = Q

: P

.
Dato che, per costruzione, T = (x
Q
, y
P
) e Q

= (x
Q
, y
P
), la proporzione
sopra scritta diventa, dopo un cambiamento di segno,
y
P
y
Q
x
P
x
Q
=
y
P
y
Q

x
P
x
Q

.
75
Questa relazione `e valida per ogni coppia P

, Q

di punti (distinti) di r. Ad
esempio, scegliendo P

= P, pensando P sso e facendo variare Q, si ottiene


che
y
P
y
Q
x
P
x
Q
=
y
P
y
Q

x
P
x
Q

Q, Q

r,
ossia il rapporto m =
y
P
y
Q
x
P
x
Q
`e indipendente da Q quando Q varia in r. La
quantit` a m sopra denita si chiama pendenza o coeciente angolare della
retta r. Se la retta `e orizzontale si ha m = 0; se la semiretta (di tale retta)
corrispondente alle y positive forma con la direzione positiva dellasse x un
angolo acuto, si ha m > 0, mentre se tale angolo `e ottuso si ha m < 0. Per
le rette verticali il coeciente angolare non `e denito, ma si suole dire che
esse hanno pendenza innita.
Come abbiamo visto, se X = (x, y) `e un punto di R
2
si ha X r se e solo se
y
P
y
x
P
x
= m;
dunque lequazione cartesiana della retta (obliqua) r `e la seguente:
y y
P
= m(x x
P
),
o anche, posto q = y
P
+ mx
P
,
y = mx + q.
Il numero reale q `e lordinata del punto di incontro di r con lasse y.
Riepilogando ed unicando tutti i casi sopra visti, otteniamo che la pi` u
generale equazione cartesiana di una retta `e
ax + by + c = 0
con a, b, c numeri reali tali che a e b non siano entrambi nulli. Se b = 0 la
retta `e verticale (di equazione x =
c
a
), se a = 0 la retta `e orizzontale (di
equazione y =
c
b
), e se a e b sono entrambi non nulli la retta `e obliqua
(di equazione y =
a
b
x
c
b
). Notiamo anche che una retta di equazione
ax+by +c = 0 passa per lorigine se e solo se il suo termine noto c `e nullo.
Si noti che lequazione cartesiana di una retta `e unica a meno di un fattore
di proporzionalit`a non nullo: se ,= 0, le equazioni
ax + by + c = 0, ax + by + c = 0
76
individuano la stessa retta.
Inne, la retta passante per due punti
distinti assegnati P e Q ha equazione
(x
Q
x
P
)(y y
P
) = (y
Q
y
P
)(x x
P
)
e, se si sa che x
Q
,= x
P
, si pu` o scrivere
equivalentemente
y y
P
=
y
Q
y
P
x
Q
x
P
(x x
P
).
Semirette, segmenti, semipiani
Se invece di una retta occorre descrivere una semiretta, baster` a delimitare
linsieme di variabilit`a della x o della y: per esempio, la semiretta bisettrice
del primo quadrante (x, y) R
2
: x, y 0 `e descritta dallequazione
y = x, x 0, oppure y = x, x > 0,
a seconda che si consideri la semiretta chiusa, ossia comprendente il suo estre-
mo, oppure aperta, cio`e senza lestremo.
Analogamente, il segmento (chiuso) di estremi P e Q sulla retta r di equa-
zione ax + by + c = 0 `e descritto, supponendo x
P
< x
Q
, dalle condizioni
ax + by + c = 0, x
P
x x
Q
.
Se risultasse invece x
P
> x
Q
, si scriver`a x
Q
x x
P
; se inne x
P
= x
Q
, sar` a
necessariamente y
P
< y
Q
oppure y
P
> y
Q
e scriveremo allora le limitazioni
y
P
y y
Q
oppure y
Q
y y
P
.
Se il segmento lo si vuole aperto, o semichiuso a destra, o semichiuso a
sinistra, occorrer` a rendere strette una o laltra o entrambe le disuguaglianze.
Una retta r divide il piano in due semipiani. Se essa ha equazione ax+by+c =
0 e se P / r, si ha ovviamente ax
p
+ by
P
+ c ,= 0. I due insiemi

+
= (x, y) R
2
: ax +by +c 0,

= (x, y) R
2
: ax +by +c 0
77
sono i due semipiani chiusi delimitati
da r; se i semipiani li si vuole aperti,
basta mettere le disuguaglianze stret-
te. Per disegnarli, basta tracciare la
retta r, poi scegliere un punto P fuo-
ri di r e vedere il segno dellespressione
ax
P
+by
P
+c: se `e positivo, il semipia-
no contenente P sar` a
+
, se `e negativo
sar` a

.
Ad esempio, il semipiano
+
relativo
alla retta 10x 6y + 7 = 0 `e quello
che sta al di sotto: infatti la retta in-
contra lasse y nel punto (0,
7
6
) e quindi
lorigine, che appartiene a
+
, sta sotto
la retta.
Lintersezione di due rette non parallele `e un punto, le cui coordinate si otten-
gono mettendo a sistema le equazioni delle due rette: il fatto che le pendenze
delle rette siano diverse garantisce la risolubilit` a del sistema. Se invece le
rette sono parallele, il sistema avr` a innite soluzioni o nessuna soluzione a
seconda che le rette siano coincidenti o no.
Lintersezione di due semipiani `e un angolo convesso, cio`e minore dellango-
lo piatto; un angolo concavo (maggiore dellangolo piatto) si ottiene invece
78
facendo lunione di due semipiani. Un triangolo si ottiene intersecando tre
(opportuni) semipiani; ogni poligono convesso di n lati si ottiene come inter-
sezione di n semipiani. I poligoni non convessi si realizzano tramite opportune
unioni e intersezioni di semipiani.
Rette e segmenti in forma parametrica
Consideriamo il segmento S di estremi (distinti) A = (x
A
, y
A
) e B = (x
B
, y
B
)
e supponiamo, per ssare le idee, che sia x
A
< x
B
e y
B
,= y
A
. Come sappiamo,
si ha
S =
_
(x, y) R
2
: y y
A
=
y
B
y
A
x
B
x
A
(x x
A
), x [x
A
, x
B
]
_
.
Se P = (x, y) S, si ha, per ragioni di similitudine,
[PA[
[BA[
=
x x
A
x
B
x
A
=
y y
A
y
B
y
A
[0, 1].
Poniamo
t =
[PA[
[BA[
:
poiche P S, si ha t [0, 1]. Le coordinate x, y di P vericano allora
_
x = x
A
+ t(x
B
x
A
)
y = y
A
+ t(y
B
y
A
).
Quindi ogni P S si rappresenta nella forma sopra descritta, con un oppor-
tuno t [0, 1]. Viceversa, sia P = (x, y) dato dal sistema sopra scritto, per
un certo t [0, 1]: allora si ha
xx
A
x
B
x
A
=
yy
A
y
B
y
A
= t, cosicche P appartiene
alla retta passante per A e B; daltra parte, essendo x x
A
= t(x
B
x
A
),
si ha 0 x x
A
x
B
x
A
, ossia x [x
A
, x
B
]. Pertanto P appartiene al
segmento S.
Il sistema
_
x = x
A
+ t(x
B
x
A
)
y = y
A
+ t(y
B
y
A
),
t [0, 1]
fornisce le equazioni parametriche del segmento S. Alle stesse equazioni si
perviene, come `e facile vericare, quando x
A
> x
B
(basta scambiare i ruoli
di A e B ed eettuare la sostituzione s = (1 t)), ed anche quando y
A
= y
B
79
(segmento orizzontale) oppure x
A
= x
B
e y
A
,= y
B
(segmento verticale). In
forma vettoriale si pu` o scrivere, in modo equivalente,
S = P R
2
: P = A+ t(BA), t [0, 1].
In modo analogo, il sistema
_
x = x
A
+ t(x
B
x
A
)
y = y
A
+ t(y
B
y
A
),
t R,
ovvero, in forma vettoriale,
P = A+ t(BA), t R,
d` a le equazioni parametriche della retta per A e B. Il vettore B A pu` o
essere interpretato come la velocit`a di avanzamento lungo la retta, mentre il
parametro t rappresenta il tempo di percorrenza: allistante t = 0 ci troviamo
in A, allistante t = 1 transitiamo in B, per valori t > 1 ci spingiamo oltre
B mentre per t < 0 siamo dallaltra parte, oltre A.
Parallelismo e perpendicolarit`a
Due rette r, r

sono parallele se e solo se hanno lo stesso coeciente angola-


re, cosicche le rispettive equazioni cartesiane, a parte uneventuale costante
moltiplicativa, dieriscono solamente per il termine noto. Se le rette hanno
equazioni ax + by + c = 0 e a

x + b

y + c

= 0, esse sono parallele se e solo


se il sistema costituito dalle due equazioni non ha soluzioni (in tal caso le
rette sono parallele e distinte) oppure ne ha innite (e allora le due rette
coincidono). Ci` o equivale alla condizione
ab

ba

= 0
(esercizio 1.11.1), la quale esprime ap-
punto il fatto che il sistema costitui-
to dalle equazioni delle due rette non
`e univocamente risolubile.
Se le due rette sono scritte in forma
parametrica:
r = X = P+ tQ, t R,
r

= X = A+ tB, t R,
80
esse risultano parallele se e solo se esiste R 0 tale che Q = B (eser-
cizio 1.11.13).
Due segmenti PQ, AB, dunque di equazioni parametriche
PQ = X = P+t(QP), t [0, 1], AB = X = A+t(BA), t [0, 1],
sono paralleli se le rette che li contengono sono parallele: quindi se e solo se
QP `e proporzionale a BA.
Una retta r `e parallela ad un segmento PQ se `e parallela alla retta che lo
contiene.
Scriviamo ora lequazione cartesiana di una retta r

perpendicolare ad una
retta r assegnata.
`
E chiaro che se r `e orizzontale allora r

`e verticale, e se
r `e verticale allora r

`e orizzontale. Supponiamo r obliqua: se P e Q sono


punti distinti di r, sappiamo che la pendenza di r `e m =
y
P
y
Q
x
P
x
Q
; se ora P

e
Q

sono punti distinti di r

, costruiamo i punti T e T

di intersezione delle
rette parallele agli assi passanti rispettivamente per P, Q e per P

, Q

, come
si `e fatto in precedenza. I triangoli rettangoli PTQ e P

sono ancora
simili, ma le coppie di cateti sono scambiate e si ha
[QT[ : [PT[ = [P

[ : [Q

[,
da cui
y
Q
y
P

x
Q
x
P

=
x
Q
x
P
y
Q
y
P
=
1
m
,
e in denitiva la pendenza di r

`e m

=
1
m
. Di conseguenza, se r ha equa-
zione del tipo ax + by + c = 0, le rette perpendicolari a r hanno equazioni
della forma bx + ay + k = 0, con k R arbitrario.
Vediamo ora come si esprime la perpendico-
larit` a fra segmenti. Consideriamo due seg-
menti OP, OQ con un vertice nellorigine O,
ove P = (x
P
, y
P
) e Q = (x
Q
, y
Q
) sono punti
distinti e diversi da O. Il fatto che OP sia
perpendicolare ad OQ si pu`o descrivere in
termini di distanza: signica che O, fra tutti
i punti della retta r contenente OQ, `e quello
situato a minima distanza da P. Traducia-
mo a questo in termini di coordinate: poiche
i punti tQ, t R descrivono la retta r,
deve aversi
[P[ [P tQ[ t R.
81
Elevando al quadrato i due membri si ricava, per denizione di distanza,
x
2
P
+ y
2
P
(x
P
tx
Q
)
2
+ (y
P
ty
Q
)
2
=
= x
2
P
+ y
2
P
2t(x
P
x
Q
+ y
P
y
Q
) + t
2
(x
2
Q
+ y
2
Q
) t R,
ovvero
t
2
(x
2
Q
+ y
2
Q
) 2t(x
P
x
Q
+ y
P
y
Q
) 0 t R.
Ci` o `e possibile se e solo se il discriminante di questo polinomio di secondo
grado `e non positivo: dunque deve essere
(x
p
x
Q
+ y
P
y
Q
)
2
0,
ossia
x
P
x
Q
+ y
P
y
Q
= 0.
Questa condizione `e pertanto equivalente alla perpendicolarit`a dei segmenti
OP e OQ. Essa dipende solo dalle coordinate di P e di Q: dunque esprime
una propriet` a che riguarda intrinsecamente i punti P e Q, e che `e naturale
prendere come denizione di ortogonalit`a fra vettori di R
2
(e non pi` u fra
segmenti di R
2
).
Denizione 1.11.3 Diciamo che due vettori P = (x
P
, y
P
) e Q = (x
Q
, y
Q
)
di R
2
sono fra loro ortogonali, se i segmenti OP e OQ sono perpendicolari,
ossia se risulta
x
P
x
Q
+ y
P
y
Q
= 0.
Due segmenti qualunque PQ e AB sono perpendicolari se e solo se i vettori
QP e BA sono ortogonali, ossia se e solo se
(x
Q
x
P
)(x
B
x
A
) + (y
Q
y
P
)(y
B
y
A
) = 0.
Consideriamo ancora due rette r, r

, scritte stavolta in forma parametrica:


r = X = P+ tQ, t R, r

= X = A+ tB, t R.
Allora la direzione di r `e quella del vettore Q e la direzione di r

`e quella del
vettore B: perci`o esse sono perpendicolari se e solo se Q e B sono vettori
ortogonali, vale a dire se e solo se x
Q
x
B
+ y
Q
y
B
= 0.
Supponiamo invece, nuovamente, che r, r

siano scritte in forma cartesiana:


r = (x, y) : ax + by + c = 0, r

= (x, y) : a

x + b

y + c

= 0,
82
e consideriamo le rette ,

parallele a r ed a r

e passanti per lorigine:


= (x, y) : ax + by = 0,

= (x, y) : a

x + b

y = 0.
Dalla denizione 1.11.3 segue subito che `e linsieme dei vettori che sono
ortogonali al vettore dei suoi coecienti (a, b), mentre

`e, analogamente,
linsieme dei vettori che sono ortogonali a (a

, b

); se ne deduce che e

(e
quindi anche r e r

) sono fra loro perpendicolari se e solo se i vettori (a, b) e


(a

, b

) sono fra loro ortogonali, cio`e se e solo se


aa

+ bb

= 0.
Ritroviamo cos` il fatto che le equazioni di r e r

sono, a meno di un fattore


di proporzionalit`a, della forma
r = (x, y) : ax + by + c = 0, r

= (x, y) : bx ay + c

= 0.
Si noti che comunque si ssi U = (u, v) r, la retta r descrive linsieme
dei vettori X = (x, y) tali che X U `e ortogonale al vettore dei coecienti
A = (a, b): infatti, essendo U r si ha c = (au + bv), da cui
(x u)a + (y v)b = ax + by + c = 0.
Esempio 1.11.4 La retta r di
equazione x y = 0 `e la bi-
settrice degli assi coordinati. La
perpendicolare a r passante per
(2, 5) `e la retta r

di equazione
(x + 2) (y 5) = 0, ovvero,
pi` u semplicemente, x + y 3 =
0. La parallela a r passante per
(1, 4) `e la retta r

di equazio-
ne (x + 1) (y + 4) = 0, ossia
x y + 5 = 0.
Prodotto scalare
In R
2
, oltre alla somma ed al prodotto per scalari, `e denita unaltra ope-
razione fra vettori: il prodotto scalare, che a due vettori assegnati fa cor-
rispondere una quantit` a scalare, vale a dire un numero reale, e che come
vedremo ha un rilevante signicato geometrico.
83
Denizione 1.11.5 Siano P = (x
P
, y
P
), Q = (x
Q
, y
Q
) punti di R
2
. La
quantit`a
x
P
x
Q
+ y
P
y
Q
si chiama prodotto scalare fra P e Q e si indica con P, Q.
Le propriet` a del prodotto scalare sono le seguenti: per ogni P, Q, R R
2
si
ha
(i) P, P = [P[
2
;
(ii) P, Q = Q, P;
(iii) P+Q, R = P, R +Q, R;
(iv) [P, Q[ [P[ [Q[.
Le prime tre propriet`a sono immediata conseguenza della denizione; la quar-
ta `e una riformulazione della disuguaglianza di Cauchy-Schwarz.
Vale anche il seguente sviluppo del binomio:
[PQ[
2
= [P[
2
+[Q[
2
2 P, Q P, Q R
2
(esercizio 1.11.8).
Dalla denizione di prodotto scalare e dalla denizione 1.11.3 segue che due
vettori P e Q sono fra loro ortogonali se e solo se P, Q = 0.
Ma il signicato geometrico del prodotto scalare non `e tutto qui: data una
retta r per lorigine, di equazione ax+by = 0, il vettore Q = (a, b) appartiene
al semipiano
+
= (x, y) R
2
: ax + by 0, come si verica immediata-
mente. Poiche il segmento OQ `e perpendicolare alla retta, si deduce che
+
`e linsieme dei vettori P tali che i segmenti OP e OQ formano un angolo
acuto, mentre

= (x, y) R
2
: ax + by 0 `e linsieme dei vettori P
tali che langolo fra i segmenti OP e OQ `e ottuso. Daltra parte, si ha, per
denizione di prodotto scalare,

+
= P R
2
: P, Q 0,

= P R
2
: P, Q 0;
se ne deducono le equivalenze

QOP acuto P, Q > 0,

QOP retto P, Q = 0,

QOP ottuso P, Q < 0.


84
Distanza di un punto da una retta
Sia r una retta di equazione ax + by +
c = 0, e sia U = (x
U
, y
U
) un punto
di R
2
. Vogliamo calcolare la distanza
del punto U dalla retta r, ossia il mi-
nimo delle distanze [U P[ al varia-
re di P r; denoteremo tale distanza
con d(U, r). Supponiamo naturalmen-
te U / r, altrimenti la distanza cerca-
ta `e 0. Consideriamo la retta r

pas-
sante per U e perpendicolare a r: es-
sa intersecher` a r in un punto Q, le cui
coordinate (x, y) si determinano, come
sappiamo, risolvendo il sistema
_
ax + by + c = 0
b(x x
U
) + a(y y
U
) = 0,
`
E facile, anche se un po laborioso, dedurre che
x
Q
=
ac + b
2
x
U
aby
U
a
2
+ b
2
, y
Q
=
bc abx
U
+ a
2
y
U
a
2
+ b
2
.
La minima distanza [UP[ si ottiene per P = Q: dunque baster`a determi-
nare [UQ[. Sviluppando con pazienza i calcoli, si trova
[UQ[
2
= (x
U
x
Q
)
2
+ (y
U
y
Q
)
2
=
=
1
(a
2
+ b
2
)
2
_
_
x
U
(a
2
+ b
2
) + ac b
2
x
U
+ aby
U
_
2
+
+
_
y
U
(a
2
+ b
2
) + bc + abx
U
a
2
y
U
_
2
_
=
=
1
(a
2
+ b
2
)
2
_
a
2
(ax
U
+ by
U
+ c)
2
+ b
2
(ax
U
+ by
U
+ c)
2

=
=
(ax
U
+ by
U
+ c)
2
a
2
+ b
2
,
da cui
d(U, r) = [UQ[ =
[ax
U
+ by
U
+ c[

a
2
+ b
2
.
85
Quindi, ad esempio, la distanza del punto (32, 48) dalla retta di equazione
x 2y 99 = 0 `e semplicemente
[32 + 96 99[

1 + 4
=
29

5
.
Lineare indipendenza
Siano A, B R
2
. Come sappiamo, la somma A+B`e il vettore di componenti
(x
A
+y
A
, x
B
+y
B
), e la sua posizione nel piano si determina mediante la regola
del parallelogrammo, il cui nome deriva dal fatto che nel parallelogrammo di
lati OA e OB il quarto vertice `e A+B. Consideriamo linsieme
M = P R
2
: , R : P = A+ B,
che `e il luogo dei quarti vertici di tutti i parallelogrammi, con primo vertice
in O, costruiti su multipli dei vettori A e B. Le espressioni A + B, al
variare di , R, si chiamano combinazioni lineari dei vettori A e B:
quindi M `e linsieme dei vettori P che sono combinazioni lineari di A e B.
`
E chiaro che O M, dato che per ottenere O basta scegliere = = 0. A
seconda di come si ssano A e B, pu`o capitare che questo sia lunico modo
di ottenere O, o possono invece esistere altri valori (non nulli) di e tali
che A+ B = O.
Denizione 1.11.6 Due vettori A, B di R
2
si dicono linearmente indipen-
denti se lunica loro combinazione lineare che d`a come risultato il vettore
O `e quella con entrambi i coecienti nulli: in altre parole, A e B sono
lnearmente indipendenti quando vale limplicazione
A+ B = O = = = 0.
I due vettori si dicono linearmente dipendenti se non sono linearmente indi-
pendenti, ossia se esistono , R, non entrambi nulli, tali che A+B =
O.
`
E chiaro che A e B sono linearmente dipendenti se e solo se sono allineati con
lorigine; in questo caso linsieme M coincide con la retta per A e B. Quando
invece A e B non sono allineati con O (e in particolare sono entrambi non
nulli), si pu` o agevolmente mostrare che M = R
2
. Sia infatti P = (x, y) R
2
86
e proviamo che esistono e tali che P = A+B. Questa uguaglianza si
pu` o tradurre nel sistema
_
x
A
+ x
B
= x
y
A
+ y
B
= y
le cui incognite sono e . Risolvendo
si trovano e :
=
yx
B
xy
B
x
B
y
A
y
B
x
A
,
=
xy
A
yx
A
x
B
y
A
y
B
x
A
,
il che dimostra che P M, a patto
per`o che risulti x
B
y
A
y
B
x
A
,= 0.
Ma se fosse x
B
y
A
y
B
x
A
= 0, posto C = (y
B
, x
B
) avremmo A, C = 0,
nonche B, C = 0. Di conseguenza, sia A che B apparterrebbero alla retta
di equazione y
B
x + x
B
y = 0, cio`e sarebbero allineati con lorigine: ci`o `e
assurdo.
In denitiva, data una qualunque coppia di vettori A, B linearmente indipen-
denti, le combinazioni lineari di tali vettori generano tutto il piano R
2
; in tal
caso ogni P R
2
si pu`o scrivere in uno ed un sol modo come combinazione
lineare di A e B (esercizio 1.11.24).
Esercizi 1.11
1. Dimostrare che il sistema
_
ax + by + c = 0
a

x + b

y + c

= 0
`e risolubile univocamente se e solo se risulta ab

ba

,= 0; in tal caso
se ne scriva la soluzione (x, y).
2. Determinare la retta passante per (2, 1) e perpendicolare alla retta di
equazione 4x 3y + 12 = 0.
3. Determinare la retta passante per (0, 0) e per il centro della circonfe-
renza di equazione x
2
+ y
2
2x + y = 0.
87
4. Si calcoli la distanza del punto (3, 2) dalla retta di equazione 4x
3y + 12 = 0.
5. Si suddivida il segmento di estremi (1, 2) e (2, 1) in quattro parti di
egual lunghezza mediante i tre punti P, Q, R. Si calcolino le coordinate
di tali punti.
6. Dati P = (2, 5) e Q = (4, 13), trovare le coordinate di un punto R
sul segmento PQ tale che [PR[ = 2 [QR[.
7. Sia R = (2, 3) il punto medio del segmento PQ, ove P = (7, 5).
Determinare le coordinate di Q.
8. Dimostrare che per ogni P, Q R
2
si ha
[PQ[
2
= [P[
2
+[Q[
2
2 P, Q.
9. Provare che il triangolo di vertici (2, 1), (4, 2) e (5, 1) `e isoscele.
10. Provare che il triangolo di vertici (3, 3), (1, 3) e (11, 1) `e rettangolo.
11. Calcolare la lunghezza della mediana uscente dal punto A relativa al
triangolo ABC, ove A = (1, 1), B = (0, 6), C = (10, 2).
12. Scrivere lequazione dellasse del segmento di estremi (0, 2) e (2, 1) (las-
se di un segmento `e il luogo dei punti che sono equidistanti dai vertici
del segmento).
13. Si provi che le rette di equazioni parametriche X = P + tQ, t R e
X = A + sB, s R sono fra loro parallele se e solo se esiste R,
non nullo, tale che Q = B.
14. Si provi che le rette di equazioni ax + by + c = 0 e a

x + b

y + c

= 0
sono fra loro parallele se e solo se esiste R 0 tale che a

= a e
b

= b.
15. Si provi che le rette di equazioni ax+by +c = 0 e a

x+b

y +c

= 0 sono
fra loro perpendicolari se e solo se esiste R 0 tale che a = b

,
b = a

.
88
16. Si provi che le rette di equazioni X = P + tQ, t R, e ax + by + c =
0 sono fra loro perpendicolari se e solo se i vettori Q e (a, b) sono
proporzionali, e sono parallele se e solo se i vettori Q e (b, a) sono
proporzionali.
17. Si considerino i luoghi dei punti di R
2
descritti dalle seguenti equazioni:
(i) x
2
+ y
2
1 = 0, (v) x
2
+ y
2
+ xy = 0,
(ii) x
2
+ y
2
= 0, (vi) x
2
y
2
= 0,
(iii) x
2
+ y
2
+ 1 = 0, (vii) x
2
+ y
2
+ 2x + 2y + 2 = 0,
(iv) x
2
+ y
2
+ 2xy = 0, (viii) (x
2
1)
2
+ y
2
= 0,
e si riconosca quale delle precedenti equazioni rappresenta:
(a) nessun punto, (d) una retta,
(b) un punto, (e) due rette,
(c) due punti, (f) una circonferenza.
18. Si verichi che ogni angolo convesso `e lintersezione di due semipiani.
19. Si provi che ogni triangolo in R
2
`e lintersezione di tre semipiani.
20. Si provi che ogni quadrilatero in R
2
`e lintersezione di quattro semipiani.
21. Vericare che gli insiemi
A = (x, y) R
2
: [x[ 1, [y[ 1, B = (x, y) R
2
: [x[ +[y[ 1
sono quadrati; determinarne i vertici e le lunghezze dei lati.
22. Siano a, b R tali che a
2
+ b
2
= 1. La funzione R : R
2
R
2
, denita
da
R(x, y) = (, ), = ax + by, = bx + ay,
denisce una rotazione del piano (attorno allorigine). Si provi che:
(i) si ha
2
+
2
= x
2
+ y
2
per ogni (x, y) R
2
;
(ii) posto U = R(1, 0), V = R(0, 1), le rette per O, U e per O, V for-
mano un sistema di coordinate ortogonali monometriche orientato
positivamente;
89
(iii) posto (

) = R(x

, y

), si ha (

)
2
+ (

)
2
= (x x

)
2
+
(y y

)
2
per ogni (x, y), (x

, y

) R
2
.
23. Siano a, b R tali che a
2
+ b
2
= 1. La funzione S : R
2
R
2
, denita
da
S(x, y) = (, ), = ax + by, = bx ay,
denisce una simmetria del piano (rispetto a una retta). Si provi che:
(i) si ha
2
+
2
= x
2
+ y
2
per ogni (x, y) R
2
;
(ii) posto U = S(1, 0), V = S(0, 1), le rette per O, U e per O, V for-
mano un sistema di coordinate ortogonali monometriche orientato
negativamente;
(iii) posto (

) = S(x

, y

), si ha (

)
2
+ (

)
2
= (x x

)
2
+
(y y

)
2
per ogni (x, y), (x

, y

) R
2
;
(iv) i punti (x, y) della bisettrice dellangolo formato dallasse x e dalla
retta bx ay = 0 soddisfano la relazione S(x, y) = (x, y).
24. Si provi che se A, B sono vettori linearmente indipendenti in R
2
, allora
per ogni P R
2
esiste ununica coppia di numeri reali , tali che
P = A+ B.
1.12 Numeri complessi
Una delle possibili motivazioni per ampliare il campo dei numeri reali con
lintroduzione dei numeri complessi `e il fatto che nellambito di R non `e possi-
bile risolvere certe equazioni algebriche (cio`e equazioni della forma P(x) = 0,
con P(x) polinomio a coecienti reali e x variabile reale). Ad esempio, le-
quazione x
2
1 = 0 ha le soluzioni reali x = 1, ma lequazione x
2
+ 1 = 0
non `e risolubile in R. Per risolvere questa ed altre equazioni algebriche oc-
corre dunque aggiungere nuovi numeri allinsieme dei numeri reali: il primo
di essi `e la quantit` a (certamente non un numero reale) che indichiamo con i,
a cui attribuiamo per denizione la propriet` a seguente:
i
2
= 1.
Il numero i `e detto unit`a immaginaria (per pure ragioni storiche: non `e meno
reale di

2, ne pi` u immaginario di

3). Si osservi allora che lequazione


90
x
2
+ 1 = 0 ha le soluzioni x = i.
Se per` o vogliamo mantenere, anche con laggiunta di questo nuovo numero,
la possibilit`a di fare addizioni e moltiplicazioni, nonche ottenere che restino
valide le regole di calcolo che valgono in R, dovremo aggiungere, insieme
a i, anche tutti i numeri che si generano facendo interagire, mediante tali
operazioni, il numero i con se stesso o con i numeri reali: dunque nellinsieme
allargato di numeri dovremo includere quelli della forma
a + ib (a, b R),
ed anche, pi` u generalmente,
a
0
+ a
1
i + a
2
i
2
+ + a
n
i
n
(a
0
, a
1
, a
2
, . . . , a
n
R; n N),
cio`e tutti i polinomi P(x) a coecienti reali calcolati nel punto x = i.
Fortunatamente, le regole di calcolo e la denizione di i ci dicono che
i
0
= 1 i
1
= i, i
2
= 1 i
3
= i,
i
4
= 1, i
5
= i, i
6
= 1, i
7
= i,
i
4n
= 1, i
4n+1
= i, i
4n+2
= 1, i
4n+3
= i n N,
e quindi `e suciente prendere polinomi di grado al pi` u 1. In denitiva,
introduciamo linsieme dei numeri complessi C, denito da
C = a + ib : a, b R;
in altre parole, assegnare un numero complesso a + ib equivale ad assegnare
una coppia (a, b) di numeri reali. La quantit`a i, meglio scritta come 0 + i1,
appartiene a C perche corrisponde alla scelta (a, b) = (0, 1).
Introduciamo in C le operazioni di somma e prodotto in modo formalmente
identico a R:
(a + ib) + (c + id) = (a + c) + i(b + d),
(a + ib) (c + id) = ac + iad + ibc + i
2
bd = (ac bd) + i(ad + bc).
Si vede subito che gli assiomi di R relativi a somma e prodotto valgono
ancora; in particolare lelemento neutro per la somma `e 0 + 0i, lelemento
neutro per il prodotto `e 1 +0i, lopposto di a +ib `e a ib. Vale la legge di
annullamento del prodotto:
(a + ib)(0 + i0) = (a 0 b 0) + i(a 0 + b 0) = 0 +i0 a + ib C.
91
La corrispondenza che ad ogni numero reale a associa la coppia (a, 0) = a+
i0, `e chiaramente biunivoca tra R e il sottoinsieme di C costituito dalle coppie
con secondo elemento nullo; inoltre essa preserva la somma e il prodotto, nel
senso che (a) + (a

) = (a + a

) e (a)(a

) = (aa

) per ogni a, a

R.
`
E naturale allora identicare le coppie (a, 0) = a + i0 con i corrispondenti
numeri reali a, ottenendo la rappresentazione semplicata a + i0 = a per
ogni a R; analogamente scriveremo ib anziche 0 + ib. Si noti ch la legge
di annullamento del prodotto ci dice che, nelle notazioni semplicate, deve
essere i0 = 0. In questa maniera si pu` o scrivere R C, o pi` u precisamente
R = a + ib C : b = 0.
Se a + ib ,= 0 (cio`e `e non nullo a, oppure `e non nullo b, od anche sono non
nulli entrambi), si pu` o agevolmente vericare che il reciproco di a +ib esiste
ed `e dato da
1
a + ib
=
a ib
(a + ib)(a ib)
=
a ib
a
2
i
2
b
2
=
a ib
a
2
+ b
2
=
a
a
2
+ b
2
i
b
a
2
+ b
2
.
In denitiva, in C valgono le stesse propriet`a algebriche di R.
Non altrettanto si pu` o dire delle propriet` a di ordinamento: in C non `e possi-
bile introdurre un ordinamento che sia coerente con le regole di calcolo valide
per R. Infatti, se ci`o fosse possibile, per il numero i si avrebbe i > 0, op-
pure i < 0 (non i = 0, in quanto i
2
= 1): in entrambi i casi otterremmo
1 = i
2
> 0, il che `e assurdo. Per questa ragione non ha senso scrivere disu-
guaglianze tra numeri complessi, ne parlare di estremo superiore o inferiore
di sottoinsiemi di C.
Dal momento che assegnare un numero complesso equivale ad assegnare una
coppia di numeri reali, vi `e una ovvia corrispondenza biunivoca fra C e R
2
,
che associa ad a + ib la coppia (a, b).
`
E naturale allora rappresentare i nu-
meri complessi su un piano cartesiano: il piano complesso, o piano di Gauss.
Lasse delle ascisse `e detto asse reale, quello delle ordinate `e detto asse im-
maginario. Visualizzeremo i numeri complessi z = a + ib C come vettori
di coordinate (a, b); nel seguito faremo sistematicamente uso di questa iden-
ticazione. Essa, fra laltro, ci permette di rappresentare la somma di due
numeri complessi, ed anche il prodotto z, con R e z C, esattamente
come si `e fatto in R
2
(paragrafo 1.11).
92
Invece la rappresentazione graca del prodotto z w, con z, w C, non ha
un analogo in R
2
; come vedremo, tale rappresentazione sar`a possibile con
luso della forma trigonometrica dei numeri complessi, che introdurremo pi` u
avanti.
Se z = a+ib C, il numero reale a `e detto parte reale di z, mentre il numero
reale b `e detto parte immaginaria di z; si scrive
a = Rez, b = Imz,
da cui
z = Rez + i Imz z C.
Se z = a + ib C, il coniugato di z `e il numero complesso z denito da
z = a ib. Si ha quindi
Rez = Rez, Imz = Imz,
cio`e
z = Rez i Imz z C.
Dunque z `e il simmetrico di z rispet-
to allasse reale. Invece, il simmetrico
di z rispetto allasse immaginario `e il
numero z.
Ricavando dalle relazioni precedenti z e z in funzione di Rez e Imz, si trova
Rez =
z + z
2
, Imz =
z z
2i
,
ed in particolare
z R Imz = 0 z = z = Rez,
93
z = 0 Rez = Imz = 0.
Vediamo le propriet` a delloperazione di coniugio, la dimostrazione delle quali
`e una semplice verica:
z = z, z + w = z + w, zw = z w,
_
1
z
_
=
1
z
,
_
z
w
_
=
z
w
.
Ad esempio, si ha
i = i, i = i, 1 = 1,
1 = 1, 5 3i = 5 + 3i,
_
1
i
_
=
1
i
= i.
Se in C non vi `e un buon ordinamento, c`e per` o il modo di valutare quanto
un numero complesso sia grande: si pu`o misurare la sua distanza, intesa nel
senso di R
2
, dallorigine, cio`e dal punto 0.
Denizione 1.12.1 Il modulo di un numero complesso z = a + ib `e il
numero reale non negativo
[z[ =

a
2
+ b
2
=
_
(Rez)
2
+ (Imz)
2
.
Il modulo di z `e dunque la distanza del punto (a, b) R
2
dal punto (0, 0)
R
2
; ovvero, `e la lunghezza del segmento di estremi 0 e z del piano complesso,
cio`e dellipotenusa del triangolo rettangolo di vertici 0, Rez, z. Dalla deni-
zione segue subito, per ogni z C,
[z[ Rez [z[, [z[ Imz [z[.
Si noti che queste sono disuguaglianze
tra numeri reali, non tra numeri com-
plessi!
In particolare, lequazione [z[ = 1 rap-
presenta la circonferenza di centro 0 e
raggio 1 nel piano complesso.
Vediamo le propriet`a del modulo di
numeri complessi:
94
Proposizione 1.12.2 Risulta per ogni z, w C:
(i) z z = [z[
2
;
(ii) [z[ 0, e [z[ = 0 se e solo se z = 0;
(iii) [z[ = [z[ = [ z[;
(iv) [z[ [w[ = [zw[;
(v) (subadditivit`a) [z + w[ [z[ +[w[;
(vi) [[z[ [w[[ [z w[;
(vii) se z ,= 0, allora

1
z

=
1
|z|
;
(viii) se z ,= 0, allora

w
z

=
|w|
|z|
.
Dimostrazione Per (i) si ha, posto z = a + ib,
z z = (a + ib)(a ib) = a
2
i
2
b
2
= a
2
+ b
2
= [z[
2
.
Le propriet`a (ii) e (iii) sono evidenti.
Proviamo (iv): usando (i) si ha
[zw[
2
= z w z w = (zz) (ww) = [z[
2
[w[
2
,
da cui la tesi estraendo la radice quadrata.
Dimostriamo (v): usando (i) e (iv), si ha
[z + w[
2
= (z + w)(z + w) = zz + wz + zw + ww =
= [z[
2
+ 2Re(zw) +[w[
2
[z[
2
+ 2[zw[ +[w[
2
=
= [z[
2
+[w[
2
+ 2[z[[w[ = ([z[ +[w[)
2
,
da cui la tesi estraendo la radice quadrata.
Per (vi) osserviamo che, grazie a (v), si ha
[z[ = [(z w) + w[ [z w[ +[w[, [w[ = [(w z) + z[ [z w[ +[z[,
cosicche
[z w[ [z[ [w[ [z w[;
95
ne segue la tesi, per lesercizio 1.9.4.
Proviamo (vii): si ha

1
z

2
=
1
z

_
1
z
_
=
1
zz
=
1
[z[
2
,
da cui la tesi.
Inne, (viii) segue da (iv) e (vii).
Il numero
Prima di introdurre la forma trigonometrica dei numeri complessi, conviene
parlare, appunto, di trigonometria. Preliminare a tutta la questione `e il pro-
blema di dare una denizione il pi` u possibile rigorosa del numero reale .
Il nostro punto di partenza sar`a larea dei triangoli, che supponiamo ele-
mentarmente nota (met` a del prodotto base per altezza!), insieme con le sue
basilari propriet`a, e cio`e:
se un triangolo `e incluso in un altro triangolo, allora larea del primo `e
non superiore allarea del secondo;
se due triangoli sono congruenti, allora essi hanno la stessa area;
larea di una gura costituita da due triangoli disgiunti o adiacenti `e
pari alla somma delle aree dei due triangoli.
Fissato un intero n 3, consideria-
mo un poligono regolare T di n lati,
inscritto nel cerchio B(0, 1) del piano
complesso. I vertici di T sono numeri
complessi w
0
, w
1
, . . . , w
n1
, w
n
w
0
di modulo unitario. Denotiamo con O,
W
i
,W

i
, Z
i
i punti del piano corri-
spondenti ai numeri complessi 0, w
i
,
w

i
=
w
i
+w
i1
2
, z
i
=
w
i
+w
i1
|w
i
+w
i1
|
.
Calcoliamo larea a(T) di T: il triangolo OW
i1
W
i
`e isoscele con base
W
i
W
i1
e altezza OW

i
; quindi
96
a(T) =
n

i=1
a(OW
i1
W
i
) =
=
n

i=1
1
2
[w

i
[ [w
i
w
i1
[ =
=
n

i=1
1
4
[w
i
w
i1
[ [w
i
+ w
i+1
[.
Invece il perimetro (T) del poligono T `e semplicemente la somma delle
lunghezze dei segmenti W
i1
W
i
: quindi
(T) =
n

i=1
[w
i
w
i1
[.
Si noti che, essendo

w
i
+w
i1
2

< 1, si ha
2a(T) < (T).
Daltra parte, detto T

il poligono regolare inscritto di 2n lati, di vertici w


0
,
z
0
, w
1
, z
1
, . . . , w
n1
, z
n1
, w
n
w
0
, si riconosce facilmente che larea di T

`e data dalla somma delle aree degli n quadrilateri OW


i1
Z
i
W
i
; poiche
a(OW
i1
Z
i
W
i
) = 2a(OZ
i
W
i
) = 2
_
1
2
[w
i
w
i1
[
2
[z
i
[
_
=
1
2
[w
i
w
i1
[,
si ottiene
a(T

) =
1
2
(T).
In particolare:
Proposizione 1.12.3 Risulta
supa(T) : T poligono regolare inscritto in B(0, 1) =
=
1
2
sup(T) : T poligono regolare inscritto in B(0, 1).
Consideriamo ora un poligono regolare Q di n lati circoscritto al cerchio
B(0, 1). Indichiamo con v
0
, v
1
, . . . , v
n1
, v
n
v
0
i vertici di Q e con
z
0
, z
1
, . . . , z
n1
i punti in cui Q tocca la circonferenza S(0, 1). Come prima,
97
denotiamo con O, V
i
, Z
i
i punti del piano corrispondenti ai numeri complessi
0, v
i
, z
i
. Larea di Q `e data da
a(Q) =
n

i=1
a(OV
i1
V
i
) =
n

i=1
1
2
[z
i
[ [v
i
v
i1
[ =
n

i=1
1
2
[v
i
v
i1
[,
mentre il perimetro di Q `e semplicemente
(Q) =
n

i=1
[v
i
v
i1
[.
Dunque
a(Q) =
1
2
(Q).
Pertanto:
Proposizione 1.12.4 Risulta
infa(Q) : Q poligono regolare circoscritto a B(0, 1) =
=
1
2
inf(Q) : Q poligono regolare circoscritto a B(0, 1).
Adesso notiamo che per ogni poligono regolare T inscritto in B(0, 1) e per
ogni poligono regolare Q circoscritto a B(0, 1) si ha, evidentemente, T
B(0, 1) Q e quindi a(T) < a(Q). Ci`o mostra che i due insiemi
a(T) : T poligono regolare inscritto in B(0, 1),
a(Q) : Q poligono regolare circoscritto a B(0, 1)
sono separati: quindi per lassioma di completezza esiste almeno un elemento
separatore fra essi. Proveremo adesso che i due insiemi sono anche contigui,
e che quindi lelemento separatore `e in eetti unico.
Proposizione 1.12.5 Per ogni > 0 esistono due poligoni regolari T e Q,
uno inscritto e laltro circoscritto a B(0, 1), tali che
a(Q) a(T) < .
98
Dimostrazione Fissato n 2 siano T
n
e Q
n
poligoni regolari di 2
n
lati,
il primo inscritto e il secondo circoscritto al cerchio B(0, 1). Denotando con
v
i
i numeri complessi corrispondenti ai vertici di T
n
e con v

i
quelli relativi a
Q
n
, supporremo (il che `e lecito, a meno di unopportuna rotazione attorno
allorigine) che la posizione di Q
n
rispetto a T
n
sia tale che risulti
v

i
|v

i
|
= v
i
per ciascun vertice. Allora, utilizzando le formule precedenti, in questo caso
si trova
a(T
n
) = 2
n
[v
i
v
i1
[ [v
i
+ v
i1
[
4
,
a(Q
n
) = 2
n
[v
i
v
i1
[
[v
i
+ v
i1
[
,
da cui
a(Q
n
) a(T
n
) = 2
n
[v
i
v
i1
[ [v
i
+ v
i1
[
_
4
[v
i
+ v
i1
[
2
1
_
=
= 4a(T
n
)
_
4
[v
i
+ v
i1
[
2
1
_
.
Osserviamo adesso che, indicando con
n
la lunghezza del lato del poligono
regolare inscritto T
n
, si ha
n
= [v
i
v
i1
[ e quindi, essendo [v
1
[ = [v
i1
[ = 1,
[v
i
+v
i1
[
2
= 2+2 Re v
i
v
i1
= 2+(2[v
i
v
i1
[
2
) = 4[v
i
v
i1
[
2
= 4
2
n
;
di conseguenza
a(Q
n
) a(T
n
) = 4a(T
n
)

2
n
4
2
n
< a(Q
2
)
4
2
n
4
2
n
.
Al crescere di n, il lato
n
`e sempre pi` u piccolo e, in particolare,
inf
n2

n
= 0;
ne segue che, ssato ]0, 4[, esiste 2 sucientemente grande in modo
che
2

< /2 < 2; se ne deduce allora


a(Q

) a(T

) < a(Q
2
)
4
2

4
2

< 4
/2
4 2
= .
99
Ci` o prova la tesi.
Dalle proposizioni precedenti segue che esiste un unico numero reale, che de-
notiamo con , il quale `e lunico elemento separatore fra linsieme delle aree
di tutti i poligoni regolari inscritti e linsieme delle aree di tutti i poligoni re-
golari circoscritti al cerchio B(0, 1). Si noti che, a maggior ragione, `e anche
lelemento separatore fra linsieme delle aree di tutti i poligoni inscritti (non
necessariamente regolari) e linsieme delle aree di tutti i poligoni circoscritti
al cerchio B(0, 1) (non necessariamente regolari). Ovvie considerazioni geo-
metriche ci inducono a denire larea di B(0, 1) attribuendole il valore . In
altre parole:
Denizione 1.12.6 Il numero reale `e larea del cerchio B(0, 1), ed `e
quindi dato da
= a(B(0, 1)) = supa(T) : T poligono inscritto in B(0, 1) =
= infa(Q) : Q poligono circoscritto a B(0, 1).
Si noti che `e compreso fra 2 e 4 (le aree del quadrato inscritto e di quello
circoscritto).
Dal fatto che larea di un poligono regolare circoscritto al cerchio B(0, 1) `e
la met`a del suo perimetro, anche linsieme dei perimetri dei poligoni regolari
inscritti in B(0, 1) e quello dei perimetri dei poligoni regolari circoscritti a
B(0, 1) hanno un unico elemento separatore, il quale coincide esattamente
con 2 in virt` u della proposizione 1.12.4. A maggior ragione, 2 `e anche
lelemento separatore fra linsieme dei perimetri dei poligoni inscritti (non
necessariamente regolari) e quello dei perimetri dei poligoni circoscritti a
B(0, 1) (non necessaraiamente regolari). Nuovamente, evidenti considerazio-
ni geometriche ci portano a denire il perimetro della circonferenza S(0, 1)
attribuendole il valore 2. Si ha dunque:
Corollario 1.12.7 Il perimetro della circonferenza S(0, 1) `e dato da
(S(0, 1)) = sup(T) : T poligono inscritto in B(0, 1) =
= inf(Q) : Q poligono circoscritto a B(0, 1) = 2.
Osservazione 1.12.8 In modo del tutto analogo, per ogni r > 0 si deni-
scono larea del cerchio B(0, r) come
a(B(0, r)) = supa(T) : T poligono inscritto in B(0, r) =
= infa(Q) : Q poligono circoscritto a B(0, r)
100
e il perimetro della circonferenza S(0, r) come
(S(0, r)) = sup(T) : T poligono inscritto in B(0, r) =
= inf(Q) : Q poligono circoscritto a B(0, r).
Se T `e un poligono inscritto o circoscritto con
vertici v
i
, e T
r
`e il poligono i cui vertici sono
rv
i
, per ovvie ragioni di similitudine risulta
a(T
r
) = r
2
a(T), (T
r
) = r (T);
pertanto si ha
a(B(0, r)) = r
2
a(B(0, 1)) = r
2
,
(S(0, r)) = r (S(0, 1)) = 2r.
Dunque il cerchio B(0, r) ha area r
2
e perimetro 2r, come era da aspettarsi.
Area dei settori e lunghezza degli archi
Ogni coppia di numeri complessi v, w non nulli individua sulla circonferenza
S(0, 1) due punti, V e W, corrispondenti ai numeri complessi
v
|v|
e
w
|w|
; que-
sti punti formano con lorigine O due angoli. Attribuiamo unorientazione a
tali angoli: diciamo che VOW `e positivo se la terna (V, O, W) `e orientata
come (1, 0, i) (ossia in verso antiorario); diciamo che VOW `e negativo se la
terna (V, O, W) `e orientata come (i, 0, 1) (ossia in verso orario).
`
E chiaro
che VOW `e positivo se e solo se WOV `e negativo.
Denotiamo le intersezioni di S(0, 1)
con le regioni interne ai due angoli ri-
spettivamente con
+
(v, w) e

(v, w):
si tratta evidentemente di due archi.
Larco
+
(v, w) va da V a W in ver-
so antiorario, cio`e con orientazione po-
sitiva, mentre larco

(v, w) va da V
a W in verso orario, cio`e con orien-
tazione negativa. Agli archi positiva-
mente orientati attribuiremo una lun-
ghezza positiva, a quelli negativamente
orientati una lunghezza negativa.
101
Analogamente, ai corrispondenti settori circolari

+
(v, w) = z C : z = t, t [0, 1],
+
(v, w),

(v, w) = z C : z = t, t [0, 1],

(v, w),
attribuiremo unarea rispettivamente positiva e negativa.
Notiamo esplicitamente che, per denizione,

(v, w) =

_
v
[v[
,
w
[w[
_
,

(v, w) =

_
v
[v[
,
w
[w[
_
v, w C 0 :
quindi non sar` a restrittivo riferirsi ad archi

(v, w) relativi a numeri v, w C


con [v[ = [w[ = 1.
Fissiamo dunque v, w S(0, 1). Consi-
dereremo linee spezzate inscritte o cir-
coscritte a
+
(v, w). Una linea spez-
zata `e formata da una sequenza nita
ordinata di vertici e dai segmenti che
li congiungono; ci limiteremo a spezza-
te con primo vertice v e ultimo verti-
ce w. Una tale spezzata `e inscritta in

+
(v, w) se tutti i suoi vertici apparten-
gono a
+
(v, w); `e invece circoscritta se
tutti i suoi vertici, tranne il primo e lul-
timo, sono esterni a B(0, 1) e tutti i suoi
segmenti sono tangenti esternamente a

+
(v, w), ossia toccano tale arco senza
attraversarlo.
Considereremo anche i settori
P
associati a spezzate P inscritte o circo-
scritte: detti v
0
v, v
1
, . . . , v
n1
, v
n
w i vertici di P, il settore
P
`e
lunione degli n triangoli OV
i1
V
i
(ove al solito O, V
i
sono i punti del piano
corrispondenti ai numeri complessi 0, v
i
).
Ci` o premesso, con considerazioni analoghe a quelle svolte per il cerchio
102
B(0, 1) e per la circonferenza S(0, 1), si ottiene che
supa(
P
) : P spezzata inscritta in
+
(v, w) =
=
1
2
sup(P) : P spezzata inscritta in
+
(v, w) =
=
1
2
inf(Q) : Q spezzata circoscritta a
+
(v, w) =
= infa(
Q
) : Q spezzata circoscritta a
+
(v, w).
Siamo cos` indotti alla seguente
Denizione 1.12.9 Siano v, w C 0. La lunghezza dellarco positiva-
mente orientato
+
(v, w) `e il numero reale non negativo
(
+
(v, w)) = sup(P) : P spezzata inscritta in
+
(v, w) =
= inf(Q) : Q spezzata circoscritta a
+
(v, w).
Larea del settore positivamente orientato
+
(v, w) `e il numero reale non
negativo
a(
+
(v, w)) = supa(
P
) : P spezzata inscritta in
+
(v, w) =
= infa(
Q
) : Q spezzata circoscritta a
+
(v, w) =
=
1
2
(
+
(v, w)).
La lunghezza dellarco negativamente orientato

(v, w) `e il numero reale


non positivo
(

(v, w)) = 2 + (
+
(v, w)).
Larea del settore negativamente orientato

(v, w) `e il numero reale non


positivo
a(

(v, w)) = + a(
+
(v, w)).
Una fondamentale propriet`a delle lunghezze e delle aree sopra denite `e la
loro additivit`a. A questo proposito vale la seguente
Proposizione 1.12.10 Siano v, w, z C 0. Se
z
|z|

+
(v, w), allora
(
+
(v, w)) = (
+
(v, z)) + (
+
(z, w)),
a(
+
(v, w)) = a(
+
(v, z)) + a(
+
(z, w)).
103
Dimostrazione Fissiamo > 0. Per denizione, esistono due spezzate
P, P

, luna inscritta in
+
(v, z) e laltra inscritta in
+
(z, w), tali che
(
+
(v, z)) < (P) (
+
(v, z)), (
+
(z, w)) < (P

) (
+
(z, w)),
Detta P

la spezzata i cui vertici sono tutti quelli di P seguiti da tutti quelli


di P

, `e chiaro che P

`e inscritta in
+
(v, w); inoltre si ha (P) + (P

) =
(P

) (
+
(v, w)). Quindi
(
+
(v, z)) + (
+
(z, w) 2 < (P

) (
+
(v, w)).
Larbitrariet` a di prova che
(
+
(v, z)) + (
+
(z, w) (
+
(v, w)).
Per provare la disuguaglianza inversa, sia > 0 e sia P una spezzata inscritta
a
+
(v, w) tale che
(
+
(v, w)) < (P) (
+
(v, w)).
Se la spezzata P non ha come vertice il punto z, esisteranno due vertici
consecutivi v
i1
, v
i
tali che z
+
(v
i1
, v
i
); allora, sostituendo al segmento
V
i1
V
i
i due segmenti V
i1
Z e ZV
i
, si ottiene una nuova spezzata P

inscritta
a
+
(v, w) tale che (P

) > (P). Inoltre tale spezzata `e lunione di due


spezzate P

e P

, luna formata da tutti i vertici fra v e z (inclusi) e inscritta


in
+
(v, z), laltra formata da tutti i vertici fra z e w (inclusi) e inscritta in

+
(z, w). Si ha allora
(
+
(v, w)) < (P) < (P

) = (P

) + (P

) (
+
(v, z)) + (
+
(z, w)).
Nuovamente, larbitrariet`a di prova che
(
+
(v, w)) (
+
(v, z)) + (
+
(z, w)).
La prima parte della tesi `e provata. La seconda parte segue subito ricordando
che larea di un settore `e la met` a della lunghezza dellarco corrispondente.
Corollario 1.12.11 Se v, w
+
(1, i), allora
[v w[ < [(
+
(1, v)) (
+
(1, w))[

2[v w[.
104
Dimostrazione Anzitutto notiamo che si ha v
+
(1, w) oppure w

+
(1, v); se siamo ad esempio nel secondo caso, allora per la proposizione
1.12.10
(
+
(1, v)) (
+
(1, w)) = (
+
(w, v)),
cosicche la prima disuguaglianza `e ba-
nale. Per provare la seconda, denotia-
mo, al solito, con O, V, W, Z i pun-
ti corrispondenti ai numeri complessi
0, v, w, v + w, e tracciamo la bisettri-
ce dellangolo VOW; sia U il punto
di intersezione delle perpendicolari ai
segmenti OV e OW condotte da V e
W rispettivamente. La spezzata P di
vertici V, U, W `e allora circoscritta a

+
(v, w) e la sua lunghezza `e
(P) = [v u[ +[u w[ = 2[u v[ = 2
[v w[
[v + w[
;
ma poiche [v + w[ `e la lunghezza della diagonale maggiore OZ del rombo
OVZW, tale quantit` a `e certamente non inferiore a

2 (la diagonale del


quadrato di lato OV). Si ottiene allora
(
+
(v, w)) (P)

2[v w[.
Il corollario appena dimostrato ci permette di enunciare il seguente fonda-
mentale risultato, conseguenza dellassioma di completezza di R.
Teorema 1.12.12 Per ogni w C 0 esiste un unico numero [0, 2[
tale che
(
+
(1, w)) = 2a(
+
(1, w)) = .
La funzione g(w) = (
+
(1, w)) `e dunque surgettiva da C 0 in [0, 2[ ed
`e bigettiva da S(0, 1) in [0, 2[. Il numero = (
+
(1, w)) si dice misura in
radianti dellangolo individuato dai punti 0, 1, w.
Dimostreremo il teorema 1.12.12 pi` u avanti nel corso, utilizzando la teoria
delle funzioni continue.
Un radiante `e quindi, per denizione, la misura dellunico angolo (orientato
105
in verso antiorario) il cui corrispondente arco della circonferenza unitaria ha
lunghezza 1; un angolo misura radianti se e solo se larco corrispondente su
S(0, 1) ha lunghezza e il settore corrispondente ha area

2
. In particolare,
allora, langolo piatto misura (radianti), langolo retto

2
, e langolo sot-
teso da un lato del poligono regolare di N lati misura
2
N
; il segno davanti
alla misura dipende dal verso di rotazione.
Naturalmente, facendo pi` u di un giro in ver-
so antiorario le aree e le lunghezze darco cre-
scono di 2, 4, eccetera, mentre se il verso `e
orario esse decrescono di 2, 4, eccetera.
Daltra parte dopo una rotazione di +2k,
con k intero arbitrario, lestremo dellarco `e
lo stesso di quello relativo ad una rotazione di
: ad ogni w C0 corrispondono dunque
le innite misure + 2k, k Z. Possiamo
allora dare la seguente
Denizione 1.12.13 Sia w C0, e sia [0, 2[ la misura in radianti
dellarco
+
(1, w). Ognuno degli inniti numeri + 2k, k Z, si chiama
argomento del numero complesso w e si denota con arg w; il numero , cio`e
lunico fra gli argomenti di w che appartiene a [0, 2[, si chiama argomento
principale di w.
Si osservi che arg w denota uno qualsiasi degli inniti argomenti di w, quindi
`e una quantit` a denita a meno di multipli interi di 2.
Funzioni trigonometriche
Sulla base del teorema 1.12.12 e della conseguente denizione 1.12.13, siamo
in grado di introdurre le funzioni trigonometriche. Infatti, ssato [0, 2[,
tale risultato ci permette di scegliere w C 0 tale che arg w = ; in
particolare,
w
|w|
`e lunico elemento di S(0, 1) il cui argomento `e , cio`e che
verica
l
_

+
_
1,
w
[w[
__
= 2 a
_

+
_
1,
w
[w[
__
= .
Le coordinate di
w
|w|
, vale a dire Re
w
|w|
e Im
w
|w|
, sono quindi funzioni di . Ha
senso perci` o la seguente denizione delle funzioni trigonometriche coseno e
seno:
106
Denizione 1.12.14 Per ogni [0, 2[ si pone
cos = Re
w
[w[
, sin = Im
w
[w[
,
ove w C 0 `e un qualsiasi numero complesso tale che arg w = .
In particolare, un generico numero complesso non nullo w si pu`o scrivere in
forma trigonometrica:
w = (cos + i sin ),
ove = [w[ e = arg w.
Poiche ad un numero complesso
z di argomento principale
[0, 2[ corrispondono anche gli ar-
gomenti + 2k, occorre che le
funzioni coseno e seno siano pe-
riodiche di periodo 2: esse cio`e
devono vericare le relazioni
cos( + 2) = cos R,
sin( + 2) = sin R.
Immediata conseguenza della denizione sono poi le seguenti propriet` a:
[ cos [ 1, [ sin [ 1, cos
2
+ sin
2
= 1 R.
Poiche i punti z e z sono simmetrici ri-
spetto allasse reale, ad essi corrispon-
dono angoli opposti: dunque il seno
ed il coseno di angoli opposti devono
vericare
cos () = Re
z
[z[
= Re
z
[z[
= cos ,
sin () = Im
z
[z[
= Im
z
[z[
= sin .
107
Si verica poi facilmente, utilizzando le simmetrie illustrate nelle gure sot-
tostanti, che
cos
_

2

_
= sin , sin
_

2

_
= cos R,
cos
_

2
+
_
= sin , sin
_

2
+
_
= cos R,
cos ( ) = cos , sin ( ) = sin R,
cos ( + ) = cos , sin ( + ) = sin R.
Pi` u in generale si ha:
Proposizione 1.12.15 Per ogni , R valgono le formule di addizione
cos ( ) = cos cos + sin sin ,
cos ( + ) = cos cos sin sin ,
sin ( ) = sin cos cos sin ,
sin ( + ) = sin cos + cos sin .
108
Dimostrazione Siano z, w numeri complessi di modulo 1, con arg z = e
arg w = : ci` o signica che nel piano il punto z ha coordinate (cos , sin )
mentre il punto w ha coordinate (cos , sin ). Calcoliamo la quantit`a [zw[
2
:
si ha
[z w[
2
= (cos cos )
2
+ (sin sin )
2
.
Daltra parte, [z w[ rappresenta la lunghezza del segmento di estremi z e w,
quindi tale quantit`a non cambia se cambiamo sistema di riferimento. Sceglia-
mo due nuovi assi ortogonali x

, y

tali che la semiretta positiva dellasse x

coincida con la semiretta uscente da 0 che contiene w. Dato che [z[ = [w[ = 1,
le coordinate di w in questo nuovo sistema sono (1, 0) mentre quelle di z sono
(cos ( ), sin ( )). Pertanto
[z w[
2
= (cos ( ) 1)
2
+ (sin ( ))
2
.
Confrontando fra loro le due espressioni e svolgendo i calcoli, si ricava facil-
mente la prima uguaglianza.
La seconda uguaglianza segue dalla prima scambiando con :
cos ( ()) = cos cos () + sin sin () = cos cos sin sin .
Per la terza e quarta uguaglianza si osservi che, per quanto gi` a provato,
sin ( ) = cos
_
+

2
_
=
= cos
_
+

2
_
cos sin
_
+

2
_
sin =
= sin cos cos sin ,
109
sin ( + ) = cos
_
+ +

2
_
=
= cos
_
+

2
_
cos + sin
_
+

2
_
sin =
= sin cos + cos sin .
I graci delle funzioni coseno e seno sono illustrati qui sotto.
Si noti che il graco del seno si ottiene da quello del coseno mediante una tra-
slazione di +

2
lungo lasse x, dato che, come sappiamo, cos = sin ( +

2
).
Completiamo questa breve introduzione alle funzioni trigonometriche de-
nendo la funzione tangente.
Denizione 1.12.16 Se R e ,=

2
+ k, k Z, poniamo
tan =
sin
cos
.
110
Questa funzione non `e denita nei punti dove si annulla il coseno, ed `e pe-
riodica di periodo .
Vale questa importante disuguaglianza:
Proposizione 1.12.17 Risulta
cos x <
sin x
x
< 1 x
_

2
,

2
_
0;
di conseguenza si ha
sup
nN
+
sin
a
n
a
n
= 1 a R 0.
Dimostrazione Fissiamo x

0,

2
_
e siano O lorigine ed E, X i punti cor-
rispondenti ai numeri 1 e cos x + i sin x; sia poi T il punto di incontro tra
la perpendicolare ad OE passante per E ed il prolungamento di OX, e H il
punto dincontro con OE della perpendicolare ad OE passante per X. Dato
che i triangoli OHX e OET sono simili, si ha
[H[ : [E[ = [XH[ : [TE[,
da cui
[TE[ =
[XH[ [E[
[H[
=
sin x
cos x
= tan x.
Daltra parte, il triangolo OEX `e contenuto nel settore di vertici O,E,X il
quale a sua volta `e contenuto nel triangolo OET: ne segue, calcolando le tre
aree,
1
2
sin x <
1
2
x <
1
2
tan x,
da cui la tesi quando x

0,

2
_
.
Se x

2
, 0
_
, per quanto gi` a visto si ha
cos x = cos (x) <
sin (x)
x
< 1;
dato che
sin (x)
x
=
sin x
x
, si ha la tesi anche in questo caso. Inne, se x =

2
la tesi `e banale.
111
Sia ora a > 0. Essendo
0 1 cos
2
a
n
= sin
2
a
n
<
a
2
n
2
n N
+
,
si ottiene (dato che cos
a
n
> 0 per n >
2a

)
1 sup
nN
+
sin
a
n
a
n
sup
nN
+
cos
a
n
sup
n>2a/
_
1
a
2
n
2
_1
2
= 1.
Seno e coseno in coordinate
Fissiamo due punti P, Q R
2
, diversi dallorigine O. Consideriamo langolo
convesso

POQ, orientato da P a Q: la sua ampiezza, misurata in radian-
ti, `e un numero
PQ
[, ]. Vogliamo esprimere i numeri reali cos
PQ
,
sin
PQ
, che denoteremo direttamente con cos

POQ e sin

POQ, in termini
delle coordinate di P e Q.
Supponiamo dunque P = (x
P
, y
P
) e Q =
(x
Q
, y
Q
), e poniamo per comodit` a E = (1, 0).
Siano
P
e
Q
le misure in radianti de-
gli angoli convessi orientati

EOP,

EOQ;
con laiuto delle gure `e facile vericare che
risulta

PQ
=
_

P
se [
Q

P
[ <

P
+ 2 se
Q

P
2 se
Q

P
.
112
Di conseguenza, utilizzando le formule di addizione (proposizione 1.12.15), si
ottiene
cos

POQ = cos (
Q

P
) =
= cos
Q
cos
P
+ sin
Q
sin
P
=
=
x
Q
_
x
2
Q
+ y
2
Q
x
P
_
x
2
P
+ y
2
P
+
y
Q
_
x
2
Q
+ y
2
Q
y
P
_
x
2
P
+ y
2
P
,
sin

POQ = sin (
Q

P
) =
= sin
Q
cos
P
cos
Q
sin
P
=
=
y
Q
_
x
2
Q
+ y
2
Q
x
P
_
x
2
P
+ y
2
P

x
Q
_
x
2
Q
+ y
2
Q
y
P
_
x
2
P
+ y
2
P
.
Queste sono le espressioni del coseno e del seno che cercavamo. Si noti che,
di conseguenza,
cos

POQ =
P, Q
[P[ [Q[
, sin

POQ =
1
[P[ [Q[
det
_
x
P
x
Q
y
P
y
Q
_
,
ove il determinante della matrice
_
a
b
_
`e, per denizione, il numero a b.
Vale allora la seguente importante
Proposizione 1.12.18 Siano P, Q R
2
O.
(i) Risulta
P, Q = [P[ [Q[ cos

POQ;
(ii) detto T il parallelogrammo di vertici O, P, Q e P+Q, la sua area a(T)
`e data da
a(T) = [P[ [Q[ [ sin

POQ[ = [x
P
y
Q
y
P
x
Q
[.
Dimostrazione (i) Segue dai discorsi precedenti.
(ii) La base di T misura [P[ e la sua altezza misura [Q[ sin [

POQ[; poiche
[

POQ[ , si ha sin [

POQ[ = [ sin

POQ[, da cui la tesi.


Se ne deduce immediatamente:
Corollario 1.12.19 Se P, Q R
2
, larea del triangolo T di vertici O, P e
Q `e uguale a
a(T ) =
1
2
[x
P
y
Q
y
P
x
Q
[.
113
Forma trigonometrica dei numeri complessi
Se z = a +ib `e un numero complesso non nullo, come sappiamo esso pu` o es-
sere rappresentato, oltre che per mezzo delle sue coordinate cartesiane (a, b),
anche tramite il suo modulo ed il suo argomento (denizione 1.12.13): infat-
ti, ricordando la denizione 1.12.14, posto = [z[ e = arg z vale la relazione
z = (cos + i sin ).
Questa `e la scrittura di z in forma tri-
gonometrica. Si noti che, noti e , si
ha
_
a = cos
b = sin ,
mentre, noti a e b, si ha
=

a
2
+ b
2
,
_
cos =
a

sin =
b

,
il che equivale, com`e giusto, a determinare a meno di multipli interi di 2.
La forma trigonometrica dei numeri complessi `e utile per rappresentare geo-
metricamente il prodotto in C. Siano infatti z, w C: se uno dei due numeri
`e 0, allora il prodotto fa 0 e non c`e niente da aggiungere. Se invece z, w sono
entrambi non nulli, scrivendoli in forma trigonometrica,
z = (cos + i sin ),
w = r(cos + i sin ),
otteniamo che
zw = r(cos + i sin )(cos + i sin ) =
= r[(cos cos sin sin ) +
+i(sin cos + cos cos )] =
= r[cos ( + ) + i sin ( + )].
Dunque zw `e quel numero complesso che ha per modulo il prodotto dei
moduli e per argomento la somma degli argomenti. In particolare si ha la
114
formula
arg (zw) = arg z + arg w + 2k, k Z.
Ovviamente si ha anche
zw = r[cos ( ) + i sin ( )];
scelto poi w = z, troviamo
z
2
= r
2
(cos 2 + i sin 2),
e pi` u in generale vale la formula di de Moivre:
z
n
= r
n
(cos + i sin )
n
= r
n
(cos n + i sin n) R, n N.
Da questa formula, utilizzando lo sviluppo di Newton per il binomio (valido
ovviamente anche in campo complesso, trattandosi di una relazione algebrica)
`e possibile dedurre delle non banali relazioni trigonometriche che esprimono
sin n e cos n in termini di sin e cos (esercizio 1.12.13).
Altre formule trigonometriche, che seguono facilmente dalle formule di addi-
zione, sono illustrate negli esercizi 1.12.6, 1.12.7 e 1.12.8.
Radici n-sime di un numero complesso
Fissato w C, vogliamo trovare tutte le soluzioni dellequazione z
n
= w
(con n intero maggiore di 1). Ricordiamo che proprio lesigenza di risolvere
le equazioni algebriche ci ha motivato ad introdurre i numeri complessi.
Se w = 0, naturalmente lunica soluzione `e z = 0; se w ,= 0, risulta ancora
utile usare la forma trigonometrica. Scriviamo w = r(cos + i sin ), e sia
z = (cos + i sin ) lincognita: anche sia z
n
= w bisogner` a avere

n
= r (uguagliando i moduli),
n = + 2k, k Z (uguagliando gli argomenti),
cio`e
_
= r
1
n
(radice n-sima reale positiva)
=
+2k
n
, k Z.
Sembra dunque che vi siano innite scelte per , cio`e innite soluzioni z.
Per` o, mentre le prime n scelte di k (k = 0, 1, . . . , n 1) forniscono n valori
115
di compresi fra 0 e 2 (ossia
0
=

n
,
1
=
+2
n
, . . . ,
n1
=
+2(n1)
n
), le
scelte k n e k 1 danno luogo a valori di che si ottengono da quelli
gi` a trovati traslandoli di multipli interi di 2: infatti

n
=
+ 2
n
=
0
+ 2,
n+1
=
+ 2(n + 1)
n
=
1
+ 2,
ed in generale per j = 0, 1, . . . , n 1

mn+j
=
+ 2(mn + j)
n
=
j
+ 2m m Z.
In denitiva, le innite scelte possibili per forniscono solo n scelte distinte
per z, e cio`e
z
j
= r
1
n
_
cos
+ 2j
n
+ i sin
+ 2j
n
_
, j = 0, 1, . . . , n 1.
Quindi ogni numero complesso
w ,= 0 ha esattamente n radici
n-sime distinte z
0
, z
1
, . . . , z
n1
che sono tutte e sole le soluzioni
dellequazione z
n
= w. I nume-
ri z
0
, . . . ,z
n1
giacciono tutti sul-
la circonferenza di centro 0 e rag-
gio [w[
1
n
; ciascuno forma un an-
golo di
2
n
con il precedente, co-
sicche essi sono i vertici di un po-
ligono regolare di n lati inscritto
nella circonferenza.
Largomento del primo vertice z
0
si trova dividendo per n largomento princi-
pale di w, cio`e lunico che sta in [0, 2[. Se, in particolare, w `e reale positivo,
si avr` a arg z
0
=
1
n
arg w = 0, quindi z
0
`e reale positivo ed `e la radice n-sima
reale positiva di w. Dunque, se w `e reale positivo, la sua radice n-sima reale
positiva w
1
n
`e una delle n radici n-sime complesse di w (e tra queste ci sar` a
anche w
1
n
se n `e pari).
Esercizi 1.12
1. Calcolare le quantit` a
(1 i)
24
,
_
1
i
_
67
,
_
1 + i
1 i
_
45
,
_
i + 2i
1 2i
_
5
,
1 + i
[1 + i[
.
116
2. Quanti gradi sessagesimali misura un angolo di 1 radiante?
3. Calcolare le aree del poligono regolare di n lati inscritto nella circonfe-
renza di raggio 1 e di quello circoscritto alla medesima circonferenza.
4. Dimostrare che:
(i) (

(v, w)) = (
+
(w, v)) per ogni v, w C 0;
(ii) (

(1, w)) = (
+
(1, w) per ogni w C 0;
(iii) (
+
(i, w)) = (
+
(1, iw)) per ogni w
+
(i, 1);
(iv) (
+
(1, w)) = (
+
(1, w)) per ogni w
+
(1, 1).
5. Completare la seguente tabella:
x 0

6

2
2
3
3
4
5
6
cos x
sin x
tan x
x
7
6
5
4
4
3
3
2
5
3
7
4
11
6
cos x
sin x
tan x
6. Dimostrare le formule di bisezione:
cos
2
x
2
=
1 + cos x
2
, sin
2
x
2
=
1 cos x
2
x R.
7. Dimostrare le formule di duplicazione:
cos 2x = cos
2
x sin
2
x, sin 2x = 2 sin x cos x x R.
117
8. (i) Dimostrare le formule di Werner:
_

_
sin ax sin bx =
1
2
[cos(a b)x cos(a + b)x]
cos ax cos bx =
1
2
[cos(a b)x + cos(a + b)x]
sin ax cos bx =
1
2
[sin(a b)x + sin(a + b)x].
a, b, x R.
(ii) Dedurre le formule di prostaferesi:
_

_
cos + cos = 2 cos
+
2
cos

2
cos cos = 2 sin
+
2
sin

2
sin + sin = 2 sin
+
2
cos

2
sin sin = 2 cos
+
2
sin

2
.
, R.
9. Provare che
[ cos cos [ [ [, [ sin sin [ [ [ , R.
10. Dimostrare le relazioni
tan( + ) =
tan +tan
1tan tan
, tan( ) =
tan tan
1+tan tan
,
tan
2
2
=
1cos
1+cos
, tan 2 =
2 tan
1tan
2

per tutti gli , R per i quali le formule hanno senso.


11. Dimostrare che se R (2k + 1)
kZ
si ha
sin =
2 tan

2
1 + tan
2
2
cos =
1 tan
2
2
1 tan
2
2
.
12. Provare che
tan + tan =
sin(+)
cos cos
, tan tan =
sin()
cos cos
,
1
tan
+
1
tan
=
sin(+)
sin sin
,
1
tan

1
tan
=
sin()
sin sin
per tutti gli , R per i quali le formule hanno senso.
118
13. Utilizzando la formula del binomio, dimostrare che per ogni R e
per ogni n N
+
si ha
cos n =
[
n
2
]

h=0
_
n
2h
_
(1)
h
sin
2h
cos
n2h
,
sin n =
[
n1
2
]

h=0
_
n
2h + 1
_
(1)
h
sin
2h+1
cos
n2h1
,
ove [x] denota la parte intera del numero reale x, cio`e
[x] = maxk Z : k x.
14. Dimostrare che
1
2
+
N

n=1
cos nx =
sin
_
N +
1
2
_
x
2 sin
x
2
x R 2k
kZ
, N N
+
.
[Traccia: usare le formule di Werner con a =
1
2
e b = n.]
15. Calcolare:
cos

12
, sin
5
12
, tan

8
, cos
5
8
, sin
7
8
, tan
11
12
.
16. (Teorema di Carnot) Sia ABC un triangolo. Detto langolo opposto
al vertice A, si provi che
a
2
= b
2
+ c
2
2bc cos ,
ove a = [BC[, b = [CA[, c = [AB[.
17. (Teorema dei seni) Sia ABC un triangolo. Detti , e gli angoli
opposti ai vertici A, B e C, si provi che
a
sin
=
b
sin
=
c
sin
,
ove a = [BC[, b = [CA[, c = [AB[.
119
18. Risolvere le equazioni:
(i) 3 sin x

3 cos x = 0, (ii) sin x + (2 +

3) cos x = 1,
(iii) 2 sin
2
x sin x = 1, (iv) sin
4
x 4 sin
2
x cos
2
x + 3 cos
4
x = 0,
(v) sin x + 3[ sin x[ = 2, (vi) cos
4
x 4 sin
2
x cos
2
x + 3 sin
4
x = 0.
19. Risolvere le disequazioni:
(i) sin x <
1
2
, (ii) 4 sin x tan x
3
cos x
> 0,
(iii) cos x >
1

2
, (iv)
_
tan x >

3
sin x >
1
2
,
(v)

2 sin x 1

2 sin x + 1
> 0, (vi) sin x + (

2 1) cos x >

2 1.
20. Determinare larea dei triangoli di vertici:
(i) (0, 0), (2, 5), (4, 2), (ii) (1, 1), (2, 6), (1, 3).
21. Scrivere in forma trigonometrica i numeri complessi:
1 + i, 3 3i,

2,

3 + i, 1 +

3i,
1 i

3 i
,
7
1 + i
.
22. Calcolare:
(i) le radici seste di 1; (ii) le radici quadrate di i;
(iii) le radici quarte di 1 +

3i; (iv) le radici ottave di i.


23. Dimostrare che se z R le radici n-sime di z sono a due a due coniugate.
24. Siano z
1
, . . . , z
n
le radici n-sime di 1 che sono diverse da 1. Provare che
tali numeri sono le soluzioni dellequazione
n1

k=0
z
k
= 0.
120
25. Provare che la somma delle n radici n-sime di un qualunque numero
complesso z `e uguale a 0.
26. Risolvere in C le seguenti equazioni:
(i) z
4
2iz
2
+ 3 = 0, (ii) z
4
= z
3
,
(iii) z
3
izz, (iv) z[z[ 2Rez = 0,
(v) [z + 2[ [z 2[ = 2, (vi) z
3
= arg z +

6
,
(vii) z[z[
2
+[z[z
2
zz
2
= 1, (viii) z
2
= i[z[

2,
(ix) [z
2
+ 1[
2
+[z
2
1[
2
= 8z
2
6, (x) z +[z[ = 3i + 2,
(xi) z
5
iz
3
z = 0, (xii) z
6
= arg z + arg z
2
.
27. Risolvere in C i seguenti sistemi:
(i)
_
[z
2
+ 1[ = 1
Rez =
1
2
[z[
2
,
(ii)
_
zw
2
= 1
z
2
+ w
4
= 2,
(iii)
_
[z + i 1[ = 2
[z[
2
3[z[ + 2 = 0,
(iv)
_
z
2
w
3
= 1 + i
z
4
[w[
2
= 3i,
(v)
_
z
2
w = i 1
[z[w
2
+ 2z = 0,
(vi)
_
z
3
w
3
1 = 0
z
2
w + 1 = 0.
28. Si provi che se z
1
, z
2
, z
3
C, se [z
1
[ = [z
2
[ = [z
3
[ = 1 e z
1
+z
2
+z
3
= 0,
allora i punti z
1
, z
2
, z
3
sono i vertici di un triangolo equilatero. Cosa
succede nel caso di quattro punti soggetti ad analoghe condizioni?
29. Provare che larea del triangolo di vertici 0, z, w `e data da
1
2
Im(zw).
[Traccia: ridursi con una rotazione al caso arg w = 0.]
30. Provare che le equazioni della forma
z + z + c = 0, C, c R,
rappresentano le rette nel piano complesso.
31. Provare che le equazioni della forma
[z[
2
z z + c = 0, C, c R, c < [[
2
,
rappresentano le circonferenze nel piano complesso.
121
32. Siano a, b C: disegnare il luogo dei numeri z C tali che
[z a[ >
1
2
[z b[.
33. Sia z C con [z[ = 1. Si verichi che (z 1)(z + 1) `e immaginario
puro e si interpreti geometricamente questo fatto.
122
Capitolo 2
Successioni
2.1 Limiti di successioni
Si usa il termine successione per indicare una sequenza interminabile di
elementi presi da un certo insieme. Pi` u precisamente:
Denizione 2.1.1 Sia X un insieme. Una successione a valori in X `e una
funzione a : N X. Gli elementi a(0), a(1), a(2), eccetera, si dicono termini
della successione e si denotano pi` u brevemente con a
0
, a
1
, a
2
, e cos` via. Nel
termine generico a
n
`e contenuta la legge di formazione della successione. La
successione a : N X si denota con a
n

nN
o anche semplicemente con
a
n
, confondendola impropriamente con linsieme dei suoi termini.
A noi interesseranno per lo pi` u (ma non solo) successioni a valori reali o
complessi. Molto spesso sar` a utile considerare successioni denite non su
tutto N ma solo per tutti i numeri naturali maggiori di un intero ssato, cio`e
funzioni a : n N : n n
0
X.
Esempi 2.1.2 (1)
1
n
`e una successione reale, denita solo per n N
+
: si
ha a
1
= 1, a
2
= 1/2, a
3
= 1/3, . . . , dunque a
n
= 1/n per ogni n N
+
.
(2) Se q C `e un numero ssato, q
n
`e una successione complessa (reale se
q R) ed i suoi termini sono 1, q, q
2
, q
3
, eccetera. In particolare: se q = 1
la successione vale costantemente 1; se q = 1 la successione prende solo i
valori 1 e 1 alternativamente, innite volte; se q = i, analogamente, a
n

assume ciclicamente i quattro valori 1, i, 1, i.


(3) n! `e la successione reale 1, 1, 2, 6, 24, 120, 720, 5040, 40320, . . . ; essa
123
cresce molto rapidamente al crescere dellindice n.
(4) Posto a
n
=

n
k=0
q
k
, con q C ssato, a
n
`e una successione i cui
termini, come sappiamo, sono (esempio 1.6.4 (4))
a
n
=
_
1q
n+1
1q
se q ,= 1,
n se q = 1.
(5) La legge di formazione di una successione pu` o essere data induttivamente
anziche in modo esplicito: ad esempio
_
a
0
= 1 se n = 0
a
n+1
= 1 +
1
an
se n 1,
`e una successione denita per ricorrenza, ove ciascun elemento (salvo a
0
) `e
denito in termini del precedente; si ha
a
0
= 1, a
1
= 2, a
2
=
3
2
, a
3
=
5
3
, a
4
=
8
5
, a
5
=
13
8
, a
6
=
21
13
,
e possiamo calcolarne quanti vogliamo, ma non `e facile determinare una legge
esplicita che esprima il termine generale a
n
in funzione solo di n.
A noi interesser`a il comportamento di una data successione per valori molto
grandi di n. A questo scopo `e fondamentale la nozione di limite:
Denizione 2.1.3 Sia a
n
C, sia L C. Diciamo che L `e il limite
della successione a
n
al tendere di n a +, oppure che la successione a
n

converge a L per n che tende a +, se vale la condizione seguente:


> 0 N : [a
n
L[ < n > .
Ci` o signica che comunque si ssi un margine di errore > 0, si pu`o trovare
una soglia al di l` a della quale per ogni indice n il corrispondente elemento
a
n
dierisce da L (in modulo) per meno di . In tal caso scriveremo
lim
n
a
n
= L, oppure a
n
L per n .
Osservazioni 2.1.4 (1) Se la successione a
n
`e reale e L `e reale, la deni-
zione di limite non cambia di una virgola: naturalmente il modulo [a
n
L[
diventa un valore assoluto.
124
(2) Nella denizione non cambia nulla se si concede alla soglia di essere
un numero reale anziche un numero naturale: limportante `e che per tutti
gli indici n N che sono maggiori di valga la disuguaglianza [a
n
L[ < .
In particolare, non `e aatto necessario scegliere il minimo possibile: ci` o
oltretutto pu`o complicare terribilmente i conti.
(3) La condizione [a
n
L[ < `e tanto pi` u vincolante e signicativa quan-
to pi` u `e piccolo; minore `e , pi` u saremo costretti a scegliere una soglia
grande. Si noti che la condizione, apparentemente meno forte,
esiste un numero K > 0 tale che per ogni > 0 si pu` o trovare una soglia
per cui risulta [a
n
L[ < K per ogni n >
`e equivalente a dire che lim
n
a
n
= L: infatti il numero K `e un arbitrario
numero positivo esattamente come lo era , per cui non c`e perdita di gene-
ralit` a (si ricordi il lemma dellarbitrariet` a di , lemma 1.10.1).
Nel caso di successioni reali, c`e anche la nozione di successione divergente a
+ oppure :
Denizione 2.1.5 Sia a
n
R. Diciamo che la successione a
n
ha limite
+ per n +, ovvero che essa diverge positivamente per n +, se
M > 0 N : a
n
> M n > .
Analogamente, diciamo che la successione a
n
ha limite per n +,
ovvero essa diverge negativamente per n +, se
M > 0 N : a
n
< M n > .
In altre parole, la successione `e divergente se, ssato un numero M arbitra-
riamente grande, esiste sempre una soglia al di l`a della quale tutti i termini
della successione sono ancora pi` u grandi di M (se il limite `e +), ovvero
ancora pi` u piccoli di M (se il limite `e ).
Esempi 2.1.6 (1) lim
n
1
n
= 0. Infatti, ssato > 0, la relazione [
1
n
0[ =
1
n
< `e vericata non appena n >
1

. Quindi la denizione `e soddisfatta se


si sceglie =
1

; se si vuole N, si potr` a prendere =


_
1

+ 1.
(2) lim
n
n
n10
= 1 (questa successione `e denita per n 11). Infatti, dato
> 0 si ha

n
n 10
1

<
n
n 10
1 < n > 10
_
1 +
1

_
,
125
per cui basta scegliere = 10
_
1 +
1

_
, o anche =
20

(purche sia 1).


