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VITTORIO ALFIERI (16 gennaio 1749- 8 ottobre 1803)

(liberamente tratto da Barberi-Squarotti, Luperini, vari)

Tomba di Alfieri in Santa Croce a Firenze (Canova)

Le principali coordinate ambientali, culturali, letterarie in cui si


inseriscono la figura e l' opera di Vittorio Alfieri si possono cos
sintetizzare. Nella seconda met del Settecento lIlluminismo, sia
a livello ideologico sia nelle sue concrete applicazioni, ormai
diffuso nella maggior parte del territorio europeo ed italiano; ma
il Piemonte sabaudo ne appena sfiorato, rimanendo
sostanzialmente un ambiente chiuso e provinciale. Nel contesto
piemontese, Asti - dove vive la famiglia dei conti Alfieri - un
piccolo centro piuttosto isolato e sonnolento. Da questo ambiente
il poeta riceve suggestioni, gusti, abitudini, stili di vita particolari
che si rifletteranno inevitabilmente nelle sue scelte di vita,
affettive, ideologiche e poetiche. La sua, inoltre, una famiglia in
qualche modo atipica: la morte precocissima del padre, i tre
matrimoni della madre (Vittorio nasce dalle seconde nozze e la
rigida educazione cui sottoposto, prima in casa e poi in un
collegio militare, lo privano del calore di un'autentica famiglia).
Ai fattori ambientali e familiari si deve aggiungere la situazione del teatro tragico del
Settecento, genere privilegiato di espressione del nostro.
Gli autori tragici italiani del
Settecento sono impegnati in una generale emulazione del teatro francese (nella seconda met
del Settecento la Francia ha la leadership culturale in Europa); in questa direzione si muove,
sia pure con caratteri atipici, anche Alfieri. In Francia la tragedia gode ancora della gloria dei
grandi autori del Seicento, Jean Racine e Pierre Corneille su tutti; ha per argomenti principali
gli amori, i sentimenti dell'uomo, messi in scena attraverso vicende tratte dall'antichit grecolatina o ambientati in una cornice biblica o orientale. In Italia, per tutto il Settecento, fino ad
Alfieri, manca una figura di primo piano nel settore della tragedia: l'unico autore di rilievo ,
Scipione Maffei, la cui Merope del 1713. La tragedia francese settecentesca, inoltre, in
stretto rapporto con il melodramma, che da sempre sceglie personaggi e sfondi nell'antichit
classica e nella mitologia (attraverso le Storie di Livio e Svetonio, lEneide di Virgilio, le Vite di
Plutarco, le Metamorfosi di Ovidio, ecc.). Nella seconda met del Settecento lo studio e il
recupero del mondo classico sono stimolati anche da una serie di importanti scoperte
archeologiche (gli scavi di Pompei ed Ercolano, soprattutto, che segnano la nascita del gusto
neoclassico): ne deriva, nei personaggi teatrali, la perdita di gran parte dei caratteri galanti ed
arcadici a favore di una nobile semplicit e quieta grandiosit (indicate come meta suprema
dell'arte dall'archeologo prussiano Winckelmann, teorizzatore dell'estetica neoclassica); si
ricerca il sublime, in opposizione alla frivolezza e alla fatuit; come nel teatro greco, sul
palcoscenico i personaggi si scontrano con la divinit in una lotta diretta, eroica e senza
scampo. Negli ambienti evoluti di tutta Europa (ma particolarmente in Inghilterra e in Francia),
infine, si diffonde anche la convinzione, desunta da Tacito e dallo Pseudo Longino, che la
tirannide significhi la morte delle arti.
(Tacito: Publio Cornelio Tacito (55 c.-120 c. dC), il grande storico latino dell'et imperiale, autore del Dialogo degli
oratori, delle Storie e degli Annali, le sue opere maggiori. Pseudo Longino: con questo nome viene indicato l'autore del
trattato Sul Sublime, che la critica moderna ha posto nel 1 secolo d.C.)

Lesistenza di Alfieri si svolge all'insegna dell'inquietudine e del pi acceso individualismo: come


ha notato Vittore Branca, il poeta sembra percepire se stesso non solo come il centro
dell'universo, ma addirittura come l'universo stesso. Nelle sue opere, in prosa o in versi, il
centro di gravit attorno al quale tutti gli elementi si organizzano , infatti, l'individualit
dellautore; ad essere osservati da ogni prospettiva sono in definitiva sempre le sue esperienze

personali, i suoi conflitti interiori, i desideri e le passioni individuali, in una sorta di perpetuo
autobiografismo. Continui viaggi, avventure e una fitta trama di avvenimenti costellano i poco
pi di cinquant'anni di vita del poeta, espressione di un temperamento complesso, tormentato,
polemico, talvolta aspramente snobistico, gi in qualche modo simile al carattere dell'artista
romantico.
Tragedie a parte, la produzione poetica di Alfieri costituita principalmente dalle Rime e dalle
Satire, alle quali vanno aggiunti il poemetto LEtruria vendicata, le odi de L'America libera,
l'ode Parigi sbastigliata, il Misogallo (satira mista di poesia e prosa).
Le Rime sono il canzoniere poetico di Alfieri, costituito da 351 componimenti (soprattutto
sonetti, ma anche canzoni, odi, epigrammi, stanze, capitoli in terza rima), scritti nell'arco di
tempo che va dal 1776 al 1798 e pubblicati in parte dall'autore stesso nel 1789, in parte
postumi nel 1804.
Le prime Rime possono configurarsi come l'apprendistato stilistico di Alfieri. Cronologicamente
sono contemporanee delle prime tragedie, delle quali riflettono temi e caratteri: la forza delle
passioni, l'anelito verso la libert, l'ammirazione per i grandi personaggi dell'antichit, ecc.
Le rime della maturit, invece, sono imbevute di malinconia e di una profonda percezione della
solitudine. Rappresentano l'approdo a un ideale compiutamente classico di pacata
contemplazione: l'individualismo ancora dominante, ma esprime, pi che l'eroica grandezza
dell'autore, il segno di una raggiunta coscienza di integrit e coerenza morale.
I motivi ispiratori delle Rime sono vari e, a seconda del momento, di diversa intensit: dal
tema d'amore si passa al culto della libert, al colloquio ideale con i grandi poeti del passato
(Dante, Petrarca, Tasso), all'angoscia per le condizioni dell'Italia, e poi alla meditazione sui
valori della vita e sul mistero della morte, alla solitudine, alla malinconia. Il taglio talvolta di
pura imitazione letteraria, tal altra pi originale e profondo; dai toni oratori, retoricamente e
ideologicamente sostenuti, si passa al registro lirico e intimistico (in particolare nelle poesie
dedicate a Luisa Stolberg). Al di l delle variazioni contenutistiche e stilistiche, tuttavia, si pu
cogliere una sostanziale unitariet tematica e di impianto. Fa da costante, da elemento
unificante, l'autobiografismo: le Rime sono, in definitiva, una sorta di diario, di autobiografia
poetica, in cui si riflettono tutti i tratti della complessa e tormentata personalit dell'autore.
Il modello letterario delle Rime il Canzoniere di Petrarca, che Alfieri tuttavia rilegge
direttamente, senza la mediazione del petrarchismo rinascimentale e dell'imitazione arcadica.
Nei contenuti di Petrarca Alfieri vede rispecchiate le tensioni del proprio animo e i conflitti della
propria esistenza, ritrova i propri tormenti d'amore, il bisogno di solitudine, lo scavo
nell'individualit, la consapevolezza della frattura fra il reale e l'ideale, l'attenzione al paesaggio
come specchio dei moti interiori (ai connotati dei paesaggi petrarcheschi, tuttavia, Alfieri
aggiunge elementi orridi e tempestosi). Dallo stile di Petrarca Alfieri desume l'esigenza della
misura, del rigore classico, dell'elaborazione formale come strumento imprescindibile per
filtrare, equilibrare, esprimere in maniera artisticamente rasserenata il magma dei sentimenti e
delle idee.
In tal senso, la forma prediletta da Alfieri quella del sonetto. Sempre sulla base
dell'insegnamento di Petrarca, questo componimento gli sembra il pi idoneo, per struttura e
misura, a contenere e disciplinare le effusioni dell'animo, l'ideale cornice formale del proprio
discorso poetico, altrimenti incline all'enfasi. A differenza del Canzoniere di Petrarca, le Rime
alfieriane non giungono a dare vita, n dal punto di vista ispirativo n sotto il profilo
strutturale, ad un tutto unico, liricamente e linguisticamente compatto: restano piuttosto un
insieme di episodi, di momenti isolati, un diario intimo nel quale sono comunque in primo piano
le dissonanze, le tensioni, le disarmonie. Ma questo , in fondo, il marchio della loro
autenticit.
Le Satire (1786-1797) sono 17 componimenti in terzine, nei quali l'autore vuole colpire i mali
del secolo usando toni fortemente polemici, volutamente privi di grazia e leggerezza. I suoi
bersagli sono: i corrotti costumi della societ; il governo monarchico assolutistico; la nobilt
cortigiana; gli eserciti a sostegno della tirannide; il popolino, vittima della demagogia; il ceto
borghese (La sesqui-plebe); le cattive leggi (Le leggi). E ancora: la filosofia razionalisticoilluministica (L'antireligioneria); l'umanitarismo e il paternalismo (La filantropineria); l'ipocrisia
delle sette politiche e religiose (Le imposture); i falsi e vuoti atteggiamenti dell'educazione del

