Documente Academic
Documente Profesional
Documente Cultură
Luigi Aprile
Psicologia
dello sviluppo
cognitivolinguistico
Tra teoria e intervento
FIRENZE
UNIVERSITY
PRESS
studi e saggi
9
a cura di
luigi aprile
Indice
Introduzione
Luigi Aprile
21
3. Studi sul ruolo della memoria di lavoro nella comprensione del testo
Cesare Cornoldi, Rossana De Beni e Barbara Carretti
39
47
55
67
75
8. Il ruolo del linguaggio nello sviluppo concettuale: analisi critica del paradigma delle classi di equivalenza
Dolores Rollo
89
9. Processi di elaborazione cognitivo linguistici di stimoli verbali e visivi corrispondenti: uno studio evolutivo
Luigi Aprile
97
105
115
12. Leffetto frequenza duso dei fonemi della lingua italiana in soggetti afasici con
deficit di lessico fonologico di output e/o di buffer
Sonia Calvani
125
137
14. Modelli didattici per lo svilupo del pensiero critico: unanalisi descrittiva
Stefano Malvagia e Saverio Fontani
147
161
175
Introduzione
Luigi Aprile
Universit di Firenze
Qual il contributo che Filippo Boschi ha dato allo studio della psicologia dello sviluppo cognitivo-linguistico, sia sul piano teorico che su quello operativo, dellintervento?
Credo che i lavori raccolti in questo volume pubblicato in onore del Prof. Boschi possano anche essere letti come una chiave di risposta a tale domanda, centrale in unopera che
vuole rendere omaggio a uno studioso che ha dedicato la propria vita alla ricerca e allinsegnamento in queste aree di indagine. Tuttavia, mentre il lettore stesso pu costruire una
sua interpretazione del significato che assumono nel loro insieme i contributi di colleghi e
allievi, in questo capitolo introduttivo vorrei segnalare alcuni punti focali che mi sembrano, in sintesi, una delle possibili risposte alla domanda che ho posto allinizio. Come si dice
in questi casi, naturalmente non ho alcuna pretesa di completezza, sono anzi in dubbio
sulla loro verosimiglianza, ma, per come vedo queste cose in relazione agli studi e alle esperienze fatte, mi sono convinto, a torto o ragione, della loro plausibilit.
Punto primo: che cos la lettura?
La ricerca scientifica attuale del parere che la lettura sia un tipo di attivit, un insieme di prestazioni, di compiti complessi, ma nello stesso tempo specifici. La lettura vista
come un settore di studio che riguarda una serie di aspetti cognitivi (memoria, apprendimento, processi percettivi, attentivi) e in parte emotivi e motivazionali (motivazioni, interessi, stati emozionali). Ma si tratta sempre appunto di un settore, per quanto importante,
di studi e ricerche. Questo punto di vista lapprodo principale di oltre un secolo di indagini teoriche, empiriche, operative, come il lettore pu constatare anche leggendo i vari
capitoli di questo libro e le ulteriori indicazioni bibliografiche fornite in tali contributi.
La mia opinione che dopo il lavoro di Boschi, per le numerose prove empiriche basate su modelli logici e linguistici e per lavvio di prospettive aperte alla ricerca empirica e
sperimentale, le cose non stiano pi cos: la lettura non pi un settore di ricerca specifico, delimitato, ma qualcosa di molto pi vasto, che ha a che fare direttamente col modo in
cui fatta e funziona la mente umana. I modelli empiricamente fondati sulle cinque forme
di linguaggio (parafrastico, inferenziale, logico, critico-valutativo ed estetico-poetico) nella
comprensione della lettura e sulle caratteristiche evolutive della competenza lessicale (cfr. i
lavori di Boschi) fanno parte, a buon diritto, delle attuali teorie della mente.
In questo senso, la lettura pu essere definita come un ambito, un laboratorio dove
posso capire alcuni dei principi di base, delle leggi di sviluppo della mente umana. Si trat-
Luigi Aprile
ta di un laboratorio che si costruito attraverso la storia degli esseri umani, della loro
mente. Se questa ipotesi fosse almeno approssimativamente vicina a come stanno veramente le cose, allora vedere che cosa succede quando un umano impara a leggere, a capire che cosa sta leggendo, a utilizzare ci che legge, significa capire come fatto, gli aspetti
strutturali, e come funziona, gli aspetti funzionali, la sua mente. Significa quindi avere
informazioni preziose non solo su come si sviluppano e funzionano aspetti specifici (ad
esempio la lettura decifrativa, o i processi di comprensione del testo, di memorizzazione,
ecc.), ma anche su quali sono le architetture interne della mente.
Studiare la lettura allora utile non solo per capire come e che cosa fare per insegnare,
far imparare a padroneggiare sempre meglio questo strumento indispensabile per lo sviluppo formativo e culturale, ma anche per capire chi , che cosa luomo, la sua mente, la
persona specifica che abbiamo di fronte.
Punto secondo: in cosa consiste lo sviluppo cognitivo-linguistico?
Il lettore trover una intervista a Filippo Boschi nella quale, attraverso una sintesi delle
principali tappe della sua vita di studioso, vengono parallelamente prese in considerazione
le diverse aree connesse agli studi e alle ricerche sulla lettura: gli ambiti della psicolinguistica evolutiva, della psicologia dellapprendimento, della personalit, delleducazione,
dello sviluppo. Successivamente sono presentate alcune delle principali opere pubblicate
sulla psicologia della lettura da parte di Filippo Boschi, seguendo un criterio di tipo tematico: dagli studi sui processi di comprensione nella lettura in studenti della scuola media
superiore, alle ricerche sulle prime fasi di acquisizione della lettura, agli studi sullo sviluppo lessicale, alle indagini sui processi di lettura in soggetti adulti, allo studio delle relazioni tra lettura e variabili di personalit, lettura e valutazione, fino alla elaborazione di nuovi
modelli dei processi di comprensione della lettura, alle ricerche sulle metodologie di intervento per favorire i processi di sviluppo delle abilit e capacit di lettura nei vari periodi
dello sviluppo, dallinfanzia alladolescenza, fino allet adulta.
La ricerca scientifica ritiene che lo sviluppo cognitivo-linguistico riguardi aspetti come
levoluzione del linguaggio, del pensiero, dei processi di apprendimento, della scrittura,
delle influenze che i contesti culturali, ambientali hanno su tali aspetti della mente umana.
Il lettore pu trovare esempi di rilievo degli orientamenti attuali della ricerca nei contributi presentati nel volume. Tutti questi contributi affrontano tematiche di cruciale
importanza per capire lo sviluppo cognitivo-linguistico, sia sotto il profilo delle teorie che
si confrontano e a volte scontrano, sia sul piano delle cose da fare nei processi formativi,
educativi, didattici, negli interventi operativi.
Cornoldi, De Beni e Carretti, presentano al lettore una rassegna aggiornata degli studi
sul ruolo svolto dalla memoria di lavoro nei processi di comprensione della lettura: la capacit della memoria di lavoro (un sistema attivo di memoria che consente di mantenere e
contemporaneamente elaborare il contenuto di un testo mentre il soggetto sta leggendo)
sembra svolgere un ruolo cruciale nella comprensione del linguaggio, cos che le differenze tra buoni e cattivi lettori appaiono legate alla efficienza (ampiezza) di tale memoria
di lavoro. Mason e Boscolo danno modo al lettore di studiare un esempio di ricerca empi-
Introduzione
rica sui processi di apprendimento legati alla lettura di testi espositivi, in particolare sono
esaminate le interazioni tra conoscenza e interesse degli studenti e il grado di coerenza di
un certo tipo di testo. I risultati sembrano evidenziare relazioni complesse tra tali variabili: ad es., solo nel caso in cui gli studenti presentino un alto livello di conoscenza, linteresse facilita non solo la comprensione pi semplice, pi superficiale, ma anche quella pi
complessa presente in un dato testo.
Pinto presenta una rassegna dei principali filoni di ricerca che oggi si confrontano a
proposito dello sviluppo dei sistemi simbolici, delle relazioni tra linguaggio e codice scritto. Come sono connesse le conoscenze fonologiche e quelle relative al codice scritto? Dopo
una rassegna della letteratura sullargomento, viene presentato un modello evolutivo e una
serie di indicazioni specifiche sul modo in cui insegnare, educare alla consapevolezza fonologica. Bombi, Cannoni, Angelucci, Colafigli illustrano una ricerca sul confronto tra le
idee infantili sul disegno e sulla scrittura, dalla quale emerge come i bambini abbiano rappresentazioni ben distinte di tali due strumenti, il disegno e la scrittura, e di quanto siano
quindi complesse le loro relazioni evolutive, anche sotto il profilo degli interventi educativi. Bortolotti e Czerwinsky Domenis presentano una indagine empirica sulle relazioni tra
contesti di gioco e comunicazione tra pari, dalla quale emerge come la produzione linguistica dei bambini si muova ancora preferibilmente in relazione ad una prospettiva ludica,
ad una dimensione immaginativa e creativa dove la comunicazione viene utilizzata preferibilmente per attivit piacevoli come quelle legate al gioco. Rollo propone una ricerca sul
ruolo del linguaggio nello sviluppo concettuale, mediante una analisi critica del paradigma delle classi di equivalenza. Aprile presenta una ricerca sui processi di elaborazione
cognitivo-linguistici di stimoli verbali e visivi corrispondenti. Faso e Primi illustrano uno
studio empirico sulle referenze agli stati mentali nelle produzioni narrative infantili.
Bigozzi propone uno studio sulla correttezza ortografica, nel quadro dei concetti di processo e prodotto legati alle ricerche sulla lettura. Calvani, illustra una indagine sulleffetto di frequenza duso di fonemi della lingua italiana in soggetti afasici con deficit di lessico fonologico di output e/o di buffer. Accorti Gamannossi propone uno studio sulle relazioni tra livello socio-economico e sviluppo linguistico in et prescolare. Malvagia e
Fontani studiano alcuni modelli didattici finalizzati allo sviluppo del pensiero critico. Di
Fabio propone una riflessione sulle prove di verifica in relazione a nuove prospettive di
intervento didattico che si sono aperte nellarea cognitiva. Infine, Bavazzano, Fornari e
Grifoni presentano uno studio sulle modalit di sviluppo delle competenze cognitivo-linguistiche e di quelle di definizione lessicale.
Credo che anche in questo caso il lavoro di Boschi porti oltre questo orizzonte le frontiere della ricerca futura e a nuove riflessioni sui significati di quella passata e presente.
Forse lo sviluppo cognitivo-linguistico, come fondamentali figure della storia della psicologia hanno sostenuto, riflette in modi particolarmente specifici, mirati lorganizzazione
e levoluzione delle architetture della mente umana, sia in generale che nei singoli individui.
Il paziente in analisi, adulto o bambino che sia, porta in primo piano le strutture e il
funzionamento della sua personalit attraverso processi cognitivo-linguistici, mediante ci
che dice, che fa. Corrispondentemente lanalista interviene sulla mente del paziente con
Luigi Aprile
parole, con azioni che seguono un loro percorso simbolico nelle rappresentazioni, consapevoli o al di fuori del campo della coscienza dellanalizzato stesso. Le opere di Sigmund
Freud, di Melanie Klein cos come tutta la storia della prospettiva psicodinamica e psicoanalitica sono l a dimostrarlo.
Lo sviluppo della mente, come emerge fin dai lavori di Jean Piaget, ai pi recenti contributi di Jerome S. Bruner, sembra avere unintima connessione con levoluzione dei processi cognitivo-linguistici.
Le attuali ricerche storico-culturali e neurobiologiche, in stretta relazione con il fiorire
di studi sulle opere di Lev S. Vygotskij e Aleksandr R. Lurija che sempre pi diffusamente compaiono nella letteratura specialistica internazionale, evidenziano il ruolo chiave svolto dai processi cognitivo-linguistici nellaprirci nuove strade nella conoscenza della mente
umana, anche a livello di singoli individui.
Il lavoro di Filippo Boschi si nutrito, secondo me, di queste ipotesi che ho sintetizzato in tali due punti base. E credo che sia questo, ridotto in poche parole, il contributo di
Filippo Boschi alla storia della psicologia contemporanea.
1
Filippo Boschi:
una vita per la psicologia
Intervista di Luigi Aprile (03/02/2001)
Prima parte
Ho incontrato il Prof. Filippo Boschi il 3 febbraio del 2001 alle 11 e 30 per iniziare una
conversazione sulla sua vita di studioso: una vita dedicata alla psicologia.
Sono entrato nella sua casa, dove avevo messo piede per la prima volta alla fine di gennaio del 1986. A differenza di allora, attualmente lingresso e lo studio compongono un
unico ambiente, ugualmente sobrio ed elegante. A distanza di quindici anni, mi accorgo
che il Prof. Boschi ha mantenuto lo stesso entusiasmo, la stessa capacit di lavoro, lo stesso desiderio di scavare, di cercare, di scoprire nuovi sviluppi nelle cose di cui si occupato fin da quando era studente universitario e poi, dopo la laurea, come allievo del primo
Corso biennale di Specializzazione per Collaboratori psicologi (1955) presso lIstituto di
Psicologia dellUniversit di Firenze, diretto da Alberto Marzi. Era il periodo a cavallo fra
la fine degli anni Quaranta e la met degli anni Cinquanta. Fasi di grandi cambiamenti
caratterizzavano la psicologia internazionale del ventesimo secolo: nordamericana, da un
lato, con lemergere degli studi di matematica e ingegneria computazionale che avrebbero
portato alla costruzione dei primi computer, scoperte che avrebbero segnato il nascere di
nuovi modi di fare e concepire la psicologia scientifica, cos come fino ad allora, in misura dominante, erano proposti dalla prospettiva comportamentista. Daltra parte, anche la
psicologia europea segnava nuove rotte nello studio dello sviluppo, della struttura e delle
funzioni dellintelligenza e della personalit, con i relativi strumenti di misurazione, di cui
dette ampia documentazione Maria Luisa Falorni in due famosi volumi dei primi anni
Cinquanta.
In Italia, la psicologia scientifica era in piena fase di ricostruzione. Nel 1945 sopravviveva in Italia ununica cattedra di psicologia presso lUniversit Cattolica di Milano, gli altri
insegnamenti erano stati soppressi in seguito allimpostazione della riforma gentiliana.
Il prof. Boschi ha proposto di sederci in salotto, disponendo una specie di area di lavoro con un tavolino, dove appoggiare fogli documenti e registratore, e due sedie poste una
di fronte allaltra, ai lati maggiori del tavolo. Il Professore aveva le spalle che davano verso
la finestra, mentre io stavo sullaltra sedia. La giornata era grigia e la scarsa luce mi rendeva difficile mettere pienamente a fuoco i lineamenti del suo volto e cogliere cos nitidamente le sue espressioni.
Era quello sul quale avevo lavorato maggiormente nei dieci anni precedenti. Ma torniamo
tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta.
In quel periodo mi ero messo a lavorare, sia dal punto di vista teorico che psicometrico, alla
costruzione del TCL - Test di Comprensione della Lettura. Ma ero interessato anche a questioni metodologiche pi generali, in particolare quelle connesse alla psicometria, stimolato dagli
interessi e dalle competenze di Saulo Sirigatti, che conobbi al Corso di Specializzazione. Mi ero
gi occupato di test fin dal 1954-1955, quando svolgevo funzioni, poi ratificate da nomina
ufficiale, di Assistente Volontario di Psicologia presso lUniversit di Pisa. Tale incarico era completamente gratuito, per nellambito dellUniversit facevano capo anche attivit di tipo remunerativo. A questo proposito, fui nominato Psicologo presso la Casa di rieducazione, dove
appunto svolsi, secondo limpostazione del tempo, un intenso lavoro psicodiagnostico mediante
lapplicazione di test.
In queste esperienze, che impressione ebbe di quelli che erano i problemi dellapprendimento in questi ragazzi della Casa di rieducazione: fin da allora vide nel problema dellapprendimento una problematica centrale?
Con questi soggetti i problemi della lettura, devo dire, erano tangenziali, ma non meno
importanti. Ad esempio nella scala Wechsler-Bellevue, nelle prove verbali, cerano appunto prove
di vocabolario e di comprensione ed io non mi limitavo a dare il solo risultato quantitativo,
numerico, ma, sulla scorta delle teorie piagetiane, formulavo anche un giudizio scandito cronologicamente, per tappe evolutive. Nelle definizioni delle parole, avevo gi individuato procedimenti che poi avrei chiamato, piagetianamente, tendenze assimilative e accomodative nelle
modalit definitorie che si manifestano nel corso dello sviluppo. Nel fare la relazione sui singoli soggetti, fornivo quindi sia una valutazione quantitativa, i risultati ottenuti nei test, che qualitativa, il livello di sviluppo del soggetto, con le relative connotazioni di egocentrismo del pensiero. Cos gli insegnanti delle scuole interne avevano indicazioni per orientare le rispettive scelte didattiche.
Le sembr, a questo proposito, che le caratteristiche dei processi di comprensione, o dei
processi di elaborazione lessicale di questi ragazzi con difficolt incidessero in qualche
modo sulla loro condizione? Le faccio questa domanda perch oggi, ad es., nel disegno del
Corso di laurea triennale per Educatore professionale in ambito socio-sanitario, la
Psicologia delleducazione non stata inserita. Questo perch si ritiene, probabilmente,
che siano prevalenti le problematiche cliniche, di personalit, rispetto ai problemi, ad es.,
connessi ai processi di comprensione, di elaborazione lessicale e linguistica. Ecco, queste
esperienze che fece allepoca, che cosa le permisero di capire, di toccare con mano a questo riguardo?
Mi fai venire in mente proprio un aspetto che avevo approfondito e di cui avevo preso consapevolezza, forse in maniera, per certi aspetti, originale per il tempo. Nel discutere le interpretazioni dei subtest della Scala dintelligenza Wechsler-Bellevue, lautore aveva richiamato lattenzione sul possibile rapporto fra due test di intelligenza sociale: il test di Comprensione della
seconda prova della Scala verbale, in cui il soggetto invitato a descrivere come ci si deve comportare in certe situazioni sociali (e che indicativa della maturit sociale e del retroterra formativo e culturale dei soggetti) e, nella scala performance, il test di Riordinamento di figure,
che indica come il soggetto riesce a muoversi nelle situazioni pratiche di comportamento sociale. Sulla base dei risultati ottenuti, lautore aveva suggerito che gli antisociali, coloro che presentano difficolt e problemi di accettazione delle norme sociali, di aggressivit nei riguardi
della societ mostravano una differenza, una eterocronia significativa nello sviluppo delle due
capacit. Nellintelligenza sociale pratica, che risultava nel Riordinamento di figure ottenevano punteggi molto elevati, mentre nellintelligenza sociale misurati con laltro subtest, presentavano punteggi molto bassi. Appariva dunque che questi giovani erano molto bravi nel realizzare una sequenza di azioni, per pianificare ed eseguire ad esempio un furto, uno scippo e cos
via, mentre non erano in grado di esprimere un giudizio di adeguatezza o di non adeguatezza
sociale dei loro atti. Erano quindi soggetti capaci di muoversi a un livello pratico nella societ,
ma non lo erano altrettanto nel valutare le conseguenze delle loro azioni e di operare scelte
socialmente positive.
Avevo raccolto unampia documentazione negli anni della mia attivit di psicologo clinico
negli Istituti di Osservazione, nelle Case di rieducazione e nella Prigione scuola, ove,
secondo lorientamento del tempo, sottoponevamo tutti i minori ai test psicologici dintelligenza
e di personalit, oltre, naturalmente, a colloqui clinici.
In questi colloqui emergevano in maniera significativa le caratteristiche di questa disarmonia nello sviluppo delle competenze sociali e noi eravamo molto attenti a tener conto di tali
aspetti. Ad es. ad un giovane che era risultato particolarmente abile nel mettere in moto una
macchina senza chiavi, connettendo fili ecc., lo psicologo fece presente il disappunto di un proprio amico quando una mattina era uscito e non aveva pi trovato la propria automobile. In
seguito a tale osservazione il ragazzo ebbe come una sorta di intuizione, di insight, sulle conseguenze dei suoi atti alle quali non aveva pensato.
Hai ragione quindi a sottolineare limportanza della riflessione e delle competenze cognitive e linguistiche accanto ai fattori emotivo affettivi.
Queste osservazioni che lei fece lo indussero dunque a riflettere sullimpatto che pu
avere, per es., nello sviluppo psicosociale di un soggetto, ma pi in generale nello sviluppo psicologico, levoluzione dei processi di comprensione e produzione linguistica. Fu portato a riflettere in generale sul peso che pu avere lo sviluppo linguistico e cognitivo nello
sviluppo della mente, del cervello di un soggetto, ma queste esperienze furono anche pi
estesamente uno stimolo a interessarsi dei problemi della lettura e pi in generale del funzionamento della mente?
Inizialmente, questi due interessi sono andati avanti in modo parallelo: come psicologo professionale operavo in varie istituzioni e organismi, anche quindi con compiti di diagnosi e trattamento di minori devianti o a rischio, o con compiti di orientamento scolastico, mentre come
studioso ero sempre pi coinvolto nellanalisi dei fattori fondamentali che sottostanno ai processi di comprensione della lettura. Ma se torniamo al punto di partenza di questa conversazione,
devo dire che il mio interesse per limportanza che riveste lo studio della lettura nello sviluppo
dellindividuo maturato soprattutto in connessione con gli studi nel campo della psicologia scolastica e pi in generale della psicologia delleducazione. In questo senso: successivamente alla
pubblicazione del TCL - Test di Comprensione della Lettura (1965), ricevetti linvito da parte
di Luigi Meschieri a partecipare al progetto IEA-CNR. Fui coinvolto in uno dei pi grandi progetti internazionali di psicopedagogia comparata promosso dallInternational Association for
the Evaluation of Educational Achievement con lo scopo di confrontare il rendimento scolastico (e quindi la qualit della scuola) nei vari paesi e nelle varie discipline scolastiche, compresa
la comprensione della lettura. Fui pescato attraverso quella mia pubblicazione, in quanto
Meschieri stava organizzando per lItalia il pacchetto delle prove e gli occorreva una batteria di
test di comprensione della lettura. Nel gruppo di lavoro trovai Domenico Parisi, Ornella
Andreani Dentici, Tullio De Mauro, Aldo Visalbeghi, Maria Corda Costa e Lydia Tornatore.
Eravamo agli inizi degli anni Sessanta.
Quindi erano passati quasi una diecina di anni dal momento in cui aveva iniziato a
occuparsi di teorie e tecniche dei test applicati alle situazioni curricolari, forse cera un vero
e proprio vuoto di studi e ricerche nel campo della psicologia della lettura in Italia.
Questo vero solo in parte, anche se le presenze importanti (Gabriele Calvi e la stessa
Andreani coi loro studi sullintelligenza e sulla creativit) erano al momento esigue. Questi colleghi furono fra i primi in quel periodo a occuparsi di psicologia scolastica e delleducazione. Si
trattava di un lavoro da pionieri, dato il lungo periodo di silenzio della cultura psicologica
nel nostro paese. Basti pensare che il 1923, anno dellattuazione della riforma Gentile, con la
graduale soppressione degli insegnamenti di psicologia, coincideva invece negli Stati Uniti con
la fondazione dellAssociazione di psicologia dellEducazione ad opera di Edward L. Thorndike.
E fu proprio alle iniziative ed alle pubblicazioni di lingua inglese che facevamo ricorso per recuperare il tempo perduto; cosa non facile perch bisogna tener presente che a quellepoca non era
agevole reperire materiali bibliografici. Per avere un articolo o un libro straniero a volte si doveva aspettare mesi e non erano disponibili neppure banche dati per una rapida ricerca bibliografica.
Se torniamo per al nocciolo della domanda precedente, cio limportanza di cogliere il peso
che ha la comprensione nei processi cognitivi dellindividuo, fui subito colpito dalla rilevanza
teorica e operativa delle ricerche di Frederick B. Davis. Questo mi indusse a prendere contatto
con lo stesso autore, con il quale intercorsa una corrispondenza fruttuosa, soprattutto in riferimento al lavoro sui fattori fondamentali che guidano la comprensione nella lettura: lormai
celebre Fundamental Factors of Comprehension in Reading, pubblicato sulla rivista
Psychometrika alla met degli anni Quaranta. Iniziai da quel momento a confrontarmi con
una serie di aporie metodologiche, che soltanto col tempo siamo riusciti a sbrogliare. Nel dibattito che ne seguito, il fulcro centrale di interesse sia teorico che applicativo era costituito dallintuizione cruciale di Davis: certi fattori di comprensione sono fondamentali e quindi da stimolare specificamente, cio le varie competenze non sono soggette a un transfer assicurato.
Tuttavia le verifiche empiriche stentavano a dimostrare lindipendenza dei fattori: la varianza
emersa dalle analisi di Davis era cos piccola che in realt la comprensione della lettura poteva
essere interpretata come un fattore unico. Questo dibattito riportato nel mio libro Psicologia
10
della lettura, dove sono documentati e illustrati i riferimenti bibliografici delle varie analisi
fattoriali, dibattito che copriva oltre un ventennio al 1977, data di pubblicazione del volume.
Finch appunto si scoperto (ed anche noi abbiamo contribuito ad evidenziare questo fatto)
come i risultati che rendevano difficile lindividuazione di fattori separati fondamentali nella
comprensione della lettura erano dovuti a procedure metodologiche. Nel Davis Reading Test e
nei primi test del genere, si presentava un brano con domande aggiuntive che facevano capo a
vari fattori e ci provocava appunto problemi di inibizioni proattive e retroattive, per cui non
era possibile stabilire se la risposta del soggetto a una data domanda fosse influenzata dalla
domanda precedente, che attivava un altro processo. Tale effetto disturbante si rifletteva sui
risultati delle analisi fattoriali.
Il nostro contributo alla soluzione del problema stato evidenziato con la costruzione delle
Prove di Comprensione dei Linguaggi, le 5 V-M (1996 e 2000) e con le sperimentazioni relative. Seguendo le indicazioni della letteratura specialistica, abbiamo previsto cinque differenti
forme di linguaggio (Parafrastico, Inferenziale, Logico, Critico-Valutativo ed Estetico-Poetico) e
per ciascuna forma abbiamo scelto dei brani, avendo cura di farli seguire da domande accuratamente riferibili alla specifica forma che si doveva misurare. Questa scelta metodologica stata
premiata, per cui i risultati statistici ci hanno permesso di dimostrare che i cinque Fattori sono
veramente delle capacit da considerare separatamente. Altre evidenze sono state ottenute dal
gruppo di ricerca che fa capo a Cesare Cornoldi dellUniversit di Padova, che si distinto
anche per pregevoli iniziative a livello di una adeguata applicazione delle impostazioni teoriche.
Il nostro Modello di comprensione della lettura entrato cos a far parte degli studi condotti nellambito del dibattito sulle teorie della mente, che oppongono concezioni modulariste a
concezioni connessioniste. I nostri risultati, dai quali si trae sia lindicazione che i cinque fattori partecipano di un processo cognitivo-linguistico unitario, sia la dimostrazione empirica
della consistenza di cinque fattori, si collocano in una posizione intermedia.
Ecco, tutto questo ci riporta agli aspetti pi strettamente scientifici. Torniamo agli inizi
del suo lavoro di ricerca. Oggi si tende a trattare le problematiche dei soggetti svantaggiati a vari livelli nei processi di apprendimento come problematiche di tipo clinico, personologico o di tipo evolutivo generico, ad es. legate ai processi di sviluppo sociale. Mentre
mi ha colpito il fatto che ancora oggi, a distanza di quasi un cinquantennio da quando lei
ha iniziato queste ricerche, si tende ad avere difficolt a capire il peso che possono avere
problemi legati allo sviluppo dei differenti processi di comprensione nello sviluppo mentale del soggetto. Non le sembra che si tenga poco conto che il rapporto tra intelligenza,
cognizione e processi di sviluppo sociale ed emotivi sia, come dire, pi propriamente, bilaterale? Quindi se i fattori di personalit, per cos dire, colpiscono e condizionano lo sviluppo dellintelligenza, della cognizione, presumibilmente se ci sono questi fattori distinti
non altamente probabile anche un discorso allopposto: cio presumibile che questi fattori di comprensione che evolvono a ritmi distinti possano incidere pesantemente sullo sviluppo anche emotivo, affettivo e sullo sviluppo delle capacit sociali? Quando si occup di
queste ricerche sui fattori distinti arriv a conclusioni, a una qualche ipotesi riguardo a tali
problematiche? La domanda in sintesi questa: il fatto che Davis avesse intuito la presen-
11
za di fattori distinti nei processi di comprensione e che abbiate ottenuto evidenze empiriche di tale distinzione, a che riflessioni la port riguardo pi in generale al modo di funzionamento della mente e al modo di intervenire sul loro sviluppo?
Siamo stati portati a collegare le carenze nella formazione scolastica con la scarsa conoscenza e consapevolezza di queste acquisizioni della ricerca psicologica. Non ci siamo stancati di sottolineare (ottenendo frequenti consensi) come di solito gli insegnanti come gli stessi autori di
libri di lettura stimolano prevalentemente la comprensione in maniera non mirata. Le ricerche
internazionali, ad esempio lindagine IEA di cui ho parlato prima, hanno messo in rilievo come
gli allievi italiani mostrassero modalit di comprensione della lettura di tipo assimilativo-ricettivo, evidenziando carenze nella comprensione approfondita. Anche le nostre ricerche sul concetto di maturit in lettura, che ho sviluppato con Giuliana Pinto, studiando le abilit e le
capacit di lettura degli studenti liceali, avevano evidenziato che i nostri giovani scolasticamente maturi mostravano di essere ampiamente alfabetizzati per quanto riguarda la quantit
di lettura, mentre apparivano ancora analfabeti nelle capacit di lettura critica e creativa, di
collegare con lazione innovativa le informazioni assunte leggendo e di prendere spunto dalle letture per migliorare la comunicazione interpersonale.
Ci significa che occorre intervenire, a livello di formazione e di sviluppo sia sugli aspetti
cognitivi che sulle componenti affettive e di personalit. A livello applicativo abbiamo tenuto
conto di tale esigenza nellintepretazione dei profili che derivano dallapplicazione delle nostre
Prove, considerando il fenomeno delleterocronia nello sviluppo delle cinque competenze.
Proprio leterocronia era oggetto di unanalisi che permetteva di evidenziare, anche mediante
confronti con altri tipi di rilevazioni, interferenze emotivo affettive sullapprendimento. Nel
senso che se un individuo ha bisogno di sicurezza mostra ad es. un picco elevato nello sviluppo
delle competenze di tipo logico formale, dove la risposta alle domande una e unica e dunque
rassicurante. In altre competenze, ad es. quelle critico-valutative, o anche per certi aspetti quelle inferenziali, che richiedono di dover scegliere una risposta prevalente ma non sicuramente
univoca, tali soggetti insicuri presentavano un abbassamento nei punteggi ottenuti. Allora che
cosa determina tale abbassamento intellettivo nelle abilit critico valutative o inferenziali in un
soggetto che mostrava una emergenza cognitiva in forme di ragionamento complesso come quelle richieste dal fattore logico? Approfondendo lanalisi si scopre che si tratta di fattori di personalit che incidono sullintelligenza e viceversa.
Pi recentemente ha svolto un approfondimento teorico ed unarticolata sperimentazione che le ha permesso, sempre nellambito delle teorie della mente, di fornire le prove
empiriche per lindividuazione di due distinti fattori di competenza lessicale: il fattore
semantico ed il fattore pragmatico, con riferimento alla definizione delle parole.
Quando abbiamo cominciato ad occuparci dello sviluppo lessicale non pensavamo che ci
saremmo imbattuti in un campo cos vasto e cos ricco di zone ancora inesplorate. Ad avventurarci in questo ambito siamo stati spinti da una fondamentale intuizione di Vygotskij per il
quale la coscienza si riflette nella parola come il sole in una piccola goccia dacqua: La parola
sta alla coscienza come un piccolo mondo ad uno grande, come una cellula vivente ad un orga-
12
13
Perch precedentemente insegnava alla Facolt di Lettere e Filosofia. Il mio primo esame di
psicologia lo sostenni con Marzi, a Lettere.
LIstituto di Psicologia allepoca dovera?
Era in via Battisti, dove tuttora compare uninsegna che indica la propriet dellUniversit
di Firenze.
Lei frequent lIstituto in via Battisti?
Ci avvenne dopo la laurea, per frequentare il Corso di specializzazione.
Lei con chi si laure?
Mi laureai in Lettere con una tesi in Pedagogia, con Giovanni Cal.
Su quale argomento?
Su Scoutismo e scuole attive, con una commissione di rilievo presieduta da Gaetano
Salvemini, e composta, oltre al relatore, da Eugenio Garin, Gaetano Chiavacci, Paolo
Lamanna. Cera gi in me un orientamento verso laspetto psico-pedagogico, con riferimenti
alla psicologia dello sviluppo. Poi, avendo cominciato ad insegnare nella scuola media, ebbi
notizia del Corso di specializzazione per Collaboratori psicologi, organizzato da Marzi. Nel
corso conobbi Maria Luisa Falorni, che aveva bisogno di un assistente a Pisa e fui segnalato da
Marzi. Cos cominci questa doppia gestione tra linsegnamento di materie letterarie nella scuola media, di psicologia alluniversit e di attivit psicologica nelle sedi applicative, ove iniziai
anche le mie ricerche.
Che significato aveva un corso per Collaboratori psicologi?
Alla met degli anni Cinquanta per chiamarsi psicologi bisognava avere almeno la Libera
docenza, per cui fu adottata per questo corso una terminologia cos blanda, pur essendo i partecipanti tutti laureati. Fra i docenti cerano per cattedratici di rilievo: cera Ugo Teodori, cera
Lamberto Borghi, Walter Battacchi, Renzo Canestrari, Maria Luisa Falorni, Sergio Levi.
A quel tempo quali attivit svolgeva?
Ai primi del 1960 lasciai la scuola media e mi dedicai soltanto allo studio e al lavoro di psicologia. Dato che lincarico di Assistente volontario era gratuito, svolgevo attivit di consulenza presso il Ministero di Grazia e Giustizia (Istituto di Osservazione, Case di rieducazione
maschili e femminili, Prigione scuola) e, dal 1962 al 64, consulenza presso il Centro di orientamento scolastico e professionale della Camera di commercio di Pistoia e, successivamente, fino
al 1974, presso una Comunit giovanile di Arezzo. Nel 1968 avevo preso la libera docenza ed
14
15
S.
Quali furono i problemi di ordine organizzativo? Mi sembra che fosse centrale linteresse per istituire anche a Firenze il Corso di laurea in psicologia.
Nonostante le disponibilit concorsuali sopra ricordate non erano prevedibili significativi
sviluppi. Daltra parte molti studenti della regione si orientavano verso i corsi di laurea di psicologia di Padova e di Roma, ai quali (ci che attirava la nostra attenzione) il Ministero aveva
assegnato un numero consistente di nuove cattedre (addirittura alcune diecine). Il problema era
quello di promuovere nella Facolt di Magistero, accanto al Corso di laurea in Pedagogia un
Corso di laurea in Psicologia. Fu agli inizi del 1980 che cominciammo a stabilire dei collegamenti a livello nazionale con le altre Facolt interessate allo stesso progetto.
Lazione congiunta delle diverse sedi si realizz attraverso il coordinamento, a livello nazionale, di una Consulta dei Direttori degli Istituti e dei Dipartimenti di psicologia. Io ne facevo
parte per delega di Francesca Morino, che dirigeva lIstituto e poi il Dipartimento di Firenze e
che curava la regia del progetto. Attraverso la Consulta venivano vagliate le proposte delle varie
sedi. A Firenze, ottenuto lassenso della Facolt di Magistero, il progetto di apertura del Corso
di Laurea in psicologia fu inserito nel piano di sviluppo universitario 1986-90 (reiterando la
richiesta gi avanzata fin dal 1980). La richiesta veniva motivata dal fatto che da oltre 15 anni
si iscrivevano dalla Toscana ogni anno ai corsi di laurea in psicologia di Padova e di Roma oltre
800 studenti, subendo i disagi di un dispendioso pendolarismo. Come responsabili dei
Dipartimenti di psicologia ci impegnammo a mettere a punto una strategia che si caratterizzasse
per un salto qualitativo in quanto la precedente impostazione aveva gi espresso tutte le sue
potenzialit. Tale impostazione, che puntava soprattutto a sottolineare gli aspetti quantitativi e
numerici e le esigenze di preparazione professionale degli psicologi, si rivel ben presto insufficiente in quanto fu recepita dal Ministero, ma fu letta alla luce dei dati statistici relativi alle
iscrizioni dei Corsi di Padova e di Roma. Il numero di iscritti e di laureati in questi ultimi 15
anni era risultato largamente eccedente le richieste del mercato del lavoro e le esigenze previste
dai piani di programmazione nazionale. Le conseguenze furono quelle di vedere la psicologia
collocata tra le discipline universitarie a sviluppo bloccato. Ma dietro a questa impostazione programmatoria cera lesigenza di economizzare sulle risorse, perch a quel tempo i nuovi corsi di
laurea ricevevano fondi per la creazione di nuovi insegnamenti. I piani pluriennali di sviluppo
richiesti dal Ministero erano dunque finalizzati a razionalizzare le richieste delle varie universit, economizzando sulle risorse. Mentre eravamo in attesa della risposta ministeriale, avemmo
unindiretta anticipazione dellorientamento restrittivo del Ministero al riguardo, durante il discorso che il Ministro della Pubblica istruzione tenne a Firenze per linaugurazione dellanno
accademico. Doveva essere il 1987-88. Ero seduto accanto ad Ada Fonzi. Ad un certo punto il
Ministro, parlando dei criteri della programmazione universitaria afferm esplicitamente che il
Ministero era contrario alla parcellizzazione dei corsi di laurea. Ada ed io ci voltammo di scatto luno verso laltra, sgranando gli occhi con espressione di accorato disappunto.
La risposta ufficiale del Ministero alle richieste della Consulta (fra cui la nostra) fu esaminata nella riunione tenuta a Milano, l8 aprile 1988, presieduta da Enzo Funari e verbalizzata da Walter Gerbino. La risposta ministeriale si limitava ad accogliere linserimento nel
16
piano quadriennale 86-90 di tre atenei (Bologna, Trieste, Napoli) quali sedi in cui aprire
nuovi corsi di laurea in psicologia. Nella stessa riunione la Consulta manifest la propria preoccupazione per lesclusione degli atenei di Torino e di Firenze dal novero delle sedi in cui si prevedeva lapertura di nuovi corsi di laurea in psicologia. A tale riguardo fu istituita una commissione (Amerio, Andreani, Boschi, Cornoldi, Gerbino) col compito di elaborare al pi presto
un documento nel quale si sottolineasse lesigenza di delineare opportunamente le caratteristiche dei corsi di laurea in psicologia come finalizzati non tanto e non solo a fornire una laurea
a base professionalizzante, ma soprattutto a favorire lo sviluppo della cultura psicologica. Tenuto
conto che il Ministero non era disposto a prevedere aumenti di risorse, venne presentata la proposta di un piano di coordinamento fra sedi territorialmente vicine, in modo da presentare soluzioni economiche. Per quanto riguarda la nostra sede venne previsto un piano di coordinamento in pieno accordo con la sede di Bologna, per la creazione di un polo complementare con lattivazione del biennio propedeutico in ambedue le sedi, seguito da indirizzi triennali differenti.
Il documento della commissione, redatto in tempi rapidi, venne illustrato l11 maggio 1988
al vice presidente del CUN Frati ed al sottosegretario allistruzione Covatta e guadagn lapprovazione della commissione in merito alle richieste delle sedi di Torino e di Firenze a condizione che lapertura di tali corsi non implicasse il reperimento di nuove risorse. Venne cos superata la difficolt di aprire un corso di laurea in psicologia nella sede di Firenze, nonostante la
vicinanza con la sede di Bologna. Dopo il biennio propedeutico Firenze avrebbe aperto solo
lIndirizzo di psicologia dello sviluppo e delleducazione, mentre Bologna avrebbe aperto indirizzi differenti (Psicologia generale e Clinica). Tuttavia rimaneva un orientamento tiepido nei
nostri riguardi da parte del Ministero, come ebbero modo di constatare il preside della nostra
Facolt, Leonardo Savoia che, con Ada Fonzi, fu successivamente ricevuto dal sottosegretario
Covatta.
Comunque la strada era aperta per inserire e prevedere laccoglienza della nostra proposta
nel piano triennale 1991-93, che fu inviato con lapprovazione della Facolt di Magistero e
del Senato Accademico dellUniversit. In tale proposta vennero rafforzate le ragioni per lapertura dellIndirizzo Psicologia dello sviluppo e delleducazione, lunica formula che al momento
ci permetteva di ottenere lapprovazione ministeriale per lapertura del Corso di laurea.
Nella motivazione della proposta mettemmo in luce tutte le argomentazioni che ci qualificavano al riguardo. Oltre che per la competenza e interessi del corpo docente anche per le preoccupanti risultanze delle ricerche nazionali ed internazionali sulle carenze formative della nostra
scuola, specialmente a livello medio e superiore. Listituzione di un corso di laurea col suddetto
indirizzo avrebbe quindi rappresentato un significativo contributo per colmare il divario ancora esistente fra Universit e le esigenze formative del mondo della scuola e delleducazione.
Venivano poi sottolineate le ampie risorse delle iniziative editoriali, presenti in loco, con volumi e collane riguardanti larea psicologica, compresi i settori di Psicologia dello sviluppo e delleducazione e come in tali settori avessero sede in Firenze le redazioni di importanti riviste
scientificamente qualificate. Attivi anche i collegamenti per la ricerca bibliografica presso la sede
dellUniversit europea e altri centri universitari. Il prestito interbibliotecario, attivo presso la
Facolt di Magistero, permetteva di reperire le pubblicazioni necessarie ai lavori di ricerca. Da
non trascurare il fatto che nellattuale progetto, dati gli accordi con lUniversit di Bologna, lindirizzo a noi assegnato veniva a coprire, per la formazione universitaria, un arco territoriale
17
18
No, dopo Savoia c stato Sergio Givone ed sotto la sua presidenza che partito il corso di
laurea, iniziando con la formula a sviluppo bloccato, con le iscrizioni limitate a 150 studenti.
