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dellinvidia,
indipendentemente
dai
fattori
esterni
che
potrebbero scatenarla.
Il concetto espresso, dunque, che, mentre sarebbe possibile, per
luomo eccellente, non essere soggetto allarroganza (laddove non
fosse in possesso dei beni, che ne sono causa ), lo stesso non
potrebbe essere esente dallinvidia: essa fa parte, infatti, della ,
della natura delluomo.
Il medesimo concetto viene ripreso subito dopo, quando Otane
enfatizza la paradossalit apparente del tiranno: un sovrano, infatti,
dovrebbe essere privo di invidia (), giacch questi si trova
nella condizione di possedere ogni bene ( );
invece, prosegue Otane, anche il tiranno finisce col provare invidia,
nel caso di specie verso i cittadini migliori (
). La conclusione, inevitabile,
dunque che, anche laddove un uomo si trovasse nella piena
disponibilit di possedere tutti i beni invidiabili, egli finirebbe
comunque col provare invidia nei confronti di altri, nel caso di specie
dei migliori.
Da questo passo, nel quale peraltro, come anticipato, linvidia non
viene analizzata in maniera sistematica ma inserita allinterno di un
contesto pi ampio di natura squisitamente politica, possiamo
comunque ricavare quattro importanti aspetti della fenomenologia
2
della
concezione
degli
antichi
su
questa
particolare
passione.
Come si pu ben immaginare, le attestazioni letterarie sul fenomeno
dellinvidia sono di numero assai elevato anche limitando l'indagine al
solo mondo romano; eppure, ben pochi passi della letteratura latina
possono presentare un quadro cos ricco e completo sulla passione
triste come quello offerto da Ovidio nel secondo libro delle sue
Metamorfosi.
Personificazioni e rappresentazioni metaforiche dellinvidia possono
essere rintracciate, per rimanere nell'ambito della letteratura latina,
sin dalla commedia Persae di Plauto2.
L'immagine personificata dell'Invidia compare, inoltre, nella Rhetorica
ad Herennium3, nel De Natura Deorum4 di Cicerone, nel secondo libro
delle Elegie di Properzio5, nel terzo libro delle Georgiche di Virgilio6.
2
3
4
5
6
dell'immagine
dell'invidia,
ma
non
presentano
la
presentazione
dell'Invidia
personificata
nel
II
libro
delle
Metamorfosi ovidiane.
In esso, infatti, il processo di personificazione,
estremamente
come ampiamente e
elementi
fondamentali
continuamente
ripresi
cominciare a
passo;
accanto
ad
essi
troveremo,
infatti,
nell'ekphrasis
riferimento,
sia
sostanzialmente
omogeneo
coerente
nel
sofferenti
straziati,
dallaltro
permettono
anche
dellira
delle
pulsione
ad
essa
nellEneide.
L'analisi
di
questa
specifica
sezione
delle
del
pathos
in
questione
allinterno
della
Divina
della
Rhetorica
aristotelica,
testo,
quest'ultimo,
in
base
alla
struttura
catalogante-classificatoria
Capitolo 1
Dante e l'invidia
1.1 Il girone degli invidiosi.
Nel XIII canto del Purgatorio Dante e Virgilio raggiungono la seconda
cornice del monte che li condurr al paradiso celeste: quella occupata
dagli invidiosi.
I primi versi del canto sono interamente dedicati alla descrizione e
rappresentazione degli elementi fisici, concreti e materiali del luogo
appena raggiunto; questi elementi si caricano di una duplice valenza:
una, immediata, di ekphrasis paesaggistica, laltra, simbolica, di
anticipazione e, al contempo, proiezione sullambiente circostante di
alcune delle principali caratteristiche e peculiarit che vedremo
contraddistinguere gli invidiosi, cos come presentati da Dante nel
proseguio della descrizione.
Vediamo, dunque, quali sono gli aspetti che sembrano delineare
maggiormente il nuovo paesaggio dantesco, partendo, come detto,
9
Due sono gli aspetti messi subito in evidenza dal poeta: prima di tutto
viene sottolineata la minore ampiezza della nuova cornice rispetto a
quella precedente (vv. 4-6); in seguito viene presentato lelemento
8 C. Musumarra, LECTURA DANTIS SCALIGERA: PURGATORIO, Firenze 1967, p.441.
9 C. Musumarra, Ibidem, p. 441
10 Dante, Pg.XII,. 112-114: Ahi quanto son diverse quelle foci/ dallinfernali! ch
quivi per canti/sentra, e la gi per lamenti feroci.
11 Dante, Pg. XII, 118-120: Ondio: << Maestro, di, qual cosa greve/ levata s da
me, che nulla quasi/ per me fatica, andando si riceve?>>
12 Sui canti dell'invidia si vedano, tra i tanti, E. Santini, Il canto XIII del Purgatorio,
in G. Getto (a cura di), Letture Dantesche , vol.II Purgatorio, Firenze 1964, pp. 915933; E. Pistelli, Il canto XIV del Purgatorio, ivi, pp. 935-949; A.K. Cassel, Il sapore
dell'amore: i canti dell'invidia, in G.C. Alessio- R. Hollander, Studi americani su
Dante, Milano 1989, pp. 165-183; D. Della Terza, Il primo canto dell'invidia
(Purgatorio, XIII), <<FeC>>, 7 (1992), pp. 3-21; C. Singleton, La poesia della Divina
Commedia, Bologna 1999, pp. 544-550.
13 Dante, Pg XIII, 1-9.
10
di
marmo
bianco,
era
lavorata
in
bassorilievi
che
25
11
35
contro
Giove
per
spodestarlo,
Dante
sottolinea
45
di
ciascuna
terzina,
ed
ancora
sottolineatura
55
60
14
tuttavia,
permane
limportanza
del
fattore
visivo
20
21
22
23
15
Dante,
Dante,
Dante,
Dante,
Pg.
Pg.
Pg.
Pg.
XII,
XII,
XII,
XII,
61
63
68
72
In
quel
furon
sentiti,
non
per
visti
il
lettore
percepisce
notare,
distinguendoli
dallambiente
circostante
27 Dante, Pg XIII, 47-48 guardami innanzi, e vidi ombre con manti/ al color de la
pietra non diversi.
28 Dante, Pg XIII, 57 per li occhi fui di grave dolor munto.
29 Dante, Pg XIII, 58-63 Di vil cilicio mi parean coperti,/ e l'un sofferia l'altro con la
spalla,/ e tutti da la ripa eran sofferti./ Cos li ciechi a cui la roba falla,/ stanno a'
perdoni a chieder lor bisogna,/ e l'uno il capo sopra l'altro avvalla; 70-72 ch a
tutti un fil di ferro i cigli fra/ e cusce s, come a sparvier selvaggio/ si fa per che
queto non dimora.
18
provoca la sofferenza del poeta non infatti la visione della cecit dei
penitenti, ma i loro occhi cuciti dal fil di ferro.
L'elemento chiave del tormento degli invidiosi dunque la sofferenza
visiva prima ancora della mancanza della vista stessa, giacch
quest'ultima diretta conseguenza della prima.
Anche nella descrizione della condizione dei ciechi mendichi il poeta
enfatizza la piet e la commiserazione destata negli uomini alla vista
delle loro sofferenze30.
Con lindicazione della terribile condizione di cecit cui sono
sottoposti gli invidiosi si raggiunge lacme della degradazione del
processo visivo realizzata dal poeta nel passaggio dal canto XII al
canto XIII. Nei primi 60 versi del XIII canto la vista passa da elemento
decisivo,
in
quanto
tramite
per
la
descrizione
di
immagini
rimarcare
leccezionalit
qualitativa
dei
rilievi
incisi,
sottolinea che:
non vide mei di me chi vide il vero.
30 Dante, Pg XII,64-66 perch n altrui piet tosto si pogna,/ non pur per lo sonare
de le parole,/ ma
19
20
in
due
categorie:
una
paesaggistico-coloristica
31 Cfr. L. Getto, op.cit., p. 444 Linvidia un peccato che viene da vilt, cio
bassezza morale, e per questo gli invidiosi sono vilmente vestiti, e hanno gli occhi
cuciti con un fil di ferro perch proprio attraverso gli occhi, mal sopportando la vista
dei beni altrui, essi fecero penetrare il peccato nel loro cuore.
32 Significative indicazioni sulla natura simbolica ed allegorica della cornice degli
invidiosi
quia illa strata erat facta ex lapide livido. Et hic nota quod sub ista artificiosa
fictione autor dat subtiliter intellegi, quod vitium superbiae est manifestissimum, et
reddit se notissimum per multa signa; vitium vero invidiae est occultissimum, sed
manifestatur aliquando in colore livido: sicut apparet de facto quod unus vel
audiens felicitatem, gloriam vel honorem alterius variat colorem, et respargitur
livore.
33 Cfr. C. Musumarra, op cit., p.445 i manti degli invidiosi, al color de la pietra non
diversi, contribuiranno a mantenere questa tonalit ambientale che, mossa da
unintenzione allegorica- la rispondenza tra peccato e luogo della pena- si tradotta
in una spirituale e poetica atmosfera di paesaggio.
21
120
36 Inf. I, 108-111.
37 Cfr. C. Casagrande- S. Vecchio, I sette vizi capitali. Storia dei peccati nel
medioevo, Torino 2000, pp. 43-49.
38 Inf. VI, 49-51.
39 Inf. VI, 74-75.
23
dei
cortigiani,
originate
dallastio
per
la
posizione
al che :
La meretrice che mai da lospizio
65
nonch
24
le
conseguenze
devastanti
che
esso
pu
42 Inf. XV.67-69.
43 Pd. VI.136-139.
25
26
120
45 Pg.
46 Pg.
47 Pg.
48 Pg.
49 Pg.
50 Pg.
27
XVII,
XVII,
XVII.