tempo; l'esaltazione delle attivit commerciali e lucrose; il lusso; il costume dei duelli; gli
atteggiamenti sfacciati delle donne (Le donne). Hanno un taglio pi autobiografico I pedanti, in
cui Alfieri prende di mira coloro che criticano la sua opera, e soprattutto I viaggi, in cui
ripercorre con osservazioni divertite molte sue esperienze di vita.
La Vita, LEpistolario e Commedie
La principale opera in prosa di Alfieri la Vita di Vittorio Alfieri scritta da esso, un'autobiografia
che alcuni considerano la sua opera maggiore. Lopera divisa in due parti. La prima
comprende quattro epoche: la Puerizia (nove anni di 'vegetazione", dal 1749 al 1758),
preceduta da una Introduzione; l'Adolescenza (otto anni di "ineducazione', dal 1758 al 1766);
la Giovinezza (dieci anni dedicati ai viaggi e alle dissolutezze, dal 1766 al 1775) e la Virilit
(trent'anni ed oltre di studio e attivit letteraria, dal 1775 al 1790). La seconda parte,
continuazione della quarta epoca, costituita da dodici capitoli, che descrivono un arco di
tempo di tredici anni, dal 1790 al 1803. Il materiale - viaggi, esperienze, amori, letture, duelli
e quant'altro - organizzato in rigoroso ordine cronologico e con grande precisione.
La produzione di autobiografie molto diffusa nel Settecento. Il modello della Vita alfieriana
costituito in particolare dai Mmoires di Carlo Goldoni, pubblicati nel 1787, e da Les
confessions ("Le confessioni") di Rousseau, pubblicate tra il 1782 e il 1789. Nell'Introduzione
Alfieri afferma: allo studio dunque dell'uomo in genere principalmente diretto lo scopo di
quest'opera. E di qual uomo si pu egli meglio e pi dottamente parlare, che di se stesso? La
Vita dunque un'autobiografia e, come tale, documento prezioso per la conoscenza della
personalit dell'autore, delle sue vicende esistenziali, della sua formazione, del suo pensiero,
della sua poetica. Ma si tratta di un'autobiografia sui generis, a met strada fra documento di
vita, memoria, confessione e soprattutto autoritratto ideale. Vi sono narrati avvenimenti di
vario tipo: incontri, amori, paesaggi, ecc.; soprattutto vi sono riportate le sensazioni che luoghi
ed eventi suscitano nell'animo dello scrittore, analizzate e giudicate, sviscerate e riordinate
senza alcun apparente sentimentalismo. Non mancano giudizi poco indulgenti verso il proprio
operato; n manca - elemento da annoverare fra i maggiori pregi dell'opera - una chiara vena
autoironica.
Molte delle pagine della Vita hanno l'evidente scopo di costruire attorno alla figura dell'autore
una sorta di mito, di culto della personalit. Questo fatto testimoniato, fra l'altro, dal gioco
delle opposizioni fra il protagonista e tutta una serie di personaggi-comparsa citati al solo
scopo di fungere da termini di paragone (Metastasio, che si inchina all'imperatrice Maria
Teresa, suscitando lo sdegno di Alfieri, il quale si rifiuta di conoscerlo; l'episodio in cui il poeta
si fa legare a una sedia dal servitore per resistere alla tentazione di raggiungere la donna
amata; ecc.). Tutto vissuto dal protagonista altissimamente, in modo passionale e
determinato, con sprezzo dei pericoli e alta concezione del proprio ruolo, della propria
condizione di letterato. Non a caso il materiale autobiografico organizzato intorno al punto
centrale della 'conversione letteraria', vista come una specie di seconda nascita.
La formazione e lideologia Gli anni della formazione giovanile, fino alla "fuga da Torino e
alla scoperta della vocazione tragica, sono caratterizzati fondamentalmente da un rapporto
molto teso e dialettico tra la personalit del giovane e gli ambienti in cui egli vive. Ne
testimonianza La vita scritta da esso ovvero l'autobiografia alfieriana, fonte primaria
ovviamente per la conoscenza dell'esistenza del poeta, in particolare proprio dei suoi anni
giovanili, bench non si tratti, come s' visto, di un documento esauriente n totalmente
attendibile dal momento che il poeta vi delinea un autoritratto ideale.
Il primo contesto con cui si misura il giovane Alfieri , come gi accennato, il mondo
aristocratico astigiano, nel quale al provincialismo dello Stato sabaudo del secondo Settecento
si somma quello di un tipico ambiente nobiliare di periferia. Alfieri, carattere ora taciturno e
placido, ora loquacissimo e vivacissimo, subisce di questo contesto tutti i vantaggi, gli
svantaggi e gli inevitabili condizionamenti. Da un lato, l'ambiente garantisce allo scrittore una
tranquilla vita di nobile, senza problemi economici di alcun genere; dall'altro, sottolinea in
chiave aristocratica alcune connotazioni della prorompente personalit del giovane, come il
bisogno di emergere, una vigorosa volont di affermazione, la personalit ribelle e passionale,
aliena da ogni limite o legame.

