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di Ludovica Pellizzetti
La consapevolezza comune che la globalizzazione imponga stress da cambiamento, sradicamento
e spaesamento. Ma proprio cos? Oppure, a fronte delle rinegoziazioni spazio-temporali e delle
sfide multiformi che la globalizzazione genera, possibile rintracciare nelle vite di ciascuno le
premesse per una riappropriazione del proprio mondo?
Lessere a casa sembra essere una delle
poche costanti della condizione umana1
Agnes Heller
A. Heller, Dove siamo a casa. Pisan lectures 1993-1998, Franco Angeli, Milano 1999, p. 24.
La globalizzazione, inoltre, intrattiene un rapporto biunivoco con la modernit, tema che, a sua
volta, da almeno mezzo secolo a questa parte oggetto di acceso dibattito. Da un lato, infatti, la
prima interpretabile come prodotto di tratti intrinseci della modernit, cos come questa si
realizzata nellemisfero Occidentale, quale radicalizzazione di processi in atto da tempo; dallaltro,
la globalizzazione - attraverso la facilitazione e la velocizzazione di spostamenti e contatti - ha
creato condizioni favorevoli alla modernizzazione dei paesi in via di sviluppo, a cominciare dalla
Cina e dallIndia, facendo della condizione moderna una condizione realmente globale.
Se poi la stretta correlazione tra modernit e globalizzazione unanimemente condivisa, la
discussione non invece altrettanto concorde sul carattere di novit storica di tale fenomeno
globale.
Una prima contrapposizione a tale proposito quella che vede confrontarsi iperglobalisti,
regionalisti e scettici: i primi considerano la globalizzazione un fenomeno assolutamente nuovo
e irreversibile, gli altri qualcosa di inedito - ma solo relativamente ad alcuni settori della vita
associata; gli ultimi, infine, non ritengono il fenomeno degno di nota, se non per unondata
particolarmente intensa di internazionalizzazione dei rapporti umani.
Una seconda divergenza di opinioni quella tra neoliberisti e neomarxisti; questi ultimi sono
convinti che la globalizzazione produca gravi disuguaglianze in termini di giustizia distributiva e
denunciano forti svantaggi subiti dai soggetti pi deboli coinvolti. Al contrario, i NeoLib
sostengono invece che la globalizzazione dia luogo solo a benefici o che, comunque, questi siano
superiori ai costi sostenuti. Infine c chi ha parlato della globalizzazione nei termini di
McDonaldizzazione del mondo, volendo in questo modo sottintendere e stigmatizzare una
crescente e dilagante omologazione di stili culturali e standard di vita.
Ci detto, sembra ragionevole concordare sul fatto che difficile, se non impossibile, giungere a
una definizione onnicomprensiva della globalizzazione, che ne racchiuda in maniera esaustiva la
fisionomia, tanto in termini di caratteristiche quanto di ricadute sugli aspetti della vita di noi tutti.
Con la consapevolezza dellunilateralit di questa precisa scelta metodologica, risulta dunque
inevitabile la preferenza accordata a una prospettiva che fornisca le coordinate interpretative pi
utili alle finalit di questo lavoro; per tale motivo si propeso per la teoria della globalizzazione
intesa come doppia sconnessione.
Giaccardi e Magatti, nel loro La globalizzazione non un destino, definiscono la globalizzazione
come una doppia sconnessione e leggono pertanto il fenomeno nei termini di una rottura
intendendo, in questo senso, tanto una fuoriuscita dalla tipicit del XX secolo, quanto unapertura
verso approdi ancora largamente indeterminati.
Secondo il parere dei due sociologi la globalizzazione ha prodotto due livelli di criticit: il primo
quello che si verifica da un punto di vista strutturale, su scala macroscopica; laltro, invece,
quanto viene avvertito sul piano della percezione soggettiva.
Sicch, in prima istanza, diventa inevitabile definire la globalizzazione come un processo su scala
planetaria, in cui a essere messa in crisi la societ, intesa come sistema.