XVII,
XVII,
XVII,
94.
95.
96.
106-114.
115-117.
118-120.
28
29
30
dell'invidia,
ma
anche
una
importante
distinzione
31
sua
volta,
la
classificazione
di
Tommaso
si
ricollegava,
63 Sum.Theol. 2.2.36 a2 Alio modo potest aliquis tristari de bono alterius, non ex
eo quod ipse habet bonum, sed ex eo quod nobis deest bonum illud quod ipse
habet. Et hoc proprie est zelus.
L'ottica cristiana del santo lo porta, differentemente da Aristotele, a distinguere
lo zelo rivolto ai beni spirituali, sempre lodabile, da quello rivolto ai beni terreni,
che pu essere peccato o meno, a seconda delle circostanze.
64 Sum.Theol. 2.2.36 a2 Tertio modo aliquis tristatur de bono alterius inquantum
ille cui accidit bonum est eo indignus. () Et haec tristitia () vocatur nemesis.
65 Arist. Rh. 1.2.1356a1-4.
32
33
agli
averi
)73.
A provare invidia, dice Aristotele, sono anche le persone alle quali
manca poco per avere quello che desiderano, in quanto credono che
tutti portino via ci che spetti loro:
(
70 Arist. Rh. 2.9.1387a17-18.
71 Arist. Rh. 2.9.1386a31-32.
72 Arist. Rh. 2.9.1386b16-20.
73 Arist. Rh. 2.10.1387b25-27.
34
), 74. Ad essere
soggetti all'invidia, sono inoltre, le persone ambiziose e chi desidera
essere stimato ( ). 75
Infine Aristotele analizza lo zelo, definendolo anch'esso come
sofferenza di fronte alla buona fortuna altrui; la sofferenza, tuttavia,
in questo caso, non nasce dal fatto che siano altri ad avere un bene,
ma dal fatto che siamo noi a non averlo (
)76.
L'emulazione spinge l'uomo alla ricerca del possesso del bene in
questione, mentre l'invidia spinge soltanto a privare l'invidiato del
bene posseduto ( ,
.
,
)77.
Tra tutti sentimenti analizzati in questa specifica sezione della
Rhetorica, solamente l'invidia si configura come propria di un animo
gretto e meschino. La piet e lo sdegno, in quanto congiunte ad una
nozione di merito, sono proprie di un animo nobile, proprio come lo
zelo, in virt di quella sua componente emulativa che spinge l'uomo a
migliorare continuamente se stesso.
Invidia, zelo, indignazione hanno, inoltre, secondo Aristotele, i loro
sentimenti contrari ( .
)78
Le passioni contrarie alla piet ed allo sdegno sono anch'esse, per
Aristotele, proprie di una nobilt di carattere. Prerogativa di un animo
nobile , infatti, oltre al provare sofferenza dinnanzi ad una altrui
74 Arist. Rh. 2.10.1387b27-3075 Arist. Rh. 2.10.1387b31-32.
76 Arist. Rh. 2.11.1388a32-33.
77 Arist. Rh. 2.11.1388a34-38.
78 Arist. Rh. 2.9.1386b25.
35
dello
il
disprezzo
, )80.
La corrispondente passione gioiosa dell'invidioso, viene da Aristotele
definita come , e si identifica in quella particolare
sensazione di gioia, piacere e felicit che l'invidioso prova alla vista
delle sofferenze altrui,
,
81.
L'invidia, oltre che nella Retorica, trova spazio, naturalmente, anche
nelle etiche aristoteliche.
Nell'Etica a Nicomaco Aristotele definisce la virt come giusto
mezzo, come mediet tra due vizi, uno per eccesso, l'altro per
difetto , ,
82; cos, dice il filosofo, il coraggio si configura come
giusto mezzo tra gli estremi della temerariet e della vilt. Tuttavia,
prosegue Aristotele, non tutte le passioni o le azioni ammettono la
mediet; alcune di esse, infatti, implicano gi nel nome la malvagit,
come la malevolenza, l'impudenza, l'invidia. Riguardo a queste
passioni, dunque, non sar mai possibile agire rettamente, ma si sar
sempre in errore.
79
80
81
82
36
Arist.
Arist.
Arist.
Arist.
Rh. 2.9.1386b25-30.
Rh. 2.11.1388b32-33.
Rh. 2.9.1387a1-3.
Eth. Nic. 2.6.1107a2-3.
37
al
di
della
precisione
della
sottigliezza
della
38
visiva
contorta,
obliqua,
sofferta,
con
conseguente
termine
meno
trasparente:
alcune
proposte
39
diversi
significati,
spiegando
<<rifiutare
per
tal
proposito,
come
osservato
recentemente
da
40
L' cattiva, che nella Teogonia veniva presentata come figlia della
Notte92, favorisce la guerra luttuosa e la discordia, mentre l'
buona esorta il neghittoso al lavoro, in quanto questi osserva il vicino
che si affretta a seminare e a coltivare la casa, venendo, cos, spinto
all'emulazione.93
Il
contesto
di
riferimento
dunque,
quello
dello
94
41
)102,
ad
)104.
Un passo di Teognide offre testimonianza di una ripresa, per il verbo,
dell'originario significato di privare, non concedere: il messaggero
delle Muse, quando arriva a possedere conoscenze straordinarie non
deve privarne gli altri, mantenendone un possesso geloso (
99 Mimn. fr. 25 W.
100 Apophth. fr. 7.3 (Mullach)
101 Sent. fr. 1.31.
102 Apophth. fr. 7.1 (Mullach)
103 Apophth. 7.5 (Mullach).
104 Apophth. fr.7.4 (Mullach).
42
, / ,
)105.
In generale, accostandoci all'interpretazione di Sanders, possiamo
dire che in lyric then, it is clear that Phthonos is used in its expected
and classical sense of begrudging or destructive envy: phthonos is
felt against someone who has desired possessions; it is linked with
hatred and it leads to destructive actions106.
L'autore della letteratura greca arcaica in cui la tematica dell'invidia
sembra rivestire un' importanza decisiva , per, certamente Pindaro.
Il termine , e, soprattutto, i suoi derivati , ,
, , compaiono, all'interno della produzione
pindarica, ben ventisei volte107. Non sorprende, dunque, che la
tematica dell'invidia negli epinici pindarici sia stato oggetto di
numerosi articoli e studi108, nonch di una monografia specificamente
dedicata109.
La frequenza della comparsa dell'invidia in Pindaro si collega
direttamente alla gloria e l'onore che accomunano il poeta ed il
vincitore.
Si pu dire, anzi, che la presenza stessa dell'invidia non rappresenti
altro che la conferma, sebbene ex negativo, del successo raggiunto
dall'atleta e dal laudator. Pindaro, non a caso, gioca molto, nei suoi
epinici, su questa duplice componente, enfatizzando il successo del
lodato attraverso la denigrazione della condizione degli invidiosi,
costretti a stare nell'ombra, in disparte, agendo attraverso le
maldicenze e le calunnie. Si pu dire, dunque, citando Glenn Most,
105 Thgn. 769-770.
106 R. Sanders, op.cit., p. 49.
107 Cfr. O. 1.47, 2.94, 6.7, 74, 8.55, 11.7, 13.25; P. 1.85, 2.90, 3.71, 7.19, 8.72,
10.20, 11.29, 54; N 4-39, 8.21, I 1.44, 2.43, 5.24, 7.39; Pa 2.55; Parth. 1.8; Frg.
212.
108 Cfr.G. M. Kirkwood, Blame and Envy in the Pindaric Epinician, in D. E. Gerber
(ed.), Greek Poetry and Philosophy: Studies in honour of L. Woodbury, Chico
1984, pp. 169-183; M. Vallozza, Il motivo dell'invidia in Pindaro, <<QUCC>>,
31(1989), pp. 13-30; L. Kurke, The Traffic in Praise: Pindar and the Poetics of
Social Economy, Londra 1991.
109 P. Bulman, Phthonos in Pindar, Berkeley 1992.
43
che envy and slander are not only the enemies of praise, but also its
perverted, ugly but indispensable ally 110. In quest'ottica, lo
umano si configura nel suo aspetto pi basso e degradato, come
atteggiamento ostile alla gloria altrui, sofferenza dettata dal vedere il
successo, agonale e poetico, degli altri.
Nell'et classica il termine presenter principalmente il significato di
invidia. Come sottolineato da Sanders111, la grande maggioranza delle
fonti testimonia, a riprova della natura bassa e vile del sentimento,
sia l'inconfessabilit e la negazione del sentimento, laddove provato
in prima persona, sia la censura e la condanna dell'invidia, provata
dagli altri.
Oltre a quello di invidia, tuttavia, il termine poteva assumere,
in alcuni contesti, anche la sfumatura di gelosia possessiva.
Cos, ad esempio, nei Memorabili di Senofonte viene osservato come
Odisseo, con l'eliminazione di Palamede, intendesse preservare,
gelosamente, la propria reputazione di pi saggio tra i greci (
;
)112. Isocrate
sostiene, nel Panegirico, la superiorit di Atene anche in relazione al
fatto che essa non ha negato, gelosamente, i propri beni alle altre
citt ma, anzi, le ha rese partecipi di essi:
,
113.
Sono
soprattutto
dialoghi
platonici,
per,
presentare
le
110 G. Most, Epinician Envies, in D. Konstan, N.K. Rutter (edd.), op.cit., pp. 123-142.
111 R. Sanders, op.cit., p. 55 Common uses of phthonos, phthoneo, phthoneros,
epiphthonos are to accuse others of phthonos, to instruct others not to feel it, or
to deny feeling it oneself.
112 Xen. Mem. 4.2.33.11.
113 Isocr. 4.29.4.
44
essere
sottintesa
nell'accezione
di
come
gelosia
...
