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On the Mechanical Methods of the Ancient Egyptians
W. M. Flinders Petrie
The Journal of the Anthropological Institute of Great Britain and Ireland
Vol. 13 (1884), pp. 88-109
Più di un secolo fa, su richiesta dell’archeologo e egittologo William Matthew Flinders Petrie (1835-1942), l’ingegnere dell’antica diga di Assuan specializzato in strumentazione industriale e petrografia, Benjamín Baker, elaborò il noto "Resoconto Baker".
Questo resoconto appare nell’opera di W.M. Flinders Petrie, "Pyramids and Temples of Gizeh" (Piramidi e Templi di Giza) e riguarda l’uso di antichi strumenti fatta da scalpellini e artigiani egizi.
Le conclusioni a cui arrivò B. Baker dopo analisi esaustive e prove del terreno furono categoriche e sorprendenti, deducendo e l’affermando quanto segue:
"…se un ingegnere moderno fosse capace di riprodurre lo strumento antico non solo sarebbe milionario, ma rivoluzionerebbe l’industria moderna…"
Quali furono le ragioni perché B. Baker arrivò a questa incredibile affermazione?
Nel 1883, W.M. Flinders Petrie presentò all’Istituto Antropologico di Londra, uno studio sui fori effettuato su blocchi di roccia molto dura come il granito e il diorite.
Tra questi si potevano osservare le punte su due blocchi di granito rosso di almeno 12 centimetri di diametro che si trovano nella Grande Piramide, il primo blocco steso a terra alla sinistra dell’entrata originale, situata sopra a quella utilizzata attualmente per entrare realizzata da Abdullah Al Mamún che era alla ricerca dei tesori che delle leggende volevano all’interno della Grande Piramide; il secondo blocco nel Pozzo della Camera del Caos, ad una considerevole distanza dal primo.
Tra i vari dati tecnici riportati da Petrie, si poteva osservare quello di un foro realizzato su un blocco di granito dal diametro di 5,6 cm. E all’interno un solco a spirale con cinque giri con una differenza tra di loro di 2,3 millimetri, il che significa quasi un metro di profondità con un solo giro di perforazione.
Anche nel caso dei blocchi della Grande Piramide, le cifre erano sconcertanti in quanto si vedeva che in ogni giro il trapano entrava nella roccia di granito rosso per 2,5 millimetri; un dato inspiegabile se consideriamo che con la nostra moderna tecnologia i trapani di diamante sintetico perforano 0m05 millimetri alla volta esattamente cinque volte meno di quelli primitivi e rudimentali trapani egizi.
Negli altri fori studiati dal diametro di 11,43 cm. E realizzati su un durissimo blocco di diorite si poteva osservare il solco a spirale che raggiungeva le 17 volte, cioè nientemeno che 6 metri con un solo giro.
Tra la sorpresa e l’incredulità continuarono ad apparire nuovi dati di fori di ogni tipo di diametro, dai 70 cm. Fino a quelli minuscoli da 1 cm. Ma non meno effettivi dei primi al momento della penetrazione nella dura roccia.
I nostri materiali per la foratura più moderni della durezza massima secondo la scala di Mohs, raggiungono il livello 11 su 10, che è quella del diamante, una pietra che gli Egiziani non conoscevano. Questi materiali di livello 11 come il diamante nero, sono molto lontani dall’ottenere i risultati raggiunti dagli antichi strumenti egizi.
Secondo la scala di Mohs, che stabilisce un livello da 1 a 10 per la durezza dei materiali, a B. Baker, dopo aver applicato una semplice regola di tre, non rimase altro che viste le irrefutabili prove ed evidenze che ancora oggi rimangono tali e quali, assicurare che il materiale impiegato per le trapanature degli antichi Egizi avrebbero dovuto avere perlomeno una durezza di livello 500.
Un autentico controsenso se teniamo presente il livello 11 che è il massimo raggiunto dalla tecnologia del XX secolo a partire dagli elementi sintetici e un livello 101 che è anche il massimo che troviamo in natura.