I due autori si concentrano su quelli che individuano essere i problemi generati dalla
globalizzazione, cos come si evince dai principali studi sul tema, diagnosticando una perdita di
complanarit spaziale di sfere organizzate secondo una propria logica interna.
A esser messo in crisi sembrerebbe in primis quello stesso Stato-nazione che, tradizionalmente, nel
binomio con societ, finisce quasi per diventarne sinonimo: i suoi confini sembrano essere troppo
ristretti e si trovano ad essere erosi, insieme con la sua sovranit.
Al tempo stesso, i principali sistemi economici e finanziari muovono verso una progressiva
integrazione su scala mondiale, dal momento che il mercato sfonda i confini amministrativi; tanto in
termini di spazio (assistiamo a un decentramento produttivo che travalica le frontiere territoriali)
che di simultaneit (in tempo reale: questa la parola dordine). Soggetti trans-nazionali (FMI,
WTO, multinazionali e finanziatori istituzionali), quindi, si affacciano sulla scena mondiale,
prendendo parte in modo attivo e consapevole alla costruzione di quello che viene chiamato
mercato mondiale.
Economia e cultura vanno quindi sganciandosi dai singoli stati nazionali, tanto che non sono i
confini territoriali, ma i codici e i programmi a delineare i confini veri e propri e a rappresentare il
terreno di scontro.
Sembra quindi difficile che le varie sfere della vita associata si riconoscano negli spazi istituzionali
che prima le erano propri. La struttura, se cos vogliamo chiamarla, si trova a dover riconfigurare
drasticamente i propri riferimenti concettuali e le proprie coordinate spaziali.
La dimensione micro: una sconnessione soggettiva
Che si voglia considerare la globalizzazione in senso rivoluzionario (intendendola cosi come
qualcosa di assolutamente nuovo, a fronte del quale nulla potr pi essere come prima) o meno,
questa resta un fatto: nessuno pu chiamarsene fuori.
I cambiamenti che si verificano su un piano macroscopico producono una vera a propria
riorganizzazione dellesperienza soggettiva; che, come sappiamo, si struttura entro un orizzonte di
senso spazio-temporale, il quale costituisce condizione e simbolo dei rapporti tra gli uomini.
Quella perdita di complanarit spaziale di sfere organizzate secondo una propria logica interna, che
si verifica a livello strutturale, si traduce in una pluralizzazione dei mondi della vita, che non sono
pi legati a un unico spazio.
Emergono cos due fondamentali punti nodali della questione: da un lato il processo di
disembedding tematizzato da Giddens e definito come linsieme di quei meccanismi che enucleano
lattivit sociale dai contesti localizzati e riorganizzano i rapporti sociali su grandi distanze di
spazio-tempo, producendo cos veri e propri mondi disancorati.
In seconda istanza, poi, cruciale stato lavvento di Internet che, attraverso la possibilit di
uninterazione sganciata dallo spazio e dalla realt materiale, ha provocato un vero e proprio shock
esperienziale, se non addirittura una rivoluzione delle esistenze.
Lo spazio, rinegoziato sempre di pi nelle sue capacit di definire cosa lontano e cosa non lo ,
appare sempre meno capace di conferire senso alla vita individuale: si pu dire che quando
limmagine di Nelson Mandela ci diventa pi familiare della faccia del nostro vicino di casa, allora
qualcosa cambiato nella natura della nostra esperienza quotidiana.
In riferimento a questo processo di de/ri-territorializzazione, ovvero di ripensamento dello spazio
e delle sue funzioni, Giddens parla di fantasmagorizzazione del luogo, a indicare proprio questa
progressiva incorporazione e compenetrazione di vicino e lontano.
Lispessimento dello spazio, daltro canto, produce non solo una frammentazione, ma anche un
impatto sulla dimensione temporale: il passato rappresenta sempre meno un patrimonio comune, il
futuro appare rischioso se non ansiogeno, il presente tende a cannibalizzare le altre dimensioni.
