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IL LUPO E IL FILOSOFO
Lezioni di vita dalla natura selvaggia
The Philosopher and the Wolf:
Lessons from the Wild on Love, Death and Happiness, 2008
Credo di aver capito perch ho amato Brenin cos tanto e perch sento
cos dolorosamente la sua mancanza, adesso che non c pi.
Lui mi ha insegnato una cosa che non avrei mai imparato con i mezzi
dell istruzione ufficiale, cio che in una qualche antica parte della mia
anima viveva ancora un lupo.
Mark Rowlands, giovane e inquieto docente di filosofia in un'universit
americana, legge per caso su un giornale una singolare inserzione, si
incuriosisce e risponde. Qualche ora dopo il padrone felice di un cucciolo
di lupo, a cui d nome Brenin ("re" in gallese antico). Per undici anni, sar
lui la presenza pi importante nella vita del professore, che seguir
ovunque: assister alle sue lezioni acciambellato sotto la cattedra, incurante
degli iniziali timori e del successivo entusiasmo degli studenti, ne
condivider avventure, gioie e dolori, lo accompagner nei suoi spostamenti
dall'America all'Irlanda alla Francia, dove Mark si trasferisce dopo aver
troncato quasi ogni legame con i suoi simili. E sar, soprattutto, una fonte
continua di spunti di riflessione e idee filosofiche perch, contrariamente
allo stereotipo che ne fa un emblema del male, della ferocia, del lato oscuro
dell'umanit, il lupo per Rowlands metafora di luce e di verit, la guida
per un viaggio interiore alla scoperta della propria pi intima e segreta
identit: "Il lupo la radura dell'anima umana ... svela ci che rimane
nascosto nelle storie che raccontiamo su noi stessi". La sua natura selvaggia
e indomabile, infatti, rivela a chi gli sta accanto un modo di vivere e di fare
esperienza del mondo non solo radicalmente diverso da quello degli uomini,
ma forse anche pi autentico e appagante perch immune da doppi fini, da
ogni atteggiamento di calcolo e manipolazione.
Divertente e acuto, profondo e bizzarro, a tratti drammatico, e costellato
di una miriade di episodi curiosi che sono l inevitabile corollario di un cos
strano mnage, Il lupo e il filosofo la storia struggente della meravigliosa
amicizia tra Mark e Brenin, raccontata con grande passione e suggestione
emotiva. Ma anche la storia di un filosofo che impara a guardare ai temi
fondamentali della sua ricerca (il senso della vita, l essenza della felicit, la
natura del tempo, i misteri dell amore e della morte) con occhi veramente
nuovi solo dopo averli visti riflessi negli occhi di Brenin, il suo fiero e
incorrotto alter ego animale.
Indice
A Emma
Uno. La radura
cose che pensiamo di poter fare. Per il resto, b, soprattutto una questione
di livello, piuttosto che di genere. La nostra unicit sta invece, e
semplicemente, nel fatto che noi ci raccontiamo tali storie e, soprattutto,
possiamo davvero indurre noi stessi a crederci. Se volessi definire gli esseri
umani con una frase, direi: gli uomini sono quegli animali che credono alle
storie che raccontano su se stessi. In altri termini, gli esseri umani sono
animali creduloni.
In questi tempi oscuri non vale certo la pena sottolineare che le storie che
raccontiamo su noi stessi possono essere la pi importante causa di
divisione tra un essere umano e l'altro. Tra la credulit e l'ostilit, spesso il
passo breve. Ci che mi interessa, tuttavia, sono le storie che ci
raccontiamo per distinguerci non l'uno dall'altro, ma dagli altri animali: le
storie su ci che ci rende umani. Ogni storia possiede quello che potremmo
definire un lato oscuro, cio getta un'ombra. E tale ombra dev'essere cercata
dietro quello che la storia dice: l che troveremo ci che la storia dimostra
e che probabilmente risulter oscuro sotto almeno due punti di vista. In
primo luogo, ci che la storia dimostra spesso un lato poco lusinghiero,
addirittura sgradevole, della natura umana. In secondo luogo, quello che la
storia dimostra in genere difficile da vedere. Questi due aspetti non sono
disgiunti. Noi uomini abbiamo una spiccata abilit a sorvolare sugli aspetti
di noi stessi che troviamo spiacevoli. E ci si estende alle storie che
raccontiamo per spiegare noi stessi a noi stessi.
Il lupo , naturalmente anche se ingiustamente, il tradizionale emblema
della faccia oscura dell'umanit. Il che paradossale sotto molti punti di
vista, non ultimo quello etimologico. In greco, lupo si dice lykos, una
parola cos simile all'aggettivo leukos, bianco, splendente (e quindi tale
da evocare la luce), che i due termini sono stati spesso associati. Pu darsi,
quindi, che tale associazione sia derivata semplicemente da errori di
traduzione, oppure che fra le due parole ci fosse un nesso etimologico pi
profondo. Ma, quale che fosse la ragione, Apollo veniva considerato il dio
sia del sole sia dei lupi. E in questo libro proprio il collegamento tra il
lupo e la luce l'elemento importante. Pensate al lupo come a una radura
nella foresta. Nelle viscere della foresta ci pu essere troppo buio per
riuscire a vedere gli alberi, mentre la radura il luogo che consente a ci
che era nascosto di essere svelato. Il lupo, come cercher di dimostrare, la
radura nell'anima umana. Il lupo svela ci che rimane nascosto nelle storie
che raccontiamo su noi stessi, ovvero ci che quelle storie dimostrano ma
non dicono.
Noi siamo nell'ombra del lupo. Una cosa pu gettare un'ombra in due
modi: ostacolando la luce o essendo la fonte di luce che altre cose
storie che noi uomini possiamo davvero indurci a credere, a dispetto di tutte
le prove contrarie. Ci che ho intenzione di dimostrare che si tratta di
storie raccontate da scimmie: storie in cui struttura, tema e contenuto sono
palesemente scimmieschi.
In questo contesto uso la scimmia come metafora di una tendenza che
esiste, in misura maggiore o minore, in ognuno di noi. In tal senso, alcuni
esseri umani sono pi scimmie di altri. Anzi, alcune scimmie sono pi
scimmie di altre. La scimmia la tendenza a comprendere il mondo in
termini strumentali: il valore di ogni cosa in funzione di ci che quella
cosa pu fare per la scimmia. La scimmia la tendenza a vedere la vita
come un processo di valutazione delle possibilit e di calcolo delle
probabilit, per poi sfruttare i risultati di quei calcoli a proprio favore. la
tendenza a vedere il mondo come una serie di risorse, di cose da usare per i
propri scopi. La scimmia applica questo principio tanto alle altre scimmie
quanto - se non di pi - al resto del mondo naturale. La scimmia la
tendenza ad avere non amici, ma alleati. La scimmia non guarda i suoi
simili, li tiene d'occhio. E intanto aspetta l'occasione giusta per ottenere
qualche vantaggio. Vivere, per la scimmia, attendere di colpire. La
scimmia la tendenza a basare i rapporti con gli altri su un unico principio,
immutabile e inesorabile: che cosa puoi fare per me, e quanto mi coster
fartelo fare? Inevitabilmente, questa consapevolezza che anche le altre
scimmie hanno la stessa natura avr un effetto boomerang, permeando e
infettando la visione che la scimmia ha di se stessa. E cos essa pensa alla
propria felicit come a qualcosa che pu essere misurato, pesato,
quantificato e calcolato.
E pensa all'amore negli stessi termini. La scimmia la tendenza a ridurre
le cose pi importanti della vita a una questione di analisi costi- benefici.
Questa, vorrei ribadirlo, una metafora di cui mi servo per descrivere una
tendenza umana. Tutti noi conosciamo persone simili. Le incontriamo sul
lavoro e nel tempo libero, siamo stati seduti di fronte a loro a un tavolo da
riunioni o a quello di un ristorante. Ma tali persone sono solo
estre-mizzazioni del tipo umano fondamentale. Sospetto che la maggior
parte di noi sia cos pi di quanto ci rendiamo conto o ci piaccia ammettere.
Ma perch definisco scimmiesca questa tendenza? Gli esseri umani non
sono l'unica specie di scimmie che sa soffrire o godere dell'intera gamma
delle emozioni umane. Come vedremo, altre scimmie possono provare
amore, cos come possono sentire un dolore tanto intensamente da morirne.
Possono avere amici, e non solo alleati. Ciononostante questa tendenza
scimmiesca nel senso che resa possibile dalle scimmie; pi precisamente,
ricorrere alla metafora, credo che certi pensieri possano emergere solo nello
spazio tra un lupo e un uomo.
Nei primi tempi della nostra convivenza, Brenin e io avevamo l'abitudine
di trascorrere qualche weekend a Little River Canyon, nell'angolo
nordorientale dell'Alabama, dove montavamo (illegalmente) una tenda.
Passavamo il tempo rabbrividendo per il freddo e ululando alla luna. Il
canyon era stretto e profondo, e solo con riluttanza il sole si apriva
faticosamente la strada tra le fitte betulle e le querce dei druidi, e una volta
che aveva superato il margine occidentale del canyon, le ombre si
congelavano in un blocco compatto. Dopo circa un'ora di cammino lungo
un sentiero abbandonato, Brenin e io entravamo nella radura. Se avevamo
calcolato bene i tempi, questo accadeva nel momento in cui il sole dava il
suo bacio d'addio al canyon e una luce dorata si rifletteva in quello spazio
aperto. E gli alberi, in gran parte nascosti dalla penombra ormai da un'ora, si
stagliavano in tutto il loro antico e potente splendore. La radura lo spazio
che permette agli alberi di emergere dall'oscurit alla luce. I pensieri che
danno forma a ci che ho scritto sono emersi in uno spazio che non esiste
pi, e non sarebbero stati possibili - almeno per me - senza quello spazio. Il
lupo non c' pi, e quindi non c' pi nemmeno quello spazio. Quando
rileggo questo libro, rimango colpito da quanto mi risultino estranei i
pensieri che contiene. Il fatto che sia stato io a pensarli per me una strana
scoperta. Questi non sono pensieri miei perch, pur credendo in essi e
ritenendoli veri, non sarei pi capace di pensarli. Questi sono i pensieri della
radura. Sono i pensieri che esistono solo nello spazio tra un lupo e un uomo.
Brenin non stava mai sdraiato o accucciato nel retro della mia jeep. Gli
piaceva sempre vedere che cosa stava arrivando. Una volta avevamo
viaggiato in auto da Tuscaloosa, in Alabama, fino a Miami - circa 1300
chilometri - e ritorno, e Brenin era rimasto in piedi per tutto il tragitto,
oscurando con la sua ingombrante mole buona parte del sole e tutto il
traffico alle nostre spalle. Ma quella volta, durante il breve viaggio fino a
Bziers, non rimase in piedi: non ce la faceva. E fu allora che capii che
ormai non c'era pi niente da fare. Lo stavo portando nel luogo dove
sarebbe morto. Mi ero detto che se si fosse alzato in piedi, anche solo per
una parte del viaggio, mi sarei concesso un altro giorno: altre ventiquattr'ore
perch accadesse un miracolo. Ma adesso sapevo che era finita. Quello che
era stato il mio amico per gli ultimi undici anni se ne sarebbe andato. E io
non sapevo che tipo di persona avrebbe lasciato dietro di s.
Il buio inverno francese non avrebbe potuto contrastare di pi con quella
luminosa serata in Alabama, all'inizio di maggio, poco pi di dieci anni
prima, quando avevo portato nella mia casa e nel mio mondo un Brenin di
sei settimane. Nel giro di due minuti dal suo arrivo - e non sto affatto
esagerando - aveva sfilato dalle guide le tende (di entrambe le finestre!) del
soggiorno e le aveva gettate a terra. Poi, mentre io cercavo di riappenderle,
aveva trovato la strada per arrivare in giardino e sotto la casa. Sul retro
l'edificio era rialzato da terra ed era possibile accedere allo spazio
sottostante attraverso una porta in un muro di mattoni, porta che ovviamente
avevo lasciato socchiusa.
Brenin riusc ad andare sotto la casa e poi procedette - metodicamente,
meticolosamente e, soprattutto, rapidamente - a staccare e strappare ognuno
dei flessibili tubi rivestiti di materiale isolante che convogliavano l'aria
fredda dalle macchine del condizionatore alla casa attraverso varie
bocchette nel pavimento. Era l'atteggiamento caratteristico di Brenin - il suo
marchio di fabbrica - verso tutto ci che era nuovo e sconosciuto. Gli
piaceva vedere che cosa sarebbe successo. Esplorava, valutava. E poi
distruggeva. Era mio da un'ora e mi era gi costato mille dollari:
cinquecento per comprarlo e cinquecento per riparare l'impianto dell'aria
condizionata. Una cifra che, a quei tempi, era pari a circa un ventesimo del
mio stipendio lordo annuo. Questo tipo di schema si sarebbe ripetuto, in
modi spesso innovativi e fantasiosi, per tutti gli anni della nostra
convivenza. I lupi non sono economici.
Perci, se state pensando di acquistarne uno - o anche solo un incrocio
lupo- cane -, la prima cosa che voglio dirvi : non fatelo! Non fatelo mai,
non pensateci neppure. I lupi non sono cani. Ma se persistete scioccamente
in questa idea, allora devo avvertirvi che la vostra vita sta per cambiare per
sempre.
Era il mio primo lavoro e lo facevo da un paio d'anni: assistente di
filosofia all'universit dell'Alabama, in una citt che si chiama Tuscaloosa.
Tuscaloosa un termine degli indiani choctaw che significa Guerriero
nero e la citt attraversata dall'imponente Black Warrior River, il fiume
del Guerriero nero. Tuscaloosa nota soprattutto per la sua squadra
universitaria di football, la Crimson Tide, che i membri della comunit
locale sostengono con un fervore pi che religioso, anche se non ci vanno
leggeri neppure con la religione. Penso che sia giusto affermare che sono
molto pi sospettosi nei confronti della filosofia, e chi pu biasimarli? La
vita era piacevole. Mi divertivo fin troppo a Tuscaloosa. Ma ero cresciuto in
compagnia dei cani - perlopi cani grossi, come gli alani - e ne sentivo la
mancanza. E cos un pomeriggio mi trovai a leggere gli annunci economici
del Tuscaloosa News.
Per buona parte della loro relativamente giovane vita, gli Stati Uniti
hanno perseguito una politica di sistematica eliminazione dei lupi: armi da
fuoco, veleno, trappole, qualsiasi mezzo venisse ritenuto necessario. Il
risultato che non ci sono virtualmente pi lupi selvatici in libert nei
quarantotto Stati continentali. Ora che questa politica stata abbandonata, i
lupi sono ricomparsi in alcune aree del Wyoming, del Montana, del
Minnesota e in qualche isola dei Grandi Laghi: Isle Royale, al largo della
costa settentrionale del Michigan l'esempio pi famoso, grazie soprattutto
alle pionieristiche ricerche sui lupi ivi effettuate dal naturalista David Mech.
Di recente, tra le vibranti proteste degli allevatori, sono stati reintrodotti lupi
addirittura a Yellowstone, il pi famoso parco naturale americano.
Questa rinascita della popolazione dei lupi, tuttavia, non ha ancora
raggiunto l'Alabama o, in generale, gli Stati del Sud. Ci sono moltissimi
coyote. E ci sono alcuni lupi rossi nelle paludi della Louisiana e del Texas
orientale, anche se nessuno sa bene che cosa siano: potrebbero benissimo
essere il risultato di una storica ibridazione lupo- coyote. Ma i lupi delle
foreste, o lupi grigi come vengono a volte chiamati (non correttamente, dato
che possono essere anche neri, bianchi e marroni), sono un ricordo remoto
nel Sud degli Stati Uniti.
per gli arti e forse per la vita e che, tutto sommato, il mondo sarebbe stato
migliore senza di lui. Ma ai miei familiari quel gioco piaceva. Credo che
tutti loro abbiano ancora le cicatrici delle idiosincrasie di Blue, e non solo
nel posteriore. Blue aveva anche altre idiosincrasie. Io fui l'unico a
sfuggirgli, ma solo perch, quando lui entr in scena, io ero gi uscito di
casa per frequentare l'universit. In ogni caso le cicatrici erano viste non
come motivo di compassione o preoccupazione, ma come occasioni di
generali prese in giro e benevola derisione.
La pazzia, naturalmente, una caratteristica di famiglia ed era forse
troppo aspettarsi che io ne fossi esente. Qualche anno fa, in un paesino
francese, mi trovai impegnato in un gioco quotidiano con una femmina di
Dogo argentino che abitava vicino a casa mia. Il dogo un cane bianco
grande e possente, un po la versione sovradimensionata del pit bull, e in
Gran Bretagna stato messo al bando dalla legge sulle razze canine
pericolose. Ogni volta che mi vedeva, la cucciola di dogo si fiondava
eccitata contro la recinzione del suo giardino e si drizzava sulle zampe
posteriori perch la accarezzassi. Crescendo, continu a comportarsi nello
stesso modo. Ma a un certo punto evidentemente decise che, tutto sommato,
poteva essere una buona idea anche quella di mordermi. Per mia fortuna, i
dogo sono grandi e grossi, ma non veloci. E neppure particolarmente
intelligenti: potevo quasi vedere le rotelle che le giravano dentro la testa
mentre valutava le possibilit e le conseguenze di un eventuale morso. E
cos tutti i giorni ripetevamo lo stesso gioco. Io passavo davanti al giardino,
lei correva alla recinzione, io le davo qualche colpetto sulla testa e lei si
godeva le coccole per alcuni secondi, annusandomi la mano e
scodinzolando allegramente. Ma poi all'improvviso irrigidiva il corpo e
contraeva la bocca. E poi scattava all'attacco. Se devo essere sincero, credo
che i suoi fossero tentativi poco convinti. Io le piacevo abbastanza, ma lei si
sentiva obbligata a mordermi a causa dei soggetti con cui mi accompagnavo
(come vedremo, aveva buone ragioni per trovare poco simpatiche le mie
frequentazioni, in particolare una di esse). Io ritraevo la mano con tempismo
perfetto, lei richiudeva le fauci a vuoto e io la salutavo con un plus tard,
augurandole miglior fortuna per l'indomani. Non mi piace pensare che la
stavo tormentando. Era solo un gioco e io ero davvero curioso di vedere
quanto tempo ci sarebbe voluto prima che smettesse di cercare di mordermi.
Non smise mai.
Comunque sia, non ho mai avuto paura dei cani. E questa confidenza si
estesa con naturalezza anche ai lupi. Salutai Yukon come avrei salutato un
alano mai visto prima: in modo rilassato e amichevole, ma rispettando
comunque le consuete regole. Yukon risult non assomigliare affatto a Blue
e neppure alla mia amica dogo. Era un lupo di buon carattere, fiducioso e
amichevole. Ma i fraintendimenti possono verificarsi anche con gli animali
migliori. La ragione pi tipica per cui un cane morde - e sospetto che lo
stesso valga per i lupi - l'avere perso di vista la mano di chi gli si avvicina.
Le persone allungano la mano oltre il muso del cane per dargli un colpetto
nella zona posteriore della testa o sul collo. Perdendo di vista la mano, il
cane si innervosisce, sospetta un possibile attacco e, di conseguenza, morde.
un morso dovuto alla paura, il tipo di morso pi comune. Cos permisi a
Yukon di annusarmi la mano e gli feci qualche coccola sulla parte anteriore
del collo e sul petto, finch non si abitu alla mia presenza. Andammo
subito d'amore e d'accordo.
La madre di Brenin si chiamava Sitka, come un particolare tipo di abete
rosso, credo. Era alta come Yukon, ma pi slanciata e non certo cos
massiccia. Con il corpo lungo e snello, aveva pi l'aria del lupo, perlomeno
stando alle foto di lupi che avevo visto. Esistono numerose sottospecie di
lupi. Sitka, mi venne detto, era un lupo della tundra dell'Alaska. Yukon,
invece, era un lupo della valle del Mackenzie, nel Nordovest del Canada. Le
loro diverse caratteristiche fisiche riflettevano l'appartenenza alle rispettive
sottospecie.
Sitka era troppo occupata con i sei orsacchiotti che le scorrazzavano tra le
zampe per dedicarmi molta attenzione. Orsacchiotti il termine migliore
che mi viene in mente per descrivere quelle sei creature: rotonde, morbide,
pelose e prive di spigoli. Alcuni erano grigi e altri marroni, tre erano maschi
e tre femmine. La mia intenzione originaria era quella di dare solo
un'occhiata ai cuccioli e poi tornarmene a casa e riflettere attentamente e
razionalmente sulla domanda se fossi davvero pronto ad assumermi la
responsabilit di un lupo, e cos via. Ma non appena vidi i cuccioli, capii
subito che me ne sarei portato a casa uno. Quel giorno stesso. Anzi, mi
sembr di non essere abbastanza veloce a estrarre dalla tasca il libretto degli
assegni. E quando l'allevatore mi inform che non accettava assegni, mi
sembr di non guidare abbastanza in fretta verso il pi vicino bancomat per
procurarmi i contanti.
Scegliere il cucciolo fu pi facile di quanto avessi pensato. La cosa
fondamentale era che volevo un maschio. Ce n'erano tre. Il pi grosso dei
maschi - in realt il pi grosso dell'intera cucciolata - era grigio e, intuivo,
sarebbe diventato la copia esatta del padre. Sapevo abbastanza di cani da
rendermi conto che sarebbe stato un animale problematico. Senza paura,
energico, dominante sui fratelli e sulle sorelle, era chiaramente destinato a
diventare il maschio alfa e avrebbe richiesto un supplemento di impegno e
di controllo. Ripensai a Blue e, visto che quello sarebbe stato il mio primo
lavoro non dovevo andarci per niente. Ebbi quindi tutto il tempo per
rendermi adeguatamente conto della grandissima passione di Brenin per la
distruzione e per prepararlo a venire al lavoro con me, visto che non potevo
in alcun modo evitarlo.
