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a cura di
Teresa Calvano
a Serena Madonna
Sommario
Marco Aurelio
di Giorgio Accardo
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Osservazioni metodologiche
di Bianca Foss
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Tanto la teoria del restauro che la pratica, con limpiego di tecnologie sempre
pi sofisticate e complesse, costituiscono un ambito di studi pluridisciplinari molto
stimolante e la nostra esperienza di insegnanti ci conferma il dato di un salto di
attenzione e di partecipazione da parte degli studenti quando si introduce questo tema
nellanalisi di dipinti, sculture, monumenti.
Lattualit del dibattito su questo argomento pi che evidente e si allarga su
due fronti entrambi di grande interesse: da un lato lintervento di restauro porta ad
una rilettura critica di opere ed autori, arrivando in qualche caso a ribaltare
attribuzioni che sembravano indiscutibili e dallaltro talvolta le opere dopo la cura
appaiono cos nuove o diverse da sollevare interrogativi ed innescare polemiche
anche violente sulle procedure di intervento e sui risultati raggiunti.
Questo quaderno ha voluto raccogliere una serie di interventi esemplari per
rigore metodologico e prassi esecutiva: in essi sono stati affrontati e risolti problemi
che richiedevano competenze molto diversificate. Le biblioteche e gli archivi, come i
laboratori di fisica e di chimica, o i centri di calcolo sono i luoghi che hanno visto il
work in progress di questi interventi di restauro. Gli autori hanno per sottolineato il
ruolo fondamentale cha la conservazione preventiva e la storia delliter conservativo
dellopera svolgono per la salvaguardia dellopera stessa: esse si avvalgono delle
medesime competenze richieste in caso di intervento, ma permettono di evitarlo fino a
quando possibile perch lintervento stesso di restauro, per quanto possa essere
ben condotto, estremamente preciso ed oltremodo cauto, comporta sempre un aspetto
potenzialmente distruttivo (Cordaro). Quella del restauro non una scienza esatta e
margini di errori o di forzature tanto sul piano pratico che teorico sono certamente
possibili, tuttavia i diversi contributi delineano la figura di un restauratore sempre
pi tecnico-ricercatore e sempre meno artigiano. Di conseguenza particolarmente
rilevante il tema della sua formazione professionale che non ha ancora standard
uniformi e controlli di qualit; larticolo di Cecilia Bernardini sottolinea la
contraddizione e il rischio per il nostro patrimonio culturale, di una formazione di
grande qualit e di grande prestigio per un numero limitato di allievi insieme a molti
percorsi di formazione pi o meno selvaggi.
Il quaderno contiene cinque dei sei seminari del corso, purtroppo il prof. Michele
Cordaro non ha potuto pi mettere a punto il testo definitivo della sua straordinaria
lezione introduttiva sul restauro della Camera degli Sposi nel palazzo Ducale di
Mantova. Lultimo contributo quello di Chiara Piva su Bartolomeo Cavaceppi, non
era compreso nei seminari del corso, ma ci sembrato opportuno inserirlo perch si
tratta di una delle prime testimonianze di teoria del restauro.
Vogliamo ringraziare qui alcuni amici, la cui collaborazione stata preziosa:
Valeria Teodoli della sezione romana dellANISA per laiuto costante nelle varie fasi
dellorganizzazione del corso, Paolo Grassi direttore del Museo Del Foklore che ha
ospitato i corsisti nei primi due seminari, Valentina White, per la sua infinita
disponibilit nei contatti con i colleghi dellI.C.R e Tatiana Giovannetti che ha curato
al meglio la trascrizione preliminare di alcuni interventi dai nastri di registrazione.
Teresa Calvano
Marco Aurelio
Un modello per il futuro
di Giorgio Accardo
Qualunque cosa ti accada, da secoli senza numero tera stata preparata.
E lintreccio delle cause ha preparato la tua esistenza,
da tempo infinito intessendola insieme con lo svolgersi di quella singola cosa.
I pensieri di Marco Aurelio, Libro X - 5, p. 167, pr 5
uando cominciai a lavorare per il Marco Aurelio era difficile immaginare quali e
quante sorprese questa statua avrebbe riservato. Dietro le incrostazioni ed i segni
lasciati dal tempo che nascondevano il vero aspetto dellimperatore e del suo cavallo
erano custoditi tutti i segreti che in duemila anni di vita questa statua singolare aveva
potuto carpire.
Tutto o quasi tutto accadde per caso, a cominciare dalla bomba fatta esplodere da un
gruppo di terroristi sulla piazza del Campidoglio, il 19 aprile 1979. Fu appunto un
caso se la statua non svan in mille pezzi.
Allora era Sindaco di Roma Giulio Carlo Argan. Senza indugio telefon al direttore
dellIstituto Centrale per il Restauro, lamico e storico darte Giovanni Urbani,
chiedendogli di mandare al pi presto tecnici e restauratori per verificare se la statua
fosse stata danneggiata. Fortuna volle che nessun danno fosse causato dallo scoppio
della bomba, ma le ispezioni effettuate riscontrarono ugualmente un preoccupante
stato di degrado del bronzo provocato dai processi di corrosione in atto, dalle
numerose cricche e fessure che si erano localizzate nelle zampe, rendendo critica la
stabilit stessa del monumento, e dallinvecchiamento dovuto alla secolare
esposizione alle intemperie.
La decisione di rimuovere il gruppo dalla piazza per restaurarlo tuttavia non fu
immediata. Lidea che il monumento, una volta tolto, potesse non essere ricollocato al
suo posto ma allinterno di un museo rendeva Urbani molto incerto sul da farsi.
Daltra parte proprio quelle stesse ragioni che erano allorigine dei timori sulla
possibile musealizzazione delloriginale avevano indotto Argan nella convinzione
opposta: quella che in ogni caso fosse necessario realizzare una copia proprio per
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sostituire loriginale e salvarlo non solo dal deterioramento cui sarebbe stato
sottoposto una volta ricollocato allaperto ma anche da tutti i rischi di atti vandalici o
di nuove azioni terroristiche.
La storia di questa statua dimostra certo lesistenza di legami sottili e arcani che
allacciano avvenimenti e persone. Questi legami che attraversano il tempo e lo spazio,
forse, emanano dalle cose e dagli uomini stessi e risuonano alla coscienza e alla
memoria. Come nella favola di Serendipiti ai tre principi che viaggiavano accadeva di
fare continuamente scoperte, per caso o perch la loro mente era recettiva e
disponibile a scoprire, cos accaduto che insieme ad alcuni colleghi ed amici mi
sono trovato nella storia di Marco Aurelio e sono caduto nella rete virtuale stesa sul
mondo, dove la materia assente e gli eventi sono liberi di vagare. Man mano che il
lavoro procedeva i legami sono apparsi sempre pi chiari trasportando il pensiero
dalluno allaltro sito dellimmenso labirinto della memoria.
La storia di questa statua in realt
cominciata
tanti
anni
fa,
quando
stesso
modo:
la
tecnica
169 ed il 176 d.C., probabilmente in occasione dei numerosi onori che il Senato ed il
Popolo Romano gli tributarono in occasione del trionfo del 176.
Si dice che la Roma antica abbia avuto almeno 22 grandi monumenti equestri (equi
magni), appunto di dimensioni maggiori del vero, in bronzo dorato a foglia,
presumibilmente per battitura e brunitura, eretti ad altrettanti imperatori ma solo uno
di questi a noi pervenuto: quello a Marco Aurelio. Lunico a salvarsi dal costume
della damnatio memoriae, lusanza praticata dagli imperatori di distruggere le
immagini dei predecessori, temendo che le effigi di chi li aveva preceduti potessero
offuscare la propria. Anche allora per caso o per fortuna la statua di Marco Aurelio si
salv ed in seguito, in et tardo antica, fu ancora risparmiata perch fortunatamente
scambiata per Costantino, limperatore cristiano.
Oggi difficile pensare ad un monumento equestre in qualsiasi piazza del mondo
senza trovare un richiamo, un riferimento al Marco Aurelio. Da sempre stato un
modello di riferimento per artisti e scultori anche famosi.
I RESTAURI
Dopo due anni di incertezze e discussioni su cosa convenisse fare maturata la
decisione di ricoverare il monumento nei locali del San Michele. I risultati delle
indagini condotte sulla piazza, ma soprattutto i dati sullinquinamento da traffico e da
riscaldamento, convinsero Urbani, nonostante il timore della musealizzazione. Il
trasferimento viene organizzato in due fasi: in un primo momento, l8 gennaio 1981,
il cavaliere viene sollevato e collocato nel vicino cortile del Palazzo dei Conservatori;
successivamente, il 17 gennaio, viene rimosso anche il cavallo ed il gruppo equestre
viene trasportato nei laboratori di restauro del San Michele. Non la prima volta ad
essere spostato e restaurato. Prima di essere portato sul Campidoglio da Michelangelo
il monumento era collocato davanti ai Palazzi Lateranensi, molto vicino alla villa
della madre, Domizia Lucilla, dove lo stesso Marco Aurelio era nato e cresciuto. Nel
corso dei secoli il monumento subisce numerosi interventi di restauro, dei quali si
hanno documenti a partire dal medioevo, alcuni riguardanti anche la doratura.
Linstabilit statica ha da sempre caratterizzato il monumento che appariva puntellato
nelle rappresentazioni iconografiche precedenti lintervento di Michelangelo, come
nel particolare dellaffresco di Filippino Lippi nella Cappella Carafa di S. Maria sopra
Minerva a Roma. Solo nel 1538, per volere di Papa Paolo III Farnese, viene trasferito
dal Laterano in Campidoglio: in che modo e in quale momento Michelangelo
inserisce il monumento nel progetto della piazza per ancora oggi argomento di
discussione. La scomparsa dei puntelli nelle rappresentazioni successive alla
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anteriore
sinistra, perch su di
essa scarica la maggior
parte del peso). Lidea
di
rimettere
un
cavallo,
come
qualcuno sosteneva in
base al comune buon
senso,
non
mi
componente deve avere per progettare una struttura in grado di resistere a determinate
sollecitazioni, come ad esempio sostenere un dato peso. Questo tipo di approccio ha
permesso di capire molte cose sulle vicende strutturali del Marco Aurelio. Ad
esempio si potuto capire che il baricentro, cadendo fuori dal poligono di appoggio
delle zampe del cavallo, la causa principale dei problemi statici; lo Spagna nel 1835
ha versato una maggiore quantit di metallone allinterno della zampa posteriore
sinistra proprio per spostare il baricentro allinterno del poligono di appoggio e
controbilanciare la tendenza al ribaltamento che la statua ha avuto fin dallorigine.
