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Vita di san Brunone,

fondatore dei Certosini, libri


tre del sac . Paolo Capello,...

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Capello, Paolo. Vita di san Brunone, fondatore dei Certosini, libri
tre del sac . Paolo Capello,.... 1886.

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VITA
D I

SAN BRUNONE
Propriet letteraria.
1

VITA
DI

SAN BRUNONE
FONDATORE DEI CERTOSINI.

LIBRI TRE

DEL SAC. "PAIOLO CcAPELLO

CON APPROVAZIONE ECCLESIASTICA.

IL
NEUVILLE-SOUS-MONTREU

TIPOGRAFIA DELLA MADONNA DEI PRATI.

1886
IMPRIMATUR.

CAROLUS LELEUX, Vicarius Generalis.


Atrebat., die 27 aprilis 1886.
AL LETTORE.

L"aiitoi-e di quest'Opera, Don PAOLO CAPELLO,


sacerdote Torinese, subitamente moriva mentre
si stampava il suo lavoro. Ecco l'elogio funebre
che ne fu fatto dall' Unit Cattolica di Torino,
ne' primi giorni dell' anno scorso :
Onore e lustro del clero Torinese era Don
Paolo Capello, di Casalborgone, mancato ai
vivi quasi improvvisamente nella notte sopra la
domenica, 28, festa dei SS. Innocenti. Era sa-
cerdote pio, modesto, caritatevole, esemplare ;
contava appena cinquantadue anni. Attese per
1110lti anni con {elo grandissimo a promuovere
in Torino l'Opera della S. Infanzia, di citi ju
fino all'ultiiizo segretario, ed occupava nel tem-
po stesso l'uffi\io di cappellano in un Istituto,
retto dalle suore di carit, nel quale buon nu-
mero di fanciulle S0110 educate alla vita cristia-
na. Ma questi due impieghi erano poca cosa per
la sua capacit e pel grande desiderio che avea
di far del bene alle anime : quindi che nutrito
come egli era di ottimi studi e quanto mai ver-
sato nel buon uso della lingua dei nostri classici,
si diede per tempo allo scrivere e vi prosegu
instancabilmente e con molto frutto per tutta la
vita. Dett numerosi articoli per la Buona Set-
timana, periodico destinato a mantenere viva la
fede nel nostro popolo; diede per le stampe delle
buone versioni di alcune operette del Dubois,
per la retta istruzione del clero, e scrisse la Col-
lana Storica della tipografia editrice di San Giu-
seppe degli Artigianelli le storie di Carlomagno
e di Alcuino e le vite di San Bernardo di Men-
thon e del Cp d. Sigismondo Gerdil.
Le sue Opere di maggior polso e che lo fe-
cero conosciutissimo in molta parte d'Italia, fu-
rono una grande Vita di San Francesco di Sales
e quella del nostro Beato Sebastiano Valfr, che
compose sopra numerosi documenti, raccolti con
molto amore e pa\ien\a, elevando in questo 1nO-
do un vero monumento aere perennius al glo-
rioso nostro Filippino, a cui tanta parte si deve
del trionfo delle armi piemontesi nell'assedio di
Torino. Scrisse inoltre la vita di San Gaetano
Thiene, alcuni cenni sul martire tebeo San Se-
condo e sulla chiesa eretta in suo onore nella
nostra citt, non che una dotta dissertazione sul
Gersenio, a cui rivendicava l'onore d'avere scrit-
to l'Imitazione di Nostro Signor Ges Cristo,
dissertazione letta nell'Accadenza di Storia ec-
clesiastica subalpina, eretta nel da monsi-
gnor Lorenzo Gastaldi, di venerata memoria,
della quale Accademia il Capello era segretario.
L'ultimo e pregiatissimo suo lavoro fu la Vi-
ta di San Brunone, che scrisse per autori{{a{ione
aJlutane dai reverendi Padri Certosini; egli pot
darvi l'ultima mano, ma non vederne la stampa,
che ne appena cominciata. Con tanto tesoro di
opere buone, con giornipieni e stipati di meriti,
il desideratissimo sacerdote manco, si pu dire,
lavorando per la gloria di Dio e lasciando ne'
suoi scritti non solo un ricordo della sua piet,
ma ancora eccitamenti ed esoi-ta,, :oni perenni al
ben vivere ed allo studio della vita dei Santi.
VITA
DI SAN BRUNONE

LIBRO PRIMO
C Cd-TITOLO I.

LA CITTA DI COLONIA, PATRIA DI S. BRUNONE.

la vasta e fredda parte d'Europa. Agrippina,


la madre di Nerone, vi trasse una colonia di ve-
terani, in tempo che il valoroso Germanico
suo padre, alla testa di otto legioni, teneva
in Germania il potere; e quindi venne alla
nuova citt il nome di Colonia Agrippina, che la
distinse da Colonia Trajana, ossia Xanten.
Pu darsi come cosa certa che la luce dell'
Evangelo splendette a questo popolo fin dal
secolo II della Chiesa, portatavi dai soldati
cristiani, che militavano nelle legioni romane.
Quella ch'ebbe nome di fulminante, dovette
contribuire non poco a disseminare la Fede
in que' paesi ; s perch era composta quasi
tutta di cristiani, s per l'effetto grande che
naturalmente segu dal fatto dell'opportunissi-
mo uragano ; di cui la pioggia valse a ristorare
l'esercito romano languente di sete, e i fulmini
concorsero a sbaragliare i nemici. Erano questi
i Quadi, popolo d'oltre Danubio; e gi ave-

vano accerchiate le schiere romane, comandate


dall'imperatore Marco Aurelio in persona; il
quale, giustamente tenendo l'avvenimento per
prodigioso, in sua lettera al Senato ne diede il
merito alla preghiera de' cristiani, e viet di
perseguitarli.
Marco Aurelio imper dall'anno 161 al 180.
Tertulliano, nato verso la met del medesimo
secolo, non solo parla di questa lettera dell'im-
peratore filosofo, ma annoverando i popoli,
che gi a' suoi d avevano creduto in Cristo,
nomina tra gli altri i Germani. S. Ireneo, pur
di quel secolo, parla delle chiese cristiane fon-
date in Germania, e che non avevano altra
legge ed altro insegnamento, che quello degli
Iberi e dei Celti, dell' Oriente e dell' Asia. Lo
storico Sozomeno, maravigliato della pronta
conversione di molti popoli germanici, la spiega
con le sorti della guerra, che fecero cader pri-
gionieri nelle lor. mani vescovi e preti. Egli
mostra que' servi del vero Dio, che fanno stu-
pire i loro padroni con una santa vita, che gua-
riscono gl'infermi, che incantano co' loro dis-
corsi le intiere trib; le quali venivano ad essi
per chiedere le verit da seguire e le norme del
vivere. Come, sarebbe dilettevole e bello il
tener dietro a' passi di quegli apostoli ; ascoltare
gl'inni della Redenzione, che rompono i silenzi
delle foreste pagane, mirare i barbari che rice-
vono il battesimo a quelle fonti, che poc'anzi
adoravano Ma quei tempi, pi dediti a far
!

grandi cose che a scriverle, non hanno pur


conservato tutti i nomi de' fondatori delle pri-
me comunit cristiane di quelle contrade. Il
Martirologio romano per, al d 14 di set-
tembre, registra S. Materno, vescovo di Tre-
veri, discepolo di S. Pietro apostolo, che con-
vert alla Fede i Tungri, i Coloniesi, i Treviresi
ed altri. Pi tardi, e sotto Massimiano, la
legione Tebea muore fra le Alpi, e d alla
Svizzera ed al Piemonte i lor primi patroni.
Secondo S. Gregorio di Tours, una schiera di
cinquanta militi di quella legione sostenne il
martirio a Colonia1; egli cita la basilica eretta
in onore di essi, e che gi testimoniava l'an-
tichit del loro culto. Tale era lo splendore
de' mosaici col fondo d'oro, ond'erano coperte
le pareti, che dal popolo era chiamata la chiesa
de santi dorati. La cavalleresca Allemagnaam
queste prime glorie militari del Cristianesimo;
e la chiesa de' santi dorati, oggi di S. Gereone,
ricostruita pi volte, porta ancora la sua cu-
pola bizantina al di sopra degl'innumerevoli
campanili; onde venne a Colonia il nome di
Roma del Settentrione.
Chiamata solennemente da Costantino la
Croce a risplendere dal Campidoglio a tutta
la terra, e data pace alla Chiesa, i vescovi di
questa poterono pubblicamente congregarsi a
deffinire le interne controversie ; e gi nell'an-
no 313 il vescovo di Colonia, Materno, com-
parisce in Roma a giudicare, sotto la presi-
denza del papa S. Melchiade, nella causa
de' Donatisti. Appellatisi questi a concilio pi
numeroso, trenta vescovi si radunano, l'anno
seguente, ad Arles; e Materno vi ricomparisce

4 S. Gregorio fa menzione di 5o soldati ; ma l'iscrizione,


che si legge nella lor chiesa, parla di S. Gereone e di 318
suoi compagni Tebei; e di un S. Gregorio con altri 36o
martiri suoi compagni, Mauritani. Eccola: Te11lplznn S. Ge-
reonis sociorumqiie ejlls CCCXVIII Tliebwo-iz martyrum.
Et Gregorii socioru11lque ejlls CCCLX A'hwrOrll11l marty-
rum.
con Agrizio di Treveri, col diacono Macrino
e l'esorcista Felice.
Verso l'anno 450, Orsola e le sue compagne
aggiungono nuova splendida gloria alla ben
avventurata citt col loro famoso martirio ; e
il sangue de' generosi Tebei e delle elettissime
vergini consacra a Cristo quel suolo, in modo
che mai pi ne verr meno la Fede1. Degno

i Perci di Colonia si canta che, ricevuta ch'ebbe la fede,


pi non ricadde nell' infedelt. Ex quo Fidem recepisti,
recidiva non fusti, Civitas prcenobilis.
Quella di S. Orsola per alcuni storia, per altri leggenda
ma nella leggenda stessa v' certamente la parte storica.
Comunemente si tiene che il numero d'undici mila com-
pagne di martirio sia inesatto ed esagerato : ma come venne
egli fuori? Taluno crede che la parola Undicimila sia il nome
proprio d'una di quelle vergini ; e cita un antico messale,
in cui stava scritto: Ursula; et Undecimillce et sociarum vir-
ginum et martyrum. Ma questa spiegazione ha dello strano ;
e forse fu lo scrittore del messale che alter i vocaboli. L'Oza-
nam inclina ad ammettere piuttosto una falsa interpreta-
zione delle iniziali: di guisa che XI.M.V. significherebbero
Undecim martyres virgines. E dice che, in un calendario
della chiesa di Colonia del secolo IX. si trovano i nomi di
Orsola e di dieci sue compagne;cio Orsola, Sancia, Gregoria,
Pinosa, Marta, Saula, Britula, Santina, Rabacia, Saturia,
Palladia. Ma il medesimo Ozanam cita versi d'un autore
parimente del secolo IX, nei quali si parla di migliaia di ver-
gini martirizzate a Colonia. Che fossero moltissime, se non
esattamente undici mila, lo d la tradizione, sempre viva in
Colonia, e generalmente in tutta la Chiesa ; e n' monu-
mento il tempio loro innalzato fin dal VII secolo; nel quale
si venerano le reliquie di quelle vergini e martiri in quanti-
t grande ; e su per le mura si vedono innumerevoli loro
immagini, ossia teste di vergini ornate de'segni del martirio.
E questo, cio il gran numero di quelle vergini, si rende an-
che pi credibile, se si riflette al persecutore ch'esse ebbero.
e alle circostanze del loro martirio. Il persecutore era il ter-
ribile Attila, che alla testa di cinquecento mila barbari Unni
simbolo della nobilt e stabilit della Fede de'
Coloniesi la cattedrale stupenda che, con
magnanimit di propositi non men che di sfor-
zi, felicemente compiti a' d nostri, hanno in-
nalzato al culto del vero Dio1.
La costanza della Chiesa di Colonia nella
Fede Cattolica tanto pi meritoria, e degna
della lode che il pontefice Clemente VII gliene
diede in un diploma del 1531, in quanto che
di abbandonarla ebbe tristo esempio da troppe
altre citt di Germania datesi al protestantis-
mo : ma la protezione de' martiri le fu di vali-
do scudo contro gli avvelenati dard dell'eresia,
e fonte perenne di prosperit altresi temporale.
Crebbe essa infatti in potenza ed onore di

tanto male di stragi e ruine aveva gi fatto in Europa.


Fu vinto, vero, nei campi di Chalons, e vi perdette un
terzo del suo esercito ; ma gliene restava ancora tanto da in-
cutere spavento a qualunque citt e popolo. Orqual maravi-
glia che il terror del suo nome spingesse dai vicini e dai lon-
tani paesi moltitudine di persone a rifugiarsi nelle citt, che
porgevano maggiore speranza di sicuro asilo ? Colonia era
gi allora citt notevolissima e fortificata; ond' naturale che
vi concorressero, fra molte altre persone di ogni grado ed
et, eziandio vergini cristiane a gran numero le quali, ten-
:

tate da que' barbari venuti a'danni di Colonia, con cristiano


eroismo preferirono la morte al disonore ed alla perdita
della Fede.
1 Vien celebrata come uno de' pi magnifici monumenti
dell' architettura detta Gotica. Fu ideata dall' arcivescovo
Engelberto di Berg, e cominciata nel 1248 dal suo successore
Corrado di Hocsteden, soprannominato il Salomone de'
suoi tempi. Dietro il coro v' l'ingresso al deposito de' tre re
Magi, riccamente adorno d'oro e di gemme.
civilt per pregio di lettere, scienze ed arti ; e i
suoi arcivescovi diventarono principi ; che,
come elettori del supremo monarca, tenevano,
a cos dire, in pugno le sorti di tutto l'impero.
Fortunata citt nel serbare il tesoro della
Fede Attesoch, oltre il malaugurato esempio
!

di tante altre citt sorelle, per ripigliare gli an-


tichi spiriti di quel che diremo il genio Teuto-
nico, non mancarono n pure a lei interni sti-
moli. Quel genio era, secondoch lo descrive
il romano storico della Germania, un indomito
amore di assoluta indipendenza, manifestato
eziandio nella tenacit del vecchio suo culto
religioso ; assurdo, ridicolo, crudele, ma pur
amato perch nazionale. Del che abbiamo una
prova in quella superstiziosa consuetudine, di
cui narra il Petrarca in una delle sue lettere
famigliari. Trovandosi egli a Colonia la vigilia
di S. Giovanni Battista, fu da' suoi amici invi-
tato a veder nuovo spettacolo sulla sponda
del Reno. E vide fanciulle in grandissimo nu-
mero, le quali, fregiate d'erbe odorose, immer-
gevano a vicenda nel fiume le mani e le brac-
cia nude, mormorando ignote parole. Chiesta
spiegazione di tal cerimonia, ud rispondersi
ch'era un antichissimo rito, e nell'animo del
volgo, specialmente delle donne, radicata per-
suasione che, a tener lontana ogni calamit e
ottener tempi pi felici, dovevansi ogni anno
purgare de' loro peccati nelle acque del fiume :

quello essere il giorno di tal cerimonia, co-


stantemente e ferventemente praticata. Come
se le acque d'un fiume potessero, con quelle
del corpo, lavar le macchie dell' anima !

Non quindi maraviglia se, pur mentre


in Colonia, Treveri, Magonza fioriva la reli-
gione cristiana, l'antico culto pagano segui-
tasse a tenere nelle tenebre dell' infedelt tante
terre della Germania ; le quali ancor nel se-
colo VIII porsero vastissimo campo allo zelo
diS. Bonifacio e di Carlomagno. Singolare con-
trasto, che mette in chiara luce la mirabile ef-
ficacia della Fede cristiana nel vincere le pi
forti passioni dell' animo umano e le pi inve-
terate abitudini. Non si voleva infatti meno
d'una forza sovrannaturale a piegare quelle
fronti barbaramente altiere, ad ammollire quei
cuori di sasso. Se non che, quando allo spi-
rar della fecondatrice aura dello Spirito santo
squagliavasi il ghiaccio, e il deserto s'andava
qua e l coprendo di fiori e di frutti, ecco so-
pravvenir nuovo vento freddissimo, che mi-
naccia di ripiombar quella terra nell' antico
squallore. Oh Dio, di quanti mali non furono
mai cagione nel secolo XI l'incontinenza del
clero e la simonia, che pur troppo contamina-
vano Italia e Francia, ma sopratutto Allema-
gna Era il paganesimo redivivo ; che, reso
!
pi audace dagli svaniti terrori del finimondo
temuto pel iooo, faceva nuovi sforzi di ris-
tabilire il suo impero ; terribili sforzi quan-
do riusc, per cos dire, ad incarnarsi in un uo-
mo di grande potenza, l'imperatore Enrico IV.
Ma oh quanto giustamente pot allora la
!

Chiesa cattolica esclamare coli' Apostolo :


CUln infinnor, tunc potens sum : Quando il
mondo e l'inferno pi s'adoprano di scemarmi
forze ed opprimermi, allora appunto si mos-
tra la divina potenza che mi sostiene. Chi non
ammirer il grande prodigio che allora si vi-
de, di un inerme sacerdote, il pontefice S. Gre-
gorio VII, il quale aiutato da pochi suoi
confratelli e figliuoli, S. Anselmo di Lucca,
S. Pier Damiani, la contessa Matilde, vince e
doma quel feroce e protervo principe, che dis-
poneva di tutte le forze che il mondo poteva
somministrare a' suoi oltracotati ed iniqui
intenti? Tant'; quella pontificai dignit, che
poc' anzi in Benedetto IX era caduta s basso,
da quasi togliere speranza di vederla ancora
risorgere ; in Gregorio VII non solo risorge,
ma s'innalza a sommo grado di potenza e di
gloria. Potenza e gloria, di cui non sai quale
sia pi degna di ammirazione giustissima ; pe-
rocch come quella fu una potenza santa-
mente salutare a tutta la terra, cos la gloria
che ne venne a chi la spieg ed esercit con
felicissimi effetti e conseguenze per la religione
e la civilt, la gloria di cui risplende Iddio
medesimo.
Nel tempo di un astro di tanto splendore
sorse una stella di pi modesta luce, ma non
men salutare. Ei fu un cittadino della sopra-
detta Colonia, il quale efficacemente coadiuv
la santissima opera dell'universale riforma
in tutti i modi possibili a uomo non fornito
di pubblica potest. Prima coll'insegnamento
della sana dottrina e con lo zelo ; indi con
l'opporsi in quanto poteva al mostro della si-
monia ; in terzo luogo, qual consigliero sa-
piente di un degno successore di S. Gregorio
VII ; da ultimo, coll'esempio di una straordi-
naria virt e coiristituzione di un Ordine re-
ligioso sparso per tutta Europa. Il quale,
mentre apre sicuro e tranquillo ricetto a molte
anime che, conosciuta ed anche sperimentata
la vanit delle mondane cose, cercano nella
solitudine la pace e la via dell'eterna salute,
con l'alto suo spirito di orazione e di peni-
tenza, prega per chi non prega ed espia le col-
pe commesse dagli altri. Tale fu S. Brunone,
fondatore dell'Ordine Certosino, del quale
prendiamo a narrare la vita, ed espor l'istituto.
CcAPITOLO II.

NATALI, PRIMI ANNI E PRIMI STUDII DI S. BRUNONE.

N S. Brunone nella prima met del se-


ACQUE
colo XI, tra il io3o ed il 1040: cos bisogna
mettere, perch non si trova ancora ben accer-
tato l'anno preciso della sua nascita. E certo
l'anno della sua morte, che fu il 1101 ; onde, te-
nendosi per ragionati calcoli che il suo terrestre
pellegrinaggio non oltrepassasse di molto gli
anni settanta, pare che si possa stabilire la sua
nascita verso l'anno I0301. Antica tradizione,
sempre viva in Colonia, sua ben avventurata
patria, reca che fu di stirpe nobile ed illustre ;
cio quella degli Hartenfaust, o Harde-Faust :
nome che significa forte braccio o duro pugno;
e indica la gagliardia del valoroso cavaliere
che fu lo stipite di questa casa ; ovvero, secon-
do un'antica cronaca. il duro e furioso combatte-
re, con cui i suoi antenati resero grande la loro
stirpe o famiglia ; e la furiosa guerra che egli
1 In un antico manoscritto della Certosa di Montis-Dei
in Piccardia si legge che S. Brunone mor settuagenario.
doveva sostenere non solo contro il mondo, le
ricchezze e gli onori, ma ancora (il che benpii)
contro se stesso e contro il demonio, mediante una
gran penitenza, un lungo pellegrinare, astinenza
ed austerit. Parecchi scrittori di cose antiche
danno inoltre gli Hartenfaust per discendenti
di una delle quindici famiglie romane, che
insieme a non pochi altri nobili personaggi di
Roma, convertiti da S. Pietro alla Fede, ven-
nero con Trajano a Colonia, per fuggire la
persecuzione di Domiziano, verso l'anno g3.
Trajano, richiamato dalla Spagna, e man-
dato da quel principe in Germania per sedarvi
ogni moto di guerra civile e ridurla all'ubbi-
dienza, pose anzi tutto un forte presidio in Co-
lonia ; che n'ebbe due vantaggi, l'uno via pi
grande dell'altro ; cio di essere confortata nella
sua fedelt a Roma, e di ricevere da que' cris-
tiani la luce del Vangelo. Ci serve a spiegare
come la citt di Colonia avesse assai presto, in
larga misura, il dono della Fede. N pur im-
possibile che la casa di Brunone discendesse
da una di quelle antiche famiglie romane ; ma
non se n'ha prova certa ; n si sa come e quan-
do prendesse il nome di Hartenfaust ; che n
da Brunone n da alcuno degli antichi, ch'eb-
bero occasione di mentovarlo in diplomi o in
elogi funebri (de' quali ve n'ha ben 178), si ve-
de mai adoperato. Il che per non toglie punto
che il cognome di Brunone fosse veramente
il sopradetto di Hartenfaust ; poich, oltrec-
ch vien mentovato in qualche vecchia cro-
naca e n' sempre viva la tradizione in Colo-
nia, si trova facilmente nella sua umilt e nel
desiderio di non essere conosciuto, la ragione
per cui non nominava mai la sua nobile casa.
Quindi si spiega ancora come non la nominas-
sero gli altri; attesoch questi, non sapendone
di pi, lo indicavano con quel semplice nome,
ch'egli soleva dar di s stesso. E d'altra parte,
questo nome, sopratutto negli ultimi anni della
sua vita e dopo la beata sua morte, era divenuto
s celebre, venerando, autorevole, che bastava
da solo, senza bisogno d'alcun cognome. Cos
niuno pensa a' cognomi di S. Benedetto, di S.
Romualdo.di S. Bernardo, di S.Francesco ecc.
Della tradizione poi sempre viva in Colo-
nia s'hanno due notevoli testimonianze. La
prima di Ferdinando di Baviera, arcives-
covo, Elettore, di essa citt il quale nel co-
:

municare alla sua diocesi, nel 1624, la facolt


data dal pontefice Gregorio XV di celebrare la
festa di S. Brunone, lo dice con espresse pa-
role nato ed educato in Colonia, della nobile
famiglia degli Hartenfaust. La seconda ha per
autore l'alto magistrato civile della stessa citt
(consoli, questori, proconsoli, senatori di Co-
lonia Agrippina) ; il quale in sua solenne noti-
ficazione dichiara ed attesta che la famiglia
de Hardvust (von Hardevust, o Hardeuust :
cos col tempo si modific il nome primitivo
di Hartenfaust) una delle illustrissime e an-
tichissime di quella citt.
Brunone chiamavasi altres suo padre, che
nel citato documento della citt di Colonia
detto nobilissimo cavaliere. Di sua madre s'i-
gnora il nome ed il casato: taluno la dice della
stessa famiglia degli Hartenfaust, ma d'un ra-
mo staccato ; perocch fu questa una grande
1

famiglia ; della quale sussistono tuttavia a' d


nostri varii rampolli, col nome di Hardevust;
che preziosamente conservano, col loro al-
bero genealogico, le tradizioni di fede e piet
che Brunone trov ne' suoi parenti2. Tra questi

1 Un recente scrittore della vita di S. Brunone dice che ques-


ti, dal lato materno, discenderebbe dalla famiglia Alcuina o
Alchanivina, e cita la Storia Cartusiana del Certosino Rene-
detto Tromby ; ma il Tromby dice questo nome derivato da
uno sbaglio di chi, in certi documenti, in vece di Brunonis
ac Lanuini, Brunoni ac Lanuino, Brunonem ac Lanuinu111,
lesse B"i-uzoneiz Alcztz*ziii)z Brunonis Alcanirini e con mag-
,
gior deformazione Brunonis /lrc!/!//a;'/ : deformazione por-
tata dalla cattiva scrittura di chi stese o copi il documento.
2 V. l'abb F. A. Lefebvre, Saint Bruno et l'Ordre des Char-
treuse. Questo scrittore, recentissimo, dice per la linea
maschile degli Hartenfaust o Hardevust estinta con Luigi
Brunone d'Hardevust, morto nel 1784. Era scudiero, signor di
La Laeghe ed altri luoghi, borgomastro della citt e castella-
nia di Bergues. Ma i figli di sua sorella, Maria Anna d'Harde-
vust, consorte del signor Alberto Francesco Keingiaert, no-
bile vassallo della citt e castellania d'Ypres,ne assunsero il
nome, aggiungendolo a quello di loro padre.
VUOI essere per avventura annoverato il B.
Brunone, vescovo di Colonia nel 965 ; per
cui riverenza i genitori di Brunone nostro,
al sacro fonte battesimale, gliene imposero il
nome.
A quella de' natali corrispose in Brunone
la nobilt delle doti dell' animo e del corpo :
tantoch, se ad altri mai, a lui pu giusta-
mente applicarsi il detto del Savio : Io era un
fanciullo ingegnoso, ed ebbi in sorte un'anima
buona : e crescendo in bont, venni ad avere un
corpo immacolato. (Sap. vili). Infatti notossi in
lui fin da' primi suoi anni un'indole d'oro, un
cuore pio, ingegno perspicace, memoria felice,
ed una cotale vaghezza d'istruirsi, sopratutto
delle cose divine. Le quali doti, accompagnate
da certa gravit di maniere e costumi, riceveva-
no anche maggior luce dal suo gentile aspetto ;
nel quale, e nelle fattezze, splendeva una par-
ticolar grazia ; che a vicenda poteva dirsi un
riverbero della bellezza dell'animo. Era di
color tra il bianco e il rosato; gli occhicerulei,
e bionda aveva la chioma. Gemma in questa
corona di belle qualit del caro giovinetto era
poi una schietta piet verso Dio ed una tenera
divozione alla Ss. Vergine. I suoi genitori, spe-
cialmente la madre, coltivarono diligentemen-
te tali disposizioni ; ed ebbero la consolazione
di vederne in breve tempo ottimi frutti.
Di vero, affidato, per la prima istruzione, ai
canonici della collegiata di S. Cuniberto', mos-
tr docilit d'ingegno, diligenza, amor dello stu-
dio, e, quel ch' pi, un'assennatezza ed un
candor di costumi tale che dest l'ammirazione
de' condiscepoli e de' maestri; e lo chiamavano
Bruitone il savio. L'arcivescovo Ermanno, stu-
pito ancor esso dell'ottima disposizione del
giovanetto allo studio ed alla piet, stim che
la Provvidenza avesse delle mire particolari
sopra di esso, e si rec a dovere di far s che
l'eletta pianticella fosse coltivata con tutta la
cura. A tale scopo esort i suoi parenti a man-
darlo a scuola pi degna, e l'ottenne : perocch
s'ebbe fede nella sodezza della sua virt, che
si sarebbe mantenuta costante, bench lontano

1 S. Cuniberto, figlio di Crasso duca di Lorena, ed edu-


cato da Dagoberto re di Francia, per la sua straordinaria
virt venne eletto arcivescovo di Colonia nel 643. Dopo
quarant'anni di santo episcopato, morendo nel 683, volle
esser sepolto nella chiesetta, ch'egli aveva edificata al mar-
tire S. Clemente ; ma il sacro suo deposito fe' che la mede-
sima prendesse il suo nome, e nel secolo XI, di cui parliamo,
venisse surrogata da altra pi splendida. Essa gi era stata
eretta in Collegiata, con un preposito e decano, 13 vicarii e
22 canonici. Alcuni scrittori della vita di S.Brunone, dicono
che egli, per la sua esemplarit, fu eletto canonico di quella
Collegiata ancor prima che andasse alla scuola di Reims :
tantoch taluno di essi, anche recente (per es. l'abb. Ber-
seaux) scrive che cambi la veste da giovinetto nella cappa
canonicale : ma la maggior parte degli altri storici affer-
ma pi probabilmente che ci non avvenne se non quan-
do Brunone torn dallo studio di Parigi, secondoch ve-
dremo.
da casa. Fu scelta la scuola di Reims1; la quale,
sebben decaduta a que' d, doveva certamente
sempre essere superiore a quella di S. Cuni-
berto a Colonia : perocch quella era la scuola
d'un' illustre cattedrale, d'antica fama; e ques-
ta d'una semplice collegiata di minor grado,
da poco tempo eretta.
Or bene il nostro Brunone, sebben giova-
netto di quindici anni quando v'and, fra tutta
quella giovent, tenne condotta cos esempla-
re, che non solo si mostr degno della fiducia
che i suoi parenti ed il vescovo avevano avuta
di lui, ma, come gi a Colonia, anche i profes-
sori di Reims lo proponevano per modello agli
altri studenti. Del che questi non ebbero pun-
to a maravigliarsi n a dolersi; imperocch Bru-
none univa a valor d'ingegno e dottrina una
grande modestia e dolcezza di modi. Onde, al
veder la sua schietta e fervorosa piet, la sua re-
golarit di vita e gravit di costumi, il suo star
volentieri appartato e lontano dai giovanili

1 II P. Guglielmo Marlot, della Congregazione Maurina,


le cui opere sono stimate per l'esattezza e l'erudizione, a
questo proposito dice : Gervasio (arcivescovo di Reims), per
giovare in ogni modo sopratutto alle lettere, stabili di rial-
zare il credito delle scuole Remensi,per vecchiezza decadute,
per opera di Brunone Coloniese, e da fanciullo allevato nel-
la chiesa Remense. La medesima Chiesa nell'elogio fune-
bre, che di Brunone mand alla Certosa di Calabria, ed il
56, dice che l'ebbe, nella tenera et, suo alunno : Quem
tenerum docnit mater Rcmensis alummim.
divertimenti, tutti l'avevano in riverenza ; e
comunemente dicevasi ch'egli era nato per
ammaestrare e dirigere monaci, e restaurar
la vita eremitica. Manifest egli allora il suo
animo altres con un carme latino, che fu
conservato ed il seguente :
Mortales Dominus cunctos in luce creavit,
Ut capiant meritis gaudia summa poli.
Felix ille quidem qui mentem jugiter illuc
Dirigit, atque vigil noxia quque cavet.
Nec tamen infelix sceleris quem pnitet acti,
Quique suum facinus piangere saspe solet.
Sed vivunt homines tanquam mors nulla sequatur,
Et velut infernus fabula vana foret :
Cum doceat sensus viventes morte resolvi,
Atque Erebi pnas pagina sacra probet.
Quas qui non metuit, infelix prorsus et amens
Vivit, et extinctus sentiet lle rogum.
Sic igitur cuncti mortales vivere curent,
Ut nihil inferni sit metuenda palus 1.
1

Il Signore cre tutti i mortali nella luce ( della sua
grapa J, acciocch co' meriti ottengano i sommi gaudii del
cielo. Oh felice chi sempre tiene la mente rivolta l, e
!

con vigilanza si guarda da tutto ci che nuoce (all'anima).


E fortunato ancora chi si pente delle colpe commesse, e
suole piangere frequentemente i suoi peccati! Ma gli uomini
vivono come se non si dovesse mai morire, e come se l'in-
ferno fosse una vana favola. E pur si vede cogli occhi
nostri la strage che la morte f de' viventi, e la Sacra
Scrittura (cio la Fede) insegna che l'inferno c'. Le cui pe-
ne chi non teme, certo da dire che vive da sciagurato
e pazzo; e dopo morte arder nel fuoco. Deh! dunque tutti
i mortali procurino di vivere in modo, che non s'abbia a
temere la palude infernale.
CoATITOLO III.

STUDII, LAUREA, CONTEGNO DI BRUNONE A PARIGI.

T dii d'umane
cos lodevolmente questi primi stu-
ERMINATI
lettere a Reims, venne Bru-
none da' suoi genitori mandato ad altra scuo-
la, dove potesse da par suo attendere agli stu-
dii di grado superiore, sino a quel segno che i
tempi e l'ingegno di lui concedevano. Questo
non era comune, e le prove che gi n'aveva
date facevano concepire di lui le pi liete
speranze; resta a vedere quale fosse la scuola,
e qual la coltura che allora conseguir si poteva.
Intorno alla scuola di studii superiori scelta
per l'elettissimo giovane sono varii i pareri;
altri tiene per quella della medesima Reims,
altri per quella di Tours, ed altri pi proba-
bilmente per quella di Parigi. L'affermano
innanzi tutto varii scrittori Certosini, fra cui il
Surio ed il Tromby, e lo stesso Breviario Ro-
mano; la cui autorit, sebbene non sia asso-
lutamente irrefutabile, ha nondimeno molto
peso; ed certo buon testimonio di quello
che intorno a ci per tradizione si crede nell'
Ordine Certosino.
Ci parve cos vero ad un antico ed ano-
nimo autore di una vita di S. Brunone in versi
latini, che francamente si ferma a descrivere
la partenza del santo giovane da Colonia per
Parigi. E lo rappresenta giovane sul fior
dell'et, piissimo, onor di Colonia sua citt
natale; ma alto voler del Cielo chiamandolo
altrove, egli, come novello Abramo, si dispo-
ne a lasciare la patria ; e senza ancora sapere
dove andrebbe n che farebbe, gi sta per
montare a cavallo. Il padre teneramente l'a-
braccia e gli d saggi consigli; i fratelli gli
stanno intorno piangendo; ma egli, senza pun-
to lasciarsi, a quelle lagrime, smovere dal
suo proposito, bada a far tesoro de' paterni
avvisi : d per conforto del loro dolore un
bacio a ciascuno, li saluta e parte. Portato a
Parigi (grande citt sulla Senna, terra prediletta
a' Franchi fra tutte le altre, inclita di tempii,
ricca, industriosa, sede de' re e del governo),
va difilato a presentarsi con generose parole
a' maestri, acceso d'amore degli alti studii. La
dotta compagnia benignamente raccoglie, mo-
stra in volto la lieta speranza che di lui prende,
e di buon grado l'ammette allo studio delle
varie arti e scienze.
1 Anche il pio e dotto P. Croiset sta per Parigi.
Seguono alcuni versi, che poiono dar un
indizio di quel che altri ebbe a dire, cio che
Brunone non solo studi a Parigi, ma vi ebbe
cattedra : riflettendo bene tuttavia si trova
semplicemente che l'eletto giovane tenne, al
cospetto de' professori di quella celebre scuola,
qualche pubblico esperimento di sua dottrina
con esito splendido ; talch parve superare i
professori medesimi. S per certo Brunone
vinse infacondia i compagni egli anziani. Via
di qu, profani; di cose sacre ei parla. E voi,
o fedeli seguaci di Cristo, riconoscete la sede
de' padri. Questo consesso, di cui non vi fu
altro pi augusto ne' tempi antichi, n vi sar
negli avvenire, deh come pende dalla bocca di
Brunone deh come quel sacro senato atten-
!

tamente ascolta il suo dire! Come gli piace,


ed esclama che quello un parlare celeste E !

bene sta : poich egli tal uomo che, mentre


parla, respingendo le lodi, sta colla mente
fissa nel solo Ges1.

1 Annis fiorentem. nulli pietate secundum


Brunonem, tanto dignata Colonia nato,
Nutribat; cli sed enim qu magna vocabant
Jussa secuturus, novus Abram patria tecta
Deserit; incertusque viae, incertusque laborum,
Jamjam instabat equo, longum tcstatus amorem
Cum pater alta monet. Fratrum simul excipit omnis
Turba patrem lacrymans; lacrymis nil Bruno movetur ;
Dieta patris menti infigit, solatia luctus
Oscula deinde pius t'eri cuique, oratque salutem.
Qu vectigales ostentat Sequana fiuctus.
Alla lieta accoglienza, che i professori della
scuola di Parigi fecero a Brunone, in un colla
ben promettente presenza di esso concorse il
buon nome, che l'eletto giovane s'era acquis-
tato di pio, assennato, studioso : ma l'esito de'
suoi studii super l'espettazione che aveva
destata di s. Imperocch rimasta memoria
che lo ebbe felicissimo prima nella filosofia,
e poi nella teologia ; tanto che fu stimato come
uno dei migliori teologi del suo tempo. Il che
molto bene s'intende ; poich quelle sono
scienze che corrispondevano all'elevatezza del-
la sua mente, ed a' sentimenti del suo cuore.
La sua vita intera e gli scritti ne fanno fede :
se questi non sono in voga com' altri, non per-
ch manchino di pregi ancor grandi; maper-
Urbs ampia assurgit ( terris magis omnibus unam
Francigenas dudum coluere), Lutetia ; templis
Inclita, dives opum, multoque invicta labore.
Hic regum sedes ; populis hinc jura feruntur.
Huc advectus, adit generosa voce magistros,
Altorum Bruno studiorum incensus amore.
Occurrens juveni facile dat jungere dextram
Docta cohors; vultu spem pandit, amatque volentem
Ad varias artes et rerum abstrusa vocare.
Scilicet et potuit Bruno sociosque senesque
Vincere dicendo. Procul hinc procul este, profani ;
Sacra docet. Vos, o sedes agnoscite patrum,
Christicolfle fidi. Quo non augustis ullum
Aut priscis fuit, aut surget venientibus annis,
Concilium agnosco; Brunonis ut ore loquentis
Pendet hians, pronaque bibit sacer aure senatus!

Ut voces amat, ut coeli responsa fatetur


Hic vir hic est, cui verba inter, secedere jussis
Laudibus, in Jesu mens uno fixa quiescit.
ch ne sopravvennero di pi eccellenti. V' chi
dice aver Brunone in Parigi studiata altres la
giurisprudenza, e data opera alla musica sa-
cra, nella quale divenne peritissimo. E noto
che quest'arte, sebbene allora fosse lontana
dalla perfezione a cui poscia s'innalz, era col-
tivata nelle cattedrali ; che in generale ne tene-
vano scuola ; durando anche in ci il sa-
piente e felice impulso dato da Carlomagno.
Questo valentissimo uomo aveva condotti seco
da Roma in Francia non solo maestri di lettere,
ma eziandio cantori; e volle che i suoi Fran-
chi sostituissero il canto Romano all' Ambro-
siano, da essi fino a que' d seguitato. Famosa
fra tutte le scuole di canto ecclesiastico rest
quella di Metz ; della quale vedemmo un rap-
presentante, nel settembre del 1882, aggiungere
colla sua persona decoro alla festa centenaria,
che i cultori della musica convennero da tutta
Europa a celebrare in Arezzo ad onor del
monaco Guido. Questo inventore della scala
diatonica visse in et poco lontana da quella
di cui parliamo ; anzi possiamo dire nella me-
desima ; poich lo si dice nato verso l'anno
995 ; e la sua invenzione stessa, oltre alle opere
che lasci scritte, segno del fervore con cui,
specialmente ne' chiostri, si coltivava quella
bellissima arte. S. Brunone non lasci monu-
mento della sua perizia in essa ; ma l'essersene
conservata memoria , se non altro, un punto
da aggiungersi al valor del suo ingegno ed alla
gentilezza del suo animo.
S'ignora il nome de' maestri o professori,
alla cui scuola studi Brunone filosofia e teo-
ogia ; quella dal 1047 al 1049, questa ne' se-
guenti anni, fin verso il 1054 ; con felicissimo
esito, come dicemmo gi, e riportandone con
grande lode laurea e diploma di dottore. Nega
taluno che a que' d gi si conferissero lauree
e dessero diplomi ; ma se si pu ammettere che
ancora non fossero in uso le dottorali insegne
con quella solennit che poscia si us, non si
pu concedere per che la scuola di Parigi
(scuola diciamo, o studio, per non chiamarla
anzi tempo universit), ch'era delle pi fiorenti
di tutta la Francia, e d'Europa, licenziasse i
suoi studenti senz' alcuna di coteste accademi-
che onoranze. Imperocch Carlomagno stesso
ed Alcuino, fondatori di quella scuola, sebben
il
fossero quei personaggi gravi e scriiche mon-
do conosce, mostrarono nondimeno col proprio
esempio che tenevano anche un po' dell'acca-
demico. Il che chiaramente si vede, sol che si
dia un'occhiata alla loro epistolare corris-
pondenza.
Che se gi a' tempi di Carlomagno tanto si
trova, molto pi da credere che vi fosse uso
di gradi e onorificenze accademiche nel secolo
XI, quando lo studio di Parigi era cresciuto
d'importanza e celebrit. Infatti, un quaranf
anni dopo che S. Brunone aveva studiato a
quella scuola, v'insegnavano Guglielmo di
Champeaux e il famoso suo discepolo ed emolo
Pietro Abelardo, e vi compariscono con tutto il
corredo di veri professori. Di S. Giovanni di
i
Matha, nato nel 169 (cio 68 anni dopo la
morte di S. Brunone), dice il Breviario Ro-
mano che, mandato prima ad Aix poi a Pa-
rigi per gli studii, e compiutovi il corso di teo-
logia, vi ottenne la laurea di dottore, e risplen-
dette per dottrina e virt: confectoque theologi
curriculo, magisterii laureanl adeptus, doctrincv
et virtutum splendore enituit. Che poi vi fosse
un corso di alti studii, ce ne forniscono chia-
ra prova le opere di Lanfranco, di S. Ansel-
mo d'Aosta, e degli or mentovati Guglielmo e
Abelardo ; dalle quali si scorge che allora
nelle scuole si trattavano le pi ardue quistio-
ni della filosofia e della teologia. Ed noto an-
cora che a S. Anselmo d'Aosta, contemporaneo
di S. Brunone, ed a Pietro Lombardo, poste-
riore di a pena un secolo, si deve l'introduzione
del metodo scolastico nell'insegnamento. Onde
pare doversi intendere nel senso che comune-
mente suol darglisi, il titolo di dottore, che ac-
compagna il nome di Brunone ne' molti epitaf-
fi i ed elogi funebri, che di lui si scrissero alla sua
morte. Per es, sul sepolcro di lui, nella Certosa
di S. Maria del Bosco in Calabria, si pose :
Doctor eram, prceco Christi, vir notus in orbe.
Ne' sopradetti epitaffii, alla lode di grande
dottrina, va sempre congiunta quella di grande
virt : col che viene a dirsi che Brunone,
mentre coltivava molto felicemente gli studii,
coltivava anche meglio la scienza de' santi ; at-
tendendo a mettere in pratica quella perfe-
zione, che lo studio della scienza divina gli an-
dava di mano in mano scoprendo. Il quale suo
eccellente proposito giovava non solo a render-
lo grato a Dio ed esempio di cristiana virt,
ma ancora a sollevarlo sempre pi nella cogni-
zione delle sublimi verit ; essendo la purit del
cuore e dei costumi ottima disposizione all' ac-
quisto della pi alta e vera sapienza.
Ma qui pregio dell' opera da troppo gene-
rica affermazione venire al particolare ; e vedere
che modi e che costumi fossero quelli di Bru-
none da giovane studente. Il che faremo recando
un passo di una vita di lui, in cui l'autore, Cer-
tosino del secolo scorso, mostra d'aver raccolto
tradizioni e memorie antiche nell'Ordine. Bru-
none, ei dice, gi era maestro, bench ancora
discepolo; ma tale discepolo, che i maestri si
contendevano l'onore di averlo istruito. Si
parlava di lui con una specie d'entusiasmo ;
gli si davano a larga mano i pi grandi elogi ;
a segno che, senza un particolare ajuto del
cielo (che da lui, fedele nel corrispondere alle
grazie, si poteva giustamente aspettare, e non
gli manc), aveva molto da temere il sot-
tile veleno della vanit. Di vero, vedersi ap-
plaudito, ammirato universalmente, cos dai
condiscepoli come da' maestri, certamente
una fina tentazione : vincerla, e riferire all'
Autor d'ogni bene la gloria di quel che n'
in noi, virt rara, e che circonda di nuovo
splendore il sapere. Ebbe Brunone questa
virt in alto grado ; di guisa che non si
sapeva qual pi ammirare in lui, o la sua
umilt e modestia, o l'ingegno e la dottrina cos
superiori alla sua et.... Fra tanti scogli, a
quali la pi salda virt fa troppo spesso nau-
fragio, egli aveva serbata la sua; e vuoIsi no-
tare che le sue amabili doti rendevano per lui
pi pericolosa la seduzione. Ma egli, bench si
trovasse a vivere con una giovent sfrenata, e
ostile a chi non l'imita, aveva saputo far tacere
l'invidia. Senza tante parole, persuadeva coll'
esempio ; gli sregolati temevano la sua presen-
za ; ed anche coloro che non sentivano il corag-
gio d'imitarlo, ne desideravano, ne cercavano
la compagnia e l'amicizia, attratti da certa ama-
bilit che splendeva nel suo aspetto, nelle sue
parole e nelle sue maniere. L'accorto giovane,
amico con tutti, famigliare con nessuno, non
istringeva dimestichezza intima se non con
que' compagni che, come lui, si mostravano
solleciti de' loro doveri ; e specialmente del
massimo de' doveri, ch' quello di amare e ser-
vire Iddio.
In tal modo Brunone, che Dio aveva fatto
suo in maniera particolare fin da' pi teneri
anni, e l'aveva nutrito del latte della sapienza,
dandogli tutto ci che lo poteva rendere grato
a' suoi occhi e amabile agli uomini, ebbe la
bella sorte di nulla perdere di tanto tesoro. E
serbossi immacolato in quella medesima et
giovanile che, aggirata dalle passioni bollenti,
passa contaminata di vizi ed errori per tanti
e tanti ; specialmente tra coloro i quali, ad al-
tro non mirando che a mondani lucri ed ono-
ri, non si curano di ci che unicamente im-
porta, vale a dire d'indirizzare il cuore e la
vita al gran fine, per cui questa ci data

1 Vie de saint Bruno, par Du Creux.


COABITO LO IV.

BRUNONE TORNA A COLONIA ; DOV' ORDINATO


SACERDOTE E FATTO CANONICO.

A virt
DORNO adunque della doppia corona della
e della scienza torn Brunone a Co-
lonia verso l'anno io55, dell'et sua vintesimo-
quarto incirca. Chi pu dire l'allegrezza de' suoi
genitori e parenti nel riabbracciarlo tale, che
ne potevano andar gloriosi, come d'un orna-
mento alla loro veneranda vecchiezza e a tutta
la casa? Filius sapiens Icetificat patre111 ( Prov.
x.) Oh! benedetta dal cielo quest'allegrezza,
che il saggio figliuolo porta a suo padre, a sua
madre nel tornare tra le lor braccia Come !

l'autorit de' genitori consecrata da Dio, che


di loro si serve per dare vita a nuove crea-
ture che lo conoscano ed amino, cosgratissima
a lui torna la riverenza e l'affetto de'figliuoli
a' genitori medesimi e sebbene sia cosa tanto
:

giusta e naturale, nondimeno non manca di


premiarla, eziandio su questa terra, special-
mente nel tempo, cos importante, della scelta
dello stato; disponendo che loro tocchi una
buona, e talora splendida sorte. Tale per fer-
mo tocc a Brunone ; il quale, volendo, altres
di beni ed onori terreni avrebbe potuto go-
dere larghissimamente. Ma egli, che aveva da
giovinetto mostrato cos saggi propositi, nel
fior dell'et conferm il presagio che di lui
s'era fin d'allora formato; cio d'un'anima
eletta, che in verun altro cibo avrebbe trovato
sapore che nella vera sapienza. Insegnando
questa che la presente vita e i beni di questa
terra non hanno ragione di fine, ma di semplici
mezzi ad un'altra vita e ad altri beni pi de-
gni ; e bastando piccola riflessione ad inten-
dere che, se gran sapienza per l'uomo indi-
rizzare la vita all'acquisto de' beni eterni, di
pi sommo onore l'adoperarsi a che anche gli
altri v'indirizzino la loro, non maraviglia
che Brunone scegliesse l'ottima parte ; e, vol-
tando generosamente le spalle alle lusinghe
del mondo, si consecrasse a Dio nello stato
ecclesiastico. S'ignora se trovasse opposizione
ne' suoi parenti ; i quali senza dubbio, quando
avessero avuto vaghezza d'ampliare l'onore
e la fortuna della loro casa per mezzo di
questo figliuolo, se ne potevano promettere
grandi cose ma poich la storia qui tace,
:

da credere che dessero in quest'occasione pro-


va di quella piet, di che altrove li loda.
Era appunto di que" d, cio nel io55, entra-
to a reggere l'illustre chiesa di Colonia il
santo arcivescovo Annone ; quel medesimo
che, per essere di nobilissima stirpe e di gran-
de e provato senno e virt, dall'imperatrice
Agnese era stato dato per governatore e primo
ministro del giovane imperatore Enrico IV :
che felice lui se n'avesse ascoltati i saggi con-
!

sigli. Avrebbe risparmiato molti guai a s


stesso, all'Allemagna, all'Italia, alla Chiesa :
alla quale doveva, non ch'altro, l'imperiale
corona, conservatagli da Papa Vittore II. Uo-
mo pertanto abilissimo a discernere gli spiriti
ed a conoscere le persone, l'esimio prelato fu
molto lieto d'inaugurare, per cos dire, il suo
pastorale uffizio in Colonia coll'ascrivere al
suo clero s nobile giovane, di s buon nome
e di s belle speranze. N solo l'ascrisse al cle-
ro ; ma l'ordin sacerdote, e nominollo canonico
di S. Cuniberto; cio membro di quella colle-
giata medesima, alla cui scuola Brunone gi
era venuto da fanciulletto. Alcuni manifesta-
rono dubbii, ed anche negarono che S. Bru-
none sia stato rivestito della dignit sacerdota-
le ; e s'appoggiarono a questa ragione, che
quando il sant'uomo si ritir co' sei compa-
gni su i monti della Certosa di Grenoble, un
solo di questi, cio Ugone, v' detto che eser-
citava il sacerdotal ministero; ond' chiamato
il cappellano. Ma facilmente si scorge quanto
debole ragione sia questa attesoch quindi
:

ben si pu dedurre che a quel solo de' ferven-


ti romiti era affidato l'incarico delle funzioni
di chiesa, ma non ch'egli solo fosse insignito
del sacerdozio. Che Brunone il fosse, si ricava
da varii indizii. Innanzi tutto vuolsi osservare
che, a que' tempi, per essere ammessi alle
sacre ordinazioni, non bastava quel che ora
dicono titolo di patrimonio ecclesiastico (sem-
pre, ben inteso, dopo le convenienti prove di
vocazione), ma ci voleva di pi un uffizio da
subito esercitarsi dal novello sacerdote. Per-
ci troviamo aver S. Annone fatto Brunone
canonico di S. Cuniberto. Troviamo in secon-
do luogo che in questo tempo si diede con
zelo alla predicazione della parola di Dio. Se
il predicare, anche a' d nostri, non concesso
che a' sacerdoti, quanto pi allora che la dis-
ciplina ecclesiastica teneva tuttavia, in molte
cose, dell'antico rigore ; ed noto che ne'
primi secoli della Chiesa l'uffizio del predi-
care era di regola ordinaria riserbato a' ves-
covi. Negli scritti poi di Brunone medesimo
hassi un altro indizio della sua sacerdotale
dignit : imperocch nel suo Commentario
sull'Epistola I a' Corintii alle parole dell'
,
Apostolo : Il calice di benedizione che noi
benediciamo, non esso comunicazione del
sangue di Cristo ? scrive :
Il calice di bene-
dizione quello che Dio stesso benedice e con-
sacra; e che noi benediciamo col nostro ufficio;
poich Iddio ci fa per mezzo del sacerdote suo
ministro.
Altri ancora stima che Brunone non fosse
eletto canonico di S. Cuniberto se non quan-
do dovette ritirarsi da Reims, per le contrad-
dizioni che v'ebbe dall'arcivescovo Manasse,
e venisse innalzato alla dignit sacerdotale so-.
lo nel I084, quando recossi alla Certosa; ma,
tutto ben considerato, par pi probabile l'o-
pinione che abbia avuto l'uffizio di canonico
e la dignit sacerdotale nell'anno io55. E ce
ne persuadono altres varie altre memorie
della sua vita, che qui generalmente ce lo rap-
presentano zelante predicatore il che per ve-
:

rit era naturale in un uomo, che sempre, fin


da' pi teneri anni, aveva dato prove di cris-
tiana piet e veraci virt. Vedendo i gravi
disordini, che allora pur troppo regnavano tra
i cristiani, s'accese di zelo; e, come sacerdote,
non bastandogli di condannarli coll'esempio
della santa sua vita, prese a combatterli
coll'arma della divina parola. N v' difficolt
a scorgere in che modo ei maneggiasse questa
potentissima arma, che penetra fino a' pi inti-
mi segreti de' cuori : dopo quanto siam venuti
fin qui esponendo di lui, si pu dir franca-
mente che la maneggi da apostolo. P ree co
Christi, banditore, predicatore di Cristo il
vedemmo detto nel sopra mentovato verso
di un suo elogio ; e tale fu veramente.
Cristo egli cercava col suo predicare ; e all'
alto scopo corrispondeva il predicare mede-
simo, pieno della dottrina e dello spirito di
Ges Cristo. Ecco un piccolo saggio del suo
dire, tratto dalle sue opere : sono parole da
lui messe in bocca ad un misero dannato, che
con disperati accenti fa sentire l'inesprimibile
gravit della sua disgrazia d'aver perduto
Iddio. Deh mi si aggiungano pure nuovi tor-
!

menti a quelli che soffro ; mi si faccia lacerare


per tutta l'eternit da un milione di nuovi
carnefici, sol che non sia interamente privo
del mio Dio Le pi atroci fiamme mi sem-
!

breranno rose ; i furori de'demonii mi parran-


no carezze, le orribili grida di queste caverne
una grata armonia, deliziosi palazzi queste
spaventevoli carceri, se potr essere liberato
dalla pena di aver perduto Iddio !

Si pu quindi anche dedurre quali fosse-


ro gli ordinarii argomenti delle sue prediche ;
cio le solenni verit della Fede ; la morte,
il giudizio, il paradiso, l'inferno. E stiam per
dire che ad un predicatore come lui, quasi
non era possibile scegliere altri temi ; per la
gran ragione che, da vero apostolo, gli pre-
meva di scuotere efficacemente gli animi, per
allontanarli dalpeccato e dalle terribili sue con-
seguenze. Come la gravit de' disordini della
cristiana societ di que' tempi eccitava forte-
mente lo zelo del santo sacerdote, cos la lo-
ro ampiezza lo faceva moltiplicarsi nelle fati-
che del sacro ministero : onde si trova scritto
che predicava non solo in Colonia, ma in
molti altri paesi. Mullos faciebat sermones per
regiones, dice l'elogio che di lui compose la
Chiesa d'Angers. Nel che scorgesi un tratto di
vera somiglianza di Brunone con gli altri san-
ti ; de' quali comunemente si legge che, ap-
pena il poterono, si scagliarono contro dei
vizi, specialmente con l'arma della divina pa-
rola, e ritrassero innumerevoli anime dalle vie
di perdizione. La storia propriamente non
dice che tale fosse altres l'effetto del predicar
di Brunone ; tuttavia dalla santit della sua
vita e dalla grande attitudine che la dottrina,
l'ingegno, lo zelo gli davano, si pu arguire
che dovette esercitare questo gran ministero
con salutarissimo frutto: ma Iddio gi lo chia-
mava a servirlo in altre opere ed uffizi.
CoAT ITOLO V.

LA CHIESA E LA SCUOLA DE REIMS.

N ON senza particolar disegno aveva Iddio


disposto che Brunone da Colonia sua pa-
tria passasse a Reims per farvi i primi stu-
dii, e vi lasciasse molto onorata memoria di
s. E il disegno era che a suo tempo vi ritor-
nasse a rialzare l'onore di quella scuola della
cattedrale; a formarvi molti egregi discepoli; a
perfezionarsi nelle scienze sacre per essere poi
degno consigliere d'un santo pontefice; a par-
tecipare, coll'esempio e colla dottrina, alla
grande opera della riforma del clero e del ri-
acquisto della necessaria indipendenza e della
santa libert della Chiesa. Sta bene adunque
che di cotesta citt e della sua scuola diamo
una breve contezza. Reims, gi capitale della
Sciampagna, una delle pi antiche e pi
nobili citt della Francia. Fu delle prime a
ricevere la Fede di N. S. Ges Cristo ; e a poche
citt tocc giorno s bello come quel ch'essa
ebbe nel S. Natale dell'anno 496, in cui il
venerando suo vescovo S. Remigio, assistito
da parecchi altri vescovi e sacerdoti, so-
lennemente battezz e ricevette nella Chiesa di
Cristo il re Clodoveo e con esso la nazione dei
Franchi. Le vie che dalla citt menavano alla
chiesa di S. Martino, fuor delle mura, scelta
al gran rito, erano splendidamente parate,
coperte de' pi ricchi tappeti e di bianche cor-
tine; i cerei che a gran numero ardevano eran
composti di cera mista di aromi ; onde in un
colla fiamma spandevano gratissimo odore. Il
re, in abito bianco, alla testa di tremila dei
principali suoi baroni e guerrieri, pur catecu-
meni e bianco vestiti, si present, colla sua
famiglia, a' sacerdoti. S. Remigio l'accolse con
un discorso che, mentre esprimeva la gioia sua
e della Chiesa nel ricevere s valoroso re nel
suo seno, faceva pur sentire la sua spiritual
potest rispettabile ai re ; indi, sull'atto di
battezzarlo, Umiliatevi, o principe, gli disse,
sotto la mano di Dio onnipotente, signore dell'
universo; adorate ci che finora bruciaste (cio
la croce), e bruciate ci che finora adoraste
(cio i vostri falsi dei). Il re rinunzi pubblica-
mente alle pagane superstizioni, confess Dio
onnipotente in tre persone, Ges Cristo suo
Figliuolo nostro Redentore, colle altre verit
della Fede, e ricevette il battesimo, insieme
agli altri catecumeni; fra cui le sue sorelle Lan-
tilde e Albufleda. Questa, acciocch nulla
mancasse alla piena bellezza del faustissimo
avvenimento, consecravasi poco appresso a
Dio con voto di perpetua verginit.
Pari a quella di S. Remigio fu in quel d
l'allegrezza della santa regina Clotilde; per le
cui esortazioni aveva Clodoveo, nella battaglia
di Tolbiac, fatto voto di convertirsi a Cristo,
se riportava vittoria : n ci voleva meno d'un
uomo apostolico come S. Remigio, assecon-
dato da una regina come santa Clotilde, a pro-
durre nella feroce nazione de' Franchi que' sa-
lutari effetti di vera civilt, di cui il Vangelo
mirabilmente fecondo. Chi potr mai annove-
rare i meriti di quel santo Prelato, sopratutto
colla Chiesa di Reims, nel lungo corso del suo
episcopato, che dur ben settantacinque anni ?
Tra i suoi memorabili esempi bast qui ricor-
dare la sua figliai sommissione al Romano
Pontefice. Avendo Clodoveo avuto in dono
dall'imperatore Anastasio una corona d'oro,
egli lo consigli di mandarla a Roma, in osse-
quio a S. Pietro ed al successore di lui, S. Or-
misda. Il quale, santamente godendo della
conversione de' Franchi, che anche veniva
per molto opportuno conforto :in quel tempo
di gravi afflizioni della Chiesa, in segno dell'
alta sua approvazione cre S. Remigio suo
legato per tutte le Gallie. Quindi il vescovo di

Reims, con quel di Lione, conserva la dignit
di primate e il diritto di consecrare i re di
Francia.
.Crebbe per tante ragioni autorit alla Chiesa
di Reims ; specialmente mentre era governata
da tale uomo. A cui, non che i pi eminenti
uomini del suo tempo, il cielo stesso rendeva
testimonianza collo straordinario dono de' pro-
digi. Il grande S. Benedetto in fatti da Subiaco
ad esso indirizzava le persone che a lui ricor-
revano per ottenere grazie da Dio : e i vescovi
ancor pi lontani si recavano a fortuna di
tener seco amicizia. Tra questi si annovera S.
Massimo di Torino, celebre ancor esso per
santit di vita e dottrina, per eloquenza, per
meriti colla Chiesa Taurinense non minori di
quelli che S. Remigio ebbe colla Remense1.
Nel primo concilio d'Orleans, dell'anno 511,
un vescovo della setta superba di Ario, al com-
parir di Remigio, non degnossi pure di alzarsi :

ma per divino giudizio rest muto all'istante.