C' chi dice che non possibile addestrare i lupi. Non cos: possibile
addestrare quasi qualunque animale, se si trova il sistema giusto. questa la
cosa difficile. Con un lupo ci sono moltissimi modi per fallire, ma, per
quello che ne so, ce n' solo uno per avere successo. Ci, comunque, quasi
altrettanto vero con i cani. Forse l'idea sbagliata pi comune credere che
l'addestramento abbia qualcosa a che fare con l'ego. L'addestramento viene
visto come una battaglia di volont, nella quale il cane dev'essere costretto a
adeguarsi. L'errore in questo caso consiste nel considerare l'addestramento
come un fatto troppo personale. Il padrone interpreta qualsiasi rifiuto da
parte del cane come un affronto personale, un insulto alla propria virilit (in
genere l'uomo a vedere l'addestramento in questi termini). E a quel punto,
naturalmente, si arrabbia. La prima regola nell'addestramento dei cani , o
dovrebbe essere, tenere presente che non c' nulla di personale.
L'addestramento non una battaglia di volont: per chi la pensa cos il
risultato sar disastroso. Se si cerca di addestrarlo in tal modo, con ogni
probabilit un grosso cane aggressivo finir per diventare nient'affatto
simpatico.
L'errore opposto pensare che l'obbedienza dell'animale si possa ottenere
non con il dominio, ma con le ricompense. Le ricompense possono
assumere forme diverse. Alcuni lanciano ossessivamente prelibatezze in
bocca al cane per premiarlo anche dopo il pi semplice dei compiti. Il
risultato pi ovvio sar un cane grasso che si rifiuter di obbedire al suo
padrone quando sospetter che non ci siano bocconcini in vista, o quando
sar distratto da qualcosa - un gatto, un altro cane, un podista - che gli
sembrer pi interessante del cibo. Pi spesso, per, la ricompensa si
trasforma in una serie di insulsi complimenti che il proprietario rivolge al
cane - Bravo cagnone, Che cane intelligente sei!, Bravo, cos, A
cuccia, Che bravo cane sei! -accompagnandoli con fastidiosi, piccoli
strappi al guinzaglio che, secondo lui, servono a rafforzare il messaggio.
Questo esattamente il modo di non addestrare un cane e non ha alcuna
probabilit di funzionare nemmeno con un lupo. Se parlate in continuazione
al vostro cane o gli tirate blandamente il guinzaglio, lui non avr alcun
bisogno di guardarvi. Anzi, non avr alcun motivo di interessarsi a ci che
state facendo. Potr fare quello che gli pare nella certezza che voi gli farete
sapere che cosa sta succedendo... e che lui potr, a sua scelta, agire di
conseguenza oppure infischiarsene.
In breve Brenin esaurisce tutti i modi possibili per non collaborare con
me. Non gli resta che la collaborazione. E cos finalmente cammina al mio
fianco.
Alcuni - tra cui dei possessori di lupi - mi dicevano che era impossibile
insegnare a un lupo a camminare al guinzaglio. Si trattava di quel genere di
persone che tengono il proprio lupo, o incrocio lupo- cane o cane, rinchiuso
in un recinto nel giardino dietro casa. E questo, sono convinto, un atto
criminale per il quale sarebbe opportuna una pena detentiva (cosa che
senz'altro aiuterebbe quelle persone a mettersi nei panni del loro lupo). Io,
in realt, impiegai non pi di due minuti per convincere Brenin a
camminare al guinzaglio. Altri mi dicevano che era impossibile insegnare a
un lupo a camminare al fianco del padrone. Io ci impiegai dieci minuti.
Quando ci fummo impadroniti entrambi delle tecniche fondamentali della
passeggiata al guinzaglio, insegnare a Brenin a camminare senza fu
sorprendentemente facile, perch - cosa fondamentale - lui capiva gi quello
che ci si aspettava facesse. All'inizio lavorammo con il guinzaglio ancora
attaccato al collo di Brenin, ma senza che io lo tenessi. Poi, superata con
successo tale fase, passammo all'eliminazione totale del guinzaglio. A
questo punto l'uso di un collare a scaletta essenziale. Si tratta di una
versione pi piccola del collare a strozzo, anche se io in effetti mi servii di
un collare a strozzo per cani di piccola taglia. Se Brenin si allontanava dal
mio fianco, io facevo tintinnare il collare e poi glielo scagliavo contro. Il
dolore del colpo era notevole, ma svaniva in fretta. E, ovviamente, non
provocava alcun danno permanente. Come faccio a saperlo? Perch,
essendo un po diffidente su questa parte del metodo Koehler, prima di
metterla in pratica chiesi a un amico di colpirmi due o tre volte con il
collare. In pochissimo tempo Brenin arriv ad associare il tintinnio del
collare alla successiva esperienza spiacevole e non ci fu pi bisogno di
colpirlo. Impiegai quattro giorni (due lezioni di trenta minuti al giorno) a
addestrarlo a camminare al mio fianco senza guinzaglio.
Insegnai a Brenin solo ci che ritenevo avesse bisogno di sapere. Non vidi
mai motivo di insegnargli esercizi particolari. Se non aveva voglia di
distendersi a pancia in su, perch avrei dovuto imporgli di farlo? Non mi
presi neppure il disturbo di insegnargli a obbedire all'ordine di mettersi a
sedere: che stesse in piedi o seduto, per quanto mi riguardava, era una sua
decisione personale. Camminare al mio fianco divenne rapidamente il suo
comportamento standard. C'erano solo altre quattro cose che doveva sapere:
Vai pure e annusa in giro: Go on!, vai. Rimani dove sei: Stay!,
fermo. Vieni da me: Here!, qui.
La caccia e la vita nel branco sono strategie usate da animali come i lupi
al fine di soddisfare questo fondamentale imperativo biologico. Perfino i
lupi, tuttavia, possono adottare strategie diverse. A un certo punto della loro
storia, per ragioni ancora poco chiare, alcuni lupi si aggregarono ai gruppi
umani e diventarono cani. Nella misura in cui la natura pu avere
intenzioni, questa fu una delle sue intenzioni, n pi n meno del fatto che i
lupi restassero lupi.
C' un utile trucco che ho imparato dalla filosofia: quando qualcuno fa
un'asserzione, cerca di capire quali sono i presupposti di tale asserzione.
Perci, se qualcuno sostiene che i lupi possono essere felici solo
impegnandosi in comportamenti naturali come cacciare e interagire con il
branco, quali sono i presupposti di questa affermazione? Io credo che, se
esaminiamo i presupposti, ci che troviamo, almeno nella maggior parte dei
casi, sono espressioni dell'arroganza umana.
Jean- Paul Sartre tent di definire l'idea dell'essere umano affermando che
per l'uomo, e per l'uomo soltanto, l'esistenza precede l'essenza. questo il
principio alla base del movimento filosofico che divent famoso come
esistenzialismo. L'essere dell'uomo, sosteneva Sartre, essere- per- s, a
differenza dell'essere di qualsiasi altra cosa, che meramente essere- in- s.
Per dirla con Sartre, l'uomo il solo essere che possiede il proprio poter
essere. Ci che intendeva dire che l'uomo deve scegliere come vivere la
propria vita e non pu contare su regole o principi predati - religiosi, morali,
scientifici o altro - che gli dicano come farlo. Adottare un particolare
principio, una morale o una religione, per esempio, un'espressione di
scelta. Per cui, a prescindere da quello che fate e da come vivete, in ultima
analisi si tratter sempre di un'espressione della vostra volont. L'uomo,
secondo Sartre, condannato a essere libero.
L'altra faccia della medaglia che, per Sartre, tutto il resto non libero.
Le altre cose, perfino altre cose viventi, possono fare solo ci che sono state
progettate a fare. Se millenni di evoluzione hanno fatto dei lupi animali
cacciatori che vivono in branco, allora quella per loro sar l'unica forma di
vita praticabile. Un lupo non possiede un proprio poter essere. Un lupo pu
essere solo quello che . Il presupposto implicito nella nostra domanda come hai potuto fare questo a Brenin? - allora questo: per un lupo,
l'essenza precede l'esistenza.
Naturalmente non chiaro se Sartre avesse ragione sulla libert umana.
Ma ci che mi interessa quest'idea pi generale di flessibilit esistenziale.
Perch l'uomo, e l'uomo soltanto, dovrebbe essere in grado di vivere la
propria vita in una miriade di modi diversi, mentre ogni altra creatura
condannata a essere schiava del suo retaggio biologico, una mera serva della
sua storia naturale? Su che cosa pu basarsi questa idea, se non su una
forma residua di arroganza umana? Un paio di anni fa, la sera prima di un
volo all'alba per Atene, me ne stavo seduto nel giardino del bar di un
albergo non lontano dall'aeroporto di Gatwick. A un certo punto mi si
avvicin una volpe, si sedette come un cane a circa un metro da me e
aspett paziente che le lanciassi qualche pezzetto di cibo, cosa che
naturalmente feci. La cameriera mi inform che la volpe era ormai
un'istituzione di quell'albergo e, a quanto pareva, anche di altri. Provate a
dire a quella volpe che deve impegnarsi nel suo comportamento naturale di
dare la caccia ai topi. Provate a spiegarle che la sua essenza precede la sua
esistenza e che, a differenza di me, non possiede il suo poter essere.
Sminuiamo la volpe, se pensiamo che il suo comportamento naturale si
limiti alla caccia ai topi. Sminuiamo la sua intelligenza e la sua
intraprendenza, se adottiamo una concezione cos restrittiva del suo essere,
per dirla con Sar-tre. La cosa naturale per la volpe il continuo
cambiamento di pari passo con le vicissitudini della storia e della fortuna. E,
di conseguenza, anche questo l'essere della volpe, ci che la volpe .
Non possiamo, ovvio, liquidare semplicemente i vincoli della storia
naturale. La volpe non sarebbe n felice, n realizzata, se dovesse stare
seduta giorno dopo giorno dentro una gabbia. N lo sarebbe un lupo. N lo
sarei io. Tutti noi abbiamo certi bisogni basilari lasciatici in eredit dalla
nostra storia. Ma sarebbe un non sequitur supporre che il lupo e la volpe
siano mere marionette biologiche i cui fili vengono manovrati dalla loro
storia. La loro essenza pu vincolare la loro esistenza, ma non pu fissarla o
determinarla. Questo vale per la volpe e per il lupo, cos come per noi esseri
umani. Nella vita ognuno di noi gioca la mano di carte che gli stata data.
A volte cos brutta che non possiamo utilizzarla in alcun modo. Ma a volte
non lo e, in quel caso, possiamo giocarla bene o male. La mano toccata
alla volpe era un rapido sconfinamento urbano da quello che ci piace
pensare come il suo habitat naturale (anche se credo che sia passato molto,
molto tempo da quando questa espressione aveva un significato reale).
Penso che la mia amica volpe stesse giocando la sua mano piuttosto bene, a
giudicare dal modo in cui si spostava da un tavolo all'altro - fermandosi
per solo l dove c'era da mangiare - e si sedeva ad aspettare pazientemente
finch non riceveva l'inevitabile offerta di cibo.
Anche a Brenin toccata una mano particolare e io credo che l'abbia
giocata molto bene. La mano, comunque, non era poi cos male. Brenin
sarebbe potuto finire - come molti lupi e incroci di lupo affidati a padroni
incapaci di gestirli -in una gabbia nel cortile dietro casa. Invece ha avuto
una vita varia e, mi piace pensare, stimolante. Ho fatto in modo che potesse
fare almeno una lunga passeggiata ogni giorno, e il suo addestramento gli
ha permesso di evitare il guinzaglio. Quando le circostanze lo consentivano,
ho fatto s che avesse la possibilit di impegnarsi in comportamenti naturali,
come cacciare e interagire con altri canidi. Ho fatto del mio meglio perch
non si annoiasse mai, nonostante dovesse assistere alle mie lezioni.
Supporre che Brenin non fosse felice solo perch non faceva quello che
fanno i lupi in natura poco pi di una banale forma di arroganza umana e
sminuisce la sua intelligenza e flessibilit.
Brenin, naturalmente, seguiva le orme dei suoi antenati di circa
quindicimila anni fa rispondendo al richiamo degli esseri civilizzati che
spinse quegli antenati a un rapporto simbiotico, e forse indistruttibile, con la
pi potente e crudele delle grandi scimmie. In termini di successo genetico
basta pensare al numero di lupi oggi nel mondo rispetto al numero di cani approssimativamente 400.000 contro 400 milioni - per rendersi conto che si
tratt di una strategia straordinariamente efficace. E supporre che far ci sia
innaturale per un lupo tradisce una visione abbastanza superficiale di quello
che naturale. Se a questo si aggiungono l'aspettativa di vita piuttosto breve
dei lupi nel loro ambiente naturale - sette anni sono gi tanti - e il tipo di
morte solitamente molto sgradevole che gli tocca, allora forse il richiamo
degli esseri civilizzati non stato un disastro totale.
Credo che il metodo Koehler che ho usato per addestrare Brenin abbia in
definitiva avuto tanto successo perch rispecchia una certa visione della
natura esistenziale dei cani e dei loro fratelli selvatici, un aspetto forse
nascosto dalla mia caricaturale sottolineatura di certi suoi eccessi. Ci che
anima il metodo Koehler una sorta di fede. la fede nell'idea che l'essenza
di un cane, o di un lupo, non precede la sua esistenza. la fede nell'idea che
un cane, o un lupo, possiede il suo poter essere esattamente come un uomo.
Per questo bisogna accordare a qualsiasi cane, o lupo, un certo tipo di
rispetto e, conseguentemente, un certo tipo di diritto: un diritto morale. Per
dirlo con le parole di Koehler, il diritto alle conseguenze delle sue
azioni. Un lupo non un burattino di carne che segue ciecamente i dettami
della sua eredit biologica, perlomeno non lo pi di quanto lo siano gli
esseri umani. Un lupo adattabile, anche se non infinitamente adattabile
(ma chi o che cosa lo ?). Un lupo, non meno di un uomo, pu giocare la
mano che gli stata data. E, ci che pi importante, voi potete aiutarlo a
giocarla. E a mano a mano che migliora nel gioco, il lupo diventa sempre
pi sicuro di s. Gli piace quello che impara e vuole imparare di pi.
Diventa pi forte e, di conseguenza, pi felice.
Brenin era uno schiavo? Era uno schiavo perch io avevo stabilito i
parametri della sua educazione, determinando cos i contorni del suo agire
futuro? Sette anni di scuola secondaria unificata, seguiti da tre anni
all'universit di Manchester e da due a quella di Oxford - anni in cui i
parametri della mia educazione sono stati senza dubbio stabiliti da altri hanno fatto di me uno schiavo? Se Brenin stato uno schiavo, allora lo sono
stato anch'io. Ma, se cos, che cosa significa la parola schiavo? Se tutti
noi siamo schiavi, chi il padrone? E se non c' un padrone, allora chi lo
schiavo?
Forse questa argomentazione non solida quanto credo. Forse il mio
giudizio offuscato da tutto ci che Brenin ha fatto per me. Ci sono persone
che adottano un cane e, dopo che la novit si esaurita, sostanzialmente lo
piantano nel giardino dietro casa e se ne dimenticano. A quel punto il cane
diventa solo un noioso dovere. Bisogna dargli da mangiare e da bere e
questa la sola interazione tra proprietario e cane: un compito tedioso,
qualcosa che il proprietario non ha voglia di fare, ma che ritiene suo dovere
fare. Alcuni pensano perfino di essere buoni padroni perch danno
regolarmente da mangiare e da bere ai loro animali. Se cos che la pensate,
perch prendersi il disturbo di avere un cane? Non ne ricaverete nulla, se
non l'irritazione quotidiana di dover fare qualcosa che in realt non avete
voglia di fare. Quando, invece, un cane vive in casa con voi, quando si
inserisce nella vostra vita in modo cos completo da diventarne parte, allora
si scopre la gioia. Quello con un cane come un qualsiasi altro rapporto: ne
ricaverete solo ci che sarete disposti a mettervi dentro, a lasciarvi entrare.
Lo stesso vale per un lupo. Ma poich un lupo non un cane - poich un
lupo ha eccentricit che un cane non ha - dovrete impegnarvi molto pi
duramente per farlo entrare nella vostra vita.
Brenin e io siamo stati inseparabili per undici anni. Cambiavano le case,
cambiava il lavoro, cambiavano i paesi e addirittura i continenti, e gli altri
miei rapporti andavano e venivano - perlopi andavano -, ma Brenin c'era
sempre: a casa, sul lavoro, nel tempo libero. Era la prima cosa che vedevo la
mattina quando mi svegliavo, soprattutto perch era lui a svegliarmi verso
l'alba, con una grande leccata umida sulla faccia: un'incombente presenza
fatta di alito pesante e lingua ruvida, incorniciata dalla luce incerta del
primo mattino. Questo nei giorni buoni. In quelli cattivi mi svegliava
facendomi cadere in faccia il volatile che aveva catturato e ucciso in
giardino. (Prima regola della convivenza con un lupo: aspettarsi sempre
l'inaspettato.) La mattina si sdraiava sotto la scrivania mentre io scrivevo.
Passeggiava o correva con me quasi ogni giorno. Nel pomeriggio stava in
conseguenze delle sue azioni. Al contrario, fareste del vostro meglio per
evitargliele. Esattamente come se sotto l'auto stesse per finire il vostro
fratello pi piccolo. Nei limiti imposti dal buonsenso e dalle regole generali
del vivere civile, e quando le conseguenze non fossero troppo gravi o
debilitanti, permetterei al mio fratello minore di subire le conseguenze delle
sue azioni, o di goderne, perch solo cos potrebbe imparare. Ma in altre
circostanze sarei tenuto a proteggerlo nel miglior modo possibile, anche se
lui non accettasse la mia protezione. Dire che questo lo renderebbe mio
prigioniero , a mio parere, il risultato di una determinazione
eccessivamente emotiva a ignorare la distinzione fra tutela e prigionia.
Il concetto di tutela, piuttosto che quello di propriet, sembra offrire il
modo pi plausibile di comprendere il rapporto primario tra le persone
(perlomeno quelle perbene) e i loro compagni animali. Ma, con Brenin
neppure questo concetto sembra funzionare del tutto. E ci lo ha distinto, e
in modo deciso, da qualsiasi cane abbia mai conosciuto. Solo alcune volte, e
in determinate circostanze, Brenin stato il mio fratello minore. Altre volte,
e in altre circostanze, stato il mio fratello maggiore: un fratello che
ammiravo e che, soprattutto, avrei voluto emulare. Come vedremo, non
stato un compito facile e non sono mai arrivato a realizzarne pi di una
frazione. Ma stato quel tentativo, e il conseguente sforzo, a plasmarmi. La
persona che sono diventato - di questo sono assolutamente convinto -
migliore di quella che sarei stato senza di lui. E non si pu chiedere di pi a
un fratello maggiore.
Ci sono modi diversi di ricordare. Quando pensiamo alla memoria,
tendiamo a tralasciare ci che pi importante a favore di ci che pi
evidente. Un uccello non vola perch sbatte le ali: tale azione solo la forza
propulsiva. I veri principi del volo vanno ricercati nella forma delle, ali e
nelle conseguenti differenze della pressione dell'aria che fluisce sulla
superficie superiore e su quella inferiore delle ali stesse. Ma nei primi
tentativi di volo umano, abbiamo tralasciato ci che era pi importante a
favore di ci che era pi evidente: abbiamo costruito macchine che
sbattevano le ali. La nostra comprensione della memoria simile. Pensiamo
alla memoria come a esperienze coscienti grazie alle quali ricordiamo eventi
o episodi passati. Gli psicologi la definiscono memoria episodica.
La memoria episodica, credo, solo lo sbattere delle ali ed sempre la
prima a tradirci. Non particolarmente affidabile nella maggior parte dei
casi - decenni di ricerche psicologiche convergono su questa conclusione ed la prima a sbiadire quando il nostro cervello inizia la sua lunga, ma
inesorabile discesa nell'indolenza, come lo sbattere delle ali di un uccello
che sfuma gradualmente in lontananza.
Cos, quando ero arrivato in Alabama, per farmi una vita sociale ricorsi a
una strategia sperimentata e consolidata: gli sport di squadra. In Gran
Bretagna avevo giocato a rugby a un livello abbastanza alto. Come la
maggior parte delle universit americane, anche quella dell'Alabama aveva
una propria squadra di rugby - molto buona, secondo gli standard locali - e,
grazie a una vistosa mancanza di rigore da parte della Usa Rugby Football
Union nelle procedure di verifica dei requisiti (vale a dire che non c'era
alcuna verifica), ero riuscito a farmi passare per studente e a giocare nella
squadra. Quando un paio di anni dopo era entrato in scena Brenin,
naturalmente avevo cominciato a portarlo con me agli allenamenti. E cos,
quasi tutti i pomeriggi infrasettimanali, ci ritrovavamo entrambi a Bliss
Field, ai margini dell'enorme complesso sportivo dell'universit.
Nei weekend c'era sempre una partita contro questa o quella universit, in
casa o in trasferta. Brenin ci accompagnava in tutti i nostri viaggi.
Ovviamente gli hotel in quella parte del mondo sono, quasi senza eccezione,
ostili ai cani, per non parlare dei lupi. Era, invece, facile introdurre di
nascosto Brenin nei motel. In un motel si parcheggia l'auto davanti alla
porta della camera, per cui, se la reception non affacciava proprio sul
parcheggio, l'atto di introduzione abusiva del lupo in genere passava
inosservato. E, cos, citate un qualsiasi grande campus universitario in
Alabama, Georgia, Florida, Louisiana, Carolina del Sud o Tennessee e ci
sono buone probabilit che Brenin ci sia stato per una partita di rugby e per
la festa del dopopartita. Ha mangiato calamari in Bourbon Street a New
Orleans in una tiepida sera d'inizio settembre. E stato a Daytona Beach
durante una vacanza di primavera. A Baton Rouge c' la sede di
un'associazione universitaria femminile che lui conosceva in lungo e in
largo. Nella periferia ovest di Atlanta c' uno strip club a buon mercato che
lui ha visitato in numerose occasioni. andato perfino a Las Vegas, per
gentile concessione dell'annuale torneo di rugby Midnight Sevens, cos
chiamato perch le partite si giocano di notte.