Nella personalit di Alfieri la nobilt di censo riveste un significato esistenziale assai ampio.
Il
rifiuto di ogni vincolo e il desiderio di affermazione di una libert sentita come totale
realizzazione di s si combinano infatti con una completa estraneit alle vicende storiche,
sociali e culturali dell'Europa settecentesca. Lo Stato sabaudo sembra essere, all'epoca,
totalmente estraneo al rinnovamento illuministico (che invece vivace ed attivo, ad esempio,
nella Milano asburgica),- ed il poeta stesso a definirsi asino tra gli asini nel periodo della sua
formazione culturale presso l'Accademia di Torino.
Alfieri non giunge in contatto reale con i testi pi rilevanti dell'Illuminismo se non dopo la sua
"fuga da Torino verso l'Inghilterra e l'Olanda, dove trova societ e governi agli antipodi
rispetto al mondo piemontese.
Inoltre, dopo il distacco da Torino e la conseguente conoscenza di paesi stranieri, Alfieri non
solo inizia a prendere dimestichezza con i grandi dell'Illuminismo (Voltaire, Montesquieu,
Rousseau, Helvtius), ma anche con Machiavelli e Montaigne ed i classici dell'antichit,
soprattutto il greco Plutarco. Di quest'ultimo, per sua stessa ammissione, Alfieri rilegge pi
volte le Vite, dove le gesta eroiche dei protagonisti, impegnati nella lotta per la libert, trovano
nell'animo del giovane aristocratico una piena rispondenza (da quest'opera, pi tardi, attinger
anche alcuni personaggi delle tragedie). Nelle letture alfieriane si trovano con abbondanza,
accanto alle tragedie classiche, anche le opere del teatro tragico europeo contemporaneo.
I viaggi e la conoscenza degli esponenti dellAncien Rgime
I viaggi che Alfieri compie in Italia e in tutta Europa sono, in quanto tali, una consuetudine per
tutti i giovani nobili italiani. Alfieri tuttavia si differenzia per lo scarso desiderio di relazioni
mondane (si limita a frequentare poche, scelte persone, ad esempio Parini o l'amico Gori),
senza curarsi pi di tanto del lato frivolo della vita delle varie citt e senza ricercare in modo
particolare la vita delle corti, dove imperano l'adulazione e l'ipocrisia. Ad esempio, durante un
soggiorno a Vienna, Alfieri rifiuta di incontrare Metastasio dopo avergli visto compiere la
genuflessioncella d'uso davanti all'imperatrice Maria Teresa; si indigna dopo aver conosciuto
Federico II di Prussia, il cui Stato definisce universal caserma prussiana; si rifiuta di incontrare
Caterina II di Russia.
Le inquietudini e le contraddizioni di una vita
La figura di Alfieri uomo e artista non di facile definizione, sia per il suo dialettico rapporto
con la realt storico-sociale, sia per il complesso intrecciarsi in lui di componenti diverse.
Dall'ideologia illuministica Alfieri trae sicuramente gran parte della propria concezione del
mondo, dell'uomo e della storia, nonch la vivacit dei propri interessi morali e civili nella
ricerca di un rinnovamento dell'umanit.
Levoluzione del pensiero: dallapproccio allIlluminismo allideale di libert assoluta
Leducazione del giovane Alfieri avviene in direzione sensistica ed illuministica; tuttavia, tra il
pensiero alfieriano e l'ideologia dell'Illuminismo esistono distanze piuttosto varie ed articolate,
anche perch al poeta sembra mancare quella rigorosa preparazione filosofica che gli sarebbe
necessaria per elaborare una organica alternativa.
Dell'Illuminismo Alfieri condivide l'odio verso i regimi assolutistici, l'attenzione verso
l'autobiografismo, l'amore per i classici (sia nella scelta del genere tragico, sia nelle scelte
formali e tematiche). Tuttavia, a contatto con i caratteri forti e passionali del poeta,
l'Illuminismo ne risulta, per cosi dire, modificato e adattato.
In generale, si pu dire che manca ad Alfieri il lato ottimistico, costruttivo e riformatore.
dell'Illuminismo, anche a causa dell'ambiente provinciale in cui egli si forma. La personalit
aristocraticamente individualista di Alfieri non trova il modo di inserirsi con piena
consapevolezza nel flusso vitale della storia, n riesce a compiere un sereno confronto fra i
valori ideali e le esigenze reali; non conosce compromesso, non accetta mediazioni.
Matura per contro in Alfieri, nel corso degli anni, una forte tensione ideale verso una mitica
libert da tutto e da tutti. Prova avversione per il meccanicismo settecentesco (i gelati
filosofisti che da null'altro son mossi, fuori che dal due e due fan quattro), cui preferisce la
forza delle emozioni e delle passioni capaci di creativit e alte idealit. Non condivide inoltre il
cosmopolitismo degli illuministi: si sente ed , sostanzialmente, un isolato, lontano dal
consorzio civile e dal proprio stesso ceto (i viaggi compiuti in giovent sembrano pi una fuga
che un desiderio di ampliare le conoscenze). Non teorizza un felice equilibrio tra la ragione ed il

sentimento, ma sente piuttosto l'esigenza di una libert totale, svincolata sia dal freddo
controllo della ragione sia dal vil servaggio dei sensi (il sensismo). Prova fastidio per ogni
forma di potere e di mecenatismo (Del principe e delle lettere); perfino lamore gli appare
come un insostenibile legame, se un amore tristo che lo limita e lo ingolfa (come quello per
la odiosamata marchesa Gabriella Turinetti).
La sfiducia nella diffusione dei lumi
LIlluminismo, secondo Alfieri, non ha espresso alcuna concreta funzione educativa degli uomini
verso la libert (i lumi... sparpagliati fra i molti uomini li fanno assai pi parlare, molto meno
sentire/niente affatto operare); gli ideali di progresso e sviluppo dell'umanit attraverso i lumi
della ragione appaiono agli occhi del poeta come inutili sogni: non facile, per il popolo
oppresso, liberarsi dalla condizione servile e dall'abitudine al servilismo. Allo stesso modo,
Alfieri non considera con entusiasmo il procedere delle scoperte scientifiche n vede in esse il
presupposto di un autentico progresso dell'umanit, tanto meno una promessa di felicit.
Anche il progresso economico non che un abbaglio di maggiore civilt: favorisce infatti una
moltiplicazione numerica delle masse senza contribuire al vero progresso. Lumanit
dominata, per lui, da forza oscure; le umane sorti avvolte da un fascino ed un mistero sublimi
ed angosciosi nello stesso tempo.
Ai freddi orizzonti della filosofia Alfieri preferisce la compagnia dei grandi personaggi del
passato, gli esempi eroici, le forti individualit del mondo classico (non i suoi modelli di
societ). Le vite dei grandi sviluppano in Alfieri reazioni fondamentalmente "romantiche: le
legge, secondo la sua stessa testimonianza, con trasporto, grida, pianto e furore, agitatissimo
e fuori di s. Gli esempi dei grandi non lo spingono per ad assumere un concreto impegno
nella realt della sua epoca, n egli dimostra alcuna fiducia di poter intervenire nella situazione
italiana; il suo piuttosto un indeterminato sogno di libert e di grandezza, di cui si sente
unico protagonista. Ogni forma di potere e di organizzazione statale considerata un limite e
un ostacolo all'affermazione individuale. Ad Alfieri manca quindi, del successivo Romanticismo,
il senso storico e l'idea di una letteratura militante per la realizzazione di uno specifico
programma di libert. La sua ideologia svincolata dalla realt contingente, assestata su
posizioni individualistiche ed aristocratiche.
Per quanto riguarda le idee democratiche ed egualitarie propugnate dagli Illuministi, la
posizione di Alfieri nettamente negativa. Se, infatti, trova qualche lato positivo nelle idee
rivoluzionarie, non per le loro prospettive egualitarie ma solo in virt dei loro contenuti
sovversivi e antitirannici. Alfieri mostra una viva insofferenza nei confronti della tirannide; ma
prova un analogo fastidio anche nei confronti delle masse, cieche e passive, dei popoli.
Gli schiavi, in definitiva, son veramente nati a far concio, mentre il libero scrittore, prescelto
dalle Muse, ha il dovere di isolarsi dalle masse, dagli armenti, in una nobile eppure triste
solitudine. E questa la sostanza della posizione ideologica alfieriana, pur nelle sfaccettature e
nelle apparenti modifiche dovute alle circostanze o all'et: una posizione totalmente astratta,
"sentimentale", priva di qualsivoglia applicabilit pratica. Il libero pensatore, infatti, come
ricordato in Della tirannide, non ha alla fine altre vie praticabili che quelle estreme:
l'isolamento, il suicidio, il tirannicidio.
Lideologia politica di Alfieri, in sostanza, non n progressista n reazionaria. E piuttosto di
tipo anarcoide; espressione - come scrive. Vitilio Masiello - di un esasperato individualismo
eroico radicalmente antisociale, ansia di totale realizzazione di s, di integra e illimitata
affermazione del proprio io: la libert del grand'uomo e del superuomo, una libert riservata
all'aristocrazia dello spirito, ed in quanto tale, se pure ha un riflesso politico, non ha,
sostanzialmente, una autentica ispirazione politica.
E comunque significativo l'atteggiamento assunto da Alfieri verso i sistemi monarchici del
tempo. Egli dimostra una netta avversione per la monarchia francese e per la vita sociale
parigina; ammira invece la monarchia inglese, definendo il suo governo equalitativo, basato
cio su una radicata veste costituzionale, e considerando favorevolmente la vera libert che n'
figlia. Su questa linea si troveranno negli anni seguenti le posizioni di Mazzini e di altri
esponenti politici ottocenteschi.