Umiliato dal pronto ed evidente castigo, con-
fess il suo fallo e i suoi errori; e prostratosi

1 Di quest'amicizia tra i due santi prelati danno un cenno


i Bollandisti, sotto il d 2 5 di Giugno ; e da ci credesi abbia
avuto principio la fraterna unione che sussiste tra il capitolo
metropolitano di Torino e quello di Reims; tanto intima che,
andando un canonico Torinese a Reims, e viceversa un ca-
nonico di quella Chiesa venendo a Torino, piglia posto cano-
nicale in coro, e percepisce le consuete distribuzioni. Se-
meria, Storia della Chiesa Metropolitana di Torino.
a' pie' di Remigio, mostr pentimento di quello,
e questi abjur. Remigio allora, con non meno
pronto ed evidente prodigio, gli restitu la fa-
vella.
Dicemmo che i meriti di S. Remigio furono
grandi, sopratutto colla Chiesa di Reims: pe-
rocch, quanto a' Franchi in generale non si
manifest se non assai pi tardi il salutare
effetto dell'influenza del Cristianesimo si am-
:

mansirono essi a poco a poco, e i loro costumi


s'ingentilirono sopratutto quando la Fede par-
l potentemente a' loro occhi colla maest del-
le splendide cattedrali, come quella di Reims,
ed al loro intelletto per mezzo delle scuole che
i vescovi aprivano a lato delle cattedrali, e i
monaci ne' lor monasteri. E probabilissimo che
S. Remigio aprisse una scuola in Reims; man-
tenuta pi o meno in fiore da altri santi e
benemeriti vescovi suoi successori. E certo
che vi fu rinnovata, o fondata, fin dal secolo
IX, al tempo di quelle di Parigi, Orleans, Au-
xerre, Lione, Magonza, Liegi: perocch leggesi
in Flodoardo nel Mabillon, che S. Fulcone,
--e

arcivescovo di Reims, verso il finire del se-


colo IX appunto, sollecito del culto di Dio e
dell'ordine ecclesiastico, e mosso altres da
fervido amore della sapienza, restaur le due
quasi rovinate scuole di Reims; cio quella dei
canonici della citt, e l'altra de' chierici di cam-
pagna ( callolliCOrUr71 scilicet loci,
atque mira-
lizon clericorLnn, pene dilapsas). E chiamato
Remigio maestro d'Auxerre, fece esercitare i
giovani chierici negli studii delle arti liberali ;
ed egli stesso insieme con loro attese alla lettu-
ra edalla meditazione della sapienza. Chiam
inoltre Ucboldo, monaco di S. Amando, uomo
altres nobilmente erudito nelle filosofiche di-
scipline; e con preclare dottrine illustr la
Chiesa Remense. Un editto di Lotario, dell'
833, istituisce nuove scuole per l'Italia, nelle
citt di Torino, Ivrea, Pavia, Cremona, Fi-
renze, Fermo, Verona, Vicenza, Cividal del
Friuli.
Degno di venir mentovato si un capitolare di
Carlo Magno, del 789, in cui si ordina al clero
di aprire scuola per i fanciulli, e chiamarvi
non solo i figli de' servi, ma anche quelli dei
liberi. Ogni monastero, ogni vescovado avr
de' salteri, libri di canto, di calcolo, di gram-
matica, e corette copie della S. Scrittura :

imperocch gli uomini, vi si dice, coll'inten-


zione di pregar bene Iddio, sovente lo pre-
gano male, per i libri scorretti che hanno in
mano. E non lasciate che i fanciulli alterino i
testi, leggendo o scrivendo; ma, s' necessario
di fare scrivere un saltero od un messale, vi
si impieghino uomini fatti ; e questi vi pongano
tutta l'attenzione. La Chiesa di Francia asse-
cond tali stimoli; il concilio di Chlons, dell'
813, ricordando gli ordini del signor impera-
tore, decreta che i vescovi fonderanno scuole,
nelle quali vi sia ad un tempo l'insegnamento
delle lettere e l'interpretazione della S. Scrit-
tura. Questi regolamenti, sovente disobbediti,
sempre prescritti, restaurarono le scuole ch'e-
rano scadute, ne suscitarono altre, e ne for-
marono come una rete di raggi luminosi; che,
prima della fine del secolo IX, copriva la
Francia, la Lombardia, la Germania fino alle
sponde del Weser. Mentre le cattedre dei
monasteri e delle cattedrali radunavano la gio-
vent letterata e l'iniziavano alle sette arti, i
canoni avevano fondato l'insegnamento pri-
mario; e fondatolo universale e gratuito; esi-
gendo che il prete di ciascuna parrocchia inse-
gnasse a legere ai fanciulli, senza distinzione
di nascita, e senz'altra ricompensa che la pro-
messa da Dio nella S. Scrittura; l dove dice
che coloro che hanno la scienza, risplenderanno
come la luce del firmamento; e quelli che a
molti insegnano la giustizia, saran come stelle in
sempiterno. (Dan. XII.) Quando adunque, sog-
giunge il Concilio, ammaestrano i fanciulli,
non esigano per ci da essi alcuna mercede : CU111
ergo eos docent, nihil ab eis pretti pro hac re
exigant. Sono le scuole fatte con tale spirito
che ingentiliscono i costumi.
La scuola della cattedrale di Reims pro-
sper cos che divenne emola di quella di Pa-
rigi stessa, specialmente per opera di Gerberto,
per la sua molta dottrina fatto prima abbate di
Bobbio, indi arcivescovo di Ravenna, e final-
mente Papa, nel 999, col nome di Silvestro
II. Essendosi recentemente scoperto un im-
portante documento, cio le storie del monaco
Richerio, che vi d particolareggiate notizie
del suo maestro Gerberto, giover ricavarne
quanto occorre a mettere in qualche luce l'in-
segnamento della scuola di Reims, retta da
questo personaggio non molto avanti che v'an-
dasse Brunone. Nacque Gerberto in povero
stato nell'Auvergne, nella prima met del se-
colo X. Era giovane monaco nel monastero
di Aurillac, quando col conte di Barcellona,
Borrel, venuto in pellegrinaggio, ne part per
la Spagna, all'uopo d'istruirsi nelle scienze e
nelle arti. Affidato dal conte ad Attone, vescovo
di Vich in Catalogna, ne venne a fondo is-
truito nelle matematiche. Notasi che quindi
risultano due cose importanti : la prima, che
Gerberto non fu discepolo degli Arabi, della
Spagna, come venne falsamente supposto da
taluni : la seconda, che nella Spagna esistevano
scuole cristiane, in cui s'insegnavano le mede-
sime scienze che presso i Mussulmani di quel
paese. La Catalogna aveva potuto conservarle
meglio che altrove, per essere meno esposta
alle scorrerie de' Normanni; ed anche meglio
coltivarle, appunto per la vicinanza degli Arabi.
Gerberto nulla trascur per istruirsi : fre-
quentava la compagnia de' dotti, specialmente
di Guarino, abbate di S. Michele di Cusan,
celebre per la sua scienza e piet, e che teneva
abili artieri nel suo monastero. Il vescovo
Attone ed il conte Borrel, recandosi in pelle-
grinaggio a Roma, menarono seco Gerberto.
Il papa Giovanni XIII, conosciutone le belle
doti e il desiderio grande di imparare, fe' sa-
pere all'imperatore Ottone I essergli giunto
un uomo versatissimo nelle matematiche, ca-
pace d'istruirne i suoi ; e, a preghiera del re, e
col consenso del vescovo Attone e del conte
Borrel, glielo mand. Interrogato dal re, che
cosa sapesse ? rispose ch'era mediocremente
versato nelle matematiche, e desiderava gran-
demente d'aggiungervi lo studio della logica.
Accadde che alla corte di Ottone venne, per
ambasciatore del re Lotario, di Francia, Ge-
rardo, arcidiacono di Reims, famoso allora
per la sua perizia nella logica : di che molto
lieto Gerberto, preg ed ottenne di seguirlo a
Reims. Quivi fece in breve tempo tali pro-
gressi in quello studio e si mostr nel res-
to di s lodevoli parti, che l'arcivescovo Adal-
berone prese a favorirlo, e l'incaric d'am-
maestrare nelle arti liberali una turba di dis-
cepoli.
Queste ultime parole indicano che a Reims
c'era una scuola molto frequentata; la quale,
retta da Gerberto, acquist non piccola cele-
brit; non che nelle Gallie e in Germania, ma
anche in Italia. Cominci, dice Richerio, dalla
dialettica di Aristotile, ossia l'arte di discutere
scientificamente, scorrendola spesso secondo
l'ordine de' libri, e rischiarando le varie pro-
posizioni. Spieg principalmente l'Introduzione
di Porfirio, nella traduzione che ne diedero il
retore Vittore e il console Manlio : indi le ca-
tegorie di Aristotile. Mostr l'utilit del libro
dell'Interpretazione di questo filosofo; e ne
svilupp la topica ossia le fonti degli argomenti,
tradotta in latino da Cicerone e contentata
in sei libri da Manlio. Spieg inoltre i quattro
libri delle Differenze topiche, due de'sillogismi
categorici, un libro di Definizioni, ed uno di
Divisioni. Stando al principio che, senza la co-
gnizione delle maniere di parlare, che bisogna
imparar ne' poeti, non si pu giungere all'arte
oratoria, per guidarvi i suoi discepoli, lesse e
spieg Virgilio, Stazio e Terenzio; poscia i
satirici Orazio, Giovenale, Persio, e finalmente
il poeta storico Lucano. Allora li ammise alla
retorica ; e quando ne furono bastevolmente
istruiti, li pose alle prese col sofista, per eser-
citarli alle dispute; e mostrar loro, notisi bene,
a procedere con tale arte, che l'arte stessa non
apparisse : nel che dicesi stare la perfezione
dell'arte. In verit, sembra ch il metodo di
Gerberto, professore d'una scuola vescovile
in pien Medio-Evo, non abbia punto di che
invidiare alle scuole di certi professori mo-
derni, sprezzatori di quell'et.
Or veniamo alle matematiche. Quanto a
queste, continua lo storico Richerio, non sa-
rebbe fuor di proposito dire quanto siasi in
esse adoperato. Imperocch egli rese facile ed
elementare l'aritmetica, che n' la base : quin-
di rese popolare la scienza musicale, lunga-
mente ignota nelle Gallie. Egli ne dispose i
generi in un monocordo, dividendo le lor con-
sonanze o sinfonie in toni, semitoni, ditoni e
i
diesi, e partendo razionalmente toni in suoni :
cos diede una compiuta nozione de' generi
diversi.
In geometria, parla Richerio d'una tavola
numerale a ventisette caselle, in cui le nove
cifre rappresentavano tutti i numeri, e produ-
cevano all'infinito tutte le moltiplicazioni e di-
visioni; e manda il lettore al libro, che Ger-
berto scrisse di ci, indirizzandolo al gramma-
tico Costantino. Opere ancora maggiori lasci
Gerberto in astronomia; perocch passava le
notti osservando le stelle, e prendeva cura che
venissero segnate al loro levare e tramontare,
colla loro obliqua posizione nelle varie parti
del mondo. E quel ch' pi, di questa cos alta
e difficile scienza non pure scrisse trattati, ma
la rese, a cos dire, sensibile anche agl'imperiti
con macchine ingegnose; perocch peritissimo
era in fabricare strumenti di astronomia e di
musica. Del che, oltre la memoria lasciatane
da' suoi contemporanei, sono buoni testimoni
i suoi trattati medesimi intorno al modo di co-
struire un astrolabio, un quadrante o quarto
del circolo, una sfera. Cresce la maraviglia al
considerare che Gerberto, oltre ai trattati che
lasci di aritmetica, geometria, astronomia,
retorica e dialettica, era non meno versato in
filosofia e teologia ; perocch a que' d era or-
dinariamente un solo il maestro o professore,
che chiamavano anche scolastico ; e guidava
i discepoli da' pi bassi fino a' pi alti gradi
della scienza. Del che non accade stupire ;
poich ancor nel secolo XVI si vede l'univer-
sit di Edimburgo fondata con un solo maes-
I
tro o reggente di essa (anno 583); e solo
pi tardi vi furono aggiunti quattro altri reg-
genti, o professori. Che tale fosse l'insegna-
mento di Gerberto n'abbiamo indizio, se
non dalle sue opere1, da certi fatti della sua

A V. Hist. litt. Frane.


vita. L'anno sequente, 970, dice un moderno
storicot, l'arcivescovo Adalberone di Reims,
mentre recavasi a Roma con Gerberto, in-
contr l'imperatore con Otrico a Pavia; che
gli fe' magnifica accoglienza, e lo condusse in
sua compagnia a Ravenna. L, nel palazzo
imperiale, per suo ordine si radunarono tutti i
dotti del paese, desiderosi d'assistere alla lotta
tra il primo scienziato di Francia e il primo
scienzato di Allemagna. Imperocch da
sapere che Otrico, udendo il gran parlare
che si faceva di Gerberto, aveva mandato
dalla Sassonia sua patria, a vedere se egli
era veramente filosofo, dappoich preten-"
deva di sapere le cose umane e divine : ma
l'inviato non fe' giusta relazione ; onde Otrico
aveva conchiuso che, non facendo Gerberto
una giusta divisione delle scienze, nulla ca-
piva di filosofia; e n'avea data poco favorevole
informazione all'imperatore. Il quale, come
vago di tali cose, maravigliandosi di ci e de-
siderando di chiarirsene, n'aspettava qualche
occasione; che finalmente gli si present nel
sopradetto incontro a Ravenna. L'imperatore
stesso presiedeva la conferenza. Era suo de-
siderio che si prendesse Gerberto alla sprov-

A Rohrbacher, Hist. zwiv. della Chies. cat. 1. 61. Il Tirabo-


schi scrive che quell'imperatore fu, non Ottone I, ma Otto-
ne II; onde il fatto dovette accadere qualche anno appresso.
vista, e che Otrico intavolasse molte quistioni
senza risolverne alcuna, acciocch la discus-
sione fosse pi viva. Apertasi questa dal pre-
sidente con una breve parlata, in cui disse
che la principale difficolt stava nella divisione
della filosofia, Otrico espose cotal divisione,
prima a voce, e, poi, scrittala, la fe' passare a
Gerberto. Il quale ne approv una parte come
sua, e l'altra, come non sua, rigett. Allora si
quistion intorno alle correzioni da farsi ; e la
disputa fu lunga. Gerberto appoggiavasi a Pla-
tone, Porfirio, Boezio, ch'era il suo autor
prediletto ; Otrico moltiplicava le obbiezioni
s che la conferenza dur quasi tutto il gior-
no; e Gerberto parlava ancora quando l'impe-
ratore, vedendo gli uditori stanchi, vi pose fine.
Ma l'onor della giornata rest a Gerberto; che
con magnifici doni dell'imperatore, e con au-
mento di onore e di fama tornossene in Fran-
cia. Queste, esclama qui un valente cultore
degli studii storici, rapito test da morte, Queste
sono inudite rivelazioni intorno a' lavori lette-
rarii di quel tempo ; ma quanti altri consimili
saranno periti Notisi inoltre che era assai
!

difficile nel secolo X trovare un punto del


mondo cristiano, ove si potesse godere di
qualche sicurezza. Tutte le citt poste sul mare
o su i grandi fiumi, erano state distrutte o de-
vastate dalle scorrerie de' Normanni; e dove
non erano giunti.i pirati, le discordie civili, la
lotta de' tirannelli che dividevan tra loro l'im-
pero di Carlo Magno, mantenevano perpetua
inquietudine e calamit. Una sola diocesi
forse, ed era quella di Reims, situata lungi dai
grandi fiumi ed a notevole distanza dal mare,
governata da valenti uomini, pot acquistare
alcuni istanti di pace; e tosto si vedono in
quella oasi istituite scuole, e lo spirito cristiano
produrre i naturali suoi frutti'.
Stimiamo utili queste notizie intorno a Ger-
berto, prima per far conoscere la scuola in cui,
poco tempo dopo di lui, insegn Brunone,con *

non minor grido, e con frutto di viepi illustri


discepoli ; e poi per notare che, se vi fu somi-
glianza di casi tra l'uno e l'altro, ben diversa
fu per la maniera di governarsi. Anche a Ger-
berto tocc, per contrasti, lasciare la scuola e
la citt di Reims ; ma accett di occupare quella
sede arcivescovile, da cui era stato indebita-
mente deposto Arnolfo ; e costretto a scenderne
gi alla sua volta, non ricus i favori del suo
imperial protettore Ottone III, gi suo disce-
polo ; per i quali favori ebbe la sede di Ra-
venna, e quindi la tiara'2 laddove Brunone
:

Lenormant, Queslions historiques, Paris, i ^45. V. Rohr-


bacher. Sto uni)'. della Chiesa catt. lib. 61.
- Poich parliamo di Silvestro II, che fu il primo Papa
francese, possiam notare che, a sua istanza, l'imperatore
nell'opporsi ad un indegno arcivescovo mostr
chiaramente di essere mosso da puro e santo
amor del bene delle anime, delronor della
Chiesa, della gloria di Dio: talch non solo
non assecond la disposizione de' cittadini di
Reims ad innalzarlo a quella sede, ma oppose
inesorabil rifiuto delle dignit offertegli spon-
taneamente da un santo pontefice, che gli pro-
fessava gratitudine e riverenza ; e con mirabil
costanza alle terrene onoranze, delizie e gran-
dezze prefer i silenzi del deserto, i rigori della
pi austera penitenza, l'ulnilt della croce.

Ottone III don alla Chiesa di Vercelli la temporal signoria,


con ogni pubblica potest, della citt stessa e del borgo di S.
Agata (Santhi); ordinando a chi che sia di guardarsi bene
dal turbare il detto possesso al vescovo, sotto pena di mille
libbre d'oro di multa. La donazione ebbe luogo in Roma,
add 7 Maggio dell'anno 999; ed la prima in cui trovisi
conferita, in s chiari termini, la pubblica potest ad una
chiesa particolare. V. Rohrbacher. loc. cit. lib. 62.
CQATITOLO VI.

S. BRUNONE CHIAMATO E VA AD INSEGNARE, E A


REGGERE LA SCUOLA DI REIMS.

u NA continua esperienza dimostra che il fio-


rir d'una scuola dipende in gran parte
dal valore di chi insegna, e dalla bont della
dottrina insegnata : per il che l'autorit so-
printendente alla scuola, con giusto e naturale
proposito, s'adopra di affidarla a maestri eccel-
lenti per valore e dottrina, e li cerca e li invita
ancor da lontani paesi. Del che sopratutto si
mostrano solleciti i zelanti pastori della Chiesa ;
i quali si recano a grande fortuna di poter dare
alla lor diocesi qualche ecclesiastico insigne
per virt e scienza; sapendo che n'avranno
grande servigio di salutari ammaestramenti
ed esempi al clero ed al popolo. Cos fece,
nella seconda met del secolo IX, S. Fulcone;
e cos fece ancora, circa due secoli appresso,
un altro de' suoi successori in quella sede di
Reims, cio Gervasio di Chteau-du-Loir. La
i
condizione di cose, in cui trovaronsi due pre-
lati, fu, se non eguale, almen simile : impe-
rocch S. Fulcone restaur le scuole della cat-
tedrale quasi rovinate, chiamandovi Remigio
d'Auxerre e Ucboldo, monaco di S. Amando;
Gervasio, secondoch vedemmo gi affermato
dallo storico1, per giovare in ogni modo so-
pratutto alle lettere, stabil di rialzare il credito
delle scuole Remensi, per vecchiezza decadute,
chiamandovi Brunone coloniese.
Erano dunque le scuole di Reims decadute
si
per vecchiezza; il che vuoI notare per rispetto
di chi le reggeva, quando vi fu chiamato Bru-
none. Reggevale Ermanno ; n di lui altra
notizia trovammo se non che lasci la scuola
e le sue dignit per ritirarsi in un chiostro.
Pu essere che il motivo di questa sua risolu-
zione non altro fosse che santo proposito di vita
pi perfetta, per meglio apparecchiarsi alla
morte; e pu essere che venisse da dispiacere
di vedere i discepoli non corrispondere ai suoi
desiderii ed alle sue cure ; come pu essere an-
cora che il decader della scuola procedesse
dal decader del maestro per et gi avanzata.
Checch sia di ci, fatto sta che l'arcivescovo
Gervasio, per infondere spirito e vita alle sue
scuole, invit Brunone ad assumerne l'inse-
gnamento e la direzione, e che questi ci venne
verso l'anno io5g.
1 Marlot, Remensis metropolis historia.
Si meraviglier per avventura taluno che
l'arcivescovo di Colonia si privasse di tal mem-
bro del suo clero, per darlo ad un'altra diocesi;
la quale anche si trovava, e trovasi, in altro
stato. Ma vuolsi considerare che arcivescovo
di Colonia era Annone, che la Chiesa venera
sugli altari1 ; e basta dir santo per intendere
che, per desiderio di maggior bene, avr con
carit magnanima conceduto al suo confratello
di Reims ci che questo chiedevagli a maggior
gloria di Dio, onor della Chiesa, bene del cle-
ro ; il quale in quei tempi, pi che in altri mai,
aveva sommo bisogno di educatori veramente
esemplari per sapienza e piet. C'era, per
vero dire, anche a Colonia una scuola; quella
della collegiata di S. Cuniberto; ma meno
importante di quella di Reims; e forse era a
sufficienza provveduta di buoni maestri. D'al-
tra parte vuolsi anche notare che S. Annone
appunto in quegli anni era, a cos dire, assorto
in cure ed opere di grandissima importanza
per tutto l'impero, essendo stato, come gi
accennammo, dall'imperatrice Agnese chia-
mato per aio del giovanetto imperatore En-
rico IV, e per primo ministro.
Or quale infine si fosse la ragione per cui
l'arcivescovo di Reims ottenne Brunone, certo

V. Martirologio Romano, 4 dicembre.


che molto lietamente l'accolse ; e che per
assicurarsene, come dire, il possesso, lo cre
canonico della cattedrale. Ebbe poi anche Bru-
none, secondo che appare da varii indizii, la
carica di cancelliere; ma alquanto pi tardi.
Questo favore di quel sollecito vescovo era per
altro molto ben collocato; e il lettore gi co-
nosce che Brunone n'era degnissimo : ma egli
se lo merit ancora colla propria opera, piena-
mente corrispondendo, anzi superando l'espet-
tazione del prelato cos per l'eccellenza dell'in-
segnamento,come per la santit della vita. Il che
acquista anche maggior pregio dal considerare
che Brunone era allora sul fior dell'et, gio-
vane di circa ventotto anni. E quanto al suo
insegnamento, per rispetto alla materia, tro-
viamo che da prima fu quel delle lettere. Infatti
il mentovato storico della metropoli Remense
dice chiaramente che l'arcivescovo Gervasio,
volendo rimettere in buona fama le sue scuole,
chiam Brunone per giovare in ogni modo
sopratutto alle lettere; e altrettanto ricavasi da
alcune parole di un elogio funebre, che altri
male interpret. E l'elogio, o titolo, funebre
(gi citato, e ancor da citarsi), che di Brunone
fece la Chiesa di Angers, alla sua morte ; e nel
quale, con lodi amplissime, fra l'altre cose si
dice che da prima insegn l'errore, ma poi
mostr la via di miglior dottrina, che conduce
alla beatitudine eterna : ma la mondana sa-
pienza non d che vanit : essa fa vanitosi e
ambiziosi; laddove quella, cio la dottrina che
Brunone poscia insegn, fa beati. Dux prius
erroris, monstravit iter melioris. Postea doc-
trina-, quce gaudia dat sine fine. Sed nil mun-
dana sapientia dat nisi vana. Hcec facit elatos
pompa, facit illa beatos. (Tit. 166, S. Mauricii
sedis Andegavensis).
Vi fu, come accennammo, chi interpret
male queste parole; cio coloro i quali tengono
che Brunone sia stato discepolo di Berengario ;
e che quindi n'abbia adottati gli errori; ma fa-
cilmente si prova che tale interpretazione in-
teramente falsa. Imperocch stando al signifi-
cato delle parole : Dux prius erroris secondo
la detta falsa interpretazione, esse porterebbero
che Brunone non solo ader agli errori di Be-
rengario, ma che li insegn : il che finora da
niuno fu detto n ammesso. Anzi, nel medesi-
mo elogio funebre si afferma il contrario, dicen-
dovisi che la sua esimia sapienza, dottrina, era
dapertutto celebrata : Ejus et eximia celebra-
lur ubique sophia. Che vuolsi dunque intendere
per quelle parole, Dux prius erroris ? Niente
altro se non che Brunone da prima spieg e
coment i classici pagani, nel modo stesso che
tenne Gerberto, secondoch vedemmo detto
dal suo discepolo Richerio. Vi sarebbe qui,
a dirla in poche parole, un anticipato spruzzo
della famosa quistione de' classici sscitata
a' tempi nostri ; de' quali classici l'autor del fu-
nebre elogio si mostra avversario, quanto al
porli nelle mani de' giovani ; perch, dice, in
essi non s'impara che mondana sapienza, la
quale non d altro che vanit. Che tal sia il
senso delle sopra scritte parole, lo concedono
anche i Bollandisti ; sebbene opinino che Bru-
none fu veramente in Tours alla scuola di Be-
rengario, senza per prenderne gli errori.
E nel medesimo funebre elogio, evidente-
mente composto da poco esperto e poco ele-
gante facitore di versi, havvi un'altra parola
pur da prendersi in largo senso ; o piuttosto
nel senso buono, in cui la us anche S. Paolo,
quando, nel difendersi dinanzi al re Agrippa
(Act. Ap. xxvi), disse che da prima, secondo
la pi sicura setta dell' ebraica religione, era
vissuto Fariseo. Ma giover arrecar i versi
di cotesto funebre elogio ; perocch, in un
coll' alta opinione che i contemporanei ebbero
della sapienza del santo fondatore della Certo-
sa, vi si vede chiaro l'ordine dell' insegnamen-
to da esso tenuto a Reims. Comincia dunque
l'autore, dopo alcune altre cose che soggiunge,
dal notare in Brunone la gran dottrina, per la
quale vinceva gli altri dottori, e colla quale reg-
geva gli alti studii di Reims. Hic prcellebat
doctoribus, hic faciebat SUl711JlOS doctores, non
-
instituendo lniJlores Doctor dociorum fuit, non
clericulorlon. Imperocch non qualunque per-
sona, ma solo quelle di grande intelletto, pote-
van capire il suo eletto e grave favellare l'tanI
:

nec honestates verborum, nec gravitates slonpsit


BrUllOllis, nisivir magna? rationis. E nondimeno
la sua prudenza nel reggere la scuola era ancor
pi grande della sua acutezza di mente :
Rectio prudentis superobat acunzina mentis.
Or bene, dopo essere stato (secondo la divina
disposizione) bastevol tempo professore di
quell'alta scuola : Ut dOCllJ7ZC1ltOrzol1 doctor satis
extitithorum ; volle fondare un'istituzione ancor
pi perfetta, cio la Certosa His plus perfe-
:

cta1JI voluitprceponere sectam : ch tal fu la setta


piti perfetta da lui anteposta all' alta scuola di
Reims ; vale a dire l'Ordine Certosino, dedica-
to allo studio della perfezione pi alta. Torna
quindi l'autor dell'elogio alla scuola di Bru-
none ; e dice che il suo insegnamento filosofico
e teologico fu di tale importanza anche per lui,
che le cose dei classici gli parvero una frivo-
lezza, da porre da lato. -:\Tiiiitiat egregialll divi-
na docendo sophial1I : Prnaque destruxit, et
tallqual1I frivola duxit. Cos : se prima, spie-
gando i classici, insegn i loro errori (sebbene
da credere certamente che li correggesse, e
cristianeggiasse, come dicono, l'insegnamento),
poscia insegn una dottrina molto migliore,
che mena a' gaudii sempiterni perocch la
:

mondana sapienza, de' classici pagani, non d


se non vanit fa i discepoli vanitosi e ambi-
:

ziosi ; laddove quell'altra dottrina li rende


beati. Nell'uno e nell'altro insegnamento e' fu
per maestro di tale e tanta eccellenza, che nelle
lettere fu lodato pi di Virgilio Plus qualll
:

Maronis laudatur lingua Brunonis : e in filoso-


fia la sua gloria eccliss quella di Platone me-
desimo Gloria Platonis vilescit laude Bru-
:

nonis.
Sono lodi esagerate, senza dubbio: ma che col-
la loro stessa esagerazione mostrano l'alto con-
cetto che Brunone aveva destato di s ne' suoi
contemporanei. Apparisce dunque da' predetti
versi che Brunone in Reims fu da prima profes-
sore di lettere, e poscia di filosofia e teologia. E
ci siamo di preferenza fermati in que' versi per
due ragioni ; prima per risolvere ogni dubbio,
che da alcune parole di essi in altri venir po-
tesse intorno alla purit della fede e della dot-
trina di Brunone, stata sempre incorrotta ; e
poi perch v' un accenno non solo di ci che
insegn, ma ancora del sistema, come dicono,
da lui seguito. Della qual cosa, al certo degnis-
sima di notarsi in un capo di scuola, non
trovammo fatta parola da niuno dei molti au-
tori che abbiamo letti per questa vita del santo
fondatore della Certosa. E per verit sono cos
scarse le notizie che di ci avere si possono
(massimamente perch non possediamo tutte
le opere che Brunone compose), da poter facil-
mente intendersi come questo sia stato un
punto pretermesso. E noi medesimi in sostan-
za non altro faremo che dir congetturando
quel che ne pare pi ragionato. Ma prima da
chiarire un altro punto : cio il modo e l'or-
dine di tempo che Brunone tenne nel suo in-
segnamento. Vogliamo dire, fu egli chiamato a
succedere immediatamente ad Ermanno per
ogni parte dell' insegnamento, oppure gli fu da
principio affidato il solo insegnamento delle
lettere, riserbandogli per etpi matura la filo-
sofia e la teologia? Se cos fu, l'arcivescovo
Gervasio avrebbe, con sapiente consiglio, tenu-
to il modo che vediam praticato altres a' tem-
pi nostri, da non pochi religiosi ; i quali, prima
di affidare a' giovani loro soggetti il gravissimo
uffizio d'insegnare le cose da dire, li chiamano
ad insegnar l'arte del dire ; acciocch, inse-
gnandola ad altri, vi si perfezionino essi me-
desimi, e mostrino a questa prova se sono de-
gni di passare a pi alto insegnamento. Di
ci havvi un indizio in certo documento che
vedremo nel seguente capitolo.
CcAPITOLO VII.

INSEGNAMENTO DI BRUNONE.

p que' tempidiordinariamente
ARLANDO Gerberto, notammo che a
era un solo il
professore, detto latinamente scolastico o sco-
larca ; il quale reggeva tutta la scuola e conduce-
va gli allievi pe' varii gradi dell'insegnamento :
ed anche dicemmo, secondo quel che comune-
mente si crede dagli scrittori della vita di Bru-
none, ch'esso, per la rinunzia d'Ermanno, gli
succedette nel reggere la scuola di Reims.
Se non che, da alcuni versi di Baldrico ab-
bate di Bourgueil, indi arcivescovo di Dole,
ricavasi, o almen pare che possa ricavarsi che
Ermanno non dovette subito abbandonare
quella scuola, ma starvi in compagnia di Bru-
none, insegnando filosofia e teologia ; mentre
quegli insegnava lettere. I versi sono in lode di
Godefrido, successore di Brunone nella scuola
di Reims, quando dovette lasciare questa citt
per ingiusto volere dell'arcivescovo Manasse,
come vedremo fra breve. Dopo aver notato
che Godefrido era cittadino di Reims, sorella di
Roma, anzi Roma seconda ; e che, educato ed
istruito in essa, era stato preposto alla direzione
di quella scuola ; la quale allora grandemente
fioriva, e a udirlo correvano sciami di disce-
poli Ad te currebant examina discljntlOrl/171 ;
:

dice che in quel tempo in Reims c'era anche


Brunone, e insegnava lettere latine : Et lune
Rhemis erat, Rhen1S quoqlte Bruno studebat :
Bruno, latinorum tunc studii speculum, Talu-
no interpret quello studebat, per attendere
allo studio come discepolo; ma pi giusta-
mente altri lo spiega, per reggere lo studio
delle lettere come maestro infatti di un gio-
:

vanetto, ancorch eccellente, non si direbbe


ch' era specchio dello studio degli autori latini.
Questa spiegazione acquista anche pi auto-
rit da quel che subito appresso dicesi di Er-
manno ; cio che nel medesimo tempo nello
studio di Reims c'era Ermanno il seniore ; ed
era una chiara lucerna al mondo di quello stu-
dio : Ipsis temporibus studuitque se1Zex Heri-
iialiiius : Et mundo studii clara lucerna
fuit. Sembra pertanto che possa stabilirsi aver
Brunone in Reims insegnato prima lettere, os-
sia grammatica e poesia, come in varii luoghi
trovasi scritto, e poi filosofia e teologia. Ma ab-
bia tenuto tale ordine di tempi nel suo insegna-
mento, oppure abbia da solo condotti i discepoli
per tutti i gradi dell'istruzione che allora si da-
va, certo che fu professore cos di lettere come
di filosofia e teologia, secondoch consta an-
cora da pi altri titoli funebri. E specialmente
dal 156", della Chiesa di S. Maria di Costanza;
nel quale detto maestro di molti grammatici :
Bruno n'lUltOrll111 prceceptor grammaticorum ;
dal 126, nel quale si dice che la sua musa fu
come fiore del prato, che breve tempo pompeg-
gia sotto i raggi del sole, mentre or componeva
versi, or ammaestrava nella scuola ; or dava
ai Remensi latte di poetici componimenti, or
li cibava di sani precetti. Flosfuit in fceno, Jli-
gliti sub sole sereno,Dum tua cantaret, studio
dum musa vacaret ; DU111 modo lactaret
Rhemos, modo pane ci*bai@et. Nel titolo 32, si
esalta la sua scienza filosofica, chiamandolo
fonte e primo maestro di essa Fons hic et ori-
:

go sophix: : nel 1070, oltre che chiarissimo filo-


sofo, lo si dice dotto salmista Doctus psal-
:

mista, clarissimus atquephilosophus : onde ap-


pare che insegnava anche il canto ecclesias-
tico, perito, com'era, secondoch dicemmo,
di musica. Nel 13Io, di nuovo si esalta la sua
scienza, fino a dirlo il fiore e il primo di tutti
i filosofi di Francia : Sic et Bi-iinoizi's sapientia
-
tanta refulsit, Inter Francorimi sidera, solus
ut hic Esset cunctorum flos et fons philoso-
phorum. Gi notammo la gran lode che gli d
la Chiesa d'Angers, titolo 1660, dove dice che la
gloria di Platone restava offuscata dalle lodi
che correvano del filosofico insegnamento di
Brunone : Gloria Platonis vilescit laude Bru-
nonis : or nel titolo 168, si encomia altamente
il suo insegnamento teologico, mediante il
quale, comunicando le sacre verit della
Fede, con copiosa e ortodossa dottrina, fu su-
periore ad Aristotile, a Socrate, a Platone.
Bruno fuit fons doctrince, norma veri dogma-
tis ; A risto te lis prfunda superans et Socratis,
Supergrediens Platonem sacri dono charis-
matis. Finalmente nel titolo 173, ch' in sem-
plice prosa, Brunone vien lodato come sommo
maestro, summus didascalus ; anzi colonnadella
Chiesa di Reims, valentissimo nel salterio ossia
canto ecclesiastico, perito in somma di tutte
le arti liberali, quali esercitavansi allora. Bru-
no namque veram scientiam et prudentiam libe-
raliuln artium, nec non cteras cardinales virt-
tes habuit et servavit, quas in bono fine consum-
lnavit. Dudum siquidem ecclesi sedis RheJnen-
sium summits didascalus, utpote in psalterio et
cceteris scientiis luculentissnus, et columia to-
tius metropolis diu extitit. V', dicemmo gi, in
questi funebri titoli un'esagerazione di lode, in
ci che concerne il suo valore letterario e scien-
tifico ; perocch in risguardo alla sua cristiana
virt non sono certo esagerate lodi anche mag-
giori ; or qui giova notarla un' altra volta, per-
ch scorgiamo in essa un indizio di quel che fu il
suo insegnamento letterario e scientifico. A farsi
una qualche idea del quale bisogna portarsi a
quei tempi e rammentare la povert (il Perro-
ne direbbe ben anco lo squallore) delle scuole
d'allora, generalmente parlando ;ch in Fran-
cia specialmente seguivansi le tradizioni del-
la scuola di Tolosa, onde venne, se non ori-
ginata, almen alimentata e cresciuta la bassa
latinit : gli stessi elogi funebri di Brunone ne
sono una prova. Ben sorgeva qu e l qualche
spirito che s'elevava sulla comune bassezza, ma
erano rari esempi,che non bastavano a mettere
gli altri ancora sopra una via pi larga e pi
degna. Alcuino, nei secoli VIII e IX, Gerber-
to nel X possono annoverarsi tra quegli spiri-
ti eletti. A questi noi crediamo che debba ag-
giungersi Brunone ; e lo ricaviamo dall'entu-
siasmo che dest ne' suoi discepoli, da' quali si
communic ad altri molti, e che apparisce ne '
suoi funebri elogi. Non vogliam dire con ques-
to che s'innalzasse agli altissimi gradi dell' ele-
ganza e della dottrina ; ma che nutrito fin da
giovinetto di buoni studii, per la felicit del
suo ingegno che, con una certa indipendenza
dalle piccole regole seguite nella maggior parte
delle scuole, s'educava da se stesso meditando
su' buoni autori, si present con un fare pi
largo e pi forbito; il quale avendo del nuovo,
suscit ammirazione. Quel suo carme, o epi-
gramma, com'altri lo chiama, che altrove ab-
biamo arrecato, pu servire di prova a quanto
diciamo : imperocch sebbene sia una compo-
sizione da lui fatta da giovanetto, supera non
di meno in pregio tutti i funebri elogi di lui,
composti da persone di et matura, in ogni
parte d'Europa. Certamente il suo verso va
pi sciolto e dignitoso; e non ha, come quasi
tutti quelli de' predetti elogi, la puerilit della
rima dentro il verso medesimo. E la riputa-
zione di questo suo valor letterario e scientifico
non tard a farsi negli ultimi anni ; imperoc-
ch nel sopra citato poemetto sulla sua vita
troviamo che gi ne godeva prima di reggere
la scuola di Reims ; alla quale egli diede la
preferenza, tra le molte che lo desideravano e
chiamavano1, e ne super le speranze.
Tenne egli senza fallo quella sua buona ma-
niera, quel suo far largo e sostanzioso altres
nell'insegnamento filosofico e teologico ; per il
quale pi che probabile che, come Gerberto,
x Et jam fama volans, virtutis nuncia ver,
Brunonem celebrat. Multae illum audire loquentem,
Multae scribentem, multae spectare docentem
Optavere, sibi et voluere adjungere gentes.
Optavit Rhemus magis ; optatoque potitus
Spe majora quidem, Brunoni at debita, vidit.
Lo stile di questo poemetto, assai colto e pregevole, lo
mostra composizione di tempi posteriori.
segu principalmente Boezio e Cassiodoro ;
seguaci alla lor volta, in filosofia, di Platone e
di Aristotile, in tutto ci che hanno di buono.
Diciamo, principalmente; perch non dubbio
che conobbe anche i Santi Padri, sovratutto
S. Agostino ; ma forse in particolar modo
s'attenne per la sua scuola alle precipue opere
di S. Giovanni Damasceno, raccolte sotto il
titolo Origines seu fons philosophice ; delle qua-
li dice il De Gerando che furono come un 171a-
nuale di. filosofia, di grandissimo uso in tutto
il medio evo l. Quella spiccata lode poi, che in
varii de' titoli funebri si fa della perfetta orto-
dossia della dottrina di Brunone, ci indica che,
se egli non usc apertamente in campo contro
gli errori di Berengario e di Roscellino, i quali
a' suoi d turbavan la Chiesa in Francia, stette
se non altro ai fianchi di que' valentissimi
campioni della dottrina cattolica, che furono
il B. Lanfranco e S. Anselmo d'Aosta, vinci-
tori gloriosi dell'uno e dell'altro di quegli ere-
siarchi.
Ad ogni modo certo che salutarissimi fu-
rono i frutti della sua scuola, secondoch risul-
ta dalle attestazioni de' suoi contemporanei e
1 L'ordine di quest'opera, come la dice il Rohrbacher,
vasto corpo di dottrina che, dai primi elementi del linguag-
gio e del raziocinio scientifico va fino a' pi sublimi arcani
della fede cristiana, corrisponde alla sapiente pratica de' re-
ligiosi sopra mentovati.
dai discepoli che lasci. Nel citato titolo 131,
per es, dopo aver detto che Brunone era il
fiore' e la fonte di tutti i filosofi, si soggiunge
che da lui sgorg tanta sapienza nel mondo,
che quanti erano da lui ammaestrati diventa-
van filosofi, cio veri sapienti. Ex hoc mana-
vit sapientia tanta per orbem, Ut quos im-
bueret, philosophos taceret. Veri sapienti, in-
nanzi tutto perch Brunone, loro insegnando,
colla voce e coll'esen1pio, la scienza de' santi,
li metteva per la via della vera sapienza; e poi
perch gli ammaestrati da lui, con quella sua
vasta e sostanziosa dottrina, apparivano mol-
to meglio istruiti degli studenti delle altre
scuole. E non si pu negare ch'ebbe discepoli
che veramente gli fecero onore. Fra tutti se-
gnalaronsi Ottone di Chatillon, che fu poscia
il B. Urbano II, papa; S. Ugone vescovo di
Grenoble ; Rangerio, arcidiacono di S. Paolo
a Londra, e poi cardinale arcivescovo di Reg-
gio in Calabria ; Roberto, vescovo di Langres,
della stirpe de' duchi di Borgogna ; e moltissi-
mi altri vescovi e abbati, che nelle loro dio-
cesi o nei lor monasteri mostraronsi degni se-
guaci del santo fondatore della Certosa. E sic-
come alla scuola di Reims accorrevano stu-
denti da tutte parti, perci i Benedettini autori
della Storia letteraria di Francia poterono
scrivere, circa sei secoli appresso, che Bru-
none in quell' uffizio, di maestro della scuola
di Reims, brill come un astro luminoso, il
cui splendore si riverber dalla Francia in
quasi tutto il mondo cristiano, per mezzo del-
la sua dottrina, che vi si diffuse. Quest'am-
plissima lode, che gi vien data a Brunone in
uno de' titoli funebri, cio il 66, dov' detto
onor del clero, onore e sapienza del mondo :

Bruno decus cleri, decus et prudentia mundi ;


fu da esso per avventura meritata anche meglio
pi tardi. Cio quando il B. Urbano II, con
atto che onora non meno lui che il suo antico
maestro, lo volle assolutamente a' suoi fian-
chi, per esserne assistito sovratutto nell'opera
de' concilii. Si fu in questi che il dotto uomo
mostr quel senno e quella perizia delle scien-
ze sacre, di cui gi aveva dato splendido sag-
gio a Reims ; e che qui ne' concilii tenuti dal
B. Urbano II, splendettero di luce anche pi
viva, fino a destare quell' ammirazione, che
poscia si manifest ne' suoi funebri elogi.
COABITO LO VI IL

SANTI ESEMPLI DI BRUXONE.

IN tal modo consolantissimo per tutti i buo-


ni, ma specialmente per l'arcivescovo Ger-
vasio, corrispondeva Brunone alla fiducia ed
all'espettazione che avevano presa di lui. Lieto
sovratutto il prelato, che aveva in esso non
solo un valente professore, il quale colla sanit
della dottrina ammaestrava salutarmente il suo
clero e col valor dell'ingegno manteneva, anzi
aumentava l'onore della sua scuola, ma ancora
perch risplendeva per esemplarit di con-
tegno, per carit generosa, per zelo dell'eccle-
siastica disciplina. Nel che l'arcivescovo Ger-
vasio era molto pi fortunato del suo anteces-
sore Incmaro; il quale, due secoli innanzi,
per lodevole favore della scienza, s'era fatto
protettore del famoso Giovanni Scoto Erigena,
uomo di singolare erudizione e acutezza di
mente, ma non di eguale senno n umilt
d'animo; onde caduto in errori e disorbitanze,
Incmaro si tenne giustamente in dovere di ces-
sare dal favorirlo e proteggerlo. Non cos
tocc a Gervasio per risguardo a Brunone;
nel quale pari alla scienza era la santit delle
opere e de' costumi. Innanzi tutto aveva un
ardente amore di N. S. Ges Cristo; amor
ch' radice e fondamento d'ogni perfezione.
Di ci hannovi diverse attestazioni ne' suoi
funebri elogi particolarmente; ne' quali, per es,
si dice che egli, amando e servendo costante-
mente il divin Redentore, era di questa sua
eccellente piet esempio a miseri mortali :

Exeinplltiii lniseris lnortalibus esse solebas, Ut


colerent Christum, que1n semper, Bi-itizo, colebas.
E questa sua piet non era di mere parole,
ma di opere : imitando nostro Signore che am-
maestr prima coll'esempio che co' precetti ;
Non aliter docuit vivere qua1n studuit : Fac-
tis implebat quidquid per l'erba docebat. N
la sua virt fu comune; ma grande e segna-
lata: Bruno, vir egregia? probitatis : una vera
gemma tra i filosofi, ossia sapienti: gemma so-
phi. E venendo pi al particolare delle sue
virt, era modello di carit generosa, di piet,
di pudicizia : Munificus fuit, et pius, atque
pudicus ; le quali preziosissime virt mante-
neva coll'esser parco verso s stesso, nemi-
co delle ricchezze, sprezzatore delle delizie :
Sibimet parclls.... calcator opum, spretor deli-
ciarum.
E con ci niuno creda che la sua fosse virt
rigida, accigliata; imperocch, sebbene fosse
austero ed aspro a s stesso, era tutto bont
ed amorevolezza per gli altri, semplice e mite
come un agnello : Bruno, vir hic magnus fuit,
ac simplex velut agnus. Da' suoi discepoli vo-
leva essere amato, non riverito e ossequiato
come superiore : Non se prcelatum, sed se cu-
piebat amatum. Tenerissima poi e molto ope-
rosa la sua piet de' poveri e degl'infelici;
onde detto Vaso pieno di piet, pia speranza
de' miseri, sostegno de' deboli, dolce conforto
de' miseri Vas plenum pietatis, pia spes mi-
:

serorum; Labentiull baculus, lniserorum dulce


levalnen. Il santo amor di Dio e del prossimo,
ispirando e tenendo ordine in tutti gli affetti,
porta la tranquillit e la pace ; quindi l'egua-
lit della vita che s'ammirava in Brunone :
Vir fuit qualis vita- : perch il forte suo animo
non mai era abbattuto dalle avversit, n
imbaldanzito dalle prosperit Nec mens fra-
:

cta malis, nec ninzis erat alta secundis. Di


questa sublime signoria di s stesso vedevasi
l'effetto altres nell'esteriore della sua persona :
nell'aspetto dolcemente ilare, nel modesto par-
lare, nella materna bont che mostrava anche
quando doveva esser severo semper eratfesto
:

vultu, sermone modesto : CZLJn terrore patris


monstravit viscera matris. E la celeste bellezza
dell'anima che, restaurando in tal guisa colla
virt i guasti della colpa, torna ad essere degna
immagine e specchio dell'eterna bellezza, splen-
deva nella sua colta parola, e nella urbanit
delle maniere : Verbis fui! cultus, et bene mo-
rigeratus : e dava a tutta la sua figura una
grazia, che il latino esprime colla parola venus-
to; e significa una fina, una delicata leggiadria:

Bruno fuit justus, simplex, luunilisque, ve-


nustus. Dov' da notarsi che questa venust ha
suo fondamento nella giustizia, nella sempli-
cit, nell'umilt. Tale per avventura questa
vera gentilezza risplendeva nella SS. Vergine;
della quale dolce cosa poter qui dire che
Brunone era teneramente divoto; e della quale
ottenne la protezione, come di madre a figli-
uolo: Praesidium Maria. obtinuit, ClljllS ipse fi-
lius fuit. Sebbene queste parole paiano doversi
riferire a tempo posteriore, cio a quando Bru-
none fond il suo Ordine, certo nondimeno
che la sua divozione a Maria SS. non aspett a
cominciare s tardi, ma s manifest fin dai
primi suoi anni, e and poi sempre crescendo
col crescere dell'et sua. Onde si dice che,
saputo come S. Annone aveva istituita in Co-
lonia, nella chiesa di S. Maria ad Gradus,
una compagnia sotto il titolo dell'immacolata
Concezione della SS. Vergine, volle esservi
ascritto. N vuoisi stupire che S. Brunone gi
fin d'allora credesse a questa verit dell'imma-
colato concepimento di Maria SS., che torna
di tanta gloria ad essa ed al genere umano :

poich, oltrecch S. Brunone aveva mente e


cuore da capir da se stesso la somma conve-
nienza di tal prerogativa per l'eccelsa madre
del divin Redentore, in quegli anni appunto
la divozione alla gran Vergine veniva sempre
pi dispiegandosi nella Chiesa, sopratutto
per opera di S. Anselmo; che colla voce e
cogli scritti, pieni di eloquenza pari alla nobil-
t e soavit della cosa, e ancora pi coll'esem-
pio, l'andava predicando. Del rimanente, negli
scritti ancor di Brunone trovansi varii passi,
in cui la sua fede in quel mistero chiaramente
indicata. Commentando, per es., le parole del
Salmo CI : Dominus de ccelo in terram aspexit :
Il Signore guard dal cielo in terra ; scrive : Il
Signore gllard dal cielo in terra, mentre dalle
regali sue sedi venne nel seno della Vei-giiie :
imperocch questa l'incorrotta terra, a cui il
Signore benedisse, libera per ci da ogni macchia
di peccato; e per meno della quale conoscemno
la via della salute.
S. Brunone e S. Anselmo assecondavano
sapientemente il forte impulso, che alla mag-
gior divozione e glorificazione della SS. Ver-
gine aveva dato due secoli innanzi a loro quell'
altro gran santo e grande dottore, che fu S.
Giovanni Damasceno; e che, pochi anni dopo
di essi, fu vie pi ravvalorato dall'esempio e
dall'eloquenza di due altri personaggi mirabili
per santit e dottrina, cio S. Pier Damiani e
S. Bernardo. In mezzo a tal movimento di
esaltazione della gran madre del divin Reden-
tore pot pertanto S. Annone istituire in Co-
lonia una compagnia sotto il titolo dell'imma-
colata Concezione di lei ; e la Chiesa di Lione,
appena un secolo appresso, spingere il suo
fervore fino a celebrarne la festa; non ostante
cheS. Bernardo alzasse la voce, non contro la
prerogativa della SS. Vergine, ma contro il ce-
lebrarne la festa, prima che fosse introdotta
dall'autorit della S. Sede. Cos anche l'Ordine
certosino, che ab antico profess tenera divo-
zione a tal mistero, ne celebrava la festa il d
8 di dicembre, sotto il nome di Santificazione
della B. Vergine : VI idus decembris, sa1lctijica-
tionisB. Virginis. L'uso, presso i Certosini, di
fare tal festa col proprio nome di Concezione,
cominci pi tardi, verso l'anno 1509.
Da tutto ci si vede che Brunone molto de-
gnamente esercitava l'uffizio che teneva nella
Chiesa di Reims, di professore, come dicemmo
noi, e di prefetto del clero. Era, propriamente
parlando, il canonico teologo della cattedrale ;
con questa differenza che tal dignit canonicale,
la quale a d nostri ridotta a poco pi di un
titolo, allora aveva realmente l'incarico d'in-
segnare teologia e le altre scienze sacre secondo
il metodo di que' tempi, e di attendere alla
educazione de' chierici, per quanto era possi-
bile a chi non aveva questi continuamente
raccolti sotto i proprii occhi, come adesso ne'
seminarii ; che allora mancavano.
Tale uffizio essendo di somma importanza,
il canonico teologo era ordinariamente la terza
dignit del capitolo della cattedrale, e sedeva
immediatamente dopo il decano. Avendo per-
tanto grande e stretta attinenza col clero, era
naturale che il vescovo di lui si valesse, occor-
rendo di correggere qualche abuso o difetto
che fosse in quello. E cos fece Gervasio per
rispetto a Brunone, secondoch troviamo nota-
to in una vita di questo, e indicato in parecchi
de' suoi funebri elogi. Non vi si dice per es-
plicitamente di che si trattasse : ma si pu fon-
datamente congetturare che anche nel clero di
Reims vi fossero alcuni membri non corrispon-
denti alla santit della lor vocazione. Forse
avevano ottenuto l'ordinazione e qualche ca-
rica ecclesiastica simoniacamente; forse erano
rei di scandalosa incontinenza, od anche ave-
vano aderito agli errori di Berengario; cosa
pur troppo facile, cio l'aderir all'errore, in
chi sia corrotto di cuore e di costumi. E do-
vevano essere disordini gravi; perocch n'era
giunta notizia fino a Roma; e il pontifice aveva
mandato all'arcivescovo ordine di provvedere.
Non era piccola impresa; onde l'arcivescovo,
conoscendone la difficolt, stava in dubbio su
chi appoggiarsene ; alla fine si risolv per Bru-
none, di cui gli era nota la prudenza e l'abilit,
per altri servigi d'opera e di consiglio, che
gi n'aveva avuti. Ma sapendo ancora la sua
umilt, temeva che una semplice preghiera
non bastasse ; e d'altra parte essendo opera di
urgente necessit, pens d'imporgliela per
ubbidienza. E ben s'appose poich Brunone
:

da prima, adducendo per ragione la sua inetti-


tudine, oppose qualche difficolt; ma poi, da
vero umile, sottomettendosi alla volont del
superiore, s'accinse all'opera e la compi da
par suo. Si esamin, si provarono i fatti ;
l'errore fu confuso, il vizio punito; la Chiesa
trionf ; Gervasio ebbe la consolazione di veder
felicemente terminato uno spinoso affare ; e
Brunone il contento di avervi, senza troppo
comparire, efficacemente cooperato1.
Bruno Dei cultor, vitionl1n nobilis ultor,
dice un suo funebre elogio; cio Brunone,
uomo di grande piet, sapiente vendicatore
de' vizii. Egli fu giusto correggitor de' costumi :
j1forum corrector justus; perch non altro cer-

1 Ducreux, Vita di S. Brunone.


cava che la giustizia justitice i-ecto- ; e vi
:

riusc, perch all'uopo seppe usare fortezza : e


pot usarla, perch dava in s stesso esempio di
vera probit; Fortiter annatus clypeo vercepro-
bitatis. Sebbene questi elogi possano intendersi
da lui meritati in altri tempi, par nondimeno
che vi sia un indizio di quanto abbiamo test
narrato; del resto, nella medesima Reims.poco
tard a presentarglisi acerba occasione di mo-
strare il suo forte zelo della giustizia.

COABITO LO IX.

SCANDALI DELL'ARCIVESCOVO MANASSE : ZELO


DI BRUNONE.

M EDIANTE le cure di tale vescovo e l'opera


di tale maestro, la Chiesa di Reims si an-
dava riabbellendo, con augurio di avvenire
sempre pi lieto, a guisa di vite felicemente
piantata, che mentre conserva l'antica fecon-
il
dit, di quando in quando rallegra suo colti-
vatore con nuovo rigoglio di fiori e di frutti :

ma disse pur troppo giustamente il poeta che


ogni cosa mortai passa e non dura. Scorsero
pochi anni, e la Chiesa di Reims, per colpa
d'un indegno prelato, rendeva immagine d'u-
na vite, sopra cui sia caduta furiosa tempesta.
L'anno 1067 moriva l'arcivescovo Gervasio,
e per vie storte entrava a succedergli Manasse
diGournay, uomo di nobile stirpe, ma corrotto
di cuore e di costumi. Per vie storte, dicem-
mo : imperocch ottenne quella sede con mez-
zi simoniaci, rivolgendosi al re Filippo I ; che
nonabborriva dall'insudiciarsi le mani col dare
l'investitura di ecclesiastici beneficii a chi non
aveane altro merito che di darne a lui pi lar-
go compenso di denari. Havvi qui uno de' fat-
ti pi efficaci a dimostrare che cosa sia l'usur-
pazione del diritto di dar l'investitura de' be-
nefici ecclesiastici fatta dall'autorit civile ;
usurpazione a que' d spinta, specialmente
dell'imperatore Enrico IV, fino al segno di
dare quell'investitura col pastorale e coll'anel-
lo. , vale a dire, un grave e funesto disor-
dine, che basterebbe da s a rovinare la Chie-
sa di Ges Cristo. Disordine grave, perch la
potest di eleggere i suoi ministri spetta natu-
ralmente, e per diritto divino, alla Chiesa me-
desima; disordine funesto, perch i laici non
avendo, di regola ordinaria, spirito e attitu-
dine a ci, facevano elezioni di qualit pochis-
simo conveniente, od anche opposta alla na-
tura del sacerdotal ministero, per motivi Dio
sa quali. Quindi l'inettitudine egli scandali di
molti cos malamente eletti, con rovina delle
anime e disonore del nome cristiano. Manasse
da principio fe' sembiante di buon pastore ; e
si present come zelante dell'onore della Chie- *
sa e del bene dell'anime ; dava limosine, ono-
rava la virt, rendeva giustizia al merito. Ma
era furberia, arte per ben assodarsi sull'usur-
pata sede; giustamente temendo che, se avesse
troppo presto manifestato l'uomo ch'egli era,
avrebbe suscitato sdegni e contraddizioni peri-
colose. E quest'arte, per qualche tempo, do-
vette riuscire a lui pi che ad altri, se vero
quel che di lui si trova accennato, cio che gi
era arcidiacono di quella cattedrale. Cono-
scendo il terreno, sapeva dove mettere i piedi
per camminare sicuro. Fra le persone, che co-
stui allora onor e promosse, fu Brunone; e
v'ha chi dice che, venuto a morte dopo due
anni, cio nel 1069, il cancelliere Oldarico, a
lui diede tal carica. Non ben certo per se
gliela desse, ovvero solo ve lo confermasse im-
:

perocch da altri si tiene che primo ad affidare


tale uffizio a Brunone fosse l'arcivescovo Ger-
vasio. N pur da credere che Manasse facesse
cos giusta elezione di buon grado; poich
ognuno predilige i simili a s, o chi, vuoi per
debolezza, vuoi per proprio interesse, sa ren-
dersi devotissimo servo. Or egli ben sapeva
che Brunone era molto diverso da lui, e che
serviva a Dio solo ; ma non os opporsi troppo
apertamente all'opinion generale ; perocch
tutto il clero di Reims proponeva Brunone
come la persona pi degna di quella carica. Si
pent poi, lo sciagurato uomo, di non essere stato
coraggioso a suo senno, quando s'accorse che
indarno sperava d'averlo complice o conni-
vente alle prave sue opere; e vide che per ci
in esso non gli restava pi altro che un mo-
lesto testimone della scandalosa sua vita ; ma
non era pi a tempo. Allora fece come ordi-
nariamente sogliono coloro che vogliono in
loro malora correre la via del male; scosse
ogni ritegno, e la di per traverso senza pu-
dore. Affettando la licenza d'un soldataccio, il
fasto d'un monarca, il despotismo d'un tiran-
no, pi non rispett religione, n l'alta sua di-
gnit, n s stesso; libero nel parlare, sregolato
nei costumi. Spogliava gli altari, profanava le
chiese, vendeva le cariche, proteggeva i liber-
tini, perseguitava i buoni. I doveri del suo uf-
fizio erano per lui un peso molesto; e rest in
memoria che abbia detto :
Il vescovado di
Reims sarebbe una buona cosa, se non ci fosse
da cantar delle messe. Tale essendo, non
strano che pi non badasse ad onest n de-
coro ; ma facesse d'ogni erba un fascio, per
godersela continuamente in cacce, in bagordi,
in tresche indegne. S'intende che a far tale
vita occorrevano molti denari : quindi le con-
cussioni con cui angariava chiese, conventi,
monasteri, menando man bassa su tutto ci
che poteva attirare la sua ingordigia: sopratutto
dest gran mormorio lo spezzare che fece, per
darlo alle sue soldatesche, un calice d'oro,
contenente, secondoch credevasi per antica
tradizione, un pezzetto di quello che i re magi
offerirono a Ges bambino.
Gemevano i buoni Remesi, piangevano di
tale disordine ; e tolleravano per rispetto, con
la speranza che il traviato pastore tornasse a
migliori consigli : ma alla fine anche la tolle-
ranza ha i suoi limiti, e da tutte parti s'alz
un grido di riprovazione ; e come suole avve-
nire in tali casi, che tutte le magagne si sco-
prono, venne a galla altres l'ingiusta maniera
con cui il malvagio uomo s'era intruso in
quella sede. Cresce quindi lo sdegno ; i zelanti
tuonano; anche i pi prudenti confessano che
bisogna rimediare a tanto male. Il clero si ra-
duna ; si propone, si delibera, si risolve di
rappresentare al prelato la trista condizione,
in cui per sua colpa era caduta la Chiesa di
Reims ; -e l'urgente necessit di provvedervi.
Depl\1ansi a tale uopo i pi rispettabili membri
del clero : Brunone alla lor testa ha l'incarico
di parlare. Pu ognuno facilmente immaginarsi
con che cuore il santo uomo vi si sobbarcasse,
essendo d'animo cos mite e caritativo : ma
pur sapendo che la carit altres coraggiosa
e forte, e che il tacere sarebbe stata debolezza
funesta a tutto un popolo ed a Manasse me-
desimo, si fece avanti, e colle lagrime agli
occhi, Signore, disse al prelato, permettete che,
colla riverenza dovuta al vostro grado, noi ve-
niamo a farvi conoscere e riflettere su i mali
che soffre questa nostra Chiesa di Reims; e la-
sciate che, per suo bene e per il vostro ancora, vi
diciamo l'autore dique' mali. Gi da lungo tempo
ella soffre e sopporta ; ma or le cose sono giunte
a segno che costretta a parlare. Signore, sa-
rete voi sordo alla sua voce, inflessibile alle sue
I
lagrime ? vostri traviamenti sono pubblici; da
ogni parte si grida contro del vescovo, e avete
gran motivo di temere che il cielo sia sdegnato
contro di voi. Deh ! ascoltate la nostra preghi-
era; rendete la pace a questa chiesa ; consolate
i buoni che gemono sopra i mali di essa ; la quale
pu esigere che, prima che da ogni altro, cos
per dovere come per buon esempio, siano dal
suo prelato osservati i canoni e le sue prescri-
zioni. Cos facendo, provvederete al vostro
bene, al vostro onore, alla vostra tranquillit ;
e Dio sapr compensarvi anche in questa vita
di avere, con qualche sacrificio, anteposta la
sua gloria e il bene delle anime ad ogni altra
cosa.
Ud Manasse in silenzio le riverenti, bench
coraggiose e salutari parole; ma nel pallore
del volto e ne' torbidi sguardi mostrava l'ira
profonda che gli destavano nel petto. Per tutta
risposta accenn a Brunone ed a' suoi com-
pagni di ritirarsi. Intesero la malaparata; e do-
lenti riferirono al clero l'esito dell'opera loro.
Questo dovett'essere verso il 1073; quando
cio gi erano parecchi anni che Manasse te-
neva quella sede. Non aveva certamente as-
pettato tanto a porgere motivo di forti lagnanze
de' fatti suoi; n Brunone aveva indugiato
tanto ad ammonirlo in quel conveniente modo,
che sapeva usar egli, cos umile e rispettoso :
ma da quel prudente uomo che era, e perfetto
osservatore de' precetti evangelici, prima d'usar
testimoni, aveva tentato di far buon uffizio
da solo a solo. Intanto procurava di fare tutto
quel bene che poteva per rimediare a' mali
della condotta del prelato; e poich pur troppo
per opera di costui succedevano tristi esempi
di simonia, il venerabile uomo prese ad opporsi
a tanto disordine in quanto poteva, altri esor-
tando a non contaminarsi di tale pece, altri in-
ducendo, gi contaminati, a purgarsene. Fra
questi riusc a ricondurre sul retto sentiero il
canonico prevosto di quella cattedrale, che
pur sichiamava Manasse, e che rinunci alla
male acquistata dignit nelle mani del legato
Ugone di Die, al concilio di Clermont. E Dio
ne lo compens anche in questo mondo, dispo-
nendo che poi venisse regolarmente eletto,
non che prevosto, arcivescovo di quella catte-
drale stessa.
La prudente lentezza di Brunone nel pro-
cedere a pi forti atti contro il traviato pastore
era d'altra parte consigliata dal considerare
che, sebbene,costui in molte cose fosse da di-
sapprovare, non si voleva per subito dar
corpo alle voci che correvano cos intorno alla
simonia della sua elezione, come intorno agli
scandali della sua vita. Che non si sparse
a ' lor tempi contro que' grandi e santi vescovi
che furono un Atanasio, un Grisostomo, un
Cirillo, un Fulgenzio ? Che non si disse a quei
d medesimi contro l'immortale pontefice Gre-
gorio VII, e non da lingue plebee e di niun
conto, ma da cardinali e vescovi E tuttavia
?

era un gran santo, degno di star cogli Apostoli.


