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IL FORMALISMO COVARIANTE NELLA TEORIA DELLA RELATIVIT

RISTRETTA
ISIDORO FERRANTE

1. I NTRODUZIONE
In questo ciclo di lezioni ci proponiamo di seguire un percorso molto formale nella
formulazione della teoria, partendo dai postulati di Einstein, e riscrivendo le leggi della
fisica utilizzando quello che tecnicamente si chiama formalismo covariante, ovvero
quel sistema di notazione che permette di riconoscere immediatamente la struttura
matematica delle varie quantit fisiche che entrano in gioco.
A partire dal formalismo covariante, si discende ai risultati particolari in termi di
quantit note e misurabili, e si cerca di spiegare gli effetti in termini di semplici
osservazioni.
Ovviamente un simile approccio non pensabile nellinsegnamento della scuola secondaria: ma del resto lo scopo di queste lezioni non quello di fornire gli strumenti
per linsegnamento, bens quello di mettere gli insegnanti in condizione tale da poter
in caso affrontare la lettura di un testo specialistico sullargomento, per cercare le risposte alle domande che spesso ingenuamente ci si pone davanti ad una teoria che in
alcuni casi fornisce dei risultati lontani dal senso comune.
Si daranno per conosciuti gli aspetti fondamentali della teoria, dal significato di sitema
di riferimento inerziale, alle trasformazioni di Lorentz, alle contrazioni delle lunghezze
e dilatazione dei tempi.
2. A LCUNI

PROBLEMI DELLA MECCANICA NEWTONIANA E


DELL ELETTROMAGNETISMO CLASSICO .

La situazione della fisica precedente allarticolo sulla relativit generale del 1905 presentava alcuni piccoli problemi di tipo logico o sperimentale che gli scienziati del tempo cercavano di risolvere tramite situazioni ad hoc, senza pensare che un ripensamento
delle leggi della meccanica fosse necessario per una loro completa comprensione. La
meccanica newtoniana, anche se riscritta parzialmente nel 700 e 800, era rimasta sostanzialmente invariata, nella sostanza, dallepoca dei principia di Newton. Qualche
problemino cera, vero, di natura sia logica che sperimentale. Il principale problema
di natura logica era ovviamente quello dellazione a distanza: non era per niente chiaro
il meccanismo per cui due corpi avrebbero potuto influenzarsi a vicenda attraverso lo
spazio, e il concetto stesso aveva avuto qualche difficolt ad affermarsi. Cera anche
il problema di definire cosa fosse esattamente un sistema inerziale, e di capire come
1

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mai una certa classe di sistemi di riferimento risultasse privilegiata rispetto ad altri,
ma sembrava un problema minore. Dal punto di vista sperimentale, le cose andavano
decisamente meglio: lunica osservazione non spiegabile tramite la meccanica newtoniana era la famosa precessione di 43 per secolo nel perielo di Mercurio, peraltro un
residuo di una precessione osservata di ben 574 per secolo, di cui la teoria newtoniana
riusciva a spiegare solamente 531 per secolo
Le cose peggiorarono quando si cerc di rendere coerenti le leggi della meccanica con
lelettrodinamica di Maxwell. Un primo problema si ha ad esempio nella formulazione
~ Nella meccanica newtoniana si assumeva valesse
della forza di Lorentz1, F~ = q ~vc B.
la relativit di Galileo: ovvero, dato un sistema chiuso (chiamiamolo laboratorio) non
possibile determinare se questo si muove o sta fermo senza compiere esperimenti che
coinvolgano in qualche maniera gli oggetti che si trovano allesterno del laboratorio
stesso. In modo del tutto formale si dice che le equazioni del moto devono risultare
invarianti per trasformazioni del tipo x~0 = ~x ~v t.
Osserviamo innanzitutto che una trasformazione del genere non ha effetti sulla accelerazione, e pertanto nemmeno sulla forza: questo vuol dire che la forza tra due corpi
non pu dipendere dalla posizione e velocit assoluta di uno di essi, bens solamente
dalla posizione e velocit relativa: F~12 = F~ (~x1 ~x2 , ~v1 ~v2 ). La forza di Lorentz invece non ha questa caratteristica, a meno di non interpretare la velocit ~v come
misurata in un qualche particolare sistema di riferimento.
La situazione in realt decisamente peggiore: infatti le equazioni delle onde elettro2~
~ 2E
~ = 0 NON risulta invariante per trasformazioni di Galileo, e
magnetiche, c12 tE2
alla stessa maniera non risulta invariante il complesso delle equazioni di Maxwell. Altri problemi derivavano dallanalisi di problemi apparentemente semplici: ad esempio,
si considerino due particelle in moto con la stessa velocit ~v in una direzione che forma un angolo con la congiungente (figura 2.1). Esiste un sitema di riferimento in cui
queste cariche sono in quiete, e si attraggono con una forza diretta lungo la congiungente data dalla formula di Coulomb. Nel sistema di riferimento in cui le cariche sono
in moto, ognuna di queste produce un campo magnetico le cui linee di forza sono circonferenze coassiali con la linea di moto; in conseguenza di ci, su ciascuna delle due
cariche nasce una forza Fm di origine magnetica che non diretta lungo la congiungente. Sommata alla forza elettrica, si ottengono due risultati interessanti: innanzitutto,
tra le due cariche si osserva una coppia che tende a farle ruotare; in secondo luogo,
nel sistema in cui le due cariche sono a riposo la forza diretta lungo la congiungente:
le trasformazioni di Galileo prevedono invece che questa NON cambi direzione. Che
fine fa il principio di azione e reazione? E la conservazione del momento angolare? E
come mai le trasformazioni di Galileo falliscono?
Un problema molto simile vien fuori da un esempio altrettanto semplice: si consideri
la situazione esemplificata in figura 2.2: stavolta le due velocit non devono essere
1

Adopereremo il sistema di unit di misura detto gaussiano, in quanto utile per semplificare molte
delle formule adoperate: vedi la sezione dedicata allelettromagnetismo.

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F IGURA 2.1. Due cariche viste da un sistema di riferimento che si


muove con velocit v rispetto ad ess: sorgono delle forze di natura
magnetica che fanno s che la forza che agisce su ciascuna delle due
cariche non risulti diretta lungo la congiungente.

Fe

Fm
F
v

F IGURA 2.2. Sulla carica 1 agisce solamente la forza dovuta al campo


elettrico generato dalla carica 2; su questa invece agiscono sia la forza
dovuta al campo elettrico che quella dovuta al campo magnetico.
v1

F 21

v2
Fm

F12

necessariamente uguali. Sulla carica superiore agisce solamente la forza dovuta al


campo elettrico della carica inferiore: infatti, lungo la direzione del moto il campo
magnetico nullo.
Sulla carica inferiore invece agiscono sia le forze dovute al campo elettrico che quelle
dovute al campo magnetico prodotti dalla carica superiore.
Stavolta, la forza di origine magnetica non si annulla, anzi diretta verso sinistra. Di
nuovo,che fine fa il principio di azione e reazione?
In realt i fisici della fine del diciannovesimo secolo non erano troppo turbati da queste
osservazioni: infatti, la natura ondulatoria della luce, cos come era ormai stata definitivamente accertata sperimentalmente, richiede nel loro modo di vedere lesistenza di
un mezzo in grado di trasportare le vibrazioni dovute ai campi elettromagnetici.
Si pensava insomma che, analogamente a quanto accade con le onde sonore, esistesse un qualche substrato, detto etere, in grado di propagare le onde elettromagnetiche.

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A questo punto, la mancata validit delle relativit galileiana per le equazioni elettromagnetiche non veniva a costituire pi un problema, perch si veniva a creare un
sistema di riferimento privilegiato, quello in cui letere si trovava a riposo, appunto,
nel quale valevano le equazioni di Maxwell: in tutti gli altri sistemi di riferimento sarebbero comparsi dei fattori correttivi generalmente troppo piccoli per essere rivelati
sperimentalmente.
Purtroppo tutti gli esperimenti destinati a determinare le caratteristiche fisiche delletere portavano a risultati contraddittori: un classico esempio il risultato di Fizeau
sulla velocit della luce allinterno di dielettrici in moto. Fizeau misur la velocit
della luce allinterno di un tubo percorso da un flusso di acqua in moto con velocit v, trovando dei
 risultati compatibili con lipotesi che la velocit aumentasse di un
1
termine 1 n2 v: si tratta di un risultato difficilmente comprensibile in meccanica
classica, in quanto porterebbe ad ipotizzare che letere venisse trascinato solamente
parzialmente dal moto del fluido.
Inoltre, i tentativi di misurare direttamente il moto della Terra attraverso letere, soprattutto ad opera di Michaelson e Morley, portarono, come noto, a risultati negativi.
2.1. I postulati di Einstein. La strategia adoperata da Einstein quella di rifiutare lidea dellesistenza di un sistema di riferimento inerziale privilegiato: assieme a questo
principio, Einstein assume anche la congettura che la velocit della luce sia la stessa
in qualunque sistema di riferimento inerziale.
A partire da questi due postulati, Einstein ricava rapidamente le conseguenze pi rivoluzionare della sua teoria: la revisione del concetto di simultaneit, le trasformazioni
di Lorentz come equazioni che collegano le misure di tempo e distanza tra due sistemi
inerziali diversi, la contrazione delle lunghezze e la dilatazione dei tempi, laberrazione
della luce, fino ad arrivare alle equazioni del moto dellelettrone.
In questa trattazione noi seguiremo un approccio simile, ma partendo non dallinvarianza della velocit della luce, bens dalla richiesta di invarianza delle equazioni della
dinamica e dellelettrodinamica rispetto alle trasformazioni di Lorentz. Si tratta di un
approccio pi moderno, in gran parte dovuto ad un ex professore di Einstein, Minkowsky, il quale si occup di formalizzare la struttura dello spazio tempo cos come
concepito da Einstein, il quale dapprima rimase perplesso di fronte al lavoro del collega, salvo poi accettarlo in toto quando si rese conto di quanto venisse facilitata la
formulazione della teoria della relativit generale.
2.2. Il concetto di invarianza. Si dice che una determinata legge fisica espressa nella
forma A = B invariante sotto una certa trasformazione se questa trasformazione
cambia nello stesso modo sia la quantit A che la quantit B trasformando lequazione
in unaltra del tipo A0 = B 0 .
Le leggi della fisica classiche, newtoniane, ad esempio sono invarianti per rotazioni
del sistema di riferimento: ad esempio, in F~ = m~a sia la forza che la accelerazione si trasformano alla stessa maniera se si adopera un sistema di riferimento ruotato