115,
ma
anche
45
fragments
portray
envy as
obviously
and solely
l'et
classica.
Indicativo
l'accostamento,
in
alcune
46
n , n
di
una
differenziazione
semantica,
ormai
ampiamente
positivo/
negativo131,
accanto
al
gi
di
il
portare
processo
compimento,
emulativo
per
sottinteso
inadeguatezza
dallo
o
e
47
introduce, in molti suoi passi, una diversa visione dei due sentimenti,
presentando, accanto ad uno negativo, che si configura, per,
non alla maniera arcaica, come , ma come cattiva imitazione
(rimane imitazione, dunque, ma errata, distorta deviata, laddove
l'imitazione stessa vada ad essere diretta verso oggetti non meritevoli
di essere imitati: l'oggetto svaluta l'azione133), anche uno
-positivo che, in questo caso, non viene concepito, alla maniera
esiodea, come ma come sdegno, .134.
Come abbiamo gi avuto modo di osservare, Aristotele, nella
Rhetorica, aveva definito la . o, meglio, il verbo sostantivato
, come dolore provato alla vista di chi gode di un bene o di
una fortuna senza averla meritata, sentimento tradotto, abitualmente
come indignazione e sdegno.
Lo stesso Aristotele, tuttavia, aveva sottolineato come, per alcuni,
fosse proprio lo e non la nemesi, a dover essere identificato
come sentimento opposto alla piet.
L'indicazione fornita da Aristotele permette di comprendere come, al
di l delle differenziazioni e classificazioni tecniche presentate dal
filosofo, nella prassi linguistica i due termini potessero avere
significati meno radicalmente antitetici di quanto non faccia pensare
la lettura della Rhetorica.
Il termine , che, come abbiamo visto, in Omero ha valenza
assolutamente neutrale, poteva infatti rivestire anche il significato di
giusta indignazione, che, in effetti, troviamo attestato in un buon
numero di fonti d'et classica.
Per Konstan135, la sfumatura semantica positiva e negativa assegnata,
rispettivamente, alla . ed allo non sarebbe dipesa da
una effettiva, originaria, distinzione concettuale, bens da fattori
culturali e storici. In particolare, la diffusione, nel demo attico di
133 Cfr, e.g., 4.77; 10. 8; 16. 38; 8. 83.
134 S. Said, op.cit., p.225.
135D. Konstan, op. cit., pp. 128.
48
49
koregos
)141,
ha
50
).144 Demostene,
inoltre, sottolinea, nel corso della sua orazione, come Midia, pur
vantando una buona condizione economica, impiegasse poco denaro
a favore della collettivit, come testimoniato dall'esiguo numero di
liturgie da lui compiute145. Dopo aver delineato, in questo modo, il
carattere e le attitudini sprezzanti ed arroganti di Midia, Demostene
richiama, infine, il sentimento di , ed che avrebbe
dovuto provare la giuria dinnanzi a tali azioni e ad una tale condotta
( .
).146
Il richiamo, in questo caso, nonostante la distinzione concettuale
aristotelica tra i termini, non poteva che essere rivolto non all'invidia, ma, evidentemente, allo sdegno- che avrebbe dovuto
animare la giuria.
Numerosi altri esempi possono essere tratti da fonti oratorie: Lisia, ad
esempio, riferisce di come gli Ateniesi dei tempi antichi provassero
verso coloro che
)147; verisimile, per Isocrate, che coloro che si comportano
moderatamente provino indignazione per persone prive di valore che
siano destinate ad assumere grandi poteri (
,
)148; i giudici, sostiene Iseo, non
devono indignarsi con i legittimi eredi di un patrimonio, ma con coloro
che acquisiscono beni a loro non spettanti (
144
145
146
147
148
51
Demost. 21 34.1-4.
Demost. 21.151-174.
Demost. 21.196.4-6.
Lys. 27.11.1-2.
Isoc. 4.184.1-6.
, , , ,
)149.
La polisemia di come invidia/indignazione resa pi
complicata da una caratteristica tipica del sentimento invidioso: la
difficolt alla sua ammissione ed il ricorso a sentimenti pi nobili
per giustificare la propria opposizione, in realt dettata da invidia, ad
un altro
perceptions
of
unfairness,
arrogance,
ostentation,
or
tastelessness151.
Non solo, dunque, in alcuni casi assume il significato di invidia
ed in altri quello di indignazione, ma spesso, all'interno di un
medesimo contesto, il termine poteva coprire, contemporaneamente,
ambedue i significati. Sempre Cairns, infatti, rileva come there is such
a thing as envy and there is also such a thing as indignation; but
because envy presents itself so readily as something else, in practice
transmuted envy and genuine indignation will () be difficult to
disentangle.152
149 Isae. 6.61.1-3.
150 J.Elster, Alchemies of the Mind: Rationality and the Emotion, Cambridge 1999,
pp.96-97.
151 D.L. Cairns, op.cit., p.238.
152 Cfr. supra, n. 83.
52
53
Lys. 28.1.6-7.
R. Sanders, op.cit., pp. 119-120.
Lys. 28.4.5-7.
Lys. 28.3.1-3.
Lys. 28.2.5-6.
importanti
applicazioni
anche
in
campo
politico,
divenivano
del
popolo
strumenti
verso
di
controllo
potenti),
regolazione
che,
proprio
54
un
essere
umano
la
cui
prosperit
superasse
limiti
55
56
57
quoque,/
invida
praeclusit
speciem
natura
videndi173;
58
Wieland,
dell'aggettivo
(che
impedisce
la
visione),
si
non videns,
59
una
semantische
Einrenkung184,
fornisce
dunque
una
60
61
62
sostituzione
dell'accusativo,
cui
originariamente
si
63
Neque
ulla
ex
parte
maiora
animi
indicia
cunctis
truces,
blandi.
torvi,
flagrantes,
Profecto
in
graves
oculis
transversi,
animus
limi,
habitat.
64
Ardent,intenduntur,
umectant,
conivent.
Hinc
illa
misericordiae
65
66
pupille
con
un
punto
rosso
al
centro218:
caratteristiche
67
sottolinea come, abitando nel suo podere, non vi sia alcun oculus
obliquus in grado di limare i suoi agi (sua commoda)221. Nel suo
commento alle Epistole oraziane, Porfirio
interpreta l'espressione
fascinazione,
invidia
malocchio,
sono
interessanti
le
221 Hor. Ep. 1.14.37-38 Non istic obliquo oculo mea commoda quisquam/ limat, non
odio obscuro morsuque venenat;
222 Porph. Comm. 1. 14. 38 obliquo oculo: id est invido oculo.
223 E.De Martino, op.cit., p.15.
68
69
del
fascinum,
all'annichilimento
del
potessero
lodato.
Tale
portare
alla
possibilit
distruzione
ed
esplicitamente
70
Anche il mondo latino non era alieno da una tale superstizione: cos,
nelle
commedie
di
Plauto,
personaggi
che
hanno
lodato
71
puberes;
questa
osservazione,
Plinio
aggiunge
una
72
di
delle
indicazioni
etnografiche,
le
preoccupazioni
per
dell'invidia
si
legava,
strettamente,
in
alcuni
casi,
73
In
tutte
queste
occorrenze
l'invidia
si
identifica,
poter
giustificare
avvenimenti
tragici,
altrimenti
non
249 CIL VI 10493 invida bis denos Lachesis concesserat annos/ nondum alio pleno
quod dederat rapuit.
250 CIL VI 11407.
251 CIL VI 29609 invida sors rapuisti vitalem/ sannctam puellam.
252 CIL IX 4933.
253 CIL XIII 06808.
254 CIL VI 17050.
255 Cfr. B. Lier, Topica carminum sepulcralium Latinorum, <<Philologus>>, 62
(1903), pp. 473 sgg..
256 Nella documentazione epigrafica greca, la morte di un giovane veniva spesso
collegata all'occhio maligno di una ; Cfr. M.Dickie, op.cit., p.13.
74
occhi,
era
teoria
condivisa
da
latini
greci,
furono
sguardo
invidioso
nell'invidiato.
La
testimonianza
pi
75
effetti
della
dissolvimento,
vista
l'occhio
dell'amato,
rischiando
dell'invidioso,
in
tal
assolutamente
modo
il
insensibile
turbamento
distruzione.
L'amante
subisce
un
76
con
il
rimanere
affascinato
dalla
propria
immagine:
77
con
il
suo
afflato
corruttore.
L'aria
contaminata
78
, , ,
;
)275.
per Eliodoro, dunque, lo si configurava come vera e propria
malattia capace di infettare l'aria circostante ed in grado, attraverso
essa, di penetrare nel corpo umano attraversando i pori corporei.
Basilio, nella IV omelia, sull'invidia, riprender l'importanza della vista
e degli occhi nel processo passionale dell'invidia, collegando il potere
dannoso degli occhi all'azione dei demoni che, odiando ci che bello
e buono, quando trovano uomini animati dai loro stessi istinti,
riempiono i loro occhi di influssi maligni276.
L'importanza e l'influenza rivestita dalla fascinazione e dal malocchio
nel mondo antico viene confermata anche dai numerosi rimedi atti a
prevenirla e a sconfiggerla. Alcuni di essi si collegano chiaramente al
campo delle superstizioni popolari, come l'atto, gi osservato, di
sputare tre volte, i gesti apotropaici, l'impiego di figure ed immagini
grottesche, i numerosissimi amuleti talismani, bullae, rinvenuti in
abbondante quantit nell'intera area mediterranea277.