Lei quando divent Direttore di Dipartimento?
In corrispondenza dellapertura del Corso di laurea.
E in questa fase che problemi si posero?
Il Corso di Laurea, essendosi aperto a sviluppo bloccato, quindi praticamente senza nuove
risorse, grav per gran parte della propria organizzazione sul Dipartimento. Il primo anno tutti
i corsi si svolsero nella sede del Dipartimento. E sempre come Dipartimento, con le nuove esigenze di spazi per i corsi del secondo anno, collaboravamo per la ricerca di locali allesterno.
Ricordo che eravamo spesso in contatto con gli incaricati dellAteneo per cercare spazi; anche nei
teatri, specie quando, sotto le pressanti richieste degli studenti, aumentammo la leva annuale da
150 a 250 (gli aspiranti erano fin dallinizio un migliaio). C voluto molto a sganciare il
Dipartimento dai problemi della didattica per recuperare le sue caratteristiche di struttura
devoluta alla ricerca. Daltro lato quando, sotto le pressione ed il ricorso degli studenti, fu tolto
il numero chiuso il problema degli spazi divent un problema cruciale per lAteneo.
Che impressione ebbe quando fu attivato il Corso di Laurea in Psicologia? Che direzioni avrebbe preso la psicologia fiorentina? Perch era inevitabile che ci sarebbero stati
apporti di nuovi docenti, di nuovi indirizzi, di nuovi progetti.
C stata la comparsa di altri indirizzi di ricerca, che hanno arricchito il panorama scientifico del Dipartimento: con Piero Salzarulo e gli studi sul sonno, la psicologia della salute con
Saulo Sirigatti, la metodologia con Riccardo Luccio e la storia della psicologia con Luciano
Mecacci. C poi una prospettiva di sviluppo per la Psicologia del lavoro e soprattutto il progetto di trasformare il Corso di laurea in Facolt. Ci sono state poi delle modifiche anche per il
fatto che nel frattempo si verificato il passaggio del Dipartimento nellarea bio-medica.
Perch ora il Dipartimento nellarea bio-medica?
S. Ma questo non avvenuto perch ci fosse un interesse esclusivo per il settore bio-medico
pi che per il settore umanistico. La spinta fu anche di tipo economico, perch nel passato per
lassegnazione dei fondi di ricerca, il settore bio-medico aveva degli accreditamenti molto pi
elevati. Quindi non stata solo una questione culturale, ha influito anche un aspetto di tipo
pecuniario.
Limpressione che ho avuto che larea delleducazione sia andata progressivamente erodendosi nellambito della Psicologia, avendo preminenza una visione di tipo clinico nelle
applicazioni della psicologia o di tipo diagnostico, o di tipo clinico-diagnostico di orienta-
19
mento, ossia ambiti di psicologia del lavoro, che non squisitamente di psicologia delleducazione. Ecco perch le ho fatto quelle domande allinizio, proprio sullinterpretazione
della psicologia. Ho notato che questa tendenza ha avuto anche delle ripercussioni negli
stessi corsi di laurea che si stanno progettando a Scienze dellEducazione, in quella che sar
la Facolt di Scienze della Formazione anche nel caso in cui si costituisca la Facolt di
Psicologia1, cio una visione dellarea della psicologia delleducazione come strettamente
connessa soprattutto al momento scolastico, al momento educativo nel senso pi ristretto.
Mentre, per esempio agli educatori professionali, sia in ambito socio-culturale che sociosanitario, quindi a coloro che dovranno andare ad operare con giovani come quelli con cui
lei ha lavorato allinizio della sua carriera, ragazzi con difficolt o devianti, non verranno
fornite le basi per una cultura di psicologia delleducazione. Cio saranno soggetti che
andranno ad operare con questi ragazzi con una cultura di tipo clinico o tuttal pi evolutivo ma in senso lato e non in senso cos specifico. Mi sembrato che linsegnamento che
deriva dalla sua vita di studioso sia che lo studio dei processi di apprendimento nel senso
pi profondo del termine, cio dei processi della psicologia delleducazione, vada ad incidere sui processi di sviluppo, proprio su come si struttura la mente del soggetto e quindi
in senso pi ampio sugli aspetti che riguardano lo sviluppo emotivo, le relazioni affettive,
le relazioni sociali. Mentre oggi c una tendenza ad accentuare gli aspetti clinici, pi strettamente bio-medici, meno quelli formativi, educativi, che forse sarebbero il vero asse portante di una psicologia che non voglia declinare nelle neuroscienze.
Questa bandiera dovrebbe essere impugnata soprattutto nellambito della Facolt di Scienze
della Formazione. Ma anche il Corso e domani la Facolt di Psicologia dovrebbero tener conto
di questi aspetti.
Se in un domani verr attivata la Facolt di Psicologia, sar un organismo autonomo o
si appogger alla Facolt di Medicina?
La Facolt di psicologia sar autonoma, come tutte le altre Facolt. E certo questa realizzazione, alla quale sta lavorando Luciano Mecacci, anche nella sua qualit di Pro-Rettore, permetter di acquisire nuove e pi consistenti risorse.
In questi ultimi anni prima del suo pensionamento ha ricoperto a livello di Ateneo un
ruolo di Coordinatore della SSIS (Scuola di Specializzazione per lInsegnamento delle
Scuole superiori). Si tratta dellOrganismo che, mediante un corso biennale, permette ai
neo laureati di ottenere labilitazione allinsegnamento. Come mai si dedicato a questa
iniziativa?
Innanzitutto il Corso di laurea, con la presidenza Sirigatti e il Dipartimento con la direzione Luccio non avevano pi bisogno di me, ma soprattutto perch ho visto in questa proposta
1
20
legislativa un progetto che favoriva un salto di qualit nella formazione degli insegnanti: non
solo nei metodi didattici per linsegnamento della propria disciplina, ma anche nellopportunit di offrire una conoscenza teorico-pratica delle competenze nei vari settori delle scienze delleducazione. Si trattato di un incarico nel quale ho dovuto interessarmi anche di aspetti organizzativi, in ci sostenuto dalla costante collaborazione sia del Preside Paolo Orefice che del
Rettore Paolo Blasi, ma anche dalla simpatia di Paolo Marrassini e Roberto Casalbuoni, Presidi
delle Facolt di Lettere e Filosofia e di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali. Soprattutto per
ho posto attenzione affinch lorganizzazione e la conduzione degli insegnamenti si svolgesse
secondo i criteri innovativi della legge. In ci aiutato dai docenti universitari e dai bravi docenti delle scuole secondarie che avevano vinto il concorso per il ruolo di supervisori della attivit
didattiche e dei tirocini.
Se dovesse fare una sintesi di tutta la sua esperienza sia scientifica sia di studioso che ha
lottato anche sul piano organizzativo per far emergere un Corso di Laurea e per organizzare la SSIS che visione dinsieme ha oggi di questa sua vicenda? Qual leredit che lascia,
lapporto che pensa di aver dato sia sul piano scientifico sia sul piano istituzionale?
una domanda bella ma difficile. difficile racchiudere la risposta in una formula o in
poche parole. C stata sempre questa propensione a far cose fra loro coerenti sul piano organizzativo e sul piano della ricerca. Mi sembra che questo collegamento, questa corrispondenza tra
attivit di ricerca ed organizzativa sia stata una delle caratteristiche di questa mia vicenda.
2
Percorsi di ricerca in psicologia della lettura
Filippo Boschi
Universit di Firenze
22
Filippo Boschi
23
fra pensiero e linguaggio nella prospettiva concettuale che, a partire dagli anni Settanta sta
procedendo al superamento di una visione astratta dei suddetti rapporti, ponendo invece
laccento sullanalisi delle strutture semantiche e cognitive sottostanti lacquisizione del linguaggio. I suddetti risultati sulle relazioni fra pensiero-lettura iniziale sembrano confermare pi la posizione piagetiana sulle relazioni pensiero-linguaggio che una posizione
esclusivamente linguistica.
Ricerche di questo tipo sono decisive anche per gli orientamenti applicativi a livello
delle prime fasi dellapprendimento della lettura.
Studi sullo sviluppo lessicale
Linteresse per lo studio dello sviluppo lessicale si sviluppato con lintento di confrontarsi con i termini del dibattito svolto allo scopo di conferire al concetto di sviluppo
uno statuto epistemologico valido sia dal punto di vista teorico che sperimentale.
La sperimentazione sui modelli di sviluppo presenta particolare interesse in quanto permette di chiarire, nellarea presa in esame, leventuale emergenza di differenze stadiali o
scansioni caratterizzate da fenomeni di priorit temporali (decalages).
Le concezioni neostrutturali e interattivo-cognitiviste (Case, Mounoud) tendono a
integrare lidea secondo cui lo sviluppo cognitivo si realizzerebbe secondo stadi caratterizzati da operazioni molto generali, con una concezione che implica una fondamentale partecipazione di componenti operazionali specifiche ai vari campi di conoscenza. In tal senso,
la maggior importanza attribuita allinterazione dei fattori ambientali (in particolare dellambiente umano) con gli schemi organizzativi interni, agli effetti dellapprendimento,
permette di superare una concezione dello sviluppo come sequenza normativa di operazioni molto generali, in cui lordine delle acquisizioni sia prefissato ed immutabile ed
ammette che una variazione nel ritmo di sviluppo dipenda anche dalle disponibilit di stimoli ambientali appropriati. Si tratta di un processo interindividuale nel quale il fanciullo
fa la sua parte, fornendo il contributo della propria organizzazione interna.
Quando abbiamo iniziato ad occuparci dello sviluppo lessicale non pensavamo che ci
saremmo imbattuti in un campo cos vasto e ricco di zone ancora inesplorate.
Per molti anni alcuni linguisti avevano escluso lo studio del lessico, perch mancante di
quelle regolarit richieste per un inquadramento rigoroso. Per Bloomfield, ad esempio,
il lessico rappresentava una somma di irregolarit. Ma anche dopo la rivoluzione linguistica verificatasi ad opera del paradigma chomskiano, lo studio del lessico rimase a lungo trascurato.
Alinei (1974) afferma per la mancanza di una teoria e di un metodo adeguati, il lessico rimasto finora come una sconfinata foresta di cui, al massimo, conosciamo alcuni
alberi.
Seguendo una prospettiva pi generale, nelle nostre ricerche abbiamo lavorato per cercare o meno conferma alla tesi secondo cui lo sviluppo del linguaggio si realizzerebbe ad
opera di un apprendimento controllato da regole. Un appoggio a questa ipotesi sarebbe
24
Filippo Boschi
indicato dalla documentazione di un vertiginoso aumento di parole conosciuto che si verifica negli anni di scuola.
stato stabilito, con sempre maggiore precisione che a partire da due anni il bambino
accresce il suo patrimonio lessicale con una media di circa 10-13 parole al giorno. A cinque sei anni conosce circa 3-4 mila vocaboli, con un aumento annuo che varia, secondo le
stime, da 2 a 3500 termini (appunto circa 10 al giorno). Alla fine delle scuole medie superiori pu raggiungere 40.000 vocaboli se si escludono le molteplici derivazioni legate alle
varie modificazioni di un termine (es.: coniugazioni verbali, suffissi, ecc.), altrimenti pu
conseguire la cifra di 80.000 parole fino anche a 100.000 in soggetti con cultura a livello
universitario. Non sarebbe possibile che un bambino acquisisse 10 parole al giorno se lo
dovesse fare imparando le parole separatamente. quindi plausibile un apprendimento
guidato da regole. A conferma di tale posizione sono da citare anche i fenomeni di ipercorrettismo.
Nella nostra ricerca abbiamo esplorato questa ipotesi nel caso delle Grammatiche infantili, nel quadro della prospettiva, in gran parte condivisa, che lo sviluppo lessicale sia caratterizzato da cambiamenti progressivi nelle concezioni che il fanciullo si forma riguardo alle
parole e alle regole per cui queste diventano comprensibili. Le diverse spiegazioni espresse
dalla mente del fanciullo nelle varie fasi dello sviluppo cambiano in funzione dellarricchimento delle conoscenze esperienziali e linguistiche, cos le teorie esplicative dei fanciulli
tendono ad abbandonare le spiegazioni inadeguate per avvicinarsi a quelle degli adulti pi
complesse e culturalmente mediate. Siamo partiti dalla definizione delle Grammatiche
infantili, con un inquadramento che le distingue dalle Grammatiche delladulto, elaborando due differenti modelli multidimensonali di competenza lessicale (Tabella 1 e 2).
Abbiamo appositamente elaborato una prova analitica di definizione lessicale (Prove
analitiche di vocabolario) con 4 alternative a scelta multipla. Fra le 3 risposte errate solo
una riguardava le grammatiche infantili (distrattore critico distinto dai distrattori comuni).
Come si vede dalla tabella 3 il distrattore critico, fra le risposte errate, scelto in
maniera significativamente superiore rispetto ai distrattori comuni.
La sperimentazione ci ha permesso dunque di confermare la validit della posizione che
giustifica lipotesi delle grammatiche infantili, cio di un apprendimento controllato da
regole e che appare rivelato da una serie di tentativi che mostrano lintenzione del bambino di scoprire ed applicare delle regole.
Tautologie
Vincoli grafo
fonemici
Effetti consecutivi
Valore di immagine
Significato
dominante
Frequenza duso
25
CO LE in contesto saliente
Sin.
Ant.
Categ.
Funz.
Sin.
Ant.
Categ.
Funz.
n
472
495
521
critico
Media Ds
3.10
2.36
1.61
1.67
1.57
1.45
comune
Media Ds
1.19
1.00
.90
1.14
.99
.94
19.17
15.53
9.50
.00
.00
.00
Tale fenomeno si verifica anche nelladulto non culturalizzato. Cfr. definizioni del tipo
boccaccesco: uno che fa le boccacce, encefalo: un pesce, ecc.
La sperimentazione sulla competenza lessicale ci ha permesso inoltre di mostrare, a
livello dellet evolutiva, la distinzione cognitiva fra fattore semantico e fattore pragmatico, cio fra la capacit di cogliere il significato delle parole quando il contesto critico
e quando non lo .
Abbiamo pure mostrato che lo sviluppo lessicale avviene in maniera discontinua per fasi
critiche, fra gli 8 e gli 11 anni.
Questi studi sul lessico sono stati riportati nel libro Le parole e la mente (1992).
Gli interessi per lo studio del linguaggio sono stati ulteriormente sviluppati autonomamente da Luigi Aprile nel libro Linguaggio lessicale e conoscenza sociale del bambino (1993)
e da Giuliana Pinto nel libro Dal linguaggio orale alla lingua scritta (1993).
(B) Livello avanzato di lettura
il settore di ricerca che pi direttamente stato influenzato dai risultati del progetto
IEA-CNR, ma gi allinizio degli anni Sessanta avevamo cominciato a lavorare su un problema teorico: lindividuazione dei fattori fondamentali nella comprensione della lettura,
che si era concluso con la pubblicazione del citato test per studenti di scuole superiori.
26
Filippo Boschi
Il dibattito sulla validit metodologica delle ricerche volte ad individuare i suddetti fattori si sviluppato per quasi 30 anni, dagli inizi degli anni Quaranta fino allinizio degli
anni Settanta. Agli inizi degli anni Settanta la situazione vedeva i sostenitori delle differenti
concezioni riportati in tabella 4.
Non eravamo inizialmente attrezzati per portare un contributo alla ricerca sui fattori
fondamentali della lettura. Nel volume Psicologia della lettura (1977) avevamo portato
Tabella 4. Risultati delle analisi fattoriali sulle capacit di lettura. [Quadro sintetico tratto da Boschi, 1977]
Fattori isolati
Metodo di analisi
Fattori separati:
Conoscenza delle parole
Ragionamento verbale
Significato letteraleSeguire la struttura
del brano
Capacit di individuare le tecniche letterarie
Unidimensionale di Spearman
Spearritt D. (1972)
Rifattorizzazione dei
dati di Davis 71
27
Power
%
Speed
%
Rate
%
Pensiero critico
Pensiero divergente
Funzioni di personalit
48,4
4,7
46,9
32,6
14,9
52,5
54,4
17,3
28,5
invece un contributo sui modelli di lettura dando supporto empirico allidea della lettura
come compito complesso ed abbiamo analizzato con metodologie statistiche le varie modalit di lettura, evidenziando tre tipologie: Il Modello del power (lettura lenta, approfondita e corretta), dello speed ( lettura molto rapida e poco corretta), del rate (lettura sufficientemente rapida e corretta ). Per ogni tipologia stato indicato il differente peso dei
fattori di pensiero convergente, divergente e di personalit, precisando il contributo percentuale delle variabili di pensiero convergente, divergente e di personalit, rispetto alla
varianza spiegata nei modelli del Power, Speed e Rate di lettura (Tabella 5).
Come abbiamo visto dalle analisi statistiche sopra riportate, agli inizi degli anni
Settanta si era giunti ad una situazione di stasi un punto (luogo) aporetico che non sembrava permettere ulteriori sviluppi.
Le caratteristiche di questo dibattito contraddittorio e inconcludente possono cos riassumersi:
disaccordo sul metodo di analisi statistica. La pluralit dei fattori evidenziata da
metodi che mostrano livelli di varianza significativi ma bassi;
insufficiente specializzazione delle domande (che non escludono altri fattori);
bias di procedura: pi domande riferibili a funzioni differenti, presentate dopo uno
stesso brano, non permettono, per linterferenza di elementi spuri, di ottenere un soddisfacente accertamento delle differenti abilit di comprensione;
limitazioni dovute al ricorso al modello teorico neobehaviorista del tempo.
Dagli anni Settanta in poi le cose sono andate cambiando nel settore in esame. E ci
per le influenze della psicolinguistica chomskiana e post chomskiana, della psicologia
cognitivista nelle sue varie correnti e delle teorie costruttiviste.
Nuovi termini indicano le nuove acquisizioni. Si ipotizzato che la conoscenza viene
stoccata in strutture schematiche e la comprensione costituita dallinsieme dei processi
coinvolti nel formare, elaborare, modificare o integrare queste strutture di conoscenza
(Anderson, Spiro, Rumelhart, Ortony, 1977). Altre teorie hanno proposto distinzioni fra
conoscenza strategica, di contenuto, e metacognitiva.
Secondo Kitsch e Van Dijk la nozione di macrostruttura spiega la rappresentazione del
significato in memoria e quindi pu rendere espliciti termini quali tema, trama, idea, schema, usati in altri lavori.
Per verificare se strutture linguistiche o logiche inerenti al brano facilitano la comprensione sono state formulate numerose grammatiche che hanno trovato larga applicazione
nello studio dei brani descrittivi e delle storie.
28
Filippo Boschi
Tabella 6. Analisi fattoriale per 5 forme di Linguaggio su alunni di III Media (N. 443). Metodo Varimax.
Variabili
Fattore 1
Parafrastico
Inferenziale
Logico
Critico valutativo
Estetico poetico
Varianza spiegata: 49%
.69397
.67606
.77803
.69738
.65767
Tabella 7. Risultati di analisi fattoriale dopo rotazione degli assi (Metodo Varimax). III Media.
Linguaggio
Fatt. 1
Fatt. 2
Fatt. 3
Fatt. 4
Fatt. 5
Paraf
Infer.
Logic.
Crit.Val.
Est.Poet
.19011
.97535
.05000
.03389
.18712
.18841
.04622
.94455
.22281
.21030
.31059
.03274
.20466
.91349
.19016
.23477
.15685
.19380
.18974
.91578
.88135
.14453
.16087
.28060
.21435
Var. spieg.
53%
19%
12%
9%
7%
29
30
Filippo Boschi
La ricerca esposta nel libro, scritto con Giuliana Pinto: Come leggono i giovani maturi (1979).
Campione esaminato: 308 studenti di ambo i sessi dellultimo anno del liceo classico e
scientifico.
Capacit esaminata: Comprensione della lettura.
Conclusione: I nostri giovani, scolasticamente maturi, mostrano di essere ampiamente alfabetizzati per quanto riguarda la quantit di lettura, mentre appaiono ancora analfabeti nella capacit di leggere in modo critico-valutativo e creativo, di collegare con lazione innovativa le informazioni assunte leggendo e di prendere spunto dalle letture per
intensificare e migliorare la comunicazione interpersonale.
Gi nel lavoro citato sono ampiamente previste analisi sulla concezione della lettura
avanzata da parte del soggetto. In un lavoro del 1984 ci riferiamo esplicitamente agli aspetti metacognitivi, invitando i soggetti a confrontare il concetto lettura con altri concetti che
studi precedenti avevano mostrato ad essa correlati: comprensione, piacere, studio, ragionamento, curiosit, fatica, nozionismo, ansia. Lipotesi portava a prevedere che i lettori
abili rispetto ai lettori scadenti mostrassero una pluralit di modelli di lettura. Lanalisi sui
concetti indicati stata condotta con la tecnica del Differenziale Semantico (e col test non
parametrico di Wilcoxon) mediante lapplicazione di 12 scale di quantificatori bipolari
(caldo-freddo, sacro-profano, sottile-grosso, pesante-leggero, teso-disteso, ecc. ).
Nei buoni lettori i concetti di ansia e nozionismo compaiono significativamene ad una
distanza maggiore degli altri rispetto al concetto criterio mostrando che i lettori abili qualificano lesperienza di lettura come particolarmente lontana dallansia e dal nozionismo e,
sia pure in maniera pi attenuata, anche dalla fatica. Altri concetti, in ragione della loro
reciproca vicinanza, rappresentano costellazioni o modelli chiaramente distinguibili. Un
primo modello espresso dal raggruppamento Comprensione-Piacere-Studio. Tale concezione sembra esprimere una esperienza di lettura piacevole che pu verificarsi anche nello
studio, quando questo richiede un livello di comprensione immediata, non faticosa. Un
secondo raggruppamento isola Piacere-Studio-Ragionamento e sembra esprimere un
modello esperienziale in cui la lettura continua a presentare analogie di significato con i
concetti Piacere e Studio in riferimento a testi pi impegnativi, in rapporto ai quali si realizza una comprensione approfondita, attraverso mediazioni ragionative. Un terzo raggruppamento che comprende Studio-Ragionamento-Curiosit sembra esprimere un modo
di concepire la lettura in funzione dello studio e di un ragionamento approfondito in cui
le motivazioni sono di tipo esplorativo (curiosit) pi che di tipo emotivo-affettivo
(Berlyne, 1960).
I raggruppamenti o modelli propri del lettore abile mostrano dunque unadeguata integrazione di esperienze nelle quali si intrecciano modalit intellettive che vengono evocate in
rapporto a differenti livelli di approfondimento (comprensione immediata, mediazioni
ragionative). Tali modalit compaiono nei modelli del lettore abile sempre integrate ad
istanze motivazionali (Piacere-Curiosit). Nei lettori abili dunque possibile cogliere i segni
di unarticolata esperienza di lettura, intrinsecamente motivata, rispetto a ben definiti rag-
31
32
Filippo Boschi
R = f (E) = f (D x H)
Se una risposta che corretta, in relazione ad un compito che deve essere appreso, si
trova al livello pi elevato nella gerarchia delle risposte (cio pi probabile a verificarsi
delle altre risposte), allora gli individui con pi elevato livello di drive (D) e di H apprenderanno pi efficacemente di quelli con basso livello di D e di H. Ovvero, come dicono
ancor pi chiaramente Keller e Rowley (1962), se la situazione di apprendimento semplice, cio se comporta una risposta unica o dominante, i soggetti ansiosi realizzeranno un rendimento superiore in ragione del loro pi elevato livello di drive, ma se la situazione di apprendimento complessa, emergeranno numerose possibilit di risposta e, se la risposta dominante
non corretta, lelevato livello di drive sar di ostacolo alla soluzione adeguata .
Tale posizione implica dunque che le persone che presentano un elevato livello di
drive impareranno pi facilmente in una situazione di apprendimento semplice, come il tipico condizionamento, mentre non saranno altrettanto abili in una situazione di apprendimento complesso, dove sono presenti tendenze a risposte che sono in competizione fra loro.
Come misura di drive Taylor e Spence considerano i punteggi nella scala dansia (Taylor
Manifest Anxiety Scale), identificando, almeno nelle prime ricerche, ansiet e pulsione (D).
tuttavia difficile realizzare unimpostazione didattica che conduca al superamento del
nozionismo mascherato che deriva dallacquisizione assimilativa dei concetti. Ed anche difficile trovare un punto di equilibrio fra le conoscenze da acquisire e le indispensabili modalit di elaborazione profonda degli apprendimenti.
Studi sulla valutazione
Oltre ai lettori ci siamo occupati anche dei docenti e delle loro capacit di valutare gli
allievi.
Nel libro Valutare i valutatori (1987) curato con Silvana Caluori e Sebastiano Arnolfo
Tilli , con scritti di Cristina Cencetti, Giuliana Mazzoni, Giuliana Pinto e Ida Scibetta
abbiamo fornito le prove empiriche che possibile trasformare dei cattivi valutatori in
buoni valutatori, applicando metodologie consistenti nel fornire buone griglie di osservazione task-orienting e sottoponendo i valutatori ad un training adeguato.
Altre rilevazioni mettono in luce carenze nelle conoscenze psicologiche negli autori dei
libri di testo (Tabella 9).
Le stimolazioni didattiche, presentate dalle domande per la verifica della comprensione dei brani, sono risultate inadeguatamente distribuite, trascurando quindi di stimolare le
competenze cognitivo-linguistiche fondamentali.
(D) Interventi mirati intenzionali basati su modelli
Se certe caratteristiche e certe stimolazioni sequenziali sperimentalmente verificate rappresentano le modalit efficaci di azioni necessarie e non vicariabili per ottenere successo
nellapprendimento, occorre predisporre dei protocolli rappresentati da organici interventi mirati intenzionali.
33
Tabella 9 Istogramma con le percentuali di stimolazioni didattiche relative alle cinque competenze linguistiche
di base nel totale dei testi considerati.
40,3
parafrastica
40
30,8
inferenziale
logica
critico-valutativa
estetico-poetica
criterio di riferimento
8,9
11,2
20
8,8
1
competenze cognitivo-linguistiche
34
Filippo Boschi
Metodi di analisi:
Modelli verificati:
Metodi di analisi:
35
Modelli verificati:
Metodi di analisi:
Consapevolezza dei processi di comprensione da parte degli insegnanti e degli autori dei libri di testo
La valutazione attendibile
Metacognizione e interventi didattici
Controllo dellequazione personale
Tecniche statistiche descrittive, parametriche e non parametriche,
gruppi sperimentali e gruppi di controllo
36
Filippo Boschi
Modelli verificati:
Metodi di analisi:
Tecniche statistiche descrittive, parametriche e non parametriche, tecnologie del testing, profili individuali, gruppi sperimentali e gruppi di
controllo.
37
Le voci bibliografiche qui riportate si riferiscono prevalentemente ai contenuti della relazione. Numerose altre voci sono presenti allinterno dei lavori citati.
3
Studi sul ruolo della memoria di lavoro
nella comprensione del testo
Cesare Cornoldi, Rossana De Beni e Barbara Carretti
Dipartimento di Psicologia Generale
Universit di Padova
Per una breve nota associata ad una iniziativa volta a festeggiare il collega Boschi, non
potevamo non partire da tematiche relative alla lettura per le quali, nel corso degli anni,
egli ha fornito una serie di significativi contributi, sia relativi alla riflessione teorica (per es.
Boschi, 1977), sia con riferimento alla predisposizione di utili strumenti di valutazione
(per es. Boschi, Aprile e Scibetta, 1989, 2000). Questa nota il risultato di una rielaborazione di nostri precedenti materiali e, in particolare, del capitolo che, sul tema dei disturbi della comprensione, abbiamo recentemente scritto per un volume curato da Vicari e
Caselli e pubblicato da il Mulino (Carretti, Cornoldi e De Beni, 2002).
Gli ultimi trenta anni di ricerca in psicologia hanno permesso di individuare la complessit del compito di lettura, distinguendo al suo interno differenti sottocomponenti.
Una distinzione ormai consolidata quella fra la componente di decodifica (lettura ad alta
voce) e la lettura come comprensione. Per decodifica si intende la capacit di riconoscere e
nominare correttamente le parole che compongono un testo, mentre la comprensione
riguarda la capacit di cogliere il significato del testo.
La differenziazione dellabilit di leggere un testo in due componenti porta necessariamente a domandarsi che relazione esista fra loro: sicuramente sarebbe banale affermare che
le due componenti sono fra loro indipendenti. Se pensiamo ad un bambino che impara a
leggere, labilit di decodificare un testo strumentale allabilit di comprensione: non
potrebbe esistere la comprensione se prima il lettore non in grado di decifrare il testo e
viceversa la comprensione facilita la decodifica. Tuttavia unampia serie di prove (vedi per
esempio Papetti, Cornoldi, Pettavino, Mazzoni e Borkowski, 1992; Pazzaglia, Cornoldi e
Tressoldi, 1993) ha ormai documentato la sostanziale indipendenza fra gli aspetti della
decodifica e della comprensione. Queste prove riguardano le differenze nei pre-requisiti,
nelle abilit implicite, nei processi sottostanti, nei disturbi, nei programmi di trattamento.
Unimplicazione importante in campo educativo dellesistenza di due componenti
distinte, che richiedono il funzionamento di processi cognitivi sottostanti differenti, sta
40
nella necessit di progettare percorsi di insegnamento diversi, tenendo conto delle peculiarit dei processi.
Per la decodifica ad esempio, linsegnamento dovr mirare allautomatizzazione del processo di riconoscimento di parole e frasi, passando da una lettura basata sulla trasformazione
grafema/fonema per ogni parola, al riconoscimento rapido di gruppi di lettere e unit sublessicali, alla lettura guidata dallaccesso a quello che viene chiamato lessico visivo (Coltheart,
1978, 1981), che consente il recupero diretto della forma fonologica della parola.
Per la comprensione sar necessario ad esempio promuovere labilit di individuare le
informazioni principali in un testo, la struttura di un testo, le caratteristiche che rendono
i testi pi facili o pi difficili o labilit di trarre inferenze sia lessicali che semantiche.
Se dovessimo fare una graduatoria ideale delle capacit che hanno particolare rilevanza
nella vita degli esseri umani, il processo di comprensione del testo sarebbe sicuramente fra
i primi posti (Reed, 1988): per fare solo un esempio di unattivit centrale tratta dalla vita
tipica di un giovane occidentale, studiare richiede la capacit di comprendere un testo. Le
fasi attraverso cui si realizza la capacit di studiare un testo, e quindi di apprendere, prevedono, infatti, che lo studente capisca il contenuto di ci che legge, per poi riuscire a memorizzarlo, utilizzarlo nel momento giusto (ad esempio in fase di verifica) e generalizzarlo ad
altri contesti. Leggere poi sempre un leggere per capire anche quando non studio, come
accade ad esempio nel leggere lorario ferroviario, leggere le istruzioni di un elettrodomestico, leggere per piacere, ecc.
Capire un testo non significa semplicemente riuscire a ritrovare il significato di una
frase aggiungerlo a quello della frase successiva, e ripetere questa operazione fino alla fine
del brano; esperimenti ormai classici della psicologia cognitiva (Bransford e Johnson,
1973) hanno, infatti, dimostrato come il lettore possa comprendere senza alcuna difficolt un brano ad un livello superficiale textbase del testo (Kintsch e van Dijk, 1978)
ma non riuscire a ritrovare il senso di quello che legge. Questo ci dice che comprendere
richiede lintervento di processi complessi, che non si esauriscono nellassociazione fra la
forma scritta della parola e le sue caratteristiche lessicali e semantiche, ma richiede una
costruzione attiva del contenuto del testo. La costruzione di una rappresentazione mentale del contenuto del testo dipende dalla combinazione di variabili che riguardano il lettore (i suoi processi percettivi, le sue conoscenze, la sua memoria a breve termine, ecc.), il
tipo di compito che gli richiesto e il tipo di testo.
La comprensione del testo riveste un ruolo fondamentale nellapprendimento scolastico. Nel caso dei lettori che associano ad un disturbo focalizzato di comprensione adeguate abilit di tipo generale, ci potremmo aspettare una prestazione scolastica, che pur non
essendo gravemente insufficiente, risulti comunque inferiore a quella attesa sulla base delle
loro abilit: una difficolt specifica di comprensione probabilmente non preclude il proseguimento degli studi, ma potr rallentarlo o ripercuotersi negativamente sui risultati.
Le ricerche hanno, infatti, evidenziato che lettori con difficolt di comprensione del
testo hanno risultati scolastici pi scadenti di lettori senza difficolt. Inoltre, considerando
il destino scolastico dei lettori con difficolt, sembra che la presenza del deficit influenzi
pesantemente le scelte scolastiche di questi ragazzi: Carretti, De Beni e Palladino (2000)
hanno trovato che in un gruppo di cattivi lettori studiati longitudinalmente per sette anni,
Studi sul ruolo della memoria di lavoro nella comprensione del testo
41
i lettori che ad una prima valutazione (effettuata in prima media) erano stati selezionati
come cattivi lettori, ma che successivamente erano migliorati presentando delle prestazioni nel compito di comprensione del testo pari a quelle dei buoni lettori, continuavano tuttavia a seguire un percorso scolastico simile a quello dei cattivi lettori che avevano riconfermato il deficit. Le scelte scolastiche si orientavano pi verso gli istituti professionali e
tecnici, e gli abbandoni scolastici erano in numero simile a quelli del gruppo di lettori che
aveva mantenuto la difficolt di comprensione. Questo dato sembra indicare che la presenza precoce di un deficit influenzi a livello emotivo-motivazionale le scelte dei ragazzi;
vissuti di insuccesso li spingono a trovare fuori della scuola delle gratificazioni, anche quando in realt il deficit non pi presente.
La letteratura sullargomento ha evidenziato che a livello emotivo-motivazionale le frequenti frustrazioni in ambito scolastico fanno s che i ragazzi con disturbi dellapprendimento sviluppino delle convinzioni distorte sulle proprie possibilit di riuscita (Ehrlich,
Kurtz-Costes e Loridant, 1993) presentando a volte anche degli stati depressivi (Palladino,
Poli, Masi e Marcheschi, 2000). Carol Dweck ha cercato di spiegare la presenza di questi
vissuti emotivo-motivazionali pessimistici negli alunni con difficolt di apprendimento.
Nel suo modello motivazionale (Dweck e Leggett, 1988) i ragazzi con difficolt specifiche
di apprendimento sarebbero talora contraddistinti da un orientamento poco funzionale
allapprendimento, associato allimpotenza appresa (helplessness), che si caratterizza per una
percezione di mancanza di controllo su ci che accade. Per spiegare come ci si verifichi,
Dweck parte dallo schema di comportamento manifestato solitamente dallo studente con
difficolt di apprendimento: cio di evitamento e di scarsa persistenza nelle prove. Tale
modo di agire viene fatto risalire ad un basso livello di autostima percepita. Il livello di
autostima percepita secondo lautrice viene influenzato dallobiettivo di apprendimento
orientato alla prestazione (ottenere giudizi positivi/evitare giudizi negativi) che il bambino
si prefigge. A sua volta, un obiettivo di apprendimento orientato alla prestazione sottende,
secondo le autrici, una teoria dellintelligenza statica (entit): i ragazzi con difficolt di
apprendimento mostrano una tendenza a credere di essere scarsamente intelligenti e di non
poter fare nulla per migliorare le loro prestazioni; questa convinzione li porta ad evitare le
situazioni difficili aspettandosi da loro solo valutazioni negative, che minerebbero ulteriormente la loro autostima.
Cornoldi, De Beni, Palladino e Pazzaglia (2002) hanno evidenziato un forte legame fra
difficolt di comprensione del testo e successo accademico anche in studenti universitari:
gli autori hanno studiato un gruppo di studenti con buone capacit intellettive generali,
ma con specifiche difficolt nella comprensione di testi complessi (selezionato da un campione di studenti della Facolt di Psicologia di Padova) appaiandolo ad un gruppo di studenti senza difficolt. Il confronto tra le medie desame dei due gruppi ha evidenziato una
differenza significativa, con una media dei cattivi lettori di circa due punti inferiore a quella dei buoni. In una seconda analisi gli autori hanno tenuto conto delle ripetizioni dellesame di Psicologia generale (uno dei primi esami della Facolt di Psicologia), registrando
il numero di volte successive alla prima in cui ogni singolo studente affrontava lesame.
Anche se in valore assoluto il numero di ripetizioni risultato piuttosto basso per entrambi i gruppi di buoni e cattivi lettori, lanalisi delle frequenze distinguendo tra quanti non
42
hanno mai ripetuto lesame e chi lo ha ripetuto almeno una volta, ha evidenziato una differenza tra i due gruppi.
Linsieme dei risultati esposti conferma lipotesi relativa ad una maggiore difficolt sperimentata dai cattivi lettori ed evidenzia che un disturbo specifico di comprensione, non
associato ad altri problemi di ordine pi generale, pu rallentare e rendere pi difficile lo
svolgimento dellintero percorso di studi, anche se non precluderlo.
La relazione fra memoria di lavoro e comprensione del testo
Negli anni svariate ricerche hanno tentato di mettere in relazione misure di ricordo
immediato e la comprensione del testo, senza per trovarla. In realt la misura della sola
componente passiva della memoria a breve termine non rispecchia adeguatamente le
caratteristiche del processo di comprensione del testo che richiede invece limpegno di un
sistema attivo di memoria di lavoro (ML) ovvero la capacit di mantenere e contemporaneamente di elaborare il contenuto del testo.
Daneman e Carpenter (1980) partendo da questa riflessione hanno costruito una prova
che pone richieste di elaborazione e di mantenimento: il Reading Span Test. La prova si
compone di una serie di frasi, di facile comprensione (del tipo: Il burro e la marmellata
vanno con il pane); il soggetto deve leggerle o ascoltarle (nel caso le frasi debbano essere
ascoltate si tratter di listening span test), decidere se sono vere o false e ricordare lultima
parola di ogni frase. Le frasi sono presentate in gruppi da due, da tre, da quattro, da cinque e da sei; ogni gruppo di frasi si ripete tre volte. Alla fine di ogni set il soggetto dovr
ricordare lultima parola di ogni frase che ha letto: potr dover ricordare, quindi, due, tre,
quattro, cinque o sei parole. La misura dello span raggiunto data dal livello massimo di
complessit in cui le risposte del soggetto sono sempre corrette: ad esempio sar assegnato
uno span uguale a tre, se nei tre set da due frasi e nei tre set da tre frasi, il soggetto non ha
mai commesso errori.
Nella loro ricerca le autrici hanno correlato la misura ottenuta al Reading span test con
i risultati di tre prove di comprensione: la prima richiedeva che il soggetto rispondesse a
delle domande su un brano, la seconda richiedeva di identificare il referente di un pronome e la terza era il Verbal Scholastic Aptitude Test (VSAT), che misura diverse sottoabilit di lettura: dalle analisi sono risultate delle alte correlazioni fra la misura di span e la prestazione ai test di comprensione.
In un secondo esperimento, le due autrici (Daneman e Carpenter, 1980) hanno esaminato come le differenze nella ML di buoni e cattivi lettori possano influenzare la comprensione del testo. A questo scopo ai due gruppi di soggetti stato presentato il Reading-span
test e un brano. Il compito previsto dalla seconda prova richiedeva di leggere il brano ed
individuare il referente di un pronome, il quale si poteva trovare ad una distanza variabile.
I risultati dellesperimento hanno mostrato che i lettori con span maggiore erano pi abili,
dei lettori con span minore, nel trovare il corretto referente ad una distanza maggiore.
Le conclusioni cui giungono Daneman e Carpenter sono le seguenti:
1. la capacit della memoria di lavoro (cos come viene misurata dal Reading span test)
cruciale nella comprensione del linguaggio;
Studi sul ruolo della memoria di lavoro nella comprensione del testo
43
2. le differenze fra buoni e cattivi lettori sono ascrivibili alla minore efficienza dei meccanismi di elaborazione della memoria di lavoro: nei cattivi lettori le informazioni importanti sono meno attive in memoria o non vengono ricodificate in unit significative che
consentirebbero di non sovraccaricare il sistema.
Engle, Cantor e Carullo (1992), hanno testato la validit di quattro ipotesi sulle differenze individuali nella memoria di lavoro: lipotesi di un deficit di elaborazione semantico di Daneman e Carpenter (1980); lipotesi di un deficit generalizzato di elaborazione
di Case (1985); lipotesi di una differenza generale nella capacit della ML di Turner e
Engle (1989) e lipotesi dellutilizzo strategico delle risorse di Carpenter e Just (1989)
concludendo che le differenze individuali sono dovute ad una differenza nella capacit
della ML, non relativa esclusivamente al materiale linguistico (vedi anche Swanson, 2000).
A sostegno di questipotesi, studi su ragazzi di scuole medie ed elementari hanno dimostrato come la prestazione dei cattivi lettori sia scadente anche in compiti di memoria di
lavoro, in cui il materiale presentato non richiede elaborazione semantica (De Beni,
Palladino, Pazzaglia, 1995). Le ricerche successive di Engle e collaboratori (Cantor ed
Engle, 1993; Conway ed Engle, 1994) hanno ampliato e perfezionato le conclusioni dello
studio precedente. Gli autori in sostanza concludono affermando che i soggetti con alto e
basso span complesso differiscono nel recupero dalla memoria a breve termine per una
diversa abilit nellinibire le informazioni non importanti. Questa abilit necessaria per
le limitate risorse attenzionali del sistema cognitivo, ci significa che non tutti gli elementi possono essere investiti dalla stessa attivazione. Una tale concezione , secondo Conway
e Engle, in linea con lultima concezione di Baddeley (1986, 1996) di memoria di lavoro,
in cui lesecutivo centrale rappresentato come sistema attenzionale (vedi anche Norman
e Shallice, 1980) la cui peculiarit quella di agire come filtro per selezionare solo le informazioni rilevanti, che verranno attivate e mantenute, e scartare le informazioni superflue.