Tra le conclusioni finali che troviamo nel resoconto Baker risalta quella che segue:
“…L’unica differenza nel funzionamento del trapano antico e quello moderno è una enorme pressione sui
Titlu original
On the Mechanical Methods of the Ancient Egyptians - W. M. Flinders Petrie
On the Mechanical Methods of the Ancient Egyptians
W. M. Flinders Petrie
The Journal of the Anthropological Institute of Great Britain and Ireland
Vol. 13 (1884), pp. 88-109
Più di un secolo fa, su richiesta dell’archeologo e egittologo William Matthew Flinders Petrie (1835-1942), l’ingegnere dell’antica diga di Assuan specializzato in strumentazione industriale e petrografia, Benjamín Baker, elaborò il noto "Resoconto Baker".
Questo resoconto appare nell’opera di W.M. Flinders Petrie, "Pyramids and Temples of Gizeh" (Piramidi e Templi di Giza) e riguarda l’uso di antichi strumenti fatta da scalpellini e artigiani egizi.
Le conclusioni a cui arrivò B. Baker dopo analisi esaustive e prove del terreno furono categoriche e sorprendenti, deducendo e l’affermando quanto segue:
"…se un ingegnere moderno fosse capace di riprodurre lo strumento antico non solo sarebbe milionario, ma rivoluzionerebbe l’industria moderna…"
Quali furono le ragioni perché B. Baker arrivò a questa incredibile affermazione?
Nel 1883, W.M. Flinders Petrie presentò all’Istituto Antropologico di Londra, uno studio sui fori effettuato su blocchi di roccia molto dura come il granito e il diorite.
Tra questi si potevano osservare le punte su due blocchi di granito rosso di almeno 12 centimetri di diametro che si trovano nella Grande Piramide, il primo blocco steso a terra alla sinistra dell’entrata originale, situata sopra a quella utilizzata attualmente per entrare realizzata da Abdullah Al Mamún che era alla ricerca dei tesori che delle leggende volevano all’interno della Grande Piramide; il secondo blocco nel Pozzo della Camera del Caos, ad una considerevole distanza dal primo.
Tra i vari dati tecnici riportati da Petrie, si poteva osservare quello di un foro realizzato su un blocco di granito dal diametro di 5,6 cm. E all’interno un solco a spirale con cinque giri con una differenza tra di loro di 2,3 millimetri, il che significa quasi un metro di profondità con un solo giro di perforazione.
Anche nel caso dei blocchi della Grande Piramide, le cifre erano sconcertanti in quanto si vedeva che in ogni giro il trapano entrava nella roccia di granito rosso per 2,5 millimetri; un dato inspiegabile se consideriamo che con la nostra moderna tecnologia i trapani di diamante sintetico perforano 0m05 millimetri alla volta esattamente cinque volte meno di quelli primitivi e rudimentali trapani egizi.
Negli altri fori studiati dal diametro di 11,43 cm. E realizzati su un durissimo blocco di diorite si poteva osservare il solco a spirale che raggiungeva le 17 volte, cioè nientemeno che 6 metri con un solo giro.
Tra la sorpresa e l’incredulità continuarono ad apparire nuovi dati di fori di ogni tipo di diametro, dai 70 cm. Fino a quelli minuscoli da 1 cm. Ma non meno effettivi dei primi al momento della penetrazione nella dura roccia.
I nostri materiali per la foratura più moderni della durezza massima secondo la scala di Mohs, raggiungono il livello 11 su 10, che è quella del diamante, una pietra che gli Egiziani non conoscevano. Questi materiali di livello 11 come il diamante nero, sono molto lontani dall’ottenere i risultati raggiunti dagli antichi strumenti egizi.
Secondo la scala di Mohs, che stabilisce un livello da 1 a 10 per la durezza dei materiali, a B. Baker, dopo aver applicato una semplice regola di tre, non rimase altro che viste le irrefutabili prove ed evidenze che ancora oggi rimangono tali e quali, assicurare che il materiale impiegato per le trapanature degli antichi Egizi avrebbero dovuto avere perlomeno una durezza di livello 500.
Un autentico controsenso se teniamo presente il livello 11 che è il massimo raggiunto dalla tecnologia del XX secolo a partire dagli elementi sintetici e un livello 101 che è anche il massimo che troviamo in natura.