In altri casi le soluzioni sono pi articolate: l'antropologo americano
G.M.Foster ha individuato, nel suo studio sul fenomeno dell'invidia
globalmente considerato278, dei modelli di comportamento finalizzati a
stornare e respingere l'insorgere dell'invidia altrui: il primo rimedio
consiste nel nascondere e celare la propria condizione di benessere,
affinch manchi, di fatto, la base per l'insorgere della malevolenza
invidiosa (concealment); Il secondo passo, laddove il primo non
dovesse trovare successo, consiste nella negazione del proprio
275 Hel. Aeth. 3.7. Sul rapporto tra teoria plutarchea e quella di Eliodoro, Cfr.
M.Dickie, Heliodorus and Plutarch.., op.cit.
276 Basil. Hom.11; cfr., inoltre, Joh. Chrys. Comm.in Gal.3.1. In generale, sulla
concezione della fascinazione e del malocchio da parte dei padri della chiesa Cfr.
M.Dickie, The fathers of the Church., op.cit..pp. 9-34.
277 Cfr. G.Luck, Arcana Mundi: Magic and the Occult in the greek and Roman
Worlds, Milano 1997, pp. 19-20; G. Lafaye, op.cit., pp. 983-987; A. Nuo, op.cit.,
pp. 163-256. Per uno sguardo d'insieme su tutti questi elementi Cfr. O. Jahn,
op.cit.
278 G. M. Foster, op.cit., pp. 175-184.
79
ad
assumere
un
comportamento
moderato,
evitando
80
81
aber
beachtenswerte
Erscheinung
des
Sprachtabu288.
Il
82
83
semantica
del
maligne
negare,
viene
riportata
di
dell'originaria
fatto,
solo
costruzione
come
trasposizione
greca,
assumendo,
in
lingua
dunque,
latina
solo
il
84
al padre; il
verbo
invideo, tuttavia,
85
86
lessicali
spesso
non
coincidono
con
quelle
oggi
87
88
che
si
prova
dinnanzi
ad
un
atteggiamento
che
317 Come esempi di invidia virtutis Cfr. ad Herenn. 4.36, Cic. Cat. 1.28-29, Balb 1516,18, Rab.Post. 48, Phil. 8.29-31, Sall. BC 3.2, 37.3, Iug 10.2, Ad Caes. 2.8.7,
2.13.7, Comm.Pet. 39-40, Hor. Serm 2.3.133.24.31-32, 4.8.24, Epist.2.1.12, Livio
2.7.4-8, 6.11.3, 8.31.2-3, 35.43.1, 38.49.5, Prop. 3.1.21, Phaedr 3.9.5, Sen Dial.
7.19.3, 8.8.2, Epist. 74.4, 79.13, 87.34, 5.10.3, Plin. Epist. 1.8.6, Pan. 14.5,
Quint.. Inst. 3.1.21, 12.11.7, Tac. Agr. 1.1, Dial.23.6, Ann 2.71, Princ.Hist. 2.4
318 Cfr. Cic. De or. 2.209, TD.3.20, 4.16-17, Ov. Met. 2.780-782, Sen. Dial. 6.19.6,
11.9.3-9.
319 R. Kaster, Invidia, . op.cit., p. 259. In questa accezione rientra anche
Sen. Herc.O. 1510-1512.
89
esterno
alla
psicologia
del
personaggio
Eurizione,
90
91
un
shameless,
provare
un
senso
di
vergogna.
comunque
insorta,
nei
suoi
confronti,
la
92
93
94
95
tradizionalmente
concessa
alle
esuberanze
della
suoi
coetanei,
alla
petulantia
ed
alle
libidines
che,
96
militiae partum eum actumque de cie non de hoste fremebant; unum defuisse
tantum superbiae, quod non M .Manlius ante currum sit ductus.
350 Mart. 3.21 proscriptum famulus servavit fronte notatus/ non fuit haec domini
vita, sed invidia. Cfr. Val.Max. 6.8.7 ipse (servus) nihil aliud quam umbra et
imago suppliciorum suorum, maximum esse emolumentum eius a quo tam
graviter punitus erat salutem iudicavit, cumque abunde foret iram remittere,
adiecit etiam caritatem.
351 R. Kaster, invidia..., op.cit., p. 266.
97
per
indicare
l'invidia
attiva,
ossia
quella
provata
98
logico,
documenta,
tuttavia,
il
processo,
opposto,
di
99
sdegno
non
scaturiva
spontaneamente
come
riflesso
di
100
Antonio,
nel
Dialogo
ciceroniano
De
oratore,
presentando
gli
eccitazione del risentimento come fast iilegitim, da doch die passive Bedeutung
von invidia zugrundelag und die vllig andersartige aktive Bedeutung <<Gefhl
der migunst>> daneben bestehen blieb.
369 Cic. De or. 2.209-211.
370 Cic. De or. 2.209.
371 Cic. De or. 2.209.
372 Cic. De or. 2.209.
373 Cic. De or. 2.210.
101
motus,
enfatizzando
l'indignazione
dinnanzi
ad
un
rebus
magis
videantur
quam
causae
suae
confidere,
in
102
103
nostrum sit in hoc praeclaro consulatu non video, iudices; quae vero
miseranda sunt, ea et mihi ante oculos versantur et vos videre et
perspicere potestis379.
La commiserazione comporta dunque un alleggerimento del peso
dell'invidia che grava sul cliente, spesso associato al trasferimento di
questa verso la controparte, in un procedimento che verrebbe da
definire inversamente proporzionale380.
Invidiam facere, dunque, equivaleva, in contesti come questi, a
suscitare lo sdegno popolare; per ottenere tale scopo, a volte, non
occorrevano neppure le parole, le calunnie, le diffamazioni scoperte:
risultava pi forte il linguaggio non verbale381.
A differenza, infatti, di altre passioni retorico-oratorie, l'invidia non
poteva contare su un contagio immediato, non si trasmetteva in
modo mimetico dall'oratore al pubblico: antifrastica all'amor ed alla
misericordia, nonch alla gratia, al favor ed alla gloria, ma
affine all'odium, all'offensio, all'iracundia, invidia necessita di
specifici accorgimenti per essere suscitata382.
Nella Pro Sestio Cicerone ricorda come Gabinio, nella sua qualit di
tribuno della plebe, usasse mostrare alla contio, locus invidiae per
eccellenza383, una tela dove era dipinta la villa di Lucullo, al fine di
suscitare l'invidia popolare contro costui. Cicerone, a sua volta, per
attaccare Gabinio ricorre al medesimo espediente a cui era ricorso il
suo avversario per rendere inviso Lucullo: additare alla vista di tutti la
villa di Gabinio, villa talmente grande da mettere in ombra quella di
Lucullo384.
379 Cic. Mur. 87-88.
380 V.Chinnici Passioni retoriche a confronto: invidia vs misericordia, <<Paideia>>,
62 (2007), p.234.
381 Sull'uso di elementi visivi sulla scena oratoria, tesi al coinolgimento emotivo
dell'uditorio, Cfr. G. Moretti, mezzi visuali per le passioni retoriche: le scenografia
dell'oratoria, in G.Petrone (a cura di), Le passioni della retorica, Palermo 2004,
pp. 63-96.
382 V.Chinnici, Et sine culpa invidia ponatur (Cluent. 5):le finzioni di Invidia in
Cicerone oratore,, p. 220.
383 Cfr,, infra, n. 397.
384 Cum sciat duo illa rei publicae paene fata, Gabinium et Pisonem, alterum..villa
edificare in oculis omnium tantam, tugurium ut iam videatur esse illa villa quam
104
Uno fra gli espedienti visivi pi usati (ed abusati) dai retori e gli
oratori nelle perorationes per muovere a compassione i giudici era
certamente quello del cosi detto <<spettacolo dell'infanzia>>,
spettacolo che, spesso, si configurava come una vera e propria sfilata
di bambini in lacrime.
Nelle Verrine, Cicerone lascia intravedere la critica dell'oratore
Ortensio, avvocato difensore di Verre, che lo accusava di demagogia
per aver introdotto, tra i testimoni, un ragazzino orfano e vestito a
lutto:
hic
etiam
priore
actione
Q.Hortensius
pupillum
Iunium
esempi
riportati
permettono
di
osservare
verificare
un
ut,
si
quid
suspicaretur,
accusaret
se.
Pauper
105
che quell'unico
accenno
minaccioso del
ragazzo
dalla
questione
pregiudiziale
sollevata
dal
retore
106
107
ormai
datato,
sulla
semantica
di
invidia:
invidia.
Ein
studioso,
riport,
nel
suo
articolo,
un
insieme
di
passi,
397 Cfr., in particolare, F. Pina Polo, Contra arma verbis. Der Redner vor dem volk
in der spten rmischen Republik, Stoccarda 1996.
398 R. Kaster, invidia.., op. cit, p. 268.
399 Cfr. Liv. 26.32.5; Suet. Aug. 43.1-2; Tac. Hist. 4.41.
400 Tac. Hist. 1.82; Ann. 1.23; Suet. Cal. 9.1.
401 E. Wistrand, Invidia, Ein semasiologischer Beitrag, <<Eranos>>, 44 (1946), pp.
355-369.
402 E. Wistrand, op.cit., p.356 Dies Substantivum steht offenbar mit einer Art
Brachylogi fr die Handlung invidiam facere.
403 E. Wistrand, op.cit., p. 359.
404 L. Valla, De Romani Sermonis Elegantia, 1475, invidia autem praeter illam
significationem notam est vel dicto vel facto in alterum malivolentiae conciliatio.
108
109
(Vorwurf)411,
intesa
come
strumento
mezzo
per
scatenare
l'ambiguit
tra
senso
passivo
ed
attivo
dell'aggettivo415.
Sotto l'accezione passiva del termine, troviamo, poi, l'interpretazione
di invidiosus/invidiosa come res quae movent invidiam in auctores,
possessores, alios416.