Un altro importante contributo allo studio del meccanismo di inibizione e dei rapporti con le differenze individuali nella comprensione, proviene dagli studi di Gernsbacher e
collaboratori, sia pure con un riferimento meno diretto alla memoria di
lavoro(Gernsbacher, Varner e Faust, 1990; Gernsbacher e Faust, 1991; Gernsbacher,
1993). Secondo le ipotesi degli autori, il lettore per arrivare a comprendere ci che legge,
deve costruire una rappresentazione coerente del brano. La sua costruzione avviene partendo dai primi elementi contenuti nel testo: sulla base del loro contenuto alcune informazioni in memoria saranno attivate, altre saranno inibite. Proseguendo la lettura, se le
informazioni attivate saranno ancora coerenti, la costruzione sar mantenuta, in caso contrario saranno attivate altre celle della memoria e ricomincer il processo di costruzione.
Ai fini della comprensione del testo sar proficuo che la costruzione sia unica, quante
pi substrutture saranno create tanto pi difficoltoso sar il recupero del significato. In
accordo con questa visione, i cattivi lettori, non riuscendo ad inibire le informazioni irrilevanti, mantengono attive in memoria troppe substrutture, le quali appesantiscono la rappresentazione globale del testo. Tale deficit dei cattivi lettori non limitato solo alla comprensione di materiale linguistico. Infatti, le ricerche di Gernsbacher e Faust (1991) hanno
evidenziato come anche utilizzando materiale non verbale i cattivi lettori siano pi lenti
nellinibire le informazioni.
44
In una nostra ricerca (De Beni, Palladino, Pazzaglia e Cornoldi, 1998), abbiamo operazionalizzato lipotesi del deficit di inibizione misurando il numero di intrusioni in un
compito particolare di memoria di lavoro. La prova comprendeva in una serie di liste di
parole, raggruppate in set da tre, quattro, cinque, sei liste di parole. Il compito del soggetto era di ascoltare le parole lette dallo sperimentatore, battere la mano sul tavolo quando
sentiva il nome di un animale e ricordare lultima parola di ogni lista, nellordine di presentazione.
Per ottenere un buon ricordo il soggetto deve essere in grado di diminuire lattivazione
delle parole che ha elaborato e concentrarsi su quelle da ricordare (le ultime). In base ai
risultati da noi ottenuti in altri esperimenti e alla letteratura presentata pi sopra, ci aspettavamo che i cattivi lettori avessero particolari difficolt in questo compito, soprattutto con
i nomi di animali; se le difficolt nei processi inibitori spiegano in parte il deficit dei cattivi lettori, allora per il cattivo lettore dovrebbe essere particolarmente difficile escludere
dal ricordo le parole precedente elaborate con pi profondit, vale a dire le parole di animali. Questo non dovrebbe verificarsi nella prestazione dei buoni lettori. I risultati ottenuti hanno confermato la nostra ipotesi: i cattivi lettori mostravano una prestazione pi
bassa nel compito di ricordo, e in particolare il loro ricordo era caratterizzato da un maggior numero di intrusioni di nomi di animali, dato che non si presentava nella prestazione dei buoni lettori.
In conclusione gli studi sulla relazione fra memoria di lavoro e comprensione del testo
hanno evidenziato uno stretto legame fra questi due processi: in particolare la difficolt dei
cattivi lettori risulta situarsi a livello di processi di inibizione delle informazioni irrilevanti
(De Beni et al., 1998; Palladino, Cornoldi, De Beni e Pazzaglia, 2001). Per comprendere
adeguatamente un testo, infatti, necessario che il lettore riesca a mantenere attive le
informazioni importanti nel testo, riducendo lattivazione delle informazioni irrilevanti.
Bibliografia
Baddeley, A. (1986). Working memory. Oxford: Oxford University Press (trad. it. La memoria di
lavoro, Milano: Cortina, 1990).
Baddeley, A. (1996). Exploring the central executive. Quarterly Journal of Experimental Psychology,
44, 1-31.
Boschi, F. (1977). Psicologia della lettura. Firenze: Giunti.
Boschi, F., Aprile, L. e Scibetta, I. (1989). Prove multidimensionali di vocabolario. Firenze:
Organizzazioni Speciali.
Boschi, F., Aprile, L. e Scibetta, I. (2000). 5-VM- Prove Avanzate di comprensione dei linguaggi nella
lettura. Firenze: Organizzazioni Speciali.
Bransford, J.D. e Johnson, M.K. (1973). Considerations of some problems of comprehension. In
W.G. Chase (a cura di), Visual information processing, Orlando, FL: Academic Press.
Cantor, J. e Engle, R.W. (1993). Working memory capacity as long term memory activation: an
individual differences approach. Journal of Experimental Psychology, Learning, Memory and
Cognition, 19, 1101-1114.
Carpenter, P.A. e Just, M.A. (1989). The role of working memory in language comprehension. In
D. Klahr and K. Kotovsky (a cura di), Complex information processing: the impact of Herbert A.
Simon, Hillsdale, NJ: Erlbaum.
Studi sul ruolo della memoria di lavoro nella comprensione del testo
45
Carretti, B., Cornoldi, C. e De Beni, R. (2002). Il disturbo specifico di comprensione del testo
scritto. In S. Vicari e M.C. Caselli (a cura di), I disturbi dello sviluppo: Neuropsicologia clinica e
ipotesi riabilitative (pp.169-189), il Mulino, Bologna.
Carretti, B., De Beni, R. e Palladino, P. (2000). I cattivi lettori vanno male a scuola? Studio longitudinale dalla scuola media alla scuola superiore di lettori con disturbo specifico di comprensione. XIV
Congresso Nazionale della Sezione di Psicologia dello Sviluppo, Alghero 26-28 settembre, 2000.
Case, R. (1985). Intellectual development: birth to adulthood. San Diego, CA: Academic Press.
Coltheart, M. (1978). Lexical access in simple reading tasks. In Underwood G. (a cura di), Strategies
of information processing, London: Academic Press.
Coltheart, M. (1981). Disorders of reading and their implications for models of normal reading.
Visible Language, 15: 245-286.
Conway, A.R.A. e Engle, R. W. (1994). Working memory and retrieval: a resource-dependent inhibition model. Journal of experimental psychology: general, 123, 354-373.
Cornoldi, C., De Beni, R., Palladino, P. e Pazzaglia, F. (2002). Lettori che non capiscono. In G. Di
Stefano e R. Vianello (a cura di) Psicologia dello sviluppo e problemi educativi: studi e ricerche in
onore di Guido Petter. Giunti: Firenze.
Daneman, M. e Carpenter, P.A. (1980). Individual differences in working memory and reading.
Journal of Verbal Learning and Verbal Behaviour 19, 450-466.
De Beni, R., Palladino, P. e Pazzaglia, F. (1995). Influenza della memoria di lavoro e delle abilit
metacognitive e sintattiche nella difficolt specifica di comprensione della lettura. Giornale
Italiano di Psicologia, 22, 615-640.
De Beni, R., Palladino, P., Pazzaglia, F. e Cornoldi, C. (1998). Increases in intrusion errors and working memory deficit of poor comprehenders. The Quarterly Journal of Experimental Psychology,
51, 305-320.
Dweck, C. e Leggett, E.L. (1988). A social cognitive approach to motivation and personality.
Psychological Review, 95, 256-273.
Ehrlich, M.F., Kurtz-Costes, B. e Loridant, C. (1993). Cognitive and motivational determinants of
reading comprehension in good and poor readers. Journal of Reading Behavior, 25(4): 365-381.
Engle, R.W., Cantor, J. e Carullo, J.J. (1992). Individual differences in working memory and comprehension: a test of four hypotheses. Journal of Experimental Psychology: Learning, Memory and
Cognition, 18, 972-992.
Gernsbacher, M.A. (1993). Less skilled readers have less efficient suppression mechanisms.
Psychological Science, 4(5), 294-298.
Gernsbacher, M.A. e Faust, M.E. (1991). The mechanism of suppression: a component of general
comprehension skill. Journal of Experimental Psychology: Learning, Memory and Cognition, 17,
245-262.
Gernsbacher, M.A., Varner, K.R. e Faust, M.E. (1990). Investigating differences in general comprehension skill. Journal of experimental psychology: learning, memory and cognition, 16, 430-445.
Kintsch, W. e van Dijk, T.A. (1978). Toward a model of text comprehension and production.
Psychological Review, 85, 363-394.
Norman, D.A. e Shallice, T. (1980). Attention to action: willed and automatic control of behavior.
Center for human information processing. Technical report n. 99, University of California, San
Diego. La Jolla, California.
Palladino, P., Cornoldi, C., De Beni, R. e Pazzaglia, F. (2001). Working memory and updating processes in reading comprehension. Memory and Cognition, 29 (2): 344-354.
Palladino, P., De Beni, R. e Cornoldi, C. (1995). Levoluzione di difficolt specifiche di comprensione del testo: uno studio longitudinale. Archivio di Psicologia, Neurologia e Psichiatria, 5-6, 548-564.
46
Palladino, P., Poli, S., Masi G. e Marcheschi, M. (2000). The relation between metacognition and
depressive symptoms in preadolescents with learning disabilities: data support of Borkowskis
model. Learning Disabilities Research and Practice, 15, 142-148.
Papetti, O., Cornoldi, C., Pettavino, A., Mazzoni, G. e Borkowsky, J. (1992). Memory judgments
and allocation of study times in good and poor comprehenders. Advances in Learning and
Behavioral Disabilities, 7, 3-33.
Pazzaglia, F., Cornoldi, C. e Tressoldi, P.E. (1993). Learning to read: Evidence on the distinction
between decoding and comprehension skills. European Journal of Psychology of Education, 8(3):
247-258.
Reed, S.K. (1988). Cognition. Theory and application. Pacific Grove, CA: Brooks/Cole Publishing
Company (trad. it. Psicologia cognitiva. Bologna: il Mulino, 1994).
Swanson, H.L. (2000). Are working memory deficits in readers with learning disabilities hard to
change? Journal of Learning Disabilities, 33 (6): 551-566.
Turner, M.L. e Engle, R.W. (1989 ). Is working memory capacity task dependent? Journal of
Memory and Language, 28, 127-154.
4
Apprendere dal testo espositivo: interazioni tra conoscenza e
interesse degli studenti e coerenza testuale
Lucia Mason e Pietro Boscolo
Universit di Padova
Quadro teorico
La comprensione del testo un processo complesso e dinamico, mediante cui il lettore costruisce una rappresentazione coerente del suo significato. Due fattori soprattutto
contribuiscono a questa rappresentazione, secondo quanto emerso dalla ricerca in psicologia cognitiva. Il primo la coerenza testuale, cio il grado in cui i periodi e le parti di un
testo sono connessi, facilitando cos la costruzione di una rappresentazione coerente del
testo. Laltro fattore il contributo del lettore: un testo non d tutta linformazione necessaria alla sua comprensione, e il lettore deve riempire i vuoti di informazione mediante
unattivit inferenziale, cio usando la conoscenza di cui dispone relativamente allargomento e alla struttura del testo. Lo scopo del nostro studio stato quello di dimostrare che
la comprensione del testo non solo influenzata dalla conoscenza che il lettore gi possiede sullargomento specifico, ma anche dal suo interesse per largomento, quindi da un fattore di tipo motivazionale.
Il riferimento di base era costituito da due studi di McNamara e Kintsch (1996) e
McNamara, Kintsch, Songer e Kintsch (1996) che avevano messo in evidenza un aspetto
problematico della coerenza del testo. Da un lato, un testo coerente, in cui i periodi sono
connessi mediante coreferenza e nessi causali, generalmente pi facile da ricordare.
Daltra parte, un testo facile riduce il bisogno di processazione attiva da parte del lettore.
Dunque, un testo coerente facilita lapprendimento, ma uno meno coerente pu stimolare maggiormente la processazione attiva da parte di chi legge, e quindi un apprendimento
pi efficace. Secondo Kintsch (1988, 1998; van Dijk e Kintsch, 1983), la contraddizione
pu essere superata alla luce della distinzione tra due livelli di comprensione: la base del
testo e il modello della situazione. La base del testo una rappresentazione proposizionale dellinformazione contenuta nel testo. Il modello della situazione il risultato dellintegrazione della conoscenza circa un argomento pre-esistente nel lettore e dellinformazio-
48
L. Mason, P. Boscolo
ne fornita dal testo. McNamara e collaboratori (1996) hanno trovato che i lettori con alta
conoscenza eseguivano meglio, dopo la lettura di un testo poco coerente, i compiti di comprensione profonda, quali le inferenze e le domande di problem solving. I lettori che sapevano poco sullargomento del testo traevano maggior vantaggio da una versione coerente
a livello globale del brano stesso.
Gli studi fin qui riferiti hanno considerato gli effetti e le interazioni di due variabili fondamentali dellapprendimento dal testo: la coerenza testuale e la conoscenza del lettore.
Una terza variabile sembra per non meno importante: il grado di interesse del lettore per
largomento del testo (Schiefele, 1992; Tobias, 1994). Hidi (1990; Hidi e Baird, 1986) ha
introdotto lutile distinzione tra interesse situazionale e individuale. Il primo generato da
certe condizioni e/o stimoli ambientali quali la novit e lintensit, che contribuiscono a
rendere interessante una situazione. Linteresse individuale invece un orientamento valutativo relativamente stabile verso un oggetto o settore. Esso include sia conoscenza, sia una
componente di sentimento associata a tale oggetto o settore di esperienza, cos come una
componente di valore riferita allattribuzione di un significato personale alloggetto o settore. Linteresse per un argomento una forma pi specifica di interesse individuale: laddove questo riguarda settori di conoscenza, linteresse per un argomento riguarda un ambito pi limitato e/o un oggetto materiale.
Alexander (1997a, 1997b) ha sottolineato la possibilit che si manifesti integrazione o
conflitto tra interesse situazionale e individuale. Sulla base di studi empirici condotti con
studenti che manifestavano livelli diversi di competenza in discipline accademiche, la studiosa ha elaborato un modello dellapprendimento dominio-specifico, basato sulla relazione tra conoscenza e interesse. A tal riguardo, Alexander, Kulikovich e Schultze (1994a,
1994b) hanno messo in evidenza come la conoscenza della materia influenzi il ricordo di
un brano e linteresse per lo stesso, cos come conoscenza e interesse siano predittori significativi della comprensione del testo. Inoltre, Alexander e Murphy (1999) hanno puntualizzato che il forte interesse per un campo disciplinare e la determinazione a comprendere
realmente distingue gli studenti con alto successo da quelli con scarso successo.
Obiettivi e ipotesi dello studio
Lobiettivo del nostro lavoro stato pertanto quello di approfondire la ricerca esistente, analizzando tutte e tre i fattori che sembrano intervenire nellapprendimento dal testo,
ossia coerenza testuale, conoscenza precedente e interesse per un argomento, al fine di evidenziarne le possibili interazioni. Abbiamo ipotizzato che:
i lettori con alta conoscenza e alto interesse avessero le prestazioni migliori indipendentemente dal grado di coerenza del testo;
i lettori con alta conoscenza e basso interesse e quelli con bassa conoscenza e alto interesse avessero prestazioni migliori con un testo pi coerente;
i lettori con bassa conoscenza e basso interesse avessero le prestazioni peggiori, specialmente con un testo poco coerente.
Lattivazione dellattenzione dovuta allinteresse per largomento avrebbe potuto concorrere, assieme alle preconoscenze, alla produzione di inferenze richieste nella processa-
49
zione del testo. La mancanza di preconoscenze sarebbe quindi potuta essere compensata
dallinteresse specifico.
Metodo
Partecipanti. In una prima fase, 302 studenti di quinta ginnasio e di prima Liceo
Classico (della citt di Lecce) sono stati coinvolti per rilevare i loro livelli di conoscenza e
interesse per un argomento specifico, leffetto serra. Si quindi proceduto a selezionare gli
studenti al di sotto del 25 percentile e al di sopra del 75 percentile in relazione alle due
suddette variabili. Hanno cos partecipato alla seconda fase della ricerca 160 studenti, 107
ragazze e 53 ragazzi, caratterizzati dai livelli pi alti o bassi di preconoscenze e interesse,
distribuiti nei seguenti gruppi:
1. studenti con alta conoscenza e alto interesse (AA, n = 56);
2. studenti con bassa conoscenza e basso interesse (BB, n = 37);
3. studenti con alta conoscenza e basso interesse (AB, n = 35);
4. studenti con bassa conoscenza e alto interesse (BA, n = 32).
I gruppi non risultavano composti da un numero uguale di partecipanti in quanto cerano pi studenti con punteggi alti in merito alle preconoscenze e allinteresse che studenti con punteggi bassi oppure alti per una variabile e bassi per laltra.
Compiti. La selezione dei partecipanti alla ricerca vera e propria avvenuta sulla base di
tre compiti che hanno svolto tutti i 302 studenti:
un diagramma con la rappresentazione schematica della terra e del sole. Gli studenti
dovevano inserire otto parole riguardanti il riscaldamento terrestre in questo diagramma e collegare tramite frecce le parole considerate connesse. Potevano essere stabiliti
quattro legami fra le parole e il principale si riferiva al meccanismo causale sottostante
al fenomeno considerato, ossia la connessione tra le parole effetto serra, anidride carbonica e irradiazione terrestre;
un questionario con 11 domande vero/falso sulle preconoscenze in merito al fenomeno. Il coefficiente alpha di questo strumento era 0.82.
un questionario sullinteresse per largomento con 9 items da valutare su una scala
Likert a 5 livelli, che riguardavano le due componenti dellinteresse, i sentimenti e il
valore. Il coefficiente alpha di questo strumento era 0.87.
Nessuna differenza significativa tra preconoscenze e interesse manifestati da ragazze e
ragazzi emersa.
I 160 studenti che hanno partecipato anche alla seconda fase, cio alla ricerca vera e
propria, dopo la lettura del testo, hanno svolto i seguenti compiti volti a rilevare livelli
diversi di comprensione:
un diagramma. Si trattava della stessa prova gi utilizzata nella fase di selezione, finalizzata a indagare il livello pi profondo di comprensione secondo il modello di Kintsch
(1998), ossia la costruzione del modello della situazione;
50
L. Mason, P. Boscolo
51
unanalisi della varianza per misure ripetute che ha rilevato un effetto principale dovuto al
tempo. Tutti i quattro gruppi hanno prodotto dopo la lettura del testo un diagramma
migliore, F (1, 148) = 285.83, p < .001). risultata significativa anche linterazione tempo
x gruppo. Un test post-hoc di Tukey ha messo in luce che il gruppo AA aveva tratto il maggior beneficio dalla lettura del testo, ottenendo punteggi significativamente pi alti degli
altri tre gruppi. In questo compito linteresse ha differenziato la prestazione solo tra i due
gruppi con alta conoscenza sullargomento, ossia tra AA e AB, favorendo il primo.
Infine, stata evidenziata anche uninterazione significativa fra tempo e versione, F (2,
148) = 12.84, p < .001. Un test post-hoc di Fisher ha mostrato che la lettura del testo pi
coerente, ossia caratterizzato da coerenza sia locale che globale, faceva produrre al post-test
diagrammi significativamente pi corretti e completi rispetto alla lettura del testo con
coerenza solo locale o minima.
Domande di inferenza. Anche in questo compito, le analisi univariate hanno rilevato un
effetto gruppo, F (3, 148) = 5.51, p < .001, e un effetto versione, F (2, 148) = 6.58, p =
.002. Come per il diagramma, un test post-hoc di Tukey ha mostrato che il gruppo AA
produceva risposte inferenziali significativamente migliori degli altri gruppi. A questo livello di comprensione pi profonda del testo, cos come nella prova relativa al diagramma,
linteresse differenziava la prestazione solo tra i gruppi AA e AB, facendo produrre risposte
basate su inferenze pi corrette agli studenti con alta conoscenza e alto interesse. Inoltre,
un test post-hoc di Fisher faceva emergere che sia la lettura del testo maggiormente coerente, sia quello solo localmente coerente contribuiva a far compiere pi inferenze corrette
rispetto alla lettura del testo meno coerente. Sebbene non risultasse significativa linterazione tra gruppo e versione, si poteva intravedere la tendenza degli studenti del gruppo AA,
caratterizzato da alta preconoscenza e da alto interesse, a trarre maggior beneficio dalla let-
30
25
Diagramma
20
Riassunto
15
Domande di inferenza
10
Domande di problem
solving
5
0
AA
AB
BB
BA
Fig. 1. Confronto tra i punteggi medi nelle quattro prove dei gruppi con lo stesso livello di preconoscenze ma
con livello diverso di interesse per largomento
52
L. Mason, P. Boscolo
tura del testo meno coerente. Al contrario, gli studenti dei gruppi BB, AB e BA manifestavano la tendenza a trarre pi vantaggio dalla lettura del testo con coerenza sia globale
che locale. Si trattava di tendenze in linea con i risultati di McNamara e Kintsch (1996) e
di McNamara e collaboratori.
Domande di problem solving. Anche per le risposte a questo tipo di domande, le analisi
univariate mettevano in luce un effetto gruppo, F (3, 148) = 9.85, p < .001, e un effetto
versione, F (2, 148) = 4.75, p < . 01. Un test post-hoc di Tukey per il gruppo e uno di
Fisher per la versione hanno inoltre indicato gli stessi risultati gi emersi a riguardo delle
domande di inferenza. Ancora una volta, su questo livello pi profondo di comprensione
del testo linteresse aiutava gli studenti con alta preconoscenza sullargomento. La Fig. 1
mostra le differenze di prestazione nelle quattro prove di comprensione tra le coppie di
gruppi che differivano solo per il livello di interesse.
Discussione e conclusioni
Innanzitutto, va sottolineata la validit del modello di Kintsch (1988, 1998) che fornisce un utile quadro di riferimento teorico per esaminare i diversi livelli su cui la comprensione del testo pu articolarsi. La nostra ipotesi in merito alle prestazioni diverse dei vari
gruppi stata sostanzialmente confermata, mentre non lo stata lipotesi dellinterazione
tra gruppo e versione del testo. Il gruppo con alta conoscenza e alto interesse (AA) ha
manifestato i pi alti livelli di comprensione in ogni prova, indipendentemente dal livello
di coerenza testuale del brano. Lipotesi che il gruppo con bassa conoscenza e basso interesse (BB) ottenesse i punteggi pi bassi nelle varie prove di comprensione stata pure
sostanzialmente confermata. A riguardo della coerenza testuale, solo tendenze sono emerse in relazione ai gruppi. Gli studenti del gruppo AA sembrava avvantaggiarsi di pi della
lettura del testo meno coerente (MC), ma non nella prova di diagramma in cui, come gli
altri tre gruppi, risultavano favoriti dalla lettura del testo pi coerente (CLG). Tale dato
pu confermare solo debolmente i risultati di McNamara e Kintsch (1996) e McNamara
e collaboratori (1996). Ad eccezione della prova di riassunto in cui la versione non differenziava le prestazioni, nelle altre tre prove gli studenti dei gruppi AB, BA e BB tendevano a manifestare livelli migliori di comprensione dopo aver letto il testo pi coerente che
appariva richiedere attivit inferenziale adeguata ai loro bassi livelli sia di preconoscenze
che di interesse (BB), oppure adeguata ad un alto livello di preconoscenze ma ad un basso
livello di interesse (AB) e viceversa (BA).
Inoltre, i risultati consentono di evidenziare il ruolo dellinteresse per largomento nella
sua relazione con le conoscenze che un lettore gi possiede. Quando la conoscenza scarsa, linteresse contribuisce ad aiutare i lettori a comprendere il testo almeno in modo pi
superficiale. Quando la conoscenza, infatti, non basta a sostenere una processazione profonda del testo, linteresse del lettore comunque sufficiente ad organizzare le informazioni a livello meno elaborato. Quando invece la conoscenza alta, linteresse per largomento non solo facilit la comprensione pi semplice ma anche quella pi elevata, data, secondo Kintsch (1988, 1998), dalla costruzione del modello della situazione. Come si pu
osservare in Fig. 1, i gruppi BB e BA (entrambi con bassa conoscenza) differiscono signi-
53
ficativamente solo nella prova di riassunto, mentre i gruppi AA e AB (entrambi con alta
conoscenza) si differenziano in tutte le quattro prove.
In questo studio abbiamo considerato linteresse per largomento come un fattore che
si mantiene stabile per tutta la durata della lettura di un testo. Di fatto, potrebbe anche
non essere una variabile del tipo tutto o niente, ed essere presente in gradi che variano in
riferimento alle specifiche parti di un brano. La ricerca futura dovr pertanto considerare
la relazione tra interesse per largomento in generale e interesse suscitato da un testo sullo
specifico contenuto per dare un quadro pi approfondito della dinamica tra variabili
cognitive e motivazionali nellapprendimento tramite lettura.
Infine, dal punto di vista educativo, lo studio puntualizza limportanza di confezionare su misura la struttura di un testo secondo le esigenze di conoscenza e coinvolgimento
dei vari lettori. Non tutti gli studenti possono trarre lo stesso vantaggio dal medesimo
testo, cos come non sembra esistere un unico testo adeguato a un supposto studente
medio. Il livello di coerenza testuale dovrebbe corrispondere alla quantit e qualit delle
preconoscenze degli studenti sullargomento e al loro livello di interesse in merito, in modo
tale da stimolare e facilitare i processi inferenziali che essi possono effettivamente attivare.
Bibliografia
Alexander, P.A. (1997a). Knowledge seeking and self-schema: A case for the motivational dimensions of exposition. Educational Psychologist, 32, 83-94.
Alexander, P.A. (1997b). Mapping the multidimensional nature of domain learning: the interplay
of cognitive, motivational, and strategic forces. In M.L. Maehr e P.R. Pintrich (Eds.), Advances
in motivation and achievement (Vol. 10, pp. 213-250). Greenwich, CT: JAI Press.
Alexander, P. A., Kulikowich, J.M. e Schulze, S.K. (1994a). How subject-matter knowledge affects
recall and interest. American Educational Research Journal, 31, 313-337.
Alexander, P.A., Kulikowich, J.M. e Schulze, S.K. (1994b). The influence of topic knowlege,
domain knowledge, and interest on the comprehension of scientific exposition. Learning and
Individual Differences, 6, 379-397.
Alexander, P.A. e Murphy, P.K. (1999). Learners profiles: Valuing individual differences within classroom communities. In P.L. Ackerman, P.C. Kyllonen, e P.D. Roberts (Eds.), Learning and individual differences: Processes, traits, and content determinants (pp. 412-432). Washington, DC:
American Psychological Association.
Hidi, S. (1990). Interest and its contributions as a mental resource for learning. Review of
Educational Research, 60, 549-571.
Hidi, S. e Baird, W. (1986). Interestingness - A neglected variable in discourse processing. Cognitive
Science, 10, 179-194.
Kintsch, W. (1988). The use of knowledge in discourse comprehension: A construction-integration
model. Psychological Review, 95, 163-182.
Kintsch, W. (1998). Comprehension: A paradigm for cognition. New York: Cambridge University
Press.
McNamara, D.S. e Kintsch, W. (1996). Learning from texts: Effects of prior knowledge and text
coherence. Discourse Processes, 22, 247-288.
McNamara, D.S., Kintsch, E., Songer, N.B. e Kintsch, W. (1996). Are good texts always better?
Interactions of text coherence, background knowledge, and levels of understanding in learning
from text. Cognition and Instruction, 14, 1-43.
54
L. Mason, P. Boscolo
Ozenda, P. e Borel, J.L. (1993). Alpi e effetto serra. Possibili conseguenze ecologiche dei cambiamenti
climatici sulle Alpi. Torino: CIPRA.
Schiefele, U. (1992). Topic interest and levels of text comprehension. In K.A. Renninger, S. Hidi e
A. Krapp (Eds.), The role of interest in learning and development (pp. 151-182). Hillsdale, NJ:
Lawrence Erlbaum Associates.
Schiefele, U. (1996). Topic interest, text representation, and quality of experience. Contemporary
Educational Psychology, 21, 19-42.
Tobias, S. (1994). Interest, prior knowledge, and learning. Review of Educational Research, 64, 3754.
van Dijk, T.A. e Kintsch, W. (1983). Strategies of discourse comprehension. New York: Academic
Press.
5
Lo sviluppo dei sistemi simbolici:
che relazione tra linguaggio e codice scritto?
Giuliana Pinto
Universit di Firenze
56
Giuliana Pinto
padronanza delle forme proprie di quel codice, alla flessibilit nel loro uso, e culmina con
la capacit del soggetto di riflettere sul sistema stesso, giungendo ad una consapevole comprensione delle sue regole e propriet e ad un maggiore controllo del suo uso.
Il quadro evolutivo sin qui delineato lascia aperta una importante questione, ovvero la
natura del legame che intercorre tra i diversi sistemi simbolici: ciascun sistema si sviluppa
isolatamente o vi interdipendenza tra essi, o tra alcuni di essi? Quello che in particolare
ci interessa in questa sede il rapporto tra il sistema linguistico orale e il sistema di rappresentazione costituito dalla lingua scritta: tra essi da assumersi indipendenza o continuit evolutiva? Linguaggio orale e scritto si presentano cronologicamente in successione,
e per molto tempo tra essi stata ipotizzata una sostanziale indipendenza: al primo viene
generalmente attribuita una matrice naturale, mentre il secondo si riconduce ad una
genesi culturale. Negli ultimi venti anni, tuttavia, in psicologia, la questione stata riaperta; la ricerca sul tema ha prodotto una cospicua mole di dati, a vantaggio delluna e dellaltra posizione. Ci proponiamo in questa sede di esaminare le diverse e recenti evidenze
sperimentali circa il rapporto tra sviluppo della lingua orale e acquisizione della lingua
scritta, e di discutere i vari modelli teorici esplicativi della continuit o discontinuit evolutiva.
Imparare a parlare significa padroneggiare la corrispondenza esistente tra il flusso sonoro (significanti) e gli elementi della realt cui esso si riferisce (significati). evidente che
imparare a leggere e a scrivere significa acquisire un nuovo sistema di rappresentazione,
caratterizzato dalla capacit di tradurre simboli grafici in suoni e di comporli in parole e
frasi, attribuendo ad esse un significato; sono qui operanti due livelli di rappresentazione:
1) le parole e le frasi scritte significano qualcosa, rappresentano un linguaggio dotato di
senso; 2) i singoli segni alfabetici e le loro sequenze rappresentano suoni. Possiamo in altri
termini articolare il problema dellimparare a leggere e scrivere in due passi: (1) comprendere come funziona il rapporto tra orale e scritto (parola parlata = parola scritta; suono =
segno scritto); (2) imparare il meccanismo del sistema di corrispondenza appropriato, della
lingua nella quale ci si alfabetizza (corrispondenza convenzionale tra grafema e fonema).
Conoscenze fonologiche e conoscenza del codice scritto sono connesse?
Volgiamo la nostra attenzione al primo passo: se per imparare a leggere cruciale afferrare la relazione che intercorre tra suono e segno, allora lentit delle conoscenze fonologiche del bambino assume una importanza centrale. Il termine consapevolezza fonologica
designa la capacit di manipolare intenzionalmente unit sublessicali quali le sillabe, le
rime o i fonemi..
A sostegno dellesistenza di un nesso privilegiato tra dimensione fonologica e alfabetizzazione sono stati condotti molti studi a carattere correlazionale, ovvero studi nei quali, su
bambini di scuola elementare, venivano misurate le conoscenze fonologiche e le prestazioni nelle abilit di lettura. Calfee et al. (1973) e Tunmer et al. (1988) hanno stabilito una
correlazione fra la capacit di contare i fonemi e le prestazioni in lettura, risultato confermato con bambini italiani di 7 e 8 anni. Analoghe correlazioni sono state documentate tra
la capacit di effettuare individuazione dei fonemi, fusione, elisione e riconoscimento di
57
rime e la capacit di leggere (Rosner e Simon, 1971; Fox e Routh, 1975; Yopp, 1988). Tali
studi, nellinsieme, hanno evidenziato la forte concomitanza tra il livello delle prestazioni
in consapevolezza fonologica e il livello di lettura, documentando che lettori abili sono
anche abili fonologicamente e viceversa, mentre lettori scadenti mostrano anche carenze
nelle abilit fonologiche (Liberman et al., 1989). Se vi accordo sulla connessione tra consapevolezza fonologica e alfabetizzazione, non altrettanto condivisa lopinione sulla direzione di tale nesso: qual' la causa e quale l'effetto? la consapevolezza fonologica che favorisce lalfabetizzazione, o vero il contrario?
Le conoscenze fonologiche precedono o seguono la conoscenza del codice scritto?
Quando e come i bambini si rendono conto che il flusso sonoro ininterrotto che giunge
al loro orecchio suddivisibile in gruppi di suoni coincidenti con le parole, e che queste, a
loro volta, sono scomponibili in ulteriori segmenti sonori, quali le sillabe e i fonemi? In altri
termini: la conoscenza del linguaggio orale porta con s forme di consapevolezza fonologica
che precedono lalfabetizzazione, o tale consapevolezza possibile solo dopo che, con la scolarizzazione, il bambino imparer che ciascun gruppo di lettere separato da spazi da altri gruppi di lettere sulla pagina rappresenta parole e che ciascuna lettera rappresenta un fonema?
Gli studiosi hanno espresso al riguardo convinzioni diverse: alcuni hanno sostenuto che
la lettura un atto fonologicamente innaturale, che le abilit fonologiche che il bambino deve acquisire per imparare a leggere sono completamente diverse da quelle che gli sono
servite per accrescere il suo linguaggio orale, non farebbero parte del suo repertorio cognitivo se non gli venissero insegnate ex-novo, e che pertanto tra esse vi una connessione
scarsa o nulla (Content et al., 1986). Altri autori si sono invece dichiarati convinti che laver imparato a parlare e la pratica con il linguaggio orale mettano comunque il bambino
in condizione di affrontare lapprendimento iniziale del codice scritto con un patrimonio
facilitante di conoscenze (Goswami e Bryant, 1990).
La diversit di questi punti di vista pi facilmente comprensibile se si tiene conto che
le ricerche addotte a sostegno delluna o dellaltra posizione assumono definizioni diverse
di consapevolezza fonologica. I sostenitori della discontinuit evolutiva, persuasi che la lettura sia possibile solo sulla base di abilit artificiali, che possono essere apprese solo se insegnate, identificano nel fonema lunit fonologica essenziale per decifrare una scrittura alfabetica: ed infatti gli studi condotti su bambini prescolari evidenziano come essi siano
sostanzialmente incapaci di eseguire compiti fonologici che prevedano lelisione o la sottrazione di fonemi da parole pronunciate oralmente (Bruce, 1964; Rosner e Simon, 1971;
Calfee, 1977) e non sappiano scomporre le parole nel numero corrispondente di fonemi.
Analoghe limitazioni mostrano soggetti adulti analfabeti (Morais et al. 1979), e soggetti
istruiti in lingue non alfabetiche bens logografiche o sillabiche, come il cinese ed il giapponese (Mann, 1986; Read et al. 1986). Tali risultati autorizzano la conclusione che la consapevolezza dei fonemi compare solo se insegnata e pertanto frutto di un processo di insegnamento e non di uno sviluppo naturale, intrinseco allo sviluppo linguistico orale.
I fautori della continuit evolutiva tra abilit sottese al linguaggio orale e abilit sottese alla lettura iniziale, muovono da una diversa definizione delle forme di riconoscimento
58
Giuliana Pinto
dei suoni necessarie per imparare a leggere, e ritengono che la lettura iniziale, anzich fare
perno sul fonema, utilizzi il riconoscimento di gruppi di fonemi, quali le sillabe ed i gruppi intrasillabici posti allinizio e alla fine delle parole. Cambiata lunit fonologica di riferimento, cambiano anche i metodi per rilevarne la conoscenza nei bambini prescolari: questi vengono sottoposti a prove fonologiche pi semplici, nelle quali viene rilevata la capacit di individuare gruppi di suoni uguali posti allinizio o alla fine di pi parole date
(Treiman, 1983); di riconoscere se due parole sono o meno in rima (Chukovsky, 1963;
Lenel e Cantor, 1981; Bradley e Bryant, 1983, Kirtley et al. 1989; Pinto e Cioncolini,
1992); di produrre parole in rima o parole tra loro allitteranti (Dowker, 1989; Dowker e
Pinto, 1993); di simulare, attraverso segni di scrittura inventati, la trasposizione del parlato nello scritto (Ferreiro e Teberosky, 1979; Pinto e Bonardi, 1991). Tali ricerche nellinsieme documentano, anche in prospettiva cross-linguistica, una marcata sensibilit in bambini ancora lontani dalla alfabetizzazione formalizzata alle caratteristiche fonologiche delle
espressioni verbali e la capacit in bambini di 5 anni di riconoscere e manipolare appropriatamente le unit sillabiche allinterno del flusso sonoro.
Questi risultati, da soli, non permettono comunque di trarre nessuna conclusione sul
rapporto di causa-effetto che pu intercorrere tra le abilit esaminate (lettura e conoscenze fonologiche). N in tal senso sono chiarificatori gli studi correlazionali citati nel paragrafo precedente, in quanto in essi le due variabili vengono misurate contemporaneamente.
Per avere una risposta in tal senso necessario prendere in esame gli studi predittivi, che
hanno invece misurato la consapevolezza fonologica antecedente allabilit di lettura e lhanno posta in relazione con le prestazioni successive in lettura e scrittura. Studiosi quali
Stanovich et al. (1984), sottoposero bambini di 5 anni ad una batteria di 8 test fonologici
(reperimento del suono iniziale e finale; eliminazione di un fonema, sostituzione di un
fonema, individuazione di fonemi simili, indicazione di quale fonema presente in una
parola e manca in un'altra) e trovarono che i risultati in tali prove correlavano con il livelli di lettura raggiunti un anno pi tardi. Mann (1984) trov una elevata correlazione tra la
prova, eseguita a sei anni, in due compiti (capovolgere l'ordine delle sillabe in parole bisillabiche; capovolgere l'ordine dei fonemi entro parole bifonemiche ) e la capacit di lettura rilevata dopo un anno. In uno studio svedese a lungo termine (Lundberg, Olofsson e
Wall, 1980) bambini di 6 anni sono stati sottoposti a prove di segmentazione e fusione sillabica e fonemica, analisi della posizione (iniziale, intermedia o finale) di un dato fonema,
individuazione e produzione di rime. A 7 e 8 anni gli autori fecero loro affrontare prove di
lettura e scrittura, mostrando come tutte le prove fonologiche correlavano dopo un anno
con le prove di lettura, mentre dopo due anni la correlazione si manteneva solo per la prova
di analisi della posizione del fonema e per quella di produzione di rime. Bradley e Bryant
(1983) sottoposero bambini di 3-4 anni a prove fonologiche di riconoscimento di rima e
allitterazione, di vocabolario e di memoria, e, tre anni dopo, a test di lettura, scrittura e
aritmetica. Tra i pre-test fonologici e le abilit di lettura e scrittura risult esservi una correlazione assai forte, che si manteneva anche dopo il controllo per Q.I. e memoria, e specifica, in quanto non si estendeva alla matematica. La relazioni predittiva tra consapevolezza fonologica e prima alfabetizzazione stata documentata in contesti linguistici diversi, incluso quello italiano (Tressoldi et al., 1993; Otake e Cutler, 1996; Kolinsky, 1998).
59
In sintesi gli studi sopra riferiti mostrano come i livelli della consapevolezza fonologica
misurati prima dellalfabetizzazione predicano significativamente gli esiti nellapprendimento della lettura e della scrittura.
Consapevolezza fonologica e conoscenza della lingua scritta: un modello evolutivo
Nellinsieme lesame delle ricerche permette di delineare la seguente sequenza evolutiva:
1. presenza, gi in bambini molto piccoli, di una marcata sensibilit a talune caratteristiche fonologiche delle parole, quali il loro essere in rima o presentare allitterazioni;
2. avvio della capacit di individuazione dei fonemi;
3. apprendimento formalizzato della lettura e della scrittura;
4. generalizzazione e consolidamento della capacit di individuazione dei fonemi, in rapido progresso negli anni successivi.
Un persuasivo modello teorico che consente di leggere i risultati sperimentali sopra
delineati in termini di rapporto tra sviluppo delle conoscenze fonologiche orali e apprendimento della lettura offerto da Goswami e Bryant (1990) e una sua elaborazione illustrata in Fig.1:
La precoce sensibilit infantile alle propriet sonore delle parole, quali lessere in rima
o avere suoni iniziali in comune, favorisce lapprendimento della lettura, consentendo una
focalizzazione sulle analogie sonore tra parole; nel contempo costituisce un naturale terreno favorevole allacquisizione di altre forme di consapevolezza fonologica, quali la capacit di riconoscere e manipolare i fonemi, a sua volta cruciale per lapprendimento della corrispondenza fonema-grafema essenziale per imparare a leggere.
Sensibilit rima/allitterazione
Sensibilit ai fonemi
Decifrazione grafemafonema
Consapevolezza fonemica
60
Giuliana Pinto
Per la rilevazione delle conoscenze fonologiche sono state adottate prove di riconoscimento e produzione di rime, analisi e sintesi sillabica e fonemica, identificazione di fonemi iniziali e finali (Pinto, 1993); le conoscenze alfabetiche sono state rilevate attraverso
prove di riconoscimento di lettere e identificazione di lettere (Juel, 1988), mentre le abilit linguistiche generali sono state misurate con il test T.C.R. di relazione dei concetti spaziali e temporali (Edmoston e Thane, 1988).
Lanalisi della comparabilit dei gruppi rispetto alle prove di pre-test non ha evidenziato differenze statisticamente significative, tra il gruppo sperimentale ed il gruppo di controllo, nelle abilit esaminate.
61
Il programma di training, cui stato sottoposto il gruppo sperimentale, mirava a guidare i bambini a rivolgere esplicitamente lattenzione alla struttura fonologica del linguaggio. Il programma aveva la durata di dieci settimane, e prevedeva un intervento da effettuarsi per tre giorni alla settimana, con unit didattiche di 60 minuti, svolte a rotazione e
consistenti in:
attivit connesse con la rima;
attivit connesse con il riconoscimento delle sillabe costituenti le parole;
attivit mirate allindividuazione di particolari fonemi entro la parola.