Anche se efficace, questo intervento come quello del 1912, ha tuttavia cancellato
parzialmente o totalmente i segni di quelli precedenti. Ad esempio non ci ha permesso
di capire come ha operato Michelangelo per consolidare e stabilizzare il monumento
ed oggi non pi possibile ispezionare linterno delle zampe per controllare la
presenza di eventuali fenomeni di corrosione o per acquisire ulteriori elementi sulla
tecnica di fabbricazione.
Lattuale intervento stato invece caratterizzato da alcune qualit oggi irrinunciabili:
minima intrusivit; massima reversibilit; possibilit di verificare e controllare nel
tempo gli effetti del restauro. Prima di operare sulloriginale, era necessario studiare il
comportamento del cavallo simulando al calcolatore tutte le possibili condizioni di
sollecitazione e mettere a punto le modalit di misura effettuando prove su un
modello cavia. Attraverso le coordinate spaziali e le curve di livello ricavate dal
rilievo fotogrammetrico avevamo superato la difficolt di schematizzare il cavallo
secondo una forma geometrica elementare. A questo punto potevamo rappresentare al
calcolatore la geometria della struttura portante e, realizzare con gli stessi dati un
modello in scala che facesse da cavia, sarebbe stato un gioco, come quando da ragazzi
ci divertivamo a costruire il plastico del paesaggio per il treno elettrico. Bastava
tagliare con il traforo le curve di livello disegnate su fogli di compensato o lastre di
plexiglass ed incollare una sullaltra le fette cos ottenute per ottenere il rilievo
tridimensionale del cavallo invece che delle montagne.
La validit dei risultati ottenuti dalla simulazione era garantita dalla conformit del
modello alla forma geometrica delloriginale. Questo ci ha permesso di valutare
preventivamente la distribuzione e lentit delle sollecitazioni causate dal peso del
cavaliere e ci ha fatto capire che era sufficiente intervenire sulle modalit di vincolo
degli zoccoli al basamento per rendere minime le deformazioni e le tensioni, senza
ricorrere necessariamente a puntelli esterni di sostegno. La verifica di quanto previsto
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dal calcolo, tuttavia, si potuta avere solo dopo aver effettuato le misure con i sensori
posti direttamente sulloriginale quando il cavaliere stato riposizionato sul cavallo.
Solo dopo queste misure infatti si sono potuti confrontare gli spostamenti e le
deformazioni previste con i corrispondenti valori reali. Nella normale condizione di
carico rappresentata dal peso del cavaliere (625 kg) la zona di maggiore sollecitazione
si localizza comunque nella connessione della zampa anteriore sinistra con il corpo
del cavallo. Tra tutte le possibili modalit di appoggio degli zoccoli poste a confronto
nelle prove, la pi interessante agli effetti di una riduzione delle sollecitazioni,
risultata quella di vincolo ad incastro.
La validit generale della metodologia messa a punto per il Marco Aurelio servita
anche per altri interventi conservativi effettuati su monumenti equestri simili per
dimensione e modellato, in particolare, per i due gruppi equestri che si trovano a
Piacenza in piazza Cavalli, realizzati nel 600 dal Mochi, per Alessandro e Ranuccio
Farnese.
TRATTAMENTI DELLA SUPERFICIE
Altrettanto complesse sono state le problematiche affrontate e risolte per inibire i
processi di corrosione del bronzo e ridare al monumento un aspetto riconoscibile.
Ricordo quando lavoravamo ai primi accertamenti, molti curiosi che passavano sulla
piazza ci chiedevano di che marmo era. La corrosione ed i depositi delle incrostazioni
erano tali da nascondere completamente laspetto dorato del bronzo.
Lo stato di degrado della superficie apparso di estrema gravit fin dal primo esame.
Le analisi successive hanno messo in evidenza la grande eterogeneit del metallo,
lentit della penetrazione della corrosione e la precaria adesione della doratura al
substrato. Lesame dei prodotti di alterazione della lega hanno rilevato una marcata
presenza di solfati di rame e di piombo, di biossido di stagno, di solfuri amorfi ed,
inoltre, in tutti i campioni analizzati era presente il solfato di calcio. Questultimo
aveva formato incrostazioni compatte e tenaci, spesse fino a 6 cm e localizzate nelle
aree di minore dilavamento e nelle profondit delle pieghe del mantello
dellimperatore, coprendo parte della superficie ma soprattutto mortificando il rilievo
plastico della scultura. A questa situazione si contrapponevano le aree maggiormente
dilavate dove la corrosione aveva causato la perdita di gran parte della doratura. Il
percolamento della pioggia aveva formato le tipiche linee geodetiche in
corrispondenza delle quali la corrosione era molto avanzata.
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modello cos grande, ripercorrendo in un certo senso la stessa strada che avevo
percorso per realizzare il modello in scala 1:5. Pi ci pensavo e pi diventava chiaro il
percorso; percorso che almeno nelle sue linee essenziali ho scoperto essere stato gi
definito da molto tempo, ancor prima che le tecniche di lavorazione che ho poi
adoperato fossero note, ma che non era mai stato praticato per realizzare una copia.
Ironia della sorte volle che proprio un archeologo famoso come Winckelmann si
pronunciasse su tale procedimento: Michelangelo ha immaginato un metodo che
prima di lui non si conosceva ed strano che, pur essendo considerato dagli scultori il
pi grande dei loro maestri, da nessuno di essi sia stato imitato. Si potrebbe supporre
che questo Fidia moderno, il pi grande dopo i greci, avesse ritrovato le vere tracce
dei suoi sommi maestri; finora almeno nessun altro mezzo stato conosciuto per
riprodurre nella statua tutti i particolari formali ed esprimere le bellezze del modello
Lartista prendeva un recipiente adatto alla sagoma ed al volume della sua figura
Poi poneva il suo modello di materia pesante nella cassa, e, se era di cera lo fissava
sul fondo. Sul modello versava acqua finch giungesse alle estremit delle parti pi
elevate, e dopo aver marcato sulla pietra la parte che doveva risultare elevata,
diminuiva lacqua per far sporgere un poco pi in fuori questa parte del modello, e
cominciava a lavorarla sulla pietra segnando i gradi secondo cui si scopriva. Se nello
stesso tempo rimaneva scoperta unaltra parte del modello, egli lavorava anche questa
sulla pietra per quel tanto che si poteva vedere e cos faceva con tutte le parti pi
elevate. Lacqua non gli indicava soltanto le sporgenze e le profondit ma anche il
contorno del suo modello; e lo spazio tra i lati interni della cassa e il contorno della
linea dacqua, misurabile con i gradi degli altri due lati, gli dava in ciascun punto la
misura di quanto egli doveva togliere dalla pietra.
A questo punto i ragionamenti di un fisico coincidevano con i ragionamenti di un
archeologo e non un archeologo qualsiasi.
Le tecniche indirette sopra accennate appartengono alla scuola della scultura o sono
da questa derivate. Lartista che si appresta a scavare il marmo con lo scalpello opera,
infatti, in modo pi certo e sicuro se si fa guidare dalle misure prese su un modello da
lui stesso realizzato. Tuttavia, nonostante limpiego di strumenti di misura, per la
maggioranza di queste tecniche il margine di interpretazione lasciato allocchio
esperto del copiatore nella fase di integrazione e modellazione, rappresenta il limite
concreto di questi metodi artigianali. Anche Winckelmann lo sottolinea quando critica
gli scultori che pensano di mostrare una maggiore abilit accettando per regola la
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misura dellocchio che per in gran parte fallace invece di seguire la via che
condusse Michelangelo allimmortalit.
Non importa se il metodo attribuito da Winckelmann a Michelangelo un paragone
che Vasari fa sul modo di scolpire del grande artista o il vero modo di scolpire di
Michelangelo, importa cosa Winckelmann pensa e dice del metodo.
Le linee dacqua sono le curve di livello della fotogrammetria e sono in grado di
descrivere il modellato della statua con risoluzione, che pu essere spinta fino quanto
serve per la migliore definizione della copia o se si vuole per ottenere anche la
cosiddetta copia fedele.
A questo punto per non si poteva lavorare a mano come per il modellino, solo un
robot poteva tagliare le fette per noi seguendo un processo automatico di
lavorazione.
DESCRIZIONE GEOMETRICA DEL MONUMENTO
Una scultura ed in particolare un monumento equestre ha una forma della superficie
difficilmente riconducibile a figure geometriche elementari. Per un robot il
riconoscimento della topologia della superficie, loperazione di interpolazione, di
riconoscimento e trattamento degli spigoli e delle linee di discontinuit presenta
notevoli problemi, ed anche la sola interpretazione dei punti che devono essere
utilizzati per definire la superficie risulta difficile, indipendentemente da come i punti
sono stati rilevati (fotogrammetria, compasso, pantografo, tastatore meccanico,
scansione laser ecc.). La descrizione della geometria attraverso curve di livello,
sezioni o linee dacqua costituisce un buon compromesso, fermo restando il fatto che
una buona descrizione della superficie scolpita richiede comunque un grandissimo
numero di punti.
La fotogrammmetria eseguita da Giancarlo Belli della FO.A.R.T di Parma arrivata
ad un 1.000.000 di punti: precisamente 478.154 per il cavaliere e 463.489 per il
cavallo. Utilizzando questi punti sono state disegnate le sezioni del cavallo e del
cavaliere ogni 5 mm, immaginando di affettare il cavallo secondo piani verticali,
perpendicolari allasse di maggiore simmetria, ed il cavaliere secondo piani
orizzontali, perpendicolari allasse verticale.
Per decidere quale processo di lavorazione adottare, ritagliare le sezioni da lastre o
scavare un blocco di materiale per ottenere le curve di livello gi posizionate, sono
state effettuate diverse prove. Alcune di queste sono consistite nella ricostruzione
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della superficie a partire dai punti di piano quotato altre dai profili ottenuti dalla
restituzione fotogrammetrica. In particolare sono state sperimentate interpolazioni
sulla geometria della testa del cavaliere utilizzando i punti di 5 piani quotati,
corrispondenti a 4 viste laterali ed 1 dallalto, a maglia regolare con 4 mm di passo.
Lelevato numero di punti che la tecnica
di
rilievo
impiegata
consente
di
centinaia
delle
tradizionali
alla
elevata
lavorazione
con
meccanica
sistemi
consentito
precisione
di
della
raggiungibile
robotizzati,
avrebbe
raggiungere
una
tale
da
non
richiedere
la
considerato
non
intermedio
ma
direttamente in bronzo senza passare attraverso il metodo classico della cera persa.
Questa ritengo sia la vera novit del percorso proposto: ottenere la rappresentazione
delloriginale attraverso un prodotto della nostra capacit tecnologica avrebbe dato
alla sostituzione delloriginale anche un significato diverso da quello della copia
fedele ottenibile da un calco diretto.