Tra le conclusioni finali che troviamo nel resoconto Baker risalta quella che segue:
“…L’unica differenza nel funzionamento del trapano antico e quello moderno è una enorme pressione sui
On the Mechanical Methods of the Ancient Egyptians
W. M. Flinders Petrie
The Journal of the Anthropological Institute of Great Britain and Ireland
Vol. 13 (1884), pp. 88-109
Più di un secolo fa, su richiesta dell’archeologo e egittologo William Matthew Flinders Petrie (1835-1942), l’ingegnere dell’antica diga di Assuan specializzato in strumentazione industriale e petrografia, Benjamín Baker, elaborò il noto "Resoconto Baker".
Questo resoconto appare nell’opera di W.M. Flinders Petrie, "Pyramids and Temples of Gizeh" (Piramidi e Templi di Giza) e riguarda l’uso di antichi strumenti fatta da scalpellini e artigiani egizi.
Le conclusioni a cui arrivò B. Baker dopo analisi esaustive e prove del terreno furono categoriche e sorprendenti, deducendo e l’affermando quanto segue:
"…se un ingegnere moderno fosse capace di riprodurre lo strumento antico non solo sarebbe milionario, ma rivoluzionerebbe l’industria moderna…"
Quali furono le ragioni perché B. Baker arrivò a questa incredibile affermazione?
Nel 1883, W.M. Flinders Petrie presentò all’Istituto Antropologico di Londra, uno studio sui fori effettuato su blocchi di roccia molto dura come il granito e il diorite.
Tra questi si potevano osservare le punte su due blocchi di granito rosso di almeno 12 centimetri di diametro che si trovano nella Grande Piramide, il primo blocco steso a terra alla sinistra dell’entrata originale, situata sopra a quella utilizzata attualmente per entrare realizzata da Abdullah Al Mamún che era alla ricerca dei tesori che delle leggende volevano all’interno della Grande Piramide; il secondo blocco nel Pozzo della Camera del Caos, ad una considerevole distanza dal primo.
Tra i vari dati tecnici riportati da Petrie, si poteva osservare quello di un foro realizzato su un blocco di granito dal diametro di 5,6 cm. E all’interno un solco a spirale con cinque giri con una differenza tra di loro di 2,3 millimetri, il che significa quasi un metro di profondità con un solo giro di perforazione.
Anche nel caso dei blocchi della Grande Piramide, le cifre erano sconcertanti in quanto si vedeva che in ogni giro il trapano entrava nella roccia di granito rosso per 2,5 millimetri; un dato inspiegabile se consideriamo che con la nostra moderna tecnologia i trapani di diamante sintetico perforano 0m05 millimetri alla volta esattamente cinque volte meno di quelli primitivi e rudimentali trapani egizi.
Negli altri fori studiati dal diametro di 11,43 cm. E realizzati su un durissimo blocco di diorite si poteva osservare il solco a spirale che raggiungeva le 17 volte, cioè nientemeno che 6 metri con un solo giro.
Tra la sorpresa e l’incredulità continuarono ad apparire nuovi dati di fori di ogni tipo di diametro, dai 70 cm. Fino a quelli minuscoli da 1 cm. Ma non meno effettivi dei primi al momento della penetrazione nella dura roccia.
I nostri materiali per la foratura più moderni della durezza massima secondo la scala di Mohs, raggiungono il livello 11 su 10, che è quella del diamante, una pietra che gli Egiziani non conoscevano. Questi materiali di livello 11 come il diamante nero, sono molto lontani dall’ottenere i risultati raggiunti dagli antichi strumenti egizi.
Secondo la scala di Mohs, che stabilisce un livello da 1 a 10 per la durezza dei materiali, a B. Baker, dopo aver applicato una semplice regola di tre, non rimase altro che viste le irrefutabili prove ed evidenze che ancora oggi rimangono tali e quali, assicurare che il materiale impiegato per le trapanature degli antichi Egizi avrebbero dovuto avere perlomeno una durezza di livello 500.
Un autentico controsenso se teniamo presente il livello 11 che è il massimo raggiunto dalla tecnologia del XX secolo a partire dagli elementi sintetici e un livello 101 che è anche il massimo che troviamo in natura.
Tra le conclusioni finali che troviamo nel resoconto Baker risalta quella che segue:
“…L’unica differenza nel funzionamento del trapano antico e quello moderno è una enorme pressione sui