I confronti tra gruppo sperimentale e di controllo sono stati condotti mediante lanalisi della significativit delle differenze tra le medie (T-test).
Efficacia del training
Il confronto tra pre-test e post-test, illustrato nelle figure 3 e 4, mostra che entrambi i
gruppi migliorano le proprie prestazioni, ma tale miglioramento raggiunge la significativit per il gruppo sperimentale in tutte le prove fonologiche, mentre per il gruppo di controllo lavanzamento significativo nella sola prova di riconoscimento di rime.
Lefficacia del training appare particolarmente elevata per le abilit di individuazione e
controllo dellunit fonemica, piuttosto che sul piano sillabico, mentre la produzione di
rime sembra una abilit il cui miglioramento spontaneo, probabilmente per la natura ritmica, meno astratta e pi saliente della sillaba rispetto al fonema, soprattutto se in posizione finale (Mann, 1986).
1,8
1,6
1,4
Punteggi
1,2
Pre-test
Post-test
1
0,8
0,6
0,4
0,2
0
andamento ritmico
rima
allitterazione
filastrocca
Parametri
Fig. 3 T test per campioni appaiati: confronto tra le medie dei punteggi ottenuti nelle prove fonologiche dai
soggetti del gruppo sperimentale.
62
Giuliana Pinto
1,4
1,2
Punteggi
1
Pre-test
Post-test
0,8
0,6
0,4
0,2
0
andamento ritmico
rima
allitterazione
filastrocca
Parametri
Fig. 4 T test per campioni appaiati: confronto tra le medie dei punteggi ottenuti nelle prove fonologiche dai
soggetti del gruppo di controllo.
63
Bibliografia
Boschi, F. e Pinto, G. (1981). Imparare a leggere. Il punto di vista predittivo: posizioni a confronto.
Pisa: Edizioni Tecnico-Scientifiche.
Bradley, L. e Bryant, P.E. (1983). Categorizing sounds and leaning to read: a causal connection.
Nature, 301, 419-521.
Bruce, D.J. (1964). The analysis of word sounds. British Journal of Educational Psychology, 34, 158170.
Calfee, R.C. (1977). Assessment of individual reading skills: basic research and practical applications. In A.S. Reeber e D.L. Scarboroughs (Eds.), Toward a psychology of reading (289-323).
New York: Erlbaum.
Calfee, R.C., Lindamood, P., e Lindamood, C. (1973). Acoustic-phonetic skills and reading: kindergarten trough twelfth grade. Journal of Educational Psychology, 64, 293-298.
64
Giuliana Pinto
65
Pinto, G. (1993). Dal linguaggio orale alla lingua scritta. Firenze: La Nuova Italia.
Pinto, G. e Bigozzi, L. (a cura di) (2002). Laboratorio di lettura e scrittura. Percorsi precoci per la consapevolezza fonologica, testuale e pragmatica. Trento: Erickson.
Pinto, G. e Bonardi, P. (1991). La rappresentazione grafica di identit fonologiche in soggetti prescolari. Et evolutiva, 39, 54-65.
Pinto, G. e Cioncolini, G. (1992). La consapevolezza fonologica in et prescolare: uno studio su soggetti italiani. Manoscritto non pubblicato.
Pinto, G. e Malvagia, S. (2000). Labilit fonologica: efficacia predittiva e responsivit al training.
III Congresso Nazionale SIPEF, Napoli, 21-23 settembre.
Pinto, G., Dowker, A. e Fontani, S. (2002). La ripetizione modificata nelle produzioni poetiche
infantili: uno studio evolutivo. In G. Di Stefano e R. Vianello, Psicologia dello sviluppo e problemi educativi (35-46). Firenze: Giunti.
Read, C., Zhang, Y., Nie, H. e Ding, B. (1986). The ability to manipulate speech sounds depends
on knowing alphabetic spelling. Cognition, 24, 31-44.
Rosner, J. e Simon, D.P. (1971). The auditory analysis test: an initial report. Journal of Learning
Disabilities, 4, 384-392.
Stanovich, K.E., Cunnjngham, A.E. e Feeman, D.J. (1984). Relation between early reading acquisition and word decoding with and without context: a longitudinal study of first-grade children.
Journal of Educational Psychology, 76, 669-677.
Treiman, R. (1983). The Structure of spoken syllabes: evidence from novel word games. Cognition,
15, 49-74.
Tressoldi, P.E., Vio, C., Nicotra, D. e Calgaro, G. (1993). Validit predittiva delle difficolt di lettura e scrittura di un test di consapevolezza fonemica. Analisi e valutazione dopo due anni di
scolarizzazione. Et evolutiva, 46, 15-23.
Tunmer, W., Herriman, M. e Nesdale, A. (1988). Metalinguistic abilities and beginning reading.
Reading Research Quarterly, 23,134-158.
Wise, B.W., Olson, R.K. e Treiman, R. (1990). Sub syllabic units as aids in beginning readers word
learning: onset-rime versus post-vowel segmentation. Journal of Experimental Child Psychology,
49, 1-19.
Yopp, H.K. (1988). The validity and reliability of phonemic awareness test. Reading Research
Quarterly, 23, 159-177.
6
Disegnare un carattere, scrivere un ritratto
Un confronto tra le idee infantili sul disegno e sulla scrittura
Anna Silvia Bombi, Eleonora Cannoni, Maria Stella Angelucci e Chiara Colafigli
Universit di Roma La Sapienza
Introduzione
La rappresentazione della scrittura che i bambini si formano sia in base ad esperienze
informali sia nellambito scolastico ormai riconosciuta come una componente importante dellapprendimento della lingua scritta. Nelle prime fasi della scolarizzazione, il processo di scrittura visto soprattutto nella sua componente notazionale: come si fa corrispondere allenunciato vocale la parola scritta? e questo insieme di segni, come si rapporta
al mondo delle cose? Le idee ingenue del bambino su come si scrive, promosse dallubiquitaria presenza di scritture nel mondo che lo circonda e dallinevitabile curiosit per lattivit adulta dello scrivere, si intrecciano con le istruzioni formali, sostenendole od ostacolandole (Stella e Nardocci, 1989; Pontecorvo e Fabbretti, 1999). Pi avanti nel corso degli
studi, quando tracciare lettere e formare parole sono ormai abilit automatizzate, la riflessione del bambino sulla scrittura si sposta alla composizione di testi. Scrivere ora inteso
soprattutto come presentare idee, comunicare, esprimersi, e diviene importante comprendere ci che si addice ai vari generi di testo in termini di regole compositive e qualit estetiche (Boscolo, 1999).
Molto meno sappiamo sulla rappresentazione infantile del disegno, forse anche perch
vi scarsa preoccupazione per lacquisizione di abilit pittoriche. Nella nostra scuola elementare il disegno svolge una funzione quasi esclusivamente ricreativa, ed il modo in cui
lo si pratica lasciato in larga parte alliniziativa individuale degli alunni (Bombi e De
Fabritiis, 1998). La ricerca, sia quella tradizionale (ad es. Luquet, 1913) che quella pi
recente (ad es. Goodnow, 1977) si focalizzata quasi esclusivamente sui criteri impliciti
che governano i modi di disegnare nel corso dello sviluppo e in circostanze diverse, esaminando solo sporadicamente le idee esplicite (Freeman, 1991; Pinto e Mantelli, 2000).
Conoscere in che modo i bambini si rappresentano il processo pittorico, oltre che interessante in s visto il rilievo del disegno e delle immagini nel corso di tutta la fanciullezza,
68
potrebbe aiutarci a comprendere meglio anche le idee sulla lingua scritta. In questo lavoro
ci siamo limitate a due aspetti del problema: la motivazione a scrivere e a disegnare, e la
comprensione delle funzioni di questi due mezzi simbolici.
Il disegno sembra gradito alla maggior parte dei bambini, ma poco sappiamo circa le
ragioni di questo interesse e sulla sua evoluzione (Thomas e Silk, 1990): per i piccoli
veramente pi attraente disegnare che scrivere? e quando inizia il declino della stagione
del disegno, la scrittura guadagna popolarit?
Il modo di rapportarsi al disegno e alla scrittura si lega daltra parte alle funzioni che i
bambini attribuiscono alluno e allaltra. Parte entrambi del mondo dei segni, scrittura e
disegno sarebbero secondo alcuni inizialmente interconnessi (Ferreiro e Teberoski 1979;
Netchine-Grynberg e Netchine, 1989): ci interessa dunque vedere se le funzioni del disegno e della scrittura sono differenziate dai bambini, e a partire da quale fase della scolarizzazione.
Ipotesi
Ci aspettavamo che, in linea generale, il disegno apparisse pi facile e fosse per questo
preferito, soprattutto dai pi piccoli, anche se probabilmente giudicato a tutte le et meno
utile della scrittura.
Per quanto riguarda le funzioni, pensavamo che, con il procedere dellet, i partecipanti alla ricerca si sarebbero resi conto del campo di applicazione pi limitato che il disegno
ha rispetto alla scrittura.
Partecipanti
In due plessi scolastici di Roma con bacino di utenza di ceto medio sono stati scelti
casualmente 20 bambini e 20 bambine per ciascuno dei seguenti livelli scolastici: ultimo
anno di scuola materna (5 anni), prima elementare (6 anni), quinta elementare (10 anni)
e prima media (11 anni).
Procedura
Ciascun bambino stato intervistato individualmente in un luogo tranquillo allinterno della scuola. Lo schema di intervista conteneva tre sezioni (idee sul disegno, sulla scrittura e confronto disegno-scrittura), ciascuna a sua volta ripartita in aree, relative al gradimento delluno e dellaltro mezzo simbolico, ai rispettivi modi e difficolt di apprendimento, alle funzioni. Qui riferiremo solo i dati della terza sezione (confronto diretto tra
disegno e scrittura, vedi Schema dellIntervista).
Schema dellintervista
Parte A - Le preferenze per la scrittura e per il disegno
1. Ti piace di pi scrivere o disegnare?
2. Come mai?
69
Asilo
I elem
V elemen
I media
Totale
7
18
15
40
19
12
9
40
13
19
8
40
3
26
11
40
42
75
43
160
70
Categorie di risposta
Non so, pari difficolt
Pi facile disegnare
Pi facile scrivere
Totale
Asilo
I elem
V elemen
I media
Totale
3
23
14
40
3
31
6
40
3
34
3
40
4
25
11
40
13
113
34
160
Pari
Disegno
Scrittura
Totale
Non so
bello, mi piace
Mi riesce bene
Serve a....
Totale
30
6
2
4
42
22
26
7
20
75
13
3
8
19
43
65
35
17
43
160
a quella abilit che sperano tra breve di acquisire. Lentusiasmo si riduce per nettamente
in prima elementare, probabilmente per lo scontro con la difficolt della scrittura, che solo
nei pi grandi, lasciate alle spalle le difficolt, recupera un certo gradimento. Ma al tempo
stesso, il disegno riguadagna preferenze in modo ancor pi netto: il calo motivazionale nei
confronti del disegno che si registra in adolescenza non sembra ancora manifestarsi in questi ragazzi, o forse... visto che scrivere non facile, tra i due mali si sceglie il minore.
Le risposte alla domanda se sia pi facile imparare a scrivere o a disegnare (Tabella 2)
sembrano confermare la linea interpretativa appena proposta: la grande maggioranza dei
partecipanti ritiene pi facile imparare a disegnare, e i dissenzienti da tale giudizio si trovano proprio tra i pi piccoli e tra i pi grandi.
Tuttavia bisogna riconoscere che le ragioni proposte dagli intervistati stessi (quando si
chiesto loro esplicitamente di spiegare la propria preferenza, domanda 2) non si situano
su questa lunghezza donda (cfr. Tabella 3). Solo pochi bambini infatti fondano il proprio
giudizio sulle possibilit di successo (categoria mi riesce bene), mentre domina il riferimento alle funzioni e, nel caso del disegno, anche alla intrinseca piacevolezza. Questultima
pu apparire una risposta elusiva, ma si ricordi che anche gli studiosi considerano alquanto misteriose le ragioni per cui i bambini amano disegnare (Thomas e Silk, 1990; Pinto e
Bombi, 1999); il fatto poi che non appaia quasi mai nel caso della scrittura mostra che non
si tratta di una risposta puramente tautologica.
A fronte della piacevolezza e facilit del disegno, la scrittura vince invece senzaltro per
lutilit, riconosciutale dal 75% degli intervistati, pi o meno equamente distribuiti per et.
Solo pochi bambini di scuola materna (il 4% del campione) ritengono pi utile il disegno,
71
e il restante 21% se la cava con un giudizio di parit. Dunque, se la difficolt scoraggia dallo
scrivere, lutilit che porta ad impegnarvisi. In effetti, in Tabella 3 si pu constatare come
ben 18 dei 43 bambini che hanno dichiarato di preferire la scrittura al disegno si riferiscano a ci che con la scrittura si pu fare per giustificare la propria preferenza.
Le funzioni del disegno e della scrittura
A tutti i livelli di et considerati la grande maggioranza dei bambini ha risposto affermativamente alla domanda introduttiva, se si possa disegnare o scrivere qualunque cosa
(rispettivamente 134 e 140 s); una curiosa eccezione costituita dai bambini di scuola
materna che sono significativamente pi propensi di quelli di scuola elementare e media a
ritenere che non tutto si possa scrivere (chi quadrato[3] = 8.23; p = .04) forse scambiando
la propria incapacit nel grafismo con una limitazione della scrittura stessa.
Pi interessanti sono invece le risposte alle altre 4 domande, da cui si evince una certa
consapevolezza delle funzioni cui meglio assolvono disegno e scrittura. Che un buon disegnatore possa fare un ritratto risulta quasi universalmente ammesso (98% del campione),
ed ampiamente riconosciuto (88%) che si pu presentare il carattere di una persona scrivendo: solo 18 bambini in tutto (10 di asilo, 7 di prima e 1 di quinta elementare) pensano di no.
Pi problematica (e giustamente!) risulta la questione di usare disegno e scrittura per
scopi meno canonici, come scrivere un ritratto e disegnare un carattere (Tabella 4 e 5).
Gli andamenti evolutivi per i due quesiti sono simili. Calano i non so e la fiducia acritica nelle potenzialit del mezzo (il si pu senza riserve dei bambini di asilo e di prima
elementare), sostituite in quinta elementare dallintuizione dei limiti (non si pu) ed
infine, in prima media, dalla consapevolezza di un uso metaforico o indiretto delle risorse
espressive delluno e dellaltro mezzo di comunicazione. Tuttavia le frequenze con cui sono
fornite le diverse categorie di risposta sono significativamente diverse (W[1] = .097; p =
.0001): pi ampiamente riconosciuta la realizzabilit di un ritratto in parole (sia in
forma diretta, sia metaforicamente), mentre appare pi difficile comprendere come si possa
fare emergere dal mezzo iconico qualcosa di astratto e non visibile.
Tabella 4 - Possibilit di scrivere un ritratto per et
Classe
Categorie di risposta
Non so
Si pu
Non si pu
Indirettamente
Totale
Asilo
I elem
V elemen
I media
Totale
5
27
7
1
40
31
7
2
40
2
9
15
14
40
9
8
23
40
7
76
37
40
160
chi quadrato (6) = 60.23; p<.0001. (NB: le frequenze delle categorie non so e si pu sono state accorpate
per evitare la dispersione dei dati).
72
Categorie di risposta
Non so
Si pu
Non si pu
Indirettamente
Totale
Asilo
I elem
V elemen
I media
Totale
5
24
9
2
40
4
23
12
1
40
1
2
28
9
40
2
6
19
13
40
12
55
68
25
160
chi quadrato (6) = 59.48; p<.0001. (NB: le frequenze delle categorie non so e si pu sono state accorpate
per evitare la dispersione dei dati).
Conclusioni
Questo studio ha fornito alcune indicazioni sulle idee dei bambini a proposito del disegno e della scrittura, mettendo in evidenza rappresentazioni ben distinte dei due mezzi, cui
si accompagnano motivi diversi di gradimento o di ripulsa. Il disegno si conferma unattivit largamente apprezzata, non solo per i risultati che consente di ottenere ma anche e
soprattutto per unintrinseca piacevolezza. A confronto con luso di matite e pennarelli,
larte della penna appare invece assai meno auto-motivante: i bambini sembrano insomma
aver bisogno di capire a che serve per potersi impegnare nello scrivere.
Sintetizzando i risultati della prima e della seconda parte dellintervista, potremmo dire
daltra parte che il disegno sottovalutato nelle sue potenzialit. Forse proprio perch facile (cio non studiato, lasciato a quel tanto che si scopre da s senza sforzo), il disegno risulta limitato alla funzione di riprodurre il visibile, mentre la scrittura pu raccontare, descrivere, alludere a tutto. Forse uno scopo educativo degno di qualche attenzione potrebbe
essere anche quello di far prendere coscienza di quanto a volte sia difficile trasporre sulla
carta in parole ci che appartiene al mondo delle immagini; e per converso - magari davanti ad un quadro espressionista - scoprire come sia possibile e talora importante disegnare
un carattere.
Bibliografia
Bombi, A.S. e De Fabritiis, P. (1998). Fantasia e razionalit nel disegno infantile: creare o copiare?
In R. Vianello e C. Cornoldi (a cura di), Fantasia, razionalit e apprendimento. Bergamo:
Edizioni Junior.
Boscolo, P. (1999). Scrivere testi. In C. Pontecorvo (a cura di), Manuale di psicologia delleducazione (pp. 195-220). Bologna: il Mulino.
Ferreiro, E. e Teberoski, A. (1979). Los sistemas de escritura en el desarrollo del nio. Mexico: Siglo
Veintiuno Editores. (Trad. it. La costruzione della lingua scritta nel bambino, Firenze: Giunti,
1985).
Freeman, N.H. (1991). Quando i bambini sviluppano una teoria della rappresentazione pittorica?
In G. Di Stefano e M.A. Tallandini (a cura di), Meccanismi e processi di sviluppo. Linterpretazione
post-piagetiana (pp. 327-355). Milano: Cortina.
73
Goodnow, J.J. (1977). Childrens Drawing. Cambridge: Cambridge University Press. (Trad. it. Il
disegno dei bambini, Roma: Armando, 1981).
Luquet, G.H. (1913). Le dessin dun enfant. Paris: Alcan.
Netchine-Grynberg, G. e Netchine, S. (1989). La notion dinstrument psychologique et la formation de lespace graphique chez lenfant. Enfance, 42, 101-110.
Pinto, G. e Bombi, A.S. (1999). Sistemi simbolici e notazione figurativa. In C. Pontecorvo (a cura
di), Manuale di psicologia delleducazione (pp. 114-143). Bologna: il Mulino.
Pinto, G. e Mantelli, S. (2000). La comprensione infantile della natura della rappresentazione grafica. Poster presentato al XIV Congresso Nazionale dellA.I.P., Sezione di Psicologia dello Sviluppo,
Alghero, 26/28 settembre 2000.
Pontecorvo, C. e Fabbretti, D. (1999). Apprendere un sistema di scrittura, apprendere una lingua
scritta. In C. Pontecorvo (a cura di), Manuale di psicologia delleducazione (pp. 173-194).
Bologna: il Mulino.
Stella, G. e Nardocci, F. (19894). Il bambino inventa la scrittura. Lalfabetizzazione in una prospettiva piagetiana. Milano: Franco Angeli.
Thomas, G.V. e Silk, A.M.J. (1990). An introduction to the psychology of childrens drawing. Hemel
Hempstead: Harvester Wheatsheaf. (Trad. it. Psicologia del disegno infantile, Bologna: il Mulino,
1998).
7
Contesti di gioco e comunicazione tra pari
Elena Bortolotti, *Loredana Czerwinsky Domenis
*Dipartimento dellEducazione
Universit di Trieste
76
77
comunicativi, dovuti alla necessit di arrivare ad un accordo sui significati e sulle funzioni da attribuire agli oggetti, significati che devono esser condivisi proprio per la conduzione delle attivit di gioco stesse.
2. La ricerca
2.1 Soggetti
Hanno partecipato alla ricerca 60 bambini di scuola materna, suddivisi in 30 coppie di
coetanei di cui:
10 coppie di et media 3,7 anni, di seguito denominati piccoli;
10 coppie di et media 4,6 anni, denominati medi;
10 coppie di et media 5,6 anni, denominati grandi.
Da evidenziare che, individuati i venti bambini omogenei per et per ciascun gruppo,
non sono stati adottati parametri particolari nella formazione delle coppie. Al momento
del loro reclutamento sono stati i bambini stessi ad accoppiarsi e quindi a scegliersi tra loro
quali compagni di gioco. Non si influito neppure sul sesso, anche se tra i partecipanti al
gioco le coppie sono poi risultate omogenee, formate o da due maschi o da due femmine,
ad eccezione di una sola coppia di piccoli che era mista.
2.2 Procedura e materiali
Per quanto concerne il primo ambito di ricerca, relativo alle diverse dimensioni ludiche
in cui avviene linterscambio, si strutturata lattivit di ogni coppia in due fasi distinte.
Nella prima fase (fase di preparazione) ai due bambini veniva mostrato un modello in
scala ridotta che rappresentava un negozio ortofrutticolo e veniva data loro la consegna
di realizzare un negozio ortofrutticolo grande, a misura di bambino, uguale a quello in
scala ridotta, utilizzando tutti gli oggetti di un set messo a loro disposizione.
Nella seconda fase (fase di gioco) i due bambini, predisposto lambiente, erano invitati
a giocare liberamente in esso, realizzando una scenetta adatta alla situazione ambientale creata.
Per quanto concerne il secondo ambito di ricerca, relativo alla pi o meno accentuata
necessit di una condivisione di azioni e di significati, si sono assemblati due set distinti di
materiali forniti alle coppie di bambini.
Una met delle coppie (gruppo A), aveva a disposizione, per la realizzazione dellambiente, solo oggetti pertinenti in quanto erano la riproduzione puntuale, a misura di
bambino, degli oggetti presenti nel modello in scala ridotta (si tratta di: 3 banchi, 1
bilancia, 1 registratore di cassa, 7 contenitori, 7 confezioni di articoli di vendita quali
ad esempio finte banane, finte mele ecc.).
Laltra met delle coppie (gruppo B), aveva a disposizione lo stesso numero di oggetti
del primo gruppo. La maggior parte erano oggetti pertinenti, alcuni (in tutto 5) per
erano oggetti non pertinenti con lambiente ortofrutticolo. Per esempio i bambini avevano a disposizione sempre 7 confezioni di articoli di vendita, ma invece di finte bana-
78
Il compito richiedeva esplicitamente che i bambini utilizzassero tutti gli oggetti a loro
disposizione per ricreare un negozio simile a quello rappresentato dal modellino.
I bambini del gruppo A, per assolvere al compito loro assegnato, potevano limitarsi ad
abbinare ogni oggetto del set al corrispondente oggetto nel modellino ed impegnarsi nel
disporli spazialmente nel modo corretto.
I bambini del gruppo B, avendo a disposizione degli oggetti diversi da quelli del modello ed essendo privi di altri l presenti, o si accontentavano di una riproduzione spaziale parziale, con dei resti, oppure potevano realizzare una soluzione fittizia, in cui era necessario
assegnare un significato simbolico agli oggetti non pertinenti, per far assumere loro il posto
degli elementi che normalmente vengono venduti in un negozio ortofrutticolo e di cui
attualmente non avevano disponibilit: cos ad esempio una pallina da tennis (significante) poteva assumere, ad esempio, il posto di una mela (significato).
2.3 Criteri di codifica
Le attivit dei bambini, che si svolgevano entro un arco di un tempo di 20 minuti per
coppia, sono state interamente videoregistrate, successivamente valutate da due giudici e
trascritte su protocolli di osservazione1. I dati raccolti sono stati analizzati sia in relazione
allaspetto quantitativo sia in relazione alle indicazioni qualitative che potevano offrire.
Per quanto riguarda laspetto quantitativo sono stati conteggiati gli atti non verbali e gli
atti verbali.
Per quanto riguarda gli atti non verbali sono stati presi in considerazione i gesti che si
ritenevano rilevanti ai fini della comunicazione in quanto venivano utilizzati dai bambini:
per mantenere od instaurare un contatto tra di loro,
per sostenere o completare la comunicazione verbale,
per sostituire la comunicazione verbale.
Le classificazioni prendono spunto dalle tavole di K. Beller (1995) riguardanti larea di
sviluppo del linguaggio. Sono stati pertanto individuati e considerati atti non verbali: i gesti
dellindicare (con il dito o con la testa), i gesti del porgere, gli scambi di sguardi, la ricerca
di un contatto fisico, i gesti per impossessarsi di un oggetto del compagno, i gesti imitativi.
1
Nel computo finale sono stati considerati solo i dati sui quali vi era pieno accordo tra i giudici, accordo
che raggiungeva il 95% dei casi.
79
Per la quantificazione degli atti verbali, sono stati considerati come atti linguistici unici i
singoli turni di comunicazione e sono state individuate le seguenti modalit di comunicare:
(a) utilizza comunicazioni di una o due parole, che si riferiscono per chiaramente ad una
situazione ben precisa ed individuabile
((prendo)il cestino Buongiorno)
(b) utilizza frasi principali compiute
(Io metto questo Tu sei il cassiere)
(c) utilizza frasi principali e secondarie
(Non fare come me, puoi anche prendere tutto, Ci manca solo da pesare e poi basta, poi
dobbiamo metterli a posto)
Per quanto riguarda lanalisi qualitativa degli atti verbali la classificazione stata da noi
predisposta prendendo lo spunto da altre distinzioni gi proposte in letteratura (Giffin,
1984; Verba, 1993; Devescovi e Baumgartner, 1993; Bondioli e Savio, 1994). In alcune
ricerche precedenti sono state effettuate delle suddivisioni tra verbalizzazioni procedurali,
riguardanti la creazione delle condizioni che permettono la realizzazione dellattivit e verbalizzazioni performative, relative allattuazione dellattivit (Devescovi e Baumgartner,
1993). In altre ricerche sono state proposte le suddivisioni tra verbalizzazioni sociali nel
gioco, verbalizzazioni sociali fuori dal gioco e verbalizzazioni sociali di cornice2, dove con
queste ultime si intende lesplicito riferimento al quadro del far finta (Bateson, 1955 in
Bondioli e Savio, 1994).
Nel nostro caso, tenendo presenti le precedenti classificazioni, si fatto riferimento agli
atti verbali ponendosi quale criterio di valutazione lo scopo della comunicazione stessa,
distinguendo tra:
(a) verbalizzazioni a scopo operativo, finalizzate alla realizzazione della consegna nella fase di
compito
(Metti quella l)
oppure alla organizzazione e pianificazione del gioco
(Mettiamo che io sono la signora che compra);
(b) verbalizzazioni a scopo fabulatorio, utilizzate per la realizzazione della scena ludica, adeguate allo script prescelto
(Buongiorno signora, cosa desidera comperare? - Quanto pago?)
3. Risultati
3.1 Le forme della comunicazione
Una prima osservazione basata sui dati quantitativi raccolti che i nostri bambini
comunicano tra di loro sia attraverso atti comunicativi verbali (V) che non verbali (NV).
Come gi rilevato in letteratura, in relazione allet dei bambini da noi esaminati, la forma
di comunicazione maggiormente usata ormai quella verbale rispetto a quella non verba2
Questultima modalit di comunicazione stata per da noi rilevata solo raramente nei discorsi dei bambini, si quindi scelto di inserirla tra le verbalizzazioni di tipo operativo.
80
le: infatti gli atti comunicativi individuati ed esaminati sono in tutto 1583 di cui 1047 atti
verbali (V) e 536 atti non verbali (NV). In particolare in ogni coppia si producono in
media 34.9 atti comunicativi di tipo verbale (V) e 17.86 atti comunicativi di tipo non verbale (NV), con un rapporto nei dati totali 2:1 (Wilcoxon z = 3.69 p = .000). La maggior
presenza della comunicazione verbale a discapito della non verbale si evidenzia in tutte le
et considerate (Tabella 1).
Se poniamo lattenzione sugli atti comunicativi non verbali si pu notare dalla Tabella
1 che la loro distribuzione non presenta significative differenziazioni rispetto allet dei
bambini, anche se i medi risultano essere coloro che maggiormente ricorrono allutilizzo di
questa forma di comunicazione. Si ritiene inoltre interessante rilevare che tali atti hanno
prevalentemente funzione di supporto al messaggio verbale: infatti mentre due atti non
verbali su tre si accompagnano agli atti verbali solo uno su tre possiede autonomia comunicativa.
Per quanto riguarda la loro distribuzione in relazione alla classificazione proposta nei
criteri di codifica, non si evidenziano particolari differenziazioni. Anche per quanto riguarda la presenza di atti comunicativi non verbali in relazione alle situazioni pi specifiche, di
preparazione dellambiente di gioco e in relazione al set di materiali di cui dispongono i
bambini, non sono state individuate distribuzioni che si ritiene abbiamo particolare e
significativa rilevanza ai fini dei quesiti di ricerca. Questo ci suggerisce di proseguire
ponendo lattenzione solo agli atti comunicativi verbali, in quanto ritenuti pi indicativi
in funzione delle analisi da effettuare.
Per quanto riguarda la produzione di atti comunicativi verbali si evidenziano innanzitutto differenziazioni in relazione allet. I pi eloquenti sembrano essere i soggetti medi,
con un aumento significativo (Mann-Whitney U = 13.5 p = .006) nel confronto con i piccoli, vediamo che da una media di 23,3 atti comunicativi verbali nei soggetti piccoli si passa
ad una media di 42,2 atti comunicativi verbali nei soggetti medi. I soggetti grandi sembrano non differenziarsi molto dai medi, risultano anzi leggermente meno eloquenti.
Tabella 1. Frequenze medie di comunicazione verbale e non verbale nei tre gruppi di et
Comunicazione
Piccoli
Medi
Grandi
totali
Non verbale
(NV)
161
m. 16.1
ds. 8.46
218
m. 21.8
ds. 9.72
157
m. 15.7
ds. 8.2
536
Verbale
(V)
233
m. 23.3
ds. 12.9
422
m.42.2
ds. 11.97
392
m. 39.2
ds. 29.57
104
394
640
549
1583
Totali
81
Fase di preparazione
Fase di gioco
totali
gruppo A
gruppo B
340
707
263
390
77
317
Unulteriore analisi, incentrata sulla distinzione di tipo qualitativo tra frasi fabulatorie e
operative, ci portava ad attenderci che, se il bambino era in grado di distinguere le due
situazioni e ad adottare spontaneamente strategie comunicative diverse, le verbalizzazioni
operative fossero tipiche della fase iniziale, per la necessit di scambiarsi informazioni
riguardo agli oggetti e le loro collocazioni, ma potessero essere presenti anche nella fase di
avvio al gioco, soprattutto nella distribuzione dei ruoli e nella predisposizione degli interventi, mentre le verbalizzazioni fabulatorie fossero tipiche della fase di gioco, del momento della realizzazione stessa dellattivit ludica.
Di fatto i bambini sembrano avere la capacit di adottare spontaneamente strategie
comunicative diverse nelle diverse situazioni contestuali.
La distribuzione degli atti verbali dimostra infatti che in fase iniziale, di preparazione
del negozio, gli scambi sono quasi esclusivamente utilizzati a scopo operativo (Tabella 3).
La verbalizzazione mirata perci alla realizzazione dellambiente, e fa riferimento ad
esempio alla definizione degli elementi da utilizzare, la sistemazione spaziale degli oggetti,
laspetto estetico dellambiente e, nel caso del gruppo B, anche lassegnazione di significato simbolico agli oggetti non pertinenti.
Nella fase successiva, da quando si avviano le azioni ludiche, la quantit di atti verbali
risulta invece differenziata tra verbalizzazioni a scopo operativo e verbalizzazioni a scopo
fabulatorio.
82
Gruppo A
Gruppo B
fase di preparazione
Verbalizzazioni operative
Verbalizzazioni fabulatorie
335
5
259
4
76
1
Fase di gioco
Verbalizzazioni operative
Verbalizzazioni fabulatorie
154
553
111
279
43
274
83
Tabella 4 - Frequenze di comunicazione verbale e non verbale nelle situazioni duso di oggetti pertinenti (gruppo A) e di oggetti non pertinenti (gruppo B)
Gruppo A
Gruppo B
256
m. 17.06
ds. 9.5 0
28
m. 18.66
ds. 8.6
Atti verbali
643
m. 42.86
ds. 19.37
404
m. 26.93
ds. 19.9
899
684
Totali
84
Tabella 5. Distribuzione delle verbalizzazioni operative e fabulatorie in relazione agli oggetti utilizzati, pertinenti nel gruppo A, non pertinenti nel gruppo B
Verbalizzazioni operative
Fase di preparazione
Fase di gioco
Verbalizzazione fabulatorie
Fase di preparazione
Fase di gioco
Gruppo A
Gruppo B
370
35.3%
259
111
119
11.4%
76
43
283
27%
4
279
275
26.3%
1
274
zioni operative (11.4%) sia nella fase iniziale di preparazione del negozio sia nella fase di
gioco, mentre le verbalizzazioni fabulatorie si presentano esclusivamente nel gioco ed a
livelli elevati (26.3%) e oggettivamente identici a quelli ottenuti dai compagni del gruppo A.
La differenza riguarda dunque proprio le frasi operative che compaiono in misura pi
elevata rispetto alle altre tra i soggetti del gruppo A ed in misura nettamente ridotta nei
soggetti del gruppo B. Questo dato va in un certo senso ad inficiare la nostra ipotesi iniziale, che prevedeva un andamento contrario. Ci si aspettava infatti un maggiore scambio
verbale in una situazione contestuale che a nostro avviso complicava (a causa della presenza di elementi non pertinenti allambiente prestabilito) le operazioni di preparazione dellambiente su copia del modello, e necessitava di maggiori accordi e negoziazioni, tra i partecipanti al gioco, sui significati da attribuire agli oggetti.
4. Considerazioni conclusive
Lobiettivo principale di questo lavoro era quello di individuare delle proposte di attivit che potessero risultare favorevoli ad uno scambio comunicativo tra bambini, dimostrando che le caratteristiche del contesto rappresentano una dimensione significativa in
cui si verificano le interazioni cognitive e sociali (Vygotskij, 1934; Devescovi e
Baumgartner, 1993).
Abbiamo potuto innanzitutto verificare che, per quanto riguarda il ricorso alla comunicazione non verbale e verbale, questultima la forma pi utilizzata da tutti i partecipanti e
soprattutto il ricorso allo scambio comunicativo diventa consistente dai quattro anni in poi.
La valutazione qualitativa delle due fasi di consegna previste, ovvero una prima fase di
preparazione, in cui i bambini preparano lambiente di gioco e una seconda fase in cui passano alle azioni ludiche vere e proprie, ci ha permesso di cogliere il peso delle attivit nella
produzione linguistica. la fase di gioco quella che, sebbene pilotata dalladulto attraverso lassegnazione del materiale da utilizzare, risulta essere una situazione in cui il bambino
vive con maggior libert di movimento e con maggior possibilit di scambi comunicativi.
85
Nella fase di gioco infatti gli atti comunicativi si moltiplicano per dar luogo non solo ad
una comunicazione di tipo esecutivo, ma anche ad interpretazioni adatte alla realizzazione
delle scene ludiche.
La fase di realizzazione dellambiente di gioco non ha dato luogo invece a tutti gli scambi utili per predisporre gli oggetti, dove si potuto spesso assistere ad una tacita suddivisione dei compiti in cui ognuno ha contribuito a collocare elementi senza consultarsi o
confrontarsi con il compagno. Una interpretazione di questo fatto da parte nostra si riferisce alla possibilit che per i bambini la situazione iniziale di realizzazione dellambiente,
conseguente ad una consegna data dalladulto, risulta essere vissuta dai bambini prevalentemente come un problema da risolvere e di conseguenza pi costrittiva, nel senso che i
bambini sono concentrati esclusivamente sulle modalit della soluzione del compito, e
quindi poco disponibili alla collaborazione ed allo scambio verbale.
Rispetto al fatto di poter intervenire sulla comunicazione tra pari attraverso il contesto
in cui i bambini vanno a svolgere le loro azioni ludiche, contrariamente a quanto ci si
aspettava, si verificata una maggior frequenza di atti comunicativi verbali nella situazione con oggetti pertinenti rispetto a quella con oggetti non pertinenti, che a nostro avviso
avrebbe dovuto richiedere un maggior scambio interattivo. In questo caso si pu azzardare lipotesi che a favorire la maggior comunicazione tra i soggetti sia la qualit del materiale proposto, e che quello pi simile alla realt renda pi facile e stimolante il compito.
Al contrario sembra che la presenza di oggetti non pertinenti assorba maggiormente le
risorse attentive dei bambini, impedendo loro di rivolgere attenzione luno allaltro. In
questo caso infatti i soggetti non devono limitarsi a ricostruire un ambiente con gli oggetti a loro disposizione, ma devono anche assegnare un significato adeguato al materiale proposto, che richiami quello dellambiente da costruire. Un compito di questo tipo richiede
perci limpiego di pi abilit contemporaneamente, predisposizione spaziale degli elementi e sostituzione di oggetti con assegnazione di valore simbolico condiviso agli stessi e,
mentre le comunicazioni non verbali non sembrano risentire delleffetto della situazione
contestuale pi complessa, le prestazioni linguistico-comunicative si riducono notevolmente, come se il contesto bloccasse in qualche modo la comunicazione di tipo operativo,
ovvero proprio quella mirata alla contrattazione e alla pianificazione delle azioni, condotte queste che forse, come sostengono Fein, Moorin ed Enslein (1982), per il fatto di coinvolgere abilit non del tutto consolidate, non si manifestano ancora in forma sociale.
Si pu concludere quindi che la produzione linguistica dei bambini di questo periodo
di et si muove ancora preferibilmente in relazione ad una prospettiva ludica, ad una
dimensione pi immaginativa e creativa dove anche la comunicazione viene utilizzata preferibilmente per attivit piacevoli come quelle legate al gioco (Baumgartner, 2000).
Lutilizzazione a pieno titolo dello scambio verbale nella preparazione e nella condivisione
di un lavoro da svolgere in rapporto con laltro rappresenta ancora una forma di attivit
secondaria, dove il bambino preferisce ancora far da solo e soprattutto se troppo impegnato trova ancora difficoltoso condividere in tutto e per tutto con laltro il lavoro da portare a termine.
86
Bibliografia
Baumgartner, E. (2000). Al di l dellamicizia. Tipologie di relazione nella scuola materna. Et evolutiva, 67, 33-39.
Beller, K. (1995). Le tavole di sviluppo di Kuno Beller. Uno strumento di osservazione per educatori e
genitori (Vol. I e Vol. II). Bergamo: Edizioni Junior.
Bondioli, A. e Savio, D. (1993). Ladulto ed il compagno come tutor. Strategie di promozione del
gioco socio drammatico a confronto. Scuola e citt, 1, 26-35.
Bondioli, A. e Savio, D. (1994). Osservare il gioco di finzione: una scala di valutazione delle abilit
ludico-simboliche infantili. Bergamo: Edizioni Junior.
Camaioni, L., Fortunati, A., Longobardi, E. e Tognetti, G. (1994). La rilevazione dello sviluppo
comunicativo linguistico nellasilo nido. Et Evolutiva, 49, 59-68.
Czerwinsky Domenis, L., Bortolotti, E. e Zanon, F. (1997). Climi relazionali differenziati in situazione di gioco simbolico e di gioco libero. In L. Czerwinsky Domenis (a cura di), Obiettivo bambino. Milano: Franco Angeli.
Czerwinsky Domenis, L. (2000). La discussione intelligente. Una strategia didattica per la preparazione sociale della conoscenza. Trento: Erickson.
Devescovi, A. e Baumgartner, E. (1993). Parlare facendo: interazione verbale tra bambini in diversi contesti di attivit. In C. Pontecorvo (a cura di), La condivisione della conoscenza. Firenze: La
Nuova Italia.
Fein, G.G., Moorin, E., e Enslein, J. (1982). Pretense and peer behavior: an intersectoral analysis.
Human Development, 25, 392-406.
Fonzi, A. e Tomada, G. (1994). Il ruolo della competenza operativa nellorganizzazione del comportamento in et precoce. Giornale italiano di psicologia, 21(1), pp.63-76.
Giffin, H. (1984). The coordination of meaning in the creation of a shared makebelieve reality. In
I. Bretherton (a cura di), Symbolic play. New York: Academic Press.
Grassi, L. (1986). La competenza sociale nellinfanzia. Psichiatria dellinfanzia e delladolescenza, 53,
685-694.
Lavelli, M. (1991). Gesti convenzionali e non nellinterazione del bambino con i coetanei e con ladulto. Ricerche di Psicologia, 2, 49-69.
Mantovani, S. (1995). Uno strumento per la conoscenza del bambino e la programmazione delle attivit educative. In S. Mantovani (a cura di), Le tavole di Kuno Beller. Bergamo: Edizioni Junior.
Morra Pellegrino, M.L., Scopesi, A., Daniello, P. e Zanobini, M. (1987). La comunicazione verbale in et prescolare. Giornale Italiano di Psicologia, 1, 47-71.
Morra Pellegrino, M.L. e Zanobini, M. (1988). Uso ludico del linguaggio in et prescolare. Et
Evolutiva, 29, pag. 46-55.
Musatti, T. (1983). Echanges dans une situation de jeu de faire semblant. In M. Stamback, M.
Barrire, L. Bonica, R. Maisonnet, T. Musatti, S. Rayna e M. Verba (a cura di), Les bbs entre
eux. Paris: Presses Universitaries de France.
Musatti, T. e Panni, S. (1983). La comunicazione in asilo nido: la dinamica comunicativa tra adulti e bambini in piccolo gruppo. In S. Mantovani e T. Musatti ( a cura di), Adulti e bambini: educare a comunicare. Bergamo: Juvenilia.
Stambak, M. e Verba, M. (1986). Ecological approach in early peer relations: organitation of some
social play. In E. Mueller, C. Cooper (a cura di), Process and outcome in early peer relationship
(229-247). New York: Academic Press.
Verba, M. (1990). Construction et partage des significations dans les jeux de finction entre enfants.