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rispetto ad un qualunque asse. Certamente, le componenti dei vettori F~ e ~a cambieranno nel passaggio al nuovo sistema di riferimento, ma in modo tale che luguaglianza
venga sempre rispettata. Altre due invarianze importanti nella meccanica newtoniana sono quelle per traslazioni spaziali (che trasforma la coordinata ~x nella coordinata
~x0 = ~x + x~0 ) o temporali (t t0 = t + t0 ): ovvero, cambiando lorigine delle coordinate o lorigine dei tempi, le equazioni devono rimanere valide. Questo ci porta a
concludere, ad esempio, che la forza tra due corpi a e b pu dipendere solamente dalla
loro posizione relativa e non da quella assoluta: ovvero F~ab = F~ (~xa ~xb ).
Altre due importanti invarianze sono quelle per inversioni spaziali, o parit, o per
inversioni temporali.
La prima ci dice che non ha importanza se prendo una terna di assi cartesiani destrorsi
y, z) (
o sinistrorsi, ottenuta invertendo il verso di tutti e tre gli assi(x,
x0 , y0 , z0 ) =
(
x,
y ,
z ): infatti le componenti dellaccelerazione cambieranno segno cos come
~ In
quelle della forza2. Un caso particolare dato dalla forza di Lorentz: F~ = qv
~ B.
questa espressione, infatti, cambiando di segno alle componenti degli assi, si giungerebbe ad un assurdo, in quanto il prodotto vettoriale rimarrebbe alla fine dello stesso
segno.... Il problema viene risolto in quanto dallo studio delle equazioni di Maxwell si
scopre che le componenti di del campo magnetico non cambiano di segno se si cambia
~ uno pseudovettore,
il segno agli assi del sistema di riferimento! Si dice allora che B
in quanto si comporta come un vettore per rotazioni, ma in modo diverso per trasformazioni di parit. Una quantit con propriet simili il momento della quantit di
moto.
Linvarianza per inversione temporale una questione invece assai delicata: vuol dire
infatti che ogni processo fisico visto alla rovescia, ossia dalla fine al principio, rimane
sempre un processo fisicamente probabile. Sappiamo che questo vero microscopicamente: le leggi fondamentali che regolano le interazioni tra le particelle elementari
ubbidiscono a questa regola3; tuttavia sappiamo anche che le leggi macroscopiche, che
coinvolgono le interazioni tra molti corpi, non risultano reversibili temporalmente. Un
esempio banale: in un corpo soggetto ad attrito viscoso, F~ = ~v = m~a, per inversione temporale cambia segno il termine della forza, ma non quello dellaccelerazione
(laccelerazione, in quanto derivata seconda rispetto al tempo, non cambia segno per
inversione temporale, mentre la velocit s). In questo caso, infatti, la forza sorge dalla
somma degli urti che il corpo subisce contro le molecole del fluido in cui immerso: i
singoli urti sono reversibili temporalmente, ma il loro effetto complessivo no.
Lultima invarianza, quella che ci interessa di pi, invece linvarianza per trasformazioni di Galileo:

2Sappiamo per che

~x0 = ~x ~v t

questo non vero se si considerano le interazioni deboli.


In realt le interazioni deboli sembrano violarla: non esiste una prova sperimentale diretta, ma alcuni
principi teorici uniti a dati sperimentali puntano in questa direzione.
3

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Ovvero, se ci trasferiamo da un sistema di riferimento ad un altro che si muove rispetto


a questo con velocit costante ~v le equazioni non cambiano.
Laccelerazione ovviamente invariante: infatti, derivando due volte si ottiene ~a 0 = ~a.
Ne segue che perch lequazione di newton sia invariante deve risultare che la forza
deve dipendere dalla posizione relativa degli oggetti, come gi visto, ed eventualmente
dalla velocit relativa: F~ab = F~ (x~a x~b , ~va ~vb ).
Nel caso del moto nel fluido viscoso, linvarianza non ovviamente rispettata: infatti
in quel caso abbiamo un sistema di riferimento privilegiato, ovvero quello in cui il
fluido in quiete, e la velocit va misurata relativamente a quel sistema di riferimento.
Passiamo adesso ad esaminare le leggi dellelettromagnetismo: le equazioni di maxwell sono invarianti rispetto alle trasformazioni viste prima, tranne in un caso: ovvero
quello delle trasformazioni di galileo.
Per trasformazioni di Galileo compaiono nelle equazioni termini aggiuntivi, che non
vi modo di eliminare. 4
Ora, si potrebbe pensare che cambiando sistema di riferimento questi termini in qualche modo si compensino ad esempio nel calcolo delle forze: bene, non cos. Lelettromagnetismo non invariante per trasformazioni di Galileo.
Sappiamo per che le trasformazioni di Lorentz, quelle ottenute supponendo linvarianza della velocit della luce in un cambiamento di sistema di riferimento inerziale,
lasciano invariate le equazioni di Maxwell (e lo dimostreremo nel seguito).
Possiamo quindi cambiare leggermente i postulati di Einstein nei due seguenti:
(1) Le relazioni tra le misure di spazio e di tempo in due sistemi di coordinate che
si muovono con velocit relativa costante sono dati dalle equazioni di Lorentz
(2) Tutte le equazioni fondamentali della fisica sono invarianti sotto trasformazioni
di Lorentz.
Partiremo da questo punto, quindi, e al termine ricaveremo linvarianza della velocit
della luce.
2.3. Le trasformazioni di Lorentz. Richiamiamo le trasformazioni di Lorentz: in
quasi tutti gli esempi in questi appunti ci riferiremo alla situazione seguente: consideriamo un sistema di riferimento S ed un altro sistema di riferimento S 0 che si muove
rispetto a questo con velocit ~v senza ruotare.
4Ad esempio, consideriamo lequazione
~ E
~

= 1c tB . Per trasformazione di Galileo dal sistema


0
S a quello S che si muove con velocit v lungo lasse y, i campi si trasformano nel modo seguente:
~ 0 (~x0 ) = E(~
~ x ~v t), B
~ 0 (~x0 ) = B(~
~ x ~v t). Le derivate rispetto alla coordinate non cambiano:
~ 0 = ,
~
E
~
~0
B
B
ma la dipendenza rispetto al tempo contiene una dipendenza aggiuntiva! Si ha quindi t = t (~v
~ B.
~
)
Si ha quindi un termine aggiuntivo che non va via. Si pu pensare che lerrore stia nellassunto
~ 0, B
~ 0 , ed in effetti cos : nel
secondo cui basti sostituire le nuove coordinate per ottenere i campi E
nuovo sistema di riferimento i campi cambiano. Tenendo conto di questa possibilit, il termine extra si
trasforma in un termine del secondo ordine in v/c, ma non scompare del tutto.
~

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F IGURA 2.3. Due sistemi di riferimento S ed S 0 si muovono con velocit relativa uniforme diretta lungo x. Allistante t = 0 le origini delle
coordinate coincidono, ed inoltre t0 = 0.
S

S
v

Supponiamo inoltre per semplicit che allistante t = 0 le origini O ed O 0 coincidano,


ed inoltre che in quellistante anche nel sistema S 0 valga t0 = 0 Supponiamo infine che
la velocit ~v sia orientata lungo lasse x (vedi figura ).
Allora dato un evento, ovvero un punto di coordinate spaziali x, y, z e coordinate
temporali t, nel sistema S 0 le coordinate saranno:
x0 = q
t0 = q

y0 = y
z0 = z

1
1

v2
c2

 (x vt)

v 
t

x
2
c2
1 vc2
1

Solitamente si introducono i simboli: = vc , = 1

1 2

; inoltre si moltiplica il tempo

t per la velocit della luce in modo da avere grandezze omogenenee.


Con questo simbolismo, le T.L. acquistano una forma simmetrica:

(2.1)

x0
ct0
y0
z0

=
=
=
=

(x ct)
(ct x)
y
z

Le trasfomazioni inverse si ottengono rapidamente spostando gli apici e cambiando v


con v:
x
ct
y
z

=
=
=
=

(x0 + ct0 )
(ct0 + x0 )
y0
z0

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3. D EFINIZIONE

DELLO SPAZIO QUADRIDIMENSIONALE CON METRICA DI


M INKOWSKY.

Cominciamo col definire delle quantit che chiameremo vettori controvarianti, o anche
quadrivettori (o tetravettori, con una parola in disuso).
Un quadrivettore viene individuato da quattro componenti, che si indicano con gli
indici da 0 a 3. Lo indichiamo col simbolo x (fate attenzione allindice in alto:
la chiave del formalismo). La componente con indice uguale a 0 detta componente
temporale del quadrivettore, mentre le componenti da 1 a 3 sono dette componenti
spaziali. Una forma alternativa di indicare un vettore di questo tipo x = (x0 , ~x).
Definiamo un prodotto scalare tra vettori nella forma5 hx, yi = x0 y 0 x1 y 1 x2 y 2
x3 y 3 = x0 y 0 ~x ~y. Osservate questa formula: risulta un po complicata da applicare,
soprattutto perch a volta i termini vanno sommati, a volte sottratti. Nel formalismo
einsteniano, questo prodotto scalare si scrive anche nella forma: hx, yi = , g x y ,
dove g una matrice diagonale i cui elementi sono g00 = 1, g11 = g22 = g33 = 1.
Notare anche stavolta la posizione degli indici. Si assume per convenzione che quando
due indici sono uguali, ed uno si trova in alto e laltro in basso, allora si somma su di
essi. In questo modo si semplifica ulteriormente la formula:hx, yi = g x y . Luso
della matrice metrica g serve per il momento solamente ad evitare il problema dei
segni che cambiano. Ci si pu spingere ancora pi in l nella semplificazione: si
definiscono i cosiddetti vettori controvarianti secondo la formula: x = g x : un
vettore controvariante ha quindi componenti x0 = x0 , x1 = x1 , x2 = x2 , x3 =
x3 , ovvero x = (x0 , ~x). In questo modo il prodotto scalare si scrive nella forma:
hx, yi = x y = x y . Da notare che qualunque tra i due vettori x o y pu essere
trasformato nellequivalente controvariante.
Cosa sono questi vettori controvarianti? I fisici di solito si trovano spaesati di fronte a
questo nuovo concetto: in fondo un vettore controvariante sembra uguale ad un vettore
covariante, a parte i segni cambiati. Per i matematici invece la differenza pi chiara,
in quanto riconoscono nei vettori controvarianti gli elementi di uno spazio duale. Il
fatto che la forma di g sia cos semplice dovuta essenzialmente al fatto che stiamo
adoperando coordinate cartesiane. Se avessimo adoperato ad esempio coordinate polari nello spazio, allora la matrice g avrebbe avuto una forma completamente differente e
i vettori controvarianti sarebbero risultati completamente diversi dai vettori covarianti,
al punto di non avere neanche le stesse dimensioni.

Nei testi pi vecchi, si utilizzano gli indici da 1 a 4: le componenti spaziali del quadrivettore sono le
prome tre, mentre la quarta componente puramente immaginaria. In questo modo il prodotto scalare
assume la forma consueta, ma assume segno opposto a quello da noi definito: hx, yi = x 1 y 1 + x2 y 2 +
x3 y 3 + (ix4 iy 4 ) = ~x ~y x4 y 4 . Questa notazione apparentemente pi semplice risulta per alla lunga
macchinosa e non estendibile alla relativit generale.