Ragioni e decisioni di natura politica e culturale hanno tuttavia impedito di seguire
fino in fondo linnovazione proposta. Per realizzare la copia in bronzo che il 21 aprile
1997 stata collocata al posto delloriginale, ho accettato il compromesso di
procedere secondo un percorso pi vicino a quello delle tecniche indirette
tradizionali. Percorso che ha visto la realizzazione del modello intermedio con il
nuovo procedimento, la finitura della sua superficie tramite intervento manuale di
modellazione e la realizzazione della copia in bronzo secondo il metodo tradizionale
della cera persa, previo calco del modello intermedio.
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Il progetto, definito in questi termini, stato finanziato dal Ministero per i Beni
Culturali per realizzare il modello intermedio e dalla RAS Riunione Adriatica di
Sicurt per realizzare la
copia
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molto complesso e laborioso, soprattutto a causa della forma delle zampe. Al fine di
contenere le deformazioni del cavallo si operato in modo da rendere minimo il peso
del cavaliere e per raggiungere lo scopo, oltre ad aver adottato un sistema di serraggio
meccanico dei blocchi analogo a quello del cavallo ma con un numero molto ridotto
di sezioni dacciaio, si proceduto anche per incollaggio delle fette di PVC in
modo da rispettare, comunque, le esigenze minime di robustezza e rigidezza del
modello stesso.
Il modello stato infine vincolato su un telaio dacciaio in modo da compensare la
tendenza al ribaltamento provocata dalla posizione stessa del baricentro che, come per
loriginale, risulta esterna al triangolo dappoggio.
Alla realizzazione del modello si sono appassionate molte persone: da mia figlia
Giulia che ha seguito la storia con la curiosit dei bambini, perch allinizio aveva
sette anni, e persone che ho avuto modo di conoscere ed apprezzare durante il lungo
lavoro come Giancarlo Belli, che ci ha reso partecipi di tutti i segreti della
fotogrammetria, come Giacomo Grande dellINSEAN di Roma, che mi ha
continuamente riportato con i piedi per terra nella progettazione del software,
obbligandomi a trovare una persona, Stefano Scarmigli, che si potesse occupare a
tempo pieno dello sviluppo del software, o come Giovanni Santucci, senza laiuto del
quale dubito che sarei riuscito a progettare la struttura di acciaio, o Franco
Capogrossi, Edoardo Sola e Renato Flati che hanno accompagnato le macchine in
tutte le lavorazioni robotizzate. Penso che per la realizzazione del progetto la costanza
sia stata una caratteristica determinante non trascurabile alimentata dalla pazienza
infinita di chi mi stava intorno, come mia moglie Franca che ha voluto condividere
tutti i momenti pi difficili, o degli amici e colleghi che, come Carlo Cacace, Roberto
Rinaldi e Roberto Ciabattoni mi hanno seguito dalla prove di sviluppo software e
dalla sperimentazione e realizzazione dei primi modelli, o come Roberto Ceccacci,
Marco Ciabattoni, Ferdinando Provera e Andrea Puccini che mi hanno regalato una
documentazione grafica, fotografica interminabile e minuziosa.
Un particolare riconoscimento va comunque a Evelina Borea, Direttore dellICR nel
periodo 1991/94, senza lintervento della quale il modello fotogrammetrico non si
sarebbe mai potuto realizzare.
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La
Rocca,
Anna
Mura
riproduzione
esatta
delle
che deve riproporre leffetto granulato proprio della porosit del metallo corroso dal
tempo.
Completata la modellazione in 12 mesi, subentra il ciclo di lavoro dei meccanici e dei
formatori. Poich lopera, per essere fusa secondo la tecnica della cera persa con
procedimento indiretto deve essere ripartita in sezioni, si studiano quelle operate
sulloriginale e si decide di ripeterle sulla copia, nella stessa quantit e negli stessi
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punti: testa, collo, petto, zampe, spalle, groppa, ventre, glutei, genitali, coda ed il
piccolo tratto della criniera in prossimit del garrese (rimodellato dal Thorvaldsen in
occasione del lavoro di restauro del 1835) sono le 17 ripartizioni da operare sul
cavallo e 14 quelle da effettuare sullImperatore: testa, braccia, gambe, busto, tunica e
mantello in pi parti. Su ogni sezione vengono stabiliti 3 punti, contrassegnati da
crocette di plastilina, che idealmente uniti formano un triangolo equilatero. Un
pantografo, appositamente costruito e composto da unasta mobile perpendicolare ad
un binario sul quale segnato un punto zero, consente la misurazione in altezza e
lunghezza di tutti i punti delle sezioni. Di ogni misura, diminuita del 2%, tanto quanto
si differenzia per il ritiro del metallo la plastilina dal bronzo, si dovr tener conto per
lassemblaggio corretto delle parti, una volta fuse.
Lopera ormai pronta per essere formata ed straordinario il legame che questa
metodologia gi in essere dal V sec. a.C. mantiene ancora oggi. Poche differenze le
gomme siliconiche, i forni fusori il modo di saldare le parti. Si procede a delimitare le
sezioni separandole luna dallaltra con sottili e duttili laminette di alluminio infisse
nella plastilina. Ogni sezione riceve un primo strato di gomma siliconica distesa con
un pennello morbido, con grande attenzione per non compromettere il modellato della
superficie. Rappreso il primo strato si procede al rinforzo con altro silicone, fino a
raggiungere lo spessore necessario per alloggiare limpronta in una rigida conchiglia
di gesso, costruita per portare la gomma siliconica. La conchiglia o cassaforma
realizzata in modo da agevolare il distacco delle forme negative dal modello in
plastilina ed il loro corretto posizionamento per la preparazione delle cere. Lelasticit
del silicone favorisce la sformatura di molti sottosquadri presenti nel modello; se
questo fosse stato formato, come in antico, in gesso, i tasselli, per riprodurre in
negativo una forma tridimensionale cos complessa, sarebbero stati di gran lunga pi
numerosi ed i tempi di esecuzione molto pi lunghi.
Le 26 impronte ottenute dal cavallo e le 20 distaccate dalla modellazione del cavaliere
vengono trasferite alla fonderia Domus Dei di Roma per le successive fasi di lavoro.
Poich il peso totale della copia non deve superare quello delloriginale (2600 Kg) per
poter essere collocato al suo posto sul basamento michelangiolesco senza
comprometterne la struttura, si calcola accuratamente lo spessore e quindi il peso
della cera da distendere nelle impronte di silicone, tenendo conto che ad ogni
chilogrammo di cera corrispondono dagli 8 ai 9 chilogrammi di metallo fuso.
Nonostante i numerosi interventi di riparazione, con integrazione di metalli di leghe
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oppure risucchiate o espanse, difetti che, se anche possono essere riparati sostituendo
la parte con altra fusa separatamente e poi saldata, denoterebbero una cattiva fusione.
La forma in cera, completa di canali,
viene ricoperta di altro luto solo dopo
essere stata trafitta in pi parti da chiodi
o perni distanziatori che servono a
collegare
lanima
interna
con
il
rivestimento esterno.
Terminata la copertura, la forma appare
cilindrica e
tempo
impiegato
per
questa
questa operazione perch non esistono ancora le garanzie minime per assicurare
almeno il mantenimento del potenziale estetico che lattuale intervento di restauro ha
saputo ritrovare. Esporre la statua allattuale livello di aggressione ambientale senza
poter disporre concretamente di un sistema di protezione sufficientemente
sperimentato significherebbe estinguere in brevissimo tempo quello che di questa
forma artistica siamo miracolosamente riusciti a salvare ed oggi possibile ancora
percepire.
Il lavoro svolto in questi anni ha portato alla realistica conclusione che non serve a
niente un intervento di restauro, per quanto scientifico e rigoroso, se non parimenti
accompagnato da una volont politica di conservare lopera con unattivit sistematica
di manutenzione ed una cura continua, a prescindere dallattuale azione aggressiva
esercitata dallinquinamento atmosferico.
La realizzazione di modelli pu servire per sperimentare su questi le nuove tecniche
di restauro e di intervento conservativo e per applicarle ai manufatti originali solo
dopo aver ottenuto sufficienti verifiche e garanzie della loro efficacia. Pertanto il
procedimento messo a punto rappresenta, in generale, una risposta pragmatica al
concetto di restauro preventivo sviluppato della teoria del restauro di Cesare Brandi
sia in relazione agli aspetti preventivi della conservazione delle opere sia in relazione
ai problemi di presentazione e/o rappresentazione delle opere legate al restauro.
In tal senso auspicabile che la copia in bronzo possa essere utilizzata per
verificare anche la validit di soluzioni protettive non ancora note, ma che in futuro
potrebbero essere di sufficiente garanzia per leventuale ricollocazione delloriginale
allaperto. Ci potrebbe forse scongiurare definitivamente la cattiva tentazione di
utilizzare loriginale come cavia in questo tipo di prove per lasciare posto a Marco
Aurelio modello di vita piuttosto che indicatore della qualit dellaria. Il privilegio
di lavorare su capolavori non autorizza a condurre prove ad alto rischio a spese
delloriginale. Ricollocare il Marco Aurelio allaperto significherebbe oggi ricercare
una prova diretta delle conseguenze dannose, essendo certa la scarsa efficacia dei
protettivi superficiali attualmente disponibili per proteggere opere ridotte in tale
cattivo stato di conservazione. Il potenziale estetico recuperato con lultimo restauro
(1990) consente oggi di percepire questo oggetto ancora nella sua bellezza e carica
monumentale; ma i dati acquisiti fanno dubitare che tale sarebbe se il monumento non
fosse stato rimosso o tale potrebbe rimanere in futuro se il monumento venisse
ricollocato nella piazza.
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l significato moderno del restauro delle opere darte, cio della conservazione e
dello studio della materia e della valenza delle opere, abbraccia percorsi culturali
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su antichi monumenti romani con materiali di recupero. Si pensi, per tutti, al Palazzo
Savelli-Orsini costruito sul teatro di Marcello.
Nel corso dei secoli la situazione non muta di molto. Lesigenza dominante porta alla
manomissione delle opere per inserirle nellinsieme dellarredamento delle dimore
reali, o semplicemente per riutilizzarle.
Ma chi erano questi restauratori? Come ovvio, si trattava di artisti anche di una
certa importanza in grado di eseguire una opera darte su unaltra opera darte. Orfeo
Boselli nelle sue Osservazioni sulla scultura antica del 1650 circa dice che il restauro
a saperlo ben fare non cosa da mediocre ingegno, come altri si crede, anzi di
speculatione, tanto varia e sublime che aguglia le magiori del arte. Poich si ricerca
il conoscere la statua antica, qual virt, deit o personaggio rapresenti, per
secondare il portamento, et darli in mano i segni convenienti; darle la debita
proportione et quello che pi importa, accompagnar la maniera antica, se alcuno si
pu promettere tanto. Ricordiamo ad esempio Nicolas Cordier che nella seconda
met del 500 riutilizza un tronco di alabastro antico per eseguire la Statua di
SantAgnese in SantAgnese fuori le mura a Roma o i restauri di Bernini allAres
Ludovisi del 1633 o del Bastianino che a Ferrara ingrandisce i quadri di Dossi,
Raffaello e Mantegna.