I miei compagni di squadra si resero ben presto conto di qualcosa che per
loro era molto importante: Brenin era una calamita per attirare le ragazze. In
realt loro usavano un'espressione leggermente diversa, pi colorita, ma
irripetibile in questo contesto. Comunque si volesse definire la cosa, la
convinzione generale era che, se ti trovavi a una festa dopo la partita e avevi
un grosso lupo accanto a te, in men che non si dica un'attraente
rappresentante del gentil sesso (le fan del rugby erano note come rugger
huggers) si sarebbe avvicinata per dirti: Adoro il tuo cane [sic]. E questo
dava la possibilit di un aggancio senza il solito lavoro preparatorio. La
presenza di Brenin al proprio fianco divent cos il premio per il giocatore
fraintesi. Come ebbi modo di scoprire, quando i lupi lottano sul serio, lo
fanno in un silenzio totale e spaventoso.
Naturalmente queste sono tutte cose ben note a un lupo, ma non
necessariamente a un cane. Cos i giovanili tentativi di Brenin di iniziare il
gioco con i cani si risolvevano in genere in un disastro, con il cane che lo
attaccava o guaiva terrorizzato. Il povero Brenin deve avere trovato
incomprensibili entrambe le reazioni. C' stato per un cane che lo ha
accettato totalmente. Era un grosso, irriducibile pit bull di nome Rugger, a
cui il gioco duro piaceva.
Per essere un pit bull, Rugger era enorme - pesava pi di quaranta chili - e
apparteneva a qualcuno che, per essere un uomo, era altrettanto enorme:
Matt, uno degli avanti di seconda linea della mia squadra di rugby. I pit bull
hanno una cattiva reputazione, ma non sono intrinsecamente cattivi. Di
norma sono le persone a renderli cattivi. Noi uomini amiamo molto l'idea di
essere tutti diversi: la nostra individualit fa parte del nostro fascino unico,
come amiamo raccontarci. Ma in realt, sospetto, l'individualit ha poco a
che fare con l'unicit umana. I cani sono tutti diversi. Alcuni sono adorabili,
altri sono cattivi. Questi ultimi sono tali perlopi in conseguenza di
sfortunate condizioni di allevamento. Sono sicuro che questo fosse il caso
del nostro Blue, l'alano psicotico, nei suoi primi tre anni di vita. Ma sono
altres convinto che alcuni cani semplicemente nascano cattivi. Come alcuni
esseri umani, sono cattivi per natura. Mi preme sottolineare che sto parlando
di singoli cani, non di razze. In base alla mia esperienza, c' un tenue
rapporto tra la razza di un cane e il suo temperamento, ma niente di pi.
Non c'era nulla di molto sbagliato in Rugger dato che non c'era nulla di
molto sbagliato in Matt. Ma affermare che Rug-ger abbia sempre accettato
Brenin non sarebbe la verit. Rug-ger era di qualche anno pi vecchio e,
finch Brenin era ancora un cucciolo, lo disprezzava. Poi, come vedremo,
quando Brenin super i diciotto mesi, tra loro sarebbe sorta una nuova serie
di problemi. Ci fu, comunque, una finestra di circa un anno durante la quale
furono ottimi amici. Quasi tutti i pomeriggi infrasettimanali il nostro
allenamento veniva distratto dalle stupefacenti, acrobatiche esibizioni di
finta lotta che quei due inscenavano su un lato del campo da gioco.
Ma quando Brenin comp diciotto mesi, il suo atteggiamento nei confronti
dei cani cominci a cambiare. Se il cane era una femmina e non era stata
sterilizzata, allora lui cercava invariabilmente di saltarle addosso, a
prescindere dalla differenza di stazza (un gran numero di West Highlands e
Yorkshire traumatizzate e di padroni altrettanto traumatizzati impararono
rapidamente a evitare il Bliss Field nei pomeriggi infrasettimanali). Ma il
vero problema erano i maschi. Con loro l'atteggiamento di Brenin era di
cosa pi importante, noi possiamo capirli. Quello che i lupi non sanno fare
mentire. per questo che non c' posto per loro in una societ civilizzata.
Un lupo non pu mentirci, n pu farlo un cane. Ecco perch crediamo di
essere migliori di loro.
noto che, in rapporto alle dimensioni corporee, le scimmie hanno un
cervello pi grande di quello dei lupi; la differenza circa del 20 per cento.
L'inevitabile conclusione che traiamo da questo dato che le scimmie sono
pi intelligenti dei lupi: l'intelligenza scimmiesca superiore a quella
lupesca. Tale conclusione non tanto falsa quanto semplicistica. L'idea
della superiorit ellittica. Se X superiore a Y, lo sempre sotto un
aspetto o l'altro. Perci, se l'intelligenza scimmiesca realmente superiore a
quella lupesca, dovremmo chiederci: sotto quale aspetto? E, per rispondere
a questa domanda, dobbiamo capire in che modo le scimmie hanno
acquisito un cervello pi grosso e qual il prezzo che hanno pagato.
Un tempo si riteneva che l'intelligenza consistesse semplicemente nella
capacit di affrontare il mondo naturale. Pu darsi, per esempio, che uno
scimpanz scopra che, infilando un rametto in un formicaio, riesce a estrarre
le formiche e a mangiarsele senza farsi mordere. un esempio di quella che
in precedenza ho definito intelligenza meccanica. Il mondo presenta un
problema allo scimpanz - procacciarsi cibo senza farsi mordere - e lo
scimpanz lo risolve in un modo meccanicamente intelligente.
L'intelligenza meccanica consiste nel comprendere il rapporto tra le cose in questo caso tra il rametto e il probabile comportamento delle formiche - e
utilizzare tale comprensione per favorire i propri scopi. Come abbiamo
visto, i lupi sono creature meccanicamente intelligenti, forse non quanto le
scimmie, ma pi dei cani.
Comunque il cervello delle creature sociali , in genere, pi grosso di
quello delle creature solitarie. Come mai? Il mondo pone i medesimi
problemi meccanici a tutte le creature, sociali e non. Che tu sia una tigre, un
lupo o una scimmia, ti si presenter lo stesso tipo di problema meccanico.
La conclusione che dovremmo trarre, a quanto pare, che l'intelligenza
meccanica non ci che stimola l'aumento delle dimensioni del cervello.
l'osservazione che sta alla base di quella che Andrew Whiten e Richard
Byrne, primatologi dell'universit di St Andrews, hanno definito ipotesi
dell'intelligenza machiavellica. L'aumento delle dimensioni del cervello e
la conseguente maggiore intelligenza sono stimolati non dalle richieste del
mondo meccanico, ma da quelle del mondo sociale.
Ora dobbiamo stare attenti a non mettere il carro davanti ai buoi. Si
potrebbe pensare, per esempio, che siano stati il cervello pi grosso e la
conseguente maggiore intelligenza a far s che alcune creature si rendessero
si accorto del suo arrivo. Ciononostante, Nikkie avanza adagio verso Luit
e, lungo il percorso, raccoglie una grossa pietra da terra. Luit ogni tanto
lancia sguardi furtivi per controllare l'avanzata di Nikkie e poi abbassa lo
sguardo sul proprio pene, che sta perdendo gradualmente l'erezione. Solo
quando il pene flaccido, Luit si gira e va incontro a Nikkie. Poi, in una
notevole dimostrazione della sua grinta, d un'annusata sprezzante alla
pietra prima di allontanarsi e lasciare Nikkie da solo con la femmina.
Perch abbiamo seguito un percorso evolutivo che i lupi hanno invece
ignorato? Episodi come quello appena citato - e ce ne sono molti - ci
forniscono una risposta inequivocabile: sesso e violenza. questo che ha
fatto di noi gli uomini e le donne che siamo oggi. Un lupo fortunato - un
maschio alfa o una femmina alfa - ha la possibilit di accoppiarsi solo una o
due volte all'anno. Molti lupi non fanno mai sesso, senza per questo dare
alcun segno evidente di sentirne la mancanza o di dispiacersi della forzata
astinenza. Da scimmia quale sono, non riesco assolutamente a riflettere in
modo oggettivo sulle questioni sessuali, ma immaginate un etologo
proveniente da Marte, impegnato in uno studio comparativo delle vite
sessuali dei lupi e degli uomini. Non arriverebbe forse alla conclusione che
l'atteggiamento del lupo nei confronti del sesso , per molti versi,
fondamentalmente sano e misurato? Al lupo piace fare sesso quando pu
farlo, ma non ne sente la mancanza quando non pu. Se sostituissimo il lupo
con l'uomo e il sesso con l'alcol, potremmo sostenere che l'uomo riuscito a
sviluppare un atteggiamento sano, destreggiandosi efficacemente tra un
abbandono eccessivo e un'astinenza repressiva. Ma per noi uomini
impossibile pensare al sesso in questi termini. Siamo costretti a ritenere che
sia naturale e sano sentire la mancanza del sesso quando non possiamo
farlo. La pensiamo cos perch siamo scimmie. Se paragonata al lupo, la
scimmia sesso- dipendente.
interessante chiedersi perch le cose stiano cos. Forse i lupi
semplicemente non sanno che cosa si perdono. O almeno questo ci che la
scimmia che in me vuole pensare. Le lupe hanno un solo ciclo riproduttivo
all'anno: l'intero ciclo dura circa tre settimane e la lupa fertile soltanto
durante la settimana centrale. In qualsiasi branco, in genere solo la femmina
alfa potr riprodursi. Le ragioni di questo meccanismo non sono chiare.
Alcuni ricercatori suggeriscono che sia una forma di stress sociale
determinata dal loro status che impedisce alle femmine subordinate di
entrare nel ciclo riproduttivo. Ma si tratta solo di un'ipotesi.
Per contro, le scimmie sanno benissimo che cosa si perdono. Povero,
giovane Brenin, con i suoi tentativi maldestri ed eternamente frustrati di
accoppiarsi con qualsiasi cagna della contea di Tuscaloosa, con il suo rifiuto
Quando Brenin era un giovane lupo, il suo gioco preferito consisteva nel
rubare i cuscini del divano o della poltrona. Se io mi trovavo in un'altra
stanza, se magari stavo lavorando nello studio, Brenin compariva sulla
soglia con il cuscino in bocca, e, appena capiva che l'avevo visto, si lanciava
in una folle corsa per tutta la casa, in soggiorno, in cucina e infine in
giardino, sempre con me alle calcagna. Era un gioco d'inseguimento e
poteva continuare per un bel po'. Nel corso dell'addestramento gli avevo gi
insegnato a lasciare cadere gli oggetti - era una delle funzioni del comando
Out! -, per cui avrei potuto ordinargli di mollare il cuscino in qualunque
momento. Ma non ne avevo il cuore e comunque il gioco era troppo
divertente. E cos Brenin zigzagava sfrecciando per tutto il giardino, con le
orecchie appiattite, la coda bassa e gli occhi scintillanti di eccitazione,
mentre io gli correvo dietro, chiamandolo invano. Fino all'et di tre mesi
circa, Brenin era abbastanza facile da raggiungere e acchiappare, per cui
facevo solo finta che fosse troppo veloce per me. Ma la finzione si
trasform gradualmente in realt. Non pass molto tempo prima che Brenin
cominciasse a esibirsi in piccole finte: accennava ad andare in una direzione
per poi invece scattare nell'altra. Quando capii il trucco, lui pass alle
doppie finte. Con il tempo il gioco divent un veloce, confuso susseguirsi di
finte, doppie finte e triple finte: finte annidate dentro altre finte.
Sono sicuro che, quando era in forma e nel pieno del gioco, Brenin non
avesse idea di cosa avrebbe fatto l'istante successivo. E di conseguenza non
ne avevo la pi pallida idea neppure io. Naturalmente questo allenamento al
dribbling ebbe grandi effetti sulle mie abilit rugbistiche. Avevo sempre
basato il mio gioco sull'idea di travolgere l'avversario e passarci sopra
piuttosto che aggirarlo. La cosa funzionava bene in Gran Bretagna, ma non
altrettanto negli Usa, dove in genere la popolazione molto pi grande e
grossa e cresce giocando a football, sport in cui il placcaggio feroce. Gli
americani, per, si lasciano confondere molto pi facilmente e, con tutte
quelle lezioni di Brenin, diventai un asso del dribbling negli Stati Uniti
sudorientali.
Il fatto che non riuscissi pi a prenderlo suscit in Bre-nin una certa
sfrontatezza, che lui espresse in una prima variante del gioco. Dopo avermi
ogni giorno - immagino che abbia seguito il mio odore. Stavo correndo da
dieci minuti quando sentii uno stridore di freni e, subito dopo, un sonoro e
sgradevole tonfo. Mi voltai e vidi Brenin a terra, investito da uno Chevrolet
Blazer, che, per quelli di voi che non sono americani, un Suv. La versione
europea la Opel Frontera, ma il Blazer, essendo americano, pi grosso.
Un momento prima mi era passato accanto alla velocit di settanta- ottanta
chilometri all'ora. Brenin rimase disteso ululando per alcuni secondi,
durante i quali mi si ferm il cuore, e poi si rialz e corse nel bosco che
fiancheggiava la strada. Ci misi quasi un'ora per trovarlo. Ma, quando ci
riuscii, vidi che stava sostanzialmente bene. Jennifer, la nostra veterinaria,
mi conferm che c'erano solo pochi tagli e qualche abrasione, ma nessuna
frattura. E in un giorno o due Brenin torn alla normalit. In effetti se la
cav molto peggio il Suv.
Se quell'auto avesse investito me, mi avrebbe ucciso. Bre-nin, invece,
guar dalle ferite in pochi giorni. E, psicologicamente, non sembrava esserci
alcuna cicatrice. Il giorno dopo l'incidente Brenin mi stava gi tormentando
perch lo portassi a correre e in seguito non diede mai segni di paura delle
auto che gli sfrecciavano accanto in strada. Era un animale molto forte e
sicuro di s, fisicamente e psicologicamente. Voglio che lo teniate bene in
mente quando leggerete la prossima storia.
Stavamo di nuovo correndo, ma questa volta qualche anno dopo. Ci
eravamo trasferiti in Irlanda, precisamente a Cork, e correvamo insieme
lungo la riva del fiume Lee. Dopo esserci lasciati alle spalle il Lee Valley
Park, puntammo verso i campi popolati di mucche che fiancheggiano il
fiume. La maggior parte della gente pensa alle mucche come a creature
stolide e ottuse, la cui vita trascorre in un grigiore di immobilit,
ruminazione e sguardi persi nel vuoto. Brenin e io, per, sapevamo che le
cose stavano diversamente. Ogni tanto, quando c' il sole giusto e il vento
porta con s la promessa dell'estate, le mucche dimenticano quello che sono
- quello che millenni di allevamento selettivo le hanno fatte diventare - e
ballano e cantano, festeggiando la gioia di essere vive in una giornata
simile.
Le mucche sembravano provare per Brenin una straordinaria simpatia,
sentimento chiaramente contraccambiato. In giornate primaverili come
quella descritta, non appena ci vedevano ci correvano incontro dagli angoli
pi lontani dei campi, muggendo il loro saluto. Sospetto che si
comportassero cos perch erano state da poco separate a forza dai loro
vitelli - erano vacche da latte - e probabilmente scambiavano Brenin per un
loro simile, un giovane figliol prodigo tornato alla verde erba di casa. E
forse Brenin pensava che l'avessero preso per un dio: il dio delle mucche.
Comunque stessero le cose, trottava da loro e a ognuna dava una leccata sul
grosso naso bagnato. I cani potevano anche non piacergli, ma delle mucche
era entusiasta.
In quei campi c'erano recinzioni elettrificate per evitare che gli animali
sconfinassero. Sulla via del ritorno, a un certo punto afferrai saldamente il
collare di Brenin, dato che avevo visto, poco pi avanti, il sanbernardo
Paco. Brenin era ancora ufficialmente ostile a tutti i grossi cani maschi, e
non mi andava molto l'idea di dovere intervenire per separare quei due.
Mentre stringevo il collare, ci chinammo sotto una delle recinzioni
elettrificate, che sfiorai con un gomito. La scossa si trasmise a Brenin, il
quale schizz via di corsa in modo cos poco dignitoso da ricordare pi un
gatto scottato che il dio delle mucche, sfrecciando davanti a un Paco
piuttosto perplesso. Si ferm solo quando arriv alla nostra auto, distante
circa tre chilometri. Era l che mi aspettava, quando lo raggiunsi, ansioso e
senza fiato. Avevamo fatto quel percorso quasi tutti i giorni, con la pioggia
o con il sole, per buona parte di un anno. Ma Brenin non volle pi tornarci.
Si rifiut categoricamente e non cambi idea nonostante i miei tentativi di
convincerlo con la supplica, la corruzione o la coercizione. Ecco quanto
terribile l'elettricit per i lupi. Ecco quanto devono odiarla.
Forse potreste pensare che Brenin stesse recitando un po'. Dopotutto si era
trattato solo di una leggera scossa elettrica. Se siete tentati di vederla cos,
pensate al Blazer. Tutto sommato, sembra proprio che per Brenin subire una
piccola scossa fosse molto peggio che essere investito da un Suv.
Se volete vedere la malvagit umana in tutta la sua purezza, ingegnosit e
disinvoltura, la troverete in uno shuttlebox. uno strumento di tortura
inventato da R. Solomon, L. Kamin e L. Wynne, psicologi di Harvard.
Consiste in una gabbia divisa in due scomparti da una barriera. Il pavimento
di entrambi gli scomparti costituito da una griglia elettrificata. Solomon e
i suoi collaboratori mettevano un cane in uno dei due scomparti e poi gli
applicavano una forte scossa elettrica alle zampe. Istintivamente, il cane
saltava da uno scomparto all'altro. La procedura veniva ripetuta parecchie
centinaia di volte nel corso di un esperimento tipico. Di volta in volta, per,
il salto diventava pi difficile, perch gli sperimentatori alzavano
gradualmente la barriera. Alla fine il cane non riusciva pi a saltare e si
lasciava cadere sulla griglia elettrificata: un rottame ansimante, ululante e in
preda agli spasmi. In una variante gli sperimentatori facevano passare la
corrente nel pavimento di entrambi gli scomparti. Ovunque fosse saltato, il
cane avrebbe comunque subito una scossa. Ciononostante, dato che il dolore
provocato dalla scossa era intenso, il cane cercava di scappare, per quanto il
tentativo fosse vano. E cos saltava da una griglia elettrificata all'altra. I
forse no. Supponiamo di no. Supponiamo che ritenesse lo stupro della figlia
un aspetto del tutto naturale della vita familiare, magari perch era cresciuto
in una situazione analoga. Forse pensava semplicemente che fosse cos che
si faceva. Forse, come padre che aveva messo al mondo la figlia, era
convinto che fosse suo diritto averne il dominio assoluto: il diritto del
creatore sulla propria creatura. Forse credeva di farle addirittura un favore,
preparandola, nel modo pi educativo possibile, alla sua futura vita
sessuale.
Tutto quello che posso dire : a chi interessa che cosa pensava? Non c'
alcun bisogno di speculare sulle sue motivazioni. Anche se lui pensava di
non fare niente di male - perfino se pensava di fare bene - la sua malvagit
non ne risulta affatto diminuita. Le sue azioni restano tra le pi malvagie
che si possano immaginare.
Si pu essere malvagi - come lo era la madre - perch si viene meno al
proprio dovere di protezione, e il terrore che si prova irrilevante. Si pu
essere malvagi - come il padre nella nostra ricostruzione totalmente
speculativa delle sue motivazioni - perch si irrimediabilmente stupidi.
Ma in nessuno dei due casi il male che uno fa ha qualcosa a che vedere con
il trarre piacere dal dolore, dalla sofferenza o dalla disgrazia altrui. La
malignit deliberata, a mio parere, ha ben poco a che vedere con l'essenza
del male. Con questo non voglio dire che tale malignit non abbia un ruolo
nella perpetrazione di atti malvagi: in alcuni casi chiaramente cos. Sono
convinto per che casi del genere siano relativamente rari.
Ora spostiamoci avanti di qualche anno, almeno nella nostra
immaginazione: dalle sofferenze della figlia alla condanna dei genitori.
Supponiamo che, a un certo punto, padre e madre siano stati arrestati e
puniti (se poi la punizione possa mai essere sufficiente tema di
discussione). Non so bene quali possano essere state le reazioni emotive
della figlia in quelle circostanze. Probabilmente un po confuse, direi. Ma
supponiamo di no. Supponiamo che la ragazza fosse assolutamente
contenta. Supponiamo, inoltre, che fosse contenta non perch pensava che
la lunga detenzione potesse riabilitare i genitori - finalmente avrebbero
ricevuto l'aiuto di cui avevano bisogno - n perch, se non altro, adesso loro
non avrebbero potuto fare a nessun altro quello che avevano fatto a lei, n
per l'effetto deterrente che la condanna avrebbe avuto su altri pedofili.
Supponiamo che fosse contenta per una ragione molto pi semplice e
basilare: la vendetta.
Immaginiamo che sperasse che la punizione del padre non sarebbe stata
semplicemente la perdita della libert. Immaginiamo che sperasse che lui si
sarebbe ritrovato in cella insieme a un tizio grande e grosso con una certa
all'adeguato esame critico. Concordo con la Arendt sul fatto che il male
banale. Ma la nostra non volont, piuttosto che la nostra incapacit, a
renderlo tale. Non c'era una generale incapacit da parte di Solomon, Kamin
e Wynne di sottoporre le loro convinzioni a un esame critico.
Semplicemente loro non volevano farlo. Non c'era l'incapacit di evitare a
quei cani ulteriori torture. Semplicemente loro non volevano farlo.
Immanuel Kant disse, correttamente, che il dovere implica il potere. Dire
a qualcuno che deve fare qualcosa implica l'idea che quel qualcuno possa
farla. Per contro, dire a qualcuno che non deve fare qualcosa implica l'idea
che quel qualcuno possa non farla. Se definiamo la banalit del male in
termini di incapacit, ci garantiamo una scusa fin troppo comoda: non
potevamo fare le cose in un modo diverso da come le abbiamo fatte.
L'incapacit elimina la colpevolezza. E io penso che noi non possiamo
essere assolti cos facilmente.
Il mancato adempimento del proprio dovere, sia morale sia epistemico una mancanza che si fonda sulla non volont piuttosto che sull'incapacit -
alla base della maggior parte del male nel mondo. C' tuttavia un ulteriore
ingrediente del male, senza il quale il mancato adempimento del dovere di
cui parliamo non avrebbe rilevanza: l'impotenza della vittima.