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Il vantaggio di adoperare questa notazione risulter evidente quando si passer a sistemi di coordinate qualsiasi (nella relativit generale).6
Allo stesso modo in cui abbiamo definito la matrice g possiamo definire una matrice
g che ritrasforma il vettore controvariante in un vettore covariante. Nel linguaggio
gergale, moltiplicare per una matrice g abbassa un indice, mentre moltiplicare per
g lo alza. In questa semplice rappresentazione, gli elementi di g sono uguali a
quelli di g . Si noti inoltre che g = g = dove indica il simbolo di kronecker.
3.1. Il gruppo di Lorentz. Fino a questo punto abbiamo costruito uno spazio quadridimensionale, e labbiamo dotato di una sua metrica.
Adesso definiamo le trasformazioni di Lorentz come quelle trasformazioni lineari che
lasciano invariato il prodotto scalare tra due quadrivettori, ovvero quelle che, dati due
quadrivettori di componenti x , x , le trasformano in x0 , y 0 , in modo tale che x0 y0 =
x y .
Entrando nel dettaglio, data una qualsiasi trasformazione lineare definita dalla matrice tale che x0 = x (si noti che lordine degli indici importante, la
matrice in generale non simmetrica), e definita la matrice covariante ottenuta abbassando un indice ed alzandone un altro tramite la matrice metrica g , allora
deve aversi:x0 y0 = k xk y , ovvero k k = . Questa una relazione di
ortogonalit tra matrici. Si pu dimostrare facilmente come il determinante della matrice debba essere uguale a 1. A noi interessano solamente quelle trasformazioni
che possono essere ricondotte con continuit alla matrice identit, ovvero quelle con
determinante 1.
Inoltre, vogliamo considerare solamente quelle trasformazioni che non cambiano segno alla coordinata temporale (trasformazioni ortocrone) : si verifica che queste corrispondono al caso 00 > 0. Queste due condizioni definiscono le cosiddette trasformazioni di Lorentz proprie. Si dimostra che costituiscono un gruppo, il gruppo di
Lorentz.
Le rotazioni costituiscono un sottogruppo del gruppo di Lorentz: infatti, mantengono
invariato il modulo della parte spaziale e non toccano la parte temporale.
Si pu dimostrare anche intuitivamente che una qualunque trasformazione del gruppo
scrivibile come lapplicazione successiva di un massimo di 6 trasformazioni successive: una rotazione intorno a ciascuno dei dei tre assi, ed una spinta (la spinta una
Trasformazione di Lorentz che non prevede rotazioni del sistema di riferimento) lungo
ciascuno dei tre assi.
Le matrici che effettuano le trasformazioni sono7:
6Nelleseguire materialmente i conti, conviene pensare ai vettori controvarianti come vettori colonna,

mentre i vettori covarianti sono vettori riga. Nel passare da un vettore controvariante al corrispondente
covariante, si traspone e si cambia il segno agli indici 1, 2 e 3.
7Consideriamo il primo indice come il numero di riga ed il secondo come numero di colonna.

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1
0
0
0
1
0
0
0
1
0
0
0

rotazioni
0
0
0
1
0
0
0 cos x sin x
0 sin x cos x
0
0
0
cos y 0 sin y
0
1
0
sin y 0 cos y
0
0
0
cos z sin z 0
sin z cos z 0
0
0
1

spinte

0 0

0 0

0
0
1 0
0
0 1
0

0 0
0
1
0
0

0

0
0
0
0
1

0 0
0
1 0
0

0
0 1
0
0 0

dove, seguendo la notazione usuale, abbiamo posto per brevit = vc , = 1

1 2

3.2. Scalari, quadrivettori, tensori. Fin qui abbiamo incontrato due tipi di grandezze: quelle che per trasformazioni di Lorentz rimangono invarianti, e li chiameremo
scalari, e i quadrivettori, che invece si trasformano tramite la matrice .
Possiamo generalizzare la nozione di quadrivettore considerando una grandezza munita di N indici, ciascuno dei quali si pu alzare od abbassare tramite la matrice g ,
che da un sistema allaltro si trasforma tramite moltiplicazione di ciascuno degli indici
per una matrice : si parla allora di tensori di rango N. Gli scalari sono quindi tensori
di rango 0 e i quadrivettori tensori di rango 1. Adoperemo nel seguito quasi esclusivamente tensori di rango 2, che quindi i trasformano sotto T.L. secondo la formula:
T 0 = k T .
A partire da due vettori si possono costruire due tensori indipendenti, uno simmetrico
e uno asimmetrico:
S = x y + x y
A = x y x y
I tensori antisimmetrici posseggono una strana propriet molto utile: sotto rotazioni,
gli elementi A0i , con i = 1, 2, 3, si comportano esattamente come un vettore tridimensionale. Non solo, ma gli elementi (A23 , A13 , A21 ) si comportano analogamente
come un normale vettore tridimensiale sotto rotazioni. La verifica si pu effettuare
moltiplicando esplicitamente la generica matrice antisimmetrica per una delle matrici che effettuano rotazioni lungo uno qualunque degli assi. Se per si effettua una
operazione di parit, ovvero si cambia la direzione di tutti e tre gli assi spaziali (trasformazione a determinante -1, e quindi non appartenenente al gruppo di Lorentz), gli

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elementi A0i cambiano di segno, mentre gli elementi (A23 , A13 , A21 ) rimangono invariati. Insomma, un tensore antisimmetrico corrisponde, nello spazio tridimensionale,
ad un vettore ed uno pseudovettore, e si pu scrivere nella forma:

0
Vx
Vy
Vz
Vx
0
Pz Py

=
Vy Pz
0
Px
Vz Py Px
0

Si pu moltipicare un vettore per un tensore contraendo due indici, ovvero facendo


in modo che uno di questi sia covariante ed uno controvariante, ponendoli uguali, e
sommando su di essi:
B = T V = T V
Si possono moltiplicare anche due tensori tra di loro:
K = T S
Il risultato del prodotto di pi tensori eseguito secondo queste regole un altro tensore,
di rango pari al numero di indici liberi.
La traccia di un tensore di rango 2, ottenuta contraendo i due indici tra di loro, un
invariante:
T r(T ) = T = T 00 + T 11 + T 22 + T 33 = T 00 T 11 T 22 T 33
Insomma, le regole doro per lavorare con i tensori sono: quando si contraggono due
indici, uno deve essere in alto ed uno in basso. Dalla contrazione di due indici, si ottiene un tensore di rango inferiore di due unit. A destra e a sinistra di una uguaglianza,
si devono trovare lo stesso numero di indici, con lo stesso nome e nella stessa posizione. Queste regolette ci permettaranno di procedere alla formalizzazione della teoria ella relativit procedendo pressocch alla velocit della luce (senza mai superarla,
ovviamente).
Possiamo osservare, en passant, come le matrici g e siano dei tensori (cosa di
per s non banale). La dimostrazione lasciata come esercizio.
3.3. Invarianza sotto trasformazioni di Lorentz. A questo punto possiamo capire
cosa vuol dire che le equazioni della meccanica e dellelettromagnetismo devono essere invarianti sotto trasformazioni di Lorentz: vuol dire che possiamo scriverle in
forma cosiddetta covariante a vista ovvero del tipo: A = B , dove A e B sono due
quantit fisiche che si trasformano entrambe come quadrivettori. Ovviamente anche le
forme T = S od anche A = T B sono forme covarianti, e quindi possibili leggi
fisiche. La cosa importante che a destra e a sinistra delle equazioni si abbiano oggetti
che si trasformano allo stesso modo da un sistema di riferimento inerziale allaltro.
Adesso possiamo tornare alla fisica, e classificare le quantit che conosciamo in base
alle propriet di trasformazione.

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3.4. Coordinate, separazione. Il primo quadrivettore con cui avremo a che fare sar
il vettore posizione, che individua univocamente un evento dello spazio tempo, dato
un particolare riferimento inerziale. Sar x = (ct, ~x). Dati due eventi vicini a e b, e
indicate con xa e xb le coordinate dei due eventi, definiamo come separazione tra gli
eventi la differenza tra le due coordinate x = xb xa . Sia inoltre tb > ta in quel
particolare riferimento, ovvero a precede b.
Il modulo quadro (con la metrica relativistica) di questo quadrivettore lintervallo tra
i due eventi: s2 = x x = c2 (tb ta )2 (~xb ~xa )2 . Questo intervallo pu essere
positivo, negativo o nullo.
Se lintervallo positivo, allora si dice di tipo tempo. In questo caso esiste un sistema
di riferimento in cui gli eventi a e b avvengono nello stesso
luogo, ma con un certo
q

intervallo di tempo. In questo caso, la quantit = s


rappresenta lintervallo
c2
temporale tra i due eventi. Si pu verificare facilmente che in ogni altro sistema di
riferimento la distanza temporale tra i due eventi risulter maggiore: la quantit
costituisce lintervallo di tempo proprio tra i due eventi a e b. I due eventi possono (ma non debbono necessariamente) essere collegati da un nesso di tipo causale, e
precisamente a la causa e b leffetto.
Se lintervallo negativo, detto di tipo spazio. Esiste un sistema di riferimento in cui
i due eventi avvengono nello stesso istante, ma in luoghi diversi.
In quel sistema di
riferimento, la componente temporale si annulla. La quantit l = s2 costituisce
la distanza propria tra i due eventi. Stavolta i due eventi NON sono collegati da un
nesso causale.
Infine particolare importanza riveste il caso s2 = 0: in questo caso, esiste un raggio
di luce che partendo dallevento a raggiunge levento b : i due eventi sono separati
da un intervallo di tipo luce. Pu esistere anche in questo caso un nesso causale tra
levento a e levento b.
2

4. C INEMATICA .
Si consideri un punto materiale (o particella) che descrive una certa traiettoria nello
spazio. Siamo abituati a descrivere la traiettoria come una curva nello spazio tridimensionale, data da tre equazioni parametriche ~x(t). La descrizione relativistica del
moto della stessa particella non cambia di molto: stavolta abbiamo un quadrivettore
~
x (t) = (ct, x(t)).
Rispetto al caso non relativistico, la traiettoria deve soddisfare in
pi alla condizione che la velocit risulti inferiore alla velocit della luce. Ovviamente
i valori delle coordinate cambiano a seconda del sistema di riferimento che abbiamo
scelto per descrivere il moto: supponiamo di averne scelto uno in modo assolutamente
casuale ed arbitrario.
4.1. Tempo proprio. Consideriamo due punti della traiettoria, agli istanti t e t + dt.
La separazione tra questi due eventi uguale a dx = (cdt, ~v dt).Lintervallo ovviamente di tipo temporale, come del resto si osserva calcolandolo esplicitamente:ds 2 =

italianIL FORMALISMO COVARIANTE NELLA TEORIA DELLA RELATIVIT RISTRETTA

13

F IGURA 4.1. Diagramma spazio temporale del paradosso dei gemelli


ct

ct1
1/2

cd =(c2 dt2 dx2 )