I nuovi scenari che si vanno profilando mettono in questione due caratteristiche-chiave,
storicamente indiscusse, della spazio-temporalit. La prima la capacit che lo spazio fisico ha
avuto sino a oggi di contenere lesperienza degli individui entro una dimensione delimitata con
certezza [] tutelandola dal rischio di dispersione. [] La seconda caratteristica la capacit del
tempo di sostenere unidea di trascendenza, grazie alla quale le singole biografie possono acquisire
uno spessore temporale.
Questo contatto quotidiano con mondi plurimi - dovuto alle accresciute mobilit e velocit - ha
prodotto un vero e proprio contraccolpo sul piano della coscienza, con implicazioni identitarie e
relazionali: trovare un senso unitario risulta sempre pi difficile.
Lo spazio fisico sembra sempre meno capace di conferire significato alle vite individuali e di
costituire una cornice di riferimento stabile che sia adeguata alle sfide del presente.
David Harvey, per esempio, in quella che si pu definire una sorta di analisi genetica dellattuale
crisi nella nostra esperienza spaziale, fa risalire una spiegazione tra le altre alla struttura stessa
della nostra fisiologia: non possediamo ancora lapparato percettivo per affrontare un nuovo tipo
di spazio in parte perch le nostre abitudini percettive si sono formate in un vecchio tipo di spazio.
relazione a partire da una stabilit e da un senso di continuit [] La casa costituisce per il soggetto
contemporaneo un luogo antropologico, un centro di stabilit e continuit, sicurezza e prevedibilit,
in un mondo sempre pi complesso, dinamico, incerto.
Da qui la necessit di indagare cos che fa casa e in che forma questo sentimento si realizzi nelle
sue varianti contemporanee.
Ci che indubbio, nonch trasversale a tutti i significati che casa assume, il fatto che qui le
cose che ci circondano raccontano qualcosa di noi e, attraverso queste, siamo in grado di
riconoscerci. Nella dimensione privata ritroviamo, infatti, una risposta alla ricerca di una
rappresentazione fedele dellessenza della nostra psiche e dei nostri sentimenti, di ci che siamo.
Esiste quindi gi, ovunque, la possibilit di riappropriarsi - certamente in una dimensione micro, ma
non per questo meno importante - di quel tempo e di quello spazio che su un piano macroscopico
sembrano sfuggire al nostro controllo e producono estraneit e avvilimento.
Poich, incontrovertibilmente, il contrario di sentirsi alienati sentirsi a casa.
Loikosofia di Martin Heidegger
Luomo non lunico a realizzare ripari, rifugi, case. Esiste, tuttavia, una specificit tutta umana, la
quale fa s che si possa dire che soltanto luomo abita il proprio mondo: questa la sua capacit di
conferire significati allo spazio e di connotarlo affettivamente. Labitare pu essere considerato
come la matrice dellessere umano delluomo; quanto ci rende ci che siamo e descrive il nostro
modo di stare al mondo.
A fronte del dibattito sulla globalizzazione, si registra una paradossale dicotomia tra il forte
straniamento emozionale dilagante e le crescenti rivendicazioni di riconoscimento di spazi
identitari. in questo quadro di riferimento che si assiste a un rinnovato interesse per il tema della
domesticit, in quanto la casa rappresenta lambito privilegiato dellabitare umano.
Il concetto di domesticit lesito di una lunga evoluzione storica, nel corso della quale una serie di
processi macro (economici, politici, tecnologici) contribuiscono a delineare una sfera specifica
dellesperienza quotidiana. Per tale motivo la casa pu essere considerata, a pieno titolo, come un
ponte che unisce una dimensione strutturale a un piano soggettivo, poich in questo luogo che si
condensano le trasformazioni centrali del nostro tempo; in particolare, qui che si rende visibile e si
cristallizza la distinzione tra pubblico e privato (processo tipico e specifico della Modernit) ed
sempre qui che le fratture dovute alle trasformazioni spazio-temporali si possono ricomporre.