Avrete forse notato che il senso generale di questo capitolo non del tutto
in sintonia con il discorso sull'unicit delle scimmie del capitolo precedente,
dove sostenevo che l'unico, indiscutibile contributo delle scimmie al mondo
quella sorta di premeditazione che anima i loro rapporti. Ci naturalmente
porterebbe a concludere che il male tipicamente umano sia il risultato di una
malignit deliberata. E tuttavia in questo capitolo ho sostenuto che quasi
tutto il male prodotto dagli uomini deriva non da intenzioni malvagie, ma
dalla non volont di compiere il proprio dovere morale ed epistemico. Ma
siamo solo a met del nostro rapporto sul male e c' ancora molto tempo per
introdurre nel gioco l'invenzione scimmiesca. La malignit deliberata ha
effettivamente un ruolo cruciale nel male umano; non tanto nella
perpetrazione degli atti, quanto nella preparazione del terreno su cui tali atti
potranno essere compiuti. La malignit delle scimmie - e in particolare delle
scimmie umane - si rileva nella creazione dell'impotenza. In questo, le
scimmie umane progettano la possibilit del male.
I cani erano tanto impotenti quanto era impotente la ragazzina violentata.
I bambini sono naturalmente impotenti, ma i cani sono stati creati per
esserlo. Solomon, Kamin e Wynne pensavano a se stessi come a ricercatori
che studiavano il fenomeno dell'impotenza appresa e intanto si rendevano
complici nell'arte di creare l'impotenza. Potr sembrare ironico, ma qui non
c' alcuna ironia, c' solo intenzione. Per studiare l'impotenza negli uomini
dovevano prima costruirla in un animale.
Nell'Insostenibile leggerezza dell'essere lo scrittore ceco Milan Kundera
dice qualcosa sulla natura della bont umana che considero giustissimo e di
fondamentale importanza:
La vera bont dell'uomo si pu manifestare in tutta purezza e libert solo
nei confronti di chi non rappresenta alcuna forza. Il vero esame morale
dell'umanit, l'esame fondamentale (posto cos in profondit da sfuggire al
nostro sguardo), il suo rapporto con coloro che sono alla sua merc: gli
animali. E qui sta il fondamentale fallimento dell'uomo, tanto fondamentale
che da esso derivano tutti gli altri.
Se noi uomini diamo un peso cos sproporzionato alle motivazioni e se
queste sono solo maschere che nascondono una brutta verit, allora, per
comprendere la bont umana, dobbiamo eliminare quelle motivazioni.
Quando l'altro non rappresenta alcuna forza, ovvero non ha potere, non si
ha alcuna motivazione egoistica per trattarlo con civilt o rispetto. Costui
non pu n aiutare n ostacolare. Non lo si teme e non si desidera il suo
aiuto. In questa situazione, l'unica motivazione per trattarlo con civilt e
rispetto di carattere morale: lo si tratta cos perch la cosa giusta da fare.
E la si fa perch ci rientra nel genere di persona che si .
Io giudico sempre le persone dal modo in cui trattano quelli pi deboli di
loro. Giudico il ricco cliente di un ristorante da come tratta i camerieri che
lo servono. Giudico il capufficio da come tratta i suoi impiegati. Si scopre
molto di una persona in tal modo. Ma nemmeno in questo caso il test
assolutamente preciso. Il cameriere insultato pu sputare, o peggio, nella
minestra del cliente. Gli impiegati possono lavorare in modo sciatto,
mettendo cos nei guai il loro capo con i suoi capi. Scoprite qualcosa di
importante sulle persone vedendo come trattano quelli che sono pi deboli
di loro. Ma scoprite ancora di pi quando vedete come trattano chi non
rappresenta alcuna forza, gli impotenti. E, come sottolinea Kundera, i
candidati pi ovvi a questo status sono gli animali.
Abbastanza ironicamente, per essere una creatura tradizionalmente usata
come simbolo del lato oscuro dell'animo umano, Brenin usciva piuttosto
bene dall'esame di Kundera. I suoi combattimenti, pur feroci e cruenti,
coinvolgevano sempre un avversario grosso, aggressivo e violento quanto
lui. In altre parole, un cane che Brenin percepiva come una minaccia, reale
o potenziale. Conoscevo molti cani del genere: appartenevano ai miei
compagni della squadra di rugby o a loro amici. Alcuni di questi cani
mattino. Ma Brenin era migliore nella corsa. Quale di queste due abilit
migliore?
Un modo, forse il pi ovvio, di intendere il termine migliore come
sinonimo di pi utile. Ma, in tal caso, migliore necessariamente
relativo alla creatura in questione. Ci che utile per me non
necessariamente ci che utile per Brenin e viceversa. Per Brenin utile
correre velocemente e cambiare direzione in pochissimo spazio, che il
modo in cui, almeno nel suo ambiente ancestrale, poteva catturare ci che
aveva bisogno di mangiare. Per me, per, abilit del genere sono molto
meno utili. Ogni animale porta con s la propria forma di vita, e quali abilit
siano migliori o pi utili dipende da quella particolare forma di vita.
Lo stesso vale quando tentiamo di intendere migliore in termini di
eccellenza. Da scimmia ambiziosa e subdolamente competitiva quale sono,
immagino di avere sempre lottato per raggiungere l'eccellenza... b, magari
non sempre, ma perlomeno nel recente passato. Per me l'eccellenza
comporta l'abilit di cercare di risolvere difficili problemi concettuali e di
registrare su carta i risultati delle mie elucubrazioni. Secondo una lunga
tradizione di pensiero, stimolata da Platone, la razionalit l'eccellenza
peculiare dell'uomo, il che per non fa che ribadire che l'idea di eccellenza
relativa alla forma di vita di un determinato animale. L'eccellenza per il
ghepardo consiste nella velocit, perch la velocit ci in cui si specializza
il ghepardo.
L'eccellenza per il lupo consiste, tra l'altro, in un certo tipo di resistenza
che lo vede in grado di correre per trenta chilometri all'inseguimento della
preda. Che cosa eccellente dipende da ci che si .
La razionalit migliore della velocit o della resistenza: questo che
siamo tentati, forse irresistibilmente, di dire. Ma su quali basi possiamo
giustificare questa affermazione? Non esiste un senso oggettivo di
migliore che ci consenta di farlo. Detto questo, il termine migliore
perde il suo significato. Esiste semplicemente ci che meglio per un uomo
e ci che meglio per un lupo. Non c' uno standard comune in base al
quale i diversi modi di intendere migliore possano essere valutati.
Per noi uomini una cosa difficile da capire perch troviamo molto
difficile essere obiettivi su noi stessi. E perfino io non riesco del tutto a
scrollarmi di dosso il sospetto che ci sia qualcosa che mi sfugge. Perci,
ecco un esercizio di obiettivit. I filosofi medievali usavano un'espressione
che mi pare bella e al tempo stesso importante: sub specie aeternitatis, dal
punto di vista dell'eternit. Dal punto di vista dell'eternit, ti vedi solo
come un granello tra altri granelli nella sterminata oscurit stellata
dell'universo. Dal punto di vista dell'eternit, noi esseri umani siamo solo
una specie tra le altre, una specie che qui da non molto tempo e che d
segnali di non rimanerci ancora troppo a lungo. Che cosa importa all'eternit
della mia abilit di risolvere complessi problemi concettuali? Perch
all'eternit questo dovrebbe importare pi della capacit di Brenin di correre
come se stesse galleggiando ad alcuni centimetri da terra? L'idea che
all'eternit le mie capacit importino pi di altre un concetto meschino.
Se non possiamo giudicare gli altri animali - se non c' alcun contenuto
coerente nell'idea che siamo obiettivamente migliori di loro - possiamo
nondimeno ammirarli. E la nostra ammirazione sar pervasa e guidata dal
riconoscimento, per quanto confuso, che hanno qualcosa che a noi manca.
Spesso, forse addirittura tipicamente, quello che pi ammiriamo negli altri
ci che riteniamo ci manchi. Quindi che cos'era ci che mancava a questa
scimmia e che ammirava tanto nel lupo che le correva accanto?
C'era, naturalmente, un certo tipo di bellezza che non potrei in alcun
modo emulare. Il lupo arte nella sua forma pi alta e non ci si pu trovare
in sua presenza senza che ci sollevi lo spirito. Per quanto potessi essere di
cattivo umore quando cominciavamo la nostra corsa quotidiana, l'essere
testimone di quella bellezza silenziosa ed elegante mi faceva sempre sentire
meglio. Mi faceva sentire vivo. Cosa ancora pi importante, difficile stare
vicino a una tale bellezza senza volere essere un po pi simile a lei.
Ma se l'arte del lupo era qualcosa che non potevo emulare, sotto c'era
qualcos'altro: una forza a cui potevo almeno tentare di avvicinarmi. La
scimmia che sono una creatura goffa e sgraziata specializzata in
debolezza, una debolezza che crea negli altri e una debolezza da cui in
ultima analisi affetta. questa debolezza che permette al male - al male
morale - di prendere piede nel mondo. L'arte del lupo fondata sulla sua
forza.
Un giorno portai come al solito Brenin con me all'allenamento di rugby.
Aveva circa due mesi ed era il periodo in cui aveva preso l'abitudine di
tormentare Rugger, al quale non era per niente simpatico. Dopo un po
Rugger perse la pazienza, afferr Brenin per il collo e lo inchiod a terra.
Va ascritto a suo grande merito il fatto di essersi limitato a questo. Avrebbe
potuto spezzare il piccolo collo di Brenin come un ramoscello. Perfino un
pit bull pu superare l'esame di Kundera. Ma stata la reazione di Brenin
quella che mi rimarr per sempre dentro. La maggior parte dei cuccioli si
sarebbe messa a guaire per lo shock e il terrore. Brenin ringhi. E non era il
brontolio di un cucciolo, ma un ringhio profondo, calmo e sonoro in
contrasto con la sua tenera et. Questa forza. Ed questo che ho sempre
cercato di portare con me e che spero di portare con me per sempre. In
Cinque. L'ingannatore
Una storia racconta di un lupo che viveva a Gubbio e del suo incontro con
Francesco d'Assisi. Il lupo terrorizzava da tempo gli abitanti della cittadina,
i quali chiesero a san Francesco di convincerlo a desistere. Cos un giorno il
lupo e il santo si incontrarono fuori dalle mura della citt e giunsero a un
accordo: un contratto debitamente ufficializzato dal notaio locale. Il lupo
promise di smettere di terrorizzare la gente e di lasciare in pace il bestiame.
Gli abitanti di Gubbio, in cambio, promisero di dargli da mangiare e di
permettergli di andarsene in giro per la citt a suo piacere. Questa storia mi
diverte, perch ero arrivato, in modo del tutto indipendente, a un accordo
praticamente identico con Brenin. In specifico, la versione del contratto
stipulato con il giovane Brenin era pi o meno la seguente:
Okay, Brenin, io ti porter con me ovunque andr: alle lezioni,
all'allenamento di rugby dopo le lezioni e alle partite durante i weekend, che
siano in casa o in trasferta. Se andr a fare spese, potrai venire anche tu, ma
dovrai aspettarmi in auto (far presto!). E, no, non ti lascer in macchina
nelle ore pi calde della giornata, perci una fortuna che abbiamo un
supermercato aperto ventiquattr'ore su ventiquattro proprio in fondo alla
strada. Mi assicurer che tu possa fare ogni giorno una passeggiata lunga e
interessante e, se andr a correre, potrai venire anche tu. Riceverai un buon
pasto nutriente tutti i giorni. E quando alla sera andrai a dormire, sarai
adeguatamente esausto dopo un'altra meravigliosa giornata di divertimenti e
novit. Ed eccoti un'altra informazione, di cui al momento non sono ancora
consapevole, ma che diventer dolorosamente evidente nel corso degli anni:
ogni casa che comprer mi coster almeno cinquantamila dollari pi di
quanto altrimenti mi sarebbe costata solo perch dovr avere un giardino di
dimensioni sufficienti per permetterti di correre in giro. Da parte tua, tu non
dovrai distruggere quella casa. tutto ci che chiedo. Mi rendo conto che a
volte potrai essere irresistibilmente tentato da un pasto dell'affamato
lasciato imprudentemente alla tua portata. Cose che capitano. Non ho
intenzione di insistere troppo o di tormentarti per cose di questo genere.
Quello che ti chiedo davvero di lasciare in pace la maledetta casa. Questo
significa non distruggere gli oggetti ivi contenuti. E anche se mi rendo
conto che sei un giovane lupo e che gli incidenti possono capitare,
specialmente di notte, per favore cerca di non fare la pip sui tappeti.
Il problema era che Brenin, per volont del governo irlandese, doveva
passare sei mesi rinchiuso nel centro di detenzione di Lissadell a Swords,
poco a nord di Dublino. Ci succedeva prima dell'introduzione dei
passaporti degli animali domestici e Brenin dovette andare in quarantena
per sei mesi. Era un sistema indicibilmente stupido e crudele, messo a punto
prima della scoperta del vaccino contro la rabbia. Gran Bretagna e Irlanda ci
hanno messo quasi un secolo per adeguarsi a questo recente sviluppo
della medicina. Brenin veniva sottoposto a vaccinazioni antirabbiche
annuali fin da cucciolo e la presenza degli anticorpi nel suo sangue era
facilmente dimostrabile. Ciononostante, come migliaia di cani nelle stesse
condizioni, dovette scontare la sua pena.
Non so per Brenin, ma per me quella fu la cosa pi difficile che abbia mai
dovuto fare. E per molte notti in quei sei mesi mi addormentai piangendo. A
tutt'oggi non so se feci la cosa giusta per lui: sei mesi sono un periodo molto
lungo nella vita di un lupo. Ma se c'era una cosa che distingueva Brenin dal
canide medio era la grande sicurezza di s. Era sempre stato cos, perfino da
cucciolo. Niente lo turbava davvero. Lo avete gi notato nei suoi incontri
con il pit bull Rugger. Sospetto che abbia scontato il suo periodo di
detenzione con disinvoltura. In effetti lo affront con notevole aplomb e
senza alcuna delle evidenti difficolt psicologiche che segnano molti cani
trattenuti in quarantena.
In realt il regime di Lissadell era piuttosto blando. La signora Majella, la
direttrice, si era affezionata a Brenin e la cosa era molto comprensibile, dato
che il mio era di gran lunga il cane pi bello che avesse mai onorato
l'Irlanda con la sua presenza. All'epoca veniva fatto passare per un
malamute - questo era ci che avevo dichiarato sul modulo d'importazione dato che in Irlanda lo status giuridico dei lupi incerto. A quell'epoca i
malamute erano ancora sconosciuti in Irlanda e perfino i veterinari non
sapevano bene quale aspetto dovessero avere. La Majella accord a Brenin
vari privilegi, in virt della sua straordinaria bellezza e del suo
comportamento educato e piacevole. Il pi importante di tali privilegi era
una corsa lungo l'intera struttura quasi tutte le mattine. Brenin, a quanto
pare, utilizzava quel tempo per imporre la propria autorit sugli altri
detenuti, soprattutto urinando davanti alle loro gabbie. Io andavo a
trovarlo una volta alla settimana - a quei tempi, un viaggio andata- ritorno di
dieci ore su quelle assurde strade irlandesi - e passeggiavamo insieme per
qualche ora nel complesso. In seguito i privilegi di Brenin vennero ridotti a
causa di una furtiva, ma nondimeno incauta, razzolata nella borsa della
spesa della Majella con conseguente rapido furto di un pollo congelato. Ma
a quel punto stava gi per essere rilasciato.
Quando mi venne restituito, feci del mio meglio per risarcirlo. Questo
signific lunghe corse quotidiane. Passammo l'estate della sua liberazione Brenin fu rilasciato in giugno - nel Galles occidentale, a casa dei miei
genitori. B, non proprio a casa: ci venne assegnata la roulotte in fondo al
giardino, dato che Brenin aveva preso subito in antipatia Bonnie e Blue, i
due alani di famiglia. In effetti, entro poche ore dal nostro arrivo, aveva
cercato di uccidere Blue in diverse occasioni. Trascorrevamo le giornate
correndo lungo le magnifiche spiagge di Freshwater West, Broadhaven
South e Barafundle, la preferita di Brenin. Nelle dune dietro Barafundle
c'erano miliardi di conigli e fu l che Brenin cominci a imparare qualcosa
che non avevo potuto lasciargli fare in Alabama a causa dei serpenti:
cacciare.
Alla fine dell'estate ci trasferimmo in Irlanda. Per il primo anno abitammo
a Bishopstown, un sobborgo all'estrema periferia occidentale della citt di
Cork. Cercai di rendere la vita di Brenin pi simile possibile a quella in
Alabama. Cos andavamo a correre tutti i giorni, di solito al Lee Valley Park
e nei campi confinanti. Oppure al Powdermills Park a Ballincollig. Nei
weekend ci spostavamo: la spiaggia di Inchydoney; Glengarra Woods, oltre
Mitchelstown sulla strada per Dublino; la passeggiata sulle scogliere di
Ballycotton e molti altri posti. Pi o meno a quell'epoca cominciai a fare
surf e un paio di giorni alla settimana, onde permettendo, scendevamo sulla
ventosa spiaggia di Garrettstown, dove Brenin sguazzava in acqua, mentre
io cercavo di restare in equilibrio sulla tavola. La quarantena poteva essere
stata dura, ma per Brenin l'Irlanda era un posto molto migliore dell'Alabama
e, grazie a san Patrizio, non dovevamo neppure preoccuparci dei serpenti.
Il fatto che una cosa sia inevitabile non la rende necessariamente meno
spiacevole. Io sapevo di dover riattraversare l'Atlantico per tornare a casa.
Sapevo che Brenin sarebbe dovuto andare in quarantena. Sapevo che in
Europa avrebbe avuto una vita molto migliore, in un clima e in una
campagna di gran lunga pi adatti a lui. Ma non riesco ancora a liberarmi
dall'orrore di quel giorno d'inizio dicembre quando lo portai ad Atlanta per
caricarlo su un aereo. Ho ancora l'incubo ricorrente di quell'episodio e mi
sveglio di colpo, devastato. All'inizio sono triste perch nel sogno sto
tradendo Brenin. E poi mi ricordo che morto. La storia di san Francesco e
del contratto con il lupo di Gubbio una storia a lieto fine perch il
contratto viene rispettato. Ma c' anche un'altra storia, molto pi cupa, che
riguarda un lupo e un contratto, una storia sulle terribili conseguenze della
rottura del patto.
le propriet degli altri a condizione che gli altri, a loro volta, accettino di
rispettare la tua vita, la tua libert e le tue propriet. Quindi tu accetti di non
uccidere gli altri e gli altri accettano di non uccidere te. Accetti di non
rendere schiavi gli altri e gli altri accettano di non rendere schiavo te.
Accetti di non rubare le case e le propriet degli altri e gli altri accettano di
non rubare la tua casa e le tue propriet. La societ si fonda su un principio
del tipo tu gratti la schiena a me e io la gratto a te. O, quantomeno, tu
eviti di piantare un coltello nella schiena a me e io evito di piantare un
coltello nella schiena a te.
Hobbes si riferiva alla transizione dallo stato selvaggio - per come lui
l'intendeva - alla civilizzazione. Il contratto ci che facilita tale
transizione. Se accetti il contratto, allora accetti anche alcune limitazioni
alla tua libert. E la ragione per cui lo fai perch, come risultato, avrai una
vita migliore. questo lo scopo e la ragione d'essere della societ, lo scopo
e la ragione d'essere della moralit.
Sfortunatamente, la storia di Hobbes su come ci siamo elevati al di sopra
della natura rossa e cruda, trasformandoci cos da selvaggi in soggetti
civilizzati, presenta dei buchi attraverso i quali un Brenin adulto di oltre
sessanta chili sarebbe potuto passare comodamente. Prima del contratto, per
come la racconta Hobbes, eravamo selvaggi: eravamo natura rossa e cruda,
e la nostra vita era solitaria, misera, ecc. Dopo il contratto, ci siamo
civilizzati e, di conseguenza, la nostra vita molto migliorata.
Una domanda che, a quanto pare, non pass mai per la mente di Hobbes
la seguente: come si riesce a portare al tavolo dei negoziati quelli che sono
autenticamente rossi di zanne e artigli? E, cosa ancora pi rilevante: che
cosa succede, una volta che ce li hai portati? Se prima del contratto eravamo
tutti cos crudeli e brutali come sostiene Hobbes, non avremmo sfruttato la
riunione necessaria per la stesura del patto come una preziosa occasione per
massacrare un paio di rivali o, in alternativa, per imporre la nostra autorit
sulla concorrenza? La situazione contrattuale sarebbe stata un disastro, un
bagno di sangue. La vita sarebbe diventata ancora pi misera e solitaria, pi
crudele e brutale e, senza ombra di dubbio, pi breve. questo il problema:
i contratti sono possibili solo tra persone civilizzate. Quindi non pu essere
stato un contratto ci che ha civilizzato gli uomini in primo luogo.
Nonostante l'evidente verit che la civilizzazione umana non avrebbe mai
potuto essere fondata su un contratto, alcuni filosofi sostengono che utile
pensare alla civilizzazione come se fosse stata creata in quel modo. L'idea
che possiamo capire come sarebbe una societ equa - una giusta
civilizzazione - immaginando che la gente abbia deciso di vivere in
conformit alle regole di un contratto e poi individuando tali regole. Un
tempo la pensavo cos anch'io, ma adesso non pi. Oggi ritengo che
l'importanza del contratto sia in ci che rivela di noi e, ancora una volta, si
tratta di una sfaccettatura molto poco lusinghiera della natura umana.
A volte importante non ci che una teoria dice, ma ci che dimostra.
Una teoria sar sempre basata su determinati presupposti, alcuni dei quali
possono essere espliciti: l'autore della teoria pu esserne consapevole e
riconoscerli. Ma ci sono sempre presupposti che non vengono resi espliciti.