In M. Stamback, H. Sinclair (a cura di), Les jeux de fiction entre enfants de 3 ans. Paris: Presses
Universitaires de France.
87
Verba, M. (1993). Le regolazioni socio-cognitive nei giochi di finzione tra bambini. In Pontecorvo
C. (a cura di), La condivisione della conoscenza. Firenze: La Nuova Italia.
Vygotskij, L.S. (1990). Pensiero e linguaggio. Bari: Laterza (ed. orig. 1934).
8
Il ruolo del linguaggio nello sviluppo concettuale:
analisi critica del paradigma delle classi di equivalenza
Dolores Rollo
Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione
Universit di Padova
Introduzione
Elaborato da Sidman (1971, 1990), nel corso di un esperimento condotto per insegnare a leggere ad un ragazzo gravemente ritardato di 17 anni, il paradigma delle relazioni di equivalenza o delle classi di equivalenza un ambito di studio privilegiato dagli
esponenti del comportamentismo moderno, altrimenti detti analisti del comportamento
(Perini, 1997; Scaffidi Abbate, 1997), che lo applicano ad una vasta tipologia di campioni e di situazioni, come testimonia il pullulare di articoli di ricerche ad esso ispirate contenuti in alcune riviste (vedi Journal of the Experimental Analysis of Behavior e The
Psychological Record). Le caratteristiche generali del fenomeno sono rimaste immutate dalle
prime ricerche di Sidman (1971): egli dimostr che, se si insegna ad un soggetto ad accoppiare parole pronunciate (stimolo A) a figure (stimolo B) prima, e a parole stampate (stimolo C) poi, egli in grado di accoppiare anche le parole stampate alle figure e viceversa.
Se le relazioni A-B e A-C sono oggetto di training diretto, le altre (C-B e B-C) emergono
spontaneamente. Sidman chiam relazioni di equivalenza queste relazioni tra stimoli
emerse in assenza di un training diretto e classe di equivalenza la classe contenente un
numero finito di stimoli che, sia pur fisicamente diversi, diventano sostituibili tra loro.
Di questarea di ricerca vengono approfonditi tutti gli aspetti metodologici e procedurali, fino alle implicazioni in diversi settori: dai soggetti adulti normodotati ai soggetti in
et evolutiva con forme di ritardo mentale, dai soggetti portatori di deficit a quelli autistici, fino alle ricerche con animali. Diversi anche i campi di applicazione: apprendimento di
parole nella lingua madre, di lingue straniere, di numeri, di simboli senza senso, formazione di attitudini. In ogni caso viene privilegiato lallestimento dellapparato sperimentale piuttosto che la necessit di fornire una spiegazione teorica. Delle relazioni di equivalenza si dice cosa siano in termini tecnici, come si possano indurre nei soggetti sperimen-
90
Dolores Rollo
tali, quanto siano importanti per lo studio dei comportamenti simbolici. Si studiano gli
aspetti operativi che offrono la possibilit di replicare lo stesso semplice apparato con infiniti contenuti e in numerosi setting, ma raramente si abbozza unanalisi teorica approfondita del processo o un suo confronto coi paradigmi classici dello sviluppo cognitivo e/o linguistico. Pur tuttavia una certa dialettica teorica riservata, dagli addetti ai lavori, allorigine delle classi di equivalenza.
Naming e relazioni di equivalenza
Se Sidman (1990) ritiene che le relazioni di equivalenza rappresentino una funzione
primigenia, non ulteriormente analizzabile, altri autori, invece, identificano nel naming
inteso come latto di dare un nome alle cose la condizione necessaria al loro emergere
(Dugdale e Lowe, 1990; Horne e Lowe, 1996). Lequivalenza sembrerebbe essere il risultato della mediazione esercitata dal linguaggio e, in particolare, il naming media lequivalenza quando a stimoli diversi viene dato lo stesso nome. Questa posizione si tradotta in
numerose ricerche in cui si cercato di verificare il ruolo del linguaggio inducendo la formazione di classi di equivalenza in bambini di diverse et e con diversi gradi di sviluppo
linguistico.
Horne e Lowe (1996) per verificare la possibilit di far emergere comportamenti nuovi,
attraverso il naming, in soggetti molto piccoli che iniziano ad acquisire le prime parole,
allestiscono diverse varianti della ricerca da noi adattata, trovando che: (a) se si insegna il
nome comune per i membri di una classe di stimoli differenti fisicamente, il bambino pu
estenderlo a tutti i membri della classe, generalizzando il suo comportamento, e (b) si stabilisce una relazione di equivalenza tra stimoli senza che questa sia stata direttamente insegnata: pronunciando il nome della classe in corrispondenza di ciascun esemplare si ottiene che il bambino lo assegna a tutti. Ma dire, con Horne e Lowe (1996), che bambini di
soli due anni possono acquisire una sorta di condotta concettuale superordinata a partire dallassociazione del nome categoriale ad ogni singolo esemplare, significa sollevare problemi noti allinterno dello studio sullo sviluppo cognitivo-linguistico, con particolare riferimento al ruolo giocato dal linguaggio.
Com noto, sono numerosi gli studi recenti sullo sviluppo concettuale che prendono
in considerazione il ruolo del linguaggio e, in particolare, del nominare, etichettare gli
oggetti allinterno del processo di acquisizione dei concetti. In sintesi, nelle ricerche pi
recenti i maggiori studiosi dellargomento, tra cui Benelli (1989, 1991; Benelli e Carlini,
1998), Nelson (1985, 1991, 1996), Markman (1987, 1989, 1991), Mervis (1987), ritengono che:
(a) il ruolo delletichetta linguistica per lapprendimento di concetti innegabile: in
bambini molto piccoli il fatto di sentire una parola nuova induce a prestare attenzione agli
oggetti denominati, gettando le basi per la formazione di un nesso stabile nome-oggetto,
e a cercare rapporti categoriali tra gli oggetti trascurando quelli tematici, generalmente preferiti (Markman 1987, 1991). La parola induce alla scelta categoriale indipendentemente
che se ne conosca il significato, quando oltre al nome delloggetto si suggerisce la ricerca
di analogie. In alcuni casi si anche osservato come bambini di soli 4 anni siano indotti
91
92
Dolores Rollo
Maschio
Femmina
Totale
20
21
19
21
13
20
19
21
19
27
40
40
40
40
40
Totale
94
106
200
93
Procedura
Naming indiretto
Viene fornita solo letichetta nominale della categoria superordinata, mostrando il singolo oggetto.
Es. Questo (sedia) un Mobile
Naming diretto
Consegna plurale
Consegna singolare
Fase di Training
Fase di Test
Mobili
Cilchi
df
Sig.
2 anni(N=40)
M
Ds
2.05
2.01
1.15
1.69
2.316
39
p< .01
M
Ds
4.43
2.49
3.03
2.57
2.831
39
p< .001
5 anni (N=40)
M
Ds
5.75
1.03
4.90
2.02
2.888
39
p< .001
M
Ds
5.95
.32
5.20
1.68
2.733
39
p< .001
Adulti (N=40)
M
Ds
5.95
.32
5.45
.90
3.204
39
p< .001
Totale (N=200)
M
Ds
4.83
2.13
3.95
2.46
5.772
199
p< .0001
94
Dolores Rollo
Tabella 2. Confronti fra le due modalit di manipolazione della variabile between Naming e della variabile
within Consegna nelle diverse fasce di et e nel campione totale
Confronti
Totale
2 anni
3/4 anni
5 anni
6/7 anni
Adulti
Naming diretto
vs
Naming indiretto
t = .974
t = .677
t = .473
t = .358
t = 2.155
t =.677
p= n.s.
p= n.s.
p= n.s.
p= n.s.
p< .01
p= n.s.
Consegna singolare
vs
Consegna plurale
t = .243
t = 35.458
t = .000
t = -.358
t = -.185
t = .677
p= n.s.
p= n.s.
p= n.s.
p= n.s.
p= n.s.
p= n.s.
SS
df
Sig.
1955.320
15.680
.980
4.920
8.520
1.280
23.920
4
1
1
4
4
1
4
69.022
2.214
.138
.174
.301
.181
.844
p<.0001
n.s.
n.s.
n.s.
n.s.
n.s.
n.s.
impiegate e sembrano muoversi pi che altro sulla base del caso. Inoltre, le differenze nelle
prestazioni dei soggetti coi due tipi di materiale sono significative a tutte le et, confermando le osservazioni sul ruolo dellesperienza pregressa e dei fattori percettivi e funzionali: i bambini si fanno guidare dallesperienza e dalla conoscenza della funzione degli
oggetti familiari, nel caso dei Mobili, e dalle somiglianze percettive, nel caso dei Cilchi,
facendo passare in secondo piano le etichette comuni, che diventano via via pi rilevanti
con let.
Se si passa alla nostra ipotesi principale relativa al naming si pu vedere nella Tabella 2
lassenza di differenze significative tra le due modalit di etichettamento degli oggetti.
Come ipotizzato, non si rilevano differenze nei bambini piccoli (esplicitare o no il
legame tra etichetta basic ed etichetta superordinata comunque insufficiente), come nemmeno nei grandi per i quali la superordinazione gi data. curioso per vedere come a
6/7 anni lesplicitazione del legame faciliti la risposta dei soggetti per i quali le etichette
nominali sono gi ben disposte nella gerarchia del sistema semantico, nel quale ovvio, per
esempio, che un tavolo sia sia un tavolo che un mobile. Invece per i bambini di 5 anni la
condizione di Naming diretto, con lesplicitazione delle due etichette - basic e superordinata - non risultata la pi facile. Probabilmente ancora a quellet i bambini sono imbarazzati dal non vedere rispettata la regola della mutua esclusivit: come pu un oggetto
essere sia un tavolo che un mobile? (Markman, 1987).
invece da approfondire lassenza di significativit nelle risposte a seconda che si abbia
la consegna singolare o plurale: forse i soggetti della consegna plurale non fanno meglio
95
perch, di fatto, la loro condizione non la pi facile, essendo la consegna plurale in fase
di Test incongruente con letichettamento singolare in fase di Training.
Queste osservazioni sono confermate dallANOVA che mostra la presenza di un effetto solo per la variabile et (vd. Tabella 3).
Conclusioni
Lo scopo generale della presente ricerca, verificare se, nonch in che misura e in che
direzione, i risultati sperimentali raccolti allinterno del paradigma delle classi di equivalenza possano essere sistematizzati nelle principali teorie sullo sviluppo concettuale, implicava il tentativo di far convivere gli assunti e lapparato procedurale di questo modello con
i principi al centro delle riflessioni degli studiosi di sviluppo concettuale. Da qui lallestimento di una ricerca con numerosi fattori, non sempre collocabili sullo stesso piano teorico. Lo spirito che lha animata era del tipo mettiamo insieme tutti questi ingredienti e
vediamo cosa succede. successo che il paradigma delle classi di equivalenza sembrato
non essere idoneo allo studio del ruolo del linguaggio nello sviluppo concettuale: il punto
maggiormente dubbio sembra essere leccesso di sicurezza nellaffermare la possibilit di
indurre la costruzione di concetti attraverso la semplice associazione di etichette linguistiche. Per dirla con Jackendoff (1993): se il linguaggio una finestra sul pensiero non
basta, per, aprire la finestra per essere nel pensiero. Non sembra essere sufficiente luso
controllato di nomi per far emergere la relazione arbitraria tra parole e concetti, elementi
di un pi complesso sistema socio-linguistico-cognitivo (Nelson, 1996).
Bibliografia
Benelli, B. (1989). Lo sviluppo dei concetti nel bambino. Firenze: Giunti.
Benelli, B. (1991). Categorizzazione, rappresentazione e linguaggio: aspetti e tendenze nello sviluppo del pensiero concettuale. VERSUS, 59/60, 5-46.
Benelli, B. e Carlini, G. (1998). Lo sviluppo del significato dei termini linguistici superordinati.
Ricerche di Psicologia, 2, 22, 81-103.
Dugdale, N. e Lowe, C.F. (1990). Naming and stimulus Equivalence. In D.E. Blackman e H.
Lejeune (Eds.), Behaviour analysis in theory and practice contributions and controversies, Hove,
England: Erlbaum.
Gelman, S.A. e Markman, E.M. (1986). Categories and induction in young children. Cognition,
23, 183-209.
Horne, P.J. e Lowe, C. F. (1996) On the origins of naming and other symbolic behavior. Journal of
the experimental analysis of behavior, 65, 185-241.
Jackendoff, R. (1993). Patterns in the mind. Language and human nature. Harvester Wheatsheaf:
Hemel Hempstead. (Trad. it. Linguaggio e natura umana, Bologna: il Mulino, 1998)
Markman, E.M. (1987). Come i bambini restringono i possibili significati delle parole. In U.
Neisser (Ed.), Concepts and conceptual development: ecological and intellectual factors in categorization, pp. 358-401. Cambridge: Cambridge University Press. (Trad. it. Concetti e sviluppo concettuale: fattori ecologici e intellettivi della categorizzazione, Roma: Citt Nuova Editrice, 1989).
Markman, E.M. (1989). Categorization and naming in children. Problems of induction. Cambridge,
MA: The MIT Press.
96
Dolores Rollo
Markman, E.M. (1991). The whole-object, taxonomic, and mutual exclusivity assumptions as initial constraints on word meanings. In S.A. Gelman e J.P. Byrnes (Eds.), Perspectives on language
and thought, pp. 72-106. Cambridge: Cambridge University Press.
Mervis, C.B. (1987). Categorie di oggetti a livello infantile di base e primo sviluppo lessicale. In U.
Neisser (Ed.), Concepts and conceptual development: ecological and intellectual factors in categorization, pp. 285-329. Cambridge: Cambridge University Press. (Trad. it. Concetti e sviluppo concettuale: fattori ecologici e intellettivi della categorizzazione, Roma: Citt Nuova Editrice, 1989).
Nelson, K. (1985). Making sense: The acquisition of shared meaning. N.Y.: Academic.
Nelson, K. (1991). The matter of time: interdependencies between language and thought in development. In S.A. Gelman e J.P. Byrnes (Eds.), Perspectives on language and thought, pp. 278-318.
Cambridge: Cambridge University Press.
Nelson, K. (1996). Language in cognitive development: The emergence of the mediated mind. N.Y.:
Cambridge University Press.
Perini, S. (1997). Psicologia delleducazione. Bologna: il Mulino.
Scaffidi Abbate, C. (1997). Le relazioni di equivalenza: ipotesi a confronto. In P. Moderato e S.
Sirigatti (Eds.), Luomo che cambia. Nuovi percorsi di intervento psicologico, Milano: Angeli.
Sidman, M. (1971). Reading and auditory-visual equivalences. Journal of Speech and Hearing
Research, 14, 5-13.
Sidman, M. (1990). Equivalence relations: where do they come from? In D.E. Blackman e H.
Lejeune (Eds.), Behaviour analysis in theory and practice contributions and controversies, Hove,
England: Erlbaum.
9
Processi di elaborazione cognitivo-linguistici di stimoli verbali
e visivi corrispondenti: uno studio evolutivo
Luigi Aprile
Universit di Firenze
98
Luigi Aprile
no sul tappeto due problemi di base: (a) lelaborazione cognitivo-linguistica di stimoli percettivo visivi differente o no da quella che concerne gli stimoli verbali? (in altri termini, la
mente lavora in modo differente in risposta agli stimoli verbali rispetto a quelli visuali percettivi?); (b) vi un solo tipo di elaborazione cognitivo-linguistica degli stimoli, sia che
siano verbali o visuali percettivi, o vi sono differenti tipi di elaborazione in relazione ai
compiti proposti, attivati? (in altri termini, i processi cognitivo-linguistici sono simili tra
loro o esistono processi differenti, bench integrati in qualche modo, per il trattamento
delle informazioni legate agli stimoli, indipendemente dal tipo di stimolo, sia verbale che
visuo percettivo?).
Per quanto riguarda la prima domanda, Glaser (1993, pp. 64-67) ha recentemente sintetizzato in cinque different, fundamental classes of hypotheses, i principali modelli che
sono stati proposti: (1) There is only one word-like internal code system (i.e., vi sono
unit nella mente, come le parole, che organizzano clusters of associations among perceived objects, their properties and functions, experiences from actions with them, and the
spoken and written modalities of their verbal labels (e.g., Deese, 1962), according to
behaviorism); (2) There is only one internal code of concepts but not of words. (...).
Essentially, this hypothesis is also a historical reminiscence (i.e., vi sono concetti nella
mente, corrispondenti con le informazioni elaborate in risposta a precedenti esperienze e
percezioni, e che sono rappresentati come immagini mentali, pittoriche); (3) The dualcode hypothesis by Paivio (1971, 1986) (i.e., gli stimoli percettivo visivi, come gli oggetti e le figure, sarebbero elaborati e memorizzati da un sistema spaziale e pittorico distinto
da quello verbale e astratto, specifico per gli stimoli verbali); (4) the hypothesis of a central, abstract, amodal and propositional internal code for long-term storage (i.e., gli stimoli visivo percettivi, come oggetti e immagini, sarebbero processati da un sistema pittorico di input/output, legato a un Iconogen System, differente da quello per gli stimoli verbali, legato a un Logogen System; e, in fasi successive, entrambi i tipi di stimoli sarebbero elaborati da un sistema di memoria astratto, Semantic Memory, attraverso processori
pittorici e verbali, chiamati convertitori); (5) the lexical hypothesis (according to this proposal, visual perceptual stimuli, physical objects pictures and actions, would be processed
by a Semantic Executive System directly linked to Semantic Memory, whereas verbal stimuli, printed or written and spoken words, would be respectively processed by a
Graphemic Executive System and by a Phonemic Executive System, both directly linked
to a large verbal and linguistic system, the Lexicon) (vedi la Fig. 1).
Glaser (1993) ha discusso tali cinque modelli passando in rassegna i risultati ottenuti
nei vari studi, giungendo alla conclusione che lipotesi lessicale quella che meglio si accorda con i dati attualmente disponibili. A tale proposito, inoltre, Rosch (1975a, Experiment
7, pp. 217-219) ha trovato che allinterno di un intervallo di 2 sec the representation is
not entirely specific to either a pictorial or verbal mode but is some set of abstract probabilities of items that can represent the meaning of the category in either mode (p. 219),
whereas a distinction comes out probably between 600 or 700 msec (Experiment 8).
Le risposte date alla seconda domanda (vi un solo tipo di processo di elaborazione
cognitivo-linguistica degli stimoli, sia verbali che visivo percettivi, o vi sono differenti tipi
di processi dipendenti dal compito?) possono essere sintetizzate in tre principali modelli
Memoria Semantica
(Pittorica, Astratta)
Sistema
Esecutivo Semantico
Percezione, Immaginazione, Azione
Figure,
Azioni su
Oggetti fisici
99
Lessico
(Verbale)
Sistema
Esecutivo Grafemico
Percezione, Azione
Stampate Scritte
Parole
Sistema
Esecutivo Fonemico
Percezione, Azione
Pronunciate
Parole
Figura 1. Componenti pittoriche (figurali), verbali e astratte del sistema cognitivo secondo lipotesi lessicale di
Glaser e Glaser (1989, Fig. 5, p. 31)
relati a tre processi distinti: (1) processi categoriali (formal-perceptive core hypothesis) (e.g.,
Clark, 1973, 1978; Medin e Wattenmaker, 1987); (2) processi funzionali (functional core
hypothesis) (e.g., Nelson, 1974, 1982, 1985); (3) processi prototipici (central vs peripheral
trend core hypothesis) (e.g., Rosch, 1975a, 1975b; Lakoff, 1987; Neisser, 1987). Questi tre
modelli sono di solito stati presentati come opposti, mutualmente esclusivi, nonostante il
fatto che stato ipotizzato che, sia sul piano teorico (e.g., Miller, 1978) che sperimentale
(e.g., Arcuri e Girotto, 1986), essi sono simultaneamente presenti nello sviluppo cognitivo e linguistico.
Questa ricerca ha lo scopo di investigare ulteriormente i processi cognitivo linguistici
di elaborazione degli stimoli verbali e visivi. In particolare sono state verificate due ipotesi
in chiave evolutiva: primo, se le risposte cognitivo-linguistiche agli stimoli visivo percettivi sono diverse da quelle date agli stimoli verbali, o al contrario esse non differiscono
tra loro; secondo, se le risposte cognitivo-linguistiche a entrambi i tipi di stimoli, verbali
e visivo percettivi, appartengono prevalentemente a un unico tipo di processo, cio se esse
sono o categorizzazioni o funzionalizzazioni o prototipizzazioni, o al contrario queste
risposte sono simultaneamente presenti, riflettendo probabilmente processi di elaborazione in parallelo degli stimoli.
Metodo
Soggetti
Quattro gruppi di 28 soggetti con et media di 5.4 anni (range 5.1-5.8), 8.3 anni
(range 8.0-8.6), 10.4 anni (range 10.0-10.7), e 26.9 anni (range 19.4-48.7) hanno preso
parte alla ricerca. Tutti i soggetti erano di madre lingua italiana, senza difficolt di linguaggio o uditive conosciute.
100
Luigi Aprile
Materiali
Sono stati selezionati due gruppi di stimoli, sette parole e immagini corrispondenti
(fotografie in diapositiva), secondo i criteri presentati nella Tabella 1.
Disegno e procedura
I soggetti sono stati testati individualmente. Ai soggetti stato chiesto di rispondere
alle seguenti domande per ciascun stimolo (X), se parola detta dallo sperimentatore, se
immagine proiettata in diapositiva: (a) A quale insieme, di quale gruppo fa parte X?
(compito categoriale); (b) A cosa serve, pu servire X? (compito di funzionalizzazione);
(c) Descrivi come fatto, quali sono le caratteristiche di X (compito di prototipizzazione). Ai partecipanti era stato detto di fornire quante pi risposte categoriali, funzionali e
prototipiche era loro possibile. Gli stimoli erano presentati in due differenti modalit, verbale (parole dette dallo sperimentatore) o visiva (diapositive proiettate su uno schermo
bianco, a una distanza di circa due metri dal soggetto). Lordine di presentazione degli stimoli e delle domande stato bilanciato tra i soggetti. Le risposte sono state audioregistrate e successivamente analizzate. Stimoli e procedure sono stati testati in precedenti studi
pilota (Aprile, 1993).
Codifica dei dati e attribuzione dei punteggi
Due giudici indipendenti hanno codificato i dati e attribuito i punteggi sulla base dei
seguenti criteri: (a) risposte alla domanda A quale insieme, di quale gruppo fa parte X?
= 1 punto per ogni inclusione categoriale prodotta dal soggetto (e.g., se alla domanda A
quale insieme, di quale gruppo fa parte unautomobile (diapositiva o parola)? la risposta
era Ai veicoli, allora il punteggio era 1; se la risposta era Ai mezzi di trasporto; ai veicoli a quattro ruote, allora il punteggio era 2, poich erano state prodotte due inclusioni
categoriali), e cos via; (b) risposte alla domanda A cosa serve, pu servire X? = 1 punto
per ogni funzione prodotta dal soggetto (e.g., se la domanda era A cosa serve, pu serviTabella 1. Valori normativi delle parole: (a) Media dei punteggi di prototipicit (PR) nei bambini, (b) Media
delle frequenze di produzione spontanea (SPF) in bambini, (c) Punteggi di appartenenza categoriale (RCM)
in adulti, (d) Media dei coefficienti di correlazione tra ranghi (Rho di Spearman) (RCC) tra dati di bambini e
adulti, e (e) Norme di prototicipit (PN) in adulti.
Parole
(PR)
(SPF)
Automobile
Bambola
Giubbotto
Pera
Tavolo
Cane
Naso
1.06
1.50
1.24
1.05
1.55
62
37
12
55
40
Valori normativi
(RCM)
(RCC)
1.16
1.43
1.73
1.31
1.55
.86
.62
.90
.87
.93
(PN)
8.31
0.74
13.38
13.43
15.32
10.76
101
Funzioni
Parole
Immagini
Prototipi
Parole
Immagini
5 anni
(S.D.)
7.8
(1.8)
7.2
(0.4)
16.3
(2.8)
7.5
(2.1)
7.3
(0.3)
17.9
(3.7)
8 anni
(S.D.)
6.8
(1.0)
8.1
(1.2)
28.1
(15.7)
6.9
(0.3)
8.8
(3.2)
30.0
(9.2)
10 anni
(S.D.)
7.0
(0.5)
9.6
(3.1)
36.4
(13.0)
7.4
(1.4)
9.8
(3.8)
38.5
(12.4)
Adulti
(S.D.)
12.6
(4.2)
24.3
(12.7)
74.5
(56.3)
14.2
(4.9)
29.2
(14.2)
64.8
(29.3)
102
Luigi Aprile
60
C
50
F
Risposte
40
30
20
10
0
8
10
Gruppi et
Figura 2. Numero medio delle risposte nei compiti categoriali (C), funzionali (F), e prototipici (P), indipendentemente dal tipo di stimoli, nei quattro gruppi di et (5, 8, 10 anni e adulti)
di compito 4categoriale, funzionale e prototipico) stata pi ampia nel gruppo degli adulti, specialmente nelle prestazioni nettamente pi elevate ottenute nel compito di prototipizzazione.
Discussione
Per quanto riguarda la prima domanda (se le risposte cognitivo-linguistiche agli stimoli visivo percettivi sono diverse da quelle date agli stimoli verbali, o al contrario esse
non differiscono tra loro), i risultati di questa ricerca mostrano che non vi sono differenze
nelle risposte date dai soggetti in base al tipo di stimolo.
Per quanto concerne la seconda domanda (se le risposte cognitivo-linguistiche a entrambi i tipi di stimoli, verbali e visivo percettivi, appartengono prevalentemente a un unico tipo
di processo, cio se esse sono o categorizzazioni o funzionalizzazioni o prototipizzazioni, o
al contrario queste risposte sono simultaneamente presenti), sono state trovate evidenze empiriche che i tre processi sono attivi e lavorano distintamente gli uni dagli altri. Le differenziazioni tra i processi categoriali, funzionali e prototipici sono presenti sia allinterno
di ciascun gruppo di et che in funzione dei livelli di et. Sia gli stimoli verbali che quelli
visivi sembrano processati da differenti processi cognitivo-linguistici (categoriali, funzionali, prototipici). Indipendentemente dal tipo di stimoli (verbali o visivi), linformazione
viene processata in relazione a specifici processi cognitivo-linguistici attivati nella mente dal
tipo di domanda o compito. Lipotesi che pu essere avanzata che le categorizzazioni, le
funzionalizzazioni e le prototipizzazioni sono processi che lavorano in parallelo.
Inoltre, i risultati mostrano che le relazioni tra i tre tipi di processi cognitivo-linguistici cambiano nel corso dello sviluppo. In particolare, i processi prototipici diventano domi-
103
nanti negli adulti, comparati a quelli dei bambini. Gli adulti sono in grado di dare una
maggiore quantit di risposte prototipiche rispetto a quelle categoriali e funzionali, mentre nei bambini questa differenza molto meno marcata. Viceversa, i bambini utilizzano i
criteri categoriali e funzionali per processare linformazione esterna molto di pi di quanto non fanno gli adulti.
Bibliografia
Aprile, L. (1993). Linguaggio lessicale e conoscenza sociale del bambino [Lexical language and childs
social knowledge]. Milano: Giuffr Editore.
Arcuri, L. e Girotto, V. (1986). Norme di tipicit per sei categorie naturali. Uno studio evolutivo
[Six natural categories typicality norms: A developmental study]. Giornale Italiano di Psicologia,
13, 409-442.
Bates, E. (1976). Language and context: The acquisition of pragmatics. New York: Academic Press.
Bloom, P. (1994). Recent controversies in the study of language acquisition. In M.A. Gernsbacher
(Ed.), Handbook of psycholinguistics (pp. 741-779). San Diego, CA: Academic Press.
Bruner, J.S. (1983). Childs talk. New York: Norton.
Clark, E.V. (1973). Whats in a word? On the childs acquisition of semantics in his first language.
In T. Moore (Ed.), Cognitive development and the acquisition of language (pp. 65-110). New
York: Academic Press.
Clark, E.V. (1978). Strategies for communicating. Child Development, 49, 953-959.
Girotti, G., Antonietti, A. e Marchetti, A. (1990). Norme di prototipicit e stimaoggettiva e soggettiva della frequenza duso di parole italiane [Prototypicality norms and objective and subjective estimation of Italian words frequency]. Bollettino di Psicologia Applicata, 193-194, 69-84.
Glaser, W.R. (1993). Picture naming. In W.J.M. Levelt (Ed.), Lexical access in speech production (pp.
61-105). Cambridge, MA: Blackwell.
Glaser, W.R., e Glaser, M.O. (1989). Context effects in Stroop-like word and picture processing.
Journal of Experimental Psychology: General, 118, 13-42.
Job, R. (1981). Giudizi di appartenenza categoriale per 547 concetti della lingua italiana [Ratings of
category membership for 547 concepts of Italian language] (Tech. Rep. No. 50). Padova:
Universit di Padova, Istituto di Psicologia.
Johnson-Laird, P.N. (1983). Mental models. Cambridge, UK: Cambridge University Press.
Lakoff, G. (1987). Cognitive models and prototype theory. In U. Neisser (Ed.), Concepts and conceptual development: Ecological and intellectual factors in categorization (pp. 63-100). New York:
Cambridge University Press.
Levelt, W.J.M. (1993). Accessing words in speech production: Stages, processes and representations.
In W.J.M. Levelt (Ed.), Lexical access in speech production (pp. 1-22). Cambridge, MA:
Blackwell.
Medin, D.L. e Wattenmaker, W.D. (1987). Category cohesiveness, theories, and cognitive archeology. In U. Neisser (Ed.), Concepts and conceptual development: Ecological and intellectual factors
in categorization (pp. 25-62). New York: Cambridge University Press.
Miller, G.A. (1978). The acquisition of word meaning. Child Development, 49, 999-1004.
Miller, G.A., e Johnson-Laird, P.N. (1976). Language and perception. Cambridge, MA: Harvard
University Press.
Neisser, U. (1967). Cognitive psychology. New York: Appleton-Century-Crofts.
Neisser, U. (1976). Cognition and reality. New York: W.H. Freeman.
104
Luigi Aprile
Neisser, U. (1987). From direct perception to conceptual structure. In U. Neisser (Ed.), Concepts
and conceptual development: Ecological and intellectual factors in categorization (pp. 11-24). New
York: Cambridge University Press.
Nelson, K. (1973). Some evidence for the cognitive primacy of categorization and its functional
basis. Merrill-Palmer Quarterly Journal of Behavior and Development, 19, 21-39.
Nelson, K. (1974). Concept, word, and sentence: Interrelations in acquisition and development.
Psychological Review, 81, 267-285.
Nelson, K. (1982). The syntagmatics and paradigmatics of conceptual development. In S. A.
Kuczaj, II (Ed.), Language development (Vol. 2, pp. 335-364). Hillsdale, NJ: Erlbaum.
Nelson, K. (1985). Making sense. New York: Academic Press.
Paivio, A. (1971). Imagery and verbal processes. Hillsdale, NJ: Erlbaum.
Paivio, A. (1986). Mental representations: A dual coding approach. New York: Oxford University
Press.
Piaget, J. (1923). Le langage et la pense chez lenfant [The childs language and thought]. Neuchtel:
Delachaux e Niestl.
Piaget, J. (1926). La reprsentation du monde chez lenfant [The childs representation of world].
Paris: Presses Universitaires de France.
Rosch, E. (1975a). Cognitive representations of semantic categories. Journal of Experimental
Psychology: General, 104, 192-233.
Rosch, E. (1975b). The nature of mental codes for color categories. Journal of Experimental
Psychology: Human Perception and Performance, 1, 303-322.
Rosch, E. (1978). Principles of categorization. In E. Rosch e B.B. Lloyd (Eds.), Cognition and categorization (pp. 27-48). Hillsdale, N.J: Erlbaum.
Rumelhart, D.E., McClelland, J. L., e the PDP Research Group (1986). Parallel distributed processing (2 Vols.). Cambridge, MA: MIT Press.
Vygotsky, L.S. (1986). Thought and Language. Cambridge, MA: MIT Press (originally published,
1934).
10
La capacit di leggere la mente propria ed altrui
Elisa Faso, Caterina Primi
Universit di Firenze
La capacit di leggere la mente, ovvero di stabilire collegamenti tra credenze, emozioni ed il comportamento e di coglierne levoluzione, stata negli ultimi venti anni un campo
dindagine particolarmente florido per la psicologia dello sviluppo. Esso ha dato vita a una
serie di studi provenienti anche da correnti teoriche molto diverse tra loro, tesi ad indagare aspetti ed abilit differenti che sono stati raggruppati prima sotto la denominazione di
psicologia ingenua per poi venire etichettati come teoria della mente (Wellman e Bartsch,
1988; Wellman, 1991, 1998; Baumgartner, Devescovi e DAmico, 2000).
La teoria della mente contiene in s conoscenze e competenze molto diverse e, prima
fra tutti, la conoscenza della rappresentazione simbolica, ovvero la consapevolezza che la
mente crea dei pensieri. stato osservato come il bambino possegga, gi in et molto precoci, conoscenze indispensabili per il successivo sviluppo di competenze di questo genere,
che emergono e si riflettono nelle prime forme comunicative infantili, come lattenzione
condivisa (Baron-Cohen, 1998; Camaioni, 1998) e il gioco simbolico (Gopnick e
Astington, 1988; Meltzoff e Gopnick, 1998; Leslie, 1998). Daltra parte, non sarebbe possibile concepire una qualsiasi forma comunicativa senza presupporre lesistenza, e quindi la
consapevolezza, delloggetto che deve ricevere il messaggio. Altre ricerche hanno indagato
sul percorso condotto dal bambino per conoscere la mente propria e altrui e poter comunicare con laltro, con lo scopo di influenzarlo e di modificarne, o almeno indirizzarne, il
comportamento. Queste ricerche si contraddistinguono per la comune tendenza ad
abbandonare luso di prove appositamente predisposte dal ricercatore per valutare le abilit infantili (lesempio pi famoso rappresentato dalla prova della falsa credenza elaborato
da Wimmer e Perner, 1983).
Gli studi sul lessico psicologico
Le ricerche che seguono unottica di tipo ecologico si pongono in posizione critica
rispetto allapproccio metodologico precedente. Esse concentrano la loro attenzione sul
rispetto delle abilit e dellambiente naturale del bambino, come dimostrano le ricerche di
Judy Dunn (1988; Dunn e Kendrick, 1982; Dunn, Bretherton e Munn, 1987), ricercando abilit sempre pi precoci nei soggetti.
106
E. Faso, C. Primi
107
descrivere la struttura e lattivit mentale si possa sviluppare parallelamente alle altre abilit infantili, oppure se questa sia tendenzialmente autonoma. Per questo motivo il presente studio ha adottato una prospettiva longitudinale.
Analisi degli stati mentali nel lessico delle narrazioni infantili: la ricerca
Ipotesi
Gli obiettivi che ci poniamo sono i seguenti:
Osservare leventuale sviluppo o stabilit delle conoscenze infantili sulla mente, esaminando quali termini psicologici vengono usati allet di 5 anni e se nel corso dellanno
scolastico c una modifica quantitativa e qualitativa nelluso delle diverse categorie.
Confrontare il nostro modello con quelli di Bretherton e Beeghley (1982) e Camaioni
e Longobardi (1997), per osservare se gli stessi elementi che si riscontrano nel linguaggio comune infantile, tesi ad evidenziare la capacit del bambino di inferire gli stati
mentali dal comportamento, possano essere validi anche in una situazione pi strutturata.
Valutare il ruolo del contesto di produzione narrativa nellutilizzo delle referenze agli
stati interni, operando un confronto fra il nostro modello, utilizzato in una prova di
racconto semplice, e quello di Baumgartner e Devescovi (1996), applicato nella lettura
di un libro illustrato.
Indagare linfluenza del contenuto delle storie sulla capacit di parlare della mente.
Dal momento che il bambino capace di adattare il lessico alle situazioni in cui si trova,
ci aspettiamo che lutilizzo dei termini che descrivono gli stati mentali siano adeguati
al contenuto delle storie prodotte.
Metodo
Soggetti
Il campione della ricerca composto da 98 soggetti, 49 femmine e 49 maschi, et
media di 5,4 anni (intervallo: 5,0-5,9 per femmine e maschi) a novembre e di 6,0 anni
(intervallo: 5,5-6,5 per le femmine, 5,5-6,6 per i maschi) a giugno.
Procedura
La prova di racconto della storia stata somministrata individualmente, in un ambiente tranquillo esterno alla classe di appartenenza, con la seguente consegna: Vuoi provare
a raccontare una storia?. Tutte le storie sono state registrate su nastro e poi trascritte per
essere analizzate. Ogni soggetto ha eseguito la prova due volte, allinizio (ottobre-dicembre
1999) e alla fine dellanno scolastico (maggio-giugno 2000).
Codifica
Sul materiale raccolto (196 storie) stata effettuata lanalisi del contenuto, rilevando tutte
108
E. Faso, C. Primi
Tabella 1. Suddivisione in categorie delle referenze agli stati interni
Stati Fisiologici
Stati Percettivi
Stati Volitivi
Ad es.: volere, potere, sperare, farcela/riuscire a, fare (permettere), provare/ tentare/cercare, ordinare
Stati Cognitivi
Stati Morali
Stati Sociali-Relazionali
quelle espressioni che indicavano la struttura e il funzionamento della mente. I dati raccolti
sono stati organizzati in categorie che riguardano i diversi tipi di stati mentali costituenti il
lessico psicologico (desideri, percezioni, sentimenti, ecc.). Lo schema di codifica utilizzato
permette di rilevare sia i tipi che le frequenze delle referenze agli stati interni (v. Tabella 1).
Risultati e discussione
Andamento evolutivo
Nellanalisi di un possibile sviluppo quantitativo stato eseguito un confronto fra le
due prove, effettuando un T test su campioni appaiati (p<.05). Tuttavia non stata riscontrata alcuna differenza significativa (cfr. Tabella 2).
Quindi la capacit infantile di utilizzare termini indicanti i vari stati mentali allinterno di una storia si mantiene stabile nel corso dellanno scolastico. Avendo rilevato tale
costanza nel lessico psicologico infantile, ci siamo chiesti allora se nel tempo trascorso fra
le due rilevazioni, aumentasse il numero dei soggetti che adoperavano i vari stati. Tale confronto stato effettuato tramite i modelli loglineari. Anche in questo caso, i risultati
mostrano un andamento costante delluso dei termini psicologici; gli stessi bambini che
allinizio dellanno non adoperavano referenze agli stati mentali continuavano a mantenere mediamente un andamento simile anche alla fine dellanno scolastico.
Un fattore che pu avere contribuito a mantenere stabile la capacit infantile di parlare della mente rappresentato dallapplicare il lessico psicologico alla storia, ambito non
ancora ben padroneggiato dal bambino. stato osservato come lo sviluppo delle abilit
109
Tabella 2. Distribuzione delle medie per i termini appartenenti alle varie categorie allinterno del racconto
Confronto medie '99/'00
Frequenze medie
2,5
Dati '99
Dati '00
2,0
1,5
1,0
0,5
0,0
Stati
Stati
Stati
Fisiologici Percettivi Emotivi
Positivi
Stati
emotivi
negativi
Stati
Stati Stati Morali Stati
Volitivi Cognitivi
SocialiRelazionali
110
E. Faso, C. Primi
Tabella 3. Riferimenti agli Stati Emotivi Negativi
E il bambino non era contento, era triste
Poi si nascose perch loro erano arrabbiati
E poi (il lupo) fece uno scherzo brutto alla nonna
Cera una volta un bambino che aveva paura di tutto
Pass davanti una macchina e il gatto si spavent
E (Marco) gli dette una botta, allora la sorellina incominci a piangere
Cera una volta un orso che si annoiava di mangiare il miele
(Il cacciatore) si meravigli di avere la porta aperta
Non ti preoccupare, ci penso io
cascato e terra, si lamentava
E mentre lui martellava, diceva Ahi ahi ahi ahi
TRISTE
ARRABBIATO/innervosito
brutto
aver paura
spaventarsi/terrorizzarsi/disperarsi
piangere/gridare
annoiarsi
meravigliarsi (spaventarsi)
preoccuparsi
lamentarsi
onomatopee
Legenda: corsivo = termini condivisi con il modello di Bretherton e Beeghley e Camaioni e Longobardi; sottolineato = termini condivisi con il modello di Baumgartner e Devescovi; grassetto = termini presenti solo nel
nostro modello; MAIUSCOLO = termini comuni a tutti i modelli.
Tabella 4. Distribuzione percentuale delle referenze agli stati interni nel racconto semplice e nella storia con
supporto iconico
9,1%
10,2%
5,8%
10,9%
31,3%
3,7%
13,0%
St. Fisiologici
St. Emotivi Neg
St. Morali
16,1%
St. Percettivi
St. Volitivi
St. Sociali-Relaz
Cognizioni: 4,3%
111
Legenda: F_= stato fisiologico; P_= stato percettivo; EP_= stato emotivo positivo; EN_= stato emotivo negativo; V_= stato volitivo; C_= stato cognitivo; M_= stato morale; SR_= stato sociale-relazionale
112
E. Faso, C. Primi
stati percettivi e laltro da stati emotivi. Questi gruppi possono essere ricondotti a due principali tipologie di storia, quella incentrata sullazione e quella focalizzata sui sentimenti.
Una storia che tratta delle avventure di personaggi sar incentrata sulle azioni dei protagonisti, di conseguenza verranno utilizzate un maggior numero di referenze circa stati
mentali che riguardino le relazioni tra lindividuo e il mondo, riassunte nelle categorie percettiva e fisiologica (cfr. les. 1 riportato in Appendice). Narrando storie maggiormente
incentrate sui personaggi che vengono descritti in modo meno stereotipato, lattenzione si
concentra sulle reazioni interne dei protagonisti, sulle loro emozioni e sullinfluenza di
queste sul comportamento (v. es. 2 in Appendice). In realt chiaro che i bambini di 5
anni non sono ancora in grado di riprodurre le complesse interazioni fra le componenti
emotive, motivazionali e cognitive che determinano le azioni proprie ed altrui. Tuttavia gi
in alcuni racconti vengono a presentarsi gli elementi costitutivi di questa relazione. I risultati ottenuti tramite lanalisi dei cluster rinforzano quindi lidea di una predominanza, in
et scolare, di un pensiero narrativo di stampo bruneriano: il bambino utilizza il linguaggio
in modo tale da costruire storie principalmente basate sulle azioni o, in altro caso, sulle
emozioni dei personaggi.