<dt

2
dt (1
Lintervallo di tempo proprio quindi d = dt 1 vc2 = dt
. Ecco

che si scopre un effetto relativistico che gi conoscevamo sotto il nome di dilatazione dei tempi: lintervallo di tempo misurato da un orologio posto a cavallo del punto
materiale che stiamo studiando risulta pi breve dello stesso intervallo misurato in un
qualsiasi altro sistema di riferimento. Supponiamo che la particella passi allistante
t = 0 dallorigine delle coordinate, e che in quel momento lorologio solidale con essa
segni listante = 0. Allora il tempo segnato dallorologio negli istanti successivi
si otterr integrando lelemento d lungo tutta la traiettoria. Quindi, ad esempio, se
la particella ripassa dallorigine
delle
coordinate
R t1 spaziali allistante t1 , il suo orologio
R t1
R t1 d
segner un tempo = 0 d = 0 dt dt = 0 dt > t1 . Questo non altro che il
paradosso dei gemelli esposto in modo formalmente rigoroso.

v2
).
c2

4.2. Velocit. La velocit ordinaria di una particella risulta dal rapporto tra la parte
x
spaziale e quella temporale di un quadrivettore:~v = d~
. Quindi le propriet di trasfordt
mazione da un sistema di riferimento allaltro non sono per niente ovvie: la velocit
non un quadrivettore. Per questo motivo, le sue propriet di trasformazione da un
sistema di riferimento allaltro risultano particolari: per ottenerle, basta scrivere le
trasformazioni di Lorentz in forma differenziale:
dx0
cdt0
dy 0
dz 0

=
=
=
=

(dx cdt)
(cdt cdx)
dy
dz

dove = v0 /c la velocit di S 0 rispetto ad S, e poi dividere membro a membro:

14

italianISIDORO FERRANTE

dx0
dx cdt
vx v 0
=
=
dt0
dt dx/c
1 vxc2v0
dy 0
dy
vy

=
=
=
0
dt
(dt dx/c)
1 vxc2v0

vx0 =
(4.1)

vy0

vz0 =

dz
vz
dz 0

=
=
dt0
dt dx/c
1 vxc2v0

Si lascia come esercizio la dimostrazione che qualunque siano ~v e v 0 , si ha sempre


|~v 0 | < c, e che se |~v | = c allora anche |~v 0 | = c
4.3. Quadrivelocit. Dividendo invece la separazione infinitesima tra due punti della traiettoria di una particella (quadrivettore) per il corrispondente intervallo di tem
. Il nome
po proprio (invariante) si ottiene ovviamente un quadrivettore: u = dx
d
che viene dato a questa quantit fisica quadrivelocit. Le sue componenti sono:
u = (c, ~v ). Il concetto di quadrivelocit non scalza quello di semplice velocit di
una particella: infatti, la velocit di un punto materiale risulta facilmente accessibile
alla misurazione, in quanto coinvolge il rapporto tra grandezze misurate nello stesso
sistema di riferimento (mentre lintervallo di tempo proprio definito nel sistema di
quiete della particella). Si noti inoltre che la quadrivelocit non risulta definita per un
raggio di luce, in quanto lintervallo di tempo proprio risulta identicamente uguale a
zero.
Moltiplicando la quadrivelocit per se stessa, si trova facilmente: u u = 2 c2
2~v 2 = c2 .
Un esercizio interessante consiste nel ricavare la trasformazione della velocit a partire
dalla quadrivelocit : infatti, se in un sistema di riferimento una particella ha velocit
~v , ed in un altro sistema di riferimento, in moto con velocit ~v 0 rispetto a questo,
ha velocit ~v 0 , allora sar u = (c, ~v ) e u0 = (c 0 , 0~v 0 ). Ma daltro canto u ed
u0 devono essere collegati da una T.L. di velocit ~v0 . Sfruttando queste relazioni,
possibile trovare la relazione esistente tra ~v e ~v 0
4.4. Quadriaccelerazione. La derivata della quadrivelocit rispetto al tempo proprio

si chiama quadriaccelerazione: a = ud . La quadriaccelerazione ha la particolarit di


essere ortogonale (con la metrica di Minkowsky) alla quadrivelocit: infatti u a =

u du
= 12 dudu = 12 dc
= 0. La relazione tra laccelerazione e la parte spaziale della
d
d
quadriaccelerazione piuttosto complicata: si lascia per esercizio la dimostrazione che
i due vettori puntano in lgenerale in direzioni diverse.
5. D INAMICA
La dinamica la parte pi delicata della relativit speciale: infatti quella parte della teoria in cui i principi della dinamica newtoniana vengono messi in discussione e

italianIL FORMALISMO COVARIANTE NELLA TEORIA DELLA RELATIVIT RISTRETTA

15

modificati in modo da rimanere consistenti con gli altri postulati della relativit. Ovviamente, in questo come in altri casi, la parola ultima delle modifiche apportate spetta
agli esperimenti, che finora hanno verificato solidamente i risultati ottenuti.
5.1. Massa di quiete. Un primo concetto che vogliamo definire quello di massa di
quiete di un corpo. Vogliamo che la massa costituisca una propriet del corpo, che non
dipenda dal sistema di riferimento. Non esistono motivi di principio per cui si debba
effettuare una richiesta del genere: infatti propriet come il volume, le dimensioni,
anche il colore (vedremo in seguito) possono cambiare da un sistema di riferimento
allaltro, e quindi dipendere dalla velocit del corpo. Del resto, alcuni testi di relativit parlano tranquillamente di massa relativistica di un corpo come dipendente dalla
velocit. Per esistono tutta una serie di ragioni pratiche e teoriche non disprezzabili
che fanno preferire una definizione invariante: ad esempio, le particelle subatomiche
sono caratterizzate da una serie di propriet che le identificano, ed una di esse la
massa. Tutti gli elettroni, e i protoni, ad esempio, hanno la stessa massa quando questa viene misurata nel sistema di riferimento in cui essi sono in quiete, e cos tutti i
neutroni e tutti i mesoni K, , e qualunque altro riusciate ad immaginare. Sembra un
delitto mascherare questo fatto della natura utilizzando una definizione di massa che
dipenda dalla velocit. Inoltre, e questo lo vedremo in seguito, la massa a riposo di
una particella fornisce una misura dellenergia interna di legame dei vari costituenti.
La scelta che risulter alla fine pi elegante sar quella di definire la massa di un corpo
tramite misure effettuate nel suo riferimento di quiete. In questo modo la massa risulta
uno scalare (possiede ovviamente lo stesso valore in ogni sistema di riferimento) , e
pu essere misurata tranquillamente adoperando i metodi della meccanica newtoniana,
misurando ad esempio laccelerazione che il corpo subisce quando viene sottoposto ad
una forza nota, purch le velocit che entrano in gioco nel misuramento risultino molto
piccole.
5.2. Quadriimpulso. Possiamo creare un nuovo tensore moltiplicando la quadrivelocit per la massa a riposo di un corpo:
(5.1)

P = mu = (mc, m~v )

Concentriamo momentaneamente la nostra attenzione sulla parte spaziale: osserviamo


come a bassa velocit il fattore tende ad 1, e quindi la parte spaziale tende alla quantit di moto della particella. Adesso il problema : la definizione di quantit di moto
newtoniana corretta, oppure solamente il limite a bassa velocit della espressione
relativistica8?
Il punto focale : dato un sistema di due particelle che interagiscono tra di loro, vogliamo che la quantit di moto risulti definita in modo tale che si conservi durante
lurto. Questa propriet, dovendo rimanere valida in ogni sistema di riferimento, ci fa
8

In questi appunti, considero sinonimi i termini quantit di moto, impulso e momento della particella
(anche se a stretto rigore il secondo lintegrale della forza, mentre lultimo termine una cattiva
traduzione dellinglese momentum) in quanto ormai questo luso corrente.

16

italianISIDORO FERRANTE

F IGURA 5.1. Esempio adoperato per il calcolo della forma relativistica


dellimpulso: supponiamo che le masse siano uguali, e che la componente y dellimpulso totale sia nulla. Allora la massa 1 torna indietro
con la stessa velocit, mentre la massa 2 cambia il segno della componente y. Lo stesso urto, visto nel sistema S 0 che si muove con velocit
v0 , appare praticamente uguale, tranne che per il fatto che le masse 1 e
2 si scambiano il ruolo.

u1

u1

u2

u2

u1
v

Urto visto in S

Urto visto in S

immediatamente sospettare che la quantit di moto debba essere la parte spaziale di


un quadrivettore. Per corroborare questa ipotesi, possiamo considerare un urto in due
sistemi di riferimento, scelti in modo che i conti siano particolarmente facili. questo
esempio adoperato dalla maggior parte dei libri, ma una trattazione pi generale si
trova nel libro di Jackson.
Supponiamo allora di trovarci in un sistema di riferimento in cui si ha un urto come in
figura 5.1: le masse siano uguali, e la massa 1 torni indietro dopo lurto con la stessa
velocit u1 . La massa 2, daltro canto, prima dellurto ha una velocit ~v di componenti
vx = v0 , vy = u2 : dopo lurto, la componente x rimane invariata, mentre quella y
cambia di segno.
Supponiamo di osservare adesso lo stesso urto da un sistema di riferimento S 0 che si
muove con velocit v0 rispetto ad x: stavolta, nel nuovo sistema di riferimento, la
massa 2 avr una componente x della velocit nulla sia prima che dopo lurto; al
contrario, la massa 1 avr sia prima che dopo lurto una componente x della velocit
pari a vx = v0 .

In pratica, le due masse si saranno scambiate il ruolo! quindi per simmetria, osservando la figura, possiamo concludere che nel sistema di riferimento S 0 la massa 1 avr
velocit lungo y pari ad u2 , mentre la massa 1 avr velocit lungo y uguale a u2 . Ma
le due velocit sono collegate da una trasformazione di Lorentz, ovvero: u 01 = u2 ed
anche u02 = u1 . quindi varr, applicando le 4.1:
(5.2)

u2 = u01 =

u1

italianIL FORMALISMO COVARIANTE NELLA TEORIA DELLA RELATIVIT RISTRETTA

17

Passiamo adesso a considerare la quantit di moto: supponiamo inanzitutto che questa


abbia una forma del tipo: P~ = mg(v)~v dove g(v) una funzione del modulo della
velocit della particella. In entrambi i sistemi, visto che le masse 1 e 2 tornano indietro con la stessa velocit, la componente y della quantit di moto totale deve essere
nulla: quindi deve risultare mg(u1 )u1 = mg(v)u2 . Applicando la relazione 5.2 si
trova:g(u1) = g(v)/. Prendendo il limite per piccole velocit, ed osservando che
perch risulti valido il limite newtoniano deve essere g(0) = 1, si trova: g(v) = .
5.3. Lenergia. Adesso che abbiamo giustificato lipotesi che la parte spaziale del
quadriimpulso corrisponda alla quantit di moto, occupiamoci della componente temporale.
Una prima osservazione che possiamo fare la seguente: noi vogliamo che la quantit
di moto totale si conservi in un urto indipendentemente dal sistema di riferimento dal
quale compiamo la misura. Ma una trasformazione di Lorentz da un sistema di riferimento allaltro comporta mescolamenti tra la parte spaziale e quella temporale: quindi,
se vogliamo che la conservazione sia indipendente dal sitema scelto, allora dobbiamo
concludere che anche la parte temporale rappresenta una quantit conservata.
Per capire di cosa si tratta, facciamo il limite per piccole velocit:




1
1 v2
1 2
2
0
P = mc w mc 1 + 2 =
mc + mv
2c
c
2

Come si vede, a parte il termine mc2 , non altro che lenergia cinetica della particella
divisa per la velocit della luce. Ma cosa significa il termine mc2 ? La tentazione
quella di attribuirgli il significato di energia posseduta dalla particella in assenza di
velocit. Si tratterebbe quindi di un termine che tiene conto di tutta lenergia interna
della particella. Ma giustificata una ipotesi di questo tipo? Evidentemente si tratta
di una congettura molto forte, in quanto non esiste assolutamente niente del genere in
meccanica newtoniana!
Ci viene incontro in questa supposizione un argomento molto semplice: immaginiamo
di avere un sistema composto da due masse uguali M tenute ad una distanza L da un
sistema di asticciole rigido (vedi figura 5.2). Da una di queste masse parte una certa
quantit di energia sotto forma di onda elettromagnetica che viene assorbita dallaltra.
Sappiamo che la relazione tra lenergia e limpulso della radiazione elettromagnetica
E = cP : quindi, in seguito allemissione, le due masse rinculano e si muovono in
direzione opposta alla radiazione con velocit v = P/2M . Quando la radiazione viene
assorbita dallaltra massa, dopo un tempo circa L/c, il sistema si trova nuovamente
a riposo: nel frattempo per si spostato in direzione della massa che ha emesso
lenergia di una quantit x = vL/c = EL/(2M c2 ). Daltro canto, per, per la
conservazione della quantit di moto, la posizione del centro di massa deve essere
rimasta invariata! Lunica possibilit a questo punto che una piccola quantit di
massa M si sia spostata dalemettitore allassorbitore, in maniera che il baricentro
non si trovi pi al centro delle due masse, ma si sia spostato verso la massa pi pesante

18

italianISIDORO FERRANTE

F IGURA 5.2. Schema dellesperimento mentale in grado digiustificare lequivalenza tra massa ed energia: due masse uguali sono connesse
rigidamente a distanza L. Il centro di massa si trova al centro. Dalla
massa di sinistra un fotone di energia E viene emesso verso destra: le
due masse rinculano con velocit v = P/2M . Quando il fotone viene assorbito, dopo un tempot = L/c, il sistema torna in quiete, ma si
spostato di una quantit x = vt = P L/(2M c). Essendo per il
sistema isolato, il centro di massa deve essere rimasto in quiete: pertanto, si deve supporre che la massa di sinistra abbia perduto una quantit
di massa M e che una uguale quantit sia stata acquisita dallaltra
massa. Imponendo che lo spostamento del centro di massa sia uguale
ed opposto allo spostamento del sistema formato dalle due masse, si
ottiene:M = E/c2 .

 M







v=P/2M














M M

 M




E=cP





















 





M+ M

di una quantit x. Insomma, bisogna avere:x = M L/2M = EL/(2M c 2 ) ovvero


M = E/c2 . Quindi si trova che appunto la variazione di massa dellemettitore
uguale allenergia della radiazione emessa diviso la velocit della luce al quadrato!
Ovviamente questo ragionamento solamente approssimativo, in quanto mescola concetti provenienti dallelettrodinamica e dalla meccanica newtoniana per giungere ad un
risultato relativistico: un conteggio pi accurato porta tuttavia allo stesso risultato.
Siamo quindi autorizzati ad ipotizzare che lenergia di una particella relativistica sia
2
data dalla formula E = mc 2 2 . Le conferme sperimentali di questo risultato sono
1v /c

ormai cos tante che non avrebbe senso elencarle tutte: questa formula adoperata
ormai correntemente in tutti quei calcoli che coinvolgono le particelle allinterno degli
acceleratori che si muovono a velocit molto vicine a quella della luce, e non si sono
mai osservate deviazioni significative.
~ ).
Quindi il quadriimpulso assume definitivamente la forma: P = (E/c, P

italianIL FORMALISMO COVARIANTE NELLA TEORIA DELLA RELATIVIT RISTRETTA

19

Prendendone il quadrato, si ottiene: m2 c2 = E 2 /c2 P~ 2 od anche E 2 = m2 c4 + c2 P~ 2 .


Nel caso di corpi di massa 0, allora E = c|P~ |.
Inoltre, dal semplice esame delle formule 5.1 che danno energia ed impulso in termini
della velocit, si ricava:
P~ = ~v E/c2

Nel caso m = 0 si trova |~v | = c: le particelle prive di massa possono muoversi


solamente alla velocit della luce!

5.3.1. Urti. Definiamo dapprima il concetto di urto in modo preciso: in un processo


di urto si hanno due corpi non interagenti, ciascuno in moto rettilineo uniforme. I due
corpi vengono portati ad interagire brevemente in una regione limitata di spazio e per
un intervallo di tempo finito, dopo di ch linterazione cessa e i corpi ricominciano a
viaggiare con velocit costante.
Come abbiamo visto, nellurto tra due particelle si conserva il quadriimpulso totale:
questo significa che nel trattamento relativistico degli urti lenergia totale si conserva
sempre. La cosa non in contrasto con lesperienza quotidiana: infatti, in un urto anelastico, lenergia cinetica dei due corpi coinvolti nella collisione si converte in energia
interna, di legame o di agitazione termica. Questa energia rientra nel calcolo della
massa dei corpi: pertanto, in un urto anelastico relativistico, esiste la possibilit che le
masse delle particelle dopo lurto (dette anche prodotti di reazione) risultino differenti
da quelle che si avevano prima dellurto! Nel caso di corpi macroscopici, solitamente
le energie cinetiche in gioco sono cosi piccole rispetto alla massa a riposo che una
conversione di energia in massa corrisponde ad un trascurabile aumento della massa,
che passa inosservato, a fronte di una grande perdita di energia cinetica, facilmente
osservabile.
Per una trattazione relativistica completa degli urti dobbiamo allora considerare la
possibilit che le masse cambino.
Avremo quindi 2 particelle, a e b, con masse ma ed mb , prima dellurto, e quadrimomenti Pa e Pb , prima dellurto, ed altre due particelle c e d dopo lurto, con quadrimomenti Pc e Pd . Se sia la particella a a trasformarsi nella c, o se sia la particella b,
una questione inessenziale, e sostanzialmente indecidibile, soprattutto se consideriamo
particelle microscopiche. La conservazione del quadriimpulso si scrive nella forma:
Pa + Pb = Pc + Pd
e contiene sia la conservazione dellimpulso che quella dellenergia.
Una quantit molto utile il modulo quadro dellimpulso totale, moltiplicato per la
velocit della luce al quadrato:

2
s = c2 (Pa + Pb ) (Pa + Pb ) = (Ea + Eb )2 c2 P~a + P~b

Il significato di questa quantit diventa chiaro calcolandola nel sistema del centro dei
momenti, impropriamente detto spesso anche sistema del centro di massa: infatti si

20

italianISIDORO FERRANTE

F IGURA 5.3. Scattering Compton: un fotone urta contro un elettrone


in quiete; a seguito dellurto, lelettrone rincula e il fotone cambia la
sua energia ed il suo impulso.

/home/ferrante/tex/relativita/compton.eps not f

tratta di un invariante, e possiamo calcolarlo dove i conti sono pi semplici. Nel sistema del centro di massa, appunto, la somma dei momenti delle particelle nulla.
Pertanto, la quantit s si riduce al quadrato della somma delle energie delle due particelle nel centro di massa, ovvero pi semplicemente il quadrato dellenergia nel centro
di massa. Se si ricorda che lenergia di una particella sempre maggiore alla sua massa
per c2 , si ottiene che per ottenere due particelle di un tipo dato, condizione necessaria
(ma non sufficente) che lenergia del centro di massa debba essere maggiore della
somma delle masse dei prodotti finali, moltiplicata per c2 .
Example 5.1. Scattering Compton.
Uno degli esempi pi interessanti leffetto Compton, che consiste nellurto di un
fotone con un elettrone in quiete (vedere figura 5.3). Si tratta in questo caso di un
urto elastico, in quanto le masse dei prodotti finali sono uguali a quelle dei prodotti
~ mentre P = h 0 /c(1, k),
P = (me c, 0),

iniziali. In questo caso, Pa = h/c(1, k);


c
b

Pd = (me c, me ~v ).
Le incognite sono sei (le tre componenti dellimpulso per ognuna delle particelle),
mentre le equazioni sono 4. Una incognita per eliminabile facilmente osservando
che limpulso iniziale e i due finali giacciono sullo stesso piano: quindi un angolo
di rotazione intorno alla direzione dellimpulso iniziale arbitrario, e non cambia le
energie delle particelle finali. Dopo essersi ridotti ad un piano, rimangono 4 equazioni
e tre incognite. Una ulteriore quantit rimane indeterminata: assumiamo che sia langolo formato tra la direzione del fotone entrante e quella del fotone uscente, ovvero
langolo di scattering del fotone.
Allora scriviamo la conservazione del quadriimpulso nella forma:
Pd = Pa + Pb Pc

e calcoliamo il prodotto scalare di questa espressione per s stessa. Ricordiamo che


in base alla definizione Pd Pd = Pb Pb = m2e c2 ed inoltre Pc Pc = Pa Pa = 0;
rimangono i doppi prodotti Pa Pb = hme , Pc Pb = h 0 me ed infine Pa Pc =
h2 0
(1 cos ). Mettendo assieme tutti i pezzi, si ha:
c2
c
c
h
0

=
(1 cos )
0
me c
Example 5.2. Energia di soglia

italianIL FORMALISMO COVARIANTE NELLA TEORIA DELLA RELATIVIT RISTRETTA

21

Un altro esempio interessante riguarda il concetto di energia di soglia. Si supponga di voler inviare un positrone (Particella avente la stessa massa dellelettrone, ma
di carica positiva: lantiparticella dellelettrone) contro un elettrone, in modo che
nella reazione finale si ottengano un protone ed un antiprotone (protone con carica negativa). L elettrone, inoltre, sia in quiete e il positrone venga sparato addos~i ed energia Ei . Lenergia del centro di massa allora:
so con impulsoq
indidente P

Ecm = s = (Ei + me c2 ) P~ 2 = 2Ei me c2 . Perch si possano produrre due


i

m2

protoni, deve risultare Ecm > 2mp c , ovvero 2E i me c2 > 4m2p c4 , ed infine E i > 2 mpe c2 .
2