Ma quando vide che le accuse pur troppo
eran giuste, e che il male, invece di scema-
re, minacciava di crescere, allor non tem
di procedere pi innanzi ; e partecip ad
un ricorso alla S. Sede, presentato da alcu-
ni canonici della cattedrale e varie altre per-
sone.
Questo ricorso fu per avventura quello che
giunse a Roma sul finire del pontificato di Ales-
sandro II. Gregorio VII, che gli succedette,
non credette opportuno di subito usare seve-
rit ammon per altro Manasse, e sper che
:

almeno il rispetto che doveva alla nobilt del


suo sangue avrebbe posto un freno a' suoi tra-
viamenti. Ma fu vana speranza ; imperocch
Manasse, sebbene si temperasse alquanto o
almen fosse pi cauto, visto nondimeno che
il suo nome era tenuto in considerazione, prese
baldanza e impervers anchepeggio. Veramente
si dice che fosse di sangue reale ; ma tal pregio,
che ad altri sarebbe di fortissimo stimolo a
serbare decoro, a lui corrotto fu motivo di ar-
roganza ; fomentata inoltre dal favore del re,
di costumi poco diverso da lui.
("cAPITOLO X.'

TRAVERSIE DI BRUNONE COSTRETTO A LASCIARE REIMS *,

SUA PAZIENZA E COSTANZA; MISERA FINE DI MANASSE.

c i vedendo Brunone e i suoi compagni (fra


cui si mentovano specialmente il prevosto
Manasse, altri tre canonici della Cattedrale,
Ponzio, Rodolfo Le Verd e Fulcio Monocolo,
ed un conte di nome Ebalo), scrissero un altro
pi efficace ricorso alla S. Sede, chiaramente
notando varii capi d'accusa contro dello ar-
civescovo ; segnatamente d'aver usurpata la
sede di Reims, impadronendosene simoniaca-
mente ; d'aver presi violentemente i vasi sacri
della cattedrale, spogliato ecclesiastici di lor
benefizi, saccheggiato chiese e monasteri, sca-
gliate scomuniche ingiuste, sotto pretesto di
colpe n pure sognate.
Se ne commosse il papa, e mand ordine al
suo legato Ugone di far riparo a tali disordini.
Il che risaputesi dall'arcivescovo, prese a
fieramente perseguitare i suoi accusatori ; se-
condoch si ricava da una lettera di esso le-
gato al papa ; in cui caldamente raccomanda
Brunone, onoratissimo maestro di Reims, ed
il canonico Manasse, pregandolo di confer-
marli nelle loro cariche ed uffizi, come persone
fatte degne di soffrire gravissime ingiurie per
amore di N. S. Ges Cristo. Era questo legato,
per dottrina, virt e zelo, degno della fiducia
in lui riposta dal pontefice ; atto perci, ed an-
che per la nobilt della stirpe (quella de' duchi
di Borgogna), a far valere la pontificia auto-
rit, di cui era rappresentante in Francia. Per
rimettere le cose nel debito ordine, teneva
concilii ; ne' quali, coll'aiuto de' prelati buo-
ni, che pur non mancavano, s'adoperava di
ristabilire l'osservanza de' canoni e della dis-
ciplina ecclesiastica, e di richiamare gli er-
ranti sulla retta via. A Clermont, nel 1076, ri-
concili il prevosto Manasse, tocco dalla di-
vina grazia per le esortazioni di Brunone ; per
il gravissimo caso dell' arcivescovo Manasse,
indisse un altro concilio da tenersi ad Autun,
nel 1077.
Vi si recarono Brunone e i sopranominati
suoi compagni ; e informando il legato e gli
altri padri delle gravi condizioni in cui versa-
va la Chiesa di Reims, riprodussero i predetti
capi d'accusa. Ascoltarono con dolore il legato
e gli altri padri del concilio s deplorevoli fatti ;
approvarono lo zelo e l'opera di Brunone e
de' suoi colleghi nell' opporsi a tali eccessi ; e
citarono il traviato arcivescovo. Ma questi,
atterrito non tanto dalla mala coscienza quanto
dalla qualit de' suoi accusatori, rifiut di com-
parire. Dolse al legato la disubbidienza; e pren-
dendone giusto motivo di tenerlo pur troppo
colpevole, dopo altre informazioni prese di
lui, lo dichiar indegno del suo uffizio e ne lo
sospese. Terminato il concilio, e datone per
mezzo di adatta persona ragguaglio al Ponte-
fice, se ne attendeva la conferma, quando
giunse notizia che costui s'era appellato al
pontefice stesso ; e che, pieno d'ira e di malta-
lento, al ritorno de' suoi accusatori in Reims,
aveva loro tese insidie per via, li aveva privati
delle lor cariche, venduto le loro prebende,
spogliati de' loro beni, atterrate non ch'altro
le loro case.
Allora fu che il conte Ebalo raccolse Bru-
none e il prevosto Manasse nel suo castello di
Rouci ; e facendo sua la causa loro, perch
chiaramente vedeva essere la causa della re-
ligione e della giustizia, s'accordarono che
Brunone e Manasse l'accudissero presso il le-
gato, e il conte e Ponzio andassero a Roma a
trattarne col papa. Taluno dice che a Roma
and anche Brunone : ma in quell'occasione
non pare : e se n'ha un indizio in questo che il
traviato arcivescovo, nella difesa che di s
mand alla S. Sede, parla di Ponzio, e non
di Brunone ; del quale anzi affetta d'ignorare
la vita e la condizione di uomo libero : e sog-
giunge che il canonico Manasse e i suoi se-
guaci, raunati in un castello del conte Ebalo,
non lasciavano di molestarlo : segno che-anche
Brunone trovavasi in Francia. Il pontefice in-
tanto, a cui Manasse s'era appellato, aveva
mandato ordine a costui di presentarsi e giusti-
ficarsi dinanzi a sei vescovi ; ma egli, ben sa-
pendo che in Francia troppo eran note le sue
malvage azioni, prefer di recarsi a Roma; sic-
come fece nel 1078. Quivi, colFaiuto di varii
altri prelati poco diversi da lui, seppe maneg-
giarsi in modo che, dopo non piccola contesta-
zione passata tra lui e i suoi accusatori alla pre-
senza del Pontefice e di parecchi cardinali e
vescovi, ottenne sentenza di quasi assoluzione.
Imperocch considerando il papa che si
trattava d'un arcivescovo di Chiesa insigne,
che varii prelati attestavano in suo favore, sti-
m di non dover per allora usare severit ; e
sperando che il castigo della sospensione in-
flittogli dal legato, e il timore di pi grave pe-
na bastassero a indurlo a resipiscenza, lo pros-
ciolse da quella censura, e lo rimand alla sua
sede ; con ingiunzione per di presentarsi, ad
ogni lor ordine, a ' legati apostolici, e stare ai
loro giudizi. Ma la speranza del pontefice fu
vana; giacch il cuore di Manasse era incan-
cherito nel male ; s che, invece d'imitare il fi-
gliuol prodigo altres nel pentimento e nel
corrispondere alla paterna bont, impermal; e,
tornando c'on aria di trionfante a Reims, cant
vittoria de' suoi avversarii. Audacemente
mentendo, spargeva voce che il papa aveva
vietato al legato di pi ingerirsi in quella
causa.
Ma egli faceva troppo a fidanza colla credu-
lit del popolo ; e non rifletteva che a Roma
eran presenti testimoni, che potevano dargli
una mentita. In effetto, tornati che furono di
col a Reims il conte Ebalo e il canonico Pon-
zio, opponendo alle imposture di Manasse il
vero de' fatti, le cose cambiarono aspetto. E il
vero de' fatti risulta chiaramente da una lettera
del papa stesso, scritta in tal circostanza, e con
la data del d 9 Marzo del 1078. Solendo, dice
S. Gregorio VII, la santa Chiesa Romana, alla
quale per divino volere noi, bench indegni,
serviamo, tollerare certe cose ed altre dissi-
mularne, attenendoci alla temperanza della
discrezione piuttosto che al rigore de'canoni,
non senza grave fatica abbiamo discusso le
cause de' vescovi di Francia e di Borgogna,
stati sospesi o condannati dal nostro legato
Ugone vescovo di Die. Da ultimo Manasse ar-
civescovo di Reims ; che in molte cose era sta-
to accusato, e s'era sottratto a' sinodi, a cui
Ugone vescovo di Die l'aveva invitato. Consi-
derato che la sentenza data sopra di lui non
pareva consentanea alla gravit ed alla con-
sueta mansuetudine della Chiesa Romana, fu
da noi ristabilito nel proprio grado ed ufficio;
a condizione per che sul corpo di S. Pietro
giurasse nel modo seguente : Io Manasse, ar-
civescovo di Reims, non per superbia lasciai
di venire al sinodo di Autun, a cui il vescovo
di Die m'aveva chiamato. Se sar chiamato per
messaggio o per lettere della sede apostolica,
con niuna mala arte e con niuna frode mi sot-
trarr ; e venendo, fedelmente ubbidir alla
deffinizione ed al giudizio di cotesta Chiesa :
che se al signor Papa Gregorio od al suo suc-
cessore piacer che io dinanzi al suo legato ris-
ponda delle cose oppostemi, anche questo in
tutto far. Tratter poi con fedelt i tesori,
gli ornati e i poderi della Chiesa di Reims affi-
data alle mie cure, ad onore della Chiesa mede-
sima, e non li aliener con far torto alla gius-
tizia.
Cos giur Manasse; ma che valgono mai i
giuramenti di chi non si converte di cuore n
muta propositi ? La sua condotta poco indugi
a mostrare che la sentenza del legato non era
punto stata troppo severa; attesoch continu
per la mala sua via in modo che fu di nuovo
necessario informarne il Pontefice. Il quale
allora ordin al legato di esaminare, con tutta
la cura possibile', insieme all'abbate di Cluny
(che pur si chiamava Ugone, ed venerato
sugli altari, 29 aprile ), i varii capi d'accusa
del prevosto e de' suoi aderenti, contro l'arci-
vescovo di Reims, e darne sentenza deffini-
tiva. Di ci si rallegrarono Brunone e i suoi
compagni, sperando che la giustizia avrebbe
alla fine trionfato; ma non fu gi cos presto
come avrebbero desiderato, non per loro pro-
pria soddisfazione, s per onor della religione
ed il bene delle anime. L'intruso prelato con
sue arti tent prima di dividere i suoi avver-
sarii; e poi, allegando sue ragioni e privilegi,
ottenne per qualche tempo di non presentarsi
a' giudici assegnati dal Papa. Fu solo nel 1080
che finalmente il pontefice, vista la pervicacia
di lui, disse al legato di radunare un concilio,
e risolutamente procedere alla sentenza.
Intanto Brunone non istette punto inope-
roso; ma, come uomo dotto e pio, e probabil-
mente invitato dal legato stesso, esercit il suo
zelo nel purgare altre Chiese dalle gravi mac-
chie, che a que' d le bruttavano ; special-
mente la simonia. Prest da prima l'opera sua
in Laon; dov'era vescovo Elinando, che nel
concilio di Autun aveva udito le accuse di
Brunone stesso contro Manasse. Vi si regol
in maniera che, alla sua morte, quella Chiesa
ne tess splendido elogio ; nel quale fra l'altre
cose vien detto Onor del clero, onore e fior di
prudenza del mondo, famoso per acutezza di
mente; e mentre fu tra essi, Laonesi, autore
di ottimi insegnamenti ; non era insignito di
onorificenza; ma la santit de' suoi costumi
valeva per tutto Bruno, decus cleri, decus et
prudentia mundi; Dum fuit in terris, florebat
et acumine mentis : Dum fuit apud nos, flo-
rebat et in documentis. Integritas morum
cumulum supplevit honorum. Tit. 66, S. Mari
Laudunensis.
Indi pass a Beauvais ; di cui era vescovo
Guidone, venerato per piet e dottrina. Stava
fondando il monastero di S. Quintino : e Bru-
none col consiglio e con l'opera prest tale
aiuto, che i religiosi di quel monastero l'ebbero
in conto di Padre, e nella morte di lui cele-
brarono un uffizio funebre di trigesima; di-
cendo che l'umile congregazione di S. Quintino
di Beauvais, colla fiducia di essere aiutata appo
Dio dal patrocinio del reverendo suo padre
Brunone, con ossequio gli fa la trigesima, e
sempre ne serber memoria. Tit. 81, S. Quin-
tini Belvacensis.
Similmente la Chiesa di Chartres fa tali
testimonianze della dottrina, piet, bont, sin-
cerit, giustizia, santit di Brunone, da dover
dire senz'altro ch'egli vi si fermasse non breve
tempo.
N pare che si debba credere a chi opina
che Brunone si recasse cost mentre attendeva
regolarmente al suo uffizio di canonico, teologo
e direttore della scuola di Reims; ch il suo
uffizio stesso glielo avrebbe impedito ; e non
consta ch'egli allora s'allontanasse da Reims se
nona brevi intervalli e a non grande distanza :

certo molto pi probabile che col si re-


casse nel tempo che la grave controversia col
traviato Manasse lo teneva in disagiato esiglio.
Ma probabile non , secondoch pare a qual-
t,
che scrittore della sua vita che in questo tem-
po e' si recasse a Colonia, vi fosse fatto cano-
nico di S. Cuniberto, e abbandonasse Reims co-
gli uffizi e dignit che vi aveva; imperocch gi
vedemmo che fu fatto canonico di S. Cuniberto
prima ancora che fosse chiamato a Reims ; e
vedremo che a questa torn per breve tempo.
N tal passo, nelle presenti sue circostanze,
era degno dell'alto suo animo; tanto pi che
sarebbe parso un abbandonare la causa, per
cui s'adoperava con tanto zelo e fortezza, e che
confidava doversi presto risolvere in suo favore.
La sua fiducia non era vana il legato in-
:

disse concilio a Lione, pel Gennaio del 1080,

1 Ducreux, seguito dal Lefebvre.


a fine di giudicarvi, tra l'altre cose, il traviato
Manasse,' e provvedere agli urgenti e gravis-
simi bisogni della Chiesa di Reims : onde man-
d a costui lettera monitoria, avvisandolo
dell'apertura del concilio, e imponendogli di
presentarsi fra venti giorni, per rispondere ai
suoi accusatori. Ma egli, che ben sapeva di non
poter rispondere n scolparsi, torn allo spe-
diente di scrivere, o farsi scrivere (ch era
ignorante ) un'altra sua difesa ; dove con suoi
cavilli tenta di provare che non gli corre alcun
obbligo di presentarsi. E vi dico, cos egli in
questa sua apologia venendo a parlar di Bru-
none, che io e Manasse (il preposito) per tutti i
suoi compagni facemmo concordia, eccettuati
due; uno de' quali, cio Brunone, n nostro
chierico, n nato o battezzato fra noi, ma ca-
nonico di S. Cuniberto di Colonia, in Alle-
magna : della cui societ poco c'importa, s
perch nulla sappiamo della sua vita e libert;
s perch quando fu presso di noi, sebbene gli
facessimo molti benefizi, ne siamo stati trattati
male e perversamente. L'altro poi, cio Ponzio,
nel Romano concilio disse cose false in nostra
presenza : e per n all'uno n all'altro voglia-
mo o dobbiamo rispondere nel giudizio eccle-
siastico.
Nelle quali parole scorgesi a prima vista la
fallacia del colpevole contumace; poich dopo
aver affermato che non conosce Brunone, dice
che l'ha ricolmo di benefizi, e ne fu pessima-
mente contraccambiato : ma pur se ne ricava
in favor di Brunone una negativa prova dell'il-
libata sua vita; che se tale non fosse stata,
il fiero Manasse non avrebbe mancato di no-
tarla. Del resto, un altro non meno forte indizio
della reit di Manasse sta in ci, che tent di
corrompere il legato medesimo, segretamente
offerendogli gran somma di denari ; invano
perocch il legato era degno del suo uffzio,
e dell'autorit che lo mandava. Talch il con-
cilio, passato gi vedendo il termine segnato
all'intruso Manasse per presentarsi, e trovate,
non che vane, fallaci tutte le ragioni e scuse ad-
dotte in suo favore, stim doversi procedere al-
la perentoria sentenza. La quale fu che, convin-
to reo e contumace, lo si condannava ad essere
deposto dalla male occupata sede arcivesco-
vile di Reims. Questo atto di tanto necessaria
e aspettata giustizia port universale allegrezza,
come l'annunzio del cessare di lunga e grave
calamit; e tutti esaltavano il savio e forte
zelo di Brunone e de' suoi compagni, che l'ave-
vano provocato ; ma Brunone, se da una parte
si rallegr del veder la giustizia trionfare e ri-
mediare a scandali gravissimi, dall'altra si
rattrist dell'umiliazionedi Manasse, commise-
rando la sua ostinazione nella falsa via per
cui s'era messo, il suo mal collocato amore
delle vanit mondane, e la peggio collocata
fiducia in certi cortigiani e adulatori, che ora
vilmente l'abbandonavano.
Il pontefice Gregorio VII, avuto conveniente
ragguaglio di tutta la cosa, conferm la sen-
tenza : e tuttavia, con raro esempio di benigni-
t, concedette al condannato tempo fino al 29
di settembre di quell'anno 1080, per giustifi-
1
care la sua condotta ; a condizione per gli
dice, che, restituito in integro a Manasse (il
preposto) ed a Bruitone ed agli altri tutti, che
sembrano aver contro di te parlato per la giusti-
zia, tutto ci che loro hai tolto, sino alla prossi-

* Comunemente si crede che S. Gregorio VII fosse terribile


per severit e rigore or ecco qui una prova della sua beni-
:
gnit e pazienza veramente longanime. N fu certo la sola ;
perocch nelle lettere del suo legato Ugone di Die, si trovan
lamenti che a Roma si cassassero o di molto si mitigassero
le sue sentenze contro i prelati prevaricatori. Provvegga
adunque (cos scrive al papa medesimo) Vostra Santit, che
pi a lungo non ci si rinfacci con tanta vergogna, che i si-
moniaci od altri quali siansi colpevoli da noi sospesi o de-
posti, od anche condannati, corrono volentieri a Roma ; e
dove dovrebbero sentire maggior rigore di giustizia, di l ap-
punto riportano misericordia a volont. E coloro che pri-
ma non presunsero di peccare in cose leggiere, poscia fanno
molto bene i negozianti e i tiranni nelle Chiese loro affi-
date.
Da queste parole si vede che il legato era irritato della so-
verchia benignit della S. Sede : ma si vede ancora che se i
papi, e S. Gregorio VII specialmente, procedevano poi ad
atti di giustizia, era solo dopo aver provata a lungo la
bont e la clemenza. In conclusione, i tempi erano molto
corroti, e il papa, da vero padre, adoperava tutti i modi di
apporvi rimedio, mirando non a distruggere, ma a salvare.
na festa dell'Ascensione, lasc affatto la Chiesa
di Reims, ti ritiri a Cluny o a Casa Dei con un
ecclesiastico e due laici, per i.,ivei-vi religiosa-
mente a tue spese. Chi lo crederebbe? N pure
tale e tanta bont, che il papa stesso chiama
inusitata, valse a far rinsavire lo sciagurato Ma-
nasse : anzi, in vece di ubbidire al precetto di
pi non immischiarsi negli affari di quella sede,
con impudente baldazza vi spadroneggi peg-
gio di prima, come il papa medesimo dice nel-
la lettera che allora scrisse al clero ed al popolo
di Reims nominatamente : Veru171 fsicut vos
ipsi scitis) non SOllllll huic deffinitioni non obedi-
vit, sed ad conternptll1n l'iitei-dicti*oii.?'S iiost,x ec-
clesiali! vestram invadere ac impudenti devasta-
tione conjii1ldere prcesumpsit. Per la qual cosa,
soggiunge il papa (dopo aver chiamato Ma-
nasse, non pastore, ma crudelissimo ladrone,
e irremissibilmente deposto) con apostolica
autorit vi ammoniamo che ai perversi suoi
atti in niun modo partecipiate, anzi in tutte
maniere resistiate ad esso, acciocch sia tolto di
mezzo a voi e, per salute dell' anima sua, venga
dato nelle mani di Satana per morte della
carne. Date opera ancora, con comune con-
siglio e concorde voto, e col consenso del
predetto nostro confratello vescovo di Die, ad
eleggervi un padre secondo il Signore. Oltre-
ch al clero ed al popolo di Reims, S. Grego-
rio VII scrisse allora altre lettere : una al conte
Ebaio, il quale, secondoch pare, era il conte del
luogo, cio, giusta l'ordinamento di Carlo-
magno, governatore civile; un'altra a' vescovi
sutfraganei di Reims ; ed un'altra ancora a
Filippo re di Francia, acciocch non impedisse
la nuova elezione.
A che orribile eccessi d'acciecamento non
giunge mai l'animo umano contumace nel
male Manasse (dice qui uno scrittore con-
!

temporaneo, cio Guiberto abbate di Nogent)


essendo colpito di frequentissime scomuniche
da Ugone, legato dell' Apostolica sede, uomo
nella difesa della giustizia chiarissimo, perch
soldatescamente dilapidava i tesori della Chie-
sa, finalmente fu da' nobili, dal clero e dai bor-
ghesi (popolo) scacciato dalla sede malamente
occupata, e relegato in perpetuo esiglio. Or es-
sendosi, egli scomunicato, recato dall'impe-
ratore Enrico allora parimente scomunicato,
errando qu e l, alla fine se ne muore senz'es-
sere riconciliato.
CcAPITOLO XI.

RITORNO DI BRUNONE A REIMS : SUO VOTO DI FUGGIRE


IL MONDO E VESTIR L'ABITO MONASTICO.

L A cacciata dello sciagurato Manasse avven-


ne, secondo ogni probabile indizio, nel
I
108 :
perocch, sebbene fin dall'anno antece-
dente il pontefice S. Gregorio VII, confermata
la sentenza del concilio di Lione,gl'ingiungesse
di assolutamente lasciare la sede di Reims,
nondimeno egli tent ancora di mantenervisi
colla forza ; avendo, come consta, soldatesche
a' suoi ordini ; e per qualche tempo vi riusc ;
ma alla fine dovette cedere al giustissimo sde-
gno del clero e del popolo. E dunque probabi-
lissimo che altres S. Brunone non tornasse in
quella citt se non nel medesimo anno 108 ; I
s perch Manasse, finch potette starvi anche
lui, non ne avrebbe tollerata la presenza : s
perch Brunone doveva giustamente temere di
tale uomo.
Trov il clero ed il popolo dispostissimi a
ristabilirlo negli onori che prima godeva; non
solo perch cos voleva giustizia, e il Pontefice
l'aveva ordinato ; ma ancora perch tornando
egli, per cos dire, trionfante in una causa, a
cui tanta parte aveva preso quel clero e quel
popolo,doveva naturalmente trovare nell'uno
e nell'altro favore ancora pi grande di prima.
Per tal ragione il gi mentovato Bollandista
tiene per indubitato che il santo uomo fu resti-
tuito nel suo primiero stato, e forse in migliore.
Qual pot essere questo migliore stato ? S' lecito
esporre ci che ne parve a noi, dopo aver
molto riflettuto su -questo importante punto
della vita di Brunone, diremmo che questo mi-
gliore stato fu nientemeno che l'arcivescovado
stesso di Reims ; con questa differenza per
che ben 'glielo si volle dare, ma egli non l'ac-
cett.
Fa ampia fede di ci uno degli elogi funebri,
che la Chiesa di Reims gli tess alla sua morte :

imperocch vi si dice che godendo egli auto-


rit grande nella citt nostra e la sua perso-
na tornando di conforto e di decoro a' suoi
(cio ai Remensi, de' quali s'era fatto concit-
tadino ; onde, bench nato a Colonia fu det-
to Remense) ; ed essendogli la fortuna per
ogni verso favorevole, si che gi lo preferiva-
no ad ogni altro, e giustamente ; perch era
benigno, perito in ogni arte, facondo, ricco ;
tutto pospose a Cristo ; e seguitando il nudo
Cristo, con molti compagni si ritir nell'ere-
mo t.
Egli stesso, Brunone, narr, nella lettera
che, sul finire della sua vita, scrisse dalla certo-
sa di Calabria al suo amico Rodolfo le Verd,
in che modo venisse in questa risoluzione di
dare un perpetuo addio ad ogni mondana co-
sa per fare acquisto de' beni eterni. Si ricorda
tua dilezione, cos egli, che stando insieme un d
io e tit, e Fulcio Monocolo nel giardino attiguo
alla casa di Adamo, dov ' io allora era ospitato,
parlavamo, par ini, de' falsipiaceri e delle cadu-
che ricche{{e di questo mondo e de' gaudii dell'e-
terna gloria : onde infervorati di amor divino,
facemmo promessa e voto allo Spirito di presto
lasciare le fugaci cose del secolo, e acquistare le
eterne, e prendere inoltre l'abito monastico. Il
che sarebbesi anche quanto prima eseguito, se
allora Fulcio non fosse a1ldato a R0111a ; e dif-
ferimmo fino al suo ritorno. Ma tardando Ful-
cio, e sopraggiunte altre cagioni, il divino a1110-
re illanguid, l'animo si raffredd e il fervore

{ Qui cum multimode nostra polleret in urbe,


Solamenque suis atque decus fieret ;
Cumque faveret ei fortuna per omnia, jamque
H unc praeferremus omnibus, et merito :
Namque benignus erat, omnique peritus in arte ;
Facundusque satis, divitiisque potens :
Omnia postposuit Christo ; nudumque secutus
Christum, cum multis suscipit hunc oremus.
l'il. fun. 52.
svan. Abbiamo qui pertanto la testimonianza
di Brunone medesimo intorno al voto che fece
di fuggire il mondo e rendersi monaco ; e in-
torno al motivo per cui fece tal voto. Il quale
motivo chiaramente indicato nelle soprascritte
parole : e fu di evitar le pericolose lusinghe dei
fallaci beni mondani, ed assicurare l'eterna
salute : resta a vedere il tempo in cui il santo
f tale voto.
Alcuni credono che lo facesse allora quando,
per cagion del tristo Manasse, fu costretto ad
uscire di Reims, ed accettare l'ospitalit del
conte Ebalo, nel castello di Rouci.
Ma tale opinione non pare interamente gius-
ta ; perocch Brunone dice chiaro che era ospita-
to in casa di Adamo, e non del conte Ebaio :
n si sa che nel castello di Rouci ci fosse un
Adamo; il quale sembra che fosse un canonico
anche lui di Reims, o di Parigi, come ad altri
piace: ma pi probabilmente era di Reims, per
la ragione che diremo appresso. Oltre a ci, non
da credere che il conte Ebalo invitasse Bru-
none e i suoi compagni nel suo castello di Rou-
ci, e poi li lasciasse in casa d'altri. Dicemmo
tuttavia soltanto che quest' opinione non ci pa-
re interamente giusta : perch ha senza dub-
bio un lato vero : essendo naturale che in quel
conflitto coll' arcivescovo, in quelle angustie
dell' esiglio, un uomo pio come Brunone par-
lasse della vanit delle cose mondane, dei pe-
ricoli di perdere l'anima, e della somma im-
portanza dell' assicurare l'eterna salute. Ma
altro parlare di queste solenni verit, ed
altro fare voto di fuggire il mondo e nascon-
dersi in un chiostro. N il fare tale voto allo-
ra, mentre ferveva la lotta col traviato Manas-
se, era conveniente perch sebbene potesse
:

farsi con buona ed ottima disposizione d'ani-


mo, sarebbe nondimeno dalla maggior parte
stato preso per un tardo pentimento dell' oppo-
sizione fatta a Manasse e come un ritirarsi dal
campo della battaglia.
E dunque molto probabile che il colloquio
di Brunone con Rodolfo le Verd e con Fulcio
Monocolo, in cui fecero tutti e tre voto di de-
dicarsi, interamente a Dio, sia avvenuto nei
primi giorni del ritorno di Brunone a Reims ;
quando, per essergli stata atterrata la casa
dal violento Manasse, come vedemmo detto
da Guiberto di Nogent, era costretto ad abita-
re in casa altrui. Di pi, certo che quando
Manasse ud che il legato Ugone, nel concilio
di Autun, aveva contro di lui profferita sen-
tenza di sospensione sfog l'ira contro dei
suoi accusatori non solo con atterrarne le ca-
se, ma ancora col privarli delle lor cariche e
prebende ; e diede l'uffizio di professore e ret-
tore delle scuole di Reims a Godefrido, nato
nella citt medesima. Or, senza fermarci a con-
siderare se costui facesse atto regolare e lode-
vole ad accettarlo, sta nondimeno ch' era uo-
mo assai riputato per dottrina ; dicendoci
l'abbate Baldrico, ne' gi citati versi in sua
lode, ch'egli era dottissimo, e che sebbene la
Francia allora fiorisse di studii, tuttavia l'in-
segnamento di Godefrido n'accrebbe ancora il
fiorire ; di guisa che a sciami a lui correvano
i discepoli, e come api si ristoravano del mie-
le di tale padre. Ne esalta inoltre l'ingegno
come pi acuto di quel di Ermanno il seniore,
e di Brunone, stati in quel tempo a quella
medesima scuola di Reims ; onde, sebben
venisse terzo nell' insegnamento, fu nondi-
meno primo per merito, promosso a quella
carica di professore dal principe Manasse,
succeduto a Gervasiol.
1 Nobilis urbs, Romae soror, inquam, et Roma secunda
Te genuit, peperit, promeruitque sibi.
Hasc te doctrin totius nectare fultum
Adscivit studiis, praeposuitque suis.
Gallia tunc etiam studiis florebat opimis,
Florebatque tuo Gallia plus studio.
Ad te currebant examina discipulorum,
Et refovebantur melle parentis apes.
Et tunc Remis erat, Remis quoque Bruno studebat,
Bruno Latinorum tunc studii speculum.
Ipsis temporibus studuitque senex Herimanus
Et mundo studii clara lucerna fuit.
Tu fueras juvenis, fueras et acutiorillis ;
Tertius ergo venis, jam quoque primus eras.
Gervasio princeps, princeps tuus ille Manasses
Successit, qui te promovet ad studium.
Baldrico per avventura eccedette nelle lodi di
Godefrido, come si suol far negli elogi ; ma,
anche ammettendo ci, ad un animo delicato
come quel di Brunone era naturale che ripu-
gnasse di levar di posto Godefrido, persona
rispettabile, per rioccuparlo egli, che n'era sta-
to ingiustamente rimosso, ma senza colpa di
Godefrido. Trovandosi in tal condizione di
cose, non certo straordinario che Brunone
e i suoi amici Rodolfo e Fulcio tenessero un
bel d quel colloquio nel giardino di Adamo ;
e, come accade in simili casi, e Brunone stesso
lo nota, infervorandosi ne' pensieri e proposi-
ti di porre ad ogni costo in sicuro l'eterna sa-
lute, facessero voto di dare un perpetuo addio
a' fallaci beni di questa terra, che a s misero
fine avevan condotto Manasse. Ma il voto non
fu subito adempito ; perch, dice Brunone, Ful-
cio and a Roma, e per altre sopraggiunte
cagioni. Quali poterono essere queste ? Non
crediamo andar lontani dal vero, dicendo che
l'umile uomo in esse accenna copertamente al
commuoversi del clero e del popolo di Reims
in suo favore, per elevarlo a quella sede arci-
vescovile. Ma egli non acconsent a tali pro-
positi ; perch non voleva aver aria d'essere
stato mosso da secondi fini nell'opporsi a
Manasse ; ed anche pi perch teneva vali-
dissimo il voto fatto poc'anzi. E senz' aspet-
tare che Rodolfo si risolvesse, e che Fulcio
tornasse da Roma, si dispose ad attener la pro-
messa fatta allo Spirito santo ; cio a lasciare
ogni ricchezza e dignit che avesse in Reims,
per recarsi altrove a vestir l'abito monastico.
Noi crediamo altres che il santo uomo par-
tisse da Reims in quel medesimo anno 108 o I,
al pi tard "nel 1082, per la seguente ragione.
E certo che esso and al deserto della Certo-
sa di Grenoble per la festa di S. Giovanni
Battista dell' anno 1084 certo ancora che,
:

prima di cominciare cost vita eremitica, fu


monaco a Secca Fontana ed a Molesme, sotto
la direzione dell' abbate S. Roberto quind bi-
:

sogna necessariamente dire che lasciasse Reims


almeno un due anni prima che andasse a sep-
pellirsi tra le nevi ed i ghiacci di quegli or-
ridi monti. Non dovette per partire inconta-
nente dopo fatto il voto ; s perch i cittadini
di Reims non glielo avran consentito ; e s
perch avr voluto concedere qualche po' di
tempo a Rodolfo per decidersi ad accompa-
gnarlo nell'adempimento del voto, ed a Fulcio
per tornare da Roma. A fargli per troncare
gl'indugi, sopravvenne cagione, che giova no-
tare. Dicemmo che Brunone, quando per le
violenze di Manasse dovette andare esulando
da Reims, non giacque punto inoperoso ; e che
il suo zelo lo spinse ad adoperarsi per il bene
di altre diocesi. Fra queste vuolsi porre Laon ;
di cui era vescovo Elinando. Or da sapere che
questo prelato venuto su dal nulla, per prote-
zione di Gualtero conte di Pontoise, nel cui
territorio aveva sortito i suoi umili natali, di
semplice cappellano del re d'Inghilterra era
diventato vescovo di Laon, per simoniaco fa-
vore del re di Francia Enrico I, molto cupido
e avvezzo alla vendita de' vescovadi, come di-
ce il cronista che qui seguitiamo, Guiberto di
Nogent. E, perch ambiziosissimo, non bastan-
dogli la sede di Laon, brigava per quella,
molto pi insigne e pi ricca, di Reims, lascia-
ta vuota dall'espulso Manasse. Con lo stesso
mezzo detto di sopra, l'ottenne : stando in In-
ghilterra, a que' d fiorente per infinite ricchez-
ze, aveva potuto accumular tanto da saziare
la cupidigia del re Enrico. Ma sebben queste
brutte cose non si facessero con impudente no-
toriet, non era tuttavia impossibile, n gran-
demente difficile il saperle a personaggi abili,
qual era Brunone, per altezza di grado ed es-
perienza d'affari, a conoscere certe circostan-
ze de' fatti, ignote al volgo, s che Brunone e i
suoi amici, sentendo questo nuovo scandalo
d'un prelato che, dopo il s fresco e s funes-
1

1Vuol tuttavia giustizia che si dica, Elinando aver imitato


Manasse solamente nell' ambizione e nell' illecito modo di
appagarla. Siccome pensava, dice ancora di lui il citato cro-
to caso di Manasse, osava venirsene a Reims
per via si storta, ed occupare in s indegno mo-
do la cattedra di S. Remigio edi tanti altri santi
arcivescovi, pi non poterono, come suol dirsi,
tenersi alle mosse : e Brunone part per adem-
pire il suo voto, mentre Fulcio andava a Ro-
ma, forse per informare il pontefice di quella
nuova corrotta elezione. Infatti Gregorio VII
intim ad Elinando di tornare a Laon : siccome
-
fece sul finire del io83, dopo aver tenuta la se-
de di Reims circa due anni.
Brunone non part per di soppiatto : atteso-
ch, secondo un'antica tradizione, dice un
de' moderni scrittori della sua vita1, prima di
dare un perpetuo addio al mondo, volle salire
un'ultima volta il pergamo, per congedarsi
dal clero e dai fedeli della Chiesa di Reims ; di

nista, che non avrebbe potuto far valere la sua persona per
nobilt di parentela e scienza di lettere, aveva poste le sue
speranze nella ricchezza; che grande aveva, e cui aveva im-
parato a spendere cautissimamente. Si volse pertanto ad ab-
bellire e fabbricar chiese; ma sebbene paresse far molte cose
per Dio, mostrava nondimeno per chiarissimi segni che con
ci non altro cercava che favori e rinomanza. Con queste
medesime arti giunse ad occupare l'arcivescovado di Reims...
Chiedendogli taluno ; perch cos facesse ? Rispose chiaro
che, se avesse potuto, sarebbesi fatto ben anco papa.
Col povero Elinando veramente il caso di esclamare : Che
ci giov la superbia, il vanto delle richene ? Sap. v. Oh quan-
to avrebbe fatto meglio ad imitare Brunone Questi, che cer-
!

c l'umilt della Croce, trov con essa l'eterna gloria : quegli


colla sua ambizione raccolse disprezzo. Contritionem prcece-
dit superbia. Prov. xvi.
i V. Berseaux, L'Ordre des Chartreux, etc.
cui era stato il sostegno, e n'era divenuto la
gloria. Alle prime sue parole, si not il nuovo
spirito ond'era animato. Invece di entrare, co-
me in altri tempi, nelle sottigliezze della scuo-
la, e studiarsi di penetrare nelle profondit del
domma, avendo l'animo ripieno delle sue fa-
vorite meditazioni, non parl che della rinunzia
alle vanit del mondo. E comment la massi-
ma, che aveva adottata per sua ; cio le paro-
le di cui David, bench re, faceva echeggiare
le volte del suo palazzo : Annos ceternos in
1nente habui... Ecce elongavi fugiens, et mansi.
in solitudine. Ebbi in mente gli anni eterni....
Ecco ch'io fuggirei lontano, e me ne starei nella
solitudine. Salm. LXXVI6 LIV. Egli parl con tanta
forza, unzione e potest, e il suo dire fece s vi-
va e profonda impressione, che alcuni de' suoi
uditori si porsero pronti a seguirlo. La storia
cita fra gli altri Pietro e Lamberto ; che cos
tennero il posto di Fulcio e Rodolfo.
CcAP TITOLO XII.

PARTENZA DI BRUNONE DA REIMS : UN TERRIBILE AVVENI-


MENTO GLI FA TRONCARE OGNI INDUGIO ALL'ADEMPI-
MENTO DEL VOTO : S. ROBERTO LO RICEVE IN MO-
LESME.

p ARTENDO da Reims, Brunone rivolse i passi


verso Parigi, se star vogliamo alla mag-
gior parte degli scrittori della sua vita. E
v'ha fin chi dice che vi andasse professore,
invitato dal re di Francia, Enrico I sopra men-
tovato. Che v'andasse per invito di questo
re, non sapremmo dire ; perocch uomo che
si curava poco di religione e di scuole, e nella
vita era per molti lati un degno antecessore
di Luigi XV. Pu per altro ottimamente am-
mettersi che ve lo chiamassero il vescovo di
Parigi, e i reggitori di quella scuola, quando
seppero che la scuola di Reims era nelle mani
di Godefrido. Cio stando, probabile ch'egli
accettasse, per ubbidire alla chiamata d'un
vescovo, e perch si trattava d'un uffizio a lui
caro, che gli porgeva modo di operare del bene
in luogo a lui grato per antiche memorie di sua
giovinezza. Quindi, bisogna dire che questa
fosse una delle sopraggiunte cagioni, da lui ac-
cennate nella sua lettera a Rodolfo le Verd, che
produssero l'indugio all'adempimento del voto.
Era allora Brunone nell'et di circa cinquant'
anni; ventidue de'quali aveva passati inReims,
nell'uffizio di canonico teologo da prima, e poi
anche di cancelliere : era pertanto ancora in
tale vigore che stando all'ordinario corso delle
umane cose, poteva promettersi tanto di vita
da affezionarsi alla nuova scuola. E veramente
pare che alcun che di simile ricavare si possa
da quelle parole della sua lettera a Rodolfo le
Verd, nelle quali, parlando indistintamente di
s e de'suoi amici, dice che, per altre sopravve-
nute cagioni, il divino amore s'era illanguidito
ne' loro cuori ed era svanito il fervore, con cui
avevano nel giardino di Adamo fatto voto di
abbandonare il mondo. Ma il Signore Iddio,
che sopra del suo servo aveva altri disegni,
colla voce d'un terribile fatto lo richiam ai
primieri propositi.
Venne a morte un dottore ; al quale, per la
1

buona riputazione che godeva di scienza e d'in-

1 Secondo alcuni, chiamavasi Raimondo Diocres : secondo


altri, Anastasio ; ed anche Anastasio Raimondo Diocres : ma
il nome di Anastasio, che vuol dir risuscitato, probabil-
mente gli fu aggiunto appresso.
gegno e per una certa gravit di costumi, si
apparecchiavano esequie, quali si convenivano
al suo grado ed al suo merito : ma oh quanto
vanno soggetti ad errare gli umani giudizi Co-
!

lui che agli occhi degli uomini appariva degno


di stima e di riverenza, a quelli di Dio era un
peccator riprovato. Egli stesso, cos disponen-
do Iddio per salutare ammonimento degli altri,
ebbe a manifestarlo in lugubre modo. Concios-
siach mentre si stava recitando intorno al suo
cadavere l'uffizio de' morti, al pronunziarsi
delle parole, con cui il profeta (Giobbe, XIII),
non sapendosi reo delle colpe di cui l'accusa-
vano gli uomini, chiede a Dio che gliele fac-
cia conoscere : Responde mihi : Quantas habeo
iniquitates et peccata, scelera mea et delicta
ostende mihi : eccolo levarsi a met persona sul
feretro, e con aspetto e con voce da gelare il
sangue a quanti eran presenti, esclamare : Per
giusto giudizio di Dio sono accusato, sono giu-
dicato, sono condannato ! E ricadde morto, per
non rialzarsi pi. Chi pu dire l'effetto del
ferale avvenimento, sovratutto in coloro che
ne furono testimoni oculari, e poi in tutta la
citt, per la quale subito ne corse la trista no-
tizia ? Di Brunone non certo che fosse pre-
sente al fatto ; ma se, per l'innata gentilezza e
bont del suo animo, e pi ancora per il suo
vivo e profondo sentimento di fede e piet cris-
tiana, n'avrebbe provata acerbissima pena, qua-
lunque fosse la persona che ne fu lo sciagurato
soggetto, quanto pi se ne dovette affliggere,
trattandosi d'un dottore suo conoscente ed
amico, anzi stato gi, per quanto ne parve a
taluno, suo maestro Ahim ! Ahim ! diceva
!

atterrito, angosciato : se va dannato tale che


pareva modello di vita cristiana, che sar di me
misero peccatore? O mio Dio, piet, piet della
povera anima mia ! E buon per me, che m' a-
vete tollerato finora; e son tuttavia in tempo di
rivolgermifinalmente a voi, o mio Signore di
misericordia infinita, e riparare i falli, che pur
troppo ho commessi. Mondo ingannatore,pii non
mi tratterrai ; ina serica indugio, dato unperpetuo
addio a vani e fallaci tuoi beni, me ne fuggir
alla solitudine, per servire a Dio, e pensare all'
acquisto de beni che non ingannano, e dureranno
per sempre : Annos aeternos in mente habui...

!
Ecce elongavi fugiens, et mansi in solitudine.
E volgendosi a' suoi amici, Deh si, miei ca-
ri, diceva loro con gran fervore ; deh ! si, fug-
giamo, fuggiamo da questo mondo cos vano e
traditore : cerchiamo una solitudine : dove, mor-
ti a noi stessi e a tutto ci che non Dio, o non
serve al suo amore ed a salvare l'anima nostra,
possiamo fare frutti degni di penitenza, e pre-
pararci a comparire al tribunale del terribile
giudice che giudica le stesse giustizie.
Pietro e Lamberto', gi suoi discepoli, ed
ora suoi amici e degni compagni, incontanente
acconsentirono alla sua proposta ; attesoch
il fatto del dottore, risuscitato per dire ch'era
dannato, li aveva riempiti di non minore spa-
vento ; e tutti tre insieme uscirono di quella
citt, vogliam dire Parigi ; nella quale le lusin-
ghe del vizio, e gl'incentivi e i mezzi di corru-
zione gi abbondavano fin d'allora pi che
altrove. Odasi infatti come ne parla Pietro Cel-
lense, nella sua epistola 6ia O Parigi, dice,
luogo di delizie, vivaio e campo di primizie, quan-
to sei atta a cogliere ed ingannare le anime ! In
te reti de ' vi\i, in te trappole de' peccati, in te la
saetta d'inferno trapassa il cuore degli stolti.
Non pu nelle grandi citt, ancorch tra esempi
di grandi virt, evitarsi la villosit di molti2.

1 A dire il vero, se costoro accompagnarono Brunone nel


partire da Reims, e se Brunone in questo tempo accett di
andar professore a Parigi, a prima vista non s'intende co-
me si trovassero anch'essi cost, pronti ad accompagnarlo
di nuovo nella solitudine. E sta bene : ma pur vero che
in questa parte della storia compariscono questi due perso-
naggi, e che poterono trovarsi pronti ad accompagnare Bru-
none nella solitudine per essersi fermati ancor essi a Parigi.
Niente poi vieta di credere che il fatto del morto dottore av-
venisse poco tempo appresso che Brunone aveva accettato
di insegnare in quella scuola.
2 Intorno a questo avvenimento molto si scrisse pro e con-

tro, specialmente nel secolo XVII ; n accade che noi qui ri-
petiamo quella storica disquisizione, che si pu vedere am-
piamente trattata ne' Bollandisti, 6 ottobre, e nella Storia
Cartusiana del P. Benedetto Tromby, Certosino. Questi con-
chiude con ammettere francamente la verit del fatto, e ris-
Correva l'anno 1082, quando Brunone e i
suoi due compagni lasciarono Parigi, con quel-
la medesima sollecitudine e disposizione d'a-
nimo, con che altri fuggirebbe da luogo infet-

ponde alle difficolt de' contraddittori ; fra cui segnalossi


l'ipercritico Launoy. I motivi di niegarlo pare che in sostan-
za si riducessero al dispiacere che i dottori di Sorbona aveva-
no che ad un loro antico predecessore fosse toccata si brut-
ta sorte; e tanto dissero e fecero che il pontefice Urbano VIII
permise che fosse tolto dalle lezioni storiche del divino uffi-
zio per la festa di S. Brunone. Dal che per non vuolsi pun-
to dedurre che a Roma si tenesse quel racconto per falso ;
perocch si addusse anzi la ragione, che lo si togle, non
perch lo si credesse favoloso, ma perch, in quelle si brevi
biografie de' santi, si usa riferirne gli atti, e non le cagioni
dell'istituire i loro ordini. Colle quali parole, come si vede,
si viene anzi a ribadire la verit del fatto. E in quelle lezio-
ni si tolse anche la professione di fede, che S. Brunone fece
in morte : e sulla quale non cade dubbio. Che se S. Bruno-
ne, ed altri scrittori contemporanei, non ne parlano, si
spiega facilmente il loro silenzio dicendo che ne tacquero pri-
ma perch era cosa abbastanza nota, e perch era bello il
tacerne. Al silenzio per di S. Brunone supplisce la costante
tradizione che se n' conservata nell' Ordine Certosino ; e
quella lacuna degli scrittori contemporanei largamente
compensata dalle formali affermazioni di molti altri scrit-
tori posteriori di poco. Ben si sa che gli scrittori posteriori
possono parlare con molto maggior libert e franchezza
che non i contemporanei. Del resto, i Bollandisti medesimi,
che in varii luoghi mettono la cosa in dubbio, finiscono
con ammettere il fatto, purch spoglio delle spettacolose
circostanze che la fantasia poscia v'aggiunse. E certamente
gi abbastanza grave, bench accaduto semplicemente
nella privata casa del dottore, alla presenza degli eccle-
siastici che gli recitavano l'uffizio de' morti ; n v'ha alcun
bisogno di credere che avvenisse pubblicamente in chiesa, in
tre giorni distinti, con sempre crescente moltitudine di
spettatori esterrefatti ; e che da ultimo un turbine ne portas-
se via anche il corpo. Anzi par pi probabile che lo sciagu-
rato defunto si levasse una volta sola dal feretro, e in una
volta sola pronunziasse le terribili parole che pronunzi. Ad
to e pestilente. E perocch a que ' d Brunone
non aveva ancora n la regola n il luogo della
nuova vita che imprendere voleva, s'avviaro-
no al monastero di Molesme, dov'era abbate
S. Roberto ; non tanto per mettersi nel novero
de ' suoi discepoli, quanto per fare come un
esperimento delle lor forze, e averne consiglio
e direzione : perocch era, S. Roberto, celebre
per la sua eminente virt e sapienza nell' in-
dirizzare le anime nelle vie della perfezione
cristiana. Prima di partire da Parigi, essi ave-
vano dato sesto a' temporali loro affari, come
persone che non se n'avevano a impacciare
mai pi ; al quale scopo anche avevano distri-
buto a' poveri quelle poche sostanze che lor
rimanevano, per essere sciolti e liberi a non
cercare n possedere pi altro che Dio ; onde
della vita monastica gi avevano, se non l'a-
bito, certamente lo spirito. N senza alto consi-
glio Iddio guid i passi di Brunone alla casa
del fondatore dell'abbazia di Molesme e dell'
Ordine di Cistercio, S. Roberto imperocch da
:

ogni modo, niuno dir tale fatto impossibile, insolito, scon-


veniente. Impossibile certo non fu ; n pure insolito : per-
ch, se ben si osserva, in tutte le fondazioni di Ordini
religiosi si trovano cose straordinarie ; e la storia di simili ri-
surrezioni ne conta parecchie. E chi mai potr dirlo scon-
veniente? Esso di quei fatti, che Iddio dispone per salutare
terrore ; e in que' tempi, pur troppo molto corrotti dal con-
cubinaggio e dalla simonia, fu per molti una voce della divi-
na misericordia.
lui, e da altro santo uomo, di cui fra poco, egli
prese la sostanza delle regole certosine ; onde
giova che di entrambi diamo una breve con-
tezza.
Nacque S. Roberto nella Sciampagna, verso
il 1020, di- ricchi e nobilissimi genitori, Teo-
dorico ed Ermengarda. Prima che venisse alla
luce, apparve, dicesi, la SS. Vergine a sua ma-
dre, dandole a vedere che con un anello d'oro
stringeva a s il figliuolo, che di lei doveva
nascere ; e che poco tard a mostrare in che
modo s'aveva ad intendere la visione, di quin-
dici anni conscrandosi a Dio, nel monastero
Benedettino di Moustier-la-Celle, presso a
Troyes. Modello di regolare osservanza, fu qui-
vi fatto priore in molto giovane et ; e poco
appresso mandato a reggere il monastero di
Tonnerre, nella diocesi di Langres ; il quale,
per esservisi grandemente rilassata la discipli-
na, aveva bisogno di un buon riformatore. Ma
poich questi monaci, non desiderando rifor-
ma, resistevano alle sante sue cure, dopo qual-
che tempo, vedendo che indarno s'affaticava,
imit il suo santo patriarca, e torn al suo pri-
mo monastero. Poco per pot fermarvisi, ve-
nendo eletto a reggere la cella1 di S. Argulfo.

4 noto che, specialmente nell' ordine Benedettino, chia-


mavasi cella un piccolo monastero dipendente da altro
maggiore.
Vicino a questa, nella selva di Colon, viveva-
no alcuni romiti, senza regola fissa n casa co-
mune ; i quali, venuti nel salutare pensiero di
ridursi in comunit, e abbracciar la vita mo-
nastica sotto un buon direttore, s'accordarono
di chiamare a tale scopo S. Roberto. E poich
la loro intenzione era schietta, per ottenerla
ricorsero al papa Alessandro II, supplicandolo
d'indurre l'abbate di Celle, Guarino, a dargli
quell'ubbidienza. La cosa ebbe effetto Rober-
:

to venne, e sotto la sua disciplina la nuova co-


munit prosper. Sette erano que' romiti ; ma
in breve tempo crebbero a gran numero ; e,
quel che pi vale, fiorirono d'ogni religiosa
virt ; uno di essi merit l'onor degli altari ; e
fu il B. Alberico. Allora S. Roberto cerc luo-
go pi acconcio a' bisogni della nuova fami-
glia ; e trovatone uno, nella diocesi di Langres,
che gli parve il suo caso, vi si ferm nel 1075.
Con rami e stuoie vi fece alcune cellette ed un
oratorio dedicato alla SS. Vergine; e questo fu
il principio dell' abbazia di Molesme, levatasi
poscia a tanta celebrit, e dopo otto secoli di
vita gloriosa, bruttamente soppressa da' mo-
derni perturbatori di Francia. Il vitto di quei
ferventi religiosi corrispondeva alla povert
della loro dimora ; consisteva in pochi legumi,
coltivati di loro mano, e bene spesso con frut-
to si scarso, che talora mancavano del neces-
sario. Passando di col Ugo vescovo diTroyes,
e sul mezzod fattovi sosta per la refezione, se
n'ebbe a tornar via digiuno, non avendo essi
che dargli. Edificato ditale spirito di povert,
mand loro un carro di pane e di drappi. Mi-
sero a dirsi Questi medesimi religiosi; per lar-
!

gizioni generose di pii personaggi, cresciuti in


abbondanza di temporali ricchezze, perdettero
i tesori dello spirito :
abbandonata la santa
osservanza, si diedero al lusso e, chi lo crede-
rebbe ? ai bagordi. Accorato di tal cambia-
mento, e tentata indarno ogni prova di por
rimedio a s grave disordine, S. Roberto
abbandon que' monaci, e pass in un vicino
monastero, che in breve tempo lo elesse supe-
riore. Se non che, desiderando egli vivamente
di far rifiorire la monastica disciplina in tutta
la sua perfezione, lasci altresi questo mo-
nastero ; e, avutane facolt dal pi volte lodato
Ugone, legato della S. Sede, e da Eude duca
di Borgogna, con alcuni ferventi compagni
prese stanza in un deserto della diocesi di Ch-
lons, ch'era una boscaglia irta di spine : e co-
struite alcune rozze capannucce di legno, vi
cominciarono la lor rigorosa osservanza il d 2I
di marzo (sacro a S. Benedetto) dell'anno Iog8.
A preghiera del legato, che trov eccessiva la
povert di que'santi religiosi in quello sterile
luogo, il duca di Borgogna f loro terminare le
celle di legno e mand soccorsi di viveri e di bes-
tiami; e cos ebbe principio il famoso ordine di
Cistercio, che tanta gloria dovea ricevere da S.
Bernardo di Chiaravalle. Questo grand'uomo,
onor del suo secolo, entr a Cistercio nel
l'anno 1113, in compagnia di altri trenta no-
bili giovani da lui tolti alle vanit mondane,
evi f ricevuto dall'abbate S. Stefano Arding,
successore del B. Alberico ; a cui S. Roberto
aveva affidata la direzione del novello mona-
stero, quand'egli dovette tornare a Molesme,
i sui monaci, pentiti de' lor traviamenti, ave-
vano impetrato dal papa che l'obbligasse a
tornare da loro. Ubbid egli da vero umile ;
ma il suo cuore rest a Cistercio ; come si pu
vedere dalle tenerissime lettere, con cui procu-
rava di consolarne i religiosi dolenti d'averlo
perduto. Troppo dolore io vi recherei, dice in
una di esse, se la mia lingua potesse servire di
penna, le mie lagrime d'inchiostro, il mio cuore
di carta. Questo cuore va seccando dopoch
diviso da voi ; se per pot esserne diviso :
perocch la lontananza non divide punto quelli,
che la carit di Cristo tiene congiunti. Abbia
Molesme la presenta del mio corpo, poich
cos comanda l'ubbidienza ; Cistercio avra sem-
pre i desiderii delfan1na mia, che non cessa
d'essere con voi. Pregate per lei. Vi saluta il
corpo assente. S. Roberto mor a Molesme
nel anno ino; e il Romano Martirologio ne
fa memoria al 29 di Aprile.
Con tale uomo and a consigliarsi Brunone,
seguito da' suoi amici e discepoli Pietro e Lam-
berto, e ne fu benignamente ricevuto in quel
monastero di Molesme ; ma essendosi proba-
bilmente abbattuto nel tempo che i confra-
telli di S. Roberto cominciavano a rilassarsi, il
santo abbate stim opportuno di mandarlo
al monastero di Secca Fontana, che allora ap-
punto stava sorgendo, nella diocesi di Langres.
Dicesi anzi che Brunone e i suoi due compa-
gni partecipassero alla sua erezione, curando
sovratutto l'edificazione della chiesa. Quivi
pass Brunone alcun tempo, probabilmente
l'anno io83 e parte del 1084; ma, poco ap-
presso ne usc, per ritirarsi altrove, come ve-
dremo I.
1 Alla morte di S. Brunone, i Benedettini di Molesme
fecero la seguente risposta a' Certosini di Calabria, che loro
ne avevano mandato l'annunzio. Finito il suo tempo, Bru-
none lascia il corpo : finch fu su questa terra, la sua vita
piacque a Dio. Coloro che il possono l'aiutino, acciocch ab-
bia la pace e la luce sempiterna. Mandando anche noi, che
abitiamo a Molesme, alcuni versi a voi che siete alla Torre
(cio alla Certosa di S. Maria della Torre), vi notifichiamo
che per il signor Brunone, vostro patrono, e familiarissimo
nostro, celebreremo solenni messe per trenta giorni ; ed ab-
biamo altresi scritto il giorno anniversario della sua morte
nel catalogo de'nostri fratelli Tit. fun. 40, S. ll1.ari Mo-
lismensis.
CoATITOLO XIII.