Conclusioni
Anche se nellultimo decennio sono stati fatti molti passi avanti nellindagine sulle
conoscenze infantili della mente, rimangono ancora molte questioni da approfondire in
questo ambito.
Una strada che ha ancora alcuni lati da esplorare rappresentata da tutte le possibili
applicazioni che tale abilit ha negli anni successivi, quando la teoria della mente sta affinando i suoi paradigmi principali e viene applicata in situazioni differenti a quella in cui
stata appresa, oppure viene integrata con abilit diverse come appunto quella narrativa,
chiarendo inoltre linfluenza del contenuto narrativo sulla capacit infantile di parlare della
mente. Ulteriori studi in questultima direzione permetterebbero infine alcune applicazioni operative, individuando le storie che maggiormente incentivano la conoscenza della
mente.
Lambito delle narrazioni si rivela cos un contesto particolarmente proficuo per lo sviluppo della teoria della mente: la riproduzione e la creazione di una storia diventano una
palestra di allenamento per lo sviluppo della lettura dei desideri e delle credenze altrui e
si rivelano un campo molto fertile per lacquisizione dei molteplici paradigmi che costituiscono la teoria della mente.
Bibliografia
Baron-Cohen, S. (1998). I precursori della teoria della mente: comprendere lattenzione negli altri.
In L. Camaioni (a cura di), La teoria della mente: origini, sviluppo e patologia. Roma: Laterza.
Battacchi, M.W. e Giovannelli, G. (1988). Psicologia dello sviluppo. Conoscere e divenire. Roma: La
Nuova Italia Scientifica.
Baumgartner, E. e Devescovi, A. (1996). Come e perch nelle favole raccontate dai bambini. Ascoli
Piceno: Sestante.
113
Baumgartner, E., Devescovi, A. e DAmico, S. (2000). Il lessico psicologico dei bambini. Origine ed
evoluzione. Roma: Carocci.
Bretherton, I. e Beeghley, M. (1982). Talking about internal states: the acquisition of an explicit
theory of mind. Developmental Psychology, 6, 18, 906-921.
Bruner, J. (1986). Actual Minds, Possible Words. Cambridge: Harward University Press (tr. it.
La mente a pi dimensioni. Bari: Laterza, 1993).
Bruner, J. (2000). Three faces of Narratives: Lives, Literature and Law. Lecture I. Relazione presentata allinterno del seminario di studio, Narratives and Cultural Psychology; Firenze 11
Maggio 2000.
Camaioni, L. (a cura di) (1998). La teoria della mente: origini, sviluppo e patologia, Roma: Laterza.
Camaioni, L. e Longobardi, E. (1997). Referenze a stati interni nella produzione linguistica spontanea a venti mesi. Et Evolutiva, 56, 16.
Dunn, J. (1988). The beginnings of social understanding. Cambridge: Harvard University Press (tr.
it. La nascita della competenza sociale, Milano: Raffaello Cortina, 1990).
Dunn, J., Bretherton, I. e Munn, P. (1987). Conversations about feeling states between mothers
and their young children. Developmental Psychology, 1, 23, 132-139.
Dunn, J. e Kendrick, C. (1982). Siblings. Love, envy and understanding. Cambridge: Harvard
University Press (tr. it. Fratelli. Affetto, rivalit, comprensione, Bologna: il Mulino, 1987).
Gopnick, A. e Astington, J.W. (1988). Childrens understanding of representational change and its
relation to the understanding of false beliefs and the appearance-reality distinction. Child
Development, 59, 1366-1371.
Leslie, A.M. (1998). Alcune implicazioni della finzione per i meccanismi sottostanti alla teoria della
mente del bambino. In L. Camaioni (a cura di), La teoria della mente: origini, sviluppo e patologia. Roma: Laterza.
Meltzoff, A. e Gopnick, A. (1998). Il ruolo dellimitazione nella comprensione sociale e nello sviluppo di una teoria della mente. In L. Camaioni (a cura di), La teoria della mente: origini, sviluppo e patologia. Roma: Laterza.
Pinto, G., Bergamo, A. e Cioncolini, G. (1994). Influenze contestuali sulla narrazione di storie in
et prescolari e scolari. Et Evolutiva, 47, 30-40.
Smorti, A. (1997). Il S come testo. Firenze: Giunti.
Spinillo, A.G. e Pinto, G. (1994). Childrens narratives under different conditions. A comparative
study. British Journal of Developmental Psychology, 27, 36-48.
Stein, N.L. e Glenn, C. (1982). Childrens concept of time: The development of a story schema. In
W.J. Friedman (Eds.), The developmental psychology of time (pp. 255-281). NewYork: Academic
Press.
Wellman, H.M. (1991). From desires to beliefs: Acquisition of a theory of mind. In A. Whiten
(Eds.), Natural Theories of Mind, Cambridge: Basil Blackwell.
Wellman, H.M. (1998). Dai desideri alle credenze: lacquisizione di una teoria della mente. In L.
Camaioni (a cura di), La teoria della mente: origini, sviluppo e patologia. Roma: Laterza.
Wellman, H.M. e Bartsch, K. (1988). Young childrens reasoning about beliefs. Cognition, 3, 30,
239-277.
Wimmer, H. e Perner, J. (1983). Beliefs about beliefs: representation and constraining function of
wrong beliefs in young childrens understanding of deception. Cognition, 13, 103-128.
114
E. Faso, C. Primi
Appendice
Esempio 1 Esempio di narrazione infantile incentrato sullazione
Cera una volta Cecco Volta che stava andando a lavorare perch doveva costruire una scuola. Poi quando andava a mangiare arriv un maialino, aveva fame e quegli altri no. S Pietro facci montare sulla ruspa! Poi lui non
gli ha fatti montare. E doveva scavare e si era rotto la terra e poi dovevano finire il lavoro. E fu messo fuori a
dormire nel coso dello scavatore.
Esempio 2 Esempio di narrazione infantile incentrato sulle reazioni interne dei personaggi
Cera una volta un bambino che stava in una casa lontano lontano con il babbo, la mamma e la sorellina che
si chiamava Emily. Il bambino che si chiamava Marco letic con Emily e gli dette una botta, e allora la sorellina incominci a piangere. La mamma brontol Marco e disse: Vai in camera tua e chiedi scusa alla tua sorellina! Marco chiese scusa alla sua sorellina, fece la pace con la mamma e poi Emily disse a Marco: Si va un po
fuori a giocare? E Marco disse: S, va bene!. E poi andarono a giocare insieme.
11
Dai processi ai prodotti:
la correttezza ortografica
Lucia Bigozzi
Universit di Firenze
Esistono materie di insegnamento () che si continua ad imporre senza sapere se raggiungano lo scopo loro assegnato. Si sostiene per esempio, che per vivere socialmente sia necessario
rispettare lortografia ( non staremo qui a discutere il significato razionale o meramente tradizionale di una simile imposizione). Ma ci che non si sa affatto, in modo definitivo se un corso
di ortografia ne favorisca lapprendimento, non serva a niente o si risolva invece addirittura in
un danno. () Non si capisce perch, su un terreno cos accessibile alla sperimentazione, nel
quale entrano in conflitto gli interessi divergenti della grammatica tradizionale e della linguistica contemporanea, non siano organizzati esperimenti coerenti e metodici, ma ci si limiti a
risolvere problemi sulla scorta di opinioni, il cui buon senso nasconde pi affettivit che motivi concreti.
Jean Piaget (1969)
1. Introduzione
Questo lavoro riguarda il trattamento di un disturbo con bassa prevalenza e apparentemente non grave, ma che rende molto difficile la vita scolastica di chi ne portatore: la
disortografia.
La disortografia un disturbo specifico della scrittura dato da una significativa compromissione della automatizzazione delle regole di trasformazione del linguaggio verbale in
quello scritto, questo disturbo d luogo ad una minore correttezza ortografica rispetto ai
coetanei con pari opportunit educative e pari caratteristiche cognitive (Tressoldi, 1991).
Questo specifico disturbo dellapprendimento, pur essendo molto settoriale, risulta
assai invalidante nel percorso scolastico, infatti gli errori ortografici costituiscono un serio
problema per i bambini che non riescono a scrivere correttamente. La cattiva ortografia
stigmatizzante per chi ne affetto, soprattutto nel passaggio dalla scuola elementare alla
scuola media. I professori si pongono delle aspettative nei confronti degli allievi che arrivano in prima media e tra le competenze che si aspettano di trovare acquisite c proprio
lortografia, considerata la soglia minima di apprendimento della scrittura, al di sotto della
116
Lucia Bigozzi
117
Alla scuola elementare inizia a mostrare fatica nel seguire il ritmo degli altri nella lettura e nella scrittura.
Prima di arrivare al mio studio Giorgio era stato gi visto da uno psicoterapeuta il quale
aveva sottoposto il bambino ad una psicoterapia psicoanalitica durata due anni.
3. Diagnosi
A scopo diagnostico ho sottoposto Giorgio a colloqui e test.
Giorgio appare un bambino tranquillo, si comporta normalmente al colloquio, non
impacciato, non mostra particolare timidezza, sembra a suo agio ed ha un comportamento consono allet ed alla situazione. Non rilevo niente di particolare, anzi mi trovo di fronte ad un bambino particolarmente adattato, sostiene bene il colloquio, spiega le proprie
argomentazioni con chiarezza. Non ho niente da rilevare al colloquio.
Risultati ai test: ho somministrato al bambino la WISC-R.
La somministrazione si svolta in un clima estremamente sereno e ludico. Giorgio ha
adottato un atteggiamento molto corretto, gi dimostrando in questo quelle doti intellettive che poi ha rivelato il test stesso. Il bambino ha svolto ogni prova con tranquillit e con
brio ma non perdendo di vista il fine del lavoro che era quello di fare meglio possibile,
ha dosato bene lansia tenendola al livello di drive e si costantemente informato circa i
risultati delle varie prove.
Giorgio ha unintelligenza definibile come Eccellente (Padovani, 1993). Il QI (media
100 e deviazione standard 15) totale di 136 (oltre due deviazioni standard sopra la
media) con un QI Verbale di 130 ed un QI di performance di 132.
Giorgio si colloca come intelligenza generale nellarea degli iperdotati(Padovani,
1993). Il QI Verbale ed il QI di Performance sono ambedue significativamente pi alti del
normale e sono armonici: non presentano differenze. Questo dato significa che Giorgio ha
una intelligenza fuori della norma e che tale superiorit si manifesta in modo omogeneo
nelle due componenti fondamentali.
Ho sottoposto Giorgio a prove oggettive di ortografia: Batteria per la valutazione della
scrittura e della competenza ortografica nella scuola dellobbligo di Tressoldi e Cornoldi
(1991). I risultati delle prove rivelano un numero totale di errori, nel dettato di brano e
di frasi, superiore alla media in modo clinicamente significativo (in particolare per gli errori non fonologici).
Alle prove di lettura MT le prestazioni risultano nella media sia come comprensione
che come correttezza, nella zona dellattenzione la velocit.
Giorgio un bambino sano psicologicamente, solido, ben impostato, tranquillo e con
una intelligenza straordinaria. Pu andare incontro ad un eccessivo desiderio di controllo
del proprio comportamento e dei propri pensieri, per cui nel corso dello sviluppo bene
non gravarlo eccessivamente di pesi o responsabilit poich gi molto consapevole e
adulto, non va rimproverato eccessivamente perch un bambino che tende a farsi carico dei problemi.
Giorgio mostra, come unico sintomo, un eccessivo numero di errori ortografici.
118
Lucia Bigozzi
4. Trattamento
La restituzione della diagnosi provoc nei genitori un effetto di grande tranquillizzazione. Anche se non manifesta, aleggiava, precedentemente al colloquio, la preoccupazione che questa nascita prematura avesse provocato qualche problema al bambino e che la
sua intelligenza non fosse, forse, del tutto brillante. Niente tranquillizza di pi dei genitori sfiduciati come vedere un QI elevato: fortunatamente il risultato del test intellettivo ha
dato gli ottimi risultati che ho esposto, come gi si intuiva al colloquio.
Dopo che la diagnosi fu restituita, pass un discreto lasso di tempo durante il quale i
genitori stavano valutando lopportunit o meno di intraprendere una terapia riabilitativa,
vista la settorialit del disturbo e visto che il bambino era gi sottoposto per due anni ad
una terapia psicoanalitica senza nessun risultato sugli errori ortografici. Un giorno, tornando da scuola Giorgio esplose in questa affermazione: Basta! Voglio andare dalla
Bigozzi. Questo fatto ci dice che il perseverare di una situazione frustrante nella quale il
bambino si trova a dover constatare la sua incapacit e la sua diversit rispetto alla maggior
parte dei coetanei, in presenza di una intelligenza eccellente, determina lurgenza di una
soluzione.
Il trattamento che ho somministrato a Giorgio: Lessico e ortografia di Boschi, Bigozzi,
Falaschi, stimola processi fondamentali di acquisizione lessicale (categorizzazione, funzionalizzazione, sinonimia, antonimia). Tale programma costruito sul modello multidimensionale di rappresentazione lessicale di Boschi, Aprile, Scibetta e articolato secondo la scansione tassonomica di Bigozzi (Bigozzi, Boschi e Aprile, 1992), stato sperimentalmente
validato su un vasto campione di bambini normali (Bigozzi, Biggeri e Boschi, 1997;
Bigozzi e Biggeri 2000) attraverso uno studio longitudinale di durata biennale. Gli effetti
del trattamento possono essere sinteticamente riassunti in un miglioramento della competenza lessicale nei soggetti del secondo ciclo di scuola elementare, con particolare efficacia
sulle competenze pi complesse e nei soggetti con prestazioni iniziali pi basse. Evidenze
sperimentali ci hanno indicato che si ottiene un significativo aumento della correttezza
ortografica, soprattutto per i soggetti che prima del trattamento sono pi carenti. Leffetto
del training tanto maggiore quanto maggiore il numero di errori iniziali: per i soggetti
a -1 deviazione standard dalla media di errori ortografici iniziali nel dettato di frasi leffetto di 1 errore in meno ogni 66 parole, mentre di 1 errore in meno ogni 18 parole a +1
deviazione standard dalla media (Bigozzi e Biggeri 2000).
Questo dato ci ha incoraggiati a sperimentare il trattamento su un caso che presentasse un numero di errori ortografici clinicamente rilevante.
Giorgio ha svolto il nostro percorso riabilitativo che si mosso dallutilizzo di strategie
definitorie proprie della fanciullezza verso una organizzazione lessemica sempre pi simile
a quella dell'adulto, senza considerare erroneamente e superficialmente come degli errori
quelli che invece sono dei tentativi, dei passi costruttivi, nel processo di crescita della competenza lessicale.
Sappiamo che tra la terza e la quarta elementare assistiamo ad un repentino calo delle
tendenze meno evolute, denominate nel modello tendenze assimilative (tautologie, vincoli grafo-fonemici, effetti consecutivi, valore dimmagine, frequenza duso), e ad uno spe-
119
culare aumento delle modalit pi mature denominate tendenze accomodative (categorizzazioni, funzionalizzazioni, sinonimie, antonimie) (Boschi, Aprile e Scibetta 1992).
Il trattamento ha previsto esercitazioni gradualizzate per ognuna delle tendenze descritte concentrandosi sulle tendenze assimilative in una prima fase e su quelle accomodative
in un secondo momento, proponendo diverse schede didattiche per ognuno dei punti
indicati nella tassonomia e seguendone lordine di crescente complessit. Il trattamento
stato proposto in forma prevalentemente scritta attraverso la presentazione delle schede
predisposte, nei tempi e nei modi previsti dal modello.
Giorgio ha svolto autonomamente gran parte del lavoro che veniva periodicamente da
me supervisionato con colloqui quindicinali, il lavoro iniziato a novembre della terza elementare si protratto per un anno.
Giorgio assumeva con il passare del tempo un atteggiamento sempre pi rilassato nei
confronti del lavoro da fare, poich si accorgeva di scrivere meglio. Le insegnanti a scuola
iniziavano a gratificarlo per questi miglioramenti e i genitori si erano anchessi tranquillizzati. A questo punto stato necessario serrare il lavoro poich leccessiva tranquillit aveva
fatto dimenticare che se non si persevera nel trattamento, ma ci si adagia dopo i primi
momenti di gloria, i risultati appena ottenuti scompaiono. Dobbiamo ricordare che il
sentimento di insoddisfazione vissuto da Giorgio era secondario al disturbo specifico di
apprendimento, non eliminando il secondo anche il primo sarebbe velocemente ricomparso.
Giorgio ha ripetuto le prove di ortografia alla fine del trattamento (inizio della quarta
elementare) e a distanza di in un anno (inizio quinta elementare).
5. Risultati e riflessioni
I risultati del lavoro sono stati ottimi. Come viene evidenziato in Tabella 1, Giorgio ha
diminuito in modo significativo il numero di errori ed ha aumentato la velocit in lettura.
Come si vede dalla tabella, Giorgio prima del trattamento era ad oltre tre deviazioni
standard come numero di errori rispetto al campione di controllo nel dettato di brano e a
pi due deviazioni standard nel numero di errori nel dettato di frasi. Dopo il trattamento
la media degli errori che Giorgio presenta nelle due modalit di dettato allinterno della
prima deviazione standard. A distanza di un anno dalla fine del trattamento Giorgio pre-
Tabella 1. Prestazioni di Giorgio alle prove di ortografia e di lettura prima e dopo il trattamento, confrontate
con quelle dei bambini di controllo.
Prima
Media controllo
Media Giorgio
Media controllo
Dopo
Media Giorgio
Dettato brano
Num. errori
3.8 (d.s.4.12)
18
Dettato frasi
Num. errori
25
18
120
Lucia Bigozzi
senta lo stesso livello di correttezza ortografica che aveva raggiunto alla fine del trattamento. Dunque il trattamento efficace in caso di disortografia e lefficacia persiste nel tempo.
Giorgio non ha svolto esercizi ortografici, nonostante questo la sua ortografia significativamente migliorata.
Il miglioramento ottenuto dal bambino sottoposto al trattamento sul lessico dovuta
a due fattori che abbiamo denominato effetto diretto ed effetto indiretto del trattamento. Nel dettaglio i rapporti di causalit tra competenza lessicale e correttezza ortografica sono riportati in Bigozzi e Biggeri (2000).
Sia per la lettura che per la scrittura, in questo studio, ci siamo riferiti al Modello a due
vie secondo il quale si individuano due processi: uno che attiva limmagine fonologica della
parola scritta attraverso la conversione grafema-fonema (via sub-lessicale) ed un altro che
coinvolge il sistema semantico preposto al riconoscimento delle parole di cui gi immagazzinata la forma ortografica (via semantico lessicale). La prima via utilizzata maggiormente nel caso di parole non conosciute, non familiari o non-parole, la seconda via utilizzata invece nel caso di parole conosciute. Il modello stato rivisto in chiave evolutiva da
Uta Frith (1985). Secondo i suoi studi laumento delle competenze in lettura ed in scrittura in interazione reciproca ed un aumento nelluna correlato positivamente ad un
aumento nellaltra. Con il trattamento Giovanni avrebbe migliorato la propria consapevolezza fonologica, facendo giochi ed esercizi nei quali veniva sollecitata tale consapevolezza. Nellattivit vi sono alcuni esercizi riguardanti sezionamenti e riordinamenti di parole con suffissi, ricerca di radici, riflessione sulla forma delle parole, sui legami tra parole.
Daltro canto leffetto indiretto, cio mediato da un aumento della competenza lessicale,
dovuto ad una migliore efficienza del buffer grafemico o magazzino grafemico, il quale
ha il compito di ritenere temporaneamente le rappresentazioni ortografiche prima che queste vengano convertite in lingua scritta (Miceli, 1992).
Secondo il modello a due vie, la via diretta o semantico-lessicale utilizzabile solo nel
caso di parole conosciute, di cui si possiede il significato perch, appunto, le conosciamo
e di cui quindi siamo in grado di recuperare direttamente la rappresentazione. Nel secondo ciclo di scuola elementare le deficienze ortografiche non sono pi nettamente distinguibili e specificamente riconducibili allinefficienza di una o dellaltra strategia (Bozzo,
Zanobini, Usai e Siri, 1997).
Lutilizzo di una delle due vie dipende anche dalla familiarit della parola da scrivere,
ricorrere alla via diretta per parole a bassa frequenza duso potrebbe rallentare talmente i
tempi desecuzione da far preferire lutilizzo della via sub-lessicale (Bozzo et al., 2000).
Il nostro trattamento prevede schede di lavoro che non richiedono al soggetto la ripetitiva e spesso inutile applicazione di regole ortografiche stimolando aspetti in apparenza
non immediatamente connessi alla scrittura si evita il pericolo di mettere il coltello nella
piaga insistendo proprio su ci che lalunno non sa fare. La continua richiesta da parte
della scuola proprio della prestazione deficitaria, oltre a non portare sostanziali miglioramenti, non fa che rinforzare la risposta sbagliata consolidando nella mente del ragazzo il
sentimento di inadeguatezza. Giorgio ha svolto il trattamento con estrema serenit, nella
consapevolezza di voler superare un problema che gli stava procurando qualche fastidio,
ma non ha mai avvertito il lavoro come punitivo o monotono. Probabilmente il netto
121
miglioramento nella calligrafia, dovuto anche a questa ritrovata tranquillit riguardo alla
scrittura il netto miglioramento nella calligrafia, come appare dai dettati che riportiamo
nelle Figure 1 e 2.
Figura 1
122
Lucia Bigozzi
Figura 2
Riferimenti bibliografici
Bigozzi, L., Biggeri, A., Boschi, F. (1997). Articolazione modellistica e trattamento didattico per
lincremento qualitativo della competenza lessicale, in alunni del secondo ciclo di scuola elementare. Orientamenti Pedagogici, n.44, pp.1219-1239.
Bigozzi, L., Biggeri, A., (2000). Influenza dello sviluppo lessicale sulla correttezza ortografica:
effetti di un trattamento su alunni di terza e quarta elementare. Psicologia clinica dello sviluppo, n.1, pp. 61-92.
123
Bigozzi, L., Boschi, F., Aprile, L. (1992). Larricchimento del lessico: il problema didattico. In
Boschi F., Aprile L., Scibetta I., Le parole e la mente. Firenze: Giunti, pp. 205-216.
Boschi, F. (1983), Ansiet lettura apprendimento. Firenze: Felice Le Monnier.
Boschi, F., Caluori, S.e Tilli, S. (1977). Valutare i Valutatori. Pordenone: Erip.
Bozzo, M.T., Pesenti, E., Siri, S., Usai, M.C. e Zanobini M. (2000). Classificazione degli errori ortografici. Trento: Erickson.
Bozzo, M.T., Zanobini, M., Usai, M.C. e Siri, S. (1997). La trasferibilit del modello a due vie: uno
studio sulla lingua italiana. In L. Czerwinsky Domenis (Eds), Obiettivo bambino dalla ricerca
pura alla ricerca applicata. Milano: Franco Angeli.
Cornoldi, C., Colpo, G. e Gruppo M.T. (1981). Prove di lettura M.T. Firenze: Organizzazioni
Speciali.
Ferraboschi, L., Meini, N. (1994). Recupero in ortografia. Trento: Erikson.
Frith, U. (1985). Beneath the surface of developmental dyslexia. In K. Patterson, J. Marschall e M.
Coltheart, (ed.), Surface Dyslexia. London: L.E.A.
Miceli, G.(1992). Le rappresentazioni ortografiche: osservazioni in pazienti con disgrafia Acquisita.
In Laudanna A., Burani C. (a cura di ), Lessico modelli e rappresentazioni. Roma: la Nuova Italia
Scientifica.
Padovani, F. (1993). Linterpretazione psicologica della WISC-R. Milano: Marinelli.
Sartori, G., Job, R.,. Tressoldi, P.E (1995). Batteria per la valutazione della dislessia e della disortografia evolutiva. Firenze: Organizzazioni Speciali.
Tressoldi, P. e Cornoldi, C. (1991). Batteria per la Valutazione della Scrittura e della Competenza
Ortografica. Firenze: Organizzazioni speciali.
Tressoldi, P. e Vio, C. (1998). Trattamento dei disturbi dellapprendimento scolastico. Trento:Erickson.
Tressoldi, P. (1991). I disturbi strumentali di lettura e scrittura. In Cornoldi, C., I disturbi dellapprendimento. Aspetti psicologici e neuropsicologici. Bologna: il Mulino.
12
Leffetto frequenza duso dei fonemi della lingua italiana
in soggetti afasici con deficit di lessico fonologico di output
e/o di buffer
Sonia Calvani
Universit di Pisa
126
Sonia Calvani
mali e a volte, non sono del tutto casuali e imprevedibili ma vi si possono riscontrare delle
caratteristiche ricorrenti comuni.
I disturbi fonologici degli afasici sono stati oggetto di numerose ricerche soprattutto
interessate agli aspetti segmentali (fonetico e fonemico) rispetto a quelli soprasegmentali o
prosodici (Alajouanine et al., 1939; Dubois et al., 1964; De Renzi et al., 1966; Poncet et
al., 1972; Strub e Gardner, 1974; Darley et al., 1975; Burns e Canter, 1977; Hcaen e
Albert, 1978).
Alcuni lavori empirici in particolare si sono soffermati sul ruolo delle frequenze duso
dei fonemi delle lingua parlata in relazione alla produzione dellerrore fonologico. stato
ad esempio osservato che nella afasia di Broca la probabilit di sbagliare un fonema inversamente proporzionale alla sua frequenza duso dei fonemi (Blumstein, 1973; Trost e
Canter, 1974; Mac Neilage, 1982; Ferreres, 1989).
Recentemente stato rilevato che la difficolt nella produzione dei fonemi pu colpire
selettivamente le consonanti o le vocali; questo risultato ha permesso di ipotizzare che consonanti e vocali siano processati da meccanismi neuronali distinti e che quindi rivestano
ruoli indipendenti nella produzione del linguaggio (Caramazza, Chialant, Capasso e
Miceli, 2000).
Le indagini empiriche si intrecciano inoltre con la ricerca teorica che risente delle pi
generali revisioni relative ai modelli di orientamento cognitivistico e connessionistico e che
ha indotto a rivedere le classificazioni tradizionali di afasia.
Nellambito del connessionismo i modelli pi noti sono quelli di Dell (1986) secondo cui
il recupero delle parole avviene attraverso un meccanismo a attivazione diffusa (spreadingactivation) e quello di attivazione della vicinanza (Neighborhood Activation Model) (Luce e
Pisoni, 1998), applicato anche alla produzione di errori fonologici da Gordon e Baum
(1999), secondo cui le variabili che influenzano la probabilit di una parola di essere prodotta
correttamente si possono individuare nella frequenza di occorrenza della parola, nel numero
dei vicini fonologicamente (densit di vicinanza) e nella frequenza di questi vicini.
Pi noti sono i modelli di orientamento cognitivista, basati su un approccio modulare
secondo cui un determinato processo cognitivo pu essere considerato come costituito da
sottosistemi distinti, anche se interagenti, ognuno dei quali ha una determinata funzione
e che pu essere danneggiato selettivamente come nel modello slot and filler proposto da
Shattuck-Hufnagel nel 1979 e successivamente sviluppato (Garrett, 1980; Levelt, 1989).
Secondo un diffuso modello cognitivista (Hillis e Caramazza, 1991; Rapp e Caramazza,
1991) durante la produzione orale della parola si produce lattivazione di una serie di tratti
nel sistema semantico; questo a sua volta attiver nel lessico fonologico di output tutte le forme
lessicali che contengono almeno uno dei tratti semantici attivati; la forma lessicale che ricever la maggiore quota di attivazione raggiunger il livello soglia per essere prodotta.
Le parole ad alta frequenza duso hanno una soglia di attivazione pi bassa di quelle a
bassa frequenza e, dato che richiedono un livello di attivazione minore, vengono attivate
pi facilmente. Un danno al livello del lessico fonologico di output pu portare alla produzione di parafasie semantiche, parafasie fonemiche, anomie.
Dal lessico fonologico di output le informazioni convergono al buffer fonologico, che
consiste in una memoria di lavoro in cui linformazione viene mantenuta per il tempo
Leffetto frequenza duso dei fonemi della lingua italiana in soggetti afasici
127
1
Riguardo alle consonanti geminate, non tutti i linguisti concordano sul loro valore di fonemi distinti
dalle corrispondenti consonanti scempie. La scelta di considerare la frequenza delle geminate separatamente da
quella delle scempie dovrebbe rendere i dati utilizzabili, indipendentemente dalla scuola di pensiero.
128
Sonia Calvani
Tabella 1. Suddivisione dei fonemi per livello di frequenza duso
Fonemi a alta
frequenza
a
o
e
i
r
t
n
k
s
l
d
Media
m
p
Medio-Bassa
j
t
u
t:
z
w
ts
Fonemi a bassa
frequenza
f
l:
b
s:
ts
g
d
k:
p:
n:
r:
m:
t:
b:
d:
v:
dz
g:
ts:
Leffetto frequenza duso dei fonemi della lingua italiana in soggetti afasici
129
Sesso Lat.
Et
Scol. Professione
Esordio
(anni
trascorsi)
TAC
Tipo di
afasia
AA ABF
MG
53
18
ingegnere
Lesione ischemica
temporo-parietale
sinistra cortico sottocorticale
Grave
Afasia di
Broca
MC
56
23
medico
BF
39
tecnico
Afasia di
Broca
DPR
60
13
impiegato
Lesione ischemica in
Afasia di
regione fronto-tempo- Broca
ro-opercolare sinistra
estesa al nucleo lenticolare omolaterale
Legenda: lat. = lateralit; scol. = scolarit (anni); esordio = anni trascorsi dallesordio; TC = TC encefalo; M
= maschio; D = destrimane; AA = aprassia dellarticolazione; ABF = aprassia bucco-facciale
Tutti i pazienti hanno riportato valori nella norma alle prove di discriminazione uditiva
ed a quelle di comprensione orale e scritta di oggetti e azioni; questi risultati escludono
quindi un deficit di discriminazione fonemica ed un coinvolgimento del sistema semantico.
Le prove di denominazione orale evidenziano una compromissione in tutti i pazienti
con percentuali di errori che vanno dal 7% al 40% per la denominazione di oggetti e
dall11% al 61% per la denominazione di verbi; ci in associazione con il buon funzionamento del sistema semantico, depone per un danno a livello lessicale (lessico fonologico di
output) in quei pazienti in cui emerge leffetto frequenza lessicale, per un danno al livello
post-lessicale (buffer) in quei pazienti in cui presente leffetto lunghezza.
Per quanto riguarda le prestazioni alle prove di lettura di non parole risultano compromesse in tutti i soggetti con percentuali variabili dal 9% al 67%; nella prova di ripetizione
di non parole risultano patologiche le prestazioni di tutti i soggetti, con percentuali inferiori al 50%.
Le prove di ripetizione di parole mostrano percentuali di errore comprese tra il 7% e il
38%, mentre nella lettura di parole le percentuali variano dall8% al 47%.
Per quanto riguarda la valutazione neuropsicologica specifica si provveduto alla creazione di un test finalizzato a individuare errori fonologici, articolato nelle diverse modalit attraverso le quali si pu esprimere la produzione orale: lettura di parole, lettura di non
parole, ripetizione di parole, ripetizione di non parole; denominazione di immagini.
Mentre il primo set di stimoli composto da parole e non parole che possiamo chiamare a bassa frequenza fonemica, costituite cio da fonemi che sono meno frequenti nella
130
Sonia Calvani
nostra lingua, il secondo costituito da parole ad alta frequenza fonemica, cio contenenti fonemi occupanti i livelli pi alti nella scala di frequenza. Si impiegato solo nomi
o aggettivi (escludendo diminuitivi, vezzeggiativi ecc.) di lunghezza non superiore alle tre
sillabe.
Per tenere sotto controllo altri effetti che potrebbero interferire con la difficolt di produzione della parola si cercato di fare in modo che ad ogni parola a bassa frequenza
fonemica corrispondesse una parola ad alta della stessa lunghezza sillabica, con laccento
nella stessa posizione, il pi possibile bilanciate per frequenze lessicali, avvalendoci del
Lessico di Frequenza dellItaliano Parlato (De Mauro, Mancini, Vedovelli e Voghera,
1993).
Dato che i fonemi italiani a bassa frequenza duso corrispondono a fonemi piuttosto
complessi dal punto di vista articolatorio e per lo pi sono graficamente rappresentati da
digrammi o trigrammi, per le parole ad alta frequenza fonemica abbiamo deciso di inserire due diverse tipologie di stimoli (AF1 e AF2): la prima costituita da parole con fonemi
ad alta frequenza e con gruppo consonantico, laltra da parole contenenti fonemi ad alta
frequenza con sillabe aperte (struttura CVCV).
Alla fine di questa serie di operazioni abbiamo quindi ottenuto tre corpora di parole,
uno a bassa frequenza fonemica, due ad alta frequenza fonemica, il pi possibile omogenei
Tabella 3. Parole a bassa frequenza fonemica utilizzate nelle prove di denominazione, ripetizione e lettura
Denominazione
Ripetizione
Lettura
agnello
bagno
cigno
pugno
gnocchi
vigna
fascia
ascia
pesce
ascella
guscio
sci
aglio
ciglia
foglia
bottiglia
bavaglio
scialle
biglie
giglio
famiglia
maglia
sveglia
appiglio
fogna
giugno
ghigno
gnocchi
vaglia
scippo
uscio
biscia
ascissa
guglia
scia
aglio
ciglia
foglia
boccaglio
giaciglio
fuscello
paglia
figlio
zampogna
moglie
sveglia
abbaglio
pegno
giugno
gogna
sceicco
veglia
fascia
ascia
biscia
ascesso
guscio
sci
ogni
figlio
faglia
ferraglia
bagaglio
scialle
paglia
giglio
assegno
moglie
sbaglio
Leffetto frequenza duso dei fonemi della lingua italiana in soggetti afasici
131
Tabella 4. Parole a alta frequenza fonemica per le prove di denominazione, ripetizione e lettura
denominazione
AF1
AF2
AF1
AF2
AF1
AF2
altare
treno
corna
pasta
carte
vetro
corda
onda
porta
aratro
dente
tre
arco
trono
santo
poltrona
portiere
scale
lenti
lisca
lampione
metro
scarpa
atleta
ronda
turno
retro
carte
saldo
triste
urto
lista
astuto
tenda
tre
orco
trono
santo
risposta
ritorno
distretto*
panda
salto
lampone
mitra
scarpa
onore
rene
tono
rata
coni
sodo
sete
uno
lira
acuto
tana
re
ora
rana
toro
sapore
tenore
diretto*
pena
sole
limone
mira
scopa
esteta
pesto
turno
rospo
teatro
caldo
corda
onda
lista
ardore
dente
trio
orto
salto
corso
testardo
locanda
scale
panda
lisca
ascolto
mitra
stanco
orale
pero
tono
rada
rione
calo
nodo
oca
lira
alone
rete
rio
oro
sole
coro
telone
locale
sale
pena
lana
icona
mira
sano
anello
nido
rana
pane
coni
vino
nodo
oca
pera
arena
rete
re
ala
rana
toro
patata
torero
sale
nani
lana
corona
mano
scopa
ripetizione
lettura
Legenda: AF1 = parole ad alta frequenza fonemica con gruppo consonantico; AF2 = parole ad alta frequenza
fonemica con struttura CVCV.
per lunghezza lessicale, posizione dellaccento, inizio per vocale o per consonante, frequenza lessicale.
La scelta delle non parole non ha presentato particolari difficolt. Anche in questo caso
sono state compilate tre liste, una contenente stimoli con fonemi a bassa frequenza duso
(lista BF), due contenenti stimoli con fonemi ad alta frequenza duso, di queste due liste
una contiene stimoli con gruppo consonantico (lista AF1) e laltra stimoli con struttura
semplice CVCV (lista AF2) (v. Tabella 5).
Disegno e procedura
Per la parte riguardante la prova di denominazione stato opportuno effettuare una
prova preliminare, per mezzo della quale abbiamo anche perfezionato la modalit di applicazione.
Viene presentata una figura per volta e si chiede al paziente di denominarla. Nel caso
che la risposta fornita sia un sinonimo (ad esempio accetta per ascia) o un iperonimo (fiore
132
Sonia Calvani
Tabella 5. Non parole a bassa e alta frequenza fonemica
BF
fagna
gegno
ghegno
gnoba
gnefo
scifa
escia
besci
goglia
sciabe
iglia
ghiglia
faglio
bogio
gnoscia
sciabo
abiglio
ascefo
giogaglie
baghiglio
gafigna
fagliago
sciagegna
ripetizione
AF1
dadra
redro
ghedro
drola
dredo
trida
eltra
letri
telta
trale
ilta
tilta
dalto
rolo
drolta
tralo
alilto
atredo
rotalte
latilto
tadidra
daltato
trarenda
AF2
BF
dara
delo
ghero
rona
redo
nida
eria
leni
tera
nale
ata
tita
daro
roto
dola
nalo
aleto
anedo
rotale
lateto
tadina
dalato
narera
bogna
gegno
gogno
gnebo
gnaba
scifa
iscia
besci
gaglio
scibo
oglia
geglia
faglio
gosce
gnigia
fescia
agaglio
ascego
gebaglie
befaglio
fagogna
gagliafo
scegigna
lettura
AF1
lodra
redro
todro
drelo
drala
trida
iltra
letri
talto
trolio
olta
relta
dalto
totre
drira
deltra
atalto
atreto
relalte
ledalto
datodra
taltado
trerinda
AF2
lora
relo
tero
deno
rala
nida
iria
leni
taro
alia
ota
reta
daro
tone
rira
deria
atato
anero
retale
ledato
datona
talado
nerira
Legenda: BF = stimoli a bassa frequenza fonemica; AF1 = stimoli ad alta frequenza fonemica con gruppo
consonantico; AF2 = stimoli ad alta frequenza fonemica con struttura CVCV
per giglio) si invita il soggetto a fornire unulteriore risposta tramite la domanda: oppure
come si chiama? o che tipo di ? fino a un totale di tre tentativi.
Nella prova di ripetizione il paziente ha a disposizione dieci secondi dalla presentazione dello stimolo per ripetere e, in caso di difficolt, ha la possibilit di richiedere la ripetizione dello stimolo
La prova di lettura non prevede particolari facilitazioni, il paziente ha a disposizione un
tempo massimo di 20 sec per rispondere.
Anche in questo caso viene annotato + o - a seconda che la risposta sia giusta o sbagliata.
Ogni prova comprende un totale di 23 stimoli.
Risultati
In Tabella 6 viene riportato lammontare degli errori fonologici commessi da ciascun
paziente nelle prove di denominazione, ripetizione e lettura di parole, calcolate sul totale
Leffetto frequenza duso dei fonemi della lingua italiana in soggetti afasici
133
Tabella 6. Ammontare degli errori fonologici commessi dai vari soggetti nelle prove di denominazione, ripetizione e lettura di parole e percentuale di errore.
Parole
Paz.
Denominazione
BF
AF1
AF2
BF
Ripetizione
AF1
AF2
BF
Lettura
AF1
AF2
MG
1/16
6%
2/23
9%
0/23
3/23
13%
3/23
13%
0/23
0/22
3/23
13%
1/23
4%
MC
3/19
16%
1/22
4%
0/22
0/23
1/23
4%
0/23
1/23
4%
1/23
4%
0/23
BF
10/22
45%
3/22
14%
1/20
5%
8/23
35%
5/23
22%
1/23
4%
11/23
48%
2/22
9%
5/23
22%
DPR
6/21
29%
0/22
0/21
4/23
17%
3/23
13%
0/23
4/23
18%
0/23
0/23
Legenda: BF = parole a bassa frequenza fonemica; AF1 = parole ad alta frequenza fonemica con gruppo consonantico; AF2 = parole ad alta frequenza fonemica con struttura CVCV
Tabella 7. Ammontare degli errori fonologici commessi dai vari soggetti nelle prove di ripetizione e lettura di
non parole e percentuale di errore
Non parole
BF
Ripetizione
AF1
AF2
MG
10/23
43%
10/23
43%
3/23
13%
MC
3/23
13%
8/23
35%
6/23
26%
BF
15/23
65%
15/23
65%
14/23
61%
DPR
9/23
39%
8/23
35%
6/23
27%
Paziente
BF
Lettura
AF1
AF2
Non valut.
5/23
22%
12/23
52%
5/23
22%
Non valut.
15/23
65%
17/23
74%
13/23
56%
Legenda: BF = stimoli a bassa frequenza fonemica; AF1 = stimoli ad alta frequenza fonemica con gruppo
consonantico; AF2 = stimoli ad alta frequenza fonemica con struttura CVCV.
delle risposte fonologicamente correlate allo stimolo (cio dal totale degli stimoli sono stati
sottratti tutti quelli che non hanno avuto un esito valutabile come errore fonologico o
morfologico, quali ad esempio le anomie, le parafasie semantiche o verbali ecc.; sono stati
lasciati gli errori morfologici, in quanto i fonemi consonantici sono stati prodotti correttamente). Per ciascun punteggio riportato il valore in percentuale.
In Tabella 7 sono riportati i risultati degli errori (fonologici) commessi da ciascun soggetto nelle prove di ripetizione e lettura di non parole, nelle tre liste di stimoli considerate (BF, AF1e AF2).
134
Sonia Calvani
Tabella 8. Ammontare dei diversi tipi di errore fonologico in totale (a) e nelle tre liste di stimoli considerati
(b), per ogni soggetto
a)
paz.
Sostituzioni
Inserzioni
Elisioni
Trasposiz.
Perseveraz.
Metatesi
MG
MC
BF
DPR
26
31
67
77
2
6
20
12
5
8
11
13
3
3
7
3
4
0
7
0
2
3
2
0
b)
Paz.