Ugualmente significativo l'atteggiamento di Alfieri di fronte alle grandi rivoluzioni del suo
tempo, la rivoluzione americana e la rivoluzione francese. Dapprima egli aderisce
entusiasticamente, come molti altri intellettuali europei (Kant, Herder, Klopstock, Lavater
Goethe, ecc.); scrive anche, nel primo caso, le cinque odi ne L'America libera e, nel secondo,
l'ode Parigi sbastigliato. Ma quando si attenua l'entusiasmo originario e il poeta si rende conto
che la libert assoluta, cui egli aspira, non stata realizzata, prende le distanze dai moti
rivoluzionari. Ai suoi occhi essi hanno prodotto semplicemente la sostituzione di un potere
(quello dell'Ancien rgime) con un altro potere (quello della borghesia): quindi nulla
sostanzialmente mutato. Lideale del poeta non questo o quel tipo di governo, ma
l'assenza di un potere di qualsivoglia segno che eserciti un qualunque tipo di
limitazione sulla libert individuale.
La poetica alfieriana: autobiografismo con tratti di classicismo e preromanticismo
L'autobiografismo uno degli elementi principali che contraddistinguono l'intera opera
alfieriana, in prosa e in versi. Lattenzione verso il proprio io, le proprie emozioni, il proprio
mondo interiore (materia prima della Vita) sono presenti anche nei componimenti in versi di
Alfieri (le Rime) ed in lavori apparentemente lontani dalla finalit autobiografica, come le
tragedie. Forse anche per questo motivo, l'opera dichiaratamente autobiografica - la Vita -
quella che sembra meglio sopravvivere al trascorrere del tempo, a scapito della produzione
tragica, oggi rappresentata molto di rado.
Per quanto riguarda in particolare le tragedie, se si confrontano i caratteri dei personaggi con
i tratti salienti della personalit alfieriana (l'odio verso i tiranni, il desiderio di libert, la
solitudine, l'inquietudine, l'insofferenza verso i limiti, il desiderio di eroismo estremo, la forte
passionalit), si comprende che i primi (i caratteri dei personaggi) non sono forse altro che
personificazioni dei sentimenti, degli ideali e delle inquietudini della seconda (la personalit
alfieriana). Nelle tragedie alfieriane affiora il tormento esistenziale del poeta, accanto ad un
radicale rifiuto di ogni costrizione o imposizione; nella rappresentazione della tirannide e dei
suoi oppositori Alfieri sembra realizzare la personificazione di conflitti contenuti dentro la sua
mente, quasi che, dando loro voce e figura umana, riesca in qualche modo a comprendere e
gestire sentimenti e sensazioni altrimenti confusi e inconoscibili.
Di natura autobiografica sono anche le Rime. Come nel Canzoniere di Petrarca, l'io del poeta
sempre presente in primo piano, anche se in Alfieri questo fatto si carica di un estremismo
sconosciuto a Petrarca; il paesaggio sempre espressione dello stato d'animo soggettivo del
poeta; i contenuti sono le sue inquietudini, i suoi dissidi interiori, che per rimangono al livello
di gridi e singhiozzi a s stanti, senza trovare l'ordinamento ben congegnato del Canzoniere
petrarchesco.
Un altro elemento costante nella produzione alfieriana il riferimento ai modelli classici. Il
classicismo una connotazione distintiva degli intellettuali del Settecento, dall'Arcadia
all'Illuminismo e al Neoclassicimo: da un lato ha una funzione anti-barocca; dall'altro il segno
di una esigenza di ordine di impronta razionalistica; dall'altro ancora frutto di un ideale e
nostalgica tensione alla ri-creazione dei modelli antichi di bellezza e armonia. Il classicismo di
Alfieri in parte diverso da quello della sua epoca: per il poeta, riprendere i classici significa
identificarsi con un mondo di grandi personalit, come Cesare, Bruto, Catone. Di essi non
interessano tanto la concreta figura storica e le reali vicende, quanto la vigorosa affermazione
di se stessi contro la storia, contro i tiranni e contro la banalit del vivere. E sui singoli
personaggi, infatti, che si incentrano le tragedie alfieriane, sui loro drammi individuali,
esclusivi, portati all'estremo, e sul loro scontro con la realt concreta e banale dell'esistenza e
con le leggi sociali. E significativa, nel classicismo alfieriano, la predilezione per le opere di
Plutarco: in esse, il poeta trova un mondo classico completamente mitizzato, l'unico possibile
sfondo in cui ambientare personaggi di altissimo profilo morale, capaci di azioni eroicamente
assolute.