BRUNONE, CONSIGLIATOSI ANCORA CON S. STEFANO DI


MURETO, S'AVVIA A GRENOBLE ; ACCOGLIENZA
CHE VI HA DAL VESCOVO S. UGO.

s ECONDO ogni apparenza, il motivo per cui


Brunone lasci Molesme e Secca Fontana,
fu desiderio di maggior solitudine e pi rigida
austerit. Per risguardo alla solitudine, si ca-
pisce che n a Molesme n a Secca Fontana
non fosse quale egli la cercava : perocch es-
sendo luoghi della diocesi di Langres, limitro-
fa a quella di Reims, avrebbe avuto frequenti
visite de' suoi conoscenti, amici, discepoli, che
cost gli restavano ; anzi verosimile che al-
cuni di essi, mossi dal suo esempio, si mossero
ad aggiungersi a' suoi compagni Pietro e Lam-
berto, nel proposito di fuggire il mondo per
assicurare la salute dell' anima. Or quelle vi-
site, se da un lato lo consolavano, dall'altro
lo disturbavano ; perch la disposizione del
suo animo allora era veramente, qual fu poi
sempre in appresso, di nascondersi al mondo
in guisa, che nulla pi si sapesse de' fatti suoi.
Cos ne pare che sia da intendere quello che
di lui disse il pi volte citato cronista, Gui-
berto di Nogent ; cio ch'esso aveva in orrore
di essere ancora conosciuto da' suoi.
La cosa riesce alquanto pi difficile rispetto
all'austerit ; attesoch vedemmo che, con S.
Roberto, questa non mancava ; ma (senza con-
tare quel che per altro vuol essere sopra tutto
contato, vale a dire che i passi dei santi, spe-
cialmente de' fondatori di salutari istituti, son
guidati da particolar provvidenza di Dio) il
genere di vita che si teneva a Molesme ed a
Secca Fontana, per avventura non corrispon-
deva a' disegni, che Brunone meditava in cuore
suo. Ed certamente credibile che S. Roberto
lo confortasse a seguitare la voce di Dio, che
lo chiamava per altro cammino ; attesoch
egli medesimo, S. Roberto, non era contento
n di Secca Fontana n di Molesme; e pass
poscia a Cistercio. Per il che Brunone, gi
fermo per s stesso nel proposito d'una gran
penitenza, e infervorato anche pi dallo spi-
rito e dagli esempi di S. Roberto, che seria-
mente cercava la religiosa osservanza in tutta
la sua perfezione, abbandon Secca Fon-
tana, e si rec nella diocesi di Limoges :
dove un altro sant'uomo aveva poc'anzi fon-
dato un monastero di rigidissima disciplina.
Era questi S. Stefano di Mureto, fonda-
tore de' Granmontini ; ed egli fu, pare a noi, il
romito, che qui apparisce sulla via di Brunone
per indirizzarlo alla solitudine della Certosa.
E ben n'era degno ; perocch ecco in che modo
e con che regole egli fond il suo istituto. Nato,
di nobilissima famiglia, l'anno 1046, in un
castello dell' Auvergne inferiore, detto Thiers,
venne, ancor giovanetto in Italia, in compa-
gnia di suo padre, che aveva un voto da scio-
gliere ; e caduto infermo per via, dovette fer-
marsi presso Milone,arcivescovo di Benevento,
suo compatriota ; che di buon animo il tenne
suo, e l'ammaestr nelle lettere e nella piet.
Avuta occasione di conoscere la santa vita
d'una casa di Benedettini nella Calabria, se
ne invagh, e volle seguirli ; ma noi pot su-
bito, perch da Benevento dovette recarsi a
Roma, dove stette col papa Alessandro II,
sempre col proposito di fondare un Ordine
monastico, sotto la regola di S. Benedetto, con
quel rigore di osservanza che aveva visto
in, Calabria. Ma il papa non gliene diede la
licenza, perch gli pareva troppo delicato ; egli
nondimeno persever,finch poi l'ebbe da Gre-
gorio VII, edificato, maravigliato di sua cos-
tanza. Lieto torn in patria, a casa sua ; nella
quale i parenti, benedicendo Iddio che lor
l'avesse ridonato, tentarono ogni maniera di
ritenerlo ; ma egli fugg di nascosto ; e, cercati
varii luoghi, alla fine si ferm a Mureto, presso
a Limoges. Quindi il suo nome, di S. Stefano
di Mureto ; sul quale nondimeno prevalse,
per la congregazione da lui fondata, quel di
Grandmont ; per la ragione che qui essa si
trasport nel 1124, sotto il priorato di Pietro
Lemovicano. Il suo esempio e gli ammaestra-
menti a viva voce furono la prima regola.
Esatta ubbidienza ; povert somma ; l'ammi-
nistrazione delle cose temporali, indispensabili
alla vita, lasciata a' laici ; perpetuo silenzio ;
continuo digiuno, dal 14 settembre a Pasqua;
carne non mai, n pure a' malati ; assoluto di-
vieto alle donne d'entrar nel recinto ; novizi
ricevuti solo a' vent'anni. Dopo mezzo secolo
;
d'austerissima vita, mor nel I124 e la Chiesa
ne scrisse il nome nell'albo de' santi, sotto il
d 8 di Febbraio. Egli era nell'et di circa qua-
rant'anni, quand'ebbe la visita di S. Brunone,
che cercava consiglio e forma di vita eremitica:
e vuolsi dire che la visita non fu vana ; poi-
ch troviamo che le regole e il tenordi vita dei
Certosini sono conformi a quelle introdotte da
S. Stefano di Mureto. Ci posto, vuolsi dire
inoltre che Brunone, trovandone l'istituto di
suo genio, avrebbe potuto fermarsi col mede-
simo S. Stefano ; ma noi fece perch col
non trov per anco la solitudine ch'egli desi-
derava ; perch, com' rimasto in memoria,
e
S. Stefano lo consigli a cercare questa in
qualche deserto, dicendogli: Ecce elongavifu-
giens, et n1ansi in solitudine. Bruno ne s'attenne
a questo consiglio ; e, com' probabile, prima
di eseguire la presa risoluzione, torn nella
diocesi di Langres per conferirne un'ultima
volta con S. Roberto, e co' compagni che
l'aspettavano a Secca Fontana. Imperocch
molto verosimile che quivi egli trovasse i sei
compagni, co' quali s'avvi al deserto ; e che
ci erano venuti e si mostravano disposti a
seguirlo nella solitudine, forse perch ancor
essi santamente, come lui, atterriti del lugubre
fatto del dottor di Parigi. Erano sei ; due ca-
nonici regolari di S. Rufo' presso Avignone,
Stefano entrambi di nome ; uno nativo di
Bourg, l'altro di Die ; Lauduino, di Lucca,
in Toscana, di casa Bartolonlei, dottore e
gran teologo, al dire di alcuni scrittori della
vita di S. Brunone; Ugone,detto il cappellano;
e due conversi, Andrea e Guarino. Non
strano che anche un Italiano si trovasse col ;
poich, come vedemmo, alla scuola di Reims
s'accorreva anche da lontani paesi ; e forse

1II convento di S. Rufo, presso Avignone, era come la casa


madre di questa Congregazione ; onde i suoi membri chia-
mavansi di S. Rufo,anche senza appartenere a quel convento.
Erano canonici regolari, di regola Agostiniana.
Brunone stesso era stato maestro di questo
Toscano. Pietro e Lamberto, che avevano fin
qui seguito Brunone, non lo seguirono al de-
serto, chiamati da Dio ad altri uffizi. Pietro
fu poscia abbate di un convento di canonici
regolari, detto di S. Giovanni delle vigne, nella
diocesi di Soissons ; e Lamberto abbate di un
altro monastero, detto di Poultires, nella dio-
cesi di Langres. Ma sebben separati della per-
e
sona, in parte diversi nell'esterior forma della
vita, serbaronsi nondimeno a lui congiunti di
spirito e di affetto, secondoch dimostrarono in
occasione della morte dell'antico loro maestro,
rispondendo a Certosini di Calabria a nome
proprio e degli altri canonici della rispettiva
loro abbazia. Udito, dice Pietro, il beato fine del
santo vostro Padre e maestro mio Brunone,
dalla cui bocca ebb molte volle a ricevere le ac-
que della sana dottrina, sebbene poi non le ho
messe in pratica, ecc. E Lamberto : Io Fra
Lamberto, per dovere di apostolica ubbidienza
servo ed umile reggitore di questo monastero
di Poultires (PultariensisJ, discepolo dell'esi-
mio maestro Brunone, fin da' primi miei anni
di vita nel secolo, nella scienza delle lettere
e negli ammaestramenti della vita cristiana
e della vera religione, volendo far memoria
del medesimo nostro piissimo padre e maestro,
ecc.
Di Pietro e Lamberto pu a un dipresso dirsi
quel medesimo che di Rodolfo e di Fulcio;
ch'ebbero cio da Nostro Signore l'invito per
gli alti gradi della perfezione, ma non ebbero
il coraggio di affrontarne le fatiche e le diffi-
colt, e si tennero nei gradi inferiori, come quel
giovane di cui parla il Vangelo. Marc. x. 17.
Avendo egli risposto che fortunatamente aveva
in sua vita osservati i comandamenti. Gest lo
guard con affetto, e gli disse : Una sola cosa
ti manca ; va, vendi quanto hai, e dallo a' poveri,
e avrai un tesoro nel cielo ; e JJiefZL e segu lne.
A questa parola rattristato colui., se ne and
sconsolato ; perch aveva 1nolte possessioni.
Pietro e Lamberto furono alquanto pi gene-
rosi di Fulcio e Rodolfo : ma solo Brunone
con i suoi nuovi compagni tenne fedelmente
l'altissimo invito. Abbiamo qui un altro indizio
dello straordinario fervore di questo drappello
di elettissime anime ; a cui non bastavano
le comuni pratiche di religiosa osservanza,
quantunque austera, ma aspiravano ai pi
forti rigori della penitenza e a tale unione con
Dio, che nulla valesse a distrarneli. Con questo
proposito, preso commiato da S. Roberto,
con cui gi s'erano consigliati del luogo ove
rivolgere i passi, si posero in via verso Gre-
noble.
CcAPITOLO XIV.

S. UGO VESCOVO DI GRENOBLE : ACCOGLIENZA CHE FA


ABRUNONE E AI SUOI COMPAGNI.

Due furono i motivi di questa scelta del


sito prima perch ne' monti del Delfinato, nel
:

cui territorio la or detta citt, v'erano de-


serti, confacentisi al loro bisogno ; poi perch
il vescovo di Grenoble era un sant'uomo,
molto amico de' religiosi : e Brunone ben lo
conosceva, poich fama che l'abbia avuto
alla sua scuola di Reims. Ugo (od Ugone che
dir si voglia1, cos egli chiamavasi) di Chteau-
neuf, presso Valenza nel Delfinato, nacque l'an-
no 1052, di nobili genitori, che posero ogni cura
di saviamente educarlo ; e n'ebbero felicissimo
guiderdone; prima col dare un gran santo alla
Chiesa, e poi col ricevere, nella vecchiezza,
il contraccambio delle sollecitudini, che essi
avevano avuto di lui giovanetto. Imperocch,
1 di quei nomi che han doppia terminazione, egual-
mente usata. Cos anche Brunone, che da altri si dice sem-
plicemente Bruno.
suo padre, che aveva nome Odilone, ed era
militare, a persuasione del santo figliuolo, dis-
prezz con tanto fervore il secolo, che, non
badando alla sua vecchiezza ( aveva circa
ottantadue anni), non dubit di abbracciare
la dura vita della Certosa. Nella quale visse
altri diciotto anni in tanta sobriet ed umilt
ch'era carissimo e venerato da tutti quei servi
di Dio. Quivi ancora mor in et di quasi
cent'anni, sino all'ultimo assistito dal vene-
rando figliuolo; che gli di il SS. Viatico e
l'Estrema Unzione, gli fece condegne esequie,
e finch visse celebr l'anniversario della sua
morte, con limosine e sacrifizi... N meno
preziosa fu la morte della madre del santo
prelato. Essendo ancor essa molto pia, voleva,
dopo la morte del marito, ritirarsi in mona-
tero; ma perch era avanzata in et, e d'altra
parte rari erano a que' d i monasteri di donne,
s'attenne al consiglio del suo figliuolo, e tra
le pratiche di piet pass nella propria casa i
restanti giorni della sua vita. Guigone, quinto
generale della Gran Certosa, che queste cose
ricord nella vita che scrisse di S. Ugo, not
peraltro ancora che il padre di questo, cio
Odilone, oltre le molte altre sue lodevoli qua-
lit ed opere, am la verit e la castit, ben-
che fosse militare. Da tali genitori mandato
alla scuola di Brunone in Reims, il giovane
Ugo vi profitt grandemente : e perch niuno
creda che questa sia semplicemente una delle
solite attestazioni, il medesimo cronista not
che Ugo non mediocremente am gli studii
delle lettere; per i quali andato altresi in stra-
nieri paesi, molte fatiche sostenne. Era tuttavia
in abito secolare quando s'incontr col gi
pi volte lodato Ugone, legato della S. Sede
in Francia; il quale, segue a dire il cronista,
vedendo quel bello giovane, alto di statura,
temperato nel parlare, verecondo nei costumi;
e informato da' conoscenti di che stirpe egli
era e di qual erudizione fornito, e di qual perspi-
cace ingegno cos nelle umane come nelle di-
vine scienze, presag in esso un uomo di grande
virt. E con lieto e benigno volto abbraccia-
tolo, lo preg di venirsene a star con lui, per
essergli compagno ne' combattimenti che fortis-
simamente sosteneva, da pochi aiutato, non
solo contro i laici, che sacrilegamente ritene-
vano le chiese, le decime ed i cimiteri!, ma
eziandio contro i sacerdoti, che contaminavano
la loro vita con turpi matrimonii; e contro i
simoniaci, i quali, dalla cupidigia accecati,
facevano d'ogni erba fascio. Ed egli accon-
sent. Stava pertanto, gi fatto canonico di
Valenza, molto lodevolmente prestando l'opera
sua al Legato, quando i canonici di Grenoble,
mentre questi teneva, nel 1079, un concilio in
Avignone, vennero a chiedergli un succes-
sore del defunto lor vescovo. Il legato propose
loro Ugo; al quale nulla valse resistere, oppo-
nendo queste e quelle ragioni, che la sua ve-
race umilt gli suggeriva; e della sua troppo
giovane et (era di ventisette anni), e della
sua inesperienza, e in somma della sua inetti-
tudine ad un uffizio sempre si grave, gravis-
simo poi in quelle circostanze di luoghi e di
tempi corrotti. Il Legato, che ben lo conosceva,
l'obblig ad accettare per ubbidienza; n si
tard a vedere colla prova de' fatti che molto
assennata era stata l'elezione di luil. Impe-
rocch giunto alla sua sede, subito s'accinse
con grande zelo a compiere il dovere di buon
pastore; ma trov un clero di vita, in gene-
rale, cos scandalosa per incontinenza e si-

1 Per non essere consecrato da Guarmondo, arcivesvovo


di Vienna nel Delfinato su cui v'era sospetto di simonia, re-
coss col legato a Roma; e quivi fu ordinato dal santo ponte-
fice Gregorio VII. La contessa Matilde, cos il citato suo
biografo Guigone, che in abito donnesco aveva animo alta-
mente virile, e a somiglianza della profetessa Debora sapeva
prudentemente sedare e fortemente superare i tumulti e i
pericoli delle umane cose, venerando Iddio nel suo servo,
nel d della consecrazione di lui somministr tutte le cose
necessarie, gli diede il baston pastorale, di cui per lungo
tempo si serv, e due volumi; che furono le Spiegazioni dei
Salmi di S. Agostino, e il libro De Officiis di S. Ambrosio.
Era, dice ancora il biografo, s modesto e s
castigato nel
l'uso de' sensi, specialmente della vista, che non guardava
mai donne; si pio poi e divoto che, nel ricevere le confes-
sioni, moveva i penitenti a compunzione, colle molte lagrime
ch'egli stesso versava.
monia, laici usurai ed usurpatori dei beni
ecclesiastici, in somma un popolo cos igno-
rante e indocile che il povero vescovo, vedendo
tornar vane le sue cure e i suoi sforzi, si sent,
come suol dirsi, cadere le braccia; si che
dopo due anni, lasciato il grave ufficio, si ri-
tir nel monastero di Casa-Dei, e vest l'abito
di S. Benedetto. Non pot per godere a lungo
della pace del chiostro; attesoch il pontefice
S. Gregorio VII, lasciatovelo un anno a ri-
prendervi lena e coraggio, gli ordin di tor-
nare alla sua chiesa, non dovendo anteporre
la sua quiete alla salute delle anime. Ubbid
Ugo; e da circa un anno gi aveva ripreso le
redini del suo spirituale governo, quand'ebbe
a toccare con mano che Iddio tien gli occhi
aperti sopra i fedeli suoi servi, e a tempo e
luogo li conforta di efficaci aiuti e consola-
zioni. Cominci ad averne un indizio in certo
sogno o visione; in cui gli pareva di vedere
Iddio che, per mano d'Angeli, si edificava
una casa in certo deserto e montuoso luogo
della sua diocesi, detto Chartrouse, e sette
stelle, di cui una pi grande e pi luminosa,
che gli segnavano la via.
Or ecco pochi giorni appresso, mentr'egli
ancora pensava, che cosa potesse mai signi-
ficare quel sogno ? arrivare Brunone e i suoi
compagni, stanchi e rifiniti dal lungo e disagiato
viaggio, e con grande umilt e riverenza espor-
gli il motivo defla loro venuta e chiedergli
facolt di ritirarsi in qualche solitario luogo
della sua diocesi. Non si poteva fare pi grata
proposta al degno prelato : poich, oltre ad
essere sant'uomo e di eccellente spirito, epper
atto ad intenderne l'alto valore, egli stesso
seguitava a professare vita monastica, in com-
pagnia di alcuni confratelli, che s'era menati
seco dal monastero di Casa-Dei ; fra i quali
vuolsi in particolar modo mentovare Gugliel-
mo di S. Lorenzo. Accoltili pertanto con gran
benignit e cortesia, quando con discreta in-
vestigazione si fe' certo e sicuro che quello dei
nuovi pellegrini era un vero e serio proposito
di servire a Dio tra le pratiche d'una salutar
penitenza, non solo acconsent, ma benedi-
cendo il cielo che a lui li avesse inviati, lieta-
mente diceva che allora intendeva il sogno
che poc'anzi aveva fatto. E trattenutili seco
alcuni giorni in santo conversare, per sempre
meglio conoscere la loro intenzione e risto-
rarli della fatica del viaggio, alla fine, vedendo
che perseveravano costanti nel loro disegno, e
che la stagione era opportuna, propose loro il
luogo, che il cielo stesso pareva aver indicato.
Era a dieci miglia dalla citt ; un gruppo
d'aspre ed alte montagne, coperte di perpetui
ghiacci e nevi, contristate da nebbie, flagellate
da venti freddissimi, che rendevano il sito
inabitabile altro che alle bestie selvagge, che
di l calavano gi a far preda : insomma uno
sterile, un solitario deserto ; dove, per alimen-
tare la vita, non avrebbero trovato n pure
erbe e radici, non altro essendovi che nude
rocce in alto, e pi basso una boscaglia di piante
montane. Niuna tacque delle difficolt che
affacciar si potevano; onde visto che i fer-
venti pellegrini, non che mostrarsene scorag-
giati, affermavano anzi con santa allegrezza
che quello appunto era il sito ch'essi cerca-
vano, tronc gl'indugi, ed egli stesso, siccome
fama, ve li volle accompagnare, senza punto
temere il disagio dell'aspro cammino. Per la
festa di S. Giovanni Battista del 1084 erano
sopra luogo.
LIBRO SECUNDO

CcATITOLO I.

LA CERTOSA : PRINCIPII.

CCO la descrizione, che del sito


della Certosa fa un Generale dei
Certosini ; cio il P. Don Innocenzo
Le Masson; il quale resse l'Ordine
dall'anno 1670 al 1703.
Questo nostro eremo era allora (
quando
v'and S. Brunone J d'aspetto molto pi aspro
che presentemente; perch affatto incolto, e di
accesso grandemente difficile : era quasi dap-
pertutto un bosco; che, sradicato poscia in
gran parte, si cambi in prati non privi d'a-
menit. La figura di questo eremo come
d'un anfiteatro bislungo, per ogni lato cinto
da rupi altissime : la cui arena ( ossia il piano
della valle) da mezzod molto pi bassa; e
va su elevandosi in forma di monticelli via via
pi alti gli uni degli altri, sino a che, dove sta
la cappella di S. Brunone, si fa monte ben
alto; e qui il luogo chiuso da rupi scoscese.
Nel suo declivo s' ora costrutta la casa della
Certosa, lontana dalla cappella di S. Brunone
circa mezz'ora di cammino a piedi.
Nella parte pi declive e pi bassa del
pian della valle, da mezzod, scorre un tor-
rente, formato prima da varie fonti qua e l
scaturienti; indi, accresciuto dalle piogge e
dalle nevi liquefatte, si fa fiumicello, e nelle
grandi piogge altresi gran fiume. Porta ottimi
pesci; che chiamansi trote sassatili.
Da settentrione sorge la roccia detta le Col;
la cui cima come incoronata da largo ed
ameno prato. Un'altra roccia a destra dicesi
Bovinant; quella a sinistra, detta Alienard, ha
una vetta altissima. Da levante notasi anzi
tutto il Grand Som, come dir grande altera,
perocch stimata la pi alta di tutte ; e quelle
rupi a guisa di mura protendosi in modo che,
dov'adesso il ponte della Certosa, sbassan-
dosi in discosceso precipizio, lasciano unjpas-
saggio all'eremo, largo un trenta o quaranta
piedi. Imperocch dall'altra parte del torrente
subito spiccasi un' altra roccia : talch si di-
rebbe che le due rupi s'alzino per farsi nella
superior parte pi vicine, e quivi abbracciarsi ;
una maraviglia naturale. Tra quelle due rupi
passa il fiume; e l il ponte, che dalla parte
di Grenoble introduce all'eremo ed alla Cer-
tosa. Quivi, cio presso al ponte, il santo
vescovo Ugo volle fabbricata una casuccia,per
mettervi un custode; il quale concedesse l'en-
trata solamente a chi di ragione. A mezza via,
tra quel ponte e la Certosa, v' la Correria; la
quale fin da' tempi del P. Guigone chiamavasi
la Casa bassa; e vi stava il P. Procuratore
con alcuni Conversi, per la cura delle cose do-
mestiche. Chi volesse sapere la lunghezza del-
l'arena dell'anfiteatro, da mezzod a tramon-
tana, pu argomentarla considerando che, dal
mentovato ponte alla capella di S. Brunone,
dove da principio si fabbric la Certosa, v'ha
un'ora di cammino.
Di l del torrente vedesi un amenissimo
a
prato detto Valombrey, cinto di roccie poco a
poco elevantisi, le une sulle altre, a grandissima
altezza. Sopra tutte sta quella che appellano
Chai-inaiisoiz ; ed ha sul capo un prato si largo,
che a pena pu credersi da chi guarda la
roccia della Certosa ; poich la sua cima so-
miglia a' denti di uno scoglio. La maggior
parte per di questi luoghi oltre il torrente ai
primi padri dell'eremo non fu donata; e il loro
possesso terminava al torrente : fu data poi.
A chi da quella parte di mezzod va ad
occidente tosto presentansi altre altissime rocce
fra se divise; e in mezzo ad esse scorre il
torrente verso il piccolo borgo di St.-Laurent-
du-Pont. Sulla sponda di esso torrente, rimossi
a gran fatica i sassi, or collo svellerli, or col
tagliarli, or colla polvere da fuoco facendoli
saltare in pezzi, si apr la via che da St.-Lau-
reni mena alla Certosa. Di l vedesi la roccia,
sulla cui vetta stala casa rustica (grange), detta
Chartrousette; nella quale si crede che i pri-
mi Padri del nostro eremo tenessero le biade
ed i foraggi; poich col son prati e pascoli
vastissimi, e campi arabili. Seguitano ivi le
rocce le une accosto alle altre a guisa di muro,
fino a raggiungere la pi alta di tutte, cio
l'Al7Zard)' e chiudono il giro del nostro anfi-
teatro. E questo attraversato da un fiumicello,
che, nato alla fonte di S. Brunone, va via
via ricevendo le acque che vengono gi dalle
rupi della parte settentrionale sino a quella del
mezzod; quivi si getta nel torrente (gi men-
tovatoJ[. L'anfiteatro poi di forma, come di-
cemmo, bislunga, agli occhi di chi lo guarda
s'eleva in tre distinti gradi nell'inferiore, pre-
:

Le riunite acque di questi torrenti formano il fiumicello


Guiers, che scende gi gorgogliando dalla china del monte,
e d moto e vita a fucine e fabbriche poste sulle sue sponde
e amministrate per cura della Certosa.
senta prati verdeggianti; nel mediano, una
selva di annose piante, che a guisa di larga
fascia ricinge il luogo ; nel superiore, rocce
d'ineguali altezze, disposte a guisa di denti
poco discosti gli uni dagli altri.
Giova compiere questa descrizione colle pa-
role di altro Certosino autorevole, Pietro Su-
tore : il quale, essendo stato priore di varie
Certose, fra cui quella di Valverde presso Pa-
rigi, ed anche superior provinciale, per ragio-
ne di uffizio ebbe a recarsi pi volte alla Gran
Certosa.
Acirca dieci miglia dalla citt di Grenoble,
cosi egli, v'ha un'alta montagna piena di rocce
e di piante infeconde, detta la Certosa ; formata
da tre monti, che in parte s'uniscono. In uno
di essi, ove sta la casa della Certosa, trovasi
un piano inclinato; al quale difficile l'accesso,
strana l'entrata ; d'orrido aspetto, e terribil sito ;
imperocch l'accedervi costa fatica e pena si
grave, che v' da perdere il fiato ; e strana,
dissi, n' l'angusta entrata, da due lati. Infatti
da una parte, detta il ponte della Certosa, vi
s'entra passando tra due altissime rupi, che
dirittamente alzandosi alla cima congiungonsi;
e dall'altra ancor pi difficile e maravigliosa ;
poich vien gi per inclinati sentieri tra due
monti, che corrono vicini l'uno all'altro ben
quattro miglia, scoscesi e orribili in vista a
pi non dire. Vuoi tu sapere l'orrido aspetto
del sito della Certosa ? Se guard in su, scorg
ardue rocce, nevi gelate e piante infeconde
che coprono il dosso de' monti ; se volg l'oc-
chio in gi, ved uno spaventoso fiume, che
con ingrato mormorio scorre a'piedi del monte.
Non meno brutto a mirarsi il luogo : poich
invano vi cercheresti amenit alcuna, un posto
gradevole, un sorriso di natura. A pena vi
spunta l'erba, a pena vi passa qualche uccello
o bestia selvatica. La neve vi regna perpetua
col suo biancore ; e il freddo, ond' satura
l'aria che vi si respira, tinge d'un certo livido
la pelle a chi vi abita. Luogo aspro ; che non
ci han che fare i deserti della Scizia e le solitu-
dini dell' Egitto ; sicch lo diresti un carcere
orrendo ed un purgatorio piuttosto che umana
dimora.
Tal era il luogo, che S. Ugo mostr a S.
Brunone come indicatogli da Dio in quel so-
gno ; nel quale parevagli di vedere le sette
stelle fermarsi, e Dio in opera di fabbricarsi
una casa per mano d'angeli. Questa circos-
tanza, che manifestava la volont di Dio, valse
mirabilmente ad accrescere l'allegrezza di Bru-
none e de' suoi compagni, gi lietissimi d'aver
finalmente trovato luogo s corrispondente
a'ior desiderii ; onde, rendendone vive grazie a
Dio ed al santo vescovo, che lor ne faceva ge-
neroso dono, senz'altro indugio segnarono il
sito per una chiesetta ed alcune capanne. Tra
la cappella di S. Brunone e la moderna Certosa
havvi un'altra cappella, detta la Madonna de
Casalibus : e basta questo nome a far fede che
quello fu il luogo della prima chiesa certosina,
e delle prime celle de' compagni di S. Bruno-
ne : perocch la cella di lui era alquanto pi
su, appunto dove ora la cappella che porta il
suo nome. Vicino a questa sgorga una perenne
fonte di acqua limpida e salutare, dicesi, altresi
per varie malattie : ed fama che l'impetrasse
Brunone colle sue preghiere ; perch, sebbene
in quel deserto l'acqua non manchi, tuttavia,
specialmente nell'aspra stagione, nel luogo
scelto per dimorare non ne avevano copia n
comodit. Ancora si narra che presso la fonte
cresca un'erba singolare, di sette foglie ; delle
quali una pi larga, quattro minori ed egua-
li, e pi piccole ancora le altre due ; e gi
parve simbolo della nuova mistica pianta,
che col sorse e mirabilmente prosper ; com-
posta da principio di Brunone, capo, e di sei
membri; quattro de' quali sacerdoti e professi,
e due semplici laicil.

1 Alcuni scrittori, altresi Certosini, non parlano di questa


erba, n danno la fonte di S. Brunone come nata per pro-
digio. Ben si sa che in montagna vi son erbe rare, e che in
tanta copia di nevi e di ghiacci le fontane abbondano ; tut-
Antica tradizione reca che i nuovi romiti,men-
tre si stava costruendo la cappella e le celle, pas-
sarono al vicino paese di S. Pietro ; e che S.
Brunone fu ospitato da una famiglia di nome
Brun. Di soda costruzione fu la cappella ; per-
occh si dice che tuttavia sussistano pezzi dei
muri antichi. Le celle furono, come le capan-
ne di montagna dette chalets, di legno, addos-
sate al fianco del monte, in modo che il peso
della soverchia neve non le schiacciasse, e
le volute non le portassero via. V' tuttavia chi
vuole che fossero, se non interamente, almeno
in parte grotte e caverne ; ma probabilmente
per queste intese le capanne stesse ; che formate
in quel modo han della caverna pi che della
casa propriamente detta in que' fianchi del
:

monte, per lo meno al presente, di vere caver-


ne non si trova indizio. Vero che il luogo,
dopo otto secoli di lavori quasi continui, ai
d nostri ben diverso da quando v'andarono
Brunone e i suoi compagni ; nondimeno
anche gli scrittori che non fanno menzione del
soggiorno di S. Brunone nel villaggio di S. Pie-
tro, presentano que' primi Certosini in opera

tavia, se non necessario subito credere al prodigio, an-


cora men necessario e men conveniente negarlo, quando
rispettabili tradizioni ne fanno memoria : perocch la so-
verchia paura che certi critici mostrano del sovranaturale in
fine riducesi, se non altro, a rasentare la funesta eresia dei
tempi nostri, cio il naturalismo.
di abbattere di propria mano le piante da for-
marsene gli abituri. Or sebbene per collocar
questi si giovassero del vantaggio che loro por-
gevano rupi qua e l sporgenti, nondimeno
certo che ad apparecchiare una sufficiente di-
mora, quantunque poverissima, un discreto
tempo ci volle. Il che tanto pi vuoisi dire
per la chiesetta ; perocch, quantunque anche
questa sia stata semplicissima, tuttavia na-
turale che n S. Brunone n S. Ugo permet-
tessero che fosse per troppa semplicit inde-
cente.
dunque verosimile che Brunone e i suoi
compagni, giunti col santo vescovo di Greno-
ble al destinato sito, prendessero, come SUOI
dirsi, il luogo, segnassero il posto della cappella
e delle celle, e poi si ritirassero, S. Brunone al
villaggio di S. Pietro, S. Ugo a Grenoble ;
perocch sebbene fossero tutti pieni d'un mi-
rabile fervore, e la stagione fosse propizia al
l'abitare in montagna, tuttavia il deserto e il
clima erano tali che, senza un conveniente ri-
covero, specialmente per la notte, non avvreb-
bero potuto subito rimanervi senza mancare
alle regole, che il dovere della propria conser-
vazione impone eziandio ai pi austeri ana-
coreti. Mediante gli aiuti di operai, di materiali,
di viveri mandati su da S. Ugo, in breve tem-
po le povere celle e la chiesetta furono ter-
minate; allora venne S. Brunone, e vi torn
da Grenoble S. Ugo, che benedisse quelle e
questa ponendola sotto l'invocazione di Maria
SS. e di S. Giovanni Battista. Potevasi egli
cominciare l'opera sotto migliori auspizi, che
della gran madre di Dio e degli uomini, dis-
pensiera di tutte le grazie, maestra eccelsa
d'ogni cristiana perfezione, e del santo precur-
sore di N. S. Ges Cristo, che nel deserto si
prepar a predicare e preparare, come poi
fece, con tanta maest ed efficacia, la venuta
del Redentore ? E i Certosini, coll'esempio
dell' austera e solitaria lor vita, continuamente
predicano al mondo di prepararsi alla seconda
venuta dell'incarnato Figliuolo di Dio ; che
sar non pi di redentore, ma di giudice.
Quindi venuta la consuetudine de'Certosini,
tuttavia osservata, d'invocare, nel far profes-
sione, la SS. Vergine e S. Giovanni Battista,
per rispetto e divozione a' primi loro patroni.
E cos fanno anche dove la chiesa della pro-
pria Certosa dedicata ad altro santo.
In tal luogo e in tal modo cominci l'ordine
Certosino, nell' anno di nostra salute 1084 :
data accertata dalla tradizione e da antichi
documenti ; tra cui soglionsi mentovare i due
versi antichissimi: Anno milleno centeno, tolle
bis octo, Sub Brunone pio ccepit Cartusius Or do.
COABITO LO II.

PRIMI ANNI DELLA GRAN CERTOSA.

D 'UN altra antica cappella vuolsi qui far


ricordo, come attenente alla Gran Certosa ;
ed la cappella di S. Ugo. Secondo una vecchia
tradizione, il santo vescovo, per condurre i
nuovi romiti al luogo lor segnato da Dio, prese
la via di Corenc (il monte della Certosa tro-
vasi a mezzanotte di Grenoble); passarono al
colle di Portes, e s'inoltrarono alla Chiusa.
Qui, prima di metter piede nel deserto, si fer-
marono i due gran servi di Dio, Brunone ed
Ugo; e riposaronsi alquanto presso una roc-
cia, parlando delle soavi dolcezze dell'anima
cristiana in solitudine. Fu per conservar la
memoria di quella fermata che si costru la
cappella, dedicata a S. Ugo; e il Pontefice
Paolo III, con suo breve del 23 ottobre del
1540, concedette a coloro che divotamente la
visitano le stesse indulgenze, che si possono
acquistare in quella della Madonna de Casa-
libus. Vi si osserva un antico altare di pietra,
sul quale si legge scritto in caratteri gotici di
rilievo : Initium terminorum et immunitatis do-
mus Cartusice.
Ben fecero i Certosini (e ci ne mostra il
grato e gentile animo) a segnare in quel luogo,
in una cappella dedicata a S. Ugo, il principiar
de' larghi loro confini e de' molti lor privilegi :
imperocch per gran parte ne andarono de-
bitori a quel santo prelato. Di vero, oltre al far
loro generosa cessione di quanto a lui appar-
teneva di diritto in quel luogo, ne pass parola
con Seguino abbate del monastero di Casa
Dei di l non lontano, con Umberto e Oddone
di Miribel, con Ugone di Tolnon ed altri
personaggi ; i quali tutti con lui concorsero a
favorire Brunone e i suoi compagni con tanta
cordialit, che ci si vede chiaramente una par-
ticolare grazia di Dio. Daremo pi innanzi il
documento di cotesta generosa cessione ; ora,
perch fatta prima da riferir l'ordinanza con
cui provvide alla perfetta tranquillit de' nuo-
vi romiti : essa del seguente tenore :
Ugo, chiamato vescovo della
Chiesa di
Grenoble, a' preti ed ai laici del vescovado di
Grenoble, eterna salute nel Signore. In che
modo i monaci della Certosa desiderino di
piacere a Dio, viene abbastanza provato dalla
lor fuga dal mondo, e dall'asprezza del luogo
che abitano : or siccome al lor desiderio sono
massimamente necessarie pace e quiete, per
rimovere tutto ci ch' contrario al loro pro-
posito, abbiamo consigliato e ordinato che si
costruisca una casa sul ponte, che segna il
confine della lor possessione. Preghiamo per-
tanto la vostra dilezione e con divina autorit
ingiungiamo, che per il loro territorio assolu-
tamente non passino donne, n uomini con
armi. Vietiamo inoltre, tra i confini della lor
possessione, il pescare, il cacciare, l'uccellare,
il pascolare e far pascare pecore, capre, ed
ogni altro animale domestico. La divina cle-
menza moltiplichi le sue grazie a coloro che
ubbidiranno a questa nostra ordinanza, e dia
loro, di tutti i beni che quivi da' servi di Dio
si fanno e sino alla fine del mondo si faranno,
quella medesima parte ch'essi desiderano ; la-
sciamo poi al divino giudizio i disubbidienti
rei, e li faremo punire dalla potest secolare.
L'anno seguente, che fu il io85, si sped il
regolare diploma della sopradetta cessione del
territorio della Certosa : esso comunemente
detto la Carta di Umberto di Miribel, ed in
questi termini :
Per grazia della santa ed individua Tri-
nit misericordiosamente avvisati della nostra
salute, ci siamo ricordati dello stato dell'uma-
na condizione, e delle inevitabili cadute della
fragile vita, che senza mai finire meniamo
in peccati. Abbiamo pertanto giudicato di ris-
cattarci, noi servi del peccato, dalle mani della
morte, cambiare le temporali cose colle ce-
lesti, mediante una caduca possessione far ac-
quisto dell'eterna eredit, per non essere per-
cossi di doppio flagello ed evitare che le miserie
della presente vita siano principio di stenti e
dolori. Adunque al Maestro Brunone, ed a' fra-
telli con esso venuti cercando, per servire a
Dio, una solitudine, a lui ed a' lor successori
abbiamo conceduto in perpetuo possesso uno
spazioso eremo, io Umberto di Miribel, in-
sieme a Oddone mio fratello, e tutti gli altri
aventi qualche diritto nel predetto luogo. Or
queste persone, cio Ugone di Tolnon, An-
selmo Garcin, e poi Lucia, e i suoi figliuoli
Rostano, Guigone, Anselmo, Ponzio e Bosone,
a preghiera e con intervento della predetta loro
madre; Bernardo Longobardo ancora co' suoi
figliuoli; e similmente il signore abbate Se-
guino di Casa Dei, col convento de' suoi frati,
hanno conceduto a' sopradetti fratelli ogni
diritto che potessero avere col. L'eremo poi,
che loro abbiamo dato, ha questi termini ...:

e seguita indicando il luogo detto la Chiusa, e


la rupe che serra la valle, e va sino al sasso
che chiude e divide la Comba calda, e tocca
la rupe media ch' sopra i Borghesi ; indi l'altro
sasso che scendendo si protrae fino alla rupe
di Bonviant. Similmente dal monte che spor-
gesi dalla medesima rupe sino al monte Ali-
nard; e da questo calando si stende sino alla
Morta verso occidente, sino alla rupe ch'
sopra la Correria, e da questa rupe si sporge
sino alla roccia del Pertuso ; dalla quale in-
fine si stende sino al fiume detto il Ghero mor-
to. Or se alcuna persona, potente od im-
potente (segue il testo del diploma), romper
questa donazione, come rea di sacrilegio, se-
parato dalla grazia di Dio onnipotente e dal
consorzio de' fedeli, sia colpita di anatema ma-
ranhata, da brucciare, se non avr data con-
degna soddisfazione, nelle fiamme del fuoco
eterno, con Datan e Abiron e Giuda traditore.
La predetta terra, contenuta fra que' con-
fini, si cominci ad abitare e fabbricare dal
Maestro Brunone e da' suoi confratelli l'anno
dell'Incarnazione del Signore 1084, quarto
dell'episcopato del signor Ugone vescovo di
Grenoble; il quale veramente loda e corrobora
questa donazione, fatta dalle persone sopra-
scritte, e in compagnia di tutti i suoi ecclesias-
tici, per quanto a lui spetta, ad essi concede
quanto pu essere di suo diritto.
Testi Ugone decano, Giovanni di Podio
e Rostagno, Guigone di Lanz e Gallero Bueta,
Pietro e Gilberto, Angelberto e Aldelemo,
Pietro e Ricardo. Fu questa carta letta in Gre-
noble, nella chiesa della Beata e Gloriosa sem-
pre vergine Maria, la quarta feria della seconda
settimana d'Avvento, in presenza del predetto
signor Ugone vescovo di Grenoble, de' suoi
canonici, e d'altri molti, cos sacerdoti come
ecclesiastici d'ogni altro ordine, celebranti il
santo sinodo, add 9 dicembre.
In tal solenne modo ebbero S. Brunone e i
suoi confratelli il possesso della Certosa, coi
privilegi ad essa concernenti. Che se a questa
maniera di acquistare il diritto di propriet,
legittima e validissinla, aggiungiamo l'altra,
non meno legittima e valida, del proprio la-
voro, con cui i Certosini, coltivando que' luo-
ghi selvatici, ne cambiarono, a cos dire,
l'aspetto, ingentilendoli e arricchendoli di salu-
tari istituti religiosi, civili, industriali, resta
evidente che chi volesse spogliarneli, si fa-
rebbe reo non solo di una barbara ingiusti-
zia, ma eziandio di una enorme ingratitudine.
Poich veramente si desta l'ammirazione a
considerare come alcuni romiti, che per fug-
gire il mondo andarono a nascondersi su tra
le rupi d'un' alta montagna, e vi costrussero
alcuni abituri s meschini, e ci vissero in tanta
povert di ogni agio della vita, che furono da
i
principio chiamati poveri di Dio, cambiarono
colla perseveranza dei loro pazienti lavori una
selvaggia montagna in un luogo non privo d'a-
menit e di facile accesso per comoda via, e i
loro primitivi abituri in una piccola, ma, quasi
dicemmo, elegante citt; quale, a vederla dal
monte opposto, diresti la moderna Grande
Certosa. Gli edifizi che ora accolgono quei
santi religiosi, i quali fecero di quell'alpestre
soggiorno come un faro di luce, che manda
per tutti que' dintorni soavissimi raggi di virt
e carit cristiana, sorsero pi tardi, sul prin-
cipiare del secolo XVIII, per opera del Padre
Generale Innocenzo Le Masson; ma prima an-
cora che S. Brunone lasciasse la Certosa di
Grenoble, per ubbidire al B. Urbano II papa,
che lo chiamava a' suoi fianchi, s'era gi posto
mano a sostituire a' poveri abituri su mento-
vati pi sode e pi decenti case in muratura;
tali nondimeno che non discordavano punto
dalla prima lor denominazione di : Poveri di
Ges Cristo, o semplicemente poveri.
Che bei nome fu questo, che in due parole
mirabilmente esprimeva, il concetto di vita cri-
stiana, che S. Brunone vagheggiava Poveri; e
\

tutti sappiamo che la povert evangelica la


prima condizione della perfezione religiosa ;
di Ges Cristo; poich non per altro aveva
Brunone rinunziato al mondo ed a' fallaci suoi
beni se non per dedicarsi tutto a Dio, co' pen-
sieri, cogli affetti, colla volont, col corpo
stesso a lui consecrato in guisa da non pi vi-
vere n respirar che per Lui, secondo i santi
ammaestramenti ed esempii del suo incarnato
Figliulo.
Opportune memorie d'alcuni suoi contem-
poranei ci provano che quei di Brunone non
erano soltanto belli e santi pensieri, ma splen-
didi fatti. Ecco per es. quello che del tenor della
vita di que' primi Certosini scrive il Vene-
rabile Pietro, abbate della famosa abbazia di
Cluny1. Per domare il giumento del loro
corpo, e sottomettere, secondoch dice l'Apos-
tolo,la legge delle sue membra repugnante alla
legge della sua mente, sempre con duri cilizi
aspreggiano la carne, affliggono, estenuano,dis-
seccano i corpi con rigorosi digiuni quasi con-
tinui. Ond' che fanno sempre uso di pane di
crusca e di vino cos inacquato, che merita
nome pi di vinello che di vino. Carne non
gustano mai, n pur malati ; pesce non com-
prano ; ne accettano, dato talora per carit.
Solo in Domenica e Gioved ammettono cacio
od uova ; pel Martedi e Sabbato, legumi od
erbaggi cotti. Il Lunedi, il Mercoledi ed il Ve-
nerdi, stanno contenti a pane ed acqua. Non

* Per verit questo Venerabile Pietro descrive la vita dei


Certosini di 40 anni dopo la morte di S. Brunone : ma anche
il Bollandista Bieo dice che il tenore della vita di questi non
dovett'essere, o ben poco, diverso da quello de'primi seguaci
del santo fondatore della Certosa. E forse l'austerit di questi
era anche maggiore.
mangiano mai pi d'una volta al d ; salvoch
nelle ottave del SS. Natale, di Pasqua e di
Pentecoste ; nell' Epifania, e nell' Ascensione
del Signore ; nell' Annunziata, quando ricorre
in tempo pasquale, nell' Assunzione, nella
Nativit della B. Vergine ; ne' d sacri a' dodici
Apostoli, a S. Giovanni Battista, a S. Michele,
a S. Martino, a Tutti i Santi.
Secondo l'antico uso de' monachi Egiziani,
stanno sempre in cella ad uno ad uno ; dove,
osservando silenzio, senza posa attendono alla
lettura, alla preghiera, al lavoro manuale,
sovratutto allo scrivere libri. Al segno dato
dalla chiesa, nelle medesime celle dicono le
ore canoniche, Prima, Terza, Sesta, Nona,
Compieta : per Vespro e Mattutino riunisconsi
tutti in chiesa; e quivi, non alla bella meglio,
come fanno certuni, ma attentissimamente,
cogli occhi abbassati a terra, col cuore fisso in
cielo, recitano le preci a Dio, a Dio rendono
grazie ; mostrando col contegno, colla voce,
coll' aspetto che, sprezzata ogni altra cosa,
tutto in essi, cos l'uomo interiore come l'este-
riore, intento, anzi fisso nelle sole cose invi-
sibili. Da questa regola sono eccettuati i giorni
festivi sopra notati ; ne' quali prendono cibo
due volte e (come fanno i monaci che abitano,
non separatamente in celle, ma insieme) non
solo cantano tutte le ore canoniche in chiesa,
ma ancora in refettorio, dopo Sesta e dopo
Vespro, tutti i sani pigliano insieme la refezione.
Ad imitazione degli antichi eremiti, solo nei
predetti giorni offrono a Dio onnipotente, per
la salute loro e del mondo, il divin sacrifizio ;
che, giusta l'uso gi vecchio, con nome deri-
vato dal latino verbo mittere (mandare), dicesi
Messa, perch a Dio si manda : e ci per non
essere impediti dagli altri lavori, bench meno
degni. Ne' giorni festivi, che per singolar pri-
vilegio son detti del Signore, Domeniche, o
perch a lui consecrati o perch in tal giorno
avvenne la sua risurrezione, e nelle gi dette
solennit di Lui o de' santi, celebrano la Mes-
sa. Nei giorni che possono far uso di legumi,
di propria mano se li preparano e cuocono,
nella misura che lor ne vien data. Cio per si
fa, non quando prendono la refezione in co-
mune nel refettorio, ma quando, come gli ere-
miti, mangiano da soli nelle lor celle. Vino
fuori di pasto non toccano mai : che se allora
alcuno ha sete, pu bere acqua.
Finqui il Ven. Pietro di Cluny; col quale
concorda in ci che della prima Certosa scrisse
in que' medesimi tempi il pi volte citato Gui-
berto abbate di Nogent. Visit costui la Gran
Certosa nel 1104, cio venti anni dopo la fon-
.
dazione di essa ; e da quello che ne scrive nel
cap. xi del lib. I della sua vita si scorge che gi
vi s'erano compiti notevoli edifizi, e le prime
celluzze s'erano cambiate in un chiostro ; im-
perocch dice : La loro chiesa fabbricata
alla cima della montagna (vuoI dire alla cima
del piano inclinato della valle in cui sta la Cer-
tosa). Hanno un chiostro assai comodo,ma non
abitano insieme come gli altri monaci. Cias-
cuno ha la sua cella intorno al chiostro : nella
quale fa i suoi lavori e prende il riposo e la re-
fezione. Per cibo ricevono la Domenica dal
dispensiere pane e legumi, che sono l'unica
loro vivanda, e la preparano di propria mano.
Hanno nelle lor celle acqua, che ci viene da
diversi canali. Possono, le Domeniche e feste,
mangiar cacio e pesce ; ma di questo non com-
perano ; sol ne fanno uso, se loro vien dato
per carit. Nella chiesa non hanno argento n
oro : ma un solo calice d'argento. Non vanno
in chiesa a tutte le ordinarie ore del Uffizio,
come facciamo noi (BenedettinI) : non parlano
quasi mai. Se usano vino, talmente misto con
acqua, che non ha pi forza alcuna ; e a pena
vai pi dell' acqua. Portano il cilizio sulla
carne, e gli altri loro abiti riduconsi a poca
cosa. Hanno un priore, ed il vescovo di Gre-
noble, che piissimo (S. Ugo, che ancor vi-
veva, e visse fino al 11S2, dopo circa 53 anni
di episcopato), serve loro da abbate ed econo-
mo. Poca terra coltivano per grano, ma ten-
gono molti gregi di varii animali ; la cui ven-
dita serve alla lor sussistenza. A' pi della mon-
tagna, trovasi una casa di venti laici, che fe-
delmente amministrano i beni loro affidati.
Sono cotesti romiti cos fervorosi e uniti a Dio,
che non s'allontanano mai dal loro istituto.
Bench poverissimi, accumulano nondimeno
una ricchissima biblioteca ; perocch quanto
meno si curano del pane materiale, tanto pi
si mostrano operosamente solleciti del cibo
che non perisce. Il conte di Nevers, essendo
andato a visitarli per divozione, sent pena
della lor povert; e tornato a casa mand loro
argenteria di gran prezzo ; ma essi gliela ri-
mandarono. Edificato di tal rinunzia, fe' loro
tenere pelli bovine e pergamene in grandissima
quantit, che conobbe esser loro quasi inevita-
bilmente necessarie.
Crede taluno che il trascrivere libri loro ser-
visse altresi come mezzo da sovvenire alla lor
povert; ma il principalissimo scopo di tale
fatica ci viene indicato da Guigone, quinto
Generale della Certosa, nel libro delle sue re-
gole ; dove dice che de' libri come di sempiterno
cibo delle lor anime, si pigliano grandissima
cura, che siano diligentissimamente custoditi e
fatti con somma sollecitudine ; acciocch non
potendo predicar la parola di Dio colla bocca,
la predichiamo almeno colle mani : conciosiach
sia speranza che quanti libri scriviamo, faccia-
mo altrettanti predicatori.
Ed ecco che la coltura di S. Brunone e del
B. Lauduino (che, come vedemmo, era pur
dottore e gran teologo) giov grandemente alle
lettere ed alle scienze ; imperocch chi pu
calcolare i libri, che quindi si conservarono e
diffusero per mezzo delle moltiplicate Certose ?
Nelle sopra riferite parole dell' abbate Gui-
berto si fa menzione della paterna sollecitudine,
che S. Ugo aveva della Certosa ; ma intorno a
ci vuoisi dire assai pi. Vedemmo che, non
corrispondendo da principio i diocesani di
Grenoble alle pastorali sue cure, egli s'era ri-
tirato nel monastero di Casa Dei e aveva ves-
tito l'abito Benedettino ; d'onde, dopo un anno,
obbligato dal pontefice di tornare alla sua sede,
ci torn, ma senza perdere amore alla vita mo-
nastica ; in cui anzi continu, in quanto pot,
nel vescovado. Ci posto, e considerato ch'esso,
meglio di altri, sapeva quanto giovi a'prelati ed
a tutte le persone, che sono continuamente oc-
cupate da cure gravi e varie, l'appartarsi di
quando in quando in tranquilla solitudine a ri-
temperare lo spirito e riconfortarsi nel servizio
di Dio e della Chiesa, ogni qual volta n'aveva
tempo, recavasi alla Certosa. E voleva starvi,
non come prelato o personaggio d'alto affare,
venerato per santit e dottrina, ma come fi-
gliuolo e discepolo del padre e maestro Bru-
none, ed umile confratello de' suoi compagni,
ad essi uniformandosi in ogni loro osservanza
ed esercizio. Se in alcuna cosa distinguevasi
dagli altri, era nel fervore della piet, nella
schiettezza della carit fraterna, nell'umilt,
nell'ubbidienza. E se ne citano bellissimi e-
sempi. Voleva egli, per spirito di povert e
penitenza, vendere le sue cavalcature e, dato-
ne il prezzo a' poveri, visitare la diocesi a pie-
di : ma S. Brunone, scorgendo pi addentro
alle cose, non glielo permise : sia per non im-
pedire il pi pronto servizio della diocesi, sia
per evitare una tentazione di vana gloria, che
quindi poteva venirne al prelato, nel mostrar-
si esteriormente pi conforme agli apostoli.
E quanto a ci, parr a taluno che l'ubbidien-
za non sar stata molto diffcile : ma non cosi
ne pare a chi meglio conosce l'animo de' san-
ti ; a' quali riesce di vera pena tutto ci che
loro toglie dimostrare, co' pi fervidi atti delle
cristiane virt, il loro amore di Dio e della
perfezione evangelica. Era con esso il sopra-
mentovato Guglielmo, priore di S. Lorenzo,
anche lui uomo segnalato per virt e sapere ;
anzi, per la strettezza dell'abitazione, stava in
una medesima cella col prelato ; e cos face-
vano, in que' primi giorni della Certosa, an-
che gli altri discepoli di S. Brunone : cio
stavano due per cella. Ma il buon priore, ben-
ch onorato di tal compagnia, non era punto
contento del suo compagno ; e si lagnava che
sempre lo prevenisse, e non gli lasciasse mai
parte ne' pi bassi servizi ; lavare la pentola,
in cui cuocevano i pochi erbaggi per la refezio-
ne, rigovernar le stoviglie, spazzare la cella,
portar legna e simili. Brunone allora, santa-
mente lieto di s nuova gara di tali personaggi,
entrava paciere facilmente ascoltato; e valen-
dosi della sommissione che il degno prelato
prestavagli, all'uopo lo ammoniva, per es. lo
ammon che troppo spesso capitasse lass : e,
rimandandolo alla sua sede, Andate, andate,
dicevagli, colle vostre pecorelle, e fate quel che
il vostro ufficio richiede.
Con questi due accordavasi, nel favorire i
nuovi eremiti, altro ottimo personaggio; cio
Segnino, l'abbate di Casa Dei, uomo di singo-
lar bont e dottrina. Che non solo non ebbe
alcuna gelosia del novello istituto venuto a
piantarsi vicino a lui, ma avendone frequenti
e buone notizie per via d'una cella, ossia pic-
colo monastero dipendente dal suo e poco dis-
costo dalla Certosa, non lasciava passare oc-
casione di render lor cortese servizio ; e con
pronti e liberali donativi sovvenendo alla lor
povert, rendeva il benefizio anche pi prezio-
so per la spontaneit e la grazia del farlo.
('cAPITOLO III.

S. BRUNONE ALLA CERTOSA DI GRENOBLE.

IN non pochi de' nostri lettori gi sar spun-


tato il desiderio di sapere che regola di vita
monastica scegliesse Brunone : e siccome tal
desiderio naturale, cosi giusto che venga
soddisfatto. Per verit qualche indizio gi n'ab-
biam dato nell'antecedente capitolo, arrecando
le parole de' due venerandi abbati, Pietro di
Cluny, e Guiberto di Nogent ; ma questi due
personaggi, come testimoni esteriori, pi che ad
altro servono a far conoscere l'effetto o, come
dicono, l'impressione che il mostrarsi de' nuovi
religiosi produsse, e quindi il parlare che se ne
faceva da questi e da quelli. A conoscere un
p largamente la nuova bellissima istituzione,
diche Iddio faceva dono alla sua Chiesa, ci vuole
pi lungo discorso ; e a quest'uopo serbiamo un
apposito libro : onde quello che qui soggiun-
giamo non sar che un piccolo cenno, richies-
to dall'ordine della narrazione. Secondoch gi
abbiam indicato, Brunone non iscrisse regola
alcuna ; e il suo Ordine cominci come quello
del gran maestro della vita monastica, S. Be-
nedetto, il quale alla sua volta non altro fece
che seguire il divino modello d'ogni perfezio-
ne, N. S. Ges Cristo. Di esso dice il Vangelo
che cominci a fare e poi a insegnare ; vale a
dire cominci dal dare esempio di ci che vo-
leva insegnare agli uomini come regola del
loro operare.
Cos fece anche Brunone, guidato da Dio ;
nelle cui mani gli Ordini religiosi sono come
una splendida veste di varii colori, onde va a-
dornando la sua Chiesa e dimostrando la mira-
bile fecondit degl'insegnamenti evangelici.
L'Oriente, scelto da Dio ad essere la culla del
genere umano, e poi il soggiorno del suo incar-
nato Figliuolo venuto a redimere l'uomo ed
a restaurare con bont ineffabile l'opera sua,
fu anche primo a godere del benefizio della vi-
ta monastica, col spiegatasi in variatissime
forme ; le quali per a tre principali riduconsi :
l'anacoretica, la cenobitica, e la mista, che par-
tecipa di quella e di questa. S. Antonio e S.
Basilio furono i principali modelli e maestri,
per mezzo di cui l'Oriente si popol d'innume-
revoli anime, che vissero in terra vita pi an-
gelica che umana. Ma pur troppo l'Oriente
instabile nella Fede ; e Dio ne trasporta la
grazia ad altra gente, che la faccia fruttifica.
re. Ed ecco sorgere S. Benedetto, il grande le-
gislatore de' monaci d'Occidente ; che copre
l'Europa di.case religiose, incui sotto le brac-
cia della Croce riparansi le scienze e le lettere,
si salvano dal ferro e dal fuoco de' barbari, e,
ritemperate a nuova vita, si espandono con
portentosa forza di calore e di luce nel gran se.
colo XIII. Appunto nel tempo di S. Brunone
si consum il lagrimevole scisma d'Oriente, che
tanta parte del corpo di Cristo separ dal suo
capo ; la qual parte perci, come tralcio stacca-
to dalla vite, appass ed inarid : e in quel tem-
po ancora si manifest nella Chiesa d'Occiden-
te un nuovo fiorire della vita religiosa ; tanto
pi mirabile in quantoch le avverse forze del-
la carne e del mondo, capitanate, a cos dire,
da due potenti, scaltri, ostinati nemici, cio
l'imperatre Enrico IV e l'antipapa Guiberto,
pi fieramente osteggiavano la Chiesa e le sue
istituzioni. Or, senza fermarci a dire del cle-
ro secolare che, mediante i canonici regolari,
andava schierandosi sotto disciplina pi con-
veniente al sublime suo ministero, certamente
degno d'alta considerazione il comparire di
nuovi ordini religiosi, i quali danno all'Occi-
dente quella forma di vita monastica che an-
cor gli mancava, cio la mista. Di vero, men-
tre la cenobitica mirabilmente fioriva in Italia
ed in Francia, da Montecassino alla Novales,
dal monastero di Bec all'abbadia di Cluny
compariscono in Italia S. Romualdo e poco
appresso in Francia S. Brunone ; che ne' mon-
tuosi deserti di Camaldoli e della Certosa strin-
gono in bell' accordo la cenobitica el'anacore-
tica. Lasciando ad altri il dir di Camaldoli,
vediamo in che modo Brunone effettu quelr
accordo alla Certosa. Come dicemmo, egli co-
minci dall^edificare una chiesetta alla SS.
Vergine ed a S. Giovanni Battista ; e intorno
ad essa, per quanto il sito lo permetteva, dis-
pose le celluzze da abitarvi, in ragionevol dis-
tanza l'una dall' altra, secondo l'uso degli 0-
rientali nelle loro laure, e come gi fatto aveva
S. Romualdo, col proposito di vivere da ana-
coreti, ma senza perdere i vantaggi della vita
cenobitica. Di questa aveva Brunone impara-
te le regole da S. Roberto a Molesme e da S.
Stefano a Mureto e prima ancora ne avea vis-
:

ta la bont nella medesima Reims, nel fioren-


te monastero di S. Remigio ; che a' suoi d and
come lui sottoposto alle angherie dell'arcives-
covo Manasse : ma egli sentiva una speciale in-
clinazione alla solitudine ; e per, come gi ac-
cennammo, s'era costrutto, alquanto pi s, un
piccolo oratorio, che porta ancora il suo nome1;
4 Si credette gi da taluno che questa cappella fosse in una
caverna interamente naturale ; ma pi probabilmente fu, al-
meno in parte, opera della mano, nella cavit d'un masso
i
sporgente. Essa fu rispettata dalla voluta del 132, restaura-
e quivi appartato s'abbandonava a' suoi fervo-
ri di penitenza e divozione, continuamente as-
sorto or nell'orazione pi alta, or nella medita-
zione della S. Scrittura. Bench appartato, egli
era in ogni cosa il primo a dare perfetto esem-
pio di esatissima osservanza delle poche rego-
le, che aveva suggerite a viva voce : anzi era
il vivente modello, in cui specchiandosi i suoi
fortunati confratelli trovavano il sicuro indiriz-
zo alla perfezione pi alta. E doveva in veri-
t essere un potente stimolo la compagnia di
tale uomo, che pur coll'amabile gravit dell'
aspetto, sempre sereno in mezzo a tanta po-
vert e austerit di vita, mostrava, in un
coll'elevatezza de' pensieri, una singolare ener-
gia nei santi suoi propositi.
Povert, dicemmo, e qui ripetiamo per co-
loro i quali, al leggere la donazione fatta a que'
romiti dell'ampia tenuta di quel deserto della
Certosa, in gran parte coperto di boschi, ric-
chi di piante di bellissimo fusto, fossero venuti
nell'opinione che dovessero anzi nuotare nell'
ta nel secolo XV, rifatta quasi per intero nel 1640 da Mons.
de Marly, vescovo di Tolone e di bel nuovo ristorata nel
1816. Vi si conservarono come divota reliquia la vecchia pa-
rete del fondo e la volta che stava sopra l'altare. Il quale e-
siste tuttavia nel luogo stesso in cui fu collocato da princi-
pio ; e consiste in una longa tavola di marmo grigiastro, es-
tratto da qualche cava di quelle stesse montagne, e foggiata
alla semplice col martello. Secondo un'antica tradizione ques-
to altare fu consecrato dal santo vescovo di Grenoble, Ugo :
e S. Brunone vi celebrava spesso il santo sacrifizio.
abbondanza d'ogni bendi Dio. Ricchi avrebbe-
ro potuto essere que' primi Certosini, se il le-
gno e sovratutto gli abeti che l crescono ottima-
mente, avessero avuto il valore che hanno ai
nostri d ; ma allora le ragioni del commercio
erano ben diverse dalle nostre ; onde, tutti que'
boschi tornando loro di poco vantaggio; Fat-
to sta, dice qui un Certosino, che Brunone e i
suoi compagni vivevano alla stretta. Da carita-
tevoli persone avevano avuto in dono boschi
immensi, ed allevavano considerevoli greggi ;
ma boschi e greggi fruttavano poco ; poich,
seicento anni appresso, uno degli annalisti del
nostro ordine, perfettamente informato, dice
che sul finire del secolo XVII, con tutti i miglio-
ramenti eseguiti, la vendita del bestiame e del
legno dava a pena un sei mila lire all'anno. Ai
tempi di S. Brunone quest'entrata era ancora
molto pi piccola ; e in quello sterile deserto,
e di s difficile accesso, bisognava mantenere
tredici monaci, sedici conversi, parecchi servi;
ricevere visitatori a gran numero, e soccorrere
il pi largamente che si potesse i poveri men-
dichi e gl'indigenti de' vicini villaggi. Coloro
che conoscono, scriveva il priore Don Guigone
nel 1127, i gravi pesi che abbiamo, si stupisco-
no che non siamo ridotti alla mendicit 1.
* Il P. Innoc. Le Masson, Generale dell'Ordine, Annali.
p. 55.
Vedevasi questa lor povert nelle vesti che
allora portavano. E dicendo allora, non in-
tendiam mica accennare che ne' tempi poste-
riori e ne' nostri il vestire de' Certosini siasi
di molto cambiato ; poich infine di modes-
tissimo panno di lana bianca, con un nero
mantello, per quando escono di convento :
ma solo vogliam ricordare quello che di que'
primi Certosini lasci scritto il gi citato ven.
Pietro, abbate di Gluny, contemporaneo ; che i
loro abiti erano s corti, s meschini, s irti di
peli, che facevano compassione ; e ci era per
allontanare ogni vana gloria.
Ad imitazione del loro capo e maestro, i Cer-
tosini, nel silenzio delle loro celle, rendevano
fecondo il deserto e salutare al mondo la lor
solitudine, non solo col coltivare e incivilire,
come fecero, que' luoghi alpestri e selvatici,
ma eziandio, anzi in maniera particolare e
molto pi eccellente, coll'attendere alla con-
templazione ed allo studio, specialmente della
S. Scrittura e de' SS. Padri. Essi inoltre copia-
vano e collazionavano i varii manoscritti che
potevano procacciarsi, e con questo paziente
lavoro contribuivano a conservare la purezza
del testo della Bibbia e degli scritti de' SS. Pa-
dri. Brunone dirigeva i suoi confratelli in tali
studii ; ma di tanto in tanto, secondo un'antica
tradizione ammessa dal dotto e severo Mabil-
lon, egli sentiva bisogno di ritirarsi in solitu-
dine ancor pi profonda, per essere solo con
Dio. Allora penetrava nel pi folto della bosca-
glia, e stava le lunghe ore in meditazione di-
nanzi ad una rupe, sulla quale ancora si veggo-
no i segni d'una croce rozzamente incisa nella
pietra. Quivi egli passava talora i giorni e le
notti, assorto ne' suoi pensieri ed affetti ; i quali,
per il suo vivo ed eletto ingegno accompagnato
da cuore non meno vivo ed eletto, e ancora pi
per la divina grazia, s'andavano facendo sem-
pre pi alti e pi santi : tantoch il degno
uomo ben si pu dire che gi era di quelle co-
lombe, a cui lo sposo de' Cantici rivolge le te-
nere parole : O colomba mia, che stai nelle
fessure delle rocce, ne' nascondimenti dei bal-
zi, fammi vedere il tuo aspetto, fammi udire
la tua voce ; perciocch la tua voce soave,
e'1 tuo aspetto bello. (Cant. II, 14.)
E che di pi bello d'un'anima in grazia,
ornata de' doni sovrannaturali ricevuti ne' sa-
cramenti, e tendente a ricopiare in se stessa il
divino modello della vera ed immortale bellez-
za, Ges Cristo signor nostro ? Ed oh com'
dolce la voce di tale anima, che non apre
la bocca se non per lodare Iddio, per farlo
conoscere, amare e servire, e per rendere al
prossimo tutti que' servigi che la carit insegna
ed inspira,giusta i dettami della vera sapienza'
Tal anima era certamente Brunone; ma
egli fece udire la dolce sua voce anche in al-
tra maniera ; imperocch opinione generale
ch' egli scrivesse, o per lo meno finisse il suo
Commentario sui salmi appunto in que' sei
anni che stette nella Certosa di Grenoble. E
senza fallo assai pi probabile che ci avve-
nisse l piuttostoch nella Certosa di Cala-
bria ; perocch quando fond questa gi era
in et avanzata, e piccolo agio gliene lasciava-
no le frequenti chiamate del Papa e del conte
Ruggiero, come fra poco vedremo ; senza con-
tare le infermit a cui allora and soggetto, e
i gravi disturbi della fondazione di quella Cer-
tosa. Chi fosse vago di sapere il pregio di
quest'opera di Brunone, ecco quel che gliene
dicono i Maurini (ossia Benedettini della fran-
cese Congregazione di S. Mauro), autori del-
la Storia Letteraria di Francia. Chiunque
si faccia a leggerla con mediocre attenzione,
confesser che sarebbe difficilissimo trovare
uno scritto di questo genere che sia pi sodo e
insieme pi chiaro. Se fosse pi conosciuto,
sarebbe pi usato ; e non sarebbe stato tras-
curato come fu finora. Lo si sarebbe stimato
acconcissimo a dare una giusta intelligenza de'
salmi. Vi si vede facilmente uno scrittore dotto
di tutte le scienze e ripieno dello spirito di
Dio ammirabile in tutto il corso del suo
Commentario, ma principalmente quando
svolge i misteri di Ges Cristo e spiega un
luogo dei salmi con un altro testo della S. Scrit-
tura. Il suo stile conciso, semplice, vigoroso,
chiaro e polito... Sarebbe da augurarsi che
quest'opera andasse per le mani di tutti i
fideli, e particolarmente delle persone conse-
crate alla preghiera pubblica (cio obbligate
alla recita dell' uffizio divino).
Per risguardo alla sostanza, Brunone, dice
un moderno scrittore della sua vita, dopo
avere spiegato quel che s'intende per salterio
e quali sono i varii sensi da distinguere ne'
salmi, si volge, in particolar maniera, al
senso mistico, senza per trascurare il lette-
rale ed il morale. Secondo lui, il senso mis-
tico quello a cui lo Spirito Santo sovratutto
mira ne' salmi; vale a dire, Ges Cristo e la
sua Chiesa. E non ispiega mica ogni versetto
di seguito, ma ne fa una specie d'analisi, d il
senso generale del salmo, e ricorre spesso
al testo ebraico per meglio spiegare quello
dell Volgata. Per rendere il senso pi esatto,
consulta altres i pi dotti interpreti, special-
mente S. Girolamo e S. Agostino. In certi
luoghi, cita altresi S. Prospero e Tertulliano.
Verso il medesimo tempo, scrisse eziandio
un Commentario sulle Epistole di S. Paolo. In
capo ad ogni Epistola mette un prologo e ta-
lora dice, per esporne l'argomento e far cono-
scere le persone, a cui la lettera indirizzata :
poscia, in maniera non meno chiara che pre-
cisa, commenta il testo, e si sforza di rendere
pi intelligibili i punti di dottrina che vi sono
contenuti. E un'opera simile al Commentario
sui salmi : c' lo stesso metodo e stile t.