Sempre sotto l'accezione passiva, il ThLL riporta anche il significato
tecnico dell'aggettivo: in questo senso, invidiosus/invidiosa si riferisce
110
propria
monografia,
sistematicamente
le
nel
quale
argomentazioni
la
studiosa
del
filologo
contestava
tedesco.
111
Odelstierna
giunse
vedere
il
significato
principale
112
malevolenza
(ill-will),427
nel
suo
senso
primario
non
113
significa,
per
la
studiosa,
mostrare
la
propria
indignazione.430
Accettando questa interpretazione, si va incontro, tuttavia, ad un
buon numero di difficolt: prima di tutto infatti, una tale resa
dell'espressione si pone in netto contrasto con numerosi passi della
letteratura latina, specie di natura retorica, nei quali, effettivamente,
la traduzione non pu che essere quella fornita da Wistrand, in quanto
la sfumatura dinamica evidenziata dal contesto 431; seguendo la
teoria dell'Odelstierna, inoltre, dovremmo, nell'espressione invidiam
facere, attribuire al verbo facere un significato come ostendere,
manifestum facere.
Come rilevato da Pariente, tuttavia, il verbo facere arrivato al
massimo a ricoprire, oltre ai suoi significati tradizionali, anche quello
dire narrare raccontare, ma solo raramente, in epoca tarda, e come
esito ultimo di un processo di trivializzazione 432. Non sussistono
attestazioni, invece, del verbo facere inteso nel senso di mostrare,
rivelare;
significato
che,
invece,
sarebbe
richiesto
dalla
resa
dell'Odelstierna.
Per quanto riguarda l'aggettivo invidiosus, infine, Pariente, pur non
contestando,
morfologica
livello
di
dell'aggettivo
teoria
grammaticale,
proposto
l'interpretazione
dall'Odelstierna,
critica
la
114
115
della
moglie,
tesi
di
Wistrand,
dunque,
pur
rappresentando
un
lavoro
116
el
movimiento
pendular
extremo
hacia
el
lado
lo
spessore
semantico
del
termine,
chiaramente
117
deriva.
Invidere
poteva
indicare
(principalmente)
l'azione
campo447,
mentre
invisus
rientrava,
pressoch
118
aspicere
invidiae,
quam
meruere,
metu 448.
119
Ciceroni.
Namque
antea
pleraque
nobilitas
invidia
120
121
122
123
Capitolo 3
Aglauro e l'Invidia nel secondo libro delle Metamorfosi
3.1 La presentazione dell'episodio.
Contrariamente a ci che si verifica nel Purgatorio dove, come
abbiamo avuto modo di vedere457, Aglauro appare e scompare, come
fulmine subitaneo, dopo aver assorto la sua funzione ammonitrice e
paradigmatica, nelle Metamorfosi il personaggio Aglauro compare ben
due volte, in due episodi diversi, narrati e presentati da due differenti
narratori, allinterno del medesimo libro, il secondo.
La prima presentazione di Aglauro avviene allinterno di un contesto
di significativa complessit narrativa: il poeta, narratore di primo
livello riprende, nei primi 409 versi del II libro, la narrazione della
tragica vicenda di Fetonte, interrotta alla fine del primo libro. A partire
dal verso 409, comincia un nuovo filone narrativo, incentrato su uno
dei temi principali, se non il tema principale, delle Metamorfosi: le
457 Cfr. cap.1.
125
avventure
erotico-sentimentali
degli
dei
nellottica
di
rapporti
extraconiugali.
A dare inizio allintera sequenza nel secondo libro proprio il padre
degli dei, Giove, che, nel suo giro perlustrativo delle grandi mura del
cielo al fine di determinare lo stato conservativo delle stesse dopo il
disastroso passaggio del carro senza controllo guidato da Fetonte,
scorge, rimanendone profondamente colpito, una vergine di Nonacra,
Callisto (vv. 381-410).
I versi seguenti, sino al v. 530, sono incentrati sulla drammatica
vicenda della stessa Callisto; il suo disperato tentativo di resistere alla
violenza perpetrata da Giove (409-440); la scoperta dei segni della
violenza perpetrata ai suoi danni da parte delle ninfe compagne di
Diana Cinzia (441-465); la nascita, frutto dello stupro, di Arcade (468469); la trasformazione di Callisto trasformata in orsa da Giunone,
pazza di gelosia a causa della scappatella del consorte Giove (470495); lincontro, angoscioso e drammatico, tra madre-orsa e figlio
cacciatore nelle selve (496-504); il loro catasterismo ad opera dello
stesso Giove (505-507).
La vicenda di Callisto termina poi, con una coda finale, nella scena,
immediamente successiva, di Giunone che, adirata per la sorte
toccata alla rivale damore, si reca presso le divinit marine Oceano e
Teti, chiedendo loro di impedire la discesca nei gorghi azzurri della
costellazione dellOrsa (508-530).
Gli dei del mare acconsentono e Giunone torna a solcare il limpido
cielo alla guida del suo cocchio tirato da pavoni screziati (vv.531-534);
ed proprio da questa ultima immagine, quella cio delle penne
pictae (v.533) dei pavoni, che il poeta trova il punto di collegamento,
il pretesto narrativo potremmo dire, che permette il passaggio ad una
nuova sequenza narrativa, dominata dalla figura della cornacchia,
nella sua triplice veste di protagonista, narratrice e nuovamente
protagonista, agente allinterno di una delle storie da ella stessa
narrate.
126
ma
anche
gi
quella
antica,
ingenua
ed
insoddisfacente458.
Certamente non possono essere taciute o misconosciute le numerose
occorrenze, allinterno delle Metamorfosi, nelle quali la transizione tra
una storia e laltra appare essere legata alle esigenze del carmen
deductum,
della
perpetuitas
carminis,
configurandosi
come
necessariamente,
l'enfatizzazione
della
loro
assoluta
opere
fondamentali
nell'ambito
degli
studi
ovidiani, 459
la
458 Per quel che concerne la critica antica, celebre il giudizio di Quint. Inst.or.
4.1.77 (giudizio, questo, incentrato sul ruolo generale delle transizioni nelle
Metamorfosi): illa vero frigida et puerilis est in scholiis adfectatio ut ipse transitus
efficiat aliquam utique sententim et huius velut praestigiae plausam petat, ut
Ovidius lascivire in Metamorphosesin solet; quem tamen excusare necessitas
potest, res diversissimas in speciem unius corporis colligentem. Per gli orientamenti
moderni della critica, sostanzialmente concordi con il giudizio di Quintiliano, Cfr F.J.
Miller, Some Features of Ovids Style, CJ 16 (1920-1921), pp. 464-476; J.M.Frecaut,
Les transitions dans les Metamorphoses dOvide, REL 47 (1968), pp. 247-263;
E.J.Kenney, The Style of Metamorphoses, in Ovid, Greek and Latin studies: Classical
Literature and Its Influence, Londra 1973; G.K.Galinsky, Ovids Metamorphoses: An
inroduction to the Basic Aspects, Bekeley-Los Angeles 1975, pp.42 e 79-109.
459 G. K. Galinsky, Ovid's Metamorphoses: An Introduction to the Basic Aspects,
Berkeley-Los Angeles 1975,; J. Solodow, The World of Ovid's Metamorphoses,
Chaper Hill-Londra 1988.
127
nell'opera
medesima
vicenda
ovidiana:
mitica,
di
l'alternanza,
toni
seri
all'interno
faceti
di
una
(Humor
and
tema-
serio
iniziale,462
poi
non
ripreso
sviluppato
della
trasformazione
metamorfica464;
la
predominanza
assoluta del ruolo del narratore, con i suoi artifici stilistici, le sue
tecniche narrative, la su abilit ed arguzia stilistica, rispetto alla
vicenda narrata ed ai possibili significati da essa veicolati: it is not the
substance of the myth that matters, but the way it is told. The how is
more important than the what465.
Solodow, in particolare, accosta e giustifica l'assenza di un valore
morale nelle Metamorfosi ovidiane proprio con l'artificiosit dei
collegamenti tra una storia e l'altra: the difficulty in attaching
meaning to the stories is deepened by the existence of the narrator.
His omnipresence provides a constant reminder that the stories have
no privileged origin, but are the subjective products of a very human
narrator. Freely invented, casually joined to one another, often openly
queried or criticized by the poet himself, what they can mean?466
460
461
462
463
464
465
466
128
Gli aspetti sottolineati dai due studiosi sono certamente validi nel
complesso dell'opera ovidiana: il trattamento del mito in Ovidio ha
certamente perso molto di quella componente educativo-formativa
cos presente, invece, nella tragedia greca, nellepica arcaica nonch,
ancora ai tempi di Ovidio, nellEneide virgiliana. Tuttavia, questi
aspetti, per quanto uniti ad una artificiosit di linguaggio, ad un
concettualismo, ad un gusto per lartificio narrativo anchessi estranei
alla tradizionale sostenutezza linguistica tipica della gravitas epica,
non
credo
possano
impedire
di
scorgere,
dietro
le
vicende
validi
per
la
grande
maggioranza
delle
vicende
alla
fine
dellinsieme
delle
vicende
precedentemente
129
intera
130
15
,
,
471
535
131
corvus
loquax;
nello
stesso
verso,
viene
poi
presentato
di
metamorfosi
cromatica
del
corvo
che
ha
visto
coppia
di
versi
540-541
viene
presentata
la
causa
della
132
da
solo,
esce
per
otto
versi
dal
flusso
narrativo,
questo
punto,
il
narratore
comincia
raccontare
compiutamente la vicenda.
Pulchrior in tota, quam Larissaea Coronis,
non fuit Haemonia: placuit tibi, Delphice, certe
dum vel casta fuit vel inobservata478.