Parallelamente a questo gusto per il restauro rimaneva il problema della manutenzione
delle collezioni. Gi abbiamo accennato come nel 1582 il cardinal Borromeo si senta
in dovere di pubblicare le regole per la buona manutenzione degli oggetti
ecclesiastici. Le Regole erano un insieme di suggerimenti dati ai parroci o ai
sagrestani per la manutenzione e la prevenzione dei danni che ponevano laccento sul
fatto che la pulizia, la cura e lattenzione sono uno strumento potente per conservare
senza intervenire pesantemente sugli oggetti. Ma tra i problemi pi spesso affrontati
dai curatori delle collezioni sono la pulitura ed il consolidamento: numerosi sono i
ricettari dal 1600 in poi per pulire i dipinti e alla seconda met del 1600 risalgono le
prime foderature volte a consolidare la pellicola pittorica sulla tela. Anche per gli
affreschi si comincia a provvedere ad opere di consolidamento: celebre il restauro
che Carlo Maratta esegue alla fine del 600 sugli affreschi di Raffaello nella Loggia di
Psiche alla Farnesina dove oltre a restaurare i contorni ed il colore con un poco di
lapis e pastello provvede a consolidare gli intonaci che si staccavano dalle murature
con una nuova e mirabile invenzione. Cio nellinserimento di 1300 chiodi in
ottone a forma di L o di T che assicurassero lintonaco alla volta.
34
Questo atteggiamento, pi conservativo per le opere, non era tuttavia svincolato dal
gusto dellepoca: i quadri infatti dovevano essere puliti per intonarsi meglio
allinsieme degli ambienti decorati o agli altri quadri presenti nelle collezioni.
Lingiallimento delle vernici veniva per considerato un mezzo con il quale trovare
ununit tra i dipinti delle collezioni e il dibattito sul tempo pittore che ne consegue
testimonia dellampiezza del problema.
Daltronde il dibattito sulla conservazione comincia in questo periodo se nel 1681 il
Baldinucci, nel Vocabolario toscano dellarte del disegno, scrive: Rifiorire: quasi
di nuovo fiorire, termine volgarissimo con che usa la minuta gente esprimere quella
sua insopportabile sciocchezza di far talvolta ricoprir di nuovo colore, anche per
mano di maestro imperito, qualche antica pittura che in processo di tempo sia
alquanto annerita; con che toglie non solo il bello della pittura ma eziandio
lapprezzabile dellantichit. Direbbesi restaurare o resarcire o ridurre a bene essere
il raccomodare che si fa qualche volta alcuna piccola parte anche deccellente
maestro, che in alcun luogo fusse scrostata o altrimenti guasta, perch riesce facile a
maestra mano, e alla pittura, non pare che altro si tolga che quel difetto che,
quantunque piccolo, par che le dia molta disgrazia e discredito. Sotto questo
termine rifiorire, intendono anche glignoranti il lavare lantiche pitture; il che fanno
alcuna volta con tanta indiscretezza che pi non farebbono nel dirozzare un marmo; e
non considerano che, non sapendosi bene spesso qual sia il composto delle mestiche o
imprimiture e quali siano i colori adoprati dagli artefici (perch pi assai sopportano
il ranno o altra materia le terre naturali che i colori artificiali), non solo mettono
esse pitture in pericolo di mandar dietro alla lavatura i velamenti, le mezze tinte e
ancora i ritocchi, che son gli ultimi colpi ove consiste gran parte di lor perfezione, ma
anche di scrostarsi tutte a un tratto ci che io mi ricordo essere avvenuto ad un bel
ritratto di s medesimo fatto da Giovanni da San Giovanni, di sua propria mano a
olio sopra tela venuto prima alle mani dun ben pratico doratore, forse per
accomodarlo nel suo ornamento, lo volle lavare nel modo che aveva fatto a suoi
giorni a molti altri quadri; e ci fatto, quasi subito spicc e mestica e colore, e quanto
era sopra la tela accartocciato in minuti pezzi and in terra, senza che altro del bel
quadro rimanesse che la tela e l telaio.
Il restauro della pittura si qualifica come tale nel corso del XVIII secolo. Il trasporto
dalla tavola alla tela del dipinto di Raffaello Grand-Saint-Michel, oggi conservato al
Louvre, nel 1751 si pone in eloquente parallelo con la pubblicazione
35
36
Solo sulla base di tutte queste conoscenze si possono delineare le diverse strategie e
procedure
di
conservazione
sia
preventiva
(interventi
prevalentemente
sullambiente) sia curativa (interventi diretti sui materiali), che si distingue dal
restauro oggi visto come intervento diretto solamente alla migliore leggibilit ultima
dei beni.
I criteri principali seguiti nel definire ed attuare la strategia specifica sono quelli di
1) ricorrere alla conservazione preventiva prima che a quella curativa, 2) realizzare
lesame diagnostico del sistema complesso materiale-ambiente, 3) realizzare la
documentazione (testuale, grafica fotografica, videografica, con calchi, prelievi di
campioni, etc.) di tutte le informazioni, 4) preferire interventi minimali, reversibili e
sempre leggibili, 5) introdurre sempre e comunque, quando necessario, materiali
pienamente compatibili con quelli originali e 6) di sottoporre il bene, dopo
lintervento, a rigorosa manutenzione periodica, con verifica degli interventi di
conservazione preventiva e curativa effettuati ed eventuale modifica della strategia.
La conservazione non dunque un atto che si compie una tantum ma una complessa
strategia da attuare e verificare nel tempo, in cui sono coinvolti tutti coloro che
operano nellambito dei beni culturali. (B. Foss).
Alla costituzione ed alla definizione della disciplina hanno dato un notevole
contributo Giulio Carlo Argan e Cesare Brandi che nel 1939 fondano a Roma
lIstituto Centrale del Restauro con lintento preciso di far uscire definitivamente il
restauro dalla pratica di bottega per farlo assurgere a scienza. Di far quindi diventare i
restauratori professionisti da artigiani. Questo a maggiore salvaguardia e tutela delle
opere darte ormai conservate nella maggior parte dei casi, e per le opere pi
importanti, nelle collezioni di Stato e quindi propriet pubblica (non pi privata, nelle
mani della chiesa, del re, etc.).
Da questo momento in poi la chimica, la fisica e la biologia vengono a far parte della
formazione di un restauratore oltre alla storia dellarte ed alla storia delle tecniche
artistiche.
LA FORMAZIONE DEL RESTAURATORE
A tanto progresso nella conoscenza di metodologie, materiali e tecniche non ha
corrisposto il riconoscimento del nostro lavoro professionale. La figura professionale
del restauratore ancor oggi nelle Leggi del nostro paese del tutto assente e, quel che
pi grave, non vi una regolamentazione che disciplini lesercizio della professione.
38
39
40
41
alla
riscoperta
ed
alla
ed
Roma,
sullaffresco
la
mostra
dellAula
del
1985
Magna
42
difficolt
nel
che
richiede
come condizione
da parte
degli
strati
delle
forme
pure
o spolveri
44
probabilmente
Mussolini,
come
bassorilievo
sullarco
trionfale,
uniscrizione scolpita sulla montagna con la data XIV). Segno questo che non era
ancora stato fatto il riconoscimento n lopera darte era stata storicizzata e vista solo
in funzione delle sue qualit artistiche. Ma non diversa fu la sorte di altri dipinti:
laffresco di Funi, interrotto nel luglio del 1943 a causa dei bombardamenti su Roma,
fu temporaneamente occultato, per il contenuto politico, dai pannelli di Severini
eseguiti per la mostra Nazionale dellAgricoltura nel 1953, e cos rimase fino al
1987; i dipinti di Oppo e Santagata caddero nel dimenticatoio e risultano conservati
solo dalla loro buona tecnica di esecuzione; cos come due lunette dipinte da Mario
Sironi raffiguranti luna il Re laltra il Duce a cavallo sempre nella Casa Madre dei
Mutilati vennero ricoperte da una muratura; la biblioteca di Castel dei Cesari
diventata la palestra dellAccademia di danza con immaginabili conseguenze sul
dipinto di Cagli; la Sala mensa del Governatorato era, al momento del restauro
(1984), la tipografia del CRAL con le attrezzature ed i tavoli che poggiavano sulle
pareti; il dipinto di Quaroni fu in un primo tempo deturpato dalle milizie inglesi e
dalmate che abitarono la sala e poi occultato da un tramezzo in foratini; per non
parlare dei dipinti murali di Mario Mafai nella Sala riunioni della GIL a Trastevere
che ancora giacciono sotto strati difficilmente asportabili di tinta lavabile.
Solo dopo il riconoscimento ci si pone il problema della conservazione e del
restauro che passa innanzitutto dalla comprensione della tecnica. Lindagine
conoscitiva volta a determinare i materiali costitutivi e i processi tecnici di
realizzazione di una pittura murale moderna trova gravi limiti nella incontrollata
variet di scelte di procedimenti e di materiali, prodotti artigianalmente ed
industrialmente e non sempre ben noti nella loro reale composizione, che possono
essere stati utilizzati senza alcuna sicura sperimentazione da artisti vissuti nel
nostro secolo. Per di pi quando si vuole ripristinare una particolare tecnica qual
quella dellaffresco, non possedendone i tradizionali presupposti artigianali e di
bottega, pu manifestarsi una difficolt di comprensione dello stato reale di conservazione delloriginale ...
analitico: attraverso indagini ben progettate (ed importante che le indagini seguano
un progetto deciso per poter portare a dei risultati) possibile identificare la qualit
dei materiali del dipinto. Ma certamente impensabile determinare con analisi di
46
47
una specifica diversit tecnica e la scelta della metodologia di intervento deve per
forza spaziare tra tutte quelle conosciute.