I Lefebvre, St. Bruno etc. Il titolo dato da Brunone


a questi suoi Commentarii, fu di Glossario : Glosarius Bru-
nonis Heremit super epistolas B. Pauli apostoli. Quello
sui salmi fu pubblicato la prima volta a Parigi nel 1523,
sopra un manoscritto dato dal P. Don Guglielmo Bibaucio,
Generale de' Certosini; e se ne fecero poi due altre edizioni
a Colonia, nel 1613 e nel 1640. Il commentario sulle Epistole
di S. Paolo fu stampato da prima nel 1509 a Parigi ; e poi
inserito nelle sopradette edizioni delle opere del santo,
del 1523, 1613, 1640. Vi fu chi trasse fuori a disputare
intorno alla genuinit di queste opere di S. Brunone, e le
aggiudic a S. Brunone vescovo di Segni, nato in Solero,
grosso borgo dell'Astigiana: ma la risposta dei Certosini
fu tale che, senza nulla detrarre ai meriti di quell'altro
Brunone, autore ancor esso di pregevoli scritti, si concluse
con lasciare il fondatore della Certosa nel tranquillo
possesso delle opere sue.
CC/iPITOLO IV.

S. BRUNONE, CHIAMATO DAL B. URBANO II, PAPA,


LASCIA LA CERTOSA DI GRENOBLE.

G di Grenoble
correva
IA il sesto anno che la Certosa
era stata fondata e che le
cose vi procedevano nel modo sopra narrato,
quando ebbe a patire tale contrariet, che sulle
prime parve dover rovesciare il novello edi-
fizio. Era morto sul campo di battaglia, in
cui da tanti anni valentissimamente combat-
teva e soffriva per la giustizia e per l'ordine,
il grande eroe della Chiesa di Cristo, il papa
S. Gregorio VII; e, dopo circa un anno
d'interregno, gli era succeduto il B. Vittore
111; ma breve tempo egli resse la nave di
Pietro; che nel settembre del 1087 gi las-
ciava questa valle di lagrime per andare a
ricevere in cielo il premio delle sante sue
opere. Sei mesi appresso, cio nel marzo
del 1088, veniva chiamato a cingere la tiara
Eudes ossia Oddone di Chtillon, fatto ves-
covo d'Ostia da S. Gregorio VII, e da lui
indicato come degno di governare la Chiesa
in que' burrascosi tempi. Egli era nato nella
diocesi di Reims, aveva studiato alla scuola
di Brunone, era stato canonico di quella
cattedrale, ed aveva anche lui abbandonato
il mondo per ritirarsi nell'abbadia di Cluny;
era priore di questa, quando il magno Ilde-
brando, che ben conosceva gli uomini, ele-
vandolo a quella dignit vescovile, chiamollo a
parte delle sue fatiche. Apparteneva pertanto
ancor esso, come il B. Vittore III e S.
Gregorio VII, al grande ordine Benedettino;
alla cui gloria basterebbe l'aver avuto 'per
membri questi tre sommi e santi pontefici.
Egli prese il nome di Urbano II ; e negli
undici anni del suo pontificato mostr che
bene aveva giudicato di lui il predetto suo
antecessore; imperocch anche a lui si porsero
frequenti occasioni di mostrare sapienza e
fortezza.
Non piccola prova di sapienza egli diede, fin
dal principio del suo pontificato, chiamandosi
attorno, per esserne aiutato col consiglio e con
l'opera, quei personaggi che per senno, dottri-
e
na, santit di vita conosceva capaci di s grave
uffizio : tra essi fu S. Brunone, ch'egli onora-
va come suo maestro, perch era stato alla sua
scuola di Reims. Vero che il santo pontefice
venerava come suo maestro altres il B. Ugone,
abbate di Cluny ; il quale nella storia eccle-
siastica si trova invitato a'fianchi del papa, pri-
ma ancora di S. Brunone ; ma non v'ha dubbio
che se Urbano ebbe, mentr'era nell' abbadia
di Cluny, anche dal B. Ugone ammaestramen-
ti di scienza e santit, che concorsero a ren-
derlo quel valentuomo che fu, molto maggio-
ri dovette averne da S. Brunone, che con tanto
splendor di dottrina e santit di opere fu per
tanti anni rettore e modello del clero di Reims.
Gentil pensiero, anzi ottimo sotto ogni rispetto
era il suo di volere, nel suo gravissimo uffi-
zio di governare la Chiesa, la compagnia e
l'aiuto del antico maestro, di cui ben gli eran
noti il sapere e lo zelo ; se non che conoscendo
ancora quanto fosse alieno dagli onori e dalle
dignit, e che appunto per fuggire le brighe e
i rumori del mondo s'era ridotto in solitudine,
stava irresoluto, recandosi da una parte a cos-
cienza di frastornarne la vocazione, e dall' al-
tra temendo un rifiuto ; che Brunone avrebbe
potuto dare, appoggiato, oltrech al motivo
della sua vocazione, al bisogno di non abban-
donare i compagni ; che, partendo lui, si sa-
rebbero facilmente sbandati. Considerando
nondimeno che il ben pubblico vuol essere an-
teposto al privato, alla fine si risolv di chia-
marlo e, attesa la eccezionale gravit delle cir-
costanze in che allora trovavasi la S. Sede,
ordinargli di tosto venire in virt di santa ub-
bidienza.
Per intendere la gravit di quelle circostanze
della S. Sede, basta ricordare che seguitava
tuttavia accanita la guerra di Enrico IV contro
di essa; che Roma era in mano dell' antipapa
e della sua fazione, e continuamente agitata e
contristata da sanguinosi tumulti e disordini.
Il santo solitario, ad un invito del papa nella
forma predetta, non altro fece che disporsi ad
ubbidir prontamente, sebbene gliene fosse do-
vuto costare sacrifizio ancora pi grande di
quello che gli cost il lasciare la sua cara soli-
tudine. Infatti pi facile immaginare che di-
re qual ei si restasse quando, per mezzo del
vescovo di Grenoble, gli giunse dal legato
Ugone il breve ossia lettera del pontefice. Il
santo uomo n grandemente impensierito, per
la costernazione e le difficolt, che la sua par-
tenza avrebbe portato a' suoi confratelli : pur
facendo di necessit virt, rasserenato il vol-
to quanto pi pot, e frenando l'interno com-
movimento, di loro a conoscere la lettera
del papa.
L'effetto di tale annunzio fu maggiore di
quanto egli stesso aveva temuto ; in tal tris-
tezza ne caddero que' suoi confratelli ; e gi sfi-
duciati di poter da se soli continuare in quel
tenore di vita, in tal luogo, si mostravan pro-
pensi a partire ancor essi. Che trafittura fu
questa al cuore del santo Patriarca il quale in
!

tal disposizione d'animo de' suoi compagni


vedeva una debolezza che non avrebbe credu-
ta, e che sarebbe stata la rovina di quella nuo-
va istituzione a lui s cara, cominciata con s
lieti auspizi. Ma come sottrarsi al comando
del Papa ? Che perplessit Si pu tenere per
!

certo che il prudentissimo uomo, dopo aver


anzi tutto ricorso a Dio con umile e fervente
preghiera, si volse per consiglio a' suoi venera-
bili amici, ch'egli ancora onorava come padri,
Ugo vescovo di Grenoble, Seguino abbate del-
la Casa-Dio, e Guglielmo di S. Lorenzo; e
questi, sebben partecipassero al suo dolore e
timore, tuttavia, riflettendo a' gravi ed urgenti
bisogni della Chiesa, e al grande servigio che
questa poteva aver da Brunone, lo conforta-
rono che, posposto ogni altro riguardo, ubbi-
disse al Pontefice che lo chiamava. Voce del
papa, voce di Dio. Perci Brunone, convinto
che tal era il volere del cielo, e sicuro che alla
mano dell'Onnipotente non era difficile trova-
re alla Certosa sostegno pi valido ch'egli non
era, risolvette di troncare gl'indugi.
Convocati quindi i suoi confratelli, lor ma-
nifest il fatto proposito ; dicendo, con quel
garbo ch'era proprio d'un uomo di tanta vir-
t e coltura, essergli necessit dolorosa di vider-
si sebbene sperasse per non lungo tempo, dalla
pi cara parte di s stesso, qual essi erano,
suoi dilettissimi fratelli di vocazione. Doversi
per, altres a costo di ogni gran sacrifizio,
ubbidire ad ordini si chiari del vicario di Ges
Cristo. Ben intendeva la pena, che la sua par-
tenza lor cagionava ; perocch la sentiva al
pari di loro ; ma imitassero lui, nel fare ci
che in tal caso solo far si poteva : darsi pace
in una pronta e generosa ubbidienza. Non si
lasciassero vincere dalla tentazione, che Dio
permetteva per provare la loro costanza. E
che ? non sapevano essi forse che solo la per-
severanza porta via la palma ? Sarebbero essi
mai di s poco animo, da voler perdere, per la
partenza di uno, il frutto di circa sei anni di
santissima vocazione ? Del resto si confortasse-
ro ; ch la sua assenza non doveva gi essere
perpetua, n lunga : e quanto a se prometteva
di ritornare il pi presto che gli fosse concesso
dalle circostanze e dall'ubbidienza. Vedendoli
da queste parole alquanto rincorati, altre ra-
gioni soggiunse con tale efficacia ch'ebbe la
consolazione d'indurli a mettere da un lato il
pensiero di lasciar ancor essi quella solitudine.
Ci valse mirabilmente a rallegrarlo, ed a mi-
tigargli la pena di quella partenza : s che,
provveduto al buon ordine della piccola socie-
t, sovratutto coll' affidarla alle cure di Lau-
duino, che costitu priore in sua vece, disse
loro addio come tenero padre a diletti figliuo-
li, e, lasciandoli colla benedizione, del cielo,
si pose in via sul principiare del 1089.

CcAPITOLO V.

VIAGGIO DI S. BRUNONE DALLA CERTOSA A ROMA, ED IN


SICILIA ; ACCOGLIENZA CHE V'HA DAL PAPA, E DAL
CONTE RUGGIERO.

D A Grenoble, ove certamente pass per os-


sequiare il suo venerato amico S. Ugo, fino
a Roma, il viaggio di Brunone fu qual si conve-
niva a tal romito cambiato in pellegrino. Altra
provvista non fece se non quella che gli veni-
va comportata dal suo amore alla povert ;
cio il salterio per la recita del divino uffizio
ed un bastoncello da reggere la persona, in s
lungo cammino a piedi ; e non era lontano
dal sessantesimo anno dell'et sua. Il suo ris-
toro era di poche erbe e radici, con qualche
pezzo di pane accattato, e poca acqua. Sulla
nuda terra, con un sasso per capezzale, pi-
gliava riposo, se tal nome pu darsi alla breve
quiete, che concedeva alle stanche membra,
dopo un lungo camminare e dopo le lunghe ore
.
che prima passava in orazione, sempre accom-
pagnata dalle consuete sue pratiche di peniten-
za. Onde pu dirsi che, tra per questo non in-
terrotto esercizio di orazione ed austerit, dell'-
amata sua solitudine non gli manc altro che
il luogo e gliene restarono tutti i vantaggi ; al
difetto del luogo supplito avendo il suo fervore
e l'energia dell'animo sostenuto dalla divina gra-
zia. Recano le antiche memorie che in questo
viaggio di S. Brunone splendette altres il suo
zelo ; perch ogni qual volta se gliene porse
occasione, amministr la divina parola in pri-
vato ed in pubblico nelle citt e terre per cui
passava. Facile e soda materia al suo dire por-
gevano le solenni verit della Fede, e l'impor-
tantissimo degli affari, salvare l'anima : al
quale uopo consigliava di lasciare il mondo,
o almeno tenere nel debito conto, cio disprez-
zarli, i fallaci beni che promette, e che pur r

troppo sono l'ordinaria cagione, per cui innu- :


merevoli anime perdono i veri, gli eterni beni
del cielo. Esortava ancora ad attentamente
guardarsi dalle molteplici insidie del nemico i

della nostra salute ; pericolose a que' tempi j

pi che in altri, per lo scandaloso e funesto !


scisma pertinasemente mantenuto dall' impe-
ratore Enrico IV e dall' antipapa Guiberto ;
s che molti fedeli erano miseramente ingan-
nati e allontanati dal vero pastore, cio dal le-
gittimo pontefice.
Non poi difficile, su questo indizio forni-
toci dalle antiche memorie, dell'aver Brunone
fatto questo viaggio da pellegrino e da missio-
nario, stabilire la strada da lui percorsa. Poi-
ch, scendesse egli dal Moncenisio per la via
della Savoia, o venisse dal Monginevro in vai
di Susa, dovette necessariamente passare in
Piemonte, e per Lombardia e Toscana andare
alla sua meta, a Roma. Tre certose, l'una pi
splendida dell' altra, segnano, quasi dicem-
mo, altrettante sue fermate : quella di Colle-
gno presso Torino, quella di Pavia, e quella
di Firenze. Sorsero esse, vero, molto pi
tardi ; n questo nostro pensiero appoggia-
1

Comunemente si scrive che la Certosa di Collegno ven-


ne fondata dalla duchessa Maria Cristina, nel 1642 ; ma la
storica iscrizione, che vi si conserva inalterata nell'interior la-
to della monumentale porta d'ingresso, dice chiaramente,
nel 1647. Ecco l'iscrizione:
Vetustissimis Montisbrachii Avilian cnobiis
Temporis injuria belli furore collapsis
Christiana? a Francia justitia pietate
Geminam amplexa Heec restituta Carthusia
Solitudini sanctitati
Tutiorem portum dignius domicilium reserabat
Anno salutis MDCXXXXVII.
Il P. Lemeria, quasi comentando quest'iscrizione, e ponen-
do 1648 invece di 1647, nella sua Storia della Chiesa di To-
to ad alcun documento ; ma niente vieta alla no-
stra piet di pensare che il Signore Iddio, ilquale
condusse questo suo gran servo ne' nostri
paesi, disponesse che i passi di lui fossero, a

rino, scrive : I Certosini furono da Tomaso I Conte di Sa-


voia stabiliti in Loze, ne' confini del marchesato di Susa,
nell' anno i 191 ; ma andarono poscia soggetti a diverse tras-
locazioni. Stanziarono per alquanto tempo in Mombracco ;
vennero in Avigliana nel 1600, per concessione di Clemente
VIII, ed ebbero il grandioso convento degli estinti Umiliati.
Ma trent'anni appresso, per incursioni militari dovettero an-
che sloggiare. La duchessa Maria Cristina, vedova di Vit-
torio Amedeo 1, e madre di Carlo Emanuele II, volendo
fissare una stabile e tranquilla sede a' figli di S. Brunone,
elesse il luogo di Collegno, l'anno 1648 ; ponendo ivi essa,
con luminosa solennit la prima pietra a quel tempio, nel
giorno io di Agosto ; e molta pecunia e largo territorio asse-
gnando a que' religiosissimi Padri. Fu questa Certosa res-
taurata dal savio e valoroso re Carlo Emanuele III, nel 1737 ;
il quale ebbe a sperimentare l'efficacia della protezione di
S. Brunone ; perocch, nell'iscrizione che si legge nel lato es-
teriore della porta sopra detta, lo chiama patrono prestantis-
simo.
Quest'iscrizione del seguente tenore :
D. O. M.
Carthusianas cedes
Ab avita Domus Sabaudi pietate positas
Carolus Emanuel III Sardini rex
Italico bello gloriose confecto
Nuptiis cum Elisabetha e Lotharingia junctis
D. Brunoni patrono prestantissimo
Ornavit
Anno MDCCXXXVII.
Oltre a questa di Collegno, il Piemonte ebbe tre altre
Certose : la pi antica delle quali quella di Casotto, nella
diocesi d'Alba, fondata da' signori di Garessio e di Ceva, nel
II7!.
Quella di Pesio, nella diocesi di Mondovi, deve la sua
fondazione ai signori di Morozzo ed a Giovanni, priore di
S. Biagio, autorizzato dall' abbate e dal capitolo di S. Beni-
gno di Fruttuaria, nel 1173.
cos dire, segnati da condegni monumenti. Di
questi a' d nostri non resta pur troppo altro
pi che le mura, da mano ostile chiuse a' dis-
cepoli del gran solitario, o volte ad usi ben
diversi ; ma non fuor di speranza che tor-
nino ad aprirsi a' santi esercizi della sublime
forma di vita, per cui vennero erette ; e chi sa
che abbiano a ricoverare ne' loro tranquilli re-
cessi taluno di coloro medesimi, che ora dispet-
tano tali istituti, ma che allora ammireranno
come provvidenziali asili delle anime pi elet-
te, ovvero agitate da salutari rimorsi, e final-
mente disingannate delle vanit mondane !

Era intanto per opposta via giunto a Roma


anche il pontefice ; il quale, sebben consecra-
to fin dall' anno antecedente, 1088, non ave-
va per anco potuto prendere possesso della
sua sede ; ma s'era recato a Montecassino ;
dove ricevette gli omaggi di Ruggiero duca di
Puglia, e di Boemondo suo fratello, figli di

La Certosa d'Asti fu da prima convento di Vallombrosani,


fondato nel 1387, e passato a' Certosini per autorizzazione del
pontefice Clemente VII. Fra i principali benefattori di ques-
ta Certosa citansi i signori Scarampi.
Tutte queste Certose furono soppresse dalla Rivoluzione
francese sul principiare del corrente secolo. Quella di Colle-
gno risorse per opera del re Carlo Alberto ; che, com' fa-
ma, vi si recava di quando in quando : ma di nuovo soppres-
sa nel 1855, ora serve di manicomio.
Le Certose, tanto rinomate, di Pavia e Firenze, vennero
fondate, quella, nel 1396, da Gian Galeazzo Visconti ; questa,
nel 1342, da Nicol Acciajoli.
Roberto Guiscardo, accompagnati da molti
baroni. Di l passato nella Puglia, a conse-
crarvi la chiesa del monastero di S. Bantino,
era venuto a Roma, senza per poter entrare
nella citt propriamente detta, opponendosegli
la fazione dell'antipapa ; la quale contro ogni
diritto teneva a que' d l'eterna citt nelle sue
mani : onde fu costretto a fermarsi nell' isola
del Tevere. Quivi, per quanto ne dice qualche
storico, ricevette Brunone, presentatosi appe-
na arrivato, a baciargli i piedi.
L'accoglienza, che questi n'ebbe, fu qual si
poteva aspettare dal comun padre de' fedeli,
e uomo d'alti e nobili spiriti ; che, gi stato
suo discepolo, seguitava a venerarlo quasi
come suo maestro, per la sapienza congiunta
a santit ; ed or con sua grande allegrezza lo
vedeva ubbidiente al suo desiderio d'averlo a
lato nelle gravi cure del governo della Chiesa.
Basti dire che, caramente abbraciatolo, se lo
f seder vicino ; e volle udire da lui le avven-
ture della sua vita dal d che non s'erano ve-
duti ; e come diventasse si austero romito, ed
or lasciasse la solitudine e gli amati confra-
telli per ubbidire alla voce del sommo Ponte-
fice. A si oneste e liete accoglienze di tanto
personaggio rest confuso l'umile Brunone ;
ma pure, senza conturbarsi, da quel valente
uomo ch'era, rispose in modo che il papa lo
tenne per molto da pi di quello che l'aveva
conosciuto in altri tempi ; e si rallegr d'a-
vere a' suoi servigi una mente s illuminata.
Entr quindi a parlargli degl'infelici tempi
che correvano per la Chiesa, e dei mali che
l'affliggevano, per colpa di nemici esterni ed
interni : esterni, l'imperatore Enrico IV, l'im-
peratore Alessio, d'Oriente, l'antipapa ; inter-
ni, l'incontinenza, la simonia, la corruzione
di tanti ecclesiastici e laici. Per rimediare a s
gravi mali, occorrere concorde ed energica
opera di tutti i buoni ministri di Dio e della
Chiesa : contare non poco su lui, che s bella
prova gi avea data nella causa del traviato
arcivescovo Manasse.
Senza punto insuperbire per tanta benigni-
t e confidenza del summo Pontefice, mani-
fest Brunone i suoi sentimenti intorno a cose
di s grande importanza ; e si convenne della
necessit di tenere quanto prima un concilio.
Dopo di che, dandogliene il papa licenza, si
ritir nell'appartamento assegnatogli ; e dicia-
mo appartamento, per indicare, non l'ampiez-
za e la splendidezza delle camere a lui desti-
nate, ma la qualit del loro sito ; che fu nella
pi segregata e solitaria parte della stessa casa
del papa, avendo egli mostrato desiderio e
proposito di osservare, quanto pi potesse, il
suo ordinario tenore di vita da penitente soli-
tario. Quivi tosto, corsa gi la voce della gra-
zia grandissima in che il papa l'aveva, furono
ad ossequiarlo molte persone, altres princi-
pali, della corte e della citt ; qual per conos-
cerlo, e qual per riverenza e divozione ; chi
per uno, chi per un altro rispetto. Egli, cor-
rispondendo alla lor gentilezza colla sua avve-
nente cortesia, che vie pi splendeva nella
sua schietta modestia e nell'umile abito, in
breve s'attir l'amore e la riverenza di tutti.
In Roma stessa, e in quel medesimo anno
1089, tennesi il concilio, di cui il papa aveva
parlato a Brunone : v'intervennero 115 ves-
covi e per volere del Pontefice v'assistette il
venerabile fondatore della Certosa. Fu il pri-
mo che venisse convocato dal B. Urbano II ;
e vi si presero molti salutari provvedimenti ;
fra cui v'ebbe la conferma della scomunica
contro l'antipapa Guiberto, gi discacciato da
Roma, e obbligato con giuramento a pi non
occuparne la S. Sede. Si procur altres di.
rimediare agli sconcerti de' Greci ; e siccome
il loro imperatore Alessio fomentava la dis-
cordia e lo scisma, voleva il papa, per impe-
dir tanto male, con maggiore prontezza ed
efficacia, recarsi egli stesso in Oriente ; ma
poich in Roma durava tuttavia turbolenta la
fazione dell'antipapa, si stim necessaria pru-
denza il non lasciare l'Italia ; e coll'impera-
tore d'Oriente si pens d'interporre l'opera di
Ruggiero, conte di Calabria e Sicilia.
Era costui uno .de' molti fratelli di Roberto
Guiscardo, del quale. non era men prode nell'
armi, e pi temperato ne' consigli : e a que' d
trovavasi nella mentovata isola, sotto le mura
di Butera, castello in vai di Noto, intento a
cacciarne con faticoso assedio i Saraceni ; che
con cotesto tenevano ancora qualche altro
luogo. Non presumendo il papa di staccare il
conte da s grave impresa, per trarlo ad un
abboccamento in terra ferma, si determin di
passar egli in Sicilia ; e Brunone ve lo accom-
pagn. Soffermatisi alcuni giorni a Reggio di
Calabria, dove furono accolti con istraordina-
rie dimostrazioni di festa e di riverenza dal
clero e dal popolo, continuarono il loro viag-
gio, ed approdarono a Toarmina ; dalla quale
procedettero fino a Troina presso a Catania.
Qui il pontefice, non fidandosi di avventurarsi
all'aspro cammino di quelle montagne, sped
un messaggio a Ruggiero, il quale, ricevendo-
lo, stette alquanto irresoluto, tra il desiderio
di accorrere a' piedi del papa, e il pensiero di
lasciare l'assedio con danno della causa cris-
tiana : alla fine si risolv di continuare le ope-
razioni militari per mezzo de' suoi luogote-
nenti, e con alcuni baroni recarsi in persona
dal papa. Senza fermarci in quello che stretta-
mente non s'attiene alla nostra storia, cio nel
dire la grandissima riverenza con cui il guer-
riero normanno presentossi al Vicario di Ges
Cristo e i gravi ragionamenti che tennero in-
sieme, noi in questo primo incontro noteremo
la viva impressione, che la venerabile presen-
za, l'aria di santit, il parco ma assennato dis-
correre e pi di tutto il sapiente consigliare di
Brunone fecero sull'animo del conte ; onde in
quel medesimo convegno mostr in quanta
stima ed amore gi l'avesse preso, col chie-
derlo per qualche tempo al papa. Il quale a tal
personaggio non seppe negarlo ; ma volle da
Brunone la promessa che al pi tardi in Agos-
to sarebbe tornato da lui. Indi, lieto di quel
suo abboccamento col valoroso liberatore e
conquistatore della Sicilia, s'accommiat ri-
volgendo i passi verso la Puglia ; e il conte,
dopo averlo accompagnato per buon tratto di
via e fattigli doni da par suo, ritorn, con
Brunone sotto Butera ; che poco appresso gli
si arrese a discrezione.
Or qui non si pu non ammirare la divina
Provvidenza, che per s nuova via condusse un
uomo di s puro e santo consiglio, qual era Bru-
none, ai fianchi di questo conte Normanno
che, per la conquista della Sicilia e della Ca-
labria, di umile cavaliere si trovava cambiato
in gran principe. Questo fu veramente un se-
gnalato benefizio non solo del conte, ma anco-
ra di tutto quel numeroso popolo; imperocch
facilmente s'intende che da' savi ordinamenti
e dal buon esempio del principe dipende il
buon indirizzo de' sudditi, con mille felicissi-
mi effetti e consequenze di vera prosperit. Fu
pertanto gran ventura la sua d'incontrar S.
Brunone, mentre appunto stava seriamente
pensando in che modo e con quali mezzi pi
efficaci mantenere in pace tante e tali conquis-
te : ma fu ventura ben meritata ; conciossia-
ch mostrasse grande saviezza nel rivolgersi
per tale bisogna ad un santo. N per fermo vi
sar alcuno che osi tacciare quel conte come
di bassi spiriti nel raccomandarsi, per cosa
politica, ad un umile religioso : imperocch
sebbene que' Normanni non avessero per anco
spogliata interamente l'originaria barbarie, in-
tendevano nondimeno che primo fondamento
del vera civilt d'un popolo l'osservanza
della santa lege di Dio, e che la religione cat-
tolica il pi valido appoggio de' regni. Fu
dunque grande avvedimento il loro a favorire
la religione e a prendere le difese del romano
pontefice contro la perfidia e la violenza dell'
imperatore Enrico IV : poich mentre questi
miseramente finiva, essi riussirono fondatori
del bellissimo regno Napolitano. A questo uo-
po non poco giovarono i consigli e l'opera di
S. Brunone ; che destramente insinu al conte
Ruggiero massime di cristiana sapienza : La
pi facile e sicura via di ben regnare essere il
santo timor di Dio ; lo zelo del divino culto ;
il rispetto alla Chiesa Romana ; la giustizia e
l'imparzialit ; amore e bont meglio che ti-
more e rigore; ministri virtuosi, integri, esem-
plari ; Iddio, per cui regnano i re e i legisla-
tori fan giuste leggi, avrebbe benedetto e pros-
perato il suo governo.
Tali massime furono veramente un eletto
seme, che port frutti di benedizione : impe-
rocch d'allora in poi non vi fu a que' d prin-
cipe pi benigno, pio, sollecito del bene de'
sudditi, splendidamente generoso verso Dio,
la Chiesa ed il prossimo, secondoch dimostra-
rono le cattedrali, i monasteri, gli ospedali
che il conte Ruggiero eresse e fond. Il qual
felice cambiamento stimandosi a buon diritto,
almeno in gran parte, effetto de' suggerimenti
di Brunone, questi ne crebbe in fama di sapien-
te non meno che santo ; s che era divenuto
il primo e pi autorevole personaggio di quella
corte. E ve n'ha la testimonianza del medesi-
mo conte Ruggiero ; che nel celebre privilegio
ossia diploma in favore di Brunone e della
Certosa di S. Stefano di Calabria, lo dice
personaggio grande e quasi principale in tutta
la sua casa : Hic, neJnpe Bruno, in tota domo
mea quasiprimus et magnus. Ond'era il rifugio
de' rei, il conforto degli afflitti, il sostegno de'
miseri, che in gran numero a lui accorrevano;
e ch'egli tutti accoglieva e sovveniva a poter
suo con viscere di paterna carit.
Godevane il conte, che ben capiva come,
oltre al bene che ne veniva al popolo di fresco
adunato sotto la sua signoria, questa ancora ci
guadagnava un tanto di saldezza e di pace,
e tent ogni via di ritenerlo seco : ma Bruno-
ne rispettosamente scusossene affermando che
non per altro aveva abbandonata la propria
casa, ed or lasciava la corte, che per servire
a Dio solo. Per il che, appressandosi il tempo
segnato alla celebrazione de' divisati concilii,
prese commiato dal conte per tornarsene al
Papa. Forte rincrebbe a Ruggiero la sua par-
tenza ; ma Iddio, che ogni cosa dispone pel
maggior bene, gi aveva stabilito di renderglie-
lo in altro tempo, come vedremo.
COABITO LO ll'I.

UNA PENOSA TRAVERSIA.

M ENTRE il signore Iddio rallegrava in tal


modo il fedele suo servo, concedendogli
preziosi frutti di sante opere altres in un
campo diverso da quello assegnatogli nel chia-
marlo in Italia, permetteva che gli si prepa-
rasse da altra parte tal prova, che non ci vo-
leva meno della sua fede ed uniformit al di-
vino volere per superarla con quella fortezza
d'animo ch'egli mostr. E fu che, nel tornare
dal Papa, trov lettere di Francia, le quali re-
cavano che la Certosa era stata abbandonata
da' confratelli, che vi aveva lasciati. L'affli-
zione da essi provata nella sua partenza non
s'era punto scemata ; anzi era cresciuta per
l'assenza di lui, troppo pi lunga di quello che
avevano creduto : onde, perduta in un colla
speranza di pi vederlo tornare, eziandio la fi-
ducia di poter continuare, senza di lui, in tal
luogo, in tal genere di vita si aspramente aus-
tero e diffcile, cedettero alla tentazione e si ri-
tirarono. Forse Brunone, distratto da cento
cose e da' predetti viaggi, non aveva ancora
avuto agio di confortarli per lettere, o per
mezzo di qualche messaggiere : et ci facil-
mente s'intende : ma non men vero che, se
cos fu, questo suo fatto un esempio di quanto
danno riesca talora un inopportuno silenzio.
Vero per altres che que ' sei compagni di
Brunone avrebbero, il men che sia, potuto far
essi quello che per avventura non pens di
far egli, cio visitarlo per lettere o per messag-
gieri : ma essi preferirono d'andarvi senza
pi tutti insieme, come diremo fra poco : or
giova riferire questa partenza, questo abban-
dono della Certosa colle parole d'un grave
scrittore, e raccoglitor diligente delle antiche
memorie, cio il P. Mabillon. Il quale, nel lib.
67 del tomo V degli Annali del suo Ordine
Benedettino, cos scrive :
L'anno stesso che nacque Bernardo, Bru-
none, primo istitutore della Gran Certosa, vien
chiamato a Roma da Urbano II, ch'era stato
suo discepolo a Reims, all'uopo di giovarsi de'
suoi,consigli nel governo della Chiesa. Di mal
animo sopport tale partenza il novello greg-
ge, privato del conforto di tanto pastore ; e a
tutti, mancando lui, parve intollerabile la di-
mora della Certosa e l'austerit della vita. Ma
pur bisogn alla fine ubbidire all'autorit del
sommo Pontefice ; il quale raccomand cotes-
to luogo a Seguino abbate di Casa Dei. Se ne
and dunque Brunone via dalla Certosa dopo
sei anni che aveva preso ad abitarvi. Ora i
suoi confratelli conturbati della sua partenza,
secondoch suole accadere all'umana fragilit
ne' difficili casi, vedendosi privi d'una guida di
s grande merito, se ne vanno via ancor essi. Il
che risaputo avendo Brunone, scritte sue lettere
a Seguino abbate di Casa Dei, a lui cedette la
Certosa ed il monastero di essa.
A prima vista pare che que' compagni di
S. Brunone non abbiano mostrato molta for-
tezza ; e veramente, se il loro animo, il loro
fervore fosse stato della tempra di quel di
Brunone, non avrebbero dato tale prova d'in-
costanza, non ostante le esortazioni che loro
non saranno mancate n dell'abbate Seguino,
n del santo vescovo di Grenoble; ma a ben
considerare si trova che questo lor fatto ha
altres il suo lato, quasi dicemmo, bello :
poich si vede che in fin de' conti que' ferventi
religiosi, i quali con tanto coraggio sfidavano
le maggiori asprezze della natura e della peni-
tenza, erano uomini come noi, e non di qual-
che altra natura insensibile al patire ed a' biso-
gni del cuore. Infatti essi lasciarono, si, la Cer-
tosa, ma non per andarne di nuovo dispersi
nel mondo, sibbene per raccogliersi interno al .
loro carissimo padre. Onde questa medesima
loro fuga dall'eremo ridonda ad onor di Bru-
none ; il quale mentre si mostrava esempio di
virt non ordinaria, ispirava a' suoi seguaci s
forte e tenero affetto.
Egli intanto assisteva, in Amalfi, ad un altro
concilio, celebrato colla presenza del Papa, di
71 vescovi e 12 abbati, sempre nel medesimo
anno 1089. Fra i decreti in esso sanciti uno ve
n'ebbe contro i monaci vagabondi ; i quali, a
que' d, in quel maraviglioso ridestarsi della
vocazione religiosa, abbondavano ; e si stabil
che niun vescovo n primate ammettesse nella
sua diocesi veruno di que' monaci, senza let-
tere commendatizie del proprio abbate.
Era presente a questo concilio il duca di
Puglia Ruggiero, sopranominato Borsa (figlio
di Roberto Guiscardo, e nipote del sopra lo-
dato Ruggiero liberatore della Sicilia), pel se-
guente motivo, indicatoci dal cronista Romual-
do Salernitano con queste parole : Urbano
Papa celebr un sinodo nella citt di Amalfi ;
nel quale il duca Ruggiero gli si fece uomo
ligio ; promise con giuramento di serbar fede
1

.
alla Chiesa Romana ed al medesimo Papa ed
a' successori di lui canonicamente eletti. Rice-
vette da lui, per mezzo del vessillo, il paese
coll'onor del ducato. Vuolsi notare questa

4 La parola ligio qui s'intende nel suo primiero significato


di uomo legato, obbligato ad un altro ; obbligato cio a fe-
delt.
circostanza, s per rammentare le relazioni
passate tra i Normanni e la S. Sede, per auto-
rit e favor della quale pu perci dirsi che
sorse il regno di Napoli ; e s per segnare l'ori-
gine dell'amicizia che, sebbene non cos stretta
come con Ruggiero conte di Calabria e di Sici-
lia, si strinse altres tra questo duca di Puglia
e S. Brunone : il quale, seguitando il Papa,
fu da lui con sua grande allegrezza conosciuto
in quest'occasione e famigliarmente trattato.
Nel mese di Ottobre, sempre dell'anno 1089,
and Brunone da Amalfi a Bari col Papa, che
benignamente aveva accettato l'invito fatto-
gliene dal duca Ruggiero e da Boemondo suo
fratello. S'era in questa citt di fresco accolto
con incredibile gioia e grandissima solennit il
corpo di S. Nicol, trasportato d'Oriente; e fu
certamente cosa gratissima al sommo Pontefice
ed a S. Brunone il poter venerareBla prodigiosa1
spoglia di un vescovo s illustre per santit di
vita ed efficacia di apostolato. N era questa la
sola ragione, per cui il Papa aveva voluto ralle-
%

grar Bari d'una sua visita ; aveacene parecchie


altre ; fra cui anche quella di onorare il nuo-
vamente eletto vescovo di lei, Elia, benedetti-
no di gran riputazione, e suo carissimo con-

I noto che da quel sacro corpo cola continuamente un


liquore, detto la Manna di S. Nicol ; che viene adoperata
per salute degl'infermi.
fratello ed amico. Or mentre la ben avventu-
rata citt era tutta in festa e piena di prelati e
baroni accorsi d'ogni intorno, Brunone, che
gi colla sua bont e santit di vita aveva is-
pirato grande venerazione e confidenza ne due
principi Normanni, andava con essi ed altri per-
sonaggi, a nome del Papa, trattando pi gravi
cose ; le quali, per giusto avviso di lui non
men che del Papa, dovevano tornare utilissime
a sostegno della Santa Sede contro lo scomu-
nicato e deposto, ma pur sempre contumace,
Enrico IV. E furono due matrimonii : il primo,
della celebre contessa Matilde di Canossa col
duca Guelfo di Baviera ; il secondo, del conte
Ruggiero con Adelaide figlia del marchese Bo-
nifazio di Monferrato. Questi matrimonii ven-
nero infatti felicemente conchiusi e celebrati,
con dispetto di Enrico IV ; che prevedeva gran
pregiudizio alla sua causa dall'unione di s po-
tenti e valorosi principi stretti in accordo col
vero Pontefice.
In queste opere, era entrato il 1090; e Bru-
none trovavasi tuttavia in Puglia, quando im-
provvisamente gli comparvero innanzi i suoi
confratelli della Certosa ; che di cost partiti
per Roma, qui non vedendolo, erano andati a
cercarlo fin l. Stup il santo uomo al mirarse-
li innanzi, cos inaspettatamente, in quel luo-
go ; e in sul primo non pot pararsi da un cer-
to molesto senso di pena : poich quel loro fat-
to era pur troppo diverso da' suoi desiderii, e
un p lontano da quelle regole di convenien-
za, le quali avrebbero richiesto che almeno
avessero scelto altro luogo, e non si fossero
cos mostrati, quasi dicemmo, fanciulli, sotto
gli occhi del Papa : ma tosto rasserenata la
fronte, li accolse con quel paterno amore che
nutriva per essi. E certo consider che se
quella era, come direbbesi, una scappata, che
mostrava una certa debolezza d'animo, vi si
scorgeva altres una molto lodevole affezione
a lui, e in essa una certa perseveranza nella
lor vocazione : la quale se fosse mancata, in-
vece di recarsi tutti insieme da lui, sarebbero
andati altrove in cerca di lor ventura. Per la
qual cosa saviamente conghiettur che non era
impossibile richiamar tali persone a' loro anti-
chi propositi, e all'uopo rimandarle col ond'
erano venute. Non differente giudizio dovette
fare di loro il B. Urbano II ; il quale, bench
forse non si rallegrasse del loro arrivo come
Faraone si rallegr della venuta del padre e
de' fratelli di Giuseppe, nondimeno li ricevette
benignamente ; e per rispetto a Brunone di
loro stanza in palazzo, in luogo appartato, ac-
ciocch potessero consolarsi nella compagnia
di lui e con esso attendere in quanto potevano
a' lor divoti esercizi.
Ma di lasciare che Brunone tornasse alla
Certosa non volle udire ; sebbene Brunone
stesso ne lo supplicasse, dicendo ch'egli pote-
va ritirarsi senza detrimento d'alcuno, n
pregiudizio di veruna delle opere allora pi
importanti alla Chiesa, gi essendosi provve-
duto alle pi urgenti necessit. N miglior
esito ebbero le istanze, che rinnov qualche
tempo appresso ; perocch il B. Urbano, ap-
prezzando sempre pi il vantaggio d'avere
pronto al suo servizio un uomo di s puro e
sano consiglio, disse chiaro essere sua volont
che non si discostasse da lui. E per ne esorta-
va i confratelli ad uniformarsi al volere di
Dio, manifestato in quello del suo Vicario ; e
soggiungendo ch'essi potevano sempre, o alla
Certosa o altrove, seguitare nell' intrapreso
tenore di vita, di che li lodava, offeriva loro
stanza in Italia, posto ch trovassero indispen-
sabile aver vicino il loro capo e maestro. Al-
lora, vedendo si chiara la volont del Papa,
si rassegnarono. Brunone, dalla sua parte, os-
servando che non dipendeva da lui il conten-
tarli, che pur gli sarebbe stato gratissimo, pre-
se a persuaderli di confidare in Dio, da cui
viene ogni dono e grazia e forza, e continuar
da soli l'incominciata eccellentissima opera.
Tornassero in Francia : bench lontano di cor-
po, egli sarebbe stato sempre unito ad essi di
spirito e di cuore. L'ubbidienza al volere del
Papa essere pegno di benedizione del cielo ;
non dubitassero ; si trattava d'un' opera santa;
superate le prime difficolt, sarebbe loro rius-
cita prospera e dolce, con somma utilit delle
anime loro, che in tal modo assicuravano l'e-
terna loro salute, salvandole dai pericoli gran-
di, che si trovan nel mondo. Quanto al ricu-
perare la Certosa, non temessero ; c'era modo
di riaverla dalle mani dell'abbate Seguino ; al
quale era stata sotto certe condizioni ceduta.
A tali ragioni s'arresero. Brunone riconfer-
m Lauduino nell'uffizio di priore; e il Papa
v'aggiunse il peso della suprema sua autorit,
con apposito Breve all'abbate Seguino, per la
restituzione della Certosa, sicch, colla bene-
dizione del Pontefice e del loro padre Brunone,
que' buoni Certosini ripresero la via a' monti
di Grenoble ; d'onde, circa un anno avanti,
erano sprovvedutamente partiti. Giunti, e pre-
sentata la lettera pontificia, il 17 settembre di
quel medesimo anno furono ricollocati in pos-
sesso della Certosa. Allora si scrisse la famosa
carta di cessione; in cui si dice che Brunone,
partendo per Roma, chiamato da Papa Urba-
no, costitu Lauduino priore; ma i monaci,
tediati dell'assenza di lui, e credendosi da es-
so abbandonati, pi non ressero ad abitare in
quell'eremo, e se ne allontanarono; il che sen-
tendo Brunone, cedette la casa all'abbate Se-
guino ed alla Congregazione di lui. Ma aven-
do i romiti ripigliato animo per le esortazioni
del loro Padre, e risoluto di riabitare in quel
luogo, ad istanza del Papa e di Brunone, Se-
guino, col consenso del suo capitolo, si move-
va a restituir loro il monte della Certosa, poc'
anzi a lui ceduto. L'atto segnato il 17 set-
tembre, in presenza di Ugone vescovo di Gre-
noble, e confermato da Ugone gi vescovo
di Die, ed ora di Lione.
Ristabiliti pertanto nel loro posto, que' Cer-
tosini ricominciarono con nuovo fervore la
solitaria lor vita di orazione e di penitenza.
Non fu per inutile la lor venuta in Italia ; at-
tesoch l'esempio dell' austera e santa vita,
ch'essi tennero nella corte medesima del Papa,
sotto la direzione del loro maestro, fu di gran-
de edificazione ; e scosse salutarmente non po-
chi, destando vocazioni, che poi maturaronsi
per cura di Brunone. Fra queste vuolsi ram-
mantare quella del Calabrese Guarino ; il qua-
le istruito da Brunone ne' principali punti del
suo istituto, e vestitone l'abito, stette seco e
l'accompagn poi all'eremo di Calabria. Non
da confondere questo Guarino con quello,
che gi vedemmo semplice converso tra i pri-
mi sei compagni del santo Patriarca : esso non
era converso ; alla morte di S. Brunone, pres-
t ubbidienza al B. Lanvino, sottoscrivendo-
si suddiacono. N pur da confondere il suo
nome di Guarino con l'altro di Gavino, come
alcuno erroneamente scrisse: ma torniamo a
Brunone.

CoAVITOLO VII.

BRUNONE RICUSA L'ARCIVESCOVADO DI REGGIO ; VA A


ROMA PER MANDATO DEL PAPA, CHE LI CONCEDE UN
SITO ALLE TERME DI DIOCLEZIANO.

A all'altra che
CCADDE di que' d passasse da questa
vita l'arcivescovo di Reggio in
Calabria, Arnolfo, dopo nove anni di vesco-
vado. Egli era stato innalzato a quella sede
da S. Gregorio VII ; et basta ci ad indicare
che doveva essere personaggio di merito non
ordinario, e degno di dare ospitalit al B. Ur-
bano II, quando, come sopra narrammo, re-
candosi in Sicilia, si ferm alcuni giorni in
Reggio. Avendo in questa congiuntura i Reg-
giani conosciuto Brunone, stimarono giusta-
mente che sarebbe stata una grande ventura
per loro l'averlo Arcivescovo, e con vive is-
tanze lo chiesero al Papa. E poich ben inten-
devano che la maggiore difficolt da superare
per riuscire nel loro intento, stava nell'umilt
di Brunone stesso e nella sua avversione alle
dignit e cariche, interposero il Conte Rug-
giero, acciocch vedesse d'indurre Brunone
ad accettare, e il Pontefice ad approvare la
loro elezione. Assunse il Conte l'incarico di
buonissimo animo, amando egli e venerando
il santo Patriarca, non meno, anzi pi degli
altri ; e quanto al Papa fu facile cosa ottenerne
non che l'assenso, ma pienissima approva-
zione, s perch meglio di altri sapeva apprez-
zare i meriti di Brunone, e s perch ci cade-
vagli ottimamente in acconcio, per fermare
Brunone in Italia ; ma ogni sforzo torn in-
darno ; il santo uomo fu irremovibile nel suo
proposito di vita solitaria e penitente. Un cro-
nista contemporaneo riferisce questo rifiuto di
Brunone colle sequenti parole Ma egli addi-
:

mandato con somma premura, con unanime


suffragio del clero e dai voti de' cittadini, ed
accettato con grandissima allegrezza dal Pon-
tefice, con tutte le forze si sottrasse all'offerta-
gli dignit d'Arcivescovo 1.

Ipse vero summo studio, concordi cleri suffragio, ac ci-


vium votis expetitus, et ingenti Pontificis gratulatione as-
sumptus, omnibus se viribus a collata metropolis dignitate
removit. Bonardus, De rebus Rheginis, Lib. IX.
Il medesimo cronista scrive che Brunone a
questa dignit fu chiamato dall'eremo di Cala-
bria : ma si pu dare per certo che ci av-
venne prima che quell'eremo fosse fondato, e
mentre il sant'uomo si trovava nella Puglia
col Pontefice. Imperocch Arnolfo mori nel
1090 ; e la Certosa di Calabria non fu co-
minciata che circa due anni appresso ; or non
probabile che i Reggiani abbiano aspettato
tanto a chiedere Brunone per successore d'Ar-
nolfo. Anzi da qualche cronista si nota che la
novit di quell'elezione fu di stimolo al santo
fondatore della Certosa per domandare di
nuovo al Papa licenza di ritirarsi, vedendo
come lo stare in corte, oltre al tenerlo lontano
dalla sua cara solitudine, l'esponeva al pericolo
delle cariche e dignit. I Reggiani, veduto che
invano tentavasi di vincere la resistenza di
Brunone, umile e rispettosa ma inflessibile, si
volsero ad altro personaggio pur accetto al
Pontefice, che fu Rangerio, francese di nas-
cita, benedettino di professione. Brunone ven-
ne intanto adoperato in altra bisogna.
Soggiornava allora il B. Urbano II nella
Campania detta Felice, tra gli ossequii, che
dall'Oriente e dall'Occidente mandavangli l'im-
peratore di Costantinopoli, Alessio, e il re di
Francia Filippo, e che di presenza rendevangli
il duca Guelfo di Baviera, Ruggiero duca di
Puglia, Ruggiero conte di Calabria e Sicilia, e
varii altri principi e baroni. Fra i quali certo
non v'era Enrico IV ; il quale anzi a que' d
era in opera d'inquietare pi che mai l'Italia e
la Chiesa. Perocch, mal sapendo tollerare
che la parte del Papa avesse preso gran forza
mediante il matrimonio della contessa Matilde
col predetto Guelfo, oltre ad occupare varie
lor terre e castella di l dai monti, assestato
un nuovo esercito, era calato in Italia, nel
Marzo del 1090. Accorse la valorosa Contessa
a contendergli il passo ; ma venuti alle mani i
due eserciti, Iddio permise che la vittoria fosse
di Enrico. Di che imbaldanzito, prese a de-
vastare col ferro e col fuoco la Lombardia, e
pose assedio a Mantova, che gli resistette. Per
questi fatti cominciando a giungere al Pontefice
avvisi, che i Romani si commovevano, e che,
mentre i suoi fedeli andavano vacillando,
la fazione dell'imperatore e dell' antipapa ri-
prendeva vigore e audacia, con pericolo di
nuovi disordini, Urbano, temendone gravi
conseguenze, volle saviamente antivenirle ; e
a tale scopo pens di spedire a Roma persona
di sua confidenza e corrispondente abilit ; la
quale fu Brunone. Dopo avere pertanto con-
certato di tenere fra breve un altro concilio a
Benevento, lo mand a Roma coll'incarico di
adoperarsi per tenere nella debita fedelt i Ro-
mani, e ricondurre sulla retta via i traviati e
ribellanti ; ma si ricordasse bene di trovarsi in
tempo opportuno a Benevento, per l'indicato
concilio. Non sapremmo dire di certa scien-
za quel che Brunone facesse in Roma per l'e-
secuzione ditale mandato, n con quali effetti ;
ben si pu credere per anche qui che nulla
omettesse di quanto era in poter suo : e quali
incoraggiando, quali ammonendo di que' cit-
tadini, or usando preghiere ed ora minacce,
s'adoperasse con tutto il fervore dell' anima sua
di ricondurre all'ovile tutte le pecorelle, e di
rivolgerle a riconoscere stabilmente il vero
pastore.
Ma non cos fu sollecito di recarsi a Bene-
vento ; ch anzi, inteso come il B. Urbano gi
v'era venuto, scrissegli lettere da Roma, per
ragguagliarlo dello stato delle cose, e chieder-
gli una grazia. Questa era che, poich l'inca-
rico affidatogli mostrava di non voler cessar
cos presto, e il religioso istituto da lui pro-
fessato non gli permetteva di stare in luoghi
aperti ad ogni qualit di gente, gli conce-
desse sito adatto alla sua vocazione. Il Ponte-
fice, trovando giusta la domanda, e dal te-
nor della lettera argomentando che Brunone
fosse disposto a seguitare nel datogli uffizio di
suo mediatore, tosto risposegli col seguente
breve :
Urbano vescovo, servo de' servi di Dio,
al diletto figlio Brunone coloniese, salute e
benedizione apostolica.
A noi non
si conviene aver contrarii, ma
piuttosto favorevoli e benevoli coloro che, ab-
bandonate le ricchezze, e cambiati gli onori di
questo mondo con l'abito e lo spirito della po-
vert, si rivolsero al servizio del Signore. Tu,
o diletto figlio Brunone, che stai con noi ado-
perandoti ne' concilii da celebrarsi prossima-
mente, ci hai notificato che per la religione
che hai instituita, devi abitare soltanto in luo-
ghi solitarii e romiti, e non ti permesso di-
morare nei castelli o ne' villaggi. Volendo per-
ci con paterna cura provvedere alla tua
volont, acciocch perseveri in solitudine ne'
divini colloquii, con autorit delle presenti
concediamo alla Paternit tua la chiesa ed il
titolo di S. Ciriaco martire nelle Terme di
Diocleziano; affinch in tale luogo liberamente
con Gavino tuo compagno possa attendere a
divini ossequii ; s che, venendo il Signore,
possa tosto aprirgli. Dato a Benevento, l'an-
no III del nostro pontificato.
Da questo documento quasi si dedurrebbe
che Brunone ricevesse dalla benignit del Pon-
tefice il luogo da fondarvi la Certosa di Roma,
che sta nell' amplissima cerchia delle Terme
di Diocleziano ; ma la fondazione di cotesta
Certosa non venne che quattro secoli appresso1.
E tuttavia degno di notarsi come la divina
Provvidenza dispose che S. Brunone ottenesse
fin d'allora la propriet ; e colla sua presenza
accrescesse il pregio di quel sito, gi santifi-
cato dal sudore e dal sangue di santi martiri.
Brunone per non altro fece che ridurvisi il
pi sovente che poteva, per godersi a suo modo
la quiete della solitudine, resagli ancora pi
preziosa e cara dalle distrazioni dell'opera, a
cui attendeva per volere del Papa2..

i All'edificazione delle Terme lavorarono dieci mila mar-


tiri, di cui fa menzione il martirologio Romano sotto il
d 9 di Luglio, e che dal barbaro Diocleziano vennero immo-
lati nella sua sfarzosa dedicazione delle medesime Terme. La
bellissima chiesa di quella Certosa, S. Maria degli Angeli,
era una delle vastissime sale di quell'immenso edifizio, dal
genio di Michel Angelo felicemente convertita in tempio del
vero Dio. Ammirasi in questa chiesa, tra gli altri capolavori
che l'adornano, una stupenda statua marmorea di S. Bru-
none, opera del parisino scultore Houdon ; della quale
fama che il Pontefice Clemente XIV dicesse : Parlerebbe se
la Regola non lo vietasse. Ma tale in cotesta statua l'es-
pressione d'un solenne, maestoso raccoglimento in profonda
meditazione, che all'animo del riguardante parla pi effica-
cemente di ogni umana eloquenza. Altra statua di S: Bru-
none, molto lodata, fu quella che Giacomo Sarazin fece, nel
secolo XVII, per la citt di Lione.
2 La Certosa di Roma, fondata nel i3yo, port da principio
il titolo di S. Croce di Gerusalemme, ed ebbe sua sede in
un convento di Benedettini, concessole dal Papa Urbano V,
lontano dal centro di Roma. Pio IV la trasferi, nel 1561,
alle Terme di Diocleziano, splendidamente edificandola e
dotandola, e la chiam di S. Maria degli Angeli. Soppressa
dal governo italiano, or non ha pi che alcuni de' suoi reli-
giosi, ridotti in angusta parte del suo vasto edifizio, e con-
servati per custodi e ministri di quella chiesa.
E per intendere quanto all'animo di Bru-
none, si pio e riverente alla somma autorit
ed importanza del Pontefice, quelle distra-
zioni tornassero, non che moleste, molestis-
sime, basta leggere ci che dei Romani di
quell'et scriveva poco tempo appresso S. Ber-
nardo, nel suo libro de Consideratione ; dove
li dice gente per ogni parte intrattabile. In
fatti l'ebbe a provare Brunone ; il quale ve-
dendo l'inutilit delle sue trattative e de' suoi
sforzi, tra per non perdere il tempo e il suo
decoro e, pi ancora, per evitare il pericolo,
se non di lasciarsi cogliere, almeno di parer col-
to egli stesso nella fazione dell'antipapa, chie-
se di lasciar Roma. E il Papa glielo concesse,
chiamandolo a Benevento. Quivi rifer al B.
Urbano quanto aveva veduto e fatto col ; ma
pur troppo fu relazione poco grata a lui, e
meno ancora al Pontefice. Imperocch fu de-
gna che Brunone la conchiudesse afferman-
do che, se v'era cosa atta a farlo pentire d'a-
ver assunto quell'incarico, per altro a lui s
%

onorevole, era l'aver avuto che fare con tal


gente, la quale invece di partecipare alle affli-
zioni del comun padre de' fedeli, ed agli amari
travagli ond'era a que' d conturbata la S.
Sede ; invece di adoperarsi per trovarvi ripa-
ro, come a loro stessi prima che ad ogni altro
si conveniva per ogni ragione, stoltamente
tirasse seco la rovina della Certosa di Francia,
ma gli desse modo di fondarne un'altra in Ita-
lia ; disponendo prima che gli esempi e le esorta-
zioni del fedele suo servo gli attirassero imita-
tori e seguaci nella stessa corte Pontificia ; e
poi che il B. Urbano finalmente gli desse
licenza di ritirarsi. Rammentando la poc'anzi
notata trista condizione di cose, in che allora
trovavasi la S. Sede, potr parere poco oppor-
tuno il recarsi al deserto un s pregiato e caro
amico del Papa : ma chi pu mai dubitare che,
se uomo s discreto e prudente, qual era Bru-
none, os appunto in quei giorni rinnovare la
sua domanda di ritirarsi, si fu perch vide di
poterlo fare senza alcun pregiudizio della san-
tissima'causa della Chiesa? Vero ch'egli cos
poteva giudicare erroneamente per effetto della
sua profonda umilt; ma poich il Papa ac-
consent alla domanda, da dire senza pi
che quello fosse tempo conveniente a farla. In
effetto, il concilio di Benevento aveva provve-
duto alle pi urgenti necessit ; e se ancora non
se ne vedevano in pratica i salutari frutti, ben
s'intende che questi non potevano maturare
dall'oggi al domani. Ci posto, e vedendo il
Papa la mirabile costanza di Brunone ne' suoi
propositi di vita austerissima e di piena, asso-
luta rinunzia a tutte le mondane grandezze e
delizie (tantoch in corte del Pontefice stima-
vasi cosa prodigiosa ch'egli non le guardasse
che per mettersele sotto de' piedi), giudic di
non dovere pi tardare a concedergli quello
che chiedeva con tanto fervore. E chi sa che il
Papa stesso, buon conoscitore della vita reli-
giosa, santamente non gl'invidiasse la libert
di andare a goderne la tranquillit e la pace ?
Ma la vocazione di lui era di governare sa-
pientemente la Chiesa in difficili tempi ; ed
egli non venne meno al glorioso uffizio : quel-
la di Brunone era di dare in persona, e per
mezzo di un ordine religioso perpetuare nella
Chiesa stessa uno splendido esempio di ora-
zione, di penitenza, di santo disprezzo delle
terrene grandezze e delizie, che a que' tempi
tiravansi dietro tanta parte, non solo dei tem-
plici fedeli, ma degli stessi ecclesiastici : ed es-
so ancora ebbe grazia di corrispondervi.
Permise dunque il B. Urbano a Brunone di
ritirarsi nell'eremo ; a condizione per che
non uscisse d'Italia, e non si allontanasse se
non il men che poteva ; acciocch, occorren-
dogli di richiamarlo presso di s, potesse
prontamente tornare. Avuta la tanto sospirata
licenza, Brunone non pose tempo in mezzo ;
raunati i suoi compagni, si dispose a partire.
N gli occorsero grandi apparecchi ; imperoc-
ch non altro portarono seco che il tesoro del-
la santa povert e d'un grande fervore. Preso
pertanto riverente commiato dal Pontefice,
che li confort di benigne parole e della sua
benedizione ; e dai varii personaggi di corte,
i quali non senza dolore videro allontanarsi
tal uomo, che veneravano come santo, e am-
miravano come perfetto modello di bont e
saviezza; s'avviarono al loro destino. Sei erano
i compagni del santo Patriarca, anche in que-

sta sua seconda partenza per l'eremo ; e degni


ancor essi, come i primi, d'essere rappresenta-
ti da altrettante stelle; perocche, se gli era ve-
nuto a poco a poco formando egli stesso, mentre
stava col Papa. Il primo fu il sopramentovato
Guarino il secondo fu Lanuino, nobile Nor-
:

manno d'origine, ma verosimilmente nato e


cresciuto in Italia; da non confondersi col Luc-
chese Lauduino, lasciato per priore alla Certosa
di Grenoble ; il terzo ebbe nome Lamberto,
un Borgognone di nobilissimo sangue, stretto
parente di Papa Callisto II ; il quarto ed il
quinto furono due Calabresi. Leone e Ri-
dolfo ; il sesto, di cui non trovammo la patria,
chiamossi Sicherio. Tutti e sei furono poscia,
un dopo l'altro, maestri dell' eremo di Cala-
bria che ora andavano a cercare.
La loro prima fermata fu nella Puglia.
Il Duca Ruggiero fece loro cortese accoglienza,
e liberalmente concesse quel luogo che aves-
sero giudicato opportuno al loro intento ;
ma in tutte le terre di quel Duca non aven-
dolo trovato, tornarono su' loro passi per
ringraziarlo della sua buona volont, di cui
gli si professarono obbligati ; e, da lui stesso
esortati, passarono nella Calabria ulteriore ;
in cui, disse loro, non mancano certamente
luoghi acconci al vostro bisogno : mio zio
(cio il Conte Ruggiero gi pi volte lodato,
e che allora veniva soprannominato il gran
Conte, per la grandezza delle opere felicemen-
te esseguite) sar lieto di ospitarvi nelle sue
terre, come lieto ne sarei stato io.
E disse giusto; conciossiacch il Conte Rug-
giero non che acconsentire alla loro domanda,
ne li preg: e ricolmatili di gentilezze, disse
che cercassero pure a lor senno il luogo che
desideravano : dovunque il trovassero, quivi
piantassero liberamente le loro tende. Tanto
ricavasi da due diplomi del Conte medesimo;
dati alcuni anni appresso, uno da Mileto, e
l'altro da Squillace.
Il luogo venne finalmente trovato in un sito
della diocesi di Squillace; il quale, da una
torre vicina al casale di Spadola, si chiamava
la Torre; e giace in alto tra due mari, Ionio
e Tirreno ; da' quali dista, cos da un lato
come dall'altro, diciotto miglia. Le colline che
l'incoronano, lasciano in mezzo uno spazio,
lungo circa tre miglia, e largo due, quasi
piano; ora campi e prati, ma allora era
un luogo ermo ed aspro, coperto di faggi ed
abeti. In capo ad esso, dove s'arriva quasi
insensibilmente salendo, sgorga un'acqua, la
quale, crescendo per altre piccole correnti che
in essa mettono, divien fiume, detto Ancinale;
e sbocca nella marina d'Oriente, denominata
la Ravaschiera. Era luogo acconcio ad una
Certosa; poich anche il clima aspro anziche
no, corrispondeva all'orridezza del suo selva-
tico aspetto, e al cupo silenzio che vi regnava;
Era in somma un bosco; e da questo venne il
nome, con cui quella Certosa fu poscia pi
comunemente indicata, di S. Maria del Bosco.
Il Conte Ruggiero, per maggior sicurezza e
tranquillit de' nuovi romiti, v'agginnse una
lega di terreno intorno; s che il possesso della
Certosa rest formato d'un quindici miglia di
sito libero da ogni servit e molestia ; por-
tando il diploma fattone stendere dal Conte,
che niuna persona, sotto qualsiasi pretesto, vi
potesse adacquare, allegnare, aderbare o simili
(cio venir per acqua, legna, erba, ecc.) ; ma
tutto fosse in uso e propriet de' Padri. Diede
loro inoltre un tal Mul (servo Saraceno, come
appare dal nome) co' suoi figli, per custode
della selva. Ma non sar fuor di luogo arre-
care qui cotesto diploma, tradotto dall'origi-
nale latino, che si conserva in quella Certosa.
Ruggiero, per grazia di Dio, Conte di
Calabria e Sicilia, a tutti i suoi fedeli ed a' figli
della Chiesa di Dio, presenti e futuri, salute
nel Signore.
Vogliamo
che sia noto alla fraternit vos-
tra come, per divina misericordia, dalle parti
delle Gallie sono giunti a questa regione di
Calabria uomini di una santa religione, cio
Brunone e Lanuino, con loro compagni ; i
quali, sprezzata la vanit della gloria mondana,
elessero di militare a Dio solo. Or conoscen-
do io il lor desiderio, e desiderando di essere
presso Dio ajutato dai loro meriti e preghiere,
con molte istanze ottenni dalla lor carit, che
in mia terra si scegliessero un luogo abitabile,
nel quale, per servire a Dio, si apparecchias-
sero quali case volessero. E scegliessero interra
mia certo solitario luogo, posto tra il sito detto
Arena, e il castello foppidum) denominato
Stilo. Quel luogo, ad onore di Dio onnipotente,
Padre, Figliuolo e Spirito Santo, ad onore
della Beatissima sempre Vergine Madre di
Cristo Dio e Signor nostro, e di tutti i santi,
ho ad essi donato ed a' loro successori, che
quivi serviranno a Dio ; con tutta la selva e la
terra e l'acqua e il monte, per lo spazio d'una
lega intorno da ogni parte : Concedendo e
stabilendo che posseggano cotesto luogo libera-
mente e tranquillamente con ogni sua adiacen-
za in perpetuo, senza che per ci s'obblighino
ad alcun aggravio o servizio a me o ad altra
persona. Dico anzi ed affermo in contrario,
da parte di Dio onnipotente, e di S. Maria
perpetua vergine e di tutti i santi, e mia, che
non vi sia alcuno de' miei, o estranei, come
stratigoto o visconte, contadino o soldato,
servo o libero, il quale in quel luogo, per
cagion di pascolo o coltivazione od anche di
pesca o di far legna o per qualsivoglia ragione,
rechi molestia od ingiuria a' servi di Dio; ma
sia in loro potest di possedere, disporre,
ordinare ed erogare il predetto mio luogo,
con ogni sua adiacenza, a lor volont. Che
se alcuno d'or in avanti presumer di far
contro lo stabilito in questa pagina, se prima
non avr data condegna soddisfazione, incorra
l'ira e la maledizione di Dio; e reso nullo tale
attentato, paghi nella nostra Curia, in pena di
tanta presunzione, cento lire d'oro. Adunque,
acciocch questa nostra costituzione resti in-
violabilmente ed assolutamente ferma, col
consenso della Contessa Adelaide mia consorte
e del figliuol mio Gaufrido, alla presenza di
persone dabbene ho fatto questa donazione;
ed ho ordinato di suggellarla col mio sigillo.
Io Gofrido, vescovo della Chiesa di Mile-
to, bench indegno, ho di proprio pugno scrit-
ta questa carta ad istanza del Conte Ruggiero,
lodando e confermando questa costituzione,
e condannando di anatema e scomunica colui,
chiunque siasi, il quale presumer di violarla,
salvoch per, ravvedendosi, dia condegna
soddisfazione.
Fatto nell'anno dell'Incarnazione del Si-

gnore mille e novanta1.
Ho inoltre donato Mul co' suoi figli, per
custodire la selva.
Questi poi furono i testimoni presenti :
Stefano prete, Giraldo prete, Pietro di Mori-
tonio, Riccardo Maleto, Rainolfo limosiniere,
Nicol notaio, ed altri parecchi 2.