Il tema di partenza , ancora una volta, quello di una storia damore
tra un dio ed una fanciulla; gli attori protagonisti sono, nel caso
137
questi
aspetti
vengono
riassunti
nel
testo,
in
maniera
Apollo
Coronide
piacque
(ed
in
questa
espressione
sono
evidentemente condensate tutte le immagini legate alla sfera eroticosentimentale che troviamo in numerose altre vicende del poema)
finch rimase pura (sfera, questa delladulterio, a proposito della
quale, vale il discorso fatto in precedenza, molto pi diffusamente si
sofferma il poeta in numerose altre occorenze) 481. La storia damore
tra Apollo e Coronide dura, in fondo, il tempo di due emistichi. E dura
tanto poco, perch, nel caso di specie, dovr costituire solamente lo
sfondo di riferimento del tema principale: quello, come detto, della
delazione, di un cattivo usus vocis. Latto della delazione viene, per,
anticipato, dall'indicazione dell'altra grande sfera tematica della
sezione: quella visiva, introdotta attraverso il participio inobservata
(v.544), riferito a Coronide ed enfaticamente accostato, per il tramite
della disgiuntiva vel, al casta precedente. In tal modo viene
sottolineata limportanza del ruolo del delatore e della delazione
stessa nella cessazione, che vedremo essere tragica, della vicenda
sentimentale: Febo Apollo fu innamorato di Coronide finch ella si
479 K.Galinsky, op.cit., p. 97 The main subject of the poem, if one has to specify
one, is love rather than metamorphosis.
480 Ovidio non introduce neppure il nome dell'amante, Ischi, che invece ricordato
da Hes. fr.60.1 M-W.
481 Cfr. Ov. Met. 1.588 sgg; 3. 259 sgg.; 362 sgg.; 4.171 sgg.;6.490 sgg.; 7.524
sgg.; 8.132 sgg.
138
540
linguae>>486.
482 Significativa la correlazione vel-vel del verso 544: dum vel casta fuit vel
inobservata.
483 Sul rapporto corvo-Apollo, cfr. Ov. Fast. 2.243-266.
484 Secondo Hyg. Fab. 202.1, Apollo in persona aveva posto il corvo a guardia della
giovane; in Ovidio, invece, il corvo un a spia volontaria.
485 Ov. Met-2. 545-547.
486 Ov. Met. 2. 544-550.
139
modello
letterario
seguito
da
Ovidio
nella
presentazione
da
identificarsi
nella
civetta488,
discutendo
nel
quale
si
140
inserisce
la
storia
della
cornacchia.
141
compiuta
nel
futuro
unazione
comunque
ancora
142
alla
occasione
offertagli
dalle
parole
di
Acete.
praesens
conserverebbe
il
suo
significato
prettamente
144
per
rendersi
facilmente
conto
delle
conseguenze
Ov.
Ov.
Ov.
Ov.
145
Met.
Met.
Met.
Met.
2.
2.
4.
4.
635-675.
676-707.
190-255.
234.
refert
audita
susurra)496.
La
morte
di
Procri
sar
146
147
il
fatto
che
il
piano
del
linguaggio
superi
le
toccher
con
le
sue
mani
(<<Effice,
quidquid/
corpore
504
505
506
507
508
Ov.
Ov.
Ov.
Ov.
Ov.
148
Met.
Met.
Met.
Met.
Met.
5. 294-678.
11. 102-103.
14. 136-138.
11. 119-122.
14. 142-144.
che
ammaliano,
che
affascinano,
che
seducono
che
straniamento
149
fornirla
l'analisi
di
un
altro
aspetto
che
sembra
Ov. Met. 2.
Ov. Met. 2. 596-597.
Ov.Met. 2. 655-675.
Ov. Met. 2. 680- 707.
Ov. Met. 2. 829-830.
524 Ov. Met. 2. 547-548.
150
Emblematico
il
complemento
oggetto
legato
scitetur:
la
cornacchia non vuole conoscere per sommi fatti gli avvenimenti, non
vuole avere informazioni parziali (in fondo, per presentare il suo
consiglio al corvo, sarebbe stato sufficiente conoscere la storia nei
suoi
lineamenti
essenziali),
vuole
sapere
tutto,
omnia.
Un
525
nel
De
utilitate
credendi
definir
il
curiosus,
in
151
205
iudico
qui multum miseri sint, laborent nil moror.
dicam auctionis causam, ut damno gaudeant
nam curiosus nemo est quin sit malevolus531
Qui il parassita Gelasimo sta riflettendo tra il serio e il faceto
sullegemone componente malevola della natura umana, il cui tratto
distintivo proprio in uno sguardo inopportunamente attento alle
vicende altrui, nel tentativo, esecrabile, di cogliere il male degli altri
nel suo svolgersi.
Prima di Cicerone il termine si trova ancora attestato in un frammento
di Afranio532 e nel commediografo Terenzio, in un passo dell'Eunuchus,
in cui l'aggettivo curiosus viene utilizzato per designare la figura di un
uomo inopportuno (neminem curiosum intervenire nunc mihi/ qui me
sequatur quoquo eam, rogitando obtundat)533.
Due passi, uno di Seneca il vecchio e laltro di Svetonio collegano il
termine direttamente alle figure dei delatori e degli spioni534.
In Cicerone, il primo, tra laltro, ad utilizzare il sostantivo curiositas in
una lettera ad Attico, il sostantivo, cos come gli aggettivi e gli avverbi
di riferimento, si caricano di duplice valenza: nel De finibus535, infatti,
lArpinate elogia entusiasta linsatiabilis quaedam e cognoscendis
rebus voluptas. Lo stesso elogio presente nelle Tuscolane: natura
inest
in
mentibus
nostris
insatiabilis
quaedam
cupiditas
veri
152
arcana
mundi,
fallendo
inesorabilmente.539.
Tertulliano
in
153
154
plutarchea
del
De
curiositate,
per
la
quale
la
155
del
corvo
alla
chiacchera,
alla
loquacit,
dettato da un
sentimento di invidia?
La risposta a questo interrogativo permette di delineare un altro
ambito di invidia indagato ed analizzato da studi specifici: quello,
cio, che lo vede in relazione al concetto, avvicinabile ma non
sovrapponibile, di gelosia.
3.7 Gelosia ed invidia.
Per poter comprendere le relazioni che legano invidia e gelosia,
rendendo, in alcuni casi, difficile una loro precisa distinzione,
dobbiamo partire da una caratteristica che contraddsitingue ambedue
i sentimenti: la loro natura composita e complessa.
Affinch l'invidia possa innestarsi, sono necessarie tre condizioni: 1)
che qualcuno (la persona oggetto di invidia) possieda un bene; 2) che
qualcun'altro (chi soffre d'invidia) non possegga il bene in questione;
3) che questa situazione venga avvertita e percepita dall'invidioso
come ingiusta e sbagliata. Queste condizioni innestano un insieme di
sentimenti
percezioni
che
connotano,
appunto,
la
natura
complessa dell'invidia.
Spielman
556
156
britannico
Joffe557
ha
invece
individuato
(resentment),
sei
componenti
ammirazione
(admiration),
desiderio
157
l'invidia
riguarda,
principalmente,
dei
beni
materiali,
158
159
che
la
avvicinerebbe
all'invidia.
particolarmente
160
583
584 Cfr Prop. 4.8.52 dove il sentimento della gelosia provata da Cinzia viene
espresso con il medesimo ricorso al furore irrazionale ed impulsivo, indicato con
laggettivo furibunda: non opeosa comis, sed furibunda decens.; simile, in generale,
alla presentazione della sofferenza di Cinzia in Properzio quella che Ovidio vuole
che lamante crei intenzionalmente nellamata in A.A. 445-46454 fac timeat de te ,
tepidamque recalface mentem:/ palleat indicio criminis illa tui;/ o quater et quotiens
numero conprendere non est/ felicem, de quo laesa puella dolet:/ quae, simul
invitas crimen pervenit ad aures,/ excidit, et miserae voxque colorque fugit./ Ille
ego sim, teneras cui petat ungue genas,/ quem videt lacrimans, quem torvis
spectat ocellis, quo sine non possit vivere, posse velit..
161
per
le
altrui
sofferenze,
oltre
ad
essere
sentimenti
libro,
viene
descritta
essenzialmente
come
ansia,
162
verr non a caso provata dalla stessa Procri alla notizia, non veritiera,
del tradimento di Cefalo (Credula res amor est: subito conlapsa
dolore,/ ut mihi narratur, cecidit, longoque refecta/ tempore, se
miseram, se fati dixit iniqui,/ deque fide questa est et crimine concita
vano,/ quod nihil est metuit, metuit sine corpore nomen,)591. I
personaggi gelosi delle Metamorfosi, oltre a soffrire interiormente,
sperimentano al contempo sensazioni di rabbia e furore contro gli
avversari in amore, come Deianira che, alla notizia del tradimento di
Eracle verr descritta da Ovidio come oscillante tra volont di
riappropriarsi dellamato con azioni attive e concrete (<<quid autem/
flemus?>> ait. <<Paelex lacrimis laetabitur istis!/ Quae quoniam
adveniet, properandum aliquidque novandum est)592 e, al contempo,
desiderio di distruzione della rivale (<<Quid si me, Meleagre, tuam
memor esse sororem/ forte paro facinus, quantumque iniuria possit/
femineusque dolor, iugulata paelice testor?>>)593, o come il gigante
Polifemo nel tredicesimo libro, il quale, in maniera del tutto conforme
alla sua natura, giunger ad un parossismo del furor contro Aci con
tratti iperbolici e snaturati, giacch, nel suo caso, non si tratter pi
semplicemente di eliminare il rivale, ma addirittura di squartarlo e
smembrarlo (Viscera viva traham divulsaque membra per agros/
perque tuas spargam- sic se tibi misceat!-undas)594. In altri casi,
tuttavia, la reazione che comporta la gelosia molto simile a quella
arrecata
dallinvidia-malevolenza;
paradigmatico,
sotto
questo
Ov.