(3) Se q C e [q[ < 1, allora lim
n
q
n
= 0. Infatti dato > 0 si ha
[q
n
[ = [q[
n
< se e solo se n > log
|q|
(si ricordi che la funzione log
|q|
`e
decrescente essendo [q[ < 1). Se, invece, [q[ 1 e q / [1, +[, la successione
q
n
non ha limite (esercizio 2.1.7). Osserviamo per` o che se q R e q 1
lim
n
q
n
=
_
1 se q = 1
+ se q > 1.
Ci` o `e evidente se q = 1; se q > 1 basta osservare che q
n
> M se e solo se
n > log
q
M, dato che la funzione log
q
stavolta `e crescente.
(4) Per ogni q C con [q[ < 1 si ha lim
n

n
k=0
q
k
=
1
1q
. Infatti

k=0
q
k

1
1 q

1 q
n+1
1 q

1
1 q

=
[q[
n+1
[1 q[
,
quindi

k=0
q
k

1
1 q

=
[q[
n+1
[1 q[
< n + 1 > log
|q|
([1 q[).
Ma anche senza questo calcolo esplicito, che oltretutto non `e sempre possi-
bile, si poteva osservare che, per lesempio 2.1.6 (3), si ha lim
n
q
n
= 0;
quindi esiste certamente un tale che [q
n+1
[ < [1 q[ per ogni n > . Di
conseguenza risulta, per tutti gli n superiori a quel ,

k=0
q
k

1
1 q

=
[q[
n+1
[1 q[
< .
(5) lim
n
n! = +. Infatti, ovviamente n! > M non appena, ad esempio,
n > M.
(6) Si ha
lim
n
log
b
n =
_
+ se b > 1
se 0 < b < 1.
Infatti se M > 0 risulta
_
log
b
n > M n > b
M
se b > 1,
log
b
n < M n > b
M
se 0 < b < 1.
126
(7) Se a > 0, si ha lim
n
a
1/n
= 1. La cosa `e evidente se a = 1, perche
in tal caso addirittura [a
1/n
1[ = [1 1[ = 0 per ogni n N
+
. Se a > 1,
ricordando lesempio 1.8.3 (1) abbiamo che inf
nN
+ a
1/n
= 1; dunque, dato
> 0 esiste N tale che
1 < a
1/
< 1 + .
Daltra parte, essendo a > 1 si ha a
1/n
< a
1/
per n > : dunque a maggior
ragione
[a
1/n
1[ = a
1/n
1 < n > ,
che `e la tesi. Inne se 0 < a < 1 si ha
1
a
> 1 e quindi, per quanto gi` a provato,
per ogni > 0 esiste tale che

_
1
a
_
1/n
1

=
_
1
a
_
1/n
1 < n > ;
dunque, moltiplicando per a
1/n
,
[1 a
1/n
[ = 1 a
1/n
< a
1/n
< n > ,
e la tesi `e provata anche in questo caso.
(8) Non `e chiaro a priori se la successione n
1/n
abbia limite per n :
lesponente tende a rimpicciolire il numero, la base tende ad accrescerlo.
Osserviamo intanto che n
1/n
1 per ogni n N
+
; daltra parte, se per
ogni n 2 applichiamo la disuguaglianza delle medie (teorema 1.8.2) agli n
numeri positivi a
1
= . . . = a
n2
= 1, a
n1
= a
n
=

n, si ottiene
n
1
n
=
_
n

k=1
a
k
_1
n
<
1
n
n

k=1
a
k
= 1
2
n
+
2

n
< 1 +
2

n
.
Da qui segue che, per ogni ssato > 0, risulta
n
1
n
< 1 + purche
2

n
< ,
ossia purche n > 4/
2
. In conclusione,
lim
n
n
1/n
= 1.
127
Osservazione 2.1.7 Se una certa propriet` a p(n) `e vericata per ogni nume-
ro naturale maggiore di una data soglia (ossia, in altri termini, se essa vale
per tutti i naturali salvo al pi` u un numero nito), diremo che tale propriet`a
`e vera denitivamente. Cos`, nellesempio 2.1.6 (8) si ha per ogni > 0
2

n
< denitivamente,
in quanto, come si `e visto, tale condizione `e vera per tutti gli n > 4/
2
.
Analogamente, la denizione di limite pu` o essere riformulata come segue: si
ha lim
n
a
n
= L se e solo se per ogni > 0 risulta [a
n
L[ < denitiva-
mente, e si ha lim
n
a
n
= + oppure lim
n
a
n
= se per ogni M > 0
risulta a
n
> M denitivamente, oppure a
n
< M denitivamente.
Successioni limitate
Unimportante classe di successioni `e quella delle successioni limitate (che
non signica dotate di limite!).
Denizione 2.1.8 (i) Sia a
n
una successione reale o complessa. Diciamo
che a
n
`e limitata se esiste M > 0 tale che
[a
n
[ M n N.
(ii) Sia a
n
una successione reale. Diciamo che a
n
`e limitata superior-
mente (oppure limitata inferiormente) se esiste M R tale che
a
n
M n N oppure a
n
M n N.
Ovviamente, una successione reale `e limitata se e solo se `e limitata sia
superiormente che inferiormente. Inoltre, ricordando che
max[Rez[, [Imz[ [z[ [Rez[ +[Imz[ z C,
deduciamo che una successione complessa a
n
`e limitata se e solo se le due
successioni reali Rea
n
, Ima
n
sono entrambe limitate.
Proposizione 2.1.9 Ogni successione convergente `e limitata; il viceversa `e
falso.
128
Dimostrazione Sia lim
n
a
n
= L. Allora, scelto = 1, esiste N tale
che
[a
n
L[ < 1 n > ;
quindi se n > si ha
[a
n
[ = [a
n
L + L[ [a
n
L[ +[L[ < 1 +[L[,
mentre se n = 0, 1, 2, . . . , risulta evidentemente
[a
n
[ max[a
k
[ : k N, k .
In denitiva tutti i numeri [a
n
[ sono non superiori alla quantit` a
M = max1 +[L[, [a
0
[, [a
1
[, . . . , [a

[.
La successione (1)
n
mostra che il viceversa `e falso.
Per le successioni reali divergenti si ha un risultato della stessa natura (eser-
cizio 2.1.8).
Propriet`a algebriche dei limiti
Proviamo anzitutto lunicit`a del limite:
Proposizione 2.1.10 Il limite di una successione reale o complessa, se esi-
ste, `e unico.
Dimostrazione Supponiamo per assurdo che a
n
converga a L ed anche
a M, con L ,= M; supponiamo L e M entrambi niti. Fissato tale che
0 < <
1
2
[L M[, si ha per ipotesi
[a
n
L[ < denitivamente, [a
n
M[ < denitivamente;
quindi, scegliendo un n che superi la maggiore delle due soglie, si ha anche
[L M[ = [L a
n
+ a
n
M[ [L a
n
[ +[a
n
M[ < 2 < [L M[,
e questo `e assurdo. Pertanto deve essere L = M.
Lasciamo al lettore diligente lanalisi dei casi in cui L, o M, `e .
Vediamo ora come si comportano i limiti rispetto alle operazioni algebriche.
129
Teorema 2.1.11 Siano a
n
, b
n
successioni reali o complesse. Se a
n
L
e b
n
M per n , con L e M niti, allora:
(i) a
n
+ b
n
L + M per n ;
(ii) a
n
b
n
L M per n .
Supposto inoltre M ,= 0, si ha:
(iii)
1
b
n

1
M
per n ;
(iv)
a
n
b
n

L
M
per n .
Dimostrazione (i)-(ii) Fissato > 0, si ha
[a
n
L[ < denitivamente, [b
n
M[ < denitivamente;
quindi risulta denitivamente
[a
n
+ b
n
L M[ [a
n
L[ +[b
n
M[ < 2,
e ci`o prova (i), tenuto conto dellosservazione 2.1.4 (3). Inoltre
[a
n
b
n
LM[ = [a
n
b
n
Lb
n
+ Lb
n
LM[
[a
n
L[ [b
n
[ +[L[ [b
n
M[ < ([b
n
[ +[L[).
Daltra parte, la successione b
n
, essendo convergente, `e limitata da una
costante K > 0, in virt` u della proposizione 2.1.9; ne segue
[a
n
b
n
LM[ < (K +[L[) denitivamente,
il che prova (ii), tenuto nuovamente conto dellosservazione 2.1.4 (3).
(iii) Osserviamo anzitutto che b
n
`e denitivamente diversa da 0 essendo
M ,= 0, ed anzi si ha [b
n
[ C > 0 denitivamente (esercizio 2.1.9). Quindi
per ogni > 0 si ha

1
b
n

1
M

=
[M b
n
[
[b
n
[ [M[
<

C[M[
denitivamente,
da cui la tesi.
(iv) Segue da (ii) e (iii).
Per un analogo risultato nel caso di successioni (reali) divergenti si rimanda
allesercizio 2.1.18.
130
Limiti e ordinamento
Vediamo adesso come si comportano i limiti rispetto alla struttura dordine
di R.
Teorema 2.1.12 (di confronto) Siano a
n
, b
n
successioni reali. Se
a
n
L e b
n
M per n , e se
a
n
b
n
denitivamente,
allora si ha L M.
Dimostrazione Supponiamo, per ssare le idee, che L, M R e, per as-
surdo, che L > M; scegliamo 0 < <
1
2
(L M). Sia la soglia tale
che
a
n
b
n
, [L a
n
[ < , [M b
n
[ < n > .
Per tali n si ha anche
L < a
n
b
n
< M + ,
da cui 0 < L M < 2 per ogni > 0. Ci` o `e assurdo, per il lemma
dellarbitrariet` a di (lemma 1.10.1).
Il caso L = oppure M = `e analogo.
Esercizi 2.1
1. Si provi che si ha lim
n
a
n
= L, con L C, se e solo se risulta
lim
n
(a
n
L) = 0.
2. Sia a
n
C. Si provi che a
n
ha limite L C se e solo se le due
successioni reali Rea
n
e Ima
n
convergono entrambe, con limiti ReL
e ImL rispettivamente.
3. Si provi che se a
n
L, allora [a
n
[ [L[.
`
E vero il viceversa?
4. Si provi che se a
n
0 e b
n
`e limitata, allora a
n
b
n
0.
5. Dimostrare che se a
n
L, allora
lim
n
(a
n+1
a
n
) = 0.
`
E vero il viceversa?
131
6. Dimostrare che se a
n
L e L ,= 0, allora
lim
n
a
n+1
a
n
= 1.
`
E vero il viceversa? Che succede se L = 0?
7. Si dimostri che se q C, [q[ 1 e q ,= 1 allora la successione q
n
non
ha limite.
8. Provare che se a
n
`e una successione reale divergente, allora a
n
non
`e limitata, ma che il viceversa `e falso.
9. (Teorema della permanenza del segno) Sia a
n
C. Provare che:
(i) se lim
n
a
n
,= 0, allora esiste > 0 tale che
[a
n
[ denitivamente;
(ii) se a
n
R e se lim
n
a
n
> 0, allora esiste > 0 tale che
a
n
denitivamente.
10. Provare che
lim
n
n
a
n
= 0 a > 1,
e dedurre che
lim
n
n
b
a
n
= 0 a > 1, b R.
11. Provare che
lim
n
log
a
n
n
= 0 a > 0, a ,= 1,
e dedurre che
lim
n
log
a
n
n
b
= 0 a > 0, a ,= 1, b > 0.
12. Provare che
lim
n
a
n
n!
= 0 a > 1.
132
13. Provare che
lim
n
n!
n
n
= 0.
14. Provare che
lim
n
n

n
a
= 1 a R.
15. Provare che
lim
n
n

n! = +.
[Traccia: ricordare lesercizio 1.6.17.]
16. Calcolare, se esistono:
(i) lim
n
n

2
n
+ 3
n
, (ii) lim
n
n
_
(2)
n
+ 3
n
, (iii) lim
n
n
_
2
n
+ (1)
n+1
.
17. Calcolare, se esiste, lim
n
a
n
, ove a
n
= 1 se n `e pari e a
n
= 2
n
se n
`e dispari.
18. Siano a
n
e b
n
successioni reali. Dimostrare che:
(i) se a
n
+ e b
n
`e limitata inferiormente, allora a
n
+ b
n
+;
(ii) se a
n
e b
n
`e limitata superiormente, allora a
n
+b
n
;
(iii) se a
n
+ e b
n
K > 0 denitivamente, allora a
n
b
n
+;
(iv) se a
n
+ e b
n
K < 0 denitivamente, allora a
n
b
n
;
(v) se a
n
e b
n
K > 0 denitivamente, allora a
n
b
n
;
(vi) se a
n
e b
n
K < 0 denitivamente, allora a
n
b
n
+;
(vii) se a
n
+ oppure a
n
, allora 1/a
n
0;
(viii) se a
n
0 e a
n
,= 0 denitivamente, allora 1/[a
n
[ + (questo
vale anche se a
n
C);
(ix) se a
n
0 e a
n
> 0 denitivamente, allora 1/a
n
+;
(x) se a
n
0 e a
n
< 0 denitivamente, allora 1/a
n
;
(xi) negli altri casi, cio`e per le cosiddette forme indeterminate seguenti:
(a) + (per il limite di a
n
+ b
n
quando a
n
+ e b
n

),
(b) 0 () (per il limite di a
n
b
n
quando a
n
0 e b
n
),
133
(c)

(per il limite di
an
bn
quando a
n
e b
n
),
(d)
0
0
(per il limite di
an
bn
quando a
n
0 e b
n
0),
si mostri con esempi che il corrispondente limite pu`o essere un
numero reale qualunque, oppure , oppure pu` o non esistere.
19. (Teorema dei carabinieri) Siano a
n
, b
n
, c
n
successioni reali tali
che a
n
b
n
c
n
denitivamente. Si provi che se a
n
L e c
n
L
(con L R oppure L = ), allora b
n
L.
20. Calcolare, se esistono, i seguenti limiti:
(i) lim
n
_

4n sin 3
n
8

n
_
, (ii) lim
n
ncos
1
n
,
(iii) lim
n
_

n + 1

n
_
, (iv) lim
n
nsin
2
1

n
,
(v) lim
n
_
2n
n
_
, (vi) lim
n
2
n
2
n!,
(vii) lim
n
(4
n
+ 10
n
11
n
), (viii) lim
n
_
3
n+1
3

n
2
+1
_
.
21. Dimostrare che se a
n
R, a
n
L e L > 0, allora
lim
n
k

a
n
=
k

L k N
+
, lim
n
n

a
n
= 1.
22. Si provi che se a
n
L, L C, allora
lim
n
1
n
n1

k=0
a
k
= L.
`
E vero il viceversa? Che succede se a
n
R e L = ?
23. Si provi che se a
n
]0, [ e a
n
L, con L [0, [, allora
lim
n
n

_
n1

k=0
a
k
= L.
`
E vero il viceversa? Che succede se L = +?
134
24. Sia b
n
una successione di numeri positivi tale che b
n
b, con b > 0.
Si provi che b
x
n
b
x
per ogni x R.
25. (Teorema di Ces`aro) Sia a
n
una successione reale o complessa. Si
provi che se a
n
, allora
a
1
+ a
2
+ . . . + a
n
n
.
Si estenda questo risultato al caso a
n
R e = .[Traccia:
ssato > 0, sia N tale che [a
n
[ < per ogni n . Si
osservi che, per n grande, la quantit`a
1
n

n
k=+1
a
k
`e vicina a , mentre
1
n

k=1
a
k
`e vicino a 0...]
2.2 Serie
Le serie numeriche sono semplicemente successioni reali o complesse di tipo
particolare, che per` o, per la loro importanza pratica e teorica, meritano una
trattazione a parte.
Data una successione a
n
reale o complessa, andiamo a costruire una nuova
successione s
n
in questo modo:
_
s
0
= a
0
s
n+1
= s
n
+ a
n+1
n N.
Si ha dunque
s
n
=
n

k=0
a
k
n N.
Denizione 2.2.1 Ogni successione s
n
del tipo sopra denito si chiama
serie e si indica con il simbolo

a
k
(o, pi` u pedantemente, con

k=0
a
k
,
quando si voglia precisare qual `e lindice iniziale: si possono infatti conside-
rare anche serie del tipo

k=1
a
k
,

k=50
a
k
,

k=p
a
k
con p N ssato ad
arbitrio). I numeri a
k
si dicono termini della serie ed i numeri s
n
si dicono
somme parziali della serie.
Si noti che nel denire una serie ed il simbolo che la indica non si `e fatto
alcun riferimento alla convergenza della successione s
n
, che pu`o benissimo
non vericarsi.
135
Denizione 2.2.2 Si dice che la serie

a
k
`e convergente ad un numero
(reale o complesso) L se la successione delle sue somme parziali s
n
`e con-
vergente ed ha limite L; in tal caso il numero L si dice somma della serie e
si scrive
L = lim
n
n

k=0
a
k
=

k=0
a
k
.
Come si vede, c`e una certa ambiguit`a, perche lo stesso simbolo

k=0
a
k
viene usato sia per indicare la serie (convergente o no), sia per indicarne la
somma (se convergente). Purtroppo si tratta di una notazione di uso ormai
consolidato, e non possiamo evitare di adottarla; sar`a comunque chiaro di
volta in volta dal contesto del discorso in quale dei due sensi va inteso il
simbolo

k=0
a
k
.
Osservazione 2.2.3 Una serie `e dunque una particolare successione, co-
struita a partire da unaltra successione assegnata. Per` o il punto di vista
si pu` o anche capovolgere: ogni successione a
n
pu` o essere vista come una
serie

b
k
, con b
n
opportuna. Basta infatti denire
_
b
0
= a
0
b
n+1
= a
n+1
a
n
n N,
ed `e facile vericare che allora
a
n
=
n

k=0
b
k
n N,
cio`e a
n
coincide con la serie

b
k
.
Successioni e serie sono dunque concetti del tutto equivalenti. Tuttavia le
serie si presentano spesso in modo naturale nelle applicazioni (geometriche,
siche, meccaniche, ecc.); inoltre la teoria delle serie `e per molti aspetti pi` u
maneggevole ed articolata di quella delle successioni. Ad esempio, vi sono
svariati criteri di uso molto semplice che garantiscono la convergenza delle
serie, i cui analoghi per le successioni non sono altrettanto comodi dal punto
di vista pratico.
Nel caso di serie reali si pu` o dare anche la nozione di serie divergente:
136
Denizione 2.2.4 Diciamo che la serie reale

b
k
`e divergente positiva-
mente, oppure divergente negativamente, se le sue somme parziali s
n
forma-
no una successione che tende a +, oppure a , per n . In tal caso
si scrive

k=0
a
k
= +, oppure

k=0
a
k
= .
Denizione 2.2.5 Diciamo che la serie

a
k
(reale o complessa) `e inde-
terminata se la successione delle sue somme parziali s
n
non ha limite per
n .
Esempi 2.2.6 (1) (Serie geometrica) Sia q C. Se [q[ < 1, allora

k=0
q
k
=
1
1 q
(esempio 2.1.6 (4)). Se [q[ 1 e q / R, la serie `e indeterminata in virt` u
dellesercizio 2.1.7, mentre se q R, q 1 la serie `e reale e diverge positiva-
mente.
(2) Risulta

k=1
1
k(k+1)
= 1. Infatti
s
n
=
n

k=1
1
k(k + 1)
=
n

k=1
_
1
k

1
k + 1
_
= 1
1
n + 1
1 per n .
Questo `e un esempio di serie telescopica: sono telescopiche le serie che si
presentano nella forma

(b
k
b
k+1
), cosicche s
n
= b
0
b
n+1
. Ci` o in eet-
ti accade sempre, tenuto conto dellosservazione 2.2.3, ma si parla di serie
telescopiche soltanto quando questo modo di vederle porta ad una concreta
semplicazione della situazione.
(3) (Serie armonica) La serie

k=1
1
k
si chiama serie armonica perche cia-
scun termine (salvo il primo) `e la media armonica del predecessore e del
successore (la media armonica di due numeri positivi a, b `e il numero
2
1/a+1/b
;
si veda anche lesercizio 1.8.4). Osservando che i termini
1
k
sono positivi e
decrescenti, si ha
s
2n
s
n
=
2n

k=n+1
1
k

n
2n
=
1
2
n N
+
.
137
Ne segue che la serie armonica non pu` o essere convergente, perch`e in tal caso
esisterebbe L R tale che [s
n
L[ <
1
4
denitivamente; ma allora, scelto n
abbastanza grande, dedurremmo
1
2
s
2n
s
n
[s
2n
L[ +[L s
n
[ <
1
4
+
1
4
=
1
2
,
il che `e assurdo. In eetti la stima precedente mostra che per ogni ssato
m N e per ogni n 2
m
si ha
s
n
s
2
m = s
1
+ (s
2
s
1
) + (s
4
s
2
) + (s
8
s
4
) + + (s
2
m s
2
m1) =
= 1 +
m

k=1
(s
2
k s
2
k1) 1 +
m

k=1
1
2
= 1 +
m
2
,
e ci` o prova che s
n
(denizione 2.2.4), ossia che la serie armonica `e
divergente positivamente.
Osservazione 2.2.7 Sia

k=0
a
k
una serie convergente con somma L. Al-
lora sottraendo s
m
ad entrambi i membri delluguaglianza

k=0
a
k
= L si
ottiene che per ogni m N la serie

k=m+1
a
k
`e convergente e

k=m+1
a
k
= L s
m
m N.
In particolare, facendo tendere m a +, si deduce che per ogni serie

a
k
convergente si ha
lim
m

k=m
a
k
= 0.
La serie

k=m
a
k
si chiama resto m-simo della serie

k=0
a
k
.
Vediamo ora una condizione necessaria per la convergenza di una serie.
Proposizione 2.2.8 Se

a
k
`e una serie convergente, allora i suoi termini
a
n
formano una successione innitesima, ossia risulta a
n
0 per n ;
il viceversa `e falso.
Dimostrazione Se L `e la somma della serie, ssato > 0 esiste N tale
che [s
n
L[ < per ogni n > . Quindi
[a
n
[ = [s
n
s
n1
[ [s
n
L[ +[L s
n1
[ < 2 n > + 1,
138
cio`e a
n
0 per n .
La serie armonica (esempio 2.2.6 (3)) `e una serie che non converge, benche i
suoi termini
1
n
formino una successione innitesima.
Osservazione 2.2.9 Lanalogo della proposizione precedente per le succes-
sioni si pu`o enunciare nel modo seguente (vedere esercizio 2.1.5): se a
n
`e
una successione convergente, allora
lim
n
(a
n
a
n+1
) = 0,
ma il viceversa `e falso, come mostra la successione

n.
Esercizi 2.2
1. Provare che se

a
n
e

b
n
sono serie convergenti, anche la serie

(a
n
+ b
n
) `e convergente e

n=0
(a
n
+ b
n
) =

n=0
a
n
+

n=0
b
n
;
si provi anche che per ogni C la serie

(a
n
) `e convergente e

n=0
(a
n
) =

n=0
a
n
.
Si generalizzino questi enunciati, per quanto possibile, al caso di serie
reali divergenti.
2. (Criterio del confronto) Siano

a
n
e

b
n
serie reali tali che 0 a
n

b
n
per ogni n N.
(i) Si provi che se

b
n
converge, allora

a
n
converge e

n=0
a
n

n=0
b
n
; in quale caso vale luguaglianza?
(ii) Si provi che se

a
n
diverge, allora

b
n
diverge.
3. Sia

a
n
una serie a termini reali non negativi. Si dimostri che

n=0
a
n
< +

n=0
a
n
1 + a
n
< +.
139
4. Sia

a
n
una serie a termini reali non negativi. Si dimostri che se

a
n
`e convergente, allora

(a
n
)
p
`e convergente per ogni p 1.
5. Sia a
n
C. Si provi che se

a
2m
e

a
2m+1
sono convergenti, allora

a
n
`e convergente e

n=0
a
n
=

m=0
a
2m
+

m=0
a
2m+1
;
`e vero il viceversa?
6. Sia a
n
C. Si provi che se

[a
n
[
2
`e convergente, allora

an
n
`e
convergente, ma che il viceversa `e falso.
7. (i) Si provi che ogni numero razionale ha uno sviluppo decimale perio-
dico (eventualmente di periodo nullo).
(ii) Viceversa, sia x un numero reale con sviluppo decimale periodico, il
cui antiperiodo sia un intero a = a
1
. . . a
p
di p cifre e il cui periodo
sia un intero b = b
1
. . . b
q
con q cifre. Si provi che
x [x] =
a
10
p
+
b
10
p

n=1
1
10
qn
;
dedurre che x `e un numero razionale, e che x si pu`o scrivere sotto
forma di una frazione (la frazione generatrice di x) il cui denomi-
natore `e fatto da q cifre 9 seguite da p cifre 0, e il cui numeratore
`e la dierenza fra lintero a
1
. . . a
p
b
1
. . . b
q
e lintero b
1
. . . b
q
.
2.3 Successioni monotone
Unimportante classe di successioni reali `e quella delle successioni monot` one
(e non mon` otone!).
Denizione 2.3.1 Sia a
n
R. Diciamo che a
n
`e monotona crescente
se si ha
a
n+1
a
n
n N.
Diciamo che a
n
`e monotona decrescente se si ha
a
n+1
a
n
n N.
140
Diciamo che a
n
`e strettamente crescente o strettamente decrescente se
la corrispondente disuguaglianza `e stretta per ogni n N. In entrambi i
casi precedenti, la successione si dir`a strettamente monot`ona. Inne di-
ciamo che a
n
`e denitivamente monotona (crescente o decrescente) se la
corrispondente disuguaglianza `e vera soltanto da una certa soglia in poi.
Esempi 2.3.2 (1)
1
n
, n sono successioni strettamente decrescenti.
(2) (n + 1)!,
n1
n
sono successioni strettamente crescenti.
(3)
_
1 +
x
n
_
n
`e una successione crescente per ogni x 1 (strettamente,
se x ,= 0), ed `e denitivamente crescente per x < 1 (esempio 1.8.3 (2)).
(4) Le somme parziali di una serie a termini di segno costante formano
una successione monotona: crescente se il segno `e positivo, decrescente se `e
negativo.
Il comportamento allinnito delle successioni monotone `e particolarmente
semplice. Si ha infatti:
Proposizione 2.3.3 Sia a
n
R una successione monotona. Allora essa
ha limite e si ha
lim
n
a
n
=
_
_
_
sup
nN
a
n
] , +] se a
n
`e crescente,
inf
nN
a
n
[, +[ se a
n
`e decrescente.
In particolare, una successione monotona `e convergente se e solo se `e limi-
tata.
Dimostrazione Proveremo la tesi solamente nel caso in cui a
n
`e de-
crescente, lasciando laltro caso al lettore. Sia L lestremo inferiore della
successione a
n
, e supponiamo dapprima che L R: allora, come sappiamo
(proposizione 1.5.10), si ha
L a
n
n N,
> 0 N : L a

< L + .
Poiche a
n
`e decrescente, deduciamo
L a
n
a

< L + n ,
141
da cui segue che a
n
L per n +. Se invece L = , allora a
n
non
ha minoranti e quindi
M > 0 N : a

< M;
per la decrescenza di a
n
segue che
a
n
a

< M n ,
cio`e a
n
per n +.
Lultima propriet` a `e banale: se a
n
`e monotona e limitata, allora ha estremo
superiore ed estremo inferiore niti, e quindi ha limite nito coincidente
con uno dei due, cio`e `e convergente; viceversa, ogni successione convergente
`e limitata per la proposizione 2.1.9 (si noti che questo `e vero anche se la
successione non `e monotona).
Tornando alle serie, la proposizione precedente ci dice che per provare la
convergenza delle serie a termini positivi `e suciente far vedere che le somme
parziali sono limitate superiormente: e questo `e spesso abbastanza facile.
Esempi 2.3.4 (1) (Serie armonica generalizzata) Per > 0 consideriamo
la serie

n=1
1
n

.
Se = 1, essa si riduce alla serie armonica e, come si `e visto nellesempio
2.2.6 (3), `e divergente (positivamente). Dunque per ogni ]0, 1[ si ha a
maggior ragione
s
n
=
n

k=1
1
k

>
n

k=1
1
k
+ per n +,
cio`e la serie diverge positivamente. Se = 2, tenuto conto dellesempio 2.2.6
(2), si ha
s
n
=
n

k=1
1
k
2
< 1 +
n

k=2
1
k(k 1)
= 1 +
n1

h=1
1
h(h + 1)
2 per n +,
e per il teorema di confronto (teorema 2.1.12) la serie converge ed ha somma
inferiore a 2. Se > 2, a maggior ragione,
s
n
=
n

k=1
1
k

<
n

k=1
1
k
2
142
e, per confronto con il caso = 2, la serie converge (con somma minore di
2).
Resta il caso ]1, 2[: analogamente a quanto fatto per la serie armonica,
andiamo a stimare la dierenza s
2n
s
n
: si ha
s
2n
s
n
=
2n

k=n+1
1
k


n
(n + 1)

n N
+
;
quindi, ssato m N
+
e scelto n = 2
m
, la disuguaglianza precedente implica
s
n
= s
2
m = 1 +
m

k=1
(s
2
k s
2
k1) 1 +
m

k=1
2
k1
(2
k1
+ 1)

<
< 1 +
m

k=1
1
2
(k1)(1)
< 1 +
1
1 2
(1)
.
Dato che m 2
m
per ogni m N, si conclude che
s
m
s
2
m < 1 +
1
1 2
(1)
m N
+
,
e pertanto la serie `e convergente. In denitiva, la serie armonica generalizzata
ha il seguente comportamento:

n=1
1
n

_
converge se > 1
diverge a + se 1.
(2) Consideriamo linsieme P dei numeri primi, ossia di quei numeri naturali
p che sono privi di divisori interi diversi da p e da 1. Ordiniamo P in modo
crescente: dunque p
1
= 2, p
2
= 3, p
3
= 5, p
4
= 7 e p
n
< p
n+1
per ogni
n N
+
. Vogliamo dimostrare che

n=1
1
p
n
= +.
Supponiamo per assurdo che la serie sia convergente: dunque le sue somme
parziali s
n
formano una successione convergente. Esiste allora un indice
k N tale che
s
m
s
k
=
m

n=k+1
1
p
n
<
1
2
m > k.
143
Fissiamo ora un arbitrario m > k e consideriamo linsieme
E
m
= h N
+
: h m, h non `e divisibile per alcun p
n
con n > k =
= h N : h m, h `e divisibile al pi` u per p
1
, . . . , p
k
.
Ad esempio, se k = 4 e se scegliamo m = 15, si ha
E
15
= h N : h 15, h `e divisibile al pi` u per 2, 3, 5, 7 =
= 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 12, 14, 15.
Indichiamo con c
m
il numero degli elementi di E
m
. Vogliamo dare una stima
separata di c
m
e di mc
m
. A questo scopo ricordiamo che ogni intero n > 1
`e fattorizzabile in modo unico nella forma
n = p

1
1
p
s
s
,
ove s N
+
, p
1
, . . . , p
s
P mentre
1
, . . . ,
s
N (e qualcuno di questi pu`o
essere nullo). Se qualcuno degli
j
`e dispari, separiamo un fattore p
j
dagli
altri: in qusto modo si ottiene
n =
_
p

1
1
p
s
s
_

_
p
b
1
1
p
bs
s
_
,
ove
1
, . . . ,
s
sono numeri naturali pari e b
1
, . . . , b
s
valgono 0 oppure 1. Per
esempio, possiamo scrivere
360 = 2
3
3
2
5 = (2
2
3
2
5
0
) (2 3
0
5) = 6
2
10;
in questo caso dunque s = 3,
1
= 2,
2
= 2,
3
= 0, b
1
= 1, b
2
= 0, b
3
= 1.
Stimiamo c
m
: se n E
m
, allora con la decomposizione sopra descritta otte-
niamo n = u
2
v, dove u = p

1
1
p

k
k
e v = p
b
1
1
p
b
k
k
. Variando n, abbiamo al
pi` u 2
k
scelte per v (in quanto b
1
, . . . b
k
variano in 0, 1), mentre le scelte di
u saranno al pi` u [

m] (dato che u `e un intero tale che u


2
n m). Dunque
c
m
2
k

m.
Daltra parte, se n m e n / E
m
, allora n `e divisibile per qualche p
j
con
k < j m, ove si usa il fatto che, ovviamente, m p
m
e quindi nessun
p
j
con j > m pu` o essere divisore di n. Ma fra 1 e m il totale dei numeri n
divisibili per un ssato p
j
, con 1 < j m, non pu` o essere maggiore di m/p
j
:
144
quindi il totale dei numeri n con 1 < n m che sono divisibili per almeno
uno dei p
j
, ossia mc
m
, deve vericare
mc
m

m

j=k+1
m
p
j
= m
m

j=k+1
1
p
j
<
m
2
.
Otteniamo cos` m/2 c
m
, da cui, ricordando la stima fatta per c
m
,
m
2
2
k

m,
ovvero

m 2
k+1
,
ed inne
m 2
2k+2
.
Questa relazione `e per` o assurda, perche k `e assegnato ma m `e arbitrario e
quindi pu` o essere scelto maggiore di 2
2k+2
. Ci` o prova che la serie 1/p
n
`e
divergente.
(3) (Serie esponenziale) Consideriamo la serie

n=0
1
n!
,
che `e convergente in quanto
s
n
=
n

k=0
1
k!
2 +
n

k=2
1
k(k 1)
3 per n +.
Questa serie `e un caso particolare della serie esponenziale

z
n
n!
, z C, che
verr` a analizzata in seguito.
Stabiliamo adesso unimportante relazione che ci dar` a modo di denire il
fondamentale numero reale e.
Proposizione 2.3.5 Risulta

k=0
1
k!
= lim
n
_
1 +
1
n
_
n
.
145
Dimostrazione Notiamo che il limite a destra esiste perche la successione
(1 +
1
n
)
n
`e crescente (esempio 1.8.3 (2)). Inoltre si ha, utilizzando la formula
di Newton (teorema 1.7.1),
_
1 +
1
n
_
n
=
n

k=0
_
n
k
_
1
n
k
n N
+
;
quindi
_
1 +
1
n
_
n
=
n

k=0
n(n 1) . . . (n k + 1)
k! n
k
=
=
n

k=0
1
k!

n
n

n 1
n
. . .
n k + 1
n

n

k=0
1
k!
n N
+
,
da cui, per il teorema di confronto (teorema 2.1.12),
lim
n
_
1 +
1
n
_
n

k=0
1
k!
.
Daltra parte, per ogni ssato m N
+
si ha
m

k=0
1
k!
= 1 +
m

k=1
1
k!
lim
n
_
n
n
n 1
n
. . .
n k + 1
n
_
=
= 1 + lim
n
m

k=0
1
k!
n
n
n 1
n
. . .
n k + 1
n
= lim
n
m

k=0
_
n
k
_
1
n
k
;
aumentando nellultimo termine il numero degli addendi da m (che `e sso)
a n (che `e pi` u grande, dato che sta tendendo a +) si ottiene
m

k=0
1
k!
lim
n
n

k=0
_
n
k
_
1
n
k
= lim
n
_
1 +
1
n
_
n
m N
+
,
da cui nalmente, facendo tendere anche m a +,

k=0
1
k!
lim
n
_
1 +
1
n
_
n
,
il che prova luguaglianza richiesta.
146
Denizione 2.3.6 Indichiamo con e il numero reale denito dalla proposi-
zione 2.3.5, ossia poniamo
e =

k=0
1
k!
= lim
n
_
1 +
1
n
_
n
.
Il numero e si chiama numero di Nepero e riveste unimportanza fondamentale
in tutta la matematica. Esso `e un irrazionale (esercizio 2.3.1) ed `e compreso
fra 2 e 3: infatti
2 =
1

k=0
1
k!
<

k=0
1
k!
< 2 +

k=2
1
k(k 1)
= 3.
Il logaritmo in base e si dice logaritmo naturale e si scrive indierentemente
log
e
x = log x = ln x; noi useremo di preferenza la scrittura ln x.
Esercizi 2.3
1. Provare che

n=m+1
1
n!
<
1
m m!
m N
+
,
e dedurne che e `e irrazionale.
[Traccia: se fosse e = p/q con p, q N
+
primi tra loro, avremmo per
ogni m N la disuguaglianza 0 <
p
q

m
n=0
1
n!
<
1
mm!
; moltiplicando
per q m! e scegliendo m > q, si deduca un assurdo.]
2. Dimostrare che se b > 1 si ha

n=2
1
nlog
b
n
= +,

n=2
1
n(log
b
n)

< + > 1.
[Traccia: stimare s
2n
s
n
per n = 2
k
, analogamente a quanto fatto
per la serie armonica e per la serie armonica generalizzata negli esempi
2.2.6 (3) e 2.3.4 (1).]
3. Sia a
n
una successione decrescente di numeri positivi. Provare che
se

a
n
`e convergente, allora lim
n
n a
n
= 0, ma che il viceversa `e
falso.
147
4. Si provi che le successioni
_
1 +
1
n
_
n+1
e
_
1
1
n+1
_
n
sono decrescenti e
se ne calcolino i limiti.
5. Calcolare, se esistono,
lim
n
_
1 +
1
n
2
_
n
, lim
n
_
1 +
1
n
_
n
2
.
6. Provare che
lim
n
_
n
2
1
n(1 + n
2
)
_ 1

n
= 1.
7. Dimostrare le disuguaglianze
1
n + 1
< ln
_
1 +
1
n
_
<
1
n
,
1
n 1
< ln
_
1
1
n
_
<
1
n
n N
+
.
8. (Identit`a di Abel) Siano a
1
, . . . , a
n
, b
1
, . . . , b
n
, b
n+1
numeri complessi.
Posto s
k
=

k
h=1
a
h
, si provi che
n

k=1
a
k
b
k
= s
n
b
n+1

k=1
s
k
(b
k+1
b
k
).
9. Determinare il comportamento delle seguenti serie:
(i)

n=1
_
1 cos
1
n
_
, (ii)

n=1
sin
1
n
, (iii)

n=1
ln n
n
3
,
(iv)

n=0
n(n 1)
(n + 1)(n + 2)
2
, (v)

n=2
1
(ln n)
ln n
, (vi)

n=1
n
n
(n!)
2
,
(vii)

n=1
[7 + 3(1)
n
]
n
2
3n
, (viii)

n=0
1
4

1 + n
3
, (ix)

n=0
n + 2
n
1 + n
3
,
(x)

n=1
_
n + 1
n(1 + n
2
)
_

n
, (xi)

n=1
_
n 1

n
_
n
, (xii)

n=1
(1)
n
40
1
n
.
148
10. Si verichi lidentit`a
n!
(n + k)!
=
1
k 1
_
n!
(n + k 1)!

(n + 1)!
(n + k)!
_
n N, k 2,
e se ne deduca che

n=0
n!
(n + k)!
=
1
(k 1)(k 1)!
k 2,
ossia

n=0
1
_
n+k
n
_ = 1 +
1
k 1
k 2.
11. Si provi che se a > 1 la serie

(a
1/n
2
1) `e convergente mentre la serie

(a
1/n
1) `e divergente. Che succede se 0 < a 1?
[Traccia: si utilizzi lidentit`a (a
1/k
1)

k1
h=0
a
h/k
= a 1.]
12. Sia a
n
denita per ricorrenza dalle relazioni
_
_
_
a
0
= 1
a
n+1
=
a
n
+ a
n
n N,
ove `e un ssato numero positivo. Si provi che a
n
`e decrescente e se
ne calcoli il limite; si deduca che la serie

a
n
`e convergente se > 1
e divergente se 0 < 1.
[Traccia: si trovi unespressione esplicita per a
n
.]
13. Sia F
n
la successione dei numeri di Fibonacci, deniti da
_
F
0
= 0, F
1
= 1,
F
n+2
= F
n+1
+ F
n
n N;
si determini il comportamento della serie

1
Fn
.
14. Si provi che risulta
1
n + 1
<

k=n+1
1
k
2
<
1
n
n N
+
.
149
2.4 Criteri di convergenza per le serie
Come si `e gi`a accennato in precedenza, spesso `e facile accertare la convergenza
di una serie senza conoscerne la somma. Ci`o `e reso possibile da alcuni comodi
criteri che forniscono condizioni sucienti per la convergenza delle serie. I pi` u
semplici di questi criteri riguardano le serie reali a termini di segno costante,
ad esempio positivi; il pi` u semplice in assoluto `e il criterio del confronto, una
versione del quale si trova nellesercizio 2.2.2.
Proposizione 2.4.1 (criterio del confronto) Siano

a
n
,

b
n
due se-
rie reali, e supponiamo che risulti
0 a
n
b
n
denitivamente;
in tal caso, se

b
n
converge allora

a
n
converge, mentre se

a
n
diverge
a + allora

b
n
diverge a +.
Dimostrazione Sia N tale che 0 a
n
b
n
per ogni n : allora
0

n=m
a
n

n=m
b
n
m ,
cosicche i due enunciati seguono facilmente tenendo conto dellosservazione
2.2.7.
Si ha poi:
Proposizione 2.4.2 (criterio del rapporto) Sia

a
n
una serie con ter-
mini denitivamente positivi. Se esiste ]0, 1[ tale che
a
n+1
a
n
denitivamente,
allora la serie

a
n
`e convergente. Il viceversa `e falso.
Dimostrazione Sia N tale che a
n
> 0 per ogni n ed inoltre
a
n+1
a
n
n ;
allora si ha
a
n
= a


n1

k=
a
k+1
a
k
a


n1

k=
= a


n
n ,
150
cio`e
a
n

a


n
n .
Dal criterio del confronto, essendo ]0, 1[, segue che

a
n
`e convergente.
Viceversa, la serie

1/n
2
`e una serie convergente, e malgrado ci` o non verica
le ipotesi del criterio del rapporto: infatti
a
n+1
a
n
=
n
2
(n + 1)
2
1 per n +,
e quindi non esiste alcun ]0, 1[ che possa soddisfare lipotesi richiesta.
Osservazione 2.4.3 Si noti che nellipotesi del criterio del rapporto non
basta richiedere che sia
a
n+1
a
n
< 1 denitivamente:
infatti questa condizione `e meno restrittiva ed esistono serie divergenti che
la soddisfano: per esempio la serie armonica

1
n
.
Esempi 2.4.4 (1) La serie

n!
n
n
`e convergente: infatti
a
n+1
a
n
=
(n+1)!
(n+1)
n+1
n!
n
n
=
_
n
n + 1
_
n
=
1
_
1 +
1
n
_
n

1
e
per n ,
cosicche si ha denitivamente
a
n+1
a
n
<
1
e
+ < 1
pur di scegliere 0 < < 1
1
e
.
(2) La serie

b
n
`e convergente per ogni R e per ogni b [0, 1[: infatti
a
n+1
a
n
=
_
n + 1
n
_

b b per n ,
e quindi si ha denitivamente
a
n+1
a
n
b + < 1
151
pur di scegliere 0 < < 1 b.
(3) La serie esponenziale

x
n
n!
`e convergente per ogni x > 0: infatti
a
n+1
a
n
=
x
n + 1
0 per n +,
cosicch`e per qualunque ]0, 1[ si ha
a
n+1
a
n
denitivamente.
(4) La serie

n=0
_
n + k
k
_
1/2
`e a termini positivi, ma luso del criterio del rapporto non d`a informazioni
sul suo comportamento: infatti
a
n+1
a
n
=
_
n + 1
n + k + 1
_
1/2
1 per n +,
quindi la serie potrebbe convergere o divergere. Tuttavia se k 3 si ha
a
n
=

k!n!
(n + k)!

k!
(n + k)(n + k 1)(n + k 2)

k!
n
3/2
n N
+
,
quindi la serie converge per il criterio del confronto; se invece k = 2, e a
maggior ragione se k = 0 o k = 1, si vede subito che la serie diverge per
confronto con la serie armonica.
Proposizione 2.4.5 (criterio della radice) Sia

a
n
una serie a termini
non negativi. Se esiste ]0, 1[ tale che
n

a
n
denitivamente,
allora la serie

a
n
`e convergente; se invece esistono inniti valori di n per
i quali
n

a
n
1,
allora la serie

a
n
`e positivamente divergente.
152
Dimostrazione Dalla prima ipotesi segue che si ha
a
n

n
denitivamente,
quindi

a
n
converge per il criterio del confronto, essendo ]0, 1[.
Se invece vale la seconda ipotesi, allora si ha a
n
1 per inniti valori di n:
quindi la serie

a
n
diverge a +.
Osservazione 2.4.6 Si noti che, come per il criterio del rapporto, nellipo-
tesi del criterio della radice non basta richiedere che sia
n

a
n
< 1 denitivamente,
in quanto questa condizione meno restrittiva `e vericata da alcune serie
divergenti: per esempio la serie armonica

1
n
.
Esempi 2.4.7 (1) La serie

3
n
4
n
1
`e convergente, perche
_
3
n
4
n
1
_1
n
=
3
4
_
1
1 4
n
_1
n

3
4
per n +,
cosicche, scelto 0 < <
1
4
, si ha
_
3
n
4
n
1
_1
n
<
3
4
+ < 1 denitivamente.
(2) La serie
_
1
1
n
_
n
2
`e convergente: infatti, essendo
_
1
1
n
_
n
crescente,
_
_
1
1
n
_
n
2
_1
n
=
_
1
1
n
_
n

1
e
n N
+
.
(3) La serie
_
3
4
+
1
2
cos n

2
_
n
`e a termini positivi e diverge a + perche il
termine generale a
n
`e
a
n
=
_

_
_
3
4
_
n
se n `e dispari,
_
5
4
_
n
se n `e multiplo di 4,
_
1
4
_
n
se n `e pari ma non `e multiplo di 4,
cosicche
n

a
n
1 per inniti indici n.
153
(4) La serie

n=1
_
n
2
1
n(1 + n
2
)
_

n
`e a termini positivi ma il criterio della radice non d`a informazioni sulla
convergenza, in quanto
n

a
n
=
_
n
2
1
n(1 + n
2
)
_ 1

n
1 per n
(esercizio 2.3.6); quindi per ogni ]0, 1[ si ha denitivamente
<
n

a
n
< 1.
Tuttavia, in virt` u del criterio del confronto la serie `e convergente poiche
_
n
2
1
n(1 + n
2
)
_

_
1
n
_

1
n
2
n 4.
Il criterio di convergenza di uso pi` u facile e frequente `e il seguente:
Proposizione 2.4.8 (criterio del confronto asintotico) Siano

a
n
e

b
n
due serie a termini denitivamente positivi, e supponiamo che esista
L = lim
n
a
n
b
n
[0, +].
Allora:
(i) se L ]0, +[, le due serie hanno lo stesso comportamento;
(ii) se L = 0, la convergenza di

b
n
implica la convergenza di

a
n
;
(iii) Se L = +, la divergenza di

b
n
implica la divergenza di

a
n
.
Dimostrazione (i) Sia L > 0 e sia ]0, L[. Allora si ha
0 < L <
a
n
b
n
< L + denitivamente,
quindi
b
n
(L ) < a
n
< b
n
(L + ) denitivamente,
e la tesi segue dal criterio del confronto.
(ii) Fissato > 0 si ha denitivamente a
n
b
n
, da cui la tesi.
(iii) Fissato M > 0, si ha denitivamente Mb
n
< a
n
, da cui la tesi.
154
Esempi 2.4.9 (1) La serie

n=1
n
2
+ 3

n 4
2n
3

n + 1
converge perche confrontandola con

n
3/2
, che `e convergente, si ha
lim
n
n
2
+3

n4
2n
3

n+1
1
n
3/2
=
1
2
.
(2) La serie

1
n
(cos n
2
+

n) `e divergente a + perche confrontandola con

n
1/2
, che `e divergente, si ha
lim
n
cos n
2
+

n
= 1.
(3) La serie

n
3+(1)
n
`e convergente perche a confronto con

n
3/2
d` a
lim
n
n
3/2
n
3(1)
n
= 0.
(4) Consideriamo la serie

n=2
1
n(ln n)

,
ove 1. Notiamo che si ha, per ogni > 0,
1
n
1+
<
1
n(ln n)

<
1
n
denitivamente
in quanto lim
n
n

(ln n)

= + (esercizio 2.1.11). Quindi siamo in un caso


intermedio fra

1
n
(divergente) e

1
n
1+
(convergente), ed il criterio del
confronto asintotico non d`a alcun aiuto. Tuttavia le somme parziali della
serie vericano
s
2n
s
n
=
2n

k=n+1
1
k(ln k)


n
(n + 1)(ln(n + 1))


1
(ln n)

n 2,
s
2n
s
n
=
2n

k=n+1
1
k(ln k)


n
2n(ln(2n))

=
1
2
1
(ln(2n))

n 2;
155
di conseguenza, con lo stesso ragionamento usato per la serie armonica e per
la serie armonica generalizzata (esempi 2.2.6 (3) e 2.3.4 (1)), se 1 si ha
per ogni m 2 e per ogni n 2
m
s
n
s
2
m =
1
2(ln 2)

+
m

k=2
(s
2
k s
2
k1)

1
2(ln 2)

+
1
2
m

k=2
1
(ln 2
k
)

=
1
2(ln 2)

k=1
1
k

,
mentre se > 1 si ha per ogni n 2
s
n
s
2
n =
1
2(ln 2)

+
n

k=2
(s
2
k s
2
k1)

1
2(ln 2)

+
1
2
n

k=2
1
(ln 2
k1
)

=
1
(ln 2)

_
1
2
+
n1

h=1
1
h

_
.
Dal comportamento della serie armonica generalizzata si deduce che

n=2
1
n(ln n)

_
converge se > 1,
diverge a + se 1.
Esercizi 2.4
1. Determinare il comportamento delle seguenti serie:
(i)

n=1
1
n
1+1/n
, (ii)

n=1
1
(n!)
1/n
, (iii)

n=2
1
ln n!
,
(iv)

n=0
e

n
, (v)

n=1
ln
_
1 +
1
n
2
_
, (vi)

n=2
ln
_
1
1
n
2
_
,
(vii)

n=0
2
n
e

n
, (viii)

n=2
2

n
(ln n)
n
, (ix)

n=1
tan
2
1
n
,
(x)

n=1
n

n! n

n
, (xi)

n=1
n

n
(

n)
n
, (xii)

n=1
10
n!n
n
.
156
2. (Criterio di Raabe) Sia

a
n
una serie a termini positivi. Si provi che
se esiste K > 1 tale che
n
_
a
n
a
n+1
1
_
K n N
+
,
allora la serie converge, mentre se risulta
n
_
a
n
a
n+1
1
_
1 n N
+
,
allora la serie diverge a +.
[Traccia: nel primo caso, posto d = K 1, si mostri che a
n+1

1
d
(na
n
(n + 1)a
n+1
), e che quindi le somme parziali

n
k=1
a
k+1
non
superano
a
1
d
; nel secondo caso si verichi che a
n+1

a
1
n+1
.]
3. Si determini il comportamento delle seguenti serie:
(i)

n=1
1 4 7 . . . (3n 2)
3 6 9 . . . (3n)
, (ii)

n=1
_
1 4 7 . . . (3n 2)
3 6 9 . . . (3n)
_
2
.
[Traccia: utilizzare il criterio di Raabe.]
4. Vericare che il criterio di Raabe implica la divergenza della serie
armonica.
5. Si provi che esiste un numero reale ]0, 1[, detto costante di Eulero,
tale che
lim
n
_
n

k=1
1
k
ln n
_
= .
[Traccia: utilizzare il risultato dellesercizio 2.3.7.]
6. Quanti addendi occorre sommare anche risulti
n

k=1
1
k
100?
7. Siano a
0
< a
1
< a
2
< . . . i numeri naturali che, scritti in cifre decimali,
non contengono la cifra 0. Provare che
n

k=1
1
a
k
< 90.
157
[Traccia: si determini quanti sono i numeri di n cifre fra le quali non
c`e lo 0, e si osservi che essi sono tutti maggiori di 10
n1
. . .]
8. Si provi che
n

k=1
cos
x
2
k
=
sin x
2
n
sin
x
2
n
n N
+
, x R 0,
e di conseguenza si calcoli la somma della serie

k=1
ln cos
x
2
k
, x R.
9. Si consideri la successione denita da
_
a
0
=
a
n+1
= max
1
2
a
n
, a
n
1 n N.
ove R.
(i) Si provi che a
n
`e monotona e innitesima per ogni R.
(ii) Si determini il comportamento della serie

a
n
al variare di in
R.
10. Discutere la convergenza della serie

n=1
a
ln n
n
al variare del parametro
a > 0.
11. Provare che

n=3
1
n(ln n)(ln ln n)

_
converge se > 1,
diverge a + se 1.
12. Sia a
n
]0, +[. Si provi che
lim
n
a
n+1
a
n
= L = lim
n
n

a
n
= L,
ma che il viceversa `e falso; se ne deduca che il criterio della radice
implica il criterio del rapporto, ma non vale il viceversa.
158
2.5 Convergenza assoluta e non
Per le serie a termini complessi, o a termini reali di segno non costante,
i criteri di convergenza sin qui visti non sono applicabili. Lunico criterio
generale, rozzo ma ecace, `e quello della convergenza assoluta.
Denizione 2.5.1 Sia

a
n
una serie a termini reali o complessi. Diciamo
che la serie `e assolutamente convergente se la serie

[a
n
[ `e convergente.
Si noti che per vericare la convergenza assoluta di una serie i criteri visti in
precedenza sono tutti validi perche

[a
n
[ `e una serie a termini positivi. Na-
turalmente, come suggerisce il loro nome, le serie assolutamente convergenti
sono convergenti: vale infatti il risultato seguente:
Proposizione 2.5.2 Ogni serie assolutamente convergente `e convergente.
Dimostrazione Sia

[a
n
[ convergente, e supponiamo dapprima che gli a
n
siano tutti reali. Poniamo
b
n
= [a
n
[ a
n
n N :
chiaramente si ha 0 b
n
2[a
n
[ per ogni n, cosicche

b
n
`e convergente per
il criterio del confronto. Essendo
a
n
= [a
n
[ b
n
n N,
la serie

a
n
converge perche dierenza di serie convergenti (esercizio 2.2.1).
Supponiamo adesso che gli a
n
siano numeri complessi. Dalle relazioni
[Re z[ [z[, [Imz[ [z[ z C
segue, per il criterio del confronto, che le due serie reali

Re a
n
e

Ima
n
sono assolutamente convergenti; quindi, per quanto gi` a dimostrato, esse con-
vergono. Dunque, applicando alle somme parziali

n
k=0
a
k
il risultato delle-
sercizio 2.1.2, si ottiene che la serie

a
n
=

Re a
n
+ i

Ima
n
`e conver-
gente.
Come vedremo fra poco, il viceversa della proposizione precedente `e falso:
esistono serie convergenti che non sono assolutamente convergenti.
Per le serie a termini reali di segno alterno c`e uno speciale criterio di con-
vergenza.
159
Proposizione 2.5.3 (criterio di Leibniz) Sia a
n
una successione reale
decrescente ed innitesima. Allora la serie

(1)
n
a
n
`e convergente e si ha

n=m+1
(1)
n
a
n

a
m+1
m N.
Dimostrazione Siano s
n
le somme parziali della serie

n=0
(1)
n
a
n
; se n
`e pari, n = 2m, dalla decrescenza di a
n
segue che
s
2m+2
= s
2m
a
2m+1
+ a
2m+2
s
2m
s
2
s
0
,
mentre se n `e dispari, n = 2m + 1, si ha analogamente
s
2m+1
= s
2m1
+ a
2m
a
2m+1
s
2m1
s
3
s
1
.
Inoltre per la positivit`a degli a
n
s
2m+1
= s
2m
a
2m+1
s
2m
m N;
in denitiva
s
1
s
2m1
s
2m+1
s
2m
s
2m2
s
0
m N
+
.
Dunque, le due successioni
s
2m+1

mN
e s
2m

mN
sono
monotone (crescente la prima e
decrescente la seconda) e limita-
te; quindi convergono entrambe
e, posto
D = lim
m
s
2m+1
, P = lim
m
s
2m
,
dal teorema di confronto (teore-
ma 2.1.12) si ha
s
1
D P s
0
.
Daltra parte, essendo s
2m+1
s
2m
= a
2m+1
per ogni m N, dallipotesi
che a
n
`e innitesima segue, al limite per m , che D = P. Poniamo
160
allora S = D = P, e proviamo che la serie

n=0
(1)
n
a
n
ha somma S. Per
ogni > 0 si ha
[s
2m
S[ < denitivamente, [s
2m+1
S[ < denitivamente;
quindi se n `e abbastanza grande, pari o dispari che sia, risulter` a [s
n
S[ < ,
e pertanto s
n
S per n .
Notiamo poi che si ha
s
2m+1
S s
2m+2
s
2m
m N,
da cui se n `e pari, n = 2m,
0 s
n
S = s
2m
S s
2m
s
2m+1
= a
2m+1
= a
n+1
,
mentre se n `e dispari, n = 2m + 1,
0 S s
n
= S s
2m+1
s
2m+2
s
2m+1
= a
2m+2
= a
n+1
;
in ogni caso
[s
n
S[ a
n+1
n N,
e ci`o prova la tesi.
Osservazione 2.5.4 Il criterio di Leibniz `e ancora vero per le serie che ne
vericano le ipotesi soltanto denitivamente: ad esempio, la serie potreb-
be essere a termini di segno alterno solo da un certo indice in poi, ed i
termini stessi, in valore assoluto, potrebbero essere decrescenti solo da un
certo altro indice in poi. In questo caso, per` o, la stima [s
n
S[ a
n+1
va
opportunamente modicata.
Esempi 2.5.5 (1) La serie

(1)
n
n
`e convergente perche
1
n
`e una succes-
sione decrescente ed innitesima. Questo `e un esempio di serie convergente
ma non assolutamente convergente (dato che la serie dei valori assoluti `e la
serie armonica).
(2) La serie

(1)
n
n
100
2
n
`e convergente perche n
100
2
n
`e innitesima e
denitivamente decrescente (esercizio 2.5.6).
(3) La serie

(1)
n 10
n
n
10
n+1
non converge: il suo termine generale non `e in-
nitesimo.
161
(4) La serie

sin nx
n
2
converge per ogni x R: infatti `e assolutamente con-
vergente, per confronto con la serie

1
n
2
.
Vi `e un altro importante criterio di convergenza non assoluta, il quale ge-
neralizza il criterio di Leibniz; esso discende dallidentit` a di Abel (esercizio
2.3.8), che enunciamo qui in forma lievemente pi` u generale:
Proposizione 2.5.6 (Identit`a di Abel) Siano a
n
e b
n
due successio-
ni di numeri reali o complessi. Fissati p, q N con q p e posto B
N
=

N
n=q
b
n
, risulta
N

n=p
a
n
b
n
= a
N
B
N
a
p
B
p1
+
N1

n=p
(a
n
a
n+1
)B
n
N > p,
ove B
p1
= 0 nel caso in cui q = p.
Dimostrazione Basta osservare che
N

n=p
a
n
b
n
=
N

n=p
a
n
(B
n
B
n1
) =
N

n=p
a
n
B
n

N1

n=p1
a
n+1
B
n
=
= a
N
B
N
a
p
B
p1
+
N1

n=p
(a
n
a
n+1
)B
n
.
Unimmediata conseguenza di questa identit` a `e il seguente
Lemma 2.5.7 (di Abel) Siano a
n
e b
n
due successioni di numeri reali.
Posto B
N
=

N
n=0
b
n
, supponiamo che
(i) [B
N
[ K N N, (ii) a
n
a
n+1
0 e lim
n
a
n
= 0.
Allora la serie a
n
b
n
converge e vale la stima

n=N
a
n
b
n

2Ka
N
N N.
Dimostrazione Per M > N poniamo s
MN
=

M
n=N
a
n
b
n
. Dallidentit` a di
Abel otteniamo
s
MN
= a
M
B
M
a
N
B
N1
+
M1

n=N
(a
n
a
n+1
)B
n
;
162
poiche [a
M
B
M
[ Ka
M
0 per M , ed inoltre

n=N
[(a
n
a
n+1
)B
n
[ =

n=N
(a
n
a
n+1
)[B
n
[ K

n=N
(a
n
a
n+1
) = Ka
N
,
al limite per M si ottiene

n=N
a
n
b
n

[a
N
B
N1
[ + Ka
N
2Ka
N
,
e dunque si ha la tesi.
Osservazione 2.5.8 Alla stessa conclusione si arriva quando [B
N
[ M per
ogni N N, a
n
0 per ogni n N e, in luogo della decrescenza di a
n
, si
fa lipotesi che la serie

n=1
[a
n
a
n+1
[ sia convergente.
Pi` u in generale, vale questo risultato:
Proposizione 2.5.9 Siano a
n
e b
n
due successioni di numeri reali non
negativi, con a
n
decrescente e innitesima. Posto B
N
=

N
n=0
b
n
, si ha

n=0
a
n
b
n
<

n=0
(a
n
a
n+1
)B
n
< .
Dimostrazione (=) Dalla positivit` a di a
N
B
N
e dallidentit` a di Abel
N1

n=0
(a
n
a
n+1
)B
n

N1

n=0
(a
n
a
n+1
)B
n
+ a
N
B
N
=
N

n=0
a
n
b
n
N N
+
,
da cui la tesi per confronto.
(=) Dallidentit` a sopra scritta segue che a
N
B
N
, essendo dierenza di due
somme di termini positivi una delle quali convergente, ha limite [0, ];
se proviamo che R seguir` a la tesi. A questo scopo basta osservare che
a
N
B
N
= B
N

n=N
(a
n
a
n+1
)

n=N
(a
n
a
n+1
)B
n
;
ma per ipotesi lultimo membro `e innitesimo per N , e dunque = 0.
163
Osservazione 2.5.10 Si noti che dalla dimostrazione precedente segue ad-
dirittura luguaglianza

n=1
a
n
b
n
=

n=1
(a
n
a
n+1
)B
n
, ove B
n
=
n

k=1
b
k
,
per ogni successione reale decrescente e innitesima a
n
e per ogni succes-
sione non negativa b
n
.
Il lemma di Abel si pu` o applicare, in particolare, a serie della forma

n=0
a
n
cos nx,

n=1
a
n
sin nx,
supponendo naturalmente che a
n
sia una successione reale, decrescente e
innitesima. Infatti le somme di funzioni trigonometriche hanno la propriet`a
di essere limitate per 0 < [t[ : risulta in eetti

n=0
cos nt

Re
N

n=0
e
int

1 e
i(N+1)t
1 e
it

=
=
_
2 2 cos(N + 1)t
2 2 cos t
=

sin
N+1
2
sin
t
2

1
sin
t
2
,
e similmente

n=1
sin nt

Im
N

n=1
e
int

e
it
1 e
iNt
1 e
it

_
1 cos Nt
1 cos t
=

sin
N
2
sin
t
2

1
sin
t
2
.
Esempio 2.5.11 Consideriamo la serie

n=1
z
n
n
, ove z `e un parametro com-
plesso: utilizzando il criterio del rapporto si vede subito che essa converge
assolutamente quando [z[ < 1, mentre certamente non converge, non essendo
innitesimo il suo termine generale, quando [z[ > 1. Quando [z[ = 1 non vi
`e convergenza assoluta, ma la serie potrebbe convergere in certi punti: ci` o `e
vero per z = 1, come sappiamo dallesempio 2.5.5 (1), mentre non `e vero
per z = 1. Cosa succede per gli altri z di modulo unitario?
Consideriamo le somme parziali
s
n
=
n

k=1
z
k
k
, n N
+
,
164
ove z C e [z[ = 1. Utilizziamo nuovamente lidentit` a di Abel: scegliamo
a
k
= z
k
, b
k
=
1
k
,
ed osserviamo che se z ,= 1 si ha

k
=
k

h=1
z
h
=
z(1 z
k
)
1 z
, [
k
[
2
[1 z[
k N
+
;
quindi la successione
k

kN
+ `e limitata. Sostituendo nellidentit` a di Abel
otteniamo per [z[ = 1, z ,= 1,
s
n
=
n

k=1
z
n
n
=

n
n + 1

n

k=1

k
_
1
k + 1

1
k
_
=

n
n + 1
+
n

k=1

k
k(k + 1)
.
Il primo addendo nellultimo membro tende a 0 per n , in virt` u della
limitatezza delle
k
; il secondo addendo `e la somma parziale di una serie as-
solutamente convergente, per confronto con la serie

1
k(k+1)
. Se ne conclude
che le somme parziali s
n
formano una successione convergente, e in denitiva
la serie

z
n
n
converge per ogni z di modulo unitario, ad eccezione del punto
z = 1.
Quando nessun criterio di convergenza `e applicabile, non rimane che tentare
uno studio diretto della serie e delle sue somme parziali, con il quale, in certi
casi, si riesce a determinarne il comportamento. Consideriamo ad esempio la
serie

n=1
(1)
n(n+1)
2
n
,
che non `e assolutamente convergente. Essa non `e a segni alterni: infatti si
ha
n(n+1)
2
=

n
k=1
k (esercizio 1.6.13), per cui la parit` a dellesponente di 1
cambia quando si somma un intero dispari e non cambia quando si somma
un intero pari. Il risultato `e che la sequenza dei segni `e 1, 1, 1, 1, 1,
1, 1, 1, 1, 1, 1, 1, . . .
Per studiare il comportamento della serie, analizziamone direttamente le som-
me parziali: se N `e pari, N = 2m, si ha (dato che gli interi
2m(2m+1)
2
=
165
2m
2
+ m e
(2m1)2m
2
= 2m
2
m hanno la stessa parit` a di m)
s
2m
=
2m

n=1
(1)
n(n+1)
2
n
=
= 1
1
2
+
1
3
+
1
4

1
5

1
6
+ +
(1)
m
2m1
+
(1)
m
2m
=
=
m

h=1
(1)
h
_
1
2h 1

1
2h
_
.
Questultima espressione `e la somma parziale m-sima di una serie che verica
le ipotesi del criterio di Leibniz e quindi `e convergente. Perci`o la successione
s
2m
converge ad un numero reale S. Se ora N `e dispari, N = 2m+1, si ha
s
2m+1
= s
2m
+
(1)
(2m+1)(2m+2)
2
2m + 1
S per m ;
quindi s
2m+1
converge anchessa a S. Se ne deduce, come nella dimostra-
zione del criterio di Leibniz, che lintera successione s
n
converge a S, e che
quindi la serie data `e convergente.
Esercizi 2.5
1. Determinare il comportamento delle seguenti serie:
(i)

n=0
n(1)
n
n
2
+ 1
, (ii)

n=5
(1)
n
2n 101
, (iii)

n=47
(1)
n
2 + sin n
,
(iv)

n=1
(1)
n
n
3/7
, (v)

n=1
(1)
n
(
n

3 1), (vi)

n=1
2 + (1)
n
n
2
,
(vii)

n=1
(1)
n
n
1/n
, (viii)

n=0
(sin(sin n))
n
, (ix)

n=0
_
sin(n + 1)
n
2
+ 1
_
n
.
166
2. Determinare per quali x R convergono, e per quali x R convergono
assolutamente, le seguenti serie:
(i)

n=0
x
n
n + 1
, (ii)

n=1
x
n
sin
1
n
, (iii)

n=0
n
n + 1
(x 1)
n
,
(iv)

n=1
sin
n
x
n
, (v)

n=0
(2)
n
e
nx
, (vi)

n=1
(ln x)
n
2

n
,
(vii)

n=1
x
1/n
n
1+1/n
, (viii)

n=0
x

n
, (ix)

n=0
ln
_
1 +
x
n
2
_
,
(x)

n=1
(n!)
3
x
n
n(3n)!
, (xi)

n=0
n
3
(4x)
n
2

n!
, (xii)

n=0
sin
3x
n
2
+ 1
.
3. Quanti addendi occorre sommare per approssimare la somma della serie

n=0
(1)
n
2n+1
con un errore minore di
1
100
?
4. Provare che la serie

n=1
(1)
n 2n+1
n(n+1)
`e convergente e calcolarne la
somma.
5. Per quali R la serie
1
1
2

+
1
3

1
4

+
1
5

1
6

+ +
1
2n 1

1
(2n)

+
`e convergente?
6. Si provi che la successione n

n
`e denitivamente decrescente per
ogni R e > 1.
7. Sia x un numero reale. Si provi che:
lim
n
sin nx x = k, k Z;
lim
n
cos nx x = 2k, k Z.
[Traccia: si supponga che L = lim
n
sin nx esista: usando la formula
di duplicazione per il seno si mostri dapprima che L = 0 oppure L =

3
2
; poi, usando la formula di addizione per sin(n+1)x, si deduca che
se L = 0 allora x `e multiplo di , mentre se L ,= 0 allora cos x =
1
2
: da
qui si ricavi un assurdo.]
167
8. Si consideri la successione denita per ricorrenza da
_
_
_
a
0
= 0
a
n+1
= (a
n
)
2
+
1
4
n N.
(i) Provare che a
n
`e crescente e limitata e calcolarne il limite L.
(ii) Provare che la serie

(L a
n
)
2
`e convergente e determinarne la
somma.
(iii) Discutere il comportamento per n della successione a
n

quando il valore di a
0
`e un numero > 0 qualsiasi, anziche 0.
9. Descrivere il comportamento delle seguenti serie:
(i)

n=0
1
n + i
, (ii)

n=1
sin(n/4)
n
, (iii)

n=0
(1)
n
i
n
2n + 1
, (iv)

n=1

n + in
n
2
in
.
10. Stabilire il comportamento della serie

n=1
z
n

n
sul bordo del cerchio di
convergenza.
[Traccia: utilizzare il procedimento dellesempio 2.5.5 (6).]
2.6 Successioni di Cauchy
Unimportante propriet` a delle successioni reali o complesse, strettamente
legata alla nozione di limite, `e quella espressa dalla denizione che segue.
Denizione 2.6.1 Sia a
n
una successione reale o complessa. Diciamo
che a
n
`e una successione di Cauchy se vale la condizione seguente:
N : [a
n
a
m
[ < n, m > .
Come si vede, la condizione di Cauchy `e molto vicina alla denizione di suc-
cessione convergente: invece che chiedere ai numeri a
n
di essere denitiva-
mente vicini al limite L, si chiede loro di avvicinarsi gli uni agli altri (sempre
denitivamente). Ma il legame con la nozione di limite `e strettissimo; infatti:
Proposizione 2.6.2 Sia a
n
una successione reale o complessa. Allora
a
n
`e una successione di Cauchy se e solo se essa `e convergente.
168
Dimostrazione Se a
n
converge al numero complesso L allora, per de-
nizione,
> 0 N : [a
n
L[ <

2
n > .
Quindi per ogni n, m > si ha
[a
n
a
m
[ [a
n
L[ +[L a
m
[ <

2
+

2
= ,
e quindi vale la condizione di Cauchy. Viceversa, supponiamo che valga la
condizione di Cauchy: allora, scelto = 2
k
, con k N, si ha che
k N
k
N : [a
n
a
m
[ < 2
k
n, m
k
,
e non `e restrittivo supporre che
k
>
k1
per ogni k 1: basta eventualmen-
te sostituire la k-sima soglia
k
con la soglia

k
= 1 + max
j
: 0 j k.
In particolare, avremo
[a

k+1
a

k
[ < 2
k
k N.
Di conseguenza la serie

(a

h+1
a

h
) `e assolutamente convergente; pertanto
lim
k
a

k
= lim
k
_
a

0
+
k1

h=0
_
a

h+1
a

h
_
_
= a

0
+

h=0
(a

h+1
a

h
) = L;
in altre parole, la sottosuccessione a

k
, ottenuta da a
n
prendendo solo
gli indici n della forma
k
e scartando tutti gli altri, `e convergente.
Proviamo adesso che lintera successione a
n
converge a L: ssato > 0, e
scelto k in modo che risulti [a

k
L[ <

2
ed anche 2
k
<

2
, dalla condizione
di Cauchy segue che
[a
n
L[ [a
n
a

k
[ +[a

k
L[ < 2
k
+

2
<

2
+

2
= n >
k
,
da cui la tesi.
Osservazioni 2.6.3 (1) Nel caso di una serie

a
n
di numeri reali o com-
plessi, la condizione di Cauchy si applica alle sue somme parziali ed equivale,
per quanto visto, alla convergenza della serie. Essa ha la forma
> 0 N : [s
n
s
m
[ =

k=m+1
a
k

< n > m ,
169
ovvero
> 0 N :

m+p

k=m+1
a
k

< m , p N
+
.
(2) Lequivalenza tra la condizione di Cauchy e la convergenza `e una pro-
priet` a legata allinsieme ambiente: `e vera per successioni in R o in C, ma
non `e vera in generale. Ad esempio, se ci limitiamo allambiente dei numeri
razionali, ci sono successioni a
n
Q le quali sono di Cauchy, ma non con-
vergono in Q. (Naturalmente ci` o non toglie che esse abbiano limite in R!)
Un facile esempio `e la successione
_
1 +
1
n
_
n
, che converge al numero reale e,
il quale non `e razionale (esercizio 2.3.1).
Esercizi 2.6
1. Si provi che ogni successione di Cauchy `e limitata, ma che il viceversa
`e falso.
2. Si provi che se una successione di Cauchy ha una sottosuccessione con-
vergente ad un certo valore L C, allora lintera successione ha limite
L.
3. Data una successione reale a
n
, per ogni k N poniamo L
k
=
sup
nk
a
n
e
k
= inf
nk
a
n
. Provare che:
(i) L
k

kN
`e decrescente,
k

kN
`e crescente, e
h
L
k
+
per ogni h, k N.
(ii) Posto L = lim
k
L
k
e = lim
k

k
, si ha L +;
i numeri L e sono chiamati massimo limite e minimo limite della
successione a
n
; si scrive L = maxlim
n
a
n
e = minlim
n
a
n
,
o anche L = limsup
n
a
n
e = liminf
n
a
n
.
(iii) Si ha L = se e solo se esiste = lim
n
a
n
, e in tal caso
= L = ;
(iv) limsup
n
a
n
= r R se e solo se
(a) per ogni > 0 esiste N tale che a
n
< r + per ogni n ,
(b) per ogni > 0 si ha r < a
n
per inniti numeri n N.
(v) liminf
n
a
n
= R se e solo se
170
(a) per ogni > 0 esiste N tale che a
n
> per ogni n ,
(b) per ogni > 0 si ha + > a
n
per inniti numeri n N.
4. Provare che da ogni successione reale a
n
si possono estrarre due sotto-
successioni che tendono rispettivamente al massimo limite e al minimo
limite di a
n
.
2.7 Serie di potenze
Una serie di potenze `e una serie della forma

n=0
a
n
z
n
,
ove a
n
`e una arbitraria successione reale o complessa (ssata) e z `e un
parametro complesso (variabile). Quindi per ogni scelta di z C si ha una
serie numerica che potr` a convergere oppure no; la somma della serie sar` a
dunque una funzione di z, denita sullinsieme dei numeri z tali che la serie
`e convergente. Le somme parziali
s
n
(z) =
n

k=0
a
k
z
k
sono quindi polinomi nella variabile z (cio`e combinazioni lineari nite di
monomi, vale a dire di potenze di z). I numeri a
k
si dicono coecienti della
serie di potenze.
Osservazione 2.7.1 Quando z = 0, il primo termine della serie di potenze,
a
0
0
0
, non ha senso; per z ,= 0 esso `e a
0
1 = a
0
. Allora conveniamo di porre
a
0
z
0
= a
0
anche quando z = 0; avremo quindi, per denizione,

n=0
a
n
z
n
= a
0
+ a
1
z + a
2
z
2
+ . . . + a
n
z
n
+ . . . z C.
Chiaramente allora ogni serie di potenze converge quando z = 0, con somma
a
0
. Il nostro obiettivo `e trovare condizioni che implichino la convergenza
della serie di potenze in altri punti z ,= 0, e caratterizzare linsieme di tali z.
171
Osservazione 2.7.2 Pi` u in generale si possono considerare serie di potenze
della forma

n=0
a
n
(z z
0
)
n
,
con z
0
C ssato; ma con il cambiamento di variabile y = z z
0
ci si
riconduce immediatamente al caso in cui z
0
= 0, e quindi basta considerare
questo caso.
Lambito naturale delle serie di potenze `e il campo complesso; ci`o non toglie
che talvolta sia interessante considerare serie di potenze reali, cio`e di variabile
reale: per queste ultime verr` a usata la variabile x al posto della z, scrivendole
nella forma

n=0
a
n
x
n
.
Esempi 2.7.3 (1) La serie geometrica

n=0
z
n
`e una serie di potenze (ove
a
n
= 1 per ogni n N) che converge assolutamente per [z[ < 1 con somma
1
1z
e non converge per [z[ 1.
(2) Ogni polinomio

N
n=0
a
n
z
n
`e una serie di potenze in cui a
n
= 0 per ogni
n > N, e ovviamente tale serie converge per ogni z C.
(3) La serie esponenziale

n=0
z
n
n!
converge assolutamente per ogni z C
grazie al criterio del rapporto; calcoleremo la sua somma fra breve.
(4) La serie

n=0
n!z
n
converge per z = 0 e non converge per alcun z
C 0.
(5) La serie

n=1
z
n
n
converge per tutti gli z C tali che [z[ 1 e z ,= 1,
mentre non converge per z = 1 e per [z[ > 1 (esempio 2.5.5 (6)).
Vediamo qualche criterio di convergenza.
Proposizione 2.7.4 Se i termini a
n
z
n
di una serie di potenze sono limitati
per [z[ = R, ossia esiste K > 0 per cui risulta
[a
n
[R
n
K n N,
allora

a
n
z
n
`e assolutamente convergente in ogni punto z C con [z[ < R.
Dimostrazione Se [z[ < R possiamo scrivere
[a
n
z
n
[ = [a
n
[R
n
_
[z[
R
_
n
K

z
R

n
n N,
172
da cui la tesi per confronto con la serie geometrica di ragione
|z|
R
< 1.
Corollario 2.7.5 Se una serie di po-
tenze

n=0
a
n
z
n
converge in un pun-
to z
1
C 0, essa converge asso-
lutamente in ogni punto z C con
[z[ < [z
1
[; se la serie non converge in
un punto z
2
C, essa non converge (ed
anzi la serie dei moduli diverge a +)
in ogni z C con [z[ > [z
2
[.
Dimostrazione La prima parte dellenunciato segue dalla proposizione pre-
cedente, perche, per ipotesi, la successione a
n
z
n
1
`e innitesima e quindi limi-
tata. Se poi la serie convergesse in un punto z con [z[ > [z
2
[, per la parte
gi` a dimostrata avremmo la convergenza assoluta anche nel punto z
2
, il che `e
assurdo.
Esempi 2.7.6 (1) I termini della serie di potenze

n=0
n1
n+1
z
n
sono limitati
per [z[ = 1. Quindi la serie converge assolutamente per [z[ < 1. Daltra
parte essa non pu` o convergere per [z[ 1 perche il termine generale non `e
innitesimo.
(2) La serie

n=0
nz
n
, pur non avendo i termini limitati per [z[ = 1, `e
assolutamente convergente per [z[ < 1, come mostra il criterio del rapporto,
mentre non converge per [z[ 1.
I risultati e gli esempi precedenti fanno pensare che linsieme dei numeri
z C tali che la serie

a
n
z
n
`e convergente somigli ad un cerchio di centro
lorigine, e motivano la seguente
Denizione 2.7.7 Il raggio di convergenza di una serie di potenze

a
n
z
n
`e il numero (appartenente a [0, +])
R = sup
_
[z[ : z C e

n=0
a
n
z
n
`e convergente
_
.
Il cerchio di convergenza della serie `e il cerchio di centro 0 e raggio pari al
raggio di convergenza:
B
R
= z C : [z[ < R.
173
Si noti che B

= C e B
0
= . Se la serie `e reale, si parla di intervallo di
convergenza ] R, R[ ; risulta ovviamente ] R, R[ = B
R
R.
Teorema 2.7.8 Sia R il raggio di convergenza della serie di potenze

a
n
z
n
.
Allora:
(i) se R = 0, la serie converge solo per z = 0;
(ii) se R = +, la serie converge assolutamente per ogni z C;
(iii) se 0 < R < +, la serie converge assolutamente per ogni z B
R
e
non converge per ogni z C con [z[ > R;
(iv) nulla si pu`o dire in generale sulla convergenza della serie nei punti
z C con [z[ = R.
Dimostrazione (i) Se la serie convergesse in z ,= 0 avremmo R = 0 < [z[,
contro la denizione di raggio di convergenza.
(ii) Sia
A =
_
[z[ : z C e

n=0
a
n
z
n
`e convergente
_
,
cosicche sup A = R = +. Sia z C; poiche [z[ non `e un maggiorante di A,
esiste z
1
C tale che [z
1
[ > [z[ e [z
1
[ A, ossia

a
n
z
n
1
`e convergente. Dal
corollario 2.7.5 segue che

[a
n
z
n
[ `e convergente, cio`e la tesi.
(iii) Sia A linsieme sopra denito. Fissiamo z C con [z[ < R; poiche
[z[ non `e un maggiorante di A, esiste z
1
C tale che [z[ < [z
1
[ < R e
[z
1
[ A, ossia

a
n
z
n
1
`e convergente. Dal corollario 2.7.5 segue che

[a
n
z
n
[
`e convergente.
Fissiamo ora z C con [z[ > R: se la serie convergesse nel punto z, avremmo
z A e quindi [z[ R, il che `e assurdo.
(iv) Lultima aermazione `e provata dai seguenti esempi: le tre serie

n=0
z
n
,

n=1
z
n
n
2
,

n=1
z
n
n
hanno tutte raggio di convergenza 1; tuttavia:


z
n
non converge in alcun punto z C con [z[ = 1,
174


z
n
n
2
converge assolutamente in tutti gli z C con [z[ = 1,


z
n
n
converge (non assolutamente) in ogni z C con [z[ = 1, salvo
che in z = 1 (esempio 2.5.5 (6)).
Come si determina il raggio di convergenza di una serie di potenze? Spesso
`e utile il seguente criterio:
Proposizione 2.7.9 Sia

a
n
z
n
una serie di potenze. Se esiste il limite
lim
n
n
_
[a
n
[ = L,
allora il raggio di convergenza della serie `e
R =
_

_
+ se L = 0
1/L se 0 < L <
0 se L = +.
Dimostrazione Sia, al solito, A = [z[ : z C e

a
n
z
n
`e convergente.
Utilizziamo il criterio della radice: per n si ha
n
_
[a
n
z
n
[ =
n
_
[a
n
[[z[ L[z[.
Dunque se L = 0 la serie `e assolutamente convergente per ogni z C, cio`e
A = [0, +[ e pertanto R = +. Se L = +, la serie non converge per
nessun z C 0, quindi A = 0 e R = 0. Se 0 < L < +, la serie `e
assolutamente convergente per gli z C tali che [z[ <
1
L
, mentre non converge
per gli z C tali che [z[ >
1
L
; la prima asserzione dice che [0, 1/L[ A, la
seconda dice che A ]1/L, [ = . Perci` o [0, 1/L[ A [0, 1/L], ossia
R = 1/L.
La pi` u generale versione della proposizione 2.7.9 `e esposta nellesercizio 2.7.1.
Esempi 2.7.10 (1) La serie

z
n
ha raggio di convergenza 1 qualunque
sia R: infatti
lim
n
n

= 1 R.
(2) Se b > 0, la serie

(bz)
n
ha raggio di convergenza 1/b: infatti ovviamente
lim
n
n

b
n
= b.
175
(3) Per calcolare il raggio di convergenza della serie

(nz)
n
n!
il criterio prece-
dente `e poco utile, perche richiede di calcolare il non facile limite
lim
n
n
_
n
n
n!
= lim
n
n
n

n!
.
Utilizziamo invece il criterio del rapporto: dato che (denizione 2.3.6)
lim
n
(n + 1)
n+1
n![z[
n+1
(n + 1)!n
n
[z[
n
= lim
n
_
n + 1
n
_
n
[z[ = e[z[,
avremo che la serie converge assolutamente per tutti gli z C per cui ri-
sulta e[z[ < 1, mentre non potr` a convergere, essendo il suo termine generale
denitivamente crescente in modulo, per gli z C tali che e[z[ > 1. Se ne
deduce che R = 1/e.
Si noti che dallesercizio 2.4.12 segue che
lim
n
n
n

n!
= e,
ossia
lim
n
n

n!
n
=
1
e
:
si confronti questo risultato con la stima dellesercizio 1.6.17.
La serie esponenziale
Come sappiamo, la serie esponenziale

n=0
z
n
n!
converge assolutamente in
ogni punto z C; ci proponiamo di calcolarne la somma. Ricordiamo che se
z = 1 la somma della serie `e, per denizione, il numero e.
Teorema 2.7.11 Per ogni z = x + iy C si ha:
lim
n
_
1 +
z
n
_
n
=

n=0
z
n
n!
= e
x
(cos y + i sin y).
In particolare risulta
cos y =

h=0
(1)
h
y
2h
(2h)!
, sin y =

h=0
(1)
h
y
2h+1
(2h + 1)!
y R.
176
Dimostrazione Fissiamo z = x + iy C. Possiamo scrivere
_
1 +
z
n
_
n
=
_
1 +
x
n
+ i
y
n
_
n
=
=
_
1 +
x
n
_
n
_
1 + i
y
n
1 +
x
n
_
n
=
_
1 +
x
n
_
n
_
1 + i
y
n + x
_
n
.
1
o
passo: calcoliamo il limite della successione reale
_
1 +
x
n
_
n
per un
arbitrario x R.
Come sappiamo, tale successione `e crescente non appena n > [x[ (esempio
1.8.3 (2)).
`
E chiaro che se x = 0 la successione ha limite 1. Supponiamo
x > 0 e poniamo
k
n
=
_
n
x
_
, n N;
chiaramente k
n
k
n+1
e k
n
+ per n . Possiamo scrivere
_
1 +
x
n
_
n
=
_
_
1 +
1
n/x
_
n/x
_
x
,
e osservando che k
n
n/x < k
n
+ 1, deduciamo
_
1 +
1
k
n
+ 1
_
kn
<
_
1 +
1
n/x
_
n/x
<
_
1 +
1
k
n
_
kn+1
n N.
Per il teorema dei carabinieri, ricaviamo
lim
n
_
1 +
1
n/x
_
n/x
= e;
dallesercizio 2.1.24 segue allora
lim
n
_
_
1 +
1
n/x
_
n/x
_
x
= e
x
x > 0.
Sia ora x < 0. Possiamo scrivere
_
1 +
x
n
_
n
=
_
_
1
1
n/[x[
_
n/|x|
_
|x|
,
177
e ponendo stavolta k
n
=
_
n
|x|
_
si ha
_
1
1
k
n
_
kn+1
<
_
1
1
n/[x[
_
n/|x|
<
_
1
1
k
n
+ 1
_
kn
n N,
da cui
lim
n
_
1
1
n/[x[
_
n
=
1
e
e, per lesercizio 2.1.24,
lim
n
_
_
1
1
n/[x[
_
n/|x|
_
|x|
=
_
1
e
_
|x|
= e
x
x < 0.
In denitiva
lim
n
_
1 +
x
n
_
n
= e
x
x R.
2
o
passo: calcoliamo il limite della successione complessa
b
n
=
_
1 + i
y
n + x
_
n
.
Poniamo
c
n
= 1 + i
y
n + x
= [c
n
[(cos
n
+ i sin
n
)
ove
n
] /2, /2[ , dato che la parte reale di c
n
`e positiva. Allora dalla
formula di de Moivre (paragrafo 1.12) si ottiene
b
n
= [c
n
[
n
(cos n
n
+ i sin n
n
).
Valutiamo il modulo di b
n
, cio`e [c
n
[
n
: si ha per n sucientemente grande (in
modo che n + x n/2)
1 [b
n
[ =
_
1 +
y
2
(n + x)
2
_n
2

_
1 +
y
2
(n/2)
2
_n
2
=
_
_
1 +
4y
2
n
2
_
n
2
_ 1
2n

_
e
4y
2
_ 1
2n
,
e per il teorema dei carabinieri
lim
n
[c
n
[
n
= 1.
178
Valutiamo ora largomento di b
n
, cio`e n
n
: anzitutto, dato che
[c
n
[ cos
n
= 1, [c
n
[ sin
n
=
y
n + x
,
si ha tan
n
=
y
n+x
0 per n .
Notiamo adesso che dalla proposizione 1.12.17 segue che
cos x
[ sin x[
[x[
1 x ] /2, /2[0;
inoltre ricordiamo che (esercizio 1.12.9)
[ cos x 1[ [x[ x R.
Dal fatto che tan
n
`e innitesima si ricava allora

n
0, cos
n
1,

n
tan
n
1 per n ,
e di conseguenza
n
n
= (ntan
n
)

n
tan
n
=
ny
n + x


n
tan
n
y per n ,
da cui nalmente
cos n
n
+ i sin n
n
cos y + i sin y per n .
Pertanto si conclude che
lim
n
b
n
= lim
n
[c
n
[
n
(cos n
n
+ i sin n
n
) = cos y + i sin y.
Dai primi due passi della dimostrazione deduciamo che
lim
n
_
1 +
z
n
_
n
= e
x
(cos y + i sin y).
3
o
passo: mostriamo che la somma della serie

n=0
z
n
n!
coincide col prece-
dente limite.
Ripeteremo, con qualche modica, la dimostrazione della proposizione 2.3.5.
Fissiamo m N: allora si ha
lim
n
1
n
k
_
n
k
_
= lim
n
n(n 1) . . . (n k + 1)
k! n
k
=
1
k!
per k = 0, 1, 2, . . . , m.
179
Quindi se z C possiamo scrivere
m

k=0
z
k
k!
= lim
n
m

k=0
_
n
k
_
z
k
n
k
.
Daltra parte se n > m si ha, per la formula del binomio (teorema 1.7.1),
m

k=0
_
n
k
_
z
k
n
k
=
n

k=0
_
n
k
_
z
k
n
k

n

k=m+1
_
n
k
_
z
k
n
k
=
_
1 +
z
n
_
n

k=m+1
_
n
k
_
z
k
n
k
,
quindi per n > m si deduce

k=0
_
n
k
_
z
k
n
k

_
1 +
z
n
_
n

k=m+1
_
n
k
_
z
k
n
k

k=m+1
_
n
k
_
[z[
k
n
k
=
=
n

k=m+1
[z[
k
k!
n
n

n 1
n
. . .
n k + 1
n

n

k=m+1
[z[
k
k!
;
pertanto quando n segue che

k=0
z
k
k!
lim
n
_
1 +
z
n
_
n

lim
n
m

k=0
_
n
k
_
z
k
n
k
lim
n
_
1 +
z
n
_
n

=
= lim
n

k=0
_
n
k
_
z
k
n
k

_
1 +
z
n
_
n

k=m+1
[z[
k
k!
m N
+
.
Adesso facciamo tendere anche m a +: tenuto conto dellosservazione 2.2.7,
si ottiene

k=0
z
k
n
k
lim
n
_
1 +
z
n
_
n

lim
m

k=m+1
[z[
k
k!
= 0,
cio`e la tesi del 3
o
passo. Il teorema `e completamente dimostrato.
La funzione complessa z = x + iy e
x
(cos y + i sin y) `e una estensione a C
della funzione esponenziale reale e
x
. Essa si chiama esponenziale complessa
e si indica con e
z
. Dunque, per denizione e per quanto dimostrato,
e
z
= e
Re z
(cos Imz + i sin Imz) =

n=0
z
n
n!
= lim
n
_
1 +
z
n
_
n
z C.
180
In particolare, scegliendo z = iy immaginario puro, si ha la formula di Eulero
e
iy
= cos y + i sin y y R,
ed anche
e
iy
=

n=0
i
n
y
n
n!
= lim
N
2N

n=0
i
n
y
n
n!
y R;
poiche i
2h
= (1)
h
e i
2h+1
= i(1)
h
, decomponendo la somma in indici pari
ed indici dispari si trova
e
iy
= lim
N
_
N

h=0
(1)
h
y
2h
(2h)!
+ i
N1

h=0
(1)
h
y
2h+1
(2h + 1)!
_
,
e dato che le somme parziali a secondo membro si riferiscono a due serie che
sono entrambe assolutamente convergenti per ogni y R, si deduce
cos y + i sin y =

h=0
(1)
h
y
2h
(2h)!
+ i

h=0
(1)
h
y
2h+1
(2h + 1)!
y R.
Inne, uguagliando fra loro parti reali e parti immaginarie, si ottengono gli
sviluppi in serie per le funzioni seno e coseno:
cos y =

h=0
(1)
h
y
2h
(2h)!
y R,
sin y =

h=0
(1)
h
y
2h+1
(2h + 1)!
y R.
Il teorema `e completamente dimostrato.
Esercizi 2.7
1. Sia

a
n
z
n
una serie di potenze. Si provi che, posto
L = limsup
n
n
_
[a
n
[
(si veda lesercizio 2.6.3), il raggio di convergenza R della serie `e dato
da
R =
_

_
+ se L = 0
1/L se 0 < L <
0 se L = +.
181
2. Determinare il raggio di convergenza delle seguenti serie di potenze:
(i)

n=0
z
n!
, (ii)

n=0
z
n
n + 2
n
, (iii)

n=0
_
i
2 + i
_
n
z
n
,
(iv)

n=0
2
n
2
z
n
, (v)

n=1
3
n
7
n
4
n
3
n
z
n
, (vi)

n=0
_
n
2n + 1
_
2n1
z
n
,
(vii)

n=1
z
n
n
n
n
, (viii)

n=0
3

n
z
n
, (ix)

n=0
[(2)
n
+ 1]z
n
,
(x)

n=0
n!
n
n
z
n
, (xi)

n=0
(n!)
2
(2n)!
z
n
2
, (xii)

n=1
(2n 1) . . . 3 1
2n . . . 4 2
z
n
.
3. Dimostrare le seguenti uguaglianze, specicando per quali z C sono
vere:
(i)

n=0
(1)
n
z
n
=
1
1 + z
; (ii)

n=0
z
2n
=
1
1 z
2
;
(iii)

n=0
(1)
n
z
2n
=
1
1 + z
2
; (iv)

n=1
i
n
z
2n
=
iz
2
1 iz
2
.
4. Sia

a
n
una serie convergente: si provi che il raggio di convergenza
della serie di potenze

a
n
z
n
`e non inferiore a 1.
5. (i) Trovare il raggio di convergenza R della serie

n=0
(n + 1)z
2n
.
(ii) Posto R
n
(z) =

k=n
(k + 1)z
2k
, si verichi che
(1 z)R
n
(z) = nz
2n
+
z
2n
1 z
2
z C con [z[ < R.
(iii) Si calcoli per [z[ < R la somma della serie.
6. (i) Determinare il raggio di convergenza R della serie di potenze

n=1
1
n
3 5 7 . . . (4n 1) (4n + 1)
4
2
8
2
. . . (4n 4)
2
(4n)
2
x
n
;
182
(ii) vericare che
1
n