La formulazione pi organica e completa della poetica alfieriana contenuta nel trattato Del
principe e delle lettere. Di fronte alla massa degli schiavi passivamente asserviti alla tirannia e
colpevoli, inoltre, di scarsa sensibilit, si staglia la figura di uno scrittore di forte sentire,
desideroso di autentica libert e destinato per caratteri individuali innati a ricoprirsi di gloria. Il
poeta ha infatti un compito eroico: quello di accendere gli animi altrui con i suoi versi e di
instillarvi lo spirito di libert, il desiderio di grandi imprese, la ribellione alle prevaricazioni. Il
suo scrivere importante al pari dell'azione, contro una tirannide che non vista da Alfieri
come espressione di una forma di governo, ma come simbolo dei limiti imposti dalla realt al
desiderio di affermazione individuale. Assai significativa la conclusione di Del principe e delle.
lettere per il ruolo attribuito al letterato, sacerdote dell'umanit: egli deve muovere guerra alla
assoluta e mortifera potest, per scolpire nei popoli l'amor del vero, del grande, dell'utile, del
retto, e della libert che necessariamente da questi tutti deriva'.
Mosso da un divino impulso e da un bollore di cuore, il poeta spinto verso il sublime anche
dal confronto con i grandi del passato e dal desiderio di emularli. In lui si fondono valori
religiosi, umani e sentimentali: quel tratto di sublime che si sviluppa e sprigiona dalle pi
intime falde dell'animo: ella questa la superba e divina febbre dell'ingegno e del cuore. dalla
quale, pu nascere il vero bello ed il grande.
Su questa linea si possono cogliere diverse analogie tra Alfieri e il movimento dello Sturm und
Drang, che va sviluppandosi in quegli anni in Germania e fa da prologo al Romanticismo: un
comune rifiuto delle rigidezze illuministiche, un'esaltazione eroica dell'individuo, un'ansia
incontenibile di azione per la realizzazione di un'idea, un senso continuo di insofferenza per i
limiti dell'esistenza. Nei letterati tedeschi, tuttavia, si notano alcuni aspetti che non compaiono
in Alfieri: in particolare, un concreto avvicinamento alla storia ed un fiducioso contatto col
mondo e con la societ.
Il teatro. La poetica tragica (Luperini)
Accanto a un certo numero di opere rifiutate e di abbozzi, il corpus del teatro alfieriano consta
di sei commedie e di diciannove tragedie; ed a queste ultime che soprattutto viene
riconosciuta un'importanza centrale.
Le commedie furono composte negli ultimi anni e pubblicate postume nel 1806. In esse
troppo forte il risentimento che caratterizza la produzione tarda alfieriana, e troppo scarso il
senso dell'azione scenica, tanto pi necessario nel genere della commedia. Si tratta di
costruzioni per lo pi cerebrali, volte a raffigurare tesi politiche animate da un fastidioso buon
senso reazionario oppure a dare spunto a petizioni moralistiche.
Tuttaltro discorso dev'essere fatto per le tragedie, la cui elaborazione si svolge negli anni pi
fertili e ricchi della produzione alfieriana, assistiti inoltre da una profonda consapevolezza
teorica e da una autentica urgenza espressiva.
Le ragioni che indussero Alfieri a dedicare il massimo impegno nella composizione delle
tragedie sono varie, e tutte rilevanti.
C' intanto una ragione di temperamento. Quello di Alfieri era portato naturalmente alla
teatralizzazione dei conflitti interiori e alla radicalizzazione. E come se i vari personaggi
esprimessero da vari punti di vista l'identit dell'autore, prestando voci diverse al suo
protagonismo eroico e manifestandosi quali proiezioni del soggetto. Ci rende ragione della
mancata individuazione dei vari caratteri. Insomma: anche nelle tragedie si manifesta la vena
schiettamente autobiografica della personalit artistica alfieriana.
La scelta di misurarsi con il teatro tragico fu inoltre per l'autore come una vera e propria sfida.
Mancava infatti alla tradizione letteraria italiana un modello valido cui riferirsi. In tal modo il
bisogno di esprimere nella scrittura la propria personalit e di risolvere in essa il proprio
destino poteva attestarsi con assoluto risalto. In tale sfida, inoltre, potevano convivere la
ripresa dei grandi modelli letterari nazionali e la fondazione del nuovo, cio le due esigenze
letterarie pi avvertite da Alfieri. Vi erano infine ragioni ideologiche. Tanto i rapporti
interpersonali quanto le dinamiche storico-sociali erano ricondotte da Alfieri a una tipologia
fissa di tipo contrappositivo, fondata su antinomie elementari: bene/male, coraggio/vilt,

libert/tirannide. Il terreno della tragedia offriva a questa concezione le migliori possibilit di


espressione e di sviluppo.
Quest'ultima ragione porta con s anche la ricerca di una forma d'arte aristocratica ed elitaria,
ben distante dai generi (come il romanzo)) di maggior successo presso il nuovo pubblico
borghese, ignorato se non disprezzato da Alfieri. Ci si rileva anche nel rifiuto - in certo senso
anacronistico e provinciale - di misurarsi con il grande pubblico e con i meccanismi di diffusione
dei prodotti culturali. Le stampe delle tragedie furono infatti curate e pagate personalmente
dall'autore, e destinate a una circolazione ristretta; mentre le rappresentazioni escludevano
occasioni e teatri pubblici, per svolgersi in salotti aristocratici, affidate a compagnie di dilettanti
(fra cui i volte lautore stesso) e riservate a un ristrettissimo pubblico di invitati non paganti. La
rarit, oggi, con cui le tragedie alfieriane vengono messe in scena non soltanto il frutto di
un'evoluzione del gusto, ma si lega gi alla formula volutamente ardua della loro scrittura.
Lo stesso autore ha fornito esaurienti ragguagli circa il proprio metodo di composizione. Esso si
articolava in tre momenti ben distinti: ideare, stendere, verseggiare. La fase dell'ideazione
consiste nella scelta del soggetto, nello sviluppo della trama, nella distribuzione della materia
atto per atto e scena per scena, nella organizzazione del sistema dei personaggi. La stesura
consiste nello svolgimento in prosa dell'azione teatrale. Infine attraverso il terzo momento,
della versificazione, la tragedia prende l'aspetto definitivo, riorganizzandosi la prosa in
endecasillabi sciolti.
Il processo compositivo era dunque lungo e laborioso.
Le idee alfieriane intorno al proprio lavoro sono contenute in alcuni scritti teorici, dai quali
emerge una poetica consapevole e matura. Fondamentali sono soprattutto la Risposta
dell'autore (del 1783) a Ranieri de' Calzabigi, che gli aveva rivolto una lettera sulle prime sue
quattro tragedie, le Note composte nel 1785 in risposta a una lettera di Cesarotti, e infine Il
parere dellautore su le presenti tragedie (del 1789), allegato al volume conclusivo dell'edizione
Didot di Parigi.
Il modello adottato da Alfieri quello classico della tradizione aristotelica: la tragedia presenta
unit di luogo, di tempo e di azione; divisa in cinque arti e ridotta a un numero assai ristretto
di personaggi. Sia le tre unit aristoteliche, sia il numero ridotto di personaggi (in genere da
quattro a sei) rispondono a un'esigenza di concentrazione drammatica ed espressiva, in vista
della quale escluso il ricorso (frequente invece nel teatro francese) a figure secondarie, a
colpi di scena estrinseci alla dinamica dell'azione, a riconoscimenti e apparizioni. Luso
frequente dei monologhi valorizza la dimensione dell'interiorit e accresce la tensione intorno ai
personaggi, tutti essenziali allo svolgimento del dramma.
Lo stile e la metrica cooperano allinnalzamento della materia. Il lessico scelto ed elevato; la
sintassi si presenta carica di tensioni, costruita sui contrasti e irta di inversioni e di fratture;
alla naturalezza si sostituisce il senso dell'eccezionalit, cio la ricerca del sublime.
Lendecasillabo forzato in cerca di espressivit forti, potenziate dai frequenti enjambements:
ad Alfieri interessano la rottura e la disarmonia.
Ci che conta non lo svolgersi dell'azione, ma approfondire le ragioni che fanno precipitare la
tragedia verso la catarsi conclusiva. Lazione appare perci in qualche modo gi definita fin dal
principio, ineluttabilmente; e a essa si oppongono invano gli sforzi di quanti tentano di
ostacolarne il compimento. Il destino tragico di morte che segna gli eroi alfieriani d'altra
parte l'unico segno di grandezza in cui essi, dominati da passioni smisurate e spesso
inconfessabili, possano riaffermare al pi alto grado la propria identit e la propria fierezza.
Il periodo creativo di Alfieri, in campo tragico, non si stende oltre gli anni 1775-1788. La
composizione delle tragedie viene pertanto dopo la intensa stagione dei viaggi e si chiude in
una fase di ripiegamento esistenziale dell'autore. Il numero complessivo dei testi approvati
ammonta a diciannove, pubblicate a cura di Alfieri stesso presso l'editore parigino Didot tra il
1787 e il 1789.
LE TRAGEDIE Saul e Mirra (liberamente tratto da testi critici di Baldi, Masiello, Luperini,
Getto)
Saul (1782) , quattordicesima delle tragedie approvate dallautore, che la giudicava il proprio
capolavoro, tanto da voler concludere con essa la propria attivit teatrale. La fonte il Libro