Un altro criterio da adottare senzaltro quello dellintervento minimo, cio con il
minimo delle operazioni ed il minimo dei materiali, nella consapevolezza che la
somma del deterioramento dei materiali che costituiscono un oggetto qualsiasi, per
esempio un oggetto-opera darte, e del deterioramento dei materiali di restauro
accelera il processo di degrado. Poniamo il caso di un materiale inorganico come
lintonaco: se per combattere una lieve decoesione utilizzeremo un materiale
organico come ad esempio una resina acrilica, il degrado lieve dellintonaco si
sommer, a lungo andare, al degrado della resina causando, ad esempio, in un
primo tempo lalterazione cromatica delle superfici fino ad arrivare al deterioramento
biologico. Diventa molto importante, in tutti i casi ma in particolare in questi,
valutare bene la necessit dellintervento e le parti su cui intervenire avendo ben
chiaro questo concetto. E come, ovvio, vorrei qui ricordare quanto sia importante
in questo senso la manutenzione delle opere. Nella maggior parte dei casi si tratta di
piccoli interventi banali ma non per questo meno importanti ai nostri fini. Per
laffresco di Tamburi allAnagrafe bastato spostare la tipografia del CRAL da
quellambiente dopo il restauro per preservarlo dal degrado, mentre cos non
avvenuto per il Cagli dellAccademia di Danza a Roma che, dopo il restauro,
tornato ad essere una palestra con tre grandi finestroni, come si addice ad una palestra,
da cui entra copiosa la luce del sole che irraggia direttamente dipinto ed allievi,
provocando notevoli sbalzi di temperatura ed umidit nellambiente. E difatti,
nonostante laccurato intervento di restauro conservativo, dopo pochi anni il
problema del distacco della pellicola pittorica dalla preparazione non si ancora
risolto.
48
A partire dal mese di settembre 1998 limpresa spagnola CABBSA(6), vincitrice della
gara, affronta il restauro occupandosi specificatamente della cupola in piombo e affida
in subappalto allAssociazione Temporanea di Imprese italiana denominata
Templete(7) il restauro delle superfici in travertino, degli intonaci, dei marmi e del
granito del Tempietto di Bramante, dando inizio allintervento che si concluder
soltanto nel maggio del 1999 quando linaugurazione ufficiale alla presenza del Re di
Spagna Juan Carlos restituisce il monumento alla citt di Roma.
I CRITERI
Per la realizzazione di un corretto intervento di restauro, oltre allanalisi diretta dei
materiali costitutivi e del loro stato di conservazione, acquisita tramite osservazione
ravvicinata e magari rafforzata da prove scientifiche di laboratorio, di fondamentale
importanza lo studio della storia conservativa del monumento che pu aggiungere
preziosi dati alla conoscenza e spiegare scelte operative in fase costruttiva o durante
interventi di manutenzione successivi.
Pertanto, accanto alla documentazione su basi grafiche dello stato di fatto del
monumento stato indispensabile rivisitare la letteratura critica sullopera e le notizie
documentarie edite alla ricerca di probabili relazioni tra materiali tecnici, fasi
costruttive, variazioni strutturali nel tempo, sovrapposizioni di interventi e fenomeni
di degrado.
Solo rispettando questa impostazione si ribadisce lalto significato che da Cesare
Brandi nella sua Teoria veniva attribuito al restauro, inteso come momento
metodologico del riconoscimento dellopera darte nella sua duplice istanza storica ed
estetica, sottolineando nellintervento di conservazione un fondamentale mezzo di
conoscenza del monumento nel suo passato come nel suo presente.(8) Lintervento di
restauro considerato come atto critico, una volta riconosciuta lartisticit delloggetto
sul quale viene eseguito, diventa cos unimprescindibile occasione di verifica e
riscontro di quanto documentato dalle fonti e tramandato dalla letteratura.
A proposito della storia relativa al complesso di S.Pietro in Montorio, Chiesa e
Tempietto, nel 1984 un fondamentale testo edito dai Fratelli Palombi(9) pubblicava
molta della documentazione darchivio esistente a Roma(10) dando cos occasione di
ricostruire lintera vicenda dalle prime fasi costruttive agli ultimi interventi
manutentivi del nostro secolo.
50
rifacimento degli intonaci e alla riparazione del pavimento in marmo nella cella come
nella cripta con nuovi tasselli. In esterno documentato luso di pomice ed acquaforte
per la pulitura di marmi e graniti, linserimento di tasselli a coda di rondine per
risarcire le gradinate in travertino del basamento, la raschiatura degli strati di finitura
precedenti e la tinteggiatura con colla di travertino.
Nonostante i radicali interventi di Valadier, ancora nel 1841 Luigi Canina, architetto
preposto alla Commissione di Antichit e Belle Arti dovette intervenire nuovamente
sul monumento soprattutto sulla copertura in piombo che fu dotata di una anello di
metallo che consentisse un corretto deflusso delle acque allesterno. Ci furono poi
altre manutenzioni, e dopo il bombardamento del Gianicolo del 1849 si provvide ad
un nuovo intervento nel 1853.
Durante il XX secolo, il primo grande restauro fu, dopo la seconda guerra mondiale
ad opera del Genio Civile tra 1950 e 1961 che riguardarono specificatamente la
rimessa in sesto delle strutture murarie delle varie cappelle allinterno della chiesa e
della cripta del Tempietto dove una perizia del 61 prevede il consolidamento degli
stucchi la pulitura e il rifacimento delle parti di rivestimento marmoreo a stucco
romano. Soltanto tra 1977 e il 1978 la Soprintendenza per i Beni Ambientali ed
Architettonici del Lazio nelle persone della Dott.ssa G.Delfini e dellArch. R.
Pentrella, su finanziamento dellAccademia di Spagna in Roma da avvio ad
unaccurata indagine sullo stato di conservazione del monumento individuando
nellerosione la causa principale di danno ai materiali costitutivi del Tempietto. Un
punto critico per linfiltrazione delle acque piovane resta il piano di calpestio della
balaustra che nasceva, come testimoniato da documenti ottocenteschi, in forte
pendenza proprio per garantire un corretto deflusso alla pioggia, ed stato
ripetutamente modificato fino ad essere rivestito da guaine impermeabilizzanti che
stratificatesi nei secoli avevano inglobato la parte terminale degli elementi della
balaustra. Venne poi individuato un grave fenomeno di esfoliazione ai graniti delle
colonne e grazie ad una serie di ricerche e approfondimenti si posero le basi per la
programmazione e la realizzazione di un restauro che affronti anche il problema delle
tinteggiature esterne ed interne del Tempietto, allora frammentarie, alterate o del tutto
assenti.
52
LINTERVENTO
Sulla base dellacquisizione dei dati storici, lo studio delle superfici del monumento
stato condotto criticamente, cercando sui materiali costitutivi riscontri di quanto
tramandato dalla letteratura pubblicata.
Al di l dellindiscutibile importanza
del monumento come simbolo tangibile
dei
valori
riproposti
nel
pieno
tecnico
esecutivo
finestre. Il disturbo ottico nasceva tanto dal degrado dei materiali che rendeva il
travertino sporco per laccumulo di depositi di particellato incoerente e per la
presenza di croste nere stratificatesi soprattutto sulle parti basamentali o meno esposte
allazione del dilavamento e mostrava lintonaco trattato con una tinteggiatura color
bruno-ocra mai documentata dalle fonti; quanto da una totale modifica della
geometria cinquecentesca voluta da Bramante. Evidentemente, nelle successive e
ripetute opere di manutenzione e restauro apportate alledificio, le specchiature
dintonaco che nascevano come archi di cerchio tra lesena e lesena venivano, per
laumento di malta sui bordi a contatto col travertino, via via trasformate in segmenti
rendendo la morfologia del Tempietto non pi assimilabile ad una cerchio quanto ad
un poligono. Luso di una tinta scura sullintera superficie del deambulatorio a
cassettoni rendeva irriconoscibile il travertino come materiale costitutivo al punto da
essere confuso con stucco, e un diffuso ingrigimento della zona della balaustra poteva
essere facilmente attribuito allinquinamento atmosferico mentre specifiche prove lo
hanno poi identificato come un tenace attacco microbiologico ad opera di alghe e
muschi di pi specie.
Lo stato di conservazione dei marmi (capitelli, basi e portale di ingresso) e dei graniti
(16 colonne) alla luce di quanto appreso dalla lettura delle fonti non sembrava poi cos
atipico: laspetto era di materiali aridi e decoesi, con gravi fenomeni di rigonfiamento
ed esfoliazione per i graniti e erosione e polverizzazione per i marmi; effetti provocati
senzaltro anche dalle condizioni
atmosferiche in tempi recenti ma
certamente
prodotti
dalluso
fortemente
aggressivi
superfici.
sfregamento
delle
Risolto il problema
ampio spettro, ed eseguita una consueta pulitura del travertino, del marmo e del
granito opportunamente preconsolidato con consueti impacchi di soluzioni saline di
carbonato dammonio con supportanti, la rifinitura stata poi eseguita
54
superficie vibrata e non uniforme accordandosi di volta in volta con il tono degli
elementi in travertino adiacenti sempre se pur impercettibilmente diverso.
Durante i mesi di lavoro condotti in cantiere sono stati molte le occasioni di scambio,
confronto e verifica di problematiche, soluzioni e metodologie: le due Direzioni
Lavori, Italiana e Spagnola hanno dialogato e proposto scelte operative in accordo
dopo momenti, anche complessi, di riflessione e studio; ci sono state alcune
possibilit, come quella richiesta per questa occasione, di visite guidate al cantiere in
corso dopera che rappresentano comunque il miglior veicolo di conoscenza diretta
delle opere darte e di diffusione di criteri adottati nellintervento di restauro; per noi
lesperienza stata di profondo arricchimento e credo abbia restituito alla citt, agli
studiosi, ai turisti un monumento che, recuperata dignit estetica, conservi i segni
della sua storia conservativa.(17)
56
Note
1
Tra gli studiosi membri della commissione: Michele Cordaro, Direttore dellICR; Arnaldo Bruschi,
docente di storia dellArchitettura alla Sapienza di Roma e profondo conoscitore dellarchitettura di
Bramante; Christopher Frommel, Direttore della Biblioteca Hertziana di Roma; Giovanni Carbonara,
Direttore della Scuola di Specializzazione in Restauro Architettonico di Roma; Juan Bassegoda Nonell,
Presidente della Real Academia de Bellas Artes de San Jorge di Barcellona, Antonio Boneto Correa,
Direttore del Museo della Real Academia de Bellas Artes de San Fernando di Madrid; Enrique Sard
Valls, Diplomatico Addetto Culturale delllAmbasciata di Spagna a Roma; Manfred Schuller,
professore della Scuola di Architettura dellUniversit tedesca di Bamberg; Ignacio Vicens Hualde,
professore di progettazione della Scuola Tecnica Superiore di Architettura di Madrid.
4
Il rilevamento dei dati stato graficizzato su puntuali basi grafiche eseguite dal prof. M.Schuller cui
va un sentito ringraziamento.
6
Lassociazione costituita da giovani ditte di restauro che come allievi avevano preso parte al cantiere
scuola dellanno 1997: L.I.Basile, S.Borghini, A.Ferradini, F.Fernetti, F.Mariani, A.Martensson,
L.Morganti, O.Mosso, E.Peverati, F.R.Radiciotti, G.Regoli, E.Ricchi, K.Schneider, M.C.Tomassetti,
V.White.