3(4n + 1)
4(4n)
< a
n
<
1
n
n N
+
;
(iii) descrivere il comportamento della serie nei punti x = R e x = R.
7. Sia F
n
la successione dei numeri di Fibonacci (esercizio 2.3.13).
(i) Determinare il raggio di convergenza R della serie

n=0
F
n
z
n
.
(ii) Detta S(z) la somma della serie, provare che (1 z z
2
)S(z) = z,
ossia
S(z) =
z
1 z z
2
z C con [z[ < R.
8. Trovare due serie di potenze nella variabile z che abbiano come som-
me, nei rispettivi cerchi di convergenza di cui si troveranno i raggi, le
funzioni
F(z) =
1
z
2
+ 4z + 3
, G(z) =
1
z
2
+ z + 1
.
9. Sia R il raggio di convergenza di

n=0
a
n
z
n
: provare che anche le serie

n=1
1
n
a
n
z
n
,

n=0
na
n
z
n
,

n=0
a
n+m
z
n
(con m N ssato)
hanno raggio di convergenza R.
10. Trovare il raggio di convergenza della serie

a
n
z
n
, ove a
n
`e data da
_
a
0
= 1/2
a
n+1
= a
n
(1 a
n
) n N.
11. Le funzioni iperboliche coseno iperbolico e seno iperbolico sono de-
nite da
cosh x =
e
x
+ e
x
2
, x R, sinh x =
e
x
e
x
2
, x R.
(a) Provare che per ogni x R si ha
cosh x =

n=0
x
2n
(2n)!
, sinh x =

n=0
x
2n+1
(2n + 1)!
.
(b) Provare che per ogni x, y R si ha
183
(i) cosh
2
x sinh
2
x = 1;
(ii) cosh(x + y) = cosh x cosh y + sinh x sinh y;
(iii) sinh(x + y) = sinh x cosh y + cosh x sinh y.
12. Calcolare la somma delle seguenti serie, specicando per quali z C
esse sono convergenti:
(i)

n=0
(1)
n
z
2n
n!
, (ii)

n=0
z
3n+2
n!
, (iii)

n=1
z
n1
(n + 1)!
.
13. Calcolare la somma delle seguenti serie, specicando per quali x R
esse sono convergenti:
(i)

n=0
(1)
n
x
n
(2n)!
, (ii)

n=0
(1)
n
x
4n
(2n + 1)!
, (iii)

n=2
x
3n
(2n 3)!
.
14. Siano , R. Si provi che se x ] 1, 1[ si ha

n=0
x
n
cos( + n) =
cos x cos( )
1 2x cos + x
2
,

n=0
x
n
sin( + n) =
sin x sin( )
1 2x cos + x
2
.
184
15. Calcolare la somma delle seguenti serie, ove , R:
(i)

n=0
cos( + n)
n!
, (ii)

n=0
sin( + n)
n!
,
(iii)

n=0
(1)
n
cos( + n)
(2n)!
, (iv)

n=0
(1)
n
sin( + n)
(2n)!
,
(v)

n=0
cos( + n)
(2n + 1)!
, (vi)

n=0
sin( + n)
(2n + 1)!
,
(vii)

n=0
(5i)
n
cos( 3n)
(2n + 2)!
, (viii)

n=0
(5i)
n
sin( 3n)
(2n + 2)!
.
16. Determinare la parte reale e la parte immaginaria dei seguenti numeri:
e
1i
, e
32i
, e
(1+i)
4
, ie
|1+2i|
, e
i(i1)
.
17. Determinare il luogo dei punti z C in cui ciascuna delle due funzioni
f(z) = e
z
, g(z) = e
z
2
assume valori reali, ed il luogo ove ciascuna assume valori puramente
immaginari.
18. Determinare il luogo dei punti z C in cui ciascuna delle due funzioni
g(z) = e
z
2
, h(z) = e
z
3
ha modulo unitario.
19. Fissato k N
+
, si consideri la serie

n=0
e
2in/k
z
n+1+(1)
n
e se ne determini linsieme di convergenza. Qual`e la somma?
185
2.8 Riordinamento dei termini di una serie
Cosa succede se si modica lordine degli addendi di una serie? Le propriet` a
di convergenza si mantengono o si alterano?
Intanto bisogna intendersi sul signicato di questa operazione: ad esempio,
sommare i termini in ordine inverso ha senso solo per somme nite. Andia-
mo allora a chiarire con una denizione ci`o che intendiamo quando parliamo
di riordinamento dei termini di una serie.
Denizione 2.8.1 Sia

a
n
una serie a termini reali o complessi, e sia
: N N una funzione bigettiva, cio`e sia iniettiva che surgettiva: in altre
parole, per ogni k N esiste uno ed un solo n N tale che (n) = k. Posto
b
n
= a
(n)
per ogni n N, la serie

n=0
b
n
si dice riordinamento della serie

n=0
a
n
.
Osservazioni 2.8.2 (1) Nella serie

n=0
b
n
ciascun termine a
k
compare
esattamente una volta, e cio`e quando n =
1
(k), ossia quando n assume
lunico valore n
k
N tale che (n
k
) = k. Quindi

n=0
b
n
ha esattamente
gli stessi addendi di

k=0
a
k
.
(2) Se

n=0
b
n
`e un riordinamento di

n=0
a
n
(costruito mediante la cor-
rispondenza biunivoca ), allora, viceversa,

n=0
a
n
`e un riordinamento di

n=0
b
n
(mediante la corrispondenza biunivoca
1
, inversa di ).
Il risultato che segue risponde alla domanda iniziale.
Teorema 2.8.3 (di Dirichlet) Sia

a
n
una serie reale o complessa asso-
lutamente convergente. Allora ogni suo riordinamento

b
n
`e assolutamente
convergente ed ha la stessa somma:

n=0
a
n
=

n=0
b
n
.
Se la serie

a
n
non `e assolutamente convergente, allora nessun suo riordi-
namento lo `e.
Si osservi che, di conseguenza, per ogni serie

a
n
e per ogni suo riordina-
mento

b
n
si ha

n=0
[a
n
[ =

n=0
[b
n
[
186
(questo valore potr`a essere nito o +).
Dimostrazione Con le stesse considerazioni fatte alla ne della dimostra-
zione della proposizione 2.5.2, si verica che possiamo limitarci al caso di
serie a termini reali. Supponiamo dapprima a
n
0 per ogni n N, e siano
S =

n=0
a
n
, s
n
=
n

k=0
a
k
,
n
=
n

k=0
b
k
.
Per ipotesi, si ha s
n
S per ogni n N; inoltre, posto
m
n
= max(0), (1), . . . , (n),
si ha

n
=
n

k=0
a
(k)

mn

h=0
a
h
= s
mn
S n N,
cosicche

b
n
`e convergente ed ha somma non superiore a S. Daltra par-
te, essendo

a
n
a sua volta un riordinamento di

b
n
, con ragionamento
simmetrico si ha
S

n=0
b
n
,
e dunque vale luguaglianza.
Passiamo ora al caso generale: come si `e fatto nella dimostrazione della
proposizione 2.5.2, poniamo

n
= [a
n
[ a
n
,
n
= [b
n
[ b
n
n N,
cosicche
0
n
2[a
n
[, 0
n
2[b
n
[ n N.
La serie

n
`e a termini positivi e converge per il criterio del confronto;
dunque, per la parte gi` a dimostrata, il suo riordinamento

n
`e convergente
e vale luguaglianza

n=0

n
=

n=0

n
.
Inoltre, sempre in virt` u della parte gi` a dimostrata, poiche la serie

[a
n
[ `e
convergente, il suo riordinamento

[b
n
[ `e convergente e

n=0
[a
n
[ =

n=0
[b
n
[,
187
cosicche

b
n
`e assolutamente convergente. Ne segue

n=0
b
n
=

n=0
[b
n
[

n=0

n
=

n=0
[a
n
[

n=0

n
=

n=0
a
n
.
Notiamo inne che se

a
n
non `e assolutamente convergente, non pu`o es-
serlo nemmeno

b
n
, perche se fosse

[b
n
[ < +, per la parte gi` a dimo-
strata dedurremmo

[a
n
[ =

[b
n
[ < +, essendo a sua volta

a
n
un
riordinamento di

b
n
.
Osservazione 2.8.4 Per le serie

a
n
assolutamente convergenti si ha una
propriet` a di riordinamento ancora pi` u forte di quella espressa dal teorema di
Dirichlet: se A e B sono sottoinsiemi disgiunti di N, la cui unione `e tutto N,
allora

n=0
a
n
=

nA
a
n
+

nB
a
n
(esercizio 2.8.1). Si noti che questa propriet`a non pu`o valere senza lipotesi
di assoluta convergenza: se A `e linsieme dei numeri naturali pari e B quello
dei numeri naturali dispari, la serie

n=0
(1)
n
n+1
si decomporrebbe in due serie
divergenti a + ed a , la cui addizione non avrebbe senso.
Se una serie

a
n
`e convergente, ma non assolutamente convergente, lope-
razione di riordinamento pu` o alterare il valore della somma, come `e mostrato
dal seguente
Esempio 2.8.5 La serie

n=0
(1)
n
n+1
`e convergente ad un numero reale S
(che `e uguale a ln 2, come vedremo pi` u avanti), ma non `e assolutamente
convergente. Si ha quindi
1
1
2
+
1
3

1
4
+
1
5

1
6
+
1
7

1
8
+ . . . = S,
e dividendo per 2
1
2

1
4
+
1
6

1
8
+
1
10

1
12
+
1
14

1
16
+ . . . =
S
2
.
Dunque la serie

c
n
, ove
c
n
=
_
_
_
0 se n `e dispari

(1)
n/2
n
se n `e pari,
188
`e convergente con somma S/2, in quanto le sue somme parziali di indice 2N
coincidono con quelle di indice N della serie precedente: ossia
0 +
1
2
+ 0
1
4
+ 0 +
1
6
+ 0
1
8
+ 0 +
1
10
+ 0
1
12
+ 0 + . . . =
S
2
.
Sommando ora questa serie con la serie

n=0
(1)
n
n+1
si trova
(0 + 1) +
_
1
2

1
2
_
+
_
0 +
1
3
_
+
_

1
4

1
4
_
+
_
0 +
1
5
_
+
+
_
1
6

1
6
_
+
_
0 +
1
7
_
+
_

1
8

1
8
_
+ . . . =
_
S
2
+ S
_
,
ovvero
1 + 0 +
1
3

1
2
+
1
5
+ 0 +
1
7

1
4
+
1
9
+ 0 +
1
11

1
6
+
1
13
+ 0 + . . . =
3S
2
;
ora notiamo che la serie che si ottiene da questa sopprimendo i termini nulli
(che sono quelli di indici 1, 5, 9, . . . , 4n+1, . . . ) converge alla stessa somma
3S
2
: infatti, le sue somme parziali di indice 3N + 1 coincidono con le somme
parziali di indice 4N+1 della serie contenente anche i termini nulli. Tuttavia
la serie cos` ottenuta, cio`e
1 +
1
3

1
2
+
1
5
+
1
7

1
4
+
1
9
+
1
11

1
6
+
1
13
+ . . . ,
`e evidentemente un riordinamento della serie

n=0
(1)
n
n+1
, che convergeva a
S. Non `e dicile vericare che la corrispondenza fra gli indici delle due
serie `e data da
_
_
_
(3n) = 4n
(3n + 1) = 4n + 2
(3n + 2) = 2n + 1
n N.
Per le serie non assolutamente convergenti vale questo risultato ancora pi` u
drastico:
Teorema 2.8.6 (di Riemann) Sia

a
n
una serie reale convergente, ma
non assolutamente convergente. Allora:
(i) per ogni L R esiste un riordinamento di

a
n
che ha somma L;
189
(ii) esiste un riordinamento di

a
n
che diverge positivamente;
(iii) esiste un riordinamento di

a
n
che diverge negativamente;
(iv) esiste un riordinamento di

a
n
che `e indeterminato.
Dimostrazione (i) Osserviamo anzitutto che la serie

a
n
contiene inniti
termini strettamente positivi e inniti termini strettamente negativi, altri-
menti essa avrebbe termini denitivamente a segno costante e quindi, essendo
convergente, sarebbe anche assolutamente convergente. Poniamo
p
n
= maxa
n
, 0, q
n
= maxa
n
, 0 n N,
cosicche
p
n
0, q
n
0, p
n
q
n
= a
n
, p
n
+ q
n
= [a
n
[ n N;
inoltre a
n
coincide o con p
n
(e allora q
n
= 0), o con q
n
(e allora p
n
= 0).
Essendo in particolare
N

n=0
a
n
=
N

n=0
p
n

n=0
q
n
,
N

n=0
[a
n
[ =
N

n=0
p
n
+
N

n=0
q
n
N N,
dallipotesi sulla serie

a
n
si deduce

n=0
p
n
=

n=0
q
n
= +
(altrimenti, se entrambe queste due serie fossero convergenti, otterremmo che

[a
n
[ converge, mentre se convergesse solo una delle due otterremmo che

a
n
diverge).
Daltra parte, essendo 0 p
n
[a
n
[ e 0 q
n
[a
n
[ per ogni n N, si ha
anche
lim
n
p
n
= lim
n
q
n
= 0.
Ci` o premesso, ssiamo L R. Costruiremo adesso una serie, che si otterr`a
riordinando i termini di

a
n
, e che soddisfer` a la tesi. Essa sar` a formata da
un certo numero di p
n
, seguiti da un certo numero di q
n
, poi ancora da un
po di p
n
, poi di nuovo da un po di q
n
, e cos` di seguito, in modo da oscil-
lare attorno al valore L prescelto. A questo scopo andiamo a costruire due
190
opportune successioni crescenti di indici, m
n

nN
+ e k
n

nN
+, e formiamo
la serie
m
1

n=0
p
n

k
1

n=0
q
n
+
m
2

n=m
1
+1
p
n

k
2

n=k
1
+1
q
n
+ . . . +
m
h

m
h1
+1
p
n

k
h

n=k
h1
+1
q
n
+ . . . ;
denoteremo con s
n
la sua n-sima somma parziale.
Fissiamo due successioni
n
e
n
, entrambe convergenti a L e tali che

n
< L <
n
: ad esempio prenderemo senzaltro
n
= L
1
n
e
n
= L +
1
n
.
Deniamo adesso gli indici m
n
e k
n
: m
1
`e il minimo numero naturale m
per cui

m
n=0
p
n
> L + 1, mentre k
1
`e il minimo numero naturale k per cui

m
1
n=0
p
n

k
n=0
q
n
< L 1. Questi indici esistono per la divergenza delle
serie

p
n
e

q
n
. In generale, avendo costruito m
h
e k
h
come i minimi indici
maggiori rispettivamente di m
h1
e k
h1
tali che
_

_
m
1

n=0
p
n

k
1

n=0
q
n
+ . . . +
m
h

m
h1
+1
p
n
> L +
1
h
,
m
1

n=0
p
n

k
1

n=0
q
n
+ . . . +
m
h

m
h1
+1
p
n

k
h

n=k
h1
+1
q
n
< L
1
h
,
deniremo m
h+1
e k
h+1
come i minimi indici maggiori rispettivamente di m
h
e k
h
tali che
_

_
m
1

n=0
p
n

k
1

n=0
q
n
+ . . . +
m
h+1

m
h
+1
p
n
> L +
1
h + 1
,
m
1

n=0
p
n

k
1

n=0
q
n
+ . . . +
m
h+1

m
h
+1
p
n

k
h+1

n=k
h
+1
q
n
< L
1
h + 1
.
Nuovamente, tali indici esistono in virt` u della divergenza di

p
n
e

q
n
.
Indichiamo con
n
e
n
le somme parziali della serie cos` costruita, cio`e s
n
,
gli ultimi termini delle quali sono rispettivamente p
mn
e q
kn
: in altre parole,

n
= s
m
1
+k
1
+...+mn
,
n
= s
m
1
+k
1
+...+mn+kn
.
Allora otteniamo, per la minimalit`a di m
n
e k
n
,

n
p
mn
L +
1
n
<
n
,
n
< L
1
n

n
+ q
kn
,
191
cosicche
n
L e
n
L per n . Daltra parte, consideriamo una
generica somma parziale s
n
: esister` a un unico indice h tale che sia vera una
delle due relazioni
m
1
+ k
1
+ . . . m
h
n m
1
+ k
1
+ . . . + m
h
+ k
h
,
oppure
m
1
+ k
1
+ . . . m
h
+ k
h
n m
1
+ k
1
+ . . . + m
h
+ k
h
+ m
h+1
;
ne segue

h
s
n

h
, oppure
h
s
n

h+1
,
e dunque anche s
n
converge a L per n . Ci`o prova (i).
(ii)-(iii)-(iv) Questi enunciati si provano in modo del tutto simile: basta
scegliere le successioni
n
e
n
entrambe divergenti a +, o entrambe
divergenti a , o convergenti a due valori L
1
e L
2
con L
1
< L
2
.
Raggruppamento dei termini di una serie
Vale la propriet` a associativa per i termini di una serie? Si possono mettere
le parentesi per racchiudere un numero nito di addendi, senza alterare la
somma? Vediamo.
Denizione 2.8.7 Sia

n=0
a
n
una serie reale o complessa. Sia inoltre
k
n
una successione strettamente crescente di numeri naturali. Posto
b
0
=
k
0

h=0
a
h
, b
n
=
kn

h=k
n1
+1
a
h
n N
+
,
si dice che la serie

b
n
`e ottenuta da

a
n
raggruppandone i termini.
Esempio 2.8.8 La serie

n=1
1
2n(2n1)
`e ottenuta da

n=1
(1)
n+1
n
raggrup-
pandone i termini a due a due: in questo caso k
n
`e denita da k
n
=
2n.
Il risultato che segue stabilisce che il raggruppamento dei termini di una serie
`e unoperazione del tutto lecita.
192
Teorema 2.8.9 Sia

a
n
una serie reale o complessa, e sia

b
n
una serie
ottenuta da

a
n
raggruppandone i termini. Se

a
n
`e convergente, allora
anche

b
n
lo `e e in tal caso le due serie hanno la stessa somma. Se

a
n
`e assolutamente convergente, allora anche

b
n
lo `e e in tal caso si ha

n=0
[b
n
[

n=0
[a
n
[.
Dimostrazione Per m, n N poniamo s
m
=

m
k=0
a
k
e
n
=

n
k=0
b
k
; si
ha allora, per denizione di b
h
,

n
= s
k
0
+
n

h=1
_
s
k
h
s
k
h1
_
= s
kn
n N.
Poiche s
n
`e per ipotesi convergente ad un numero S, dato > 0 si avr`a
[s
n
S[ < per tutti gli n maggiori di un certo . Ma allora, essendo k
n
n,
sar` a anche [
n
S[ = [s
kn
S[ < per ogni n > , cio`e
n
S per n .
Se poi

n=0
[a
n
[ < , allora a maggior ragione, per la parte gi` a dimostrata,

n=0
[b
n
[
k
0

h=0
[a
h
[ +

n=1
kn

h=k
n1
+1
[a
h
[ =

h=0
[a
h
[ < +.
Osservazioni 2.8.10 (1) Il teorema vale anche nel caso di serie reali diver-
genti (esercizio 2.8.2).
(2) Non mantiene la convergenza, al contrario, loperazione inversa al rag-
gruppamento, che consiste nelleliminare eventuali parentesi presenti: ad
esempio, la serie
(1 1) + (1 1) + (1 1) + (1 1) + . . .
converge ed ha somma 0, mentre la serie
1 1 + 1 1 + 1 1 + 1 1 + . . .
`e indeterminata. In generale, si pu` o scrivere luguaglianza

n=0
(a
n
+ b
n
) =

n=0
a
n
+

n=0
b
n
solo quando ciascuna delle due serie

a
n
e

b
n
`e convergente; in tal caso
luguaglianza `e conseguenza dellesercizio 2.2.1. Pi` u generalmente, si veda
lesercizio 2.8.3.
193
Esercizi 2.8
1. Sia

a
n
una serie assolutamente convergente. Si provi che se A e B
sono sottoinsiemi disgiunti di N tali che A B = N, allora

n=0
a
n
=

nA
a
n
+

nB
a
n
.
2. Si provi che se

a
n
`e una serie divergente a +, oppure a , allora
ogni serie

b
n
ottenuta da

a
n
raggruppandone i termini `e ancora
divergente a +, oppure a .
3. Sia

n=0
a
n
una serie reale o complessa, sia k
n
N una successione
strettamente crescente e siano
b
0
=
k
0

h=0
a
h
, b
n
=
kn

h=k
n1
+1
a
h
n N.
Si provi che se

n=0
b
n
`e convergente, e se
lim
n
kn

h=k
n1
+1
[a
h
[ = 0,
allora

n=0
a
n
`e convergente.
4. (i) Per n, k N
+
siano a
nk
numeri non negativi. Si dimostri che se

n=1
_

k=1
a
nk
_
= S,
allora si ha anche

k=1
_

n=1
a
nk
_
= S.
(ii) Vericare che il risultato di (i) `e falso se gli a
nk
hanno segno
variabile, utilizzando i seguenti a
nk
:
a
nk
=
_

_
1 se k = n, n N
+

2
n1
1
2
n
1
se k = n + 1, n N
+
0 altrimenti.
194
2.9 Moltiplicazione di serie
A prima vista il problema di moltiplicare fra loro due serie sembra irrilevante.
Fare il prodotto di due serie signica moltiplicare tra loro le successioni delle
rispettive somme parziali; se queste convergono a S
1
e S
2
, il loro prodotto
converger`a a S
1
S
2
. Dov`e il problema?
Il punto `e che noi vogliamo ottenere, come risultato del prodotto di due serie,
una nuova serie. Il motivo di questo desiderio `e legato alla teoria delle serie
di potenze: due serie di potenze hanno per somma una funzione denita
sul cerchio di convergenza di ciascuna serie; il prodotto di tali funzioni `e
una nuova funzione, denita sul pi` u piccolo dei due cerchi di convergenza, e
della quale si vorrebbe conoscere uno sviluppo in serie di potenze che ad essa
converga. Dunque si vuole trovare una serie di potenze che sia il prodotto
delle due serie di potenze date, ed abbia per somma il prodotto delle somme.
Scrivendo il prodotto di due polinomi

N
n=0
a
n
z
n
e

M
n=0
b
n
z
n
(con N M) `e
naturale raggruppare i termini con la stessa potenza z
n
: quindi si metteranno
insieme i prodotti a
0
b
n
, a
1
b
n1
, . . . , a
n1
b
1
, a
n
b
0
. Il polinomio prodotto sar`a
quindi (ponendo a
n
= 0 per n = N + 1, . . . , M)
N

n=0
_
n

k=0
a
k
b
nk
_
z
n
.
Passando dai polinomi alle serie di potenze o, pi` u in generale, parlando di
serie numeriche, siamo indotti alla seguente
Denizione 2.9.1 Date due serie

n=0
a
n
e

n=0
b
n
reali o complesse, la
serie

n=0
c
n
, ove
c
n
=
n

k=0
a
k
b
nk
n N,
si dice prodotto di Cauchy delle due serie.
Si potrebbe sperare di dimostrare che se

n=0
a
n
e

n=0
b
n
sono convergenti,
allora la serie prodotto

n=0
c
n
`e convergente, magari con somma uguale al
prodotto delle somme. Ma non `e cos`, come mostra il seguente esempio: se
a
n
= b
n
=
(1)
n

n + 1
n N,
195
allora
c
n
= (1)
n
n

k=0
1

k + 1

n k + 1
n N,
e quindi
[c
n
[
n

k=0
1

n + 1

n + 1
=
n + 1
n + 1
= 1 n N,
per cui c
n
non `e innitesima e

c
n
non pu` o convergere. Si ha per` o questo
risultato:
Teorema 2.9.2 (di Cauchy) Se le serie

n=0
a
n
e

n=0
b
n
sono assoluta-
mente convergenti, allora il loro prodotto di Cauchy

n=0
c
n
`e assolutamente
convergente; inoltre

n=0
c
n
=
_

n=0
a
n
_

n=0
b
n
_
.
Dimostrazione Si consideri la serie

n=0
d
n
, la cui legge di formazione `e
illustrata dallo schema che segue:
a
0
b
0
a
1
b
0
a
2
b
0
a
n
b
0


a
0
b
1
a
1
b
1
a
2
b
1
a
n
b
1


a
0
b
2
a
1
b
2
a
2
b
2
a
n
b
2



a
0
b
n
a
1
b
n
a
2
b
n
a
n
b
n


Si ha dunque

n=0
d
n
= a
0
b
0
+ a
0
b
1
+ a
1
b
1
+ a
1
b
0
+ a
0
b
2
+ a
1
b
2
+ a
2
b
2
+ a
2
b
1
+ a
2
b
0
+
+ . . . + a
0
b
n
+ a
1
b
n
+ . . . + a
n
b
n
+ a
n
b
n1
+ . . . + a
n
b
1
+ a
n
b
0
+ . . .
196
e tale serie converge assolutamente, in quanto per ogni n 2 si ha
n

k=0
[d
k
[
n
2
1

k=0
[d
k
[ =
_
n1

k=0
[a
k
[
_

_
n1

k=0
[b
k
[
_

k=0
[a
k
[
_

k=0
[b
k
[
_
< .
Dunque

k=0
d
k
`e convergente ad un numero S. Daltra parte, posto A =

k=0
a
k
e B =

k=0
b
k
, considerando la somma parziale della serie

d
k
di
indice n
2
1 si ha per n
n
2
1

k=0
d
k
=
_
n1

k=0
a
k
_

_
n1

k=0
b
k
_
A B.
Ne segue S = AB perche ogni sottosuccessione di una successione conver-
gente deve convergere allo stesso limite.
Dalla serie

k=0
d
k
, riordinando i termini per diagonali, si ottiene la serie
a
0
b
0
+a
0
b
1
+a
1
b
0
+a
0
b
2
+a
1
b
1
+a
2
b
0
+. . . +a
0
b
n
+a
1
b
n1
+. . . +a
n
b
0
+. . . ,
la quale per il teorema di Dirichlet (teorema 2.8.3) `e assolutamente conver-
gente ed ha somma AB. Ma raggruppandone opportunamente i termini si
ottiene proprio la serie prodotto di Cauchy di

k=0
a
k
e

k=0
b
k
, la quale
dunque per il teorema 2.8.9 `e una serie assolutamente convergente con somma
AB.
Osservazione 2.9.3 Se le serie

a
n
e

b
n
hanno indice iniziale 1, anziche
0, nella denizione di prodotto di Cauchy occorrer` a prendere
c
n
=
n

k=1
a
k
b
nk+1
n N
+
, anziche c
n
=
n

k=0
a
k
b
nk
n N.
Esempi 2.9.4 (1) Moltiplicando per se stessa la serie geometrica
1
1 z
=

n=0
z
n
, [z[ < 1,
si ottiene, sempre per [z[ < 1,
1
(1 z)
2
=

n=0
_
n

k=0
z
k
z
nk
_
=

n=0
(n + 1)z
n
;
197
da qui si ricava anche

n=0
nz
n
=

n=0
(n+1)z
n

n=0
z
n
=
1
(1 z)
2

1
1 z
=
z
(1 z)
2
, [z[ < 1.
(2) Come sappiamo si ha, posto z = x + iy,
e
z
= e
x+iy
= e
x
(cos y + i sin y) =

n=0
z
n
n!
z C.
Calcoliamo e
z
e
w
con la regola della moltiplicazione di serie: il termine
generale della serie prodotto ha la forma
n

k=0
1
k!
1
(n k)!
z
k
z
nk
=
1
n!
n

k=0
_
n
k
_
z
k
w
nk
=
(z + w)
n
n!
;
dunque
e
z
e
w
=

n=0
(z + w)
n
n!
= e
z+w
z, w C.
Pertanto lesponenziale complessa mantiene le propriet` a algebriche delle-
sponenziale reale. Si noti che e
z
= e
z+2i
per ogni z C, cio`e la funzione
esponenziale `e periodica di periodo 2i; in particolare, e
z
non `e una funzione
iniettiva su C.
Esercizi 2.9
1. Provare che se

n=0
a
n
z
n
= f(z) per [z[ < 1, allora posto A
n
=

n
k=0
a
k
si ha

n=0
A
n
z
n
=
f(z)
1 z
per [z[ < 1.
2. Dimostrare che se [z[ < 1 si ha

n=0
_
n + k
k
_
z
n
=
1
(1 z)
k+1
k N.
[Traccia: utilizzare lesercizio 1.7.1 (iv).]
198
3. Vericare che per [z[ < 1 si ha

k=0
n
2
z
n
=
z
2
+ z
(1 z)
3
.
4. Poniamo per ogni n N

n
= a
0
b
n
+ . . . a
n
b
n
+ a
n
b
n1
+ . . . + a
n
b
1
+ a
n
b
0
.
Si provi che se

n=0
a
n
= A e

n=0
b
n
= B, allora

n=0

n
= AB.
5. Per y R si verichi la relazione sin 2y = 2 sin y cos y, utilizzando gli
sviluppi in serie di potenze del seno e del coseno.
[Traccia: si verichi preliminarmente che risulta
2
2n
= (1 + 1)
2n
(1 1)
2n
=
n

k=0
_
2n + 1
2k
_
n N.]
6. Dimostrare, usando le serie di potenze, le relazioni
cos
2
x + sin
2
x = 1 x R,
sin(x + y) = sin x cos y + sin y cos x x, y R.
7. Determinare il prodotto di Cauchy della serie

(1)
n
n+1
per se stessa. La
serie che cos` si ottiene `e convergente?
8. Sia

n=0
c
n
= (

n=0
2
n
) (

n=0
3
n
): calcolare esplicitamente c
n
e
provare che
3
n
c
n
2
n
n N.
199
Capitolo 3
Funzioni
3.1 Spazi euclidei R
m
e C
m
Inizia qui la seconda parte del corso, in cui si passa dal discreto al conti-
nuo: lo studio delle successioni e delle serie lascer` a il posto allanalisi delle
propriet` a delle funzioni di variabile reale o complessa. Ci occuperemo comun-
que ancora, qua e l` a, di successioni e serie, in particolare di serie di potenze.
Fissiamo m N
+
e consideriamo gli insiemi R
m
e C
m
, cio`e i prodotti
cartesiani di R e C per se stessi m volte:
R
m
= x = (x
1
, . . . , x
m
) : x
i
R, i = 1, . . . , m,
C
m
= z = (z
1
, . . . , z
m
) : z
i
C, i = 1, . . . , m.
Introduciamo un po di terminologia. Indicheremo in neretto (x, z, a, b, ec-
cetera) i punti generici, o vettori, di R
m
e di C
m
. Su tali insiemi sono denite
le operazioni di somma e di prodotto per scalari che li rendono entrambi spazi
vettoriali:
a +b = (a
1
+ b
1
, . . . , a
m
+ b
m
) a, b R
m
(oppure a, b C
m
),
a = (a
1
, . . . , a
m
) R, a R
m
(oppure C, a C
m
).
Naturalmente, per m = 2 lo spazio R
m
si riduce al piano cartesiano R
2
mentre per m = 1 lo spazio C
m
si riduce al piano complesso C. Come
sappiamo, R
2
`e identicabile con C mediante la corrispondenza biunivoca
z = x +iy; similmente, per ogni m 1 possiamo identicare gli spazi R
2m
e
200
C
m
, associando al generico punto x = (x
1
, x
2
, . . . , x
2m1
, x
2m
) R
2m
il punto
z = (z
1
, . . . z
m
) C
m
, ove
z
j
= x
2j1
+ i x
2j
, j = 1, . . . , m.
Estenderemo a m dimensioni tutta la struttura geometrica di R
2
.
Prodotto scalare
In R
m
e in C
m
`e denito un prodotto scalare fra vettori:
a, b
m
=
m

i=1
a
i
b
i
a, b R
m
,
a, b
m
=
m

i=1
a
i
b
i
a, b C
m
.
Si noti che, essendo R
m
C
m
e x = x per ogni x reale, il prodotto scalare
dello spazio C
m
, applicato a vettori di R
m
, coincide col prodotto scalare dello
spazio R
m
. Dunque il prodotto scalare associa ad ogni coppia di vettori di C
m
un numero complesso e ad ogni coppia di vettori di R
m
un numero reale. Se
a, b
m
= 0, i due vettori a e b si dicono ortogonali. Il signicato geometrico
del prodotto scalare, nel caso reale, `e illustrato nellesercizio 3.1.1.
Notiamo che il prodotto scalare di R
m
`e una applicazione lineare nel primo
e nel secondo argomento, ossia risulta
_
a + b, c
m
= a, c
m
+ b, c
m
a, b + c
m
= a, b
m
+ a, c
m
, R, a, b, c R
m
;
invece il prodotto scalare di C
m
`e lineare nel primo argomento ed antilineare
nel secondo argomento, ossia
_
a + b, c
m
= a, c
m
+ b, c
m
a, b + c
m
= a, b
m
+ a, c
m
, C, a, b, c C
m
(le veriche sono ovvie).
201
Norma euclidea
La norma euclidea di un vettore z C
m
`e il numero reale non negativo
[z[
m
=

_
m

i=1
[z
i
[
2
=
_
z, z
m
,
essendo z = (z
1
, . . . , z
m
); la norma di un vettore x R
m
`e la stessa cosa,
ossia
[x[
m
=

_
m

i=1
[x
i
[
2
=
_
x, x
m
.
La norma `e lanalogo del modulo in C e del valore assoluto in R. Le sue
propriet` a fondamentali sono le seguenti:
(i) (positivit`a) [z[
m
0 per ogni z C
m
, e [z[
m
= 0 se e solo se z = 0;
(ii) (omogeneit`a) [z[
m
= [[ [z[
m
per ogni C e z C
m
;
(iii) (subadditivit`a) [z +w[
m
[z[
m
+[w[
m
per ogni z, w C
m
.
Le prime due propriet`a sono ovvie dalla denizione; la terza `e meno evidente,
e per dimostrarla `e necessario premettere la seguente
Proposizione 3.1.1 (disuguaglianza di Cauchy-Schwarz) Risulta
[a, b
m
[ [a[
m
[b[
m
a, b C
m
.
Dimostrazione Ripetiamo largomentazione svolta nella dimostrazione del
teorema 1.9.3. Per ogni a, b C
m
e per ogni t R si ha
0 [a + tb[
2
m
=
m

j=1
(a
j
+ tb
j
)(a
j
+ tb
j
) =
=
m

j=1
a
j
a
j
+ 2t Re
m

j=1
a
j
b
j
+ t
2
m

j=1
b
j
b
j
=
= a, a
m
+ 2t Re a, b
m
+ t
2
b, b
m
= [a[
2
m
+ 2t Re a, b
m
+ t
2
[b[
2
m
;
dal momento che il trinomio di secondo grado allultimo membro `e sempre
non negativo, il suo discriminante deve essere non positivo, cio`e
(Re a, b
m
)
2
[a[
2
m
[b[
2
m
a, b C
m
.
202
Passando alle radici quadrate, ci` o prova la tesi nel caso del prodotto scalare
di R
m
, poiche in tal caso Re a, b
m
= a, b
m
. Nel caso del prodotto scalare
di C
m
osserviamo che il numero complesso a, b
m
avr` a un argomento
[0, 2[, e si potr`a dunque scrivere, ricordando la denizione di esponenziale
complessa,
a, b
m
= [a, b
m
[(cos + i sin ) = [a, b
m
[e
i
;
da cui, grazie alla linearit`a del prodotto scalare nel primo argomento,
[a, b
m
[ = e
i
a, b
m
= e
i
a, b
m
,
e dunque
Re e
i
a, b
m
= [a, b
m
[ , Ime
i
a, b
m
= 0;
pertanto, per quanto dimostrato sopra,
[a, b
m
[
2
=
_
Re e
i
a, b
m

2
= [e
i
a, b
m
[
2

[e
i
a[
2
m
[b[
2
m
= [e
i
[
2
[a[
2
m
[b[
2
m
= [a[
2
m
[b[
2
m
a, b C
m
,
cio`e la tesi.
Dimostriamo la subadditivit` a della norma: per la disuguaglianza di Cauchy-
Schwarz si ha
[a +b[
2
m
= [a[
2
m
+ 2 Re a, b
m
+[b[
2
m
[a[
2
m
+ 2 [a, b
m
[ +[b[
2
m

[a[
2
m
+ 2 [a[
m
[b[
m
+[b[
2
m
= ([a[
m
+[b[
m
)
2
.
Osservazione 3.1.2 Si noti che se a, b R
m
, allora vale luguaglianza
[a +b[
2
m
= [a[
2
m
+[b[
2
m
se e solo se a e b sono vettori fra loro ortogonali.
Distanza euclidea
Tramite la norma si pu`o dare la nozione di distanza fra due vettori di R
m
o
di C
m
.
Denizione 3.1.3 Una distanza, o metrica, su un insieme non vuoto X `e
una funzione d : X X [0, [ con queste propriet`a:
203
(i) (positivit` a) d(x, y) 0 per ogni x, y X, d(x, y) = 0 se e solo se x = y;
(ii) (simmetria) d(x, y) = d(y, x) per ogni x, y X;
(iii) (disuguaglianza triangolare) d(x, y) d(x, z) +d(z, y) per ogni x, y, z
X.
Se su X `e denita una distanza d, la coppia (X, d) `e detta spazio metrico.
La nozione di spazio metrico `e molto importante e generale, e la sua portata
va molto al di l` a del nostro corso. Si pu`o vericare assai facilmente che la
funzione
d(x, y) = [x y[
m
x, y C
m
(oppure x, y R
m
)
`e una distanza su C
m
(oppure su R
m
), che si chiama distanza euclidea: le
propriet` a (i), (ii) e (iii) sono evidenti conseguenze delle condizioni (i), (ii) e
(iii) relative alla norma euclidea. La distanza euclidea gode inoltre di altre
due propriet`a legate alla struttura vettoriale di R
m
e C
m
:
(iv) (invarianza per traslazioni) d(x +v, y +v) = d(x, y) per ogni x, y, v
C
m
(oppure R
m
),
(v) (omogeneit`a) d(x, y) = [[ d(x, y) per ogni C e x, y C
m
(oppure
R e x, y R
m
).
Notiamo che d(0, x) = [x[
m
per ogni x C
m
(oppure R
m
); inoltre se m = 2,
come gi` a sappiamo, posto z = x +iy per ogni z C, si ha [z[ =
_
x
2
+ y
2
=
[(x, y)[
2
, ossia C e R
2
sono, dal punto di vista metrico, la stessa cosa.
Per un qualunque spazio metrico si denisce la palla di centro x
0
X e
raggio r > 0 come linsieme B(x
0
, r) = x X : d(x, x
0
) < r; quindi la
palla di centro x
0
R
m
e raggio r `e
B(x
0
, r) = x R
m
: [x x
0
[
m
< r,
mentre analogamente la palla di centro z
0
C
m
e raggio r > 0 sar`a
B(z
0
, r) = z C
m
: [z z
0
[
m
< r.
Nel caso m = 1 la palla B(x
0
, r) di R `e lintervallo ]x
0
r, x
0
+ r[ mentre la
palla B(z
0
, r) di C `e il disco z C : [z z
0
[ < r. Un intorno di un punto
x
0
in R
m
o in C
m
`e un insieme U tale che esista una palla B(x
0
, r) contenuta
204
in U. Ogni palla di centro x
0
`e essa stessa un intorno di x
0
; talvolta per`o
`e comodo usare intorni di x
0
pi` u generali delle palle (ad esempio intorni di
forma cubica, se m = 3).
Una successione x
n
R
m
(oppure C
m
) converge ad un elemento x R
m
(o C
m
) se
lim
n
[x
n
x[
m
= 0,
cio`e se per ogni > 0 esiste N tale che x
n
B(x, ) per ogni n . Si
noti che, essendo
[x
i
n
x
i
[ [x
n
x[
m

m

j=1
[x
j
n
x
j
[, i = 1, . . . , m,
la condizione lim
n
x
n
= x equivale alle m relazioni
lim
n
x
i
n
= x
i
, i = 1, 2, . . . , m.
Aperti e chiusi
Deniremo adesso alcune importanti classi di sottoinsiemi di R
m
. Tutto ci` o
che verr` a detto in questo paragrafo si pu` o ripetere in modo completamente
analogo per C
m
.
Denizione 3.1.4 Sia A R
m
. Diciamo che A `e un insieme aperto se `e
intorno di ogni suo punto, ossia se per ogni x
0
A esiste r > 0 tale che
B(x
0
, r) A (il raggio r dipender`a ovviamente dalla posizione di x
0
in A).
Gli insiemi aperti formano una famiglia chiusa rispetto a certe operazioni
insiemistiche:
Proposizione 3.1.5 Lunione di una famiglia qualsiasi di aperti `e un aper-
to. Lintersezione di una famiglia nita di aperti `e un aperto.
Dimostrazione Se A
i

iI
`e una famiglia di aperti, e x

iI
A
i
, vi sar` a
un indice j I tale che x A
j
; quindi esiste r > 0 tale che B(x, r) A
j

iI
A
i
. Pertanto

iI
A
i
`e un aperto.
Se A
1
, . . . , A
k
`e una famiglia nita di aperti e x

k
i=1
A
i
, allora per ogni
i fra 1 e k vi sar` a r
i
> 0 tale che B(x, r
i
) A
i
; posto r = minr
1
, . . . , r
k
, si
ha r > 0 e B(x, r)

k
i=1
B(x, r
i
)

k
i=1
A
i
.
205
Esempi 3.1.6 (1) Sono aperti in R:
, R, ]a, b[ , ] , a[ , ]b, +[ , R 34, R Z,
]0, 1[]2, 4[ , ]0, 1[
1
n

nN
+;
non sono aperti in R:
N, Z, Q, R Q, [a, b[ , [a, b], ]a, b], ] , a], [b, +[ ,

1
n

nN
+, [0, 1]
1
n

nN
+.
(2) Sono aperti in R
2
:
R
2
, , (x, y) R
2
: y > 0, (x, y) R
2
: [x[ +[y[ < 1,
R
2
(0, 0), B((x, y), r);
non sono aperti in R
2
:
R 0, (0, y) : y > 0, (x, y) R
2
: y 0,
(x, y) R
2
: x y, (x, y) R
2
: 1 x
2
+ y
2
< 2.
Denizione 3.1.7 Sia F R
m
. Diciamo che F `e un insieme chiuso in R
m
se il suo complementare F
c
`e un aperto.
Si ha subito la seguente propriet`a:
Proposizione 3.1.8 Lintersezione di una famiglia qualsiasi di chiusi `e un
chiuso. Lunione di una famiglia nita di chiusi `e un chiuso.
Dimostrazione Se F
i

iI
`e una famiglia di chiusi, allora tutti i comple-
mentari F
c
i
sono aperti, quindi per la proposizione precedente
_
iI
F
i
_
c
=

iI
F
c
i
`e un aperto e dunque

iI
F
i
`e chiuso. Se F
1
, . . . , F
k
`e una famiglia
nita di chiusi, allora per la proposizione precedente
_

k
i=1
F
i
_
c
=

k
i=1
F
c
i
`e un aperto e quindi

k
i=1
F
i
`e chiuso.
Gli insiemi chiusi hanno una importante caratterizzazione che `e la seguente:
Proposizione 3.1.9 Sia F R
m
. Allora F `e chiuso se e solo se per ogni
successione x
n
F, convergente ad un punto x R
m
, risulta x F.
206
Dimostrazione Supponiamo che F sia chiuso e sia x
n
F tale che
x
n
x per n ; si deve provare che x F. Se fosse x F
c
, dato che
F
c
`e aperto esisterebbe una palla B(x, r) contenuta in F
c
; ma siccome x
n
tende a x, denitivamente si avrebbe x
n
B(x, r) F
c
, contro lipotesi che
x
n
F per ogni n. Dunque x F.
Supponiamo viceversa che F contenga tutti i limiti delle successioni che sono
contenute in F, e mostriamo che F
c
`e aperto. Se non lo fosse, vi sarebbe
un punto x F
c
per il quale ogni palla B(x, r) interseca (F
c
)
c
, cio`e F;
quindi, scegliendo r = 1/n, per ogni n N
+
esisterebbe un punto x
n

B(x, 1/n) F. La successione x
n
, per costruzione, sarebbe contenuta in
F, e convergerebbe a x dato che [x x
n
[
m
< 1/n. Ma allora, per ipotesi,
il suo limite x dovrebbe stare in F: assurdo perche x F
c
. Dunque F
c
`e
aperto e F `e chiuso.
Esempi 3.1.10 (1) Sono chiusi in R:
R, , [a, b], [a, +[ , ] , b],
_
1
n
_
nN
+
0, 65, N, Z;
non sono chiusi in R:
[a, b[ , ]a, b[ , ]a, b], ] , a[ , ]b, +[ ,
_
1
n
_
nN
+
, Q, R Q.
(2) Sono chiusi in R
2
:
R
2
, , (x, y) R
2
: x
2
+ y
2
1, R 0,
(x, y) R
2
: x = 0, y 0, (x, y) R
2
: 1 [x[ +[y[ 3;
non sono chiusi in R
2
:
(x, y) R
2
: 0 < x
2
+ y
2
1, (x, y) R
2
: x = 0, y > 0,
(x, y) R
2
: 1 [x[ +[y[ < 3, Q
2
, R
2
Q
2
.
Si noti che esistono insiemi aperti e non chiusi, insiemi chiusi ma non aper-
ti, insiemi ne aperti ne chiusi ed insiemi sia aperti che chiusi (vedere per`o
lesercizio 3.1.18).
207
Punti daccumulazione
Nella teoria dei limiti di funzioni `e di basilare importanza la denizione che
segue.
Denizione 3.1.11 Sia E R
m
, sia x
0
R
m
. Diciamo che x
0
`e un
punto daccumulazione per E se esiste una successione x
n
E x
0
che
converge a x
0
.
La condizione che x
n
non prenda mai il valore x
0
serve ad evitare il caso in cui
x
n
`e denitivamente uguale a x
0
; si vuole cio`e che intorno a x
0
si accumulino
inniti punti distinti della successione. E infatti `e immediato vericare che
x
0
`e un punto daccumulazione per E se e solo se ogni palla B(x
0
, r) contiene
inniti punti di E. Notiamo anche che un punto di accumulazione per E pu` o
appartenere o non appartenere a E: ad esempio, 0 `e punto di accumulazione
per
1
n

nN
+, ma 0 ,=
1
n
per ogni n, mentre 1/2 `e punto daccumulazione per
linsieme [0, 1] al quale appartiene.
Mediante i punti daccumulazione si pu`o dare unaltra caratterizzazione degli
insiemi chiusi:
Proposizione 3.1.12 Sia E R
m
. Allora E `e chiuso se e solo se E
contiene tutti i propri punti daccumulazione.
Dimostrazione Se E `e chiuso, e x `e un punto daccumulazione per E, allora
esiste x
n
E x E tale che x
n
x per n ; per la proposizione
3.1.9 si ottiene x E.
Viceversa, supponiamo che E contenga tutti i suoi punti daccumulazione e
prendiamo una successione x
n
E convergente a x: dobbiamo mostrare
che x E, e la tesi seguir` a nuovamente dalla proposizione 3.1.9. Il fatto che
x E `e evidente nel caso in cui x
n
`e denitivamente uguale a x; in caso
contrario esisteranno inniti indici n per i quali si ha x
n
,= x: i corrispon-
denti inniti valori x
n
sono dunque una successione contenuta in E x e
convergente a x. Perci` o x `e punto daccumulazione per E, e di conseguenza
x E.
Il fondamentale teorema che segue garantisce lesistenza di punti daccumu-
lazione per una vastissima classe di insiemi. Diamo anzitutto la seguente
Denizione 3.1.13 Un insieme E R
m
si dice limitato se esiste K 0
tale che
[x[
m
K x E.
208
Teorema 3.1.14 (di Bolzano-Weierstrass) Ogni sottoinsieme innito e
limitato di R
m
possiede almeno un punto daccumulazione.
Dimostrazione Supponiamo dapprima m = 1. Faremo uso del seguente
risultato:
Proposizione 3.1.15 Da ogni successione reale `e possibile estrarre una sot-
tosuccessione monotona.
Dimostrazione Sia a
n
R una successione. Poniamo
G = n N : a
m
< a
n
m > n :
G `e dunque linsieme degli indici n tali che a
n
`e maggiore di tutti gli a
m
successivi. Ovviamente, G sar` a nito (eventualmente vuoto) oppure innito.
Supponiamo G nito: allora esiste n
0
N tale che n / G per ogni n n
0
,
ossia risulta
n n
0
m > n : a
m
a
n
.
Perci` o, essendo n
0
/ G, esiste n
1
> n
0
(dunque n
1
/ G) tale che a
n
1

a
n
0
; esister` a allora n
2
> n
1
(in particolare n
2
/ G) tale che a
n
2
a
n
1
, e
cos` induttivamente si costruisce una sequenza crescente di interi n
k
tale che
a
n
k+1
a
n
k
per ogni k N. La corrispondente sottosuccessione a
n
k

a
n
, per costruzione, `e monotona crescente.
Supponiamo invece che G sia innito: poiche ogni sottoinsieme di N ha
minimo (esercizio 1.6.11), possiamo porre successivamente
n
0
= min G, n
1
= min(Gn
0
), . . . , n
k+1
= min(Gn
0
, n
1
, . . . , n
k
), . . .
ottenendo una sequenza crescente di interi n
k
G e dunque tali che a
m
< a
n
k
per ogni m > n
k
; in particolare a
n
k+1
< a
n
k
per ogni k. La corrispondente
sottosuccessione a
n
k
a
n
`e perci` o monotona decrescente.
Corollario 3.1.16 Ogni successione limitata in R ha una sottosuccessione
convergente.
Dimostrazione La sottosuccessione monotona della proposizione preceden-
te `e limitata per ipotesi, dunque convergente (proposizione 2.3.3).
Il corollario appena dimostrato prova anche il teorema nel caso m = 1: se un
insieme E `e innito e limitato, esso contiene una successione limitata e costi-
tuita tutta di punti distinti, la quale, per il corollario, ha una sottosuccessione
209
monotona e limitata, dunque convergente; il limite di questa sottosuccessione
`e evidentemente un punto daccumulazione per E.
Passiamo ora al caso m > 1. Sia x
n
una successione (costituita tutta di
punti distinti) contenuta in E e proviamo che esiste una sottosuccessione che
converge: il suo limite sar` a il punto daccumulazione cercato.
Poiche x
n
`e limitata, le successioni reali x
1
n
, x
2
n
,. . . , x
m
n
sono li-
mitate. Allora, per il caso m = 1 gi` a visto, esiste una sottosuccessione
x
n,(1)
x
n
tale che x
1
n,(1)
converge ad un limite x
1
R; da x
n,(1)

possiamo estrarre una ulteriore sottosuccessione x


n,(2)
tale che x
1
n,(2)
x
1
(perch`e estratta dalla successione x
1
n,(1)
che gi` a convergeva a x
1
) ed inoltre
x
2
n,(2)
converge ad un limite x
2
R. Continuando ad estrarre ulteriori sotto-
successioni x
n,(3)
x
n,(2)
, x
n,(4)
x
n,(3)
, . . . , dopo m passi otterre-
mo una sottosuccessione x
n,(m)
di tutte le precedenti, tale che x
1
n,(m)
x
1
,
x
2
n,(m)
x
2
, . . . , x
m
n,(m)
x
m
in R. Ne segue che, posto x = (x
1
, . . . , x
m
),
la successione x
n,(m)
, che `e una sottosuccessione di x
n
, converge a x in
R
m
.
Osservazioni 3.1.17 (1) Il punto daccumulazione costruito nel teorema di
Bolzano-Weierstrass non `e in generale unico!
(2) I punti daccumulazione di un insieme E sono i limiti delle successioni di
E che non sono denitivamente costanti.
Esempi 3.1.18 (1) Linsieme N `e innito ma non limitato in R, ed `e privo
di punti di accumulazione.
(2) 1 `e un insieme limitato in R ma non innito, ed `e privo di punti di
accumulazione.
(3) La successione (1)
n
+
1
n
costituisce un insieme innito e limitato in
R che ha i due punti daccumulazione +1 e 1.
Dal teorema di Bolzano-Weierstrass segue la seguente importante caratteriz-
zazione dei sottoinsiemi chiusi e limitati di R
m
.
Teorema 3.1.19 Sia E R
m
. Allora E `e chiuso e limitato se e solo se
da ogni successione contenuta in E si pu`o estrarre una sottosuccessione che
converge ad un elemento di E.
Dimostrazione Sia E limitato e chiuso. Sia x
n
una successione contenu-
ta in E; se essa gi`a converge ad un punto x R
m
, ogni sua sottosuccessione
210
converger`a ancora a x, il quale apparterr` a al chiuso E in virt` u della propo-
sizione 3.1.9. Se non converge, essa `e comunque limitata: per il teorema di
Bolzano-Weierstrass avr`a una sottosuccessione x
n
convergente ad un ele-
mento x R
m
; poiche E contiene x
n
ed `e chiuso, deve essere x E.
Viceversa, se ogni successione contenuta in E ha una sottosuccessione che
converge ad un punto di E, allora in particolare E contiene il limite di ogni
successione convergente in esso contenuta, e quindi E `e chiuso per la proposi-
zione 3.1.9. Inoltre se E non fosse limitato allora per ogni n N
+
esisterebbe
x
n
E tale che [x
n
[
m
> n; ma nessuna sottosuccessione della successione
x
n
cos` costruita potrebbe convergere, essendo illimitata. Ci`o contraddice
lipotesi fatta su E, e quindi E `e limitato.
Osservazione 3.1.20 Gli insiemi E tali che ogni successione contenuta in E
ha una sottosuccessione che converge ad un elemento di E si dicono compatti;
quindi il teorema precedente caratterizza i sottoinsiemi compatti di R
m
.
Esempi 3.1.21 Sono compatti in R:
3, [a, b], [a, b] [c, d], 0
_
1
n
_
nN
+
, (1)
nN
;
non sono compatti in R:
] , a], ]a, b], ]a, b[ , [b, +[ ,
_
1
n
_
nN
+
, Q [0, 1], N, Z.
Esercizi 3.1
1. Si provi che se a, b R
m
0 allora a, b
m
= [a[
m
[b[
m
cos , ove
`e langolo convesso fra i due vettori.
[Traccia: Dati a e b in R
m
0 e detto
liperpiano (m1)-dimensionale ortogonale a
b e passante per a, si osservi che se cos 0
il piano interseca il segmento di estremi
0 e b in un punto della forma b con
0, e si avr`a a b, b
m
= 0; dunque, da
una parte si ha a, b
m
= [b[
2
m
e dallaltra
=
|a|m
|b|m
cos . Discorso analogo se cos 0,
lavorando con b al posto di b.]
211
2. Provare che |x|
1
=

m
i=1
[x
i
[ e |x|

= max[x
i
[ : i = 1, . . . , m
sono norme in R
m
e in C
m
, ossia sono funzioni positive, omogenee e
subadditive a valori in [0, +[.
3. Descrivere le palle B(0, r) per le distanze
d
1
(a, b) = |a b|
1
e d

(a, b) = |a b|

,
ove le norme | |
1
e | |

sono quelle dellesercizio precedente.


4. Si provi che se x
0
R
m
e r 0 linsieme
B(x
0
, r) = x R
m
: [x x
0
[
m
r
`e chiuso in R
m
(esso si chiama palla chiusa di centro x
0
e raggio r).
5. Si provi che ogni sottoinsieme di R chiuso e limitato inferiormente ha
minimo, e che ogni sottoinsieme di R chiuso e limitato superiormente
ha massimo. Vi `e un risultato analogo in R
m
e C
m
?
6. Provare che se A `e aperto in C, allora A R `e aperto in R. Vale il
viceversa?
7. Provare che se F `e chiuso in C allora F R `e chiuso in R. Vale il
viceversa?
8. Sia x
n
R
m
. Dimostrare o confutare i seguenti enunciati:
(i) se esiste x = lim
n
x
n
, allora x `e punto daccumulazione per x
n
;
(ii) se x `e punto daccumulazione per x
n
, allora esiste lim
n
x
n
= x.
9. Sia E R un insieme limitato superiormente e sia x = sup E. Provare
che se x / E allora x `e punto daccumulazione per E. Cosa pu` o
succedere se x E?
10. Se E R
m
(oppure E C
m
) e x E, diciamo che x `e interno a E
se E `e un intorno di x. Linsieme dei punti interni a E si chiama parte
interna di E e si indica con

E.
(i) Si provi che

E `e il pi` u grande insieme aperto contenuto in E.


212
(ii) Determinare

E quando E = z C : 1 [z[ 2, [arg z[ /3.


11. Se E R
m
e x R
m
(oppure E C
m
e x C
m
), diciamo che x
`e aderente a E se ogni palla B(x, r) interseca E. Linsieme dei punti
aderenti a E si chiama chiusura di E e si indica con E.
(i) Si provi che E `e il pi` u piccolo insieme chiuso contenente E.
(ii) Si provi che E contiene tutti i punti daccumulazione per E.
(iii) Determinare E quando E = i, i z = re
i/4
: 0 < r <

2.
12. Se E R
m
(oppure E C
m
), si chiama frontiera di E, e si indica con
E, linsieme dei punti aderenti a E che non sono interni a E: in altre
parole, si denisce E = E

E
.
(i) Si provi che E = EE
c
, che E `e chiuso e che risulta E = EE,

E
= E E.
(ii) Determinare E quando E = i, i z = re
i/4
: 0 < r <

2.
13. Se E R
m
(oppure E C
m
) e x E, x si dice punto isolato per E
se esiste una palla B(x, r) tale che B(x, r) E = x. Provare che un
punto aderente a E o `e punto daccumulazione per E, oppure `e punto
isolato per E.
14. Sia E =

kN
_
k
1
k+1
, k +
1
k+1
_
. Determinare:
(i) la chiusura di E,
(ii) la frontiera di E,
(iii) la parte interna di E.
15. Se E R
m
(oppure E C
m
), il diametro di E `e denito da
diam E = sup[x y[
m
: x, y E.
Posto Q
m
= x R
m
: 0 x
i
1 per i = 1, . . . , m, provare che
diam Q
m
=

m.
16. Dimostrare che risulta E =
_

(E
c
)
_
c
,

E=
_
E
c
_
c
.
213
17. (i) Esibire una successione x
n
Q che sia limitata e che non abbia
alcuna sottosuccessione convergente in Q.
(ii) Esibire un sottoinsieme di Q innito, limitato e privo di punti
daccumulazione in Q.
18. Dimostrare che gli unici sottoinsiemi di R
m
che sono simultaneamente
aperti e chiusi sono R
m
e .
[Traccia: per assurdo, sia A aperto e chiuso in R
m
tale che A ,= e
A ,= R
m
; allora B = A
c
verica le stesse condizioni. Scelti a A e
b B, siano
C = t R : a + t(b a) A, D = t R : a + t(b a) B;
allora C e D sono non vuoti, C D = R e C D = . Si provi che C
e D sono aperti, e quindi anche chiusi, in R. In questo modo ci siamo
ricondotti al caso m = 1. Adesso poniamo M = t 0 : [0, t] C.
Si provi che M `e non vuoto, contenuto in C e limitato superiormente;
posto = sup M, si provi che deve essere C D, il che `e assurdo.]
19. Sia E = x R : p(x), ove p(x) `e una generica propriet` a. Si dimostri
che:
(i) linsieme E `e chiuso se e solo se per ogni x
n
che converge a x vale
limplicazione
p(x
n
) denitivamente vera = p(x) vera;
(ii) linsieme E `e aperto se e solo se per ogni x
n
che converge a x
vale limplicazione
p(x) vera = p(x
n
) denitivamente vera.
20. Sia A R
m
. La proiezione di A lungo lasse x
i
`e linsieme
A
i
= x R : y A : y
i
= x.
Si provi che A `e limitato se e solo se le sue proiezioni A
1
, . . . , A
m
sono
insiemi limitati in R.
21. Sia E R
m
. Il derivato di E `e linsieme di tutti i punti di accumula-
zione per E; esso si indica con E.
214
(i) Si provi che E `e un insieme chiuso.
(ii) Si determinino E e E

E
quando E =

kN
_
k
1
k+1
, k +
1
k+1
_
.
22. (Insieme di Cantor) Dividiamo [0, 1] in tre parti uguali ed asportiamo
lintervallo aperto centrale di ampiezza 1/3. Dividiamo ciascuno dei due
intervalli chiusi residui in tre parti uguali e rimuoviamo i due intervalli
aperti centrali di ampiezza 1/9. Per ciascuno dei quattro intervalli resi-
dui ripetiamo la stessa procedura: al passo n-simo, avremo 2
n
intervalli
chiusi I
k,n
(k = 1, . . . , 2
n
), di ampiezza 3
n
, di cui elimineremo le parti
centrali aperte J
k,n
di ampiezza 3
n1
. Linsieme
C = [0, 1]

_
n=0
2
n
_
k=1
J
k,n
si chiama insieme ternario di Cantor.
(i) Si provi che C `e chiuso e privo di punti interni.
(ii) Si dimostri che tutti i punti di C sono punti daccumulazione per
C.
(iii) Si calcoli la lunghezza complessiva degli intervalli J
k,n
rimossi.
3.2 Funzioni reali di m variabili
Sia A un sottoinsieme di R
m
, oppure di C
m
; considereremo funzioni f de-
nite su A a valori reali. Introduciamo anzitutto un po di terminologia, che
daltronde `e analoga a quella usata per le successioni.
Denizione 3.2.1 Diciamo che una funzione f : A R `e limitata supe-
riormente in A se linsieme immagine di f, cio`e
f(A) = t R : x A : f(x) = t
`e limitato superiormente; in ogni caso si pone
sup
A
f =
_
sup f(A) se f(A) `e limitato superiormente,
+ se f(A) non `e limitato superiormente.
215
Similmente, diciamo che f `e limitata inferiormente in A se linsieme f(A) `e
limitato inferiormente; in ogni caso si pone
inf
A
f =
_
inf f(A) se f(A) `e limitato inferiormente,
se f(A) non `e limitato inferiormente.
Diciamo inne che f `e limitata in A se `e sia limitata superiormente che
inferiormente in A.
Potr` a accadere che sup
A
f, quando `e un numero reale, sia un valore assunto
dalla funzione, cio`e sia un elemento di f(A), oppure no; se esiste x A
tale che f(x) = sup
A
f, diremo che x `e un punto di massimo per f in A, e
scriveremo f(x) = max
A
f. Analogamente, se inf
A
f `e un elemento di f(A),
cio`e esiste x A tale che f(x) = inf
A
f, diremo che x `e un punto di minimo
per f in A, e scriveremo f(x) = min
A
f.
Esempi 3.2.2 (1) La funzione f : R R denita da f(x) =
|x|
1+|x|
`e limitata:
infatti si ha 0 f(x) 1 per ogni x R. Risulta anzi 0 = inf
R
f e
1 = sup
R
f; si noti che 0 `e il minimo, raggiunto nel punto di minimo 0, mentre
1 non appartiene a f(R) e la funzione f non ha massimo. Osserviamo anche
che f `e pari, ossia f(x) = f(x) per ogni x R: il suo graco `e quindi
simmetrico rispetto allasse y.
(2) La funzione f : R R denita da f(x) =
x
1+|x|
coincide con la prece-
dente per x 0, mentre `e la precedente cambiata di segno per x < 0: si
tratta di una funzione dispari, ossia f(x) = f(x) per ogni x R, ed il suo
graco `e simmetrico rispetto allorigine. Risulta in particolare 1 = sup
R
f,
1 = inf
R
f e f non ha ne massimo ne minimo.
216
(3) La funzione f(x, y) =
_
x
2
+ y
2
`e denita su R
2
, `e illimitata supe-
riormente ed `e limitata inferiormente da 0. Si ha sup f = +, mentre
inf f = min f = 0.
(4) La funzione parte intera, denita per ogni x R da
[x] = maxk Z : k x,
non `e limitata ne inferiormente, ne superiormente, cosicche sup f = + e
inf f = ; il suo graco presenta dei salti di ampiezza 1 in corrispon-
denza di ciascun punto di ascissa intera.
(5) La funzione f(x) =
x
|x|
`e denita per x reale non nullo e assume solo
i valori 1. Quindi 1 = max f = sup f, 1 = min f = inf f. Si noti che
questa funzione ha inniti punti di massimo e inniti punti di minimo.
(6) la funzione f(x) =
_
1 [x[
2
m
`e denita sulla palla unitaria di R
m
, cio`e
B = x R
m
: [x[
m
1,
a valori in R. Essa ha massimo 1 (raggiunto per x = 0) e minimo 0 (raggiunto
nei punti della frontiera di B).
217
Funzioni continue
La nozione di funzione continua `e strettamente legata allidea intuitiva della
consequenzialit` a fra causa ed eetto. Ci aspettiamo che piccole variazioni di
input provochino piccole variazioni di output: ad esempio, quando si pigia il
pedale dellacceleratore, piccoli incrementi di pressione del piede producono
piccoli aumenti di velocit` a della macchina. Comunque nella nostra esperien-
za ci sono anche esempi di fenomeni di tipo impulsivo: piccoli aumenti di
pressione del dito su un interruttore causano, oltre una certa soglia, un dra-
stico aumento dellintensit` a della luce presente in una stanza. Chiameremo
continue quelle funzioni y = f(x) per le quali variando di poco la grandezza
x si ottiene una piccola variazione della quantit` a y. Pi` u precisamente:
Denizione 3.2.3 Sia A un sottoinsieme di R
m
, oppure di C
m
, sia f : A
R e sia x
0
A. Diciamo che f `e continua nel punto x
0
se per ogni > 0
esiste un > 0 tale che
x A, [x x
0
[
m
< = [f(x) f(x
0
)[ < .
Diciamo che f `e continua in A se `e continua in ogni punto di A.
Osservazione 3.2.4 La continuit`a di una funzione `e un fatto locale: essa
pu` o esserci o no a seconda del punto x
0
che si considera. Per un generico
punto x
0
A i casi sono due: o x
0
`e punto daccumulazione per A (denizione
3.1.11), oppure x
0
`e punto isolato di A, nel senso che esiste un intorno B(x
0
, )
di x
0
tale che A B(x
0
, ) = x
0
(esercizio 3.1.13). Nel secondo caso, ogni
funzione f : A R `e continua in x
0
, poiche qualunque sia > 0 risulta
x A, [x x
0
[
m
< = x = x
0
= [f(x) f(x
0
)[ = 0 < .
Nel primo caso, che `e lunico interessante, la denizione di continuit`a di una
funzione si riconduce a quella pi` u generale di limite di funzione, che daremo
218
fra poco.
(2) Se f : R
2
R `e continua in un punto (x
0
, y
0
), allora le funzioni x
f(x, y
0
) e y f(x
0
, y) sono continue rispettivamente nei punti x
0
e y
0
. Si
noti per`o che il viceversa `e falso: esistono funzioni f(x, y) tali che f(, y) `e
continua (rispetto a x) per ogni ssato y, f(x, ) `e continua (rispetto a y) per
ogni ssato x, ma f non `e una funzione continua delle due variabili (x, y) (si
veda lesercizio 3.2.10).
Non tutte le funzioni pi` u importanti sono continue! Vediamo qualche esem-
pio.
Esempi 3.2.5 (1) Tutte le funzioni ani sono continue. Si tratta delle fun-
zioni f : R
m
R della forma
f(x) = a, x
m
+ b =
m

i=1
a
i
x
i
+ b,
ove a R
m
e b R sono assegnati.
Fissato x
0
R
m
e scelto > 0, si ha
[f(x) f(x
0
)[ = [a, x x
0

m
[;
utilizzando la disuguaglianza di
Cauchy-Schwarz (proposizione 3.1.1) si
ottiene
[f(x) f(x
0
)[ [a[
m
[x x
0
[
m
.
Quindi se a ,= 0 basta prendere 0 < <

|a|m
per avere
[x x
0
[
m
< = [f(x) f(x
0
)[ [a[
m
[x x
0
[
m
< [a[
m
< ;
daltronde se a = 0 si ha f(x) = b per ogni x R
m
, e la continuit`a `e ovvia.
(2) La somma di una serie di potenze con raggio di convergenza R > 0 `e
una funzione continua sul disco B(0, R) = z C : [z[ < R. Sia infatti
f(z) =

n=0
a
n
z
n
per [z[ < R: ssati z
0
con [z
0
[ < R e > 0, scegliamo un
numero positivo < R[z
0
[, cosicche risulta B(z
0
, ) B(0, R). Allora per
219
ogni z B(z
0
, ) si ha
[f(z) f(z
0
)[ =

n=0
a
n
z
n

n=0
a
n
z
n
0

n=1
a
n
(z
n
z
n
0
)

=
=

n=1
a
n
(z z
0
)(z
n1
+ z
n2
z
0
+ . . . + zz
n2
0
+ z
n1
0
)

n=1
[a
n
[[z z
0
[([z[
n1
+[z[
n2
[z
0
[ + . . . +[z[[z
0
[
n2
+[z
0
[
n1
)

n=1
[a
n
[[z z
0
[
_
n([z
0
[ + )
n1

=
[z z
0
[
[z
0
[ +

n=1
n[a
n
[([z
0
[ + )
n
.
Dato che la serie di potenze

na
n
z
n
ha ancora raggio di convergenza R
(esercizio 2.7.9), otteniamo che la serie allultimo membro `e convergente, con
somma uguale a un numero che dipende da z
0
e da , cio`e da z
0
e da R; in
particolare, esiste K > 0 tale che
[f(z) f(z
0
)[ K[z z
0
[ z B(z
0
, ).
Adesso basta scegliere positivo e minore sia di che di /K, e si ottiene
[z z
0
[ < = [f(z) f(z
0
)[ < ,
e ci`o prova la continuit` a di f in z
0
.
(3) Come conseguenza dellesempio precedente, le funzioni trigonometriche
cos x e sin x sono continue su R, mentre lesponenziale e
z
`e continua su C (e
in particolare su R). Se a > 0, anche la funzione a
x
`e continua su R, essendo
a
x
= e
xln a
=

n=0
(ln a)
n
x
n
n!
x R.
(4) La funzione parte intera f(x) = [x] `e continua in ogni punto x / Z ed
`e discontinua in ogni punto x Z. Infatti, scelto x / Z, sia = minx
[x], [x + 1] x: allora qualunque sia > 0 si ha
[t x[ < = [t] = [x] = [[t] [x][ = 0 < .
Daltra parte se x Z allora, scelto ]0, 1] si ha
[[t] [x][ = [[t] x[ = 1 t ]x 1, x[,
220
quindi `e impossibile trovare un > 0 per cui si abbia
[t x[ < = [[t] [x][ < .
(5) Se b > 0 e b ,= 1, la funzione logaritmo di base b `e continua in ]0, +[.
Sia infatti x
0
> 0: se ]0, x
0
[ e [x x
0
[ < , si ha, supponendo ad esempio
x < x
0
:
[ log
b
x log
b
x
0
[ =

log
b
x
x
0

= [ log
b
e[ ln
x
0
x
= [ log
b
e[ ln
_
1 +
_
x
0
x
1
__
.
Notiamo ora che vale limportante disuguaglianza
ln(1 + t) t t > 1 :
essa segue dalla crescenza del logaritmo e dal fatto, vericabile direttamente
se t 0 e con il criterio di Leibniz (proposizione 2.5.3) se 1 < t < 0, che
1 + t

n=0
t
n
n!
= e
t
t > 1.
Da tale disuguaglianza ricaviamo
[ log
b
x log
b
x
0
[ [ log
b
e[
_
x
0
x
1
_
= [ log
b
e[
x
0
x
x
[ log
b
e[

x
0

;
quindi, ssato > 0, baster`a prendere abbastanza piccolo per ottenere che
lultimo membro sia minore di . Nel caso in cui sia x
0
< x, il calcolo `e del
tutto simile.
Esercizi 3.2
1. Siano f : A R
m
R e g : B R R, con f(A) B; sia x
0
A e
sia y
0
= f(x
0
). Si provi che se f `e continua in x
0
e se g `e continua in
y
0
, allora la funzione composta g f(x) = g(f(x)) `e continua in x
0
.
2. Descrivere le funzioni f : A R
m
R che in un ssato punto
x
0
A vericano le seguenti propriet` a, parenti della denizione di
continuit`a:
(i) esiste > 0 tale che per ogni > 0 risulta
x A, [x x
0
[
m
< = [f(x) f(x
0
)[ < ;
221
(ii) esiste > 0 tale che per ogni > 0 risulta
x A, [x x
0
[
m
< = [f(x) f(x
0
)[ < ;
(iii) per ogni > 0 e per ogni > 0 risulta
x A, [x x
0
[
m
< = [f(x) f(x
0
)[ < ;
(iv) esistono > 0 e > 0 tali che risulta
x A, [x x
0
[
m
< = [f(x) f(x
0
)[ < .
3. (Permanenza del segno) Sia f : A R
m
R una funzione continua
in un punto x
0
A. Si provi che se f(x
0
) > 0, allora esiste una palla
B(x
0
, R) tale che f(x) > 0 per ogni x B(x
0
, R) A.
4. Si provi che la funzione
f(x) =
_
_
_
sin
1
x
se x R 0
se x = 0
`e discontinua nel punto 0, qualunque sia R.
5. Si provi che sono funzioni continue le combinazioni lineari di funzioni
continue ed i prodotti di funzioni continue.
6. Si provi che se f `e continua in x
0
e f(x
0
) ,= 0, allora
1
f
`e continua in
x
0
.
[Traccia: usare il teorema di permanenza del segno (esercizio 3.2.3).]
7. Sia R. Provare che la funzione f(x) = x

`e continua su [0, +[
(se 0) oppure su ]0, +[ (se < 0).
8. (Funzioni a valori vettoriali) Sia A un sottoinsieme di R
m
, sia x
0

A e sia f : A R
m
R
n
una funzione: la funzione (vettoriale) f
associa ad ogni vettore x = (x
1
, . . . , x
m
) A un altro vettore f (x) =
(f
1
(x), . . . , f
n
(x)) R
n
. Diciamo che f `e continua in x
0
se per ogni
> 0 esiste > 0 tale che
x A, [x x
0
[
m
< = [f (x) f (x
0
)[
n
< .
Provare che f `e continua in x
0
se e solo se le sue n componenti scalari
f
1
, . . . , f
n
sono continue in x
0
.
222
9. Sia B una palla di R
m
oppure di C
m
, sia f : B R una funzione
continua. Per ogni coppia di elementi ssati a, b B, provare che la
funzione
g(t) = f(ta + (1 t)b), t [0, 1],
`e ben denita e continua.
10. Sia f : R
2
R la funzione seguente:
f(x, y) =
_
_
_
4(x
2
y)(2y x
2
)
y
2
0 se y > 0
0 se y 0.
Si provi che:
(i) f `e continua in R
2
(0, 0);
(ii) f `e discontinua in (0, 0);
(iii) per ogni y R, f(, y) `e continua su R;
(iv) per ogni x R, f(x, ) `e continua su R.
11. Sia A R
m
, sia R e siano f, g due funzioni reali limitate denite
in A. Si provi che
sup
A
(f + g) sup
A
f + sup
A
g, inf
A
(f + g) inf
A
f + inf
A
g,
sup
A
(f) =
_
sup
A
f se 0
inf
A
f se 0,
inf
A
(f) =
_
inf
A
f se 0
sup
A
f se 0.
3.3 Limiti
Estendiamo ora al caso delle funzioni reali la nozione di limite, che ci `e gi`a
nota nel caso delle successioni. Sia A un sottoinsieme di R
m
oppure di C
m
,
sia f : A R, sia x
0
un punto daccumulazione per A.
Denizione 3.3.1 Sia L R. Diciamo che L `e il limite di f(x) per x che
tende a x
0
in A, e scriviamo
lim
xx
0
, xA
f(x) = L,
223
se per ogni > 0 esiste > 0 tale che
x A x
0
, [x x
0
[
m
< = [f(x) L[ < .
Se, in particolare, L = 0, si dice che f `e innitesima per x x
0
.
Se linsieme A coincide con R
m
(o con C
m
), oppure `e sottinteso dal contesto,
si scrive pi` u semplicemente
lim
xx
0
f(x) anziche lim
xx
0
, xA
f(x).
Si noti che in generale x
0
non appartiene ad A, e che x
0
non `e tra i valori
di x che sono coinvolti nella denizione di limite. Quindi, anche se per caso
si avesse x
0
A, non `e lecito far prendere alla variabile x il valore x
0
. Ad
esempio, consideriamo la funzione
pippo(x) =
_
19 se x R 130
237 se x = 130 :
il punto 130 `e di accumulazione per R, e benche risulti pippo(130) = 237, si
ha
lim
x130
pippo(x) = 19.
Il limite di una funzione pu` o essere anche :
Denizione 3.3.2 Diciamo che f(x) tende a +, oppure a , per x
x
0
in A, se per ogni M > 0 esiste > 0 tale che
x A x
0
, [x x
0
[
m
< = f(x) > M,
oppure
x A x
0
, [x x
0
[
m
< = f(x) < M.
In tal caso scriviamo
lim
xx
0
, xA
f(x) = +, oppure lim
xx
0
, xA
f(x) = .
Nel caso m = 1 e A R, in particolare, si pu`o fare anche il limite destro, op-
pure il limite sinistro, per x x
0
; nella denizione 3.3.1 questo corrisponde
224
a prendere come A la semiretta ]x
0
, +[ oppure la semiretta ] , x
0
[. Si
scrive in tali casi
lim
xx
+
0
f(x) = L, oppure lim
xx

0
f(x) = ,
e ci`o corrisponde a dire che per ogni > 0 esiste > 0 tale che
x
0
< x < x
0
+ = [f(x) L[ < ,
oppure
x
0
< x < x
0
= [f(x) [ < .
Inne, sempre nel caso m = 1 e A R, se A `e illimitato superiormente,
oppure inferiormente, si pu` o fare il limite per x +, oppure per x :
si avr`a
lim
x+
f(x) = L, oppure lim
x
f(x) = ,
se per ogni > 0 esiste M > 0 tale che
x > M = [f(x) L[ < , oppure x < M = [f(x) [ < .
Esempi 3.3.3 (1) Si ha
lim
x+
a
x
=
_

_
+ se a > 1
1 se a = 1
0 se 0 < a < 1,
lim
x
a
x
=
_

_
0 se a > 1
1 se a = 1
+ se 0 < a < 1;
lim
x+
log
b
x =
_
+ se b > 1
se 0 < b < 1,
lim
x0
+
log
b
x =
_
se b > 1
+ se 0 < b < 1.
(2) Se x
0
Z, risulta
lim
xx

0
[x] = x
0
1, lim
xx
+
0
[x] = x
0
;
in particolare, se x
0
Z il limite di [x] per x x
0
non esiste (esercizio 3.3.3).
Si ha per` o
lim
x+
[x] = +, lim
x
[x] = .
(I lettori sono invitati a vericare tutte queste aermazioni!)
225
Osservazione 3.3.4 I limiti sono legati alla continuit` a nel modo seguente.
Sia f : A R, sia x
0
un punto di accumulazione per A. Il punto x
0
pu` o
appartenere o non appartenere ad A. Se x
0
A, si ha
f continua in x
0
lim
xx
0
f(x) = L R e L = f(x
0
).
Se invece, caso pi` u interessante, x
0
/ A, allora il fatto che il limite esista nito
equivale a dire che possiamo estendere la funzione f allinsieme A x
0
in
modo che lestensione sia continua in x
0
: basta assegnarle in tale punto il
valore del limite. In altre parole, denendo
f(x) =
_
f(x) se x A
L se x = x
0
,
si ha che
lim
xx
0
f(x) = L f `e continua in x
0
(si confronti con losservazione 3.2.4).
Esempi 3.3.5 (1) Risulta
lim
x0
sin x
x
= 1;
ci` o segue dalle disuguaglianze
cos x
sin x
x
1 x
_

2
,

2
_
0
e dal fatto che il primo e il terzo membro tendono a 1 per x 0 (esempio
3.2.5 (3); si veda anche lesercizio 3.3.8). Dunque la funzione
f(x) =
_
_
_
sin x
x
se x R 0
1 se x = 0
`e continua nel punto 0. Daltronde questo si poteva vedere anche ricordando
che, per il teorema 2.7.11,
sin x =

n=0
(1)
n
x
2n+1
(2n + 1)!
x R,
226
da cui
sin x
x
=

n=0
(1)
n
x
2n
(2n + 1)!
x R 0;
la serie di potenze a secondo membro ha raggio di convergenza innito, ed
in particolare ha somma uguale a 1 per x = 0. La sua somma in R `e dunque
la funzione f, la quale risulta continua in virt` u dellesempio 3.2.5 (2).
(2) Proviamo che
lim
x0
1 cos x
x
2
=
1
2
.
Si ha (teorema 2.7.11)
cos x =

n=0
(1)
n
x
2n
(2n)!
x R,
da cui
1 cos x
x
2
=

n=1
(1)
n1
x
2n2
(2n)!
x R 0.
La serie a secondo membro ha raggio di convergenza innito e nel punto 0
ha somma uguale a 1/2; ne segue che la somma della serie, cio`e la funzione
f(x) =
_

_
1 cos x
x
2
se x R 0
1
2
se x = 0
`e continua per x = 0, e ci`o prova la tesi.
Si noti che la stessa conclusione si poteva ottenere pi` u semplicemente, osser-
vando che
1 cos x
x
2
=
1 cos
2
x
x
2
(1 + cos x)
=
_
sin x
x
_
2
1
1 + cos x
,
da cui, per lesempio precedente e per la continuit`a del coseno, esempio 3.2.5
(3),
lim
x0
1 cos x
x
2
=
1
2
.
(3) In modo analogo, utilizzando la serie esponenziale, si prova che
lim
x0
a
x
1
x
= ln a a > 0.
227
I limiti per funzioni di m variabili (m > 1) costituiscono un problema al-
quanto dicile, pi` u che nel caso di una sola variabile: `e spesso pi` u facile
dimostrare che un dato limite non esiste, piuttosto che provarne lesistenza
quando esso esiste. Il motivo `e che in presenza di pi` u variabili il punto x
pu` o avvicinarsi al punto daccumulazione x
0
da varie direzioni, lungo una
qualunque retta o anche lungo traiettorie pi` u complicate. Gli esempi che
seguono illustrano alcune delle possibili situazioni.
Esempi 3.3.6 (1) Vediamo se esiste il limite
lim
(x,y)(0,0)
x
2
y
2
x
2
+ y
2
.
Osservato che x
2
x
2
+ y
2
per ogni (x, y) R
2
, risulta
x
2
y
2
x
2
+ y
2
y
2
[(x, y)[
2
2
e quindi il limite proposto esiste e vale 0.
(2) Esaminiamo ora lesistenza o meno del limite
lim
(x,y)(0,0)
xy
x
2
+ y
2
.
In questo caso sia il numeratore che il denominatore sono polinomi di secondo
grado: se ci avviciniamo allorigine lungo la retta y = kx, si ottiene
xy
x
2
+ y
2
=
k
1 + k
2
.
Quindi la funzione che stiamo esaminando assume valore costante su ogni
retta per lorigine, ma la costante cambia da retta a retta: ci` o signica che
in ogni intorno dellorigine la funzione assume tutti i valori
k
1+k
2
con k R,
ossia tutti i valori compresi nellintervallo ] 1, 1[. Dunque essa non ha limite
per (x, y) (0, 0).
(3) Come si comporta la funzione
yx
2
y
2
+x
4
per (x, y) (0, 0)? Se, come
nellesempio precedente, ci restringiamo alle rette y = kx, otteniamo i valori
yx
2
y
2
+ x
4
=
kx
3
k
2
x
2
+ x
4
=
kx
k
2
+ x
2
228
i quali, per (x, y) (0, 0), tendono a 0 qualunque sia k R. Dunque il limite
della funzione per (x, y) (0, 0), se esiste, deve essere 0. Daltra parte, se
ci si restringe alle parabole y = mx
2
, si ottiene il valore costante
yx
2
y
2
+ x
4
=
m
m
2
+ 1
che varia da parabola a parabola. Di conseguenza, anche in questo caso, il
limite della funzione non esiste.
Dagli esempi precedenti si conclude che non esiste una ricetta sicura e uni-
versale per stabilire lesistenza o la non esistenza di un limite in pi` u variabili:
ogni caso va studiato a parte.
Osservazione 3.3.7 Nel caso speciale m = 2 esiste un metodo abbastanza
ecace in molti casi, basato sullutilizzo delle coordinate polari, gi` a incontrate
nello studio della forma trigonometrica dei numeri complessi. Poniamo
_
x = r cos
y = r sin ,
r 0, [0, 2].
Geometricamente, nel piano xy la quantit` a r `e la distanza del punto (x, y)
dallorigine, mentre il numero `e lampiezza dellangolo che il segmento di
estremi (0, 0) e (x, y) forma con il semiasse positivo delle ascisse (orientato
in verso antiorario).
Si noti che la corrispondenza (r, ) (x, y)
non `e biunivoca: infatti, tutte le coppie
(0, ) rappresentano lorigine, mentre le cop-
pie (r, 0) e (r, 2) rappresentano lo stes-
so punto sul semiasse positivo delle ascis-
se. Lapplicazione (r, ) (x, y) trasforma
rettangoli del piano r in settori di corone
circolari del piano xy.
229
Naturalmente, ricordando la corrispondenza (x, y) x + iy, denita fra R
2
e C, la quale `e bigettiva e preserva le distanze, si vede immediatamente
che la rappresentazione in coordinate polari `e la trasposizione in R
2
della
rappresentazione in forma trigonometrica dei numeri complessi.
Consideriamo allora un limite della forma
lim
(x,y)(0,0)
f(x, y),
ove f `e una funzione reale denita in un intorno di (0, 0), salvo al pi` u (0, 0).
Vale il seguente risultato:
Proposizione 3.3.8 Risulta
lim
(x,y)(0,0)
f(x, y) = L R
se e solo se valgono le seguenti condizioni:
(i) per ogni [0, 2] esiste il limite, indipendente da ,
lim
r0
+
f(r cos , r sin ) = L;
(ii) tale limite `e uniforme rispetto a , vale a dire che per ogni > 0 esiste
> 0 tale che
[f(r cos , r sin ) L[ < r ]0, [ [0, 2].
Dimostrazione Supponiamo che f(x, y) L per (x, y) (0, 0): allora,
per denizione, ssato > 0 esiste > 0 tale che
[f(x, y) L[ < (x, y) B((0, 0), ).
Dato che (r cos , r sin ) B((0, 0), ) per ogni r ]0, [ e per ogni
[0, 2], otteniamo
[f(r cos , r sin ) L[ < r ]0, [, [0, 2],
cosicche valgono (i) e (ii).
Viceversa, per ogni punto (x, y) B((0, 0), ), posto r cos = x e r sin = y,
si ha r ]0, [ e dunque, per (i) e (ii),
[f(x, y) L[ = [f(r cos , r sin ) L[ < ;
ne segue f(x, y) L.
230
Esempi 3.3.9 (1) Consideriamo il limite
lim
(x,y)(0,0)
2(x
2
+ y
2
)
ln[1 + (x
2
+ y
2
)]
.
Utilizzando le coordinate polari si ha
lim
r0
+
2r
2
ln(1 + r
2
)
= 2,
ed il limite `e ovviamente uniforme rispetto a , dato che tale variabile `e
sparita. Si conclude che il limite cercato `e 2.
(2) Consideriamo il limite molto simile
lim
(x,y)(0,0)
2(x
2
+ 3y
2
)
ln[1 + (4x
2
+ y
2
)]
.
Con la stessa procedura arriviamo a
lim
r0
+
2r
2
(cos
2
+ 3 sin
2
)
ln[1 + r
2
(4 cos
2
+ sin
2
)
= 2
cos
2
+ 3 sin
2

4 cos
2
+ sin
2

= 2
1 + 2 sin
2

3 cos
2
+ 1
,
e questo limite dipende da . Ne segue che il limite proposto non esiste.
Il teorema-ponte
Il collegamento fra i limiti di successioni ed i limiti di funzioni `e fornito dal
teorema che segue, il quale ci dar` a modo di dedurre senza colpo ferire tutta
la teoria dei limiti di funzioni dai corrispondenti risultati gi` a dimostrati nel
capitolo 2 per le successioni.
Teorema 3.3.10 (teorema-ponte) Sia A un sottoinsieme di R
m
oppure
di C
m
, sia f : A R e sia x
0
un punto di accumulazione per A. Sia inoltre
L R oppure L = . Si ha
lim
xx
0
f(x) = L
se e solo se per ogni successione x
n
A x
0
, convergente a x
0
per
n , risulta
lim
n
f(x
n
) = L.
231
Dimostrazione (=) Sia ad esempio L R e supponiamo che f(x) L
per x x
0
; sia poi x
n
una successione contenuta in A x
0
che tende a
x
0
per n . Per ipotesi, ssato > 0, esiste > 0 tale che
x B(x
0
, ) (A x
0
) = [f(x) L[ < ;
daltra parte, poiche x
n
x
0
, esiste N tale che
n = [x
n
x
0
[
m
< .
Inoltre, dato che x
n
,= x
0
per ogni n, si ha
x
n
B(x
0
, ) (A x
0
) n ,
e pertanto
[f(x
n
) L[ < n .
Ci` o prova che f(x
n
) L per n . Se L = la tesi si prova in modo
del tutto simile.
(=) Supponiamo che L R, e che si abbia lim
n
f(x
n
) = L per qualun-
que successione x
n
contenuta in A x
0
tendente a x
0
per n . Se,
per assurdo, non fosse vero che f(x) tende a L per x x
0
, esisterebbe > 0
tale che per ogni > 0 si troverebbe un punto x

A x
0
per il quale
avremmo
[x

x
0
[
m
< ma [f(x

) L[ .
Scegliendo = 1/n, potremmo allora costruire una successione x
n
A
x
0
tale che
[x
n
x
0
[
m
<
1
n
ma [f(x
n
) L[ n N
+
.
Avremmo perci` o x
n
A x
0
, x
n
x
0
ma f(x
n
) non tenderebbe a L,
contro lipotesi. Dunque
lim
xx
0
f(x) = L.
Il caso L = `e del tutto analogo.
Osservazioni 3.3.11 (1) Il teorema-ponte vale anche nel caso in cui m = 1,
A R e x (esercizio 3.3.11).
232
(2) Dal teorema-ponte si deduce che una funzione f : A R `e continua nel
punto x
0
A se e solo se per ogni successione x
n
A convergente a x
0
risulta
lim
n
f(x
n
) = f(x
0
).
Esempio 3.3.12 Calcoliamo il limite notevole
lim
y0
log
b
(1 + y)
y
,
ove b > 0, b ,= 1. Utilizzeremo il teorema-ponte. Sia y
n
una successione
innitesima tale che y
n
,= 0 per ogni n. Posto, per ogni n, x
n
= log
b
(1 +y
n
),
risulta
y
n
= b
xn
1,
e quindi
log
b
(1 + y
n
)
y
n
=
x
n
b
xn
1
;
dalle propriet`a di y
n
segue (per la continuit` a del logaritmo, esempio 3.2.5
(5)) che x
n
`e innitesima e che x
n
,= 0 per ogni n. Tenuto conto dellesem-
pio 3.3.5 (3) e del teorema-ponte, otteniamo
lim
n
log
b
(1 + y
n
)
y
n
= lim
n
x
n
b
xn
1
=
1
log b
,
e pertanto, ancora dal teorema-ponte,
lim
y0
log
b
(1 + y)
y
=
1
log b
.
Per un altro modo di calcolare tale limite si veda lesercizio 3.3.10.
Dal teorema-ponte e dai corrispondenti risultati esposti nel teorema 2.1.11
seguono le usuali propriet` a algebriche dei limiti:
Proposizione 3.3.13 Sia A un sottoinsieme di R
m
oppure di C
m
, sia x
0
un punto daccumulazione per A e siano f, g : A R funzioni tali che
lim
xx
0
f(x) = L, lim
xx
0
g(x) = M,
con L, M R. Allora:
233
(i) lim
xx
0
[f(x) + g(x)] = L + M;
(ii) lim
xx
0
[f(x)g(x)] = LM;
(iii) se M ,= 0, lim
xx
0
f(x)
g(x)
=
L
M
.
Si tenga ben presente che nei casi in cui L, oppure M, o entrambi, valgono 0
e , ci si pu`o imbattere in forme indeterminate del tipo +, 0(),
0/0, /; in tutti questi casi pu` o succedere letteralmente di tutto (esercizi
3.3.15, 3.3.16, 3.3.17 e 3.3.18).
Esercizi 3.3
1. Si provi che la funzione f(x) =
x
|x|
non ha limite per x 0 (in R); si
provi poi che, analogamente, la funzione f(x) =
x
|x|m
non ha limite per
x 0 (in R
m
).
2. Calcolare, se esistono, i seguenti limiti:
lim
x2
x
2
, lim
x4
1
x
, lim
x0
1
x
, lim
x0
1
[x[
, lim
x0