Sostituzioni
BF AF1 AF2
Inserzioni
BF AF1 AF2
MG
MC
BF
DPR
11
7
41
40
0
1
10
4
tot
99 64 38
13 2
13 11
18 8
20 17
1
3
4
3
Elisioni
BF AF1 AF2
Trasposizioni
BF AF1 AF2
Perseveraz.
BF AF1 AF2
Metatesi
BF AF1 AF2
1
2
6
2
1
1
4
3
3
7
5
9
1
0
2
1
1
1
1
2
2
2
3
1
0
0
3
0
2
0
0
0
2
0
3
0
0
0
4
0
0
0
0
0
2
2
0
0
0
1
2
0
15 11 11
24
In Tabella 8 riportata la distribuzione dei tipi di errore fonologico per ciascun soggetto, comprensivo delle varie prove, in totale (a) e nelle tre liste di stimoli considerati (b).
Discussione
Il numero limitato dei soggetti che stato possibile reperire non consente di estendere
le osservazioni che sembrano emergere dai risultati ottenuti a livelli di significativit statistica.
Dallanalisi dei risultati ottenuti si osserva che con il test impiegato il maggior numero
di errori fonologici si presenta complessivamente sotto forma di sostituzioni. In tre pazienti (due con danno al buffer fonologico, uno con un problema di programmazione dellarticolazione) stato riscontrato un effetto frequenza duso fonemica, cio un maggior
numero di errori fonologici negli stimoli contenenti fonemi a bassa frequenza duso rispetto a quelli contenenti fonemi ad alta frequenza con struttura semplice (lista AF2). In uno
di questi tre soggetti, leffetto frequenza fonemica si riscontra in tutte le prove, sia con le
parole che con le non parole. In un soggetto invece si riscontra nelle prove con parole; nellaltro si riscontra nelle prove con le non parole. Una prestazione migliore con le parole
rispetto alle non parole pu essere dovuta a meccanismi di interazione tra elaborazione lessicale e non lessicale, quindi tra lessico e vie di conversione, che convergono sul buffer duscita. Se questa interazione esiste, infatti, possibile che, in caso di danno al buffer fonologico, la ripetizione di non parole sia pi difficile di quella di parole, nonostante il fatto
che il buffer sia coinvolto in ugual modo per ambo i tipi di stimoli (Caplan, 1992).
Nel paziente con solo danno lessicale non si riscontrano differenze apprezzabili nei
punteggi di errore tra le parole a bassa frequenza fonemica e quelle ad alta frequenza fone-
Leffetto frequenza duso dei fonemi della lingua italiana in soggetti afasici
135
mica. Questo paziente sembra essere quindi insensibile al fattore frequenza duso fonemica, cio gli errori fonologici da lui commessi coinvolgerebbero in ugual modo i fonemi a
bassa frequenza e quelli ad alta.
Questi risultati appaiono coerenti con lipotesi che la frequenza duso fonemica possa
avere un ruolo nella probabilit di commettere un errore fonologico e con lorientamento
di ricerca secondo il quale soggetti con danno lessicale sono insensibili a variabili fonologiche, mentre lo sarebbero i soggetti con danno post-lessicale.
I diversi comportamenti riscontrati nei soggetti esaminati in questo studio confermerebbero infine la possibilit di utilizzare leffetto frequenza duso fonemico come elemento diagnostico suppletivo per la diagnosi differenziale tra deficit di buffer e deficit di lessico di output. Questo tipo di analisi potrebbe quindi essere inserito nelle batterie di test utilizzate in riabilitazione per la diagnosi cognitivista del deficit di linguaggio, in quanto consentirebbe di avere maggiori elementi per individuare il danno di specifici moduli linguistici e, di conseguenza, di impostare trattamenti riabilitativi pi specifici e mirati.
Bibliografia
Alajouanine, T., Ombredane, A. e Durand, M. (1939). Le syndrome de la dsintgration phonetique
dans laphasie. Paris: Masson.
Blumstein, S.E. (1973). A phonological investigation of aphasic speech. Mouton: The Hague.
Bortolini, U., Degan, F., Minnaja, C., Paccagnella, L. e Zilli, G. (1977). Statistics for a stochastic
model of spoken Italian (580-586). In W. Dressler e W. Meid (Eds.), Proceedings of the
International Congress of Linguists, Vienna.
Burns, M.S. e Canter, G.C. (1977). Phonetic behaviour of aphasic patients with posterior cerebral
lesions. Brain and Language, 4, 492-507.
Caplan, D. (1992). Language. Structure, Processing and Disorders. Cambridge, Mass.: The MIT
Press.
Caramazza, A., Chialant, D., Capasso, R. e Miceli, G. (2000). Separable processing of consonants
and vowels. Nature, Jan 27, 403(6768), 428-430.
Darley, F.L., Aronson, A.E. e Brown, J.R. (1975). Motor Speech Disorders. Philadelphia: Saunders.
Dell, G.S. (1986). A spreading activation theory of retrieval in sentence production. Psychological
Review, 93, 283-321.
De Mauro, T., Mancini, F., Vedovelli, M. e Voghera M. (1993). Lessico di frequenza dellitaliano parlato. Milano: Etaslibri s.r.l., Fondazione IBM Italia.
De Renzi, E., Pieczuro, A. e Vignolo, L.A. (1966). Oral apraxia and aphasia. Cortex, 2, 50-73.
Dubois, J., Hcaen, M., Angelergues, R., Maufras du Chatelier, A. e Marcie, P.(1964). Etude neurolinguistique de laphasie de conduction. Neuropsycologia, 2, 9-44.
Ferreres, A.R. (1989). Analysis of consonant substitution by disarthria patients and Spanish speaking Brocas aphasia patients of the La Plata area. Z. Psychol. Z. Angew Psychol., 197(3), 315-28.
Garnham, A., Shillcock, R., Brown, G.D.A. , Mill, A.I.D. e Cutler, A. (1981). Slips of the tongue
in the London-Lund corpus of spontaneous conversation. Linguistics, 19, 805-817.
Garrett, M.F. (1980). Levels of processing in sentence production. In B. Butterworth (ed.),
Language production, Volume 1 (177-220), Speech and Talk. New York: Academic Press, 177220.
Goldrick, M., Rapp, B. e Smolensky, P. (1999). Lexical and postlexical processes in spoken word
production. Brain and Language, 69, 367-370.
136
Sonia Calvani
13
Livello socio-economico
e sviluppo linguistico in et prescolare
Beatrice Accorti Gamannossi
Universit di Firenze
Introduzione
Il contesto sociale in cui il bambino nasce e cresce ha un ruolo di particolare importanza nellinfluenzare il suo sviluppo futuro; in particolare le prime esperienze, determinate dai genitori e dallambiente domestico, incidono su tutte le varie forme di sviluppo (Mc
Loyd, 1998).
La letteratura si interessata in modo specifico allinfluenza dellambiente familiare
sullo sviluppo cognitivo evidenziando come i bambini appartenenti a classi sociali basse
ottenessero performances scolastiche meno elevate dei loro coetanei delle classi medio-alte
(Dreger e Miller, 1960). Tali studi sono stati alla base di numerosi programmi mirati al
recupero precoce di bambini con difficolt di apprendimento delle classi pi svantaggiate,
programmi come Head Start che si sono diffusi soprattutto negli Stati Uniti (Fein, 1980).
Nellambito dello sviluppo cognitivo particolarmente rilevante linfluenza dei fattori
socio-culturali sul linguaggio. I primi studi che hanno focalizzato lattenzione su questo
aspetto si sono principalmente indirizzati alla rilevazione delle competenze dei bambini
attraverso la testistica. Milner (1951) ha condotto una ricerca sulla vita familiare dei bambini che a sei anni avevano riportato prestazioni estreme al Test californiano di maturazione mentale. Da questo studio emerso che i bambini con buoni risultati nel test avevano
in media i migliori contatti con i genitori, i quali parlavano pi spesso con loro e li coinvolgevano nelle conversazioni. Al contrario, i bambini con un punteggio basso trascorrevano molto tempo da soli ed avevano poco scambio con i propri genitori.
Le ricerche successive si sono interessate in modo particolare agli aspetti lessicali, grammaticali e sintattici dello sviluppo linguistico. Sandstrm (1961) mostra come lambiente
sia un elemento che incide largamente sullo sviluppo del linguaggio e come il contesto
socio-culturale determini notevoli differenze nello sviluppo linguistico di bambini provenienti da livelli sociali ed economici diversi. Tali differenze compaiono gi a partire dai
diciotto mesi: negli ambienti benestanti i bambini di questet possiedono in genere un
138
vocabolario pi ricco, pronunciano con maggiore accuratezza e parlano pi correttamente, sia dal punto di vista lessicale che da quello grammaticale, dei loro coetanei delle classi
inferiori. Inoltre nei bambini appartenenti ai livelli socio-culturali elevati appaiono prima
le frasi composte da due o tre parole e si sviluppa pi precocemente anche il controllo della
sintassi, della morfologia e della costruzione di proposizioni.
Mussen (1963) mostra come gi a tre anni i bambini figli di professionisti usino un
numero di parole per ogni frase che pi del doppio del numero usato, in media, dai figli
di operai non qualificati. Inoltre i bambini delle classi medie e superiori, in confronto a
quelli delle classi inferiori, parlano di pi con i genitori, hanno pi interessi per il linguaggio e sono maggiormente premiati per il loro progressi verbali.
Nel panorama della ricerca italiana Parisi (1977) ha condotto uno studio sulla produzione linguistica dei bambini di cinque anni mettendo a confronto un campione di livello socio-economico elevato con uno di livello basso. Al bambino venivano presentate, una
dopo laltra, quattro storie figurate, rappresentate ognuna da quattro vignette in serie. Il
compito consisteva nel raccontare con laiuto dello sperimentatore la storia contenuta
in ogni serie di vignette. I risultati di questa ricerca mostrano lesistenza di notevoli differenze nelle prestazioni dei due gruppi: A cinque anni circa, cio poco prima di entrare in
I elementare, la produzione linguistica di bambini di livello socio-economico basso appare carente rispetto a quella dei bambini di livello elevato (Parisi, 1977, p. 49). Questi ultimi infatti, a differenza degli altri, impiegano minor tempo per portare a termine il compito e hanno bisogno di un minor numero di sollecitazioni; inoltre essi mostrano notevole
ricchezza lessicale attraverso luso di molte parole diverse tra loro e buona padronanza sintattica nellutilizzo di molte preposizioni subordinate.
Pi recentemente Rutter e Rutter (1992) hanno confermato limportanza degli aspetti
ambientali nello sviluppo linguistico. Anche questi autori fanno riferimento alla famiglia
quale contesto primario in cui i bambini apprendono ed esercitano le loro competenze linguistiche. Lo stile comunicativo dei genitori si rivela dunque un elemento fondamentale
ed alcune situazioni particolari possono avere effetti diversificati sullo sviluppo linguistico.
Questo dimostrato, ad esempio, dal leggero ritardo nellapprendimento linguistico
manifestato da chi stato allevato in una famiglia insolitamente numerosa con opportunit minori di interazione con i genitori, dai gemelli, dai figli di madri depresse o da chi
vive in condizioni di svantaggio sociale (Rutter e Rutter, 1992, p. 216).
Sul versante degli studi che indagano la prima alfabetizzazione, linterazione tra genitori e figli alla base di un filone di ricerche che mette in evidenza come la lettura congiunta di testi favorisca una maggior familiarizzazione dei bambini con la lingua e costituisca un fattore di protezione verso le prime difficolt in lettura e in scrittura (Payne,
Whitehurst e Angell, 1994). Anche sotto questo aspetto lincidenza dei fattori socio-culturali forte: Ninio (1980) mostra come nelle diadi genitore-figlio appartenenti a classi
sociali basse la pratica della lettura congiunta sia meno diffusa e che quando presente
meno approfondita e articolata di quella delle diadi di classe sociale medio-alta.
In questottica laccento viene posto in modo particolare sullet prescolare in quanto
da un lato il periodo in cui gli effetti della deprivazione culturale sono pi determinanti
per lo sviluppo futuro, dallaltro perch proprio il momento in cui un intervento preco-
139
ce pu interrompere quel circolo vizioso per cui le prime difficolt di apprendimento spesso sfociano in un insuccesso scolastico al momento dellinserimento nella scuola di base.
Nellambito dei disturbi dellapprendimento Cornoldi (1991) fa notare la rilevanza
degli aspetti linguistici e mette in evidenza come le difficolt di apprendimento scolastico
siano molto spesso associate a problemi nelle abilit linguistiche in et prescolare.
Gli studi presenti in letteratura evidenziano limportanza del rapporto tra le componenti socio-culturali e lo sviluppo linguistico nel periodo prescolare, ma si riferiscono perlopi a bambini di lingua inglese appartenenti a contesti di estrema deprivazione culturale; sono invece scarsi i contributi recenti su campioni italiani di numerosit consistente che
indaghino i legami tra lo sviluppo linguistico in et prescolare e il livello socio-culturale
medio-basso, assai pi diffuso nella nostra realt che non la condizione di massimo svantaggio sociale. Inoltre il focus dellattenzione sempre rivolto al rapporto tra le competenze linguistiche generali e lo status socio-economico, mentre sarebbe interessante indagare
quali legami intercorrono tra le abilit linguistiche specifiche presenti nei bambini prescolari che si sono rivelate importanti nellinfluenzare il processo di alfabetizzazione formalizzata e il livello socio-economico delle loro famiglie.
La ricerca
Obiettivo e ipotesi
Partendo da queste considerazioni abbiamo condotto una ricerca mirata a verificare lesistenza di un legame tra le specifiche abilit linguistiche, presenti nei bambini di cinque
anni, che hanno mostrato una rilevanza predittiva verso i processi di prima alfabetizzazione
e il livello socio-economico delle famiglie. In particolare ci aspettiamo che il livello mediobasso costituisca un ostacolo nel raggiungimento di prestazioni adeguate e che, al contrario,
lappartenenza a un livello pi elevato favorisca performances significativamente migliori.
Soggetti
Hanno partecipato alla ricerca 539 bambini frequentanti lultimo anno della scuola
dellinfanzia di cinque Circoli didattici toscani: Bagno a Ripoli 2 (48), Greve in Chianti
(111), Montemurlo (156), Pontassieve (107) e Sesto Fiorentino 1 (117).
Procedura e materiale
Allinizio dellanno scolastico, tra ottobre e dicembre, i bambini sono stati sottoposti a
prove che indagavano aspetti diversi delle abilit linguistiche. In particolare sono state
somministrate prove di competenza linguistica generale; prove fonologiche; prove testuali;
prove di letto-scrittura che indagavano le competenze linguistiche dei bambini in ordine
ai processi di concettualizzazione della lingua scritta (vedi Tabella 1).
I dati socio-economici sono stati desunti dal livello di scolarit e dalla professione dei
genitori rilevati attraverso la consultazione degli elenchi messi a disposizione dalle segreterie dei singoli Circoli didattici, nel rispetto della privacy.
140
Tabella 1 Schema delle competenze rilevate attraverso le diverse prove con i relativi range di punteggi.
Competenze rilevate
Prove
Punteggi
Linguistiche generali
T.C.R.
Rustioni
0-68
0-5
Consapevolezza fonologica
Consapevolezza ritmica
Consapevolezza della rima
Produzione di una filastrocca
Riconoscimento di unallitterazione
Produzione di unallitterazione
0-2
Consapevolezza testuale
0-5
0-3
0-3
0-2
Scrittura
Corrispondenza suono-segno
Variazione numerica
Lettura
0-3
0-3
0-2
0-4
141
Livello
Circoli
Lettura
Variazione num.
Suono-segno
Scrittura
Coerenza
Connettivi temporali
Connettivi causali
Struttura storia
Produzione allitter.
Riconosc. allitteraz.
Filastrocca
Rima
Ritmo
Rustioni
T.C.R.
Tabella 2. Correlazione di Pearson tra il livello socio-economico dei Circoli e le prestazioni dei bambini nelle
prove linguistiche
.33** .35** .19** .08** .09** .19** .22** .11** .18** .11** .13** .18** .24** .20** .24**
Tabella 3 T test per campioni indipendenti: confronti tra le medie delle prove dei soggetti del Circolo di
Montemurlo e quelle dei soggetti dei Circoli di Bagno a Ripoli, Greve in Chianti, Pontassieve e Sesto
Fiorentino
Prove
Medie
TCR
Rustioni
Ritmo filastrocca
Rima filastrocca
Produzione filastrocca
Riconosc. allitterazione
Produzione allitterazione
Struttura storia
Connettivi causali
Connettivi temporali
Coerenza
Scrittura
Corrispond. suono-segno
Variazione numerica
Lettura
44,81
3,83
0,86
0,95
0,90
1,04
0,26
1,67
0,70
1,09
0,98
2,03
1,19
1,41
1,74
Montemurlo
Deviazioni standard
10,31
1,16
0,76
0,82
0,79
0,75
0,48
1,70
0,47
0,98
0,74
0,67
0,73
0,64
0,90
Medie
51,11
4,59
1,12
1,20
1,09
1,28
0,77
2,16
0,79
1,33
1,19
2,21
1,62
1,58
2,29
Altri Circoli
Deviazioni standard
8,71
0,83
0,75
0,79
0,73
0,78
0,77
1,43
0,60
0,92
0,66
0,65
0,94
0,57
1,14
Sign.
0,000***
0,000***
0,000***
0,001***
0,009**
0,001***
0,000***
0,001***
0,72
0,007**
0,002**
0,162
0,000***
0,003**
0,000***
stabilire se il livello medio-basso costituisca o meno un ostacolo nel raggiungimento di performances adeguate nelle prove linguistiche.
Al fine di raggiungere questo obiettivo sono stati effettuati dei confronti tra le medie
delle prestazioni ottenute dai soggetti di ciascun Circolo con quelle di tutti gli altri. Il confronto per campioni indipendenti con il test t di Student ha mostrato poche differenze statisticamente significative per quanto riguarda i confronti di Bagno a Ripoli, Greve in
Chianti e Pontassieve. Mentre sono emerse maggiori differenze per quanto riguarda
Montemurlo (che ha riportato il punteggio pi basso nel livello socio-economico) e Sesto
Fiorentino (che risultato essere il Circolo di livello socio-economico pi elevato).
142
Punteggi
1,5
Montemurlo
Altri circoli
Lettura
Variazione numerica
Suono-segno
Scrittura
Coerenza
Connettivi temporali
Connettivi casuali
Struttura storia
Produzione allitt.
Riconosc. allit.
Filastrocca
Rima
Ritmo
0,5
Prove
Fig. 1 Istogramma dei confronti tra le medie delle prove di abilit linguistiche specifiche dei soggetti del
Circolo di Montemurlo e quelle dei soggetti dei Circoli di Bagno a Ripoli, Greve in Chianti, Pontassieve e
Sesto Fiorentino.
Tabella 4. T test per campioni indipendenti: confronti tra le medie delle prove dei soggetti del Circolo di
Sesto Fiorentino e quelle dei soggetti dei Circoli di Bagno a Ripoli, Greve in Chianti, Montemurlo e
Pontassieve
Prove
Sesto Fiorentino
Medie Deviazioni standard
Medie
TCR
Rustioni
Ritmo filastrocca
Rima filastrocca
Produzione filastrocca
Riconosc. allitterazione
Produzione allitterazione
Struttura storia
Connettivi causali
Connettivi temporali
Coerenza
Scrittura
Corrispond. suono-segno
54,15
4,83
1,32
1,09
1,06
1,44
0,73
2,18
1,08
1,35
1,23
2,38
1,86
48,49
4,30
0,99
1,13
1,03
1,17
0,62
2
0,69
1,25
1,13
2,04
1,43
7,71
0,44
0,88
0,81
0,79
0,72
0,75
1,22
0,51
0,73
0,54
0,49
0,10
Altri Circoli
Deviazioni standard
9,60
1,04
0,70
0,80
0,74
0,79
0,75
1,57
0,56
0,98
0,72
0,67
0,87
Sign.
0,000***
0,000***
0,000***
0,523
0,760
0,000***
0,154
0,191
0,000***
0,253
0,062
0,000***
0,000***
143
2,5
Punteggi
Sesto F.no
1,5
Altri circoli
0,5
Lettura
Variazione numerica
Suono-segno
Scrittura
Coerenza
Connettivi temporali
Connettivi causali
Struttura storia
Riproduz. allitt.
Riconosc. aliitt.
Filastrocca
Rima
Ritmo
Prove
Fig. 2 Istogramma dei confronti tra le medie delle prove di abilit linguistiche specifiche dei soggetti del
Circolo di Sesto Fiorentino e quelle dei soggetti dei Circoli di Bagno a Ripoli, Greve in Chianti, Montemurlo
e Pontassieve.
144
Il nostro studio condotto su bambini dellultimo anno della scuola dellinfanzia mostra
come tale legame esista soprattutto nella direzione di produrre un ostacolo nelle prestazioni dei soggetti di livello socio-economico medio-basso.
I risultati mostrano infatti come le performances dei bambini del Circolo di
Montemurlo siano significativamente pi scadenti di quelle dei bambini degli altri Circoli;
solo nelluso dei connettivi causali e nella prova di scrittura del nome le loro prestazioni
non differiscono da quelle del resto del campione. Daltra parte questo dato in linea con
la letteratura che indica come la capacit di utilizzare nessi causali sia una competenza pi
di tipo logico che linguistico e come la prova di scrittura del proprio nome a cinque anni
sia riconducibile ad unabilit pittografica piuttosto che a una vera e propria consapevolezza metalinguistica.
Se il livello socio-economico basso pu costituire un impedimento al raggiungimento
di prestazioni adeguate, non altrettanto vero che il livello medio-alto costituisce un fattore che garantisce performances elevate. I bambini del Circolo di Sesto Fiorentino, infatti, pur ottenendo prestazioni generalmente migliori di quelle dei loro compagni, non si differenziano da loro in prove metalinguistiche rilevanti come quelle fonologiche e quelle
testuali. Ci indica che nel processo di consolidamento delle competenze di prima alfabetizzazione in et prescolare entrano in gioco fattori personali, ambientali, relazionali che
vanno al di l dellinfluenza del livello socio-economico familiare.
Appare invece importante segnalare la rilevanza dello svantaggio riportato dai bambini
di livello socio-economico inferiore, proprio perch in et prescolare possono essere messi
a punto degli interventi mirati che impediscano che le prime difficolt di apprendimento
portino a un insuccesso scolastico nel periodo della scuola elementare.
Bibliografia
Cornoldi, C. (1991) (a cura di). I disturbi dellapprendimento. Bologna: il Mulino.
Dreger, R. e Miller, K. (1960). Comparative psychological studies of negroes and whites in the
United States. Psychological Bulletin, 57, 361-402.
Edmoston, N. e Thane, N.L. (1988). Test of Relational Concepts. Austin, Texas (tr. it. Test T.C.R. Test
dei concetti di relazione spaziale temporale, Trento: Centro Studi Erickson).
Fein , G. (1980). The informed parent. In S. Kilmer (Ed.), Advances in early education and day care
(vol. 1: pp. 155-185). Greenwich, CT: JAI Press.
Mc Loyd, V. (1998). Children in poverty: development, public policy, and practice. In I.E. Siegel
e K.A. Renninger (Eds.), Handbook of child psychology (vol. 4 Child psychology in practice), pp.
135-208.
Milner, E.A. (1951). A study of the relationships between reading readiness in grade one school
children and patterns of parent-child interaction. Child Development, 22, 95-112.
Mussen, P.H. (1963). The psychological development of the child. Englewood Cliffs: Prentice-Hall (tr.
it. Psicologia dellet evolutiva, Milano: Martello, 1966).
Ninio, A. (1980). Picture book reading in mother-infant dyads belonging to two subgroups in
Israel. Child Development, 51, 587-590.
Parisi, D. (1977). Sviluppo del linguaggio e ambiente sociale. Firenze: La Nuova Italia.
Payne , A.C., Whitehurst, G.J. e Angell, A.L. (1994). The role of home literacy environment in the
development of language ability in preschool children from low-income families. Early
Childhood Research Quarterly, 9, 427-440.
145
Rustioni Metz Lancaster, D. (1994). Prove di valutazione della comprensione linguistica. Firenze:
Organizzazioni Speciali.
Rutter, M.e Rutter, M. (1992). Developing minds. Challenge and continuity across the life span.
London: Penguin (tr. it. Larco della vita. Continuit, discontinuit e crisi nello sviluppo, Firenze:
Giunti, 1995).
Sandstrm, C.I. (1961). Barn och ungdomspsykologi. Stockholm: Almqvist & Wiksell Frlag (tr. it.
Psicologia dello sviluppo, Firenze: La Nuova Italia, 1973).
14
Modelli didattici per lo sviluppo del pensiero critico:
unanalisi descrittiva
Stefano Malvagia, Saverio Fontani
Universit di Firenze
1. Introduzione
Il presente lavoro intende esporre i risultati di una esperienza condotta nellanno accademico 1994-95 su di un campione di 57 studenti del III anno del Corso di Laurea in
Psicologia dellUniversit di Firenze, frequentanti il corso di Psicologia dellEt Evolutiva
tenuto dal Prof. F. Boschi. Lintervento era fondato su di una metodologia didattica di tipo
interattivo, volta a favorire levoluzione delle competenze relative al pensiero critico. La
rilevanza di questo approccio stata ripetutamente espressa in contributi condotti con
metodologie differenziate. Le capacit di pensiero critico, infatti, sembrano essere incrementate dalle didattiche di tipo interattivo (Angelo, 1995; Bernstein, 1995; Browne e
Hoag, 1995). In questa ottica possono notarsi anche diminuzioni degli standard competitivi e della distanza sociale tra i componenti dei gruppi (Shachar e Sharan, 1994). Il confronto sociale indotto da questo tipo di interventi, inoltre, sembra generare un accresciuto rispetto per le altrui opinioni (Wade, 1995).
Nel presente contributo esporremo alcune delle definizioni pi significative del concetto di pensiero critico. Quindi presenteremo una breve rassegna dei pi recenti contributi in tale ambito, a cui seguir lesposizione di alcuni lavori confortati da evidenze sperimentali. Infine saranno descritte procedure e risultati della ricerca condotta presso il
Dipartimento di Psicologia dellUniversit di Firenze.
2. Il pensiero critico
Non facile proporre una definizione univoca del concetto di pensiero critico; sullargomento si sono infatti focalizzati contributi gestaltisti, cognitivisti e socio-linguistici, i
quali hanno generato prospettive multiformi e variegate (Pinto, 1983).
Tra le definizioni pi esaustive, comunque, vi sono quelle che utilizzano tre dimensioni per la descrizione del concetto. La dimensione logica comprende il giudizio sulla rela-
148
S. Malvagia, S. Fontani
zione tra il significato delle parole e le affermazioni del testo, mentre quella criteriale si riferisce alla valutazione delle idee esposte. La dimensione pragmatica relativa al giudizio sul
rapporto tra scopo dellautore e presentazione delle tesi.
Altre impostazioni considerano invece essenziali tre fattori per la definizione del pensiero critico:
Capacit di porsi in una prospettiva di curiosit e di sospensione del giudizio.
Uso dei metodi dellanalisi logica nella soluzione dei problemi.
Valutazione delle idee esposte in base a criteri di giudizio.
Un altro dato interessante concerne la rilevanza delluso dei principi fondamentali della
logica per lo sviluppo delle competenze relative al pensiero critico. In particolare Jackson
(1964) considera determinante il pensiero matematico per la valutazione delle argomentazioni e per lattribuzione di giudizi etico-estetici. Anche Pinto (1983) enfatizza luso delle
categorie logiche per facilitare la distinzione tra fatti ed opinioni e per la valutazione delle
ipotesi e delle generalizzazioni. Lautrice identifica le abilit inferenziali e valutative come
componenti basilari del pensiero critico e sottolinea limportanza della loro stimolazione
fin dai primi anni dellinserimento scolastico. In questa ottica la crescita concettuale
dovrebbe essere guidata dallo stesso studente attraverso domande rivolte al docente per la
raccolta di informazioni (Pinto, 1983).
La prospettiva suddetta stata approfondita da Titone (1979), secondo il quale nel
nostro ordinamento scolastico, il ruolo del docente viene eccessivamente enfatizzato.
Linsegnamento dovrebbe invece fondarsi sullo scambio dei ruoli e sul feedback relativo alle
stimolazioni effettuate. Questo ribaltamento del processo didattico, da contrapporsi al
metodo di insegnamento tradizionale basato su lettura e memorizzazione individuale,
stato considerato in contributi pi recenti, dei quali presentiamo una breve rassegna.
3. Pensiero critico e confronto sociale
Un primo nucleo di autori (Angelo, 1995; Bernstein, 1995; Cooper, 1995) enfatizza
luso del confronto sociale e delle discussioni di gruppo per lo sviluppo del pensiero critico.
In particolare Angelo (1995) considera i positivi effetti del continuo monitoraggio dellapprendimento per lintera durata del corso. Il monitoraggio viene favorito dalla partecipazione a discussioni di gruppo e da verifiche parziali nel corso del semestre. Tale training
aumenterebbe le capacit autovalutative e di pensiero critico dello studente.
Bernstein (1995) propone invece un modello di gestione dei conflitti cognitivi denominato modello negoziativo. Anche in questo contributo viene sottolineata limportanza delle discussioni di gruppo; lautore propone infatti uno scambio dialogico vivace, integrato da giuochi di ruolo e dalluso della videoregistrazione. Questo modello determinerebbe una comprensione iniziale dellargomento, la quale potrebbe servire come base per
apprendimenti successivi. Una posizione analoga viene sostenuta da Cooper (1995),
secondo cui lapprendimento cooperativo in piccoli gruppi di studenti faciliterebbe levoluzione delle competenze di pensiero critico. Viene attribuita analoga importanza al feedback che lo studente riceve dai compagni e dai docenti. Il feedback non si limita agli inter-
149
venti orali, ma si estende alla discussione comunitaria degli elaborati prodotti da ogni studente.
4. Training per lo sviluppo del pensiero critico
Un secondo gruppo di autori (Carlson, 1995; Henderson, 1995; Jakoubek, 1995;
Underwood e Wald, 1995) propone training interattivi maggiormente strutturati e focalizzati sullapprendimento di capacit specifiche. Underwood e Wald (1995), ad esempio,
sottolineano le modalit di stimolazione che possono essere adottate dal docente per facilitare lapprendimento dello stile critico-conferenziale. Tra di esse rientrano: la precisa
definizione delle aspettative degli studenti; la scelta accurata dei testi di base; luso di
domande e risposte strategiche atte a stimolare la discussione in corrispondenza di questioni controverse. Analogamente Henderson (1995) enfatizza lo sfruttamento della dissonanza cognitiva che si instaura quando allo studente vengono presentati dati contrastanti
con le proprie posizioni. A questo proposito gli studenti sono invitati ad effettuare analisi
delle diverse versioni della stessa informazione.
Jakoubek (1995) propone invece ladozione di un training strutturato volto a favorire
lapprendimento dellinterpretazione dei risultati sperimentali. Secondo lautore conveniente scegliere un limitato numero di punti teorici di elevato interesse ed aumentarne progressivamente la profondit di analisi. Sono valorizzati lapprendimento cooperativo, la
pratica intervallata, la ricerca della validit delle fonti informative. Questultimo punto
stato approfondito da Carlson (1995), il quale lamenta la carenza del supporto agli studenti nella ricerca della validit delle fonti. Egli propone un programma di apprendimento a cosa credere, fondato sullinsegnamento dei criteri di selezione per la valutazione della validit delle fonti informative. Ulteriori ampliamenti in tale ambito vengono forniti dal contributo di Chaiken e Duraiaraj (1994), centrato sugli effetti della credibilit
delle fonti informative in rapporto allambiguit dellargomento in esame.
5. Validazioni sperimentali di alcuni modelli didattici interattivi
Per quanto concerne i contributi sperimentali prodotti nellambito delle didattiche
interattive atte a favorire levoluzione delle capacit di pensiero critico, sembra interessante evidenziare lo studio di Hollingsworth (1995). Lautore ha monitorato, per la durata di
un semestre, un campione di 62 studenti iscritti ad un corso di psicologia generale. I soggetti erano sottoposti ad un pre-test per la valutazione delle loro competenze iniziali; quindi furono suddivisi in un gruppo di controllo ed in un gruppo sperimentale ad assegnazione randomizzata. Il gruppo di controllo, equivalente per et, sesso e consistenza (N =
31) non partecipava al training. Nellintervento didattico proposto da Hollingsworth, il
docente interrompeva lesposizione in corrispondenza di contenuti particolarmente complessi o significativi. Subito dopo una coppia di studenti predefinita iniziava un breve
dibattito sui punti suddetti, nel quale potevano partecipare anche altri studenti. I contenuti del dibattito vertevano sulle opinioni personali circa il confronto tra diversi modelli
teorici e sullanalisi delle modalit espositive degli autori. Ogni intervento non doveva
150
S. Malvagia, S. Fontani
superare i due minuti. Al termine del corso tutti gli studenti furono sottoposti ad un posttest per una nuova valutazione delle loro capacit di pensiero critico. I risultati indicavano
un significativo aumento delle competenze nel gruppo sperimentale; le differenze a favore
dei soggetti che avevano seguito il training scomparivano per in un post-test effettuato
dopo sei mesi. Altrettanto significativo sembra il contributo di Shachar e Sharan (1994),
che dimostra la diminuzione della distanza sociale tra diversi gruppi etnici conseguente
alladozione di didattiche di tipo interattivo. Nel loro intervento gli autori hanno suddiviso 197 studenti universitari del primo anno in due gruppi equivalenti per et sesso e provenienza etnica (israeliana od occidentale). Il gruppo sperimentale era coinvolto in un training mirato a favorire lapprendimento cooperativo e linterazione con il docente, ed era
continuamente testato sul rendimento nelle diverse materie tramite verifiche parziali. Il
gruppo di controllo non seguiva il training e studiava secondo la modalit tradizionale, con
unica verifica finale. Venivano videoregistrati il comportamento verbale e le interazioni
sociali in entrambi i gruppi. Il post-test condotto alla fine dellanno accademico evidenziava un significativo aumento del rendimento scolastico nel gruppo sperimentale, associato ad un incremento delle interazioni verbali (simmetricamente distribuite) tra studenti israeliani e studenti occidentali. Nel gruppo di controllo, invece, il rendimento scolastico era inferiore ed assai scarse apparivano anche le interazioni verbali. Gli interventi nel
gruppo di controllo erano effettuati in larga misura da studenti occidentali, i quali interagivano in minima misura con gli studenti israeliani.
I dati riportati da Guldner e Stone (1995) illustrano invece lefficacia delladozione di
procedure sociometriche per favorire lapprendimento cooperativo. Il gruppo di controllo
(N = 31 studenti universitari del quarto anno) era suddiviso in una serie di piccoli gruppi
di lavoro ad assegnazione randomizzata. Il gruppo sperimentale (N = 31) era invece diviso in sottogruppi formati in base alle scelte sociometriche. Al termine del corso, tutti i soggetti compilavano un questionario per la valutazione del loro gruppo di lavoro e della soddisfazione per i risultati conseguiti. I membri del gruppo sperimentale fornivano valutazioni assai maggiori del gruppo di controllo sia per la valorizzazione del loro sottogruppo,
sia per la soddisfazione relativa al lavoro svolto.
I contributi di Bensley e Hhaynes (1995) e di Wade (1995) sono invece focalizzati sullo
studio del rapporto tra didattiche interattive, competenze di pensiero critico ed uso della
scrittura. In particolare, Bensley e Hhaynes forniscono dati relativi ad un campione di 26
studenti iscritti al primo anno di psicologia. Il gruppo di controllo e quello sperimentale,
di equivalente consistenza numerica, erano sottoposti ad un pre-test volto a quantificare le
loro capacit di scrittura e di pensiero critico. Il gruppo sperimentale seguiva un training
comprendente discussioni di gruppo, letture e stesure di relazioni nelle quali si elicitavano
confronti tra diverse posizioni teoriche. Al post-test, i soggetti del gruppo sperimentale
dimostrano lacquisizione di un uso appropriato del linguaggio argomentativo in misura
superiore al gruppo di controllo. Wade, invece, considera i vantaggi delluso di relazioni e
di elaborati scritti per lo sviluppo del pensiero critico. Lo studente dispone di maggiore
tempo per la riflessione e questo pu portare ad una pi accurata considerazione dei motivi per cui sostiene una posizione, associata alla valutazione di spiegazioni alternative. I
punti considerati erano:
151
152
S. Malvagia, S. Fontani
153
Il dibattito iniziava subito dopo lintervento del discussant, ed aveva un limite temporale compreso entro i 15-20 minuti. Anche il resto degli studenti aveva la possibilit di
intervenire; il gruppo protagonista aveva solo la funzione di promuovere la discussione.
Il setting della lezione si manteneva costante nel tempo; le lezioni di tipo interattivo
erano alternate a lezioni teoriche e ad approfondimenti seminariali, che non superavano
comunque il 30% delle lezioni del corso.
Ad ogni studente veniva richiesto di stilare una relazione a tipo verbale dellincontro.
Era auspicata laggiunta di osservazioni personali. Gli studenti dovevano scrivere almeno
10-11 elaborati nel corso dellanno accademico. Di essi: almeno 7-8 dovevano riferirsi a
lezioni di tipo interattivo, 2-3 dovevano fondarsi su capitoli di testi assegnati a lezione,
mentre 1-2 elaborati erano riservati alleventuale partecipazione ad attivit seminariali.
Ogni studente poteva scegliere di rinunciare a tale formula, e poteva prepararsi per
lesame secondo le consuete modalit di studio su testi ed appunti. Per gli studenti che
frequentavano secondo la modalit didattica interattiva erano previste riduzioni della
bibliografia desame. Tutti gli studenti erano comunque tenuti alla frequenza di almeno
il 75% delle lezioni, condizione indispensabile per lammissione allesame. La quasi totalit degli studenti ha richiesto la partecipazione alla modalit didattica proposta; la maggior parte di essi, inoltre, ha consegnato tutti gli elaborati nei limiti di tempo proposti
dal docente.
A causa dellassenza del gruppo di controllo, la ricerca svolta non pu che seguire le
modalit della ricerca descrittiva. Disponendo delle relazioni compilate dagli studenti, si
cos pensato di condurre unanalisi del contenuto di tipo quantitativo-categoriale (De
Lillo, 1971), allo scopo di evidenziare le modalit rappresentative della lezione, cos come
questa viene percepita dallo studente. Potrebbe essere infatti ipotizzato che le categorie
maggiormente rappresentate nella produzione delle relazioni da parte degli studenti siano
riconducibili ad una loro maggiore influenza sulla percezione dei contenuti della lezione.
La figura del disussant, in questa prospettiva, dovrebbe essere maggiormente rappresentata rispetto a quella del relatore, in quanto essa tende a configurarsi come maggiormente
catalizzatrice del pensiero critico (Wade, 1995).
7. Metodo
7.1 Soggetti
Il campione si componeva di 57 studenti iscritti al 3 anno del Corso di Laurea in
Psicologia dellUniversit di Firenze, frequentanti linsegnamento di Psicologia dellet evolutiva (corso progredito). L et media dei soggetti era di 24,4 anni, con range compreso tra
21 e 38 anni Le femmine erano numericamente dominanti (82%).
7.2 Procedure
Gli elaborati considerati erano complessivamente 468; tutti si riferivano a lezioni basate su didattiche di tipo interattivo.
154
S. Malvagia, S. Fontani
Ogni verbale stato sottoposto ad una analisi del contenuto, nella quale sono stati definiti gli spazi cognitivo-linguistici assegnati ai vari ruoli (De Lillo, 1971).
155
10896
10000
8000
6000
4000
1834
1294
2000
787
313
142
41
0
Discussant
Relatore
Gr. protag.
Rif. teorici
Interv.Doc. Osserv.Pers.
Resto
studenti
Discussant
Relatore
18%
Gr.Protag.
Resto studenti
1%
3%
Interv.Doc.
Osserv.Pers.
7%
29%
42%
restante 28% cos ripartito: discussant (12%), relatore (8%), gruppo protagonista (5%),
osservazioni personali (2%), interventi docente (1%).
naturale che i maggiori riferimenti siano da attribuirsi al contenuto, considerata la
natura della lezione; dunque, per meglio evidenziare le proporzioni tra le percentuali degli
spazi cognitivo-linguistici assegnati ai differenti ruoli, viene presentata anche la Fig. 2 nella
quale stata eliminata la categoria Riferimenti teorici.
Nella Fig. 2 si pu osservare che le tre categorie predominanti sono rispettivamente:
42% discussant, 29% relatore, 18% gruppo protagonista. Il restante 11% di spazi proposizionali cos ripartito: 7% osservazioni personali, 3% interventi docente 1% resto studenti.
Successivamente i dati sono stati sintetizzati mediante il calcolo della media e della
deviazione standard relative alle frequenze dei riferimenti alle diverse categorie. I valori
156
S. Malvagia, S. Fontani
Tabella 1. Medie e deviazioni standard delle proposizioni inerenti i ruoli.
Ruoli
Medie
S.D.
Rif. teorici
Discussant
Relatore
Gruppo protagonista
Interventi del docente
Osservazioni personali
Resto degli studenti
23.47
3.99
2.80
1.84
.29
.70
.11
6.84
1.54
1.40
1.33
.31
.75
.22
Rif. teorici
Discussant
Relatore
Gruppo protagonista
Interventi del docente
Osservazioni personali
Resto degli studenti
Rif.
teorici
Discussant
Relatore
Gruppo
protag.
1,00
0,28*
1,00
0,05
0,71**
1,00
0,24
0,47**
0,28*
1,00
Interventi Osservaz.
del doc.
person.
0,15
0,23
0,27*
0,29*
1,00
-0,03
0,03
0,11
-0,03
-0,03
1,00
Resto
studenti
0,02
0,25
0,16
0,18
-0,06
0,01
1,00
** = p<0,01; * = p<0,05
esposti in Tabella 1 si riferiscono dunque al numero medio di proposizioni che, allinterno di ciascuna relazione, stato assegnato alle varie voci.