Alcuni possono non essere mai resi espliciti. Il compito del filosofo, quindi,
in sostanza di tipo archeologico. Invece di scavare nel terreno, scava pi
in profondit nella teoria, scoprendo, per quanto gli consentono talento e
perseveranza, i presupposti nascosti sui quali stata basata la teoria in
discussione. E questo ci che la teoria dimostra e che a volte molto pi
importante di ci che dice.
Che cosa dimostra la teoria del contratto sociale? Dovrebbe essere la
storia dei fondamenti e della legittimit della moralit e della civilizzazione.
La domanda : di che cosa si tratta realmente? La risposta : di due
elementi. Uno pi evidente dell'altro, ma nessuno dei due molto
lusinghiero.
Il primo elemento dimostrato dalla teoria del contratto sociale
l'ossessione tipicamente umana - o pi esattamente scimmiesca - per il
potere. La teoria ha una conseguenza evidente: non hai alcun obbligo
morale nei confronti di chiunque sia significativamente pi debole di te. Si
stipula un contratto con qualcuno per una di queste due ragioni: perch quel
qualcuno pu aiutarti o perch pu nuocerti. Hai bisogno di aiuto? Nessun
problema: gli altri ti aiuteranno, se prometti di aiutarli quando ne avranno
bisogno. Vuoi salvaguardarti dall'omicidio, dalle aggressioni e dalla
riduzione in schiavit? Di nuovo, nessun problema: gli altri accetteranno di
non farti niente del genere, se accetterai di non farlo a loro. Ma questo
significa che hai motivo di stipulare un contratto solo con chi pu aiutarti o
nuocerti. Tutta l'idea di un contratto ha senso solo presupponendo
un'equivalenza di potere, almeno approssimativa, tra i contraenti. Questo
un concetto sul quale in pratica concordano tutti coloro che credono nel
contratto. La conseguenza che chiunque sia molto pi debole di te chiunque non possa aiutarti o farti del male - resta al di fuori della sfera
d'interesse e di applicazione del contratto.
Per ricorderete che il contratto dovrebbe fornire la ragion d'essere della
civilizzazione, della societ e della moralit. Coloro che non rientrano
nell'ambito del contratto non rientrano neppure nell'ambito della
civilizzazione. Sono fuori dai confini della moralit. Non ci sono obblighi
morali nei confronti di chi molto pi debole. Questa la conseguenza
perch ero arrivato alla conclusione che, nel caso particolare, le esigenze
della lealt erano molto blande - Brenin poteva seguire la nuova dieta con
inconvenienti minimi, o addirittura nulli - mentre le esigenze della giustizia
erano assolutamente inequivocabili. Ma situazioni del genere, come dicevo,
erano rare. Come mi piace dire ai miei studenti quando discutiamo di
dilemmi morali, se vi foste mai trovati in una condizione da scialuppa di
salvataggio con me e Brenin, b, avreste avuto una sfortuna nera. Loro
pensano che io scherzi.
Uno dei compiti pi difficili per quanto riguarda la moralit bilanciare
le esigenze degli estranei con quelle del branco, le richieste della giustizia
con l'insistente richiamo della lealt. chiaro che la filosofia, per gran parte
della sua storia, ha enfatizzato il concetto secondo il quale la moralit per
gli estranei. Credo che questo non sia un caso, ma una conseguenza del
nostro pedigree scimmiesco. Se pensate alla societ come a un insieme di
estranei, penserete alla moralit come a una forma di calcolo mediante il
quale tentiamo di capire quale sar per tutte le parti interessate il miglior
risultato, secondo un qualche standard di migliore. E il calcolo la cosa
in cui la scimmia che in noi riesce meglio. Noi non guardiamo le scimmie
nostre simili, le teniamo d'occhio. Complottiamo, cospiriamo, calcoliamo le
probabilit, valutiamo le possibilit e intanto aspettiamo l'occasione giusta
per avvantaggiarci. I rapporti pi importanti della nostra vita vengono
valutati in termini di surplus e deficit, profitti e perdite. Che cos'hai fatto per
me di recente? Mi soddisfi? Che cosa ci guadagno, stando insieme a te, e
che cosa ci perdo? Posso trovare di meglio? Il calcolo nei confronti della
societ nel suo insieme - calcolo morale pi che prudenziale -
semplicemente un'estensione di questa abilit di base. Per noi scimmie
naturale pensare in termini contrattuali, perch il contratto altro non che
un sacrificio deliberato in vista di un guadagno previsto. L'idea del contratto
solo la codificazione - l'esplicitazione - di qualcosa che si nasconde dentro
di noi, in profondit. Il calcolo al centro del contratto e nel cuore della
scimmia che in noi. Il contratto un'invenzione delle scimmie per le
scimmie e non pu dire assolutamente nulla sul rapporto tra una scimmia e
un lupo.
Perch noi, o almeno alcuni di noi, amiamo i nostri cani? Perch io amavo
Brenin? Mi piace pensare - e qui devo scivolare di nuovo nella metafora che i nostri cani risvegliano qualcosa nei recessi pi profondi di una parte a
lungo dimenticata della nostra anima, dove sopravvive un noi pi antico,
una parte di noi che esisteva prima che diventassimo scimmie. E il lupo che
eravamo un tempo. il lupo che sa che la felicit non pu essere trovata nel
calcolo. Sa che nessun rapporto autenticamente significativo pu basarsi su
Nel periodo irlandese Brenin era nel fiore degli anni. Era diventato
davvero massiccio: alto novanta centimetri al garrese, pesava circa
sessantotto chili. Era alto quanto gli alani con cui ero cresciuto, ma aveva
una struttura molto pi possente. Gli arti, lunghi come quelli della madre,
terminavano in zampe grandi quanto i miei pugni, ma Brenin si era anche
irrobustito e la stazza ormai era quella del padre. La testa era un largo cuneo
tra le grosse spalle. Il torace era lungo e i fianchi erano snelli. Pi di
qualsiasi altra cosa, Brenin mi faceva pensare a un toro. In effetti, quando
pensavo a quanto era cambiato dai suoi giorni da cucciolo in Alabama, mi
veniva sempre alla mente la poesia di Dylan Thomas Lament, con il
racconto della trasformazione dell'uomo da giovane vitello a toro. La riga
nera che in giovent gli scendeva sul muso era sbiadita, ma era ancora
visibile in mezzo agli stessi strani occhi dal taglio allungato. Non ho molte
fotografie di Brenin - all'epoca non ne facevo -, ma quando penso a lui e
cerco di fissare la sua immagine nella mente, vedo dei triangoli. In primo
piano, nella mia coscienza, ci sono sempre triangoli in movimento: il
triangolo della testa e del muso, i triangoli delle orecchie, il triangolo del
torace visto lateralmente, che declina dalle spalle alla coda, il triangolo del
busto visto di fronte, che si assottiglia negli arti fino alle zampe. E la linea
nera del muso e gli occhi gialli a mandorla erano il punto focale intorno al
quale erano organizzati tutti quei triangoli.
Abitavamo a Cork da circa un anno, quando decisi che Brenin aveva
bisogno di un amico, uno che avesse pi gambe di me e un naso pi freddo
del mio. Sfogliando il Cork Examiner - proprio come cinque anni prima
avevo sfogliato il Tuscaloosa News - notai un annuncio che parlava di
malamute. La cosa era sorprendente e, al tempo stesso, inquietante. Il
malamute un cane artico da slitta, simile all'hu-sky, ma molto pi alto e
massiccio. Il fatto pi importante, per, era che malamute era ancora
ufficialmente l'identit di copertura di Brenin: era questo che raccontavo a
tutti quelli che mi chiedevano di che razza fosse. Gli irlandesi, per una
qualche ragione, sono terrorizzati dai cani grandi e grossi. Se qualcuno
avesse scoperto che Brenin era un lupo, probabilmente ci avrebbero espulsi
subito dal paese, o peggio. C'era un negozio all'angolo dove avevo
All'epoca non avevo il telefono, per cui non avrei potuto chiamare la
polizia. Ma non appena la scarica di adrenalina si esaur, cominciai a
rendermi conto che quella sarebbe stata comunque una cattiva idea.
L'enormit di quello che avevo appena fatto cominci a farsi strada nel mio
cervello. Se fossimo stati in America e Brenin e io avessimo bloccato un
intruso in quel modo, avremmo quasi sicuramente ricevuto le
congratulazioni dei vicini di casa e anche della polizia. Ma pensavo che non
sarebbe andata cos in Irlanda, dove tendono a disapprovare l'utilizzo di un
lupo per infierire sugli intrusi. Fortunatamente era una fredda notte di fine
ottobre e lo sconosciuto indossava un giaccone pesante. Ritenevo che
Brenin non fosse riuscito a procurargli gravi danni attraverso il tessuto, o
perlomeno non avevo visto sangue, quando avevo buttato fuori l'uomo.
Comunque conclusi che, tutto considerato, quello poteva non essere un
brutto momento per far levare le tende a Brenin rapidamente. Forse la mia
era una reazione esagerata, ma l'incidente dell'incrocio di lupo nel Nord mi
aveva reso pi che leggermente paranoico. Cos decisi di portare Brenin dai
miei genitori per qualche settimana, finch le acque non si fossero calmate.
Preparai in fretta una borsa e mi accinsi a una nottata in auto con Brenin e
Nina fino a Rosslare, dove ci saremmo imbarcati sul traghetto delle nove
del mattino per metterci al sicuro fuori dal paese prima che le guardie - la
Garda Siochana, la polizia irlandese - ci trovassero.
Poi qualcuno buss alla porta. Le guardie erano gi arrivate! Scostai la
tenda e sbirciai in direzione della porta d'ingresso, mentre nella mente mi
sfrecciavano pensieri del tipo: come ci si deve comportare esattamente in
una situazione di assedio? Anzi, come si organizza una situazione d'assedio
quando non si ha una pistola? O, se per questo, nemmeno un ostaggio?
Risult che non c'era bisogno di preoccuparsi: era la vicina della porta
accanto, la quale mi inform che l'uomo che Brenin e io avevamo aggredito
era suo marito, da cui era separata. La donna mi raccont che ogni tanto - di
solito dopo essersi ubriacato - l'ex marito andava da lei per picchiarla.
Meglio ancora, almeno dal punto di vista mio e del mio lupo, mi rifer che
c'era una diffida del tribunale per cui l'uomo doveva restare a una distanza
di almeno trenta metri da casa sua (questo provvedimento non era servito a
molto, a quanto pareva). Pensai, allora, che le probabilit che l'uomo si
rivolgesse alla polizia fossero piuttosto scarse e decisi di sospendere la
nostra fuga notturna verso Rosslare.
Ancora oggi non riesco a capacitarmi della fortuna che ho avuto quella
notte. Certo, chiunque si fosse aggirato nel mio giardino a mezzanotte non
poteva avere buone intenzioni. Ma, anche cos, ci avreste mai voluti come
vostri vicini di casa? E se ci fosse stato un bambino in giardino? avrebbe
dollaro rimasto in tasca. Presumo che entrassero nella mia vita perch ero
gentile e spiritoso - almeno quando mi prendevo il disturbo di esserlo - e
ancora insolitamente attraente, perlomeno per un accademico, con una
faccia non ancora rovinata da anni di alcol. Ne uscivano perch capivano
ben presto che non provavo un grande interesse per loro e che le vedevo
quasi solo come un comodo sfogo sessuale. Non ero assolutamente nello
stato d'animo giusto per condividere la mia vita con altri esseri umani.
Avevo altri pensieri.
La verit, suppongo, che per natura sono sempre stato un misantropo.
Non ne vado orgoglioso e non si tratta di un aspetto del mio carattere che io
cerchi, o abbia cercato, di coltivare. Ma c', ed inequivocabile. Con poche
eccezioni, i miei rapporti con gli altri sono sempre stati permeati dalla
sensazione - una vaga, tetra consapevolezza - che quello che sto facendo
solo ammazzare il tempo. Era stato per questo che l'alcol si era insinuato
nella mia vita la prima volta. Dovevo sempre ubriacarmi per poter stare in
compagnia di amici, in Galles come a Manchester, a Oxford come in
Alabama. Non voglio dire che non mi divertissi: al contrario, me la
spassavo sul serio. Ma sono abbastanza sicuro che senza alcol sarebbe stato
diverso. E chi vi parla non un borioso accademico disposto a frequentare
solo quelli che considera intellettualmente suoi pari. Gli accademici mi
annoiano addirittura di pi. La colpa non di nessuna delle persone che ho
definito miei amici. mia. In me manca qualcosa. E negli anni sono
arrivato lentamente a capire che le scelte che ho fatto, e la vita che ho
vissuto, sono state una conseguenza di questa mancanza. Ci che mi
caratterizza nel modo pi significativo, credo, quello che mi manca.
La carriera che ho scelto quasi certamente un'espressione di questa
mancanza. Con la possibile eccezione delle pi alte sfere della matematica
pura o della fisica teorica, difficile immaginare qualcosa di pi inumano
della filosofia. Il culto della logica in tutta la sua fredda purezza cristallina,
la determinazione a superare le vette brulle e ghiacciate della teoria e
dell'astrazione: essere filosofo significa essere esistenzialmente sradicato.
Quando penso a un filosofo, penso sempre a Bertrand Russell, seduto tutto
il giorno - tutti i giorni per cinque anni - alla British Library, intento a
scrivere i Principia mathematica, un tentativo incredibilmente difficile,
ingegnoso e probabilmente non riuscito di derivare la matematica dalla
teoria degli insiemi. Russell impieg ottantasei pagine per dimostrare,
utilizzando solo l'apparato della teoria degli insiemi, l'affermazione - che
defin con ironia occasionalmente utile - per cui uno pi uno fa due.
Potete quindi immaginare quanto sia lungo il libro. Oppure penso a
Nietzsche, uno zoppo itinerante che vagava da un paese all'altro, senza
amici, senza famiglia, senza soldi; e penso al suo lavoro che, dopo un inizio
promettente, gli procur solo emarginazione e derisione. E pensate al prezzo
che pagarono. Intellettualmente, Russell non fu pi lo stesso. E Nietzsche
precipit nella follia, anche se bisogna ammettere che forse in ci gioc un
ruolo anche la sifilide. La filosofia inaridisce. Ai filosofi bisognerebbe
porgere condoglianze piuttosto che incoraggiamenti.
Perci sospetto che dentro di me ci sia sempre stato un misantropo in
attesa della sua opportunit. In giovent era stato tenuto ben rinchiuso nella
sua gabbia, ma l'arrivo in Irlanda segn il suo momento. Dato che in
matematica ero una frana - un anno d'ingegneria a Manchester lo aveva
dimostrato in modo definitivo - la filosofia era probabilmente l'unica
carriera che mi consentisse di curare adeguatamente l'aspirante misantropo.
Il mio autoimposto esilio dal mondo degli uomini era semplicemente una
logica estensione di questa realt. E Brenin - il grosso lupo cattivo - divent
l'espressione simbolica di quell'esilio. Brenin non era solo il mio migliore e
unico amico. Stavo cominciando a capire me stesso nei termini di ci che
lui rappresentava: il rifiuto di un mondo umano di calore e amicizia e
l'abbraccio di un mondo di ghiaccio e astrazione. Ero diventato un uomo
dell'Artico. La mia piccola casa in campagna - la mia casa gelida e piena di
spifferi - con un impianto di riscaldamento che raramente funzionava, e che
non scaldava neppure quando funzionava, era il guscio fisico ideale per il
mio nuovo distacco emotivo.
I miei genitori, che Dio li benedica, erano terribilmente preoccupati per
me. Il ritornello costante durante le mie sempre pi rare visite a casa era:
come puoi essere felice vivendo in questo modo?
Secondo molti filosofi la felicit ha un valore intrinseco. Quello che
intendono dire che la felicit ha valore di per s, non per qualche altro
fine. Quasi tutto ci che apprezziamo lo consideriamo prezioso in virt di
quello che pu fare per noi o che pu farci ottenere. Apprezziamo il denaro,
per esempio, solo per le cose che possiamo acquistare con esso: cibo, casa,
sicurezza, forse - pensano alcuni di noi - addirittura la felicit. Apprezziamo
la medicina non di per s, ma per il ruolo che pu giocare nel favorire il
recupero della salute. Denaro e medicina hanno un valore strumentale, ma
non un valore intrinseco. Alcuni filosofi ritengono che solo la felicit abbia
un valore intrinseco: la felicit l'unica cosa che apprezziamo di per s e
non in virt di ci che potrebbe farci ottenere.
Da quei giorni alla fine degli anni Novanta, quando i miei genitori si
preoccupavano per me, la felicit ha acquisito un profilo molto pi alto, non
tanto nella filosofia, quanto nella cultura pi in generale. diventata
addirittura un grosso affare. Milioni di ettari di foresta sono stati sacrificati
sul suo altare per fornire tutti quei libri che ci spiegano come fare
funzionare il trucco della felicit. Alcuni governi sono entrati nel giro,
sponsorizzando studi che ci dicono che, pur essendo materialmente molto
pi ricchi dei nostri antenati, non siamo pi felici di loro: per qualsiasi
governo molto utile dimostrare che il denaro non pu comprare la felicit.
Alla fine, e inevitabilmente, sono saltati a bordo anche gli accademici, i
quali sanno riconoscere una miniera d'oro non appena ne fiutano l'odore:
fermano le persone per strada - o meglio, costringono i loro laureandi a
fermarle - per rivolgere domande impertinenti come: Quando vi sentite pi
felici?. Riservatezza e discrezione, naturalmente, non sono tenute in
grande considerazione nel pantheon delle virt occidentali d'inizio XXI
secolo e molti rispondono davvero a questa domanda. A quanto pare - e
questo un dato su cui concordano tutti gli studi - gli intervistati sono pi
felici quando fanno sesso e pi infelici quando parlano con il loro capo. E se
fanno sesso con il capo mentre gli, o le, parlano, non chiaro che cosa
possano essere: opportunisti dolceamari, forse.
Che cosa dobbiamo pensare che sia la felicit, se alla domanda Quando
ti senti pi felice? rispondiamo Quando faccio sesso? Dobbiamo pensare
alla felicit come a una sensazione; nello specifico, una sensazione di
piacere, perch questo che produce l'attivit sessuale, se la state svolgendo
anche solo minimamente bene. In modo analogo, presumibile che
l'infelicit derivante dal colloquio con il vostro capo abbia qualcosa a che
fare con le sensazioni di disagio e preoccupazione, o forse di nausea e
disprezzo che tale colloquio comporta. Felicit e infelicit si riducono
quindi a sensazioni di un certo tipo. Supponiamo di combinare questa idea
con l'affermazione dei filosofi in base alla quale la felicit ha un valore
intrinseco: probabilmente la felicit l'unica cosa della vita che vogliamo di
per s e non in vista di qualcos'altro. Arriviamo cos a una semplice
conclusione: nella vita la cosa pi importante sentirsi in un certo modo. La
qualit della vostra vita, che stia andando bene o male, dipende dalle
sensazioni che provate.
Un modo utile di caratterizzare gli esseri umani un particolare tipo di
dipendente o drogato. Con la possibile eccezione di alcune delle grandi
scimmie, ci non vale per nessun altro animale. Gli uomini, in generale, non
sono drogati di farmaci, anche se ovviamente alcuni lo sono. Sono per
drogati di felicit. I drogati di felicit condividono con i loro banali cugini
drogati di farmaci una brama insistente per qualcosa che in realt non fa
loro molto bene e che comunque non poi cos importante. Ma, in un certo
senso molto evidente, i drogati di felicit sono peggiori. Un drogato di
farmaci ha una concezione sbagliata di dove trovare la felicit. Il drogato di
il maschio alfa del branco, non gli sarebbe mai stato concesso di
accoppiarsi, neppure una volta.
Comunque, sospetto che ci che a un lupo importa davvero non sia il
sesso n siano sensazioni di qualsiasi tipo. Diversamente dagli uomini, i
lupi non vanno a caccia di sensazioni. Vanno a caccia di conigli.
La gente mi chiedeva spesso se Brenin era felice. Quello che in realt
intendevano chiedere era: come hai potuto - tu, brutto bastardo crudele e
irresponsabile - strappare un lupo al suo ambiente naturale e costringerlo a
una vita artificiale, prigioniero della cultura e dei costumi umani? Ho gi
parlato di questo aspetto. Ma supponiamo che l'obiezione sia giustificata. Se
lo , allora dovremmo pensare che Brenin fosse al massimo della felicit
quando faceva ci che per lui era naturale. Il sesso potrebbe rientrare in
questo discorso. Ma anche la caccia.
Passavo molto tempo osservando Brenin cacciare, cercando di scoprire
che cosa, eventualmente, provasse in quei momenti. Che cosa sentiva
mentre faceva la posta a un coniglio?
I conigli sono veloci e sfuggenti e possono cambiare direzione in un
lampo. A tutta potenza e in linea retta, Brenin era pi veloce di loro, ma non
aveva le mosse del coniglio medio. Per cui doveva appostarsi. E l'essenza
dell'appostamento consiste nell'effettuare una sorta di riallineamento della
situazione in cui ci si trova. Appostamento significa far s che il mondo
favorisca i propri punti di forza e resti indifferente a quelli della preda. un
processo arduo e, sospetto, molto pi spiacevole che piacevole.
La pazienza di Brenin era stupefacente. Per buona parte del tempo se ne
stava disteso a terra, con il naso e le zampe anteriori puntati verso il
coniglio, e i muscoli tesi e pronti a scattare. Non appena il coniglio veniva
distratto da qualcosa, gli si avvicinava di qualche centimetro per poi
riacquattarsi, di nuovo immobile fino alla successiva occasione di
movimento. Non era chiaro quanto questo processo, se indisturbato, sarebbe
potuto continuare, ma ho visto Brenin protrarlo per almeno quindici minuti.
Brenin cercava di creare una situazione in cui i suoi punti di forza - la
sorpresa e una velocit incredibile sulla breve distanza - prevalessero sulla
capacit del coniglio di cambiare direzione di colpo e in uno spazio ristretto.
Di solito, e per fortuna, il coniglio scappava spaventato molto prima del
momento dell'attacco. Quando capiva che il gioco era finito, Brenin si
sfogava in un'incredibile esplosione di attivit repressa e posticipata. Quasi
sempre si ritrovava a mani vuote.