8
C.Brandi, Teoria del restauro, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino 1977 (la I ed. stata pubblicata
dalle Edizioni di Storia e Letteratura nel 1963). Cfr. soprattutto cap.I.
9
Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, Comitato Nazionale per le celebrazioni del quinto
centenario della nascita di Raffaello, a cura della Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici
del Lazio e dellUfficio studi del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, Fabbriche romane del
primo 500. Cinque secoli di restauri, Fratelli Palombi Editori, Roma 1984, pp. 17-77 e relative note.
10
A Roma, lArchivio di Stato e lArchivio di S.Francesco a Ripa sono depositari della maggior parte
della documentazione esistente sul complesso monumentale di S.Pietro in Montorio. Gi nel 1984 si
lamentava una certa lentezza nello studio e pubblicazione dei documenti degli archivi spagnoli.
11
Oltre alla lettura del testo gi citato, alcune informazioni riviste, corrette e aggiornate compaiono
anche in V.White, Il soggiorno romano di Dirck van Baburen - La committenza e le opere, pp. 168193, in AA.VV. Fiamenghi che vanno e vengono non li si pu dar regola. Paesi Bassi e Italia fra
Cinquecenti e Seicento: pittura, storia e cultura degli emblemi, a cura di S.Danesi Squarzina, Apeiron,
Roma 1995.
12
La vastissima letteratura critica su Bramante pu qui essere simbolicamente riassunta dal volume di
A.Bruschi, Bramante architetto, Editori Laterza, Bari 1969, soprattutto il cap. IV, Il Tempietto di
S.Pietro in Montorio, pp.463-485 e la scheda filologica n.40 pp.986-1036. La datazione questione
ancora controversa: il riferimento pi diffuso alla lapide della cripta che reca la data 1502, ma
lautore propenderebbe per una datazione pi tarda al 1508-12. Un interessante elemento rinvenuto
57
allinterno del Tempietto aiuterebbe a definire la questione: al livello del tamburo la decorazione
interna prevede la rappresentazione in pittura di quattro finte finestre piombate alternate a stemmi fino
ad ora non idebtificati. La precisa lettura di pochi frammenti di uno di questi proposta da esperti
studiosi spagnoli di araldica, ha dimostrato che si tratta di uno stemma di Giovanna la Pazza (Toledo
1479-Tordesillas 1555), regina nominale di Castiglia dal 1504, stabilendo cos un prezioso termine post
quem.
13
Si deve proprio ai recenti studi condotti sotto la direzione dellArch. Sancho Roda in occasione di
questultimo intervento di restauro la conoscenza di molta della documentazione darchivio spagnola
relativa a questo periodo e precedentemente inedita che speriamo possa vedere al pi presto una
pubblicazione anche in Italia.
14
Archivio di Stato di Roma (ASR), Camerlengato Antichit e Belle Arti, Parte II, Titolo IV, busta 148,
fasc. 66. Lettera pubblicata in Fabbriche romane..., vol. cit., pp. 44-45.
15
La decorazione pittorica della volta cos come descritta ampiamente documentata dal Fontana e dal
Letarouilly. Prima di questultimo intervento lintradosso risultava rivestito da una pittura monocroma
successiva che nascondeva il cielo stellato di cui si intravedevano frammenti grazie a saggi di descialbo
eseguiti nel 1978 (cfr. fig.97, p.50 in Fabbriche romane..., vol. cit.). Nellultimo intervento in
occasione dellinaugurazione del restauro del 25 maggio 1999 alla presenza del Re di Spagna, stato
portato a termine anche una sistemazione delle decorazioni interne, recuperando il cielo stellato della
cupola e reintegrando pittoricamente pur rispettando il carattere di frammento le figurazioni delle varie
specchiature.
16
Ne sono stati individuati minimo sette, la maggior parte dei quali di un colore ad imitazione del
travertino e uno in particolare di tono grigio-celeste presumibilmente attribuibile ad una manutenzione
settecentesca. Questo dato ancora una volta potrebbe testimoniare quanto le pietre e specialmente il
travertino non venissero lasciate cos comerano ma venissero protette o uniformate con scialbi, quelli
che forse vengono definiti colle da Valadier.
17
Colgo loccasione per ringraziare in questa sede larch. G.Capponi che, costantemente presente sul
cantiere e testimone anche di momenti difficili, ha diretto con totale dedizione per parte italiana, per
conto dellICR, i lavori di restauro.
58
altri come Giovan Battista Cavalcaselle e, nel nostro secolo, Dvorak, Offner, Lazarev,
Meiss, White, Zeri, i quali ipotizzano che si tratti di un pittore romano. Il primo
invece a indicare Giotto come certo autore del ciclo francescano labate Lanzi
(1796), a cui seguono, sempre scegliendo alcuni tra i molti, Thode e nel 900, Toesca,
Longhi, Brandi, Previstali, Bellosi, Flores DArcais.
Gli oppositori dellattribuzione a Giotto del ciclo francescano evidenziano la difficolt
a credere che un artista, in nemmeno dieci anni, possa avere eseguito lenorme salto,
culturale, pi ancora che stilistico, che divide laspra monumentalit degli affreschi di
Assisi, dipinti intorno al 1296, e il supremo equilibrio classico della prima opera
documentata del caposcuola fiorentino:
la Cappella degli Scrovegni a Padova,
affrescata tra il 1303 e il 1305. I fautori
di
Giotto
raccordano
invece
il
conservati
Firenze
del
daffreschi
Francesco
materiali
delle
nella
Storie
Basilica
il
ciclo
di
San
superiore
Assisi, ma in genere, nel cantiere medievale: da quello della pittura a fresco, come
appunto evidenziano le Storie di san Francesco, a quello della scultura, come ha
dimostrato John White per i bassorilievi della facciata del Duomo di Orvieto; fino,
con tutta probabilit, al lavoro in bottega sulle tavole, cuoi, tele, oreficerie e qualsiasi
altro oggetto decorativo. Unorganizzazione del lavoro la quale tuttavia imponeva un
controllo ferreo sui molti addetti allopera che si andava ad eseguire.
Il problema posto dalla contemporanea presenza di distinti pittori al lavoro su varie
scene era infatti come rendere tra loro uniformi per proporzione e colore le parti che si
andavano a dipingere, e, in particolare, le figure. Un problema che veniva risolto
innanzitutto elaborando un piccolo disegno di progetto, il cui uso nel cantiere della
pittura murale e nel lavoro in bottega sulle tavole, attestato dal trattato tecnico per
eccellenza della pittura medievale, quello scritto da Cennino Cennini agli inizi del
Quattrocento: Se vuoi fare casamenti, pigliali nel tuo disegno della grandezza che
vuoi(cap.LXXXVII); ed poi confermato da Vasari: I nostri maestri vecchi ()
ritrae[vano] da un disegno piccolo tutto quello che volevano fare (Simone Martini e
Lippo Memmi, pittori sanesi). Un disegno la cui funzione era quella non meno
importante, di poter determinare gi a terra, cio prima di mettere sul muro gli
intonaci da affrescare, tutto quanto fosse necessario per il lavoro in cantiere: dal
numero di maestri e manovali, alle quantit dei materiali duso, fino dove far cadere i
tagli delle giornate e quantaltro.
Una volta iniziato ad affrescare quanto si doveva sulla base del disegno di progetto, il
problema dellunit di dimensione delle varie figure, ma anche credo di tutto il resto,
veniva risolto normalizzandone le proporzioni con luso di sagome in carta, dette nei
documenti patroni: un uso che nel ciclo francescano dimostrato dalla costante
sovrapponibilit delle sagome delle teste in tre gruppi omogenei di scene tra loro
continue. Mentre per evitare possibili differenze di colore tra le varie figure
rappresentate e in particolare quando uno di loro ricorreva in pi scene, cio che san
Francesco, poniamo, non apparisse in una storia rubizzo e con una tonaca grigiastra e
in unaltra pallido e con una tonaca color ocra, si preparavano a terra quantit notevoli
di tinte, ponendole in vasetti e distinguendole tra loro per colore e gradazione di tono:
dal massimo chiaro al massimo scuro. In questo modo si costringevano i vari pittori
del cantiere a normalizzare le loro differenti personalit, obbligandoli a stendere in
successioni ordinate entro i confini di un unico patronus uguale per tutti quei colori
61
precedentemente preparati a terra, di nuovo uguali per tutti: ad es., per primo lo stesso
tono verde salvia, poi lo stesso di ocra gialla, poi lo stesso di rosa di incarnazione e
cos via. Lo strumento della tavolozza veniva perci evitato, tanto da essere
assolutamente sconosciuto nel cantiere medievale della pittura a fresco (anche nella
pittura a tempera su tavola in bottega), perch col suo comporre colori allimpronta
non avrebbe consentito di realizzare quel prodotto standard lavorato da pi addetti,
quale il cantiere daffreschi (e il lavoro in bottega) richiedeva.
Questo modo di procedere nel colorire, oltre a esser molto ben visibile nel ciclo
francescano (e in genere nella
pittura medievale) prescritto
da
Cennino
Cennini
nel
di
esecuzione
degli
Pietro Cavallini
Roma, Chiesa di Santa Cecilia, Il giudizio universale,
part. della testa di San Pietro
62
appare il modo desecuzione nelle cappelle Bardi e Peruzzi, a Firenze: almeno per
quanto si pu giudicare
63
64
omissioni.
Due argomenti, il primo dei modi desecuzione e laltro della pubblica voce
assisana, che mi pare consentano di prendere in assai seria considerazione lipotesi
che il secondo e principale dei tre distinti autori del ciclo francescano nella basilica
superiore dAssisi possa essere Pietro Cavallini. Cio il grande pittore romano di fine
Duecento che, forse non per caso, affresca in santa Maria in AraCoeli, a Roma, la
tomba del cardinal Matteo dAcquasparta. Forse non per caso, perch lAcquasparta
ebbe grande rilievo nei rapporti tra ordine francescano e Sede Apostolica negli stessi
anni in cui si esegue la gran parte della decorazione della Basilica, ciclo francescano
compreso. Non sappiamo con certezza se il cardinale Acquasparta sia stato nel 1282
ministro della provincia umbra, come indica una fonte francescana seicentesca, mai
dopo confermata da documenti. Egli fu generale dellordine dal 1287 al 1289 durante
il pontificato di Niccol IV, che lo nomin cardinale nel 1288, e di Bonifacio VIII. In
questi anni ebbe un ruolo decisivo nellopera di clericalizzazione dellOrdine
francescano voluto dalla Sede Apostolica, che poi quella cui rispondono le Storie di
San Francesco dipinte nella Basilica papale di Assisi. N infine va dimenticato che tra
gli esecutori testamentari di Matteo dAcquasparta, morto nel 1302, compare il
cardinale Gentile Partino da Montefiore, committente delle due cappelle di San
Martino e di San Ludovico nella Basilica inferiore: la prima delle quali come tutti
sanno, venne affrescata da Simone Martini intorno al 1312.