La semantica di casa rimanda a un insieme eterogeneo di fenomeni che non hanno - in italiano un riferimento concettuale e linguistico specifico analogo alla distinzione anglofona tra house e
home. Con il primo termine, infatti, ci si riferisce alledificio, parte di un insediamento pi ampio,
che costituisce una testimonianza tangibile di uno stile di vita o di uno status. Con home, si
intende tanto uno spazio fisico, caratterizzato da valenze affettive (cos come da elementi
funzionali), quanto uno spazio simbolico, condizione di familiarit, riconoscimento e appartenenza.
Quindi, lo spazio del radicamento per eccellenza.
Sebbene i due piani non possano essere distinti, il concetto di casa a cui ci si riferir dora in poi - e
che si vuole indagare - da intendersi come quellemozione-quadro rappresentata dal sentirsi a
casa; che, come tale, non necessariamente legata alle quattro mura della propria abitazione. Non
assurdo, infatti, pensare che un camionista si possa sentire a casa allinterno dellabitacolo del suo
camion, lungo la strada che percorre ogni giorno; che per un nomade tuareg il senso di casa sia dato
dal deserto intero, ovunque pianti la sua tenda; che a un macchinista questo accada in quelle stesse
stazioni che per altri sono non-luoghi.
Infine, va tenuto presente che le trattazioni su questo tema sono spesso rizomatiche, scarsamente
unitarie e che ancora troppo pochi sono stati i tentativi di produrre una letteratura specifica sulla
domesticit occidentale (a fronte, invece, dellinfinit di lavori sullabitare tribale inteso come
riflesso di una specifica cosmologia e gerarchia sociale).
Ci si potrebbe chiedere come la filosofia, comunemente associata alla trattazione di oggetti sublimi,
possa fornire strumenti interpretativi della vita quotidiana. In effetti, prima della pubblicazione di
Essere e Tempo nel 1927, la quotidianit non trovava asilo nei cosiddetti trattati filosofici; n, men
che meno, in vista di una riproposizione della domanda sullessere in generale.
Martin Heidegger che pone sotto lo sguardo indagatore della sua analisi fenomenologica un
mondo che qualche tempo prima sarebbe stato considerato triviale da una filosofia dedita alla
coscienza, allIo, allo spirito.
Il filosofo tedesco ci mostra, invece, come pensare labitare significhi pensare concretamente
lesistenza umana: essere uomo significa essere sulla terra in quanto mortale, che significa
abitare. Queste sono alcune delle prime parole pronunciate da Heidegger in occasione di un
seminario dal titolo Costruire, abitare, pensare, durante il convegno di architettura tenutosi a
Darmstadt il 5 agosto del 1951.
sicuramente noto che gi in Sein und Zeit Heidegger ha tentato di legare etimologicamente
linfinito di io sono al significato di abitare presso. A questi si aggiungono altri rimandi nelle
sue opere in cui il filosofo, nel ripercorrere etimologicamente il significato del verbo essere, indica
labitare come suo principale significato; ma solo con lo scritto del 1951 che il filosofo si occupa
in maniera programmatica del rapporto tra spazi e luoghi unitamente al tema dellabitare.
Il testo in questione si apre con una dichiarazione di intenti, con la quale Heidegger si propone di
indagare specificamente: 1. Che cos labitare? 2. In che misura il costruire rientra nellabitare?.
Secondo il filosofo labitare non rappresenta una tra le pratiche umane, bens il tratto fondamentale
della natura delluomo della cui esistenza spiegherebbe altres il senso.
Tutto quanto c di umano nelluomo Cura, che colere nel senso di coltivare (cose e luoghi); che
bauen, che costuire e dunque abitare.
Abitare, luoghi, cura, cose, dunque, costituiscono un armamentario concettuale che pare suggerire,
allinterno delloikosophia heideggeriana, una disposizione antropologica ed emozionale a cui poco
bisogna aggiungere. Tali temi, infatti, unitamente a quelli di significato, familiarit e temporalit,
costituiscono lasse portante, nonch le linee guida, dellanalisi che si sta per proporre in relazione
al significato del dimorare.