Se quelli erano i momenti in cui Brenin era felice, allora che cos'era per
lui la felicit? C'erano l'agonia della tensione, la forzata rigidit del corpo e
ma sono i miei passi per arrivare fino al ring. Il pubblico gridava perch
voleva sangue e io ero cos spaventato che il mio campo visivo si
restringeva a uno stretto tunnel. Le gambe erano molli e difficili da
controllare. Il respiro era affannoso e penoso. Non vomitavo solo perch
avevo appena finito di vomitare. Queste sensazioni e reazioni perduravano
durante tutti i preliminari. Ma poi, quando mi alzavo in piedi nel mio angolo
del ring e guardavo l'avversario, poco prima dell'inizio dell'incontro e
quando ormai ogni possibilit di fuga era svanita, mi sentivo attraversare da
una meravigliosa sensazione di calma che partiva dalle dita dei piedi e delle
mani e mi investiva a ondate.
Era una calma strana, perch la paura non se n'era andata, ma
semplicemente non aveva pi importanza. Quando combattevo, ero isolato
all'interno di una dorata bolla di concentrazione. La paura c'era sempre, ma
era una paura tranquilla e positiva, alla quale si accompagnava una certa
esultanza difficile da spiegare. L'esultanza nasceva dal fare qualcosa che
sapevo fare bene, con la consapevolezza, per, che non potevo permettermi
di oltrepassare nemmeno per un attimo i limiti delle mie capacit. Era una
sorta di perspicacia: ecco come forse potrei descrivere quell'esultanza nel
modo migliore.
Il combattimento non aveva mai niente di personale.
All'interno della propria bolla dorata non si prova alcuna animosit. uno
sforzo impersonale, intellettuale. Il termine intellettuale pu sembrare
strano in questo contesto, ma lo uso perch la boxe comporta un certo grado
di sapienza. una sapienza propria ed esclusiva del pugilato, che non si pu
acquisire in nessun altro modo. Un pugile sa esattamente per quanto tempo
il suo avversario terr la mano fuori dopo avere sferrato un colpo, e lo sa
anche se non gli vede la mano. Sa come muove i piedi quando parte con un
diretto destro, e lo sa anche se non gli guarda i piedi. Dentro la sua bolla di
concentrazione, e ai limiti delle sue capacit fisiche ed emotive, il pugile sa
cose che altrimenti non saprebbe. Dopo il colpo, il suo avversario ha tenuto
la mano fuori per un secondo di troppo, cos lui sposta la testa di lato e
risponde con un diretto sinistro all'interno del suo braccio (quelli di voi che
capiscono che cosa sto dicendo saranno in grado di dedurre da questa
descrizione che ero un mancino, almeno presumendo un avversario
regolare). Se il suo diretto va a segno e colpisce la mascella dell'avversario,
un bel colpo netto e pulito, allora il pugile prova esultanza. E non perch
odia l'avversario: al contrario, nella sua bolla di concentrazione non sente
niente, n per lui n contro di lui. Prova esultanza perch freddamente,
serenamente terrorizzato. Combattere sul ring conoscere non solo il
Dopo circa cinque anni in Irlanda la nostra vita si era stabilizzata in una
routine prevedibile e, dal punto di vista della mia carriera, redditizia. La
mattina mi alzavo quando ne avevo voglia e andavo a correre con Brenin e
le due cagne, attraverso i campi e gi fino al mare. Dopodich raggiungevo
Cork in auto, sbrigavo gli eventuali impegni di lavoro e andavo in palestra.
In genere rientravo a casa verso le sei di sera e cominciavo a scrivere,
continuando fin verso le due del mattino.
Dopo l'arrivo di Nina avevo deciso di lasciare Brenin a casa quando
andavo al lavoro. A quel punto la sua giovanile distruttivit era
notevolmente diminuita. Devo ammettere che Nina faceva del suo meglio
per colmare la lacuna, ma, anche al suo peggio, la sua ingegnosit e il suo
potere distruttivi non erano assolutamente paragonabili a quelli di Brenin, il
quale non era affatto contento di essere lasciato a casa. E a me mancava la
sua presenza in ufficio e in aula. A volte, nel pieno di una lezione, spostavo
lo sguardo nell'angolo della sala, aspettandomi di vederlo, e avvertivo
sempre una scossa di sorpresa prima di ricordarmi che era a casa. Ma
pensavo che sarebbe stato molto ingiusto lasciare Nina da sola, giovane
com'era, specie considerando che avrebbe visto Brenin e me partire insieme
in auto. Quando arriv Tess, tuttavia, tocc a lei restare a tenere compagnia
a Nina e rientr in vigore la vecchia abitudine di portare Brenin con me
dappertutto.
Tess, essendo un lupo solo per met, probabilmente era distruttiva la met
di quanto era stato il giovane Brenin. Ma era pi che sufficiente. Si mangi
praticamente tutto quello che c'era in casa. Le preziose sedie antiche che
mia nonna mi aveva lasciato in eredit resistettero solo poche settimane alla
sua dentizione. La parete che separava la cucina dal ripostiglio era un muro
a secco, ma Tess riusc ad aprirsi un varco a morsi in un solo pomeriggio,
forse nel tentativo, entusiasta ma vano, di raggiungere la libert del giardino
sul retro. Aveva ereditato la passione del giovane Brenin per le tende.
Impar rapidamente come aprire le credenze della cucina al fine di
divorarne il contenuto: che fosse commestibile o meno, per lei faceva poca
differenza. Quando installai sugli sportelli dei fermi a prova di bambino, si
mangi anche quelli. Alla fine smise di perdere tempo e cominci a
prendere a morsi direttamente le credenze. Persi i documenti di propriet
sette di sera e, per le prime quattro o cinque ore, scrivevo di filosofia seria.
Con seria, naturalmente, intendo una filosofia altamente tecnica che con
ogni probabilit viene letta solo da poche centinaia di persone: nel mondo
accademico, se arrivi a qualche migliaio di lettori, sei una superstar. Erano
il genere di lavori che venivano pubblicati su riviste professionali di
filosofia o su libri di case editrici universitarie, come quelle di Oxford,
Cambridge e del Mit. Ma nella seconda met della serata, dopo mezzanotte,
quando Jack o Jim o Paddy cominciavano a farsi sentire sul serio, scrivevo
cose completamente diverse. Il risultato fu The Philosopher at the End of
the Universe, un'introduzione alla filosofia attraverso i film di fantascienza
di grande successo. Chi di voi l'ha letto non avr difficolt a credere che sia
stato scritto in vari stadi di ebbrezza. Comunque, con sorpresa di tutti - e
soprattutto dell'editore - il libro vendette benissimo. Anzi, cominci ad
arrivarmi parecchio denaro dalla vendita dei diritti all'estero ancora prima
che il libro venisse pubblicato. E cos, non molto tempo dopo la conclusione
del mio incarico a Londra, mi ritrovai inaspettatamente a sedere sopra un
mucchio di soldi; non un mucchio enorme, ma sufficiente per mantenermi
per un bel po di tempo. Non avendo idea di cosa farne, ma non potendone
pi della pioggia incessante - piovve ogni singolo giorno che trascorsi in
Irlanda, lo giuro -, affittai una casa nel Sud della Francia e pensai di fare un
tentativo come scrittore a tempo pieno. Fu cos che ci trasferimmo tutti e
quattro in una casetta nel cuore della Linguadoca.
La casa si trovava ai margini di un piccolo paese confinante con la
meravigliosa riserva naturale costituita dal delta del fiume Orb. Della
riserva faceva parte anche una laguna di acqua salata: la maire, come la
chiamano da quelle parti, un termine occitano sinonimo dell'inglese mire,
acquitrino. E la zona brulicava di tori neri, pony bianchi e fenicotteri
rosa, tutti tipici della regione. Ogni mattina attraversavamo la riserva,
raggiungevamo la spiaggia e andavamo a nuotare. Pensavo che Brenin e le
ragazze avrebbero apprezzato lo stile di vita francese, e non mi sbagliavo.
Ma, circa un mese dopo il nostro trasferimento, Brenin si ammal. Avevo
gi notato una generale letargia che, ripensandoci, era cominciata ancor
prima che lasciassimo Londra. All'inizio attribuii la cosa al fatto che stava
invecchiando. Ma quando cominci a rifiutare il pasto della sera, al punto
che dovevo convincerlo a sforzarsi di mangiare, lo portai subito dal
veterinario, l'unico veterinario e una delle poche persone che conoscevo in
Francia: Jean- Michel Audiquet. Non ero particolarmente ansioso di andare
a quella visita. Jean- Michel non parlava una parola di inglese e a
quell'epoca il mio francese scolastico non era certo all'altezza di un consulto
medico, sia pure di medicina veterinaria. Ma non avrei mai immaginato che
parte rimarr spezzata per sempre. La gente dice spesso - di solito quando
vuole essere melodrammatica - che tutti noi moriamo soli. Non so se sia
vero. Ma, mentre facile antropomorfizzare questo tipo di situazioni,
difficile evitare la conclusione che Brenin dev'essersi sentito completamente
solo, tradito, abbandonato e addirittura brutalizzato dal branco che era stato
la sua vita.
Io sono un consequenzialista riguardo alle questioni morali. Credo cio
che un'azione possa essere giudicata giusta o sbagliata esclusivamente in
base alle conseguenze che determina. Sono una di quelle persone convinte
che la strada che porta all'inferno sia lastricata di buone intenzioni. Ho
sempre avuto una profonda sfiducia nelle intenzioni che, a mio parere, sono
spesso maschere, e maschere dentro altre maschere: simulazioni di cui ci
serviamo per travestire la sgradevole verit delle nostre motivazioni
autentiche. Mi dissi che avrei fatto a Brenin ci che avrei voluto che
qualcuno facesse a me nelle stesse circostanze. Non l'avrei tenuto in vita a
ogni costo, perch io non avrei mai voluto essere tenuto in vita a ogni costo.
Se, per, ci fosse stata la speranza che io potessi riprendermi e tornare a
condurre una vita piena e appagante, allora avrei voluto che qualcuno
lottasse per me, anche se non avessi capito che cosa stava facendo. Perci,
mi dissi, dovevo lottare per Brenin, anche se non lui capiva quello che stavo
facendo, anche se non voleva che lo facessi. questo che continuavo a
ripetermi. Ma forse, in realt, semplicemente non ero ancora pronto, non ero
ancora abbastanza forte, per immaginare una vita senza Brenin. Forse il mio
principio all'apparenza cos nobile - f a Brenin ci che vorresti che gli altri
facessero a te - era solo una maschera per nascondere la mia indisponibilit.
Chi pu sapere qual era la mia vera motivazione? Chi pu sapere se esiste
qualcosa come una vera motivazione? E, francamente, a chi importa?
Costringendo Brenin a soffrire in quel modo, e con ogni probabilit a
morire in quel modo, stavo facendo una scommessa con la mia anima
consequenzialista. Stavo costringendo la figura pi importante e fedele degli
ultimi dieci anni della mia vita a una morte piena di dolore e paura, una
morte in cui si sentiva abbandonato da coloro che amava. Se Brenin fosse
morto, le mie azioni sarebbero state imperdonabili. Non ci sarebbe stato
perdono per quello che avevo fatto, n avrebbe dovuto esserci. D'altra parte,
che cosa sarebbe successo, se avessi semplicemente rinunciato? Se avessi
rinunciato quando Brenin avrebbe potuto riprendersi? Ci aggrappiamo con
tanta forza alle nostre intenzioni perch le conseguenze sono implacabili. Le
conseguenze ci dannano se agiamo e spesso ci dannano se non agiamo.
Spesso solo la fortuna, la fortuna cieca, che pu salvare noi
consequenzialisti.
prossima volta fossi andato da lui per lavarlo e siringarlo non si fosse
svegliato, forse sarebbe stato meglio.
Sensazioni, sensazioni, sensazioni: tutte molto forti, alcune quasi
travolgenti. Ma nessuna che potesse essere plausibilmente identificata con
l'amore che provavo per Brenin. L'amore in questione ci che Aristotele
avrebbe definito philia: l'amore per la famiglia, l'amore per il branco. Si
distingue dall'eros - il desiderio ardente dell'amore erotico - e dall'agape,
l'amore impersonale verso Dio e l'umanit nel loro insieme. Il mio
attaccamento a Brenin non era, ve lo assicuro, in alcun modo erotico. E non
lo amavo neppure nel modo in cui la Bibbia sostiene che dovrei amare il
mio vicino o il mio Dio. Io amavo Brenin come un fratello. E questo amore
- questa philia - non una sensazione di nessun tipo.
Le sensazioni possono essere manifestazioni di philia e possono
accompagnarla, ma non sono philia. Perch mi sentivo intontito e nauseato?
Come potevo sentirmi sollevato dalla prospettiva dell'imminente morte di
Brenin? Perch lo amavo e farlo soffrire in quel modo era quasi - ma, grazie
a Dio, non completamente - insopportabile. Queste sensazioni, per quanto
diverse, disparate e disunite possano essere, sono tutte manifestazioni di
quell'amore. Ma l'amore non nessuna di quelle sensazioni. Ci sono cos
tante sensazioni che, in contesti diversi, possono accompagnarlo che la
philia non pu essere identificata con nessuna di loro. E pu esistere senza
nessuna di loro.
L'amore ha molte facce. E, se ami, devi essere abbastanza forte da saperle
considerare tutte. Io credo che l'essenza della philia sia molto pi dura,
molto pi crudele di quanto ci piaccia ammettere. C' una cosa senza la
quale la philia non pu esistere e non questione di sensazioni, ma di
volont. Philia - l'amore adeguato al tuo branco - la volont di fare
qualcosa per coloro che fanno parte del branco, anche se non vuoi farlo,
anche se ti fa orrore e ti disgusta e anche se, alla fine, potresti dover pagare
un prezzo molto alto, forse pi alto di quanto tu possa sopportare. Lo fai
perch ci che meglio per il branco. Lo fai perch devi. Pu darsi che tu
non sia mai costretto a farlo, ma devi essere sempre pronto a farlo. L'amore
a volte disgustoso. L'amore pu dannarti per l'eternit. L'amore pu
portarti all'inferno. Ma se sei fortunato, se sei molto fortunato, ti riporter
indietro.
avevamo scorrazzato in lungo e in largo nel Sudest degli Stati Uniti tanti
anni prima, in cerca di rugby e feste e donne e birra.
Non avrei potuto seppellirlo in giardino perch i proprietari della casa si
sarebbero sicuramente opposti. Cos lo seppellii in un posto dove ci
fermavamo sempre durante le nostre passeggiate quotidiane: una piccola
radura circondata da faggi e querce nane. Il terreno era sabbioso e non ci
misi molto a scavare una fossa abbastanza grande. Dopo avere sepolto
Brenin, innalzai sopra la tomba un tumulo con i sassi prelevati dalla diga
che impediva ai marosi delle tempeste invernali di allagare il paese. Fu
un'operazione lunga e faticosa, perch la diga distava circa duecento metri
e, quando terminai, era gi sera inoltrata. Accesi un fal con alcuni pezzi di
legno trasportati dalla corrente e decisi di passare il resto della nottata con
mio fratello.
Questa la parte della storia che sono pi riluttante a raccontare, dato che,
ancora una volta, ne esco come il totale psicotico che senza dubbio ero. A
tenermi compagnia c'erano Nina e Tess e i due litri di Jack Daniel's che
avevo messo da parte sapendo che quella particolare notte sarebbe arrivata
presto. Nelle ultime settimane non avevo bevuto per niente, dato che
dovevo avere la mente lucida per prendere le decisioni migliori possibili per
Brenin. Non potevo permettere che una malinconia alcolica mi spingesse a
addormentarlo un solo momento prima della sua ora. E non potevo
permettere neppure che un'euforia alcolica lo costringesse a restare
aggrappato a una vita che non era pi degna di essere vissuta. Era la prima
volta da anni che rimanevo a secco per pi di un giorno o due e quella notte
avevo in programma di interrompere decisamente la siccit. E cos, dopo
che Brenin era stato sepolto, Nina e Tess si distesero tranquille accanto al
fuoco e ascoltarono infuriare la mia rabbia da bourbon sullo sfondo della
luce morente. Una volta attaccato il secondo litro, quella che era cominciata
come una silenziosa riflessione sulla possibilit di una vita dopo la morte si
trasform in un furioso torrente di invettive contro Dio. Frasi pi o meno
del tipo: Andiamo, str...! Fammi vedere! Fammi vedere se continuiamo a
vivere anche dopo, brutto figlio di p...!
Quanto accadde subito dopo suona orrendamente inverosimile, ma giuro
su Dio che vero. Nel momento stesso in cui dicevo quelle frasi, guardai al
di l del fal e lo vidi: il fantasma di pietra di Brenin.
Voglio sottolineare quanto questo sia inspiegabile. Per creare il tumulo,
ero andato avanti e indietro dalla diga: raccoglievo le pietre staccate o
sparse che trovavo, le trasportavo fino alla radura e le lasciavo
semplicemente cadere sopra la tomba di Brenin. Avevo ripetuto l'operazione
molte, molte volte e il lavoro aveva richiesto in tutto circa cinque ore. La
caduta delle pietre sulla fossa era stato un processo del tutto casuale. Ne
sono ancora convinto. Non avevo sistemato le pietre: le avevo
semplicemente lasciate cadere. Non ero stato guidato da una visione globale
del tumulo. Anzi, volevo solo finirlo e ubriacarmi all'inverosimile.
Ma adesso a fissarmi attraverso le fiamme c'era il fantasma di pietra di
Brenin. Davanti c'era la testa, una lastra di roccia a forma di diamante: il
muso appiattito a terra, com'era sua abitudine, e una macchia di muschio
sulla punta che sembrava a tutti gli effetti il naso. Il resto del tumulo era un
lupo raggomitolato come se fosse stato nella neve: un'abitudine che Brenin
aveva ereditato dai suoi antenati artici e che gli era stato impossibile
abbandonare, perfino nel caldo soffocante dell'Alabama o nell'estate della
Linguadoca. Allo zenit della mia rabbia e della mia miseria, Brenin mi stava
guardando a propria volta.
Psicologi del profondo - freudiani, junghiani e simili -potranno forse
sostenere che inconsciamente avevo creato l'immagine di un Brenin
addormentato: l'atto del lasciare cadere le pietre sulla tomba era stato
guidato dal desiderio inconscio di realizzare un monumento a sua
immagine. Forse hanno ragione, ma questa spiegazione non mi sembra per
niente plausibile. Non spiega il notevole ruolo giocato dal caso nella
costruzione del tumulo. Quando portavo una pietra alla tomba, non la
posavo: la lasciavo cadere sulle altre e poi mi voltavo immediatamente per
andare a cercare la successiva. Alcune pietre si fermavano dove erano
cadute, ma la maggior parte no: rotolava in basso. Se le pietre rotolavano, e
dove rotolavano, era determinato dal caso. Ed per questo che la storia
degli psicologi del profondo non convince. Che il mio inconscio controlli le
mie azioni una cosa, ma che controlli il caso tutt'altra cosa.
Sarebbe facile spiegare il fantasma di pietra di Brenin come
un'allucinazione o una confabulazione provocata dall'alcol. Sarebbe ancora
pi facile spiegarlo come un sogno. Gi, ci incontreremo di nuovo nei
sogni. Ma il fantasma di pietra di Brenin non se ne and. Mi addormentai
per terra accanto al fal e, quando il fuoco si spense, forse sarei morto di
freddo, se non fosse stato per un fortuito attacco di vomito che mi costrinse
a svegliarmi. Ma quando mi svegliai il fantasma di pietra di Brenin era
ancora l. l a tutt'oggi.
L'ultimo anno di Brenin fu un regalo per tutti e due. Ricordo quel periodo
come un'estate senza fine. Non sono mai stato ossessionato dal tempo. Ho
perso il mio ultimo orologio a una partita di poker a Charleston, nella
Carolina del Sud, nel 1992 e non mi sono ancora deciso a sostituirlo.
Naturalmente non possedere un orologio non ti libera dalle costrizioni del
tempo: ho la sensazione di passare met della vita a chiedere l'ora alla gente.
caldo, aprivo gli ombrelloni - uno a testa - che avevo comprato per loro.
Ripensandoci adesso, mi rendo conto che ormai dovevo essere diventato
piuttosto stravagante, un po come quelle vecchie signore con tanti gatti.
L'aspetto positivo era che i numerosi ladri che popolavano le spiagge della
Francia meridionale nei mesi estivi giravano sempre alla larga dal nostro
accampamento. E lo stesso facevano gli altri cani.
Durante la passeggiata per raggiungere la spiaggia c'erano certe cose che
dovevano essere fatte in un certo ordine e in un certo modo. I cani del
vicinato andavano salutati e, dove necessario, intimiditi nel modo pi
opportuno: prima c'era Vanille, la femmina di setter inglese, che doveva
essere intimidita da Nina, con Tess come assistente, ma al tempo stesso
salutata da Brenin in modo amichevole, seppure distaccato; poi era la volta
di Rouge, il grosso maschio di ridgeback, che veniva offeso dall'urina di
Brenin sul recinto del suo giardino, ma al tempo stesso salutato sia da Nina
sia da Tess con un entusiasmo che sconfinava nella smanceria; e finalmente
c'era la femmina di Dogo argentino di cui ho gi parlato, ma della quale non
ho mai saputo il nome, che una volta commise l'errore di attaccare Tess.
Certo, Tess l'aveva scelta per un trattamento speciale: tratteneva il primo
transito intestinale del mattino finch non arrivavamo davanti alla casa della
dogo e poi depositava il prodotto quanto pi umanamente - anzi,
caninamente - possibile vicino alla recinzione del giardino. Riflettendoci
adesso, forse era per questo che la dogo cercava sempre di mordermi.
Tess, in genere, era una maestra nella deposizione tattica delle feci.
Abitavamo ancora a Wimbledon e una volta, mentre stavamo attraversando
il campo da golf che fa parte del parco, con una dimostrazione di
straordinaria precisione riusc a fare la cacca esattamente sopra una pallina
da golf atterrata l vicino. Il mio consiglio - Se fossi in lei, dropperei serv ben poco a placare il furioso, ma soprattutto incredulo, socio del
London Scottish Golf Club.