La massa dellelettrone di 9.1 1031 Kg, corrispondente ad una energia a riposo di


circa 8 1014 Joule. La massa del protone circa 1.7 1027 Kg, pari a circa 1.5
1010 Joule. Inserendo i numeri, si trova allora che il positrone deve avere unenergia
di 5.5 107 , ovvero 6.7 milioni di volte maggiore della sua massa a riposo 9.
Se invece elettrone e positrone vengono fatti collidere sparandoli uno contro laltro con
la stessa velocit ed energia Ei , allora lenergia nel centro di massa semplicemente
2Ei , e quindi baster che sia Ei > mp c2 , ovvero lenergia incidente deve essere semplicemente maggiore dellenergia a riposo del protone, pari a circa 1800 volte lenergia a
risposo dellelettrone, decisamente minore di quella calcolata nel caso precedente. E
proprio su questo principio che si basa il funzionamento dei collisionatori, od anche,
usando il termine inglese, colliders, in cui le particelle vengono scagliate luna contro
laltra con uguale velocit.
5.4. Forze. Il concetto di forza in relativit risulta problematico.
Innanzitutto, si perde il concetto di azione a distanza: se ad esempio considero linterazione tra due elettroni in moto, allora linformazione sulla posizione di uno dei
due elettroni giunge allaltro con un ritardo che dipende dalla distanza. Nel frattempo,
il primo elettrone si spostato e quindi la forza non potr in principio essere diretta
lungo la congiungente, se non in casi speciali. Viene a mancare cos il principio di
azione e reazione, fondamentale nella meccanica newtoniana. In fisica relativistica le
interazioni avvengono non tra corpi, bens tra i corpi ed il campo (elettrico, magnetico,
gravitazionale, o di altra natura) nelle immediate vicinanze di ogni corpo.
Rimane valido per il principio della conservazione della quantit di moto, a patto di
tenere conto della quantit di moto associata al campo che trasporta linterazione.
Quale sar la forma assunta dallequazione F~ = m~a ? Una ipotesi potrebbe essere
qualcosa del tipo: ma = F , dove F un quadrivettore la cui parte spaziale si riduce alla forza newtoniana nel limite di piccole velocit. Ma questo non ci dice molto:
infatti le forme F~ , F~ , F~ / si riducono tutte alla forma newtoniana per basse velocit,
e niente ci impedisce di pensarne mille altre. Si rende necessario dare parola allesperimento: ad esempio, considerando la deflessione di un elettrone a velocit prossima
9

Per confronto, un insetto di massa intorno ad 1 mg, che vola ad una velocit di circa 50 cm/s ha una
energia cinetica di circa 104 Joule. La sua energia a riposo, per contro, di circa 1014 Joule.

22

italianISIDORO FERRANTE

a c in conseguenza di un campo elettrico perpendicolare alla direzione del suo moto;


oppure la relazione tra il raggio e la velocit in una particella che descrive una circonferenza sotto lazione del campo magnetico. Questi esperimenti danno come risultato
che la parte spaziale del quadrivettore F deve essere uguale a F~ : con questa scelta,
~
~
si ha tra laltro che la parte spaziale dellequazione diventa: ddP = ddtP = F~ , per cui
~
si recupera la forma newtoniana ddtP = F~ , dove stavolta P~ per la versione relativistica della quantit di moto. A dare maggior forma a questa ipotesi, scopriremo pi in
l che le equazioni dellelettrodinamica forniscono esattamente la stessa formula.
Rimane da scoprire cosa sia la componente temporale della quadriforza: per questo, osserviamo che, come abbiamo visto in precedenza, quadriaccelerazione e quadrivelocit sono ortogonali, e quindi lo sono anche quadriimpulso e quadrivelocit:
F u = 0. Da questa relazione si ottiene: F 0 c = 2 F~ ~v ovvero:
F0 =

dE
~
F ~v =
c
c dt

Quindi la componente temporale della quadriforza uguale a /c volte la derivata


dellenergia della particella, ovvero la potenza sviluppata dalla forza.
Questo risultato rafforza lidentificazione dellenergia cinetica della particella con la
componente temporale del quadriimpulso, e nel contempo lidentificazione della componente spaziale della quadriforza con volte la forza newtoniana.
In alcuni testi a questo punto si cerca di ricavare la legge di trasformazione della forza
da un sistema di riferimento allaltro: si tratta di equazioni complicate che non aggiungono niente al contenuto fisico delle equazioni che abbiamo visto. Nel caso in
cui saremo costretti a trasformare una forza da un sistema di riferimento allaltro, ci
baster sapere che la quadriforza si trasforma come un quadrivettore. E il caso di
notare, per, che nel passaggio da un sistema di riferimento allaltro la direzione della
forza cambia, mentre le trasformazioni di Galileo lasciano invariati sia modulo che
direzione!
5.5. La massa relativistica. Alcuni autori introducono il concetto di massa relativistica, o semplicemente massa, di una particella, dicendo che la massa varia con la
velocit secondo la formula: m = m02 2 , dove m0 la massa a riposo, in modo da
1v /c

scrivere lenergia nella forma E = mc2 . Il guadagno che si ottiene con questa scelta
quello di poter conservare lespressione P~ = m~v per la quantit di moto, e quella
di poter considerare la massa una grandezza additiva. A parte questo, la massa relativistica quasi sempre fonte di grandi confusioni ed preferibile a giudizio di chi
scrive evitarne luso. Rimane da notare che tuttavia molti testi, anche estremamente
qualificati, continuano ad adoperarla.

italianIL FORMALISMO COVARIANTE NELLA TEORIA DELLA RELATIVIT RISTRETTA

23

6. C AMPI
Un campo tensoriale, del tipo di quelli che interessano noi fisici, una applicazione
che associa ad ogni evento nello spazio-tempo una quantit di tipo tensoriale.
Il pi semplice di tutti il campo scalare. Nel caso del campo scalare, ad ogni punto
dello spazio quadridimensionale va assegnata una quantit che non cambia sotto trasformazione di Lorentz. Specifichiamo meglio cosa si intende. Sia (x ) un campo
scalare. Allora, sotto una trasformazione che porta il quadrivettore x nel quadrivettore x0 , in generale la forma della funzione cambia, diventando 0 , ma in modo tale
che il valore assunto nel punto di coordinate x0 sia uguale a quello assunto da nel
corrispondente punto x .
Ovvero:
0 (x0 ) = (x )
In modo analogo possibile definire un campo quadrivettoriale: stavolta, sotto leffetto
di una trasformazione di Lorentz, le componenti del quadrivettore cambiano. Ovvero:
V 0 (x0 ) = V (x)
E lo stesso pu avvenire con un tensore di grado generico.
Nel seguito, terremo sottintesi gli argomenti delle varie funzioni, sottindendendo che i
campi siano calcolati in un punto dello spazio tempo, le cui coordinate vanno calcolate
nello stesso sistema di riferimento in cui si calcolano le componenti dei tensori.
6.1. Operatori differenziali.
6.1.1. Gradiente. Consideriamo un campo , e calcoliamone il differenziale, ovvero
la variazione lineare per un piccolo spostamento x . Si ha:
=

x0 + 1 x1 + 2 x2 + 3 x3
0
x
x
x
x

Ora, sappiamo che invariante per T.L.; sappiamo anche che x un quadrivettore controvariante. Ma allora le componenti del gradiente di devono costituire un
vettore controvariante!
Possiamo attribuire questa propriet alloperatore gradiente, definito come:


 

1
=
,
,
,
,
=
x0 x1 x2 x3
c t
.

Moltiplicando

 semplicemente per g possiamo trovare loperatore covariante: =

1
,
c t

24

italianISIDORO FERRANTE

6.1.2. Dalembertiano. Moltiplicando i due operatori covariante e controvariante otteniamo un operatore scalare che ha una sua particolare importanza: si tratta del
cosiddetto Dalembertiano, che ha un suo simbolo particolare: .
1 2
~2

c2 t2
si riconosce immediatamente in questo operatore quello che compare nelle equazioni
donda......
 = =

6.1.3. Divergenza. La divergenza di un campo quadrivettoriale definita come:


1 V 0 ~ ~
+ V
c t
Ovviamente si tratta di un invariante. Se la divergenza zero in un sistema di riferimento, allora lo dappertutto.
(6.1)

V =

7. L ELETTRODINAMICA

E LE EQUAZIONI DI

M AXWELL

7.1. Richiami di elettrodinamica. Siamo pronti a questo punto a scrivere la teoria


relativistica dellelettrodinamica.
Scopriremo che le equazioni sono gi covarianti per trasformazioni di Lorentz, e che
quindi la teoria di Maxwell non richiede alcuna modifica, ma solamente una re-interpretazione
di alcuni risultati.
Partiamo dal ricordare le equazioni di Maxwell. Adoperemo come unit di misura
il sistema gaussiano, una variante del CGS, che permette di scrivere rapidamente le
equazioni senza le complicazioni derivanti dalle costanti 0 e 0 .
Ricordiamo rapidamente alcune caratteristiche del cgs:
1
(1) La costante 0 vale 4
. In conseguenza, non esiste una unit di misura propria
della carica, che risulta una grandezza derivata.
. Di conseguenza, i campi elettrici e magnetici hanno le
(2) La costante 0 vale 4
c
stesse dimensioni, e si misurano con le stesse unit.

In queste unit di misura, le equazioni di Maxwell diventano:


~ E
~

~ B
~

~ E
~

~ B
~

= 4
= 0
~
= 1c ddtB
= 4
J~ +
c

~
1 dE
c dt

A cui vanno aggiunte lequazione di continuit e lespressione della forza agente su di


una carica:
~ ~
+J =0
t

italianIL FORMALISMO COVARIANTE NELLA TEORIA DELLA RELATIVIT RISTRETTA

~
~ + ~v B
F~ = q E
c

25

I campi possono essere derivati da un potenziale scalare ed uno vettoriale in base alle
equazioni:
~
~ =
~ 1 A
E
c t
~ =
~ A
~
B
I campi scalari e vettoriali non sono definiti completamente da queste relazioni: per
rimuovere lindeterminatezza si adopera una ulteriore relazione, detta condizione di
gauge. Nella relativit si preferisce adoperare la cosiddetta gauge di Lorentz, che
corrisponde allequazione:
1 ~ ~
+A=0
c t
In questa gauge, le relazioni che legano i potenziali alle sorgenti sono del tipo:
1 2 ~ 2
= 4
c2 t2
~
1 2A
~ 2A
~ = 4 J~

c2 t2
c
Scrivere queste equazioni in forma covariante a vista sar poco pi che un gioco da
ragazzi.....
7.2. La carica. Partiamo come al solito, da un dato sperimentale: la carica un invariante. Non esiste un vero esperimento effettuato allo scopo di verificare questa
congettura, ma sostenere il contrario porterebbe a conseguenze facilmente osservabili:
ad esempio, sappiamo che la carica quantizzata, cosa difficilmente compatibile con
una sua dipendenza dalla velocit, e sappiamo anche che le cariche dellelettrone e
del protone sono uguali entro una parte su 1019 . Ma il protone circa 2000 volte
pi pesante dellelettrone, e conseguentemente pi lento: una dipendenza della carica
dalla velocit porterebbe ad uno squilibrio nellaccurata cancellazione tra le cariche
che si osserva quotidianamente. Possiamo quindi assumere tranquillamente che la carica delllettrone rimanga la stessa quando misurata in sistemi di riferimento inerziali
diversi.

26

italianISIDORO FERRANTE

7.3. Le densit di carica e di corrente. Se la carica si conserva in un sistema di


riferimento, allora si conserva in tutti i sistemi di riferimento: ovvero, lequazione di
continuit mantiene la sua forma in tutti i sistemi di riferimento.
Se la osserviamo bene, e la confrontiamo con la 6.1 vediamo subito che lequazione
di continuit non altro che la divergenza di un campo quadrivettoriale avente come
parte temporale la densit di carica moltiplicata per la veclocit della luce, e come
~
parte spaziale la densit di carica: J = (c, J)
Questa semplice osservazione ci dice gi molto: ci dice, infatti, come si modifica la
densit di carica nel passare da un sistema di riferimento ad un altro: basta applicare
le trasformazioni di Lorentz!