In una seconda fase dellelaborazione statistica sono stati calcolati i coefficienti di correlazione (Pearson) tra le variabili suddivise in base alle categorie di contenuto (Tabella 2).
Per quanto riguarda le correlazioni tra le variabili si pu osservare dalla Tabella 2 che
esistono due correlazioni positive molto significative (p<0,01): quella tra discussant e relatore e quella tra discussant e gruppo protagonista.
stata poi considerata la linearit della distribuzione delle variabili utilizzando una
serie di estimatori delle medie (Huber, Hampel, Tukey, Andrew). Questo ha permesso di
verificare se la media stimata per ciascuna categoria cadeva entro i propri limiti di confidenza. Due categorie si sono rilevate poco attendibili (Interventi docente e Resto studenti) poich non erano normalmente distribuite e sono state escluse dalla successiva analisi fattoriale. Questultima ha messo in luce la presenza di due fattori che coprivano complessivamente il 63,5% della varianza totale (Tabella 3).
Come si nota nella Tabella 3 il primo fattore copre il 42% della varianza ed saturato
dalle categorie: discussant, relatore, gruppo protagonista. Il secondo fattore spiega il 21,5%
della varianza e presenta saturazioni nelle categorie Riferimenti teorici ed Osservazioni
personali.
157
Fattore 2
contenuto
% var. = 42
% var. = 21,5
Discussant
Gruppo protagonista
Relatore
Riferimenti teorici
Osservazioni personali
0,91
0,64
0,83
0,62
-0,74
9. Considerazioni conclusive
Un primo esame dei coefficienti di correlazione (Tabella 2) evidenzia interessanti rapporti tra il ruolo del discussant e quello del relatore, e tra il ruolo del discussant e quello del
gruppo protagonista. Questi risultati illustrano la rilevanza della struttura della lezione, cos
come emerge negli elaborati prodotti dagli studenti. La figura del discussant, in particolare, sembra emergere come elemento di raccordo tra i ruoli del relatore e del gruppo protagonista. Il discussant, in altre parole, sembra configurarsi come mediatore del pensiero critico confermando a livello empirico quanto prefissato da Hollingsworth (1995) ed in
accordo con i risultati dellesperimento di Henderson (1995). I suoi interventi sono riportati con una frequenza superiore a quella del relatore, il quale si limita allesposizione pi o
meno elaborata del contenuto. Di minore interesse, anche se sempre significative, sono le
correlazioni tra relatore e gruppo protagonista, e tra relatore ed interventi del docente.
Dai risultati dellanalisi fattoriale (Tabella 3) sembra emergere quanto precedentemente esposto. Il primo fattore setting illustra infatti linfluenza della struttura della lezione
nella produzione degli elaborati. Esso spiega il 42% della varianza totale ed degno di nota
lelevato peso fattoriale della categoria discussant(.91). La saturazione del primo fattore
viene completata dalle categorie relatore (.83) e gruppo protagonista (.64). Ancora una
volta, dunque, sembra confermata lefficacia del ruolo del discussant nella stimolazione
delle competenze relative al pensiero critico (Bernstein,1995; Cooper,1995).
Considerata la rilevanza del primo fattore nella copertura della varianza totale, inoltre,
sembra che gli studenti siano stati notevolmente influenzati dalla struttura della lezione
nella produzione delle loro relazioni.
Il secondo fattore, relativo agli aspetti contenutistici della lezione, spiega solo il 21.5%
della varianza totale e presenta una saturazione positiva da parte della categoria
Riferimenti teorici (.62), relativa, soprattutto agli aspetti teorico-contenutistici della
lezione. La categoria Osservazioni personali presenta invece una saturazione negativa
(-.74). Questo valore pu essere spiegato dal fatto che, quando compaiono unit proposizionali esposte in prima persona, mancano riferimenti alle figure del setting della lezione
(discussant, relatore, gruppo protagonista).
Una ricerca come quella condotta non pu dimostrare leffettiva efficacia delle forme
didattiche utilizzate rispetto a quelle convenzionali, sia a causa dellassenza del gruppo di
158
S. Malvagia, S. Fontani
controllo, sia a causa della mancanza di pre- test e di post- test per la verifica di eventuali
incrementi delle capacit di pensiero critico nel gruppo sperimentale. Lefficacia effettiva
del training potrebbe essere confermata solo disponendo di campioni maggiormente consistenti, in modo da potere predisporre adeguati gruppi di controllo. Questa modalit
stata volutamente esclusa dalla ricerca per motivi organizzativi. Ci auguriamo comunque
che il presente contributo, individuabile a livello pre-sperimentale, possa favorire limplementazione di ulteriori studi nel settore.
Riferimenti bibliografici
Angelo, T.A. (1995). Classroom assesment for critical thinking. Teaching of Psychology, 22 (1), 6-7.
Bensley, D.A. e Hhaynes, C. (1995). The acquisition of general purpose strategic for argumentation. Teaching of Psychology, 22 (1), 41-45.
Bernstein, D.A. (1995). A negotiation model for teaching critical thinking. Teaching of Psychology,
22 (1), 22-24.
Browne, M. N. e Hoag, J. (1995). Critical thinking in graduate programs: faculty perceptions and
classroom behavior. College Student Journal, 29 (1), 37-43.
Carlson, E.R. (1995). Evaluating the credibility of sources: a missing link in the teaching of critical thinking. Teaching of Psychology, 22 (1), 39-43.
Chaiken, S. e Duraiaraj, M. (1994). Heuristic processing: effects of source credibility argument
ambiguity and task importance on attitude judgement. Journal of Personality and Social
Psychology, 33 (3), 460-73.
Cooper, J.L. (1995). Cooperative learning and critical thinking. Teaching of Psychology, 22 (1), 7-9.
De Lillo, A. (a cura di) (1971). Lanalisi del contenuto. Bologna: il Mulino.
Guldner, G. e Stone, P. (1995). The use of sociometry in teaching at the university level. Journal of
Group Psychoterapy, Psychodrama e Sociometry, 47 (4), 177-85.
Hanley, G.L. (1995). Teaching critical thinking focusing on metacognitive skills and problem
Solving. Teaching of Psychology, 22(1), 68-72.
Henderson, B.B. (1995). Critical-thinking exercises for the history of psychology course. Teaching
of Psychology, 22(1), 60-63.
Hollingsworth, P.M. (1995). Enhancing listening retention: the two minute discussion. College
Student Journal, 29 (1), 116-117.
Howard-Rose, D. (1993). Measuring component and sets of cognitive processes in self regulated
learning. Journal of Educational Psychology, 85 (4), 591-604.
Jakoubec, J. (1995). Developing critical-thinking skills in psychology content courses. Teaching of
Psychology, 22(1), 57-59.
Mc Burney, D.H. (1995). The problem method or teaching research methods. Teaching of
Psychology, 22(1), 36-38.
Nicholls, J. (1989). The competitive ethos and democratic education. Cambridge, MA: Harvard
University Press.
Perussia, F. e Converso, D. (1995). Preferenze disciplinari degli studenti di psicologia. In Perussia,
F., Converso, D. e Miglietta, A. (a cura di), Psicologia Futura. Torino: Tirrenia ed., 133-140.
Perussia, F. e Miglietta, A. (1995). Fattori di valutazione del corso di laurea in psicologia. In Perussia,
F., Converso, D., Miglietta, A. (a cura di), Psicologia Futura. Torino: Tirrenia ed., 105-112.
Pinto, G. (1983). La lettura critica: analisi dei contributi psicologici. Roma: Armando.
Pittman, R. (1991). Social factors envollment in vocational-technical course and high scholl dropout-rates. Journal of Educational Research, 84, 288-95.
159
Shachar, H. e Sharan, S. (1994). Talking relating and achieving: effects of cooperative learning and
whole-class instruction. Cognition and Istruction, 12(4), 313-53.
Titone, R. (1979). Struttura e funzioni del linguaggio nella situazione didattica: indirizzi e ricerche.
In O. Andreani (a cura di), Processi di insegnamento e apprendimento. Firenze: La Nuova Italia.
Underwood, M. e Wald, R. L. (1995). Conference-style learning: a method for fostering critical
thinking. Teaching of Psychology, 22(1), 17-21.
Wade, C. (1995). Using writing to develop and assess critical thinking. Teaching of Psychology,
22(1), 24-28.
15
Le prove di verifica:
nuove prospettive di intervento didattico nellarea cognitiva
Annamaria Di Fabio
Universit di Firenze
162
Annamaria Di Fabio
Le prove di verifica sono state tradizionalmente classificate inoltre sulla base della prestazione implicata: prove orali e scritte (sia di produzione che di comprensione), scrittografiche, pratico-operative ... in riferimento alla modalit attraverso la quale viene richiesto di manifestare il sapere in oggetto. In riferimento al numero degli allievi coinvolto le
prove di verifica si classificano anche in individuali e collettive.
Le prove di verifica possono ulteriormente e pi proficuamente essere classificate in
relazione al loro grado di validit e di attendibilit, che implica una riflessione sulla qualit degli stimoli e delle risposte, suddividendosi in prove di verifica soggettiva e prove di
verifica oggettiva (in genere indicate come prove oggettive di profitto).
Il criterio di classificazione che risulta quello del grado di apertura e/o chiusura sia
degli stimoli che delle risposte, che conduce allidentificazione di quattro distinte tipologie di prove (Domenici, 1993).
(a) Le prove a stimolo aperto e risposta aperta: che interessano le modalit tradizionali
di accertamento del profitto e chiamano in causa la soggettivit del discente nellinterpretare lo stimolo e la soggettivit del docente nella valutazione della risposta.
(b) Le prove a stimolo aperto e risposta chiusa: in cui la chiusura della risposta nella
scelta obbligata di risposte del tipo s-no; giusto-errato; sono daccordo-non sono daccordo...
(c) Le prove a stimolo chiuso e risposta chiusa: sono le prove oggettive o strutturate
(prove oggettive di profitto), che consentono una rilevazione pi valida e pi attendibile
in quanto lesito del giudizio si presenta ad alta intersoggettivit, vale a dire che chiunque,
sulla base dellesecuzione e della valutazione relativa della prova, otterr equivalenti dati
informativi1. Viene ridimensionata cos la mediazione soggettiva nelle interpretazioni sia
delle domande da parte dellallievo che delle risposte da parte del docente.
La replicabilit intersoggettiva del giudizio implica che a priori sia definita lesattezza
della risposta senza possibilit di ambiguit, e siano rispettate le stesse modalit di somministrazione della prova.
(d) Le prove a stimolo chiuso e risposta aperta: sono le prove semistrutturate, in cui il
testo delle risposte che lallievo deve formulare autonomamente, risente per di precisi vincoli prescrittivi di cui lallievo messo a conoscenza (i vincoli possono spaziare dalla qualit e quantit dei dati richiesti, dalla gerarchia prestabilita, dalla lunghezza consentita per
la risposta, da aspetti concettuali da evidenziare, dalla generalizzazione richiesta ...).
Per quanto riguarda la tipologia e la struttura degli item abbiamo sostanzialmente i seguenti.
Item vero/falso: la risposta prevede alternative semplici e radicali (s-no; giusto-sbagliato o corretto-errato;
vero-falso...).
Item a completamenti: prevedono delle lacune da colmare con termini od elementi presentati allinterno
di una lista apposita.
Item a corrispondenze (item di confronto): si chiede per ciascun item di rintracciare la corrispondenza biunivoca con gli elementi presenti allinterno di una lista fornita.
Item a scelte multiple a una o due soluzioni esatte: prevedono una serie di risposte allinterno delle quali
rintracciare la o le risposte esatte sulla base delle indicazioni fornite e dei criteri di costruzione. importante
avere presente che il valore qualitativo delle prove strutturate (oggettive di verifica) risiede particolarmente
negli obiettivi valutativi oggetto della prova. Loggettivit della valutazione non infatti garanzia della qualit
di ci che si valuta.
1
163
2
Un principio di riferimento nella teoria della valutazione il seguente: Per ogni funzione e/o obiettivo
specifico della valutazione va impiegato uno strumento di verifica omologo o congruente con quella funzione
e/o con quellobiettivo (Domenici, 1993).
3
Gli strumenti di verifica oggettivi (le prove oggettive di profitto), sebbene imperniati su una valutazione
sottratta alle caratteristiche soggettive di chi la esegue (correzione della prova), non consentono leliminazione
della scelta soggettiva dei saperi da sottoporre a controllo e delle opzioni individuali rispetto a ci che da considerarsi esatto e ci che da reputarsi sbagliato (Domenici, 1993). Il quadro soggettivo di riferimento del
docente diviene per pi esplicito e democratico.
4
La tassonomia di Bloom mostra sei livelli di obiettivi in ordine gerarchico di complessit.
Conoscenza: implica la capacit di richiamare alla memoria termini, fatti, eventi, concetti, regole, teorie,
strutture ... e di metterli in relazione reciproca seppure ad un primo livello di complessit.
Comprensione: implica capacit di traduzioni in codici, di interpretazioni e di estrapolazioni di dati informativi.
Applicazione: implica la capacit di utilizzare allinterno di contesti operativi regole, procedure, concetti e
teorie acquisiti.
164
Annamaria Di Fabio
165
stimolazione dei processi cognitivi fondamentali del soggetto e non con modalit autoreferenti, dove il contenuto di per s gi il fine dellapprendimento. Vale a dire che abitualmente abbiamo avuto in figura i contenuti e sullo sfondo sono rimasti i processi incidentalmente stimolati e verificati. Adesso si tratta di riportare in figura ci che basilare ai
fini del migliore sviluppo delle potenzialit dellallievo: i processi cognitivi fondamentali e
conseguentemente di implicarli anche nei processi di verifica in modo da superare un
apprendimento nozionistico, meccanico, ripetitivo e riproduttivo.
Il riferimento teorico sottostante il modello 5-VM di Boschi et al. (1996), cos denominato in riferimento alle cinque vie della mente implicate. Limpianto teorico del
modello risulta basato su accurate ricerche mediante le quali stato possibile dimostrare la
consistenza di cinque strategie cognitivo-linguistiche di base ai vari livelli di et evolutiva:
la strategia parafrastica, inferenziale, logica, critico-valutativa, estetico-poetica8.
8
Esaminando pi da vicino le cinque tipologie di processi implicati, per quanto attiene al linguaggio parafrastico gli assunti di base si riferiscono alle vaste riflessioni di Castelfranchi e Parisi (1980) secondo le quali due
frasi sono parafrasi quando finiscono per produrre nella mente dellascoltatore due contenuti cognitivi uguali.
Vale a dire che due frasi risultano parafrasi quando costituiscono due atti linguistici equipollenti e, sotto il profilo pragmatico, consentono di raggiungere lo stesso scopo in una determinata situazione.
... la capacit di parafrasi sta ad indicare ... che le frasi, una volta entrate nella mente, sono processate in
modo tale che ne emerga una rappresentazione pi astratta di quella estremamente visibile o udibile. in questa rappresentazione mentale pi astratta che due frasi, estremamente diverse, possono essere giudicate o
comunque ritenute uguali (Castelfranchi e Parisi, 1980). Nellambito di questa strategia emergono varie tipologie di parafrasi: per contenuto cognitivo, per manipolazione, per specificazione, per implicazione ...
In relazione al linguaggio inferenziale (...) gli studi su queste abilit hanno messo in luce le caratteristiche
generali, come pure landamento evolutivo di questo importante processo. Da un punto di vista teorico i processi inferenziali vengono interpretati nellambito delle concettualizzazioni che hanno indagato i problemi della
comprensione del testo. A tale riguardo si fa riferimento prevalentemente a due modelli: il primo riconducibile al tipo di teorie dette proposizionali, il secondo concerne i modelli mentali, che nella nozione di schema
trovano il loro presupposto teorico. I tipi di inferenze variano da quelli che richiedono al lettore uninterazione con il brano di tipo pi superficiale, di semplice connessione fra proposizioni (le inferenze basate sul testo),
a quelli che prevedono lutilizzo che il lettore sa fare delle sue precedenti conoscenze (inferenze basate sullo
schema).
Alla base del linguaggio logico troviamo gli studi sul pensiero logico del bambino, approfonditi da Piaget e
dalla scuola di Ginevra, ripresi pi recentemente da studiosi che hanno affrontato la teoria dei connettivi logici. La teoria dei connettivi, o logica proposizionale, rappresenta un superamento della teoria aristotelica del sillogismo. Molte teorie scientifiche si possono esprimere rigorosamente usando solo queste operazioni logiche:
le congiunzioni non, e, se... allora, se e solo se, che chiamiamo connettivi; le locuzioni tutti, alcuni che chiamiamo quantificatori, e la relazione di identit. Queste operazioni logiche ci permettono di costruire un linguaggio formale, cio un linguaggio descritto con rigore e che rifugge dai contorni sfumati.
Il linguaggio critico-valutativo presenta caratteristiche distintive peculiari, sia in rapporto alle ricerche sul
lettore critico, sia in riferimento alle ricerche piagetiane e post-piagetiane sul giudizio morale. Il giudizio valutativo si distingue dalle strategie inferenziali in quanto sembra essere pi strettamente connesso allespressione
di giudizi di valore ed agli aspetti sociali nella costruzione delle conoscenze e delle attribuzioni valoriali. Gli
sviluppi pi recenti in ambito cognitivista tendono a mettere in luce luso sempre pi accentuato di tattiche e
strategie pi specificamente riferibili alla valutazione delle informazioni prese in esame. Cos si sottolinea limportanza della consapevolezza nella formulazione dei giudizi critici, per cui il fattore dominante rappresentato dallo sviluppo dei processi metacognitivi.
In relazione al linguaggio estetico-poetico lapprezzamento estetico da tempo riconoscuto una caratteristica del lettore esperto. Gode inoltre di un forte statuto epistemologico anche in seguito agli studi sulla metafo-
166
Annamaria Di Fabio
Ci ha permesso di evidenziare i fattori fondamentali dellintelligenza cognitivo-linguistica, che risulta alla base delle nostre pi generali capacit intellettive per le strette
interconnessioni ed i rapporti tra pensiero e linguaggio, ormai da tempo affrontati negli
ambiti di ricerca. Lintelligenza cognitivo-linguistica risulta pertanto lintelligenza basilare,
trasversale alle pi varie attivit di ragionamento, comprensione, produzione del soggetto,
mediando i rapporti del soggetto con il mondo e le sue performance non solo in termini di
QI ma soprattutto costituendo la base cognitiva della sua intelligenza adattiva.
Il modello 5-VM proposto sottolinea i processi fondamentali dellintelligenza cognitivo-linguistica, focalizzando lattenzione anche sugli aspetti applicativi che tali identificazioni determinano, riconoscendo la necessit per il soggetto di una stimolazione formativa intenzionale ed equilibrata di tutti e cinque i processi di base, tanto pi che i risultati
sperimentali hanno evidenziato lantagonismo di alcuni processi, come il logico ed il creativo9.
Luso di questo modello teorico applicato alla didattica consente pertanto di stimolare
e di potenziare le capacit intellettive del soggetto con significative ricadute formative. Il
potenziamento cognitivo-linguistico dellallievo il seguente.
Attraverso il linguaggio parafrastico in termini specifici sono potenziate le capacit linguistiche, lessicali e semantiche del soggetto. In termini pi generali la capacit di parafrasare consente di arricchire la stessa rappresentazione mentale del mondo del soggetto, di mutare la prospettiva di osservazione, facilitando lallontanamento da modalit
stereotipate ed asfittiche per arricchire di nuove sfumature e nuove prospettive semantiche pur nel rispetto del contenuto cognitivo.
Attraverso il linguaggio inferenziale vengono potenziate le capacit di indagare e riconoscere le informazioni che risultano pertinenti agli scopi e di individuare e prendere
in considerazione eventuali vincoli soggettivi ed oggettivi. La capacit inferenziale consente di coniugare logica ed immaginazione per cogliere ci che pi probabile nellinterscambio del soggetto con la realt, facilitandone la piena comprensione. Il linguaggio inferenziale alla base dei processi di lettura e di decodifica cos come dellinsight risolutivo.
Attraverso il linguaggio logico vengono potenziate le capacit logico-ragionative indispensabili nel problem-solving. Labilit logica favorisce lancoraggio alla realt e con-
ra in et evolutiva ed agli studi sulle sinestesie, cio sulle capacit di trasferire le percezioni da unarea sensoriale ad unaltra. Negli studi sul linguaggio poetico lenfasi posta non tanto su ci che si intende comunicare, quanto sul modo particolare con cui lo si esprime. Sono stati cos esplorati operazionalmente i vari aspetti
che fanno parte delle forme estetico-poetiche del linguaggio (scelte lessicali e sintattiche, usi figurati ecc.). Alla
base della strategia estetico-poetica troviamo il procedimento analogico ed il pensiero divergente, su cui risulta fondata la modalit creativa del soggetto. La creativit uno dei requisiti pi importanti ai fini di un adattamento flessibile e soddisfacente del soggetto al piano della realt, in quanto consente di di percorrere anche
strade inconsuete, consentendo soluzioni originali e di maggiore soddisfazione che il pensiero convergente a
priori non sarebbe in grado di evidenziare.
9
Leccessiva stimolazione di un processo determina il decremento nellaltro antagonista: nella nostra scuola tradizionalmente si verificata una sovrastimolazione della strategia logica a danno della strategia analogica
e creativa, che afferisce al linguaggio estetico-poetico.
167
sente la corretta impostazione dei problemi e lutilizzo di algoritmi adeguati per la loro
risoluzione.
Attraverso il linguaggio critico-valutativo si attiva la soggettivit critico-valutativa del
discente nellinterscambio con il materiale oggetto della formazione e si facilita la sua
consapevolezza circa il proprio sistema valoriale di riferimento, sempre implicato ed
operativo nel momento della scelta. Il piano valutativo e limpianto critico sono competenze di primaria importanza nellambito decisionale, basilari anche in relazione
allattivit di pianificazione a breve, medio e lungo raggio del soggetto e della sua continua verifica e/o revisione.
Attraverso il linguaggio estetico-poetico facilitato il contatto del discente con la
dimensione analogica e affettiva e conseguentemente ne risulta potenziata la capacit
creativa. Laffettivit un serbatoio potente che interagisce con il versante motivazionale e la sensibilit estetico-poetica un affinamento di sensibilit e di profondit dellindividuo che si alimenta del pensiero divergente.
Le prove strutturate di verifica10 processi-contenuto sono ancorate allinterazione processi cognitivo-linguistici/contenuto disciplinare. Lesempio paradigmatico che proponiamo prevede una serie di item, realizzati nel rispetto del criterio dellelicitazione dei proces10
Le prove di verifica afferenti a questa tipologia implicano la centratura sui processi in interazione contemporanea con il contenuto dellapprendimento. auspicabile che il docente, una volta innalzata la sua consapevolezza sulle cinque strategie cognitivo-linguistiche di base, impadronitosi delle modalit di stimolazione
intenzionale e non incidentale di questi processi mediante opportune animazioni didattiche, sia in grado di
costruire anche prove di verifica relative, grazie alle quali accertare il possesso dei contenuti attraverso limprescindibile verifica dei processi. Si differenziano cos dalle prove standardizzate di valutazione dei processi che
sulla base della teoria cognitivo-linguistica di Boschi sono state realizzate: la batteria di Prove 5-VM relativa
alle scuole elementari e medie, la batteria di Prove 5-VM Avanzate relativa alle scuole medie superiori, che si
propongono un diverso utilizzo didattico. Queste prove di verifica standardizzate sono utili in ingresso, al termine del quadrimestre e dellanno scolastico, per reperire informazioni disancorate dallaspetto contenutistico
della didattica focalizzandosi sui livelli dei processi, offrendo un campione esteso di taratura che permette la
localizzazione del soggetto e della classe in rapporto alla media evolutiva.
Queste batterie, articolate in prove iniziali e finali, consentono di reperire importanti informazioni ai fini
dellaccertamento del livello del singolo e della classe e di una conseguente congrua programmazione didattica in relazione ai processi. I punteggi delle cinque forme linguistiche possono essere raccolti infatti per ciascun
soggetto e/o per lintera classe in un profilo grafico di rendimento, allo scopo di evidenziare il livello, le potenzialit pi sviluppate e le eventuali asincronie nello sviluppo cognitivo-linguistico per programmare il potenziamento delle strategie cognitive.
Le Prove 5-VM consentono di rilevare per ogni soggetto il grado di sviluppo in ognuna delle strategie di
apprendimento considerate offrendo al docente, per ogni allievo, un quadro analitico completo, sia quantitativo (livello raggiunto per ogni competenza) che qualitativo (processo di apprendimento privilegiato). Le prove
oggettive delle batterie permettono infatti di effettuare unanalisi qualitativa e quantitativa dei processi: lanalisi qualitativa consente di diversificare i processi tra di loro mentre lanalisi quantitativa allinterno di ogni processo consente, per ogni soggetto, lelaborazione di un profilo grafico che risulta di facile lettura, in cui visivamente si colgono i processi ncora, da utilizzare come risorsa, ed i processi che risultano di maggiore debolezza. Questo permette di organizzare la didattica armonizzando il passaggio di contenuti di maggiore difficolt
per il soggetto attraverso i processi maggiormente padroneggiati, per aumentare le probabilit di apprendimento ed incrementare il versante motivazionale; consente inoltre di effettuare apposite stimolazioni relative
ai processi pi deboli da sviluppare.
168
Annamaria Di Fabio
si ai fini della risposta corretta sotto il profilo contenutistico, relativi allarea disciplinare
delle Scienze umane.
Se Manifesto e Comportamentismo allora Watson; se Manifesto e Psicologia della
Forma allora.........:
Rogers
Tolman
#Wertheimer
Allport
Vygotskij:
zona di sviluppo prossimale e linguaggio egocentrico del bambino in una prima fase
zona di sviluppo prossimale o linguaggio egocentrico del bambino in una prima fase
#zona di sviluppo prossimale e funzione sociale del linguaggio fin dallinizio dello sviluppo del bambino
zona di sviluppo prossimale o funzione sociale del linguaggio fin dallinizio dello sviluppo
del bambino
Le informazioni verbali e non verbali vengono rappresentate ed elaborate in sistemi cognitivi indipendenti dal punto di vista funzionale, anche se connessi tra loro. Uno di essi, il sistema per immagini...; laltro sistema (quello verbale)...
Si tratta:
dellipotesi dei livelli di elaborazione
169
Leuristica dellaccessibilit valuta la probabilit di un evento partendo dalla facilit con cui
se ne ricordano degli esempi.
Leurisitca della rappresentativit valuta se un evento rappresenta simbolicamente una classe o unaltra, a partire dalle sue analogie con gli stereotipi di ciascuna classe.
Rispetto al seguente quesito ed alla risposta fornita, valutare se stata utilizzata uneuristica e se s quale delle due.
Quesito. Il vostro professore di psicologia ha un amico, anche lui professore, che ama scrivere poesie, piuttosto timido, esile e basso di statura. Si occupa di letteratura cinese o di psicologia?
Quando viene fornita la risposta letteratura cinese, stata applicata uneuristica?
#s
no
Se s quale?
euristica dellaccessibilit
#euristica della rappresentativit
Si potrebbe dire che la Persona ci che in realt uno non , ma ci che egli e gli altri credono che sia
a) In base al brano:
La persona lessenza pi profonda e nascosta dellindividuo
La persona la libert di essere dellindividuo
#La persona come un individuo appare in societ (nel rispetto delle convenzioni e delle
tradizioni)
La persona rivela come lindividuo
170
Annamaria Di Fabio
Risposta 2
#Medea
Penelope
Pigmalione
Mos
Risposta 2
Amleto
#Achille
Don Chisciotte
Don Giovanni
171
Fra gli elementi informativi rilevabili nel corso dei colloqui consideriamo sia ci che il
paziente dice del proprio star male, la sua autodiagnosi e i sintomi che ha rilevato (oltre ai dati
anamnestici riferiti dal paziente o da altri), sia ci che il clinico inferisce dallaspetto, dallabbigliamento, dallatteggiamento, dallattivit motoria, dalla mimica, dal linguaggio ...
Nel colloquio clinico prevalgono gli elemnti informativi forniti dal soggetto
Nel colloquio clinico prevalgono gli elemnti informativi che lo psicologo raccoglie sulla
base delle sue capacit inferenziali
#Nel colloquio clinico sono presenti elementi informativi diretti e inferiti
Nel colloquio clinico i dati si modificano in relazione alla finalit del colloquio stesso
172
Annamaria Di Fabio
Lattendibilit una delle propriet fondamentali di una misura, indicata anche con il termine fedelt. Indica il grado di similarit dei risultati ottenuti a una stessa prova, in tempi differenti, da una medesima persona.
Lattendibilit la ripetizione di una stessa prova, in tempi differenti, alla medesima persona
Lattendibilit si riferisce al grado di similarit dei risultati ottenuti dai vari soggetti nella
prova
#Lattendibilit di una prova valutata in base al fatto che alla sua ripetizione il soggetto
ripresenter successivamente gli stessi risultati o risultati simili
Lattendibilit la fedelt degli item di una prova, valutata dai soggetti in tempi differenti
Lepistemologia genetica ha per oggetto il problema della relazione fra il soggetto che agisce
e pensa e gli oggetti della sua esperienza
Lepistemologia genetica si occupa delle relazioni sociali del soggetto pensante
Lepistemologia genetica si interessa primariamente dei vissuti soggettivi delle persone
(nella loro esperienza con il mondo)
Lepistemologia genetica approfondisce il piano comportamentale del soggetto piuttosto
che il piano cognitivo
#Lepistemologia genetica studia la conoscenza e come essa si sviluppa nellinterazione
organismo-ambiente
173
Il rinforzo negativo e la punizione non dipendono dallambiente ma dalla struttura cognitiva del soggetto
Il rinforzo negativo e la punizione sono modalit intrapsichiche di funzionamento dei soggetti che dallesterno risultano osservabili
#Il rinforzo negativo utilizzato per fissare una risposta, la punizione per eliminare o scoraggiare una risposta
la risposta dei soggetti che determina la possibilit di rinforzo negativo o di punizione
La teoria dellautopercezione (Bem, 1972) sostiene che noi deduciamo i nostri pensieri e le
nostre intenzioni nello stesso modo in cui lofarebbe un osservatore esterno.
Sulla base di questa teoria:
#si perviene a delle conclusioni pi valutando i propri comportamenti che attraverso la lettura dei propri stati interni
i pensieri e le intenzioni influiscono sulle nostre valutazioni
solo gli osservatori esterni possono esprimersi correttamente nelle loro valutazioni
il comportamento ininfluente ai fini della valutazione dei nostri pensieri e delle nostre
intenzioni
174
Annamaria Di Fabio
Il set mentale la tendenza del soggetto a ripetere le strategie che hanno ottenuto successo in
passato
Il set mentale pu solamente facilitare la soluzione di un problema
Il set mentale pu solamente ostacolare la soluzione di un problema
Il set mentale pu facilitare ma anhe ostacolare la soluzione di un problema
Il set mentale non interferisce con la soluzione di un problema
Bibliografia
Boschi, F., Aprile, L. e Scibetta, I. (1996). 5-VM Prove di comprensione dei linguaggi nella lettura.
Firenze: Organizzazioni Speciali.
Boschi, F., Aprile L. e Scibetta, I. (2000). 5-VM Prove di comprensione dei linguaggi nella lettura.
Prove avanzate. Firenze: Organizzazioni Speciali.
Boschi, F. e Di Fabio, A. (1998). Apprendimento e nuove teorie della mente. Continuit e Scuola, 5.
Castelfranchi, C. e Parisi, P. (1980). Linguaggio, conoscenze e scopi. Bologna: il Mulino.
De Bartolomeis, F. (1953). La pedagogia come scienza. Firenze: La Nuova Italia.
Di Fabio, A. (1998). Psicologia dellorientamento. Firenze: Giunti.
Domenici, G. (1993). Manuale della valutazione scolastica. Bari: Laterza.
Hilgard, E.R. e Bower, G.H. (1975). Theories of learning. N.Y.: Prentice-Hall, Inc., (trad. it. Teorie
dellapprendimento. Milano: FrancoAngeli, 1987).
Vertecchi, B. (1993). Decisione didattica e valutazione. Firenze: La Nuova Italia.
16
Lo studio delle modalit di sviluppo delle competenze cognitivolinguistiche e delle competenze di definizione lessicale
Emanuela Bavazzano, Andrea Fonari, Giacomo Grifoni
Universit di Firenze
1. Introduzione
Le nostre tre tesi di laurea in psicologia dello sviluppo si sono inserite allinterno di un
complesso progetto di ricerca, avviato dalla Cattedra del Prof. Filippo Boschi, a partire dallinizio dellanno scolastico 1996/1997. Le origini di tale progetto sono state mosse dagli
interessi della ricerca psicolinguistica applicata, tesa a stabilire i ritmi di sviluppo (continui
o discontinui?) delle singole abilit di linguaggio indagate; alcuni di noi, allinterno di una
prospettiva interazionista, si sono inoltre occupati di definire la qualit della relazione che
lega specifiche competenze di tipo cognitivo-linguistico a fattori di carattere non solamente cognitivo.
In seno a tali prospettive teoriche, ciascuno di noi ha scelto una specifica competenza
cognitivo linguistica, che costituisse il proprio campo dindagine privilegiato, ed ha avviato la preparazione della propria tesi di laurea sulla base di alcuni obiettivi.
Sulla base dei risultati di precedenti ricerche, sono stati da noi formulati obiettivi ed
ipotesi, alcuni specifici per ogni modalit ed altri generali nel tentativo di integrazione dei
nostri lavori, in una sintesi comprensiva eppure sempre valorizzante le diversit.
2. Obiettivi ed ipotesi generali: linguaggio logico, estetico -poetico ed inferenziale
2.1 Trend di sviluppo
Sintende verificare che lincremento del linguaggio logico e del linguaggio estetico poetico procede dalla quarta elementare alla terza media con modalit continua di sviluppo;
S intende verificare che 1incremento del linguaggio inferenziale procede dalla quarta
elementare alla terza media con modalit discontinua di sviluppo.
176
Maschi
Femmine
Totali
Et media
IV elementare
V elementare
I media
II media
III media
89
86
89
97
171
86
85
91
125
191
175
171
180
222
362
9.2
10.1
11.1
12.2
13.2
Totali
532
578
1110
8. Risultati
8.1 Linguaggio logico, estetico poetico ed inferenziale
8.1.1 Trend di sviluppo
I risultati confermano le ipotesi mettendo in luce simili andamenti di sviluppo per
quanto riguarda il linguaggio logico ed il linguaggio estetico-poetico; in entrambi si
rilevano trend evolutivi che escludono la presenza di crisi di sviluppo specifiche e plateaux a partire dallingresso nella scuola media;
I risultati confermano le ipotesi mettendo in luce la discontinuit dei trend di sviluppo del linguaggio inferenziale.
8.1.2 Ruolo del genere
Differenziati sono i risultati ottenuti per quanto riguarda lincidenza del genere sulle
scansioni evolutive:
una variabile statisticamente significativa per il trend di sviluppo del linguaggio logico: le femmine si dimostrano costantemente pi competenti dei maschi;
Non sembra incidere significativamente sul trend di sviluppo del linguaggio esteticopoetico;
178
La discontinuit di sviluppo del linguaggio inferenziale deve essere indagata alla luce
dei differenti andamenti delle curve evidenziati dalle prestazioni dei maschi (netta crisi
di sviluppo rilevabile nel passaggio dalla quarta alla quinta elementare e successivo assestamento) e delle femmine (doppia crisi di sviluppo rilevabile nel passaggio dalla quinta elementare alla prima media e nel passaggio dalla seconda alla terza media); le femmine sembrano inoltre essere complessivamente pi capaci nel trarre inferenze rispetto
ai maschi.
8.2 Competenze di natura lessicale
8.2.1 Trend di sviluppo
I risultati confermano le ipotesi mettendo in luce quanto segue:
La specificit dei trend di sviluppo delle competenze lessicali non contestuali, con quelle sinonimiche caratterizzate da incrementi su tempi lunghi di due anni dalla quinta
elementare in avanti e quelle antonimiche da un andamento fasico in cui si susseguono, di anno in anno, crisi di sviluppo e fasi di plateaux;
La specificit dei trend di sviluppo delle competenze lessicali contestuali, con quelle
sinonimiche caratterizzate da un costante e significativo incremento fino alla terza
media e quelle antonimiche dalla riproposizione dellandamento fasico, tipico della
competenza antonimica non contestuale, ma opposto per maschi e femmine.
8.3 Competenze cognitivo-linguistiche e competenze di natura lessicale
8.3.1 Pattern correlazionali
I risultati confermano le ipotesi mettendo in luce quanto segue:
Una correlazione significativa e positiva tra la competenza cognitivo-linguistica del linguaggio estetico-poetico e la capacit di riconoscere antonimi contestuali;
Una correlazione significativa e positiva tra la competenza cognitivo-linguistica del linguaggio inferenziale e la capacit di definizione lessicale di tipo contestuale.
8.4 Linguaggio estetico-poetico e fattori di personalit
8.4.1 Pattern correlazionali
I risultati confermano le ipotesi mettendo in luce quanto segue:
Una correlazione significativa e positiva tra la competenza cognitivo-linguistica del linguaggio estetico-poetico ed i fattori di personalit intelligenza elevata, espressivit;
meno significativa appare la correlazione con lestroversione.
studi e saggi
Titoli pubblicati
Ciappei C. (a cura di), La valorizzazione economica delle tipicit rurali tra localismo e
globalizzazione
Ciappei C., Citti P., Bacci N., Campatelli G., La metodologia Sei Sigma nei servizi.
Unapplicazione ai modelli di gestione finanziaria
Ciappei C., Sani A., Strategie di internazionalizzazione e grande distribuzione nel settore dellabbigliamento. Focus sulla realt fiorentina
Garofalo G. (a cura di), Capitalismo distrettuale, localismi dimpresa, globalizzazione
Laureti T., Lefficienza rispetto alla frontiera delle possibilit produttive. Modelli teorici
ed analisi empiriche
Lazzeretti L. (a cura di), Art Cities, Cultural Districts and Museums. An Economic and
Managerial Study of the Culture Sector in Florence
Lazzeretti L. (a cura di), I sistemi museali in Toscana. Primi risultati di una ricerca sul
campo
Lazzeretti L., Cinti T., La valorizzazione economica del patrimonio artistico delle citt
darte. Il restauro artistico a Firenze
Lazzeretti L., Nascita ed evoluzione del distretto orafo di Arezzo, 1947-2001. Primo studio in una prospettiva ecology based
Simoni C., Approccio strategico alla produzione. Oltre la produzione snella
Simoni C., Mastering the Dynamics of Apparel Innovation
Filosofia
Cambi F., Pensiero e tempo. Ricerche sullo storicismo critico: figure, modelli, attualit
Desideri F., Matteucci G. (a cura di), Dalloggetto estetico alloggetto artistico
Desideri F., Matteucci G. (a cura di), Estetiche della percezione
Giovagnoli R., Autonomy: a Matter of Content
Valle G., La vita individuale. Lestetica sociologica di Georg Simmel
Letteratura, filologia e linguistica
Dei L. (a cura di), Voci dal mondo per Primo Levi. In memoria, per la memoria
Franchini S., Diventare grandi con il Pioniere (1950-1962). Politica, progetti di vita e
identit di genere nella piccola posta di un giornalino di sinistra
Francovich Onesti N., I nomi degli Ostrogoti
Gori B., La grammatica dei clitici portoghesi. Aspetti sincronici e diacronici
Lisa T., Le Poetiche delloggetto da Luciano Anceschi ai Novissimi. Linee evolutive di un
istituzione della poesia del Novecento. Con unappendice di testimonianze inedite
e testi rari
Lopez Cruz H., America Latina aportes lexicos al italiano contemporaneo
Melani C., Effetto Poe. Influssi dello scrittore americano sulla letteratura italiana
Pavan S., Lezioni di poesia. Iosif Brodskij e la cultura classica: il mito, la letteratura, la
filosofia
Totaro L., Ragioni damore. Le donne nel Decameron
Politica
De Boni C., Descrivere il futuro. Scienza e utopia in Francia nellet del positivismo
De Boni C. (a cura di), Lo stato sociale nel pensiero politico contemporaneo. 1.
LOttocento
Psicologia
Sociologia
Alacevich F., Promuovere il dialogo sociale. Le conseguenze dellEuropa sulla regolazione del lavoro
Bettin Lattes G., Giovani Jeunes Jovenes. Rapporto di ricerca sulle nuove generazioni e
la politica nellEuropa del sud
Bettin Lattes G. (a cura di), Per leggere la societ
Catarsi E. (a cura di), Autobiografie scolastiche e scelta universitaria
Leonardi L. (a cura di), Opening the European Box. Towards a New Sociology of
Europe
Nuvolati G., Mobilit quotidiana e complessit urbana
Ramella F., Trigilia C. (a cura di), Reti sociali e innovazione. I sistemi locali
dellinformatica
Rondinone A., Donne mancanti. Unanalisi geografica del disequilibrio di genere in
India
Storia e sociologia della scienza
Cabras P. L., Chiti S., Lippi D. (a cura di), Joseph Guillaume Desmaisons Dupallans. La
Francia alla ricerca del modello e lItalia dei manicomi nel 1840
Cartocci A., La matematica degli Egizi. I papiri matematici del Medio Regno
Guatelli F. (a cura di), Scienza e opinione pubblica. Una relazione da ridefinire
Lippi D., Illacrimate sepolture. Curiosit e ricerca scientifica nella storia delle riesumazioni dei Medici
Meurig T. J., Michael Faraday. La storia romantica di un genio
Studi di bioetica
Baldini G., Soldano M. (a cura di), Tecnologie riproduttive e tutela della persona. Verso
un comune diritto europeo per la bioetica
Bucelli A. (a cura di), Produrre uomini. Procreazione assistita: unindagine
multidisciplinare
Costa G., Scelte procreative e responsabilit. Genetica, giustizia, obblighi verso le generazioni future
Galletti M., Decidere per chi non pu. Approcci filosofici alleutanasia non volontaria
20,00
ISBN 88-8453-076-8
788884 530769