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Il servo fedele e prudente - 11 dicembre

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Mt 24,45-51 (Lezionario feriale di Bose)


Chi dunque il servo fedele e prudente, che il padrone ha messo a capo dei suoi domestici per dare loro
il cibo a tempo debito? 46Beato quel servo che il padrone, arrivando, trover ad agire cos! 47Davvero io
vi dico: lo metter a capo di tutti i suoi beni. 48Ma se quel servo malvagio dicesse in cuor suo: Il mio
padrone tarda, 49e cominciasse a percuotere i suoi conservi e a mangiare e a bere con gli ubriaconi, 50
il padrone di quel servo arriver un giorno in cui non se l'aspetta e a un'ora che non sa, 51lo punir
severamente e gli infligger la sorte che meritano gli ipocriti: l sar pianto e stridore di denti.
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In questa similitudine che esorta all'attesa del ritorno del Signore si parla di un servo cui il padrone ha affidato la cura, il
nutrimento di quelli della casa, i conservi. Questo servo siamo ciascuno di noi, chiamati a farci carico dell'altro, di chi
vive con noi, accanto a noi, l'altro verso il quale ci facciamo prossimo in quell'unica casa del Signore che la terra
abitata, il mondo affidato alle nostre cure. Nostro compito essere fedeli al mandato e prudenti nel compierlo, cos
saremo beati di quella beatitudine che consiste nella piena comunione con il Signore. Una beatitudine che si realizza
nel servizio agli altri. Del resto, ce lo ricorda il pi ampio brano parallelo di Luca (Lc 12,35-48), il nostro Signore un
padrone che al suo ritorno si cinger le vesti e si metter a servire i suoi stessi servi, paradosso di un padrone che
manifesta la sua signoria nel servizio, scandalo di un ministero che non avr fine perch il servizio la manifestazione
della carit che non viene mai meno (cf. 1Cor 13,8).
Certo, per restare fedeli e prudenti, per abitare la beatitudine promessa necessario credere al ritorno del Signore e
attenderlo come imminente. Dubitare della promessa, sospettare un ritardo da parte del Signore gi lasciarsi andare
allo stordimento, ottenebrare la propria mente e il proprio cuore e comportarsi da nemico nei confronti del prossimo che
ci stato affidato. Non a caso, le battiture verso i compagni di servizio precedono e non seguono l'ubriachezza e la
crapula: prima cessiamo di vedere l'altro come un fratello, una sorella, qualcuno per cui Cristo morto (cf. Rm 14,15) e
poi, conseguenza inevitabile, cerchiamo l'oblio nel mangiare e bere vissuto non come atto di comunione e di
condivisione, ma come bulimia di chi pensa solo a se stesso.
Ora, il ritorno del Signore avviene in un giorno che non ci si aspetta e in un'ora che non si sa perch, in attesa di quello
alla fine dei tempi, c' un ritorno di Cristo quotidiano, feriale, che assume i tratti dell'altro, del povero, del malato, del
carcerato, dello straniero immigrato Nel servizio quotidiano reso agli altri, nella condivisione dei beni ricevuti, nella
sottomissione reciproca, nell'offerta all'altro della razione di cibo che lo nutre e lo fa vivere noi cristiani siamo chiamati ad
attendere il regno che ci stato donato. Certo, il non lasciarsi andare, il non scadere nella routine, il custodire nella
piccolezza il nostro cuore affinch non si esalti, il non ricercare cose grandi di una grandezza che non il Signore, tutto
questo comporta vigilanza e lotta quotidiana, discernimento comune, obbedienza tra compagni di servizio. Ma non
dobbiamo temere: assieme alla responsabilit dell'altro ci sono stati dati anche i mezzi per portarla a compimento.
Nessuno, infatti, tentato al di l delle proprie forze (cf. 1Cor 10,13): si tratta solo si esserne consapevoli e di vivere nella
gratitudine e nella vigilanza questo tempo che il nostro, il tempo in cui l'amore del Signore diventa tangibile grazie
all'amore degli uni verso gli altri, quel povero amore di cui siamo capaci e del quale ci sar chiesto conto.
Fratel Guido

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