Superata l'ultima casa, entravamo nei vigneti, o meglio nei vigneti
dimenticati, abbandonati da tempo al terreno salmastro e alle frequenti
tempeste, e poi proseguivamo fino alla maire, che andava dalla diga
all'estremit settentrionale della spiaggia. Nella stagione giusta dell'anno, la
zona diventava un tappeto di fenicotteri rosa: i flamants roses, come
vengono chiamati nell'assai pi bella lingua francese. Se capitava che un
fenicottero si aggirasse solitario sulla spiaggia, Nina e Tess non mancavano
mai di lanciarsi al suo inseguimento finch non si alzava in volo per
tornarsene nel suo legittimo territorio. Per fortuna nessuna delle due arriv
mai neppure remotamente vicina a catturarne uno. Mentre le ragazze si
davano invano alla caccia, Brenin mi guardava come per dire: I giovani
d'oggi... Se solo avessi qualche anno di meno....
Una volta arrivati in spiaggia, Nina si precipitava dritta in acqua e
cominciava a saltare e abbaiare, chiedendo a gran voce il suo frisbee.
Durante l'estate sulla spiaggia era in vigore una severa politica di divieto di
accesso ai cani (i lupi, in realt, non erano esplicitamente citati). Ma i
francesi sono noti per considerare le leggi del loro paese come un elenco di
suggerimenti, piuttosto che come rigide disposizioni; raramente il divieto
veniva rispettato e di solito la spiaggia era affollata di cani. Ogni tanto
arrivavano i gendarmes e multavano la gente facendo una gran scena, ma
noi, appena li vedevamo, ci spostavamo di qualche centinaio di metri, sicuri
che non avrebbero camminato fino a noi. Qualche volta per ci beccarono,
una seccatura dovuta non tanto all'ammontare della multa, quanto alla
lunghezza della paternale che ci toccava ascoltare prima di essere multati.
Grazie a una combinazione di fortuna, capacit di nasconderci e finta
ingenuit, riuscimmo a superare l'estate totalizzando non pi di cento euro
di multe.
Dopo la spiaggia e poco prima che tutto chiudesse per l'ora di pranzo - era
sempre Nina che ci diceva quando era il momento di muoverci - andavamo
alla boulangerie del villaggio e io poi dividevo un paio di pains au chocolat
fra i tre. Questa suddivisione avveniva secondo un rituale ben definito.
Uscivamo dalla boulangerie e andavamo alla panchina di pietra distante
pochi metri, di fronte al negozio. Io mi sedevo, aprivo il sacchetto di carta,
staccavo pezzetti di pain e li distribuivo a turno a ciascuno dei tre, cercando
di evitare la notevole quantit di saliva che veniva sbavata nella mia
direzione. Nuotare mette appetito. Dopo passavamo al bar di Yvette, dove
mi concedevo un numero sconsiderato di bicchieri di ros - il drink diurno
preferito in Lin-guadoca -, mentre Yvette la cinofila serviva ai tre una
ciotola d'acqua e faceva un sacco di coccole a Brenin. A quel punto
tornavamo a casa, passando dietro il paese e attraversando il bosco che
confinava con la casa.
Una volta arrivati, ognuno di noi si trovava un posto all'ombra dove
passare il resto della giornata. Io riprendevo a scrivere. A quell'ora dentro
casa faceva troppo caldo per i gusti di Tess, che pertanto aveva preso
l'abitudine di starsene sdraiata ai miei piedi sotto il tavolo in terrazza. Nina
preferiva la parete opposta della terrazza, ombreggiata dal tetto per buona
parte della giornata. Dato che il suo angolo preferito di giardino nel
pomeriggio era al sole, Brenin saliva sulla terrazza scoperta e si sistemava
nell'angolo all'ombra. Da quella posizione aveva un'ottima visuale della
campagna circostante e, cosa ancora pi importante, la possibilit di
anni. Forse vero. Ma non mi interessa ci che persi io: mi interessa ci che
perse Brenin.
In che senso la morte un male? Non per gli altri, ma per l'individuo che
muore? In che senso la tua morte un male per te? La morte - qualunque
altra cosa possa essere - non qualcosa che accade nella vita. Wittgenstein
disse che la sua vita era illimitata cos come era illimitato il suo campo
visivo. Ovviamente non intendeva dire che viviamo per sempre: nel 1951 lo
stesso Wittgenstein mor (anche lui di tumore). Ci che voleva sottolineare
che la morte il limite di una vita, e il limite di una vita non pu
manifestarsi in quella vita pi di quanto il limite di un campo visivo si
manifesti in quel campo. Il limite di un campo visivo non qualcosa che
vedi: ne sei consapevole proprio a causa di ci che non vedi. cos che
funziona con i limiti: un limite di qualcosa non parte di quella cosa; se lo
fosse, allora non sarebbe il suo limite.
Se accettiamo tutto questo, ci troviamo per a dover subito affrontare un
problema: sembrerebbe, infatti, che la morte non possa nuocere
all'individuo che muore. La versione classica del problema fu enunciata,
duemila anni prima di Wittgenstein, dal filosofo greco Epicuro. La morte,
sosteneva Epicuro, non pu nuocerci. Quando siamo vivi, la morte non
ancora arrivata e quindi non pu averci nuociuto. E quando moriamo - dato
che la morte il limite della nostra vita e non un evento della vita - non pu
nuocerci perch non ci siamo pi. Perci la morte non pu essere un male,
almeno non per la persona che muore.
Che cosa c' di sbagliato nell'argomentazione di Epicuro? O meglio, c'
qualcosa di sbagliato? Perlomeno tra gli esseri umani, c' un consenso quasi
universale sul fatto che c' qualcosa di sbagliato. E sembra esserci un
sostanziale consenso anche sul perch l'argomentazione sbagliata: la
morte ci nuoce a causa di ci che ci porta via. La morte ci che i filosofi
definiscono un danno da privazione. Questa, tuttavia, la parte facile. La
parte difficile sta nel capire che cosa ci porti via la morte e come possa
portarci via una qualsiasi cosa, quando non siamo pi qui per farcela portare
via.
Non andremmo molto lontano, se rispondessimo a queste domande
dicendo che la morte ci nuoce perch ci porta via la vita. Perch, se
Wittgenstein ha ragione e la morte il limite della nostra vita e quindi non
accade nella nostra vita, allora la vita esattamente ci che non abbiamo pi
quando moriamo. Ma possibile sottrarci solo qualcosa che possediamo
effettivamente. Perci come pu la morte portarci via qualcosa che non
abbiamo pi?
vuole tempo perch Brenin attraversi la stanza e arrivi alla ciotola e quindi
ci vorr tempo prima che il suo desiderio venga soddisfatto o frustrato.
Questo uno dei sensi, il pi basilare, in cui i desideri sono orientati verso il
futuro: soddisfarli richiede tempo. Lo stesso vale, in modo ancora pi
palese, per gli obiettivi e i progetti, entrambi essenzialmente desideri a
lungo termine. I desideri possono essere soddisfatti o frustrati, e gli obiettivi
e i progetti possono essere realizzati oppure no. E soddisfare e realizzare
richiede tempo.
C' per un senso pi complicato in cui possiamo avere un futuro. Un
desiderio, un obiettivo o un progetto possono essere orientati verso il futuro
in due modi molto diversi. Come il desiderio di Brenin di bere, il desiderio
pu orientarci verso un futuro nel senso che la sua soddisfazione richiede
tempo. Se Brenin vuole soddisfare il suo desiderio, deve persistere al di l
dell'attimo presente: deve sopravvivere almeno il tempo necessario per
attraversare la stanza e arrivare alla ciotola. Per alcuni desideri, tuttavia, il
legame con il futuro pi forte e pi profondo di quello dell'esempio.
Alcuni desideri comportano un concetto esplicito del futuro. Attraversare la
stanza per bere una cosa. Pianificare la vita intorno alla visione di come si
vorrebbe il proprio futuro tutt'altra cosa.
In confronto ad altri animali, noi uomini passiamo una quantit
sproporzionata di tempo facendo cose che, almeno a un certo livello, in
realt preferiremmo non fare. Ci comportiamo cos a causa della visione di
come ci piacerebbe che fosse la nostra vita futura. questa la ragione della
lenta marcia attraverso la nostra lunga istruzione scolastica e le successive
carriere. Tutti noi sappiamo quanto queste ultime possano essere ingrate e
nemmeno io, un insegnante di professione, posso fingere che la prima sia
uno spasso ininterrotto. Ma facciamo comunque queste cose perch
abbiamo desideri di un certo tipo. Sono desideri che non possono essere
soddisfatti n adesso, n in un immediato futuro, ma che forse potranno, se
abbiamo abbastanza talento, abbastanza fortuna e se ci impegniamo a
sufficienza, essere soddisfatti in un futuro imprecisato. Le nostre attivit del
momento - educative, professionali e spesso ricreative - sono studiate,
eseguite e orientate in funzione della visione del futuro che forse potranno
assicurarci. Per avere questi tipi di desideri, devi avere un concetto del
futuro: devi essere in grado di pensare al futuro come al futuro.
A quanto pare, dunque, possiamo avere un futuro in due sensi diversi. C'
un senso implicito: io ho dei desideri la cui soddisfazione richiede tempo. E
c' un senso esplicito: sto orientando o organizzando la mia vita intorno alla
visione del futuro che vorrei. Tuttavia, quando la scimmia che c' in noi
vede una distinzione, vede anche un potenziale vantaggio. Innanzitutto la
avere. Siamo esseri legati alla morte, esseri che seguono le tracce della
morte come nessun altro animale pu fare. Sia il significato sia la fine della
nostra vita si trovano da qualche parte, pi avanti lungo la linea. E quella
linea, perci, ci affascina e, al tempo stesso, ci fa inorridire. Questa,
fondamentalmente, la condizione esistenziale degli esseri umani.
Disse il corvo di Edgar Allan Poe: mai pi. Forse mai pi un concetto
che i corvi padroneggiano. Ho il sospetto che i cani, invece, non lo
padroneggino. Nina amava Brenin. Era cresciuta con lui fin da quando era
cucciola. E voleva passare con lui ogni istante in cui era sveglia. Certo,
quando arrivammo in Francia, forse perfino gi a Londra, Brenin ormai le
interessava molto meno di Tess. L'interesse di Nina nei confronti degli altri
cani, o lupi, era in funzione del tempo che erano disposti a dedicare alla
lotta con lei. E in Francia, ormai, Brenin non apprezzava pi molto le zuffe.
In ogni caso Nina gli rimase sempre molto affezionata e lo salutava con una
grande leccata sul naso ogni volta che non lo vedeva da pi di un'ora.
Fu per questo che rimasi sorpreso quando, dopo essere stato dal
veterinario, riportai a casa il corpo di Brenin. Nina gli diede un'annusata
sbrigativa e poi rivolse l'attenzione all'impegno, a quanto pareva di gran
lunga pi interessante, di giocare con Tess. Brenin non c'era pi: sono
sicuro che Nina l'aveva capito. Cos come sono sicuro che non poteva capire
che Brenin non ci sarebbe stato mai pi.
Noi uomini tendiamo a pensare che un episodio del genere dimostri la
fondamentale inferiorit dell'intelligenza degli animali. Gli animali non
possono capire la morte: solo gli uomini possono farlo. Quindi noi siamo
migliori di loro. Un tempo ci credevo anch'io. Adesso ho il sospetto che si
debba dedurre il contrario.
Supponete che per un anno vi porti ogni giorno sulla stessa spiaggia,
seguendo sempre lo stesso percorso e facendo sempre le stesse cose. Dopo
la spiaggia, vi porto ogni giorno alla stessa boulangerie, dove vi compro un
pain au chocolat: non un beignet framboise n un croissant, ma un pain au
chocolat. Ben presto, ne sono certo, mi direste: Che cosa? Un altro pain au
chocolat! Non potevi comprarmi qualcos'altro? Almeno per una volta? Non
ne posso pi dei maledetti pains au chocolat.
cos che funziona con noi uomini. Pensiamo al tempo della nostra vita
come a una linea, nei confronti della quale abbiamo un atteggiamento molto
ambivalente. Le frecce dei nostri desideri, obiettivi e progetti ci legano a
quella linea, nella quale troviamo la possibilit che la vita abbia un
significato. Ma la linea punta anche verso la morte, che si porter via quel
significato. E quindi la linea ci attrae e contemporaneamente ci disgusta, ci
attira e ci terrorizza. la nostra paura della linea che ci fa desiderare sempre
bussare alla nostra porta di casa a Knockduff. Brenin e Nina erano con me
nel giardino sul retro e partirono alla carica verso la porta davanti per
vedere chi c'era. Quando arrivai anch'io, trovai uno dei testimoni in lacrime,
con la faccia rivolta verso il muro, mentre Brenin e Nina lo annusavano con
espressione preoccupata. Non scoprii mai che cosa avessero avuto
intenzione di chiedermi i testimoni di Geova quel giorno: si congedarono
molto in fretta. Ma noi naturalmente diamo una connotazione religiosa alla
domanda: Con chi vuoi trascorrere l'eternit?. L'eternit la vita
nell'aldil, la quale non che la continuazione della linea della nostra vita
dopo il decesso del corpo fisico. Ci che a volte tralasciamo in questo
quadro l'unica persona che in quell'eternit non potrai evitare: te stesso.
Perci la domanda che la religione ci rivolge : Sei sicuro di essere una
persona con cui vorresti passare l'eternit?. E questa una bella domanda.
Nietzsche, comunque, la rende molto pi pressante. Se l'eternit una
continuazione della linea della nostra vita, allora qualunque progresso
esistenziale noi facciamo in questa vita potremo continuare a farlo nella
prossima. Se la vita un viaggio di formazione dell'anima - una teodicea di
formazione dell'anima - allora il viaggio pu continuare anche dopo la
morte del corpo. Ma supponiamo che ci sia solo questa vita. Supponiamo
che la vita non sia una linea. Supponiamo che il tempo sia un cerchio e che
la vita si ripeta in continuazione, ritornando eternamente come descritto dal
demone di Nietzsche. Tu sei sempre la persona con cui dovrai trascorrere
l'eternit, ma ora l'eternit un cerchio, non una linea, e quindi non hai
ulteriori possibilit di migliorare o perfezionare te stesso. Qualunque cosa tu
faccia, devi farla adesso.
Se sei forte, pensava Nietzsche, farai adesso ci che senti di dover fare.
Se, come diceva lui, la tua vita e il tuo spirito sono in ascesa, allora adesso
vorrai fare di te stesso il tipo di persona con cui vorresti trascorrere
l'eternit. Ma se sei debole, se il tuo spirito in declino - se sei stanco -, ti
rifugerai nella dilazione, nell'idea che potrai sempre fare ci che devi fare
pi tardi, nella vita che deve ancora venire.
L'eterno ritorno, quindi, un modo per valutare se sei uno spirito in
ascesa o in declino. questo che intendevo dire affermando che si tratta di
un test esistenziale.
Tuttavia l'idea dell'eterno ritorno fa un'altra cosa, e io credo che sia la pi
importante: mina la concezione del significato della vita che la concezione
del tempo come linea implica. Se pensiamo al tempo come a una linea,
pensiamo naturalmente al significato della vita come a qualcosa verso cui
dobbiamo tendere, qualcosa da conseguire pi avanti lungo quella linea.
Ogni momento scivola via, per cui non possibile trovare il significato
della vita nel momento. Inoltre il significato di ogni singolo momento
deriva dalla sua posizione sulla linea: il suo significato consiste nel modo in
cui si rapporta a quanto successo prima, che esiste ancora sotto forma di
ricordo, e a quanto deve ancora venire, che esiste sotto forma di aspettativa.
Ogni momento sempre contaminato dai fantasmi del passato e del futuro.
Di conseguenza nessun momento completo in se stesso: il contenuto e il
significato di ogni momento differito e distribuito lungo la linea della
freccia del tempo.
Ma se il tempo un cerchio e non una linea, se la nostra vita destinata a
ripetersi in continuazione, allora il significato della vita non pu consistere
in una progressione verso un punto decisivo lungo quella linea. Non c' un
punto del genere perch non c' una linea del genere. I momenti non
scivolano via: al contrario, si ripresentano in continuazione, senza fine. Il
significato di ogni momento non deriva dalla sua collocazione su una linea,
da come si rapporta con ci che viene prima e con ci che viene dopo lungo
quella linea. Non contaminato da fantasmi passati e futuri. Ogni momento
ci che : ogni momento completo e intero di per s.
Ora il significato della vita completamente diverso. Invece di trovarsi in
questo o quel punto decisivo della linea, o in un tratto decisivo della linea, il
significato della vita si trova nei momenti: certo, non in tutti i momenti, ma
solo in alcuni. Il significato della vita di un individuo pu essere
disseminato lungo tutta quella vita, come i chicchi di orzo sparsi nei campi
di Knockduff al tempo del raccolto. Il significato della vita pu essere
trovato nei suoi momenti pi alti, ognuno dei quali completo in se stesso e
non ne richiede altri per avere un significato o una giustificazione.
Una cosa che ho imparato dall'ultimo anno di vita di Brenin che i lupi, e
anche i cani, superano il test esistenziale di Nietzsche in un modo che
raramente riesce agli uomini. Un essere umano avrebbe detto: Non la
solita, vecchia passeggiata anche oggi! Non possiamo andare da qualche
altra parte, tanto per cambiare? Sono arcistufo della spiaggia. E non darmi
un altro pain au chocolat: ormai sono diventato un pain au chocolat
anch'io!. E cos via. Di volta in volta affascinati e disgustati dalla freccia
del tempo, il nostro disgusto ci spinge a cercare la felicit in ci che nuovo
e diverso, in qualsiasi deviazione dalla freccia del tempo. Ma la nostra
passione per la freccia significa che qualsiasi deviazione dalla sua linea
semplicemente crea una nuova linea, e la nostra felicit adesso pretende che
anche noi deviamo da quella linea. La ricerca umana della felicit di
conseguenza regressiva e vana. E alla fine di ogni traiettoria c' solo il mai
pi. Mai pi la sensazione del sole sul viso. Mai pi la visione del sorriso
sulle labbra della persona che si ama, o dello scintillio nei suoi occhi. La
nostra concezione della vita e del suo significato organizzata intorno a una
visione di perdita. Nessuna meraviglia che la freccia del tempo ci faccia
orrore e, al tempo stesso, ci affascini. Nessuna meraviglia che cerchiamo di
trovare la felicit nel nuovo e nell'insolito, in qualsiasi deviazione, per
quanto piccola, dalla linea della freccia. Forse la nostra ribellione solo un
inutile spasmo, ma certamente comprensibile. La nostra comprensione del
tempo la nostra dannazione. Wittgenstein aveva torto, in modo sottile ma
decisivo. La morte non il limite della mia vita. Ho sempre portato la mia
morte con me.
Il tempo dei lupi, suppongo, un cerchio, non una linea. Ogni momento
della loro vita completo in se stesso.
E la felicit, per loro, si trova sempre nell'eterno ritorno dell'uguale. Se il
tempo un cerchio, non esiste il mai pi. E, di conseguenza, l'esistenza di
ogni individuo non organizzata intorno alla visione della vita come un
processo di perdita. Durante l'ultimo anno di Brenin, la regolarit e la
ripetizione nelle nostre vite mi consentirono di intravedere, in modo fugace
e indistinto, l'eterno ritorno dell'uguale. Dove non c' un senso del mai pi,
non c' alcun senso di perdita. Per un lupo o per un cane la morte
veramente il limite di una vita. E per questa ragione la morte non avr
dominio su di loro. Questo, mi piace pensare, ci che essere un lupo o
un cane.
Adesso capisco perch Nina si limit a dare solo un'annusata superficiale
a Brenin, anche se l'aveva amato forse pi di qualsiasi altra cosa al mondo.
Di tutti noi Nina era quella che comprendeva meglio il tempo. Era la
custode del tempo, la zelante guardiana dell'eterno ritorno dell'uguale. Ogni
giorno sapeva esattamente quando erano le sei del mattino e quando dovevo
trascinarmi fuori dal letto e cominciare a lavorare. Ogni giorno sapeva al
secondo quando erano le dieci del mattino e mi posava la testa in grembo
per dirmi che era ora di smettere di scrivere e di andare in spiaggia. Sapeva
quando era ora di andarcene dalla spiaggia per arrivare alla boulangerie
prima che chiudesse per pranzo. Ogni giorno, che fosse in vigore l'ora solare
o quella legale, Nina sapeva esattamente quando erano le sette di sera e
doveva essere servita la cena e poi quando era ora di andare alla Runion
per il dessert. Preservare e garantire l'eterno ritorno dell'uguale era la sua
missione della vita. Per Nina niente poteva cambiare, niente poteva essere
diverso. Capiva che l'autentica felicit si trova solo in ci che uguale, in
ci che non cambia, in ci che eterno e immutabile. Nina capiva che la
struttura a essere reale, non le contingenze. Capiva che ogni gioia vuole
facevamo una passeggiata quasi tutti i giorni. Lui stava bene. E si sent bene
quasi fino al giorno in cui mor.
Non posso fare a meno di paragonare Brenin a me, se fossi stato io ad
avere un cancro. Per lui il cancro era un'afflizione del momento. In un certo
momento si sentiva bene. In un altro momento, un'ora dopo, stava male. Ma
ogni momento era completo in se stesso e non aveva alcuna relazione con
nessun altro momento. Per me il cancro sarebbe un'afflizione del tempo,
non del momento. L'orrore del cancro - l'orrore di qualsiasi grave malattia
umana - sta nel fatto che la malattia si spande nel tempo. L'orrore consiste
nel fatto che interromper le frecce dei nostri desideri, obiettivi e progetti. E
noi lo sappiamo. Io sarei rimasto a casa a riposare. Sarei rimasto a casa a
riposare anche se, in quel momento, mi fossi sentito benissimo. questo
che fai, quando hai il cancro. Dato che siamo creature temporali, le malattie
gravi sono disgrazie temporali. Il loro orrore risiede in ci che fanno nel
tempo, non in ci che fanno in un determinato momento. Ed per questo
che su di noi hanno un dominio che non possono avere su una creatura del
momento.