Jx0
Jy0

v 
= 2 Jx
c
= (Jx v)
= Jy


Jz0 = Jz
Facciamo qualche esempio. Supponiamo dapprima di avere, in un sistema di riferimento, una certa densit di carica in quiete 0 , e di non avere alcuna corrente elettrica
di nessun tipo.
Allora, in un sistema di riferimento che si muove con velocit vx rispetto a questo, la
densit di carica risulter aumentata per un fattore . La cosa si comprende immediatamente se si pensa ad un parallelepipedo di volume V0 nel sistema originale: allinterno,
si trover la carica Q = V0 .
Nel sistema di riferimento in cui la carica in moto, il volume in esame si restringer
di un fattore (per la contrazione delle lunghezze): V = V0 /. Ma per linvarianza
della carica, conterr la stessa carica Q! La densit di carica sar allora 0 = VQ =
VQ0 = . La presenza della densit di corrente nel nuovo sistema di riferimento si
spiega facilmente osservando che in questo la carica si muove con velocit v lungo
lasse x.
Pi difficile risulta comprendere il caso seguente: supponiamo che esista in un sistema
di riferimento una certa densit di corrente J~0 , che per comodit possiamo considerare
diretta lungo lasse x, e confinata ad esempio allinterno di un filo. Supponiamo che
nello stesso sistema di riferimento non si misurino cariche elettriche libere.
Cambiamo sistema di riferimento passando ad un altro in moto con velocit v parallela
~ nel nuovo sistema di riferimento la densit di corrente vale J 0 = J0 , ed inoltre
a J:
appare una densit di carica 0 = cv2 J0 . Lapparizione di una densit di carica elettrica
cambiando sistema di riferimento abbastanza strana e difficile da spiegare. Proviamo
a darne una spiegazione intuitiva: ipotizziamo, in modo del tutto arbitrario, che la
densit di corrente sia dovuta ad una carica positiva 0 che si sposta verso destra con
velocit v, ed una carica negativa che rimane ferma, di valore 0 . Si osservi che sia

italianIL FORMALISMO COVARIANTE NELLA TEORIA DELLA RELATIVIT RISTRETTA

27

F IGURA 7.1. Schema per mostrare la trasformazione delle correnti: lo


stesso filo, visto da due sistemi di riferimento diversi. Nel primo caso,
le cariche positive si muovono e quelle negativa rimangono in quiete;
nel secondo avviene lopposto. Tuttavia, nel primo caso le cariche si
bilanciano perfettamente, mentre nel secondo no.

/home/ferrante/tex/relativita/correnti.eps not fo

0 che v sono arbitrari; lunico vincolo che J0 = 0 v. Supponiamo di osservare


questo sistema da un sistema di riferimento in moto con velocit v diretta verso destra.
In questo sistema di riferimento, la densit di carica positiva apparir ferma, e quindi
1/ volte pi piccola di quanto appariva nel primo sistema di riferimento; in contrasto,
la densit di carica negativa adesso appare in moto verso sinistra con velocit v , e
quindi maggiore di un fattore .
Quindi la densit di carica totale sar: 0 = 0 / 0 = 0 1
= v 2 0 =
2
vJ0 mentre la densit di corrente sar dovuta alla carica negativa che si sposta
verso sinistra, e quindi J 0 = 0 v = J0 .
2

Si ritrovano quindi le espressioni ottenute direttamente tramite trasformazione di Lorentz.


7.4. I potenziali. Passiamo ad osservare adesso le equazioni dei potenziali.
Stavolta immediato osservare come queste equazioni risultano covarianti, una volta
che si assunto che il quadrivettore formato da una componente temporale pari a ed
~ A = (, A).
~
una spaziale uguale ad A:
Abbiamo fatto gi un bel po di passi avanti: sappiamo adesso che se in un sistema
di riferimento conosciamo i potenziali, automaticamente sappiamo calcolarli in ogni
sistema di riferimento.
7.5. I campi elettrici e magnetici e il tensore elettromagnetico. Passiamo adesso
ad esaminare le equazioni che dai potenziali portano ai campi.
Esaminiamole in dettaglio, ad esempio quella che consente di trovare la componente z
del campo magnetico e la componente xdel campo elettrico:
y
x
A
Bz = A
x
y
x
1c A
Ex =
x
t
Possiamo notare come la parte destra delle equazioni della forma A A :
come si vede, si tratta di un tensore antisimmetrico!

28

italianISIDORO FERRANTE

Si trova allora che le componenti del campo elettrico e magnetico altro non sono che
le componenti di un tensore antisimmetrico di rango 2... una conclusione per lo meno
inaspettata!
Il tensore antisimmetrico che prende il posto dei campi elettrici e magnetico assume la
forma seguente:

0 Ex Ey Ez
Ex
0
Bz By

= A A =
Ey Bz
0
Bx
Ez By Bx
0

a questo punto, come ulteriore regalo, siamo in grado di conoscere le leggi di trasformazione dei campi elettrici! Infatti, basta moltiplicare per due matrici !
F 0 = F
Questa espressione molto carina e molto compatta, per non soddisfa del tutto i
fisici, soprattutto quelli sperimentali, che preferiscono avere visione diretta dei campi
elettrici e magnetici. Esplicitando rispetto ai campi, si ottiene allora che in un sistema
di riferimento che viaggia lungo lasse x con velocit ~v i campi elettrici e magnetici
assumono la forma:

(7.1)

Ey0
Ez0

Ex0 = Ex
Bx0 = Bx
0
= (Ey Bz ) By = (By + Ez )
= (Ez + By ) Bz0 = (Bz Ey )

Quindi si ha che la componente dei campi parallela alla direzione di moto non viene
alterata, mentre le componenti trasverse subiscono dei mescolamenti. In particolare, se
in un sistema di riferimento inerziale si ha esclusivamente un campo elettrico statico,
in qualunque altro sistema di riferimento si ha anche un campo magnetico.
Ricordiamo, en passant, come i campi vadano calcolati nello stesso punto dello spazio
tempo: e quindi, se nel sistema di riferimento originario, si adoperano le coordinate
x , allora nel nuovo sistema di riferimento sar il caso di passare alle nuove coordinate
tramite la trasformazione x0 = .
Notiamo come a partire dal tensore elettromagnetico siamo in grado di calcolare ben
~2 B
~ 2 ed
due quantit invarianti: si dimostra facilmente infatti come le quantit E
~ B
~ rimangono inalterate dopo avere applicato le 7.1. Si verifica anche come la priE
ma espressione corrisponda alla quantit esplicitamente invariante F F , mentre la
seconda a  F F , dove  un tensore che cambia di segno per ogni scambio
di indici, e la cui componente 1234 vale 1.
~ B
~ ci dice ad esempio che se in un sistema di riferimento i campi
Linvarianza di E
elettrici e magnetici sono ortogonali dappertutto, allora lo stesso succede in qualsiasi
altro sistema di riferimento.

italianIL FORMALISMO COVARIANTE NELLA TEORIA DELLA RELATIVIT RISTRETTA

29

Inoltre, se in un sistema di riferimento il campo elettrico o magnetico sono nulli, allora


in ogni altro sistema di riferimento i due campi sono ortogonali tra di loro.
~2 B
~ 2 ci dice che se in un sistema di riferimento in un determinato
Linvarianza di E
punto ed istante, il campo elettrico risulta maggiore di quello magnetico, allora esiste
un sistema di riferimento in cui si riesce ad annullare il campo magnetico.
Inoltre, se i moduli dei campi elettrici e magnetici sono uguali tra di loro, allora lo
stesso succeder in ogni sistema di riferimento.
Example 7.1. Condensatore in moto
Come esempio delle trasformazioni dei campi, consideriamo il caso di due piani parallei carichi uniformemente con densit (praticamente, un condensatore). Sappiamo che tra i due piani il campo elettrico perpendicolare alle due superfici, e vale
E = 4.
Supponiamo adesso che il condensatore si muova con velocit v ortogonale ai due
piani, e quindi parallela al campo elettrico. Come si sa, la contrazione di Lorentz non
agisce sulle distanze perpendicolari alla direzione del moto: pertanto, il condensatore
apparir leggermente schiacciato, ma non vi saranno cambiamenti nella ditribuzione
di carica. Il campo allora apparir invariato: esattamente quello che ci aspettiamo
dalle leggi di trasformazioni dei campi.
Supponiamo adesso che il condensatore si muova con velocit parallela ai piani e perpendicolare al campo elettrico: stavolta, le lastre appariranno contratte in direzione
parallela al moto, e quindi la densit di carica apparir maggiore di un fattore : corrispondentemente, lintensit del campo elettrico apparir aumentata di un fattore ,
nuovamente in accordo con le leggi di trasformazione.
Inoltre, le due densit di carica con il loro moto produrranno una densit di corrente
superficiale J~s = ~v . Sappiamo che una distribuzione di corrente di questo tipo produce un campo magnetico parallelo alle due superfici, ed ortogonale a J~s , di intensit
B = 4
J = 4
v = vc E: nuovamente, si trova un risultato in accordo con le leggi
c s
c
di trasformazioni dei campi
Carica puntiforme in moto con velocit costante ~v
Vogliamo calcolare il campo elettrico prodotto da una carica in moto rettilineo uniforme con velocit ~v diretta lungo lasse x. Supponiamo, per semplicit, che la carica
passi per lorigine delle coordinate allistante t = 0, e calcoliamo il campo proprio
in quellistante, in cui si ha anche t0 = 0. Allora, la relazione tra le coordinate ~x nel
sistema del laboratorio e le coordinate ~x0 nel sistema in cui si muove sono date da:
x0 = x, y = y, z 0 = z.p
Nel sistema di riferimento in cui la carica in quiete, si ha

r0
1
0
0
~
E = 4c q r02 , dove r = x02 + y 02 + z 02 .