65
Osservazioni metodologiche
restauro e conservazione
di materiali archeologici ed etnografici
di Bianca Foss
Nel museo etnografico Pigorini iniziata la mia esperienza di restauratrice di museo,
rivolta allo studio e allintervento conservativo su reperti riconducibili alle cosiddette
arti minori, ovvero, su quei materiali archeologici ed etnografici che, pur non
costituendo lopera darte, assumono comunque, nellambito della ricerca moderna,
un importante valore documentario.
Archeologia ed etnografia vengono effettivamente abbinate, dalla cultura occidentale,
in un rapporto dialettico nei primi anni del 900, in seguito ad una pi chiara
individuazione dei rispettivi campi dindagine ci particolarmente vero per
letnografia che in questo periodo trova una sua propria caratterizzazione rispetto ai
pi ampli studi etnologici.
Ad accomunare le diverse tipologie di manufatti che si incontrano in tali collezioni
concorre, primariamente, la fragilit dei loro materiali costitutivi. Infatti, anche se
siamo comunemente portati a pensare che loggetto archeologico giunto sino ai nostri
giorni in un dato stato di conservazione, sar in grado di mantenersi tale per un arco di
tempo ancora molto lungo, gli studi scientifici e lesperienza, ci pongono invece di
fronte una realt sensibilmente precaria: anche materiali apparentemente molto
resistenti, come quelli metallici o lapidei, di cui spesso questi oggetti sono composti,
sono inevitabilmente soggetti ad ulteriori ed evidenti processi di degrado, anche dopo
la loro musealizzazione.
Essi infatti sono giunti sino ai nostri giorni conservati in luogo (terra o acqua), diverso
da quello per cui erano stati creati (ambiente aereo) ed in tali condizioni il materiale
subisce delle trasformazioni chimico-fisiche che lo rendono molto pi fragile: il
metallo, ad esempio, estratto dai minerali tende, in condizioni aggressive, a tornare
minerale.
Daltro canto i manufatti etnografici, spesso totalmente composti di materiali di
origine organica (ad es. legno, cuoio, tessuti, piume...) ed anche da diversi materiali
66
presenti i colori originari: sono infatti stati scoperti altri colori quali lazzurro, il viola,
il bianco ed il nero. E emerso un tema decorativo che ha rivelato dei motivi
geometrici sul collo e sul piede dellunguentario ed, al centro, delle piccole figure
stilizzate.
Ed eccoci di fronte ad un interrogativo: questo il primo esempio di unguentario
policromo di tale area geo-culturale, o piuttosto dobbiamo supporre che la vasta e nota
produzione di unguentari acromi sia il risultato di interventi di pulitura realizzati con
tecniche e strumenti inadeguati? Del resto, questo tipo di decorazione, similmente a
quella di molti altri unguentari ed oggetti ceramici policromi, di natura
estremamente fragile e delicata, poich veniva praticata a freddo e quindi il colore non
si incorporava al supporto, bens, tendeva a formare su questultimo uno strato
superficiale. Il legante mescolato ai colori era poi di origine organica, quindi,
inevitabilmente instabile e facilmente deteriorabile.
Prendiamo ora in considerazione un altro caso, quello di un vaso di ceramica di tipo
attico a figure nere su fondo rosso del I sec. d.C., rinvenuto recentemente a Nepi in
uno scavo di emergenza in concomitanza di lavori per il posizionamento di condutture
idriche, e giunto in laboratorio
inserito in buste di polietilene ed
ancora ricoperto da uno strato
assai aderente di terra umida.
La
prima
precauzione
da
scavo
non
divenga
il
arrecati
alloggetto
danni
rosso (i due colori venivano ottenuti direttamente in fase di cottura del vaso,
alternando fasi ossidanti e fasi con ambiente riducente) in cui gli incarnati delle figure
femminili erano stati ulteriormente dipinti in bianco (come spesso avviene in tale
tipologia di ceramiche), probabilmente applicato a freddo. Se non si fosse operato
adeguatamente molto probabile che le zone con tali ridipinture bianche sarebbero
andate perdute.
Esaminiamo ora un piccolo specchio in bronzo appartenente al corredo tombale di
Norchia precedentemente citato. Nonostante la presenza di incrostazioni provocate dai
prodotti di corrosione, sulla superficie di lato convesso, si notano delle
incisioni decorative. Al termine della pulitura effettivamente apparsa unincisione
rappresentante un lare. Ma solo un lavoro minuzioso e delicato, come quello svolto su
questo reperto, riuscito a conservare le tracce di color bianco inserito nelle linee
incise, per far risaltare il motivo disegnato.
Nel caso di ritrovamento di reperti di natura organica lintervento di restauro spesso
ancor pi complesso, in parte perch i materiali costitutivi sono per loro natura pi
fragili, in parte perch, come vedremo pi avanti, il nostro paese non dispone di
sofisticati macchinari, ormai indispensabili per lesecuzione di alcune fasi degli
interventi su reperti organici saturi dacqua (ed la condizione in cui si ritrovano la
maggioranza di tali materiali).
Proviamo ora ad analizzare le principali fasi di un completo intervento conservativo
operato su un qualsiasi tipo di reperto organico saturo dacqua: infatti, di fronte ad
una ciotola di legno (quale quella proveniente da un butto medievale ad
Acquapendente, VT) o a dei frammenti di tessuto o di pelle o di fibre vegetali
intrecciate, si procede secondo tecniche analoghe.
Il primo passo da compiere lindividuazione del materiale costitutivo (legno, fibra
vegetale, etc.) e della specie attraverso un prelievo minimo del materiale.
Successivamente si dovr intervenire per asciugare il reperto senza che si
provochino crepe, spaccature, torsioni, infragilimento ed a volte il totale collasso dei
materiali. Infatti lacqua in essi presente costituisce un vero e proprio supporto interno
di tali materiali ed essa dovr essere sostituita con un altro materiale che a
temperatura ambiente crei un solido scheletro di sostegno. Il concetto tanto
semplice da esporsi quanto delicato e difficile nella sua realizzazione. Lacqua, di cui
il reperto impregnato, viene sostituita con una sostanza solubile in acqua che, in
seguito allevaporazione delle molecole di acqua si solidificher creando un adeguato
69
raccomanda,
prima
di
antichi
era
uno
dei
requisiti
dellarcheologia
avviata
B. Cavaceppi,
Raccolta dantiche statue, busti, bassorilievi
ed altre sculture, Roma 1768-72,
Ritratto, Bartolomeo Cavaceppi, Romano
Scultore e Restauratore delle Statue antiche
da
73
rifacimento di tali segni, lascia agli eruditi di rinvenire un giorno, come tante volte
avvenuto, ci che veramente rappresenta(13).
Questidea una delle affermazioni pi interessanti contenute nella Raccolta,
profondamente innovativa perch propone ai restauratori di pensare al proprio
intervento nel futuro, in unottica di conservazione e non solo di integrazione. Tanta
accortezza comunque scaturiva anche dallesperienza personale, poich Cavaceppi
pi di una volta cadde in errori di interpretazione, mettendo talvolta a repentaglio la
sua stessa reputazione(14).
Nella pratica Cavaceppi raccomanda di congiungere il marmo moderno allantico
seguendo il profilo delloriginale, senza ritoccarlo e utilizzando perni forti e profondi,
tali da sorreggere le integrazioni, senza laggiunta di alcuna mistura adesiva(15).
In effetti questa abilit era una delle caratteristiche pi apprezzate del restauratore
romano; Ennio Quirino Visconti quando si trov ad esprimere un giudizio su
Cavaceppi sottoline che egli adatt i marmi alle figure pi scabbie, aggiunse il
mancante, senza toglier punto dantico(16). Per Winckelmann come per Cavaceppi
infatti le sculture antiche erano un modello irripetibile per apprendere lo stile sublime
degli artisti greci e riformare cos il gusto contemporaneo. Il reperto rappresentava
una testimonianza importantissima e i segni dellantico autore non dovevano essere
falsati o rovinati in nessun modo, mentre per le parti mancanti ci si poteva affidare ad
un intervento integrativo moderno.
In un passo successivo infatti Cavaceppi aggiunge di non ripulire mai le sculture
antiche con la rota o con la pomice perch un tale sciocco pulimento leva
allopera lultima, e pi pregevole eleganza del perito Artefice(17). Si tratta di
unindicazione preziosa che fa capire la sensibilit verso la materialit delle opere
darte che caratterizza la teoria di Cavaceppi.
In particolare egli raccomandava che nelle cose restaurate sia maggiore la parte
antica della moderna stabilendo che in un lavoro siano almeno i due terzi antichi, e
che non siano moderne le parti pi interessanti. Seppure la ricostruzione di un terzo
di una statua oggi da considerarsi un intervento assai invasivo, in un contesto in cui
le falsificazioni erano pratica corrente, la determinazione di un limite quantitativo
preciso, espresso in percentuale, costituiva gi un principio molto innovativo.
Ponendo progressivamente vincoli sempre pi stretti, Cavaceppi giunge ad affermare:
Un bel frammento di una mezza Testa, di un Piede, o duna Mano, meglio goderlo
cos come egli , che formarne un intero lavoro. Oltre ad un problema teorico, il
74
restauratore si trova di fronte ad una questione pratica; nel caso di frammenti perfetti
come il Torso del Belvedere, egli dice impossibil sarebbe in minima parte
accompagnar la maniera dellincomparabil Artefice(18). In questa obiezione, il
restauratore intuisce il problema che pochi anni dopo si presenter al momento di
stabilire le integrazioni sulle sculture del Partenone, trasportate in Europa
dallambasciatore inglese Lord Elgin; anche in quel caso lo stupore di fronte alla
bellezza di quei frammenti fu tale che persino Canova si rifiut di restaurarli(19).
Per queste ragioni Cavaceppi convinto che non tutti possano improvvisarsi
restauratori, ma solo quelli che di maggior perizia sono forniti; si tratta quindi di un
ribaltamento completo delle posizioni, il restauro passa da mestiere di poco conto,
ripiego per scultori di scarso successo, a professionalit complessa e delicata, che
richiede unabilit tecnica e una sensibilit stilistica superiori al comune(20). Insieme
agli scritti sul restauro Cavaceppi inserisce nella Raccolta un testo intitolato Degli
inganni che si usano nel commercio delle antiche statue: un manuale unico per
smascherare i falsari.
Lenorme richiesta di reperti archeologici da parte di mercanti di tutta Europa e
lespandersi delle ricerche antiquarie, in effetti, aveva aumentato la domanda di opere
originali, incentivando paradossalmente la produzione di falsi e il rifacimento dei resti
antichi di poco valore(21).