1
x
, lim
x3
6
x
6
3
x 3
.
3. Sia f : ]a, b[R, sia x
0
]a, b[. Provare che
lim
xx
0
f(x) = L lim
xx

0
f(x) = L e lim
xx
+
0
f(x) = L.
4. Dimostrare che
lim
xx
0
f(x) = L = lim
xx
0
[f(x)[ = [L[;
`e vero il viceversa?
5. In quali punti x
0
R la funzione
h(x) =
_
1 se x Q
0 se x R Q
ha limite?
234
6. Posto
f(x) =
_
x se x Q
_
[x[ se x R Q,
calcolare, se esistono, i limiti
lim
x+
f(x), lim
x
f(x).
7. (Teorema di permanenza del segno) Sia f : A R, sia x
0
un punto
daccumulazione per A. Si provi che se
lim
xx
0
f(x) > 0
allora esiste una palla B(x
0
, R) tale che
f(x) > 0 x B(x
0
, R) (A x
0
).
8. (Monotonia dei limiti) Siano f, g : A R, sia x
0
un punto daccumu-
lazione per A. Si provi che se f(x) g(x) in una palla B(x
0
, R) x
0
,
allora si ha
lim
xx
0
f(x) lim
xx
0
g(x),
sempre che tali limiti esistano.
9. Provare che il limite di una funzione in un punto, se esiste, `e unico.
10. (Limiti di funzioni composte) Sia f : A R
m
R, sia x
0
un punto
daccumulazione per A e sia
lim
xx
0
f(x) = y
0
R.
Sia poi B R tale che B f(A) e supponiamo che y
0
sia punto
daccumulazione per B. Sia inne g : B R tale che
lim
yy
0
g(y) = L [, +].
Si provi che se vale una delle due condizioni seguenti:
(a) g `e continua in y
0
, oppure (b) f(x) ,= y
0
in un intorno di x
0
,
allora
lim
xx
0
g(f(x)) = L.
Si provi inoltre che ci` o `e falso in generale se non valgono ne (a) ne (b).
235
11. Enunciare e dimostrare il teorema-ponte nel caso in cui A R sia
illimitato superiormente o inferiormente e x tenda a + oppure .
12. Calcolare, se esistono, i seguenti limiti:
lim
x0
tan x
x
, lim
x0
1 cos x
sin
2
x
, lim
x0
sin x x
x
3
, lim
x0
sin x tan x
x
3
cos x
.
13. Calcolare, se esistono, i seguenti limiti:
(i) lim
x1
_
x + 1
x 2
_
2
, (ii) lim
x2
sin x
x 2
, (iii) lim
x1
_
1
x + 1

1
(x + 1)
2
_
,
(iv) lim
x0
3x
1 e
2x
, (v) lim
x+
x
1/x
, (vi) lim
x
_
1
1
x
_
3x
,
(vii) lim
x+
3x
1 e
2x
, (viii) lim
x0
+
x
x
, (ix) lim
x+
ln(1 + x
3
)
x
2
,
(x) lim
x0
+
sin

x
x
, (xi) lim
x0
+
x
1/x
, (xii) lim
x+
_
1
1
x
_
3x
.
14. Dimostrare che
lim
x0
+
x

ln x = 0 > 0, lim
x+
ln x
x

= 0 > 0.
15. Si costruiscano quattro coppie di funzioni f(x), g(x) tali che:
(a) valga lim
xx
0
f(x) = + e lim
xx
0
g(x) = ,
(b) per il limite della dierenza f(x) g(x) valga una delle seguenti
quattro situazioni:
lim
xx
0
[f(x) g(x)] = +, lim
xx
0
[f(x) g(x)] = ,
lim
xx
0
[f(x) g(x)] = R, lim
xx
0
[f(x) g(x)] non esiste.
16. Analogamente allesercizio 3.3.15, si forniscano esempi che illustrino
tutti i casi possibili per il limite di f(x)g(x) quando lim
xx
0
f(x) = 0
e lim
xx
0
g(x) = .
236
17. Analogamente allesercizio 3.3.15, si forniscano esempi che illustrino
tutti i casi possibili per il limite di
f(x)
g(x)
quando lim
xx
0
f(x) = 0 e
lim
xx
0
g(x) = 0.
18. Analogamente allesercizio 3.3.15, si forniscano esempi che illustrino
tutti i casi possibili per il limite di
f(x)
g(x)
quando lim
xx
0
f(x) = e
lim
xx
0
g(x) = .
19. Sia I un intervallo di R e sia f : I R una funzione. Diciamo che f `e
crescente in I se
x, x

I, x < x

= f(x) f(x

);
diciamo che f `e strettamente crescente in I se
x, x

I, x < x

= f(x) < f(x

).
Diciamo poi che f `e decrescente, oppure strettamente decrescente, in I,
se
x, x

I, x < x

= f(x) f(x

) oppure f(x) > f(x

).
Una funzione crescente, o decrescente, in I si dir`a monotona; una fun-
zione strettamente crescente, o strettamente decrescente, in I si dir` a
strettamente monotona. Si provi che se f `e monotona in I allora per
ogni x
0

I
esistono (niti) i limiti destro e sinistro
f(x
+
0
) = lim
xx
+
0
f(x), f(x

0
) = lim
xx

0
f(x),
e che
_
f(x

0
) f(x
0
) f(x
+
0
) se f `e crescente
f(x

0
) f(x
0
) f(x
+
0
) se f `e decrescente.
20. Sia A un sottoinsieme di R
m
o di C
m
, sia x
0
un punto di A e sia
f : A R una funzione. Il massimo limite ed il minimo limite di f
per x x
0
sono i numeri m, [, +] cos` deniti:
m = lim
r0
+
sup
xB(x
0
,r)
f(x), = lim
r0
+
inf
xB(x
0
,r)
f(x);
237
essi si denotano con le scritture
m = limsup
xx
0
f(x), = liminf
xx
0
f(x).
Si verichi che
(i) liminf
xx
0
f(x) limsup
xx
0
f(x);
(ii) si ha liminf
xx
0
f(x) = limsup
xx
0
f(x) se e solo se esiste, nito
o innito, lim
xx
0
f(x), ed in tal caso
liminf
xx
0
f(x) = limsup
xx
0
f(x) = lim
xx
0
f(x).
21. Calcolare, se esistono, i seguenti limiti:
lim
(x,y)(0,0)
sin xy
x
2
+ y
2
, lim
(x,y)(0,0)
1 cos xy
x
2
+ y
2
, lim
(x,y)(0,0)
e
(x+y)
2
1
_
x
2
+ y
2
,
lim
(x,y)(0,0)
x
2
y
2
x
2
+ y
4
, lim
(x,y)(0,0)
x
2
y
x
2
+[y[
, lim
(x,y)(0,0)
y
2
+ x + y
x
2
+[x[ +[y[
.
22. (i) Posto f(x, y) =
x
2
x
2
+y
2
, si provi che esistono, e sono diversi fra loro,
i due limiti
lim
y0
_
lim
x0
f(x, y)
_
, lim
x0
_
lim
y0
f(x, y)
_
.
(ii) Posto invece f(x, y) =
xy
x
2
+y
2
, si provi che i due limiti esistono e
sono uguali, ma che non esiste il
lim
(x,y)(0,0)
f(x, y).
(iii) Posto inne
f(x, y) =
_
y sin
1
x
+ x sin
1
y
se x ,= 0 e y ,= 0
0 se x = 0 oppure y = 0,
si provi che esiste il terzo limite, ma non i primi due.
238
3.4 Propriet`a delle funzioni continue
Le funzioni continue a valori reali hanno svariate propriet`a legate allordina-
mento di R. Il primo risultato riguarda funzioni denite su insiemi compatti
(osservazione 3.1.20), i quali, visto che consideriamo funzioni denite in R
m
o C
m
, sono limitati e chiusi (teorema 3.1.19).
Teorema 3.4.1 (di Weierstrass) Sia A R
m
(oppure A C
m
) un insie-
me compatto non vuoto, e sia f : A R una funzione continua. Allora f `e
limitata in A ed assume massimo e minimo su A.
Dimostrazione Sia L = sup
A
f; pu`o essere L = +, oppure L R. In
ogni caso dalle propriet`a dellestremo superiore segue che esiste y
n
f(A)
tale che y
n
L per n : infatti, se L = +nessun n N `e maggiorante
per f(A) e quindi esiste y
n
f(A) tale che y
n
> n, mentre se L R nessun
numero della forma L
1
n
`e maggiorante per f(A) e quindi esiste y
n
f(A)
tale che L
1
n
< y
n
L.
Poiche y
n
f(A), per ogni n esiste x
n
A tale che f(x
n
) = y
n
. La
successione x
n
`e dunque contenuta in A. Dato che A `e compatto, esiste
una sottosuccessione x
n
k
estratta da x
n
che converge per k ad un
punto x A: essendo f continua, si deduce che f(x
n
k
) = y
n
k
converge a
f(x) per k .
Daltra parte, poiche y
n
k
`e una sottosuccessione della successione y
n
che
converge a L, anche y
n
k
deve tendere a L per k . Per lunicit`a del limite
(esercizio 3.3.9), si ha L = f(x). In particolare, essendo f a valori in R, si
ha L R e dunque f `e limitata superiormente; inoltre L f(A), cio`e L `e
un massimo.
In modo del tutto analogo si prova che f `e limitata inferiormente e che ha
minimo in A.
Osservazioni 3.4.2 (1) Il pun-
to di massimo, cos` come quello
di minimo, non `e necessariamente
unico!
(2) Il teorema di Weierstrass `e
falso se togliamo una qualunque
delle sue ipotesi:
239
linsieme A = [0, [ `e chiuso ma non limitato e la funzione f(x) = x `e
continua in A ma non limitata;
linsieme A =]0, 1] `e limitato ma non chiuso e la funzione f(x) =
1
x
`e
continua ma non limitata;
nellinsieme compatto A = [0, 2] la funzione f(x) = x [x] non `e
continua e non ha massimo.
Il risultato che segue riguarda funzioni denite su una palla B(x
0
, R) di R
m
o di C
m
.
Teorema 3.4.3 (di esistenza degli zeri) Sia f : B(x
0
, R) R una fun-
zione continua, e supponiamo che esistano a
1
, b
1
B(x
0
, R) tali che f(a
1
) <
0, f(b
1
) > 0. Allora esiste almeno un punto x B(x
0
, R) tale che f(x) = 0.
Dimostrazione Supponiamo dapprima m = 1 e B(x
0
, R) R, cosicche
B(x
0
, R) =]x
0
R, x
0
+R[ (il fatto che tale intervallo sia aperto non ha comun-
que nessuna importanza nellargomento che segue). Si ha f(a
1
) < 0 < f(b
1
)
e possiamo anche supporre che a
1
< b
1
, perche in caso contrario basta consi-
derare f al posto di f.
Dividiamo in due parti uguali linter-
vallo [a
1
, b
1
] mediante il punto
1
2
(a
1
+
b
1
): se f si annulla proprio in tale pun-
to abbiamo nito e la tesi `e provata, al-
trimenti per uno (ed uno solo) dei due
intervalli [a
1
,
1
2
(a
1
+b
1
)], [
1
2
(a
1
+b
1
), b
1
]
si avr` a la stessa situazione di partenza,
ossia la f sar` a negativa nel primo estre-
mo e positiva nel secondo. Indichere-
mo tale intervallo con [a
2
, b
2
]: dunque
abbiamo costruito un intervallo [a
2
, b
2
]
tale che
[a
2
, b
2
] [a
1
, b
1
], b
2
a
2
=
1
2
(b
1
a
1
), f(a
2
) < 0 < f(b
2
).
In modo analogo si divide in due parti lintervallo [a
2
, b
2
]: se f si annulla nel
punto medio
1
2
(a
2
+ b
2
) abbiamo nito, altrimenti si va avanti. Ci sono due
possibilit`a:
240
(1) dopo un numero nito di suddivisioni, si trova che la f si annulla proprio
nelln-simo punto medio
1
2
(a
n
+ b
n
) e in tal caso la tesi `e provata;
(2) per ogni n N
+
si costruisce un intervallo [a
n
, b
n
] tale che
[a
n
, b
n
] [a
n1
, b
n1
], b
n
a
n
=
1
2
(b
n1
a
n1
), f(a
n
) < 0 < f(b
n
).
Consideriamo, nel caso (2), le due successioni a
n
e b
n
: esse sono limi-
tate (sono contenute in ]x
0
R, x
0
+ R[) e monotone, crescente la prima e
decrescente la seconda. Siano allora
= lim
n
a
n
, L = lim
n
b
n
:
poiche a
n
< b
n
per ogni n, sar`a L; dato che b
n
a
n
= 2
n+1
(b
1
a
1
) 0,
sar` a = L.
Poniamo x = = L e proviamo che x `e il punto cercato. Dalla continuit` a
di f e dalle disuguaglianze f(a
n
) < 0 < f(b
n
) otteniamo, per n ,
f(x) 0 f(x), ossia f(x) = 0. La tesi `e provata nel caso m = 1.
Se m > 1, o anche se m = 1 e B(x
0
, R) C, ci si riconduce al caso precedente
introducendo la funzione
g(t) = f(ta
1
+ (1 t)b
1
), t [0, 1].
I punti ta
1
+ (1 t)b
1
per t [0, 1] descrivono, come sappiamo (paragrafo
1.11), il segmento di estremi a
1
e b
1
: quindi sono contenuti in B(x
0
, R).
Inoltre g `e continua (esercizio 3.2.1), e verica g(0) = f(b
1
) > 0, g(1) =
f(a
1
) < 0. Per la parte gi` a dimostrata, esiste t

[0, 1] tale che g(t

) = 0;
posto allora x

= t

a
1
+(1 t

)b
1
, si ottiene x

B(x
0
, R) e f(x

) = 0. La
tesi `e provata.
Osservazione 3.4.4 Il teorema di esistenza degli zeri vale in ipotesi molto
pi` u generali sullinsieme di denizione di f: basta che esso sia connesso, cio`e
non fatto di due o pi` u pezzi staccati; pi` u rigorosamente, un sottoinsieme
E di R
m
o di C
m
`e connesso se non `e possibile trovare due aperti non vuoti e
disgiunti A e B tali che E = (AB) E. Si pu`o far vedere che E `e connesso
se, dati due punti a, b E, ci si pu`o muovere con continuit`a da a a b (non
necessariamente in modo rettilineo) senza mai uscire dallinsieme E.
241
Se f `e continua in A ma A non `e connesso, il teorema 3.4.3 `e ovviamente
falso: per esempio, la funzione f : [0, 1] [2, 3] R denita da
f(x) =
_
1 se 0 x 1
1 se 2 x 3
`e continua, prende valori sia positivi che negativi ma non `e mai nulla.
Dal teorema di esistenza degli zeri segue senza troppa fatica un risultato assai
pi` u generale:
Corollario 3.4.5 (teorema dei valori intermedi) Se A `e un sottoinsie-
me connesso di R
m
o di C
m
e se f : A R `e continua, allora f assume tutti
i valori compresi fra il suo estremo superiore e il suo estremo inferiore.
Dimostrazione Sia y ] inf
A
f, sup
A
f[ ; dobbiamo provare che esiste x
A tale che f(x) = y. Dato che inf
A
f < y < sup
A
f, per le propriet` a
dellestremo superiore e dellestremo inferiore esistono a, b A tali che
inf
A
f f(a) < y < f(b) sup
A
f.
Poniamo ora g(x) = f(x) y: la funzione g `e continua e verica g(a) < 0 <
g(b). Poiche A `e connesso, per il teorema di esistenza degli zeri esiste x A
tale che g(x) = 0, ossia f(x) = y. La tesi `e provata.
Siamo ora in grado di dimostrare il teorema 1.12.12 relativo alla misura
degli angoli orientati in radianti, enunciato nel paragrafo 1.12, e che qui
richiamiamo:
Teorema 1.12.12 Per ogni w C 0 esiste un unico numero [0, 2[
tale che
(
+
(1, w)) = 2 a(
+
(1, w)) = .
La funzione g(w) = (
+
(1, w)) `e dunque surgettiva da C 0 in [0, 2[
ed `e bigettiva da S(0, 1) in [0, 2[. Il numero si dice misura in radianti
dellangolo orientato individuato dai punti 1, 0, w.
Dimostrazione Useremo le notazioni stabilite nel paragrafo 1.12. Poniamo
g(w) = (
+
(1, w)) = 2 a(
+
(1, w)), w
+
(1, i).
Dal corollario 1.12.11 segue che
[v w[ < [(
+
(1, v)) (
+
(1, w))[

2 [v w[ v, w
+
(1, i);
242
ci` o mostra che g :
+
(1, i) [0, /2] `e continua e iniettiva. Inoltre, larco

+
(1, i) `e un insieme connesso. In particolare,
g(1) = (
+
(1, 1)) = 0, g(i) = (
+
(1, i)) =
1
4
(S(0, 1)) =

2
;
quindi, per il teorema dei valori intermedi, g `e anche surgettiva. Notiamo che
la disuguaglianza sopra scritta ci dice che linversa g
1
: [0, /2]
+
(1, i) `e
pure continua.
La funzione g(w) = (
+
(1, w)) `e poi ben denita per ogni w S(0, 1), a
valori in [0, 2[; verichiamo che essa `e ancora continua (salvo che nel punto
1) e surgettiva. A questo scopo osserviamo che, in virt` u della proposizione
1.12.10 e dellesercizio 1.12.4, per w
+
(i, 1) si ha
g(w) = (
+
(1, w)) = (
+
(1, i)) + (
+
(i, w)) =
=

2
+ (
+
(1, iw)) =

2
+ g(iw).
Poiche iw
+
(1, i), per quanto gi`a dimostrato (e per la continuit` a di
w iw) la funzione w g(iw) `e continua, e vale /2 nel punto w = i;
dunque g `e continua su
+
(1, 1) e, in particolare, g(1) = .
Se, inne, w
+
(1, 1) 1, allora
g(w) = (
+
(1, w)) = (
+
(1, 1)) + (
+
(1, w)) =
= + (
+
(1, w)) = + g(w);
essendo w
+
(1, 1), la funzione w g(w) `e continua; dunque anche
g : S(0, 1) 1 [0, 2[ `e continua. Poiche inoltre g assume il valore nel
punto w = 1, si ricava
sup
wS(0,1)
g(w) = sup
z
+
(1,1)
g(z) + = 2.
Ci` o prova che g : S(0, 1) [0, 2[ `e surgettiva. Osserviamo che
lim
w

(1,i), w1
g(w) = 2, lim
w
+
(1,i), w1
g(w) = 0,
cosicche g `e discontinua nel punto 1 S(0, 1).
Il teorema 1.12.12 `e completamente dimostrato.
243
Funzioni continue invertibili
Consideriamo una funzione f : A R R continua e iniettiva; ci chiediamo
se anche la funzione inversa f
1
: f(A) A `e continua.
Si vede facilmente che in gene-
rale la risposta `e no: ad esem-
pio, sia A = [0, 1]]2, 3] e sia
f(x) = xI
[0,1]
(x)+(x1)I
]2,3]
(x).
Analizzando il graco di f si rico-
nosce che f `e iniettiva e f(A) =
[1, 2]. Determiniamo la funzione
inversa f
1
risolvendo rispetto a
x lequazione y = f(x). Si ha
y = f(x) =
_
x se x [0, 1]
x 1 se x ]2, 3]
x =
_
y se y [0, 1]
y + 1 se y ]1, 2],
e il graco di f
1
si ottiene per
simmetria rispetto alla bisettrice
y = x (osservazione 1.3.1). Si ri-
conosce allora che f `e continua
in tutti i punti, compreso x = 1,
mentre f
1
`e discontinua nel pun-
to x = f(1) = 1.
Sotto opportune ipotesi sullinsie-
me A, per` o, lesistenza e la con-
tinuit` a di f
1
sono garantite dal
seguente risultato.
Teorema 3.4.6 Sia I un intervallo di R (limitato o no). Se f : I R `e
continua e iniettiva, allora:
(i) f `e strettamente monotona;
(ii) f(I) `e un intervallo;
(iii) f
1
: f(I) I `e ben denita e continua.
Dimostrazione (i) Siano a
0
, b
0
I con a
0
< b
0
, e confrontiamo f(a
0
) con
f(b
0
): se si ha f(a
0
) < f(b
0
), proveremo che f `e strettamente crescente in
244
I, mentre se f(a
0
) > f(b
0
) proveremo che f `e strettamente decrescente in
I; leventualit`a f(a
0
) = f(b
0
) `e vietata dalliniettivit` a di f. Supponiamo
ad esempio f(a
0
) < f(b
0
) (il caso opposto `e del tutto analogo). Sia [a, b]
un arbitrario sottointervallo di I, siano c, d punti di [a, b] tali che c < d e
ammettiamo, per assurdo, che risulti f(c) f(d). Consideriamo le funzioni
(ovviamente continue)
x(t) = a
0
+ t(c a
0
), y(t) = b
0
+ t(d b
0
), t [0, 1].
Osserviamo che
f(x(0)) = f(a
0
) < f(b
0
) = f(y(0)), f(x(1)) = f(c) f(d) = f(y(1)).
Quindi, introdotta la funzione
F(t) = f(y(t)) f(x(t)), t [0, 1],
si pu`o agevolmente vericare (esercizio 3.2.1) che F `e una funzione continua
tale che F(0) > 0 F(1). Per il teorema di esistenza degli zeri (teorema
3.4.3), vi sar`a allora un punto t

]0, 1] tale che F(t

) = 0, vale a dire
f(x(t

)) = f(y(t

)): dalliniettivit` a di f si deduce che x(t

) = y(t

), ovvero
t

(d c) + (1 t

)(b
0
a
0
) = 0. Dato che b
0
> a
0
e d > c, ci`o `e assurdo.
Pertanto f(c) < f(d) e dunque f `e strettamente crescente in [a, b].
Per larbitrariet` a di [a, b] I, si ottiene allora che f `e strettamente crescente
in I.
(ii) Per il teorema dei valori intermedi (corollario 3.4.5) si ha
_
inf
I
f, sup
I
f
_
f(I),
mentre, per denizione di estremo superiore ed estremo inferiore,
f(I)
_
inf
I
f, sup
I
f
_
.
Dunque f(I) `e un intervallo (che indicheremo con J) di estremi inf
I
f e
sup
I
f: esso pu`o comprendere, o no, uno o entrambi gli estremi.
(iii) Anzitutto, f
1
`e ovviamente ben denita su J ed `e una funzione stretta-
mente monotona (crescente se f `e crescente, decrescente se f `e decrescente),
con f
1
(J) = I. Sia y
0
un punto interno a J, e poniamo
= lim
yy

0
f
1
(y), L = lim
yy
+
0
f
1
(y);
245
questi limiti esistono certamente poiche f
1
`e monotona. Inoltre si ha
(esercizio 3.3.19)
f
1
(y
0
) L se f `e crescente,
f
1
(y
0
) L se f `e decrescente.
Dimostriamo che = L: dato che f `e continua nei punti e L, si ha
f() = lim
yy

0
f(f
1
(y)) = lim
yy

0
y = y
0
, f(L) = lim
yy
+
0
f(f
1
(y)) = lim
yy
+
0
y = y
0
,
cosicche f() = f(L) e dunque, per iniettivit`a, = L = f
1
(y
0
), cio`e
lim
yy
0
f
1
(y) = f
1
(y
0
).
Quindi f
1
`e continua in y
0
.
Se y
0
`e un estremo di J, largomento sopra esposto si ripete in modo ancor
pi` u semplice.
Osservazione 3.4.7 Il teorema precedente `e di gran lunga il caso pi` u im-
portante, ma la continuit`a di f
1
si ottiene anche nel caso in cui la funzio-
ne continua ed iniettiva f sia denita su un insieme A compatto: vedere
lesercizio 3.4.1.
Esempi 3.4.8 (1) La funzione f(x) = sin x `e continua ma non certo iniet-
tiva; tuttavia la sua restrizione allintervallo [/2, /2] `e iniettiva, essen-
do strettamente crescente. La funzione inversa di tale restrizione si chia-
ma arcoseno e si scrive f
1
(y) = arcsin y. Essa `e denita su [1, 1], `e
a valori in [/2, /2] ed `e continua per il teorema 3.4.6. Si noti che
sin(arcsin x) = x x [1, 1],
arcsin(sin x) = (1)
k
(x k) x
_

2
+ k,

2
+ k

, k Z.
246
(2) La restrizione della funzione cos x allintervallo [0, ] `e continua e stret-
tamente decrescente, quindi iniettiva. Linversa di tale restrizione si chiama
arcocoseno e si scrive arccos x; essa `e denita su [1, 1], `e a valori in [0, ] ed
`e continua per il teorema 3.4.6. Si noti che
cos(arccos x) = x x [1, 1],
arccos(cos x) = (1)
k
(x (k +
1
2
)) +

2
x [k, (k + 1)], k Z.
(3) La restrizione della funzione
tan x allintervallo ] /2, /2[ `e
continua e strettamente crescen-
te, quindi `e iniettiva (ed anche
surgettiva su R). Linversa di tale
restrizione si chiama arcotangente
e si scrive arctan x; essa `e denita
su R, `e a valori in ] /2, /2[
ed `e continua per il teorema 3.4.6.
Si noti che
tan(arctan x) = x x R,
mentre
arctan(tan x) = x k
per x ] /2 +k, /2 +k[ e
per k Z.
247
(4) Sia b > 0, b ,= 1. La funzione log
b
x, inversa della funzione continua b
x
,
`e continua per il teorema 3.4.6, ma lo sapevamo gi` a (esempio 3.2.5 (5)).
(5) Se n N, la funzione x
2n+1
`e conti-
nua e strettamente crescente su R, dun-
que `e iniettiva (ed anche surgettiva su
R). La funzione inversa `e quindi de-
nita e continua su R, a valori in R ed `e
la funzione radice (2n + 1)-sima:
x = y
1
2n+1
y = x
2n+1
.
La radice (2n + 1)-sima ora de-
nita `e il prolungamento a tut-
to R della funzione y y
1
2n+1
,
che fu introdotta per y 0 nel
paragrafo 1.8.
Ricordiamo a questo proposito che in campo complesso le radici (2n+1)-sime
di un numero reale y sono 2n + 1: una `e reale, ed `e y
1
2n+1
, le altre 2n non
sono reali e sono a due a due coniugate (esercizio 1.12.23).
Esercizi 3.4
1. Sia f : R R continua e tale che
lim
x
f(x) < 0, lim
x+
f(x) > 0.
Provare che esiste x R tale che f(x) = 0.
2. Sia f una funzione continua denita in [0, 1] a valori in Q, tale che
f(0) = 23. Si calcoli f(e 2).
248
3. Sia f : [a, b] [a, b] continua. Si provi che f ha almeno un punto sso,
cio`e esiste x
0
[a, b] tale che f(x
0
) = x
0
.
4. Supponiamo che la temperatura allequatore sia, ad un dato istante,
una funzione continua della longitudine. Si dimostri che esistono in-
nite coppie di punti (P, P

) situati lungo lequatore, tali che la tempe-


ratura in P e la temperatura in P

siano uguali fra loro; si provi inoltre


che una almeno di tali coppie `e formata da due localit`a diametralmente
opposte.
5. Stabilire se le seguenti funzioni sono invertibili oppure no:
(i) f(x) = x + e
x
, x R; (ii) f(x) = e
x
x, x R;
(iii) f(x) = x
2
+ x, x R; (iv)f(x) = sin
x
1+|x|
, x R;
(v) f(x) = arctan
3
x, x R; (vi) f(x) = x
3
x, x R;
(vii) f(x) = sin
3
x, x [

2
,

2
], (viii) f(x) = sin x
3
, x [

2
,

2
].
6. Sia f : A R R continua e iniettiva. Se A `e compatto, si provi che
f
1
`e continua.
[Traccia: si mostri che per ogni y
n

nN
f(A), convergente ad un
ssato y f(A), risulta f
1
(y
n
) f
1
(y).]
7. Sia f(x) = x
3
+ x + 1, x R. Si provi che f : R R `e bigettiva e si
calcoli, se esiste, il limite
lim
y+
f
1
_
3y
y + 4
_
.
8. Provare che
arcsin x + arccos x =

2
x [1, 1],
arctan x + arctan
1
x
=
_
/2 se x > 0,
/2 se x < 0.
9. Dimostrare la relazione
arctan u arctan v = arctan
u v
1 + uv
per ogni u, v R con [ arctan u arctan v[ <

2
.
[Traccia: utilizzare la formula di sottrazione per la funzione tangente.]
249
10. Provare che
arctan
1
n
2
+ n + 1
= arctan
1
n
arctan
1
n + 1
n N
+
,
e calcolare di conseguenza la somma della serie

n=1
arctan
1
n
2
+n+1
.
11. (i) Trovare una funzione continua f : R R tale che per ogni c R
lequazione f(x) = c abbia esattamente tre soluzioni.
(ii) Provare che non esiste alcuna funzione continua f : R R tale
che per ogni c R lequazione f(x) = c abbia esattamente due
soluzioni.
(iii) Per quali n N `e vero che esiste una funzione continua f : R R
tale che per ogni c R lequazione f(x) = c abbia esattamente n
soluzioni?
12. (i) Provare che per ogni k Z lequazione tan x = x ha nellintervallo
]k /2, k + /2[ una e una sola soluzione x
k
.
(ii) Dimostrare che
lim
k
_
x
k
k +

2
_
= 0, lim
k+
_
x
k
k

2
_
= 0.
13. (i) Provare che per ogni n N
+
i graci delle due funzioni e
x
e x
n
si incontrano nel primo quadrante in un unico punto (x
n
, y
n
), con
x
n
, y
n
]0, 1[.
(ii) Mostrare che la successione x
n
`e crescente e che la successione
y
n
`e decrescente.
(iii) Calcolare i limiti
lim
n
x
n
, lim
n
y
n
.
14. Provare che la funzione f(x) = arccos
x1
x
`e iniettiva sullinsieme A dove
`e denita; determinare limmagine f(A) e scrivere la funzione inversa
f
1
.
15. (i) Vericare che le relazioni
tan x =
1
x
, k < x < (k + 1), k Z,
deniscono univocamente una successione reale x
k

kZ
.
250
(ii) Provare che
0 < x
k+1
x
k
< k N, lim
k+
(x
k
k) = 0.
(iii) Per quali > 0 la serie

k=0
(x
k
k)

`e convergente?
3.5 Asintoti
Sia [a, b] un intervallo di R e sia x
0
]a, b[. Data una funzione f, denita
in [a, b] x
0
e a valori reali, si dice che la retta di equazione x = x
0
`e un
asintoto verticale di f per x x
+
0
, oppure per x x

0
, se risulta
lim
xx
+
0
f(x) = , oppure lim
xx

0
f(x) = .
Data una funzione reale f denita sulla semiretta ] , a], oppure sulla
semiretta [a, +[ , si dice che la retta di equazione y = px +q `e un asintoto
obliquo di f (ovvero un asintoto orizzontale di f quando p = 0) per x ,
oppure per x +, se risulta
lim
x
[f(x) px q] = 0, oppure lim
x+
[f(x) px q] = 0.
Per scoprire se una data funzione f ha un asintoto obliquo per, ad esempio,
x +, bisogna controllare lesistenza di tre limiti, e cio`e vericare se:
(i) lim
x+
f(x) = ;
(ii) lim
x+
f(x)
x
= p R 0;
(iii) lim
x+
[f(x) px] = q R.
Se i tre limiti esistono, allora lasintoto `e la retta di equazione y = px + q.
Viceversa, se f ha, per x , lasintoto obliquo di equazione y = px + q,
allora ovviamente valgono (i), (ii) e (iii).
Invece, per vedere se la funzione f ha un asintoto orizzontale per x +,
`e necessario e suciente che si abbia
lim
x+
f(x) = L R.
251
La verica di queste propriet` a `e del tutto immediata e si lascia al lettore.
Esercizi 3.5
1. Determinare, se esistono, gli asintoti delle seguenti funzioni:
(i)

1 + x
2
, (ii) ln x, (iii)
x
4
+ 1
x
3
, (iv) arcsin
x
2
x
2
+ 1
,
(v)
_
x + 1
x 1
, (vi) e
1/x
, (vii) [x 2[, (viii) arctan
e
x
e
x
1
,
(ix)
sin x
x
, (x) x ln x, (xi)
_
[x
2
1[, (xii) arccos e
2|x|+x
.
2. Sia f : [a, +[ R tale che
f(x)
x
p per x +, con p R 0.
La funzione f ha necessariamente un asintoto obliquo per x +?
252
Capitolo 4
Calcolo dierenziale
4.1 La derivata
Sia f : [a, b] R una funzione e sia G R
2
il suo graco:
G = (x, y) R
2
: x [a, b], y = f(x).
Fissiamo x
0
]a, b[ : vogliamo da-
re un signicato preciso alla no-
zione intuitiva di retta tangente
a G nel punto P = (x
0
, f(x
0
))
(sempre che tale retta esista).
Consideriamo un altro punto Q =
(x
0
+h, f(x
0
+h)) G, ove h `e un
numero reale abbastanza piccolo
da far s` che x
0
+ h ]a, b[ .
Tracciamo la retta passante per P e Q: come si verica facilmente, essa `e in
generale una secante del graco ed ha equazione
y = f(x
0
) +
f(x
0
+ h) f(x
0
)
h
(x x
0
).
Al tendere di h a 0, se f `e continua in x
0
il punto Q tende, lungo il graco
G, al punto P; dunque lintuizione geometrica ci dice che la preretta secante
tende verso una posizione limite che `e quella della retta tangente a G in
P. Ma sempre lintuizione geometrica ci dice che questa posizione limite
pu` o anche non esistere.
253
La seguente denizione ci permetter`a di attribuire un signicato preciso al
termine retta tangente.
Denizione 4.1.1 Sia f : ]a, b[ R e sia x
0
]a, b[ . Diciamo che f `e
derivabile nel punto x
0
se il rapporto incrementale di f in x
0
, ossia la
quantit`a
f(x
0
+ h) f(x
0
)
h
,
ha limite nito per h 0. Tale limite si chiama derivata di f in x
0
e si
indica col simbolo f

(x
0
), oppure Df(x
0
):
f

(x
0
) = Df(x
0
) = lim
h0
f(x
0
+ h) f(x
0
)
h
.
Diciamo poi che f `e derivabile in ]a, b[ se f `e derivabile in ogni punto di
]a, b[.
Osservazioni 4.1.2 (1) Con notazione equivalente, f `e derivabile nel punto
x
0
se e solo se esiste nito il limite
lim
xx
0
f(x) f(x
0
)
x x
0
.
(2) Dire che f `e derivabile nel punto x
0
]a, b[ `e equivalente alla seguente
aermazione: esistono un numero reale L ed una funzione h (h) denita
in un intorno U di 0, tali che
(a) lim
h0
(h) = 0, (b) f(x
0
+ h) f(x
0
) = Lh + h (h) per h U.
Infatti se f `e derivabile in x
0
basta porre L = f

(x
0
) e
(h) =
f(x
0
+ h) f(x
0
)
h
f

(x
0
)
254
per ottenere (a) e (b) con U =]a, b[ ; viceversa se valgono (a) e (b) allora,
dividendo in (b) per h e passando al limite per h 0, in virt` u di (a) si
ottiene che f `e derivabile in x
0
con f

(x
0
) = L.
Dallosservazione 4.1.2 (2) segue che se f `e derivabile in x
0
allora lincremento
di f, ossia la quantit`a f(x
0
+h) f(x
0
), `e somma di due addendi: il primo,
f

(x
0
)h, varia linearmente con h, mentre il secondo, h(h), `e un innitesimo
di ordine superiore per h 0: ci` o signica che esso, quando viene diviso per
h, tende ancora a 0, e dunque tende a 0 pi` u rapidamente di h per h 0.
La quantit`a h (h) `e lerrore che si commette volendo approssimare, in un
intorno di x
0
, lincremento di f con la sua parte lineare f

(x
0
)h. Questa
approssimazione corrisponde a sostituire al graco di f, in un intorno di
(x
0
, f(x
0
)), quello della funzione ane
g(x) = f(x
0
) + f

(x
0
)(x x
0
),
il cui graco `e la retta per (x
0
, f(x
0
)) di coeciente angolare f

(x
0
).
Si noti che questa retta, fra tutte le rette passanti per (x
0
, f(x
0
)), `e quella
che realizza la miglior approssimazione rettilinea del graco di f nellintorno
di tale punto. Infatti, scelta una qualunque retta passante per (x
0
, f(x
0
)),
quindi di equazione
y = g
m
(x) = f(x
0
) + m(x x
0
)
e coeciente angolare m R, si verica facilmente che risulta
lim
xx
0
(f(x) g
m
(x)) = 0 m R,
255
ma che daltra parte si ha
lim
xx
0
f(x) g
m
(x)
x x
0
= f

(x
0
) m m R,
e che quindi
lim
xx
0
f(x) g
m
(x)
x x
0
= 0 m = f

(x
0
) g
m
(x) g(x).
Le considerazioni precedenti giusticano la seguente
Denizione 4.1.3 Sia f : ]a, b[ R una funzione derivabile nel punto x
0

]a, b[ . La retta di equazione y = f(x
0
) + f

(x
0
)(x x
0
) si chiama retta
tangente al graco di f nel punto (x
0
, f(x
0
)).
La derivata f

(x
0
) `e dunque il coeciente angolare della retta che meglio
approssima il graco di f in (x
0
, f(x
0
)), e quindi ne misura la pendenza,
ossia la rapidit` a con cui f cresce o decresce intorno a tale punto.
Chiarito il signicato geometrico della derivata, vediamo ora il nesso fra
derivabilit`a e continuit` a.
Proposizione 4.1.4 Sia f : ]a, b[ R e sia x
0
]a, b[ . Se f `e derivabile in
x
0
, allora f `e continua in x
0
. Il viceversa `e falso.
Dimostrazione Dallosservazione 4.1.2 (2) segue subito che
lim
h0
f(x
0
+ h) = lim
xx
0
f(x) = f(x
0
),
e ci`o prova la continuit` a. Viceversa, la funzione f(x) = [x[ `e continua su R,
ma scelto x
0
= 0 si ha
f(h) f(0)
h
=
[h[ 0
h
=
_
1 se h > 0
1 se h < 0,
quindi il limite del rapporto incrementale di f nel punto 0 non esiste.
Esempi 4.1.5 (1) Sia n N e consideriamo la funzione f(x) = x
n
. Per
ogni x
0
R si ha
f(x) f(x
0
)
x x
0
=
x
n
x
n
0
x x
0
=
_

_
0 se n = 0
1 se n = 1
n1

k=0
x
n1k
x
k
0
se n > 1,
256
cosicche quando x x
0
ricaviamo
f

(x
0
) =
_

_
0 se n = 0
1 se n = 1
nx
n1
0
se n > 1
_

_
= nx
n1
0
n N.
In denitiva, scrivendo x al posto di x
0
, troviamo che
Dx
n
= nx
n1
x R, n N
(intendendo, nel caso x = 0 e n = 1, che la derivata vale 1).
(2) La derivata `e unapplicazione lineare: ci`o signica che se f e g sono due
funzioni derivabili nel punto x, e se e sono due numeri reali, allora la
funzione f + g `e derivabile nel punto x e
(f + g)

(x) = f

(x) + g

(x).
In particolare, quindi, da (1) segue che ogni polinomio `e derivabile in R: se
P(x) =
N

k=0
a
k
x
k
, x R,
allora
P

(x) =
N

k=1
k a
k
x
k
x R.
(3) Prodotti e quozienti di funzioni derivabili (questi ultimi, naturalmente,
nei punti dove sono deniti) sono funzioni derivabili: si vedano gli esercizi
4.1.2, 4.1.3 e 4.1.4.
(4) Se n N
+
, la funzione f(x) = x
n
`e denita per x ,= 0 ed `e derivabile.
Infatti si ha per ogni x ,= 0 e h ,= 0 tale che x + h ,= 0
(x + h)
n
x
n
h
=
x
n
(x + h)
n
hx
n
(x + h)
n
,
e per quanto visto nellesempio (1),
lim
h0
(x + h)
n
x
n
h
= lim
h0
(x + h)
n
x
n
h

1
x
n
(x + h)
n
=
nx
n1
x
2n
,
257
ossia
Dx
n
= nx
n1
x ,= 0.
(5) Fissato k N
+
, la funzione f(x) = x
1/k
`e denita per x 0 ed `e
derivabile per ogni x > 0. Infatti, per tutti gli h ,= 0 tali che x +h 0 si ha
(x + h)
1/k
x
1/k
h
=
1

k1
j=0
(x + h)
(k1j)/k
x
j/k
,
da cui
Dx
1/k
= lim
h0
(x + h)
1/k
x
1/k
h
=
1
k x
(k1)/k
=
1
k
x
1
k
1
x > 0.
(6) Sia r Q 0. La funzione f(x) = x
r
, denita per x 0 se r > 0 e per
x > 0 se r < 0, `e derivabile in ogni punto x > 0. Infatti, sar` a r = p/q, con
p Z0, q N
+
e p, q primi fra loro; quindi, decomponendo gli incrementi
come in (5), per ogni x > 0 e per ogni h ,= 0 tale che x + h > 0 si ha:
(x + h)
r
x
r
h
=
(x + h)
p/q
x
p/q
h
=
=
1
h
((x + h)
1/q
x
1/q
)
p1

j=0
(x + h)
(p1j)/q
x
j/q
=
=

p1
j=0
(x + h)
(p1j)/q
x
j/q

q1
i=0
(x + h)
(q1i)/q
x
i/q
,
da cui
Dx
r
=
p x
(p1)/q
q x
(q1)/q
=
p
q
x
(p/q)1
= r x
r1
x > 0.
(7) Fissato b > 0, la funzione esponenziale f(x) = b
x
`e derivabile in ogni
punto x R. Infatti per ogni h ,= 0 si ha
b
x+h
b
x
h
= b
x
b
h
1
h
,
da cui (esempio 3.3.5 (3))
Db
x
= b
x
ln b x R,
258
e in particolare, se la base dellesponenziale `e il numero b = e,
De
x
= e
x
x R.
(8) Le funzioni seno e coseno sono derivabili in ogni punto di R: infatti, per
ogni x R e h ,= 0 si ha dalle formule di prostaferesi (esercizio 1.12.8)
sin(x + h) sin x
h
=
2
h
cos
2x + h
2
sin
h
2
,
cos(x + h) cos x
h
=
2
h
sin
2x + h
2
sin
h
2
,
da cui
Dsin x = cos x x R, Dcos x = sin x x R.
Per avere un quadro completo delle tecniche di derivazione occorre imparare
a derivare le funzioni composte e le funzioni inverse. Ci` o `e quanto viene
esposto nei risultati che seguono.
Teorema 4.1.6 (di derivazione delle funzioni composte) Siano f :
]a, b[ R e g : ]c, d[ R funzioni derivabili, tali che f( ]a, b[ ) ]c, d[ . Allora
la funzione composta g f : ]a, b[ R `e derivabile e
(g f)

(x) = g

(f(x)) f

(x) x ]a, b[ .
Dimostrazione Fissiamo x ]a, b[ e poniamo y = f(x). Poiche f `e
derivabile in x, si ha per [h[ abbastanza piccolo (osservazione 4.1.2 (2))
f(x + h) f(x) = f

(x) h + h (h), ove lim


h0
(h) = 0.
Similmente, poich`e g `e derivabile in y, si ha per [k[ abbastanza piccolo
g(y + k) g(y) = g

(y) k + k (k), ove lim


k0
(k) = 0.
Fissiamo h (sucientemente piccolo), e scegliamo k = f(x +h) f(x): dato
che f `e continua in x (proposizione 4.1.4), risulta k 0 quando h 0; anzi,
essendo f derivabile in x, si ha pi` u precisamente che
k
h
f

(x) non appena


h 0. Quindi
g f(x + h) g f(x) = g(f(x + h)) g(f(x)) = g(y + k) g(y) =
= g

(y) k + k (k) = g

(y)(f(x + h) f(x)) + k (k) =


= g

(f(x)) (f

(x) h + h (h)) + k (k) =


= h
_
g

(f(x)) f

(x) + g

(f(x)) (h) +
k
h
(k)
_
.
259
Ora, ponendo
(h) = g

(f(x)) (h) +
k
h
(k),
risulta
lim
h0
(h) = g

(f(x)) 0 + f

(x) 0 = 0,
e pertanto abbiamo ottenuto, per [h[ sucientemente piccolo,
g f(x + h) g f(x) = g

(f(x)) f

(x) h + h (h)
con (h) 0 per h 0. La tesi segue allora dallosservazione 4.1.2 (2).
Esempi 4.1.7 (1) De
x
2
= e
x
2
(2x) = 2x e
x
2
per ogni x R.
(2) D

1 + x
2
= D(1 +x
2
)
1/2
=
1
2
(1 +x
2
)
1/2
(2x) =
x

1+x
2
per ogni x R.
(3) D
_
sin
_
e
cos x
2
__
= cos
_
e
cos x
2
_
e
cos x
2
(sin x
2
) 2x per ogni x R.
Teorema 4.1.8 (di derivazione delle funzioni inverse) Sia f : ]a, b[
R strettamente monotona e derivabile. Se f

(x) ,= 0 in ogni punto x ]a, b[ ,


allora la funzione inversa f
1
: f( ]a, b[ ) ]a, b[ `e derivabile e si ha
(f
1
)

(y) =
1
f

(f
1
(y))
y f( ]a, b[ ).
Dimostrazione Ricordiamo anzitutto che f( ]a, b[ ) `e un intervallo, che de-
notiamo con J, e che f
1
`e continua su J per il teorema 3.4.6, essendo per
ipotesi f derivabile e dunque continua in ]a, b[.
Ci` o premesso, sia y J e sia k ,= 0 tale che y +k J. Allora sar` a y = f(x)
e y + k = f(x + h) per opportuni punti x, x + h ]a, b[ ; avremo quindi
x = f
1
(y), x + h = f
1
(y + k) e dunque h = f
1
(y + k) f
1
(y); in
particolare, h ,= 0 essendo f
1
iniettiva. Potremo perci` o scrivere
f
1
(y + k) f
1
(y)
k
=
h
f(x + h) f(x)
,
e notiamo che da k ,= 0 segue f(x + h) ,= f(x), quindi la scrittura ha senso.
Se k 0, la continuit` a di f
1
implica che h 0, da cui
h
f(x + h) f(x)

1
f

(x)
;
260
se ne deduce che
lim
k0
f
1
(y + k) f
1
(y)
k
= lim
h0
h
f(x + h) f(x)
=
1
f

(x)
=
1
f

(f
1
(y))
e la tesi `e provata.
Osservazione 4.1.9 Il teorema precedente ci dice che il coeciente angolare
della retta tangente, nel generico punto (f(a), a), al graco di f
1
(pensata
come funzione della x, dunque con x e y scambiati rispetto alle notazioni del
teorema: y = f
1
(x) invece che x = f
1
(y)) `e il reciproco del coeciente
angolare della retta tangente, nel punto corrispondente (a, f(a)), al graco
di f. Ci`o `e naturale, dato che i due graci sono simmetrici rispetto alla
bisettrice y = x.
Esempi 4.1.10 (1) La funzione sin x `e bigettiva e derivabile nellintervallo
_

2
,

2

, ma la derivata si annulla agli estremi. Limmagine dellintervallo


aperto

2
,

2
_
`e ] 1, 1[ ; quindi, per il teorema 4.1.8, la funzione arcoseno
`e derivabile in ] 1, 1[ e si ha per x ] 1, 1[ :
D(arcsin x) =
1
(Dsin)(arcsin x)
=
1
cos arcsin x
=
(poiche arcsin x `e un numero compreso fra /2 e /2)
=
1
_
1 sin
2
arcsin x
=
1

1 x
2
.
261
Similmente, poiche la funzione coseno ha derivata diversa da 0 nellintervallo
]0, [ la cui immagine `e ] 1, 1[ , la funzione arcocoseno `e derivabile in tale
intervallo e si ha per x ] 1, 1[
D(arccos x) =
1
(Dcos)(arccos x)
=
1
sin arccos x
=
(poiche arccos x `e un numero compreso fra 0 e )
=
1

1 cos
2
arccos x
=
1

1 x
2
.
Tenuto conto dellesercizio 3.4.8, il secondo risultato era deducibile dal primo.
(2) Sia x R. Essendo
D(tan t) =
1
cos
2
t
= 1 + tan
2
t t
_

2
,

2
_
,
troviamo
D(arctan x) =
1
(Dtan)(arctan x)
=
1
1 + tan
2
arctan x
=
1
1 + x
2
.
(3) Sia b un numero positivo e diverso da 1. Allora per ogni x > 0 si ha,
indicando (per comodit` a di notazione) con exp
b
(x) la funzione esponenziale
b
x
,
D(log
b
x) =
1
(exp
b
)

(log
b
x)
=
1
b
log
b
x
ln b
=
1
x ln b
.
Ci` o si poteva ottenere anche direttamente, utilizzando lesempio 3.3.12:
lim
h0
log
b
(x + h) log
b
x
h
= lim
h0
1
h
log
b
x + h
x
=
1
x
lim
h0
log
b
_
1 +
h
x
_
h
x
=
=
1
x
lim
t0
log
b
(1 + t)
t
=
1
x ln b
.
Osserviamo che, in particolare, per b = e si ha
D(ln x) =
1
x
x > 0.
262
Derivazione delle serie di potenze
Unaltra importante classe di funzioni derivabili `e quella delle somme di serie
di potenze. Si ha infatti:
Teorema 4.1.11 Sia

n=0
a
n
x
n
una serie di potenze con raggio di conver-
genza R > 0. Detta f(x) la sua somma, la funzione f `e derivabile in ]R, R[
e risulta
f

(x) =

n=1
n a
n
x
n1
x ] R, R[ .
Dunque, applicando iterativamente il medesimo teorema, otteniamo che le
serie di potenze sono derivabili innite volte, e si possono derivare termine a
termine come se fossero dei polinomi.
Dimostrazione Anzitutto osserviamo che la serie

n=1
na
n
x
n1
ha ancora
raggio di convergenza R (esercizio 2.7.9). Di conseguenza, anche la serie

n=2
n(n 1)a
n
x
n2
(che interverr`a nel seguito) ha raggio di convergenza
R.
Adesso, ssati x ]R, R[ e h R sucientemente piccolo in valore assoluto
in modo che [x[ +[h[ <
1
2
([x[ + R), calcoliamo il rapporto incrementale di f
nel punto x:
f(x + h) f(x)
h
=
1
h

n=0
a
n
[(x + h)
n
x
n
] =
(usando la formula di Newton, teorema 1.7.1)
=
1
h

n=1
a
n
_
n

k=0
_
n
k
_
x
k
h
nk
x
n
_
=
1
h

n=1
a
n
_
n1

k=0
_
n
k
_
x
k
h
nk
_
=
=

n=1
a
n
_
n1

k=0
_
n
k
_
x
k
h
nk1
_
=
(isolando nella somma interna lultimo termine, che `e anche lunico
quando n = 1)
=

n=1
n a
n
x
n1
+

n=2
a
n
_
n2

k=0
_
n
k
_
x
k
h
nk1
_
.
Poniamo
(h) =

n=2
a
n
n2

k=0
_
n
k
_
x
k
h
nk1
, [h[ <
1
2
(R [x[) :
263
se proveremo che (h) 0 per h 0, seguir` a la tesi del teorema. In eetti
si ha
[(h)[

n=2
[a
n
[
_
n2

k=0
_
n
k
_
[x[
k
[h[
nk1
_
=
= [h[

n=2
[a
n
[
_
n2

k=0
_
n
k
_
[x[
k
[h[
nk2
_
,
e tenendo conto che per k = 0, 1, . . . , n 2 risulta
_
n
k
_
=
n(n 1)
(n k)(n k 1)
_
n 2
k
_

n(n 1)
2 1
_
n 2
k
_
,
si ottiene
[(h)[ [h[

n=2
[a
n
[
_
n2

k=0
n(n 1)
2
_
n 2
k
_
[x[
k
[h[
nk2
_
=
=
[h[
2

n=2
n(n 1)[a
n
[([x[ +[h[)
n2

[h[
2

n=2
n(n 1)[a
n
[
_
[x[ + R
2
_
n2
.
Dato che, per quanto osservato allinizio della dimostrazione, la serie allul-
timo membro `e convergente, si deduce che (h) 0 per h 0.
Osservazione 4.1.12 Dal teorema precedente si ricava, per iterazione, che
se f `e somma della serie di potenze

n=0
a
n
x
n
in ] R, R[ , allora f `e di
classe C

e
f
(k)
(x) =

n=k
k(k 1) ... (n k + 1)a
n
x
nk
, x ] R, R[ ,
e in particolare
f
(k)
(0) = k! a
k
k N.
Esempi 4.1.13 (1) Dagli sviluppi in serie di potenze di e
x
, sin x, cos x
(teorema 2.7.11), derivando termine a termine si ritrovano le note formule
(esempio 4.1.5 (8))
De
x
= e
x
, Dsin x = cos x, Dcos x = sin x x R.
264
(2) Similmente, dagli sviluppi in serie di cosh x e sinh x (esercizio 2.7.11), si
deducono facilmente le relazioni
Dsinh x = cosh x, Dcosh x = sinh x x R,
le quali del resto seguono ancor pi` u semplicemente dalle identit`a
sinh x =
e
x
e
x
2
, cosh x =
e
x
+ e
x
2
x R.
(3) Derivando la serie geometrica

n=0
x
n
, il teorema precedente ci dice che

n=1
nx
n1
=

n=0
Dx
n
= D

n=0
x
n
= D
1
1 x
=
1
(1 x)
2
x ] 1, 1[.
(4) Derivando la serie

n=1
nx
n1
, ancora per il teorema precedente si ha

n=2
n(n 1)x
n2
=

n=1
D(nx
n1
) = D

n=1
nx
n1
=
= D
1
(1 x)
2
=
2
(1 x)
3
x ] 1, 1[ ;
iterando questo procedimento di derivazione, troviamo dopo m passi:

n=m
n(n 1) . . . (n m + 1)x
nm
=
m!
(1 x)
m+1
x ] 1, 1[ .
Dividendo per m! otteniamo

n=m
_
n
m
_
x
nm
=
1
(1 x)
m+1
x ] 1, 1[ ,
e posto n m = h, si ha anche, equivalentemente,

h=0
_
m + h
h
_
x
h
=
1
(1 x)
m+1
x ] 1, 1[ .
265
Esercizi 4.1
1. Sia f : R R una funzione pari, ossia tale che f(x) = f(x) per ogni
x R. Se f `e derivabile in 0, si provi che f

(0) = 0.
2. Si provi che se f e g sono funzioni derivabili in x
0
, allora fg `e derivabile
in x
0
e
(fg)

(x
0
) = f

(x
0
)g(x
0
) + f(x
0
)g

(x
0
).
[Traccia: si scriva il rapporto incrementale di fg in x
0
nella forma
f(x)f(x
0
)
xx
0
g(x) + f(x
0
)
g(x)g(x
0
)
xx
0
.]
3. Sia g derivabile in x
0
con g(x
0
) ,= 0. Si provi che
1
g
`e derivabile in x
0
e
_
1
g
_

(x
0
) =
g

(x
0
)
g(x
0
)
2
.
4. Siano f e g funzioni derivabili in x
0
con g(x
0
) ,= 0. Si provi che
f
g
`e
derivabile in x
0
e
_
f
g
_

(x
0
) =
f

(x
0
)g(x
0
) f(x
0
)g

(x
0
)
g(x
0
)
2
.
5. Data la funzione
f(x) =
_
x
2
se x 4
ax + b se x < 4,
determinare a, b R in modo che f sia derivabile nel punto x
0
= 4.
6. Sia f derivabile in ]a, b[. Si scriva lequazione della retta perpendicolare
al graco di f nel punto (x
0
, f(x
0
)).
7. Sia f derivabile in ]a, b[. Provare che la funzione g(x) = f(x + ) `e
derivabile in

,
b

_
e che
g

(x) = f

(x + ) x
_
a

,
b

_
.
266
8. Sia f : [0, [ R una funzione continua. Consideriamo il prolunga-
mento pari di f, denito da
F(x) =
_
f(x) se x 0,
f(x) se x < 0,
e il prolungamento dispari di f, denito da
G(x) =
_
f(x) se x 0,
f(x) se x < 0.
Provare che:
(i) F `e continua su R;
(ii) F `e derivabile in 0 se e solo se
lim
h0
+
f(h) f(0)
h
= 0,
e in tal caso F

(0) = 0;
(iii) G `e continua in 0 se e solo se f(0) = 0;
(iv) G `e derivabile in 0 se e solo se f(0) = 0 e inoltre
lim
h0
+
f(h) f(0)
h
= L R,
e in tal caso G

(0) = L.
9. Scrivere la derivata delle seguenti funzioni, nei punti dove essa esiste:
(i) f(x) = sin

x, (ii) f(x) = x
2
x[x[,
(iii) f(x) =

x
2
4, (iv) f(x) = log
x
3,
(v) f(x) = x[x
2
1[, (vi) f(x) = arcsin [2x [,
(vii) f(x) = e
|x|
, (viii) f(x) = [ cos x[,
(ix) f(x) = [[x + 2[ [x
3
[[, (x) f(x) =
_
1
_
[x[.
267
10. Le funzioni
f(x) = (x 2[x[)
2
, g(x) =
_
x sin
1
x
se x ,= 0
0 se x = 0
sono derivabili in R?
11. Sia f : ]a, b[ R monotona crescente e derivabile; si provi che f

(x) 0
per ogni x ]a, b[ . Se f `e strettamente crescente, `e vero che f

(x) > 0
in ]a, b[ ?
12. Si provi che f(x) = 4x + ln x, x > 0, `e strettamente crescente ed ha
inversa derivabile, e si calcoli (f
1
)

(4).
13. Si verichi che la funzione sinh x `e bigettiva su R e se ne scriva la funzio-
ne inversa (che si chiama settore seno iperbolico per motivi che saranno
chiari quando sapremo fare gli integrali, e si indica con settsinh y). Si
provi poi che
D(settsenh y) =
1
_
1 + y
2
y R.
14. Si verichi che la restrizione della funzione cosh x allintervallo [0, +[
`e bigettiva fra [0, +[ e [1, +[, e se ne scriva la funzione inversa (che
si chiama settore coseno iperbolico e si indica con settcosh y). Si provi
poi che
D(settcosh y) =
1
_
y
2
1
y > 1.
15. Calcolare, dove ha senso, la derivata delle seguenti funzioni:
(i) f(x) = x
x
, (ii) f(x) = (x ln x)
sin

x
,
(iii) f(x) = ln sin

x, (iv) f(x) = 3
3
x
,
(v) f(x) = arccos
_
1x
2
x
2
, (vi) f(x) = ln [ ln [x[[,
(vii) f(x) = x
1/x
, (viii) f(x) =
sin x x cos x
cos x + x sin x
,
(ix) f(x) = log
x
(2
x
x
2
), (x) f(x) = arctan
_
1cos x
1+cos x
.
268
16. Scrivere lequazione della tangente allellisse denita da
x
2
a
2
+
y
2
b
2
= 1
(ove a e b sono ssati numeri reali non nulli) nel generico punto (x
0
, y
0
).
17. Scrivere lequazione della tangente alliperbole denita da
x
2
a
2

y
2
b
2
= 1
(ove a e b sono ssati numeri reali non nulli) nel generico punto (x
0
, y
0
).
18. Scrivere lequazione della tangente alla parabola denita da
y ax
2
= 0
(ove a `e un ssato numero reale) nel generico punto (x
0
, y
0
).
19. Si provi che per ogni a R lequazione x
3
+x
5
= a ha ununica soluzione
reale x = x
a
. Si provi poi che la funzione g(a) = x
a
`e continua su R,
e si dica in quali punti `e derivabile. Si calcolino inne, se esistono, i
valori g

(2) e g

(2).
4.2 Derivate parziali
Vogliamo estendere loperazione di derivazione alle funzioni di pi` u variabili.
Se A `e un aperto di R
m
e f : A R `e una funzione, il graco di f `e un
sottoinsieme di R
m+1
: vorremmo determinare quali condizioni assicurano che
esso sia dotato di piano tangente (m-dimensionale) in un suo punto.
Denizione 4.2.1 Sia A un aperto di R
m
, sia x
0
A, sia f : A R. La
derivata parziale i-sima di f nel punto x
0
(i = 1, . . . , m) `e il numero reale
lim
h0
f(x
0
+ he
i
) f(x
0
)
h
(ove e
i
`e il vettore con tutte le componenti nulle tranne la i-sima che vale 1),
sempre che tale limite esista nito. Indicheremo le derivate parziali di f in
x
0
con uno qualunque dei simboli
f
x
i
(x
0
), D
i
f(x
0
), f
x
i (x
0
) (i = 1, . . . , m).
269
Le regole di calcolo per le derivate parziali sono semplicissime: basta conside-
rare le altre variabili (quelle rispetto alle quali non si deriva) come costanti.
Esempio 4.2.2 Per ogni (x, y) R
2
con [x[ > [y[ si ha

x
_
x
2
y
2
=
x
_
x
2
y
2
,

y
_
x
2
y
2
=
y
_
x
2
y
2
.
Sfortunatamente, a dierenza di ci`o che accade con le funzioni di una sola
variabile, una funzione di pi` u variabili pu`o avere le derivate parziali in un
punto senza essere continua in quel punto. La ragione `e che lesistenza di
D
1
f(x
0
),. . . ,D
m
f(x
0
) fornisce informazioni sul comportamento della restri-
zione di f alle rette parallele agli assi x
1
,. . . ,x
m
e passanti per x
0
; daltra
parte, come sappiamo (esercizi 3.3.21 e 3.3.22), il comportamento di f pu` o
essere molto dierente se ci si avvicina a x
0
da unaltra direzione.
Esempio 4.2.3 Consideriamo in R
2
la parabola di equazione y = x
2
: posto
G = (x, y) R
2
: 0 < y < x
2
, H = (x, y) R
2
: y x
2
,
L = (x, y) R
2
: y 0,
ed osservato che G `e disgiunto da H L e che G H L = R
2
, deniamo
f(x, y) =
_
1 se (x, y) G
0 se (x, y) H L.
Questa funzione non `e continua nello-
rigine, poiche
f(0, 0) = 0, f
_
1
n
,
1
2n
2
_
= 1 n N
+
.
Tuttavia le due derivate parziali di f
nellorigine esistono:
f
x
(0, 0) = lim
h0
f(h, 0) f(0, 0)
h
= 0,
f
y
(0, 0) = lim
h0
f(0, h) f(0, 0)
h
= 0.
Qual `e, allora, lestensione giusta della nozione di derivata al caso di funzio-
ni di pi` u variabili? Sotto quali ipotesi il graco di una funzione di 2,3,. . . ,m
variabili ha piano tangente in un suo punto?
270
Denizione 4.2.4 Sia A un aperto di R
m
, sia f : A R e sia x
0
A.
Diciamo che f `e dierenziabile nel punto x
0
se esiste a R
m
tale che
lim
h0
f(x
0
+h) f(x
0
) a, h
m
[h[
m
= 0.
Diciamo che f `e dierenziabile in A se `e dierenziabile in ogni punto di A.
Osserviamo che in questa denizione lincremento h `e un (piccolo) vettore
non nullo di R
m
di direzione arbitraria: dunque linformazione fornita sul
comportamento di f intorno al punto x
0
`e ben pi` u completa di quella fornita
dallesistenza delle derivate parziali. E infatti:
Proposizione 4.2.5 Sia A un aperto di R
m
, sia f : A R e sia x
0
A.
Se f `e dierenziabile in x
0
, allora:
(i) f `e continua in x
0
(e il viceversa `e falso);
(ii) esistono le derivate parziali D
i
f(x
0
) e si ha
D
i
f(x
0
) = a
i
, i = 1, . . . , m,
ove a `e il vettore introdotto nella denizione 4.2.4 (e il viceversa `e
falso).
Di conseguenza, il vettore a `e univocamente determinato (quando esiste).
Dimostrazione (i) Si ha
f(x
0
+h) f(x
0
) = [f(x
0
+h) f(x
0
) a, h
m
+a, h
m
;
per h 0 il primo termine `e innitesimo a causa della dierenziabilit`a,
mentre il secondo `e innitesimo per la disuguaglianza di Cauchy-Schwarz
(proposizione 1.9.3). Quindi lim
h0
[f(x
0
+h)f(x
0
)] = 0, ossia f `e continua
in x
0
.
(ii) Dalla denizione di dierenziabilit` a, prendendo h = te
i
si ricava
lim
t0
f(x
0
+ te
i
) f(x
0
) ta, e
i

m
[t[
= 0;
moltiplicando per la quantit` a limitata
|t|
t
(cio`e per 1), si ottiene
D
i
f(x
0
) = lim
t0
f(x
0
+ te
i
) f(x
0
)
t
= a, e
i

m
, i = 1, . . . , m.
271
La funzione f(x) = [x[
m
`e continua su tutto R
m
(in virt` u della disuguaglianza
[[x[
m
[x
0
[
m
[ [xx
0
[
m
, a sua volta conseguenza della propriet` a triangolare
della norma), ma non `e dierenziabile nellorigine: infatti, se esistesse a R
m
tale che
f(h) f(0) a, h
m
[h[
m
=
[h[
m
a, h
m
[h[
m
= 1
_
a,
h
[h[
m
_
m
0 per h 0,
scegliendo h = te
i
con t > 0 otterremmo a
i
= 1, mentre scegliendo h = te
i
con t < 0 dedurremmo a
i
= 1. Ci` o `e contraddittorio e dunque il viceversa
di (i) `e falso.
La funzione dellesempio 4.2.3 mostra che il viceversa di (ii) `e anchesso falso:
tale funzione infatti ha le derivate parziali in (0, 0) ma, non essendo continua
in tale punto, a causa di (i) non pu`o essere ivi dierenziabile.
Denizione 4.2.6 Se f : A R ha le derivate parziali nel punto x
0
, il
vettore
_
f
x
1
(x
0
), . . . ,
f
x
m
(x
0
)
_
R
m
si chiama gradiente di f nel punto x
0
e si indica con gradf(x
0
), o con
f(x
0
).
Osservazione 4.2.7 La condizione che f sia dierenziabile in x
0
equivale
alla propriet`a seguente: esiste una funzione reale (h), denita in un intorno
U di 0 e innitesima per h 0, tale che
f(x
0
+h) f(x
0
) gradf(x
0
), h
m
= [h[
m
(h) h U.
Si noti che quando m = 1 la dierenziabilit` a in un punto x
0
equivale alla
derivabilit`a in x
0
(osservazione 4.1.2 (2)); in tal caso il gradiente `e un vettore
a una sola componente, cio`e una quantit`a scalare (vale a dire, `e un numero:
precisamente il numero f

(x
0
)).
Piano tangente
La nozione di dierenziabilit` a `e ci`o che ci vuole anche il graco di una
funzione abbia piano tangente.
272
Denizione 4.2.8 Sia A un aperto di R
m
, sia f : A R, e supponiamo
che f sia dierenziabile in un punto x
0
A. Il piano (m-dimensionale) in
R
m+1
, passante per (x
0
, f(x
0
)), di equazione
x
m+1
= f(x
0
) +gradf(x
0
), x x
0

m
`e detto piano tangente al graco di f nel punto (x
0
, f(x
0
)).
Osservazione 4.2.9 Laggettivo tangente nella denizione `e giusticato
dal fatto seguente: il generico piano passante per (x
0
, f(x
0
)) ha equazione
x
m+1
=
a
(x) = f(x
0
) +a, x x
0

m
con a ssato vettore di R
m
. Quindi, per ciascuno di tali piani, ossia per ogni
a R
m
, vale la relazione
lim
xx
0
[f(x)
a
(x)] = 0.
Il piano tangente, quello per cui a = gradf(x
0
), `e lunico fra questi piani
per il quale vale la condizione pi` u forte
lim
xx
0
f(x)
a
(x)
[x x
0
[
m
= 0.
Ci` o `e conseguenza della proposizione 4.2.5 (ii).
Esempio 4.2.10 Scriviamo lequazione del piano tangente al graco della
funzione
f(x, y) = x
2
+ y
2
nel punto (1, 2, f(1, 2)). Si ha
f(1, 2) = 5, e inoltre
f
x
(x, y) = 2x, f
y
(x, y) = 2y,
da cui f
x
(1, 2) = 2, f
y
(1, 2) = 4.
Ne deriva che il piano cercato ha equa-
zione
z = 5 2(x + 1) + 4(y 2),
ovvero z = 2x + 4y 5.
273
Derivate direzionali
Le derivate parziali di una funzione f in un punto x
0
sono i limiti dei rapporti
incrementali delle restrizioni di f alle rette per x
0
parallele agli assi coordi-
nati; ma queste m direzioni non hanno nulla di speciale rispetto alle innite
altre direzioni, ciascuna delle quali `e individuata da un vettore v R
m
di
norma unitaria (gli assi cartesiani corrispondono ai vettori v = e
i
). La retta
per x
0
parallela al vettore v `e linsieme dei punti di R
m
di coordinate
x = x
0
+ tv, t R.
Denizione 4.2.11 Sia A un aperto di R
m
, sia f : A R, sia x
0
A. La
derivata direzionale di f in x
0
secondo la direzione v (con v R
m
0) `e
il numero reale
lim
t0
f(x
0
+ tv) f(x
0
)
t
,
se tale limite esiste nito. Essa si indica con i simboli
f
v
(x
0
), D
v
f(x
0
), f
v
(x
0
).
274
La derivata D
v
f(x
0
) rappresenta la derivata in x
0
della restrizione di f alla
retta per x
0
parallela a v: essa dunque rappresenta la pendenza, nel punto
(x
0
, f(x
0
)), del graco di tale restrizione, cio`e dellintersezione del graco di
f con il piano parallelo allasse x
m+1
che contiene la retta per x
0
parallela a
v.
Osservazioni 4.2.12 (1) Se f `e dierenziabile in x
0
allora esiste in x
0
la
derivata di f secondo ogni direzione v, e si ha
f
v
(x
0
) = gradf(x
0
), v
m
(esercizio 4.2.8).
(2) Lesistenza di tutte le derivate direzionali di f in x
0
non implica la
dierenziabilit` a di f in x
0
. Ci`o segue nuovamente dallesempio 4.2.3: si vede
facilmente che quella funzione, discontinua in (0, 0), ha in tale punto tutte
le derivate direzionali nulle. Il motivo `e che le sue discontinuit`a hanno luogo
lungo la parabola y = x
2
, la quale attraversa tutte le rette per (0, 0) prima
che queste raggiungano lorigine.
(3) La nozione di derivata direzionale ha senso per ogni vettore v R
m
0,
ma `e particolarmente signicativa quando v `e una direzione unitaria, ossia
quando [v[
m
= 1. Si noti che se v `e un vettore unitario e R 0, dalla
denizione 4.2.11 segue subito che
f
(v)
=
f
v
.
Esempio 4.2.13 La funzione f(x, y) =
_
x
2
y
2
ha derivate parziali nel-
laperto A = (x, y) R
2
: [x[ > [y[. Fissato v = (
1

5
,
2

5
), calcoliamo
D
v
f in un generico punto (x, y) A: si ha
D
v
f(x, y) = gradf(x, y), v
m
=
1

5
f
x
(x, y)
2

5
f
y
(x, y) =
=
1

5
x
_
x
2
y
2

5
_

y
_
x
2
y
2
_
=
1

5
x + 2y
_
x
2
y
2
.
Quando f `e dierenziabile, lapplicazione v gradf(x
0
), v
m
`e ovviamente
lineare da R
m
a R: essa si chiama dierenziale di f nel punto x
0
e si denota
con il simbolo df(x
0
). Pertanto
df(x
0
)v = gradf(x
0
), v
m
v R
m
,
275
ed in particolare
v
f
v
(x
0
) = gradf(x), v
m
`e unapplicazione lineare. Tuttavia se f non `e dierenziabile x
0
, ma le deri-
vate direzionali in x
0
esistono, la linearit` a dellapplicazione v
f
v
(x
0
) non
`e pi` u garantita (esercizio 4.2.9).
Curve di livello
Sia f : A R una funzione dierenziabile nellaperto Adi R
m
. Consideriamo
le curve di livello di f, cio`e gli insiemi (eventualmente, ma non sempre, vuoti)
Z
c
= x A : f(x) = c.
In realt`a si tratta di curve vere e proprie solo quando m = 2, ossia f `e una
funzione di due sole variabili; altrimenti si dovrebbe parlare di superci di
livello ((m1)-dimensionali).
Vogliamo far vedere che se Z
c
`e non vuoto e se il gradiente di f `e non nullo
nei punti di Z
c
, allora in tali punti esiste il piano ((m 1)-dimensionale)
tangente a Z
c
e tale piano `e ortogonale al gradiente di f.
Anzitutto, osserviamo che fra tutti i vettori unitari v, la derivata direzionale
D
v
f(x
0
) `e massima quando v ha direzione e verso coincidenti con f(x
0
), ed
`e minima quando v ha direzione coincidente con f(x
0
) ma verso opposto:
infatti, dallosservazione 4.2.12 (1) e dalla disuguaglianza di Cauchy-Schwarz
segue che
[D
v
f(x)[ = [f(x), v
m
[ [f(x)[
m
v R
m
con [v[
m
= 1,
e si ha [D
v
f(x)[ = [f(x)[
m
scegliendo rispettivamente
v =
f(x)
[f(x)[
m
e v =
f(x)
[f(x)[
m
.
Dunque, sempre che f(x) ,= 0, la direzione individuata da questo vettore
`e quella di massima pendenza del graco di f nel punto (x, f(x)).
Ci` o premesso, ssiamo x
0
Z
c
e consideriamo un qualunque piano pas-
sante per x
0
, quindi di equazione
a, x x
0

m
= 0,
276
con a R
m
0. Se x `e un altro punto di Z
c
, la sua distanza dal piano ,
che denotiamo con d(x, ), `e data da
d(x, ) = inf[x

x[
m
: x

= [x x
0
[
m
[ cos [,
ove `e langolo fra i vettori x x
0
e a, ossia (proposizione 1.12.18)
cos =
x x
0
, a
m
[x x
0
[
m
[a[
m
;
quindi
d(x, ) =
x x
0
, a
m
[a[
m
.
Se ne deduce che quando x Z
c
e x x
0
si ha
d(x, ) 0 a R
m
.
Ma se in particolare si sceglie a = f(x
0
), cosicche `e il piano per x
0
ortogonale al gradiente di f in x
0
, allora
d(x, ) =
[x x
0
, f(x
0
)
m
[
[f(x
0
)[
m
.
Daltra parte, poiche f `e dierenziabile in x
0
si ha
f(x) f(x
0
) = f(x
0
), x x
0

m
+ (x x
0
),
ove la funzione `e denita in un intorno di 0 e verica
lim
h0
(h)
[h[
m
= 0.
Dunque, essendo f(x) = f(x
0
) = c, otteniamo
d(x, )
[x x
0
[
m
=
[x x
0
, f(x
0
)[
[x x
0
[
m
[f(x
0
)[
m
=
=
[(x x
0
)[
[x x
0
[
m
[f(x
0
)[
m
0 per x Z
c
e x x
0
.
Pertanto se a = f(x
0
) non solo la distanza fra x e `e innitesima quando
x x
0
in Z
c
, ma addirittura tale distanza resta innitesima quando viene
277
divisa per [x x
0
[
m
. Ci` o mostra, in accordo con losservazione 4.2.9, che il
piano per x
0
perpendicolare a f(x
0
) `e il piano tangente a Z
c
in x
0
.
In particolare, f(x
0
) `e ortogonale a Z
c
in x
0
; di conseguenza, se v `e una
direzione tangente alla curva di livello Z
c
nel punto x Z
c
, si ha
f
v
(x) = f(x), v
m
= 0
in quanto, come abbiamo visto, v `e ortogonale a f(x). Ci` o corrisponde
allintuizione: se ci muoviamo lungo una curva di livello, il valore di f resta
costante e quindi la derivata in una direzione tangente a tale curva deve
essere nulla.
Esercizi 4.2
1. Determinare i punti (x, y) R
2
in cui esistono le derivate parziali delle
seguenti funzioni:
(i) f(x, y) = [xy[, (ii) f(x, y) = [x y[(x + y),
(iii) f(x, y) =
_
x
2
+[y[, (iv) f(x, y) = x arcsin xy,
(v) f(x, y) = ln
_
1 +

xy
_
, (vi) f(x, y) = sin
1
xy
,
(vii) f(x, y) = y
x
+ x
y
, (viii) f(x, y) = arctan
x + y
x y
,
(ix) f(x, y) =
xy
x
2
+ y
2
, (x) f(x, y) = tan e
|xy|
.
278
2. Determinare i punti (x, y) R
2
in cui le seguenti funzioni sono die-
renziabili:
(i) f(x, y) = [ ln x
2
y[, (ii) f(x, y) =
_
_
_
xy

x
2
+y
2
se (x, y) ,= (0, 0)
0 se (x, y) = (0, 0),
(iii) f(x, y) = [xy[, (iv) f(x, y) = x
_
1 +[ sin y[.
3. Per quali > 0 la funzione [xy[

`e dierenziabile in (0, 0)?


4. Per quali , > 0 la funzione
f(x, y) =
_

_
[x[

[y[

x
2
+ y
2
se (x, y) ,= (0, 0)
0 se (x, y) = (0, 0)
`e dierenziabile in (0, 0)?
5. Scrivere le equazioni dei piani tangenti ai graci delle seguenti funzioni
nei punti a anco indicati:
(i) f(x, y) = arctan(x + 2y) in
_
1, 0,

4
_
,
(ii) f(x, y) = sin x cos y in
_

3
,

6
,
3
4
_
.
6. Determinare i punti del graco di f(x, y) = x
2
y
2
tali che il piano
tangente in tali punti passi per il punto (0, 0, 4).
7. Sia f : R
m
R denita da
f(x) = [x[
4
m
3x, v
m
,
ove v =

m
i=1
e
i
= (1, 1, . . . , 1). Si provi che f `e dierenziabile in R
m
e
se ne calcolino le derivate parziali D
i
f.
8. (i) Provare che se f `e una funzione dierenziabile nel punto x
0
allora
esiste
f
v
(x
0
) per ogni v R
m
0 e che
f
v
(x
0
) = f(x
0
), v
m
.
279
(ii) Si calcolino le derivate direzionali sotto specicate:
(a) D
v
(x + y)
3
, ove v =
_
1

2
,
1

2
_
;
(b) D
v
x, b
m
, ove v = b (con b ,= 0).
9. Sia
f(x, y) =
_
sgn(x)
_
x
2
y
2
se [y[ [x[
0 se [y[ > [x[.
Si verichi che, posto u =
_
1

2
,
1

2
_
e v =
_
1

2
,
1

2
_
, risulta
f
u
(0) +
f
v
(0) ,=
f
(u +v)
(0).
10. Disegnare approssimativamente le curve di livello delle seguenti funzio-
ni:
(i) f(x, y) = x
2
y
2
, (ii) f(x, y) = e
xy
2
,
(iii) f(x, y) = sin(x
2
+ y
2
), (iv) f(x, y) =
xy
x
2
+ y
2
,
(v) f(x, y) =
y
2
x
2
y
2
+ x
2
, (vi) f(x, y) = ln
[x[
[y[
.
4.3 Propriet`a delle funzioni derivabili
Esponiamo alcuni risultati relativi a funzioni derivabili denite su un inter-
vallo di R, risultati che, come vedremo, hanno svariate applicazioni.
Teorema 4.3.1 (di Rolle) Sia f : [a, b] R una funzione continua in
[a, b] e derivabile in ]a, b[ . Se f(a) = f(b), allora esiste ]a, b[ tale che
f

() = 0.
Dunque, se f(a) = f(b) in almeno un punto (, f()) del graco di f la
tangente al graco `e orizzontale.
280
Dimostrazione Se f `e costante in [a, b], allora f

(x) = 0 per ogni x [a, b] e


la tesi `e provata. Supponiamo dunque che f non sia costante in [a, b]; poiche
f `e continua in [a, b], per il teorema di Weierstrass (teorema 3.4.1) f assume
massimo M e minimo m su [a, b], e si ha necessariamente m < M. Dato che
f(a) = f(b), almeno uno tra i valori m e M `e assunto in un punto interno
ad ]a, b[; se ad esempio si ha m = f(), allora, scelto h R in modo che
x + h [a, b], risulta
f( + h) f()
h
_
0 se h > 0
0 se h < 0,
dato che il numeratore `e sempre non negativo. Passando al limite per h 0,
si ottiene f

() = 0.
Corollario 4.3.2 (teorema di Cauchy) Siano f, g : [a, b] R funzioni
continue in [a, b] e derivabili in ]a, b[, con g

,= 0 in ]a, b[. Allora esiste


]a, b[ tale che
f

()
g

()
=
f(b) f(a)
g(b) g(a)
.
Si noti che risulta g(b) g(a) ,= 0 in virt` u dellipotesi g

,= 0 e del teorema
di Rolle.
Dimostrazione Basta applicare il teorema di Rolle alla funzione
h(x) = f(x)[g(b) g(a)] g(x)[f(b) f(a)].
Il risultato pi` u importante `e per`o il seguente:
281
Corollario 4.3.3 (teorema di Lagrange) Sia f : [a, b] R una funzione
continua in [a, b] e derivabile in ]a, b[. Allora esiste ]a, b[ tale che
f

() =
f(b) f(a)
b a
.
Dunque in almeno un punto (, f()) del graco di f la tangente al graco `e
parallela alla retta passante per i punti (a, f(a)) e (b, f(b)), lequazione della
quale `e
y = f(a) +
f(b) f(a)
b a
(x a).
Dimostrazione Basta applicare il teorema di Cauchy con g(x) = x.
Vediamo alcune applicazioni del teorema di Lagrange.
Proposizione 4.3.4 Sia f : ]a, b[ R una funzione derivabile. Allora f `e
costante in ]a, b[ se e solo se risulta f

(x) = 0 per ogni x ]a, b[.