1 Dice 1090, sebbene corresse il 1091 ; ma noto che


furono gi in uso varii modi di cominciar l'anno; ch altri
lo principiava dal Ss. Natale, ed altri dall'Incarnazione, os-
sia dalla Ss. Annunziata.
2 Degno di molta considerazione questo documento ;

non solo perch vi si manifesta la generosa piet del Conte


Ruggiero, che fa tal donazione in s ampia e perfetta forma,
ma anche perch giova a corregere varii errori di storia
nella vita di S. Brunone. Innanzi tutto si vede essere
una giunta romantica il dire che il Conte Ruggiero trov,
andando a caccia, per indizio datone da' cani abbaianti alla
spelonca, Brunone assorto in preghiera ; e mosso dalla
santit di esso, prese a favorire lui ed i suoi compagni
grandissimamente. Il diploma dice chiaro che, essendo giunti
dalle parti delle Gallie a quella regione uomini di una santa
religione (sanctce religionis viros) cio Brunone e Lanuino,
egli stesso, Ruggiero, ottenne con molte preghiere, che si
eleggessero in terra sua un luogo adatto ecc.
Vero che nel greco documento della conferma, che di
tal donazione fece Teodoro Mesimerio vescovo di Squillace,
si trovano parole, da cui altri potrebbe dedurre che Brunone
e i suoi compagni, prima della regolare fondazione di quella
Certosa, menassero vita solitaria in altri luoghi di que'
dintorni ; imperocch dice : Abitando luoghi deserti per non
breve tempo, vennero per divino favore qua nelle parti di
Stilo, in mia diocesi: ma oltrecch ognuno conceder che
in queste parole ben si dice che Brunone e i suoi compagni
menarono altrove vita solitaria, non per propriamente in
que' Calabresi dintorni, in un altro diploma del Conte
Ruggiero, col quale designa particolareggiatamente i con-
fini del terreno, dato a Brunone, si nota che la divina
misericordia trasmise fino a noi Brunone e Lanuino co' lor
compagni, cercanti un luogo solitario adatto al santo loro
proposito.
E vero ancora che la seconda delle lezioni storiche del
divino uffizio per la festa di S. Brunone, parla appunto del
Conte Ruggiero che in una caccia, abbaiando i cani alla
spelonca di lui, trov Brunone in preghiera, e prese a favo-
rirlo ed onorarlo grandissimamente : e quasi pare che queste
parole possano intendersi d'una visita, che Ruggiero fece
a S. Brunone, e di cui parleremo fra breve : ma su ci il
dire che vi si fa che Ruggiero prese a favorire e venerare
grandissimamente Brunone, mostra che lo scrittore di quelle
lezioni suppose che Ruggiero prima di quell'incontro non
conosceva Brunone, e che lo trov l a caso. Or noi ve-
demmo che Ruggiero conobbe la prima volta S. Brunone in
Sicilia, quando vi accompagn il Papa Urbano II, e lo
ritenne seco alcuni mesi.
Si vede in secondo luogo da questo documento che vuolsi
mettere fra le divote fantasie altres l'apparizione dell'Arcan-
gelo S. Michele a Brunone ed a' suoi compagni, mentre
andavano cercando il luogo desiderato. Imperocch, se vera
fosse, pare che almen qualche piccolo ricordo se ne tro-
verebbe in questo o negli altri antichi documenti, che
concernono la fondazione di quella Certosa; or niun indizio
se n' ha prima del secolo XVI. Oltre a ci, troppe e troppo
minute son le circonstanze dell' apparizione ; perocch vi
si narra da prima che l'Arcangelo, in forma umana di
celeste bellezza, tra giovane e fanciullo, diede suoi salutari
avvisi a Brunone ed a' suoi compagni, promettendo loro la
sua assistenza; indi che, essendo eglino entrati nella chiesa
a lui dedicata sul monte Gargano, qui vi successero nuove
apparizioni; e l'Arcangelo comand a' romiti di lasciar sulla
soglia della chiesa il declaro sopravanzato, e loro indic la
via da tenere. Anzi li accompagn nel cammino ; finch
giunti dove il fiumicello Anciale entra in mare, disse che,
andando su ritroso della corrente, si tenessero sempre sulla
sponda, sino alla sorgente di essa: ivi era il ricovero loro
apparecchiato da Dio. Stando quel che vedemmo notato nel
2 diploma del Conte Ruggiero, cio che Brunone e i suoi
compagni cercavano il luogo dove posarsi, e ch'egli fece
molte istanze perch lo scegliessero in terra sua, pi che
probabile che il religioso Principe desse loro una guida ;
dietro a' cui passi giunsero felicemente alla meta delle loro
ricerche. E per naturale che visitassero la predetta chiesa
di S. Michele, e si raccomandassero al patrocinio del glo-
rioso Arcangelo ; ma ci dovett' essere quando s'aggirarono
indarno al loro uopo per le terre del Duca di Puglia, nipote
del Conte Ruggiero : poich il santuario di S. Michele ap-
punto trovasi nella Puglia.

CcY1PITOLO IX.

PRINCIPII DELLA NUOVA CERTOSA : VISITA


DEL CONTE RUGGIERO.

D altresopra riferito
AL diploma si scorge, tra le
cose, grande, riverente, confiden-
il
tissimo affetto, che Brunone aveva ispirato al
Conte Ruggiero ; il quale, nelle non molte oc-
casioni avute di trattare famigliarmente con es-
so, aveva per propria esperienza veduto che la
fama delle virt del santo Patriarca era minore
del vero. Ed una di quelle occasioni l'aveva in
que' medesimi giorni, che Brunone se gli era
presentato co' suoi compagni ; poich da altro
diploma dello stesso Conte si ricava che egli
ebbe Brunone e i suoi compagni ospiti per al-
cun tempo nella sua corte medesima ; ed os-
piti cos cari che, specialmente per rispetto a
Brunone, a malincuore si risolv di finalmente
lasciarli partire per il deserto.
Giunti sul luogo, l'andarono partitamente
osservando, per acconciarvisi secondo la lor
condizione di penitenti romiti. Era in capo
della mentovata pianura una rupe ben grande,
con una certa cavit a mo' di spelonca ; e quivi
stabil Brunone la sua dimora, egli che avea
test ricusato il pi ricco vescovado del Napoli-
tano, qual era allora quello di Reggioi. Intorno
intorno distribu i suoi seguaci, parte in tugurii
fatti di rami intonacati di loto ed erbe selva-
tiche, parte in alcune cavernette scavate ne'
fianchi del monte. Bisognava pur ripararsi
dalle intemperie del cielo e del clima col as-
sai rigido A circa trenta passi dalla rupe cos-
!

trussero una cappelletta per celebrarvi il santo


sacrifizio e recitarvi le divine lodi.
In tal luogo adunque si seppell ancor vivo
S. Brunone ; e con lui restarono sepolte le
eroiche azioni sue e de' suoi compagni, per varii

4 V' chi dice che, intorno a questo medesimo tempo,


Brunone ricusasse esiandio il vescovado di Reims, sponta-
neamente offertogli dai Remesi ; ma se a Brunone venne fatta
tale offerta, non fu certamente di questo tempo, in cui era
arcivescovo di quell' insigne chiesa Rainaldo di Bellay ; che
la govern dal io85 al 1096.
anni ; attesoch que' primi Certosini curavansi,
non gi di prender memoria di quanto face-
vano, ma piuttosto, di tenerlo celato agli occhi
di tutti, fuorch di Dio. Ben vi fu chi retta-
mente pens di raccogliere quelle preziose me-
morie per conservarle : ma da sapere che
poco pi di cento anni dopo la sua fondazione,
cio nel 1194, quella Certosa pass alle mani
de' Cisterciensi, che la tennero 320 anni, fino
al 1514; e in quel lungo tratto di tempo le
memorie lasciatevi da' Certosini fondatori, qua-
si per intero scomparvero. Di pi l'archivio
della casa fu preda d'incendii ; quindi la scar-
sit delle notizie. Essendosene tuttavia man-
tenute alcune, specialmente dalla tradizione,
e queste per fortuna concernendo quel che pi
importa, cio il tenor di vita osservatovi da S.
Brunone, giova qui riferirle ; quantunque il
lettore gi indovini che sono simili a quelle
della fondazione della Certosa di Grenoble.
Sovra ogni altra virt splendeva in que' fer-
venti romiti l'evangelica povert nel pi alto
suo grado, accompagnata da corrispondente
austerit di vita. Della loro abitazione gi di-
cemmo ch'era di spelonchette e tugurii ; il cibo
era di radici ed erbaggi, e per gran delizia in
certi giorni qualche p di pane, che un fratello
converso andava accattando ne' vicini paesi :
perocch il terreno allora non coltivato non
fruttava niente, e le legne del bosco, in tanta
abbondanza, avevano il medesimo prezzo che
quelle del bosco di Grenoble, cio vilissimo o
nullo. Per bevanda, l'acqua del fiume ; ma
non a saziet. L'abito, di ruvide lane, di color
bianco, e di forma simile a quella che i Cer-
tosini usano tuttavia ; e sotto l'abito, aspro ci-
lizio. Per letto, la nuda terra ; e il sonno inter-
rotto da lunghe veglie in meditazioni, seguite
da flagellazioni ; ch tal nome pu darsi al
modo di usare la disciplina tenuto daBrunone
e da' suoi compagni. In somma era una peni-
tenza straordinaria, con esercizio continua-
mente eroico di ogni virt.
A taluno forse parr che tale e tanto fervore
ben possa credersi di Brunone, non per cos
facilmente de' suoi compagni ; ma il vero si
che il santo Patriarca a tutte le predette auste-
rit aggiungeva quella di tuffarsi sovente ignu-
do nelle acque freddissime, e starvi a lungo in
preghiere. Da questo tormento (che per leggesi
anche di altri santi; per es.di S. Patrizio)
sembra che Brunone dovesse poi -astenersi ;
poich gliene vennero piaghe e malanni tali che,
non valendo pi arte umana a guarirlo, fu
prodigiosamente risanato dalla Ss. Vergine.
Del che non accade punto maravigliarsi ; poi-
ch quell'eccelsa anima era certamente giunta
a quell'ultima delle sette mansioni, di cui nel
suo Castello interiore parla la gran maestra di
santit, Teresa di Ges. In questa mansione
Iddio unendosi all'anima con sovrannaturali
mistiche nozze, ne viene che l'anima tutta
di Dio, e Dio tutto dell'anima, quanto pu
riceverne semplice creatura ; la quale perci
ne resta trasformata e rivestita de' doni di glo-
ria, in quella misura che a Dio piace di con-
cedere in questa terra. In fatti a questo punto
la storia narra che S. Brunone era favorito
di ratti ed estasi, degnato della visibile beatifi-
cante presenza di N. S. Ges Cristo, che gli
appariva accompagnato da S. Giovanni Bat-
tista e dall' Angelo custode. De' suoi compagni
non si legge altrettanto : ma qual dubbio che
essi ancora si sforzassero di mostrarsi non in-
degni di tal maestro e tal guida, che com'aquila
generosa elevavasi su nell'alto de' cieli, inse-
gnando ed eccitando i suoi aquilotti a seguirlo ?
L'aureola di Beato che cinge il capo del primo
discepolo che Brunone ebbe in Italia, cio
Lanuino, buona prova che i suoi esempi ed
insegnamenti non erano vani.
Ancora vuol dirsi che il discreto uomo non
esigeva punto dagli altri il rigore che usava a
se stesso ; che anzi aveva per essi l'amor d'una
madre, santamente sollecita del vero bene de'
suoi figliuoli. Raramente accadeva che dovesse
esercitare l'autorit di padre, cio di superiore ;
poich a mantenere que' suoi discepoli nel fer-
vore d'imitarlo bastavano il suo efficacissimo
esempio e la sua non meno efficace parola ; la
quale era un vero specchio dell'animo suo
profondamente umile, schiettamente buono, ac-
ceso d'un'ardentissima carit di Dio e del pros-
simo, e continuamente sollevato agli eterni
beni del cielo, da conquistarsi con un santo
disprezzo de' falsi e caduchi beni di questa ter-
ra, e col prepararsi alla morte.
Tanto ricavasi dalle poche sparse memorie,
che di Brunone restarono per tutti gli undici
anni, ch'egli pass in quel deserto ; cinque in-
terrotti, e sei continui, sebbene non lasciati
compiere dalla morte. La tradizione ricorda
eziandio che Brunone, per l'abbondanza delle
superne grazie e consolazioni, con cui Iddio
ricompensava fin dalla presente vita il suo fe-
delissimo servo, non potendo contenerne nel
santo petto la piena, le dava sfogo esclamando,
cogli occhi rivolti al cielo : O bont ! o bont !
Era qualche tempo che Brunone in tal
modo menava in quell'eremo vita pi angeli-
ca che umana, quando nacque vaghezza al
Conte Ruggiero (il quale da un pezzo avanti
s'era dato alla piet) di veder che ne fosse : pia
curiosit forse, ma anche, in lui, giusto desi-
derio di aver certa notizia de' nuovi romiti, e
del come ponessero in pratica il loro propo-
sito di vita penitente. A tale uopo, per onesta-
mente coprire il motivo della sua venuta,
ordin una caccia ; divertimento a que' tempi
assai pi in uso che a' nostri, specialmente nelle
corti de' gran signori : che eziandio, uscendo
a lor cavalcate e passeggi, solevano, per pom-
pa, farsi precedere da cacciatori con cani e falco-
ni. Or quando il nobile Conte, al mirar la po-
vert dell'abitazioni incui stavano Brunone ei
suoi compagni, e la somma austerit della lor
vita, vide co' proprii occhi con quanta verit e
seriet eseguivano in pratica quel che avevano
proposto, s'intener grandemente; e quasi non
poteva credere a se stesso quel che pur con-
templava. E parendogli che quel rigore di po-
vert fosse veramente eccessivo, dolevasi di se
medesimo, che non avesse dati ordini oppor-
tuni accioch que' divoti servi di Dio fossero
alquanto pi convenientemente riparati e prov-
visti del necessario1. Ma poi vedendo ancora
1 Chi volesse, nel fatto di questa visita, ammettere la cir-
costanza dell'aver Ruggiero incontrato Brunone assorto in
preghiera, per indizio datone da' cani abbaianti alla spelonca
di lui ( secondoch narra la lezione storica del divino uffizio)
potrebbe dire che il Conte ben aveva gi conosciuto il santo
Patriarca in altre occasioni, e perci fattogli dono di
quell'eremo, ma che mai non avrebbe creduto di doverlo
ora trovare in tanta povert ; di che commosso prese ad
averlo in molto pi alto favore e riverenza che prima :
fovere ac colere impense coepit. Certamente non si vuol subito
chiamar leggenda tutto ci che ha dell'insolito o straordi-
nario ; e lo scrittore delle lezioni storiche dell' divino uffizio
dovette appoggiarsi a qualche dato : per vero altres che
la serena pace che regnava in essi, il dignitoso
e modesto aspetto, la carit, la concordia, il fer-
vore, in somma la santit della vita, esclamava :
Oh questo un paradiso : qui tutto spira san-
!

tit e amor di Dio : felici voi, o Padri miei, che


la sapete giusta e, sprezzando le vanit di questo
mondo, ancora nella presente vita vi godete la
vera felicit. Ma deh lasciatemi dire che la
!

vostra povert, il vostro rigore sono eccessivi.


E non vedete che in queste, non celle, ma co-
vili di fiere, con la nuda terra per letto, con
un sasso per origliere, correte pericolo di gelare,
di restar coperti e soffocati dalle nevi ? Non io
permetter simile cosa E rivoltosi a Bruno-
!

ne, qual superiore, lo preg che, come padre


discreto, temperasse tanta austerit, e si conten-
tasse ch'egli vi facesse murare una modesta
chiesetta, invece della capella gi disegnata,
ed erigere alcuna fabbrica ; o almen ridurre
quelle capanne a forma pi regolare e decente
per abitarci uomini.
A tali parole rispose Brunone rendendo vive
grazie al Conte della sua carit e cortesia ; e ac-

qu, cio nelle lezioni storiche ora dette, il fatto narrato in


m'odo da parere che quella fosse la prima volta che Ruggiero
incontrasse Brunone, e lo incontrasse a caso. Il che, come il
lettore ha veduto nelle antecedenti pagine, vuol rigettarsi, co-
me non corrispondente alla storica verit sebbene ammesso
anche da due Certosini scrittori della vita di S. Brunone ;
cio il Du Puy ed il Surio.
cett l'offerta della chiesetta, a condizione pe-
r che riuscisse tale che non disdicesse alla po-
vert di lor condizione. Rispetto agli abituri
(salva la sua grotta del sasso, che volle intat-
ta), dopo qualche riverente resistenza, accon-
sent che si riadattassero in forma pi conve-
niente, sempre per osservando lo spirito del
loro istituto di poveri di Gesi Cristo. Aggrad
anzi aiuto e materiali da tirar su piccole case
in forma di monastero, per servigio degli altri
che avessero tal vocazione. Accordatisi di ci,
supplic il Conte di ordinare un largo e pro-
fondo fosso, almeno intorno alla loro abita-
zione, poich non potevasi per tutto il giro del
sito, che generosamente loro aveva dato. Ques-
to fosso doveva servire di clausura ; e un solo
adito ci doveva essere, varcabile mediante un
ponticello levatoio. Pregollo inoltre che, ad
ogni buon riguardo, stabilisse che niuna perso-
na, specialmente di sesso diverso, osasse met-
tere i piedi in quel recinto. Cos fatto si era al-
la Certosa di Grenoble ; e cos fecesi anche l,
a molto maggior ragione ; poich quivi man-
cavano i ripidi e dirupati fianchi de' monti,
che da tre parti cingono la Gran Certosa.
Il Conte, passato quel giorno parte in santi e
dolci ragionamenti con Brunone, parte in dare
gli opportuni ordini per le divisate fabbriche
ed opere da eseguirsi, edificato e compunto
raccomand se e la sua famiglia alle orazioni
de' santi romiti, e se ne ritorn a Mileto.

CoAVITOLO X.

COSTRUZIONE DE' PRIMI EDIFIZI DELLA NUOVA CER-


TOSA *, SUE FACOLTA E PRIVILEGI.

I N pochi mesi si condusse a termine il fosso,


si migliorarono le celle, e se n'accrebbe il nu-
mero ; s'aggiunse una piccola officina per le
cose pi necessarie ; sovratutto si perfezion
la chiesa dedicata a Maria Ss. ed a S. Giovan-
ni Battista, e si provvide di sacri arredi decen-
ti. Indi, sempre coll' efficace concorso dei ro-
miti stessi, s'abbatterono alberi, s'appianarono
rialti e rupi, si sradic lo sterpame ; tanto
che il sito cambi d'aspetto, pur serbando una
cotal aria di semplicit e povert, e special-
mente il pregio di solitudine conveniente al
meditare.
Non tard a correrne la fama per tutti i
paesi circonvicini, con grande edificazione de'
popoli, che traevano a vedere, e spirituale
utilit di molti; massimamente di coloro che,
mossi dall' esempio di cos santa vita, vollero
imitarlo o almeno si convertirono a Dio. Go-
devane il Conte Ruggiero, come d'un tesoro
di benedizione per se ed i suoi sudditi ; e per
assicurarsene perpetuo e sicuro possesso, non
contento dell'ampio diploma di civili diritti
e prerogative da lui concesso al novello istitu-
to, si volse al vescovo di Squillace, Teodoro
Mesimerio, perch in egual modo lo munisse
d'ogni spiritual facolt, giurisdizione, privile-
gio, che per lui si potesse. Il cortese Prelato,
ponderata la cosa, e consigliatosene col capi-
tolo della sua cattedrale, stim giusto ed op-
portuno di annuire alle calde istanze del Conte
e de' baroni della sua corte ; e stipulonne l'at-
to con pubblica scrittura, in greco ed in latino,
confermato nelle debite forme da Rangerio
Arcivescovo di Reggio. Questo documento,
conservato in quella Certosa, era ne' seguenti
termini :
Teodoro Mesimerio, per misericordia di
Dio vescovo de' castelli di Squillace, Stilo e
Taberna, e protosincello 1, a petizione delchia-
I Secondo l'Alberti, questo titolo era proprio del primo
famigliare del Patriarca di Costantinopoli ; del quale era an-
che vicario e futuro successore. Teodoro Mesimerio sar
stato protosincello per qualche tempo ; onde conserv il
titolo ad honorem.
rissimo Conte, signor nostro, Ruggiero ; il
quale s' degnato di rogarmi per gli onoratis-
simi monachi ed eremiti, cio per i signori
Brunone e Lanuino ; trattando meco, non gi
secondo la sua somma e principesca autorit,
ma, come dissi, s' degnato di pregarmi per i
sopraddetti monachi, dimoranti in un luogo
serbato da Dio, il quale dicesi la Torre, nella
molto veneranda chiesa della gloriosissima Si-
gnora nostra Madre di Dio e di S. Giovanni
Battista precursore. I quali monachi vivendo
in luoghi deserti per tempo assai lungo, col
passarono, nelle parti di Stilo, nella mia dio-
cesi. E siccome il Conte nostro signore vi ha
fatto dono di monti, campi e molini intorno
alla chiesa, sino a due miglia, abbiateli in per-
petuo possesso voi, o monachi sopralodati, e i
vostri compagni e successori, che abiteranno
quel luogo sino alla fine dei secoli, senza im-
pedimento di divieto o molestia d'alcuno. Niu-
no poi, n io n altri de' vescovi che saranno
eletti dopo di me, imponga tributo o decima o
quasivoglia peso a voi e a tutti gli altri vostri
compagni e successori. Che se alcuno oser
sprezzare questa nostra sigillata scrittura, abbia
anatema dal Padre, dal Figliuolo e dallo Spirito
santo, e dai trecento e diciotto santi Padri ; e
questa sigillata scrittura resti ferma e inviola-
bile sino alla fine dei secoli. Poich io ho fatto
la presente scrittura bollata per sopraddetti
i
monachi, e bollandola la contrassegnai colla
mia bolla di piombo, add 7 di Dicembre, In-
dizione XV, dell'anno mille e novanta I.
Io Rangerio, per la clemenza di Dio, elet-
to Arcivescovo della santa metropolitana chie-
sa di Reggio, ho confermato la presente scrittu-
ra affatto, come sta distesa ; acciocch presso
i servi di Dio sopra mentovati, Brunone e
Lanuino e tutti gli altri loro compagni e suc-
cessori, resti rata e ferma, e abbia forza ossia
validit sino alla fine de' secoli. Riferiamo
questo documento, prima perch si veda l'in-
contestabile legittimit del possesso e de' privi-
legi de' Certosini, e poi perch si miri, quasi
dicemmo, co' proprii occhi, la fisonomia de'
tempi, in cui questi fatti avvennero. A tale
uopo gi riferimmo, e riferiremo, i diplomi
del Conte Ruggiero or ecco con qual decreto
:

il santo Padre Urbano II aggiungeva a quegli


atti il peso della suprema sua autorit.
Urbano vescovo, servo de' servi di Dio, a'
diletti in Cristo figliuoli Brunone e Lanuino,
salute ed apostolica benedizione.
L'effetto 2d'una pia volont dev'essere
con corrispondente sollecitudine compito :

' Cio I, per la sopra accennata ragione.


109
2 Nel testo c' affectus ; ma chiaro l'errore di stampa.
poich dunque del nostro ufficio provve-
dere, secondo le forze che Dio ne dar, alla
quiete de' servi di Dio, alle vostre domande,
o figliuoli in Cristo carissimi e reverendissi-
mi, benignamente acconsentiamo. Pertanto
per questa scrittura (paginal71) d'apostolico
privilegio, con apostolica autorit stabiliamo,
che il luogo da voi, per divina disposizione,
eletto per abitazion vostra, libero da giogo, po-
test, ingiuria, molestia di qualsiasi persona,
con tutto il bosco, il terreno, l'acqua, per lo
spazio di una lega in ogni parte adiacente, res-
ti affatto a disposizion vostra e dei vostri suc-
cessori, siccome fu a voi donato dal nostro
diletto figlio il Conte Ruggiero, e confermato
dal nostro confratello Teodoro, vescovo di
Squillace. A niuno sia lecito, nello spazio di
quelle parti, per occasione di pascolo, di col-
tivazione, o di pesca, o di far legna, o per
qualsivoglia altro motivo, recare ingiuria a
voi od a' vostri successori ; ma l'abbiate tutto
in possesso, ne disponiate, l'ordiniate, lo do-
niate, secondo la volont vostra. E se inoltre
avrete bisogno dell'episcopale ufficio per qual-
che cosa, col presente decreto vi concediamo
libera facolt di ricorrere a quale vorrete de'
vescovi vicini.
L'uso altres
delle decime, delle fatiche
vostre o de' vostri servi, stimiamo che sia di
vostro diritto. Che se accadr che i vostri servi
manchino a' lavori, stia nelle sole vostre mani
ogni lor correzione ; n alcuno s'intrometta,
in veruna occasione, senza vostro volere, in
cosa che a voi appartenga. E ci, affinch voi
con libere menti, attendiate a' pensieri di Dio
onnipotente, e possiate, per sua grazia, arri-
vare alla dolcezza della sua faccia. In verit,
se alcuno d'or in avanti, arcivescovo, vescovo,
imperatore o re o principe o duca, conte o
visconte, giudice o qualsivoglia persona po-
tente o non potente, tenter scientemente di
contravvenire alla scrittura di questo nostro
privilegio, ammonito per la seconda o la terza
volta, non avr fatto ammenda, con soddisfa-
zione conveniente, decretiamo che soggiaccia
alla perdita (periculoj della sua dignit ed
uffizio, e coll'autorit del potere apostolico lo
segreghiamo dal corpo della Chiesa. A coloro
poi che l'avranno osservata, sia pace da Dio
e misericordia nel presente e ne' futuri secoli.
Amen, Amen. Dato per mano di Giovanni
Cardinale diacono della S. R. Chiesa, add 14
di Ottobre, Indizione I, l'anno dell'Incarna-
zione del Signore 1092, anno V del pontificato
di Papa Urbano Il.
Anche il duca di Puglia, Ruggiero, confer-
m, con apposito diploma, la donazione del
Conte di Calabria suo zio ; notando che Bru-
none e Lanuino, co' loro compagni, cercaro-
no, da lui guidati (meo ductu) un luogo conve-
niente a' loro disegni ; e non avendolo trovato,
elessero di abitare tra Arena e Stilo, nel sito
sopra descritto t.
Nel suo diploma, questo Duca chiama il Conte Ruggiero
*

suo fedele, quasi come dir suddito (forse perch le conquiste


e i possessi del Conte, come recenti, non erano ancora ben
assodati e delimitati, come dicono. E soggiunge che il luogo
da esso donato a Brunone era del Contado di lui, per sua
concessione (de comitatu enim ipsius per meam concessionem
erat) : col che s'accenna che zio e nipote erano venuti ad
accordo di partizione del conquistato paese.

COABITOLO XI.

S. BRUNONE, RICHIAMATO DAL PAPA, ASSISTE AL


CONCILIO DI TROIA : ALTRA VISITA E NUOVO PRIVI-
LEGIO DEL CONTE RUGGIERO ALLA CERTOSA .* BRUNONE
GLI BATTEZZA UN FIGLIUOLO.

M in tal guisa Brunone fondava il nuo-


ENTRE
vo eremo, venne l'ubbidienza a toglierlo
alle dolcezze della solitudine, che gi rico-
minciato aveva a gustarvi. Il santo Padre Ur-
bano II, volendo tenere un concilio in Troia,
principale citt della Capitanata, mand a
chiamarlo nel suo deserto ; ed egli, appena
ricevette il messaggio che misesi in via, me-
nando seco alcuni de' suoi confratelli, fra cui
Lanuino. Non vuolsi per tacere che questa
chiamata cadeva assai opportuna pel santo
uomo ; imperocch desiderava ottenere la con-
ferma delle donazioni e de' privilegi, che sopra
arrecammo; ma n egli n Lanuino s'aspettava-
no di dover fare lunga assenza dalla Certosa.
Lietissimo fu il Pontefice di riveder Bruno-
ne, accompagnato da nuovi discepoli, tutti s
pronti all'ubbidienza, volle essere informato
d'ogni suo fatto, specialmente della fondazione
della nuova Certosa ; e, ammirando i disegni
della Provvidenza in s prospero avvenimento,
tutto concesse e conferm nella pi ampia
forma, come vedemmo nel riferito decreto,
quanto Brunone e Lanuino gli chiesero. Se
non che all'allegrezza dell'ottenuto favore suc-
cesse ben tosto la mestizia, non di Brunone,
ma de' suoi confratelli, del doversene tornare
all'eremo senza il loro carissimo padre : atte-
soch il Pontefice disse a Brunone di fermarsi
con lui, per assistere al Concilio che intendeva
di tenere fra breve rimandati pertanto i suoi
:

confratelli alla Certosa, s'apparecchiasse di


seguirlo a Troia. Trovavasi allora il B. Urba-
no presso la citt di S. Marco, in Calabria;
venutovi dalla badia della Cava ; della quale
aveva consecrata, con solennissima pompa, l'in-
signe basilica dedicata alla Ss. Trinit : onde
venne al monastero il nome di Trinit della
Cava.
Questa volont del Papa riusc per contra-
ria a' desiderii di Brunone assai pi di quello
che prima credeva ; poich dalla pace del suo
caro deserto si vedeva ricaduto nel tramesto
degli affari, nelle cure gravissime d'un conci-
lio : ma avvezzo a venerare la volont di Dio
in quella del suo Vicario, non altro fece che
chinare la testa con perfetta ubbidienza. E
cos, ad esempio di lui, fecero ancora i suoi
confratelli; rammentando che il santo Padre
aveva dato licenza a Brunone di ritirarsi, ma
non fuori d'Italia, e a condizione che tornasse
a' suoi fianchi al primo avviso che gliene
desse. L'incarico di reggere la Certosa, nell'-
assenza di Brunone, fu dato a Lanuino, col
titolo di Priore.
Il Pontefice, accompagnato da Brunone, nel
Novembre del 1092, and a Taranto, e vi sog-
giorn fino al Marzo del 1093 ; quindi, rimes-
sosi in via verso la Puglia, venne a Troia e
intim i concilio. Vi presero parte circa 75
vescovi e 15 abbati: S. Brunone, sotto l'autori-
t del Papa, ne fu come l'anima e il direttore.
Gli ottimi frutti ch poscia se n'ebbero, mos-
trarono la bont e saggezza de' provvedimenti
in esso presi ; sovratutto per i lieti riscontri
che trovansidi riunione di questi e di quelli col
vero capo della Chiesa, e specialmente di molti
Romani, non ostante che Castel S. Angelo
sempre fosse nelle mani della fazione dell'an-
tipapa. Inoltre Arrigo IV ben aveva, fin dall'-
anno antecedente, lasciato in Italia il suo
figliuolo Corrado, con mandato di opporsi e
nuocere a poter suo alla Contessa Matilde ed
alla sua parte, ch'era quella della Chiesa; e
ci eziandio per vendicarsi della resistenza
fattagli nell'ultima sua venuta in Lombardia ;
ma Corrado, stomacato delle iniquit e turpi-
tudini del padre, si sottrasse a' suoi ordini, e
collegossi con la Contessa e co' cattolici. In
questo modo, e col rendere ossequio al Pon-
tefice, che l'assolse dalle censure fulminate
contro Arrigo e i suoi fautori, apertasi la via
alla corona, l'ebbe solennemente in Milano
dalle mani dell'Arcivescovo Anselmo ; e prese
a regnare in Lombardia. Indi, sceso in Italia
Guelfo, Duca di Baviera, e unite insieme le
forze, ridussero Arrigo a mal partito; s ch
molte chiese e citt tornando all'ubbidienza
del legittimo Papa, la fazione di Guiberto e
d'Arrigo n'ebbe fiero tracollo. Per questi mo-
tivi, parendo a Brunone che lo stato delle cose,
di molto migliorato, gli permettesse di tornare
al suo eremo, ne domand ed ottenne licenza
dal B. Urbano, sempre per alla condizione
di prontamente ubbidire a nuova chiamata.
Si fu nel tornarsene alla Certosa, con vivis-
sima consolazione sua e de' suoi confratelli,
che Brunone ebbe da Ruggiero Duca di Puglia
la sopra accennata conferma della donazione
fattagli dal Conte Ruggiero, con termini di
non minore benevolenza e ampiezza di facol-
t. Nel quale fatto se risplende la prudenza del
santo Patriarca, che volle giustamente porre
la sua istituzione al riparo delle ingiurie de'
nemici della religione e degli ordini religiosi,
risplende non meno la schietta e generosa pie-
t di cotesti principi normanni ; i quali, men-
tre il capo del sacro Romano impero mano-
metteva con tanta empiet i pi venerandi
diritti della Chiesa e della religione, davano
si lodevoli esempi di riverenza e favore alla
religione medesima. In ci si pu dire con
certezza che non piccola parte di merito ebbe
S. Brunone, che opportunamente valevasi del
rispetto e dell'amore che que' principi gli por-
tavano, per accrescere in essi lo spirito della
cristiana piet. Due altre buone occasioni n'eb-
be poco tempo appresso : la prima venne da
un deplorabile caso di guerra.
Di Roberto Guiscardo nacquero parecchi
figliuoli ; Ruggiero, test mentovato, Boemon-
do, Mabilia. Avvenne che questo Ruggiero,
Duca di Puglia, ammal nel iog3 ; e, fosse il
male che lo traesse agli estremi, fosse voce
diffusa ad arte, fu tenuto per morto. Della qual
voce avvalendosi Boemondo suo fratello e
Guglielmo di Grant Manil, sposo di Mabilia,
usurparongli varie terre, ambiziosamente mi-
rando ad ingrandirsi a spese di lui ed a ren-
dersi signori indipendenti. Il Conte Ruggiero,
loro zio, ne li ammon, esortandoli a recedere
dall'ingiustizia; e Boemondo, vedendo il fra-
tello guarito, fece senno e restitu ; ma non
cos Guglielmo ; che anzi contumacemente
resistette e si apparecchi alla guerra, fortifi-
candosi in Rossano. Il Conte, indegnato, un
le sue forze (composte di Calabresi, Siciliani,
Saraceni) a quelle del Duca ; e insieme strin-
sero Guglielmo d'assedio si vigoroso, che in
pochi giorni dovette arrendersi. N valsero
ragioni o pretesti a difenderlo : in solenne adu-
nanza fu condannato a perdere altres le terre,
che teneva con titolo di Marchese. Onde umi-
liato lasci l'Italia, e colla consorte Mabilia
fece vela in Oriente : dove, trovato favore alla
corte di Costantinopoli, col valore restaur
la sua fortuna in modo che pot tornare dopo
alcuni anni in Puglia, e venir redintegrato ne'
suoi possessi, salvoch S. Mauro.
Or da notarsi che il Conte Ruggiero,prima
di accingersi all' assedio di Rossano, recossi
alla Certosa, s per visitare il suo carissimo
amico e padre (cos lo chiamava) Brunone, e
s per raccomandarsi alle sue preghiere, in cui
confidava non poco. E allora fu che questo
principe, non pago di quanto gi aveva fatto
in pro di quell'eremo, volle co' proprii occhi
vedere ed esaminare le cose sopra luogo, per
determinare chiaramente i confini del terreno
donato, e cos antivenire contestazioni e mo-
lestie. Indi, congedandosi, promise di fare roga-
re pubblica scrittura ; s come esegu ; e tuttavia
conservasi, segnata col nome di secondo privi-
legio del Conte Ruggiero. In essa minutamente
si nota, non che i confini del sito, ogni altra
cosa da lui donata alla Certosa.
L'animo del Conte aveva in que' d provati
vivamente due contrarii affetti, di dolore e di
gioia; i quali, come poterono essere di stimolo
alla sua propensione a favorire il santo Patri-
arca, cos servono in parte a spiegare la sin-
golare munificenza, che allora mostr verso
la Certosa e verso la religione in generale.
Colpillo il dolore colla perdita d'un suo figliuo-
lo naturale, di nome Giordano; che, essendo
gi maturo di senno, egli aveva posto a gover-
nare la Sicilia in suo nome ; si sfog celebran-
dogli solennissimi funerali in Troina. Ebbe
la gioia da un altro legittimo figlio, natogli
dalla Contessa Adelaide nel 1093, mentre stava
in armi contro Guglielmo di Grantmanil ; onde
ricolm di doni il messaggiere che gliene por-
t la novella, e affrett il ritorno a Mileto.
Volendo assolutamente che il neonato fosse
battezzato da Brunone, e tenuto al sacro fonte
da Lanuino, i due venerabili padri accettarono
di buon grado, e per compiacerlo lasciarono
l'eremo per alcuni giorni. L'allegrezza che il
Conte mostr in tal circonstanza, la pompa
con cui festeggi il lieto avvenimento, furono
una chiara prova che molto grato tornavagli
il partecipar di Brunone a quella lieta ventura
di casa sua. Fu dato al bambino il nome del
padre, Ruggiero ; e divenne il primo Re di
Napoli e Sicilia1.

* Queste ed altre circostanze trovansi in un ritmo di versi


leonini, composto da Maraldo, uno de' primi confratelli,
che S. Brunone ebbe nell'eremo di Calabria, dopo i sei gi
mentovati. Eccone un saggio :
Totus orbis lucet nobis
Claro natalitio....
Pro lavacro divo sacro
Und tum lustralis
Comes orat et exorat
Brunum Alemannicum :
Nam tenetur ut ligetur
Illius devotio.
Accersitus, non invitus
Jubilosus advenit.
Baptizatur et lavatur
Sacro puer flumine.
Lanuinus est patrinus,
Nobilis Normannicus,
Tumque sacro de lavacro
Olivo Bruno inungitur.
Altro segno della gratitudine, che il Conte
Ruggiero serb a Brunone di questa cortesia,
fu la solenne consecrazione e larghissima dota-
zione, che per sua cura e generosit ebbe,
l'anno appresso, la chiesa dell'eremo. Essa era
semplicemente benedetta: ma nel 1094 venne
consecrata da Archerio Arcivescovo di Paler-
mo, assistito da cinque altri Vescovi. Ed anche
di ci fece Ruggiero, a perpetua memoria,
stendere pubblico documento. Cos la chiesa
del novello istituto, apparendo pi venerabile
a' popoli, accrebbe autorit alla Certosa. La
quale del resto, colla santit della vita e la
bont delle opere, andava ogni d sempre pi,
mandando tale odore di s, che le genti v'accor-
revano d'ogni parte, e grandi frutti se ne otte-
nevano di gloria a Dio e salute delle anime.
Non si pu negare per altro che l'esempio del
Conte Ruggiero nel favorire que' ferventi reli-
giosi, molto conferiva a loro conciliare altres
il favore de' popoli ; ma vero del pari che
questo favore era molto ben collocato. Talch
gli uni e gli altri furono benedetti da Dio. La

Felix omen, tenet nomen


Puer hic Rogerius....
Militensis nam ostensis
Gaudebat Ecclesia;
Quia tapete cum abiete
Exornata cernitur....
Tum Urbanus sed humanus
Jubilat natalibus etc.
Certosa che, sul fondamento d'un vero spirito
di religione, ebbe lunga e prospera vita, con
grande vantaggio spirituale e temporale di que'
paesi ; il Conte a cui, tra gli altri guiderdoni
ricevuti da Dio della sua magnanima religione,
tocc anche quello di essere il fondatore del
bellissimo regno di Napoli.

CcAPITOLO XII.

CONCILIO DI PIACENZA ; PREFAZIO DELLA B. VERGINE ;


RICONCILIAZIONE DI SIENA.

M ENTRE S. Brunone, in tanto favore di princi-


pi e di prelati, vedeva, con vivo sentimento
di gratitudine, s manifesta la benedizione del
cielo sul nuovo suo eremo, il santo Padre Ur-
bano II seguitava a spiegare la sua maravigliosa
attivit e il suo grand'animo ; che lo mostrava-
no degno successore e continuatore dell'opera
di S. Gregorio VII. In quell'anno 1094 Roma
era tuttavia, compreso Castel S. Angelo, nelle
mani dell'antipapa Guiberto, che s'era inchiuso
in Laterano: ci nondimeno il coraggioso Papa
entr di celato nell'eterna citt, e vi stette os-
pitato da Giovanni Frangipane ; il quale, a
.difenderne la sacra persona, gli apriva una
delle case fortificate, che la sua nobile e po-
tente famiglia teneva in Roma.
La fortuna intanto di Arrigo IV, se ancor
non era interamente caduta (ch noi fu che
nel 1096, dopo una grande e sanguinosa bat-
taglia datagli dall'eroica Matilde) volgeva al
tramonto. A ci non poco aveva conferito la
risoluzione di suo figlio Corrado, di cingere la
corona, per opporsi pi efficacemente alle pra-
ve sue opere ; le rivelazioni che l'Imperatrice
Prassede, seconda sua consorte, andava fa-
cendo delle sevizie e turpitudini, a cui l'aveva
per anni ed anni sottoposta, e che destavano
universale compassione per essa, e sdegno con-
tro di lui ; ed anche il buono spirito d'alcuni
Vescovi di Germania (fra cui Guebealdo, di
Costanza), che con concilii, lettere, decisioni-
favorevoli al vero Papa, ritraevano gli'animi
dallo scisma e li riconducevano all'unit della
Chiesa. Urbano II, dal suo canto, non omet-
teva cosa che potesse giovare alla riconcilia-
zione. Ad esempio di S. Gregorio VII, gi
aveva moderate le scomuniche ed eccettuate
varie persone dall'obbligo di evitare gli sco-
municati. Contuttoci lasci Roma un'altra
volta, s perch era sempre turbolenta, s per-
ch la Contessa Matilde l'aveva invitato a pas-
sare in Toscana e Lombardia, all'uopo di
accrescere colla sua presenza fervore e corag-
gio ne' soldati della causa cattolica. Celebr
pertanto la solennit del Ss. Natale in Pisa,
splendidamente accolto da que' cittadini, e con
grande affetto servito dal Vescovo Daiberto o
Dagoberto, al quale egli aveva tre anni innan-
zi data la dignit di Arcivescovo e di Primate
della Corsica : indi, sebbene l'Imperatore sem-
pre nemico e contumace fosse tuttora in terra
Lombarda, indisse concilio per la Quaresima
dell'anno seguente, 1095, da convocarsi in
Piacenza; cio nel cuore della Lombardia stes-
sa, e col dove sei anni avanti gli scismatici
avevano barbaramente ucciso il santo Vescovo
Donizone.
Alcuno forse si maraviglier di tanti conci-
lii ; ma assai maggior maraviglia si desta al
mirar la somma operosit di questo Pontefice
che, gi grave d'anni, sostiene intrepido tali e
tante contraddizioni e fatiche per la causa di
Dio e della Chiesa. Del resto que' concilii era-
no come tante battaglie contro gli errori e i di-
sordini di que' tempi ; onde alla fine si ebbe
vittoria contro lo scisma, la simonia, l'inconti-
nenza. A questo concilio Piacentino accorsero,
d'ogni provincia d'Europa, due cento Vescovi,
seguiti da circa quattro mila altri ecclesiastici
e da pi di trenta mila laici. Non v'essendo
chiesa capace di tanta moltitudine, la solenne
adunanza tennesi in aperta campagna ; e fu
cosa consolantissima al cuore d'ogni buon
cristiano il vedere, in que' d, e quasi sotto gli
occhi del potente Arrigo IV, tanto numero di
pastori e fedeli riconoscere in s splendida
guisa ed ascoltare la voce del vero Pontefice.
Ci venne la sventurata imperatrice Prassede, e
con orrore e indignazione di tutti rivel un'ul-
tima volta i torti gravissimi, che aveva ricevu-
ti dall'indegno marito ; e poscia and a chiu-
dersi in un monastero, nel quale santamente
mor. Ci vennero gli ambasciadori del re
Filippo di Francia, il quale chiese una dila-
zione fino alla Pentecoste, per il suo affare del
matrimonio con Bertrada. Ci vennero gl'invi-
tati del greco imperatore Alessio Comneno,
e a suo nome umilmente invocarono aiuto
contro gl'infedeli, che portavano la desola-
zione nelle chiese d'Oriente, e gi erano quasi
sotto le mura di Costantinopoli. E il Papa
esort a porgere quell'aiuto ; in guisa che
molti vi si obbligarono con giuramento.
Poich, per voler del Pontefice, a questo
concilio assistette anche Brunone, non sar
inopportuno che accenniamo le deliberazioni
che vi si fecero ; perocch egli senz'alcun dub-
bio vi prese parte almen col consiglio. Si rin-
nov adunque la condanna dell'eresia di Be-
rengario contro la Ss. Eucaristia, e si dichiar
che il pane ed il vino, mediante la consecra-
zione, si cambiano veramente e sostanzialmente
nel corpo e nel sangue di Ges Cristo, e non ne
sono soltanto una figura. Si rinnov altres la
condanna dell'eresia de' Nicolaiti, per la quale
certi sacerdoti ed ecclesiastici pretendevano di
non essere obbligati alla continenza, si viet
loro di esercitare i divini uffizi, ed a' fedeli
d'assistervi, semprecch si arrogassero di eser-
citarli. Si riconfermarono tutti gli anteriori
decreti contro la simonia : si dichiararono
nulle le ordinazioni fatte dall'antipapa e dagli
altri Vescovi intrusi o scomunicati ; ma si us
indulgenza per coloro ch'erano stati ordinati,
senza simonia, da scismatici o simoniaci non
conosciuti per tali, o che avessero rinunziato
alle sedi conseguite per simonia. Si tratt an-
che del digiuno delle Quattro Tempora, fisso
a' medesimi giorni che a' nostri tempi. Si pro-
ib di ricevere a penitenza coloro che ricuse-
ranno di rinunziare al concubinato, all'odio o
al peccato mortale qualsiasi : ma si concessero
i sacramenti alle persone che stessero cogli sco-
municati solo corporalmente, senza parteci-
pare a' lor riti sacri. Niun sacerdote poi poteva
ricevere alcuno a penitenza senza licenza del
.
Vescovo. Per quel che concerne in particolare
S. Brunone, noteremo che, secondo alcuni, in
questo Concilio si aggiunse a' nove gi in uso
il decimo prefazio della S. Messa, per le feste
della Ss. Vergine ; del quale il cardinal Bona
crede autore lo stesso Papa Urbano II. Ma
Antonio Boterio, ossia Beuterius, nel suo libro
De part. et ccerem. Missce, scrive : In questo
Concilio che Urbano tenne a Piacenza, fu com-
posto da un Certosino il prefazio della Ss.
Vergine; e soggiunge che quel Certosino non
pot essere altri che S. Brunone.
Anche della Crociata si rend benemerito il
santo Patriarca. Di questa gi erasi fatto pro-
motore fervente il Venerabile Pietro, venuto
di Terra santa, con lettere di Teodoro, Vescovo
di Gerusalemme, che rappresentavano i vivo
il lagrimevole stato dei Cristiani in Oriente,
oppressi dagl'infedeli. Testimone oculare de'
barbari trattamenti a cui questi li sottopone-
vano, s'era presentato al Papa ed a tutti i prin-
cipi cristiani, per perorare in favor loro e
de' luoghi santi miseramente profanati, con
quella efficacia, che una tenera piet, una carit
ardente, uno zelo caldissimo e l'esempio d'una
santa vita possono dare all'umana parola. Or
aggiungendosi la non meno valida testimo-
nianza de' sopra mentovati ambasciadori del
greco Imperatore, il Pontefice, cordialmente
assecondato dagli altri Vescovi e sacerdoti,
diede il primo impulso alla nobilissima im-
presa di liberare il santo sepolcro e i Cristia-
ni dalla potest dei Saraceni. Fra que' sacer-
doti segnalossi in modo speciale S. Bruno-
ne, suggerendo che, ad ottenere con sicurezza
l'intento magnanimo, lo si affidasse alla prote-
zione della Ss. Vergine, con opportuna pre-
ghiera : la quale poteva essere l'Uffizio della
Ss. Vergine stessa, imponendolo agli ecclesias-
tici, raccommandandolo ai laici. Il suo consi-
glio venne infatti accettato nel concilio di Cler-
mont, l'anno seguente ; dove, all'eloquente
voce del Summo Pontefice, la Crociata fu de-
cisa al grido : Dio lo vuole1. Il concilio di Pia-
cenza, aperto il i di Marzo del 1095, dur
sette giorni ; e di breve durata, generalmente
parlando, furono anche gli altri concilii di que'
tempi ; poich altrimenti sarebbe stato impos-
sibile convocarne tanti. E ognuno intender
che se la Chiesa allora tenne tal modo, ci ebbe
la sua buona ragione ; la quale fu di dare alla
sua azione, contro le eresie e i disordini in-
valsi, quella maggior forza che per lei si po-
tesse. Grande certamente, specialmente dopo
4 A questa per sempre memoranda adunanza del mondo
cristiano sollevato contro la musulmana barbarie, partecipa-
va un altro Brunone, celebre ancor esso per santit, al quale
il Piemonte si gloria di aver dato i natali ; cio S. Brunone,
Vescovo di Segni.
S. Gregorio VII, era la potest che il Papa eser-
citava su gli animi ; ma pi grande ancora riu-
sciva, e riesce tuttavia, quella di un concilio, per
l'accordo de' pastori riuniti in maestoso con-
sesso da tante e si varie parti, e concorrenti in
uno stesso giudizio. Cos toglievasi inoltre agli
eretici e scismatici l'usato sotterfugio di appel-
larsi dal Papa al concilio. Dopo questo di Pia-
cenza, il B. Urbano II recossi a Cremona ; nella
quale entr molto onorevolmente, servendo-
gli da scudiero il giovane re Corrado, che n'e-
ra uscito per venirgli incontro ; e compensava
in qualche maniera gli oltraggi che lo sciagu-
rato suo padre faceva alla somma dignit del
Vicario di Ges Cristo. Giurogli fedelt, e
promise difenderne la vita, le membra, la di-
gnit pontificale. E il Papa da sua parte lo ac-
colse per figliuolo della Chiesa Romana, dan-
dogli parola di aiuto e consiglio per mantenersi
in regno e conseguire la corona imperiale,
colla condizione di rinunziare alle investiture.
Questo di Corrado, in quelle circostanze, fu
tale atto, che Ivone di Chartres, scrivendo al
Pontefice, si rallegr che fosse tornato all'ubbi-
dienza di lui il regno d'Italia, avesse ricevuta
la sottomissione del nuovo re. A s giusta con-
solazione del Papa partecip Brunone con
quell'affetto che si pu immaginare di lui, s
pio e s devoto alla causa del legittimo Pastore
della Chiesa ; potendosi dare per certo che lo
accompagn a Cremona, perch non ritorn
all'eremo se non pi tardi ; e poi perch si giov
di tale occasione per compiere un incarico da-
togli dal Conte Ruggiero. Questi aveva pensato
di dare una sua giovinetta figliuola per isposa
al sopradetto Corrado ; del che due grandi ser-
vigi si sarebbero ottenuti : uno per s, dall'
imparentarsi, lui avventuriero e principe di
fresca data, colla casa imperiale : l'altro, per
la causa della Chiesa, che molto avrebbe gua-
dagnato dall'unione di tali principi. Trattan-
dosi di cosa grave, ogni ragion voleva che se
ne parlasse al Pontefice ; al quale del resto il
Conte Ruggiero e per suo senno e per gratitu.
dine era divoto ; ma prima volle consigliarse-
ne col suo venerabile Padre Brunone. Or questi
essendo andato, nell'avviarsi al concilio di
Piacenza, a fargli suoi saluti, n'ebbe la confi.
denza innanzi ad ogni altro; e, preso tempo a
riflettervi, fece la sua risposta dicendo che tro-
vava la cosa molto ben pensata ed opportuna.
Allora il Conte l'incaric di parlarne al Ponte-
fice; il quale ancora senza esitazione approv.
Apresi quindi sollecitamente il trattato, si con-
chiude e poco appresso si consegna la fanciulla
in Pisa. Narrano parecchi storici che Arrigo IV,
quando seppe il suo figlio Corrado voltato in
tal modo alla parte sua avversaria, ne cadde
in tale malinconia, che volle uccidersi ; ma ne
fu provvidamente trattenuto da' suoi cortigia-
ni. E lodato sia Dio che il traviato principe
non abbia compita la lunga serie de' suoi gra-
vissimi scandali con l'orribile colpa del suici-
dio.
Dopo il concilio di Piacenza, il B. Ur-
bano II, che gi pensava a quello diClermont,
volle condurre seco Brunone in Francia ; ma
egli che, nel maneggio degli affari, siano pure
di religione, aveva esperimentato che lo spirito
dell'alta divozione, se non si perde, almeno si
scema, lo supplic a menargli buono che la-
sciasse gli affari a pi giovani e pi robusti di
lui, e si riducesse al suo caro deserto, per tut-
to finalmente dedicarsi alla meditazione delle
verit eterne, e per apparecchiarsi alla morte;
che non doveva essere pi molto lontana. Se non
che il Papa, che di lui cos savio e fedele si pro-
metteva servizi ancora pi segnalati, e sapeva
che l'esempio della sua santissima vita era mol-
to salutare in corte, di mala voglia udiva
quelle sue preghiere ; pur nondimeno, essendo
uomo piissimo ancor esso ; e ben intendendo
che, sebbene desse a Brunone modo e agio il
pi che poteva di osservare le sue regole di vita
solitaria e penitente, ci non si poteva, in cor-
te, praticare che molto imperfettamente ; trov
che la domanda dell'amico era discreta. Per
il che, stimando tempo perduto offerire a tale
uomo dignit ed onori, gi rinunziati s riso-
lutamente altre volte, gli concesse d'andarsene
in libert. Rispondesse alla divina chiamata ;
perfezionasse l'opera del suo istituto ; e pre-
gasse per lui e per la Chiesa, i cui bisogni ve-
deva quanto grandi e quanto gravi si fossero.
Imposegli tuttavia di passare, nel ritorno, a
Siena; la quale, pi che per propria inclina-
zione, per le minacce d'Arrigo IV seguiva
le parti dell'antipapa ; e procurare di ridurla
5

a sensi migliori. Promise il sant'uomo e, come


pegno di sua riverente affezione e fedelt, la-
sciati ad Urbano suoi ricordi ed avvisi per por-
tare degnamente la sua carica in s difficili
tempi, non senza lagrime s'accomiat.
Preso dunque la via di Siena, si ferm in un
romitorio del monte delle Tolfe ; e di qu,
essendone poco distante, entrava spesso in
citt, senza darsi a conoscere ; ma destramente,
secondo occasione, or con questo or con quel-
lo de' principali cittadini mettendo discorso
sulla materia del suo incarico, andava per bel
modo insegnando o rammentando la sana dot-
trina intorno alla Chiesa, e l'obligo gravissimo
che il cristiano ha di riverente ubbidienza al
Papa. Or questo, ben lo potevano intendere
ancor essi, non poteva essere altri che Ur-
bano II. A rinnalzare poi questi insegnamenti,
tanto pi opportuni, quant pi dimenticati
da que' cittadini, poneva in chiara luce da un
lato i beni che vengono dall'unione col Papa,
e dall'altro i mali dello scisma, vivamente
espressi e quelli e questi dalla similitudine,
che N. S. Ges Cristo adoper per risguardo
a s stesso, ma che pu e deve applicarsi al-
tres alla persona del suo Vicario ; cio del
tralcio che, stando unito alla vite, partecipa del-
la sua vita e fecondit ; staccato, inaridisce e
va a finire nel fuoco.
E, non giudicando ancora tempo di palesarsi,
seguitava a tenersi incognito : non s per che,
la nobilt dell'animo eccelso in ogni virt cri-
stiana, riverberandosi, come una luce di san-
tit, nella sua faccia, nelle sue parole, nelle
sue maniere, in tutta la sua persona, parecchi
non cominciassero a sospettare che fosse per-
sonaggio molto da pi che non dicevano le
ruvide e povere lane, ond'era vestito. Per la
qual cosa, diffondendosi ogni giorno pi il sa-
lutare effetto del suo ragionare pio, modesto,
sapiente, ne venne che non pochi comincia-
rono altres a trovare negli esempi di lui un
forte rimprovero de' passati lor falli, indi a
vergognarsi in cuor loro, e poscia a pentersi
del loro traviamento. Allora Brunone confer
col Vescovo Gualfredo, ch'era un dotto Lom-
bardo ; confer col magistrato ; e a tutti fece
maestrevolmente vedere il gran male che era
per una s bella e fiorente citt il vivere dis-
corde, e divisa dal Vicario di Ges Cristo,
per seguitare un antipapa, un Guiberto S !

che, dissipati i pregiudizi, e messi da un lato


certi particolari interessi e timori, in breve
tempo Vescovo e magistrati, nobilt e popolo
si ridussero al dovere, e chiesero di riconci-
liarsi col legittimo Capo della Chiesa. Il quale,
ottenuta dalla pentita figliuola giuste soddisfa-
zioni e promesse di stabile ravvedimento, l'as-
solse dall'interdetto, e benignamente raccolse
al paterno suo seno.