Il lupo prende ogni momento per quello che . Ed questo che noi
scimmie troviamo cos difficile da fare. Per noi ogni momento
indefinitamente differito. Ogni momento ha un significato che dipende dalla
sua relazione con altri momenti e un contenuto che irrimediabilmente
contaminato da tali momenti. Noi siamo creature del tempo, i lupi sono
creature del momento. I momenti, per noi, sono trasparenti. Ci passiamo
attraverso con la mano quando cerchiamo di impossessarci di qualcosa.
Sono diafani. Non sono mai del tutto reali. Non ci sono. I momenti sono i
fantasmi del passato e del futuro, gli echi e le anticipazioni di quello che
stato e di quello che potr essere.
Nella sua classica analisi della percezione del tempo, Edmund Husserl
sostenne che il presente, ci che definiamo ora, pu essere scomposto in
tre diverse componenti derivanti dall'esperienza. C', in parte, l'esperienza
di ci che definiva l"ora originario. Ma nella nostra normale
consapevolezza del tempo tale esperienza inevitabilmente modellata sia
dalle anticipazioni del probabile corso futuro dell'esperienza, che Husserl
chiamava protensioni, sia dai ricordi del recente passato, che chiamava
ritenzioni. Per capire che cosa intendesse Husserl, prendete qualcosa a
portata di mano. Supponiamo che prendiate un bicchiere di vino.
Presumibilmente lo percepite come un bicchiere. Tuttavia le vostre dita non
toccano tutto il bicchiere, ma solo una sua parte. Anche cos, avete
comunque la sensazione di avere un intero bicchiere in mano, e non parti di
un bicchiere. L'esperienza del bicchiere in mano non condizionata dai
Dubito che noi uomini siamo il tipo di animale che pu essere felice,
almeno non nel modo in cui pensiamo alla felicit. Il calcolo - i nostri
complotti e inganni scimmieschi - ci penetrato troppo in profondit
nell'anima per permetterci di essere felici. Inseguiamo le sensazioni che
accompagnano il successo delle nostre macchinazioni e menzogne e
rifuggiamo da quelle che ne accompagnano il fallimento. Non facciamo in
tempo a centrare un bersaglio che siamo gi alla ricerca del successivo.
Siamo sempre alla ricerca di qualcosa di pi e di meglio e la felicit, di
conseguenza, ci scivola continuamente di mano. La sensazione - questo
che riteniamo essere la felicit - una creatura del momento. Ma per noi il
momento non c', ogni momento costantemente differito. Quindi non pu
esserci felicit per noi.
Ma se non altro adesso possiamo comprendere la nostra ossessione per le
sensazioni: il sintomo di qualcosa di molto pi profondo. Il pensiero
assillante di doversi sentire in un certo modo - l'idea ampiamente diffusa
che sia questo ci che nella vita pi importante - un tentativo di
reclamare qualcosa che il nostro vivere nel passato e nel futuro ci ha
sottratto: il momento. Questo, per noi, non pi una possibilit reale. Ma
anche se potessimo essere felici, anche se fossimo quel tipo di creatura per
cui la felicit una possibilit reale, non sarebbe questo il punto.
Il vero orrore della punizione di Sisifo non sta ovviamente n nella sua
difficolt, n nel fatto che rende Sisifo cos disperatamente infelice. L'orrore
consiste tutto nell'assoluta inutilit della punizione. Non si tratta
semplicemente del fatto che la fatica di Sisifo non produce alcun risultato.
Pu capitarvi di dovere svolgere un compito significativo e di non riuscire a
portarlo a termine con successo. I vostri sforzi non hanno portato a nulla e
questo pu essere motivo di tristezza e rimpianto. Ma non c' orrore.
L'orrore della fatica di Sisifo - che sia facile o difficile, che a Sisifo piaccia
o che la detesti - non nel fallimento dell'impresa, ma nel fatto che non c'
niente che possa essere considerato come successo. Che Sisifo riesca a
portare il masso in cima all'altura o meno, il masso rotoler comunque di
sotto e il lavoro dovr ricominciare da capo. La fatica di Sisifo inutile.
Non mira a nulla. Il suo compito sterile quanto il masso.
Questa osservazione potrebbe indurci a pensare che, se solo potessimo
trovare uno scopo alla fatica di Sisifo, il problema sarebbe risolto. Sarebbe
lo scopo, piuttosto che la felicit, la cosa pi importante da trovare nella
vita, che sia la vita di Sisifo o di chiunque altro. Ma, ancora una volta, non
credo che questa visione sia corretta. Per capire perch, supponiamo che ci
fosse un senso nella fatica di Sisifo. Supponiamo che ci fosse un obiettivo
verso il quale erano indirizzati i suoi sforzi. Il masso, invece di rotolare gi
Sisifo verso la vetta e ogni giorno della nostra vita come uno dei passi di
Sisifo in quel viaggio. C' un'unica differenza: chi spinge ogni volta di
nuovo il masso su per l'altura Sisifo stesso, mentre noi lasciamo questo
compito ai nostri figli.
Mentre oggi andate al lavoro, a scuola o dovunque dobbiate andare,
osservate la folla affaccendata. Che cosa sta facendo tutta quella gente?
Dove sta andando? Focalizzate l'attenzione su un individuo a caso. Forse sta
andando in ufficio, dove oggi far le stesse cose che ha fatto ieri e dove
domani far le stesse cose che ha fatto oggi. Il rapporto deve essere sulla
scrivania della signora X entro le tre del pomeriggio - questo cruciale - e il
nostro individuo non deve dimenticare l'appuntamento delle quattro e
mezzo con il signor Y; se l'incontro non dovesse andare bene, le
conseguenze per la sua azienda nel mercato nordamericano saranno molto
gravi. Si rende conto che sono tutte questioni molto importanti. Forse
questo genere di cose gli piace, forse no. Le fa comunque, perch ha una
casa e una famiglia e deve crescere i suoi figli. Perch? Perch tra qualche
anno i suoi figli possano fare pi o meno le stesse cose che fa lui, pi o
meno per le stesse ragioni, e procreare figli i quali, a loro volta, faranno pi
o meno le stesse cose, pi o meno per le stesse ragioni. A quel punto
saranno loro a preoccuparsi dei rapporti, delle riunioni e dei risultati nel
mercato nordamericano.
questo il dilemma esistenziale che ci rivela Sisifo. Come l'uomo che
deve incontrare la signora X e il signor Y e preoccuparsi del mercato
nordamericano, noi possiamo riempirci la vita con piccoli obiettivi, con
minuscoli scopi, i quali per non possono dare significato alla vita, dato che
tendono solo alla propria ripetizione, eseguita da noi o dai nostri figli. Ma se
dovessimo trovare uno scopo che fosse abbastanza ambizioso da dare
significato alla nostra vita - e non sono sicuro di sapere quale potrebbe
essere -, allora dovremmo, a ogni costo, fare in modo di non raggiungerlo
mai. Se lo raggiungessimo, la nostra vita perderebbe di nuovo significato.
Certo, sarebbe simpatico se potessimo far coincidere il raggiungimento
dell'ambizioso scopo che d significato alla vita con il nostro ultimo respiro.
Ma che tipo di scopo pu essere raggiunto nel momento della nostra
massima debolezza? E se possiamo raggiungerlo nel momento della
massima debolezza, perch non ci siamo riusciti prima? Dobbiamo pensare
al significato della vita come a un pesce che abbiamo tenuto agganciato
all'amo per un certo tempo e che tiriamo fuori dall'acqua solo prima di
morire? Che razza di significato ? E che razza di pesce pu mai essere, se
riusciamo a portarlo a riva proprio quando le forze ci vengono a mancare?
avere molto importante. Una scimmia valuta se stessa in base a ci che ha.
Ma per un lupo cruciale essere, non avere. Per un lupo ci che pi importa
nella vita non possedere una data cosa o una quantit di cose, ma essere
un certo tipo di lupo. Tuttavia, anche se ammettiamo questo, la nostra anima
scimmiesca cercher subito di ribadire il primato del possesso. Essere un
certo tipo di scimmia qualcosa che possiamo sforzarci di ottenere. Essere
un certo tipo di scimmia solo uno dei tanti scopi che possiamo avere. La
scimmia che vogliamo essere un obiettivo verso il quale possiamo
progredire. qualcosa che possiamo realizzare, se siamo abbastanza in
gamba, abbastanza operosi e abbastanza fortunati.
La lezione pi importante e difficile da imparare nella vita che le cose
non stanno cos. La cosa pi importante nella vita qualcosa che non si
potr mai possedere. Il significato della vita si trova proprio in ci che le
creature temporali non possono possedere: i momenti. questa la ragione
per cui per noi cos difficile individuare un significato plausibile della
vita. I momenti sono l'unica cosa che noi scimmie non possiamo possedere.
Il nostro possesso delle cose si basa sulla cancellazione del momento:
attraversiamo i momenti al fine di possedere gli oggetti dei nostri desideri.
Vogliamo possedere le cose cui diamo valore e che reclamiamo; la nostra
vita un unico, grande land grab. Ed per questo che siamo creature del
tempo e non del momento, di quel momento che sfugge sempre dalle nostre
dita pronte ad afferrare e dai pollici opponibili.
Affermando che il significato della vita si trova nei momenti non sto
riprendendo quelle superficiali prediche che ci esortano a vivere nel
momento. Non raccomanderei mai di cercare di fare qualcosa
d'impossibile. Piuttosto, l'idea che ci siano alcuni momenti. Non tutti,
certo, ma ci sono alcuni momenti. E nell'ombra di quei momenti scopriremo
ci che pi importa nella vita. Questi sono i nostri momenti pi alti.
Senza dubbio l'espressione momenti pi alti pu indurci in errore,
orientandoci di nuovo in direzione di quella visione del significato della vita
che dovremmo respingere. Probabilmente pensiamo ai nostri momenti pi
alti in uno dei tre modi seguenti, tutti sbagliati. Il primo modo pensare ai
nostri momenti pi alti come a quelli verso i quali la nostra vita pu
progredire, momenti in vista dei quali le nostre vite stanno lavorando,
momenti che possiamo raggiungere, se siamo abbastanza in gamba e
operosi. Ma i momenti pi alti non sono il culmine della nostra vita, non
sono la meta della nostra esistenza. I momenti pi alti sono disseminati
lungo la vita. Sono momenti sparsi nel tempo: le piccole onde create da un
lupo che sguazza nelle calde acque estive del Mediterraneo.
Cartesio, durante la sua lunga, buia notte dell'anima, trov rifugio in un Dio
che non lo avrebbe mai ingannato. Cartesio poteva dubitare praticamente di
tutto: del fatto che ci fosse un mondo fisico intorno a lui e che lui stesso
avesse un corpo fisico. Da matematico e logico di talento quale era, poteva
mettere in dubbio le verit della matematica e della logica. Ma non poteva
dubitare dell'esistenza di un Dio buono e gentile. Quel Dio non avrebbe mai
permesso che lui venisse ingannato, purch lui fosse stato sufficientemente
attento nel valutare le proprie convinzioni.
Probabilmente Cartesio si sbagliava. C' una differenza tra un Dio buono
e un Dio gentile. Un Dio buono forse non permetterebbe che noi venissimo
ingannati. Ma un Dio gentile quasi certamente s. I momenti pi alti della
vita sono assai duri e opprimenti. C' una ragione per cui il valore della
nostra vita pu esserci rivelato solo in determinati momenti. Non siamo
abbastanza forti perch ci venga rivelato in qualsiasi altro modo. Anche se
non sono religioso in nessun senso convenzionale del termine, a volte,
quando ripenso alla notte della morte di Brenin, all'attimo in cui guardai
attraverso le fiamme della sua pira funebre e vidi il suo fantasma di pietra
restituirmi lo sguardo, penso che Dio mi stesse dicendo: Va tutto bene,
Mark, sul serio. Non dev'essere sempre cos dura. Sei al sicuro. Questa
sensazione, ritengo, l'essenza della religione degli uomini.
Perci a volte mi chiedo se questo non sia il sogno incredibilmente bello
di un morto, un sogno regalatogli da un Dio gentile, e non dal Dio buono di
Cartesio. Questo un Dio che permette che io venga ingannato, proprio
perch quello che un Dio gentile fa. Lo stesso Dio che quella notte
maledissi con il mio respiro morente.
Me lo chiedo perch se quella notte Dio mi fosse apparso, mi avesse dato
carta e penna e mi avesse chiesto di scrivere come avrei voluto che fosse la
mia vita da quel momento in poi, non avrei potuto descriverla meglio. Oggi
sono sposato con Emma, che non solo la donna pi bella che abbia mai
visto, ma anche la persona pi gentile che abbia mai conosciuto, una
persona che indiscutibilmente, palesemente, irrimediabilmente e
categoricamente superiore a me.
La spirale della mia carriera ha continuato a salire: dopo essere stato un
modesto assistente in un'ancor pi modesta universit, ignorato da tutti,
adesso mi vedo offrire stipendi inverosimilmente esagerati dalle migliori
universit degli Stati Uniti. I miei libri sono diventati best seller, o almeno
ci che passa per best seller nella rarefatta atmosfera dell'editoria
accademica. E non sono pi il tipo di persona che capace, o che
prenderebbe mai in considerazione l'idea, di bersi due litri di Jack in una
volta sola, qualunque fossero le circostanze o le motivazioni. Come dovete
avere capito, non si arriva a diventare il tipo d'uomo in grado di bere in quel
modo senza molti, molti anni di costante e scrupoloso allenamento.
Non sto raccontando tutto questo per gloriarmi o perch sia
particolarmente compiaciuto di me stesso. vero anzi il contrario: sono
sinceramente sconcertato. Lo dico perch so che niente di tutto questo, alla
fine, ci che fa di me una persona degna. Mentirei se dicessi che non ne
sono orgoglioso, ma, al tempo stesso, diffido di questo orgoglio.
l'orgoglio della scimmia, della mia cupa, furtiva anima scimmiesca, quella
convinta che la cosa pi importante nella vita riuscire ad arrivare in cima
mediante ragioni strumentali e tutto ci che ne consegue. Ma quando
ricordo Brenin, ricordo anche che la cosa pi importante il te stesso che
resta quando i tuoi calcoli falliscono, quando i complotti che hai ordito
finiscono e le bugie che hai raccontato ti si bloccano in gola. In ultima
analisi tutta - ma proprio tutta - fortuna e gli di possono portartela via con
la stessa rapidit con cui te l'hanno concessa. La cosa pi importante la
persona che sei quando la fortuna finisce.
Nella notte in cui ho sepolto Brenin, nel calore rosato della sua pira
funebre e nel pungente freddo notturno della Linguadoca, troviamo la
condizione umana fondamentale. Una vita vissuta nel calore rosato e nella
dolcezza della speranza quella che ciascuno di noi sceglierebbe, se
potesse. Saremmo pazzi, se non lo facessimo. Ma la cosa pi importante
quando arriva il momento - e il momento arriva sempre - vivere la vita
con la freddezza di un lupo. Una vita del genere troppo dura, troppo rigida
e noi potremmo solo avvizzire. Ma arrivano momenti in cui siamo in grado
di viverla. Sono questi momenti che ci rendono degni perch, in
conclusione, solo la nostra sfida che ci redime. Se i lupi avessero una
religione - se esistesse una religione del lupo -, questo ci che ci direbbe.
Non potevo lasciare le ossa di Brenin a riposare tutte sole nel Sud della
Francia. Cos acquistai una casa nello stesso paese. Nelle nostre passeggiate
quotidiane passavamo sempre a salutare il suo fantasma di pietra. Ma da
Miami che sto scrivendo queste ultime frasi. Alla fine ho ceduto a uno di
quegli stipendi inverosimilmente esagerati di cui parlavo. Emma e io siamo
arrivati qui pochi mesi fa. Nina e Tess ci sono ancora e non occorre dire che
sono venute con noi. Nina continua a svegliarmi ogni mattina alle sei e, se
non ho mani o piedi esposti, si d da fare con le lenzuola fino a scoprirmi.
Leccata, leccata: non sai che ci sono persone che dobbiamo vedere e posti in
cui dobbiamo andare? Ma sia Nina sia Tess cominciano a mostrare i segni
dell'et. Passano quasi tutto il giorno dormendo, accanto alla piscina, in
giardino o sul divano. Non posso pi andare a correre con loro. Avevo
ripreso a correre dopo la morte di Brenin, con loro grande gioia. Ma adesso
dopo un paio di chilometri restano troppo indietro e quindi la cosa non ha
pi senso. Forse per un po diventer grasso e lento insieme alle mie due
ragazze, esattamente come mi successe con Brenin. Comunque, quelle
due apprezzano molto le nostre tranquille passeggiate lungo Old Cutler
Road, dove trovano ancora l'energia per intimidire tutti i cani americani che
incontrano, di gran lunga troppo entusiasti ed eccitabili, troppo giovani, per
i loro gusti. Sono sicuro che sono molto felici di riuscire ancora a
terrorizzare tutti i cani locali. Cani e relativi padroni attraversano la strada
per evitarci. Ma okay. Se conosco bene Nina e Tess, sono certo che
vogliono uscire di scena da cani di prim'ordine. Ma si stanno spegnendo,
tutte e due. Il caldo davvero un bene per l'artrite di Nina: credetemi, so
come si sente.
A volte ho una sensazione, una sensazione stranissima. Quella di essere
stato un lupo e di essere adesso solo uno stupido labrador. Brenin arrivato
a rappresentare una parte della mia vita che non c' pi. una sensazione
dolceamara. Sono triste perch non sono pi il lupo che ero. E sono felice
perch non sono pi il lupo che ero. Ma, soprattutto, un tempo sono stato un
lupo. Io sono una creatura del tempo, ma ricordo ancora che ci che conta
sono i momenti pi alti - momenti sparsi lungo la vita come chicchi d'orzo
all'epoca del raccolto - non dove cominci e non dove finirai. Forse non si
pu restare lupo per tutta la vita. Ma non mai stato questo il punto. Un
giorno gli di decideranno di nuovo di non darmi speranza. Forse succeder
presto. Spero di no, ma so che succeder. Quando accadr, far del mio
meglio per ricordare il cucciolo di lupo afferrato per il collo e inchiodato a
terra.
Ma qui c' la verit del branco: i nostri momenti non sono mai nostri. A
volte i miei ricordi di Brenin si colorano di un bizzarro senso di stupore.
come se i ricordi fossero composti da due immagini parzialmente
sovrapposte: intuisci che le immagini sono collegate in un modo importante,
ma sono troppo confuse per distinguerle bene. E poi, all'improvviso, le
immagini convergono, di colpo a fuoco come quelle di un vecchio
caleidoscopio. Ricordo Brenin accanto a me, lungo le linee di touche del
campo da rugby a Tuscaloosa. Lo ricordo seduto vicino a me alle feste del
dopopartita, quando le belle ragazze dell'Alabama si avvicinavano e mi
dicevano: Adoro il tuo cane. Lo ricordo correre con me nelle strade di
Tuscaloosa e, quando tali strade si trasformano nei sentieri della campagna
irlandese, ricordo il branco che mi correva accanto, adeguando il passo al
mio. Ricordo tutti e tre saltare come salmoni nei mari d'orzo. Ricordo
Brenin che muore tra le mie braccia sul retro della jeep quando il veterinario
gli conficca l'ago nella vena della zampa anteriore destra. E quando avviene
la convergenza delle immagini, mi domando: quello ero proprio io? Sono
stato proprio io a fare quelle cose? Quella davvero la mia vita?
Questa percezione a volte mi colpisce come una scoperta vagamente
surreale. Non me che ricordo lungo la linea di touche a Tuscaloosa: il
lupo che mi camminava accanto. Non me che ricordo alle feste: il lupo
che mi sedeva vicino e le belle ragazze mi rivolgevano la parola grazie a lui.
Non me che ricordo correre lungo le strade di Tuscaloosa o i sentieri di
campagna di Kinsale: sono i lupi che adeguavano il loro passo al mio. Il
ricordo di me stesso sempre rimosso. Che addirittura io sia in quei ricordi
non scontato: a volte un bonus fortuito che dev'essere scoperto.
Non ricordo mai me stesso. Ricordo me stesso solo attraverso i miei
ricordi di altri. E qui ci troviamo a confrontarci in modo decisivo con la
fallacia dell'egoismo, l'errore fondamentale della scimmia. Quello che
importa non ci che abbiamo, ma chi siamo stati quando eravamo al
nostro meglio. E chi eravamo quando eravamo al nostro meglio ci rivelato
solo in certi momenti, i nostri momenti pi alti. Ma i nostri momenti non
sono mai del tutto nostri. Anche quando siamo davvero soli, quando il pit
bull ci tiene bloccati a terra e noi siamo solo cuccioli facili da fare a pezzi,
il cane che ricordiamo, non noi stessi. I nostri momenti - quelli pi
meravigliosi e quelli pi terrificanti - diventano nostri solo attraverso i
nostri ricordi di altri, che questi altri siano buoni o cattivi. I nostri momenti
appartengono al branco ed attraverso il branco che ricordiamo noi stessi.
Se io fossi stato un lupo invece di una scimmia, di me si sarebbe detto che
ero un solitario. A volte un lupo lascia il proprio branco e si allontana nei
boschi per non tornare mai pi. Ha iniziato un viaggio e non far pi
ritorno. Nessuno sa perch alcuni lupi si comportano cos. C' chi ipotizza
un desiderio genetico di riproduzione, unito all'indisponibilit di aspettare il
proprio turno per risalire la gerarchia del branco. Alcuni sostengono che i
lupi solitari siano esemplari particolarmente asociali che, a differenza dei
lupi normali, non gradiscono la compagnia dei loro simili. Io posso
identificarmi, a modo mio, in entrambi i soggetti ipotizzati. Ma chi lo sa?
Forse certi lupi pensano semplicemente che l fuori c' un grande, vecchio
mondo e che sarebbe un peccato non vederne la maggior parte possibile. In
realt non ha importanza. Alcuni lupi solitari muoiono soli. Alcuni, quelli
fortunati, incontrano altri come loro e formano nuovi branchi.
E cos, per una strana svolta del destino, la mia vita adesso la migliore
che abbia mai avuto, almeno a giudicare da quanto sono felice. Mentre
scrivo queste parole, Emma ormai pronta a entrare in travaglio. B, in
realt lo gi da qualche giorno. Ci sono parecchi, chiari segnali uterini, ma
Ringraziamenti