Dimostrazione Se f `e costante in ]a, b[ allora ovviamente f

= 0 in ]a, b[.
Viceversa, sia f

= 0 in ]a, b[ . Fissiamo un punto x


0
in ]a, b[ , ad esempio
282
x
0
=
a+b
2
, e sia x un altro punto di ]a, b[ : per ssare le idee, supponiamo
x ]a, x
0
[ . Per il teorema di Lagrange applicato nellintervallo [x, x
0
], esiste
]x, x
0
[ tale che
f

() =
f(x
0
) f(x)
x
0
x
;
ma per ipotesi f

() = 0, e quindi f(x) = f(x


0
). Ne segue che f(x) = f(x
0
)
per ogni x ]a, x
0
[ . In modo perfettamente analogo si prova che f(x) = f(x
0
)
per ogni x ]x
0
, b[ . Dunque f `e costante in ]a, b[ .
Con laiuto della proposizione precedente possiamo scrivere alcune funzioni
elementari come somme di serie di potenze in opportuni intervalli.
Esempi 4.3.5 (1) (Serie logaritmica) La funzione log(1 +x) `e derivabile in
] 1, +[ , e si ha
Dlog(1 + x) =
1
1 + x
x ] 1, +[ ;
daltra parte, come sappiamo (esempio 2.2.6 (1)),
1
1 + x
=

n=0
(1)
n
x
n
x ] 1, 1[ .
Ora si riconosce subito che
(1)
n
x
n
= D
(1)
n
n + 1
x
n+1
n N, x R;
quindi dal teorema di derivazione delle serie di potenze (teorema 4.1.11)
otteniamo

n=0
(1)
n
x
n
= D
_

n=0
(1)
n
n + 1
x
n+1
_
x ] 1, 1[ .
Pertanto possiamo scrivere
Dlog(1 + x) = D
_

n=0
(1)
n
n + 1
x
n+1
_
x ] 1, 1[ .
La funzione derivabile
g(x) = log(1 + x)

n=0
(1)
n
n + 1
x
n+1
283
ha dunque derivata nulla in ] 1, 1[ , e quindi per la proposizione precedente
`e costante in tale intervallo. Ma per x = 0 si ha g(0) = (log 1) 0 = 0,
cosicche g `e nulla su ] 1, 1[ : in altre parole
log(1 + x) =

n=0
(1)
n
n + 1
x
n+1
=

k=1
(1)
k1
k
x
k
x ] 1, 1[ .
Si noti che la serie a secondo membro soddisfa, per x [0, 1[ , le ipotesi del
criterio di Leibniz (proposizione 2.5.3); dunque

log(1 + x)
N

n=0
(1)
n
n + 1
x
n+1

x
N+1
N + 1

1
N + 1
x [0, 1[ , N N.
Per x 1 si ricava allora

log 2
N

n=0
(1)
n
n + 1

1
N + 1
N N,
cosicche luguaglianza gi` a scritta vale anche per x = 1:
log(1 + x) =

n=0
(1)
n
n + 1
x
n+1
=

k=1
(1)
k1
k
x
k
x ] 1, 1].
(2) (Serie dellarcotangente) La funzione arctan x `e derivabile in R, e si ha
Darctan x =
1
1 + x
2
x R.
Si ha inoltre
1
1 + x
2
=

n=0
(1)
n
x
2n
= D
_

n=0
(1)
n
2n + 1
x
2n+1
_
x ] 1, 1[ .
Procedendo come nellesempio precedente si deduce
arctan x =

n=0
(1)
n
2n + 1
x
2n+1
x ] 1, 1[ ,
ed applicando nuovamente il criterio di Leibniz si trova stavolta che la stessa
uguaglianza vale in entrambi gli estremi x = 1:
arctan x =

n=0
(1)
n
2n + 1
x
2n+1
x [1, 1].
284
(3) (Serie binomiale) Consideriamo la funzione (1+x)

, ove `e un parametro
reale ssato, la quale `e derivabile in ] 1, +[ . Proveremo che
(1 + x)

n=0
_

n
_
x
n
x ] 1, 1[ ,
ove
_

n
_
=
_
1 se n = 0
(1)...(n+1)
n!
se n > 0.
I numeri
_

n
_
si chiamano coecienti binomiali generalizzati; se N essi
coincidono con gli usuali coecienti binomiali quando 0 n , mentre
sono tutti nulli quando n . La serie
_

n
_
x
n
`e detta serie binomiale e
quando N essa si riduce ad una somma nita che coincide con la formula
di Newton per il binomio (1 + x)

.
Per provare la formula sopra scritta cominciamo con losservare che il raggio
di convergenza della serie
_

n
_
x
n
`e 1, come si verica facilmente mediante
il criterio del rapporto. Sia g(x) la somma, per ora incognita, di tale serie in
] 1, 1[ : dobbiamo provare che g(x) = (1 + x)

per ogni x ] 1, 1[ .
Mostriamo anzitutto che
(1 + x)g

(x) = g(x) x ] 1, 1[ .
In eetti, per il teorema di derivazione delle serie di potenze (teorema 4.1.11)
si ha
(1 + x)g

(x) = (1 + x)D
_

n=0
_

n
_
x
n
_
= (1 + x)

n=1
n
_

n
_
x
n1
=
=

n=1
n
_

n
_
x
n1
+

n=1
n
_

n
_
x
n
=
=

k=0
(k + 1)
_

k + 1
_
x
k
+

k=1
k
_

k
_
x
k
=
= +

k=1
(k + 1)
_

k + 1
_
x
k
+

k=1
k
_

k
_
x
k
=
= +

k=1
_
(k + 1)
_

k + 1
_
+ k
_

k
__
x
k
;
285
daltra parte risulta per ogni k 1
(k + 1)
_

k + 1
_
+ k
_

k
_
=
= (k + 1)
( 1) . . . ( k)
(k + 1)!
+ k
( 1) . . . ( k + 1)
k!
=
=
( 1) . . . ( k + 1)
k!
( k + k) =
_

k
_
,
cosicche
(1+x)g

(x) = +

k=1

k
_
x
k
=
_
1 +

k=1
_

k
_
x
k
_
= g(x) x ]1, 1[ .
Consideriamo allora la derivata del prodotto g(x)(1 + x)

: si ha
D
_
g(x)(1 + x)

_
= g

(x)(1 + x)

g(x)(1 + x)
1
=
= (1 + x)
1
[(1 + x)g

(x) g(x)] = 0 x ] 1, 1[ ;
per la proposizione 4.3.4 si deduce
g(x)(1 + x)

= costante x ] 1, 1[ ,
e poiche g(0) = 1, si conclude che
(1 + x)

= g(x) =

n=0
_

n
_
x
n
x ] 1, 1[ ,
che `e ci` o che volevamo dimostrare.
Concludiamo il paragrafo illustrando uninteressante propriet` a di cui godono
tutte le funzioni derivate, ossia tutte le funzioni g : [a, b] R tali che
g = f

per qualche funzione f derivabile in [a, b]: tali funzioni, pur non
essendo necessariamente continue, hanno la propriet`a di assumere tutti i
valori intermedi fra il loro estremo inferiore e il loro estremo superiore. Vale
infatti il seguente
Teorema 4.3.6 (di Darboux) Sia f : [a, b] R una funzione derivabile
e poniamo M = sup
[a,b]
f

, m = inf
[a,b]
f

. Allora per ogni ]m, M[ esiste


x [a, b] tale che f

(x) = .
286
Dimostrazione Fissato ]m, M[ , esistono y ]m, [ e z ], M[ tali
che y = f

(c) e z = f

(d), con c, d [a, b]. Indichiamo con I lintervallo


chiuso di estremi c, d (non sappiamo se `e c < d o il contrario): ovviamente
I `e contenuto in [a, b]. Posto h(x) = f(x) x, la funzione h `e derivabile
e quindi continua in I; pertanto f assume massimo e minimo in I, in due
punti x
0
e
0
. Osserviamo che
h

(c) = f

(c) < 0, h

(d) = f

(d) > 0;
dunque se risulta c < d si deduce, utilizzando lesercizio 4.3.3, che il punto
di massimo x
0
non pu`o coincidere ne con c, ne con d; se invece `e c > d,
analogamente si ricava che il punto di minimo
0
non pu` o coincidere ne con
c, ne con d. In denitiva vi `e sempre un punto x, interno ad I, nel quale la
funzione h assume massimo oppure minimo: dalla dimostrazione del teorema
di Rolle (teorema 4.3.1) segue allora che h

(x) = 0, ovvero f

(x) = .
Esercizi 4.3
1. Sia f : R R una funzione derivabile tale che
lim
x+
f(x) = lim
x
f(x) = R;
provare che esiste R tale che f

() = 0.
2. Siano f, g : [a, +[ R funzioni derivabili, con g

,= 0 in [a, +[ ; se
esistono niti i limiti
lim
x+
f(x) = , lim
x+
g(x) = ,
si dimostri che esiste > a tale che
f

()
g

()
=
f(a)
g(a)
.
3. Sia f : [a, b] R una funzione derivabile. Se x
0
[a, b] `e un punto di
massimo per f e
0
`e un punto di minimo per f, si provi che
f

(x
0
)
_
_
_
0 se x
0
= a
= 0 se a < x
0
< b
0 se x
0
= b,
f

(
0
)
_
_
_
0 se
0
= a
= 0 se a <
0
< b
0 se
0
= b.
287
4. Sia f :]a, b[R una funzione derivabile. Se esiste nito il limite
lim
xa
+
f

(x) = ,
si provi che f `e prolungabile con continuit` a nel punto a, che f `e deri-
vabile in tale punto e che f

(a) = .
[Traccia: si provi che per ogni > 0 esiste > 0 tale che [f(x)
f(y)[ < per ogni x, y [a, a +[ , e se ne deduca la continuit`a delle-
stensione di f; poi si provi che la stessa propriet`a vale per f

e se ne
deduca la derivabilit` a di f ed il fatto che f

(a) = .]
5. Sia f : R R una funzione derivabile tale che f(0) = 0 e [f

(x)[
[f(x)[ per ogni x R; provare che f `e identicamente nulla in R.
[Traccia: se x
0
`e punto di massimo per f in I = [
1
2
,
1
2
], si provi che
esiste I tale che [f

(x)[ [f

()[ [x
0
[ per ogni x I; se ne deduca
che f `e costante, quindi nulla, in I. Poi ci si allarghi a [1, 1], [
3
2
,
3
2
],
eccetera. . . ]
6. Si provi che lequazione x
1000
+ax +b = 0 ha al pi` u due soluzioni reali
per ogni scelta di a e b in R.
7. Si provi che lequazione x
999
+ ax + b = 0 ha al pi` u tre soluzioni reali
per ogni scelta di a e b in R, ed al pi` u una per ogni scelta di a 0 e
b R.
8. Si provi che
log
_
1 + x
1 x
=

n=0
x
2n+1
2n + 1
x ] 1, 1[ ;
scelto x =
1
2m+1
se ne deduca che
log
m + 1
m
=
2
2m + 1

n=0
1
2n + 1
1
(2m + 1)
2n
m N
+
.
9. Si provi che la serie

n=1
_
e
_
1 +
1
n
_
n
_
288
`e divergente, mentre la serie

n=1
_
e
_
1 +
1
n
2
_
n
2
_
`e convergente.
10. Si provi che

1 + x = 1 +

n=1
(1)
n1
(2n 3)!!
(2n)!!
x
n
x ] 1, 1[,
ove si `e indicato con m!! il prodotto di tutti i naturali fra 1 e m aventi
la stessa parit` a di m, e si `e posto m!! = 1 per m 0.
11. Determinare una serie di potenze la cui somma sia

2 x
2
in un
opportuno intervallo di centro 0.
12. Provare che valgono gli sviluppi in serie di potenze
arcsin x =

n=0
_
1/2
n
_
(1)
n
2n + 1
x
2n+1
=
=

n=0
(2n 1)!!
(2n)!!
1
2n + 1
x
2n+1
x [1, 1],
settsinh x = log
_
x +

1 + x
2
_
=

n=0
_
1/2
n
_
(1)
n
2n + 1
x
2n+1
=
=

n=0
(2n 1)!!
(2n)!!
1
2n + 1
x
2n+1
x ] 1, 1[ .
[Traccia: ripetere il ragionamento fatto per log(1 +x) e arctan x negli
esempi 4.3.5.]
13. Sia R. Si provi che la serie binomiale
_

n
_
x
n
:
(i) converge assolutamente per x = 1, se 0;
(ii) converge puntualmente per x = 1 e non converge per x = 1, se
1 < < 0;
289
(iii) non converge per x = 1, se 1.
[Traccia: se 1 si provi che

n
_

_

n+1
_

; se 1 si provi che

n
_


c
n(n1)
per ogni n sucientemente grande e c costante oppor-
tuna; se [[ < 1 si osservi che

_

n+1
_

<

n
_

= [[

n
k=2

1
+1
k

, e
sfruttando le relazioni

b
kb
< log
_
1
b
k
_
<
b
k
b ]0, 2[ , k 2,
log
n
2
<

n
k=2
1
k
< log n n 2,
si deducano le disuguaglianze
c
n
+1
<

n
_

<
c

n
+1
per ogni n 2 e per
opportune costanti c, c

.]
14. Si verichi che
x
2
ln(1 +x) x per ogni x [0, 1]; se ne deduca, uti-
lizzando le disuguaglianze fra media armonica, geometrica e aritmetica
(teorema 1.8.2 ed esercizio 1.8.4), che
_
n
2 ln(n + 1)
_
n
< n! <
_
n + 1
2
_
n
n N
+
.
Si confronti questo risultato con quello ottenuto nellesempio 2.7.10 (3).
4.4 Condizioni sucienti per la dierenziabi-
lit`a
Torniamo alle funzioni di pi` u variabili: con lausilio del teorema di Lagrange
si pu`o provare la dierenziabilit` a di unampia classe di tali funzioni.
Teorema 4.4.1 (del dierenziale totale) Sia A un aperto di R
m
, sia
x
0
A e sia f : A R una funzione con le seguenti propriet`a:
(i) vi `e una palla B(x
0
, r) A tale che esistano le derivate parziali D
i
f(x),
i = 1, . . . , m, in ogni punto x B(x
0
, r);
(ii) le derivate parziali D
i
f sono continue in x
0
.
Allora f `e dierenziabile nel punto x
0
.
290
Dimostrazione Facciamo la dimostrazione nel caso m = 2: il caso generale
`e del tutto analogo ma formalmente pi` u complicato (esercizio 4.4.2). Poniamo
dunque (x
0
, y
0
) = x
0
, (h, k) = h. Sia poi = [h[
2
. Se < r, ossia h
2
+ k
2
<
r
2
, allora i punti (x
0
, y
0
+k) e (x
0
+h, y
0
+k) appartengono ancora a B(x
0
, r).
Dobbiamo provare che
lim
0
1

_
f(x
0
+ h, y
0
+ k) f(x
0
, y
0
)
f
x
(x
0
, y
0
)h
f
y
(x
0
, y
0
)k
_
= 0.
Osserviamo che
f(x
0
+ h, y
0
+ k) f(x
0
, y
0
) =
= [f(x
0
+ h, y
0
+ k) f(x
0
, y
0
+ k)] + [f(x
0
, y
0
+ k) f(x
0
, y
0
)] ,
ed applicando il teorema di Lagrange alle due funzioni
t f(t, y
0
+ k), t compreso fra x
0
e x
0
+ h,
t f(x
0
, t), t compreso fra y
0
e y
0
+ k,
otteniamo
f(x
0
+ h, y
0
+ k) f(x
0
, y
0
) =
f
x
(, y
0
+ k)h +
f
y
(x
0
, )k
con punto opportuno compreso fra x
0
e x
0
+ h, e punto opportuno
compreso fra y
0
e y
0
+ k. Quindi
1

f(x
0
+ h, y
0
+ k) f(x
0
, y
0
)
f
x
(x
0
, y
0
)h
f
y
(x
0
, y
0
)k

[h[

f
x
(, y
0
+ k)
f
x
(x
0
, y
0
)

+
[k[

f
y
(x
0
, )
f
y
(x
0
, y
0
)

f
x
(, y
0
+ k)
f
x
(x
0
, y
0
)

f
y
(x
0
, )
f
y
(x
0
, y
0
)

;
quando 0 si ha h 0 e k 0, dunque x
0
e y
0
: perci` o lultimo
membro tende a 0 in virt` u della continuit` a delle derivate parziali di f nel
punto (x
0
, y
0
). Ne segue la tesi.
Osserviamo che il teorema precedente esprime una condizione soltanto suf-
ciente per la dierenziabilit`a di f in x
0
: nellesercizio 4.4.1 si esibisce una
funzione che `e dierenziabile benche non soddis le ipotesi del teorema del
dierenziale totale.
291
Esercizi 4.4
1. Provare che la funzione
f(x, y) =
_
y
2
cos
1
y
se x R, y ,= 0
0 se x R, y = 0
`e dierenziabile nel punto (0, 0), ma non soddisfa in tale punto le ipotesi
del teorema del dierenziale totale.
2. Dimostrare il teorema del dierenziale totale nel caso generale (funzioni
di m variabili anziche di due).
3. Sia A un cono di R
m
(cio`e un insieme tale che se x A allora tx A
per ogni t > 0). Una funzione f : A R si dice omogenea di grado
R se verica lidentit` a
f(tx) = t

f(x) t > 0, x A.
Provare che:
(i) se f `e dierenziabile in A, allora le derivate parziali D
i
f sono
funzioni omogenee di grado 1;
(ii) vale lidentit`a di Eulero
f(x), x
m
= f(x) x A.
4. Sia H una matrice reale e simmetrica mm. Si verichi che la funzione
(v) = Hv, v
m
`e una funzione omogenea di grado 2 su R
m
(essa si
chiama forma quadratica associata alla matrice H), e se ne calcoli il
gradiente.
5. Si consideri la funzione f : R
2
R cos` denita:
f(x, y) =
_
0 se x R, y = 0
y e
(
xy
y
)
2
se x R, y ,= 0.
(i) Si verichi che f `e continua in R
2
.
(ii) Si provi che esistono le derivate parziali di f in ogni punto di R
2
.
292
(iii) Si scriva il vettore gradf(0, 0).
(iv) Si dimostri che f non `e dierenziabile nellorigine, mentre lo `e negli
altri punti di R
2
.
6. Si consideri la funzione f : R
2
R cos` denita:
f(x, y) =
_

_
x ln y
2
y
2
1
se x R, y ,= 1
x se x R, y = 1.
(i) Determinare linsieme dei punti ove f `e continua.
(ii) Determinare linsieme dei punti ove esistono le derivate parziali e
calcolare tali derivate.
(iii) Determinare linsieme dei punti ove f `e dierenziabile e calcolarne
il dierenziale.
7. Sia f una funzione dierenziabile con derivate parziali continue in R
2
,
e tale che
f(x, y) = 0 (x, y) ,
ove = (x, y) R
2
: x = y.
(i) Provare che
f
x
(x, y) =
f
y
(x, y) (x, y) .
(ii) Provare che la funzione
g(x, y) =
f(x, y)
x y
, (x, y) R
2

`e estendibile con continuit` a a R
2
.
4.5 Dierenziabilit`a di funzioni composte
Estenderemo al caso di funzioni di pi` u variabili il teorema di derivazione delle
funzioni composte (teorema 4.1.6). Cominciamo dal caso pi` u semplice: sia A
un aperto di R
m
, sia f : A R una funzione, e sia u : [a, b] A una funzione
293
a valori vettoriali: ci`o signica che u(t) `e un vettore (u
1
(t), . . . , u
m
(t)) di
R
m
, il quale appartiene ad A per ogni scelta di t [a, b]. Ha dunque senso
considerare la funzione composta F(t) = f(u(t)), che `e denita su [a, b] a
valori in R.
Teorema 4.5.1 Nelle ipotesi sopra dette, se f `e dierenziabile in A e u `e
derivabile in [a, b] (ossia le funzioni u
1
,. . . ,u
m
sono derivabili in [a, b]), allora
F `e derivabile in [a, b] e si ha
F

(t) = ([f] u)(t), u

(t)
m
=
m

i=1
f
x
i
(u(t)) (u
i
)

(t) t [a, b].


Dimostrazione Le u
i
sono funzioni derivabili: quindi, ssato t [a, b], per
ogni k R tale che t + k [a, b] si pu` o scrivere
u
i
(t + k) u
i
(t) = (u
i
)

(t) k + k w
i
(k), i = 1, . . . , n,
ove le funzioni w
i
sono innitesime per k 0; ossia, in forma vettoriale,
u(t + k) u(t) = u

(t) k + k w(k),
ove [w(k)[
m
0 per k 0.
Daltra parte, essendo la funzione f dierenziabile nel punto u(t), dallos-
servazione 4.2.7 segue, prendendo come incremento vettoriale h la quantit` a
u(t + k) u(t), che
f(u(t + k)) f(u(t)) f(u(t)), u(t + k) u(t)
m
=
= [u(t + k) u(t)[
m
(u(t + k) u(t)),
ove (h) `e un innitesimo per h 0. Ne segue
F(t + k) F(t) f(u(t)), u

(t)
m
k =
= f(u(t)), w(k) k
m
+[u(t + k) u(t)[
m
(u(t + k) u(t)) =
= f(u(t)), w(k) k
m
+[(u

(t) +w(k)) k[
m
(u(t + k) u(t));
poiche
lim
k0

1
k
_
f(u(t)), w(k) k +[(u

(t) +w(k)) k[
m
(u(t + k) u(t))
_

lim
k0
_
[f(u(t))[
m
[(k)[
m
+[u

(t) +w(k)[
m
[(u(t + k) u(t))[
_
= 0,
294
si conclude che
lim
k0
F(t + k) F(t)
k
= f(u(t)), u

(t)
m
.
Il risultato che segue prova la dierenziabilit` a delle funzioni composte nel
caso pi` u generale.
Teorema 4.5.2 Sia A un aperto di R
m
, sia B un aperto di R
p
e conside-
riamo due funzioni f : A R e g : B A. Se f `e dierenziabile in A
e se g `e dierenziabile in B (ossia le componenti scalari g
1
, . . . , g
m
di g
sono dierenziabili in B), allora la funzione composta F(x) = f(g(x)) =
f(g
1
(x), . . . , g
m
(x)) `e dierenziabile in A e risulta
F
x
j
(x) =
m

k=1
f
y
k
(g(x))
g
k
x
j
(x) x B, j = 1, . . . , p.
Dimostrazione Le funzioni g
1
, . . . , g
m
sono dierenziabili in B, quindi si
ha
g
i
(x +h) g
i
(x) = g
i
(x), h
p
+[h[
p
w
i
(h), i = 1, . . . , m,
ove le funzioni w
i
sono innitesime per h 0. Introducendo la matrice
Dg(x), la cui riga i-sima `e il vettore g
i
(x), e che quindi `e mp, possiamo
scrivere le relazioni precedenti in forma vettoriale:
g(x +h) g(x) = Dg(x)h +[h[
p
w(h),
ove [w(h)[
m
0 per [h[
p
0. Daltronde, siccome f `e dierenziabile nel
punto g(x), scelto lincremento k = g(x +h) g(x) si ha
f(g(x +h)) f(g(x)) [f](g(x)), g(x +h) g(x)
m
=
= [g(x +h) g(x)[
m
(g(x +h) g(x)),
ove (k) `e un innitesimo per [k[
p
0. Ne segue
f(g(x +h)) f(g(x)) [f](g(x)), Dg(x)h
m
=
= [f](g(x)), [h[
p
w(h)
m
+[g(x +h) g(x)[
m
(g(x +h) g(x)) =
= [f](g(x)), [h[
p
w(h)
m
+[Dg(x)h +[h[
p
w(h)[
m
(g(x +h) g(x));
295
denotando lultimo membro con (h), osserviamo che risulta
lim
|h|p0
(h)
[h[
p
= 0.
Dunque si conclude che f g `e dierenziabile nel generico punto x e si ha
(f g)(x), h
m
= [f](g(x)), Dg(x)h
m
h R
m
,
il che implica in particolare
D
i
f(g(x)) =
m

k=1
[D
k
f](g(x))D
i
g
k
(x), i = 1, . . . , m.
Esempi 4.5.3 (1) (Coordinate polari in R
2
) Poniamo, come si `e fatto nel-
losservazione 3.3.7,
_
x = r cos
y = r sin ,
r 0, [0, 2].
Se f(x, y) `e una funzione dierenziabile, posto u(r, ) = f(r cos , r sin ) si
ha
u
r
(r, ) =
f
x
(r cos , r sin ) cos +
f
y
(r cos , r sin ) sin ,
u

(r, ) =
f
x
(r cos , r sin )r sin +
f
y
(r cos , r sin )r cos ,
e in particolare
[[f](r cos , r sin )[
2
2
=
_
u
r
(r, )
_
2
+
1
r
2
_
u

(r, )
_
2
r > 0, [0, 2].
(2) (Coordinate polari in R
3
) Poniamo
_
_
_
x = r sin cos
y = r sin sin
z = r cos ,
r 0, [0, 2], [0, 2].
296
La quantit` a r rappresenta la distanza del
punto P = (x, y, z) dallorigine O; il numero
`e la colatitudine, ossia langolo convesso
che il segmento OP forma con il segmento
ON, ove N `e il polo nord (0, 0, r); inne,
il numero `e la longitudine, cio`e langolo
(orientato) fra la semiretta delle x 0 e la
proiezione di OP sul piano xy.
Come nel caso bidimensionale, la corrispondenza (r, , ) = (x, y, z) non `e
biunivoca poiche tutte le terne (0, , ) rappresentano lorigine, tutte le terne
(r, 0, ) e (r, 0, ) rappresentano i due poli (0, 0, r) e (0, 0, r) rispettiva-
mente, ed inne le terne (r, , 0) e (r, , 2) rappresentano lo stesso punto
sul piano xz. Lapplicazione trasforma parallelepipedi dello spazio r in
settori sferici dello spazio xyz.
Se f(x, y, z) `e una funzione dierenziabile e v = f , si puo vericare che
(omettendo, per brevit` a, la dipendenza delle funzione dalle variabili):
v
r
=
_
f
x

_
sin cos +
_
f
y

_
sin sin +
_
f
z

_
cos ,
v

=
_
f
x

_
r cos cos +
_
f
y

_
r cos sin
_
f
z

_
r sin ,
v

=
_
f
x

_
r sin sin +
_
f
y

_
r sin cos .
In particolare si verica facilmente che
[[f] [
2
3
=
_
v
r
_
2
+
1
r
2
_
v

_
2
+
1
r
2
sin
2

_
v

_
2
per ogni r > 0, ]0, [ , [0, 2].
297
Esercizi 4.5
1. Scrivere la derivata rispetto a t delle funzioni composte f(u(t)) seguen-
ti:
(a) f(x, y) = x
2
+ y
2
, u(t) = (1 + t, 1 t);
(b) f(x, y) = (x
2
+ y
2
)
2
, u(t) = (cos t, sin t);
(c) f(x, y) = log(x
2
y
2
), u(t) = (cos t, sin t) con 0 < t <

4
;
(d) f(x, y) =
xy
x
2
+ y
4
, u(t) = (3t
2
, 2t) con t ,= 0.
2. Sia A un aperto di R
m
e sia f : A R una funzione dierenziabile. Se
x, y A, e se tutto il segmento I di estremi x e y `e contenuto in A, si
provi che
f(x) f(y) = f(v), x y
m
,
ove v `e un punto opportuno del segmento I.
[Traccia: si applichi il teorema di Lagrange alla funzione F(t) = f(x+
t(y x)), 0 t 1.]
3. Sia f : [0, [R una funzione derivabile; posto
u(x) = f
_
[x[
2
m
_
, x R
m
,
si provi che u `e dierenziabile in R
m
e se ne calcoli il gradiente.
4.6 Derivate successive
Sia f : ]a, b[ R una funzione derivabile. Allora per ogni x ]a, b[ esiste la
derivata f

(x): dunque resta denita la funzione derivata f

:]a, b[ R. Se
questa funzione `e a sua volta derivabile in ]a, b[, la sua derivata (f

si dice
derivata seconda di f e si indica con i simboli
f

(x), D
2
f(x),
d
2
f
dx
2
(x)
(la f

, per analogia, si dir`a derivata prima di f). In particolare


f

(x) = lim
h0
f

(x + h) f

(x)
h
x ]a, b[ .
298
Analogamente si deniscono, quando `e possibile, la derivata terza, quarta,
. . . , n-sima di f, che si indicano con f
(3)
, f
(4)
, . . . , f
(n)
; si ha
f
(k)
(x) = lim
h0
f
(k1)
(x + h) f
(k1)
(x)
h
x ]a, b[ , k = 1, . . . , n.
In tal caso si dice che f `e derivabile n volte in ]a, b[.
Esempi 4.6.1 (1) Se f(x) = x
2
+ 3x + 2, si ha f

(x) = 2x + 3, f

(x) = 2,
f
(n)
(x) = 0 per ogni n > 2.
(2) Se f(x) = x[x[, si ha f

(x) = 2[x[ e
f

(x) =
_
2 se x > 0
2 se x < 0,
mentre f

(0) non esiste.


(3) Se f(x) = b
x
, si ha f
(n)
(x) = b
x
(ln b)
n
per ogni n N
+
.
Per le funzioni di pi` u variabili valgono considerazioni analoghe. Sia f : A
R, ove A `e un aperto di R
m
; se f `e dierenziabile in A, allora esistono le m
derivate parziali prime D
i
f(x), i = 1, . . . , m. Se ciascuna di queste funzioni,
a sua volta, `e dierenziabile in A, esisteranno le m
2
derivate parziali seconde
D
j
(D
i
f)(x), i, j = 1, . . . , m; per tali funzioni useremo i simboli
D
j
D
i
f(x), f
x
j
x
i (x),

2
f
x
j
x
i
(x),
e se i = j
D
2
j
f(x), f
x
j
x
j (x),

2
f
x
j
2
(x).
In generale, f avr` a m
k
derivate parziali k-sime (se queste esistono tutte).
Denizione 4.6.2 Diciamo che una funzione f `e di classe C
k
in A, e scri-
viamo f C
k
(A), se f possiede tutte le derivate parziali no allordine k
incluso, e inoltre f e le sue derivate sono continue in A; in particolare,
denotiamo con C
0
(A), o semplicemente con C(A), linsieme delle funzioni
continue in A. Poniamo inoltre
C

(A) =

k=0
C
k
(A).
299
In modo analogo si denisce C
k
(]a, b[) nel caso di funzioni di una sola varia-
bile.
Esempi 4.6.3 (1) Ogni polinomio in m variabili `e una funzione di classe
C

(R
m
).
(2) La funzione f(x) = [x[
k+1/2
`e di classe C
k
, ma non di classe C
k+1
, su R.
(3) Le somme di serie di potenze reali sono funzioni di classe C

sullinter-
vallo aperto di convergenza.
In generale, pu`o darsi il caso che esistano le derivate seconde D
i
D
j
f e D
j
D
i
f
di una funzione f di m variabili, ma che queste due derivate siano diver-
se fra loro: un esempio `e fornito nellesercizio 4.6.5. Tuttavia sotto ipote-
si assai ragionevoli vale il seguente risultato sullinvertibilit`a dellordine di
derivazione:
Teorema 4.6.4 (di Schwarz) Se A `e un aperto di R
m
e f C
2
(A), allora
per ogni i, j = 1, . . . , m si ha
D
j
D
i
f(x) = D
i
D
j
f(x) x A.
Dimostrazione Si vedano gli esercizi 4.6.6 e 4.6.7.
Di conseguenza, se f : A R `e di classe C
2
sullaperto A R
m
, la sua
matrice Hessiana, denita da
H(x) =
_

_
D
2
1
f(x) D
1
D
m
f(x)


D
m
D
1
f(x) D
2
m
f(x)
_

_
, x A,
`e una matrice mm reale e simmetrica; ritorneremo a parlare di essa quando
studieremo i massimi e i minimi di funzioni di pi` u variabili (paragrafo 4.11).
Principio di identit`a delle serie di potenze
Per i polinomi vale il principio di identit`a, ben noto in algebra, secondo il
quale due polinomi che coincidono per ogni valore della variabile devono avere
gli stessi coecienti. Le serie di potenze condividono questa fondamentale
propriet` a: in altre parole, i loro coecienti sono univocamente determinati
dalla somma della serie. Ci` o `e conseguenza del seguente
300
Teorema 4.6.5 Sia

n=0
a
k
x
k
una serie di potenze reale con raggio di con-
vergenza R > 0, e sia f(x) la sua somma per [x[ < R. Allora:
(i) f appartiene a C

( ] R, R[ ) (cio`e esiste f
(n)
(x) per ogni n N e per
ogni x ] R, R[ );
(ii) risulta
f
(n)
(x) =

k=n
k(k 1) . . . (k n + 1) a
k
x
kn
x ] R, R[ ;
(iii) in particolare,
a
n
=
f
(n)
(0)
n!
n N,
ove f
(0)
signica f.
Dimostrazione Dal teorema 4.1.11 sappiamo che f `e derivabile e che
f

(x) =

k=1
k a
k
x
k1
x ] R, R[ .
Ma allora f

`e a sua volta somma di una serie di potenze in ] R, R[ :


applicando nuovamente il teorema 4.1.11 segue che f

`e derivabile e che
f

(x) =

k=2
k(k 1) a
k
x
k2
x ] R, R[ .
Iterando il procedimento si ottengono (i) e (ii). In particolare, scegliendo
x = 0 nella serie di f
(n)
, tutti gli addendi con k > n spariscono e pertanto
f
(n)
(0) = n(n 1) . . . (n n + 1) a
n
= n! a
n
.
Corollario 4.6.6 (principio di identit`a delle serie di potenze) Siano

n=0
a
n
x
n
e

n=0
b
n
x
n
due serie di potenze reali con raggi di convergenza
R, R

> 0. Posto r = minR, R

, se risulta

n=0
a
n
x
n
=

n=0
b
n
x
n
x ] r, r[ ,
allora si ha a
n
= b
n
per ogni n N.
Dimostrazione Basta applicare il teorema 4.6.5 alla serie dierenza, cio`e

(a
n
b
n
)x
n
, la quale per ipotesi ha somma 0 in ] r, r[ .
301
Esercizi 4.6
1. Sia f : ]a, b[ R e supponiamo che f sia derivabile due volte in ]a, b[ .
Siano x
1
, x
2
, x
3
punti di ]a, b[ , con x
1
< x
2
< x
3
e f(x
1
) = f(x
2
) =
f(x
3
). Si provi che esiste ]x
1
, x
3
[ tale che f

() = 0.
2. Sia f : ]a, b[ R derivabile due volte in ]a, b[ . Si provi che
f

(x) = lim
h0
f(x + h) + f(x h) 2f(x)
h
2
x ]a, b[ .
3. Calcolare f
(n)
(x) per ogni n N
+
nei casi seguenti:
(i) f(x) = log
b
x, (ii) f(x) = cos bx, (iii) f(x) = b
x
, (iv) f(x) = x
b
.
4. Si dimostri la formula di Leibniz per la derivata n-sima di un prodotto:
D
n
(fg)(x) =
n

k=0
_
n
k
_
D
k
f(x) D
nk
g(x).
[Traccia: si ragioni per induzione.]
5. Sia f : R
2
R la funzione cos` denita:
f(x, y) =
_
_
_
y
2
arctan
x
y
se y ,= 0, x R
0 se y = 0, x R.
Si provi che f
xy
(0, 0) = 0 e f
yx
(0, 0) = 1.
6. Sia A un aperto di R
2
, sia f C
2
(A) e sia (x
0
, y
0
) A. Posto
A(h, k) = f(x
0
+ h, y
0
+ k) f(x
0
+ h, y
0
) f(x
0
, y
0
+ k) + f(x
0
, y
0
),
si provi che esiste , intermedio fra x
0
e x
0
+ h, tale che
A(h, k) = h[f
x
(, y
0
+ k) f
x
(, y
0
)];
si provi poi che esiste , intermedio fra y
0
e y
0
+ k, tale che
A(h, k) = hk f
yx
(, ).
302
Inne, in modo analogo si verichi che esistono

, intermedio fra y
0
e
y
0
+ k, e

, intermedio fra x
0
e x
0
+ h, tali che
A(h, k) = hk f
xy
(

),
e se ne deduca il teorema di Schwarz nel caso m = 2.
[Traccia: si applichi opportunamente il teorema di Lagrange.]
7. Si generalizzi largomentazione dellesercizio precedente al caso di m
variabili, provando che se f C
2
(A) allora D
i
D
j
f = D
j
D
i
f in A.
[Traccia: ci si riconduca al caso di due variabili osservando che il
ragionamento coinvolge solo le due variabili x
i
e x
j
.]
8. Sia f C
k
(A), con A aperto di R
m
. Si verichi che le derivate distinte
di f di ordine k sono
_
m+k1
k
_
.
9. Sia
f(x, y) =
_
x y se x > 0, y R
x ye
x
2
se x 0, y R.
(i) Si verichi che f `e dierenziabile in R
2
.
(ii) Si calcolino f
xy
(0, 0) e f
yx
(0, 0).
10. Sia f : R R di classe C

. Se esiste n N
+
tale che f
(n)
0, si
provi che f `e un polinomio di grado non superiore a n 1.
11. Si provi che se
f(x) =

n=0
a
n
x
n
, x ] R, R[ ,
allora per ogni x
0
] R, R[ la funzione f `e somma di una serie di
potenze di centro x
0
in ]x
0
r, x
0
+ r[ , ove r = R [x
0
[.
[Traccia: usando la formula di Newton per il binomio, si scriva x
n
=
303
[(x x
0
) + x
0
]
n
e
f(x) =

n=0
a
n
[(x x
0
) + x
0
]
n
=

n=0
a
n

k=0
_
n
k
_
x
nk
0
(x x
0
)
k
=
(poiche la somma `e estesa agli indici (k, n) N
2
con n k)
=

k=0
_

n=k
a
n
_
n
k
_
x
nk
0
_
(x x
0
)
k
=
=

k=0
_

n=k
n(n 1) . . . (n k + 1)a
n
x
nk
0
_
(x x
0
)
k
=
(per il teorema 4.6.5)
=

k=0
1
k!
f
(k)
(x
0
)(x x
0
)
k
.
Occorre per` o vericare la validit` a della terza uguaglianza: cio`e, bisogna
vericare che se a
nk
: n, k N, n k `e una famiglia di numeri reali
o complessi tali che

n=0
_
n

k=0
[a
nk
[
_
= L < +,
allora le serie

n=k
a
nk
per ogni k N,

n=0
_

k=0
a
nk
_
,

k=0
_

n=k
a
nk
_
sono assolutamente convergenti e si ha

n=0
_

k=0
a
nk
_
=

k=0
_

n=k
a
nk
_
.
A questo scopo si utilizzi lesercizio 2.8.4.]
4.7 Confronto di innitesimi e inniti
Nel calcolo di limiti di funzioni di una variabile, il pi` u delle volte ci si trova
a dover determinare leettivo comportamento di una forma indeterminata
304
del tipo 0/0 oppure /. A questo scopo `e utile la seguente terminologia.
Siano f, g funzioni denite in un intorno di x
0
, ove x
0
R oppure x
0
= ,
e innitesime per x x
0
, cio`e (denizione 3.3.1) tali che
lim
xx
0
f(x) = lim
xx
0
g(x) = 0.
Supporremo, per semplicit`a, che f e g siano diverse da 0 in un intorno di x
0
(salvo al pi` u x
0
).
Diremo che f `e un innitesimo di ordine superiore a g per x x
0
(oppure,
equivalentemente, che g `e un innitesimo di ordine inferiore a f per x x
0
)
se
lim
xx
0
f(x)
g(x)
= 0;
in tal caso useremo la scrittura
f(x) = o(g(x)) per x x
0
,
che si legge f `e o-piccolo di g per x x
0
.
Diciamo che f e g sono innitesimi dello stesso ordine per x x
0
se esiste
R 0 tale che
lim
xx
0
f(x)
g(x)
= .
Esempi 4.7.1 (1) sin
2
x `e un innitesimo per x 0 di ordine superiore a
x, dello stesso ordine di x
2
, e di ordine inferiore a x
3
, in quanto
lim
x0
sin
2
x
x
= 0, lim
x0
sin
2
x
x
2
= 1, lim
x0
x
3
sin
2
x
= 0.
(2) e
x
`e un innitesimo per x + di ordine superiore a x
n
qualunque
sia n N
+
, in quanto
lim
x+
e
x
x
n
= 0 n N
+
.
(3) 1/ ln x `e un innitesimo per x 0
+
di ordine inferiore a x

qualunque
sia > 0, in quanto
lim
x0
+
x

ln x = 0 > 0.
(4) Se f `e derivabile in x
0
, allora losservazione 4.1.2 (2) ci dice che
f(x) f(x
0
) f

(x
0
)(x x
0
) = o(x x
0
) per x x
0
.
305
(5) Dire che f(x) = o(1) per x x
0
signica semplicemente che f(x) `e un
innitesimo per x x
0
.
(6)
`
E facile costruire due innitesimi non confrontabili fra loro: tali sono ad
esempio, per x 0, le funzioni f(x) = x e g(x) = x(2 + sin
1
x
).
Osservazione 4.7.2 Accanto alla notazione o-piccolo esiste anche la scrit-
tura O-grande: se f e g sono innitesimi per x x
0
, dire
f(x) = O(g(x)) per x x
0
(che si legge f(x) `e O-grande di g(x) per x x
0
) signica che esiste K > 0
tale che
[f(x)[ K[g(x)[ in un intorno di x
0
.
Dunque
f(x) = o(g(x)) per x x
0
= f(x) = O(g(x)) per x x
0
,
ma il viceversa `e falso: basta pensare a due innitesimi dello stesso ordine.
Il risultato che segue aiuta a semplicare il calcolo del limite di una forma
indeterminata 0/0.
Proposizione 4.7.3 (principio di sostituzione degli innitesimi) Sia-
no f, g, , funzioni innitesime per x x
0
, diverse da 0 per x ,= x
0
(con
x
0
R oppure x
0
= ). Se
(x) = o(f(x)) e (x) = o(g(x)) per x x
0
,
e se esiste (nito o innito) il limite
lim
xx
0
f(x)
g(x)
,
allora si ha anche
lim
xx
0
f(x) + (x)
g(x) + (x)
= lim
xx
0
f(x)
g(x)
.
Dimostrazione Basta osservare che
f(x) + (x)
g(x) + (x)
=
f(x)
g(x)

1 +
(x)
f(x)
1 +
(x)
g(x)
,
e che il secondo fattore tende a 1 per x x
0
.
306
Esempi 4.7.4 (1) Si ha, in base al principio di sostituzione,
lim
x0
sin x x
2
x + x

x
= lim
x0
sin x
x
= 1.
(2) Calcoliamo (se esiste) il limite
lim
x0
sin x x + ln(1 + x
2
)
x
2
.
La funzione ln(1 + x
2
) `e un innitesimo per x 0 di ordine superiore sia
rispetto a sin x, sia rispetto a x; tuttavia essa non `e un innitesimo di ordine
superiore a h(x) = sin x x, in quanto h(x) `e dello stesso ordine di x
3
(esercizio 3.3.12) mentre ln(1 + x
2
) `e dello stesso ordine di x
2
. Sarebbe
perci`o sbagliato concludere che il limite proposto coincide con
lim
x0
sin x x
x
2
= 0;
esso invece coincide con
lim
x0
ln(1 + x
2
)
x
2
= 1.
Discorsi analoghi, come ora vedremo, valgono per gli inniti per x x
0
, cio`e
per le funzioni f denite in un intorno di x
0
(salvo al pi` u x
0
) e tali che
1
f(x)
sia innitesimo per x x
0
.
Siano f, g due inniti per x x
0
: diciamo che f `e un innito di ordine
superiore a g per x x
0
, ovvero che g `e un innito di ordine inferiore a f
per x x
0
, se
lim
xx
0
g(x)
f(x)
= 0;
in tal caso useremo ancora la scrittura
g(x) = o(f(x)) per x x
0
.
Diciamo che f e g sono inniti dello stesso ordine per x x
0
se esiste un
numero reale ,= 0 tale che
lim
xx
0
g(x)
f(x)
= .
Si noti che, in conseguenza delle denizioni di o-piccolo e O-grande, f `e
un innito di ordine superiore a g per x x
0
se e solo se 1/f `e un innitesimo
di ordine superiore a 1/g per x x
0
.
307
Esempi 4.7.5 (1)

1 + x
3
`e un innito di ordine superiore a x per x
+, in quanto
lim
x+
x

1 + x
3
= 0.
(2) tan x `e un innito dello stesso ordine di
1
+2x
per x

2
+
, in quanto
lim
x/2
+
( + 2x) tan x = lim
x/2
+
2
_

2
+ x
_
sin x
cos x
=
= lim
x/2
+
2
_

2
+ x
_
sin
_

2
+ x
_ sin x = 2.
(3) Le funzioni
1
x
e
1
x
(2 + sin
1
x
) sono inniti non confrontabili per x 0.
Proposizione 4.7.6 (principio di sostituzione degli inniti) Siano f,
g, , funzioni innite per x x
0
, ove x
0
R oppure x
0
= . Se
(x) = o(f(x)) e (x) = o(g(x)) per x x
0
,
e se esiste (nito o innito) il limite
lim
xx
0
f(x)
g(x)
,
allora si ha anche
lim
xx
0
f(x) + (x)
g(x) + (x)
= lim
xx
0
f(x)
g(x)
.
Dimostrazione Analoga a quella del principio di sostituzione degli inni-
tesimi.
Un utile strumento per lo studio delle forme indeterminate (non il pi` u im-
portante, per`o: spesso `e pi` u utile la formula di Taylor, come mostreranno
lesempio 4.8.4 (2) e lesercizio 4.8.7) `e il seguente
Teorema 4.7.7 (di de lHopital) Sia x
0
[a, b] e siano f, g funzioni de-
rivabili in ]a, b[ x
0
. Se:
(i) f, g sono entrambe innitesimi, oppure inniti, per x x
0
,
(ii) g

,= 0 in un intorno di x
0
(salvo al pi` u in x
0
),
308
(iii) esiste, nito o innito, il limite
lim
xx
0
f

(x)
g

(x)
,
allora
lim
xx
0
f(x)
g(x)
= lim
xx
0
f

(x)
g

(x)
.
Dimostrazione Anzitutto, prolunghiamo oppure ri-deniamo f e g nel
punto x
0
ponendo f(x
0
) = g(x
0
) = 0. (Ci`o `e necessario se f e g non sono
denite in x
0
, come ad esempio nel caso di
1cos x
x
nel punto 0, oppure se f e g
sono denite in x
0
con valori reali non nulli e quindi, per (i), sono discontinue
in tale punto.) In questo modo, f e g risultano continue in ]a, b[ e derivabili
in ]a, b[ x
0
.
Dobbiamo calcolare il limite di
f(x)
g(x)
per x x
0
. Detto il limite di
f

(x)
g

(x)
per
x x
0
, e supposto per ssare le idee R, per ogni > 0 esiste > 0 tale
che
0 < [x x
0
[ < =

(x)
g

(x)

< .
Sia x ]a, b[ tale che 0 < [x x
0
[ < , e supponiamo ad esempio x < x
0
:
allora f e g soddisfano le ipotesi del teorema di Cauchy (teorema 4.3.2)
nellintervallo [x, x
0
]; quindi esiste ]x, x
0
[ tale che
f(x)
g(x)
=
f(x) f(x
0
)
g(x) g(x
0
)
=
f

()
g

()
.
Ma [ x
0
[ < [x x
0
[ < e dunque

f(x)
g(x)

()
g

()

< .
Ci` o prova che
f(x)
g(x)
converge a per x x
0
. Discorso analogo se = e
se x > x
0
.
Passiamo ora a considerare il caso in cui f e g sono inniti per x x
0
. In
questo caso la dimostrazione `e meno semplice. Proveremo la tesi solamente
nel caso in cui R; per il caso = si rimanda allesercizio 4.7.5.
Fissati due punti distinti x, ]a, b[ x
0
, entrambi minori o entrambi
maggiori di x
0
, per il teorema di Cauchy possiamo scrivere
f(x) f()
g(x) g()
=
f

()
g

()
,
309
con opportuno punto intermedio fra x e . Questa scrittura ha senso se i
punti x, sono sucientemente vicini a x
0
, poiche in tal caso vale lipotesi
(ii), che assicura liniettivit`a di g. La relazione sopra scritta equivale, con
facili calcoli, a
f(x)
g(x)
=
1
g()
g(x)
1
f()
f(x)
f

()
g

()
,
scrittura che a sua volta ha senso per x sucientemente vicino a x
0
, visto
che f e g tendono a per x x
0
. Sia ora > 0 e sia

]0, 1[ un altro
numero, che sseremo in seguito. Per lipotesi (iii), esiste > 0 tale che

(u)
g

(u)

<

per u ]a, b[ , 0 < [u u


0
[ < .
Scegliamo = x
0


2
, a seconda che sia x > x
0
oppure x < x
0
. Allora
quando 0 < [x x
0
[ < si avr`a anche 0 < [ x
0
[ < e dunque

()
g

()

<

.
Adesso osserviamo che, con la nostra scelta di , si ha
lim
xx
0
1
g()
g(x)
1
f()
f(x)
= 1,
e dunque esiste ]0, [ tale che

1
g()
g(x)
1
f()
f(x)
1

<

per 0 < [x x
0
[ < .
Valutiamo allora la quantit` a

f(x)
g(x)

quando 0 < [x x
0
[ < : si ha

f(x)
g(x)

1
g()
g(x)
1
f()
f(x)
f

()
g

()

1
g()
g(x)
1
f()
f(x)
1

()
g

()

()
g

()

([[ +

) +

.
310
Essendo

< 1, deduciamo

f(x)
g(x)

< ([[ + 2)

per 0 < [x x
0
[ < ,
e scegliendo inne

<

||+2
si conclude che

f(x)
g(x)

< per 0 < [x x


0
[ < ,
che `e la tesi.
Osservazioni 4.7.8 (1) Il teorema di de LH opital vale anche nel caso di
rapporti di innitesimi, o di inniti, per x x
+
0
, o per x x

0
, o anche per
x . Le dimostrazioni sono essenzialmente analoghe (esercizio 4.7.5).
(2) La soppressione di una qualunque delle tre ipotesi rende falso il teorema:
si vedano gli esercizi 4.7.2 e 4.7.3.
(3) In pratica la sostituzione di
f
g
con
f

porta sovente ad unulteriore forma


indeterminata. In questi casi, se le tre ipotesi (i)-(ii)-(iii) sono ancora sod-
disfatte, si pu` o applicare il teorema di de LH opital alle funzioni f

e g

, e
considerare i limiti per x x
0
di
f

, poi di
f
(3)
g
(3)
, eccetera, nche non si trova
un n N
+
tale che
lim
xx
0
f
(n)
(x)
g
(n)
(x)
= ;
si avr`a allora (e solo allora, cio`e solo quando tale limite esiste)
lim
xx
0
f
(n1)
(x)
g
(n1)
(x)
= lim
xx
0
f
(n2)
(x)
g
(n2)
(x)
= . . . = lim
xx
0
f(x)
g(x)
= .
Esempio 4.7.9 Si ha, usando due volte il teorema di de LH opital,
lim
x0
cos 2x cos x
x
2
= lim
x0
2 sin 2x + sin x
2x
= lim
x0
4 cos 2x + cos x
2
=
3
2
.
Esercizi 4.7
1. Nellenunciato del teorema di de LH opital, nel caso del confronto di
due innitesimi, non si fa lipotesi che la funzione g sia diversa da 0 in
un intorno di x
0
(salvo al pi` u x
0
): si provi che ci` o `e conseguenza delle
altre ipotesi del teorema.
311
2. Posto f(x) = ln x e g(x) = x, si verichi che
lim
x0
+
f(x)
g(x)
,= lim
x0
+
f

(x)
g

(x)
.
Come mai?
3. Calcolare, se esistono, i limiti
(a) lim
x+
x + sin x
x
, (b) lim
x0
x
2
sin 1/x
sin x
.
4. Posto f(x) = x+cos
2
_

4
x
_
e g(x) = e
sin x
(x+sin x cos x), si verichi
che
lim
x+
f

(x)
g

(x)
= 0, lim
x+
f(x)
g(x)
non esiste.
Come mai?
5. Dimostrare il teorema di de LH opital nel caso in cui
f

(x)
g

(x)
per
x x
0
, e nel caso di forme indeterminate 0/0 e / per x .
6. Sia f : [a, b] R una funzione continua, sia x
0
]a, b[ e supponiamo
che f sia derivabile in ]a, b[ x
0
. Si provi che se esiste lim
xx
0
f

(x) =
R, allora f `e derivabile anche nel punto x
0
, con f

(x
0
) = .
7. Calcolare, se esistono, i seguenti limiti:
(i) lim
x0
+
(arctan x)
tan x
; (ii) lim
x/4

2 sin x cos x
ln sin 2x
;
(iii) lim
x0
+
log
x
(e
x
1); (iv) lim
x+
ln(1 + 2e
x
)

1 + x
2
;
(v) lim
x1
x x
x
1 x ln x
; (vi) lim
x0
+
tan x ln sin x;
(vii) lim
x0
_
1
x
_
tan x
; (viii) lim
x0
_
1
1 cos x

2
x
2
_
;
312
(ix) lim
x0
arcsin x x
x arctan x
; (x) lim
x1
+
(ln x) ln ln x;
(xi) lim
x0
+
(tan x)e
1/x
; (xii) lim
x0
_
1
x
2

1
tan
2
x
_
;
(xiii) lim
x0
(1 + x
2
)
1
sin
2
x
; (xiv) lim
x0
(1 + x)
1/x

1 + x e
x
2
;
(xv) lim
x0
+
_
ln x
x
_
x
; (xvi) lim
x1
(1 x) tan
x
2
;
(xvii) lim
x0
+
(e
x
1)
x
; (xviii) lim
x1

(ln x)
2/3
+ (1 x
2
)
3/4
(sin(x 1))
2/3
;
(xix) lim
x0
_
tan x
x
_
1/x
; (xx) lim
x0
ln(1 x + x
2
) + ln(1 + x + x
2
)
sin
2
x
.
4.8 Formula di Taylor
Consideriamo una funzione f : ]a, b[ R e ssiamo un punto x
0
]a, b[ .
Come sappiamo, se f `e continua allora
f(x) f(x
0
) = o(1) per x x
0
,
mentre se f `e derivabile allora
f(x) f(x
0
) f

(x
0
)(x x
0
) = o(x x
0
) per x x
0
.
Il risultato che segue generalizza questa propriet`a di approssimabilit`a.
Teorema 4.8.1 (formula di Taylor) Sia f una funzione derivabile k volte
in ]a, b[ , ove k N, e sia x
0
]a, b[ . Allora esiste un unico polinomio P
k
(x)
di grado al pi` u k, tale che
f(x) P
k
(x) = o
_
(x x
0
)
k
_
per x x
0
;
tale polinomio `e dato da
P
k
(x) =
k

n=0
1
n!
f
(n)
(x
0
)(x x
0
)
n
e si chiama k-simo polinomio di Taylor di f di centro x
0
.
313
Dimostrazione Se k = 0 si vede immediatamente che P
0
(x) = f(x
0
) `e
lunico polinomio che verica la tesi. Possiamo quindi supporre k 1.
Tutto il ragionamento `e basato sul seguente lemma:
Lemma 4.8.2 Sia g : ]a, b[ R una funzione derivabile k volte, con k 1,
e sia x
0
]a, b[ . Si ha
g(x) = o
_
(x x
0
)
k
_
perx x
0
se e solo se
g(x
0
) = g

(x
0
) = g

(x
0
) = . . . = g
(k)
(x
0
) = 0.
Dimostrazione del lemma (=) Poiche, per ipotesi, per h = 0, 1, . . . , k1
la funzione g
(h)
(x) `e innitesima per x x
0
, usando ripetutamente il teorema
di de LH opital (teorema 4.7.7) si ha la catena di implicazioni
lim
xx
0
g(x)
(x x
0
)
k
= =
= lim
xx
0
g

(x)
k(x x
0
)
k1
= = . . . = lim
xx
0
g
(k1)
(x)
k!(x x
0
)
= ;
ma questultimo limite vale 0, poiche, per denizione di derivata k-sima,
g
(k1)
(x)
k!(x x
0
)
=
1
k!
g
(k1)
(x) g
(k1)
(x
0
)
x x
0

1
k!
g
(k)
(x
0
) = 0 per x x
0
.
(=) Deniamo
Z = h N : 0 h k, g
(h)
(x
0
) ,= 0 :
dobbiamo provare che Z = . Dallipotesi
lim
xx
0
g(x)
(x x
0
)
k
= 0
si deduce in particolare che g(x) deve essere innitesima per x x
0
, quindi
g(x
0
) = 0 e pertanto 0 / Z. Supponiamo per assurdo che Z non sia vuoto:
allora esso avr`a un minimo p 1, e si avr` a dunque
g(x
0
) = g

(x
0
) = = g
(p1)
(x
0
) = 0, g
(p)
(x
0
) ,= 0.
314
Consideriamo allora la forma indeterminata g(x)/(x x
0
)
p
: per il teorema
di de lH opital,
lim
xx
0
g(x)
(x x
0
)
p
= lim
xx
0
g

(x)
p(x x
0
)
p1
= = lim
xx
0
g
(p1)
(x)
p!(x x
0
)
=
g
(p)
(x
0
)
p!
,= 0,
mentre invece, per ipotesi,
lim
xx
0
g(x)
(x x
0
)
p
= lim
xx
0
g(x)
(x x
0
)
k
(x x
0
)
kp
= 0.
Ci` o `e assurdo e pertanto Z = .
Dimostriamo ora la formula di Taylor. Sia P(x) un arbitrario polinomio di
grado k, che possiamo sempre scrivere nella forma
P(x) =
k

n=0
a
n
(x x
0
)
n
(esercizio 4.8.1). Applicando il lemma 4.8.2 alla funzione f(x)P(x), avremo
f(x) P(x) = o
_
(x x
0
)
k
_
per x x
0

f
(n)
(x
0
) = P
(n)
(x
0
) per n = 0, 1, . . . , k;
daltra parte si vede subito che
P(x
0
) = a
0
, P

(x
0
) = a
1
, P

(x
0
) = 2 a
2
. . . , P
(k)
(x
0
) = k! a
k
,
e dunque
f(x) P(x) = o
_
(x x
0
)
k
_
per x x
0

a
n
=
1
n!
f
(n)
(x
0
) per n = 0, 1, . . . , k,
cio`e P(x) P
k
(x).
Osservazioni 4.8.3 (1) Il grado del k-simo polinomio di Taylor P
k
(x) `e al
pi` u k; `e esattamente k se e solo se f
(k)
(x
0
) ,= 0.
(2) Il (k + 1)-simo polinomio di Taylor (ammesso che esista, cio`e che f sia
derivabile k + 1 volte) si ottiene dal k-simo semplicemente aggiungendo un
termine:
P
k+1
(x) = P
k
(x) +
1
(k + 1)!
f
(k+1)
(x
0
)(x x
0
)
k+1
.
315
(3) Se f `e derivabile k + 1 volte in ]a, b[, si pu`o precisare meglio il modo di
tendere a 0 del resto di Taylor, ossia della dierenza f(x)P
k
(x) per x x
0
:
si ha in tal caso
f(x) P
k
(x) =
1
(k + 1)!
f
(k+1)
()(x x
0
)
k+1
,
ove `e un opportuno punto compreso fra x e x
0
. Questo risultato potrebbe
chiamarsi teorema di Lagrange di grado k+1. Se in particolare la funzione
f
(k+1)
`e limitata, esso ci dice che
f(x) P
k
(x) = O
_
(x x
0
)
k+1
_
per x x
0
.
Per provare il teorema di Lagrange di grado k +1, basta applicare ripetu-
tamente il teorema di Cauchy (teorema 4.3.2):
f(x) P
k
(x)
(x x
0
)
k+1
=
f

(
1
) P

k
(
1
)
(k + 1)(
1
x
0
)
k
= . . . =
f
(k)
(
k
) P
(k)
k
(
k
)
(k + 1)!(
k
x
0
)
=
f
(k+1)
()
(k + 1)!
,
ove
1
`e intermedio fra x e x
0
,
2
`e intermedio fra
1
e x
0
, . . . ,
k
`e intermedio
fra
k1
e x
0
, e inne `e intermedio fra
k
e x
0
; nellultimo passaggio si `e
usato il fatto che P
k
ha grado non superiore a k e dunque P
(k+1)
k
0.
(4) Per scrivere il k-simo polinomio di Taylor di una data funzione f non `e
sempre obbligatorio calcolare le derivate di f nel punto x
0
; talvolta conviene
invece far uso della sua propriet` a di miglior approssimazione: se riusciamo
a trovare un polinomio P, di grado non superiore a k, tale che
f(x) P(x) = o
_
(x x
0
)
k
_
per x x
0
,
necessariamente esso sar`a il k-simo po-
linomio di Taylor cercato. Ad esempio,
data f(x) = sin x
5
, chi `e il suo quattor-
dicesimo polinomio di Taylor di centro
0? Ricordando che
lim
t0
sin t t
t
3
=
1
6
(esercizio 3.3.12), avremo anche
lim
x0
sin x
5
x
5
x
15
=
1
6
316
(esercizio 3.3.10); in particolare
sin x
5
x
5
= O(x
15
) = o(x
14
) per x 0,
e dunque P
14
(x) = x
5
. Naturalmente si ha anche P
13
(x) = P
12
(x) = . . . =
P
5
(x) = x
5
, mentre, essendo
sin x
5
= O(x
5
) = o(x
4
) per x 0,
si ha P
4
(x) = P
3
(x) = P
2
(x) = P
1
(x) = P
0
(x) = 0.
Vediamo adesso quali sono le strettissime relazioni che intercorrono fra la
somma f(x) di una serie di potenze, la serie stessa e i polinomi di Taylor
della funzione f. Supponiamo che risulti
f(x) =

n=0
a
n
x
n
, x ] R, R[ ,
ove R ]0, +]. Come sappiamo (teorema 4.1.11), si ha
a
n
=
1
n!
f
(n)
(0) n N,
e dunque per ogni k N la somma parziale k-sima della serie coincide con il
k-simo polinomio di Taylor di f di centro 0. Abbiamo perci` o per ogni k N,
in virt` u della formula di Taylor,
f(x) P
k
(x) =

n=k+1
a
n
x
n
= o(x
k
) per x 0.
Le somme parziali di una serie di potenze godono quindi di una duplice
propriet` a:
(a) in quanto tali, esse vericano, per denizione di serie convergente,
lim
k
_
f(x)
k

n=0
a
n
x
n
_
= 0 x ] R, R[ ,
cio`e forniscono unapprossimazione globale del graco di f in ] R, R[
tanto pi` u accurata quanto pi` u k `e grande;
317
(b) in quanto polinomi di Taylor di centro 0, vericano
lim
xx
0
1
x
k
_
f(x)
k

n=0
a
n
x
n
_
= 0 k N,
cio`e forniscono unapprossimazione locale del graco di f nellintorno
di 0, tanto pi` u accurata quanto pi` u x `e vicino a 0.
Si noti che esistono funzioni di classe C

, per le quali dunque i P


k
(x) sono
deniti per ogni k N, e (per denizione) soddisfano la condizione
lim
xx
0
f(x) P
k
(x)
(x x
0
)
k
= 0 k N,
e che tuttavia vericano
lim
k
[f(x) P
k
(x)] ,= 0 x ,= x
0
(esercizio 4.8.8).
Osserviamo inne che luso della formula di Taylor `e utilissimo nel calcolo
dei limiti di forme indeterminate, come mostrano i seguenti esempi.
Esempi 4.8.4 (1) Per calcolare il limite
lim
x0
e
x
2
/2
cos x x
2
x
2
si pu`o osservare che per x 0 risulta
e
x
2
/2
= 1 +
x
2
2
+ o(x
2
), cos x = 1
x
2
2
+ o(x
3
),
e che dunque
e
x
2
/2
cos x x
2
= o(x
2
) per x 0;
pertanto
lim
x0
e
x
2
/2
cos x x
2
x
2
= lim
x0
o(x
2
)
x
2
= 0.
Invece per calcolare il limite
lim
x0
e
x
2
/2
cos x x
2
x
4
318
occorre scrivere anche i termini del quarto ordine: poiche
e
x
2
/2
cos x x
2
=
=
_
1 +
x
2
2
+
x
4
8
+ o(x
4
)
_

_
1
x
2
2
+
x
4
24
+ O(x
5
)
_
x
2
=
=
x
4
12
+ o(x
4
),
si ha
lim
x0
e
x
2
/2
cos x x
2
x
4
= lim
x0
x
4
12
+ o(x
4
)
x
4
=
1
12
.
(2) Per il limite
lim
x0

1 + sin
2
x

1 + x
2
sin x
4
luso del teorema di de LH opital appare poco pratico, perche derivando nu-
meratore e denominatore compaiono espressioni alquanto complicate. Invece,
usando la formula di Taylor, per x 0 risulta (esempio 4.3.5 (3))
sin x
4
= x
4
+ o(x
1
1),

1 + x
2
= 1 +
1
2
x
2

1
8
x
4
+ o(x
5
),
_
1 + sin
2
x = 1 +
1
2
sin
2
x +
1
8
sin
4
x + o(sin
5
x) =
= 1 +
1
2
_
x
1
6
x
3
+ o(x
4
)
_
2

1
8
_
x + o(x
2
)
_
4
=
= 1 +
1
2
_
x
2

1
3
x
4
_

1
8
x
4
+ o(x
5
) =
= 1 +
1
2
x
2

7
24
x
4
+ o(x
5
),
e pertanto, grazie al principio di sostituzione degli innitesimi,
lim
x0

1 + sin
2
x

1 + x
2
sin x
4
= lim
x0

_
7
24

1
8
_
x
4
+ o(x
5
)
x
4
+ o(x
7
)
=
1
6
.
319
Formula di Taylor per funzioni di pi` u variabili
La formula di Taylor si pu`o enunciare anche per le funzioni di m variabili.
A questo scopo occorre introdurre alcune comode notazioni. Un vettore p a
componenti intere non negative, ossia un elemento di N
m
, si chiama multi-
indice. Dato un multi-indice p, di componenti (p
1
, ..., p
m
), si deniscono
loperatore di derivazione D
p
D
p
= D
p
1
1
D
p
2
2
. . . D
pm
m
ed il monomio x
p
x
p
= (x
1
)
p
1
. . . (x
m
)
pm
.
Inoltre si pone
p! = p
1
! . . . p
m
! , [p[ =
m

i=1
p
i
.
Altre notazioni di uso comune sono quelle che seguono: se p, q N
m
, si
scrive q p se risulta q
i
p
i
per i = 1, . . . , m; in tal caso si denisce
_
p
q
_
=
_
p
1
q
1
_
. . .
_
p
m
q
m
_
.
Ci` o premesso, vale un risultato del tutto analogo al caso delle funzioni di una
sola variabile (teorema 4.8.1).
Teorema 4.8.5 (formula di Taylor in pi` u variabili) Sia f una funzio-
ne di classe C
k
denita in un aperto A di R
m
, e sia x
0
A. Allora esiste
un unico polinomio P
k
(x) di grado al pi` u k, tale che
f(x) P
k
(x) = o
_
[x x
0
[
k
m
_
per x x
0
;
tale polinomio `e dato da
P
k
(x) =

|p|h
1
p!
D
p
f(x
0
)(x x
0
)
p
e si chiama k-simo polinomio di Taylor di f di centro x
0
.
Dimostrazione Se k = 0 non c`e niente da dimostrare: il polinomio P
0
`e
la costante f(x
0
). Sia dunque k 1. Fissata una generica direzione v R
m
320
con [v[
m
= 1, per > 0 sucientemente piccolo `e certamente ben denita la
funzione
F(t) = f(x
0
+ tv), t [, ].
Essa `e di classe C
k
e si ha
F

(t) =
m

i=1
D
i
f(x
0
+ tv)v
i
,
F

(t) =
m

i,j=1
D
j
D
i
f(x
0
+ tv)v
i
v
j
,
e in generale, per 1 h k,
F
(h)
(t) =
m

i
1
,...,i
h
=1
D
i
1
. . . D
i
h
f(x
0
+ tv)v
i
1
. . . v
i
h
.
La somma relativa a F

si pu`o scrivere nella forma


F

(t) =

|p|=2
2!
p!
D
p
f(x
0
+ tv)v
p
:
infatti, in virt` u del teorema di Schwarz (teorema 4.6.4), le derivate D
i
D
j
con
i ,= j, ossia le D
p
con p = e
i
+e
j
, compaiono due volte, mentre le D
2
i
, ossia
le D
p
con p = 2e
i
, compaiono una volta sola. Similmente, per 1 h k
possiamo riscrivere F
(h)
(t) come
F
(h)
(t) =

|p|=h
h!
p!
D
p
f(x
0
+ tv)v
p
:
questo si vede osservando che, se [p[ = h, la quantit`a h!/p! `e il numero di
modi in cui si pu` o ripartire un insieme di h elementi (le derivate di ordi-
ne totale [p[) in m sottoinsiemi aventi rispettivamente p
1
, . . . , p
m
elementi
(le derivate rispetto a x
1
, . . . , x
m
). Infatti, il problema `e analogo a quello
di distribuire in sequenza h palline (le derivazioni parziali) in m urne (le
variabili), mettendone p
1
nella prima urna, p
2
nella seconda, . . . , p
m
nellm-
sima: possiamo inserire p
1
palline nella prima urna in
_
h
p
1
_
modi, p
2
palline
nella seconda urna in
_
hp
1
p
2
_
modi,. . . , p
m1
palline nella penultima urna in
_
hp
1
...p
m2
p
m1
_
modi, e inne ci resta un solo modo di inserire le residue p
m
321
palline nellultima urna, e per lappunto si ha
_
hp
1
...p
m1
pm
_
=
_
pm
pm
_
= 1.
Il numero di modi complessivo `e allora il prodotto dei coecienti binomiali,
cio`e
m1

j=1
(h p
1
. . . p
j1
)!
(p
j
)! (h p
1
. . . p
j1
p
j
)!
= h!
m

j=1
1
(p
j
)!
=
h!
p!
.
Scriviamo adesso la formula di Taylor per F nel punto t = 0, di ordine k 1,
esprimendo il resto in forma di Lagrange (teorema 4.8.1 ed osservazione 4.8.3
(3)): risulta
f(x
0
+ tv) = F(t) =
k1

h=0
F
(h)
(0)
h!
t
h
+
1
k!
F
(k)
()t
k
, t [, ],
dove `e un punto opportuno compreso fra 0 e t.
Sostituendo le espressioni trovate per le derivate di F, otteniamo
f(x
0
+ tv) =
k1

h=0
t
h
h!

|p|=h
h!
p!
D
p
f(x
0
)v
p
+
t
k
k!

|p|=k
1
p!
D
p
f(x
0
+ v)v
p
,
ovvero, semplicando e ponendo x = x
0
+ tv, x

= x
0
+ v,
f(x) =

|p|k1
1
p!
D
p
f(x
0
)(x x
0
)
p
+

|p|=k
1
p!
D
p
f(x

)(x x
0
)
p
=
=

|p|k
1
p!
D
p
f(x
0
)(x x
0
)
p
+

|p|=k
1
p!
[D
p
f(x

) D
p
f(x
0
)] (x x
0
)
p
.
Adesso sfruttiamo il fatto che le derivate di ordine k di F sono continue:
ssato > 0, esiste > 0 tale che B(x
0
, ) A e
[u x
0
[
N
< =

|p|=k
1
p!
[D
p
f(u) D
p
f(x
0
)[ < .
Ne segue che per ogni [t[ < e [v[
N
= 1 si ha [x

x
0
[
N
< [x x
0
[
N
< e
quindi

|p|=k
1
p!
[D
p
f(x

) D
p
f(x
0
)] (x x
0
)
p

< [x x
0
[
k
N
.
322
Pertanto per ogni x B(x
0
, ) risulta

f(x)

|p|k
1
p!
D
p
f(x
0
)(x x
0
)
p

< [x x
0
[
k
N
,
e ci`o prova che il polinomio P
k
(x) denito nellenunciato verica la tesi.
Proviamo lunicit` a di P
k
(x): sia P(x) un altro polinomio di grado al pi` u k,
sviluppato secondo le potenze di x x
0
, che verica la tesi. Allora, posto
Q = P
k
P, possiamo scrivere
Q(x) =

|p|k
c
p
(x x
0
)
p
, lim
xx
0
Q(x)
[x x
0
[
k
m
= 0.
Ne deduciamo che, posto nuovamente x = x
0
+ tv, si ha
0 = lim
t0
Q(x
0
+ tv)
t
k
v R
m
con [v[
m
= 1.
Otteniamo dunque, per ogni v R
m
con [v[
m
= 1,
0 = lim
t0
Q(x
0
+ tv)
t
k
= lim
t0
k

h=0

|p|=h
c
p
t
hk
v
p
;
poiche t
hk
non tende a 0 per t 0, questo implica

|p|=h
c
p
v
p
= 0 v R
m
con [v[
m
= 1, h 0, 1, . . . , k,
da cui, per omogeneit` a,

|p|=h
c
p
x
p
= 0 x R
m
, h 0, 1, . . . , k.
Da queste relazioni segue
q! c
q
= D
q

|p|=h
c
p
x
p
= 0 q N
m
con [q[ = h, h 0, 1, . . . , k,
ossia Q(x) 0. Ci`o prova che P = P
k
.
323
Esercizi 4.8
1. Sia P(x) =

k
n=0
a
n
x
n
un polinomio. Si provi che per ogni x
0
R
esistono unici b
0
, b
1
,. . . ,b
k
R tali che
P(x) =
k

h=0
b
h
(x x
0
)
h
x R.
[Traccia: scrivere x = (x x
0
) +x
0
e usare la formula di Newton per
il binomio.]
2. Scrivere il decimo polinomio di Taylor di centro 0 per le funzioni:
(a) x sin x
2
; (b) x sin
2
x; (c) ln(1 + 3x
3
); (d)

1 2x
4
.
3. Scrivere il k-simo polinomio di Taylor di centro

4
per le funzioni sin x
e cos x.
4. Sia f(x) = x + x
4
; scrivere tutti i polinomi di Taylor di f di centro 1.
5. Si calcoli una approssimazione di sin 1 a meno di 10
4
.
6. Scrivere il secondo polinomio di Taylor di centro 0 per la funzione
f(x) = ln(1 + e
x
)
x
2
, e calcolare il limite
lim
x0
f(x) P
2
(x)
x
4
.
7. Calcolare, usando la formula di Taylor, i seguenti limiti:
(i) lim
x0
ln cos x
x
2
; (ii) lim
x0
+
x sin
2

x sin
2
x
x
2
;
(iii) lim
x0
_
1
x tan x

1
x
2
_
; (iv) lim
x0
1 cos x + ln cos x
x
4
;
(v) lim
x0
cosh
2
x 1 x
2
x
4
; (vi) lim
x0
1
x
2
_
sin x
x

x
sin x
_
;
(vii) lim
x0
_
sin 2x
2x
_ 1
x
2
; (viii) lim
x0
sin x(5
x
2
x
)
sin x log(1 x)
;
324
(ix) lim
x0
e
sin x
1 x
x
2
; (x) lim
x+
_
2x
2
x
3
ln
_
1 + sin
2
x
__
;
(xi) lim
n
n
2/n
1
ln n
1/n
; (xii) lim
n
n
3
_
1
1 + e
1/n

2n 1
4n
_
;
(xiii) lim
n
n
1/n
1
ln n
1/n
; (xiv) lim
n
_
(n
4
+ n
3
+ 1)
1/4
n
_
;
(xv) lim
x0
+
(cos x)
ln x
; (xvi) lim
x1
x
1
1x
e
x
x 1
.
8. Sia f : R R la funzione denita da
f(x) =
_
e

1
x
2
se x ,= 0
0 se x = 0.
Provare che:
(i) f `e innite volte derivabile in R;
(ii) per ogni k N il k-simo polinomio di Taylor di f di centro 0 `e
P
k
(x) 0;
(iii) per ogni R > 0 non esiste alcuna serie di potenze cha abbia somma
uguale a f(x) in ] R, R[ .
[Traccia: si provi per induzione che
f
(n)
(x) =
_
Q
n
(x)e

1
x
2
se x ,= 0
0 se x = 0,
ove Q
n
(x) `e unopportuna funzione razionale, cio`e `e il quoziente di due
polinomi.]
325
9. Sia f C
k
[a, b] una funzione invertibile; provare che f
1
`e di classe
C
k
.
10. Posto f(x) = x e
x
, si verichi che la funzione inversa f
1
esiste e
se ne scrivano esplicitamente il secondo e terzo polinomio di Taylor di
centro 1.
11. Si determini il terzo polinomio di Taylor di centro (0, 0) per le funzioni
f
1
(x, y) =
cos x
cos y
, f
2
(x, y) = ye
xy
, f
3
(x, y) = ln
1 + x
2
1 + y
2
.
12. Provare che se f `e una funzione di classe C
k+1
in un aperto A di R
m
, e
se x
0
A, allora il k-simo resto di Taylor di f pu` o essere scritto nella
forma
f(x) P
k
(x) =

|p|=k+1
D
p
f(u)(x x
0
)
p
,
ove u `e un punto del segmento di estremi x
0
e x.
[Traccia: applicare il teorema di Lagrange di grado k + 1 alla
funzione F(t) = f(x
0
+ t(x x
0
)).]
13. Dimostrare la formula di Leibniz per la derivata di ordine p N
m
del
prodotto di due funzioni:
D
p
(fg) =

qp
_
p
q
_
D
q
fD
pq
g.
[Traccia: Utilizzare N volte lesercizio 4.6.4, scrivendo D
p
(fg) =
D
p
N
N
D
p
1
1
(fg)...]
4.9 Massimi e minimi relativi per funzioni di
una variabile
La forma del graco di una funzione f nellintorno di un punto `e strettamente
legata al comportamento delle derivate di f in tale punto. Andiamo ad
analizzare la questione, cominciando dal caso delle funzioni di una variabile.
Proposizione 4.9.1 Sia f : [a, b] R una funzione derivabile. Allora:
326
(i) f `e crescente in [a, b] se e solo se f

0 in [a, b];
(ii) f `e decrescente in [a, b] se e solo se f

0 in [a, b];
(iii) se f

> 0 in [a, b] allora f `e strettamente crescente in [a, b], ma il


viceversa `e falso;
(iv) se f

< 0 in [a, b] allora f `e strettamente decrescente in [a, b], ma il


viceversa `e falso.
Dimostrazione (i) Se f `e crescente in [a, b], allora ssato x
0
[a, b] si
ha f(x) f(x
0
) se x > x
0
e f(x) f(x
0
) se x < x
0
; quindi il rapporto
incrementale di f in x
0
`e sempre non negativo. Facendone il limite per
x x
0
si ottiene f

(x
0
) 0 per ogni x
0
[a, b].
Viceversa, sia f

0 in [a, b] e siano x

, x

[a, b] con x

< x

. Applicando il
teorema di Lagrange (teorema 4.3.3) nellintervallo [x

, x

] si trova che esiste


]x

, x

[ tale che
f(x

) f(x

)
x

= f

() 0,
da cui segue f(x

) f(x

). Quindi f `e crescente.
(ii) Segue da (i) applicata a f.
(iii) La prima aermazione si ottiene ragionando come nel viceversa di (i),
osservando che stavolta si ha f

() > 0. La seconda aermazione si ricava


dallesempio f(x) = x
3
: questa funzione `e strettamente crescente ma la sua
derivata prima `e nulla per x = 0.
(iv) Entrambi gli enunciati seguono da (iii) applicata a f.
Denizione 4.9.2 Sia A un sottoinsieme di R
m
, ove m N
+
, e sia f : A
R una funzione qualunque; sia x
0
A. Diciamo che x
0
`e punto di massimo
relativo (oppure punto di minimo relativo) per f, se esiste un intorno U di
x
0
in R
m
tale che
f(x) f(x
0
) x U A (oppure f(x) f(x
0
) x U A).
327
Naturalmente, i punti di
massimo (minimo) di f so-
no anche punti di massimo
(minimo) relativo, mentre il
viceversa non `e vero. La -
gura accanto illustra il caso
m = 1, A = [a, b].
Teorema 4.9.3 (di Fermat) Sia f : [a, b] R una funzione derivabile, e
sia x
0
]a, b[ . Se x
0
`e punto di massimo o di minimo relativo per f, allora
f

(x
0
) = 0. Il viceversa `e falso.
Dimostrazione Si ragiona come nella dimostrazione del teorema di Rolle
(teorema 4.3.1): se x
0
`e punto di massimo relativo esiste un intorno I di x
0
tale che
f(x) f(x
0
)
x x
0
_
0 se x I [a, x
0
[
0 se x I]x
0
, b],
quindi passando al limite per x x
0
si trova f

(x
0
) = 0. Lesempio f(x) =
x
3
, con x
0
= 0, mostra che il viceversa `e falso.
Discorso analogo per i punti di minimo relativo.
Osserviamo che se il punto di massimo o di minimo relativo `e un estremo
dellintervallo, la precedente proposizione non vale (esercizio 4.9.6).
Il seguente risultato caratterizza i punti di massimo e di minimo relativo per
funzioni di una variabile.
Teorema 4.9.4 Sia f : [a, b] R una funzione derivabile due volte, e sia
x
0
]a, b[ . Valgono i seguenti fatti:
(i) se x
0
`e punto di massimo relativo per f, allora f

(x
0
) = 0 e f

(x
0
) 0,
ma il viceversa `e falso;
(ii) se x
0
`e punto di minimo relativo per f, allora f

(x
0
) = 0 e f

(x
0
) 0,
ma il viceversa `e falso;
(iii) se f

(x
0
) = 0 e f

(x
0
) < 0, allora x
0
`e punto di massimo relativo per
f, ma il viceversa `e falso;
(iv) se f

(x
0
) = 0 e f

(x
0
) > 0, allora x
0
`e punto di minimo relativo per f,
ma il viceversa `e falso.
328
Dimostrazione (i) Gi` a sappiamo (proposizione 4.9.3) che f

(x
0
) = 0; pro-
viamo che f

(x
0
) 0. Supponendo, per assurdo, che f

(x
0
) > 0, per il
teorema di permanenza del segno (esercizio 3.2.3) risulta
f

(x) f

(x
0
)
x x
0
=
f

(x)
x x
0
> 0
in un intorno I di x
0
, e dunque
f

(x)
_
< 0 se x I [a, x
0
[
> 0 se x I]x
0
, b].
Ma allora, per la proposizione 4.9.1, f decresce in I [a, x
0
[ e cresce in
I]x
0
, b], cosicche x
0
non pu`o essere un punto di massimo relativo per f.
(ii) Analogo a (i).
(iii) Lo stesso ragionamento di (i) mostra che se f

(x
0
) < 0 e f

(x
0
) = 0,
allora f cresce in I [a, x
0
[ e decresce in I]x
0
, b], e quindi x
0
`e punto di
massimo relativo.
(iv) Analogo a (iii).
Inne, la funzione f(x) = x
4
nel punto 0 verica f

(0) = 0 e f

(0) = 0,
ma 0 non `e punto di massimo relativo (il che rende falso il viceversa di (i)),
ed `e, anzi, punto di minimo assoluto, il che rende falso il viceversa di (iv).
La funzione f(x) = x
4
nel punto 0 rende falsi i viceversa degli altri due
enunciati.
Applicazione alle successioni denite per ricorrenza
Vogliamo determinare il comportamento per n di successioni della
forma
_
a
0
=
a
n+1
= f(a
n
), n N,
ove f : I I `e una funzione continua assegnata, I `e un intervallo di R,
limitato o no, e I.
In generale il comportamento della successione a
n
`e ben dicile da de-
terminare; ma se essa converge ad un limite L R, allora si ha necessaria-
mente L = f(L), come si verica subito passando al limite nella relazione di
ricorrenza ed utilizzando la continuit`a di f.
329
Denizione 4.9.5 Sia f : I I, sia L I. Diciamo che L `e un punto
sso di f se risulta L = f(L).
Dunque, se la successione a
n
converge, il suo limite `e un punto sso di f;
pertanto, se f non ha punti ssi la successione a
n
non pu` o avere limite
nito.
Esempio 4.9.6 Se a
n
`e denita da
_
a
0
=
a
n+1
= 2
an
, n N,
allora a
n
per n . Infatti f(x) = 2
x
`e denita su I = R e non ha
alcun punto sso. Daltra parte, essendo f crescente, `e immediato vericare
per induzione che a
n
`e crescente: infatti si ha a
1
= 2

> = a
0
, e se
a
n
> a
n1
allora a
n+1
= 2
an
> 2
a
n1
= a
n
. Quindi a
n
ha limite, e tale limite,
non potendo essere nito, vale +.
Discuteremo il comportamento di a
n
in due casi semplici ma importanti:
(a) quando f `e una contrazione, (b) quando f `e monotona. Naturalmente,
se non siamo in uno di questi casi, ci` o non signica che non si sappia dire
nulla: il problema `e che bisogna esaminare il singolo caso.
Denizione 4.9.7 Sia I un intervallo di R e sia f : I I. Diciamo che f
`e una contrazione se esiste K ]0, 1[ tale che
[f(x) f(x

)[ K[x x

[ x, x

I.
Si noti che ogni contrazione `e una funzione continua.
Esempi 4.9.8 (1) f(x) = ax+b `e una contrazione su R se e solo se [a[ < 1.
Infatti, ovviamente,
[f(x) f(x

)[ = [a[ [x x

[ x, x

R.
(2) f(x) = sin x non `e una contrazione su R. Infatti, benche
[ sin x sin x

[ [x x

[ x, x

R,
non esiste alcun numero K ]0, 1[ tale che [ sin x sin x

[ K[x x

[ per
ogni x

R: altrimenti, scelto x

= 0, otterremmo lim
x0

sin x
x

K < 1, il
330
che `e assurdo.
(3) Se f : I I `e derivabile con [f

(x)[ K < 1 per ogni x I, allora f `e


una contrazione in I: infatti, per il teorema di Lagrange (teorema 4.3.3),
[f(x) f(x

)[ = [f

()[ [x x

[ K[x x

[ x, x

I.
Il teorema che segue risolve il nostro problema nel caso (a), ma la sua im-
portanza `e ben maggiore: opportunamente generalizzato, ha svariatissime
applicazioni in tutti i campi dellanalisi matematica.
Teorema 4.9.9 (delle contrazioni) Sia I un intervallo chiuso di R (limi-
tato o no) e sia f una contrazione su I. Allora f ha uno ed un sol punto sso
L I. Inoltre per ogni I la successione a
n
denita allinizio converge
a L, e vale la seguente stima dellerrore:
[a
n
L[ K
n
[ L[ n N.
Dimostrazione Proviamo lunicit`a del punto sso: Se L, L

sono punti ssi


di f, allora si ha L = f(L) e L

= f(L

), da cui
[L L

[ = [f(L) f(L

)[ K[L L

[;
poiche K < 1, ci`o implica [L L

[ = 0, ossia L = L

.
Proviamo ora lesistenza di un punto sso L, e che si ha a
n
L per n .
Per ogni n N
+
si ha
[a
n+1
a
n
[ = [f(a
n
) f(a
n1
)[ K[a
n
a
n1
[,
e iterando allindietro questa disuguaglianza si trova che
[a
n+1
a
n
[ K
n
[a
1
a
0
[ = K
n
[a
1
[ n N.
Siano allora m, n N con m > n. Si ha
[a
m
a
n
[ = [(a
m
a
m1
) + (a
m1
a
m2
) + + (a
n+1
a
n
)[
=
m1

p=n
[a
p+1
a
p
[
m1

p=n
K
p
[a
1
[;
dato che la serie geometrica di ragione K `e convergente, ssato > 0 esister` a
N tale che

m1
p=n
K
p
< per ogni m > n . Ne segue
[a
m
a
n
[ [a
1
[ m, n ,
331
cio`e la successione a
n
`e di Cauchy in R, e dunque convergente. Dunque
essa ha un limite L R, il quale appartiene a I perche I `e chiuso; per quanto
gi` a osservato, L deve essere un punto sso di f.
Proviamo inne la stima dellerrore. Si ha
[a
n
L[ = [f(a
n1
) f(L)[ K[a
n1
L[ n N
+
,
ed iterando il ragionamento si ottiene
[a
n
L[ K
n
[a
0
L[ = K
n
[ L[.
Esempi 4.9.10 (1) Sia a
n
denita da
_
a
0
=
a
n+1
=
1
2
arctan a
n
, n N.
la funzione f(x) =
1
2
arctan x `e una contrazione su R, essendo

D
_
1
2
arctan x
_

=
1
2
1
1 + x
2

1
2
x R.
Quindi a
n
converge al punto sso di f, cio`e alla soluzione dellequazione
L =
1
2
arctan L, che `e L = 0.
(2) Sia a
n
denita da
_
a
0
=
a
n+1
= a
2
n
, n N.
In questo caso il comportamento di a
n
dipende dalla scelta del valore
iniziale . Infatti la funzione f(x) = x
2
, che `e ovviamente denita su
R, `e una contrazione sullintervallo [a, a] per ogni a ]0,
1
2
], dato che
f([a, a]) = [a
2
, a] [a, a] e [f

(x)[ = 2[x[ 2a < 1 per ogni x [a, a].