dei Re della Bibbia, anche se trattato con una certa libert. La vicenda si svolge durante la
guerra fra Ebrei e Filistei. Re Saul si mostra sicuro della vittoria, ma un'angoscia prossima alla
follia lo tormenta: ha infatti esiliato il giovane David, il cui aiuto sarebbe decisivo, poich
invidioso della sua fama. N il generale Abner, n la figlia Micol, n il figlio Gionata riescono a
calmarlo. Ma David arriva al campo; Saul dapprima si affida a lui con affetto, poi torna a
sospettarlo infido. I sacerdoti rivelano che Dio ha designato il giovane eroe come futuro re
d'Israele. Saul li fa uccidere empiamente, minacciando di morte David stesso, che deve
fuggire, e riaffida, con piani folli, il comando ad Abner. Alla fine, di fronte alla prevedibile
disfatta, si prepara a morire con inutile eroismo (cfr. Testo). Se David, Micol, Gionata e Abner
appaiono come personaggi a tutto tondo, dominati da un'unica passione e con una psicologia
netta, Saul un personaggio intensamente problematico. Da una parte, pur vecchio, egli vuole
essere grande e incontrastato, imponendo a tutti la sua forza di re e di eroe titanico; dall'altra,
agitato dai rimorsi e dal bisogno di essere rassicurato. Questa ambivalenza si esprime nei
suoi rapporti con David, ora amato, ora odiato: egli , con il suo coraggio e la sua giovinezza,
una proiezione di Saul stesso (quasi un figlio ideale) e, al tempo stesso, colui che offusca la
sua fama. Se nelle altre tragedie il dissidio era esterno e opponeva due personaggi, qui
interno allo stesso personaggio: un segno dell evoluzione nella poetica di Alfieri.
Alla Merope e al Saul seguono due anni di allontanamento dalla tragedia, cui Alfieri torna nel
1784. I vecchi temi si uniscono a motivi nuovi. Linfluenza della poetica neoclassica induce a
una nuova compostezza formale. Soprattutto, matura una visione pi dolente e complessa
dell'eroismo e della debolezza umana,
Mirra (ideata nell'84, stesa nell'85, verseggiata nell'86). Lo spunto viene da Ovidio, ma
enfatizza in chiave tragica il tema dell'incesto. Pur circondata dall'affetto di tutti, la giovane
Mirra turbata e cupa. Il giorno delle nozze, che ella stessa volle affrettare, rifiuta nel delirio
Pereo, il promesso sposo, che si uccide. Poi, rivolge incomprensibili parole d'odio alla madre
Cecri, finch non le si avvicina il padre, re Ciniro. A lui rivela a poco a poco la terribile verit:
nutre per lui una passione incestuosa. Subito, si trafigge con una spada: n Ciniro n Cecri
oseranno avvicinarsi al suo corpo. La Mirra costituisce un caso limite nella produzione di Alfieri.
manca l'aspetto politico: cancellato ogni contrasto fra individui opposti, la tragedia sta tutta
nell'interiorit della protagonista. E un segno del pessimismo sempre pi amaro del poeta.
Lefficacia del dramma sta anche nel non-detto e nella suspense: il lettore non sa dall'inizio
cosa Mirra provi, cos la scena dell'ultimo atto in cui ella lo rivela al padre acquista una grande
forza tragica.
LA CRITICA: Baldi, Masiello, Luperini, Getto
SAUL
Genesi e storia dellopera
Lidea di comporre il Saul venne ad A. nel 1782, durante il soggiorno romano, dopo la sua
appassionata lettura della Bibbia. (Vita, Ep. IV,cap.9)
La fonte della tragedia fu il I libro di Samuele, dedicato alle storie di Samuele, Saul e Davide,
dove, in particolare, veniva narrata lelezione di Davide, figlio di Jesse, a re di Israele, dopo la
caduta e la morte di Saul.
Gi in et rinascimentale la triste vicenda biblica di Saul era stata trascritta in forma di
dramma; probabilmente Alfieri conosceva queste opere, come pure la tragicommedia Saul
(1763) di Voltaire.
La scrittura dellopera fu rapidissima: fra il marzo (ideazione), laprile, (scrittura in prosa) e il
settembre (versificazione) del 1782; per la derivazione biblica dellintreccio la tragedia fu
dedicata allabate Tommaso Valperga di Caluso, amico del cuore e dottissimo conoscitore
della lingua ebraica e dei testi sacri.
Struttura
Lazione si svolge nel campo degli Israeliti a Gelbo; dal punto di vista cronologico le vicende
procedono dalla notte verso il giorno successivo, fino al tramonto. Simile scansione temporale
e lopposizione giorno-notte, consueta metafora dellopposizione fra bene e male, hanno valore
simbolico, e ad essa fanno cenno tutti i personaggi del dramma al loro apparire sulla scena. La
notte ci che Saul, il tiranno, odia e aborrisce, come emblema della sua vecchiaia; viceversa
egli adora il sole, segno della gloria e della vittoria.