Ov.
Ov.
Ov.
163
Met.
Met.
Met.
Met.
7. 826-830.
9. 143-145.
9. 149-151.
13. 865-866.
dolet
de
semine
magni/
esse
Iovis
Semelen)596.
questo
esempio
possiamo
aggiungere
quello
dellanonima ninfa che, come narrato nel quarto libro, mut Dafni in
pietra pur di sottrarlo al controllo della rivale (<<Vulgatos taceo>>
dixit <<pastoris amores/ Dalphnidis Idaei, quem nymphe paelicis ira/
contulit in saxum: tantus dolor urit amantes 597) testimoniando
anchessa
una
forte
componente
di
malevolentia
ed
un
Ov.
Ov.
Ov.
Ov.
164
Met. 3. 256-259.
Met. 3. 259-261.
Met.4. 276-278.
Met. 4. 195-196.
Ovidio,
per
descrivere
sentimenti
provati
dalla
ninfa
di
165
personale,
esperienza
assai
simile
quella
ora
560
166
nelle
Metamorfosi,
come
nellHecale,
le
sorelle
167
il
collegamento
con
le
vicende
di
Teseo
descritte
linserimento
della
cornacchia,
ccontraddistinta
da
168
avrebbe,
invece,
indicato
come
colpevoli
Aglauro
Pandroso614.
Differenti sono anche le punizioni riservate alle colpevoli nei vari rami
della tradizione: secondo la testimonianza di Pausania, le due sorelle,
Erse ed Aglauro, dopo aver aperto la cesta, impazzirono avendone
visto il contenuto e, in preda alla follia, si precipitarono gi dalla rocca
di Atene, dove la ripa era pi scoscesa615;
Apollodoro riporta, nella sua Biblioteca616, due differenti versioni della
fine
delle
cecropidi
colpevoli;
alcuni
(),
dice
Apollodoro,
,
. ; 1.27.3
.
.
613 Appolod. 3.14
, .
.
614 Antig. Hist. mirab. 12 ,
, (..) ,
, .
615 1.18.2 , .
616 Cfr. Apollod. 3.
617 Apollod. 3.14 .
618 Apollod. 3.14
.
169
Diverse tra loro le testimonianze delle fonti, differente dal resto della
tradizione la testimonianza ovidiana: ununica colpevole, Aglauro, e
nessuna indicazione di una punizione. La mancanza della punizione
pu essere spiegata in base a due considerazioni:
prima di tutto, dobbiamo ricordare che a narrare la storia delle
Cecropidi in Ovidio la cornacchia, la quale ha deciso di raccontare la
vicenda al corvo per una finalit ben precisa: ammonirlo degli
svantaggi che possono essere arrecati dalla diffusione di notizie
indesiderate, accostando la sua storia a quella del corvo (quid fuerim
quid simque, vide meritumque require:/ invenies nocuisse fidem, vv.
551-552). Alla cornacchia interessa informare il corvo dellerrore da lei
commesso; la storia delle figlie di Cecrope costituisce, per lei, solo lo
sfondo del suo racconto, proprio perch il suo racconto incentrato
su se stessa, lei la protagonista principale.
Nel momento in cui Aglauro disfa i nodi e la cornacchia, osservato il
tutto, corre a riferire la notizia a Minerva, la sovrapposizione tra la sua
vicenda e quella del corvo totale: la vicenda delle Cecropidi, narrata
proprio per creare questa sovrapposizione, ora non pi menzionata,
viene temporaneamente abbandonata dal narratore, che concentra la
sua attenzione sulla cornix e sulle conseguenze della sua delazione.
Lelemento di congiunzione tra le storie della cornacchia e del corvo
era infatti quello relativo alla denuncia di atti illeciti alle rispettive
divinit di riferimento; una volta ripreso questa tema, la cornacchia
poteva andare avanti nella narrazione, senza tornare sulla vicenda
delle Cecropidi. La cornix, dopo aver riferito al corvo la punizione
inflittale da Minerva, continuer la sua narrazione, ritornando ancora
pi indietro nel tempo, narrando della sua originaria condizione
umana e della sua metamorfosi; non a caso, lunica punizione
introdotta nel suo racconto quella che lei stessa aveva subito ad
opera di Minerva619.
619 Quello offerto dalla cornacchia un buon esempio delle diverse prospettive,
delle diverse angolazioni con le quali le storie delle Metamorfosi vengono
presentate e narrate La narrazione di una storia legata alla figura del narratore,
170
171
unaltro
personaggio,
contribuendo,
in
questo
modo,
questo
desiderio
autodistruttivo,
in
questa
volont
di
volont
di
suicidio
di
Aglauro
poteva,
dunque,
adattarsi
173
delle
sue
esigenze.
Nel
nostro
caso,
partendo
dal
174
rugiada,
come
nel
caso
delle
due
sorelle,
legato,
Aglauro,
Ovidio
si
periti
di
introdurre
un
elemento,
una
175
notazione
trasformazione
cromatica
(la
pietra
relativa
nella
al
quale
prodotto
era
finale
stata
della
mutata
la
protagonista):
nec lapis albus erat; sua mens infecerat illam.
Il processo consuntivo cui era andata incontro Aglauro era stato
talmente devastante ed interiormente sconvolgente che neppure la
nuova
natura
della
fanciulla
poteva
rimanere
esente
dalle
177
storia
presentata
dall'uccello
dunque
un
esempio
del
178
179
inquadri,
tuttavia,
all'interno
dell'accezione
pi
ampia,
che
mentre
il
corvo
la
cornacchia
sembrano
del
procedimento
meta-diegetico,
la
vicenda
delle
180
Aglauro, prima ancora di rispondere alle richieste del dio, viene colta
da Ovidio nell'atto, a lei evidentemente congeniale, di vedere e
scrutare i movimenti e le intenzioni del dio (Quae tenuit laevum,
venientem prima notavit/ Mercurium nomenque dei scitarier ausa
est;)636 Aglauro, rileva Ovidio, osserv il dio con lo stesso sguardo con
il quale aveva scrutato, in passato, il contenuto della cesta (Adspicit
hunc oculis isdem, quibus abdita nuper/ viderat Aglauros flavae
secreta Minervae)637. La giovane, infine, richiede espressamente a
Mercurio, per soddisfare la sua richiesta, un gran quantitativo d'oro.
(proque ministerio magni sibi ponderis aurum/ postulat)638. A questo
punto ricompare, in scena, ex abrupto, Minerva, la quale viene colta
nell'atto di rivolgere una torva occhiata ad Aglauro. (vertit ad hanc
torvi dea bellica luminis orbem639).
Ancora una volta, dunque, Aglauro, diviene, contemporaneamente,
oggetto e soggetto visivo. Alcuni studiosi hanno scorto nella reazione
di Minerva i sintomi del sentimento d'invidia. vero che la visione
della dea torva, come torvi sono gli occhi degli invidiosi, ed
altrettanto vero, come rilevato da Feeney640, che il sospirare profondo
dal petto indica un'idea di sofferenza interiore e corporea assimilabile
ai sospiri di chi scruta con invidia le gioie altrui; altrettanto chiaro,
per, che le motivazioni addotte da Ovidio per giustificare la
sofferenza di Minerva rimandano al contesto di una colpa e di una
relativa punizione da espiare.
Non a caso, infatti, Ovidio associa immediatamente, nella mente della
dea, i due distinti accadimenti, chiarendo, in questo modo, come la
sofferenza di Minerva nascesse, non dalla semplice constatazione che
Aglauro stesse godendo di un bene, ma dal fatto che la Cecropide ne
stesse godendo dopo aver disubbidito al precetto divino in occasione
dell'apertura proibita della cesta (Vertit ad hanc torvi dea bellica
636 Ov. Met. 2. 740-741.
637 Ov. Met. 2. 748-749.
638Ov. Met. 2. 750-751.
639 Ov. Met. 2. 752.
640 D.C. Feeney, The Gods in Epic, Oxford 1991, p.246.
181
Aglauro,
infatti,
pur
comportandosi
empiamente,
sotto
quest'ottica,
anche
il
ritardo
nell'indicazione
della
182
sottolineata,
nell'ambito
degli
studi
sulle
Metamorfosi,
up
his
portraits
almost
solely
through
descriptions
of
183
parola
tabes650,
cos
come
tabum,
deriva
da
una
radice
184
185
sfumature
semantiche
dell'aggettivo
che
sembrerebbero
186
665 Verg. Aen. 6. 303 con 6.410; Non. 549.2; Serv. Ad Aen., 9. 582.
666 Cfr., e.g., Verg. Ge. 1. 467; 4.183;
667 Cfr. e.g., Tib. 1.4.43; Ov. Met. 15. 789-790.
668 Ov. Met. 13. 960.
669 Cfr. e.g., Cat. 64. 227; Verg. Ge. 1.467; Ov. Met. 5. 404.
670 Cfr. Hor. Sat. 1.4. 100-101 hic nigrae sucus lolliginis, haec est/ aerugo mera;
Mart. 2.61.5-6 uteris ore aliter nimiaque aerugine captus/ adlatras nomen quod
tibi cumque datur; 10.33.5-6 ut tu, si viridi tinctos aerugine versus/ forte malus
livor dixe.rit esse meos.
671 Cfr. Laus Pisonis 107 animusque mala ferrugine purus; Auson. 417.62-63 livor
ubi est tuus ferrugineumque venenum/ opportuna tuis inimicant pectora fulcis
672 Cfr., e.g., Stat. Silv. 1.3.102-103 sive 7liventem satiram nigra rubigine turbes;
Mart. 5.28.7 robiginosis cuncta dentibus rodit
673 Ov. Met. 2. 761-764.
674 M.Dickie, Ovid, Metamorphoses 2. 760-764., <<American journal of
philology>>, 96 (1975), pp. 378-390.