Quindi, se [[ <
1
2
, scelto a = [[ si ha a
n
0, poiche 0 `e lunico punto sso
di f in [[[, [[].
Pi` u in generale, se [[ < 1 la successione a
n

n1
`e contenuta in [0, 1[, in-
tervallo nel quale f `e crescente; essendo a
1
=
2
< [[, `e facile vedere che
a
n
> a
n+1
per ogni n 1, e dunque a
n
`e convergente. Il limite sar` a allora,
necessariamente, lunico punto sso di f in [0, 1[, cio`e 0.
Poi, se [[ = 1 si ha a
n
= 1 per ogni n 1, e dunque a
n
1: si noti che 1 `e
332
laltro punto sso di f in [0, 1].
Inne, se [[ > 1, dalla relazione a
1
=
2
> [[ e dalla crescenza di f in
]1, [ si deduce che a
n
< a
n+1
per ogni n N: dunque a
n
ha limite, e tale
limite `e obbligatoriamente + in quanto f non ha punti ssi in ]1, [. In
conclusione:
lim
n
a
n
=
_

_
0 se [[ < 1
1 se [[ = 1
+ se [[ > 1.
Veniamo ora al caso in cui f `e monotona. Come nel caso di f(x) = x
2
in
[0, [, f pu` o avere pi` u di un punto sso, e come nel caso di f(x) = e
x
in R,
f pu` o non averne nemmeno uno.
La situazione `e dierente a seconda che f sia crescente o decrescente; in tutti
i casi il comportamento di a
n
dipender` a, oltre che da f, dalla scelta del
valore iniziale a
0
= .
Teorema 4.9.11 Sia f : I I continua e crescente. Allora per la succes-
sione a
n
denita dal punto iniziale I e dalliterazione a
n+1
= f(a
n
)
valgono i fatti seguenti:
(i) se f() la successione a
n
`e crescente, mentre se f() la
successione a
n
`e decrescente;
(ii) se f() > e se f possiede almeno un punto sso maggiore di , allora
a
n
converge al minimo punto sso di f che `e maggiore di ;
(iii) se f() > e se f non ha alcun punto sso maggiore di , allora a
n

diverge a +;
(iv) se f() < e se f possiede almeno un punto sso minore di , allora
a
n
converge al massimo punto sso di f che `e minore di ;
(v) se f() < e se f non ha alcun punto sso minore di , allora a
n

diverge a ;
(vi) Se f() = allora a
n
= per ogni n N.
333
Dimostrazione (i) Se f() ,
ossia a
1
a
0
, allora per la cre-
scenza di f si ha a
2
= f(a
1
)
f(a
0
) = a
1
, e per induzione segue
subito che a
n
`e crescente. Di-
scorso analogo se f() .
(ii) Proviamo che linsieme dei
punti ssi di f che sono maggiori
di ,
F = ], [ : = f(),
ha minimo. Detto L = inf F, dalle propriet` a dellestremo inferiore segue che
esiste una successione di punti ssi
n
], [ tale che
n
L per n .
Ma dalla relazione
n
= f(
n
), valida per ogni n N, e dalla continuit` a di f,
segue che L = f(L). Dunque L `e un punto sso non inferiore a , ma non
si ha L = perche, per ipotesi, f() > . Dunque L F ed `e il minimo
di F. Ora, poiche < L, si ha a
0
= < a
1
= f() f(L) = L, da cui
induttivamente a
n
a
n+1
L per ogni n N. In particolare, a
n
L
perche f non ha punti ssi in ], L[ .
(iii) Poiche f non ha punti ssi maggiori di , la successione crescente a
n

ha necessariamente limite +. Si noti che in questo caso, essendo f(x) > x


per ogni x I [, [ , lintervallo I deve contenere la semiretta [, [.
(iv)-(v) Dimostrazioni analoghe a (ii)-(iii).
(vi) Evidente.
Esempio 4.9.12 Sia
_
a
0
=
a
n+1
= a
n
+ sin a
n
, n N,
La funzione f(x) = x + sin x, denita su R, `e crescente, dato che f

(x) =
1 + cos x 0 in R. I suoi punti ssi sono x = k, k Z. Perci` o si ha
](k 1), k] lim
n
a
n
= k.
Teorema 4.9.13 Sia f : I I continua e decrescente. Allora per la suc-
cessione a
n
denita dal punto iniziale I e dalliterazione a
n+1
= f(a
n
)
valgono i fatti seguenti:
334
(i) se f(f()) , allora a
2n
`e crescente e a
2n+1
`e decrescente;
(ii) se f(f()) , allora a
2n
`e decrescente e a
2n+1
`e crescente;
(iii) se f() , allora a
2n
a
2n+1
per ogni n N;
(iv) se f() , allora a
2n
a
2n+1
per ogni n N;
(v) se esiste lim
n
a
n
= L, allora L I con L = f(L) ed inoltre f(f())
`e compreso fra e f(), ma il viceversa `e falso;
(vi) esiste lim
n
a
n
= L se e solo se lim
n
[a
n
a
n+1
[ = 0.
Dimostrazione (i)-(ii) Suppo-
niamo che f(f()) , ossia che
a
2
a
0
: la decrescenza di f im-
plica via via che a
3
a
1
, a
4
a
2
,
e in generale a
2n+1
a
2n1
e
a
2n+2
a
2n
per ogni n N. Di-
scorso analogo se f(f()) .
(iii)-(iv) Se f() , cio`e a
1

a
0
, allora la decrescenza di f im-
plica via via a
2
a
1
, a
3
a
2
,
e in generale a
2n
a
2n+1
per
ogni n N. Discorso analogo se
f() .
(v) Per (i)-(ii) esistono P = lim
n
a
2n
, D = lim
n
a
2n+1
(si noti che
entrambi, quando sono reali, sono chiaramente punti ssi di f f). Sup-
poniamo che esista L = lim
n
a
n
: allora L = P = D, e non pu` o es-
sere P = D = perche delle due successioni a
2n
e a
2n+1
una `e
crescente e laltra `e decrescente. Dunque L I, dato che I `e chiuso, e
L = f(L). Adesso osserviamo che se risulta f(f()) = a
2
a
0
= ,
allora da (i) segue a
2n1
a
2n+1
L a
2n+2
a
2n
; in particolare
a
1
L a
2
a
0
, cosicche f() f(f()) . Analogamente, se risulta
f(f()) = a
2
a
0
= , allora da (ii) segue a
2n
a
2n+2
L a
2n+1
a
2n1
e in particolare a
0
a
2
L a
1
, cosicche f(f()) f(). Vicever-
sa, si consideri a
0
= 2 e a
n+1
= 1/a
n
, n N: per questa successione si ha
2 = = f(f()) f() =
1
2
, ed il limite non esiste.
(vi) Come sappiamo da (i)-(ii), esistono P = lim
n
a
2n
, D = lim
n
a
2n+1
.
335
Se esiste lim
n
a
n
= L I, allora come si `e visto P = D = L = f(L) e
dunque lim
n
[a
n
a
n+1
[ = [P D[ = 0. Viceversa, supponiamo che
lim
n
[a
n
a
n+1
[ = 0: allora
P = lim
k
a
2k
= lim
k
[(a
2k
a
2k+1
)+a
2k+1
] = lim
k
(a
2k
a
2k+1
)+ lim
k
a
2k+1
= D,
Quindi P = D, e pertanto esiste L = lim
n
a
n
. Ci` o prova la tesi.
Esempi 4.9.14 (1) Sia a
0
= > 0, a
n+1
= 1/a
2
n
per ogni n N. La
funzione f(x) = 1/x
2
`e decrescente e bigettiva da ]0, [ in ]0, [. Si ha
f() =
1

2
]0, 1],
mentre f(f()) =
4
. Dunque lunico punto sso di f f in ]0, [ `e = 1:
quindi se la successione a
n
converge, il suo limite deve essere 1. Tuttavia
non `e dicile provare per induzione che
a
2n
=
2
2n
, lim
n

2
n
=
_

_
0 se 0 < < 1
1 se = 1
+ se > 1,
a
2n+1
=
1

2
2n+1
, lim
n
1

2
2n+1
=
_

_
0 se > 1
1 se = 1
0 se 0 < < 1.
Perci` o si conclude che a
n
non ha limite, a meno che non sia = 1, nel qual
caso la successione `e costante.
(2) Sia a
0
= 0, a
n+1
=
an+2
2an+1
per ogni n N. La funzione f(x) =
x+2
2x+1
`e
positiva e decrescente in I = [0, [, in quanto f

(x) =
3
(2x+1)
2
< 0 in I. Si
verica facilmente che f(f(x)) =
5x+4
4x+5
; inoltre si ha
f() [0, 1], f(f()) [0, 1],
ed in particolare f(f(x)) = x se e solo se x = 1. Quindi, quando 0 1 si
ha che a
2n
cresce, a
2n+1
decresce e a
2n
a
2n+1
: perci`o entrambe tendono
a 1. Similmente, quando 1 si ha che a
2n
decresce, a
2n+1
cresce e
a
2n
a
2n+1
: perci` o, nuovamente, entrambe tendono a 1. Si conclude che per
ogni 0 lintera successione a
n
ha limite 1.
336
Esercizi 4.9
1. Determinare, se esistono, il massimo ed il minimo delle seguenti funzioni
sugli insiemi indicati:
(i) [x
2
1[, x [2, 12]; (ii)

1 + sin e
x
, x 0;
(iii) ln(e
x
x), x [1, 1]; (iv) 14x
2/3
x
2
, x [5, 5];
(v) e
x
4
sin x
1/4
, x 0; (vi) arctan x
x
1 + x
2
, x R.
2. Fra tutti i rettangoli inscritti in una circonferenza, determinare quello
di area massima.
3. Fra tutti i cilindri a base rotonda inscritti in una sfera, determinare
quello di volume massimo.
4. Dimostrare che per ogni x, y 0 si ha
(x+y)
p
2
p1
(x
p
+y
p
) se p 1, (x+y)
p
x
p
+y
p
se 0 p 1.
5. Provare che:
(i) x e

1/x
> 1 x > 0;
(ii) 2 sin x + tan x > 3x x ]0, /2[;
(iii)
2x
2 x
2
> tan x x ]0,

2[;
(iv) 0
arctan x
x

1
1 + x
2

x
2
1 + x
2
x R.
6. Provare che se f : [a, b] R `e derivabile ed ha un massimo (mini-
mo) relativo nellestremo a, allora f

(a) 0 (f

(a) 0). Enunciare


lanalogo risultato nel caso in cui f ha un massimo (minimo) relativo
nellestremo b.
7. Sia I un intervallo chiuso e limitato. Si provi che se f : I I `e
continua, allora f ha almeno un punto sso in I.
8. Sia I un intervallo qualunque. Si provi che se f : I I `e continua e
decrescente, allora f ha un unico punto sso in I.
337
9. Sia I un intervallo aperto. Si provi che esistono contrazioni f : I I
che non hanno punti ssi.
10. Si verichi che f(x) =
3

x + 5 `e una contrazione in [1, 3], e se ne


determini la relativa costante K.
11. Descrivere il comportamento delle seguenti successioni denite per ri-
correnza:
(a)
_
a
0
= 1
a
n+1
= a
n
+ 1 ln a
n
, (b)
_
a
0
= 2
a
n+1
=
1
3
(2a
n
a
2
n
+ 2)
,
(c)
_
a
0
= R
a
n+1
=
|an+1|
2
, (d)
_
a
0
= [1, 1]
a
n+1
= a
3
n
sin
1
3
,
(e)
_
a
0
= [0, 1]
a
n+1
=
3
4
a
n
(1 a
n
)
, (f)
_
a
0
= ]0, 1[
a
n+1
=
3
2
a
n
(1 a
n
)
,
(g)
_
a
0
= 2
a
n+1
=
ln(1+an)
ln 2
, (h)
_
a
0
= 1
a
n+1
= e
an
1
,
(i)
_
a
0
=

2
a
n+1
= sin a
n
, (j)
_
a
0
= 0
a
n+1
= cos a
n
,
(k)
_
a
0
= 1
a
n+1
= 1 +
4
an+2
, (l)
_
a
0
= R
a
n+1
=
an+2|an|
3
.
4.10 Forme quadratiche
Nel caso delle funzioni di pi` u variabili, le condizioni perche un punto x
0
sia di massimo o di minimo relativo per una funzione f sono opportune
generalizzazioni di quelle del teorema 4.9.4, e coinvolgono, in luogo di f

e
di f

, il gradiente di f e la matrice Hessiana (cio`e la matrice delle derivate


seconde) di f nel punto x
0
; per enunciare tali condizioni, `e per` o necessario
uno studio preliminare delle cosiddette forme quadratiche in R
m
.
Data una matrice A = a
ij
, m m, reale e simmetrica, la funzione :
338
R
m
R denita da
(v) = Av, v
m
=
m

i,j=1
a
ij
v
i
v
j
, v R
m
,
`e detta forma quadratica associata ad A.
Una forma quadratica `e dunque un polinomio di secondo grado in m variabili,
privo di termini di grado inferiore; viceversa, un qualunque polinomio di
questo tipo `e una forma quadratica la cui matrice associata A = a
ij
`e
univocamente determinata dai coecienti del polinomio (esercizio 4.10.4).
In particolare, risulta
(tv) = t
2
(v) t R, v R
m
,
cosicche `e una funzione omogenea di grado 2 (esercizio 4.4.3). Inoltre,
ovviamente, si ha C

(R
m
); verichiamo che risulta
(v) = 2Av v R
m
.
In eetti, indicato con
ij
il generico elemento della matrice identit` a I (co-
sicche
ij
= 0 se i ,= j e
ij
= 1 se i = j), se k = 1, 2, . . . , m si ha per ogni
v R
m
:
D
k
(v) =
m

i,j=1
a
ij
D
k
(v
i
v
j
) =
m

i,j=1
a
ij
_

ik
v
j
+ v
i

jk
_
=
=
m

j=1
a
kj
v
j
+
m

i=1
a
ik
v
i
=
m

j=1
a
kj
v
j
+
m

j=1
a
jk
v
j
= 2
m

j=1
a
jk
v
j
= 2(Av)
k
.
Denizione 4.10.1 Una forma quadratica : R
m
R si dice:
denita positiva, se (v) > 0 per ogni v R
m
0;
denita negativa, se (v) < 0 per ogni v R
m
0;
semidenita positiva, se (v) 0 per ogni v R
m
;
semidenita negativa, se (v) 0 per ogni v R
m
;
indenita, se assume sia valori positivi che negativi.
339
Esempi 4.10.2 Poniamo
A
1
=
_
1 0
0 1
_
, A
2
=
_
1 0
0 1
_
, A
3
=
_
0 0
0 1
_
,
A
4
=
_
1 0
0 0
_
, A
5
=
_
1 0
0 1
_
,
e indichiamo con
1
,
2
,
3
,
4
e
5
le forme quadratiche corrispondenti:

1
(x, y) = x
2
+ y
2
,
2
(x, y) = x
2
y
2
,
3
(x, y) = y
2
,

4
(x, y) = x
2
,
5
(x, y) = x
2
+ y
2
.
Allora
1
`e denita positiva,
2
`e denita negativa,
3
`e semidenita positiva,

4
`e semidenita negativa,
5
`e indenita.
Qualunque sia la matrice A reale e simmetrica, la forma quadratica associata
ad A, essendo una funzione di classe C

, per il teorema di Weierstrass assume


massimo M
0
e minimo m
0
sulla frontiera della palla unitaria di R
m
, la quale
`e un insieme compatto. Esistono dunque v
0
, w
0
tali che
m
0
= (v
0
) (v) (w
0
) = M
0
v .
Dato che `e una funzione omogenea di grado 2, possiamo scrivere
(v) = [v[
2
m

_
v
[v[
m
_
v R
m
0,
e di conseguenza si ottiene
m
0
[v[
2
m
(v) M
0
[v[
2
m
v R
m
.
Ricordiamo ora che un numero complesso si dice autovalore per la matrice
A se esiste un vettore x C
m
0 (detto autovettore relativo allautovalore
) tale che Ax = x. Dato che tale equazione vettoriale `e un sistema lineare
omogeneo nelle incognite x
1
, . . . , x
m
, lesistenza di una sua soluzione x ,= 0,
ossia il fatto che sia autovalore per la matrice A, equivale alla condizione
det(A I) = 0. Quindi gli autovalori di A sono le m soluzioni (in C,
ciascuna contata con la sua molteplicit`a) dellequazione det(AI) = 0.
Si vede facilmente, per`o, che se A `e reale e simmetrica tutti i suoi autovalori
sono reali: infatti se Ax = x con x C
m
0, allora moltiplicando
340
scalarmente per x (rispetto al prodotto scalare di C
m
) si ha, essendo A reale
e simmetrica:
[x[
2
m
= Ax, x
m
= x.A

x
m
= x, Ax
m
= Ax, x
m
,
ove A

= b
ij
`e la matrice i cui elementi sono b
ij
= a
ji
. In particolare
Ax, x
m
`e un numero reale e quindi =
Ax,xm
|x|
2
m
`e reale. Si noti che, di
conseguenza, lautovettore x appartiene a R
m
, dato che il sistema Ax = x
`e a coecienti reali.
Proposizione 4.10.3 Sia A una matrice m m reale e simmetrica e sia
la forma quadratica associata ad A. I numeri m
0
= (v
0
) = min

e
M
0
= (w
0
) = max

, ove = v R
m
: [v[
m
= 1, sono rispettivamente
il minimo ed il massimo autovalore di A. In particolare si ha
m
0
[v[
2
m
(v) M
0
[v[
2
m
v R
m
.
Dimostrazione Consideriamo la funzione F : R
m
0 R denita da
F(v) =
(v)
[v[
2
m
.
In virt` u dellomogeneit` a di , si ha
m
0
= F(v
0
) F(v) F(w
0
) = M
0
v R
m
0.
Dallesercizio 4.11.3 segue che
F(v
0
) = F(w
0
) = 0;
daltra parte se k = 1, . . . , m si ha per ogni v R
m
0:
D
k
F(v) =
D
k
(v)[v[
2
m
(v)D
k
[v[
2
m
[v[
4
m
=
= 2
(Av)
k
[v[
2
m

(v) 2v
k
[v[
4
m
=
2
[v[
2
m
_
(Av)
k
F(v)v
k
_
,
ossia
F(v) =
2
[v[
2
m
(Av F(v)v) v R
m
0.
341
Dunque, ricordando che v
0
, w
0
,
0 =
1
2
F(v
0
) = Av
0
F(v
0
)v
0
= Av
0
m
0
v
0
,
0 =
1
2
F(w
0
) = Aw
0
F(w
0
)w
0
= Aw
0
M
0
w
0
.
Ci` o prova che m
0
, M
0
sono autovalori di A. Resta da far vedere che se `e
autovalore di A risulta m
0
M
0
: sia u
0
R
m
0 tale che Au
0
= u
0
;
moltiplicando scalarmente per u
0
otteniamo
(u
0
) = Au
0
, u
0

m
= [u
0
[
2
m
e pertanto
m
0
[u
0
[
2
m
(u
0
) = [u
0
[
2
m
M
0
[u
0
[
2
m
.
Dato che u
0
,= 0, ne segue la tesi.
Corollario 4.10.4 La forma quadratica , generata da una matrice reale e
simmetrica A, `e:
denita positiva, se e solo se tutti gli autovalori di A sono positivi;
denita negativa, se e solo se tutti gli autovalori di A sono negativi;
semidenita positiva, se e solo se tutti gli autovalori di A sono non
negativi;
semidenita negativa, se e solo se tutti gli autovalori di A sono non
positivi;
indenita, se e solo se A ha sia autovalori positivi, sia autovalori
negativi.
Dimostrazione Se `e denita positiva, si ha (v) > 0 per ogni v
R
m
0; in particolare m
0
= min

`e positivo, e quindi tutti gli autovalori


di A, che per la proposizione 4.10.3 sono non inferiori a m
0
, sono positivi.
Viceversa, se tutti gli autovalori di A sono positivi, il minimo m
0
della forma
quadratica su `e positivo in quanto, sempre per la proposizione 4.10.3,
m
0
`e un autovalore di A. Per omogeneit` a, si ha allora (v) m
0
[v[
2
m
> 0
per ogni v R
m
0, ossia `e denita positiva.
Discorso analogo per le altre propriet` a.
342
Osservazione 4.10.5 Una forma quadratica `e semidenita positiva e non
denita positiva se e solo se il minimo autovalore di A`e esattamente 0. Simil-
mente, una forma quadratica `e semidenita negativa e non denita negativa
se e solo se il massimo autovalore di A `e esattamente 0.
Due criteri pratici per stabilire la natura di una forma quadratica senza
calcolare gli autovalori della matrice (impresa dicoltosa quando m > 2)
sono descritti negli esercizi 4.10.2 e 4.10.3.
Esercizi 4.10
1. Sia A = a
ij
una matrice m m, sia v C
m
. Provare che [Av[
m

|A| [v[
m
, ove
|A| =

_
m

i,j=1
[a
ij
[
2
.
[Traccia: utilizzare la disuguaglianza di Cauchy-Schwarz.]
2. Sia A =
_
a b
b c
_
con a, b, c R, e sia la forma quadratica associata
ad A:
(x, y) = ax
2
+ 2bxy + cy
2
.
Si provi che:
(i) `e denita positiva se e solo se ac b
2
> 0, a > 0, c > 0;
(ii) `e denita negativa se e solo se ac b
2
> 0, a < 0, c < 0;
(iii) `e semidenita positiva se e solo se ac b
2
0, a 0, c 0;
(iv) `e semidenita negativa se e solo se ac b
2
0, a 0, c 0;
(v) `e indenita se e solo se ac b
2
< 0.
3. Sia A una matrice m m reale e simmetrica, siano
1
, . . . ,
m
i suoi
autovalori (non necessariamente tutti distinti). Si provi che:
(i) risulta
(1)
m
det(AI) =
m

i=1
(
i
) =
m
+
m

i=1
a
i

mi
C,
343
ove
a
1
=
m

i=1

i
, a
2
=

1i<jm

j
,
a
3
=

1i<j<hm

h
, . . . , a
m
= (1)
m
m

i=1

i
;
(ii) la forma quadratica (v) = Av, v
m
`e:
denita negativa se e solo se a
i
> 0 per i = 1, . . . , m;
denita positiva se e solo se (1)
i
a
i
> 0 per i = 1, . . . , m;
semidenita negativa se e solo se a
i
0 per i = 1, . . . , m;
semidenita positiva se e solo se (1)
i
a
i
0 per i = 1, . . . , m;
indenita in tutti gli altri casi.
4. Sia P(v) un polinomio di secondo grado in R
m
, privo di termini di
grado inferiore. Provare che P(v) `e la forma quadratica associata alla
matrice A di coecienti a
ij
=
1
2
D
i
D
j
P.
5. Determinare, al variare del parametro a R, la natura delle seguenti
forme quadratiche:
(i) (x, y, z) = x
2
+ 2axy + y
2
+ 2axz + z
2
,
(ii) (x, y, z, t) = 2x
2
+ ay
2
z
2
t
2
+ 2xz + 4yt + 2azt.
4.11 Massimi e minimi relativi per funzioni
di pi` u variabili
Per le funzioni di pi` u variabili la ricerca dei massimi e dei minimi relativi si
basa su risultati che sono in stretta analogia con quelli validi per funzioni di
una variabile (teorema 4.9.4). Si ha infatti:
Teorema 4.11.1 Sia f C
2
(A), ove A `e un aperto di R
m
, e sia x
0
A.
Valgono i seguenti fatti:
(i) se x
0
`e un punto di massimo relativo per f, allora f(x
0
) = 0 e la
forma quadratica associata alla matrice Hessiana H(x
0
) `e semidenita
negativa, ma il viceversa `e falso;
344
(ii) se x
0
`e un punto di minimo relativo per f, allora f(x
0
) = 0 e la
forma quadratica associata alla matrice Hessiana H(x
0
) `e semidenita
positiva, ma il viceversa `e falso;
(iii) se f(x
0
) = 0 e se la forma quadratica associata a H(x
0
) `e denita
negativa, allora x
0
`e punto di massimo relativo per f, ma il viceversa
`e falso;
(iv) se f(x
0
) = 0 e se la forma quadratica associata a H(x) `e denita
positiva, allora x
0
`e punto di minimo relativo per f, ma il viceversa `e
falso.
Premettiamo alla dimostrazione del teorema due risultati che useremo ripe-
tutamente anche in seguito.
Lemma 4.11.2 Sia B(x
0
, r) una palla di R
m
e sia f C
2
(B(x
0
, r)). Fis-
sato x B(x
0
, r), la funzione F : [1, 1] R denita da
F(t) = f (x
0
+ t(x x
0
))
`e di classe C
2
e
F

(t) = f (x
0
+ t(x x
0
)) , x x
0

m
t [1, 1],
F

(t) = H(x
0
+ t(x x
0
)) (x x
0
), x x
0

m
t [1, 1].
Dimostrazione Poiche f `e di classe C
2
in A, per il teorema di derivazione
delle funzioni composte (teorema 4.1.6) si ha F C
2
[1, 1] e
F

(t) =
m

i=1
f
x
i
(x
0
+ t(x x
0
)) (x
i
x
i
0
) =
= f (x
0
+ t(x x
0
)) , x x
0

m
,
F

(t) =
m

i,j=1

2
f
x
i
x
j
(x
0
+ t(x x
0
)) (x
i
x
i
0
)(x
j
x
j
0
) =
= H(x
0
+ t(x x
0
)) (x x
0
), x x
0

m
.
Ci` o prova la tesi.
Lemma 4.11.3 Sia B(x
0
, r) una palla di R
m
e sia f C
2
(B(x
0
, r)). Per
ogni x B(x
0
, r) esiste ]0, 1[ tale che
f(x) = f(x
0
) +f(x
0
), xx
0

m
+
1
2
H(x
0
+(xx
0
))(xx
0
), xx
0

m
.
345
Dimostrazione Consideriamo nuovamente la funzione F : [1, 1] R
denita da
F(t) = f (x
0
+ t(x x
0
)) .
Per il teorema di Lagrange di grado 2 (osservazione 4.8.3 (3)) esiste
]0, 1[ tale che
F(1) = F(0) + F

(0) +
1
2
F

().
Sostituendo in questa espressione i valori di F, F

e F

forniti dal lemma


4.11.2, si ha la tesi.
Dimostrazione del teorema 4.11.1 (i) Sia x
0
un punto di massimo rela-
tivo per f e sia B(x
0
, r) una palla contenuta in A. Fissato arbitrariamente
x B(x
0
, r), la funzione
F(t) = f (x
0
+ t(x x
0
)) , t [1, 1],
`e di classe C
2
e ha massimo nel punto t = 0: per il teorema 4.9.1 si ha dunque
F

(0) = 0, F

(0) 0. Dal lemma 4.11.2 otteniamo


F

(0) = f(x
0
), x x
0

m
= 0, F

(0) = H(x
0
)(x x
0
), x x
0

m
0.
Dato che x era stato scelto arbitrariamente in B(x
0
, r), il vettore v = xx
0
`e
un arbitrario elemento di B(0, r); scrivendo nuovamente v al posto di xx
0
,
per omogeneit`a le due relazioni precedenti equivalgono a
f(x
0
), v
m
= 0, H(x
0
)v, v
M
0 v R
m
.
La prima di queste due condizioni, scelto v = f(x
0
), dice che f ha gra-
diente nullo nel punto x
0
; la seconda condizione dice che la forma quadratica
associata a H(x
0
) `e semidenita negativa. Ci` o prova (i).
(ii) Analoga a (i).
(iii) Sia f(x
0
) = 0 e H(x
0
)v, v
m
< 0 per ogni v R
m
0. Allora gli
autovalori di H(x
0
) sono tutti negativi ed in particolare, detto il massimo
di essi, si ha (proposizione 4.10.3)
H(x
0
)v, v
m
[v[
2
m
v R
m
.
Sia r > 0 tale che B(x
0
, r) A: aermiamo che se r `e abbastanza piccolo
risulta anche
H(x)v, v
m

2
[v[
2
m
v R
m
, x B(x
0
, r).
346
Infatti se x B(x
0
, r) abbiamo
H(x)v, v
m
= [H(x) H(x
0
)]v, v
m
+H(x
0
)v, v
m

[H(x) H(x
0
)]v, v
m

[v[
2
m
;
daltra parte, utilizzando lesercizio 4.10.1, si trova

[H(x) H(x
0
)]v, v
m

|H(x) H(x
0
)|
Mm
[v[
2
m
,
ove si `e posto
|H(x) H(x
0
)|
Mm
=

_
m

i,j=1
[D
i
D
j
f(x) D
i
D
j
f(x
0
)[
2
.
Dunque, per la continuit`a delle derivate seconde di f, lultimo membro `e
minore di

2
[v[
2
m
se r `e sucientemente piccolo: ci` o prova laermazione fatta
sopra.
Fissato ora arbitrariamente x B(x
0
, r), per il lemma 4.11.3 possiamo
scrivere, ricordando che f(x
0
) = 0,
f(x) f(x
0
) =
1
2
H(x
0
+ (x x
0
))(x x
0
), x x
0

m
,
ove `e un punto opportuno in ]0, 1[ : dunque x
0
+ (x x
0
) B(x
0
, r). In
virt` u dellaermazione provata poco fa, si ha allora
H(x
0
+ (x x
0
))(x x
0
), x x
0

2
[x x
0
[
2
m
,
e pertanto si ottiene
f(x) f(x
0
)

4
[x x
0
[
2
m
< 0 x B(x
0
, r).
Ci` o prova che x
0
`e punto di massimo relativo.
(iv) Analogo a (iii).
Inne, il viceversa di (ii) `e falso: infatti la funzione f(x, y) = x
2
y
4
ha
gradiente nullo nellorigine e Hessiana H(0, 0) =
_
2 0
0 0
_
, cosicche la forma
347
quadratica associata `e semidenita positiva; tuttavia lorigine non `e punto
di minimo relativo perche f(0, 0) = 0 e f(0, y) < 0 per ogni y R 0. La
funzione f rende falso il viceversa di (i). Le funzioni (x
4
+ y
4
) rendono
falsi i viceversa di (iv) e (iii), in quanto nellorigine hanno rispettivamente
minimo e massimo assoluto pur avendo le rispettive matrici Hessiane nulle.
Osservazione 4.11.4 Un punto x
0
tale che f(x
0
) = 0 si dice punto sta-
zionario per f. Se x
0
`e stazionario per f, il piano tangente al graco di f in
(x
0
, f(x
0
)) `e orizzontale, ossia ortogonale allasse x
n+1
. Un punto stazio-
nario pu` o non essere ne di massimo ne di minimo relativo: in tal caso esso
si dice punto di sella. Ci`o accade se la forma H(x
0
)v, v
m
`e indenita, ma
non solo, come mostra lesempio della funzione f(x, y) = x
2
y
4
visto sopra,
in cui la forma `e semidenita.
Esempio 4.11.5 Sia f(x, y) = 2x
3
+ x
2
+ y
2
2y
3
, (x, y) R
2
. Cerchiamo
gli eventuali massimi e minimi relativi di f. I punti stazionari si ottengono
dal sistema
_
f
x
(x, y) = 6x
2
+ 2x = 0
f
y
(x, y) = 2y 6y
2
= 0,
le cui soluzioni sono (x, y) = (0, 0), (x, y) = (
1
3
, 0), (x, y) = (0,
1
3
) e (x, y) =
(
1
3
,
1
3
). Poiche f
xx
(x, y) = 12x + 2, f
xy
(x, y) = f
yx
(x, y) = 0, f
yy
(x, y) = 2,
si ha
H(0, 0) =
_
2 0
0 2
_
, H
_

1
3
, 0
_
=
_
2 0
0 2
_
,
H
_
0,
1
3
_
=
_
2 0
0 2
_
, H
_

1
3
,
1
3
_
=
_
2 0
0 2
_
;
quindi le rispettive forme quadratiche sono denita positiva la prima, inde-
nite la seconda e la terza, denita negativa la quarta. Conclusione: (0, 0)
`e punto di minimo relativo, (
1
3
, 0) e (0,
1
3
) sono punti di sella e (
1
3
,
1
3
) `e
punto di massimo relativo.
Esercizi 4.11
1. Dato un foglio rettangolare di cartone, ritagliare da esso 4 quadrati in
modo da costruire una scatola parallelepipeda di volume massimo.
348
2. Fra tutti i coni circolari circoscritti ad una sfera, determinare quello di
supercie laterale minima.
3. Provare che se A `e un aperto di R
m
, se f : A R `e una funzione
dierenziabile e se f ha un massimo o minimo relativo in x
0
A,
allora x
0
`e punto stazionario per f, cio`e f(x
0
) = 0; si mostri anche
che il viceversa `e falso.
4. (Teorema di Rolle multidimensionale) Sia K R
m
un insieme compat-
to con parte interna non vuota e sia f continua su K e dierenziabile
nei punti interni di K. Provare che se f `e costante su K allora esiste
un punto stazionario per f interno a K.
[Traccia: adattare la dimostrazione del teorema di Rolle (teorema
4.3.1).]
5. Determinare, se esistono, i massimi ed i minimi relativi delle seguenti
funzioni:
(i) f(x, y) = [y[ arctan(xe
y
) in A = (x, y) R
2
: max[x[, [y[ 1;
(ii) f(x, y) = x
2
y
2
sul chiuso delimitato dal triangolo di vertici (0, 0),
(3, 1), (1, 3).
6. Determinare il triangolo inscritto in un cerchio che ha area massima.
7. Dati tre punti A, B, C ai vertici di un triangolo equilatero, determinare
un quarto punto Pin modo che la somma delle distanze di Pda A, B, C
sia minima.
8. Dati k punti (x
i
, y
i
) R
2
con ascisse distinte, trovare una retta y =
ax + b tale che lerrore quadratico totale
E(a, b) =
k

j=1
[ax
j
+ b y
j
[
2
sia minimo.
9. Determinare la minima distanza in R
3
del punto (1, 2, 3) dalla retta r
di equazioni
x =
y
3
=
z
2
.
349
10. Determinare la minima distanza fra le rette r
1
e r
2
di R
3
denite
rispettivamente da
x 1 =
y 2
3
=
z 2
2
,
x
4
= y =
z
2
.
11. Trovare i massimi relativi ed assoluti (se esistono) delle seguenti fun-
zioni:
(i) x
2
(x y), (ii) x
4
+ y
4
4xy,
(iii) (x
2
+ y
2
)e
x
2
y
2
, (iv) cos x sinh y,
(v) sin(x + y) cos(x y), (vi) x
2
(y 1)
3
(z + 2)
2
,
(vii)
1
x
+
1
y
+
1
z
+ xyz (con x, y, z > 0), (viii)
1 + x y
_
1 + x
2
+ y
2
,
(ix) cos x + cos y + cos(x + y), (x) e
x3y
e
y+2x
,
(xi) x +
y
2
4x
+
x
2
y
+
2
z
(con x, y, z > 0), (xii) xy
_
1 x
2
y
2
,
(xiii) x
2
ln(1 + y) + x
2
y
2
, (xiv) (x
2
+ 3xy
2
+ 2y
4
)
2
,
(xv) 2x
4
x
2
e
y
+ e
4y
, (xvi)
x
2
+ 2y
x
2
+ y
2
+ 1
.
4.12 Convessit`a
Unimportante propriet` a geometrica degli insiemi di R
m
, che si descrive bene
analiticamente, `e quella della convessit`a.
Denizione 4.12.1 Un sottoinsieme K di R
m
oppure di C
m
si dice convesso
se per ogni coppia di punti u, v K si ha (1t)u+tv K per ogni t [0, 1].
In altre parole: K `e convesso se e solo se, dati due punti di K, il segmento
che li unisce `e interamente contenuto in K.
Ad esempio, sono convesse le palle B(x
0
, r), sia aperte che chiuse. Se K R
`e facile vedere che K `e convesso se e solo se K `e un intervallo (limitato o no,
o eventualmente ridotto a un solo punto).
La nozione di convessit`a si applica anche alle funzioni f : K R, ove K `e
un sottoinsieme convesso di R
m
o di C
m
.
350
Denizione 4.12.2 Sia K un convesso di R
m
o di C
m
. Una funzione f :
K R si dice convessa se risulta
f ((1 t)u + tv) (1 t)f(u) + tf(v) t [0, 1], u, v K.
La funzione f si dice concava se f `e convessa; dunque f `e concava in K se
e solo se
f ((1 t)u + tv) (1 t)f(u) + tf(v) t [0, 1], u, v K.
Linterpretazione geometrica `e la se-
guente: per ogni t [0, 1], il punto
(x, y) R
m+1
di coordinate x = (1
t)u+tv, y = (1t)f(u)+tf(v) appar-
tiene al segmento di estremi (u, f(u),
(v, f(v)); la condizione di convessit`a
dice che il valore f(x) non supera y.
Quindi il graco della restrizione di f al
segmento di estremi u e v sta al di sot-
to della retta che congiunge gli estremi
(u, f(u)) e (v, f(v)) del graco.
Osservazioni 4.12.3 (1) Si vede facilmente che f `e convessa se e solo se il
suo sopragraco
E = (x, y) R
m+1
: x K, y f(x)
`e un insieme convesso. Infatti se f `e convessa e (u, ), (v, ) E, allora per
ogni t [0, 1]
f ((1 t)u + tv) (1 t)f(u) + tf(v) (1 t) + t,
cio`e il punto (1 t)(u, ) + t(v, ) appartiene ad E; dunque E `e convesso.
Viceversa, se E `e convesso allora, scelti in particolare due punti del tipo
(u, f(u)) e (v, f(v)), per ogni t [0, 1] il punto (1 t)(u, f(u)) +t(v, f(v))
deve stare in E: quindi
(1 t)f(u) + tf(v) f ((1 t)u + tv) ,
cio`e f `e convessa.
351
(2) Una funzione convessa su K `e necessariamente continua nei punti interni
a K (se esistono). Dimostriamo questo fatto per m = 1, rinviando alleserci-
zio 4.12.9 per il caso generale.
Sia dunque K = [a, b] e sia x
0
]a, b[ : se ad esempio x > x
0
, esistono unici
t, s ]0, 1[ tali che
x = (1 t)x
0
+ tb, x
0
= (1 s)x + sa;
infatti risulta
t =
x x
0
b x
0
, s =
x
0
x
a x
.
Dalla denizione di convessit`a si ha
f(x) (1 t)f(x
0
) + tf(b), f(x
0
) (1 s)f(x) + sf(a),
o, equivalentemente,
f(x) f(x
0
) t (f(b) f(x
0
)) , f(x
0
) f(x)
s
1 s
(f(a) f(x
0
)) .
Daltronde, quando x x
+
0
si ha anche t 0
+
e s 0
+
, e quindi f(x)
f(x
0
).
Il discorso `e del tutto analogo se x < x
0
. Ci`o prova la continuit`a di f.
Se la funzione f : K R ha un po pi` u di regolarit` a, si possono dare altre
caratterizzazioni della convessit` a.
Teorema 4.12.4 Sia f una funzione reale dierenziabile, denita su un
insieme convesso K R
m
. Allora f `e convessa se e solo se
f(x) f(x
0
) +f(x
0
), x x
0

m
x, x
0
K.
In altre parole, f `e convessa se e solo se il suo graco sta sopra tutti i suoi
piani (m-dimensionali) tangenti.
Dimostrazione (=) Supponiamo che valga la disuguaglianza sopra scrit-
ta. Siano x
1
e x
2
due punti distinti di K e sia x
0
= tx
1
+ (1 t)x
2
con
t [0, 1]. Posto h = x
1
x
0
, risulta
x
2
=
x
0
tx
1
1 t
= x
0

t
1 t
h.
352
Dalle relazioni, vere per ipotesi,
f(x
1
) f(x
0
) +f(x
0
), h
m
,
f(x
2
) f(x
0
) +
_
f(x
0
),
_

t
1 t
h
__
m
,
segue, moltiplicando la prima per t e sommandola alla seconda moltiplicata
per 1 t:
tf(x
1
) + (1 t)f(x
2
) f(x
0
),
che `e la denizione di convessit`a.
(=) Supponiamo f convessa. Siano x, x
0
K. Posto h = x x
0
, per
lipotesi di convessit`a si ha
f(x
0
+ th) = f((1 t)x
0
+ tx) (1 t)f(x
0
) + tf(x) =
= f(x
0
) + t (f(x
0
+h) f(x
0
)) t [0, 1],
da cui, sempre per t [0, 1],
f(x
0
+th)f(x
0
)t f(x
0
), h
m
t (f(x
0
+h) f(x
0
) f(x
0
), h
m
) .
Dividendo per t ]0, 1] segue
f(x
0
+ th) f(x
0
) t f(x
0
), h
m
t
f(x
0
+h) f(x
0
) f(x
0
), h
m
,
e inne dalla dierenziabilit` a, facendo tendere t a 0 si ricava
0 f(x
0
+h) f(x
0
) f(x
0
), h
m
,
che `e la tesi.
Teorema 4.12.5 Sia f una funzione reale di classe C
2
, denita su un in-
sieme convesso K R
m
. Allora f `e convessa se e solo se, detta H(x) la
matrice Hessiana di f, la forma quadratica associata (v) = H(x)v, v
m
`e
semidenita positiva per ogni x K.
Dimostrazione (=) Supponiamo che sia semidenita positiva per ogni
x K. Poiche f `e di classe C
2
, dal lemma 4.11.3 si ricava
f(x) f(x
0
) f(x
0
), xx
0

m
=
1
2
H(x
0
+ (x x
0
)) (xx
0
), xx
0

m
,
353
ove `e un opportuno punto fra 0 e 1. Per ipotesi, il secondo membro `e non
negativo per ogni x, x
0
K, e dunque
f(x) f(x
0
) f(x
0
), x x
0

m
0 x, x
0
K.
Dal teorema 4.12.4 segue che f `e convessa.
(=) Viceversa, sia f convessa in K e supponiamo dapprima che K sia
un aperto. Se, per assurdo, in un punto x
0
K la forma (v) non fosse
semidenita positiva, esisterebbe un vettore v ,= 0 tale che H(x
0
)v, v
m
<
0. Poiche le derivate seconde di f sono continue, ragionando come nella
dimostrazione del teorema 4.11.1 (iii) troveremmo una palla B(x
0
, r) K
tale che
H(x)v, v
m
< 0 x B(x
0
, r).
Poniamo
h =
r
2[v[
m
v;
allora h B(0, r), quindi posto x = x
0
+h si ha
x
0
+ (x x
0
) B(x
0
, r) ]0, 1[ , x x
0
=
r
2[v[
m
v,
e pertanto
H(x
0
+ (x x
0
)) (x x
0
), x x
0

m
=
=
_
r
2[v[
m
_
2
H(x
0
+ (x x
0
)) v, v
m
< 0 ]0, 1[ .
Ne segue, applicando nuovamente il lemma 4.11.3, che
f(x) f(x
0
) f(x
0
), x x
0

m
=
=
1
2
H(x
0
+ (x x
0
)) (x x
0
), x x
0

m
< 0,
e per il teorema 4.12.4 ci` o contraddice la convessit`a di f.
Se K non `e aperto, con largomentazione precedente si prova che la forma
H(x)v, v
m
`e semidenita positiva per ogni x interno a K. Daltra parte
se x K esiste una successione di punti x
n
interni a K che converge a x;
dato che
H(x
n
)v, v
m
0 v R
m
, n N,
354
al limite per n si ottiene
H(x)v, v
m
0 v R
m
,
cio`e la forma `e semidenita positiva. In denitiva si ha che la forma `e
semidenita positiva in tutti i punti di K, interni o no.
Osservazione 4.12.6 Se m = 1 il teorema precedente vale assumendo so-
lamente lesistenza, e non la continuit` a, della derivata seconda di f. In altre
parole, se f : [a, b] R `e derivabile due volte, allora f `e convessa se e solo
se f

0 in [a, b]. Infatti, se f `e convessa allora dal teorema 4.12.4 segue,


per ogni x, x
0
[a, b],
f(x) f(x
0
) + f

(x
0
)(x x
0
), f(x
0
) f(x) + f

(x)(x
0
x),
e sommando queste due relazioni si deduce
f

(x
0
)(x x
0
) + f

(x)(x
0
x) 0 x, x
0
[a, b],
ossia
(f

(x) f

(x
0
)) (x x
0
) 0 x, x
0
[a, b].
In particolare, se x < x
0
allora f

(x) f

(x
0
), ossia f

`e crescente. Per la
proposizione 4.9.1, ci` o equivale a dire che f

0 in [a, b].
Viceversa, sia f

0 in [a, b], cosicche per la proposizione 4.9.1 f

`e crescente;
allora per il teorema di Lagrange si ha, per un opportuno punto compreso
fra x e x
0
,
f(x) f(x
0
) = f

()(x x
0
).
Pertanto se x > x
0
si ha > x
0
e dunque f

() f

(x
0
), da cui
f(x) f(x
0
) f

(x
0
)(x x
0
);
se invece x < x
0
, si ha < x
0
e dunque f

() f

(x
0
), da cui segue nuova-
mente la precedente disuguaglianza. Dal teorema 4.12.4 segue allora che f `e
convessa in [a, b].
Notiamo che una funzione reale f di classe
C
2
, denita su [a, b], pu` o cambiare la con-
cavit` a (cio`e passare da concava a convessa o
viceversa) soltanto nei punti in cui f

`e nul-
la. I punti in cui f cambia la concavit` a, nei
quali quindi il graco di f attraversa la retta
tangente, si dicono punti di esso.
355
Dunque, se f `e di classe C
2
e x
0
`e punto di esso, allora f

(x
0
) = 0. Si noti
che il viceversa `e falso: la funzione f(x) = x
4
ha derivata seconda nulla nel
punto 0, eppure f `e convessa in R e quindi 0 non `e punto di esso.
Esercizi 4.12
1. Si provi che esistono funzioni convesse in [a, b] discontinue nei punti
estremi.
2. Sia f : [a, b] R. Si provi che:
(i) f `e convessa se e solo se per ogni u, v, w [a, b] con u < v < w
risulta
f(v)
w v
w u
f(u) +
v u
w u
f(w);
(ii) f `e convessa se e solo se per ogni u, v, w [a, b] con u < v < w
risulta
f(v) f(u)
v u

f(w) f(u)
w u

f(w) f(v)
w v
;
(iii) f `e convessa se e solo se per ogni x [a, b] il rapporto incrementale
h
f(x + h) f(x)
h
, h [a x, 0[ ]0, b x],
`e una funzione crescente.
3. Se f : [a, b] R `e convessa, si provi che per ogni x ]a, b[ esistono la
derivata destra e la derivata sinistra
D

f(x) = lim
h0

f(x + h) f(x)
h
, D
+
f(x) = lim
h0
+
f(x + h) f(x)
h
;
si verichi che D

f(x) D
+
f(x) e si mostri con un esempio che tali
numeri possono essere diversi fra loro.
4. Sia f : [a, b] R continua. Si provi che f `e convessa se e solo se
f
_
u + v
2
_

1
2
(f(u) + f(v)) u, v [a, b];
356
si mostri poi che lenunciato diventa falso senza lipotesi di continuit` a.
[Traccia: per provare il primo enunciato (una parte del quale `e ovvia)
si deduca che vale la denizione di convessit` a per ogni t della forma
k 2
h
con h N e k = 0, 1, . . . , 2
h
; si passi al caso generale t [0, 1]
usando la continuit` a. Per il secondo enunciato si consideri la funzione
f(x) che vale 0 se x = k 2
h
e vale 1 negli altri punti di R.]
5. Siano p, q > 1 tali che
1
p
+
1
q
= 1. Si provi che
xy
x
p
p
+
x
q
q
x, y 0.
Traccia: per x, y > 0 si scriva xy = e
log xy
e si sfrutti la convessit` a
della funzione esponenziale.]
6. Sia f : [a, b] R convessa e derivabile. Se ]a, b[ `e un punto tale che
f

() = 0, si provi che `e un punto di minimo assoluto per f in [a, b].


Il punto `e necessariamente unico?
7. Sia f : R R convessa e tale che
lim
x+
f(x) = +, lim
x
f(x) = +.
Si provi che f ha minimo su R. Il punto di minimo `e necessariamente
unico? Che succede se f `e continua ma non convessa?
8. Sia f : K R convessa, ove K R
m
`e un insieme convesso. Provare
che per ogni c R linsieme di sottolivello K
c
= x K : f(x) c,
se non vuoto, `e convesso.
9. Sia f una funzione convessa, denita su un insieme K R
m
convesso.
(i) Sia x
0
un punto interno a K e sia C un cubo m-dimensionale di
centro x
0
e lato 2 contenuto in K; sia poi V linsieme dei 2
m
vertici di C. Posto M = max
vV
f(v), si provi che f(x) M per
ogni x C.
(ii) Se x B(x
0
, ), siano x
0
u i punti a distanza da x
0
sulla retta
per x
0
e x: si provi che, posto t =
1
[x x
0
[
m
, risulta
f(x) tM + (1 t)f(x
0
), f(x
0
)
1
1 + t
(f(x) + tM) .
357
(iii) Se ne deduca che f `e continua in x
0
.
10. Sia f : [0, [ R una funzione convessa di classe C
1
, con f

(0) > 0.
Si provi che f(x) + per x +, e che esiste nito il limite
lim
x+
x
f(x)
.
11. (Disuguaglianza di Jensen) Sia f : R R una funzione convessa. Si
provi che per ogni n N
+
e per ogni x
1
, x
2
, . . . , x
n
R risulta
f
_
x
1
+ x
2
+ . . . + x
n
n
_

f(x
1
) + f(x
2
) + . . . + f(x
n
)
n
.
[Traccia: si provi dapprima la disuguaglianza per n = 2
k
; nel caso
generale si ponga m = 2
k
n: per quanto gi` a dimostrato si ha
f
_
x
1
+ x
2
+ . . . + x
n
+ mx
2
k
_

f(x
1
) + f(x
2
) + . . . + f(x
n
) + mf(x)
2
k
per ogni x
1
, . . . , x
n
, x R. Si scelga x =
x
1
+...+xn
n
.]
12. Tracciare un graco qualitativo delle seguenti funzioni, considerando
linsieme di denizione A, i limiti alla frontiera di A, la crescenza, la
convessit` a, i punti di massimo e di minimo relativo, i punti di esso,
gli asintoti, il valore di f

nei punti limite e nei punti di esso:


(i) [[x
3
[ 1[, (ii)
[x + 3[
3
x
2
, (iii)
2[x[ x
2
+ x
x + 1
,
(iv) e
x

x 1, (v)
_
x
2

8
x
, (vi)
_
5 +
1
x
2
_
2

8
x
3
,
(vii)
_
[x
2
10x[, (viii)
ln x
1 + ln x
, (ix) x
2/3
(x 1)
1/3
,
358
(x) ln
x
2
[x
2
+ 2[
, (xi) x e
1
ln x
, (xii) ln x ln
2
x,
(xiii) e
x(ln |x|1)
, (xiv) e
x
x1
, (xv) maxx
2
, 5x 4,
(xvi) arccos
1
1 x
, (xvii) x
1
x
1
, (xviii) x + 4 arctan
_
[x 1[,
(xix)
_
[x[ 1
x
2
+ 1
, (xx) sin

x
2
+ 1
, (xxi) ln(x + sin x),
(xxii)
[1 ln x[
x
, (xxiii) e
1/x
, (xxiv) x + arcsin
2x
x
2
+ 1
.
359
Capitolo 5
Calcolo integrale
5.1 Lintegrale
Sia f : [a, b] R una funzione limitata. Vogliamo determinare larea con
segno della regione del piano xy delimitata dal graco di f e dallasse x,
considerando cio`e positiva larea della parte sopra lasse x
(x, y) R
2
: x [a, b], f(x) 0, y [0, f(x)],
e negativa larea della parte sotto lasse x
(x, y) R
2
: x [a, b] : f(x) 0, y [f(x), 0].
Anzitutto, per` o, occorrer` a dare un
senso a ci` o che si vuole calcola-
re: riusciremo a denire larea del-
le regioni sopra descritte per mezzo
di un procedimento di approssima-
zione della regione che ci interessa
mediante unioni nite di rettangoli
adiacenti (per i quali larea `e quel-
la elementarmente denita: base per
altezza).
Il primo passo da compiere a questo scopo `e quello di introdurre la nozione
di suddivisione dellintervallo [a, b].
360
Denizione 5.1.1 Una suddivisione, o partizione, dellintervallo [a, b] `e un
insieme nito di punti = x
0
, x
1
, . . . , x
N
tale che
a = x
0
< x
1
< < x
N1
< x
N
= b.
I punti x
i
si dicono nodi della suddivisione .
Gli intervalli [x
i1
, x
i
], delimitati da due nodi consecutivi di una ssata sud-
divisione di [a, b], saranno le basi dei rettangoli che useremo per le nostre
approssimazioni.
Date due suddivisioni

di [a, b], diciamo che

`e pi` u ne di

se si ha

, cio`e se

si ottiene da

aggiungendo altri nodi. Naturalmente, in


generale, data una coppia di suddivisioni

, nessuna delle due sar` a pi` u -


ne dellaltra: pensiamo per esempio a

= a,
a+b
2
, b e

= a,
2a+b
3
,
a+2b
3
, b.
Per` o, ssate

, `e sempre possibile trovare una terza suddivisione che


`e pi` u ne di entrambe: basta prendere =

.
Esempio 5.1.2 Le pi` u semplici suddivisioni di [a, b] sono quelle equispazia-
te: per N N
+
ssato, si ha

N
= x
i
, 0 i N, ove x
i
= a +
i
N
(b a);
in particolare, se N = 1 si ha la suddivisione banale
1
= a, b.
Introduciamo adesso le nostre aree approssimate per eccesso e per difetto.
Denizione 5.1.3 Sia f : [a, b] R limitata. La somma superiore di f
relativa alla suddivisione di [a, b] `e il numero
S(f, ) =
N

i=1
M
i
(x
i
x
i1
), ove M
i
= sup
[x
i1
,x
i
]
f.
La somma inferiore di f relativa alla suddivisione di [a, b] `e il numero
s(f, ) =
N

i=1
m
i
(x
i
x
i1
), ove m
i
= inf
[x
i1
,x
i
]
f.
Osserviamo che S(f, ) e s(f, ) sono numeri reali ben deniti grazie al fatto
che stiamo supponendo f limitata: altrimenti qualcuno fra i numeri M
i
o m
i
361
potrebbe essere innito.
Ci aspettiamo che inttendo sempre di pi` u i nodi, le somme superiori ed
inferiori forniscano una approssimazione sempre pi` u accurata dellarea della
regione che ci interessa. E in eetti si ha:
Proposizione 5.1.4 Sia f : [a, b] R una funzione limitata. Se

sono suddivisioni di [a, b], e `e una terza suddivisione pi` u ne di entrambe,


allora
s(f,

) s(f, ) S(f, ) S(f,

).
Dimostrazione La disuguaglianza centrale `e evidente, per denizione di
somma superiore e inferiore. Proviamo la prima (la terza `e analoga). Il
passaggio da

a consiste nellaggiungere un numero nito di nuovi no-


di, il che si pu`o vedere come una sequenza nita di aggiunte di un singolo
nodo. Dunque baster`a provare che se si ottiene da

= x
0
, x
1
, . . . , x
N

aggiungendo il nodo x ]x
k1
, x
k
[ , allora s(f,

) s(f, ). La quantit` a
a secondo membro si ottiene da quella al primo membro rimpiazzandone il
k-simo addendo m
k
(x
k
x
k1
) con i due addendi
inf
[x
k1
,x]
f (x x
k1
) + inf
[x,x
k
]
f (x
k
x);
daltra parte, per denizione di m
k
si ha
m
k
inf
[x
k1
,x]
f, m
k
inf
[x,x
k
]
f,
e quindi
m
k
(x
k
x
k1
) = m
k
(x
k
x + x x
k1
)
inf
[x
k1
,x]
f (x x
k1
) + inf
[x,x
k
]
f (x
k
x),
da cui s(f,

) s(f, ).
362
Il fatto che le approssimazioni migliorino sempre quando si inttiscono i nodi
ci porta a denire le approssimazioni ottimali per eccesso e per difetto
dellarea che ci interessa.
Denizione 5.1.5 Sia f : [a, b] R una funzione limitata. L integrale
superiore di f su [a, b] `e il numero
I
+
(f) = inf

S(f, ).
L integrale inferiore di f su [a, b] `e il numero
I

(f) = sup

s(f, ).
Osservazione 5.1.6 Gli integrali superiore ed inferiore di f sono numeri
reali ben deniti, e si ha
inf
[a,b]
f (b a) I

(f) I
+
(f) sup
[a,b]
f (b a).
Infatti, indicata con
1
la suddivisione banale a, b, per la proposizione
precedente si ha, per qualunque coppia di suddivisioni

,
inf
[a,b]
f (b a) = s(f,
1
) s(f,

) S(f,

) S(f,
1
) = sup
[a,b]
f (b a),
da cui la tesi passando allestremo superiore rispetto a

e allestremo infe-
riore rispetto a

.
Arrivati a questo punto, sarebbe bello che le approssimazioni ottimali per
eccesso e per difetto coincidessero: questo ci permetterebbe di denire in
modo non ambiguo larea (con segno) della regione
(x, y) R
2
: x [a, b], f(x) 0, y [0, f(x)]
(x, y) R
2
: x [a, b], f(x) 0, y [f(x), 0].
Sfortunatamente, in generale si ha I

(f) < I
+
(f), come mostra il seguente
Esempio 5.1.7 Fissato [a, b] R, si consideri la funzione di Dirichlet
363
(x) =
_
1 se x [a, b] Q,
0 se x [a, b] Q.
Questa funzione, il cui graco non `e disegnabile, `e limitata in [a, b] e per ogni
suddivisione = x
0
, x
1
, . . . , x
N
di [a, b] si ha, in virt` u della densit`a in R di
Q e di R Q:
m
k
= inf
[x
k1
,x
k
]
= 0, M
k
= sup
[x
k1
,x
k
]
= 1, k = 1, . . . , N;
quindi per ogni suddivisione si ha s(, ) = 0, S(, ) = b a e pertanto
I

() = 0, I
+
() = b a.
La nostra procedura di approssimazione non `e quindi applicabile a tutte le
funzioni limitate, ma soltanto a quelle che vericano la propriet`a descritta
nella seguente fondamentale denizione.
Denizione 5.1.8 Sia f : [a, b] R una funzione limitata. Diciamo che f
`e integrabile secondo Riemann in [a, b], e scriveremo f 1(a, b), se risulta
I

(f) = I
+
(f).
In tal caso, l integrale di f su [a, b] `e il numero reale I

(f) = I
+
(f), che si
indicher`a con il simbolo
_
b
a
f(x)dx:
_
b
a
f(x) dx = I

(f) = I
+
(f).
Il senso di questo simbolo `e quello di ricordarci che si fa il limite di somme
nite (da cui il segno
_
, che `e una S stilizzata) di aree di rettangolini,
la cui base `e un intervallo dellasse x centrato nel punto x di ampiezza pic-
colissima pari a dx, e la cui altezza `e un intervallo dellasse y di lunghezza
pari a [f(x)[, presa col segno di f(x).
Come si `e visto, esistono funzioni limitate non integrabili: sorge quindi le-
sigenza di determinare esempi, e possibilmente intere classi, di funzioni inte-
grabili; analizzeremo questo problema nel paragrafo 5.3.
Prima di tutto conviene fornire un criterio di integrabilit` a di grande utilit` a,
che segue direttamente dalla denizione.
364
Proposizione 5.1.9 Sia f : [a, b] R una funzione limitata. La f `e in-
tegrabile secondo Riemann in [a, b] se e solo se per ogni > 0 esiste una
suddivisione di [a, b] tale che
S(f, ) s(f, ) < .
Dimostrazione (=) Fissato > 0, per denizione di estremo superiore
ed estremo inferiore esistono due suddivisioni

di [a, b] tali che


_
b
a
f(x) dx

2
< s(f,

)
_
b
a
f(x) dx S(f,

) <
_
b
a
f(x) dx +

2
;
scelta allora una suddivisione pi` u ne di

, si ha per la proposizione
5.1.4
_
b
a
f(x) dx

2
< s(f, )
_
b
a
f(x) dx S(f, ) <
_
b
a
f(x) dx +

2
,
e ci`o implica S(f, ) s(f, ) < .
(=) Fissato > 0 e scelta una suddivisione come nellipotesi, si ha
0 I
+
(f) I

(f) S(f, ) s(f, ) < ,


da cui I
+
(f) = I

(f) per larbitrariet` a di .


Si noti che il criterio precedente permette di stabilire se una funzione `e inte-
grabile, ma non d`a informazioni su quanto valga il suo integrale: il problema
del calcolo esplicito degli integrali verr`a arontato pi` u avanti (paragrafo 5.5).
Dimostriamo adesso unimportante caratterizzazione dellintegrabilit` a che ha
interesse sia teorico che pratico. Premettiamo una denizione:
Denizione 5.1.10 Data una suddivisione = x
0
, x
1
, . . . , x
N
di [a, b],
l ampiezza di `e il numero
[[ = max
1iN
(x
i
x
i1
).
`
E chiaro che se

`e una suddivisione pi` u ne di , allora risulta [

[ [[; il
viceversa naturalmente non `e vero (se
3
e
4
sono suddivisioni equispaziate
con 3 e 4 nodi rispettivamente, allora [
4
[ < [
3
[ ma nessuna delle due `e pi` u
ne dellaltra).
365
Teorema 5.1.11 Sia f : [a, b] R una funzione limitata. Si ha f 1(a, b)
se e solo se esiste un numero reale A dotato della propriet`a seguente: per ogni
> 0 si pu`o trovare un > 0 tale che
[[ < = [S(f, ) A[ < , [s(f, ) A[ < .
In tal caso, si ha A =
_
b
a
f(x) dx.
Dimostrazione (=) Fissato > 0, dallipotesi segue, per ogni suddivi-
sione con [[ < ,
0 S(f, ) s(f, ) [S(f, ) A[ +[A s(f, )[ < 2,
e quindi f `e integrabile in virt` u della proposizione 5.1.9; inoltre, scelta una
suddivisione con [[ < , avremo
[I
+
(f) A[ [I
+
(f) S(f, )[ +[S(f, ) A[ < 2,
da cui A = I
+
(f) =
_
b
a
f(x) dx.
(=) Poiche f `e integrabile, ssato > 0 esiste una suddivisione
0
=
x
0
, x
1
, . . . , x
N
di [a, b] tale che
_
b
a
f(x) dx

2
< s(f,
0
) S(f,
0
) <
_
b
a
f(x) dx +

2
.
Poniamo K = sup
[a,b]
[f[ e ssiamo =

4NK
. Sia = t
0
, t
1
, . . . , t
m
una
qualunque suddivisione di [a, b] tale che [[ < . Supponiamo (per semplicit` a)
che nessun nodo x
j
di
0
coincida con qualcuno dei nodi t
i
di . Consideriamo
gli insiemi
A = i 1, . . . , m : ]t
i1
, t
i
[ non contiene alcun nodo x
j
,
B = i 1, . . . , m : ]t
i1
, t
i
[ contiene almeno un nodo x
j
,
e osserviamo che B ha al pi` u N elementi. Consideriamo poi la suddivisione

=
0
, i cui nodi sono i t
i
e gli x
j
: tali nodi delimitano intervalli del
tipo [t
i1
, t
i
] (quando lindice i appartiene ad A), oppure dei tipi [t
i1
, x
j
],
[x
j
, t
i
] ed eventualmente [x
j
, x
j+1
], [x
j+1
, x
j+2
], eccetera (quando lindice i
appartiene a B). Denotiamo con I
ij
gli intervalli corrispondenti ad indici
366
i B, indicando con
ij
la loro ampiezza (per ogni i B ce ne sar`a un certo
numero nito k
i
); poniamo inoltre
M
i
= sup
[t
i1
, t
i
]
f, M
ij
= sup
I
ij
f.
Si ha allora
S(f,

) =

iA
M
i
(t
i
t
i1
) +

iB
k
i

j=1
M
ij

ij
.
Daltra parte, gli intervalli I
ij
con i B ssato e j = 1, . . . , k
i
ricoprono
[t
i1
, t
i
]: quindi

iB
k
i

j=1
M
ij

ij

iB
K(t
i
t
i1
) K

iB
KN =

4
,
da cui

iA
M
i
(t
i
t
i1
) = S(f,

iB
k
i

j=1
M
ij

ij
S(f,

) +

4
.
Pertanto possiamo scrivere
S(f, ) =

iA
M
i
(t
i
t
i1
) +

iB
M
i
(t
i
t
i1
)
S(f,

) +

4
+

iB
K(t
i
t
i1
) S(f,

) +

2

S(f,
0
) +

2

_
b
a
f(x) dx + .
In modo analogo si prova che
s(f, )
_
b
a
f(x) dx ,
e quindi il numero A =
_
b
a
f(x) dx verica la condizione richiesta.
367
Corollario 5.1.12 Sia f : [a, b] R una funzione limitata. Si ha f
1(a, b) se e solo se per ogni > 0 esiste N
+
tale che
S(f,
N
) s(f,
N
) < N ,
ove
N
`e la suddivisione equispaziata con nodi x
k
= a +
k
N
(b a), k =
0, 1, . . . , N.
Dimostrazione (=) La tesi segue dal teorema 5.1.11 quando [
N
[ =
ba
N
<
.
(=) Fissato > 0, dallipotesi si deduce, scelto N ,
I
+
(f) I

(f) S(f,
N
) s(f,
N
) < ,
e dunque I
+
(f) = I

(f).
Osservazione 5.1.13 Dal corollario precedente segue che in eetti per ca-
ratterizzare lintegrale di Riemann sono sucienti le suddivisioni equispazia-
te, e si ha
_
b
a
f(x) dx = lim
N
S(f,
N
) = lim
N
s(f,
N
) f 1(a, b).
Di conseguenza, se per ogni i = 1, . . . , N si ssa a piacere un numero t
i

[x
i1
, x
i
], la quantit`a
N

i=1
f(t
i
)(x
i
x
i1
),
che `e detta somma di Riemann di f, converge a
_
b
a
f(x) dx per N , gra-
zie al teorema dei carabinieri (esercizio 2.1.19). Su questo fatto si basano le
pi` u semplici formule di quadratura per il calcolo approssimato degli integrali.
Esercizi 5.1
1. Si provi che
_
b
a
x dx =

2
(b
2
a
2
),
_
b
a
x
2
dx =

3
(b
3
a
3
).
368
2. (Teorema della media) Si provi che se f 1(a, b), allora
inf
[a,b]
f
1
b a
_
b
a
f(x) dx sup
[a,b]
f,
e che se f `e anche continua in [a, b] allora esiste [a, b] tale che
f() =
1
b a
_
b
a
f(x) dx.
3. Sia f 1(a, b) e sia g una funzione che dierisce da f soltanto in
un numero nito di punti di [a, b]. Si provi che g 1(a, b) e che gli
integrali di f e di g in [a, b] coincidono. Che succede se f e g dieriscono
su un insieme numerabile x
n
, n N [a, b]?
4. Utilizzando solo la denizione di (denizione 1.12.6), dedurre che
_
1
1

1 x
2
dx =

2
.
[Traccia: si verichi che la
met` a dellarea del poligono rego-
lare di 2n lati inscritto nel cer-
chio di raggio 1 `e compresa fra
s(

1 x
2
,
n
) e S(

1 x
2
,
n
),
ove
n
`e la suddivisione di
[1, 1] i cui nodi sono le proie-
zioni sullasse x dei vertici del
poligono.]
5. Sia f una funzione limitata in [a, b], tale che [f[ 1(a, b); `e vero che
f 1(a, b)?
5.2 Propriet`a dellintegrale
Lintegrabilit` a `e una propriet` a stabile rispetto alle operazioni algebriche fra
funzioni. Per provare questo fatto, `e utile introdurre la nozione di oscilla-
zione di una funzione in un intervallo.
Denizione 5.2.1 Sia f : [a, b] R una funzione limitata. Se I `e un
intervallo contenuto in [a, b], l oscillazione di f in I `e il numero reale
osc(f, I) = sup
I
f inf
I
f.
369
Osservazioni 5.2.2 (1) Il criterio di integrabilit` a espresso nella proposizio-
ne 5.1.9 si pu`o riformulare nel modo seguente: f `e integrabile in [a, b] se e
solo se per ogni > 0 esiste una suddivisione = x
0
, x
1
, . . . , x
N
di [a, b]
tale che
N

i=1
osc(f, [x
i1
, x
i
]) (x
i
x
i1
) < .
(2) Anche la denizione di continuit` a di una funzione (denizione 3.2.3) pu`o
essere espressa tramite loscillazione. Si ha in eetti che f `e continua in un
punto x
0
[a, b] se e solo se, posto I

= [x
0
, x
0
+ ] [a, b], risulta
lim
0
+
osc(f, I

) = 0.
(3) Si verica facilmente che se f, g sono funzioni limitate in [a, b] e `e un
numero reale, allora per ogni intervallo I [a, b] si ha, come conseguenza
dellesercizio 3.2.11,
osc(f + g, I) osc(f, I) + osc(g, I), osc(f, I) = [[ osc(f, I).
Dallultima delle osservazioni precedenti si deduce la linearit`a dellintegrale:
Proposizione 5.2.3 Siano f, g 1(a, b) e sia R. Allora f + g, f
1(a, b) e
_
b
a
(f +g)(x) dx =
_
b
a
f(x) dx+
_
b
a
g(x) dx,
_
b
a
(f)(x) dx =
_
b
a
f(x) dx.
Dimostrazione Poiche f e g sono integrabili, ssato > 0 esistono due
suddivisioni

di [a, b] tali che


S(f,

) s(f,

) < , S(g,

) s(g,

) < .
Scelta unaltra suddivisione pi` u ne di entrambe, si ha a maggior ragione
(proposizione 5.1.4)
S(f, ) s(f, ) < , S(g, ) s(g, ) < ,
da cui, per losservazione 5.2.2 (3),
S(f + g, ) s(f + g, ) =
N

i=1
osc(f + g, [x
i1
, x
i
]) (x
i
x
i1
)

i=1
osc(f, [x
i1
, x
i
]) (x
i
x
i1
) +
N

i=1
osc(g, [x
i1
, x
i
]) (x
i
x
i1
) =
= S(f, ) s(f, ) + S(g, ) s(g, ) < 2,
370
mentre
S(f, ) s(f, ) = [[[S(f, ) s(f, )] < [[.
Ne segue che f + g e f sono integrabili. Adesso notiamo che
_
b
a
(f + g)(x) dx
_
b
a
f(x) dx
_
b
a
g(x) dx
S(f + g, ) s(f, ) s(g, )
S(f, ) + S(g, ) s(f, ) s(g, ) < 2,
_
b
a
(f + g)(x) dx
_
b
a
f(x) dx
_
b
a
g(x) dx
s(f + g, ) S(f, ) S(g, )
s(f, ) + s(g, ) S(f, ) S(g, ) > 2,
il che ci fornisce la maggiorazione

_
b
a
(f + g)(x) dx
_
b
a
f(x) dx
_
b
a
g(x) dx

< 2 > 0,
ossia
_
b
a
(f + g)(x) dx =
_
b
a
f(x) dx +
_
b
a
g(x) dx.
Similmente, osservando che
S(f, ) =
_
S(f, ) se 0
s(f, ) se 0,
s(f, ) =
_
s(f, ) se 0
S(f, ) se 0,
`e immediato dedurre che, qualunque sia R,

_
b
a
(f)(x) dx
_
b
a
f(x) dx

< [[ > 0,
e che quindi
_
b
a
(f)(x) dx =
_
b
a
f(x) dx R.
Utilizzando le propriet`a delloscillazione, si ottiene anche la seguente
371
Proposizione 5.2.4 Siano f, g 1(a, b). Si ha:
(i) f g 1(a, b);
(ii) se inf
[a,b]
[g[ > 0, allora
f
g
1(a, b);
(iii) f g, f g 1(a, b), ove
f g(x) = maxf(x), g(x), f g(x) = minf(x), g(x).
Dimostrazione Si rimanda agli esercizi 5.2.1, 5.2.2 e 5.2.3.
Unaltra importante propriet`a dellintegrale `e la sua monotonia:
Proposizione 5.2.5 Siano f, g 1(a, b). Se si ha f(x) g(x) per ogni
x [a, b], allora
_
b
a
f(x) dx
_
b
a
g(x) dx.
Dimostrazione Basta notare che, per ipotesi, per ogni suddivisione di
[a, b] si ha
s(f, ) s(g, ),
e poi passare allestremo superiore rispetto a .
Corollario 5.2.6 Se f 1(a, b), allora [f[ 1(a, b) e

_
b
a
f(x) dx

_
b
a
[f(x)[ dx.
Dimostrazione Si verica facilmente che [f(x)[ = f(x) 0 f(x) 0 per
ogni x [a, b]; quindi [f[ 1(a, b) per la proposizione 5.2.4. Essendo poi
[f(x)[ f(x) [f(x)[, per monotonia (proposizione 5.2.5) si ottiene

_
b
a
[f(x)[ dx
_
b
a
f(x) dx
_
b
a
[f(x)[ dx,
da cui la tesi.
Proviamo inne ladditivit` a dellintegrale rispetto allintervallo di integrazio-
ne:
372
Proposizione 5.2.7 Sia f : [a, b] R una funzione limitata e sia c ]a, b[
un punto ssato. Allora si ha f 1(a, b) se e solo se f 1(a, c) 1(c, b),
e in tal caso
_
b
a
f(x) dx =
_
c
a
f(x) dx +
_
b
c
f(x) dx.
Dimostrazione La dimo-
strazione `e ovvia, se si pen-
sa al signicato geometri-
co dellintegrale come area
con segno. Per una dimo-
strazione formale si rimanda
allesercizio 5.2.5.
Per i discorsi che seguiranno, `e utile dare senso allintegrale
_
b
a
f(x) dx anche
nel caso in cui a b.
Denizione 5.2.8 Sia f una funzione reale denita in un intervallo [c, d].
(i) Se a [c, d], poniamo
_
a
a
f(x) dx = 0.
(ii) Se a, b [c, d] con a > b, poniamo (notando che f 1(b, a) grazie alla
proposizione precedente)
_
b
a
f(x) dx =
_
a
b
f(x) dx.
Lutilit` a di questa convenzione sta nel seguente risultato di additivit`a:
Proposizione 5.2.9 Sia f 1(a, b). Allora
_
v
u
f(x) dx =
_
w
u
f(x) dx +
_
v
w
f(x) dx u, v, w [a, b].
Dimostrazione Si tratta di una noiosa ma facile verica che fa uso del-
la proposizione precedente e consiste nellanalizzare tutti i possibili casi:
u < v < w, v < w < u, w < u < v, u < w < v, v < u < w, w < v < u,
u = v, v = w, u = w.
Anche il risultato di monotonia espresso dal corollario 5.2.6 pu`o essere pre-
cisato alla luce della convenzione sopra descritta:
373
Corollario 5.2.10 Sia f 1(a, b). Allora

_
v
u
f(x) dx

_
v
u
[f(x)[ dx

u, v [a, b].
Dimostrazione Se u < v, il secondo membro `e
_
v
u
[f(x)[ dx e la tesi segue
dal corollario 5.2.6. Se u = v la disuguaglianza si riduce a 0 0, quindi `e
vera. Se u > v, il primo membro coincide con

_
u
v
f(x) dx

mentre il secondo
diventa
_
u
v
[f(x)[dx, e quindi ci si riduce al primo caso gi` a provato.
Osservazione 5.2.11 Sia A un sottoinsieme di R. La funzione
I
A
(x) =
_
1 se x A
0 se x / A
si chiama funzione caratteristica, o indicatrice, di A. Se A`e limitato, e se [a, b]
`e un qualunque intervallo contenente A, la funzione I
A
pu` o essere integrabile
secondo Riemann in [a, b] oppure no, come mostra lesempio 5.1.7. Se A `e un
intervallo [c, d], `e immediato vericare che I
A
1(a, b) e che
_
b
a
I
A
dx = dc.
Dunque se A = [c, d], lintegrale di I
A
su [a, b] `e uguale alla lunghezza di A.
Questo suggerisce un modo per attribuire una misura a una vasta classe
di sottoinsiemi limitati di R: quelli la cui corrispondente funzione indicatrice
`e integrabile, e che potremo chiamare insiemi misurabili. In altre parole, se
A `e limitato, se [a, b] A e se I
A
1(a, b), deniamo la misura di A come
segue:
m(A) =
_
b
a
I
A
dx.
Dato che I
A
`e nulla fuori di A, `e chiaro che questa denizione non dipende dal-
la scelta dellintervallo [a, b]. Dalle propriet` a dellintegrale segue immediata-
mente che m() = 0, che m attribuisce agli intervalli la loro lunghezza, che m
`e additiva sugli insiemi misurabili disgiunti (ossia m(AB) = m(A)+m(B)),
e che in particolare m `e monotona (cio`e m(A) m(B) se A B).
Esercizi 5.2
1. Si provi che se f, g 1(a, b) allora fg 1(a, b).
[Traccia: si verichi che
osc(fg, I) osc(f, I) sup
I
[g[ + osc(g, I) sup
I
[f[.]
374
2. Si provi che se f, g 1(a, b) e inf
[a,b]
[g[ = m > 0, allora
f
g
1(a, b).
[Traccia: grazie allesercizio precedente, basta provare la tesi quando
f 1; si provi che osc(1/g, I)
1
m
2
osc(g, I).]
3. Si verichi che per ogni f, g : [a, b] R si ha
f g = g + (f g) 0, f g = f + g f g;
dedurne che se f, g 1(a, b) allora f g, f g 1(a, b).
[Traccia: si osservi che basta vericare che f 0 1(a, b), e si provi
che risulta osc(f 0, I) osc(f, I).]
4. Se A `e un sottoinsieme di R
m
o di C
m
, una funzione f : A R
si dice lipschitziana (dal nome del matematico tedesco Lipschitz) se
esiste L > 0 tale che
[f(x) f(y)[ L[x y[
m
x, y A
(il pi` u piccolo numero L che soddisfa la denizione si chiama costante
di Lipschitz di f). Si provi che se f 1(a, b) e : R R `e una
funzione lipschitziana, allora f 1(a, b).
[Traccia: si provi che osc( f, I) L osc(f, I).]
5. Dimostrare la proposizione 5.2.7.
6. Si calcoli, se esiste, la misura dellinsieme
A =

_
n=0
[2
2n1
, 2
2n
[.
7. Dimostrare che linsieme ternario di Cantor (esercizio 3.1.22) `e misu-
rabile, e calcolarne la misura.
5.3 Alcune classi di funzioni integrabili
Utilizzando il criterio fornito dalla proposizione 5.1.9 si determina facilmente
una prima importante classe di funzioni integrabili: quella delle funzioni
monotone.
375
Teorema 5.3.1 Sia f : [a, b] R una funzione monotona. Allora f `e
integrabile su [a, b].
Dimostrazione Osserviamo anzitutto che f `e limitata, in quanto dalla
monotonia segue
f(x) [f(a), f(b)] se f `e crescente, f(x) [f(b), f(a)] se f `e decrescente.
Consideriamo le suddivisioni equispaziate
N
, con nodi x
i
= a +
i
N
(b a)
(esempio 5.1.2). Supponendo ad esempio f crescente, si ha
S(f,
N
) =
N

i=1
f(x
i
)(x
i
x
i1
), s(f,
N
) =
N

i=1
f(x
i1
)(x
i
x
i1
),
cosicche
S(f,
N
) s(f,
N
) =
N

i=1
[f(x
i
) f(x
i1
)](x
i
x
i1
) =
=
N

i=1
[f(x
i
) f(x
i1
)]
b a
N
= [f(b) f(a)]
b a
N
.
Quindi, ssato > 0, il criterio di integrabilit` a (proposizione 5.1.9) `e soddi-
sfatto se si sceglie N abbastanza grande.
Uniforme continuit`a
Il nostro prossimo obiettivo `e quello di dimostrare lintegrabilit` a delle funzioni
continue su un intervallo compatto. A questo scopo conviene introdurre la
nozione di uniforme continuit`a, la quale, come suggerisce il nome, `e una
propriet` a pi` u restrittiva della continuit` a.
Ricordiamo che se A `e un sottoinsieme di R
m
(oppure di C
m
) e f : A R `e
una funzione, dire che f `e continua in A signica che
x
0
A, > 0 > 0 : [f(x) f(x
0
)[ < x A con [xx
0
[
m
< .
Denizione 5.3.2 Sia A un sottoinsieme di R
m
(o di C
m
) e sia f : A R
una funzione. Diciamo che f `e uniformemente continua in A se
> 0 > 0 : [f(x) f(x
0
)[ < x A, x
0
A con [xx
0
[
m
< .
376
Come si vede, nella denizione di uniforme continuit` a si `e spostata la stringa
x
0
A dallinizio alla ne della frase. Questo fa s` che il numero di
cui si prescrive lesistenza sia sottoposto ad una richiesta pi` u forte: esso deve
garantire che sia [f(x) f(x
0
)[ < non solo per ogni x vicino ad un ssato
punto x
0
, ma per ogni coppia di punti x, x
0
fra loro vicini, in qualunque parte
di A essi si trovino. In denitiva: il numero deve dipendere da , ma non
da x
0
.
La denizione di uniforme continuit` a si esprime bene facendo intervenire
loscillazione di f (denizione 5.2.1): f `e uniformemente continua in A se e
solo se per ogni > 0 esiste > 0 tale che risulti
osc(f, B) = sup
B
f inf
B
f
per ogni palla B A che abbia raggio non superiore a /2, ovunque si trovi
il suo centro.
Luniforme continuit`a di una funzione f si pu` o interpretare geometricamen-
te nel modo seguente: si consideri un rettangolo R, di base 2 ed altezza
2, centrato in un punto del graco di f; si ha continuit` a uniforme se per
qualunque > 0 vi `e una base > 0 tale che, facendo scorrere il centro
del rettangolo R lungo il graco di f, il graco non intersechi mai i due lati
orizzontali del rettangolo.
Esempi 5.3.3 (1) Siano A = [0, [ e f(x) = x
2
. Per ogni intervallo I
a
=
[a, a + ] si ha
osc(f, I
a
) = (a + )
2
a
2
= 2a +
2
;
dunque f, pur essendo continua in [0, [, non `e uniformemente continua in
tale semiretta in quanto, ssato > 0 e comunque preso > 0, risulta, per
valori di a sucientemente grandi, osc(f, I
a
) = 2a +
2
.
377
(2) Ogni funzione lipschitziana in un insieme A `e uniformemente continua
in A: dato > 0, basta scegliere = /L, ove L `e la costante di Lipschitz di
f. In particolare, le funzioni f : R R derivabili con derivata limitata sono
uniformemente continue, in quanto per il teorema di Lagrange esse risultano
lipschitziane con costante L sup
R
[f

[. Si noti che in generale le funzioni


appartenenti a C
1
(R) non sono ne lipschitziane ne uniformemente continue,
come mostra lesempio della funzione f(x) = x
2
.
Come abbiamo visto, non tutte le funzioni continue sono uniformemente
continue; tuttavia vale il seguente importante risultato:
Teorema 5.3.4 (di Heine-Cantor) Sia f una funzione reale, denita su
un sottoinsieme compatto A di R
m
o di C
m
. Se f `e continua in A, allora f
`e uniformemente continua in A.
Dimostrazione Supponiamo per assurdo che f non sia uniformemente con-
tinua in A: allora, negando la denizione 5.3.2, troviamo che esiste > 0
tale che, qualunque sia > 0, possiamo determinare due punti x, x
0
A che
vericano [x x
0
[
m
< , ma [f(x) f(x
0
)[
m
. Scegliendo allora = 1/k,
con k N
+
, per ogni k troveremo x
k
, x

k
A tali che
[x
k
x

k
[
m
<
1
k
, [f(x
k
) f(x

k
)[ .
Le due successioni x
k
e x

k
cos` costruite sono costituite da punti del
compatto A. Per denizione di insieme compatto (osservazione 3.1.20), esiste
una sottosuccessione x
kn
x
k
che converge ad un punto x A; la
corrispondente sottosuccessione x

kn
x

k
converge anchessa a x, dato
che [x
kn
x

kn
[
m
< 1/k
n
0 per n . Ma allora, essendo f continua nel
punto x, si deve avere f(x
kn
) f(x) e f(x

kn
) f(x) per n , il che `e
assurdo perche [f(x
kn
) f(x

kn
)[ per ogni n.
Osservazione 5.3.5 Il teorema di Heine-Cantor vale se A `e compatto, ossia
limitato e chiuso (teorema 3.1.19 e osservazione 3.1.20): il risultato `e falso
se A non `e limitato, come mostra lesempio 5.3.3 (1), ed anche se A non `e
chiuso, come mostra lesempio della funzione f(x) = 1/x, x ]0, 1] (si veda
lesercizio 5.3.7).
Osservazione 5.3.6 Non `e dicile vericare, applicando la denizione, che
per una funzione uniformemente continua f : A R vale la seguente pro-
priet` a: se due successioni x
n
, y
n
A vericano x
n
y
n
0, allora per
378
le trasformate f(x
n
), f(y
n
) si ha f(x
n
) f(y
n
) 0. Ci` o si traduce in
un utile criterio di non uniforme continuit`a: se, data una funzione continua
f : A R, esistono due successioni x
n
, y
n
A tali che x
n
y
n
tende a
0, ma f(x
n
) f(y
n
) non tende a 0, allora f non pu`o essere uniformemente
continua. Ad esempio, la funzione f(x) = x sin x non `e uniformemente con-
tinua su R, poiche scegliendo x
n
= 2n +
1
n
, y
n
= 2n, si ha x
n
y
n
0,
ma
f(x
n
) f(y
n
) =
_
2n +
1
n
_
sin
1
n
= 2
_
nsin
1
n
_
+
1
n
sin
1
n
2.
Integrabilit`a delle funzioni continue
Proviamo ora lintegrabilit`a delle funzioni continue su un intervallo [a, b].
Notiamo che ogni funzione continua f : [a, b] R `e necessariamente limitata
(per il teorema di Weierstrass) e uniformemente continua (per il teorema di
Heine-Cantor).
Teorema 5.3.7 Ogni funzione continua f : [a, b] R `e integrabile in [a, b].
Dimostrazione Sia > 0. Poiche f `e uniformemente continua, esiste > 0
tale che
x, x

[a, b], [x x

[ < = [f(x) f(x

)[ <

b a
.
Prendiamo, per ogni N N
+
, le suddivisioni equispaziate
N
i cui nodi sono
x
i
= a +
i
N
(b a), i = 0, 1, . . . , N. Se scegliamo N >
ba

, avremo
x
i
x
i1
=
b a
N
< , i = 1, . . . , N.
Valutiamo la quantit` a S(f,
N
) s(f,
N
): si ha
S(f,
N
) s(f,
N
) =
N

i=1
_
max
[x
i1
,x
i
]
f min
[x
i1
,x
i
]
f
_
(x
i
x
i1
) =
=
N

i=1
[f(
i
) f(
i
)]
b a
N
,
379
ove
i
e
i
sono rispettivamente punti di massimo e di minimo per f nel-
lintervallo [x
i1
, x
i
]. Poiche, ovviamente, [
i

i
[ x
i
x
i1
< , avremo
f(
i
) f(
i
) <

ba
, e dunque
S(f,
N
) s(f,
N
) <
N

i=1

b a

b a
N
= N >
b a

.
Per la proposizione 5.1.9 si conclude che f `e integrabile in [a, b].
Osservazione 5.3.8 Pi` u in generale, risultano integrabili in [a, b] le funzioni
che sono limitate in [a, b] e continue salvo che in un numero nito di punti
x
1
, . . . , x
k
[a, b]. La dimostrazione di questo fatto, benche formalmente
un po pesante, non `e aatto dicile, e per essa si rimanda allesercizio 5.3.10.
La classe 1(a, b) `e considerevolmente ampliata dal seguente risultato:
Teorema 5.3.9 Sia f 1(a, b) e poniamo M = sup
[a,b]
f, m = inf
[a,b]
f. Se
: [m, M] R `e una funzione continua, allora f 1(a, b).
Si noti che f non `e necessariamente una funzione continua.
Dimostrazione Fissato > 0, sia ]0, [ tale che
t, s [m, M], [t s[ < = [(t) (s)[ < ;
tale esiste poiche `e uniformemente continua in [m, M] in virt` u del teorema
di Heine-Cantor.
Poiche f 1(a, b), esiste una suddivisione = x
0
, x
1
, . . . , x
N
di [a, b] tale
che
S(f, ) s(f, ) <
2
.
Posto I
i
= [x
i1
, x
i
], consideriamo gli insiemi
A = i 1, . . . , N : osc(f, I
i
) < ,
B = i 1, . . . , N : osc(f, I
i
) .
Si ha allora, posto K = sup
[m,M]
[[,
osc( f, I
i
) < i A, osc( f, I
i
) 2K i B,
Quindi

iB
(x
i
x
i1
)

iB
osc(f, I
i
)(x
i
x
i1
) S(f, ) s(f, ) <
2
380
ovvero

iB
(x
i
x
i1
) < .
Da ci`o segue
S( f, ) s( f, ) =
=

iA
osc( f, I
i
)(x
i
x
i1
) +

iB
osc( f, I
i
)(x
i
x
i1
)
(b a) + 2K < (b a + 2K),
cio`e la tesi.
Esercizi 5.3
1. Sia f : A R una funzione uniformemente continua. Si provi che
esiste un unico prolungamento f : A R di f, che sia uniformemente
continuo.
2. Si provi che se f `e uniformemente continua in A ed in B, allora f `e
uniformemente continua in A B.
3. Sia f : R R una funzione continua, e supponiamo che f abbia
asintoti obliqui per x . Provare che f `e uniformemente continua
in R.
4. Esibire una funzione f : R R limitata e di classe C

, ma non
uniformemente continua su R.
5. Sia f : R R uniformemente continua. Si provi che esistono A, B > 0
tali che
[f(x)[ A + B[x[ x R,
e che il viceversa, anche ammettendo f continua, `e falso.
6. Si provi che [x

[ [x y[

per ogni x, y 0 e per ogni [0, 1];


se ne deduca che se [0, 1[ la funzione f(x) = x

`e uniformemente
continua in [0, [, ma non `e lipschitziana in tale semiretta.
7. Si provi che per ogni > 0 la funzione f(x) = x

non `e uniformemente
continua in ]0, 1].
381
8. Si provi che se una funzione f : A R `e uniformemente continua,
allora essa trasforma successioni di Cauchy in successioni di Cauchy, e
che il viceversa `e vero se e solo se A `e limitato.
9. Sia f : R R tale che (a) f(0) = 0, (b) f `e continua in 0, (c) f(x+x

)
f(x)+f(x

) per ogni x, x

R. Si provi che f `e uniformemente continua.


10. Dimostrare che ogni funzione limitata in [a, b], e continua salvo che in
un numero nito di punti, `e integrabile in [a, b].
11. Sia f : [a, b] R una funzione convessa. Provare che
f
_
a + b
2
_

1
b a
_
b
a
f(x) dx
f(a) + f(b)
2
.
5.4 Il teorema fondamentale del calcolo inte-
grale
Se f `e una funzione integrabile secondo Riemann in un intervallo [a, b], sap-
piamo dalla proposizione 5.2.7 che si ha anche f 1(a, x) per ogni x [a, b].
Quindi possiamo denire la funzione
F(x) =
_
x
a
f(t) dt, x [a, b],
che si chiama funzione integrale della f. Si noti, di passaggio, che non `e
lecito scrivere
_
x
a
f(x) dx: la variabile di integrazione non va confusa con gli
estremi dellintervallo di integrazione, esattamente come nelle sommatorie si
scrive

n
k=0
a
k
e non

n
n=0
a
n
.
Analizziamo le propriet`a della funzione integrale F.
Proposizione 5.4.1 Se f 1(a, b), allora la sua funzione integrale F `e
continua, anzi lipschitziana, in [a, b], e risulta F(a) = 0.
Dimostrazione Ovviamente F(a) =
_
a
a
f(x) dx = 0. Proviamo che F `e
lipschitziana (esempio 5.3.3 (2)). Siano x, x

[a, b] con, ad esempio, x < x

:
per la proposizione 5.2.9 ed il corollario 5.2.10 si ha
[F(x) F(x

)[ =

_
x
a
f(t) dt
_
x

a
f(t) dt

_
x
x

f(t) dt

_
x
x

[f(t)[ dt

;
382
scelta la suddivisione banale
1
= x, x

dellintervallo I = [x, x

], si ottiene,
per denizione di integrale,
[F(x) F(x

)[

_
x
x

[f(t)[ dt

S([f[,
1
) = sup
I
[f[ [x x

[.
Ne segue la tesi.
Teorema 5.4.2 (teorema fondamentale del calcolo integrale) Sia f
una funzione continua in [a, b]. Allora la sua funzione integrale F `e derivabile
in [a, b] e si ha
F

(x) = f(x) x [a, b].


Dimostrazione Fissiamo x
0
[a, b]. Per ogni x [a, b] x
0
consideriamo
il rapporto incrementale di F in x
0
:
F(x) F(x
0
)
x x
0
=
1
x x
0
_
x
x
0
f(t) dt.
Poiche f `e continua in x
0
, ssato > 0 esister`a > 0 tale che
[t x
0
[ < = [f(t) f(x
0
)[ < .
Quindi possiamo scrivere (essendo
_
x
x
0
c dt = c(x x
0
) per ogni costante c)
F(x) F(x
0
)
x x
0
=
1
x x
0
_
x
x
0
[f(t) f(x
0
) + f(x
0
)] dt =
=
1
x x
0
_
x
x
0
[f(t) f(x
0
)] dt + f(x
0
).
Se ora x x
0
, il primo termine allultimo membro `e innitesimo: infatti non
appena [x x
0
[ < avremo, per la monotonia dellintegrale,

1
x x
0
_
x
x
0
[f(t) f(x
0
)] dt


1
[x x
0
[

_
x
x
0
[f(t) f(x
0
)[ dt

1
[x x
0
[

_
x
x
0
dt

= .
Pertanto
lim
xx
0
F(x) F(x
0
)
x x
0
= f(x
0
) x
0
[a, b],
e ci`o prova la tesi.
383
Osservazioni 5.4.3 (1) La continuit`a di f `e essenziale nel teorema prece-
dente: vedere lesercizio 5.4.1.
(2) Nella dimostrazione precedente in eetti si `e provato un risultato pi` u
preciso: se f 1(a, b) e f `e continua in un punto x
0
, allora F `e derivabile
in quel punto, con F

(x
0
) = f(x
0
).
Perche il teorema fondamentale del calcolo integrale ha questo nome? Perche,
come presto scopriremo, per mezzo di esso `e possibile calcolare una gran
quantit` a di integrali: gi`a questo lo rende un teorema basilare. Ma la sua
importanza `e ancora maggiore per il fatto che esso mette in relazione fra
loro lintegrale e la derivata, cio`e due operazioni i cui signicati geometrici
sembrano avere ben poca relazione fra di loro: il calcolo di unarea delimitata
da un graco e la nozione di retta tangente a tale graco. In realt`a, in un
certo senso, lintegrazione e la derivazione sono due operazioni luna inversa
dellaltra.
Per capire meglio come stanno le cose, `e necessario introdurre la nozione di
primitiva di una data funzione.
Denizione 5.4.4 Sia f : [a, b] R una funzione qualunque. Diciamo
che una funzione G : [a, b] R `e una primitiva di f se G `e derivabile in
[a, b] e se risulta G

(x) = f(x) per ogni x [a.b]. Linsieme delle primitive


di una funzione f si chiama integrale indenito di f e si indica talvolta
con lambiguo simbolo
_
f(x) dx (il quale quindi rappresenta un insieme di
funzioni e non una singola funzione).
Non tutte le funzioni sono dotate di primitive (esercizio 5.4.1); per` o, se ne
esiste una allora ne esistono innite: infatti se G `e una primitiva di f, allora
G + c `e ancora una primitiva di f per ogni costante c R. Daltra parte,
sappiamo dal teorema fondamentale del calcolo integrale che ogni funzione f
continua su [a, b] ha una primitiva: la sua funzione integrale F.
Corollario 5.4.5 Se f `e continua in [a, b] e G `e unarbitraria primitiva di
f, allora si ha
_
y
x
f(t) dt = G(y) G(x) x, y [a, b].
Dimostrazione Sia F(x) =
_
x
a
f(t) dt la funzione integrale di f. Essendo
f continua, si ha F

= G

= f in [a, b], e in particolare (F G)

= 0 in
384
[a, b]. Quindi F G `e una funzione costante in [a, b] (proposizione 4.3.4),
ossia esiste c R tale che G(x) = F(x) + c per ogni x [a, b]. Ne segue
G(y) G(x) = F(y) F(x) =
_
y
x
f(t) dt x, y [a, b].
Osservazioni 5.4.6 (1) Si suole scrivere [G(t)]
y
x
in luogo di G(y) G(x).
(2) La dimostrazione precedente mostra, pi` u in generale, che se f ha una
primitiva F, allora ogni altra primitiva G di f `e della forma G(x) = F(x)+c:
in altre parole, se F `e una assegnata primitiva di f si ha
_
f(x) dx = F + c, c R.
Dunque per calcolare lintegrale
_
y
x
f(t) dt occorre determinare una primitiva
G di f (per poi calcolarla negli estremi dellintervallo), il che corrisponde
essenzialmente a fare loperazione inversa della derivazione. Per questa ope-
razione non ci sono purtroppo ricette prestabilite, come invece accade per
il calcolo delle derivate: vi sono funzioni continue molto semplici, quali ad
esempio e
x
2
oppure
sin x
x
, le cui primitive (che esistono, per il teorema fon-
damentale del calcolo integrale) non sono esprimibili in termini di funzioni
elementari; il che, peraltro, non impedisce di calcolarne gli integrali con qua-
lunque precisione prestabilita, utilizzando formule di quadratura oppure
scrivendo le primitive come somme di opportune serie di potenze.
`
E utile a questo punto riportare la seguente tabella di primitive note:
385
integrando primitiva
x
p
(p ,= 1)
x
p+1
p + 1
x
1
ln [x[
e
x
( ,= 0)
e
x

cos x sin x
sin x cos x
cosh x sinh x
sinh x cosh x
integrando primitiva

n=0
a
n
x
n

n=0
1
n + 1
a
n
x
n+1
1
1 + x
2
arctan x
1

1 x
2
arcsin x
1

1 + x
2
ln
_
x +

1 + x
2
_
1
cos
2
x
tan x
1
sin
2
x

1
tan x
Esercizi 5.4
1. Si consideri la funzione segno di x, denita da
f(x) = sgn(x) =
_
_
_
1 se 0 < x 1
0 se x = 0
1 se 1 x < 0.
(i) Si calcoli
_
x
0
f(t) dt per ogni x [1, 1].
(ii) Si provi che f non ha primitive in [1, 1].
2. Provare che esistono funzioni f discontinue in R, ma dotate di primitive.
[Traccia: posto F(x) = x sin(1/x) per x ,= 0 e F(0) = 0, si verichi
che F `e derivabile e si prenda f = F

.]
3. Si dica quali ipotesi assicurano i fatti seguenti:
(i)
d
dx
_
x
a
f(t) dt = f(x), (ii)
_
x
a
f

(t) dt = f(x) f(a).