A. sceglie con cura il punto davvio della tragedia; Saul immaginato, al principio dellopera, in
una situazione di crisi; non ha ancora perso le sue qualit eroiche, n ha cessato di essere un
buon padre, tuttavia angosciato dal presentimento della morte vicina. Ci lo conduce a
rimpiangere il passato e ad odiare il presente, cos il tratto psicologico peculiare di questo
personaggio diventa la sua perplessit, ovvero il suo inesausto oscillare fra lentusiasmo e la
depressione, fra il delirio del sogno e la lucidit della memoria. David, sposo di Micol, legato
a Saul da un rapporto di amore-odio: nel giovane infatti sono evidenti quei segni di splendore e
vigorosa forza che hanno abbandonato il vecchio re. David leroe misconosciuto e insieme il
combattente favorito da Dio: egli ha superato ogni prova con coraggio e lealt, pronto a
ereditare con Micol, figlia del suo re, il trono di Israele, e tuttavia si trova nella condizione della
vittima, oggetto della gelosia e dellinvidia di Saul: questi lo teme come un rivale e perci lo
bandisce dal suo campo. Le infondate accuse di tradimento, scagliate contro David da intriganti
cortigiani, sono infatti accolte e amplificate dalla gelosia di Saul, il quale si crede egli stesso
vittima di una cospirazione ordita ai suoi danni da David e dai sacerdoti.
Gli altri personaggi sono Micol, figlia obbediente di Saul e dolce sposa di David, Gionata, figlio
primogenito di Saul e amico fraterno di David, Abner, ministro guerriero del suo re ed
esecutore dei suoi crudeli comandi, Alchimedech, rappresentante della casta sacerdotale e
successore di Samuele. Ciascuno di essi non ha valore autonomo, ma partecipa
contemporaneamente al mondo di Saul e di David, svolgendo una funzione di raccordo tra i
due antitetici e complementari protagonisti del dramma.
I temi
Saul il personaggio interiormente combattuto fra amore e odio, fra tracotanza e
consapevolezza della prossima catastrofe; egli porta cos in scena il dramma della vecchiaia e
della paternit autoritaria, che non riesce a risolvere pi positivamente i propri rapporti con i
figli. A simili motivi se ne intreccia un altro, di tipo squisitamente politico ed assai attuale alla
fine del 700: il tema dellereditariet del potere regale, conteso fra i diritti del sangue
(sostenuti da Saul) e leleggibilit del suo successore, di cui voce David.
Saul, a malincuore, sa che alla sua morte toccher a David ereditare il regno: per volere divino
e per meriti personali; lerede naturale, Gionata, figlio di Saul, stato escluso, e tuttavia questi
rimane legato a David da ammirazione e da fraterna amicizia. Il pensiero della propria morte
senza che il trono sia ereditato dal figlio appare a Saul, nel buio dei suoi deliri, come una
catastrofe, che toglie significato e valore allintera sua esistenza (Atto IV, sc.III vv88-103). Egli
scende cos in lotta contro tutti, poich in ciascuno vede un possibile responsabile della sua
triste sorte, in ciascuno scorge una forza che insidia la sua autorit decadente: contro i
sacerdoti, contro David, contro Dio. David il personaggio mitico ed eletto, leroe forte,
ragionevole e meraviglioso che si scontra con la perplessit di Saul, il sovrano inquieto che
oscilla fra lincubo e la veglia, la follia e la lucidit. Saul, in verit, vittima soltanto del proprio
offuscamento psichico, che gli procurato dalloltraggioso ardimento della sua sfida; egli sfida
se stesso, e le leggi naturali che lo condannano, con la vecchiaia, al decadimento e alla
debolezza, quindi alla rinuncia ai propri poteri.
Il rapporto con la fonte biblica
Il racconto biblico viene in parte rispettato ma anche manipolato, per consentire allautore di
approfondire i due temi principali dellopera: il dramma della perdita del regno e il fallimento
della paternit di Saul, che vede il figlio Gionata diventare il miglior alleato del suo nemico,
David.
Le vicende sono collocate dal testo biblico (I Libro di Samuele I6,1-31,13) intorno al 1060: il
grande sacerdote Samuele, giunto allestrema vecchiaia, per esaudire le richieste del popolo di
Israele, sceglie come successore un re guerriero ed elegge Saul, affinch liberi la stirpe ebraica
dai nemici che ne minacciano lesistenza; tuttavia Saul, dopo le vittorie contro gli Ammoniti ed
i Filistei, disattende le speranze in lui riposte, si conduce orgogliosamente e non rispetta le
sacre prescrizioni di Samuele e i comandi del Signore, di cui il sacerdote portavoce. A tal
punto il Signore si adira con Saul e al medesimo Samuele tocca quindi consacrare il successore
di Saul: compare cos sulla scena David, figlio di Jesse, uomo gentile e puro di cuore. David
leletto di Dio; distintosi come coraggioso e validissimo condottiero, dopo aver ucciso Golia, il
campione dellesercito filisteo, David introdotto alla corte di Saul; fra i due condottieri, luno
ormai debole e anziano, laltro nel pieno delle forze, si sviluppa un rapporto di amore e odio, di
ammirazione, gelosia e invidia, intorno al quale gravita tutta lopera alfieriana.

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La volont da parte di A. di rispettare le unit di tempo e di luogo, per cui la tragedia si deve
svolgere nellarco di ununica giornata e in un solo luogo (il campo militare di Gelbo),
costringe tuttavia lo scrittore a semplificare il lungo racconto biblico, a estrarvi lessenziale di
una storia complessa, la quale riguarda sia il declino di un re, sia leducazione o formazione del
suo successore. A. lascia che i complessi antefatti siano revocati da David al principio del I
atto, ed elimina quanto non gli serve a mettere a fuoco i nodi del suo dramma: la psicologia di
Saul, insieme padre e tiranno, e tuttavia insidiato da una latente follia, alla quale tuttavia il
testo biblico faceva solo un rapido cenno; lopposizione fra i due protagonisti; il contrasto fra
lincertezza del vecchio e la solare linearit del giovane.
I tratti dei personaggi biblici sono comunque rispettati: in particolare l ambivalente perplessit
di Saul gi nel racconto sacro, nelle oscillazioni del vecchio re tra amore, odio e gelosia. Saul,
nelle mani di A., diviene cos il prototipo fondamentale del protagonista tragico: egli insieme
innocente e colpevole; colpevole per la stolta arroganza con la quale si schiera contro tutti i
suoi vicini (Gionata, David, i sacerdoti), innocente perch preda di uno spirito malvagio, che
inquina e turba il suo animo, la sua indole eroica e il suo passato glorioso. Saul appare
predestinato alla sconfitta fin dallinizio della tragedia, poich il conflitto umano e politico, nel
quale egli avvolto, non offre possibilit di scampo: egli affronta una prova impari senza venir
meno a se stesso, alla dignit e alla grandezza della sua figura, patendo fino in fondo un
destino dal quale non consentito ribellarsi.
MIRRA Con Saul A. giunge alla consapevolezza della reale miseria della condizione umana,
che sin dalla prima fase della sua produzione tragica urgeva al fondo della sua tensione eroica.
Il titano orgoglioso scopre la sua intima debolezza, il suo destino di sconfitta. Il nemico non
pi al di fuori delleroe, ma al suo interno, ed un nemico a cui vano opporsi con
atteggiamenti di sfida. E questa una svolta essenziale del sistema tragico alfieriano. Dopo il
Saul il poeta tace per due anni. Sono anni tormentosi, segnati da sofferenze, delusioni, da un
senso di disgusto dellesistenza, da uno stato danimo di funerea depressione (acuito
particolarmente dalla lontananza forzata della donna amata). Da qui nasce nel poeta un pi
urgente bisogno di rapporti umani, di solidariet nel dolore. Questa sua disposizione si riflette
nella poetica tragica che non vede pi lidoleggiamento di un eroe sovrumano chiuso nella sua
individualistica solitudine, ma unapertura altruistica, un senso di piet per linfelicit e la
sofferenza. Dalla crisi dellindividualismo eroico nasce una tematica nuova, unattenzione
diversa agli affetti domestici, intimi e privati, e alla loro efficacia consolatrice.
Questo nuovo orientamento della poetica tragica di A. trova la sua massima espressione nella
Mirra (1784-1786), che, con il Saul, costituisce il vertice della produzione tragica del poeta.
Ideata nel 1784 e verseggiata nel 1786, Mirra, dedicata dal poeta alla donna amata, la
contessa dAlbany, lultima grande pagina drammatica di A., diversa per molti aspetti dalle
altre tragedie.
La fonte classica e la transposizione di A.
Il soggetto della tragedia deriva dal racconto di Ovidio (Metamorfosi) riguardo allamore
morboso che la figlia del re di Cipro, Ciniro, nutre per il padre.
Nella narrazione ovidiana Mirra (o Smirna), personagio della mitologia greca, riesce a
congiungersi con il padre nascondendogli la propria identit. Quando Ciniro scopre la verit,
insegue Mirra per punirla, ma gli dei intervengono in aiuto della fanciulla e, in Arabia dove
fuggita, la trasformano nel sensuale albero della mirra. Le lacrime della giovane si trasformano
nelle gocce di un voluttuoso profumo orientale e, dal suo corpo vegetale, nasce il bellissimo
(formosissimus) Adone. La trasposizione alfieriana tuttavia autonoma dalla fonte in modo
sostanziale: Mirra una creatura innocente, vittima di una passione che Venere ha messo nel
suo cuore per invidia della sua bellezza. Linvidia degli dei come causa di sciagure e
disavventure per gli uomini un motivo peculiare della tradizione tragica greca (Eschilo,
Sofocle); esso, tuttavia, non compariva nella esposizione ovidiana del mito di Mirra. Simile
inserzione da parte di A. pu apparire artificiosa; la scelta di contaminare i due temi per
giustificata da ragioni di carattere morale: A. porta in scena un amore incestuoso, quindi
tragico e ripugnante, ma con lespediente dellinvidia di Venere sottrae dalla coscienza di Mirra
ogni ombra di colpevolezza o responsabilit.
Mirra scopre di essere impura e colpevole appena si accorge che i propri sentimenti per il padre
assumono carattere amoroso. La fanciulla non sa liberarsi da simile sentimento; esso non si