187
auream
quisquis
mediocritatem/
diligit,
tutus
caret
188
Nell'ambito
della
Cicerone685,
Orazio686
hanno
dell'invidia,
dei
attacchi,
suoi
letteratura
sottolineato
delle
sue
il
latina,
Terenzio 684,
carattere
insinuazioni.
nascosto
Sidonio
Apollinare, in una delle sue Epistole, nel descrivere le azioni del coro
degli invidiosi, che mai esprimono apertamente i propri pensieri,
utilizza il participio presente del verbo mussito, a sua volta
frequentativo di musso, verbo avente il significato di bisbigliare,
sussurrare, mormorare: mussitans quamquam chorus invidiorum
/prodat hirritu rabiem canino,/ nil palam sane loquitur pavetque/
publica puncta687.
680 Hor. Carm. 2.10.5-12.
681 Ol. 1.47 sgg.; Pyth. 1.81 sgg., 2.74 sgg., 11.28 sgg.; Nem. 4.37 sgg., 7.61 sgg.
682 Her. 7. 237.2.
683 Hym. 2.105.
684 Ter. Eun. 410-411. invidere omnes mihi/moredere clanculum.
685 Cic. Att. 1.13.4 tuus ille amicus.. nos, ut ostendit, admodum diligit, amplectitur,
amat, aperte laudat, occulte, sed ita ut perspicuum sit, invidet.
686 Hor. Ep.1.14.37-38 non istic obliquo oculo mea commoda quisquam/ limat, non
odio obscuro morsuque venenat.
687 Sid. Ep. 9.16.9-12.
189
di
elementi
che
permettevano,
di
fatto,
proprio
un
190
fide./
nullus
est
quoi
non
invideant
rem
secundam
191
192
dell'inerzia
dall'aggettivo
resa,
frigida.
proprio
L'aggettivo
come
frigidus,
nel
passo
infatti,
ovidiano,
assieme
al
701
702
703
704
705
quamquam
modo
venerat
193
illuc,/
visa
tamen
sensisse
194
195
in
realt,
proprio
il
punto
debole
della
sua
196
vista
che
si
offre
Minerva
all'apertura
della
porta,
medievali
rinascimentali,
nella
presentazioni
di
197
724
concretizza
le
caratteristiche
dell'invidia).
In
quanto
198
Ov.
Ov.
Ov.
Ov.
Ov.
Ov.
Ov.
199
Met.
Met.
Met.
Met.
Met.
Met.
Met.
2.
2.
2.
2.
2.
2.
2.
775.
776.
777.
780.
778.
796.
791-794.
due
entit,
cosi
come
presentate
da
Virgilio,
erano
200
lancia un serpente e glielo insinua nel seno fino alle profondit del
cuore (Huic dea caeruleris unum de crinibus anguem/ conicit inque
sinum praecordia ad intuma subdit)742. Il serpente strisciando tra le
vesti ed il liscio petto, si snoda senza morderla, e la inganna
rendendola folle (ille inter vestes et et levia pectora lapsus/ volvitur
attractu nullo fallitque furentem/ vipeream inspirans animam)743. La
veste di Amata si intride di umido veleno, agita i sensi e avviluppa di
fuoco le ossa (prima lues udo sublapsa venenum/ petemptat sensus
atque ossibus implicat ignem)744.
Indicativa, in ambedue i passi, la ripresa dei termini-chiave del
processo di avvelenamento e infezione745, con l'utilizzo del verbo
inspirare746 atto ad indicare un veleno che viene, letteralmente,
insufflato, spirato dentro Aglauro ed Amata. Il veleno che infetta
Amata, inoltre, ha la peculiarit di agire lentamente: la regina dei
Latini, infatti, ha ancora la possibilit, prima che la fiamma velenosa
invada tutto il petto, di rivolgersi al marito Latino dolcemente,
secondo la consuetudine delle madri, affinch questi non conceda in
sposa la figlia Lavinia ad Enea747.
Allo stesso modo, il virus che colpisce Aglauro si insinua lentamente,
provocando una lenta consunzione, secondo le modalit tipiche
dell'invidia.
La figura della furia Aletto, inoltre, come messo in luce da Feeney,
rivestiva gi, in Virgilio, una valenza assimilabile alla personificazione,
in quanto la sua presentazione, la sua, forma ed immagine, potevano
valere, anche quando fisicamente descritte, come interpretazioni
allegoriche della sua essenza piuttosto che come attributi effettivi e
concreti di un personaggio
748
201
Polinice,
riprendendo
molte
delle
caratteristiche
dell'Invidia
ovidiana749.
L'Aletto di Virgilio, tuttavia, non agisce sulla vista e sulla capacit
visiva di Amata. Non vi , infatti, nell'intera descrizione dell'episodio
di Amata ed Aletto un solo verbo che rimandi alla sfera visiva,
mentre, come abbiamo visto, la visione distorta e, soprattutto,
ingigantita ed ipertrofica una delle peculiarit principali dell'Invidia
ovidiana.
Per enfatizzare quest'ultimo aspetto probabile che il poeta si sia
ispirato ad un'altra celebre personificazione virgiliana: la Fama del
quarto libro dell'Eneide.
La Fama di Virgilio, infatti, un mostro orrendo ed informe, che
possiede tanti occhi, lingue, bocche, orecchi quante piume nel corpo
(monstrum horrendum ingens, cui quot sunt corpore plumae/ tot
vigiles oculi subter (mirabile dictu),/ tot linguae, totidem ora sonant,
tot subrigit auris)750; non chiude gli occhi al dolce sonno, mentre di
giorno siede spiando sul culmine di un tetto (nec dulci declinat lumina
somno;/ luce sedet custos aut summi culmine tecti)751. Anche in
Virgilio, la vista della Fama si accompagnava ad una stortura della
realt dei fatti: la Fama, infatti, viene considerata messaggera tanto
del falso e del malvagio, quanto del vero; annunzia ugualmente il
reale ed il fittizio (tam ficti pravique tenax quam nuntia veri)752. Tutto
in lei enfatizzato ed esagerato, compresa, evidentemente, la sua
vista e le notizie da lei riportate 753. In particolare, come sottolineato
da Tissol, l'Invidia condivide con la Fama il potere dell', la
emancipated from her characteristic effect, Allecto, on the other end, is her
essence. Cfr. D. Lowe, op.cit., pp. 422-424.
749 Cfr. T.korneeva, op.cit., pp. 106-125.
750 Verg. Aen. 4. 181-183.
751 Verg. Aen. 4. 185-186.
752 Verg. Aen. 4. 188.
753 Ovidio riprender quest'immagine dell'enfatizzazione ed esagerazione della
componente visiva e verbale della Fama nella sua personificazione della stessa,
presentata in Met. 12. 39-65.
202
203
studi
dedicati
all'individuazione
dell'oggetto
statement
of
literary
purpose760.
Lo
stesso
Ovidio
204
propria
cui
viene
sottoposta
la
Cecropide
si
divide
205
prima
attestazione
letteraria
della
consunzione
prodotta
206
dell'immagine
della
passione
invidiosa
con
207
intenso
ma
pi
continuo,
accostabile
piuttosto
al
similitudine, abbastanza
dell'Invidia
quella
di
spingere
Aglauro
non
208
litomorfici,
descritti
nelle
Metamorfosi
sono
particolare
del
processo,
piuttosto
sull'immediatezza
209
la
metricamente
prevalenza
di
pesanti
spondei,
come
la
presenza
inmedicabile
di
termini
respiramina
210
configurarsi
anche
come
strangolamento
emotivo.
Mart. 8.61.1-2.
Mart. 1.115.6.
Sil. 13. 584.
Lib. 30.18
Gal. Comm. In Hipp. nat.hom. 13.
211
vitali
negli
organismi
viventi.
Questa
caratteristica
212
213
di
diventa
Anassarete/roccia,
in
cui
effettivamente
proiezione e rappresentazione
il
morfologica,
sperimentate
dal
personaggio
al
momento
della
816 Cfr. Ov. Met. 1.236-239 in villos abeunt vestes, in crura lacerti:/ fit lupus, et
veteris servat vestigia formae;/ canities eadem est, eadem violentia vultus,/
idem oculi lucent, eadem feritatis imago est.; Ov. Met. 14.757-758 hoc quoque
non potuit, paulatimque occupat artos,/ quod fuit in duro iam pridem pectore,
saxum.
817 Cfr. E.Pianezzola, Modelli retorici e forma narrativa, Bologna 1999, pp. 29-42.,
Lo studioso italiano ha sottolineato, a proposito dell'episodio di Niobe straziata
dinnanzi ai cadaveri dei figli, il doppio livello semantico del perfetto deriguit (Ov.
Met. 6.303). Il significato del verbo, infatti, varrebbe sia nel senso proprio di
irrigidirsi fisicamente (per il freddo, ad esempio) sia in quello, traslato e figurato,
di irrigidirsi per la paura, il dolore, etc... Ovidio riprenderebbe, nel passo citato, il
significato metaforico, caricandolo anche del significato proprio che resta
temporaneamente in ombra, ma che si preciser nell'episodio della
pietrificazione fisica e concreta di Niobe, Cfr., per una analisi delle teorie di
Pianezzola, Paolo Menella, Deriguitque malis .., op.cit.,, pp. 59-79.
214
215
delle
vicende,
l'usus
vocis
le
sue
drammatiche
prompting the raven to tell Apollo about Coroni's infidelity (Met. 2.543-47, 56999); and even, perhaps, in Apollo's murderous anger at Coronis, his response to
the raven's report.
216