Cavaceppi studiando la classificazione dellarte classica di Winckelmann, intuisce che
i falsari non sapevano distinguere tra le epoche antiche e scolpivano con un
miscuglio di tutti gli stili. Quasi come un connoisseur Cavaceppi introduce qui la
sua intuizione e spiega che per non incorrere in errori clamorosi, bisogna conoscere
gli strumenti usati degli antichi scultori, considerando come le tecniche variarono nel
tempo(22). Tra i criteri fondamentali, insieme al modo di scolpire le pupille o i buchi
dei lacrimatoi degli occhi, Cavaceppi ricorda come luso del trapano fosse
profondamente mutato poich nellantichit veniva impiegato con laccortezza di
unire in un solco continuo i fori allineati fatti dalla punta, mentre in epoca moderna si
era diffusa labitudine di lasciarli divisi(23). Poco importa se si tratta di considerazioni
fondate, pi rilevante lo spirito con cui il restauratore le inserisce nei suoi trattati sul
restauro.
Dopo aver letto le parole di Cavaceppi per, pu sembrare incredibile che egli durante
la sua lunga carriera realizz spesso integrazioni fantasiose e veri e propri falsi. La
differenza tra la pratica della bottega e quanto espresso nei trattati teorici daltra parte
75
sempre stata considerata uno degli aspetti cruciali della personalit di Cavaceppi.
Per comprendere ci che a noi pu sembrare un atteggiamento poco coerente, una
prima spiegazione pu dedursi dalle parole di Winckelmann quando afferma che i
segni o emblemi che accompagnano una statua non sono compresi nella sfera del
sentimento del bello. Lesatta identificazione del soggetto dunque era assolutamente
necessaria e doveva concordare perfettamente con le fonti letterarie, mentre la forma
degli attributi non influiva sulla bellezza e sulla credibilit della statua. Winckelmann
cos condannava gli interventi che inquinavano le possibilit conoscitive degli
osservatori, ma raramente esprimeva pareri estetici negativi sulle integrazioni degli
attributi(24). Cavaceppi pot divenire il suo restauratore prediletto proprio perch si
uniform a questo criterio.
Bisogna inoltre considerare che la stessa nozione di falso in quellepoca era
assolutamente diversa da quella attuale; il divario tra originale e falso aveva un
margine molto pi ampio di quello odierno, variando secondo i protagonisti e le
situazioni. Il testo di Cavaceppi fornisce anche alcune indicazioni dei prezzi pi
idonei per i reperti restaurati e ne emerge la mentalit del mercato antiquario
dellepoca; il valore economico delle sculture antiche aumentava secondo la porzione
di originale conservata, ma le statue erano valutate soprattutto considerando lo stile e
il soggetto rappresentato(25). Daltra parte laccettazione delle copie come immagini
delle antichit era assai pi diffusa e non comportava necessariamente un valore
negativo; la differenza tra opera antica, opera restaurata, opera inventata sul gusto
antico e copia non era cos netta(26). Si trascurava cos il fatto che tutte le sculture pi
apprezzate non fossero originali greci ma copie romane e si ignoravano volutamente i
dubbi mossi da Mengs e Richardson(27). E allora pi chiaro come in questo ambiente
culturale anche lincongruenza del comportamento di Cavaceppi trovi una giusta
collocazione. Ma cosa avrebbe imparato sul restauro uno scultore che avesse letto i
trattati della Raccolta? La sinteticit con cui Cavaceppi affronta i problemi pratici e
lesiguo spazio che dedica alle istruzioni tecniche, sono una delle caratteristiche pi
sorprendenti del testo; mancano indicazioni concrete riguardo i diversi tipi di marmo,
la forma dei perni o le ricette delle misture, mentre ampio spazio dedicato a tutte le
questioni teoriche e deontologiche.
Poich Cavaceppi possedeva un metodo pi che collaudato, si deve dedurre che la
scelta di dare poco spazio a questi aspetti fosse volontaria. Obiettivo primario in quel
momento storico era infatti dare al restauro un fondamento teorico, farlo realmente
76
divenire unarte degna di tale nome, proprio come aveva indicato fin dal titolo del
primo trattato.
77
Note
1
Cfr. O.Rossi Pinelli, Artisti, falsari o filologhi? Da Cavaceppi a Canova, il restauro della scultura tra
arte e scienza, in Ricerche di Storia dellarte, n.13-14, 1981, p.41-56; Id, Chirurgia della memoria:
scultura antica e restauri storici, in La memoria dellantico nellarte italiana, Einaudi, Torino 1986,
vol.III, pp.181-250.
2
Lopera pubblicata con il titolo complessivo di Raccolta dantiche statue, busti, bassirilievi ed altre
sculture restaurate da Bartolomeo Cavaceppi scultore romano. In particolare il primo volume
pubblicato nel 1768 a Roma da Generoso Salomoni conteneva una dedica Agli amatori dellantica
scultura e un trattato intitolato Dellarte di ben restaurare le statue antiche; il secondo volume edito
nel 1769 sempre da Salomoni comprendeva unaltra dedica Agli amatori dellantica scultura, un
trattato Degli inganni che si usano nel commercio delle antiche statue e il racconto del viaggio di
Cavaceppi in Germania con Winckelmann. Nellultimo volume uscito nel 1772 dalla stamperia romana
dei fratelli Pagliarini il restauratore scrisse un Discorso che spiega il frontespizio del libro e unultima
dedica Agli amatori dellantica scultura.
3
Conferma ulteriore di questo dato viene da uno degli esemplari conservati alla Biblioteca Vaticana
dove sono rilegati insieme solo i trattati teorici senza le tavole delle statue.
5
Il tipografo in questo caso precisa: Per facilitare in ogni modo lacquisto, e la lettura di quei Signori,
che desiderassero provvedersene, giacch la materia amena, e in colto stile, se ne distribuiranno tre
fogli ogni Marted, a due bajocchi il foglio al fine dogni mese, o di ogni tomo, ovvero di tutta lopera,
la facolt di prenderli a suo comodo, e piacimento. cfr. Biblioteca Apostolica Vaticana,
Cicognara.IV.M.62, Manifesto di Associazione, edito dalla Stamperia Pagliarini, a Roma nel 1782, p.3.
6
cfr. Il libro Romano del Settecento. La stampa e la legatura, a cura di P.Orzi Smeriglio, Tip.
Accademia Nazionale dei Lincei, Roma 1959.
7
B.Cellini, La vita, Napoli 1728. [ed. consultata Einaudi, Torino 1973, p.403]. Nonostante la data di
pubblicazione, lopera fu scritta tra il 1558 e il 1559.
8
cfr. S.Rinaldi, La tecnica delle scultura nei trattati del Rinascimento, Lithos, Roma 1994.
La prima edizione a stampa di questopera Osservazioni sulla scultura antica. Opera di Orfeo
Boselli Scultore romano divisa in cinque libri, edizione anastatica a cura di P.Dent Weil, S.P.E.S.,
Firenze 1978.
10
Il racconto inserito nella Raccolta senza titolo; per Winckelmann i giorni passati con il restauratore
in Germania furono gli ultimi della sua vita, poich fu ucciso a Trieste sulla strada del ritorno.
11
13
Ibidem, p.9.
14
Un episodio significativo per giustificare tanta prudenza raccontato da Giovanni Casanova che
riferisce di un clamoroso errore commesso da Cavaceppi per aver voluto integrare un busto anonimo
con il ritratto di Alessandro Magno ed essere poi stato smentito dal ritrovamento della testa originale
raffigurante Settimio Severo. Vedi G.B.Casanova, Discorso sopra glantichi, e varj monumenti loro
per uso deglalunni dellelettoralAccademia delle BellArti di Dresda di G.Casanova, alle spese della
vedova Dyck, Leipzig, 1770, pp.49-50.
15
16
cfr. Il Museo Pio-Clementino illustrato e descritto da Ennio Quirino Viscoti, 7voll., Ludovico Mirri,
Roma 1782-1807.
17
18
19
Per la complessa vicenda dei marmi Elgin e del Partenone rimando a W.St.Clair, Lord Elgin and the
Marbles, University Press, Oxford 1967 [trad.it. Lord Elgin e i marmi del Partenone, La Terza, Bari
1968]; M.Pavan, Antichit classica e pensiero moderno, La Nuova Italia, Firenze 1977; Id,
Lavventura del Partenone, La Nuova Italia, Firenze 1983.
20
Su questo argomento Cavaceppi cita se stesso e scrive: (come gi dissi nel primo Tomo) se mi si
mostra una Statua antica con braccia, o gambe rifatte dal Buonarroti, dal Bernini, o dal Fiammingo,
ed io conosco nella parte moderna lo stile di que valenti Scultori, io dir che quelle braccia, o gambe,
sono assai belle; ma dir ancora che la Statua assai male restaurata.; Ibidem, p.6.
21
cfr. M.Ferretti, Falsi e tradizione artistica, in Storia dellarte italiana, parte III, vol.III, Einaudi,
Torino 1981, pp.115-195.
22
cfr. Degli inganni che si usano nel commercio delle antiche sculture, pp.6-9.
23
Ibidem, pp.6-9.
24
cfr. J.J.Winckelmann, Abhandlung von der Fhigkeit der Empfindung des Schnen in der Kunst und
dem Unterricht in derselben, Dresda 1763. [trad.it. Dissertazione sulla capacit del sentimento del
bello nellarte e sullinsegnamento della capacit stessa, consultata in Il bello nellarte. Scritti sullarte
antica, Einaudi, Torino 1973, p.98].
25
26
cfr. M.Ferretti Falsi e tradizione artistica, in Storia dellarte italiana, parte III, vol.III, Einaudi,
Torino 1981, p.152; e O.Rossi Pinelli, La pacifica invasione dei calchi delle statue antiche nellEuropa
del Settecento, in Studi in onore di Giulio Carlo Argan, Multigrafica Editrice, Roma 1984, p.419-426.
27
cfr. J. Richardson, Trait de la Peinture et de la Sculture, Herman Uytwerf, Amsterdam 1728, pp.
78-83; lo studioso infatti tent di mettere a confronto le testimonianze letterarie sulle opere darte con i
reperti rinvenuti a Roma e concluse che molte delle firme apposte sulle opere non erano originali.
Mengs inoltre scrisse due lettere al monsignor Fabroni, poco dopo pubblicate; qui sostenne
apertamente che molte delle opere comunemente considerate capolavori altro non fossero che copie
romane di opere greche perdute e dimostr perfino che il celebratissimo Lacoonte non era un originale
greco. Vedi Lettera a Monsignor Fabroni proveditor generale delluniversit di Pisa, in Opere di
Antonio Raffaello Mengs primo pittore del re cattolico Carlo III, pubblicate dal cavalier Giuseppe
Niccola dAzara, Paglierini, Roma 1787, pp. 357-368.
79
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81
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Foss.
82