Non sono queste forse le componenti essenziali del sentirsi a casa; di quel radicarsi che si fa
antidoto allo smarrimento?
La casa vissuta
Assunto che labitare il tratto specifico dellessere umano, si vorrebbe ora tematizzare la casa
quale attitudine interiore; come quellestraneit del quotidiano che sfugge alla totalizzazione e
allomologazione: langolo di mondo (in senso fisico ma non solo) che si fa scenario di pratiche
quotidiane; le quali, a fronte delle diverse e originali strategie adattive di ciascuno, permettono di
recuperare la dimensione della memoria e del progetto. Resistendo cos a una compressione spaziale
e una diaspora temporale che sembrerebbero soffocare il passato nonch cannibalizzare il futuro; e,
con questi, la possibilit stessa di un soggiorno dotato di senso.
Ma cos dunque che fa casa?
Secondo Agnes Heller la familiarit lelemento pi importante del sentimento di sentirsi a casa.
Questa, infatti, afferisce a due universi semantici e concettuali tra loro complementari, i quali ne
restituiscono la complessit e la tonalit; che s eminentemente emotiva, ma anche cognitiva e
volitiva.
Il primo riferimento va indubbiamente alla sfera della consuetudine, delle pratiche abituali: ci che
mi familiare qualcosa che conosco (in senso epistemico) e ri-conosco (in senso identitario);
familiare qualcosa che si ripete nel tempo e che ho interiorizzato. Che fa parte di me.
A essere familiari, secondo questo significato, sono le persone (o meglio, le pratiche che con queste
intratteniamo, i gesti), le cose e persino gli elementi sensoriali.
Si pu ben comprendere come il radicamento (che connotazione affettiva degli spazi) costituisca
operazione strettamente personale.
Al riguardo si considerino le strategie adattive che alcune categorie di soggetti mettono in atto,
rispetto a un mondo globalizzato e potenzialmente spaesante. A riprova che il sentirsi a casa non
deve necessariamente costituire una dimensione complanare allavere una casa, alcuni esempi
molto diversi tra loro: le giovani coppie (che, pur a fronte di budget limitati, non rinunciano
allacquisto di una casa e alla gradevolezza dellarredamento) e il fenomeno Ikea; i nuovi nomadi,
che sono senza tetto ma non senza dimora (i cosiddetti homeless che spesso - pur non avendo niente
- arredano lo spazio che occupano affinch questo sia personalizzato e riconoscibile).
Infine una forma di radicamento trasversale, tanto in senso spaziale che generazionale, definibile
come radicamento 2.0, oggetto di ricerca di una certa avanguardia antropo-sociologica. Ciascuno
di noi, infatti, arreda le proprie pagine social in modo che esse raccontino qualcosa di ci che
amiamo, vogliamo, siamo. Queste, insieme agli indirizzi e-mail (spesso indicati come unico
recapito al posto di quello di casa), possono - a pieno titolo - rappresentare un posto da abitare, in
cui sentirsi a casa.
Ci detto risulta evidente come, pur a fronte delle rinegoziazioni spazio-temporali e delle sfide
multiformi che la globalizzazione impone, nelle vite di ciascuno esistano le premesse per una
riappropriazione del proprio mondo.
Il diritto al radicamento, cos come questo stato delineato, potrebbe infine configurarsi come
plausibile chiave di lettura - complementare ad altre prospettive per la comprensione di fenomeni
di grande attualit e che hanno ricadute in termini di governance quali linclusione, lintegrazione e
il riconoscimento sociale. Uno strumento ermeneutico utile a decifrare quel terreno di azione
politica, allinterno del quadro di riferimento della restaurazione post-democratica 2.0 in corso, di
cui il Movimento contro gli sfratti (nato in Spagna nel 2009 e guidato da Ada Colau, attuale sindaco
di Barcellona) rappresenta un grandioso esempio.
Il radicamento, diritto individuale quanto mai vitale in epoca di grandi trasformazioni, costituisce pur nelle varie declinazioni e sfumature che assume - il destino comune allumanit intera, di condividere la terra.
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