CoATITOLO XIII.

S. BRUNONE PROMUOVE LA CROCIATA. UN' APPARIZIONE


ALLA CERTOSA DI GRENOBLE.

G RANDE conforto ebbe il B. Urbano II di


questo fatto del suo caro amico Brunone;
ch certo fu ottima cosa sotto ogni rispetto ; e
tale da far dolersi il Pontefice d'avergli data
licenza di tornarsene all'eremo, invece di te-
nerselo a lato. Non lo richiam per, perch
sapeva meglio di altri rispettare il desiderio di
lui ; e per avventura presentiva in quel deside-
rio, e nella cura grande che Brunone mostrava
del suo istituto i futuri destini dell'istituto me-
desimo. V'ha chi scrive avere il santo Patriarca
cooperato alla fondazione di due monasteri
vicino a Siena; uno sul monte delle Tolfe,
dedicato alla Ss. Vergine ; l'altro contigno alla
cos detta Badia nuova, sotto l'invocazione di
S. Giovanni Battista1. E rest in Siena me-
moria che, qual nuovo solitario Piero predi-
catore della Crociata, promovesse questa san-
ta impresa, ch'egli prevedeva doversi ordinare
fra poco, esortando i Senesi ad armarsi ed ac-
correre a liberare Gerusalemme e i Cristiani
dalla schiavit de' Saraceni. Infatti, tra i mol-
ti Italiani, che da tutte parti concorsero alla
gloriosa opera, Siena mand chi dice mille, e

* V. Tromby, Storia del Patriarca S. Brunone e del suo


Ordine Cartusiano ; la quale storia non dice per a quale
ordine appartenessero questi due monasteri : probabilmente
furono Benedettini. Fondatore egli stesso d'un Ordine, pare
che Brunone avrebbe potuto introdurvi il suo : ma la sua,
umilt gli fece assecondare il proposito altrui; al quale del
resto, come dicela storia, egli solo cooperava. Cinondime-
no Siena ebbe la sua Certosa, detta di Bel riguardo, fondata
da un banchiere Senese, Cinigo Cinciagondi, nel 1340 : ma,
forse per mancanza di sufficiente numero di religiosi, l'Or-
dine l'abbandon nel 1636. V. Lefebvre, Si Bruno et l'Ordre
des Chartreux.
chi due mila combattenti ; i quali, sotto il co-
mando di Bonifacio Guiccio lor capitano, fe-
cero grandi prodezze. S'aggiunge che lo ze-
lante uomo da Siena prosegu il suo viaggio
verso la Puglia, per visitarvi Boemondo, gi
riconciliato con suo fratello ; ed eccitandolo a
fare migliore uso delle sue armi, l'indusse ad
accingersi per la santa guerra. N Boemondo
ebbe apentirsene; ; perocch, avendo condotto in
Oriente ben settemila Crociati, quantunque
non si trovasse all'assedio di Gerusalemme,
tuttavia aiut s potentemente la causa cristia-
na, che in premio de' suoi servigi ebbe la si-
gnoria d'Antiochia. Era zio del famoso Tan-
credi ; e di lui parla in parecchi luoghi il poeta,
che canta quelle armi gloriose. Altri narra in
ben diversa maniera il motivo per cui Boe-
mondo pass in Oriente, il numero d'armati
che vi condusse, e il modo con cui acquist,
e tenne per varii anni, la signoria d'Antiochia ;
ma ci non s'appartiene alla nostra storia.
Not gi taluno che solo il timore di dover
essere poi richiamato dal Papa, in occasione
del concilio di Clermont, celebrato nel se-
guente anno 1096, ritenne Brunone dall' an-
dare alla Certosa di Grenoble piuttostoch a
quella di Calabria. Ma se niuno nega, e chi
mai potrebbe negarlo ? ch'egli sempre serbasse
viscere di padre per que' suoi primi figliuoli,
vuolsi notare ancora che non v'and poi nep-
pure quando quel pericolo era interamente ces-
sato. Oltre a ci da. credere che un'anima di
tanta orazione e unione con Dio, qual era cer-
tamente Brunone, conoscesse meglio di altri
la volont di Dio, che l'aveva destinato, per
cos dire, doppiamente fondatore del novello
Istituto : e l'eremo di S. Maria del Bosco ave-
va tuttavia grande bisogno della sua presenza.
L'esempio de' Certosini di Grenoble, scorag-
giatisi come abbiamo narrato, era ancor fresco;
e non conveniva mettere a rischio la splendida
fondazione di Calabria, s favorita dal Conte
Ruggiero e dal Duca di Puglia ; i quali, non
meno del Papa, vivamente desideravano che
il venerabile uomo non uscisse d'Italia. Il
Papa gliene aveva anzi fatto un precetto ; e se
nel 1096 era egli stesso in Francia, non vi si
dovea per fermare a lungo. Del resto vuoisi
confessare che appunto in questo torno di tem-
po la presenza di Brunone alla Certosa di Gre-
noble sarebbe stata utilissima ; imperocch
ecco quello che sulla fede degli storici e cro-
nisti vuolsi narrare.
Tornati, come vedemmo, i primi compagni
di Brunone alla male abbandonata Certosa,
sotto la direzione del B. Lauduino seguitavano
alacremente nella lor vocazione, quando il ne-
mico d'ogni bene, prevedendo colla sua natu-
ral sagacia qual fortezza s'andasse edificando
lass in favore del Re del cielo, e in danno di
lui ; prevedendo le innumerevoli anime che vi
si sarebbero educate per l'eterna gloria e felici-
t, da lui s miseramente perduta ; prevedendo
i grandi servigi che di tanti religiosi santi
avrebbe avuto la causa di Dio e della Chiesa,
venne nel bieco intento di frastornar tanta ope-
ra e, se potesse, rovinarla ne' suoi principii.
A questo uopo, verso il 1094, mosse le prime
sue armi per mezzo d'alcuni i quali, con manto
di zelo, spargendo scrittarelli e andando in
persona a quella Certosa, misero in campo
quante ragioni seppero, per dare ad intendere
a' novelli romiti che quel loro s rigido te-
nore di vita era pieno di troppe difficolt e pe-
ricoli. Potersi servire a Dio fedelmente senza
tanta austerit ; il loro essere, non un genere
di vita devota e penitente, ma un vero abbre-
viarsi la vita anzi tempo, senz'alcuna, o ben
piccola, utilit dei prossimi e del onor di Dio.
Seguissero la comune degli altri religiosi ; ne
avrebbero guadagnato in stabilit ed in voca-
zioni.
E probabile che a questi lusinghevoli detti
venisse gran forza all'infermit della carne,
che sempre desidera contro lo spirito, e di ma-
la voglia s'acconcia a patimenti ed alle priva-
zioni continue. Chech sia della cagione, il
fatto sta che quei poveri romiti, non avendo
prontamente chiuse le orecchie all'insidioso
parlare, questo cominci ad insinuarsi e far
breccia nell'animo loro ; a segno che, convinti
gi di non poterla longamente, sino alla morte,
durare in quell'aspra vita, prima s'intiepidi-
rono, e poi sentirono scossa la loro costanza.
V' chi eccettua, senza per provvarlo con do-
cumenti, il B. Lauduino ; cui presenta come
saldo alla tentazione, e intento a liberare i
compagni da quel vano timore, che li cacciava
dalla solitudine santa, per risospingerli nel se-
colo corrotto e corruttore. Disse, fece, scon-
giur fin colle lagrime agli occhi ; ma indarno;
i compagni, turbati dell'animo, pi non erano
capaci di sano consiglio ; anzi egli stesso, spe-
rimentate vane tutte le arti per rattenerli, sta-
va, qual capitano trascinato da' fuggenti sol-
dati, per voltare le spalle al nemico. Ma ecco
apparir loro la Ss. Vergine, accompagnata da
un personaggio per l'et venerabile, per la
maest terribile ; e dolcemente riprendendoli
della loro debolezza e instabilit (era gi la
seconda volta), promettere aiuto a ben perse-
verare, purch si mettessero sotto la special
protezione di lei, con recitarle divotamente
ogni giorno le sue preci e lodi. Un raggio di
luce splendette a' loro occhi ; di tratto, pro-
strandosi a terra, acconsentirono; dare il con-
senso e sentirsi interamente mutati fu una cosa
sola. La visione sparve ; ed essi, confusi e do-
lenti di essersi in cattiva ora scordati di ri-
correre alla celeste Patrona, ch' ancora di sa-
lute in tutti i pericoli, s'alzarono pieni di nuo-
va fiducia e col fermo proposito di mai pi
lasciare la lor vocazione. Mirabile a dirsi !

Quel proposito, fatto a' pi della Ss. Vergine,


benignissima dispensiera delle divine grazie,
dur inalterato : e a' tempi nostri ancora l'Is-
tituto Certosino vive secondo lo spirito e la
sua regola primitiva, senza che mai negli otto
secoli di sua esistenza abbia avuto necessit di
riforma.
Il fatto non solo noto per fama antica, ma
trovasi in pressoch tutti gli scrittori di storia
Certosina. Alcuni tuttavia credono che, non la
Ss. Vergine apparisse a' romiti, ma solo il ve-
nerabile vecchio che loro diede il salutare
consiglio di mettersi sotto la protezione di lei :
nei pi antichi per la Ss. Vergine. E la ma-
terna sua piet corrisponde al bisogno, secon-
doch di lei si vede in molti altri simili fatti ;
massimamente nel fondarsi di ordini religiosi.
Il venerabile vecchio comunemente si stima
essere stato S. Pietro, sollecito a ricompensare
ne' figli lo zelo, che il loro padre, Brunone,
aveva poc' anzi mostrato per la santa sua Sede
nel concilio di Piacenza. Al dir d'alcuni, i
Certosini edificarono poi anche, per gratitu-
dine, una chiesa ad onor di S. Pietro : ed
certo ch presero allora a recitare quotidiana-
mente l'uffizio della B. Vergine. E bensi vero
che la recita di questo, con varie altre preghie-
re, fu intimata nel concilio di Clermont, per
impetrare la benedizione del cielo sulla Cro-
ciata; ma, fra tutti i Cristiani, soli i Certosini
continuarono poi sempre a compiere questo
dovere di riconoscente piet.
Il pericolo corso in questa circostanza da'
Certosini di Grenoble dovette per tanto essere
grave; e S. Brunone, quando lo seppe, scrisse
loro una grave lettera ; della quale, riserban-
doci a darla per intero a suo luogo, giova re-
car qui alcune parole :

Dunque, o fratelli miei, restate in quello


a cui siete giunti ; e tenetevi lontani, come da
peste, dal morboso gregge di certi vanissimi
1

laici ; i quali portano attorno i loro scrittarelli,


susurrando cose che non intendono e non
amano, e a cui colle parole e co' fatti poi con-
traddicono. Oziosi e girovaghi, sparlano di tutti
i buoni religiosi uomini, e credono s stessi
lodevoli quando hanno infamato gli altri ; gen-
te che odia ogni ubbidienza e disciplina.

1 Morbidum gregem vitate : qui il senso ora usato della


parola morbido non corrisponderebbe appieno all'idea dello
scrittore.
veramente il caso di dire che sotto il sole
nulla v' di nuovo. Ai religiosi non mancavano
nemici allora come non mancano adesso; e il
linguaggio di questi sempre il medesimo :
ma S. Brunone ha fatto loro conveniente ris-
posta.

CoATITOLO XIV.

RITORNO DI S. BRUNONE ALL'EREMO : COSTRUZIONE DI


NUOVI EDIFIZI: ELEZIONE DI NUOVO VESCOVO DI SQUIL-
LACE.

I L ritorno di S. Brunone al suo eremo di S.


Maria del Bosco fu pieno di reciproco giu-
bilo, di lui e de' suoi confratelli : egli ritornava
finalmente alla sospirata solitudine ; essi riac-
quistavano il loro carissimo padre, con la spe-
ranza di goderne quind'innanzi stabilmente
la presenza. L'allegrezza del ritorno fu al santo
patriarca resa vie pi cara dal trovare le cose
dell'eremo in perfetta regola ed osservanza,
per la savia direzione del B. Lanuino; del che
dando, con religiosa modestia, lode a chi di
ragione, con grave e penetrante esortazione
tutti anim a perseverare, a progredire nella
buona via intrapresa. A tal fine non poco
giov il fatto di fresco avvenuto alla Certosa
di Grenoble; giustamente considerando che il
loro Istituto era caro al cielo, poich era in
modo straordinario intervenuto a impedire i
funesti effetti dell'instabilit di que' confratelli.
Fece loro in particolar modo notare la mater-
na benignit della Ss. Vergine, il dovere grande
che loro correva di gratitudine, e il bisogno
non meno grande di assicurare la loro voca-
zione con una vera e fervente divozione ad
essa. E perci da credere che la recita dell'uf-
fizio della B. Vergine cominciasse fin d'allora
eziandio alla Certosa di Calabria. Questo ri-
.
torno di Brunone fu inoltre segnalato da varie
importanti opere, che fissarono, per cos dire,
la vita e l'aspetto della nuova fondazione, se-
condo la forma che gi preso aveva ne' monti
di Grenoble. Vedendo egli che le vocazioni, o
per lo meno le domande dell'abito s'andavano
moltiplicando, talch ve n'era fin di giovanetti
di dodici, di dieci anni, stim necessario pren-
dere regolar nota e stabilire buon ordine dei
possessi, che il Conte Ruggiero aveva assegnati
al novello Istituto, cos nella prima fondazione,
come nella solenne consecrazione della chiesa
di esso. N punto gli parve sconveniente alla
professione religiosa l'attendere a' simili cure:
perocch, sbrigate saviamente una volta, servir
dovevano a liberare in perpetuo da moleste
sollecitudini e disturbi la pi eletta parte de'
confratelli. Lanuino, esperto di tali cose, gli fu
di grande aiuto. Stabilirono pertanto Fratelli
Conversi i quali, sotto la direzione d'un Pro-
fesso, detto Procuratore, curassero i terreni, i
pascoli, i boschi ; e in certi tempi dessero con-
to dell'entrata e dell'uscita al Maestro dell'Ere-
mo, oda'suoi deputati. Da questo Padre Maes-
tro doveva dipendere il Procuratore stesso ; il
quale anche doveva abitare co' suoi Fratelli
Conversi in una casa inferiore. La cura dell'am-
ministrare le cose temporali era affidata a cos-
toro, per lasciare a' Padri ed anacoreti libert
di attendere unicamente alle cose divine. Ques-
ta cura poi, oltrech ragionevole per s stessa,
era molto lodevole nell'intento di S. Brunone ;
per questo motivo che il fruttificar di que' beni
doveva bastare al sostentamento di tutti i con-
fratelli, ancorch numerosi, senz'ampliare i
possessi avuti dal Conte Ruggiero, e senza ri-
correre alla carit de' fedeli.
E poich il clima di quella Certosa rigido
anzichen, e per poco affacentesi a' deboli di
complessione, quindi la necessit di fabbricar
due case dipendenti dall'eremo ; una nel luogo
detto de' Ss. Apostoli verso Stilo, l'altra ne'
confini di Squillace ; dove il clima temperato
assai acconcio per gl'indisposti ed i vecchi.
Prima per di metter mano all'opera, vollero
conferirne col Conte Ruggiero; e molto ben fe-
cero, anche per loro vantaggio : perocch al
degno principe riusc gratissima la proposta
di edificare quelle due case ; e l'approv come
giusta ed opportuna, mostrando anzi piacere
d'essere stato prevenuto in cosa, a cui egli
ancora gi aveva pensato. Voleva edificarvi
altres una casetta per s, per riposarvi in oc-
casione di caccia, e aver agio della santa com-
pagnia di Brunone e de'suoi confratelli e pare
:

che realmente fosse edificata ; poich sul finire


del secolo XVI si mostrava ancora un palaz-
zetto, che dicevasi la casa del Conte : ma, per-
ch non abitato mai, essendo rovinoso e caden-
te, fu demolito per dare luogo a nuove fabbriche.
Il disegno fu di fabbricare la prima delle due so-
pra indicate case nel recinto dell'eremo, ov'era la
chiesetta di S. Stefano ; onde il nome che ven-
ne a questa casa di Certosa di S. Stefano ; da
non confondersi coll'altra casa o fondazione
prima, detta di S. Maria, e che formava pro-
priamente l'eremo. Ben erano poco discoste
l'una dall' altra, acciocch potessero comoda-
mente servirsi ed aiutarsi ; ma erano separate.
La seconda casa, detta di S. Giacomo di Mon-
tauro, perch vicina al paese di tal nome, sor-
se presso un antico castello del Conte ; e servir
dovva per abitazione di alcuni Conversi in-
caricati di amministrare i molti beni col as-
segnati alla chiesa di S. Maria, e per luogo,
come dir, di rifugio a' Certosini pi non reg-
genti al clima dell'eremo. Si di principio alle
due case nel finire del 1095, con disegno e cu-
ra del B. Lanuino, che era discreto architetto.
D'altre donazioni ancora si trova memoria,
fatte dalla quasi inesauribile munificenza del
Conte Ruggiero delle quali non accade di
:

qui parlare, salvo ch d'una di certo molino,


per la novit del modo, descritto dal Conte
medesimo, nel diploma che ne sped. Men-
tre un d io Ruggiero, per grazia di Dio Conte
di Calabria e di Sicilia, me ne andava per pas-
seggio cavalcando, dopo le ore tre, verso S.
Angelo, in compagnia di Odone Bono mar-
chese, Guglielmo d'Altavilla, Guglielmo Col-
chebret, Giusberto di Luciaco, Malgerio mio
figlio, Rinaldo di Roigle, Toraldo, Giovanni
di Tragina, Nicolao di Mela Laguelino, ecco
Fra Lanuino, venendo dall'eremo, farcisi in-
contro verso la piazza presso la via che vien da
Gramatica : il qual Lanuino, cavalcando con
noi sin oltre S. Angelo, mi preg di soffermar-
mi alquanto ; perocch, diceva, voleva parlar-
mi di cosa di mio vantaggio. Allora, fermatici
sul rialto ch' oltre S. Angelo, dinanzi alla
cappella detta del santo Ladrone, parlando a
nome del maestro Brunone, come uomo a cui
stava bene la lingua in bocca, mi preg di dar
loro, per provvedere il vitto a' lavoratori del
monastero di Montauro, uno de' miei molini
di Squillace. A cui, mosso da riverenza al maes-
tro Brunone, amichevolmente risposi, dicen-
do : Fra Lanuino, tu sei, per grazia di Dio,
un buon lavoratore ed egregio fabbricatore di
monasteri ; va, fa tuoi disegni, costruisciti un
molino nella terra di Arsasia, che ti fu assegna-
ta presso Severato, dove si trova un buono e
vero salto d'acqua per molino. Ci avendo
egli udito, ricordatosi di un vecchio molino
ch' ivi gi era, rendendo grazie a Dio, chiese
con preghiera che di questo ordine e conces-
sione, di costruire il molino, facessi stendere e
suggellare carta di scrittura ; il che anche feci,
servando da testimoni e di ci pregandomi le
persone predette, ch'erano in mia compagnia.
Fu tal concessione fatta poscia altres dalla
Contessa Adelaide mia consorte, nel palazzo
di Mileto, mentre sedevamo a mensa : e Fra
Lanuino e il mio figliuolo Malgerio ricevette-
ro questa carta sigillata, nella quale feci appor-
re quello che segue. Questo molino, o Fra La-
nuino, fatto che sar, se io o la Contessa o
qualsivoglia mio erede, o qualunque altra per-
sona, potente o non potente, ricca o povera,
tenter di toglierlo agli eremiti, o distruggere
o in qualche modo guastare, muoia di morte
eterna e sia colpito d'irrimediabile anatema,
se non dar condegna soddisfazione agli ere-
miti. E tutti i presenti al convito, co' coppieri
e gli scalchi, esclamarono tutti : Amen, amen !

Fiat, fiat
!

Pi degno ancor di memoria fu il modo te-


nuto nella costruzione del cenobio di S. Stefa-
no, cominciata con quella dell'altro cenobio
di S. Giacomo di Montauro ; e l'una e l'altra
condotta con alacrit grande. Essendo, la fab-
brica del cenobio di S. Stefano, vicina all'ere-
mo, molti de' Padri e Fratelli, per esercizio di
umilt e salutare occupazione, prestavano a-
iuto di propria mano a' muratori e operai ;
ond'era bello, edificante spettacolo mirarli qua
portar pietre, mattoni, calce, acqua, sabbia ;
l apprestar travi e listelli e simili. Il che men-
tre giovava all'ordine ed alla diligenza de'
lavori, valeva ancora moltissimo al morale
profitto degli artefici stessi e degli altri operai,
per i santi consigli ed ammonimenti che i re-
ligiosi lor davano, e per il continuo esempio
che in essi avevano di una vera piet, mante-
nuta in fervore da perseverante raccoglimen-
to. Nel tempo della refezione poi i Padri tene-
vano, in discreta misura, divoti ragionamenti,
co' quali insegnavano il modo di fuggire il
peccato, di osservare la santa legge di Dio, di
ricevere con frutto i sacramenti, di pregare, e
talora ancora di abbandonare il mondo, per
consecrarsi a Dio e porre in sicuro l'eterna sa-
lute. La chiesa di S. Stefano non pot pi es-
sere consecrata dal sopra mentovato Vescovo
di Squillace, Teodoro Mesimerio, morto nel
1096 ; cio in tempo che l si lavorava di gran
forza. Egli fu il quinto Vescovo di Squillace,
ultimo di nazion greca. Le antiche memorie il
lodano come uomo di santi costumi, amico e
generoso benefattore di S. Brunone ; a favore
della cui Certosa non dubit di cedere, in for-
ma molto cortese, parte della sua giurisdizio-
ne, secondoch vedemmo nel documento di
un suo decreto. Or, dovendoglisi dare un suc-
cessore, Brunone e Lanuino rappresentarono
al Conte Ruggiero essere molto pi coveniente
eleggere a s riguardevole Sede un Vescovo La-
tino : e il savio Principe che gi, per varii mo-
tivi, formato aveva lo stesso pensiero, appro-
v, dimandando chi si potesse proporre per
candidato. Proposero Don Giovanni De Nice-
foro, canonico e decano della vescovile chiesa
di Mileto, uomo di piet e dottrina : e la pro-
posta piacque al Conte : nondimeno, per pro-
cedere, in cosa di tanta importanza, con la ne-
cessaria prudenza ed osservanza delle regole
ecclesiastiche, volle consultarsene con parec-
chi Vescovi di Calabria e Sicilia. I quali aven-
do unanimemente dato favorevole voto, con
universal plauso e allegrezza, specialmente de'
Normanni, sulla Sede di Squillace si colloc
un Vescovo Latino, nella persona del sopra
lodato De Niceforo.

CdATITOLO XV.

LETTERA DI S. BRUNONE A RODOLFO LE VERD.

L Ecose che siam venuti fin qui narrando di


S. Brunone, sono certamente tali che, sia
considerando gli esempi della sua vita, sia ap-
prezzando le opere da esso intraprese e finite,
si trova che molto ben meritata era la potenza
del suo nome, specialmente in Calabria. In-
fatti la comparsa e la presenza di lui in co-
testo paese fu una vera benedizione del cielo ;
e la Certosa da lui fondatavi sorse come una
fonte di salutari acque ad irrigare e fecondare
quelle terre. Il che vuol dirsi in particolar ma-
niera di quando v'era presente S. Brunone in
persona; il cui cuore, ridondante della pi te-
nera carit di Dio e degli uomini, continua-
mente effondevasi in tutti i modi e gli atti della
cristiana beneficenza e cortesia. Imperocch
andrebbe grandemente errato chi dall'asprezza
e rigidit della vita o de luoghi da lui eletti ar-
gomentasse in esso asprezza e rigidit di ma-
niere ; essendosi anzi in lui verificato il solito
effetto della cristiana piet dirittamente prati-
cata cio una somma gentilezza d'animo, che
traluceva ancor dall'aspetto e si manifestava
nelle sue parole, maniere ed azioni. Appunto
come si legge di S. Antonio abbate ; del quale
not il grande scrittore della sua vita, S. Ata-
nasio, che dopo essere stato rinchiuso in una
povera cella venti anni e pi, apparve cos
bello e fresco come di prima : n per solitu-
dine n per astinenza, n per molte battaglie
che avea avute co' demonii era mutato n in-
salvatichito. Ed era d'un animo fermo e cos-
tante, n mai per troppa allegrezza si risolveva
in riso, n per memoria di nullo peccato mos-
trava la faccia trista. Non si mosse mai a vana
gloria per la lode degli uomini, n a tristizia
per li biasimi, n per altra tentazione ; e cos
in ogni cosa e accidente serbava la mente e la
faccia tranquilla e chiara.
Or a far vedere la grande somiglianza che
passa tra S. Brunone e quel pi antico e so-
lenne maestro della vita penitente e solitaria,
nulla meglio serve che arrecare, fedelmente
tradotta, una lettera del santo fondatore della
Certosa ; la quale, dipingendone l'animo, ce lo
mostra simile, non che nella sapienza e santit,
ma ancor nello spirito, e, quasi dicemmo,
nelle maniere e nelle parole. Essa scritta a
Rodolfo Le Verd, Preposito della cattedrale di
Reims ; e ci richiama a quegli anni che ve-
demmo Brunone zelantemente adoperarsi in
servizio delle scuole e dell'amministrazione di
quell'illustre chiesa.
Al suo venerando signore Rodolfo, Prepo-
sito di Reims degno di essere amato con since-
rissima carit, Brunone manda i suoi saluti.
La fede di un'antica provata amicizia vedesi
in te tanto pi nobile e bella e degna di mag-
gior lode, quanto pi rara si trova tra gli uo-
mini. Perocch sebbenne le nostre persone
siano separate da lungo tratto di terra e troppo
pi lungo spazio di tempo, nondimeno il tuo
animo pieno di benevolenza non s' potuto
staccare dall'amico, secondoch abbastanza
m'hai dimostrato colle tue dolcissime lettere;
nelle quali amichevolmente mi accarezzi, e co'
benefizi largamente fatti non solo a me, ma a
Fra Bernardo per amor mio, ed ancora con
altri contrassegni. Onde rendiamo alla tua be-
nignit grazie, non pari a'meriti tuoi, ma pure
schiettamente cordiali. Certo pellegrino, in
altre ambasciate discreto e fedele, gi a te indi-
rizzammo con lettere ; ma finora non pi
comparso : per il che stimammo opportuno
mandarti uno de'nostri, il quale a viva voce t'in-
formi d'ogni cosa nostra assai meglio che nonpos-
siamo con penna e scrittura. Ti facciamo dun-
que sapere, poich crediamo che ci ti riesca
gradito, che noi di corpo stiamo bene (piacesse
a Dio che cos anche di spirito), e che delle cose
esteriori abbiamo a sufficienza, per quanto ne
desideriamo. Ma ce n' anche troppe ; e sup-
plico che la mano della divina misericordia ri-
sani tutte le interiori infermit e sazi il mio de-
siderio co' veri beni. Or sappi ch'io, con religiosi
fratelli e alcuni bene eruditi ; i quali, persis-
tendo nelle divine veglie, aspettano il ritorno
del loro Signore, acciocch, quando picchier,
subito aprano ; sto nelle parti di Calabria, in un
eremo, da ogni parte discretamente lontano
dall'abitato. Della cui amenit e clima e si-
curezza, e del piano che v' largo e con piace-
vole vista disteso in lungo tra monti, dove
sono verdeggianti prati e pascoli fioriti, come
potr degnamente parlare ? E chi sar da tan-
to che possa spiegare la vista delle colline d'o-
gni intorno lievemente alzantisi, e i riposti siti
delle ombrose valli con gradita copia di fiumi,
di ruscelli, di fonti? N mancano gli orti irri-
gati, con variet di piante fruttifere. Ma a che
mi fermo in tali cose ? Ben altri diletti vi sono
per un uomo savio, e pi grati e pi utili, per-
ch divini. Bench pur sempre da dire che
l'animo deboluccio, affaticato dalle spirituali
occupazioni con disciplina alquanto stretta,
spesso trova in coteste cose sollievo e respiro ;
e si sa che l'arco sempre teso s'allenta e non
serve pi cos bene.
Ma l'utilit e il diletto, che la solitudine e
il silenzio dell'eremo arrecano a chi n' vago,
sold il conosce chi ne ha l'esperienza. Peroc-
ch qui che i valenti uomini possono tor-
nare in s, quando vogliono, e star con s stes-
si, coltivare alacremente i germi delle virt, e
bearsi ne' frutti del Paradiso. Qui si acquis-
ta quell'occhio, nel cui sereno sguardo lo Spo-
so ferito d'amore ; col quale occhio mondo
e puro si vede Iddio. Qui si esercita un ozio
operoso, e si riposa con azione quieta. Qu,
secondo la fatica del combattere che si fa, dis-
pensa Iddio la desiderata mercede ; vale a di-
re quella pace che il mondo ignora, e il gaudio
dello Spirito Santo. E questa la bella e leggia-
dra Rachele pi diletta a Giacobbe, sebbene
meno abbondante di figli, che la feconda ma
guercia Lia ; attesoch pi pochi sono i figliuo-
li della contemplazione che dell'azione ; tutta-
via Giuseppe e Beniamino furono amati dal
padre pi degli altri fratelli ; e questa l'otti-
ma parte che Maria si elesse, e non sar tolta.
E questa la bellissima Sunamitide, che sola
trovossi in tutte le terre d'Israel atta a riscal-
dare il vecchio David. La quale Dio volesse
che tu unicamente amassi, s che riscaldato
da' suoi abbracciamenti ardessi di amor di
Dio La cui carit se pur una volta posasse
!

nel tuo animo, tolta quella trista e lusinghiera


ingannatrice, ch' la gloria mondana, ti ver-
rebbe a vile, e agevolmente rinunzieresti alle
ricchezze, cagione d'affanni e di peso al sano
animo : e similmente ti verrebbero a noia i
piaceri nocivi cos all'anima come al corpo.
E, saggio essendo, ben conosci chi Colui il
quale dice : Chi ama il mondo, e le cose che
son nel mondo ; vale a dire i diletti carnali, i
desiderii di roba, e l'ambizione mondana,
non in lui la carit del Padre. Ed anche :

Chi amico di questo mondo, si fa nemico di


Dio. Or qual maggiore iniquit, qual maggio-
re pazzia e sconsideratezza pu darsi, qual co-
sa pi dannosa e sciagurata che il voler tu te-
nere nimicizia contro Colui, alla cui potenza
n puoi resistere, n puoi evitare il giusto casti-
go? Forsecch ci darem mai a credere d'essere
pi forti di lui ? Forsecch, perch ora colla
pazienza della sua piet c'invita a penitenza,
alla fine non vendicher l'ingiura dello sprez-
zarlo ? Poich che v'ha egli di pi perverso, di
pi contrario alla ragione, alla giustizia, alla
stessa natura, che l'amare la creatura pi del
Creatore ? Che dunque pensi tu di fare, o caris-
simo ? Che, se non cedere a'divini consigli, ar-
renderti alla verit, che non pu ingannare ?
Imperocch a tutti parl quando disse : Venite a
me, o voi tutti che siete affaticati ed aggravati, ed
io vi ristorer. Non ella una pessima e vana fa-
tica lasciarsi aggirare dalla concupiscenza, in-
cessantemente affliggere dagli affanni, dalle an-
siet, dal timore, dal dolore per le cose desi-
derate ? E qual peso pi grande di quello che
tira gi l'anima dalla sublime rocca della sua
dignit alle infime cose : il che per ogni verso
somma ingiustizia? Fuggi pertanto, o fratel
mio, fuggi tutte queste molestie e miserie, e
dalla tempesta di questo mondo trasportati
nella sicura e tranquilla quiete del porto. Per
la tua dottrina anche sai quel che la Sapienza
ci dica : se alcuno non rinunzier a tutto ci
che possiede, non pu essere mio discepolo. Il
che quanto sia bello ed utile, e quanto dilette-
vole lo stare nella sua scuola, sotto la discipli-
na dello Spirito Santo, far acquisto della divi-
na filosofia, che sola d vera beatitudine, chi
che non vegga ? E per vai la pena che la tua
prudenza ponderi queste cose con diligente
esame. Che se l'amor di Dio non t'invita, e il
vantaggio di premii si grandi non ti stimola,
almen la necessit e il timor delle pene a ci
spingere ti deve. Perocch sai da quale pro-
messa sei obbligato ; e come sia onnipotente
e terribile Colui, a cui ti votasti, facendogli di
te grato e accettevol dono ; a cui non conviene
mancar di fede ; perch non soffre punto d'es-
sere gratuitamente burlato. Attesoch ben ti
rammenti che, stando io e tu e Fulcio Mono-
colo certo d insieme nel giardino contiguo al-
la casa di Adamo, dov'io allora era ospitato,
parlavamo, come parmi, de' falsi piaceri, cio
delle caduche ricchezze del mondo, e dei gau-
dii dell'eterna gloria ; onde, infervorati d'amor
divino, promettemmo e facemmo voto allo
Spirito Santo di presto lasciare le fugaci cose
del mondo, e voltarci alle eterne, e pigliar l'a-
bito monastico. Il che anche sarebbesi prossi-
mamente fatto, se non si fosse differito al ritor-
no di Fulcio, che allora era andato a Roma. In-
dugiando questi a tornare, e sopravvenendo al-
tre cagioni, il divino amore illanguid, l'animo
si raffredd, e il fervore svan. Che dunque res-
ta, o carissimo, se non che al pi presto scioglier-
ti da legami d'un tanto dovere, acciocch persi
grave e diuturna colpa di mancata fede non in-
corra lo sdegno dell'Onnipotente, e quindi im-
mani tormenti ? Imperocch chi mai non piglie-
rebbe giusta soddisfazione di qualche suo sud-
dito, che lo defraudasse d'un dono promesso,
massimamente se ci fosse per lui cosa di grande
stima e valore ? Perci credi, non a me, ma al
Profeta, anzi allo Spirito Santo, il quale dice :

Fate voti al vostro signore Iddio, e adempite-


li, o voi tutti che intorno a lui recate doni ; a
lui terribile, a lui che toglie lo spirito de' gran-
di, a lui ch' terribile a' re della terra. Perch
mai lo Spirito di Dio inculca tutte queste cose,
se non per eccitarti a sciogliere il voto che fa-
cesti ? E come mai ti riesce grave l'adempirlo,
mentre non ti costa n jattura n scemamento
de' beni tuoi, anzi serve ad accumulare gua-
dagni, non per colui verso il quale lo adempi,
ma per te ? Non ti trattengano dunque le falla-
ci ricchezze, perch non servono punto a scac-
ciare la fveraj povert (spiritualej ; n la di-
gnit di Preposito che amministrar non si
:

possono senza pericolo grande dell'anima.Con-


ciossiach, a dirtela con tua pace, il rivolgere in
proprio uso le cose d'altri, di cui tu sia, non
padrone, ma amministratore, atto non meno
turpe che iniquo. Che se, vago di splendidezza
e di gloria, vorrai tenere grande famiglia, non
ti accadr forse che, non avendone abbastanza
del tuo, prenderai ad ogni modo l'altrui, dan-
dolo ad altri? (cio a tuoi falnigliarz). Il che
non punto essere benefico e liberale ; perch
non liberalit ci che non ancora giustizia.
Del resto desidero che anche sia persuaso
come non devi altrimenti, per l'attinenza che
hai col signor Arcivescovo (il quale molto si
vale dei tuoi consigli, che non possono per
essere sempre giusti e buoni), mancare a cos
sublime promessa e staccarti dal divino amore
che di tanto e pi giusto e pi utile. E che di
pi giusto, pi utile, e pi proprio e conve-
niente alla natura umana che amare il bene ?
E qual altro maggior bene v'ha mai che Iddio ?
Anzi qual vero bene, salvo ch Dio solo? Onde
l'anima santa, sentendo in parte l'incompara-
bile venust, lo splendore, la bellezza, di ques-
to bene, accesa d'amore, dice : L'anima mia
assetata di Dio fonte vivo : quando verr e
comparir dinanzi alla faccia di Dio ? Piaccia
al Signore che tu non disprezzi l'amico che ti
avvisa piaccia al Signore che non faccia il
:

sordo alle parole dello Spirito di Dio Piaccia


!

al Signore che corrisponda al mio desiderio ed


alla longa espettazione, o dilettissimo ; accioc-
ch non s'appeni pi a longo per te il mio cuo-
re, standone in affanni e timore. Perocch, se
mai accada, tolgalo Iddio che tu muoia prima
!

di avere adempito quel tuo dovere, mi lascie-


rai afflitto di continua tristezza e senza alcun
ti
conforto di speranza. Per la qual cosa prego
e scongiuro quanto so e posso che, almeno per
venire a pregare S. Nicol (a Bari), quindi ti
degni di passare fino a noi ; e cos vegga chi
unicamente ti ama, e lo stato delle cose nostre,
e l'ordine religioso (qui sorto) ; e insieme pos-
siamo a viva voce trattare di ci che fa al co-
mune vantaggio. E confido nel Signore che
non avrai a pentirti di esserti messo alla fatica
di tale viaggio. Ho passato i limiti d'una lette-
ra; perch, non potendo ti avere in persona,
almeno possa teco trattenermi pi a lungo par-
lando. Vivamente ti desidero, o fratello, pros-
pera e longa sanit ; e che ti ricordi del mio
consiglio, e non ti scordi del voto. Ti prego di
mandarci la vita di S. Remigio, che in questi
nostri paesi non si trova. Addio.
Gi abbiamo notato che S. Brunone fu elet-
to Arcivescovo di Reims : il che dovett'essere
non prima del 1096 ; poich fino a quest'anno
vi tenne quella Sede Rainaldo di Bellay : ma
dalla sopra riferita lettera si pu vedere quale
ancora dovett'essere la risposta del fondatore
della Certosa a quell'elezione. Raramente si
trova, ne' santi stessi, tale e tanta paura e,
quasi diremmo, abborrimento delle cariche e
dignit : e ci tanto pi degno d'osservazio-
ne, in quanto che quel medesimo Rodolfo Le
verd, a cui il santo solitario scrive in tal modo,
non solo non gli di ascolto, ma fece appunto il
contrario, accettando la dignit arcivescovile di
quella medesima chiesa di Reims. Pot Rodol-
fo, si concede, accettarla senza vanit, e per
buone ragioni di servizio di Dio e del prossi-
mo : ma vuolsi pure concedere che la costanza
di Brunone nella fedelt al suo voto, e nella
rinunzia ad ogni onore e grandezza, ha certa-
mente dello straordinario. Del resto bisogna
anche dire che la sua era una vocazione parti-
colare ; per seguire la quale doveva tenere par-
ticolari maniere, ed elevarsi alle pi alte cime
della perfezione cristiana ; s che, tutto assorto
nelle sublimit della vita contemplativa, par
quasi che disprezz l'attiva. Non la disprezza
per ; e vedemmo che, all'uopo, sapeva lasciar
quella per questa : ma egli era di quelle anime,
che il Signore sceglie ad accompagnarlo sul
monte, mentre lascia gli altri discepoli al pia-
no. Vedesi ancora che, sebbene levato cos in
alto alla vita contemplativa, il santo uomo era
per sempre di questo mondo, e si ricordava
degli amici, ai quali scriveva lettere e spediva
messagieri; come appunto facevano altres gli
antichi anacoreti, maestri suoi ; i quali non is-
degnavano, per carit del prossimo, in certi
tempi, ricevere visite di questi e di quelli, e
rispondere alle loro domande, con santi am-
maestrementi. Quello che in questa lettera non
dev'essere interamente esatto, si la descrizio-
ne che Brunone fa del sito di quell'eremo di
S. Maria ; che agli occhi suoi era poco meno
d'un paradiso, laddove agli occhi d'altri, pur
Certosini, ben altra cosa. Dice, per es., il
Tromby, nella sua Storia Cartesiana : Dif-
ficile discernere se vi sia peggiore il cielo o la
terra ; che vi sembran pessimi l'uno e l'altra.
Smorta la luce fin di mezzod ; il sole quasi
sempre offuscato da nubi e nebbie ; l'aria pie-
na di vapori esalanti dalle acque, che ivi s'im-
paludano, e caliginosa. Non v' primavera n
estate n autunno ; quasi sempre inverno ;
tutti i venti da Settentrione ; i pi soavi sono
i rovai. V'hanno fonti, rivi e fiumi, ma colle
acque sempre mescolate colle cadenti dal cielo
senza ritegno, e dalle balze, e da i dirupi ; le
quali facendo scorrere i ghiacci scioglientisi,
diventano un misto torbido, spiacevole alla vis-
ta, non grato per limpidezza. Vi son pianure, ma
deserte; campi, ma sterili; e i monti coperti
non d'altro che di abeti e di faggi e di neve,
che vi dura quasi tutto l'anno ; vasta solitu-
dine insomma, luogo d'orrore. Trattandosi
di luogo meridionale, poco discosto dal mare
Ionio, le tinte di questa pittura paiono, per ve-
ro dire, un po' troppo scure ; ad ogni modo
sarebbe un sito corrispondente a quello che
S. Brunone gi aveva scelto su' monti di Gre-
noble.
CoATITOLO XVI.

S. BRUNONE SALVA PRODIGIOSAMENTE LA VITA AL CONTE


RUGGIERO : S. ANSELMO D'AOSTA E IL B. URBANO II
SOTTO LE MURA DI CAPUA.

u NA perenne esperienza comprova che la


schietta generosit, sovratuttode' principi.
verso la Chiesa e i servi di Dio, ricompensata
dal Cielo altres nella presente vita. N'abbia-
mo un esempio nel fatto che siam per narrare.
Richiesto di consiglio e d'aiuto, s'era il Conte
Ruggiero, con forte nerbo d'armati, mosso
all'assedio di Capua, ribellatasi al suo proni-
pote Riccardo, che redata l'aveva da suo pa-
dre Giordano ; figliuolo, questi, d'un altro Ric-
cardo, normanno, e d'una sorella del Conte
Ruggiero medesimo. Il qual Riccardo, scaccia-
to il longobardo Landulfo, possessore della
citt, l'aveva, dicesi, avuta in feudo da Nico-
l II. Se non che, morto Giordano, i Capuani,
desiderosi di novit, rivoltaronsi contro il suo
giovane figliuolo, e richiamarono i Longobar-
di. Era il Normanno, quando fu spossessato,
ancora fanciullo ; ma cresciuto in et, non po-
tendo tollerare il danno e il disonore di tale
perdita, si volse per aiuto al suo prozio Conte
Ruggiero, ed all'altro Ruggiero, Duca di Pu-
glia, suo cugino ; e l'uno e l'altro non solo
glielo acconsentirono, ma lo recarono in perso-
na. Il Conte, celebrata la Pasqua in Calabria
(era l'anno 1097), tenne per via di Puglia;
e poco appresso, alla solennit di Pentecoste,
gi era accampato sotto le mura di Benevento.
Di qui spedi messaggi a' Capuani, per indurli
a sensi migliori; ma, trovandoli ostinati, co-
minci a mettere a sacco ed a fuoco i loro con-
fini ; e cos, disertando il paese, con Ruggiero
Duca di Puglia si port sotto le muradiCapua.
Era con essi Riccardo, in cui favore s'era dato,
di piglio alle armi ; e tutti e tre avevano a' loro
ordini, se non un esercito propriamente detto,
schiere che insieme unite erano senza dubbio
sufficienti al bisogno. Narrasi che il Conte
avesse nelle sue altres non pochi Saraceni, di
quelli che gli si erano sottoposti in Sicilia. Or
sebbene i tre principi fossero indipendenti l'u-
no dall'altro, la somma del comando era nelle
mani del Conte, s perch pi autorevole per
anzianit, e s perch, quantunque gi fosse in
et di circa sessant'anni, era nondimeno d'ani-
mo e di corpo s vigoroso, che dirigeva in per-
sona l'assedio fin nelle minute particolarit
delle opere, tutto volendo vedere, tutto ese-
guire, quasi dicemmo, di propria mano. Oltre
al valor personale, aveva per altro il Conte
uno stimolo assai potente all'operosit che spie-
gava in quello assedio ; imperocch dicesi che
il pronipote gli avesse promesso, in ricambio
del aiuto, nientemeno che la citt di Napoli :
la quale per ci in quel tempo doveva esser
luogo di minor considerazione che Capua. Ma
lasciando alla fede di chi l'afferm, l'assediata
citt fu ridotta ben presto alle strette; senza che
per i Capuani ne restassero avviliti : che anzi
arditamente si difendevano ; talche si giunse al
1098, e n assediati n assedianti mostravan
per anco di dover fra poco vincere o cedere.
Intanto si venne a sapere che il grande Arci-
vescovo di Cantorbery, S. Anselmo d'Aosta,
da Roma, ov'era stato accolto con grandissimo
onore dal Sommo Pontefice, erasi recato ad una
villa di Benedettini, detta la Schiava (altri scrive
Scavia), posta sovra un alto ed ameno colle, non
lungi da Capua. Essendo di tenera comples-
sione, egli soffriva nell'aria estiva di Roma;
e con licenza del B. Urbano II s'era col riti-
rato ; dove potendo attendere alla contempla-
zione ed allo studio, gli pareva in certo modo
d'essere tornato alla sua desiderata vita monas-
tica1. Indotti pertanto dalla fama e vicinanza

*Fra le altre cose, vi fini il libro intitolato : Cur homo


Deus; al quale gi in Inghilterra egli dato principio. E l'o-
di tanto uomo, que' principi Normanni man-
darono a pregarlo : non gli fosse grave di ve-
nirne da essi. Ci venne, e colla sua presenza,
umilt e carit li edific ; e si acquist gli ani-
mi di tutto l'esercito in guisa, che dovunque si
mostrasse era benedetto e glorificato da ognuno.
Anzi moltissimi Saraceni, mossi dal buon esem-
pio di lui, ed anche dalle carezze che loro fa-
ceva, stavano per convertirsi alla santa Fede:
e l'avrebbero fatto, se per suggestione diabolica
non fossero stati impediti da un Conte siciliano ;
che, ad istanza del Duca Ruggiero, gli aveva
assoldati e condotti a quella milizia2.
Ma ecco sopraggiungere il Papa, che voleva
abbocarsi con il Duca ed il Conte. I quali, in
compagnia d'Anselmo e dei principali perso-
naggi del campo, mossero al suo incontro, e lo
ricevettero con quell'alte onorificenze, ch'eran
dovute all'eccelso suo grado. Si alz una ma-

puscolo, in cui con alte speculazioni di mente umana appog-


giata alla Rivelazione, indaga le cagioni dell'Incarnazione
del Verbo. Avendolo intrapreso in servigio del monaco
Bonizone, a lui ne scrive dicendo : Quanto al libro che
ho test finito, sotto il titolo : Car homo Deus; Eadmero,
mio carissimo figlio, bastone della mia vecchiezza, e monaco
di Bec, sta ora occupato a trascriverlo.
2 Maffei, Vita di S. Anselmo. Non da confondere questo
Conte Siciliano con Ruggiero Conte de Sicilia : perch, questi
sebbene non fosse un santo, aveva ben altri sentimenti : n,
se avesse impedita la conversione di que' Saraceni, avrebbe
avuta la straordinaria grazia, che in que' medesimi giorni
ebbe da S. Brunone.
gnifica tenda presso a quella d'Anselmo : onde
s'ebbe il pi caro e venerando spettacolo ; di
due cosi grandi e insigni personaggi, che vicen-
devolmente trattavansi con umilt e riverenza.
Anselmo, come devoto figlio, venerava nel B.
Urbano II la somma autorit delcomun Padre
de' fedeli, del Vicario di Ges Cristo : e il Papa
publicamente riconosceva in Anselmo il Ves-
covo santo, il profondo teologo, l'invitto e sa-
piente campione della causa, per cui esso ancor
combatteva, cio l'indipendenza e libert del-
la Chiesa. Se col fossero convenuti altres
S. Brunone e la Contessa Matilde, Capua po-
trebbe gloriarsi d'aver avuto sotto le sue murai
pi benemeriti personaggi, di cui allora si ono-
rassero la Chiesa e la santissima causa della
giustizia e dell'ordine. S. Brunone trovovvisi
tuttavia, ma in modo straordinario ; come ora
diremo, dopo aver toccato di due altre prove
della gran riverenza e fede, che in esso avevano
il Conte Ruggiero ed il Sommo Pontefice.
Alfano, Arcivescovo di Salerno, aveva sporte
querele contro parecchi signori Normanni ; i
quali, spadroneggiando al solito modo de' con-
quistatori, s'erano impossessati di molti beni
della sua chiesa ; e il Papa ne aveva fatto pa-
rola col Conte Ruggiero. Il quale, non volendo
se non ci ch'era giusto, con pronto ossequio
rispose al Pontefice, proponendo di rimettere
la cosa nel B. Lanuino, che si sarebbe chiamato
dal suo eremo (Brunone, gi avanzato in et e
sovente infermo, meritava di essere rispar-
miato) ; e il B. Lanuino era uomo maturo,
prudente, esperto di tali maneggi, lontano dao-
gni parzialit. Il Papa accett ; e mand lettera
informa di Breve a Lanuino, con la quale or-
dinavagli di mettersi senza indugio in via per
Salerno, per quivi abboccarsi col Cardinale
Benedetto, del titolo di S. Susanna; e quivi as-
pettasse la sua venuta.
Se a Salerno era la Chiesa che lagnavasi
delle usurpazioni de' laici, a Squillace erano
laici (certi veterani e nobili feudatarii) che mo-
vevano lite a' Certosini, accusandoli d'avere,
sotto pretesto de'lor privilegi, nelle pertinenze
di Oliviano e Montauro, stesa la mano su molti
terreni spettanti ad essi. L'accusa parendo in-
giusta a' Romiti, perch non avevano presso
possesso se non di ci che il Conte Ruggiero
aveva loro donato, a lui ricorsero : e n'ebbero
un rescritto ; il quale portava che, niuno po-
tendo contraddire a' validi documenti degli ere-
miti, i difensori ( avvocati) si trasferissero sulla
faccia de'luoghi; e, a tenore delle concessioni
i
fatti a'Padri dell'Eremo, divisi per limiti ter-
reni, si lasciasse senza molestia quel che loro
appartenesse. Il rescritto venne eseguito in pre-
senza di Roberto Stratigone ed altri personaggi
della corte del Conte ; quattro periti si recarono
sopra luogo, e fecero la partizioni : cio nondi-
meno i veterani riattaccarono briga.
Ma veniamo al prodigioso intervento di S.
Brunone in favore del Conte Ruggiero. Tra i
soldati de' tre principi Normanni militava un
Greco, di nome Sergio, capitano di duecento
soldati ; al quale incautamente s'era affidato
l'importante e geloso uffzio, di capo delle sen-
tinelle dell'esercito. E nota la fede greca ; e
Sergio la mostr col proprio esempio. Imperoc-
ch corotto dal Longobardo Landulfo con lar-
ghe promesse, aveva macchinato un tiro, che,
se gli veniva fatto, sarebbe stato funesto a' Nor-
manni : ed era di lasciar entrare, di notte tem-
po, l'esercito Longobardo nel campo del Conte
Ruggiero, a far man bassa di lui e de' suoi sol-
dati colti a dormire. Era fissata al tradimento
la notte del primo giorno di marzo del 1098 ; e
gi, all'ora convenuta, il Longobardo, alla testa
de'suoi armati scelti a tal uopo, stava per pas-
sare i ripari : ma
udiamo lo stesso Conte
Ruggiero narrare il fatto nell'autentico docu-
mento del suo cos detto gran privilegio in fa-
vore della Certosa calabrese.
Nel nome di Dio eterno Salvator nostro
Ges Cristo : l'anno 1098 dall'Incarnazione di
lui, indizione VII. Il glorioso re Davide, pre-
venuto dallo Spirito santo, Narrer, dice, tutte
le tue maraviglie. Per il che io Ruggiero, per
divina misericordia Conte di Calabria e di Si-
cilia, voglio che sian noti a tutti i fideli Cris-
tiani i benefizi, che a me peccatore concesse
Iddio per le orazioni del reverendo uomo Fra
Brunone, piissimo padre de' Frati, che abitano
nelle chiese di S. Maria dell'eremo e del santo
protomartire Stefano : le quali stanno in mia
terra tra il castello di Stilo ed Arena. Assedian-
do io Capua, al i di marzo, aveva fatto Sergio,
di nazione greco, capitano di duecento soldati
pur greci e maestro delle sentinelle del campo;
il quale, mosso da satanica istigazione, aveva
promesso al principe di Capua, per non piccola
quantit d'oro, di lasciarlo entrare di notte ad
assalir me e il mio esercito. Giunta la notte fis-
sata al tradimento, gi il principe di Capua sta-
va col suo esercito sulle armi, secondo il patto.
Or essendomi io posto a dormire, ecco dopo
alcun tempo presentarsi al mio letto un vec-
chio d'aspetto venerabile, colle vesti lecerate
e in lagrime, che cadevan gi senza freno. E
chiedendogli io la cagione de quel pianto e di
quelle lagrime, mi parve che piangesse ancora
pi forte. E di nuovo chiedendogli io perch
cos piangesse. Piango, rispose, le vite de'Cris-
tiani e te con essi. Ma incontanente levandoti,
prendi le armi, se mai piaccia a Dio che salvi
te e le vite de' tuoi combattenti. E affatto mi
pareva che quell' uomo veramente fosse il ve-
nerabile Padre Brunone. Destatomi con terror
grande, e temendo per la visione, di tratto pi-
gliai le armi, gridando intanto a' soldati di ar-
marsi e montare a cavallo ; disposto a provare
se la visione era vera. Allo strepito, alle grida
fuggendo l'empio Sergio e i suoi seguaci, ten-
nero dietro al principe di Capua, sperando di
salvarsi in citt. Ma i miei soldati riuscirono a
prendere, tra feriti e sani, cento sessantadue ne-
mici ; da' quali potemmo sapere che verace era
la visione, e com'era andato il fatto.
Questo tentato tradimento valse non poco
ad accelerare la fine dell'assedio : attesoch il
Conte, indegnato, fece accostare le macchine
per dare l'assalto del che atterriti i Capuani, gli
:

i
si arresero a discrezione, e vincitori entrarono
trionfanti nella citt. La quale avrebbe molto
meglioprovveduto al proprioonore e vantaggio,
se avesse prestato docile orecchio alle esorta-
zioni del Pontefice poich la prima sua cura,
:

al giungere nel campo degli assedianti, fu di


adoperarsi per mettere pace e i principi allea-
:

ti v'erano disposti ; ma i Capuani non vollero


stare a ragione. Onde il Papa stesso, per dare
un esempio del rispetto che si deve alla sua
dignit, persuase il Duca ed il Conte Ruggiero
a spingere energicamente l'assedio. Cio nondi-
meno i vincitori non abusarono punto della
vittoria ; e perdonando a' cittadini, la maggior
parte de' quali erano innocenti degli avvenuti
casi, ebbero la gloria di mostrare nello stesso
tempo valore e clemenza, rimettendo il nipote
nel possesso della citt.
Di qui i due Ruggieri recaronsi dal Pontefice;
il quale, con S. Anselmo, gi era passato a Saler-
no; e vi trovarono altres il B. Lanuino, venutovi
secondo l'ordine avuto dal Papa. La benignit
che tutti questi personaggi ebbero per il degno
discepolo del fondatore della Certosa, le corte-
sie che gi aveva ricevute dal Cardinal Bene-
detto e dall'Arcivescovo Alfano, la fiducia di cui
l'onorarono commettendogli rilevanti affari, fra
cui quello della restituzione de' beni alla Chiesa
Salernitana, furono, come dire, tanti raggi di
luce ; che dalla persona di Brunone, si caro e
venerando specialmente al Pontefice ed al Con-
te, si riverberava sopra i 'suoi degni figliuoli.
CdA'PITOLO XVII.

S. BRUNONE SALVA LA VITA E LA LIBERTA A' CONGIURATI


DI CAPUA.