30

italianISIDORO FERRANTE

~ ottenibile tramite le leggi di


Nel sistema del laboratorio, invece, si ha un campo E
trasformazione 7.1:
x0
x
Ex = Ex0 = q
=q
3/2
02
02
02
2
2
(x + y + z )
( x + y 2 + z 2 )3/2
y
y0
=q
Ey = Ey0 = q
3/2
(x02 + y 02 + z 02 )
( 2 x2 + y 2 + z 2 )3/2
z
z0
=q
Ez = Ez0 = q
3/2
(x02 + y 02 + z 02 )
( 2 x2 + y 2 + z 2 )3/2
Un esame approfondito di queste espressioni mostra che il campo rimane radiale, ma
rispetto a quello della carica ferma nellorigine delle coordinate diminuisce di un fattore 1/ 2 sullasse delle x, mentre aumenta di un fattore sul piano yz: quindi, contrariamente a quanto sembra derivare dalle equazioni di trasformazione, la componente
parallela alla velocit non rimane invariata, perch le distanze vengono contratte di un
fattore .
Infine si calcola il campo magnetico, ottenendo:
~
~ = ~v E
B
c
Il campo magnietico risulta quindi ortogonale sia al campo elettrico che alla velocit;
le linee di forza sono anelli concentrici allasse x
7.6. Equazioni di Maxwell. Scrivere le equazioni di Maxwell in forma covariante
un semplicissimo esercizio di trascrizione.
~ E
~ = 4.
Partiamo dalle equazioni contenenti i termini di sorgenti. Ad esempio,

Utilizzando i simboli definiti in precedenza, questa diventa:1F 01 + 2 F 02 + 3 F 03 =


4 0
J
c

~ B
~ = 4 J~ + 1 E~ diventa
La componente x dellequazione contenente la corrente
c
c t
1
10
invece: 2 F 12 + 3 F 13 = 4
J

F
.
Si
verifica
immediatamente
che
possibile
0
c
scrivere queste due e le altre equazioni nella forma:
F =

4
J
c

Un po pi di lavoro richiede la trascrizione delle altre due equazioni di Lorentz: ad


~ E
~ = 1 B~ diventa 2 F 03 + 3 F 20 + 0 F 32 = 0.
esempio la componente x di
c t
~ B
~ = 0 diventa 1 F 23 + 2 F 13 + 3 F 12 = 0. Ci si convince
Similmente, lequazione
rapidamente che lequazione
F + F + F = 0
contiene tutte e due le equazioni di Maxwell rimanenti.

italianIL FORMALISMO COVARIANTE NELLA TEORIA DELLA RELATIVIT RISTRETTA

31

7.7. Forza di Lorentz. Rimane unultima equazione da analizzare: si tratta dellequazione che d la forza su di una particella carica.
~ Ovvero, il
~ v , (E+
~ ~v B))
Una verifica rapida permette di appurare che: F u = ( E~
c
quadrivettore ottenuto moltiplicando il tensore elettromagnetico con la quadrivelocit
ha una parte spaziale che volte la forza di Lorentz, mentre la sua parte temporale
altro non che volte la potenza acquistata dalla carica. Insomma, il cerchio si chiude:
basta equagliare questa espressione con la derivata covariante della quantit di moto
per ottenere lespressione relativisticamente invariante dellequazione del moto di una
carica elettrica in un campo elettrico esterno:
dp
= eF u
d
Possiamo studiare due casi, particolarmente semplici: il moto in un campo elettrico o
megnetico uniformi.
Example 7.2. Campo elettrico costante ed uniforme
In questo caso le equazioni del moto assumono la forma particolarmente semplice:
dP~
~
= qE
dt
e quindi:
~
P~ = P~0 + q Et
Lenergia allora varia secondo la formula:

2
~
E 2 = m2 c4 2 = c2 P 2 + m2 c4 = c2 P~0 + q Et
+ m 2 c4

da cui si ricava la velocit (per semplicit, supponiamo la carica ferma allistante t=0):

2
~
qE
q Et
t
1
2
mc
=
=
+ 1 v = c r
2
2
v2
m c
 2
1 c2
qE 2
1 + mc
t

Si nota che per tempi piccoli, e quindi basse velocit, si ritrova la formula newtoniana.
A tempi grandi, e quindi ad alte velocit, la velocit tende invece a c, ma senza mai
superarla.
Un caso interessante si ha quando si spara in campo elettrico orientato in direzione x
una carica con velocit iniziale diretta lungo y.
Allora si possono esplicitare le due componenti della quantit di moto, ottenendo:
Py = P0 = mvy
Px = qEt = mvx

32

italianISIDORO FERRANTE

La tangente dellangolo tra la velocit e il campo elettrico varia linearmente secondo la


stessa legge del caso non relativistico: tan x = qEt/P0 , per la componente y della
velocit, anzicch aumentare, diminuisce! Infatti lenergia vale:
v
u
2 !

u
qEt
E = mc2 = mc2 t 1 + P02 /(mc)2 +
mc

da cui, sostituendo ,si trova:

vx = r
vy = r

qEt
1 + P02 /(mc)2 +
P0 /m
1+

P02 /(mc)2


qEt 2
mc


qEt 2
mc

Il calcolo della traiettoria tramite integrazione rispetto al tempo lasciato come esercizio.
Example 7.3. Campo magnetico costante ed uniforme
Il caso di un campo magnetico uniforme si riesce a risolvere facilmente:
~v
dP~
~
=q B
dt
c
Ora, osservando come F~ ~v = 0 anche nel caso relativistico, dobbiamo dedurre che
lenergia, e quindi , e infine anche il modulo della velocit rimangano costanti.
Lequazione del moto diventa allora:
~v
d~v
~
=q B
m
dt
c
La soluzione di questa equazione un vettore ~v rotante in senso orario (se q po~ con velocit angolare =
sitiva, antiorario altrimenti) intorno alla direzione di B
qB
. A parte il fattore c, dovuto alluso del sistema cgs, questa espressione differisce
mc
dallespressione solita della frequenza di Larmor per un fattore al denominatore.
La traiettoria corrisponde allelica del caso non relativistico, dove per stavolta la reqB
lazione tra raggio e componente trasversa della velocit data da: v T = R = mc
R,
2mc
2
mentre il passo dellelica d = vk = vk qB . Si noti che in termini del momento
della particella, le relazioni rimangono identiche a quelle del caso classico: R = mc
P ,
qB T
2mc
d = Pk qB .
Example 7.4. Campi elettrico e magnetico ortogonale

italianIL FORMALISMO COVARIANTE NELLA TEORIA DELLA RELATIVIT RISTRETTA

33

Un campo elettromagnetico in cui le componenti elettriche e magnetiche risultino ortoganali in ogni punto dello spazio non un caso strano, bens quello che si ottiene normalmente osservando un campo elettroco o magnetico statico da un differente
sistema di riferimento inerziale.
Pertanto, questo caso riconducibile facilmente ad uno dei due precedenti: infatti,
~ B
~ = 0, possibile trovare un sistema di riferimento in cui il campo
visto che E
magnetico o elettrico si annullino, a seconda che risulti E 2 B 2 maggiore o minore
di zero.
Il caso E 2 = B 2 richiede invece un trattamento a parte.
7.8. Onde elettromagnetiche. Lequazione delle onde, applicata al tensore elettromagnetico, non crea nessun problema in quanto invariante a vista:
F = 0
alla stessa maniera non creano problemi le espressioni delle onde piane monocromatiche, che richiamiamo per comodit:
~ = E~0 ei(t~k~x) , B
~ = k E
~
E

Ricordiamo che per soddisfare alle equazioni di Maxwell nel vuoto, ~kdeve essere
ortogonale sia a B che ad E.
Come si fa a trasformare questa equazione in una equazione invariante a vista? Semplice: si costruisce in quadrivettore k = ( c , ~k).
Lequazione diventa immediatamente:
F = F eik

dove F indica un tensore costante ed uniforme nello spazio: di nuovo, unequazione


covariante a vista!
Le equazioni di Maxwell portano a due condizioni su k : la prima deriva dalla divergenza del tensore elettromagnetico, ed : k F = 0: questa condizione porta
~ La seconda
~ nonch alla relazione ~k B
~ = E.
allortogonalit di ~k ed il campi E,
c
~ = 0 e ~k E
~ = B.
~
equazione, porta invece alle condizioni ~k B
c
Lavorando con queste equazioni, si giunge alle condizioni su k : k k = 0, ovvero:
2
~k 2 = 0: insomma, viene fuori la solita relazione ben consociuta tra il modulo di
c2
~k e la frequenza ,ovvero k = , o anche, visto che k = 2 , = /c.10
c

10Una piccola incursione nella meccanica quantistica:

sappiamo che lenergia di un fotone E = ~,


mentre la sua uantit di moto P = ~~k. Utilizzando la notazione relativistica, si ha: P = ~k , che
una espressione covariante a vista.

34

italianISIDORO FERRANTE

Inoltre si pu giungere alla dimostrazione che i due invarianti gi visti sono entrambi
nulli: ovvero, i campi sono ortogonali e i moduli dei campi elettrico e magnetico sono
uguali.
Insomma, troviamo che tutte le caratteristiche delle onde elettromagnetiche sono invarianti per trasformazioni di Lorentz: unonda elettromagnetica monocromatica piana
rimane unonda eletromagnetica piana vista in qualsiasi sistema di riferimento.
Le condizioni che londa sia monocromatica e piana in realt sono superflue: lequazione delle onde, essendo invariante per trasformazione di Lorentz, ci riporta indietro
al punto da cui siamo partiti:ci dice infatti che la velocit della luce indipendente dal
sistema di riferimento.
Ma adesso abbiamo una ulteriore informazione preziosa: sappiamo adesso come si
trasformano i vettori ~k e la frequenza da un sistema di riferimento allaltro!
Infatti, applicando una T.L. diretta lungo lasse xotteniamo:
0 = ( vkx )
kx0 = (kx cv2 )
ky0 =
ky
0
kz =
kz
Vediamo una conseguenza di questa equazione: supponiamo che in un certo sistema di
riferimento noi misuriamo una certa frequenza e che questa frequenza derivi da una
direzione ~k. Supponiamo che la sorgente di questa radiazione si muova con velocit ~v
lungo una direzione nota, che arbitrariamente decidiamo essere la direzione x. Allora,
dalle equazioni precedenti, siamo in grado di ricostruire la frequenza e la direzione nel
sistema di riferimento in cui la sorgente in quiete, ovvero la frequenza e direzione di
emissione.
In particolare, si ha: 0 = ( vc cos ), dove langolo tra la direzione di
osservazione e la velocit della sorgente.
Di solito lequazione si scrive nella forma:
=

0
1
v
1 c cos

Questa equazione assomiglia molto a quella delleffetto Doppler, ma contiene un termine aggiuntivo: in particolare, si ottiene che se si osserva una sorgente ad angolo
retto (cos = 0), allora la freuqenza dellonda elettromagnetica risulta minore di quella di emissione di un fattore ! Si tratta di quello che viene comunemente definito
effetto Doppler trasverso, e che stato misurato in esperimenti a terra effettuati su
di una piattaforma rotante. Leffetto Doppler trasverso una conseguenza della dilatazione relativistica dei tempi: infatti sappiamo che un orologio posto sulla sorgente
scandisce il tempo pi lentamente di un orologio solidale con losservatore. Ed infatti,
la frequenza emessa risulta diminuita esattamente di un fattore !

italianIL FORMALISMO COVARIANTE NELLA TEORIA DELLA RELATIVIT RISTRETTA

35

Un altro effetto estremamente interessante che segue dalle regole di t rasformazione


del quadrivettore k che la direzione di propagazione dellonda cambi nel passaggio
da un sistema di riferimento allaltro: si tratta del fenomeno dellaberrazione della
luce, che non risulta spiegabile in termini della relativit galileiana.
Si ha ad esempio:
cos 0 vc
(kx )
kx0
0
=
cos = 0 =

( kx )
1 vc cos 0
e si verifica che per velocit piccole rispetto a quelle della luce si ottiene la formula
classica dellaberrazione = vc sin

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