386
4. Sia
f(x) =
_
cos
1
x
se x [1, 1] 0,
0 se x = 0.
Si verichi che f `e integrabile ma non continua in [1, 1], che x
_
x
0
f(t) dt `e derivabile in [1, 1] e che risulta
d
dx
_
x
a
f(t) dt = f(x) x [1, 1].
Si osservi inoltre che la funzione g(x) =
_
x
0
f(t) dt `e derivabile in [1, 1],
che g

1(1, 1) C[1, 1], e che si ha


_
x
0
g

(t) dt = g(x) x [1, 1].


5. Sia f una funzione continua in R. Calcolare
d
dx
_
2x
x
f(t) dt,
d
dx
_
x
2
x
f(t) dt,
d
dx
sin
__
3
x
2
x
f(t) dt
_
.
[Traccia: si tratta di derivare opportune funzioni composte.]
6. Sia f una funzione continua e non negativa in [a, b]. Si provi che se
_
b
a
f(x) dx = 0, allora f 0 in [a, b], e che la conclusione `e falsa se si
toglie una qualunque delle ipotesi.
7. Sia f : R R continua e tale che f(x) R per x . Si provi
che
lim
x
1
x
_
x
0
f(t) dt = .
8. Sia f : R R una funzione periodica di periodo T > 0, cio`e tale che
f(x + T) = f(x) per ogni x R. Provare che se f 1(0, T) allora
f 1(a, a + T) per ogni a R e
_
a+T
a
f(t) dt =
_
T
0
f(t) dt a R.
387
5.5 Metodi di integrazione
Non esiste una procedura standard per il calcolo delle primitive e quindi degli
integrali. I metodi che esporremo adesso servono a trasformare gli integrali
(e non a calcolarli), naturalmente con la speranza che dopo la trasformazione
lintegrale risulti semplicato e calcolabile.
Integrazione per parti
Il metodo di integrazione per parti nasce come conseguenza della formula per
la derivata di un prodotto: poiche
D(f(x)g(x)) = f

(x)g(x) + f(x)g

(x),
avremo
f

(x)g(x) = D(f(x)g(x)) f(x)g

(x),
cosicche, integrando i due membri su [a, b], si ottiene per ogni coppia di
funzioni f, g C
1
[a, b] la seguente formula di integrazione per parti:
_
b
a
f

(x)g(x) dx = [f(x)g(x)]
b
a

_
b
a
f(x)g

(x) dx.
Con questa formula, lintegrale
_
b
a
f

(x)g(x) dx si trasforma nellintegrale


_
b
a
f(x)g

(x) dx: se sappiamo calcolare questo, sapremo calcolare anche lal-


tro.
Esempi 5.5.1 (1) Consideriamo lintegrale
_
b
a
x sin x dx. Si ha, con f

(x) =
sin x e g(x) = x,
_
b
a
x sin x dx = [x(cos x)]
b
a

_
b
a
1 (cos x) dx = [x cos x + sin x]
b
a
,
e in particolare una primitiva di x sin x `e x cos x + sin x. In modo analogo
si calcola lintegrale
_
b
a
x cos x dx.
(2) Per il calcolo di
_
b
a
x
2
e
x
dx si ha, con f

(x) = e
x
, g(x) = x
2
,
_
b
a
x
2
e
x
dx =
_
x
2
e
x

b
a

_
b
a
2xe
x
dx =
(con unaltra integrazione per parti)
=
_
x
2
e
x
2xe
x

b
a
+ 2
_
b
a
e
x
dx =
_
x
2
e
x
2xe
x
+ 2e
x

b
a
,
388
e in particolare una primitiva di x
2
e
x
`e (x
2
2x + 2)e
x
.
(3) Calcoliamo
_
b
a
e
x
cos x dx. Si ha, con f

(x) = e
x
e g(x) = cos x,
_
b
a
e
x
cos x dx = [e
x
cos x]
b
a
+
_
b
a
e
x
sin x dx =
(integrando nuovamente per parti)
= [e
x
cos x + e
x
sin x]
b
a

_
b
a
e
x
cos x dx;
quindi
2
_
b
a
e
x
cos x dx = [e
x
cos x + e
x
sin x]
b
a
,
e inne
_
b
a
e
x
cos x dx =
1
2
[e
x
cos x + e
x
sin x]
b
a
.
In particolare, una primitiva di e
x
cos x `e
1
2
e
x
(cos x+sin x). Si noti che strada
facendo abbiamo indirettamente calcolato anche
_
b
a
e
x
sin x dx =
1
2
[e
x
cos x + e
x
sin x]
b
a
.
Osserviamo inoltre che avremmo potuto anche integrare per parti prendendo
g(x) = e
x
e f

(x) = cos x.
(4) Per lintegrale
_
b
a

1 x
2
dx notiamo prima di tutto che deve essere
[a, b] [1, 1] anche lintegrando sia ben denito. Si ha, con f

(x) = 1 e
g(x) =

1 x
2
,
_
b
a

1 x
2
dx =
_
x

1 x
2
_
b
a
+
_
b
a
x
2

1 x
2
dx =
=
_
x

1 x
2
_
b
a
+
_
b
a
x
2
1 + 1

1 x
2
dx =
=
_
x

1 x
2
_
b
a

_
b
a

1 x
2
dx +
_
b
a
1

1 x
2
dx;
quindi
2
_
b
a

1 x
2
dx =
_
x

1 x
2
_
b
a
+
_
b
a
1

1 x
2
dx =
_
x

1 x
2
+ arcsin x
_
b
a
389
e inne
_
b
a

1 x
2
dx =
1
2
_
x

1 x
2
+ arcsin x
_
b
a
.
In particolare, una primitiva di

1 x
2
`e
1
2
_
x

1 x
2
+ arcsin x

.
In modo analogo si pu`o calcolare lintegrale
_
b
a

1 + x
2
dx.
Osservazione 5.5.2 Se [a, b] = [1, 1], dallultimo degli esempi precedenti
segue
_
1
1

1 x
2
dx =
1
2
(arcsin 1 arcsin(1)) =

2
;
questa `e larea del semicerchio con la denizione del numero (denizione
1.12.6) e si osservi che abbiamo ritrovato il risultato dellesercizio 5.1.4.
Integrazione per sostituzione
Il metodo di integrazione per sostituzione `e glio della formula che fornisce
la derivata delle funzioni composte: poiche
D(g (x)) = g

((x))

(x),
scegliendo g(y) =
_
y
a
f(t) dt (con f funzione continua in [a, b]) si ha, per il
teorema fondamentale del calcolo integrale,
D
_
(x)
a
f(t) dt = f((x))

(x),
e quindi
_
v
u
f((x))

(x) dx =
_
_
(x)
a
f(t) dt
_
v
u
=
_
(v)
a
f(t) dt
_
(u)
a
f(t) dt.
Pertanto si ottiene per ogni coppia di funzioni f C[a, b], C
1
[c, d], con
a valori in [a, b], la seguente formula di integrazione per sostituzione:
_
v
u
f((x))

(x) dx =
_
(v)
(u)
f(t) dt u, v [c, d].
Il signicato `e il seguente: la variabile x [c, d] dellintegrale di sinistra
viene sostituita dalla variabile t [a, b] nellintegrale di destra, mediante
390
il cambiamento di variabile t = (x); le lunghezze innitesime dx e dt
sono legate dalla relazione dt =

(x)dx, la quale `e coerente col fatto che da


t = (x) segue
dt
dx
=

(x).
La formula di integrazione per sostituzione si pu`o leggere al contrario: se
: [c, d] [a, b] `e invertibile, si ha
_

1
(q)

1
(p)
f((x))

(x) dx =
_
q
p
f(t) dt p, q [a, b].
Si noti che, in realt` a, anche sia valida questa formula non `e aatto neces-
sario che sia invertibile: se u, v, w, z sono punti di [c, d] tali che (u) =
(w) = p, (v) = (z) = q (dunque non `e iniettiva), si ha
_
v
u
f((x))

(x) dx =
_
_
(x)
a
f(t) dt
_
v
u
=
_
(v)
(u)
f(t) dt =
_
q
p
f(t) dt =
=
_
(z)
(w)
f(t) dt =
_
_
(x)
a
f(t) dt
_
z
w
=
_
z
w
f((x))

(x) dx.
Esempi 5.5.3 (1) Nellintegrale
_
b
a
x
3

1 + x
2
dx poniamo x
2
= t, da cui
dt = 2xdx: si ha allora
_
b
a
x
3

1 + x
2
dx =
_
b
2
a
2
1
2
t

1 + t dt =
1
2
_
b
2
a
2
(t + 1 1)

1 + t dt =
=
1
2
_
b
2
a
2
_
(1 + t)
3/2
(1 + t)
1/2
_
dt =
1
2
_
2
5
(1 + t)
5/2

2
3
(1 + t)
3/2
_
b
2
a
2
=
=
1
2
_
2
5
(1 + x
2
)
5/2

2
3
(1 + x
2
)
3/2
_
b
a
.
(2) Nellintegrale
_
b
a
e

x
dx bisogna supporre [a, b] ]0, +[, in modo che
lintegrando sia ben denito e limitato. Posto

x = t, da cui dt =
1
2

x
dx, si
ha
_
b
a
e

x
dx =
_

b

a
2e
t
dt =
_
2e
t

a
=
_
2e

x
_
b
a
.
(3) Sappiamo gi` a calcolare lintegrale
_
1
0

1 x
2
dx (esempio 5.5.1 (4)), ma
ora useremo un altro metodo. Qui leggiamo la formula di integrazione per
sostituzione al contrario: poniamo x = sin t, da cui dx = cos t dt; quando x
391
descrive [0, 1], si ha t [0, /2], oppure t [/2, ], o anche t [, 5/2] (e
innite altre scelte sono possibili): se si `e scelto per la variabile t lintervallo
[0, /2], si ottiene
_
1
0

1 x
2
dx =
_
/2
0
_
1 sin
2
t cos t dt =
(essendo cos t > 0 in [0, /2])
=
_
/2
0
cos
2
t dt = (integrando per parti)
=
1
2
[t + sin t cos t]
/2
0
=

4
.
Se invece scegliamo per la t lintervallo [/2, ], otteniamo la stessa cosa:
_
1
0

1 x
2
dx =
_
/2

_
1 sin
2
t cos t dt =
(essendo cos t < 0 in [/2, ])
=
_
/2

(cos
2
t) dt =
_

/2
cos
2
t dt =

4
.
Il lettore pu`o vericare per suo conto, prestando attenzione al segno di cos t,
che anche scegliendo per la t lintervallo [, 5/2] il risultato dellintegrazione
`e lo stesso.
(4) Nellintegrale
_
b
a

1 + x
2
dx poniamo x = sinh t, da cui dx = cosh t dt, e
ricordiamo che la funzione inversa del seno iperbolico `e settsinh x = log(x +

1 + x
2
), x R. Si ha allora
_
b
a

1 + x
2
dx =
_
settsinh b
settsinh a
cosh
2
t dt;
con due integrazioni per parti si ottiene
_
b
a

1 + x
2
dx =
1
2
[t + sinh t cosh t]
settsinh b
settsinh a
=
1
2
_
settsinh x + x

1 + x
2
_
b
a
.
In modo analogo si calcola lintegrale
_
b
a

x
2
1 dx, sempre che si abbia
[a, b]] 1, 1[= .
Nellesercizio 5.5.8 si fornisce una giusticazione dei nomi seno iperbolico,
coseno iperbolico e settore seno iperbolico.
392
Integrali vettoriali
`
E utile parlare brevemente anche di integrali vettoriali, ossia dellintegrale
di funzioni di una variabile a valori in R
m
(e in particolare nel caso m = 2
rientra anche il caso di funzioni complesse). Esso si denisce come segue:
Denizione 5.5.4 Sia g : [a, b] R
m
una funzione. Supponiamo che le
sue componenti g
i
: [a, b] R siano integrabili secondo Riemann su [a, b].
Allora l integrale di g su [a, b] `e il vettore
_
b
a
g(t) dt =
__
b
a
g
1
(t) dt, . . . ,
_
b
a
g
m
(t) dt
_
R
m
.
In particolare, se g = +i : [a, b] C, lintegrale di g su [a, b] `e il numero
complesso
_
b
a
g(t) dt =
_
b
a
(t) dt + i
_
b
a
(t) dt.
Lintegrale vettoriale `e lineare e verica ancora la propriet` a di additivit` a
_
v
u
g(t) dt =
_
w
u
g(t) dt +
_
v
w
g(t) dt u, v, w [a, b].
Inoltre, in luogo della monotonia, che perde di signicato, vale la seguente
fondamentale disuguaglianza:
Proposizione 5.5.5 Sia g : [a, b] R
m
tale che g
i
1(a, b) per i =
1, . . . , m. Allora

_
b
a
g(t) dt

_
b
a
[g(t)[
m
dt.
Dimostrazione per ogni y R
m
si ha, per denizione di prodotto scalare
(paragrafo 3.1):
__
b
a
g(t) dt, y
_
m
=
m

i=1
_
b
a
g
i
(t) dt y
i
=
_
b
a
m

i=1
g
i
(t)y
i
dt =
_
b
a
g(t), y
m
dt;
quindi per la disuguaglianza di Cauchy-Schwarz (proposizione 3.1.1)

__
b
a
g(t) dt, y
_
m

_
b
a
[g(t)[
m
[y[
m
dt y R
m
.
393
Scegliendo y =
_
b
a
g(t) dt, si conclude che

_
b
a
g(t) dt

2
m

_
b
a
[g(t)[
m
dt

_
b
a
g(t) dt

m
,
e quindi si ottiene la disuguaglianza cercata.
Esercizi 5.5
1. Calcolare i seguenti integrali ([x] denota la parte intera di x):
_
11
4
[x] dx,
_
1
1
max
_
x,

x
1
2

_
dx,
_
5
10
x[x[ dx,
_
8
5
[[x] + x[ dx,
_

minsin x, cos x dx,


_
6
0
(x
2
[x
2
]) dx.
2. Calcolare
_
10
10
f(x) dx, ove
f(x) =
_

_
3 se x [10, 7]
1 se x ] 7, 1]
10 se x ]1, 5[
1000 se x = 5
8 se x ]5, 10].
3. Determinare larea della regione piana delimitata da:
(i) la retta y = x e la parabola y = x
2
;
(ii) le parabole y
2
= 9x e x
2
= 9y;
(iii) lellisse
x
2
9
+ 4y
2
= 1;
(iv) le rette y = x, y = x, y = 2x 5.
4. Calcolare le primitive di x
n
e
x
per ogni n N.
394
5. Calcolare i seguenti integrali
_
/2
/2
cos
2
9x dx,
_
/2
/2
sin
2
10x dx,
_
/4
0
tan x dx,
_
0
3
2
x
dx,
_
100
1
ln x
x
dx,
_

0
sin x cos x dx,
_
10
0
x + 2
1 + x
2
dx,
_
2
0
8
x/3
dx.
6. Si provi che se m, n N
+
si ha
_

cos mx sin nx dx = 0,
_

cos mx cos nx dx =
_

sin mx sin nx dx =
_
0 se m ,= n
se m = n.
7. Per n N
+
vericare le seguenti formule:
_
b
a
cos
n1
x sin(n + 1)x dx =
_
cos
n
x cos nx
n
_
b
a
,
_
b
a
cos
n1
x cos(n + 1)x dx =
_
cos
n
x sin nx
n
_
b
a
,
_
b
a
sin
n1
x sin(n + 1)x dx =
_
sin
n
x sin nx
n
_
b
a
,
_
b
a
sin
n1
x cos(n + 1)x dx =
_
sin
n
x cos nx
n
_
b
a
.
395
8. (i) Siano O = (0, 0), A = (1, 0) e P = (cos t, sin t). Si provi, calcolando
un opportuno integrale, che larea del settore circolare OAP della
gura a sinistra `e uguale a t/2.
(ii) Sia inoltre Q = (cosh t, sinh t). Si provi, analogamente, che larea
del settore iperbolico OAQ della gura a destra `e pari a t/2.
9. Provare che se f `e una funzione continua in [a, b] si ha
_
x
a
__
t
a
f(s) ds
_
dt =
_
x
a
(x s)f(s) ds.
10. Provare che se f 1(0, a) si ha
_
a
0
f(t) dt =
_
a
0
f(a t) dt,
e utilizzando questo risultato si calcoli lintegrale
_

0
x sin x
1 + cos
2
x
dx.
11. Sia

n=0
a
n
x
n
una serie di potenze con raggio di convergenza R > 0.
Provare che la serie `e integrabile termine a termine in ogni intervallo
[a, b] contenuto in ] R, R[, cio`e che risulta
_
b
a

n=0
a
n
x
n
dx =

n=0
_
b
a
a
n
x
n
dx =

n=0
_
1
n + 1
a
n
x
n+1
_
b
a
.
12. Calcolare i seguenti integrali:
_
3
2
2x + 1
3x 1
dx,
_
2
1
(x 1) e
x
ln x dx,
_
1
0
sinh
2
x dx,
_
/2
/4
dx
sin x
,
_
1
0

e
x
1 dx,
_
1
1/2
x ln
2
x dx,
_
e
1

x ln x dx,
_
1
1
e
e
x
+x
dx,
_
1
0
x arctan x
2
dx,
_
1
0
x arctan
2
x dx,
_
10
0
x
2
(1 + x
2
)
2
dx,
_
4
3
sin ln x dx,
_
1
0
e
x
2
e
x
+ 1
dx,
_
2
2
x
7
cosh
3
x
4
dx,
_
2e
e
ln ln x
x
dx.
396
13. Dimostrare che se f `e una funzione continua e non negativa in [a, b],
allora
lim
n
__
b
a
f(x)
n
dx
_
1/n
= max
[a,b]
f.
14. Sia f : [a, b] R una funzione di classe C
m+1
. Si esprima il resto di
Taylor in forma integrale, ossia si dimostri che per ogni x, x
0
[a, b] si
ha
f(x) =
m

n=0
1
n!
f
(n)
(x
0
)(x x
0
)
n
+
_
x
x
0
(x t)
m
m!
f
(m+1)
(t) dt.
[Traccia: per x [a, b] ssato si consideri la funzione
g(t) = f(x)
m

n=0
1
n!
f
(n)
(t)(x t)
n
, t [a, b],
e si applichi la formula g(x) g(x
0
) =
_
x
x
0
g

(t) dt.]
15. Posto I
n
=
_
/2
0
sin
n
x dx, si provi che
I
n
=
n 1
n
I
n2
n 2;
se ne deduca che
I
2n
=
(2n 1)!!
(2n)!!

2
n N
+
, I
2n+1
=
(2n)!!
(2n + 1)!!
n N,
ove k!! denota il prodotto di tutti i numeri naturali non superiori a k
aventi la stessa parit`a di k.
16. (i) Sia f
n
una successione di funzioni integrabili secondo Riemann su
[a, b]. Provare che se esiste una funzione integrabile f : [a, b] R
tale che
lim
n
sup
x[a,b]
[f
n
(x) f(x)[ = 0,
allora
lim
n
_
b
a
f
n
(x) dx =
_
b
a
f(x) dx.
397
(ii) Si verichi che
lim
n
_
1
0
nx
n
dx ,=
_
1
0
lim
n
nx
n
dx.
Come mai?
17. (Irrazionalit`a di ) Si consideri lintegrale
I
n
=
2
n!
_
2
0
_

2
4
t
2
_
n
cos t dt, n N.
(i) Si verichi che I
n
> 0 per ogni n N.
(ii) Si provi per induzione che I
n+1
= (4n + 2)I
n

2
I
n1
per ogni
n N
+
.
(iii) Se ne deduca che I
n
= P
n
(
2
), ove P
n
`e un opportuno polinomio,
di grado al pi` u n, a coecienti interi.
(iv) Supposto per assurdo che
2
sia un razionale della forma p/q, si
provi che q
n
P
n
(
2
) N
+
e che, daltra parte, lim
n
q
n
I
n
= 0.
(v) Si concluda che `e irrazionale.
18. Sia g : [a, b] R
m
una funzione di classe C
1
. Si verichi che
_
x
a
g

(t) dt = g(x) g(a) x [a, b].


5.6 Integrazione delle funzioni razionali
Una funzione razionale della variabile complessa z `e il rapporto fra due poli-
nomi P(z) e Q(z): quindi `e una funzione continua in CA, ove A `e linsieme
(nito) delle radici del denominatore. A noi interesseranno funzioni razionali
reali, in cui quindi la variabile `e x R e i polinomi sono a coecienti reali;
tali funzioni saranno continue, e dunque integrabili, in ogni intervallo chiuso
e limitato I R privo di radici del denominatore.
398
Decomposizione delle funzioni razionali
Come vedremo, `e sempre possibile scrivere esplicitamente le primitive di una
funzione razionale reale; per arrivare a questo risultato, per` o, occorrono al-
cuni preliminari relativi alla decomposizione di tali funzioni in campo com-
plesso.
Per ssare le idee, sia
R(z) =
P(z)
Q(z)
.
Se P(z) `e divisibile per Q(z), la funzione razionale si riduce a un polinomio
e il calcolo delle sue primitive non presenta dicolt` a. Escluderemo dunque
questo caso; in particolare supporremo che P(z) non sia identicamente nullo
e che Q(z) non abbia grado 0. Inoltre si pu` o sempre supporre che i polinomi
P e Q siano primi fra loro, ossia che non abbiano zeri comuni. Siano allora
m 0 il grado del numeratore P e n > 0 il grado del denominatore Q.
Una funzione razionale R si dice propria se risulta m < n. Se R non `e propria,
ossia vale m n, `e necessario preliminarmente fare la divisione euclidea di
P per Q, ottenendo
P(z) = q(z)Q(z) + r(z),
ove q ha grado mn 0 e il grado di r `e minore di n; quindi sar` a
R(z) = q(z) +
r(z)
Q(z)
,
e lintegrazione esplicita di R si riduce a quella della nuova funzione razionale

R =
r
Q
, che `e propria. Supporremo dunque, dora in avanti, che la funzione
razionale R sia propria.
Proposizione 5.6.1 Sia P un polinomio di grado m e sia Q un polinomio
di grado n, con m < n. La funzione razionale R =
P
Q
si pu`o univocamente
decomporre nella somma
R(z) =
P(z)
Q(z)
=
r

i=1

k=1
A
i,k
(z
i
)
k
,
ove
1
, . . .
r
sono le radici di Q,
1
, . . . ,
r
sono le rispettive molteplicit`a
(con
1
+ +
r
= n) e le A
i,k
sono costanti complesse.
399
Dimostrazione La formula che dobbiamo dimostrare `e vera, per certi coef-
cienti A
i,k
C, se e solo se, moltiplicando per Q(z) e ponendo Q
ik
(z) =
Q(z)
(z
i
)
k
, tali A
i,k
risolvono
P(z) =
r

i=1

k=1
A
i,k
Q
ik
(z) z C;
si noti che ciascun Q
ik
`e un polinomio (di grado n k). Questa identit` a fra
polinomi `e vera se e solo se i rispettivi coecienti sono ordinatamente uguali:
dunque essa vale se e solo se gli n numeri A
i,k
vericano un opportuno siste-
ma algebrico di n equazioni lineari non omogenee. Tale sistema `e risolubile
univocamente se e solo se il determinante dei suoi coecienti `e non nullo;
e ci` o accade se e solo se il corrispondente sistema lineare omogeneo ha solo
la soluzione nulla. Sia dunque A

i,k
: 1 i r; 1 k
i
una n-pla di
numeri che risolve tale sistema lineare omogeneo: se proveremo che gli A

i,k
sono tutti nulli avremo provato la tesi. Vale dunque
0 =
r

i=1

k=1
A

i,k
Q
ik
(z) z C.
Moltiplichiamo tale relazione per (z
1
)

1
e calcoliamo per z =
1
: si
ottiene A

1,
1
= 0 e nella somma precedente si pu` o rimuovere laddendo
A

1,
1
Q
1
1
(z). Moltiplicandola ora per (z
1
)

1
1
e calcolando per z =
1
si
ricava A

1,
1
1
= 0, e procedendo in questo modo si arriva a dire che A

1,k
= 0
per k = 1, . . . ,
1
. La relazione precedente diventa cos`
0 =
r

i=2

k=1
A

i,k
Q
ik
(z) z C.
Moltiplicando per (z
2
)

2
, poi per (z
2
)

2
1
, e cos` via, si ottiene
analogamente A

2,k
= 0 per k = 1, . . . ,
2
. In modo analogo si trova alla ne
A

i,k
= 0 per k = 1, . . . ,
r
e i = 1, . . . , r. Dunque gli A

i,k
sono tutti nulli e la
formula `e dimostrata.
Esempio 5.6.2 Sia data la funzione razionale
z
4
3z
2
+ 7z 8
(z 1)
2
(z + 2)
;
400
poiche essa non `e propria, eettuando la divisione euclidea abbiamo, con
facile verica,
z
4
3z
2
+ 7z 8
(z 1)
2
(z + 2)
= z 3 +
3z
2
4z 2
(z 1)
2
(z + 2)
.
La proposizione precedente ci dice che
3z
2
4z 2
(z 1)
2
(z + 2)
=
A
z 1
+
B
(z 1)
2
+
C
z + 2
.
Per calcolare i valori delle tre costanti si moltiplica per (z 1)
2
(z + 2),
ottenendo
3z
2
4z 2 = A(z 1)(z + 2) + B(z + 2) + C(z 1)
2
,
ossia
3z
2
4z 2 = (A + C)z
2
+ (A + B 2C)z + (2A + 2B + C).
Dunque deve aversi
A + C = 2, A + B 2C = 4, 2A + 2B + C = 2.
Ne segue A = 1, B = 1, C = 2, e in conclusione
3z
2
4z 2
(z 1)
2
(z + 2)
=
1
z 1

1
(z 1)
2
+
2
z + 2
.
Una variante della decomposizione precedente `e data dalla seguente
Proposizione 5.6.3 (formula di Hermite) Sia P un polinomio di grado
m e sia Q un polinomio di grado n, con m < n. La funzione razionale R =
P
Q
si pu`o univocamente decomporre nella somma
R(z) =
P(z)
Q(z)
=
r

i=1
A
i
(z
i
)
+
d
dz
H(z)

r
i=1
(z
i
)

i
1
,
ove
1
, . . .
r
sono le radici di Q,
1
, . . . ,
r
sono le rispettive molteplicit`a
(con
1
+ +
r
= n), le A
i
sono costanti complesse e H(z) `e un polinomio;
questultimo `e nullo se Q ha tutte radici semplici ed ha grado minore di nr
altrimenti.
401
Dimostrazione Basta isolare nella decomposizione della proposizione 5.6.1
gli addendi con k = 1, e riscrivere i rimanenti, se ve ne sono, nella forma
A
i,k
(z
i
)
k
=
d
dz
A
i,k
(k 1)(z
i
)
k1
.
Si ottiene allora
R(z) =
r

i=1
A
i,1
(z
i
)

d
dz
r

i=1

k=2
A
i,k
(k 1)(z
i
)
k1
;
ma lultima somma si pu`o raccogliere in una funzione razionale che ha per
denominatore il prodotto

r
i=1
(z
i
)

i
1
(di grado nr) e per numeratore un
certo polinomio H(z) di grado minore di nr. Lunicit`a della decomposizione
segue dallunicit`a garantita dalla proposizione 5.6.1.
Esempi 5.6.4 (1) Consideriamo la funzione razionale
R(z) =
z
z
2
+ 4
,
il cui denominatore ha radici 2i. La formula di Hermite ci dice che
z
z
2
+ 4
=
A
z + 2i
+
B
z 2i
;
moltiplicando per z 2i e calcolando in z = 2i, e poi moltiplicando per z +2i
e calcolando in z = 2i, troviamo immediatamente B =
1
2
e A =
1
2
: pertanto
z
z
2
+ 4
=
1
2(z + 2i)
+
1
2(z 2i)
.
(2) Per la funzione razionale
3z
3
+ z
2
5z 1
(z 1)
2
(z + 1)
2
la proposizione 5.6.3 fornisce (essendo n = 4 e r = 2)
z
4
+ 3z
3
z
2
5z
(z 1)
2
(z + 1)
2
= 1 +
A
z 1
+
B
z + 1
+
d
dz
Cz + D
(z 1)(z + 1)
.
402
Conviene eseguire la derivata nel modo seguente:
d
dz
Cz + D
(z 1)(z + 1)
=
d
dz
(Cz + D)(z 1)
1
(z + 1)
1
=
=
C
(z 1)(z + 1)

Cz + D
(z 1)
2
(z + 1)

Cz + D
(z 1)(z + 1)
2
.
A questo punto, possiamo moltiplicare per (z 1)
2
(z + 1)
2
lequazione
z
4
+ 3z
3
z
2
5z
(z 1)
2
(z + 1)
2
1 =
3z
3
+ z
2
5z 1
(z 1)
2
(z + 1)
2
=
=
A
z 1
+
B
z + 1
+
C
(z 1)(z + 1)

Cz + D
(z 1)
2
(z + 1)

Cz + D
(z 1)(z + 1)
2
e uguagliare i coecienti dei polinomi che si ottengono a primo e secondo
membro: questo determina i valori di A, B, C e D, ma i calcoli sono noiosi.
Procediamo invece in questo modo: moltiplicando lequazione per (z 1)
2
e
calcolando in z = 1, troviamo

1
2
=
C + D
2
,
mentre moltiplicando per (z + 1)
2
e calcolando in z = 1 si ha
1
2
=
C + D
2
,
da cui D = 1 e C = 0. Risulta allora
3z
3
+ z
2
5z 1
(z 1)
2
(z + 1)
2
=
A
z 1
+
B
z + 1

1
(z 1)
2
(z + 1)

1
(z 1)(z + 1)
2
,
da cui, moltiplicando per z e mandando [z[ allinnito, 3 = A + B; inne,
calcolando in z = 0, abbiamo 1 = A + B. Dunque B = 1 e A = 2. In
denitiva
3z
3
+ z
2
5z 1
(z 1)
2
(z + 1)
2
=
2
z 1
+
1
z + 1
+
d
dz
1
(z 1)(z + 1)
.
Decomponendo le funzioni razionali in campo complesso, si ottengono in
generale coecienti complessi. Se la funzione razionale in esame `e di variabile
reale x ed a valori reali, naturalmente la formula di Hermite vale ancora,
403
ma poich`e le radici
i
dellequazione Q(x) = 0 possono essere complesse,
anche i coecienti che si trovano nella decomposizione resteranno in generale
complessi. Nel caso di funzioni razionali reali vi `e per` o unaltra formula di
decomposizione, lievemente pi` u complicata, ma a coecienti reali.
Proposizione 5.6.5 Sia P un polinomio a coecienti reali di grado m e
sia Q un polinomio a coecienti reali di grado n, con m < n. La funzione
razionale reale R =
P
Q
si pu`o univocamente decomporre nella somma
R(x) =
P(x)
Q(x)
=
p

h=1
A
h
(x
h
)
+
q

j=1
B

j
x + C

j
(x
j
)
2
+
2
j
+
+
d
dx
H(x)

p
h=1
(x
h
)

h
1

q
j=1
[(x
j
)
2
+
2
j
]

j
1
,
ove le A
h
, B

j
e C

j
sono costanti reali,
1
, . . .
p
sono le radici reali di Q
con rispettive molteplicit`a
1
, . . . ,
p
,
1
i
1
, . . . ,
q
i
q
sono le radici
complesse di Q, a due a due coniugate, con rispettive molteplicit`a
1
, . . . ,
q
(con
1
+ +
p
+ 2
1
+. . . 2
q
= n), e H(x) `e un polinomio a coecienti
reali; questultimo `e nullo se Q ha tutte radici semplici ed ha grado minore
di n p 2q altrimenti.
Dimostrazione Applicando la formula di Hermite con variabile complessa
z, si pu` o scrivere
P(z)
Q(z)
=
p

h=1
A
h
(z
h
)
+
q

j=1
_
B
j
z
j
i
j
+
C
j
z
j
+ i
j
_
+
d
dz
H(z)
K(z)
,
ove
K(z) =
p

h=1
(z
h
)

h
1
q

j=1
[(z
j
)
2
+
2
j
]

j
1
e H(z) `e un polinomio con grado minore di n r = n p 2q.
Osserviamo che il polinomio q(z) ha coecienti reali, perche `e il quoziente
di due polinomi a coecienti reali. Vogliamo mostrare che i coecienti A
h
sono reali, il polinomio H `e a coecienti reali, e i B
j
e i C
j
sono fra loro
coniugati. A questo scopo, calcoliamo il coniugato della funzione razionale
R(z): dato che P, Q, q, K hanno coecienti reali, ed osservato che per ogni
polinomio g(z) risulta
d
dz
g(z) = lim
t0
g(z + t) g(z)
t
= lim
t0
g(z + t) g(z)
t
=
d
dz
g(z),
404
si trova
R(z) =
P(z)
Q(z)
=
=
p

h=1
A
h
(z
h
)
+
q

j=1
_
B
j
z
j
+ i
j
+
C
j
z
j
i
j
_
+
d
dz
H(z)
K(z)
;
ma in questa identit` a rispetto a z, valida in un dominio del piano complesso
che `e simmetrico rispetto allasse reale, possiamo scrivere z in luogo di z,
ottenendo
P(z)
Q(z)
=
p

h=1
A
h
(z
h
)
+
q

j=1
_
C
j
z
j
i
j
+
B
j
z
j
+ i
j
_
+
d
dz
H(z)
K(z)
.
Confrontando questa decomposizione con quella iniziale, per unicit` a ricavia-
mo
A
h
= A
h
, C
j
= B
j
, B
j
= C
j
, H(z) H(z),
ossia A
h
R, C
j
e B
j
sono fra loro coniugati e H ha coecienti reali, come
richiesto.
Allora, raccogliendo gli addendi contenenti B
j
e C
j
abbiamo
B
j
z
j
i
j
+
C
j
z
j
+ i
j
=
2Re [B
j
(z
j
+ i
j
)]
(z
j
)
2
+
2
j
.
Dunque, scrivendo la decomposizione iniziale per la variabile reale x, otte-
niamo nalmente, con B

j
= 2Re B
j
e C

j
= 2
j
Re B
j
,
R(x) =
p

h=1
A
h
(x
h
)
+
q

j=1
B

j
x + C

j
(x
j
)
2
+
2
j
+
d
dx
H(x)
K(x)
,
che `e la tesi.
Esempio 5.6.6 Consideriamo la funzione razionale
x
2
+ 3
x(x 1)(x
2
+ 1)
2
.
Il denominatore ha grado n = 6 e radici 0, 1 (semplici) e i, i (doppie):
dunque n r = 2. La proposizione 5.6.5 ci dice che
x
2
+ 3
x(x 1)(x
2
+ 1)
2
=
A
x
+
B
x 1
+
Cx + D
x
2
+ 1
+
d
dx
Ex + F
x
2
+ 1
.
405
Poiche
d
dx
Ex + F
x
2
+ 1
=
d
dx
(Ex + F)(x
2
+ 1)
1
=
E
x
2
+ 1

2Ex
2
+ Fx
(x
2
+ 1)
2
,
si ha
x
2
+ 3
x(x 1)(x
2
+ 1)
2
=
A
x
+
B
x 1
+
Cx + D
x
2
+ 1
+
E
x
2
+ 1

2Ex
2
+ Fx
(x
2
+ 1)
2
,
da cui, moltiplicando per x e calcolando in x = 0 ricaviamo subito A = 3.
Analogamente, moltiplicando per x1 e calcolando in x = 1, abbiamo B = 1.
Per trovare C, D, E, F si pu`o calcolare lequazione in quattro punti diversi
da 0 e 1, uno dei quali pu` o essere (dopo aver moltiplicato per x) x = .
Per esempio, scegliendo questultima opzione troviamo 0 = 3+1+C, ossia
C = 2, e si ha dunque
x
2
+ 3
x(x 1)(x
2
+ 1)
2
=
3
x
+
1
x 1
+
2x + D
x
2
+ 1
+
E
x
2
+ 1

2Ex
2
+ Fx
(x
2
+ 1)
2
.
Con x = 1, x = 2, x = 2 si ricava
_

_
1
2
= 3
1
2
+
D 2
2
+
E
2

2E F
4
,
7
50
=
3
2
+ 1 +
4 + D
5
+
E
5

8E + 2F
25
,
7
150
=
3
2

1
3
+
D 4
5
+
E
5

8E 2F
25
.
Con facili semplicazioni, questo sistema diventa
_

_
2D + F = 4
5D 3E 2F = 4
5D 3E + 2F = 8,
e le sue soluzioni sono D =
3
2
, E =
1
2
, F = 1. Quindi si conclude che
x
2
+ 3
x(x 1)(x
2
+ 1)
2
=
3
x
+
1
x 1
+
4x 3
2(x
2
+ 1)

d
dx
2x + 1
2(x
2
+ 1)
.
406
La formula di decomposizione fornita dalla proposizione 5.6.5 `e fondamen-
tale per scrivere esplicitamente le primitive di una funzione razionale reale.
Naturalmente, per utilizzarla occorre essere in grado di risolvere preliminar-
mente lequazione algebrica Q(x) = 0: questa `e la vera dicolt` a nelluso di
tale formula.
Corollario 5.6.7 Sia P un polinomio a coecienti reali di grado m e sia Q
un polinomio a coecienti reali di grado n, con m < n. La funzione razionale
reale R =
P
Q
`e integrabile secondo Riemann in ogni intervallo chiuso I che
non contenga radici di Q, e una primitiva F di R in I `e
F(x) =
p

h=1
A
h
ln [x
h
[ +
+
q

j=1
_
B

j
2
ln[(x
j
)
2
+
2
j
] +
B

j
C

j
arctan
x
j

j
_
.
Integrali riducibili ad integrali di funzioni razionali
Svariati tipi di integrali possono ricondursi, con opportune sostituzioni, ad
integrali di funzioni razionali del tipo gi` a visto.
(A) Consideriamo un integrale della forma
J =
_
I
R
_
x,
_
ax + b
cx + d
_
r
1
, . . . ,
_
ax + b
cx + d
_
rm
_
dx,
ove m N
+
, R `e una funzione razionale di m + 1 variabili, r
1
, . . . , r
m
Q,
a, b, c, d sono numeri reali tali che lintegrando abbia senso e I `e un intervallo
chiuso di R contenuto nellinsieme di denizione dellintegrando. Detto k il
minimo comune multiplo dei denominatori di r
1
, . . . , r
m
, con la sostituzione
ax + b
cx + d
= t
k
lintegrale si trasforma nellintegrale di una funzione razionale su un oppor-
tuno intervallo J. Infatti si ha, posto I = [p, q],
J = k(ad bc)
_
J
R
__
dt
k
b
a ct
k
_
, t
kr
1
, . . . , t
krm
_
t
k1
(a ct
k
)
2
dt,
ove J `e lintervallo di estremi
ap+b
cp+d
e
aq+b
cq+d
.
407
Esempio 5.6.8 Sia
J =
_
2
1
1 +

x
x(1 +
3

x)
dx.
In questo caso I = [1, 2], a = 1, b = 0, c = 0, d = 1, m = 2 e r
1
=
1
2
, r
2
=
1
3
.
Si ha allora k = 6, e ponendo x = t
6
si ha J = [1, 64] e
J = 6
_
64
1
1 + t
3
t
6
(1 + t
2
)
t
5
dt;
con divisione euclidea e decomposizione di Hermite ricaviamo allora
J = 6
_
64
1
_
1 +
1
t

t + 1
t
2
+ 1
_
dt =
= 6
_
t + ln t
1
2
ln(t
2
+ 1) arctan t
_
64
1
=
= 378 + 33 ln 2 3 ln 4097 6 arctan 64 +
3
2
.
(B) Consideriamo lintegrale seguente, detto integrale binomio:
J =
_
I
x
r
(a + bx
s
)

dx,
ove r, s, Q, a, b sono numeri reali tali che lintegrando abbia senso e I `e
un intervallo chiuso di R contenuto nellinsieme di denizione dellintegran-
do. Questo integrale si riduce allintegrale di una funzione razionale nei casi
seguenti:
(i) Z; (ii)
r + 1
s
Z; (iii)
r + 1
s
+ Z.
Infatti, nel caso (i) basta eseguire la sostituzione x = t
k
, ove k `e il minimo
comune multiplo dei denominatori di r e s, per ottenere, posto I = [p, q],
J = k
_
J
t
kr
(a + bt
ks
)

t
k1
dt,
ove J `e lintervallo di estremi p
1/k
, q
1/k
. Si noti che in questo integrale tutti
gli esponenti sono interi.
408
Nel caso (ii), con la sostituzione a + bx
s
= t
h
, ove h `e il denominatore di ,
si ha x = b
1/s
(t
h
a)
1/s
e dunque
J =
h
s
b
1/s
_
J
(t
h
a)
r+1
s
1
t
h+h1
dt,
ove tutti gli esponenti sotto integrale sono interi e J `e lintervallo di estremi
(a + bp
s
)
1/h
e (a + bq
s
)
1/h
.
Inne nel caso (iii) si deve porre
a + bx
s
x
s
= t
h
ove h `e di nuovo il denominatore di : allora x = a
1/s
(t
h
b)
1/s
, da cui
J =
h
s
a
r+1
s
+
_
J
(t
h
b)

r+1
s
1
t
h+h1
dt,
ove gli esponenti sono tutti interi e J `e lintervallo di estremi
a+bp
s
p
s
e
a+bq
s
q
s
.
Esempi 5.6.9 (1) Consideriamo lintegrale
J =
_

3

2
1

x(1 +
3

x)
2
dx.
Dato che r =
1
2
, s =
1
3
e = 2, esso `e di tipo (i): quindi, essendo k = 6,
poniamo x = t
6
e lintegrale diventa
J = 6
_
27
8
t
2
(1 + t
2
)
2
dt.
Utilizzando la proposizione 5.6.5, si ottiene la decomposizione
J = 6
_
27
8
_
1
2(1 + t
2
)

1
2
d
dt
1
1 + t
2
_
dt,
da cui
J =
_
3 arctan t
3
1 + t
2
_
27
8
= 3 arctan 27 3 arctan 8
3
730
+
3
65
.
409
(2) Lintegrale
J =
_
2
1
dx
x
4

x
3
+ 1
`e di tipo (ii), poiche r = 4, s = 3, =
1
2
e dunque
r+1
s
= 1. Posto
1 + x
3
= t
2
, lintegrale diventa
J =
2
3
_
3

2
dt
t(t
2
1)
2
.
Con i metodi di decomposizione gi` a visti, si ottiene a questo punto
J =
2
3
_
3

2
_
1
t

1
2(t 1)

1
2(t + 1)
+
d
dt
1
t
2
1
_
dt =
=
2
3
_
ln
3

1
2
ln
2

2 1

1
2
ln
4

2 + 1
+
1
8
1
_
=
1
3
ln
9
16

7
12
.
(3) Per lintegrale
J =
_
2
1

1 + x
4
x
3
dx
si ha r = 3, s = 4, =
1
2
e dunque, essendo
r+1
s
+ = 0, esso `e di tipo
(iii). Poniamo dunque
1+x
4
x
4
= t
2
, e si ottiene
J =
1
2
_

17
4

2
t
2
t
2
1
dt =
1
2
_

17
4

2
_
1 +
1
2(t 1)

1
2(t + 1)
_
dt =
=
_
t
2
+
1
4
ln
t + 1
t 1
_

17
4

2
=

17
8

1

2
+
1
4
ln

17 + 4

17 4

1
4
ln

2 + 1

2 1
.
(C) Consideriamo adesso un integrale del tipo
J =
_
I
R(cos x, sin x) dx,
ove R `e una funzione razionale di due variabili e I `e un intervallo chiuso di
R contenuto nellinsieme di denizione dellintegrando. Questo integrale si
razionalizza con la sostituzione standard tan
x
2
= t. Infatti, ricordando le
formule (esercizio 1.12.??)
cos x =
1 tan
2 x
2
1 + tan
2 x
2
, sin x =
2 tan
x
2
1 + tan
2 x
2
,
410
e tenendo conto che x = 2 arctan x, si ha
J = 2
_
J
R
_
1 t
2
1 + t
2
,
2t
1 + t
2
_
1
1 + t
2
dt.
Esempio 5.6.10 Si consideri lintegrale
J =
_
0

2
dx
3 3 sin x + cos x
.
Con la sostituzione sopra indicata si trova facilmente
J =
_
0
1
dt
t
2
3t + 2
=
_
0
1
dt
(t 2)(t 1)
,
e con i metodi di decomposizione ormai consueti si ottiene
J =
_
0
1
_
1
t 2

1
t 1
_
dt =
_
ln
t 2
t 1
_
0
1
= ln
4
3
.
Sono integrali del tipo precedente anche i seguenti:
(i)
_
I
R(sin x, cos
2
x) cos x dx, (ii)
_
I
R(cos x, sin
2
x) sin x dx,
(iii)
_
I
R(cos
2
x, sin
2
x, sin x cos x) dx, (iv)
_
I
R(tan x) dx;
per essi tuttavia si possono usare sostituzioni pi` u semplici. Nel caso (i) si
pone sin x = t, mentre nel caso (ii) si usa cos x = t e si ottiene rispettivamente
_
J
R(t, 1 t
2
) dt,
_
J
R(1 t
2
, t) dt
ove J `e lintervallo corrispondente ad I nella variabile t. Nel caso (iii) e
nel caso (iv) (che `e un caso particolare di (iii)) la sostituzione da usare `e
tan x = t, e si trova
_
J
R
_
1
1 + t
2
,
t
2
1 + t
2
,
t
1 + t
2
_
1
1 + t
2
dt.
411
Esempi 5.6.11 (1) Lintegrale
J =
_
6
0
sin
5
x
cos
3
x
dx =
_
6
0
(sin
2
x)
2
cos
3
x
sin x dx
diventa, posto cos x = t,
J =
_
1
1
2
(1 t
2
)
2
t
3
dt =
_
1
1
2
_
1
t
3

2
t
+ t
_
dt =
15
8
2 ln 2.
(2) Lintegrale
J =
_
4
0
sin
2
x
4 3 cos
2
x
dx
`e del tipo (iii) e dunque, posto tan x = t, si trasforma come segue:
J =
_
1
0
t
2
1+t
2
4 3
1
1+t
2
1
1 + t
2
dt =
_
1
0
t
2
(1 + t
2
)(1 + 4t
2
)
dt.
Dunque
J =
1
3
_
1
0
_
1
1 + t
2

1
1 + 4t
2
_
dt =

12

1
6
arctan 4.
(D) Gli integrali della forma
J =
_
I
R(e
x
) dx,
ove R 0, R `e una funzione razionale e I `e un intervallo chiuso di R
contenuto nellinsieme di denizione dellintegrando, si razionalizzano con la
sostituzione e
x
= t, che li trasformano in
J =
1

_
J
R(t)
1
t
dt,
ove J `e lintervallo della variabile t corrispondente ad I.
Esempio 5.6.12 Si ha
_
3
1
e
2x
+ e
x
e
x
1
dx =
_
e
3
e
t
2
+ t
t(t 1)
dt =
_
e
3
e
_
1 +
2
t 1
_
dt = e
3
e+2 ln
e
3
1
e 1
.
412
(E) Consideriamo inne un integrale di una delle due forme
(i) J

=
_
I
R(x,

x
2
+ ax + b) dx, (ii) J

=
_
I
R(x,

x
2
+ ax + b) dx,
ove a, b R, R `e una funzione razionale e I `e un intervallo chiuso di R
contenuto nellinsieme di denizione dellintegrando. Nel caso (i), si fa la
sostituzione

x
2
+ ax + b x = t; allora
x =
t
2
b
a + 2t
, dx = 2
t
2
+ at + b
(a + 2t)
2
dt,
e quindi lintegrale diventa
J

= 2
_
J
R
_
t
2
b
a + 2t
,
t
2
b
a + 2t
+ t
_
t
2
+ at + b
(a + 2t)
2
dt,
ove J `e lintervallo della variabile t corrispondente ad I. Nel caso (ii), osserva-
to che il polinomio sotto radice deve essere positivo in I, si deduce che esso ha
discriminante positivo e quindi possiede due radici reali e con < . Oc-
corre allora fattorizzare il radicando nella forma x
2
+ax+b = (x)(x)
e porre
_
x
x
= t.
Si ha allora
x =
t
2
+
1 + t
2
, dx =
2( )t
1 + t
2
dt,
e quindi, essendo

x
2
+ ax + b = t( x), lintegrale diventa
J

= 2
_
J
R
_
t
2
+
1 + t
2
, t
_

t
2
+
1 + t
2
__
( )t
1 + t
2
dt.
Esempi 5.6.13 (1) Consideriamo lintegrale
J =
_
1
2
dx

x
2
2x
.
siamo nel caso (i): posto

x
2
2x x = t si ha facilmente, fatte le dovute
semplicazioni,
J =
_
1+

3
2(1+

2)
dt
t + 1
= ln
2 +

3
3 + 2

2
.
413
(2) Consideriamo lintegrale
J =
_
1
1
1 + x

4 x
2
dx.
Si ha = 2, = 2, e con la sostituzione
_
2x
x+2
= t si trova facilmente,
attraverso il metodo di decomposizione di Hermite,
J = 2
_

3
1

3
3(t
2
1)
(t
2
+ 1)
2
dt = 2
_

3
1

3
_
1
1 + t
2
2
d
dt
t
1 + t
2
_
dt =
=
_
2 arctan t
4t
1 + t
2
_

3
1

3
=
2
3


3

3 +

3 =

3
.
Esercizi 5.6
1. Sia R(x) =
P(x)
Q(x)
una funzione razionale. Se `e una radice reale semplice
di Q, si verichi che nella decomposizione di Hermite di R compare
laddendo
A
x
, con A =
P()
Q

()
.
2. Calcolare i seguenti integrali di funzioni razionali:
_
1
0
dx
x
2
+ x + 1
,
_
7
5
dx
3x
2
9
,
_
3
2
dx
(x
3
1)
2
,
_
0
1
x
3
x
2
5x + 6
dx,
_
1
1
[x[ + 1
x
2
+ 5x + 6
dx,
_
3
2
2x
2
3
x
4
x
3
dx,
_
2
0
5x
2
x
3
+ x
2
+ 4x + 4
dx,
_
1
0
x
5
9x
x
4
4x
2
1
dx,
_
1
1
x
3
2
x
4
+ 1
dx,
_
1
0
x
2
(x
2
+ 1)
2
dx,
_
1
0
dx
(x
4
+ x
2
+ 1)
2
,
_
1
0
x
8
(x
3
+ 1)
3
dx,
_
1
0
x 1
4x
3
x
dx,
_
2
1
dx
(x + 1)(x
2
+ 2)
2
_
1
1
x
2
1
x
2
(x
2
+ 1)
dx.
414
3. Calcolare i seguenti integrali di tipo (A):
_ 1
2
1
4
dx
x

x
,
_
1
1
2
1
x
_
1 x
1 + x
dx,
_ 3
4
1
4
dx
x
3

1 x
,
_
4
1

1 + x
x
2
dx,
_
3
2
3

x 1
dx,
_
2
1
x +

x 1
x

x 1
dx,
_ 1
2
1
4
3
_
x
1 x
dx,
_
1
1
2
dx

x +
5

x
,
_
1
0
2 +
3

x + 1
1 +

x + 1
dx.
4. Calcolare i seguenti integrali binomi:
_ 1
4
1
8

x
(1
3

x)
2
dx,
_ 1
2
1
4
dx
x
4

1 x
3
,
_
2
1

x
4
1
x
5
dx,
_
1
0
_
(1
3

x
2
)
3
dx,
_ 1
2
0
x
4

1 x
2
dx,
_
2
1
dx
x
4

x
3
+ 1
dx,
_
3
_
1 +
4

x dx,
_
1
0
3
_
x
1 +
3

x
dx,
_
2
1
3
_
1 +

x
3

x
2
dx.
5. Calcolare i seguenti integrali di tipo (C):
_ pi
2
0
dx
3 sin x + 4 cos x
dx,
_
0

6
dx
1 3 sin x
dx,
_
2
0
cos x
1 + cos x
dx,
_
2
0
5 + cos x
(5 + 3 cos x) cos x
dx,
_
4
0
tan
2
x
1 + sin
2
x
dx,
_
3
0
sin
2
x
cos
3
x
dx.
6. Vericare che un integrale del tipo
_
I
cos
r
x sin
s
x dx,
ove r, s Q, `e calcolabile con la sostituzione sin x =

t nei casi
seguenti:
(i) r N, r dispari, (ii) s N, s dispari, (iii) r +s N, r +s pari;
se ne deduca che quando r, s Z tale integrale `e sempre calcolabile.
415
7. Calcolare i seguenti integrali utilizzando lesercizio precedente:
_
4
0

sin x
cos
3
x
dx,
_
3

6
dx
sin x

cos
3
x
,
_
2

4
_
cos
5
x
sin x
dx.
8. Calcolare i seguenti integrali di tipo (D):
_
3
0
1
e
2x
+ e
x
+ 1
dx,
_
1
0
dx
e
5x
5
dx,
_
1
0
e
x
2
e
x
3
e
x
+ 1
dx.
9. Calcolare i seguenti integrali di tipo (E):
_ 3
4
1
2
dx
(1 + x)

x x
2
dx,
_
1
0
1

1 x
2
1 +

1 x
2
dx,
_
1
0
dx
x +

x
2
2x 3
dx,
_ 1
2
0
x

4x 3x
2
(1 x)
2
dx,
_ 1
3
0
dx
(x 1)

2 + x x
2
dx,
_

3
4

3
2
x
3
+ x

x
4
+ 3x
2
2
dx,
_
2
1

x
2
+ 2
2x 1
dx,
_
2
0

1 + x
2
25 + 16x
2
dx.
10. Si provi che un integrale della forma
_
I
R(x,

ax + b,

cx + d) dx,
ove R `e una funzione razionale di tre variabili, a, b, c, d R con a ,= 0,
c ,= 0 e adbc ,= 0, e I `e un intervallo chiuso di R contenuto nellinsieme
di denizione dellintegrando, `e riducibile ad un integrale di tipo (E)
con la sostituzione ax+b = t
2
; si calcoli con queasto metodo lintegrale
_
2
1

4x + 2 2x
2x

4x 1
dx.
416
11. Si provi che gli integrali della forma
(i)
_
I
R
_
x,
_
ae
x
+ b
ce
x
+ d
_
r
1
, . . . ,
_
ae
x
+ b
ce
x
+ d
_
rm
_
dx,
(ii)
_
I
R
_
e
x
,

ae
2x
+ be
x
+ c
_
dx,
(ii)
_
I
R
_
e
x
,

ae
x
+ b,

ce
x
+ d
_
dx
ove m N
+
, R `e una funzione razionale, r
1
, . . . , r
m
Q, a, b, c, d sono
numeri reali tali che gli integrandi abbiano senso e per ciascun inte-
grale I `e un intervallo chiuso di R contenuto nellinsieme di denizione
dellintegrando, sono riducibili, con opportune sostituzioni, ad integrali
dei tipi (A), (B).
5.7 Formula di Stirling
La formula di Stirling `e una stima che descrive in modo molto preciso il
comportamento asintotico della successione n!
nN
, e che `e di grande im-
portanza sia teorica che applicativa. La sua dimostrazione, non banale ma
nemmeno troppo dicile, richiede luso di molti degli strumenti del calcolo
che abbiamo n qui analizzato. Naturalmente, il risultato espresso dalla for-
mula di Stirling implica quello dellesempio 2.7.10 (3) e, a maggior ragione,
quello degli esercizi 1.6.17 e 4.3.14.
Teorema 5.7.1 (formula di Stirling) Risulta

2n
_
n
e
_
n
e
1
12(n+1)
< n! <

2n
_
n
e
_
n
e
1
12n
n N
+
.
Dimostrazione Dividiamo largomentazione in quattro passi.
1
o
passo Proviamo che esiste A > 0 tale che
A

n
_
n
e
_
n
e
1
12(n+1)
< n! < A

n
_
n
e
_
n
e
1
12n
n N
+
,
cosicche, in particolare
lim
n
n!

n
_
n
e
_
n
= A.
417
Consideriamo a questo scopo la successione
a
n
=
n!

n
_
e
n
_
n
, n N
+
,
e osserviamo anzitutto che, come `e immediato vericare,
a
n
a
n+1
=
1
e
_
1 +
1
n
_
n+
1
2
n N
+
.
Daltra parte, ricordando lesercizio 4.3.8, si ha
ln
_
1 +
1
n
_
n+
1
2
=
_
n +
1
2
_
ln
_
1 +
1
n
_
=
=
2n + 1
2
ln
n + 1
n
=

k=0
1
2k + 1
1
(2n + 1)
2k
.
Ne segue (esempio 2.2.6 (1))
1+
1
3
1
(2n + 1)
2
< ln
_
1 +
1
n
_
n+
1
2
< 1+
1
3

k=1
1
(2n + 1)
2k
= 1+
1
3
1
(2n+1)
2
1
1
(2n+1)
2
,
e dunque
e
1+
1
3
1
4n
2
+4n+1
<
_
1 +
1
n
_
n+
1
2
< e
1+
1
3
1
4n
2
+4n
;
in particolare, essendo 4(n + 1)(n + 2) > 4n
2
+ 4n + 1, otteniamo
e
1+
1
12(n+1)(n+2)
<
_
1 +
1
n
_
n+
1
2
< e
1+
1
12n(n+1)
.
Questa doppia diseguaglianza pu` o essere riscritta nella forma
e
1
12(n+1)
e
1
12(n+2)
<
a
n
a
n+1
<
e
1
12n
e
1
12(n+1)
.
Ci` o mostra che la successione a
n
e

1
12(n+1)
`e strettamente decrescente (oltre
che limitata, essendo positiva) e quindi ha limite A 0, mentre la successione
a
n
e

1
12n
`e strettamente crescente e converge necessariamente allo stesso
418
limite A, visto che e
1
12n
1: in particolare risulta A > 0 e si ha, come si
voleva,
Ae
1
12(n+1)
< a
n
< Ae
1
12n
n N
+
.
Per denizione di a
n
, ci`o prova il 1
o
passo.
2
o
passo Proviamo la relazione

2
= lim
n
(2n)!!
2
(2n + 1)!!(2n 1)!!
.
Consideriamo la successione
_
_
/2
0
sin
m
x dx
_
mN
: si verica agevolmente
(esercizio 5.5.15) che
_
/2
0
sin
m
x dx =
m1
m
_
/2
0
sin
m2
x dx m 2,
e da questa uguaglianza segue induttivamente, sempre per lesercizio 5.5.15,
_
/2
0
sin
2n
x dx =
(2n 1)!!
(2n)!!

2
n N
+
,
_
/2
0
sin
2n+1
x dx =
(2n)!!
(2n + 1)!!
n N.
Quindi, dividendo la prima equazione per la seconda e rimaneggiando i
termini, si ottiene

2
=
(2n)!!
2
(2n + 1)!!(2n 1)!!
_
/2
0
sin
2n
x dx
_
/2
0
sin
2n+1
x dx
n N
+
.
Daltra parte risulta per ogni n N
+
1 <
_
/2
0
sin
2n
x dx
_
/2
0
sin
2n+1
x dx
=
2n + 1
2n
_
/2
0
sin
2n
x dx
_
/2
0
sin
2n1
x dx

2n + 1
2n
= 1 +
1
2n
,
il che implica

2
= lim
n
(2n)!!
2
(2n + 1)!!(2n 1)!!
_
/2
0
sin
2n
x dx
_
/2
0
sin
2n+1
x dx
= lim
n
(2n)!!
2
(2n + 1)!!(2n 1)!!
.
419
Ci` o prova il 2
o
passo.
3
o
passo Dimostriamo che

= lim
n
2
2n
(n!)
2
(2n)!

n
.
Dal 2
o
passo deduciamo

2
= lim
n
2
2
4
2
. . . (2n 2)
2
(2n)
2
3
2
5
2
. . . (2n 1)
2
(2n + 1)
= lim
n
2
2
4
2
. . . (2n 2)
2
2n
3
2
5
2
. . . (2n 1)
2
,
e dunque

= lim
n

2
2 4 . . . (2n 2)

2n
3 5 . . . (2n 1)
=
= lim
n

2
2
2
4
2
. . . (2n 2)
2
(2n)
2
(2n)!

2n
= lim
n
2
2n
(n!)
2
(2n)!

n
.
Il 3
o
passo `e provato.
4
o
passo Concludiamo la dimostrazione: Dal 1
o
passo abbiamo
A = lim
n
n!

n
_
e
n
_
n
;
daltronde risulta, come `e facile vericare,
2
2n
(n!)
2
(2n)!

n
=
a
2
n
a
2n

2
,
e pertanto dai passi 3 e 1 segue

= lim
n
a
2
n
a
2n

2
=
A

2
,
ovvero A =

2.
Il 1
o
passo implica allora la validit` a della formula di Stirling.
Esercizi 5.7
1. Si calcoli
lim
n
n! e
n+
1
12n
n
n+
1
2
.
420
2. Si dia una stima del numero di cifre che formano (in base 10) il numero
1000! .
[Traccia: detto N il numero di cifre cercato, si osservi che deve essere
10
N1
1000! < 10
N
e si faccia uso della formula di Stirling nonche di
una buona calcolatrice...]
5.8 Integrali impropri
La teoria dellintegrazione secondo Riemann si riferisce a funzioni limitate su
intervalli limitati di R. Se manca una di queste condizioni, si deve passare
ai cosiddetti integrali impropri. Ci limiteremo a considerare tre casi:
(i) lintegrale su un intervallo limitato di
funzioni non limitate (ad esempio:
_
1
0
ln x dx);
(ii) lintegrale su intervalli non limita-
ti di funzioni limitate (ad esempio:
_

0
e
x
dx);
(iii) le due cose insieme, ossia lintegrale su
intervalli non limitati di funzioni non
limitate (ad esempio:
_

0
e

x
dx).
Denizione 5.8.1 (i) Sia f :]a, b] R tale che f 1(c, b) per ogni c
]a, b[ . Se esiste il limite (nito o innito)
lim
ca
+
_
b
c
f(x) dx,
421
esso viene detto integrale improprio di f su [a, b] e indicato col simbolo
_
b
a
f(x) dx; in tal caso la funzione f viene detta integrabile in senso
improprio su [a, b]. Se lintegrale improprio di f `e nito, la funzione f
si dice sommabile in [a, b].
(ii) Sia f : [a, [R tale che f 1(a, c) per ogni c > a. Se esiste il limite
(nito o innito)
lim
c
_
c
a
f(x) dx,
esso viene detto integrale improprio di f su [a, [ e indicato col simbolo
_

a
f(x) dx; in tal caso la funzione f viene detta integrabile in senso
improprio su [a, [ . Se lintegrale improprio di f `e nito, la funzione
f si dice sommabile su [a, [.
In entrambi i casi (i) e (ii), lintegrale improprio di f, se esiste, si dice
convergente o divergente a seconda che sia nito o innito.
Modiche opportune di questa denizione permettono di trattare i casi in cui
f ha una singolarit`a nel punto b, anziche in a, oppure `e denita su ] , a],
anziche su [a, [.
Tutto questo riguarda i casi (i) e (ii). Per il caso (iii), ci limitiamo a dire
che lintegrale andr`a spezzato in due integrali di tipo (i) e (ii), e che esso
avr` a senso se e solo se: (a) hanno senso entrambi i due pezzi, e (b) ha
senso farne la somma. Ad esempio, lintegrale
_

0
e

x
dx va inteso come
_
b
0
e

x
dx+
_

b
e

x
dx, ove b `e un arbitrario numero positivo; naturalmente
il valore dellintegrale non dipender`a dal modo in cui `e stato spezzato, cio`e
non dipender`a dal punto b.
Esempio 5.8.2 Calcoliamo i tre integrali citati allinizio: si ha per ogni
c > 0, integrando per parti,
_
1
c
ln x dx = [x ln x]
1
c

_
1
c
1 dx = [x ln x x]
1
c
= 1 c ln c + c,
da cui

_
1
0
ln x dx = lim
c0
+
(1 c ln c + c) = 1.
Analogamente, per ogni c > 0 si ha
_
c
0
e
x
dx = [e
x
]
c
0
= e
c
+ 1,
422
cosicche

_

0
e
x
dx = lim
c+
(e
c
+ 1) = 1.
Inne, scelto b = 1 risulta per ogni c ]0, 1[ e per ogni d > 1:
_
1
c
e

x
dx =
_
2e

x
_
1
c
= 2e
1
+ 2e
c
,
_
d
1
e

x
dx =
_
2e

x
_
d
1
= 2e
d
+ 2e
1
;
dunque

_
1
0
e

x
dx = 2e
1
+ 2,
_

1
e

x
dx = 2e
1
,
da cui

_

0
e

x
dx = 2.
Si noti che se nel calcolo del terzo integrale avessimo scelto b = 37, avremmo
ottenuto ugualmente
_

0
e

x
dx = lim
c0
+
_
37
c
e

x
dx + lim
d+
_
d
37
e

x
dx =
= lim
c0
+
_
2e

x
_
37
c
+ lim
d+
_
2e

x
_
d
37
=
= lim
c0
+
(2e

37
+ 2e

c
) + lim
d+
(2e

d
+ 2e

37
) = 2.
Osservazioni 5.8.3 (1) Consideriamo un integrando f, denito in ]a, b] op-
pure in [a, [ , e supponiamo che f sia integrabile secondo Riemann in ogni
sottointervallo chiuso e limitato contenuto nellintervallo di denizione. Sia
F una primitiva di f, anchessa denita in ]a, b] oppure in [a, [ . Lesisten-
za dellintegrale improprio di f in [a, b], o in [a, [, equivale allesistenza del
limite di F(c) per c a
+
o per c . Infatti, ad esempio,
_
b
a
f(x) dx = lim
ca
+
_
b
c
f(x) dx = lim
ca
+
[F(x)]
b
c
= F(b) lim
ca
+
F(c),
423
e laltro caso `e analogo. Nellesempio 5.8.2 quindi si poteva pi` u rapidamente
scrivere, sottintendendo la notazione [G(x)]
b
a
= lim
xb
G(x) lim
xa
G(x),
_
1
0
ln x dx = [x ln x x]
1
0
= 1,
_

0
e
x
dx =
_
e
x

0
= 1,
_

0
e

x
dx =
_
2e

x
_

0
= 2.
(2) Se f e g sono due funzioni sommabili in un intervallo limitato [a, b]
(oppure in una semiretta), allora anche f + g e f, per ogni R, sono
sommabili e per i relativi integrali impropri vale la relazione
_
b
a
[f(x)+g(x)] dx =
_
b
a
f(x) dx+
_
b
a
g(x) dx,
_
b
a
(f(x)) dx =
_
b
a
f(x) dx.
La verica `e immediata sulla base della denizione.
Non sempre gli integrali impropri sono calcolabili esplicitamente: `e dunque
importante stabilire criteri sucienti a garantire lintegrabilit` a di una fun-
zione. Si noti lanalogia con ci`o che succede con le serie, di cui `e interessante
conoscere la convergenza anche quando non se ne sa calcolare la somma.
Anzitutto, se f ha segno costante, il suo integrale improprio ha sempre senso:
Proposizione 5.8.4 Sia f : [a, [ una funzione di segno costante. Se f
1(a, c) per ogni c > a, allora f `e integrabile in senso improprio su [a, [
(con integrale convergente o divergente).
Dimostrazione Per ipotesi, la funzione integrale F(x) =
_
x
a
f(t) dt `e de-
nita per ogni x > a. Tale funzione `e monotona, in quanto se x < y si
ha
F(y) F(x) =
_
y
x
f(t) dt =
_
0 se f 0 in [a, [
0 se f 0 in [a, [.
Dunque esiste il limite
lim
c
F(c) = lim
c
_
c
a
f(t) dt,
cio`e f ha integrale improprio su [a, [.
424
Osservazione 5.8.5 Analogamente, una funzione f : ]a, b] R, di segno
costante, tale che f 1(c, b) per ogni c ]a, b[ , `e integrabile in senso im-
proprio su [a, b] (con integrale convergente o divergente). La dimostrazione
`e esattamente la stessa.
Lesempio che segue `e fondamentale per il successivo teorema di confronto.
Esempio 5.8.6 La funzione f : ]0, [ R denita da f(x) = x

, ove
`e un ssato numero positivo, `e certamente dotata di integrale improprio in
]0, [, essendo sempre positiva. Verichiamo che tale integrale `e divergente,
decomponendolo in
_
1
0
x

dx +
_

1
x

dx. Si ha
_
1
0
x

dx =
_

_
[ln x]
1
0
= +
_
x
1
1
_
1
0
=
_
1
1
+
se = 1
se 0 < < 1
se > 1.
_

1
x

dx =
_

_
[ln x]

1
= +
_
x
1
1
_

1
=
_
+
1
1
se = 1
se 0 < < 1
se > 1.
Sommando i due addendi, lintegrale
_

0
x

dx diverge in tutti i casi. Si noti


tuttavia che
_
1
0
x

dx < < 1,
_

1
x

dx < > 1.
Le funzioni x

(e le loro analoghe (xa)

) si prestano assai bene come ter-


mini di confronto per stabilire lintegrabilit` a o la non integrabilit` a di funzioni
pi` u complicate. Tale possibilit`a `e garantita dal seguente
Teorema 5.8.7 (di confronto) Siano f, g : [a, [ R funzioni integrabili
in ogni intervallo [a, c] [a, [ , e supponiamo che g sia non negativa e
sommabile su [a, [ . Se risulta [f(x)[ g(x) per ogni x a, allora anche
f `e sommabile su [a, [ e si ha

_

a
f(x) dx

_

a
[f(x)[ dx
_

a
g(x) dx.
425
Dimostrazione Supponiamo dapprima f 0: allora, per ogni c > a, grazie
alla monotonia dellintegrale, si ha
0
_
c
a
[f(x)[ dx
_
c
a
g(x) dx.
Poiche f, essendo non negativa, ha certamente integrale improprio al pari di
g, al limite per c troviamo
0
_

a
f(x) dx
_

a
g(x) dx,
e dato che g `e sommabile, tale risulta anche f.
Supponiamo ora f di segno variabile. Per quanto gi`a provato, [f[ `e sommabile
in [a, [. Per ogni c > a possiamo scrivere

_
c
a
f(x) dx

_
c
a
[f(x)[ dx
_
c
a
g(x) dx.
Basta ora provare che f `e sommabile in [a, [ : una volta fatto ci`o, infatti,
la stima precedente, passando al limite per c , ci dir` a che

_

a
f(x) dx

_

a
[f(x)[ dx
_

a
g(x) dx < .
A questo scopo `e suciente scrivere
f(x) = [f(x)[ ([f(x)[ f(x)),
e osservare che anche [f[ f `e sommabile, essendo 0 [f[ f 2[f[. La
sommabilit` a di f segue dunque dallosservazione 5.8.3 (2).
Osservazioni 5.8.8 (1) Un risultato analogo vale ovviamente nel caso di
funzioni denite su ]a, b] e integrabili in ogni [c, b] ]a, b].
(2) Se [f[ `e integrabile in senso improprio (su [a, [ o su [a, b]), allora anche
f lo `e: basta applicare il teorema precedente scegliendo g = [f[. Vale anche
il viceversa: se f `e integrabile in senso improprio, allora f, e quindi [f[,
`e integrabile secondo Riemann in ogni sottointervallo chiuso e limitato, e
dunque [f[, avendo segno costante, `e integrabile in senso improprio. Non
altrettanto si pu`o dire per la sommabilit`a: se [f[ `e sommabile, anche f lo `e,
sempre per il teorema precedente; per`o, come vedremo fra poco, il viceversa
`e falso.
426
Esempi 5.8.9 (1) Lintegrale
_

e
x
2
dx, che esiste certamente, per la pa-
rit` a dellintegrando `e uguale a 2
_

0
e
x
2
dx (esercizio 5.8.1). Inoltre
e
x
2

_
1 se 0 x 1
e
x
se x 1,
cosicche lintegrale proposto `e convergente:
_

0
e
x
2
dx
_
1
0
1 dx +
_

1
e
x
dx = 1 + e
1
.
(2) Nellintegrale
_

0
e
x
sin

x dx la funzione integranda non ha segno


costante, per`o si ha
[e
x
sin

x[ e
x
x 0,
e la funzione e
x
`e integrabile in [0, [. Ne segue che lintegrale proposto
esiste nito.
(3) Proviamo che la funzione f(x) =
sin x
x
`e sommabile su [0, [, mentre
lintegrale improprio di [f[ in [0, [ `e divergente. Si noti che in questo caso
losservazione 5.8.8 (2) e il teorema di confronto non sono applicabili, e la
sommabilit` a di f va dimostrata in maniera diretta.
Anzitutto, come sappiamo (esempio 3.3.5 (1)), la funzione f `e prolungabile
con continuit`a in 0, col valore 1. Si ha, scegliendo 1 cos x come primitiva
di sin x, e integrando per parti:
_
c
0
sin x
x
dx =
_
1 cos x
x
_
c
0
+
_
c
0
1 cos x
x
2
dx =
1 cos c
c
+
_
c
0
1 cos x
x
2
dx
ove si `e usato il fatto che anche
1cos x
x
`e prolungabile con continuit` a in 0, col
valore 0 (esempio 3.3.5 (2)). Dunque per c si ha, essendo non negativo
lintegrando allultimo membro:
lim
c
_
c
0
sin x
x
dx =
_

0
1 cos x
x
2
dx.
Questo limite `e nito per il teorema di confronto, essendo
1 cos x
x
2

_
1/2 se 0 < x 1 (per il criterio di Leibniz)
2/x
2
se x > 1.
427
Daltra parte per lintegrale improprio di

sin x
x

, che esiste certamente, si ha


_

0

sin x
x

dx = lim
k
_
k
0

sin x
x

dx = lim
k
k

h=0
_
(h+1)
h
[ sin x[
x
dx =
=

h=0
_
(h+1)
h
[ sin x[
x
dx =

h=0
_

0
sin t
t + h
dt

h=0
1
(h + 1)
_

0
sin t dt =
2

h=0
1
h + 1
= +.
Esercizi 5.8
1. Sia f integrabile secondo Riemann oppure sommabile su [a, a]. Prova-
re che se f `e una funzione pari, ossia f(x) = f(x), allora
_
a
a
f(x) dx =
2
_
a
0
f(x) dx, mentre se f `e una funzione dispari, ossia f(x) = f(x),
allora
_
a
a
f(x) dx = 0.
2. Discutere lesistenza e la convergenza dei seguenti integrali impropri:
_
1
0
e
sin(1/x)

x
dx,
_

0
arctan x
x
_
[1 x[
dx,
_

e
x
e
x
2

dx,
_

1 + x
2

1 + x
4
x
2
+ x
4
dx,
_
1
0
sin 2x
x(x 1/2)(x 1)
dx,
_

1
cos e
x
+ sin x
x

x 1
dx.
3. Discutere lesistenza ed eventualmente calcolare i seguenti integrali
impropri:
_

2
dx
x ln x ln ln x
,
_
3/2
0
(tan x)
2/3
(sin x)
1/3
dx,
_

1
_
1
x

1
tan x
_
dx,
_
3/2
0
(tan x)
4/3
(sin x)
1/3
dx,
_
1
0
arccos x
_
(1 x
2
) arcsin x
dx,
_
1
1
3x
2
+ 2
x
3/2
dx,
428
_

1
ln x

x(1 +

x)
2
dx,
_
3
0
dx
_
x
3
(3 x)
,
_
2
0
dx
_
x(2 x)
,
_

1
dx
x
2

x
2
1
,
_
3
1
x
x
3
+ 1
dx,
_
10
0
_
1 +
1
x
dx,
_

2
dx
x

x
2
4
,
_

1
dx
e
2x
e
x
,
_

dx
(1 + x
2
)
2
,
_

[x[
5
e
x
2
dx.
4. (Criterio integrale di convergenza per le serie) Sia f : [1, [ R una
funzione non negativa e decrescente. Si provi che lintegrale improprio
_

1
f(x) dx e la serie

n=1
f(n) sono entrambi convergenti o entrambi
divergenti.
5. Dimostrare che
_
1
0
arctan x
x
dx =

n=0
(1)
n
(2n + 1)
2
.
6. Dimostrare che
_
1
0
ln x ln(1 x) dx =

n=1
1
n(n + 1)
2
.
[Traccia: utilizzando lo sviluppo di Taylor di ln(1 x), si verichi che
per ogni ]0, 1[ si ha
_
1
0
ln x ln(1 x) dx =

n=1
_
(1 )
n+1
n(n + 1)
2

(1 )
n+1
ln(1 )
n(n + 1)
_
e poi si passi al limite per 0.]
7. Dimostrare che

n=N+1
1
n
2
<
1
N
N N
+
.
429
8. (Integrali di Fresnel) Provare che i due integrali
_

0
sin(x
2
) dx,
_

0
cos(x
2
) dx
sono convergenti.
9. Provare che lintegrale
_

0
x cos(x
4
) dx
`e convergente, benche lintegrando non sia nemmeno limitato in [0, [.
10. (Integrale di Frullani) Sia f una funzione continua in [0, [, tale che
lintegrale improprio
_

a
f(x)
x
dx
sia convergente per ogni a > 0. Provare che se , sono numeri positivi
si ha
lim
a0
+
_

a
f(x) f(x)
x
dx = f(0) ln

;
dedurne che
_

0
e
x
e
x
x
dx = ln

,
_

0
cos x cos x
x
dx = ln

.
11. Calcolare
_
/2
0
ln sin x dx,
_
/2
0
ln cos x dx.
[Traccia: utilizzare le formule di duplicazione.]
12. (Funzione di Eulero) Si consideri la funzione : ]0, [ R denita
da
(p) =
_

0
x
p1
e
x
dx.
(i) Vericare che (p) ha senso e che (p + 1) = p(p) per ogni p > 0.
(ii) Provare che `e derivabile in ]0, [, con

(p) =
_

0
x
p1
ln x e
x
dx.
430
(iii) Provare che `e una funzione convessa di classe C

.
[Traccia: per (ii), si stimi la dierenza
(p + h) (p)
h

_

0
x
p1
ln x e
x
dx
utilizzando il teorema di Lagrange; per (iii), si verichi che

(p) > 0.]


431
Capitolo 6
Equazioni dierenziali
6.1 Generalit`a
Una equazione dierenziale `e unidentit`a che lega fra di loro, per ogni valore
della variabile x in un dato insieme, i valori della funzione incognita y(x) e
quelli delle sue derivate y

(x), y

(x), eccetera. Unequazione dierenziale `e


detta ordinaria quando la variabile x appartiene a un intervallo di R, mentre
`e detta alle derivate parziali allorche la variabile x `e un elemento di R
m
: in tal
caso nellequazione compariranno le derivate parziali D
i
u, D
i
D
j
u, eccetera;
non ci addentreremo comunque in questo vastissimo campo.
Unequazione dierenziale ordinaria `e dunque unequazione funzionale del
tipo
f(x, y(x), y

(x), y

(x), . . . , y
(m)
(x)) = 0, x I,
ove f `e una funzione continua nei suoi m + 2 argomenti, I `e un intervallo
(eventualmente illimitato) di R e y `e la funzione incognita. Lordine del-
lequazione dierenziale `e il massimo ordine di derivazione che vi compare:
nellesempio sopra scritto lordine `e m.
Unequazione dierenziale `e detta in forma normale se si presenta nella forma
y
(m)
(x) g(x, y(x), y

(x), . . . , y
(m1)
(x)) = 0, x I,
cio`e se `e risolta rispetto alla derivata di grado massimo dellincognita y.
In particolare, unequazione del primo ordine in forma normale `e del tipo
y

(x) = g(x, y(x)), x I.


432
Perche si va ad esplorare lenorme universo delle equazioni dierenziali?
Perche esse saltano fuori in modo naturale non appena si formula un qua-
lunque tipo, anche molto semplice, di modello matematico per descrivere
fenomeni sici, chimici, biologici, economici, eccetera.
Accanto alle equazioni `e utile considerare anche sistemi dierenziali
f (x, u(x), u

(x)) = 0, x I,
eventualmente in forma normale
u

(x) = g(x, u(x)), x I,


ove stavolta lincognita `e una funzione u : I R
m
. Il motivo di questo
allargamento del tiro `e il fatto che ogni equazione dierenziale di ordine m
pu` o essere trasformata, in modo equivalente, in un sistema di m equazioni
dierenziali del primo ordine, il quale `e, in linea generale, pi` u semplice da
trattare. Infatti, se y C
m
(I) risolve lequazione
f(x, y, y

, . . . , y
(m)
) = 0, x I
(`e consuetudine omettere dallincognita y(x) la variabile indipendente x),
introducendo le m funzioni
u
0
(x) = y(x), u
1
(x) = y

(x), . . . , u
m1
(x) = y
(m1)
(x),
si ottiene una funzione u = (u
0
, u
1
, . . . u
m1
) C
1
(I, R
m
) che risolve il
sistema dierenziale
_

_
(u
0
)

= u
1
(u
1
)

= u
2
. . . . . . . . .
(u
m2
)

= u
m1
f(x, u
0
, u
1
, . . . , u
m1
, (u
m1
)

) = 0.
Viceversa, se u = (u
0
, u
1
, . . . , u
m1
) C
1
(I, R
m
) `e soluzione di questo siste-
ma, `e facile vericare che, posto y = u
0
, si ha y C
m
(I) e tale funzione
risolve lequazione dierenziale originaria.
Si noti che se lequazione dierenziale era in forma normale,
y
(m)
= g(x, y, y

, . . . , y
(m1)
),
433
allora lultima equazione del sistema diventa
(u
m1
)

= g(x, u
0
, u
1
, . . . , u
m1
),
e quindi anche il sistema `e in forma normale.
Tutte le equazioni dierenziali sono risolubili? Naturalmente no! Un esempio
banale `e il seguente:
1 + y
2
+ (y

)
2
= 0.
Limportanza delle equazioni in forma normale sta nel fatto che, al contrario,
esse sono sempre risolubili ed anzi hanno uninnit` a di soluzioni: questo si
vede gi` a esaminando la pi` u semplice, cio`e
y

= f(x), x [a, b],


le cui soluzioni sono
y(x) =
_
x
a
f(t) dt + c, x [a, b],
ove c `e una costante arbitraria.
Nel seguito, considereremo solamente equazioni e sistemi in forma normale.
Problema di Cauchy
Un modo per selezionare una delle innite soluzioni di una equazione dieren-
ziale in forma normale del primo ordine `e quello di prescrivere alla soluzione
di assumere, in un determinato punto x
0
I, un pressato valore y
0
R. Si
formula cos` il problema di Cauchy:
_
y

= g(x, y), x I,
y(x
0
) = y
0
.
Poiche assegnare g(x, y(x)) signica prescrivere il coeciente angolare della
retta tangente al graco della soluzione y(x) nel suo punto (x, y(x)), risolvere
il problema di Cauchy signica determinare una funzione il cui graco passi
per un ssato punto (x
0
, y
0
) e del quale sia prescritta punto per punto la
pendenza.
Per i sistemi del primo ordine in forma normale il problema di Cauchy ha la
forma seguente:
_
y

= g(x, y), x I,
y(x
0
) = y
0
.
434
Per unequazione dierenziale di ordine m, linsieme delle soluzioni dipender` a
in generale da m costanti arbitrarie: il problema di Cauchy `e in tal caso
_
y
(m)
= g(x, y, . . . , y
(m1)
), x I,
y(x
0
) = y
0
, y

(x
0
) = y
1
, . . . y
(m1)
(x
0
) = y
m1
,
ove y
0
, y
1
, . . . , y
m1
sono m numeri assegnati.
Il teorema di esistenza e unicit`a
Per equazioni e sistemi del primo ordine in forma normale vi `e un fonda-
mentale risultato che garantisce, perlomeno localmente, la risolubilit`a del
problema di Cauchy: in altre parole, si dimostra che vi `e ununica soluzione
locale, ovvero che la soluzione del problema `e denita almeno in un intorno
del punto iniziale x
0
.
Per formulare questo enunciato occorrono alcune premesse. Consideriamo il
sistema
u

= g(x, u),
sotto le seguenti ipotesi:
(i) g : A R
m
`e una assegnata funzione continua, denita su un aperto
A R
m+1
;
(ii) la funzione g `e localmente lipschitziana in A rispetto alla variabile vetto-
riale u, uniformemente rispetto a x, vale a dire che per ogni compatto
K A esiste una costante H
K
0 per cui risulta
[g(x, y) g(x, u)[
m
H
K
[y u[
m
(x, y), (x, u) K.
Fissiamo un punto (x
0
, u
0
) A e consideriamo il problema di Cauchy
_
u

= g(x, u)
u(x
0
) = u
0
.
Dato che A `e aperto, esister`a un cilindro (m+ 1)-dimensionale compatto R,
di centro (x
0
, u
0
), tutto contenuto in A. Esso sar` a della forma
R = (x, u) R
m+1
: [x x
0
[ a, [u u
0
[
m
b.
435
Poiche g `e continua nel compatto R, in virt` u del teorema di Weierstrass
(teorema 3.4.1) esister`a M 0 tale che
[g(x, u)[
m
M (x, u) R;
inoltre, per (ii), esiste H 0 tale che
[g(x, y) g(x, u)[
m
H[y u[
m
(x, y), (x, u) R.
Si ha allora il seguente teorema di esistenza e unicit` a locale:
Teorema 6.1.1 Sotto le ipotesi (i) e (ii) sopra enunciate, sia (x
0
, u
0
) A,
e siano R il cilindro e M, H le costanti sopra denite. Allora esistono un
intervallo J = [x
0
h, x
0
+h], con 0 < h a, e ununica funzione u : J R
m
di classe C
1
, tali che
u

(x) = g(x, u(x)) x J, u(x


0
) = u
0
;
inoltre il graco di u `e tutto contenuto in R, cio`e si ha
[u(x) u
0
[
m
b x J.
Prima di dimostrare il teorema facciamo qualche considerazione. Anzitut-
to, le ipotesi di regolarit`a formulate sulla funzione g sono ottimali: infatti,
benche sia possibile provare lesistenza di soluzioni del problema di Cauchy
supponendo solamente g continua in A, `e facile vedere con esempi che in
mancanza dellipotesi di locale lipschitzianit`a viene a cadere lunicit`a della
soluzione.
436
Esempio 6.1.2 Sia m = 1. Il problema di Cauchy
_
u

= u
2/3
u() = 0
ha le due soluzioni u(x) 0
e u

(x) =
(x)
3
27
, innite al-
tre, come `e facile vericare,
che sono nulle in ] , ]
e valgono
(x)
3
27
in [, [,
ove > , nonche altre an-
cora. Il secondo membro
g(x, u) = u
2/3
, che `e deni-
to su R
2
, `e ovviamente con-
tinuo ma non verica la pro-
priet` a di locale lipschitzia-
nit` a. Sia infatti K un in-
torno di (x
0
, 0) R
2
: se
esistesse H 0 tale che
[y
2/3
u
2/3
[ H[y u[ (x, y), (x, u) K,
scelti (x, u) = (x
0
, 0) e (x, y) = (x
0
,
1
n
), con n N
+
, avremmo (x
0
,
1
n
) K
denitivamente, da cui
1
n
2/3

H
n
denitivamente,
cio`e n H
3
denitivamente, il che `e assurdo.
Dimostrazione del teorema 6.1.1 - 1
o
passo: trasformiamo il problema
di Cauchy in un sistema di equazioni integrali ad esso equivalente.
Se u : J R
m
`e una funzione di classe C
1
che risolve il problema di Cauchy
_
u

= g(x, u), x J,
u(x
0
) = u
0
,
allora ssato x J possiamo integrare i due membri fra x
0
e x (si veda la
denizione 5.5.4), ottenendo il sistema di equazioni integrali
u(x) = u
0
+
_
x
x
0
g(t, u(t)) dt, x J.
437
Viceversa se u : J R
m
`e una funzione continua che risolve questo sistema,
allora anzitutto u(x
0
) = u
0
; inoltre, essendo lintegrando una funzione con-
tinua, il secondo membro `e di classe C
1
e quindi u `e di classe C
1
. Possiamo
allora derivare entrambi i membri del sistema integrale, ottenendo
u

(x) = g(x, u(x)) x J.