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spegne bench essa si prometta sposa al giovane Pereo, figlio del re dellEpiro, finch trova
rifugio nella morte, dopoch una brusca confessione ha rivelato pubblicamente la sua empiet.
Questa tragedia si svolge per intero nellinteriorit della protagonista, priva di ogni conforto,
debole e sola poich contaminata nellanimo da uninclinazione non soffocabile e nemmeno
confessabile. La circonda un tranquillo mondo familiare -un ambiente che potremmo definire
borghese- da cui si sente estranea: il padre Ciniro, la madre Cecri, il promesso sposo Pereo,
la nutrice Euriclea. Tutti hanno per lei parole daffetto, e cercano di consolare la sua
inspiegabile tristezza, ma Mirra non pu che nascondere il suo segreto. Lazione della tragedia,
prima della catastrofe del V atto, si sviluppa circolarmente, senza prevedere vie duscita, cosi
che intorno a Mirra cresce una pressione psicologica sempre pi stretta e tormentosa: le
amorevoli insistenze dei familiari la costringono a elaborare fittizie giustificazioni, falsi motivi
alla sua tristezza, dietro ai quali si amplifica la sua desolazione.
La lotta con linconscio
Nel progresso della tragedia la protagonista, in preda a stati danimo contrastanti, nello stesso
tempo docile e ribelle con il fidanzato, con la nutrice e con i genitori, finisce per acconsentire
alle nozze con Pereo, nella speranza di una possibile liberazione dalla sua situazione
angosciosa: tuttavia liniqua passione che brucia il suo animo fatale e inarrestabile.
La tragedia raggiunge il momento di maggior tensione nel climax che conduce alla catastrofe
preparata nel IV atto: durante la cerimonia nuziale, Mirra improvvisamente si ribella alle nozze
imminenti. Rimasta sola con la madre Cecri, ha per lei parole di un odio incomprensibile
(ScVII, vv 282-287). Sola davanti al padre, nellultimo atto, dopo lincalzare di Ciniro che esige
di conoscere le ragioni del suo comportamento, malgrado una difesa disperata quanto
insoddisfacente e vaga, Mirra si lascia sfuggire il terribile segreto, e, subito dopo, si getta sulla
spada del genitore. Abbandonata dai parenti inorriditi, muore nel rimpianto, conscia che la sua
fine inutile e non varr a salvarla o a purificarla dalla impura predilezione.
Nei tre versi finali sembra riassumersi, insieme con tutto lo spirito della tragedia, la profonda
piet dellautore per la sua creatura, la pi debole ed infelice delle eroine alfieriane.
Il suicidio di Mirra e quello di Saul
Quasi tutti i protagonisti delle tragedie alfieriane compiono latto di ribellione definitiva contro
la tirannide attraverso il suicidio. La morte segna il riscatto. Tuttavia, Mirra, nella morte, non fa
che concludere il processo di questo riscatto, i cui segni premonitori sono sparsi per lintero
dramma, e la sua fine non avviene in una luce di splendido eroismo, ma piuttosto sotto
loppressione di un incubo, che coinvolge i personaggi che le stanno intorno.
A differenza del suicidio di Saul, quello di Mirra non suscita ammirazione, bens piet. Mentre in
Saul troviamo lespressione completa dello spirito tragico alfieriano, nello slancio eroico che ne
fa il pi umano dei suoi personaggi, con Mirra il drammaturgo, libero da ogni finalit di ordine
politico, raggiunge la soglia di unumanit che vibra, palpita e soprattutto trema, con sobriet e
fermezza. Mentre Saul esalta la pulsione titanica e libertaria dellindividualismo alfieriano, Mirra
ne rappresenta le costanti dellangoscia e della colpa. Entrambi i personaggi cercano nella
morte la redenzione e la libert, ma leroina della Mirra esce dalla vita nellamarezza di una
tremenda sconfitta, sentendo di morire empia. Il dramma di Mirra, inoltre, caratterizzato da
una pi profonda analisi, non ha lintensit dazione che coinvolge Saul.
Dal diverso andamento delle tragedie deriva la diversit psicologica dei due protagonisti. La
purificazione finale di Saul preparata fra le contraddizioni della sua coscienza; la rivelazione
di Mirra si avvicina in modo costante e progressivo, scena per scena, nella crescente
inquietudine della fanciulla. In Mirra non c evoluzione sul piano degli avvenimenti, fra un atto
e laltro; cambia il ritmo dellaffanno che la tormenta, cresce fino a precipitare verso la
catastrofe. In Saul si osserva una soluzione religiosa, in Mirra una soluzione elegiaca. Anche se
limpeto del re orgoglioso e ribelle e la rassegnazione statica della giovane si concludono
ugualmente nel suicidio, Saul trova il conforto di una speranza, mentre il dramma di Mirra
resta pietrificato davanti alla sua fragilit invalicabile. Saul si fa compatire e ammirare nel
momento in cui, col suicidio, riafferma la propria grandezza; Mirra, dibattendosi inutilmente,
suscita essenzialmente piet, per una lotta tanto eroica quanto vana.
TESTI:
Vita scritta da esso http://www.atasti.it/alfieri/vita/indice.htm
Saul http://www.atasti.it/alfieri/saul/home.htm
Mirra http://www.atasti.it/alfieri/mirra/home.htm

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