Quindi u risolve il problema di Cauchy. Ci` o prova lequivalenza richiesta.
2
o
passo: risolviamo il sistema integrale con il metodo delle approssimazioni
successive.
Sia h = mina, b/M, 1/H. Deniamo la seguente successione di funzioni
vettoriali u
n
:
_

_
u
0
(x) u
0
,
u
n+1
(x) = u
0
+
_
x
x
0
g(t, u
n
(t)) dt n N,
x J.
Si vericano per induzione i seguenti fatti:
sup
xJ
[u
n
(x) u
0
[
m
b n N,
[u
n+1
(x) u
n
(x)[
m
M
H
n
(n + 1)!
[x x
0
[
n+1
x J, n N.
La prima relazione `e ovvia per n = 0; supponiamo che essa valga per un
certo n: in virt` u della proposizione 5.5.5 si ha, essendo (t, u
n
(t)) R per
ogni t J,
sup
xJ
[u
n+1
(x) u
0
[
m
= sup
xJ

_
x
x
0
g(t, u
n
(t)) dt

sup
xJ

_
x
x
0
[g(t, u
n
(t))[
m
dt

sup
xJ
M[x x
0
[ = Mh b.
Dunque la relazione vale per n+1 e pertanto, per induzione, `e vera per ogni
n N.
La seconda disuguaglianza vale per n = 0, dato che
[u
1
(x) u
0
[
m
=

_
x
x
0
g(t, u
0
) dt

m
M[x x
0
[ x J;
438
se poi essa vale per un certo n, allora risulta (essendo (t, u
n+1
(t)), (t, u
n
(t))
R per ogni t J)
[u
n+2
(x) u
n+1
(x)[
m
=

_
x
x
0
[g(t, u
n+1
(t)) g(t, u
n
(t))] dt

_
x
x
0
[g(t, u
n+1
(t)) g(t, u
n
(t))[
m
dt

_
x
x
0
H[u
n+1
(t) u
n
(t)[
m
dt

_
x
x
0
MH
n+1
[t x
0
[
n+1
(n + 1)!
dt

=
= M
H
n+1
(n + 2)!
[x x
0
[
n+2
x J.
Dunque la disuguaglianza vale anche per n + 1, cosicche, per induzione, `e
vera per ogni n N.
In particolare, la relazione appena provata implica che
sup
xJ
[u
n+1
(x) u
n
(x)[
m
MH
n
h
n+1
(n + 1)!
n N,
e quindi, per ogni p > n,
sup
xJ
[u
p
(x) u
n
(x)[
m

p1

k=n
sup
xJ
[u
k+1
(x) u
k
(x)[
m
M
p1

k=n
H
k
h
k+1
(k + 1)!
.
Dato che la serie M

k=0
H
k
h
k+1
(k+1)!
`e convergente, la stima appena ottenuta mo-
stra che per ogni x J la successione u
n
(x) `e di Cauchy in R
m
(denizione
2.6.1). Pertanto esiste
u(x) = lim
n
u
n
(x) x J,
e anzi la convergenza `e uniforme in J, nel senso che (esercizio 6.1.4)
lim
n
sup
xJ
[u
n
(x) u(x)[ = 0;
per di pi` u, nellesercizio 6.1.5 si dimostra che la funzione limite u `e continua
in J.
Adesso vogliamo passare al limite per n nella relazione che denisce la
439
successione u
n
. Il primo membro tende ovviamente a u(x); per il secondo
membro si ha, in virt` u delle ipotesi fatte su g,

_
x
x
0
g(t, u
n
(t)) dt
_
x
x
0
g(t, u(t)) dt

_
x
x
0
[g(t, u
n
(t)) g(t, u(t))[
m
dt

_
x
x
0
H[u
n
(t) u(t)[
m
dt

Hhsup
tJ
[u
n
(t) u(t)[
m
,
e lultimo membro, come si `e osservato, tende a 0 per n . In denitiva
con il passaggio al limite per n otteniamo che la funzione u risolve il
sistema integrale
u(x) = u
0
+
_
x
x
0
g(t, u(t)) dt, x J.
Notiamo anche che dalla prima delle due disuguaglianze provate per induzio-
ne segue, al limite per n ,
sup
xJ
[u(x) u
0
[
m
b.
ci` o conclude la dimostrazione del 2
o
passo.
3
o
passo: proviamo inne lunicit`a della soluzione.
Ricordiamo che h 1/H: scegliamo allora k [0, h[ e poniamo J

= [x
0

k, x
0
+k]; allora se u, v sono due soluzioni distinte, entrambe continue in J,
dellequazione integrale, possiamo scrivere per ogni x J

, con un calcolo
analogo a quello fatto in precedenza,
[u(x) v(x)[
m
=

_
x
x
0
[g(t, u(t)) g(t, v(t))]dt

_
x
x
0
H[u(t) v(t)[
m
dt

Hk sup
tJ

[u(t) v(t)[
m
,
da cui, essendo Hk < Hh = 1,
sup
xJ

[u(x) v(x)[
m
< sup
tJ

[u(t) v(t)[
m
.
440
Ci` o `e assurdo, e dunque u v in J

. Per larbitrariet`a di J

J, si ottiene
u v in J. Ci` o conclude la dimostrazione del teorema 6.1.1.
A complemento del teorema di esistenza e unicit`a conviene fare qualche
ulteriore considerazione.
Dipendenza continua dal dato iniziale
Nelle applicazioni e in particolare nellapprossimazione numerica delle solu-
zioni di equazioni e sistemi dierenziali `e di capitale importanza che a piccole
variazioni del dato iniziale u
0
(ad esempio causate da errori di misura)
corrispondano piccole variazioni della soluzione corrispondente, perche senza
questa propriet`a verrebbe a mancare il presupposto stesso del procedimento
di approssimazione. Si vuole, in altre parole, che la soluzione del problema
di Cauchy dipenda con continuit`a dal valore iniziale u
0
. In eetti, se (x
0
, u
0
)
e (x
0
, y
0
) sono punti di A (di uguale ascissa) sucientemente vicini, allora le
soluzioni dei due problemi di Cauchy
_
u

= g(x, u), x J,
u(x
0
) = u
0
_
y

= g(x, y), x J

,
y(x
0
) = y
0
vericano la diseguaglianza
[u(x) y(x)[
m
C[u
0
y
0
[
m
x J

,
ove J

= J J

e C `e unopportuna costante. Infatti, denotiamo con H e


M le costanti delle ipotesi su g relative ad un ssato rettangolo compatto
R che contenga interamente i graci di u e y; utilizzando i sistemi integrali
equivalenti, posto J

= [x
0
h, x
0
+ h] si ha
[u(x) y(x)[
m
=

u
0
y
0
+
_
x
x
0
[g(t, u(t)) g(t, y(t))] dt

[u
0
y
0
[
m
+ H

_
x
x
0
[u(t) y(t)[
m
dt

[u
0
y
0
[
m
+ Hh sup
tJ

[u(t) y(t)[
m
,
da cui
(1 hH) sup
tJ

[u(t) y(t)[
m
[u
0
y
0
[
m
441
e quindi la tesi quando h `e sucientemente piccolo in modo che hH < 1.
Se invece hH 1, scegliamo k ]0, 1/H[ e ripetiamo il ragionamento prece-
dente in J
1
= [x
0
k, x
0
+ k]: otteniamo
sup
tJ
1
[u(t) y(t)[
m

1
1 kH
[u
0
y
0
[
m
.
Adesso scegliamo come nuovo intervallo lintervallo J
2
= [x
0
, x
0
+ 2k], che `e
centrato in x
0
+k, e come nuovo punto di partenza i punti (x
0
+k, u(x
0
+k)),
(x
0
+ k, y(x
0
+ k)). Lo stesso ragionamento di prima ci porta a concludere
che
sup
tJ
2
[u(t) y(t)[
m

1
1 kH
[u(x
0
+ k) y(x
0
+ k)[
m
,
e utilizzando la stima precedente (il che `e lecito poiche x
0
+k J
1
) si trova
sup
tJ
1
J
2
[u(t) y(t)[
m

1
(1 kH)
2
[u
0
y
0
[
m
.
Posto m =
_
h
k

, se ripetiamo ancora m+1 volte lo stesso argomento otteniamo


la stima
sup
t[x
0
k,x
0
+h]
[u(t) y(t)[
m

1
(1 kH)
m+1
[u
0
y
0
[
m
.
Inne si pu` o iterare il procedimento anche allindietro, e con altri m+1 passi
si ricava
sup
t[x
0
h,x
0
+h]
[u(t) y(t)[
m

1
(1 kH)
m+1
[u
0
y
0
[
m
,
che `e la tesi.
Prolungamento delle soluzioni
Il teorema 6.1.1 ha carattere locale, e non d` a informazioni su quanto grande
sia linsieme J di denizione della soluzione. Daltra parte, se il graco della
soluzione passa per un punto (x
1
, u
1
) A, tale punto pu`o essere preso come
nuovo punto iniziale e ancora il teorema 6.1.1 garantisce che la soluzione pu`o
essere prolungata ulteriormente in un intorno di x
1
. Si pu`o cos` pensare di
prolungare la soluzione procedendo per passi successivi. Si ha in eetti:
442
Teorema 6.1.3 Nelle ipotesi del teorema 6.1.1, sia Q un arbitrario rettan-
golo chiuso e limitato tale che Q A e contenente (x
0
, u
0
) come punto
interno. Allora la soluzione locale u del problema di Cauchy
_
u

= g(x, u),
u(x
0
) = u
0
pu`o essere univocamente estesa a un intervallo chiuso [x
1
, x
2
], con x
1
< x
0
<
x
2
, in modo che i punti (x
1
, u(x
1
)) e (x
2
, u(x
2
)) appartengano alla frontiera
di Q.
Dimostrazione Sia Q

un rettangolo chiuso e limitato di R


m+1
tale che
Q Q

A, e siano M, H 0 tali che


[g(x, u)[
m
M (x, u) Q

,
[g(x, y) g(x, u)[
m
H[y u[
m
(x, y), (x, u) Q

.
Prendiamo poi a, b > 0 sucientemente piccoli in modo che
(x, u) R
m+1
: [x x
0
[ a, [u u
0
[
m
b Q

(x
0
, u
0
) Q,
e scegliamo inne
h = min
_
a,
b
M
,
1
H
_
.
Allora si pu` o ripetere la dimostrazione del teorema 6.1.1 ottenendo, per ogni
punto iniziale (x
0
, u
0
) Q una soluzione locale denita almeno nellintervallo
[x
0
h, x
0
+h]. Adesso osserviamo che il numero h non dipende dalla scelta
del punto (x
0
, u
0
) Q: `e chiaro allora che procedendo per passi successivi
linsieme di denizione della soluzione del problema di Cauchy si allunga, ad
ogni passo, di h e che quindi dopo un numero nito di tappe intermedie il
graco della soluzione raggiunger` a la frontiera di Q.
Lunicit` a del prolungamento `e poi ovvia.
Notiamo che nel teorema 6.1.3 `e essenziale che Q sia un rettangolo chiuso e
limitato e non, ad esempio, una striscia innita o un semispazio. Per esempio,
se m = 1 il problema di Cauchy
_
u

= 1 + u
2
u(0) = 0,
443
che ha secondo membro regolare in tutto R
2
, ha come unica soluzione la
funzione u(x) = tan x, la quale non `e prolungabile al di fuori dellintervallo

2
,

2
_
. Quindi non avremmo potuto, nel teorema 6.1.3, prendere come Q
la striscia
_

2
,

2

R.
Fino a che punto la soluzione locale del problema di Cauchy `e prolungabile?
In termini un po grossolani si pu`o dire che il prolungamento `e possibile no
a che il graco della soluzione giace nellaperto A ove `e denito il secondo
membro g. Per formalizzare questa idea, ssato (x
0
, u
0
) A, introduciamo
la famiglia (x
0
, u
0
) costituita da tutti gli intervalli J contenenti x
0
come
punto interno, tali che il problema di Cauchy di punto iniziale (x
0
, u
0
) abbia
soluzione u
J
() denita su tutto J: il teorema 6.1.1 ci dice che questa famiglia
non `e vuota. Sia ora J
0
lintervallo unione di tutti gli intervalli J (x
0
, u
0
),
e deniamo per x J
0
:
u(x) = u
J
(x) se x J e J (x
0
, u
0
).
Questa denizione ha senso perche due soluzioni u
J
, u
I
coincidono su J I
per unicit`a. Resta cos` denita in tutto J
0
ununica soluzione del problema
di Cauchy che, per costruzione, non `e ulteriormente estendibile: essa viene
chiamata soluzione massimale.
Soluzione globale
Supponiamo che la funzione g(x, u) sia denita su una striscia ]c, d[ R
m
,
sia ivi continua e lipschitziana nella variabile u uniformemente rispetto a x
in ogni sottostriscia chiusa [c

, d

] R
m
con c < c

< d

< d, ossia risulti


[g(x, y) g(x, u)[
m
H[y u[
m
(x, y), (x, u) [c

, d

] R
m
.
Allora si ha:
Teorema 6.1.4 Nelle ipotesi sopra dette, per ogni (x
0
, u
0
) S la soluzione
del problema di Cauchy
_
u

= g(x, u)
u(x
0
) = u
0
`e globale, cio`e `e denita nellintero intervallo ]c, d[.
444
Dimostrazione Scegliamo b 1 e ssiamo [c

, d

] ]c, d[ . Posto
M
0
= max
x[c

,d

]
[g(x, u
0
)[
m
, R = [c

, d

] u R
m
: [u u
0
)[
m
b,
per (x, u
0
) R si ha
[g(x, u)[
m
[g(x, u) g(x, u
0
)[
m
+[g(x, u
0
)[
m

H[u u
0
)[
m
+ M
0
Hb + M
0
.
Quindi si pu` o ripetere il ragionamento svolto nella dimostrazione del teorema
6.1.3 scegliendo h = mind

,
1
H+M
0
(si noti che, essendo b 1, questo
numero `e certamente minore di mind

,
b
Hb+M
0
,
1
H
, che `e la limitazione
richiesta nelle ipotesi del teorema 6.1.1). Poiche h non dipende da b, dopo un
numero nito di passi si ricopre tutto lintervallo [c

, d

]. Dunque la soluzione
`e denita in ogni [c

, d

] ]c, d[ e pertanto `e denita in ]c, d[ .


Questo risultato `e importante perche contiene il caso dei sistemi lineari, in
cui
g(x, u) = A(x)u +f (x),
con A(x) matrice mm a coecienti continui in ]c, d[ e f funzione continua
su ]c, d[. Dunque le soluzioni di equazioni e sistemi dierenziali lineari di
qualsiasi ordine (a coecienti continui) esistono in tutto lintervallo su cui
sono deniti i coecienti.
Esercizi 6.1
1. Trasformare lequazione dierenziale
y

+ sin x y

cos x y

+ y = x
in un sistema di tre equazioni del primo ordine.
2. Trasformare il sistema
_
u

= 2u v + x
v

= 3u + v x
in una equazione dierenziale del secondo ordine.
445
3. Determinare tutte le soluzioni (di classe C
1
in qualche intervallo) del-
lequazione dierenziale (y

)
2
= 1.
4. Sia f
n
una successione di funzioni denite su un intervallo [a, b].
Supponiamo che
sup
x[a,b]
[f
n+1
(x) f
n
(x)[ a
n
n N,
e che la serie

n=0
a
n
sia convergente. Si provi che esiste una funzione
f : [a, b] R tale che f
n
f uniformemente in [a, b], ossia tale che
lim
n
sup
x[a,b]
[f
n
(x) f(x)[ = 0.
5. Sia f
n
una successione di funzioni continue denite su un intervallo
[a, b]. Supponiamo che esista una funzione f : [a, b] R tale che
f
n
f uniformemente in [a, b] (vedere lesercizio precedente). Si provi
che f `e continua in [a, b].
[Traccia: ssati x
0
[a, b] ed > 0, sia N tale che [f
n
(x)f(x)[ <
per ogni x [a, b] e per ogni n . Allora si verichi che esiste > 0
tale che per x [a, b] e [x x
o
[ < si ha
[f(x)f(x
0
)[ [f(x)f

(x)[+[f

(x)f

(x
0
)[+[f

(x
0
)f(x
0
)[ < 3.]
6.2 Alcuni tipi di equazioni del primo ordine
Come risolvere le equazioni dierenziali? Come scriverne esplicitamente le
soluzioni? Una risposta esaustiva `e impossibile, ma per certe classi di equa-
zioni si pu`o fornire qualche metodo pratico. Esamineremo in dettaglio due
tipi di equazioni che sono i pi` u importanti nella pratica, rimandando lo studio
degli altri tipi agli esercizi 6.2.5, 6.2.6 e 6.2.7.
Equazioni a variabili separabili
Le equazioni a variabili separabili sono equazioni (non lineari, in generale)
della forma
y

= f(x)g(y), x I,
446
dove f `e una funzione continua sullintervallo I e g `e una funzione continua su
un altro intervallo J. Necessariamente, una soluzione y di questa equazione
dovr` a essere denita in I (o in un sottointervallo di I) a valori in J. La
tecnica risolutiva `e la seguente:
1
o
passo: si cercano gli eventuali punti y
0
J nei quali si ha g(y
0
) = 0: per
ciascuno di questi punti la funzione costante
y(x) = y
0
, x I,
`e soluzione dellequazione.
2
o
passo: si cercano le soluzioni non costanti y, denite in qualche sottoin-
tervallo I

I e a valori in qualche sottointervallo J

J nel quale si abbia


g ,= 0. Se y(x) `e una di queste soluzioni, sar` a g(y(x)) ,= 0 per ogni x I

;
quindi dividendo lequazione per g(y(x)) si ottiene
1
g(y(x))
y

(x) = f(x), x I

.
3
o
passo: si calcolano le primitive dei due membri di tale identit` a: indicando
con F una primitiva di f in I

e con una primitiva di


1
g
in J

, si ricava
(y(x)) = F(x) + c, x I

,
dove c `e una costante arbitrariamente scelta.
4
o
passo: si osserva che

=
1
g
,= 0 in J

per ipotesi, per cui `e strettamente


monotona in J

(proposizione 4.9.1). Se ne deduce, per il teorema 3.4.6, che


esiste la funzione inversa
1
, e la relazione precedente diventa
y(x) =
1
(F(x) + c), x I

.
Si noti che y(x) J

per ogni x I

, come richiesto, e che y verica


eettivamente lequazione dierenziale perche per ogni x I

si ha
y

(x) = [(
1
)

(F(x) + c)]F

(x) =
1

(
1
(F(x) + c))
f(x) =
= g(
1
(F(x) + c))f(x) = g(y(x))f(x).
Osserviamo che il 3
o
passo si pu`o meglio memorizzare se si utilizza la nota-
zione y

=
dy
dx
e si passa formalmente da
1
g(y)
dy
dx
= f(x) a
dy
g(y)
= f(x)dx, per
447
poi integrare i due membri il primo rispetto a y e il secondo rispetto a x.
Si badi bene che questo procedimento non esaurisce in generale linsieme del-
le soluzioni: vi possono essere altri tipi di soluzioni, come illustra il secondo
degli esempi che seguono.
Esempi 6.2.1 (1) Consideriamo lequazione y

= x(1 +y
2
). Qui le funzioni
f(x) = x e g(y) = 1 + y
2
sono denite su tutto R e la g non `e mai nulla.
Dividendo per 1 + y
2
si trova
y

1 + y
2
= x,
dy
1 + y
2
= x dx,
e integrando
arctan y(x) =
x
2
2
+ c.
Dunque
y(x) = tan
_
x
2
2
+ c
_
, c R.
Si osservi che ciascuna soluzione `e denita non su tutto R ma solo nel sot-
toinsieme descritto dalla disuguaglianza [
x
2
2
+ c[ <

2
, perche solo per tali x
la quantit` a
x
2
2
+ c appartiene allimmagine della funzione arcotangente. Ad
esempio, se c = 0 si ha x ]

[, mentre se c = si hanno i due in-


tervalli ]

3,

[ e ]

3[ (si tratta dunque di due distinte soluzioni,


denite su intervalli disgiunti).
(2) Nellequazione y

=

y si ha f(x) 1 in I = R e g(y) =

y in
J = [0, [. Lunica soluzione costante `e y(x) = 0, x R; le soluzioni a valori
in J

=]0, [ si ottengono dividendo per



y con i passaggi che seguono:
y

y
= 1,
dy

y
= dx,
2
_
y(x) = x + c
448
(il che implica x + c 0); si trova dunque
y(x) =
_
x + c
2
_
2
, x [c, +[.
Ma lequazione ha altre soluzioni: ad esempio, per ogni ssato R, la
funzione
y

(x) =
_

_
0 se x <
_
x +
2
_
2
se x
`e di classe C
1
in R e verica lequazione dierenziale su tutto R. Essa non fa
parte di quelle gi` a trovate, perche non `e identicamente nulla e non `e a valori
in ]0, [.
(3) Per lequazione y

= x/y, la funzione f(x) = x `e denita su R mentre


la g(y) = 1/y `e denita su R 0: quindi cerchiamo soluzioni y(x) ,= 0. Col
solito metodo si trova
yy

= x,
y dy = x dx,
y
2
2
=
x
2
2
+ c,
y(x)
2
= x
2
+ 2c = x
2
+ c

;
ci` o implica c

= y
2
+ x
2
> 0. In conclusione,
y(x) =

x
2
, x ]

[ .
Le soluzioni hanno per graci delle semicirconferenze di raggi

, con c

arbitrario numero positivo. Si osservi che, dopo aver scritto lequazione nella
forma simmetrica y dy = x dx, abbiamo ricavato x
2
+y
2
= c

, che `e lequa-
zione dellintera circonferenza di centro (0, 0) e raggio

. In eetti lequa-
zione in forma simmetrica `e risolta anche dalle funzioni x(y) =
_
c

y
2
,
y ]

[, ottenute esplicitando la variabile x in funzione della y.


Lequazione x
2
+ y
2
= c

(in termini generali, lequazione (y) + F(x) = c


ottenuta nel 3
o
passo) rappresenta una curva del piano la quale, localmen-
te, ossia nellintorno di ogni suo ssato punto, `e graco di una funzione
y(x), oppure x(y), ciascuna delle quali `e soluzione della forma simmetrica
dellequazione dierenziale.
449
Equazioni lineari del primo ordine
Le equazioni lineari del primo ordine, come sappiamo, hanno la forma se-
guente:
y

= a(x)y + b(x), x I,
ove a e b, detti coecienti dellequazione, sono funzioni continue in I. Sia
y una soluzione dellequazione: se A `e una primitiva della funzione a in I,
moltiplicando i due membri dellequazione per e
A(x)
si ottiene
e
A(x)
b(x) = e
A(x)
(y

(x) a(x)y(x)) =
d
dx
_
e
A(x)
y(x)
_
, x I;
dunque e
A(x)
y(x) `e una primitiva di e
A(x)
b(x) in I. Quindi, scelto arbitra-
riamente x
0
I, esister`a c R per cui
e
A(x)
y(x) =
_
x
x
0
e
A(t)
b(t) dt + c, x I,
ossia la funzione y(x) `e data da
y(x) = e
A(x)
__
x
x
0
e
A(t)
b(t) dt + c
_
, x I.
Viceversa, se y `e una funzione di questo tipo (con x
0
I e c R ssati),
allora per ogni x I si ha
y

(x) = a(x)e
A(x)
__
x
x
0
e
A(t)
b(t) dt + c
_
+ e
A(x)
_
e
A(x)
b(x)
_
=
= a(x)y(x) + b(x),
cio`e y risolve lequazione dierenziale.
Si noti che se b(x) 0 (nel qual caso lequazione si dice omogenea) linsieme
delle soluzioni `e ce
A(x)
, c R ed `e quindi uno spazio vettoriale V
0
di dimen-
sione 1, generato dallelemento e
A(x)
. Se b(x) , 0, linsieme delle soluzioni `e
uno spazio ane, cio`e un traslato dello spazio V
0
: la traslazione `e ottenuta
sommando a ciascun elemento di V
0
la funzione e
A(x)
_
x
x
0
e
A(t)
b(t) dt, che `e
essa stessa una soluzione dellequazione non omogenea.
Si osservi anche che la scelta di una diversa primitiva, A(x) + , di a, non
altera linsieme delle soluzioni. Analogamente, la scelta di un diverso punto
x
1
I come primo estremo nellintegrale ha leetto di modicare la costante
c, che diventa c +
_
x
1
x
0
e
A(t)
b(t) dt: ma dato che c varia in R, nuovamente
linsieme delle soluzioni non cambia.
450
Esempio 6.2.2 Consideriamo lequazione y

= 2xy + x
3
. Una primitiva
della funzione 2x `e x
2
. Moltiplichiamo lequazione per e
x
2
: si ottiene
d
dx
_
e
x
2
y(x)
_
= x
3
e
x
2
.
Calcoliamo una primitiva di x
3
e
x
2
: con facili calcoli
_
x
0
t
3
e
t
2
dt =
x
2
+ 1
2
e
x
2
+
1
2
.
Dunque
e
x
2
y(x) =
x
2
+ 1
2
e
x
2
+
1
2
+ c =
x
2
+ 1
2
e
x
2
+ c

,
e le soluzioni dellequazione proposta sono le funzioni
y(x) =
x
2
+ 1
2
+ ce
x
2
, c R.
Se imponiamo ad esempio la condizione di Cauchy y(33) = 700, troviamo
facilmente la corrispondente costante c:
c = 155 e
1089
,
e dunque ununica soluzione, in accordo con il teorema 6.1.1.
Si osservi che non sempre i calcoli per risolvere unequazione dierenziale
possono essere esplicitamente svolti, perche talvolta le primitive non sono
esprimibili in forma chiusa: ad esempio la semplicissima equazione y

= e
x
2
ha le soluzioni y(x) = c +
_
x
0
e
t
2
dt.
Esercizi 6.2
1. Provare che il problema di Cauchy
_
y

=
_
1 y
2
y(0) = 1
ha innite soluzioni; disegnare il graco di alcune di esse.
451
2. Risolvere le seguenti equazioni dierenziali:
(i) y

= xy
2
, (ii) y

= y
2/3
, (iii) y

=
x
1 + log y
,
(iv) y

= log x sin y, (v) y

= x
_
1 +
1
y
_
, (vi) xyy

= y 1,
(vii) y

=
log x cos y
x sin 2y
, (viii) y

=
x xy
2
y + x
2
y
, (ix) y

= e
y+e
y
.
3. Determinare linsieme delle soluzioni delle seguenti equazioni dieren-
ziali:
(i) y

=
y
1 + x
2
+ x 2, (ii) y

= 2xy + xe
x
,
(iii) y

= tan x y + sin x, (iv) y

=
2
x
y + x,
(v) y

=
y
1 x
2
+ 1 x, (vi) y

=
y
x

e
x
x
.
4. Sia y(x) una soluzione dellequazione dierenziale
y

= a(x)y + b(x), x > 0,


e si supponga che sia a(x) c < 0 e lim
x+
b(x) = 0. Si dimostri
che
lim
x+
y(x) = 0.
5. (Equazioni di Bernoulli) Si consideri lequazione dierenziale
y

= p(x)y + q(x)y

,
ove `e un numero reale diverso da 0 e da 1. Mediante la sostituzione
v(x) = y(x)
1
, si verichi che lequazione dierenziale diventa lineare
nellincognita v(x). Utilizzando questo metodo si risolvano le equazioni
(i) y

= 2y 3y
2
, (ii) y

= 2xy + x
3
y
3
, (iii) y

=
xy
3
+ x
2
y
2
.
452
6. (Equazioni non lineari omogenee) Utilizzando la sostituzione v(x) =
y(x)
x
, si verichi che unequazione dierenziale della forma y

= g(
y
x
),
con g assegnata funzione continua, diventa a variabili separabili nel-
lincognita v(x). Si utilizzi questo metodo per risolvere le equazioni
(i) y

= 2
x
y
, (ii) y

=
y
x
+
_
1 +
y
2
x
2
, (iii) x
2
y

= y
2
+ xy + 4x
2
.
7. (Equazioni di Riccati) Data lequazione dierenziale
y

= a(x)y
2
+ b(x)y + c(x), x I,
si supponga di conoscerne una soluzione (x). Si verichi che con la so-
stituzione y(x) = (x) +
1
v(x)
, lequazione diventa lineare nellincognita
v(x). Utilizzando questo metodo, si risolva lequazione
y

= y
2
xy + 1.
8. Risolvere i seguenti problemi di Cauchy:
(i)
_
y

= 3x
2
y
4
y(1) = 0,
(ii)
_
4x
3/2
yy

= 1 y
2
y(1) = 2,
(iii)
_
_
_
y

=
y
2
1
x
2
1
y(0) = 0,
(iv)
_
_
_
y

=
y
2
+ 1
x
2
+ 1
y(0) =

3,
(v)
_

xy

y sin

x = 0
y(
2
) = 9,
(vi)
_
y

= x(y
3
y)
y(0) = 1,
(vii)
_
2xyy

= y
2
x
2
+ 1
y(1) = 1,
(viii)
_
y

=
_
(1 + y)(1 + x
2
)
y(0) = 1.
6.3 Analisi qualitativa
Non sempre `e possibile scrivere esplicitamente le soluzioni di unequazione
dierenziale non lineare, e del resto non sempre unespressione esplicita aiuta
a comprendere landamento qualitativo delle curve integrali, ossia dei graci
di tali soluzioni. In molti casi, uno studio diretto dellequazione dierenziale
permette di studiare il comportamento delle curve integrali senza conoscerne
lespressione analitica.
453
Esempio 6.3.1 Consideriamo lequazione del primo ordine
y

= x
_
1 +
1
y
_
.
Il teorema di esistenza e unicit` a della soluzione `e applicabile in tutti i punti
(x, y) dei due semipiani y > 0 e y < 0: quindi per ogni punto (x
0
, y
0
),
con y
0
,= 0, passa una e una sola soluzione dellequazione. Cominciamo col
determinare le curve isocline, cio`e le curve sulle quali la pendenza di tutte
le curve integrali che le attraversano `e la stessa. Nel nostro caso, le isocline
sono le iperboli di equazione y =
x
cx
: infatti una soluzione y(x), che passi
per un punto della forma (x
0
,
x
0
cx
0
), deve avere in tale punto pendenza pari
a
y

(x
0
) = x
0
_
1 +
1
y(x
0
)
_
= x
0
_
1 +
1
x
0
cx
0
_
= c,
dunque costante (al variare di tutte le soluzioni passanti per punti della
curva). In particolare, sui punti dellisoclina y = 1 le curve integrali hanno
tangente orizzontale.
Dallequazione dierenziale ricaviamo, derivando rispetto a x,
y

= 1 +
1
y
x
y

y
2
=
(y + 1)(y x)(y + x)
y
3
,
e quindi lintero piano pu`o essere suddiviso in regioni di concavit` a e di con-
vessit` a sulla base del segno dei fattori che compongono y

. In particolare le
rette y = x sono costituite da punti di esso per le soluzioni. Si osservi che
per x < 0 e y / [1, 0] le soluzioni sono decrescenti, mentre sono crescenti
per y < 0 e 1 < y < 0. Inoltre le soluzioni sono pari, ossia i graci sono
simmetrici rispetto alla retta verticale x = 0: infatti, dato che il secondo
membro dellequazione dierenziale `e una funzione dispari rispetto a x, se
y(x) `e soluzione, anche y(x) lo `e.
454
La retta y = 1 `e una
curva integrale dellequa-
zione: quindi, per il teo-
rema di unicit`a, essa non
pu` o essere attraversata
da altre curve integrali.
Inne osserviamo che per
y > 0 risulta [y

(x)[ >
[x[, e quindi [y

(x)[
quando x ; per-
tanto nessuna curva in-
tegrale presenta asintoti
obliqui.
Si noti che lequazione dierenziale, essendo a variabili separabili, si risolve,
ma la soluzione `e espressa in forma implicita:
y ln [1 + y[ =
x
2
2
+ c, c R.
Esempio 6.3.2 Consideriamo lequazione
y

= 4y(1 y).
In questo caso le curve isocline sono le rette y = c; vi sono inoltre le soluzioni
costanti y = 0 e y = 1, che separano il piano in tre zone, in ciascuna delle
quali y

ha segno costante. Si ha anche


y

= 16y(1 y)(1 2y),


e quindi per y > 1 e per 0 < y < 1/2 le soluzioni sono convesse.
`
E facile analizzare il comportamento asintotico delle soluzioni. Consideriamo
una curva integrale uscente da un punto di coordinate (0, a): se a ]0, 1[ ,
y(x) `e crescente ed `e contenuta nella striscia 0 < y < 1 (poiche non pu` o
attraversare le due curve integrali y = 0 e y = 1); dal teorema di esisten-
za segue che y(x) esiste per ogni x R. Inoltre, posto u
0
= lim
x
y(x)
e v
0
= lim
x
y(x) (i limiti esistono essendo y crescente), si deve avere
lim
x
y

(x) = 0, e dunque, passando al limite nellequazione dierenziale,


si trova 4u
0
(1 u
0
) = 0 = 4v
0
(1 v
0
), da cui u
0
= 1 e v
0
= 0. Dunque
le curve integrali costanti y = 0 e y = 1 sono asintoti orizzontali per tali
soluzioni.
455
Se invece a > 1, y(x) `e con-
vessa e decrescente, quindi u
0
=
lim
x
y(x) esiste nito e come
sopra si ottiene u
0
= 1, men-
tre necessariamente la soluzione
diverge per x , dato che
[y

[ 4[y[([y[ 1) + per
x : dunque v
0
= .
Quando a < 0, simili conside-
razioni mostrano che v
0
= 0 e
u
0
= . Si noti il diverso com-
portamento delle curve integra-
li attorno alla soluzioni staziona-
rie: al crescere di x, la soluzione
y = 1 `e un attrattore di soluzio-
ni, mentre y = 0 `e un repulsore
di soluzioni.
In questo caso le soluzioni si determinano esplicitamente:
y(x) =
ce
4x
1 + ce
4x
, c R.
Osservazione 6.3.3 Lesempio precedente rientra in una importante sotto-
classe di equazioni del primo ordine: le equazioni autonome, ossia quelle della
forma
y

= F(y),
ove F : J R `e unassegnata funzione continua denita su un intervallo
J R. Dunque unequazione dierenziale `e autonoma se il suo secondo
membro non dipende esplitamente dalla variabile x.
`
E facile vericare che se y(x) `e una soluzione in ]x
1
, x
2
[ dellequazione sopra
scritta, allora, qualunque sia T R, la funzione x y(x + T) risolve le-
quazione in ]x
1
T, x
2
T[ . Nel seguito supporremo per semplicit`a che F
sia denita su tutto R; si noti che questo non implica che ciascuna soluzione
sia denita su tutto R.
`
E vero per`o che per descrivere tutte le soluzioni sar`a
suciente, a meno di una traslazione temporale, considerare le soluzioni del
problema di Cauchy
_
y

= F(y)
y(0) = y
0
456
al variare di y
0
in R.
Analizziamo alcuni casi signicativi. Se F(y
0
) = 0, allora y(x) y
0
`e una
soluzione stazionaria, ossia costante. Se F(y
0
) < 0 ed esiste y < y
0
tale che
F(y) = 0, allora si vede facilmente che la soluzione y(x) `e denita per ogni
x > 0 e lim
x+
y(x) = y
1
, ove y
1
`e il massimo fra gli zeri di F minori di
y
0
. Similmente, se F(y
0
) > 0 ed esiste y > y
0
tale che F(y) = 0, allora la
soluzione y(x) `e denita per ogni x > 0 e lim
x+
y(x) = y
2
, ove y
2
`e il
minimo fra gli zeri di F maggiori di y
0
. Se ne deduce che se esiste un intorno
U di y
0
per cui
F(y)
_
_
_
> 0 per y < y
0
, y U
= 0 per y = y
0
< 0 per y > y
0
, y U,
allora la soluzione stazionaria y(x) = y
0
`e asintoto per x + di soluzioni
y(x), sia dallalto che dal basso. Una condizione suciente anche ci` o
accada `e, ovviamente,
F C
1
(R), F(y
0
) = 0, F

(y
0
) < 0.
Si dice in tal caso che la soluzione stazionaria y = y
0
`e asintoticamente stabile.
Se, invece, esiste un intorno U di y
0
per cui
F(y)
_
_
_
< 0 per y < y
0
, y U
= 0 per y = y
0
> 0 per y > y
0
, y U,
allora le soluzioni y(x) si allontanano dalla soluzione stazionaria y = y
0
per x +; ci`o accade, ad esempio, quando F C
1
(R), F(y
0
) = 0 e
F

(y
0
) > 0. In tal caso la soluzione stazionaria y = y
0
si dice instabile.
Nel confronto fra due soluzioni di una data equazione dierenziale `e di grande
utilit` a il seguente lemma elementare ma assai importante.
Lemma 6.3.4 (di Gr onwall) Siano u, v funzioni continue in un intervallo
[a, b]. Supponiamo che si abbia u 0 in [a, b] e
v(x) c +
_
x
a
v(t)u(t) dt x [a, b],
ove c `e una costante reale; allora risulta
v(x) c exp
__
x
a
u(t) dt
_
x [a, b].
457
Dimostrazione Deniamo
G(x) = c +
_
x
a
v(t)u(t) dt, x [a, b].
La funzione G verica G(x) v(x) in [a, b] per ipotesi, ed inoltre G

(x) =
v(x)u(x) in [a, b]; ne segue G

(x) u(x)G(x) in [a, b]. Moltiplicando la


disequazione G

(x)u(x)G(x) 0 per la funzione positiva exp


_

_
x
a
u(t) dt
_
,
si ottiene
d
dx
_
exp
_

_
x
a
u(t) dt
_
G(x)
_
0 x [a, b],
da cui
exp
_

_
x
a
u(t) dt
_
G(x) G(a) x [a, b]
e nalmente, essendo G(a) = c,
v(x) G(x) c exp
__
x
a
u(t) dt
_
x [a, b].
Osservazione 6.3.5 Il lemma di Gr onwall vale anche quando le funzioni
continue u e v vericano u 0 in [a, b] e
v(x) c +
_
b
x
v(t)u(t) dt x [a, b];
in tal caso la conclusione `e
v(x) c exp
__
b
x
u(t) dt
_
x [a, b].
La dimostrazione si fa ripetendo largomentazione precedente, oppure usando
il lemma 6.3.4 con le funzioni v(x) = v(a + b x) e u(x) = u(a + b x).
Dal lemma di Gr onwall seguono facilmente alcuni importanti criteri di con-
fronto per soluzioni di equazioni dierenziali: si vedano gli esercizi 6.3.5 e
6.3.6.
Discuteremo adesso alcuni esempi, che mettono in evidenza come lana-
lisi qualitativa delle equazioni dierenzziali, benche concettualmente non
dicile, si riveli talvolta assai complicata.
458
Esempio 6.3.6 Consideriamo lequazione dierenziale
y

= y
2
arctan
2
x.
Osserviamo anzitutto che il secondo membro verica le ipotesi del teorema di
esistenza ed unicit` a su tutto R
2
: quindi per ogni punto del piano passa una
ed una sola traiettoria. Dunque i graci di due soluzioni distinte non possono
intersecarsi. Inoltre, se y(x) `e soluzione, allora anche v(x) = y(x) `e solu-
zione: ci` o signica che i graci sono simmetrici rispetto allorigine e pertanto
`e suciente analizzarli nel semipiano x 0. Le soluzioni sono crescenti nella
regione [y[ > [ arctan x[ e decrescenti nella regione [y[ < [ arctan x[; dunque
i graci attraversano y = arctan x con tangente orizzontale. Le regioni di
convessit` a sono di dicile individuazione, poiche
y

= 2yy

2
arctan x
1 + x
2
= 2y(y
2
arctan
2
x) 2
arctan x
1 + x
2
,
e non `e per niente agevole lo studio del segno di y

. Tuttavia possiamo notare


che
y
2


2
4
< y

< y
2
,
quindi, detta y
b
la soluzione tale che y(0) = b, per confronto (esercizio 6.3.6)
si ha z(x) < y
b
(x) < w(x), ove w e z sono le soluzioni dei problemi di Cauchy
_
w

= w
2
w(0) = b,
_
z

= z
2


2
4
z(0) = b.
Con calcoli standard si trova dunque
z(x) =

2
1 +
b/2
b+/2
e
x
1
b/2
b+/2
e
x
< y
b
(x) <
b
1 xb
= w(x) x > 0.
`
E immediato constatare che
w(x) + per x
1
b
, z(x) + per x
1

ln
b + /2
b /2
,
e dunque anche y
b
ha un asintoto verticale x = x
b
, con
1
b
< x
b
<
1

ln
b + /2
b /2
;
459
in particolare, se b lascissa dellasintoto di y
b
tende a 0.
Pi` u in generale, se b > 0 ed esiste > 0 tale che y
b
() = /2, allora sar` a
z(x) < y
b
(x) < w(x), ove w e z sono le soluzioni dei problemi di Cauchy
_
w

= w
2
w( + ) = y
b
( + ),
_
z

= z
2


2
4
z( + ) = y
b
( + ),
ove > 0, e si trova di conseguenza per x > +
z(x) =

2
1 +
y
b
(+)/2
y
b
(+)+/2
e
(x)
1
y
b
(+)/2
y
b
(+)+/2
e
(x)
< y
b
(x) <
y
b
( + )
1 (x )y
b
( + )
= w(x).
Dunque, nuovamente, la y
b
ha un asintoto verticale x = x
b
con
+ +
1
y
b
( + )
< x
b
< + +
1

ln
y
b
( + ) + /2
y
b
( + ) /2
.
Se invece b > 0 `e sucientemente piccolo, allora il graco di y
b
attraversa
la curva y = arctan x: infatti si ha y
b
(x) <
b
1xb
e il graco di questultima
funzione sicuramente attraversa quello di arctan x purche b sia piccolo (infatti
per x = /4 si ha
b
1

4
b
< arctan /4 = 1 purche b < 4/(4 + )).
Dunque esiste il numero positivo
= inf
_
b > 0 : > 0 : y
b
() =

2
_
.
Se allora b > , la corrispondente soluzione cresce no al suo asintoto verti-
cale x = x
b
; se 0 < b < , la soluzione cresce no ad attraversare la curva
y = arctan x, dove ha un massimo assoluto, poi inizia a decrescere, come
vedremo meglio fra poco.
Se b = , la soluzione y

separa le soluzioni con asintoto verticale da quelle


denitivamente decrescenti: non `e dicile rendersi conto che essa dovr` a es-
sere crescente (perche `e un estremo inferiore di funzioni crescenti) ma restare
sotto la quota y = /2 per denizione di . Dunque per questa soluzione si
ha
arctan x < y

(x) <

2
x > 0.
Osserviamo adesso che se una soluzione comincia ad essere decrescente, tale
rester` a per sempre: infatti per tornare a crescere dovrebbe attraversare con
pendenza nulla, venendo dallalto, la curva y = arctan x, che ha pendenza
460
negativa, e questo `e impossibile. Pertanto queste soluzioni non possono che
tendere allasintoto orizzontale y = /2.
Se b = 0 la soluzione parte con pendenza nulla, cosicche viene immediata-
mente a trovarsi nella regione di decrescenza. Quindi anchessa decresce no
allasintoto orizzontale y = /2.
Inne, se b < 0 la soluzione cresce, no ad attraversare la curva y = arctan x,
dopodiche ancora una volta ls soluzione decresce no allasintoto orizzontale
y = /2. Si noti che per ogni b < 0 la soluzione y
b
(x) y(x) diventa prima
o poi decrescente: infatti supponiamo per assurdo che y(x) resti crescente
e dunque sempre minore di arctan x: possiamo confrontare y(x) con una
soluzione u(x) di dato iniziale b

> 0 piccolo, notando che la dierenza y u


verica
y

= y
2
u
2
, y(0) u(0) = b b

< 0.
Scegliamo unascissa x
0
sucientemente grande in modo che u(x
0
) < 0;
dunque v = y u verica
v

v
= y + u <

2
+ max u = K < 0 x > x
0
.
Ne segue facilmente
[v(x)[ [v(x
0
)[e
K(xx
0
)
.
Daltra parte,
y(x) <

2
< arctan x < u(x) x > 0,
quindi otteniamo
[v(x
0
)[e
K(xx
0
)
[v(x)[ = u(x) y(x) >

2
arctan x x > x
0
.
Ci` o tuttavia `e assurdo perche per x + si ha

2
arctan x = arctan
1
x

1
x
.
Possiamo ricapitolare tutto quanto detto con questo disegno approssimativo:
461
Esempio 6.3.7 Consideriamo lequazione dierenziale
y

=

y

x.
Essa `e denita per x, y 0 ma rispetta le ipotesi del teorema di esistenza
e unicit` a solo quando x, y > 0. Nei punti di ordinata nulla, infatti, succede
che la soluzione con dato iniziale y(x
0
) = 0 `e denita al pi` u nel passato,
ossia per 0 x < x
0
, ma non nel futuro, poiche si ha y

(x
0
) =

x
0
< 0
e quindi il graco esce immediatamente dal dominio, facendo perdere signi-
cato allequazione dierenziale. Analizziamo dunque la situazione nel primo
quadrante aperto. Le soluzioni sono sempre positive; la zona di crescenza `e il
settore y > x, mentra la retta y = x viene attraversata con pendenza nulla.
Calcoliamo la regione di convessit` a: si ha, con qualche calcolo,
y

=
1
2
_
y

y

1

x
_
=
(

x 1)

y x
2

y
;
dunque se x 1 le soluzioni sono concave, mentre se x > 1 le soluzioni
sono convesse per y
x
2
(

x1)
2
e concave per 0 < y
x
2
(

x1)
2
. La funzione
462
g(x) =
x
2
(

x1)
2
tende a + per x 1
+
, mentre per x + si ha
g(x) x = x
_
x
(

x 1)
2
1
_
=
x(2

x 1)
x 2

x + 1
2

x,
cosicche g(x)x +per x +. Ne segue che g ha un minimo assoluto
per x = 4, con g(4) = 16, ed ha necessariamente un esso fra 4 e +.
Osserviamo adesso un fatto importante: se y(x
0
) = g(x
0
), ossia una soluzione
taglia il luogo dei essi g, allora x
0
> 1 e
y

(x
0
) =
_
y(x
0
)

x
0
=
_
g(x
0
)

x
0
=
x
0

x
0
1

x
0
=

x
0

x
0
1
,
ed `e facile vericare che risulta y

(x
0
) > g

(x
0
); ci`o signica che y(x) diventa
convessa e non pu` o pi` u riattraversare la curva y = g(x) in un altro punto
x

0
> x
0
, poiche altrimenti in tale punto dovrebbe aversi la disuguaglianza
contraria y

(x

0
) g

(x

0
). Dunque tale soluzione tende a + senza asintoto
verticale. Nemmeno pu` o esserci un asintoto obliquo y = ax + b, poiche in
tal caso avremmo y

(x) a e
_
y(x)

ax + b 0 per x , mentre
lequazione dierenziale fornirebbe invece
y

(x) =
_
y(x)

x
(a 1)x + b

ax + b +

_
+ se a ,= 1
0 se a = 1.
Se invece la soluzione non taglia il graco di g, essa rimane concava e tende
a 0 in tempo nito, ossia per x x con x opportuno. La soluzione taglia o
no il graco di g a seconda del suo valore iniziale b: se b `e molto piccolo, la
pendenza di y(x) `e troppo piccola per attraversare il graco di g.
463
La famiglia delle soluzio-
ni denitivamente convesse
`e chiaramente separata da
quella delle soluzioni che
restano concave, per mezzo
di una soluzione il cui dato
iniziale `e denito da
= supb > 0 : y
b
< g :
tale soluzione y

(x) `e luni-
ca concava e crescente nel-
lintera semiretta [0, [:
essa aderir`a sempre pi` u a
g(x), nel senso che y

(x)
g(x) 0 per x +.
Esempio 6.3.8 Analizziamo lequazione
y

= xy e
y
2
.
Vi `e la soluzione nulla y = 0; inoltre se y(x) `e soluzione anche y(x) e y(x)
sono soluzioni: pertanto basta studiare cosa succede nel primo quadrante. In
questa regione tutte le soluzioni (tranne ovviamente y = 0) sono crescenti.
Troviamo la curva dei essi: dopo qualche calcolo si ottiene
y

= e
y
2
[y + x(1 2y
2
)y

] = y e
y
2
[1 + x
2
e
y
2
(1 2y
2
)],
da cui y

0 se e solo se
0 y
1

2
, oppure y >
1

2
e 0 x
e
y
2
/2
_
2y
2
1
.
La funzione
h(y) =
e
y
2
/2
_
2y
2
1
, y >
1

2
,
tende a + per y
_
1

2
_
+
e per y ; inoltre, si verica facilmente che
h

(y) =
y e
y
2
/2
(2y
2
3)
(2y
2
1)
3/2
,
464
e in particolare h ha lunico punto di minimo relativo, dunque anche di mi-
nimo assoluto, per x =
e
3/4

2
, dove vale
_
3/2.
Consideriamo una soluzione y con y(0) = b > 0: essa parte con tangente
orizzontale ed `e inizialmente convessa. Inoltre essa tende a + per x :
infatti non pu`o avere un asintoto orizzontale per x , perche dallequa-
zione dierenziale seguirebbe che y

(x) + per x e ci`o `e assurdo.


Se y rimanesse convessa per ogni x > 0, non appena y(x) >
1

2
si avrebbe
y

(x) = xy e
y
2
e
y
2
/2
y
_
2y
2
1
,
da cui y

(x) 0 per x : ci` o `e impossibile, essendo y(x) convessa


e crescente. Pertanto tutte le soluzioni con b > 0 niscono per diventare
concave. Per giunta, esse non possono p` u tornare convesse: infatti in un
ipotetico punto (x, y) in cui il graco di y(x) tagliasse nuovamente la curva
x = h(y) dovremmo avere
y >
_
3
2
, x = h(y), y

(x) (h
1
)

(x),
ossia
x =
e
y
2
/2
_
2y
2
1
, xye
y
2
= y

(x) (h
1
)

(x) =
1
h

(y)
=
(2y
2
1)
3/2
y e
y
2
/2
(2y
2
3)
;
ne seguirebbe via via, equivalentemente,
xye
y
2

(2y
2
1)
3/2
y e
y
2
/2
(2y
2
3)
=
(2y
2
1)
xy(2y
2
3)
,
x
2
y
2
e
y
2
=
y
2
2y
2
1

2y
2
1
2y
2
3
,
(2y
2
3)y
2
4y
4
4y
2
+ 1,
2y
4
y
2
+ 1 0,
e questo `e impossibile perche la quantit` a a primo membro `e un trinomio
sempre positivo.
Notiamo inne che y(x) tende a + con y

(x) 0, quindi la crescenza `e di


tipo logaritmico (e in particolare senza asintoti obliqui).
465
Esempio 6.3.9 Consideriamo inne lequazione
y

= x
2
y
2
.
Il teorema di esistenza e unicit` a vale in tutto il piano. Non vi sono soluzioni
costanti; inoltre se y(x) `e soluzione, anche y(x) lo `e: quindi `e suciente
analizzare cosa succede nel semipiano x 0. La zona di crescenza delle
soluzioni `e x y x, e ovviamente la zona di decrescenza `e [y[ > x. Si ha
poi
y

= 2x 2yy

= 2yx
2
+ 2x + 2y
3
;
quindi le soluzioni sono convesse nella regione descritta dalla disuguaglianza
yx
2
x y
3
0, e dunque, risolvendo la disequazione di secondo grado in
x 0, si ha
y

0
_

_
0 x
_
1 + 4y
4
+ 1
2y
se y > 0
x
_
1 + 4y
4
1
2[y[
se y < 0.
Con calcoli un po laboriosi si verica che per la funzione g(y) =

1+4y
4
+1
2y
,
y > 0, si ha
g(y)
1
y
per y 0
+
, min g = g
_
3
1/4
2
1/4
_
=
3
3/4
2
1/2
, g(y) y per y ,
ed in particolare, poiche risulta g(y) > y, il graco di g `e interamente conte-
nuto nella zona di crescenza; calcoli altrettanto laboriosi mostrano che invece
466
la funzione h(y) =

1+4y
4
1
2|y|
, y < 0, soddisfa
h(y) 2y
3
per y 0

, h(y) y per y ,
ed in particolare, dato che h(y) < [y[, il graco di h `e interamente contenuto
nella zona di decrescenza. Notiamo anche che
h

(y) =
1 4y
2

_
1 + 4y
4
2y
2
_
1 + 4y
4
< 0, h

(y) 1 per y .
Consideriamo una soluzione y(x) con y(0) = b. Se b > 0, la soluzione `e
inizialmente decrescente e convessa; dopo aver raggiunto e superato il suo
minimo, entra necessariamente (in quanto la curva dei essi ha per asintoto
la retta y = x) nella zona di concavit` a, e l` resta, tendendo allinnito in
modo concavo: non pu` o infatti tornare convessa, perche in tal caso nirebbe
per riattraversare la retta y = x e ci`o `e impossibile, non essendo nulla la sua
derivata. Per` o la y(x) ha lasintoto obliquo y = x per x . Infatti, per
concavit` a, xy(x) `e decrescente: quindi ha limite q per x +; ma allora
y(x) ha lasintoto y = xq e dunque y

(x) 1, e dallequazione dierenziale


segue allora subito q = 0 (altrimenti y

(x) tenderebbe allinnito).


Se y(0) = 0, la soluzione entra subito nella zona di crescenza, poi da convessa
diventa concava ed evolve come le soluzioni uscenti da valori b > 0.
Se y(0) = b < 0, le cose cambiano. Se [b[ `e sucientemente piccolo, la solu-
zione deve passare da decrescente a crescente e poi da convessa a concava, per
poi evolvere come le soluzioni precedenti: infatti y

(x) `e piccolo, mentre la


pendenza della curva x = h(y), cio`e 1/h

(y), `e negativa e grande in modulo,


e quindi le due curve si intersecano.
Se invece [b[ `e sucientemente grande, la y(x) sta sotto la retta y = b+y

(0)x,
ove [y

(0)[ = b
2
, mentre per x a la curva x = h(y) sta sopra la retta
y = h
1
(a) + (h
1
)

(a)(x a), che ha pendenza vicina a 1 e tocca lasse y


in h
1
(a) (h
1
)

(a)a > b. Quindi y(x) resta sempre concava e tende a ;


poiche inoltre y

y
2
si vede agevolmente che y(x)
b
1+bx
e dunque y(x)
ha un asintoto verticale di ascissa x
b
<
1
|b|
.
467
Vi sar` a dunque una soluzione se-
paratrice tra le curve y
b
(x) con
dato iniziale b < 0 che resta-
no concave e le curve y
b
(x) con
b < 0 che sono prima concave, poi
convesse e inne nuovamente con-
cave. Tale soluzione separatrice
avr` a dato iniziale
= supb < 0 : y

b
< 0 in [0, x
b
[ ,
e sar`a sempre concava, deni-
ta sullintera semiretta [0, [ ,
e si avviciner` a indenitamen-
te alla curva dei essi senza
mai attraversarla, avendo dunque
lasintoto obliquo y = x.
Esercizi 6.3
1. Si verichi che il comportamento qualitativo delle soluzioni delle equa-
zioni
y

= y(1 y)
_
y
1
2
_
, y

=
1
2
(y
2
1)
`e quello descritto nelle gure sottostanti.
2. Determinare il comportamento qualitativo delle soluzioni delle seguenti
468
equazioni:
(i) y

= x
2
+ y
2
, (ii) y

=
x
2
y
2
1+y
2
,
(iii) y

=
x
2
y
3
1+y
2
, (iv) y

= [y[(1 y)
x
1+x
2
,
(v) y

=
sin
2
x
1+x
2
e
y
2
, (iv) y

= x
3
(e
2y
2
1).
3. Dimostrare il lemma di Gronwall nel caso di semirette [a, +[ oppure
] , b].
4. Sia u C
1
[a, b] soluzione dellequazione u

(x) = a(x)u(x) in [a, b], ove


a C[a, b] `e una funzione ssata. Si provi che o la u `e sempre diversa
da 0 in [a, b], oppure u 0 in [a, b].
5. Siano u, v due funzioni di classe C
1
in [a, b]. Supponiamo che risulti
u

(x) p(x)u(x) + q(x), v

(x) = p(x)v(x) + r(x) x [a, b],


ove p, q, r sono ssate funzioni continue su [a, b]. Si provi che se u(a)
v(a) e se q r in [a, b], allora u v in [a, b].
[Traccia: si adatti la dimostrazione del lemma di Gr onwall.]
6. Sia u la soluzione massimale del problema di Cauchy
u

(x) = f(x, u(x)), u(x


0
) = u
0
,
ove f(x, y) `e una funzione continua su I R, ove I `e un intervallo, e
localmente lipschitziana rispetto alla variabile y uniformemente rispetto
a x. Supponiamo che risulti, per ogni punto x dellintervallo massimale
di esistenza,
[f(x, u(x))[ K[u(x)[,
con K costante. Si provi che la soluzione u(x) `e globale, ossia denita
per ogni x I.
7. Siano u, v due funzioni di classe C
1
in [a, b]. Supponiamo che risulti
u

(x) f(x, u(x)), v

(x) = f(x, v(x)) x [a, b],


469
ove f `e una funzione di classe C
1
in un aperto A R
2
. Si provi che se
u(a) v(a) allora u v in [a, b].
[Traccia: Si consideri la funzione g(x) = exp
_

_
x
a
h(t) dt
_
, ove
h(t) =
_
f(t,u(t))f(t,v(t))
u(t)v(t)
se u(t) ,= v(t),
f
y
(t, u(t)) se u(t) = v(t),
e si verichi che
d
dx
(g(x)[u(x) v(x)]) 0 x [a, b].
Integrando fra a e x si ricavi la tesi.]
8. Per ogni n N
+
sia x
n
() la soluzione del problema di Cauchy
_
_
_
x

n
(t) = ln
_
1
n
+ x
n
(t)
2
_
x
n
(0) = 1.
Si provi che la soluzione esiste ed `e ben denita per ogni t 0; si mostri
poi che la serie

n=1
(1)
n
(1 x
n
(t))
converge uniformemente in [0, [.
[Traccia: per il secondo punto si utilizzi lesercizio 6.3.7.]
6.4 Equazioni lineari del secondo ordine
Consideriamo unequazione dierenziale lineare del secondo ordine: essa ha
la forma
y

+ a
1
(x)y

+ a
0
(x)y = f(x), x I,
dove a
0
, a
1
e f sono funzioni continue nellintervallo I R. Accanto a questa
equazione consideriamo anche lequazione omogenea
y

+ a
1
(x)y

+ a
0
(x)y = 0, x I,
Come nel caso delle equazioni lineari del primo ordine, `e immediato vericare
che linsieme delle soluzioni dellequazione omogenea `e uno spazio vettoriale
470
V
0
. Esso, come vedremo, ha dimensione 2 (pari allordine dellequazione).
Linsieme delle soluzioni dellequazione non omogenea sar`a ancora uno spazio
ane, ottenibile dallo spazio vettoriale V
0
per mezzo di una traslazione. In
eetti, detto V
f
linsieme delle soluzioni dellequazione con secondo membro
f, si ha, avendo ssato un elemento v V
f
,
V
f
= u
0
+ v : u
0
V
0
.
Infatti, se u V
f
allora u v V
0
, poiche
(u v)

+ a
1
(x)(u v)

+ a
0
(x)(u v) = f f = 0, x I;
dunque, posto u
0
= u v, si ha u = u
0
+ v con u
0
V
0
. Viceversa, se
u = u
0
+ v con u
0
V
0
, allora
u

+ a
1
(x)u

+ a
0
(x)u =
= (u
0
+ v)

+ a
1
(x)(u
0
+ v)

+ a
0
(x)(u
0
+ v) = 0 + f = f, x I,
cio`e u V
f
.
Pertanto, per determinare completamente V
f
baster` a caratterizzare comple-
tamente V
0
e trovare un singolo, arbitrario elemento di V
f
.
(a) Caratterizzazione di V
0
. Proviamo anzitutto che lo spazio vettoriale
V
0
ha dimensione 2. Fissato un punto x
0
I, consideriamo i due problemi
di Cauchy
_
y

+ a
1
(x)y

+ a
0
(x)y = 0
y(x
0
) = 1, y

(x
0
) = 0,
_
y

+ a
1
(x)y

+ a
0
(x)y = 0
y(x
0
) = 0, y

(x
0
) = 1.
Essi sono univocamente risolubili (per il teorema 6.1.1, dopo averli trasfor-
mati in problemi di Cauchy per sistemi lineari del primo ordine); inoltre le
soluzioni sono denite su tutto lintervallo I in virt` u del teorema 6.1.4. De-
notiamo tali soluzioni con y
1
(x) e y
2
(x).
Dimostriamo che y
1
e y
2
sono linearmente indipendenti, ossia che se
1
e

2
sono costanti tali che
1
y
1
(x) +
2
y
2
(x) 0 in I, allora necessariamente

1
=
2
= 0. La funzione
1
y
1
(x) +
2
y
2
(x) `e lunica soluzione del problema
di Cauchy
_
y

+ a
1
(x)y

+ a
0
(x)y = 0
y(x
0
) =
1
, y

(x
0
) =
2
;
471
quindi se tale soluzione `e identicamente nulla, deve essere
1
= 0 e
2
= 0.
Proviamo ora che le funzioni y
1
e y
2
generano V
0
, ossia che ogni elemento
u V
0
`e combinazione lineare di y
1
e y
2
. Fissata una funzione u V
0
,
poniamo v(x) = u(x
0
)y
1
(x) + u

(x
0
)y
2
(x): allora v `e soluzione del problema
di Cauchy
_
y

+ a
1
(x)y

+ a
0
(x)y = 0
y(x
0
) = u(x
0
), y

(x
0
) = u

(x
0
),
problema che `e risolto anche da u: per unicit`a, deve essere u v, e pertanto
possiamo scrivere u
1
y
1
+
2
y
2
con
1
= u(x
0
) e
2
= u

(x
0
), ossia u `e
combinazione lineare di y
1
e y
2
. Le due funzioni y
1
e y
2
formano in denitiva
una base dello spazio vettoriale V
0
.
Abbiamo cos` individuato la struttura di V
0
: osserviamo per` o che in generale
non si riesce a determinare esplicitamente una base y
1
, y
2
di V
0
.
Se per` o lequazione dierenziale lineare ha coecienti costanti, ossia a
0
(x)
a
0
e a
1
(x) a
1
, `e invece possibile, e anzi facile, trovare esplicitamente le
funzioni y
1
e y
2
, cercandole di forma esponenziale (perche le esponenziali
x e
x
sono le uniche funzioni che hanno le proprie derivate multiple di loro
stesse). Sia dunque y(x) = e
x
, con numero da determinare: imponendo
che y V
0
, si ha
0 = y

+ a
1
y

+ a
0
y = e
x
(
2
+ a
1
+ a
0
),
e poiche e
x
,= 0 si deduce che deve essere radice del polinomio caratteristico
P() =
2
+a
1
+a
0
, ossia deve essere
2
+a
1
+a
0
= 0. Si hanno allora tre
casi possibili:
1
o
caso: 2 radici reali distinte
1
e
2
.
Ci sono dunque due soluzioni e

1
x
e e

2
x
. Esse sono linearmente indipendenti
perche, supposto ad esempio
1
,= 0, si ha
c
1
e

1
x
+ c
2
e

2
x
0 = e

1
x
(c
1
+ c
2
e

1
)x
) 0 =
= c
1
+ c
2
e
(
2

1
)x
0 = (derivando)
= c
1
(
2

1
)e
(
2

1
)x
0 = (essendo
2
,=
1
)
= c
2
= 0 = c
1
= c
2
= 0.
Dunque
V
0
= c
1
e

1
x
+ c
2
e

2
x
: c
1
, c
2
R.
2
o
caso: una radice reale doppia (che `e uguale a a
1
/2).
472
Una soluzione `e e
x
; unaltra soluzione `e xe
x
: infatti
D(xe
x
) = e
x
(1 + x), D
2
(xe
x
) = e
x
(
2
x + 2),
da cui
D
2
(xe
x
) + a
1
D(xe
x
) + a
0
xe
x
=
= e
x
_

2
x + 2 + a
1
(1 + x) + a
0
x
_
=
= e
x
_
(
2
+ a
1
+ a
0
)x + (2 + a
1
)
_
=
(essendo 2 + a
1
= 0)
= e
x
0 = 0.
Le due soluzioni sono linearmente indipendenti perche
c
1
xe
x
+c
2
e
x
0 = e
x
(c
1
x+c
2
) 0 = c
1
x+c
2
0 = c
1
= c
2
= 0.
Dunque
V
0
= c
1
xe
x
+ c
2
e
x
: c
1
, c
2
R.
3
o
caso: due radici complesse coniugate
1
= a + ib e
2
= a ib.
Abbiamo due soluzioni e

1
x
e e

2
x
, che sono linearmente indipendenti (stesso
calcolo fatto nel 1
o
caso) ma sono a valori complessi, mentre a noi interessano
le soluzioni reali. Si osservi per`o che, essendo e
(aib)x
= e
ax
(cos bx i sin bx),
possiamo scrivere
c
1
e

1
x
+ c
2
e

2
x
= e
ax
(c
1
(cos bx + i sin bx) + c
2
(cos bx i sin bx)) =
= (c
1
+ c
2
)e
ax
cos bx + i(c
1
c
2
)e
ax
sin bx =
= c

1
e
ax
cos bx + c

2
e
ax
sin bx,
ove c

1
= c
1
+c
2
e c

2
= i(c
1
c
2
). Scegliendo le costanti c

1
e c

2
reali, si trovano
tutte le soluzioni reali. In denitiva
V
0
= c
1
e
ax
cos bx + c
2
e
ax
sin bx : c
1
, c
2
R.
(b) Determinazione di un elemento di V
f
. Sia y
1
, y
2
una base per
V
0
(comunque determinata). Cercheremo una soluzione dellequazione non
omogenea nella forma seguente:
v(x) = v
1
(x)y
1
(x) + v
2
(x)y
2
(x),
473
con v
1
e v
2
funzioni da scegliere opportunamente. Questo metodo, non a
caso, si chiama metodo di variazione della costanti arbitrarie: se v
1
e v
2
sono
costanti, allora v V
0
; se sono funzioni, ossia costanti che variano, si cerca
di fare in modo che v V
f
.
Sostituendo v, v

e v

nellequazione dierenziale, bisogna imporre che


v

+ a
1
(x)v

+ a
0
(x)v = (v

1
y
1
+ 2v

1
y

1
+ v
1
y

1
+ v

2
y
2
+ 2v

2
y

2
+ v
2
y

2
)+
+a
1
(x)(v

1
y
1
+ v
1
y

1
+ v

2
y
2
+ v
2
y

2
) + a
0
(x)(v
1
y
1
+ v
2
y
2
) = f(x).
Da qui, utilizzando il fatto che y
1
, y
2
V
0
, si deduce
(v

1
y
1
+ 2v

1
y

1
+ v

2
y
2
+ 2v

2
y

2
) + a
1
(x)(v

1
y
1
+ v

2
y
2
) = f(x),
ossia
_
d
dx
(v

1
y
1
+ v

2
y
2
) + (v

1
y

1
+ v

2
y

2
)
_
+ a
1
(x)(v

1
y
1
+ v

2
y
2
) = f(x).
Questa equazione `e certamente soddisfatta se si impongono le seguenti due
condizioni:
_
v

1
y
1
+ v

2
y
2
= 0 in I,
v

1
y

1
+ v

2
y

2
= f in I.
Si tratta di un sistema algebrico lineare nelle incognite v

1
e v

2
, con coecienti
y
1
, y
2
, y

1
, y

2
. Il determinante di questo sistema `e
det
_
y
1
(x) y
2
(x)
y

1
(x) y

2
(x)
_
= y
1
(x)y

2
(x) y

1
(x)y
2
(x) = D(x).
Proviamo che D(x) ,= 0 per ogni x I: si ha D(x
0
) = y
1
(x
0
)y

2
(x
0
)
y

1
(x
0
)y
2
(x
0
) = 1, e
D

(x) = y

1
y

2
+ y
1
y

2
y

1
y
2
y

1
y

2
= y
1
y

2
y

1
y
2
=
= y
1
(a
1
(x)y

2
a
0
(x)y
2
) (a
1
(x)y

1
a
0
(x)y
1
)y
2
=
= a
1
(x)(y
1
y

2
y

1
y
2
) = a
1
(x)D(x);
quindi D(x) `e soluzione del problema di Cauchy
_
D

(x) = a
1
(x)D(x), x I,
D(x
0
) = 1,
474
per cui D(x) = e

x
x
0
a
1
(t)dt
; in particolare, D(x) ,= 0 per ogni x I.
Dunque, per ogni x I il sistema sopra scritto ha determinante dei coef-
cienti non nullo e pertanto `e univocamente risolubile: ci`o ci permette di
determinare univocamente le funzioni v

1
e v

2
. Inne si scelgono due pri-
mitive arbitrarie v
1
e v
2
, e la funzione v corrispondente, per costruzione,
apparterr` a a V
f
. In conclusione, otteniamo
V
f
= v + v
0
: v
0
V
0
= (c
1
+ v
1
)y
1
+ (c
2
+ v
2
)y
2
: c
1
, c
2
R.
Da questa descrizione di V
f
si vede anche che una diversa scelta delle primitive
di v

1
e v

2
non modica linsieme V
f
.
Esempio 6.4.1 Consideriamo lequazione dierenziale
y

+ y =
cos x
sin x
, x ]0, [ .
Risolviamo dapprima lequazione dierenziale omogenea: il polinomio carat-
teristico `e
2
+ 1, e le sue radici sono i. Quindi
V
0
= c
1
cos x + c
2
sin x : c
1
, c
2
R.
Per trovare una soluzione dellequazione non omogenea che abbia la forma
v(x) = v
1
(x) cos x + v
2
(x) sin x
dobbiamo imporre le condizioni
_
_
_
v

1
(x) cos x + v

2
(x) sin x = 0
v

1
(x) sin x + v

2
(x) cos x =
cos x
sin x
.
Risolvendo il sistema si trova
v

1
(x) = cos x, v

2
(x) =
1
sin x
sin x.
Dunque, ad esempio,
v
1
(x) = sin x, v
2
(x) = log
_
tan
x
2
_
+ cos x
e inne
v(x) = sin x cos x +
_
log
_
tan
x
2
_
+ cos x
_
sin x = sin x log
_
tan
x
2
_
.
In denitiva, tutte le soluzioni dellequazione proposta sono date da
V
f
=
_
c
1
cos x +
_
c
2
+ log
_
tan
x
2
__
sin x : c
1
, c
2
R, x ]0, [
_
.
475
Osservazione 6.4.2 Il metodo di variazione della costanti arbitrarie `e molto
importante dal punto di vista della teoria, ma sul piano pratico comporta
spesso calcoli lunghi e complessi. Un metodo pi` u ecace, anche se meno
generale, `e il metodo dei coecienti indeterminati, applicabile solo per
equazioni a coecienti costanti con secondi membri f di tipo speciale. Questo
metodo `e illustrato nellesercizio 6.4.1.
Esercizi 6.4
1. (Metodo dei coecienti indeterminati) Si consideri lequazione dieren-
ziale lineare a coecienti costanti
y

+ a
1
y

+ a
0
y = f(x) P(x)e
x
,
ove P `e un polinomio e C. Si cerchi un elemento v V
f
della
forma v(x) = x
m
Q(x)e
x
, dove Q `e un polinomio dello stesso grado
di P, mentre m vale 0, o 1, o 2 a seconda che non sia radice del
polinomio caratteristico, oppure sia radice semplice, oppure sia radice
doppia. Si osservi che il metodo copre anche i casi in cui f contiene
le funzioni seno e coseno. Si applichi il metodo per determinare le
soluzioni dellequazione
y

+ 2ky

+ y = x
2
e
x
,
con k ssato numero reale.
2. (Principio di sovrapposizione) Si verichi che se v V
f
e w V
g
, allora
v+w V
f+g
. Si utilizzi questo fatto per trovare linsieme delle soluzioni
dellequazione
y

2y

+ y = cos x + sin
x
2
.
[Traccia: si utilizzino le identit` a cos t =
e
it
+e
it
2
, sin t =
e
it
e
it
2i
e il
metodo dei coecienti indeterminati (esercizio 6.4.1).]
3. Risolvere le equazioni dierenziali seguenti:
(i) y

2y

+ 2y = 0, (ii) y

+ 4y = tan 2x,
(iii) y

y = xe
x
, (iv) y

+ 6y

+ 9y = e
x
/x,
(v) y

+ y = x cos x, (vi)y

+ 4y

+ 4y = e
x
+ e
x
,
(vii) y

2y

+ 2y = x cos x, (viii) y

3y

+ 2y = 2x
3
,
(ix) y

+ 4y

= x
2
+ 1, (x) y

+ y

+ y = e
x
.
476
4. (Riduzione dellordine) Si provi che se si conosce una soluzione (non
nulla) y
1
(x) dellequazione dierenziale y

+ a
1
(x)y

+ a
0
(x)y = 0, al-
lora se ne pu`o trovare unaltra, linearmente indipendente dalla prima,
della forma y
2
(x) = y
1
(x)v(x), riducendosi a una equazione lineare del
primo ordine nellincognita v

. Si applichi il metodo alla risoluzione


dellequazione di Legendre
(1 x
2
)y

2xy

+ 2y = 0.
[Traccia: si osservi che y
1
(x) = x `e soluzione dellequazione.]
5. (Equazioni di Eulero) Si provi che le equazioni della forma
x
2
y

+ xa
1
y

+ a
0
y = 0
hanno soluzioni del tipo y(x) = x

, con C. Si risolva con questo


metodo lequazione x
2
y

+ xy

y = 3.
6. (Risoluzione per serie) Data lequazione dierenziale
y

+ 2xy

+ y = 0, x R,
se ne cerchino due soluzioni linearmente indipendenti sotto forma di
serie di potenze. Si verichi che tali serie hanno raggio di convergenza
innito, e se ne determinino i coecienti in funzione dei primi due, a
0
e a
1
, che fungono da costanti arbitrarie.
7. Risolvere per serie i seguenti problemi di Cauchy:
_
y

+ 2xy

+ 2y = 0
y(0) = 1, y

(0) = 0,
_
y

+ xy

+ y = 0
y(0) = 1, y

(0) = 1.
8. Trovare una serie di potenze J
0
(x) che risolva lequazione di Bessel di
ordine 0
xy

+ y

+ xy = 0.
Se ne cerchi poi una seconda nella forma Y
0
(x) = J
0
(x) ln x + g(x),
vericando che tale Y
0
`e soluzione se e solo se g risolve
x g

(x) + g

(x) + x g(x) = 2J

0
(x);
si risolva per serie questa equazione e si determini esplicitamente Y
0
.
477
Indice analitico
O-grande, 306
, 7
, 7
o-piccolo, 305, 307
o(1), 306
additivit`a
dellarea, 103
dellintegrale, 372
addizione, 13
alfabeto greco, 4
algoritmo della radice quadrata, 41
angolo
acuto, 84
concavo, 78
convesso, 78, 211, 297
orientato, 101, 242, 297
ottuso, 84
aperto, 205
applicazione
antilineare, 201
lineare, 201, 257
arco
di circonferenza, 101
orientato, 101
area
con segno, 360
del cerchio, 100
del semicerchio, 390
del triangolo, 96, 113
di un poligono regolare, 96, 369
di un settore
circolare, 396
iperbolico, 396
orientato, 102, 103, 242
argomento, 106
principale, 106, 116
ascissa, 53, 70
asintoto
obliquo, 251, 381
orizzontale, 251
verticale, 251
asse
delle ascisse, 70
delle ordinate, 70
di un segmento, 88
immaginario, 92
reale, 92
assioma
di completezza, 18, 19, 21
di continuit`a, 18
assiomi dei numeri reali, 13
associativit`a
del prodotto, 13, 72
della somma, 13, 72
assoluta convergenza, 159
attrattore, 455
autovalore, 340, 342
autovettore, 340
base
del logaritmo, 66
dellesponenziale, 57
di uno spazio vettoriale, 471
cerchio, 74
478
di convergenza, 173
chiuso, 206, 208
chiusura, 213
circonferenza, 74
codominio, 65
di una funzione, 10
coeciente
angolare, 76, 255
binomiale, 34
generalizzato, 285
coecienti
di una equazione dierenziale, 445,
450
di una serie di potenze, 171
colatitudine, 297
combinazione lineare, 86, 222, 471
commutativit`a
del prodotto, 13, 72
della somma, 13, 72
complementare, 6, 206
componenti scalari, 222
coniugato di un numero complesso, 93
coniugio, 94
cono, 292
convergenza
assoluta, 159
uniforme, 439
coordinate, 70
cartesiane, 71
polari
in R
2
, 229, 296
in R
3
, 296
coppia di numeri reali, 70, 91, 92
corrispondenza biunivoca, 11, 186
coseno, 107
in coordinate, 113
iperbolico, 183
costante
di Eulero, 157
di Lipschitz, 375
criterio
del confronto, 139, 150
del confronto asintotico, 154
del rapporto, 150, 158, 176
della radice, 152, 158, 175
di integrabilit`a, 365
di Leibniz, 160, 221, 284, 427
di Raabe, 157
integrale, 429
curva
integrale, 453
isoclina, 453
curva di livello, 276
denitivamente, 128
densit`a
dei numeri k + h, 30
dei razionali, 29, 60
derivata, 254
n-sima, 299
destra, 356
direzionale, 274
prima, 298
seconda, 298
sinistra, 356
derivate
parziali, 269
k-sime, 299
seconde, 299
derivato, 214
determinante, 113, 473
diametro di un insieme, 213
dierenza, 14
fra insiemi, 6
dierenziale, 275
direzione, 70
di massima pendenza, 276
unitaria, 275
disco, 74
discriminante, 52, 55, 82
479
distanza, 203, 212
di un punto da una retta, 85
euclidea, 72, 204
in R
2
, 72
in R
m
, 204
in C
m
, 204
in R, 54
distributivit`a, 13
di somma e prodotto, 13, 72
disuguaglianza
delle medie, 49, 127
di Bernoulli, 38, 45, 66
di Cauchy-Schwarz, 55, 73, 202, 219,
343
di Jensen, 358
triangolare, 72, 204
divisione, 14
dominio di una funzione, 10
elemento
di un insieme, 4
neutro, 13, 91
separatore, 18
ellisse, 269
equazione
algebrica, 90
di una retta, 76
dierenziale, 432
a coecienti costanti, 471, 475
a variabili separabili, 446
alle derivate parziali, 432
autonoma, 456
di Bernoulli, 452
di Bessel, 476
di Eulero, 476
di Legendre, 476
di Riccati, 452
in forma normale, 432
lineare del 1
o
ordine, 449
lineare del 2
o
ordine, 469
lineare non omogenea, 450, 472
lineare omogenea, 450, 469
non lineare, 453
non lineare omogenea, 452
ordinaria, 432
integrale, 437
equazioni parametriche
di un segmento, 79
di una retta, 80
errore quadratico, 349
esponente, 57
estensione di una funzione, 226
estremo
inferiore, 18, 19
di una funzione, 216
superiore, 18, 19
di una funzione, 215
evento, 37
fattoriale, 25, 34, 176, 290, 417
forma
indeterminata, 133, 234, 304, 318
quadratica, 292, 339
denita negativa, 339, 342
denita positiva, 339, 342
indenita, 339, 342
semidenita negativa, 339
semidenita positiva, 339, 342, 353
trigonometrica, 107, 114, 115
formula
del binomio, 36, 65, 115, 146, 263,
324
di de Moivre, 115, 178
di Eulero, 181
di Leibniz, 302, 326
di Stirling, 417
di Taylor, 313, 320
formule
di addizione, 108
di bisezione, 117
480
di de Morgan, 9
di duplicazione, 117
di prostaferesi, 118, 259
di quadratura, 368, 385
di Werner, 118
frazione, 7
generatrice, 140
in base b, 32
frontiera, 213
funzione, 9, 215
di Eulero, 430
a valori vettoriali, 222, 294
ane, 219, 255
arcocoseno, 247
arcoseno, 246
arcotangente, 247
bigettiva, 10, 186
biunivoca, 10
caratteristica, 374
composta, 10, 11, 221
concava, 351
continua, 218, 222
in un punto, 218, 370
convessa, 351
coseno, 107
coseno iperbolico, 183
crescente, 237, 327
decrescente, 237, 327
derivabile, 254
in un punto, 254
derivata, 298
di classe C
k
, 299
di classe C

, 299
di Dirichlet, 363
dierenziabile, 271
in un punto, 271
discontinua, 219
dispari, 216, 428
esponenziale, 57, 61, 198, 357
complessa, 180, 198, 203
identit`a, 11
indicatrice, 374
innita, 307
innitesima, 224, 305
iniettiva, 10, 65
integrabile
in senso improprio, 422
secondo Riemann, 364, 366
integrale, 382, 383
inversa, 11, 66, 244
invertibile, 10
limitata, 216, 360
inferiormente, 216
superiormente, 215
lipschitziana, 375, 382
localmente lipschitziana, 435
logaritmo, 66
monotona, 237, 375
omogenea, 292, 339
pari, 216, 266, 428
parte intera, 217, 394
periodica, 107, 198, 387
primitiva, 384
radice (2n + 1)-sima, 248
razionale, 325, 398
propria, 399
segno, 386
seno, 107
seno iperbolico, 183
settore coseno iperbolico, 268
settore seno iperbolico, 268
sommabile, 422
strettamente
crescente, 65, 237, 327
decrescente, 65, 237, 327
monotona, 65, 237
surgettiva, 10
tangente, 110
uniformemente continua, 376, 381
vettoriale, 222
481
funzioni
iperboliche, 183, 396
trigonometriche, 106, 110
gradiente, 272
graco di una funzione, 10, 253
identit`a
di Abel, 148, 162
di Eulero, 292
immagine, 10
di una funzione, 10
incremento, 255, 271
innitesimi
dello stesso ordine, 305
non confrontabili, 306
innitesimo, 305
di ordine
inferiore, 305
superiore, 255, 305
inniti dello stesso ordine, 307
innito, 307
di ordine
inferiore, 307
superiore, 307
insieme, 4
aperto, 205
chiuso, 206, 208, 212
chiuso e limitato, 210
compatto, 211, 246, 340, 378
complementare, 6, 206
connesso, 241
convesso, 350
degli interi, 6, 28
dei complessi, 7, 91
dei naturali, 6, 24
non nulli, 6
dei razionali, 7, 28
dei reali, 7, 12
di Cantor, 215
di sottolivello, 357
nito, 5
immagine, 215
induttivo, 24
innito, 5, 209
limitato, 16, 208, 209
inferiormente, 16, 212
superiormente, 16, 212
misurabile, 374
ternario di Cantor, 215
universo, 5
vuoto, 6
insiemi
disgiunti, 6
separati, 17, 60
integrale, 364
binomio, 408
di Fresnel, 430
di Frullani, 430
di funzioni vettoriali, 393
improprio, 422
convergente, 422
divergente, 422
indenito, 384
inferiore, 363
superiore, 363
integrazione
per parti, 388
per sostituzione, 390
intersezione, 6
intervallo, 15
di convergenza, 174
intorno, 204
invarianza per traslazioni, 73, 204
iperbole, 269
iperpiano, 211
ortogonale, 211
irrazionalit`a
di , 398
di

2, 20
di e, 147
482
legge di annullamento del prodotto, 14,
91
lemma
di Abel, 162
di Gronwall, 457
lemma dellarbitrariet`a di , 57, 125
limite
allinnito, 225
destro, 224, 237
di una funzione, 223, 231
composta, 235
di una successione, 124, 205
sinistro, 224, 237
linea spezzata, 102
lineare
dipendenza
di vettori, 86
indipendenza
di soluzioni, 470
di vettori, 86
logaritmo, 66
naturale, 147
longitudine, 297
lunghezza
di un arco orientato, 101, 103, 242
maggiorante, 16
massimo
di un insieme, 16, 212
di una funzione, 216
massimo limite
di una funzione, 237
di una successione, 170, 181
matrice, 113, 292
Hessiana, 300
media
aritmetica, 49, 290
armonica, 52, 137, 290
geometrica, 49, 52, 290
metodo
dei coecienti indeterminati, 475
delle approssimazioni successive, 438
di riduzione dellordine, 476
di risoluzione per serie, 476
di variazione delle costanti arbitra-
rie, 473
metrica, 203
minimo
di un insieme, 16, 209, 212
di una funzione, 216
minimo limite
di una funzione, 237
di una successione, 170
minorante, 16
misura
di un insieme, 374
in radianti, 105, 242
modulo
di un numero complesso, 94
di un numero reale, 53
di un vettore, 74
moltiplicazione, 13
monomio, 171
monotonia
dellintegrale, 372
della misura, 374
multi-indice, 320
negazione, 8
nodi di una suddivisione, 361
norma, 212
di un vettore, 202
euclidea, 202
numero
0, 13
1, 13
, 100, 369, 390
e, 147, 176
i, 90
complesso, 7, 91
483
di Fibonacci, 149, 183
di Nepero, 147, 176
dispari, 32
intero, 6, 28
irrazionale, 7, 30, 34
naturale, 6, 24
negativo, 14
pari, 32
positivo, 14
primo, 143
razionale, 7, 28
reale, 7, 13
omogeneit`a
della distanza euclidea, 204
della norma, 202
omotetia, 73
opposto, 13, 91
ordinamento, 92
dei reali, 14
ordinata, 70
ordine di unequazione dierenziale, 432
orientazione, 53, 70
negativa, 70, 90
positiva, 70, 89
origine, 53, 70
ortogonalit`a, 82
oscillazione, 369, 377
palla, 204, 212
chiusa, 212
parabola, 269
parte
immaginaria, 93
intera, 119, 217
interna, 212
reale, 93
partizione, 361
pendenza, 76, 256
perimetro
della circonferenza, 100, 101
di un poligono regolare, 97
piano, 70
cartesiano, 11, 92, 200
complesso, 92, 200
di Gauss, 92
tangente, 273, 278
poligono regolare, 96
circoscritto, 97
inscritto, 96
polinomio, 91, 171, 172, 257
caratteristico, 471
di Taylor, 313, 320
positivit`a
della distanza, 204
della distanza euclidea, 72
della norma, 202
potenza di un numero reale, 27, 35
primitiva, 384
principio
dei cassetti, 31
di identit`a
dei polinomi, 300
delle serie di potenze, 301
di induzione, 25, 33
di sostituzione
degli innitesimi, 306
degli inniti, 308
di sovrapposizione, 475
probabilit`a, 37
problema di Cauchy, 434, 470
prodotto
cartesiano, 8, 10, 71, 200
di Cauchy, 195
di numeri complessi, 91
di numeri reali, 13
per scalari, 71, 200
scalare, 84, 201, 393
progressione geometrica, 27
proiezione
di un insieme, 214
484
di un punto su una retta, 70
prolungamento
di una funzione, 248
dispari, 267
pari, 267
propriet`a
algebriche dei reali, 13
associativa, 13
commutativa, 13
dei numeri reali, 12
dellarea, 96
della distanza, 203
della norma, 202
di Archimede, 29
di miglior approssimazione, 316
di ordinamento dei reali, 14
distributiva, 13
punto
aderente, 213
daccumulazione, 208, 209, 218, 223,
231
di esso, 355
di frontiera, 213
di massimo, 216, 328
relativo, 327, 328, 344
di minimo, 216, 328
relativo, 327, 328, 345
di sella, 348
sso, 249
interno, 212
isolato, 213, 218
stazionario, 348
quadrato di un numero reale, 14
quanticatori esistenziali, 7
quoziente, 14
radiante, 105
radice
(2n + 1)-sima, 248
n-sima, 46, 58
di un numero complesso, 115
di un polinomio, 471
quadrata, 20, 21
raggio di convergenza, 173, 175, 181
raggruppamento dei termini di una se-
rie, 192, 197
rapporto incrementale, 254, 356
reciproco, 13, 92
regola del parallelogrammo, 71, 86
repulsore, 455
resto
di Taylor, 316, 397
di una serie, 138, 180
restrizione di una funzione, 228, 246, 247,
270
retta, 53, 74
orientata, 54
per due punti, 77
tangente, 256, 280, 282
rette
parallele, 80
perpendicolari, 81, 82
riordinamento di una serie, 186
rotazione, 73, 89
salto di una funzione, 217
segmenti
paralleli, 81
perpendicolari, 81, 82
segmento, 77, 298
semipiano, 77
aperto, 78
chiuso, 78
semiretta, 77
aperta, 77
chiusa, 77
seno, 107
in coordinate, 113
iperbolico, 183
serie, 135
485
armonica, 137, 156
generalizzata, 142, 156
binomiale, 285
convergente, 136
assolutamente, 159
del settore seno iperbolico, 289
dellarcoseno, 289
dellarcotangente, 284
di potenze, 171
divergente negativamente, 137
divergente positivamente, 137
esponenziale, 145, 152, 172, 176, 198
geometrica, 137, 172, 197
indeterminata, 137
logaritmica, 283
telescopica, 137
settore
associato a una spezzata, 102
circolare, 102, 396
orientato, 102
iperbolico, 396
sferico, 297
sezione di R, 22
simbolo
+, 15, 21
, 15, 21
di appartenenza, 5
di doppia implicazione, 8
di implicazione, 7
opposta, 7
di inclusione, 5
propria, 5
di non appartenenza, 5
di non uguaglianza, 5
di prodotto, 26
di somma, 26
di uguaglianza, 5
approssimata, 38
simmetria, 11, 73, 90
dei coecienti binomiali, 35
della distanza, 204
della distanza euclidea, 72
sistema
di riferimento, 53, 70
dierenziale, 433
del primo ordine, 433
in forma normale, 434
lineare, 445
lineare, 473
soluzione
globale, 444, 468
locale, 435
massimale, 444, 468
stazionaria, 456
asintoticamente stabile, 457
instabile, 457
somma
di funzioni trigonometriche, 164
di numeri complessi, 91
di numeri reali, 13
di Riemann, 368
di una serie, 136
di potenze, 219
di una serie di potenze, 263, 301,
385
di vettori, 71, 200
inferiore, 361
parziale, 135
di una serie di potenze, 317
superiore, 361
sopragraco, 351
sottoinsieme, 5
sottosuccessione, 169, 197, 209
sottrazione
fra numeri reali, 14
fra vettori, 71
spazio
C
m
, 200
R
m
, 200
ane, 450
486
metrico, 204
vettoriale, 72, 200
spezzata, 102
circoscritta, 102
inscritta, 102
subadditivit`a
del modulo, 95
del valore assoluto, 54
della norma, 202
successione, 123
convergente, 124, 205
crescente, 140
decrescente, 140
denita per ricorrenza, 124
denitivamente monotona, 141
di Cauchy, 168, 439
di Fibonacci, 149, 183
divergente negativamente, 125
divergente positivamente, 125
innitesima, 138
limitata, 128, 209
limitata inferiormente, 128
limitata superiomente, 128
monotona, 140, 209
per ricorrenza, 329
strettamente crescente, 141
strettamente decrescente, 141
strettamente monotona, 141
suddivisione, 361
equispaziata, 361, 368, 376
pi` u ne, 361
superadditivit`a della media geometrica,
52
tangente, 110
teorema
dei carabinieri, 134, 177, 368
dei seni, 119
dei valori intermedi, 242
del dierenziale totale, 290
della media, 369
delle contrazioni, 331
di permanenza del segno, 132, 222,
235, 329
di Bolzano-Weierstrass, 209
di Carnot, 119
di Cauchy, 196, 281, 309, 316
di Ces`aro, 135
di confronto
per integrali, 425
per serie, 139, 142, 146
per successioni, 131
di Darboux, 286
di de lHopital, 308, 312
di derivazione
delle funzioni composte, 259, 294
delle funzioni inverse, 260
delle serie di potenze, 263, 283,
285
di dierenziabilit`a
delle funzioni composte, 295
di Dirichlet, 186, 197
di esistenza degli zeri, 240
di esistenza e unicit`a locale, 436
di Fermat, 328
di Heine-Cantor, 378
di Lagrange, 281, 291, 327
di grado k + 1, 316, 326, 346
di Pitagora, 203
di Riemann, 189
di Rolle, 280, 349
multidimensionale, 349
di Schwarz, 300, 303
di Weierstrass, 239, 281, 340
fondamentale del calcolo integrale,
383
ponte, 231, 236
termini
di una serie, 135
di una successione, 123
487
traslazione, 73, 450
triangolo di Tartaglia, 35
unicit`a del limite, 129, 235
unione, 6
unit`a
di misura, 53
immaginaria, 7, 90
valore assoluto, 53
vettore, 72, 92, 200
vettori
linearmente dipendenti, 86
linearmente indipendenti, 86
ortogonali, 82, 201
488

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