L E fatiche, i disagi, l'aria poco salubre del


campo sotto Capua avevano scossa alquan-
to la sanit del Conte Ruggiero ; che, giunto a
Squillace, cadde infermo. Il che saputo avendo
Brunone, si tenne in dovere di visitarlo ; e
con alcuni de' suoi confratelli andonne a lui ;
il quale ebbe carissima la loro visita, e non leg-
giero conforto della loro presenza e conversa-
zione. A segno che, parendogli di non avere
ancora sufficientemente mostrata la sua grati-
tudine al santo Patriarca, qui di presente volle
scaricarsi di quello che per lui era gravissimo
debito, e con parole di regal cortesia gli offer,
anzi volle assegnarli copiose rendite nelle per-
tinenze di Squillace.
Rispose Brunone umilmente : Non egli, ma
l'angelo del Signore, assistente a' principi in
guerra, essere stato il suo vero liberatore.
Quanto alle sue generose offerte, gi tenendo
dalla liberal sua mano copiosi beni per servi-
zio del monastero, non potere accettarne altri;
che sarebbero stati superflui, e per contrarii
a quello spirito di povert, ch' necessario per
servire pi liberamente al Signore. D'un altra
grazia piuttosto lo supplicava con tutto il cuore :
ed era di concedere la vita a tutte quelle per-
sone di Squillace e di Sorrento ch'egli inten-
deva di condannare a morte, per aver preso
parte alla congiura di Sergio. I congiurati
erano cento dodici; ma parecchi di essi avendo
famiglia, ed anche questa essendo con loro con-
dannata, trattavasi di ben cento sessantadue
persone, che dovevano perire di varii suppli-
zi, in pena dell'ordito tradimento, a terribile
esempio. Or qui si parve la potenza che Bru-
none aveva sull'animo del Conte Ruggiero :
perocch questi, tra per la paura avuta, lo sde-
gno del tradimento, il rischio di uscir perdente
di quell'impresa (perdita che avrebbe offuscata
la gloria di tante altre sue vittorie), e l'obbligo
ancora di punire un si grave delitto di lesa
maest, non era punto disposto al perdono :
tanto pi che, aspettandosi tutt'altra domanda,
ne rest come colto all'improvviso.
La religione gi aveva certamente mansue-
fatti i fieri animi de' Normanni ; ma essi erano
pur sempre uomini di guerra, n avevano per
avventura spogliata interamente la barbarie
ond'erano di fresco usciti; s che il Conte Rug-
giero medesimo, sebben lodevole per molte
buone parti, sarebbe stato atto ad assistere
all'orrendo spettacolo di tanti condannati alla
morte. Ma dovendo ad ogni modo riconoscere
che la congiura era fallita per merito di colui,
che ora si faceva intercessore per i congiurati,
non pot n volle contraddirlo; e a considera-
zione di lui, che ne lo pregava per amore di
Nostro Signor Ges Cristo, e gliene proponeva
l'esempio, s'indusse a far loro grazia della vita.
Posta la su mentovata fierezza d'animo, non
fu questa in verit piccola dimostrazione del
vivo e riverente affetto che il Conte Ruggiero
nutriva per Brunone '. Questo apparisce anche
* Ecco in che modo Ruggiero stesso, nel citato documento
del Gran privilegio, parla della sua malattia, della visita di
Brunone, e delle nuove offerte fattegli :
Presa la citt di Capua, tornai a
Squillace il 29 del me-
se di Luglio ; dove fui infermo per quindici giorni continui.
Or venne a me il gi detto venerabile Padre Brunone con
quattro de' suoi Fratri ; i quali con santi e devoti colloquii
mi consolarono : al qual reverendo uomo e riferii la vizione
e resi umili grazie, d'aver avuto cura di me, bench assente,
nelle sue orazioni. Il quale, umiliandosi, asseri che non era
stato lui, com'io credeva, ma l'angelo di Dio, che sta per i
principi in tempo di guerra. Anche lo pregaiumilmente che,
per amore di Dio. si degnase di prendere nella mia terra di
Squillace, larghe rendite, quante gliene dava. Ricusando egli
di riceverle, diceva che gi aveva abbandonata la casa di suo
padre e la mia, appunto per potere, sciolto dalle cose mon-
dane, servire al suo Dio. Questi era stato in tutta la mia casa
quasi primo, e grande. Alla fine a pena potei ottenere che si
arrendesse a prendere un mio piccolo donativo. E il picco-
lo donativo fu del monastero di S. Giacomo di Montauro col
castello, di un altro castello di legno, detto di Belvedere, e
poi di varii casali, d'una vigna con casa ecc.
dal fatto che Ruggiero, quasi tenesse quella
grazia per cosa da nulla, continu nelle sue
offerte di beni e possessi. E poich Brunone
stava saldo al rifiuto, e proponeva altre chiese
ed altri monasteri da beneficare, il Conte, affer-
mando che a fargli tali donazioni ben era mos-
so da riverenza e gratitudine, ma altres dal
pensiero della gloria di Dio e del bene del
prossimo, che sarebbero stati eccellentemente
serviti stando que' beni nelle mane di lui, tan-
to disse e ripet che il santo Patriarca alla fine,
per non contristare s generoso benefattore,
acconsenti ad accettare alcune altre donazioni.
Ci fu nel anno 1098.
Non si pu negare che al novello Istituto
eremitico le cose in que' d andavano mira-
bilmente a seconda : attesoch mentre il Con-
te Ruggiero cos largheggiava con esso, il Papa,
a petizione del B. Lanuino, confermava le do-
nazioni ed i privilegi concessi dal Conte mede-
simo e dai due Vescovi di Squillace, Teodoro
Mesimerio e Giovanni De Niceforo. Trovava-
si Lanuino tuttora a Salerno ; or avendo com-
piute le opere per cui era stato chiamato, prima
di prender commiato dal Pontefice, lo supplic
della sopradetta conferma. E il B. Urbano II
prontamente ordin che si allestisse una Bolla
a tal fine : la quale fu segnata nella stessa citt
di Salerno, nel settembre del sopranotato anno
1098. In essa, con piena autorit apostolica,
ampiamente concede e conferma tutte le do-
nazioni lor fatte, sotto certi limiti, cos dal Con-
te come dal Vescovo ; vietando, con tremendo
anatema, che niuno, n pure il Conte o alcuno
de' suoi eredi, potesse quind'innanzi ingerirsi
in tal parte ; che anzi, volendosi dal Conte o
da alcun suo erede, far nuova donazione, gi
si tenesse per rata e confermata colla medesi-
ma Bolla. Anche il Duca di Puglia volle mos-
trare la sua gratitudine e devozione : e fece do-
no alla Certosa d'alcuni villani ( una specie di
servi della gleba ) che teneva nel territorio di
Squillace ; ordinando che nella carta di scrit-
tura se ne ponessero i nomi e cognomi. Questa
carta porta la data del 1099. Tornato alla Cer-
tosa col prezioso documento della suddetta Bol-
la, il B. Lanuino vi trov una lettera del Conte
Ruggiero, chiedente che ne venisse a lui, re-
cando tutte le anteriori carte di concessioni
fatte all'eremo. E ci perch, come sopra ac-
cennammo, que' veterani e baroni di Squillace
avevano riattaccata briga per certi feudi di
Oliviano e Montauro ; ed eran ricorsi al Conte,
rappresentando che gli eremiti, in un co' pos-
sessi loro donati, avevano occupato tenute, le
quali appartenevano ad essi e non alla Certosa,
Era un'accusa grave ; per rispondere alla quale
bastava in verit la riputazione di santo che
Brunone godeva ; ch in niun modo, n pure
per difetto di vigilanza, avrebbe permesso un'u-
surpazione di tal fatta nondimeno il Conte
:

volle udire le parti, e le chiam a dir loro ra-


gioni alla sua presenza. Ma non tard a vedere
co' proprii occhi, che non invano aveva ri-
posta piena fiducia in tal uomo attesoch
:

dall' esposizione de' fatti e de' documenti ri-


sult che le pretenzioni de' veterani erano ca-
lumniose e cavillose onde, con chiara cognizio-
:

ne di causa, sentenzi in favore della Certosa,


ratificando il giudizio dato poc'anzi da' periti.
Questa contraddizione ebbe tuttavia il suo
lato buono ; in quanto che rese il Conte Rug-
giero anche pi inclinato a favorire, quasi per
compenso, con nuova generosit il suo vene-
rato padre Brunone. E lo si vide alla prova
nel fatto de' congiurati di Capua ; i quali, gra-
ziati della vita ma non della libert, gemevano
in carcere. Or sapendo essi che gi della vita
erano debitori a Brunone, a lui si rivolsero
per avere eziandio la libert ; e con fervide
istanze, a viva voce per mezzo di parenti ed
amici, e per iscritto con opera propria, lo sup-
plicarono di loro impetrare altres tale grazia.
Mosso egli a compassione del misero stato di
que' poveretti, di nuovo interpose in effetto i
suoi buoni uffizi ; e il Conte, nulla sapendo
negargli, di nuovo acconsent alla sua preghie-
ra ; a condizione per irrevocabile che tutti
que' congiurati con le loro famiglie divenissero
servi perpetui della Certosa.
Dono ancora a te, o padre Brunone (sono
parole del Conte, nel pi citato documento del
Gran privilegio), ed a' tuoi successori, in ser-
vi perpetui e villani cento dodici linee di ser-
vi e villani e i loro figli in perpetuo, dovun-
que siano ed abitino, con tutti i loro beni ;
avendoli riserbati a servizio di te e de' tuoi
successori. Essi furono trovati, nell'assedio di
Capua, far parte della combriccola di tradi-
mento del pestilente Sergio. Condennati alla
morte, io tornato a Squillace li aveva serbati
per punirli di varii supplizi; ma liberati per tua
domanda, li obbligo, in un co' loro figliuoli,
a te ed a' tuoi successori, come servi perpetui
e villani, nella personale servit di S. Maria
e del protomartire Stefano.
Sebbene la grazia non fosse interamente
quale i condannati la desideravano, nondime-
no fu grande la loro gioia all'uscire del car-
cere. E considerando che di ci, e dell'aver
salva la vita, dovevano saper grado a Brunone,
non si poterono contenere dall'andare a rin-
graziarlo in persona alla Certosa. Quivi, pros-
trati a terra, e baciandogli le mani ed i piedi,
sfogaronsi in lagrime e mille tenere espressio-
ni di eterna gratitudine. Accolseli il santo con
viscere di paterna carit ; e, dopo aver detto
che riconoscessero la grazia dalla bont di Dio
e dalla clemenza del Principe, li esort a tene-
re quind'innanzi tale condotta, che questi non
avesse a pentirsi d'averla lor fatta. Indi, asse-
gnati alcuni di essi al servizio dell'eremo di
S. Maria e dell'attiguo monastero di S. Stefa-
no, distribu gli altri nelle varie case dipenden-
ti dalla Certosa.

CcAPITOLO XVIII.

IL B. LAUDUINO ALLA CERTOSA DI CALABRIA :


LETTERA DI S. BRUNONE A ' CERTOSINI DI GRENOBLE.

E RA intanto ritornato il fratello converso spe-


dito in Francia con lettere per la gran Cer-
tosa, e per Rodolfo Le Verd ; al quale il santo
fondatore della Certosa tante cose disse, come
vedemmo, per indurlo a mantenere il voto che
avevano fatto insieme. Ma Rodolfo non venne ;
anzi poco appresso, eletto Arcivescovo, accett
il governo di quella medesima insigne chiesa
di Reims. Rammentando i sentimenti espressi
da Brunone nella predetta lettera, e rammen-
tando anche pi i suoi esempi, si pu indovi-
nare con che animo il santo Patriarca ud tal
notizia : cio da prima l'avr compatito d'esser-
si lasciatosi tirare all'affannosa vita di Marta ;
mapoi l'avr anche lodato come uomo che sa-
crificava s stesso al bene altrui, considerando
che i greggi han pur bisogno di buoni pastori,
che li dirigano, che li parino dai lupi, che li gui-
dino a' pascoli salutari : opera al certo non me-
no importante e nobile che difficile e faticosa.
Assai pi conforme al suo desiderio fu l'ef-
fetto delle lettere a' suoi diletti figli e fratelli
della Gran Certosa ; de' quali non si pu dire
a parole la consolazione viva e grande, ch'eb-
bero al vedere un lor confratello di altra Cer-
tosa, fondata ancor essa dal santo lor Padre,
e con lettere di lui ad essi indirizzate. Quante
cortesie al caro ospite, quante domande intor-
no al venerando lor Padre e alla sua nuova
fondazione in Italia ; del numero e qualit de'
soggetti, delle regole, del luogo, del tenore di
vita : e se non dovesse pi tornare in Francia,
alla prima sua casa, dov'era tanto desiderato !

Rispose il messaggiero come seppe, e del resto


rimettendosi alle lettere che portava : le quali
probabile che contenessero opportune infor-
mazioni della nuova Certosa eretta in Cala-
bria, e l'invito al B. Lauduino di recarsi in
Italia, per insieme conferire sulla loro nuova
Istituzione eremitica, che colla benedizione
del cielo si andava assodando.
Venne infatti il B. Lauduino in Italia col
predetto messagiero, che secondo qualche an-
tica memoria chiamavasi Stefano, ed un altro
fratello converso della Gran Certosa, di nome
Rodolfo ; e, dopo un disagiato viaggio, giunse
all'eremo di Calabria nell'ottobre del log8.
Arrivati a Soriano, Stefano precedette per dar-
ne avviso al santo Patriarca ed agli altri ere-
miti. fama che tutti, con Brunone alla testa,
gli uscirono incontro alla distanza d'un miglio,
e con santo affetto l'abbracciarono, in un luo-
go detto la croce ferrata, da una croce di ferro
che gi v'era, ma che allora fu segnata per ri-
cordo di quell'incontro. Dopo le fraterne e lie-
te accoglienze, si venne a' ragguagli ed alle in-
formazioni da una parte e dall'altra. Lauduino
di contezza di quanto concerneva la Gran
Certosa, dal d che S. Brunone ve li aveva ri-
mandati dalla Puglia, dov'erano venuti a cer-
carlo : disse del progresso, del modo di vivere,
degli esercizi, delle opere, dello spirito che vi
regnava, insomma di tutto ci che in qualche
modo apparisse importante ed utile a manifes-
tarsi a chi, quale capo e fondatore dell'Istituto,
aveva diritto di saperlo. Compiuto questo do-
vere, pass, accompagnato da alcuni de' Pa-
dri, a visitare il novello eremo, e farvi alla
sua volta le sue osservazioni ; de' costumi,
delle regole, del modo di conversare, de' di-
voti esercizi, dell'orazione, dell'austerit, dello
spirito, da cui tutto quel nuovo corpo era
mosso, sotto la mano del santo Patriarca ; col
quale ebbe frequenti conferenze. probabile
che il B. Lauduino scrivesse tutte le notevoli
cose che vide e ud ; sovratutto le osservanze,
che il santo Fondatore stim doversi proporre
e stabilire. Ond' come certo che, sebbene le
regole della Certosa fossero la prima volta
stese da Guigone, quinto Generale dopo S.
Brunone, e poi ampliate da parecchi altri Ge-
nerali, tuttavia la sostanza di esse fu allora
somministrata dal santo Fondatore. Il quale e
nella Certosa di Grenoble e in quella di Cala-
bria, colla voce, coll'esempio e colle lettere
addit le norme della vita Certosina : non
consta per ch'egli, si come fecero altri istitu-
tori d'ordini religiosi, componesse una regola
propriamente detta 1. Quello che chiamossi il .

testamento di S. Brunone consiste nelle note,

4 Scrittori della vita di S. Brunone, di molto posteriori,


come il bolognese Zanotti e il P. Fiorenza ed altri, tengono
che allora S. Brunone ed il B. Lauduino stendessero una
scrittura di ventun capitolo, in doppio originale, come suol
dirsi : uno sottoscritto da Lauduino, da conservarsi nella
Certosa di Calabria ; l'altro sottoscritto da S. Brunone, per
che il B. Lauduino in quest'occasione prese
delle norme e de ' consigli suggeriti a viva voce
dal santo Fondatore. Fatta conveniente dimora
con tale Padre e tali fratelli, visitato il grande
benefattore della novella Certosa, cio il Conte
Ruggiero, che l'accolse con molta contentezza
e benignit, il B. Lauduino si dispose di tor-
nare in Francia, lieto apportatore di tante
consolazioni, ch'egli aveva godute col suo caro
maestro ed i nuovi confratelli. Mesto fu il
commiato, specialmente per il B. Lauduino,
perch senza speranza di pi rivedere il diletto
Padre, gi vicino al settantesimo anno di vita;
et grave per s, ma resa a Brunone ancora
pi grave dalle sostenute fatiche, e dalle peni-
tenze, che ne avevano alterata la sanit. Come
si vede dalla seguente lettera, il venerabile
uomo non sarebbe stato alieno dal tornare in
Francia, ch'era la seconda sua patria, e v'aveva
gettate le prime fondamenta del suo Istituto ;
ma a ci opponevasi, oltre la inferma salute,
la volont del Papa e del Conte Ruggiero. Non
potendo andarvi in persona, v'and collo spi-
rito, e scrisse a que' suoi figliuoli cos.
Fra Brunone saluta nel Signore i suoi di-
lettissimi fratelli in Cristo. Dalla frequente e

la Certosa di Grenoble, ma di ci non parlano gli autori


antichi: i quali non avrebbero mancato di almeno mentovare
un s prezioso documento, se avesse esistito.
dolce relazione fattacene dal beatissimo fratel
nostro Lauduino, avendo conosciuto l'infles-
sibile rigore della giusta e veramente lodevole
vostra disciplina, e inteso il vostro santo amore
e incessante studio di virt ed onest, l'anima
mia esulta nel Signore. Si, esulto e mi sento
mosso a renderne lode e grazie a Dio ; e pur
sospiro amaramente. Esulto, come devo, per il
crescere de' frutti delle vostre virt ; ma mi
addoloro e vergogno di me, che inoperoso e
pigro sempre giaccio nel lezzo delle mie col-
pe. Rallegratevi dunque, o carissimi fratelli
miei, della felice vostra sorte, e per l'abbon-
danza della divina grazia in voi. Rallegratevi
che siete scampati dai molteplici pericoli e nau-
fragi del procelloso mondo. Rallegratevi che
siete giunti in tranquilla e serena stazione di
recondito porto ; al quale molti ben desiderano
di venire, e molti altres ne fanno qualche sfor-
zo, ma non ci arrivano. Ed anche v'ha di quelli,
n sono pochi, i quali, dopo esserci arrivati,
n'andarono esclusi, perch non ne avevano la
grazia dall'Alto. Perci fratelli miei, tenete per
certo e sicuro, che chiunque ha goduto di ques-
to desiderevol bene, e poi in qualsiasi modo
l'ha perduto, sempre se ne pentir, se pur gli
rester qualche riguardo o cura dell'anima sua.
Di voi, dilettissimi fratelli miei laici, dico :

L'anima mia d gloria al Signore, perch vedo


la magnificenza della sua misericordia sopra
di voi, secondo la confidenza fattamene dal
vostro Priore e Padre amantissimo, che molto
si loda e rallegra di voi. E rallegriamocene an-
che noi : poich, non sapendo di lettere, la
divina potenza scrive col suo dito ne' vostri
cuori non solo l'amore, ma altres la cognizio-
ne della santa sua legge; attesoch mostrate
nel vostro operare quello che amate e quel
che conoscete. Di vero, osservando voi con
ogni diligenza e sollecitudine la vera ubbidien-
za (ch' l'adempimento de' divini precetti e la
chiave e il contrassegno di ogni spiritual disci-
plina ; n mai va disgiunta da molta umilt ed
egregia pazienza, ed sempre accompagnata
da casto amor del Signore e da vera carit),
resta chiaro che voi sapientemente leggete quel
che forma il soavissimo e salutar frutto della
Scrittura divina. Per laqual cosa perseverate,
fratelli miei, in quello a cui siete giunti; e state
lontani, come da peste, dal morboso gregge di
alcuni vanissimi laici ; i quali van portando
attorno certi loro scrittarelli, susurrando cose
che non intendono n amano, ed alle quali
pur contraddicono colle parole e co'fatti. Oziosi
e girovaghi, sparlano di quante veggono per.
sone buone e religiose; e si fanno una gloria di
denigrare chi degno di lode ; ma odiano l'ub-
bidienza ed ogni disciplina.Volli poi, per le
mie gravi e frequenti infermit, retener meco
Fra Lauduino; ma perch senza di voi non
trova niente di bello e di buono, non ne volle
sapere, chiaramente mostrando colle dirotte
lagrime e co' molti sospiri quanto gli siate cari,
e quanto vi ami con perfetta carit. Onde non
volli menomamente costringerlo, per non of-
fendere n lui n voi, che per le vostre virt
mi siete carissimi. Ma ben mi reco a dovere
di avvisarvi, e umilmente e grandemente vi pre.
go, che mettiate in pratica la carit che avete in
cuore per lui, come vostro Priore e Padre ca-
rissimo, benignamente e accuratamente sommi-
nistrando tutto ci che gli necessario per le
molte sue infermit. Che se egli non vorr con-
sentirvi quest'uffizio d'umanit, disposto a las-
ciare che ne vada la salute e la vita piuttosto-
ch mancare al rigore della corporal penitenza
(cosa invero riprovevole); vergognandosi forse
che, occupando il primo posto nel monastero,
abbia in questa parte a trovarsi dopo gli altri,
e temendo di essere occasione che alcuno di voi
ne divenga rilassato o men fervoroso, il che
non credo che sia punto da temersi ; acciocch
non restiate privi di tale grazia (cio della sa-
nit del B. Lauduino), vi concedo, ma solo in
questo, di far le mie veci, s che possiate con
riverenza costringerlo a far uso delle cose che
avrete apparecchiate per la sua salute. Quanto
a me sappiate, o fratelli, che, dopo Dio, l'unico
mio desiderio di venirne a voi e vedervi. E
quando potr, lo far, coll'aiuto di Dio. State
sani.

CcAPITOLO XIX.

PRIGIONIA E MORTE DEL B. LAUDUINO.

c ON questa lettera misesi il B. Lauduino in


via per alla volta di Grenoble ; ma pur
troppo non era riserbato a lui di rallegrare i
suoi confratelli con essa, e con quelle altre lie-
tissime cose che avrebbe soggiunto a viva voce.
Anzi non doveva n pure pi rivederli ; aven-
do Iddio ne' suoi imperscrutabili giudizi per-
messo che un'iniqua prepotenza lo traesse a
morir lontano dalla sua cara Certosa. Ecco in
che modo. Sebbene gli eventi a que' d volges-
sero meno avversi alla causa del legittimo
Papa, tanto che il B. Urbano II pot, nel 1099,
celebrare in Roma un Concilio di pi che cen-
tocinquanta Vescovi e moltissimi Abbati ed al-
tri ecclesiastici personaggi, e rinnovar gli ana-
temi tante volte fulminati contro l'antipapa
Guiberto ed i suoi fautori, tuttavia costui, sem-
pre spalleggiato dall'Imperatore Enrico IV,
non cessava di adoperarsi quanto pi poteva
in proprio favore, e recar molestie a' suoi av-
versari. Or sentendone tanti convocati in Ro-
ma, aspett il suo destro e, per mezzo di suoi
partigiani appostati qua e l, quanti pot aver-
ne nelle mani, tanti ne trasse prigionieri in
varii luoghi. Tal sorte tocc al B. Lauduino,
mentre con due confratelli laici se ne tornava
in Francia. Arrestato nel venire accostandosi a
Roma, fu condotto nell'antica Alba, e presen-
tato all'antipapa. Il quale, udendo chi era, cio
discepolo di Brunone, tanto amico del B. Ur-
bano II, e s efficacemente zelante della riu-
nione e pacificazione della Chiesa, tennelo per
prezioza preda ; e tent ogni via di tirarlo alla
sua parte. Ma trovandolo, fuor d'ogni sua as-
pettazione, saldissimo nella fede al legittimo
Pontefice, anzi coraggioso a segno di esortare
lui stesso di tornare oggimai a pi sani consi-
gli, ordin che fosse custodito in un cieco e as-
sai duro carcere ; dove a stento concedevasi
a que' due suoi confratelli di visitarlo. Del
che inconsolabili, questi passavano i loro d
in gemiti, sotto le finestre, a cos dire, del pri-
gioniero, procurando di assisterlo come me-
glio potevano, ma senz'alcun frutto quanto a
fargli riavere la libert.
Con animo ben diverso sopportava il B.
Lauduino la sua disavventura : perocch rin-
graziava anzi Iddio d'averlo fatto degno di pa-
tire per amor suo, e pregava per il ravvedi-
mento del suo persecutore. Riprendendo poi i
due confratelli come uomini di poca fede e co-
raggio, e rincorandoli a durar costanti, e sot.
tomessi al divino volere, che sempre bisogna
adorare, li esortava a ripigliare l'interrotto
cammino. Tornassero dunque, uno a S. Ste-
fano, e l'altro a' monti di Grenoble; e, rac-
contato il suo caso, si disponessero col P.
Brunone e gli altri padri e fratelli, ad ottenere
dal cielo, mediante umili e ferventi preghiere,
tal esito di quell'avventura, che fosse di mag-
gior gloria al santo nome di Dio e spirituale
profitto a tutti. Essi al contrario, riuscendo
loro troppo grave di partirsene, e lasciare lui
in tali angustie, e sempre sperando che, rico-
nosciuta la sua innocenza, fosse posto in liber-
t, lo supplicarono di contentarsi che gli stes-
sero vicini, per assisterlo e maneggiarsi in suo
favore. Per qualche tempo acconsenti ; ma
poscia, vedendo che la cosa andava in lungo,
impose loro di tornarsene alle lor case, di S.
Stefano e di Grenoble. E ben fece ; poich
l'antipapa, non che placarsi, s'ostinava anche
peggio al mirar la costanza di lui ; e avvezzo
a voler vincere a qualunque costo, dava ordini
di maggiormente restringerlo : teneva insom-
ma tali modi che le cose del prigioniero pre-
sentavano buon avviamento al martirio. Ub-
bidirono dunque i due conversi, e con lagrime
si congedarono per restituirsi alle loro Certose.
L'inaspettato caso del B. Lauduino sparse una
certa nube di mestizia sull'una e sull'altra ;
perocch sebbene il doloroso annunzio fosse
ricevuto in maniera degna di tali servi di Dio,
era pur cosa troppo naturale l'addolorarsene,
considerando che duro era l'antipapa Gui-
berto, nelle cui mani era caduto il loro confra-
tello. Ed a S. Stefano, dove dimorava Bruno-
ne, si procedette con molta cautela nel fargli co-
noscere il tristo fatto; tale cautela che egli, dal
loro dolente aspetto, s'accorse che qualche gran
disgrazia era accaduta, prima che essi trovas-
sero coraggio e parole da palesargliela. Onde
fu necessario che ve li obbligasseper ubbidien-
za. All'udire pertanto tale sventura, ben n'ebbe
acerba ferita al cuore; ma gi preparato da
lungo esercisio d'ogni virt, e dall' abito di
subito rivolgere il pensiero a Dio, che tutto
dispone o permette e da tutto ricava bene, non
altro fece che sollevare gli occhi e le mani al
cielo, dicendo : Fiat voluntas sicut in coelo et
in terra. Indi chiamato quel converso, volle
che gli narrasse il fatto con ogni sua circostan-
za ; e com'ebbe tutto ascoltato con rassegnato
dolore, rispose : Doversi adorare la volont
di Dio, che cos aveva permesso, certamente
per qualche buon fine. Anche S. Pietro cadde
nelle mani di Erode : bisognava imitare la
Chiesa, che pregava senza intermissione per
esso, e ottenne che fosse liberato.
Cos fecesi in ambedue le Certose ; n le fer-
venti preghiere furono vane. Di vero, poco
tempo appresso, il contumace Guiberto do-
vette alla fine, costrettovi da grave malattia
che lo trasse al sepolcro, smettere il suo tristo
uffizio di conturbare la Chiesa. Qualche sto-
rico dice che l'infelice uomo fin di morte im-
provvisa; ma nella Cronaca di Ugone di Fla-
vigny si trova che, caduto gravemente infer-
mo, e vedendo avvicinarsi a gran passi la
morte, sent rimorso di tante superbe resistenze
e concussioni, di cui s'era fatto reo : s che
mosso da tardo pentimento rimise in libert
molti de' Vescovi, abbati, sacerdoti, religiosi di
maggior conto che aveva fatti pigliare da' suoi
scherani. Tra essi fu il B. Lauduino ed un
Vescovo di Francia ; al quale anche commise
che, passando a Roma, trattasse della sua re-
conciliazione. Ma forse fu a questo punto che
la morte repentinamente lo colse, e pi non
gliene lasci tempo. N'aveva avuto anche
troppo : erano venti anni che col suo scisma
e co' suoi scandali lacerava la Chiesa.
Ma il B. Lauduino pot goder poco della
ricuperata libert. I mali sofferti in un anno
di tal prigionia l'avevano s mal ridotto, che
non ebbe pi manco la forza di giungere a
Roma ; e fu costretto a fermarsi nel monastero
di S. Andrea, a' pi del monte Soratte. Quivi,
add 14 di settembre del 1100, se ne and a ri-
cevere in cielo il premio della costante sua
fede e della santa sua vita. Tal morte cagio-
nata, come pare evidente, da' mali patiti per la
giustizia, merit al pio Certosino la gloria di
essere considerato come martire da parecchi
gravi scrittori, fra cui il B. Pietro Canisio.
Era di Lucca, di casa Bartolomei. Fece i
primi studi in Siena e Firenze; gli altri a Pa-
rigi. In breve tempo, per testimonianza del
Codice di S. Remigio e d'altre antiche scrit-
ture, divenne grandemente famoso nelle uma-
ne e divine lettere ; onde poteva aspirare a
grandi cose nel mondo. Ma alla terribile scena
del dottore dannato, mutati pensieri e propo-
siti s'un a Brunone per andare ad assicurarsi,
nella solitudine e nella penitenza, l'unica cosa
veramente grande e importante l'eterna sa-
:

lute. Il santo Patriarca, conosciutolo per espe-


rienza uomo di senno, nell'ubbidire alla chia-
mata del B. Urbano II, lasci affidata alla sua
cura, con autorit di Priore, la Certosa di Gre-
noble. Vedemmo come s'adoperasse per rite-
nervi i disanimati fratelli ; n ultimo indizio
della santit della sua vita fu certamente lo
straordinario favore dell'apparizione della Ss.
Vergine e di S. Pietro a consigliarli e confor-
tarli in quella critica occasione. La perseve-
ranza che quindi mostrarono, e il saldo fonda-
mento su cui, mediante le sue cure, si alz lo
spirituale edifizio della Gran Certosa, che,
sebbene non pi abitata n vista dal Patriarca
fondatore, non lasci punto di essere la casa
madre e capo di tutto l'ordine, e fu sempre ed
tuttavia celebrata in tutto il mondo, sono al-
tri buoni argomenti del singolar merito di ques-
to sant'uomo verso l'ordine Certosino. Cos Ita-
lia e Francia concorsero all'esecuzione di
questa grand'opera ; che, come universale
nello scopo e nello spirito, s'estese a tutta Eu-
ropa ; ma doveva in particolar modo fiorire
in quelle due nazioni.
CcATITOLO XX.

MORTE DEL B. URBANO II, E DEL CONTE RUGGIERO.

L A morte del B. Lauduino era stata precedu-


ta, e poi venne tosto seguita da quella di due
altre persone, la cui partenza da questa terra
riusc non meno, e forse anche pi dolorosa a
Brunone : esse furono il B. Urbano II, ed il
Conte Ruggiero. Il santo ed insigne Pontefice
mor il 29 di Luglio del 1099, quattordici giorni
dopoch i Crociati, guidati dal pio Buglione,
avevano riportata la famosa vittoria, che libe-
r Gerusalemme e il santo Sepolcro di N. S.
Ges Cristo dalle mani dei Sarraceni, e che
perci riemp di tanta letizia il mondo cristiano.
Come se ne sarebbe rallegrato l'eccellente Papa,
se la distanza de' luoghi non avesse impedito
l'arrivargliene in tempo la notizia, che a lui,
come Capo de' Cristiani e come efficace pro-
motore della santa impresa, sarebbe certamente
tornata lieta e cara pi che ad altra persona
qual siasi Ma la sua corona gi essendo pie-
!

namente tessuta, Iddio chiamollo a godere dal


cielo la gioia dolcissima di quel trionfo delle
armi cristiane, che non furono mai adoperate
per fine pi degno. La santit della vita, la piet
fervorosa, lo zelo ardente, l'operosit indefessa,
la costanza magnanima e la sapienza con cui
continu, come aveva promesso, l'opera inco-
minciata da S. Gregorio VII, di rendere alla
Chiesa la sua independenza e libert, e sanarla
dalle fetenti piaghe della simonia e del concu-
binaggio, meritarono al B. Urbano il supremo
onore, che in terra concedesi alla vera, all'e-
roica virt ; cio quello degli altari. E questo
gli fu conferito, or sono due anni, vale a dire nel
1882, da un suo successore (Leone XIII) su
quella medesima Sede, ch'egli occupava otto
secoli or sono, in circostanze poco diverse dalle
presenti. La cattolica Francia, di cui era degnis-
simo figlio, festeggi il fausto avvenimento in
quella medesima Reims, nella cui diocesi egli
era nato, e in cui s'era educato alla virt ed
alla scienza ecclesiastica sotto il magistero del
santo fondatore della Certosa. Il quale, seb-
bene meglio di altri conoscesse le egreggie dot
del pontefice e dell'amico, e i preclari suoi me-
riti all'eterna mercede, nondimeno si tenne in
dovere di offerire a Dio sacrifizi, preghiere,
digiuni per l'anima di lui, all'uopo di accele-
rargli il pieno possesso della celeste beatitudine,
caso mai gli fosse ritardata da qualche leggiera
macchia contratta in 57 anni di vita, ed undici
di travaglioso e difficile pontificato1.
Non restava pi che una persona, la quale
non diremo gi che ne occupasse il cuore; per-
ch questo era certamente in ogni sua menoma
fibra tutto per Dio ; ma che fosse legata a Bru-
none con particolarissimo vincolo d'affetto ; s
che, abbandonando questa terra d'esiglio, do-
vesse provarne quella pena, che un pellegrino
sente nel separarsi da un caro compagno, e nel
lasciarlo tuttavia tra i pericoli e le fatiche del
pellegrinaggio. Tale persona era per S. Brunone
il Conte Ruggiero ; ed anche questi era giunto al
termine della sua carriera, piena di grandi e
altres gloriose avventure. Colselo la malattia,
che lo doveva condurre al sepolcro, nel 1101 ;
e, conosciutone la gravit, mand incontanente
pel suo venerabile padre Brunone. Il quale ac-
corse volando, in compagnia di Lanuino, e di
parecchi altri suoi confratelli. Stimer taluno
che Brunone solo sarebbe bastato ; ma, oltrec-

* Gli successe, nell'Agosto del medesimo anno 1099, il


cardinale Ranieri, del titolo di S. Clemente ,che prese il nome
ii
di Pasquale II, e tenne la S. Sede fino al 18. Per invito del
Conte Ruggiero, essendo venuto in Mileto, Brunone, in com-
pagnia di Lanuino prontamente recossi a fargli ossequio. Ac-
colselo il Papa con quella benevolenza e rispetto, che sapeva
doversi ad un uomo, la cui singolare virt e saviezza aveva
co' proprii occhi vista alla prova, quando Brunone stava col
B. Urbano II : e in segno dell'alta sua stima e benevolenza
conferm, con apposita Bolla, tutti i privilegi che il suo an-
tecessore aveva dati alla Certosa.
ch il santo uomo era anche lui in poco lieta
condizione di salute, non bast al suo affetto
di venir tutto solo al servigio di tal personag-
gio, a cui l'intero ordine Certosino era obbli-
gato di tanti e s grandi favori. Infatti il Conte
ebbe grande conforto di tale visita; e ne fu pi
agevolmente disposto a ricevere l'avviso, che
Brunone poco appresso gli diede, che la malat-
tia pi non lasciava speranza di vita. Ricevette
l'infermo il mesto annunzio con forte animo,
da quel valente uomo che era; e, messosi nelle
mani di Brunone, per alcuni giorni attese a ri-
vedere le partite dell'anima, e apparecchiarsi
al gran passo. Mostr allora, riconfermando,
con nuovo diploma, varie donazioni e privile-
gi della Certosa, e facendo molte altre largi-
zioni in favore di altri monasteri e di chiese
vescovili, quella medesima splendida liberalit
verso la religione, che aveva mostrata in vita,
da che, col titolo di Conte, era giunto al Prin-
cipato di Calabria e di Sicilia. Indi, munito
de' sacramenti e assistito da S. Brunone, pass
di questa vita il d 2I di Giugno del sopranotato
anno noi, dell'et sua settantesimo primo : e
fu sepolto nella chiesa della Ss. Trinit di Mi-
leto, amministrata da' Benedittini : a' quali egli
aveva col in un colla chiesa medesima, edifi-
cato un monastero. Un modesto monumento
di marmo bianco porta la seguente iscrizione :
Ruggiero Conte di Calabria e Sicilia. Mastro
Pier Oderisi Romano fece questo sepolcro in me-
moria di lui : Chiunque tu sia che leggi queste
parole, di : Riposi in pace.
Sulla tomba di pochi uomini meglio che di
questo Conte Ruggiero s'addice questa invoca-
zione di pace: che ultimo de' dodici figliuoli
del Normanno Tancredi d'Altavilla, venne in
giovane et, con alcuni de' suoi fratelli, a' lidi
d'Italia, e vi compi un'opera molto simile a
quella del Troiano Enea. Certi critici antichi
e moderni rilegano questa tra le favole mitolo-
giche ; ma in verit essa non fu n pi grande
n pi gloriosa di quella di Ruggiero ; che pot
gloriarsi d'aver conquistato un regno col suo
arco e col suo dardo, cos felicemente da do-
versi riconoscere in questo fatto una partico-
lare disposizione della divina Provvidenza ;
che chiam i prodi guerrieri Normanni in aiu-
to della S. Sede, quando questa doveva soste-
nere un'acerba lotta cogli scismatici e scanda-
losi imperatori d'Allemagna. Erano semibar-
bari, e vi fu tempo che cotesti Normanni,
compresovi il Conte Ruggiero, afflissero il
materno cuore della Chiesa : ma questa, ren-
dendo bene per male, li raccolse nondimeno
tra le sue braccia ; e mentre colla santit della
sua dottrina li condusse alla vera civilt, col
peso grandissimo della sua autorit e del suo
favore li aiut a fondare un bellissimo regno.
Il Conte Ruggiero, oltre il gran merito d'aver
concorso colla Contessa Matilde a difendere la
Sede di Pietro in tempi molto difficili e bur-
rascosi, ebbe quello di liberare la Sicilia e la
Calabria da' Saraceni, cos infesti alla Fede,
e alla indipendenza e tranquillit d'Italia. Per
le quali cose il B. Urbano II, ne' favori a ques-
to Conte, procedette fino al segno di affidargli,
per la Sicilia, parte della sua giurisdizione per
la spedizione di affari ecclesiastici, mediante lo
special privilegio della cos detta legatici; che
dur fino a' d nostri, e per le mutate condi-
zionide' tempi, fu giustamente abolito dal pon-
tefice Pio IX di gloriosa memoria.

CoATITOLO XXI.

ULTIMA INFERMIT, MORTE E SEPOLTURA DI S. BRUNONE.

L A morte di tali personaggi, si cari al suo


cuore, fu per Brunone come un avviso del
cielo, di prepararsi a seguirli fra breve. V'ha
chi dice che n'avesse anzi una speciale rivela-
zione ; e aggiunge che lo straordinario favore
fu accompagnato da quello ancora pi straor-
dinario, di venir confermato in grazia : ma
siccome non sono cose comprovate da sicuri
documenti, perci le lasciamo alla pia opinio-
ne de' fedeli. Per verit, considerando l'altis-
simo grado di perfezione, a cui il mirabile
uomo era giunto col suo fervore sempre cre-
scente di umilt, di penitenza, di orazione,
di carit, non improbabile che il Signore
Iddio, il quale con tanta bont si comunica a'
fedeli suoi servi, facesse anche a lui grazie
particolari : imperocch non si pu leggere
senza lagrime le quasi dicemmo eccessive aus-
terit, che praticava altres negli ultimi mesi
della sua vita : di non nutrirsi che di scarso
pane ed acqua, colla rara giunta di poche
erbaggi mal conditi ; di vestire poverissima-
mente, di andare sempre a pi nudi, e per
refrigerio de' dolori e malanni, che in quella
sua et settuagenaria s'erano moltiplicati e
aggravati, immergersi e stare in gelide acque,
come se fosse in continua necessit di spegnere
gli ardori della concupiscenza, gi vinta e
domata per non interrotto studio di virt e di
violenza a s stesso, cominciato molto per
tempo. Onde, al vederlo in tale esercizio di
penitenze, che ad altri basterebbero per imme-
diata cagione di gravi malattie ed anche di
morte, forza dire che il santo solitario fosse
pervenuto a quella insensibilit, per la quale
l'uomo perfetto, gi indifferente a tutto ci
che non Dio o voler di Dio, ben vive tut-
tavia col corpo su questa terra, e sente fame e
sete e freddo egli altri bisogni e dolori corpo-
rali, ma collo spirito conversa in cielo.
Del resto, fin dal tempo della visita del B.
Lauduino, egli era caduto in un languore, in
una prostrazione del corpo tale, che pi non
sentendosi in forze da sostenere l'uffzio di
Superiore, aveva voluto ritenere alla Certosa
di S. Maria del Bosco quel suo primogenito
figliuolo e fratello, certo per deporre nelle
sue mani la carica di Reggitore. Or, avendo
Iddio disposto altrimenti per il B. Lauduino,
e sentendo ogni d pi scemare il vigore del
capo e delle membra, stim dover suo rimettere
ad altri ogni suo uffizio e cura, s per rispetto
a' suoi confratelli, acciocch loro non man-
casse conveniente governo, s per rispetto a s
stesso, all'uopo di rivolgere ogni pensiero alle
cose del cielo, e coll'aiuto di S. Michele, suo
special protettore, di S. Giovanni Battista,
principale patrono e modello del suo Istituto,
e sovratutto della Ss. Vergine, prepararsi all'-
eternit. Fu appunto la vigilia di S. Michele
che, pi non reggendosi in piedi, dovette ras-
segnarsi a tenere il letto.
L'annunzio della vicina sua morte fu per
Brunone cme l'avviso che venga dato ad un
infelice esule, al quale finalmente fatta la
grazia di tornare alla sospirata patria. Volle
senza indugio ricevere i sacramenti, cominci-
ando da una generale confessione di tutta la
vita ; dopo la quale, secondo l'antico stile,
conservato nelle consuetudini della Certosa,
gli fu amministrata l'Estrema Unzione. Intan-
to, da lui stesso chiamati, erano accorsi intor-
no a lui tutti i suoi confratelli, altres delle
altre case dipendenti dall'Eremo e fu spet- :

tacolo solenne e insieme tenerissimo mirare


quel nuovo e vero Patriarca (perch padre di
una lunga progenie di tanti figliuoli sparsi per
tutta la terra), steso su povero letticciuolo, (se
pur tale nome poteva darsi ad alcuni assi,
sparsi di cenere), in una spelonca1, dare loro
gli estremi ricordi. Fecelo con un discorso,
che pot dirsi una pubblica confessione di tut-
ta la sua vita, brevemente esposta; e cui, dopo
aver raccommandato la fedele e costante os-
servanza dell'Istituto e sovratutto la concordia
e la pace, fini domandando a tutti perdono di
qualunque offesa o cattivo esempio che in qua-
1 Era la sua cella ; e chiamasi tuttora la spelonca di S.
Brunone ; distante circa un miglio dal monastero di S. Ste-
fano. Cos alla Certosa di Grenoble, a pari distanza dal mo-
nastero, trovasi la capella di S. Brunone eretta sul sito della
sua cella.
lunque modo avesse loro dato. Da ultimo, in-
vocando le loro preghiere, si mostr pronto a
ricevere il santo Viatico. Tutti piangevano, e
qu e l s'udivano mal repressi gemiti ; ma, al
sentirlo domandar perdono, pi non si pote-
rono contenere ; e strettisi a' suoi piedi, con
parole miste a singhiozzi risposero che a loro
toccava chiedere perdono a lui, e la sua pater-
na benedizione ; la quale fosse loro pegno del
suo perpetuo amore e patrocinio. Data con
tutto l'affetto la chiesta benedizione, prima di
ricevere il Viatico, fece la sua professione di
fede cattolica ; nella quale not in particolar
modo la processione dello Spirito Santo dal
Padre e dal Figliuolo, e la reale presenza di
N. S. Ges Cristo nella Ss. Eucaristia; come
una protesta contro l'errore dei Greci scisma-
tici intorno allo Spirito Santo, e contro l'eresia
di Berengario intorno alla Ss. Eucaristia.
Ricevuta questa con fervore di piet teneris-
sima, volle restare solo, per poter meglio rac-
cogliersi della mente, e con tutto il cuore strin-
gersi a Dio, che di tanti e s grandi benefizi
l'aveva ricolmato, ed ora con somma bont
era venuto in persona a confortarlo, ad assis-
terlo nel gran passaggio dal tempo all'eternit.
L'ora di questo passaggio fu per Brunone sull'
alba del giorno 6 di ottobre, che in quell'anno
noi cadeva in Domenica. Teneva sempre
stretta la sacra immagine del Redentor Croci-
fisso ; sulla serena sua fronte splendeva un
raggio dell'interior pace e letizia, con cui il mi-
sericordioso Iddio ravvalora in que' supremi
istanti la speranza de' suoi servi fedeli ; e vol-
gendo gli occhi al cielo, quasi ad additarne la
via all'anima sua, placidamente spir. Era nel
settantesimo primo anno della sua vita, dicias-
settesimo dal suo ritirarsi ne' monti di Gre-
noble, undicesimo da che aveva di nuovo tro-
vato la solitudine, in quel deserto di S. Maria
del Bosco.
Appena il suo corpo, adorno de' contrasse-
gni della cristiana mortificazione nel pi alto
suo grado, fu esposto nella chiesa di S. Maria,
che, per lo straordinario accorrere de' fedeli,
bisogn assicurarlo con guardie, che lo difen-
dessero dall'indiscreta divozione di molti che,
per averne qualche reliquia, avrebbero dimen-
ticato il rispetto dovuto a quelle sacre membra.
Impediti di nulla prenderne, se ne compensa-
vano col baciargli le mani ed i piedi, e col cer-
care a gara qualche pezzetto di sue povere ves-
ti o d'altra cosa che a lui appartenesse. Sovra-
tutto inteneriva il pianto de' poveri, che in
cento maniere avevano da lui avuto largo sov-
venimento alla loro indigenza, o efficace pro-
tezione a scampare dal carcere e dalla morte.
Iddio non manc di glorificare la santit del
suo servo, concedendo a sua intercessione va-
rie grazie miracolose.
L'esequie che, dopo tre giorni, gli celebra-
rono, furono solenni quanto si poteva in que'
luoghi; portato a spalle di prelati, tra innume-
revole folla di gente, che l'acclamava beato e
santo. Degno della sua umilt ebbe il sepol-
cro. Deposto con eremitica semplicit in un fe-
retro di pietra, fu sotterrato, secondo la sua dis-
posizione, nel cimitero comune, all'estremo
angolo verso Occidente, col dove or si vede
il cos detto lago che porta il suo nome. I suoi
confratelli, giustamente gelosi di tanto tesoro,
per impedire che lor venisse tolto furtivamen-
te, ne circondarono la tomba d'un muro alto
due cubiti, e sopra vi eressero, di pietre ri-
quadrate, un monumento in forma di pirami-
de, alta quindici palmi. Nel lato di fronte, leg-
gevansi due epitaffi latini, che, tradotti in
italiano, dicevano :
A me che giaccio sotto queste pietre, toccato
in sorte di essere il primo fondatore dell'ovile
di Cristo in questo eremo. Brunone il mio no-
nle, mia patria VAllemagna; la dolce quiete
dell'eremo mi trasse in queste parti della Cala-
bria. Era dottore, predicatore di Cristo, uomo
noto al mondo, non per mio merito, ma per
grafia superna. Morii il d 6 di ottobre. 0 tu
che leggi, invoca pace all'anima mia.
Fu Brunone lodevole per molte ragioni, e per
una specialmente : cio fu uomo di vita in parti-
colar modo eguale ; di volto sempre ilare, mo-
desto nel parlare ; congiunta a severit di padre
mostr tenere\^a di madre. Niuno ebbe a sen-
tirlo grande, ma mite come agnello. Ei fu ne'
costumi un vero israelita (cio uomo di schietta
virt). 0 Signore, liberatelo dalle pene, e por-
tatelo in paradiso.

COABITOLO xxn.

GLORIFICAZIONE.

c ON lui pu dirsi che rest sepolta come gi


accennammo altrove, la massima parte
de' suoi atti ed esempi di cristiano e di religio-
so di straordinaria perfezione ; inesorabilmente
celati dalla solitudine e dal silenzio in cui vi-
veva ; dall'umilt sua e de' suoi confratelli,
pi intenti ad imitarne le opere che a diffon-
derne la gloria con parole; dalle gravi peripe-
zie, a cui and soggetta quella Certosa, che ha
Ja fortuna di possederne la sacra spoglia. Ma
parl Iddio per essi ; prima colla fama di san-
tit, onde lo rese venerabile a tutta la terra, e
coll'accorrere delle genti di ogni et, sesso e
condizione a visitarne giornalmente la tomba ;
e poi col fare prodigiosamente scaturire da
questa una fonte d'acqua viva ; la quale, come
nuova piscina Probatica, serv lungo tempo a
guarire varii malori, ed a risanare ciechi, stor-
pii e sciancati. Dai Cisterciensi succeduti ai
Certosini tolto di l il sacro corpo, e sotto alto
segreto (noto solamente a due de' principali di
quei religiosi, che se lo trasmettevano di mano
in mano) collocato dietro l'altare della chieset-
ta di S. Maria, la fonte secc, le grazie prodi-
giose cessarono, e si perdette fin l'indizio del
luogo ove giacevano le sacre reliquie. Non
permise per il cielo che un corpo, purificato
da tante penitenze, stato albergo d'un'anima
s pura, nobile, santa, giacesse troppo a lungo
ignorata e dispose che fosse rinvenuto da un
nobile personaggio di Stilo, della famiglia Sa-
binis ; che aveva ufficio d'amministratore de'
beni del monastero di S. Stefano. Ci avvenne
nel 1513, poco prima che i Certosini, per fa-
vore di Leone X, rientrassero al possesso dell'
eremo di S. Maria del Bosco, loro regolar-
mente retroceduto da' Cisterciensi. Si narra che
un Monaco vedesse, per parecchi giorni, ris-
plendere una straordinaria luce dietro il pre-
detto altare della chiesa di S. Maria : del che
avvisato il Priore, ordin di scavare in quel
luogo ; e trov una cassetta, recante questa is-
crizione : Hcec sunt ossa Magistri Brunonis.
Sparsasi in un baleno la lieta notizia, da tutte
parti della Calabria s'accorse alla Certosa : e
si procedette prima ad una regolare ricogni-
zione, e poi ad una solenne traslazione. La ri-
cognizione venne eseguita dall'abbate Giovan-
ni Ruffo, Vicario generale di Mons. Vincenzo
Galeota, Vescovo di Squillace, assistito da
quattro Priori Certosini. E perch la verit
pi chiaramente risplenda, dice il prefato Vi-
cario generale, attestiamo che delle predette
sacre reliquie 52 ossa furono da noi riposte
sotto l'altare dedicato a S. Brunone; e le ripo-
nemmo in un'arca di marmo, circondata da
un'arca di legno, stretta tutt'intorno da una
grata di ferro. Ma il capo del predetto P. Bru-
none, trovato fra le dette reliquie, per sempre
pi eccitare ed accrescere la divozione de' po-
poli, fu in decente luogo riserbato nella chiesa
di S. Stefano, da ornarsi secondoch richiese
l'uso e la consuetudine e l'onore di tutta la re-
ligione Certosina.... Nell'ora stessa colle pre-
dette reliquie trovammo le ossa de B. Lanuino
compagno del B. P. Brunone; le quali tutte
insieme riponemmo ; una parte per del capo
del B. Lanuino riponemmo col capo del detto
B. P. Brunone.
Com'era naturale in quest'occasione si leva-
rono alcuni pezzi del sacro corpo, da soddis-
farne la divozione di questi e di quelli, e spe-
cialmente de' Certosini. La Gran Certosa di
Grenoble, per mezzo del P. Giacomo d'Ara-
gona, Priore della Certosa di Napoli, e depu-
tato alla recognizione, ebbe una parte della
mascella inferiore con due denti. Alla Certosa
di Parigi tocc un osso di un dito, che gi si
vedeva in fondo ad una statua d'argento di
S. Brunone. Il P. Blomenvenna Priore della
Certosa di Colonia, citt natale del S. Patriar-
ca, perci ricevei un pezzetto delle sacre reli-
quie ; cui divise in particelle per darne alle
altre Certose della Provincia Teutonica, di cui
nel 1516 era Visitatore. E cos ogni altra Cer-
tosa ebbe qualche reliquia del suo santo istitu-
.tore e padre.
Tal fu la glorificazione di Brunone per ris-
petto al suo corpo ; vediamo ora quella del
suo nome ; rammentando, che essi l'una come
l'altra non sono altro che deboli raggi di quella
che la santa sua anima ebbe e si gode in cielo.
Seguendo l'uso di quel tempo, i Certosini di
Calabria mandarono un loro confratello laico
a recare l'avviso del transito del loro santo
padre e maestro a tutte le Chiese ed ai monas.
teri, che in qualche modo avevano avuto rela-
zione con esso, in Italia, Francia, Allemagna,
Inghilterra. Questo messaggiere chiamavasi
ordinariamente Rolliger, abbreviazione di Ro-
tuliger ; perch portava l'avviso della morte alla
cima d'un rotolo di pergamena che gli pendeva
dal collo, e nella quale, come su quel libro
bianco che a' d nostri dicesi albo, i conoscenti
e gli amici scrivevano in prosa od in verso i
lor sentimenti intorno ai meriti del defunto.
Abbiamo un indizio di quest'uso nell'elogio
che di Brunone scrisse la chiesa di S. Maria di
Tropea ; perocch vi si dice dallo scrittore che
rende grazie a Dio che Brunone ebbe tante buo-
ne qualit, quante possono dirsi dalla lingua
di un sapiente amico : Reddo Deo grates quod
habebat tot bonitates, quot possunt dici lingua
sapientis amici. Talch la pelle adel collo del
rollifero era ammaccata ; e il suo collo gi
pi non potteva reggere il rotolo. Inde cutis
colli teritur propondere rolli : Rolligeri collum
nequit ultra tollere rollum. Larga era la per-
gamena, ma ora sembra piccola e stretta...
Ed anche se sapessi che cosa dir di conde-
gno, non c' pi luogo da scrivere : perch
gi scritta dentro e fuori. Che dunque poss'io
dire ancora ? In verit non so pi che dire :
Ampia fuit carta ; nunc parva videtur et arcta...
Dicere si nossem, non est quo scribere possem.
Intus et a tergo jam pellis scribitui- : ergo ultra
quid dicam ? Jam nescio dicere quicquam. Mol-
tissimi furono gli elogi funebri cos scritti di
Brunone in pressocch tutta Europa ; ma non
tutti giunsero fino a noi; e fra gli smarriti,
come gi notammo altrove, v'ha quel di Colo-
nia. I conservati sono 178; e formano i cos
detti titoli funebri, da cui si ricavano molte
notizie della vita e delle virt di Brunone, sic-
come facemmo anche noi qua e l, e special-
mente nel 1 libro. Senza perci ripetere, intorno
alle virt di Brunone, quello che l dicemmo,
qui basti arrecare alcuni altri dei principali di
quegli elogi, scegliendoli delle chiese e delle
persone che ebbero pi stretta attinenza con
esso.

i
Il primo posto spetta naturalmente a' Certo-
sini di Grenoble; quali dicono: Noi ancora,
frati della Certosa, sventuratamente privati,
sovra tutti, del conforto del piissimo nostro
padre Brunone, uomo molto carissimo, non
possiamo determinare quel che faremo per la
sua diletta e santa anima : imperocch i meriti
de' suoi benefizi verso di noi superano quanto
noi possiamo e vogliamo. Adunque noi pre-
gheremo ora e senza fine come per l'unico pa-
dre e signor nostro, e qualunque consuetudine
di messe e di ogni altro spirituale esercizio per
i defunti presso di noi si osserva, per l'anima
di lui, in ogni tempo, come figliuoli, eseguire-
mo.
La chiesa di Grenoble, il cui Vescovo S.Ugo
vedemmo prendere tanta e s cordial parte
nella fondazione della Certosa, scrisse:
La chiesa di Grenoble, cui il signor Bru-
none, monaco ed eremita, da prima si destin
per formarsi un eremo ed una dimora, quanto
allora si rallegr della sua presenza, cui crede-
va di godere perpetuamente, tanto pi ora si
duole, sovra ogni altro, dell'assenza di tanto e
s incomparabile uomo : per il ch di buon
grado fa l'uffizio della sua commemorazione
assiduamente fino alla trigesima. Il pane anco-
ra ed il vino e tutti gli altri cibi, che i frati del-
la medesima congregazione in questo tempo
presero, furono dati a' poveri per l'anima di
lui. E ponendo nel catalogo de' suoi uomini
illustri il giorno del suo transito, in cui rese a
Dio l'anima sua degna di memoria, stabil di
celebrarne in perpetuo l'anniversario. Noi
adunque umilmente vi preghiamo che vi ri-
cordiate di noi, s che possiamo partecipare
delle vostre preghiere ed orazioni.
I religiosi di Casa-Dei :
Noi frati e servi de'servi di Casa-Dei,
abi-
tanti nella celletta della B. Maria, che con al-
tro nome dicesi Cornillon, ed vicina alla
Certosa, per la santit di tanto uomo, per la
cui dottrina e l'esempio una s grande proge-
nie in Cristo fruttific, celebreremo per sette
giorni uffizio e messe, e daremo pane e vino,
con tutti gli altri cibi, a' poveri, come per uno
de' nostri fratelli, e scriveremo nel nostro ca-
talogo la sua anniversaria commemorazione.
Di Molesmo gi dicemmo ; e quasi come
quelli di Casa-Dei si esprimono i Benedettini
di Cluny, e di altre famose abbadie.
Della Chiesa di Reims se n'hanno cinque, e
di essi raggionammo a sufficienza a suo luogo,
nel libro 1. Oltre a questi della cattedrale, ve ne
sono altri sei di altre chiese della medesima
Reims; cio di S. Sinforiano, della Ss. Trini-
t, di S. Dionigi, di S. Remigio, di S. Nicasio,
de' Ss. martiri Timoteo ed Apollinare.
Di Parigi, quattro ; d'Angers, sei ; di Laon,
tre; di Soissons, tre; d'Orlans, uno; di Beau-
vais, tre ; di Poitiers, sette ; d'Arras, due ; di
Tournay, uno; di Chartres, due; di Lione,
tre; di Rouen, tre. D'Italia, trovansi quelli di
Oulx, di Susa, di Piacenza, di Chiusi, di Luc-
ca, patria del B. Lauduino ; d'Inghilterra, pa-
recchi; fra cui quattro di York.
In tutti questi elogi esaltasi a gara la sapien-
za e la santit di Brunone : e sebbene possa
concedersi che gli scrittori di essi abbondassero
alquanto nelle lodi, secondoch si suol fare in
simili casi, tuttavia si pu, anzi devesi conce-
dere altres, che l'unanime accordo di tante e
s gravi testimonianza buon segno della fama
di santo, che Brunone godeva. Contuttoci egli
non ebbe, in faccia alla Chiesa, questo eccelso
titolo se non quattro secoli dopo la beata sua
morte ; per la semplice ed unica ragione che i
suoi discepoli non si risolvettero di chiederne
la canonizzazione alla S. Sede, se non nel Ge-
nerale Capitolo dell'anno 15o5. Datosene quindi
l'incarico a quattro Priori, questi, per mezzo
del Cardinal di Pavia, protettore dell'ordine,
riuscirono nell'intento, ottenendo, dal Papa
Leone X, per oracolo di viva voce, l'autoriz-
zazione del culto di Brunone, nell'Ordine stes-
so. Il predetto Cardinale comunic a' Certosini
tale autorizzazione colla seguente lettera :
Antonio, per misericordia di Dio, prete
Cardinale di Pavia, del titolo di S. Prassede,
protettore di tutto l'Ordine Certosino, sempi-
terna salute nel Signore a tutte e singole le
persone che vedranno e leggeranno le presenti.
Per dovere del nostro ufficio di protettore, e
per la benevolenza e venerazione, che nutriamo
per tutto l'Ordine Certosino predetto, abbiamo
presentato ai piedi del santissimo nostro, per
divina Provvidenza, Papa Leone X, i venerabi-
li religiosi DD. Matteo, Ludovico, Giacomo ed
Ugone, Priori delle Case di Bologna, di Manto-
va, di Napoli,de S. Croce in Roma, del medesi-
mo Ordine Certosino ; e cos noi come i religiosi
predetti molte cose abbiamo riferite ed esposte
a Sua Santit in lode ed esaltazione intorno
alla santa vita del B. Brunone confessore, pri-
mo fondatore ed istitutore del medesimo Ordine
Certosino ; il qual beato uomo, nel declinare
della cristiana milizia e nel raffreddarsi grandis-
simo della carit per l'abbondar delle colpe,
come valoroso capitano form ed agguerr nel-
la Chiesa un nuovo esercito d opporre a'nemi-
ci, e come solertissimo padre di famiglia, nella
vigna, che il Signore aveva piantata colla sua
destra ed era tutta coperta de' triboli e delle
spine de' vizi, condusse tanti fedeli operai, ac-
ciocch sempre pi copiosi frutti ne vengano
alla santa Chiesa, e mandino odore d soavit
e santit.
Imperocch l'esempio molteplice del mede-
simo Beato Confessore, di dottrina, di vita
castigatissima, d'innocenza e mondezza, pro-
ducendone altri moltissimi, genera e nutre in-
cessantamente figliuoli di santa adozione : de'
cui meriti il prefato Ordine si adorna, e vien
comprovato da' miracoli, e continuamente qua-
si di virt in virt cresce irrigando i monti dalle
sue altezze, e de suoi frutti si sazia la terra.
Per la qual cosa noi, coi prefati Priori, in no-
me dei venerabili uomini Francesco Du Puy
presente Generale, e de gli altri Priori, e di tutti
i Monachi e Monache e Conversi e persone del
detto Ordine, abbiamo supplicato dal medesi-
mo Papa Signor Nostro che, a gloria di Dio
onnipotente, che esulta nella venerazione de'
santi suoi, ad onore del Beato predetto Con-
fessore, per le sue evidentissime opere di san-
tit e i prodigi, onde in vita risplendette, ed
glorioso in cielo, e a decoro di s preclaro Or-
dine, per sua apostolica munificenza e beni-
gnit, si degnasse di dare licenza che, nel giorno
6 di ottobre, in cui il medesimo B. Brunone
Confessore, deposto il peso della carne, volos-
sene alla gloria eterna,si celebri ogni anno la
memoria e solenne uffizio con degne lodi e ono-
ranze nel Signore, e in tutti gli altri giorni se
ne faccia commemorazione : quantunque il me-
desimo B. Brunone Confessore non si trovi in
altro modo canonizzato, come d'uso, da' Pon-
tefici suoi predecesori. Il qual santissimo Si-
gnor nostro Papa, asserendo gi da gran tempo
aver udito moltissime cose delle lodi e della
santit del medesimo Beato confessore, stim
essere cosa degna e consona alla ragione che
tale uomo, cui Dio su questa terra insign di
tanti doni e grazie, assunto in cielo, sia vie pi
venerato ; e a cui in questa vita l'onnipotente
aveva dato cuore per l'osservanza de'precetti,
della legge di vita e della disciplina, or che sta
presso al trono della divina gloria, si renda in
terra il debito ossequio di divozione. E per
porgendo favorevole ascolto a quelle suppliche
nostre e dei prefati Priori, con la divina be-
nedizione e con oracolo di viva voce detto a
noi, benignamente e graziosamente concesse e
permise ai detti D. Francesco (Du Puy) pre-
sente Generale, ed agli altri Priori, monachi e
monache, conversi e persone del detto Ordine,
ma solo nelle Case di esso Ordine, e nelle loro
chiese o cappelle, di fare fin d'allora e in per-
petuo la predetta festa e colla debita divozione
celebrarla; di onorare nel Signore con degne
lodi e venerare il corpo e la memoria del pre-
fato Brunone ; di fare e cantare il corrispon-
dente uffizio in onore del medesimo di farne
:

inoltre ogni giorno la commemorazione, non


ostante che il medesimo B. Brunone non si
trovi in altro modo canonizzato, come sopra;
presenti quivi stesso ancora il reverendissimo
in Cristo padre Signor Lorenzo Pozzi, prete
Cardinale della santa Romana Chiesa, del titolo
de' Quattro Coronati, ed il Rev. Signor D. Fran-
cesco Armellini chierico della Camera Aposto-
lica. Perci, afilinch a niuno possa sorgere
alcun dubbio intorno a questa concessione,
ordinammo di stendere le presenti segnate di
nostra mano e munite del nostro solito sigillo
appostovi ; e le abbiamo fatto sottoscrivere al-
tres dal nostro segretario, in fede, forza e tes-
timonianza delle cose premesse e di verit. Dato
in Roma, nel Palazzo apostolico, add 19 del
mese di Luglio dell'anno 1514 secondo del
:

pontificato del Signor nostra Papa. Antonio,


Cardinale di S. Prassede, protettore, di mano
propria. Antonio Testa Verolano.
Il Papa Gregorio XV, con Bolla del 17 Feb-
braio 1623, ampliando la concessione di Leo-
ne X, estese il culto di S. Brunone a tutta la
Chiesa, e concesse indulgenza plenaria pel d
della sua festa. Clemente X, nel 1674, ad is-
tanza della Regina di Spagna, presentata dal
Cardinale Nitar, elev al grado di doppio il rito
dell'Uffizio di S. Brunone.
Solennissima fu la festa che del suo santo
concittadino celebr Colonia nel 1624. Tutto
il Senato, dice il Suriano, recossi alla Certosa
e prese parte alla festa ; tutto il clero, e tutti
quanti i religiosi degli altri Ordini vi concor-
sero. E affinch il minor sesso non avesse a
dolersi e lamentarsi d'esserne escluso, si eresse
dinanzi alla porta, con isplendido incastella-
mento, un altare : al quale le donne, in fitta
moltitudine, ricevettero la S. Communione,
udirono la Messa ed ascoltarono il discorso.
Non manc gratissima armonia di cantori in
ambi i vespri e nella messa indi si fece la
:

processione nella gran galleria, con quella gra-


vit e pompa che si conviene a' santi ; seguiva
il Senato, e il popolo. In tutta l'ottava grandis-
simo il concorso del popolo ; che pi? Da che
esiste quella Certosa, non si vide mai simile
solennit. L'Arcivescovo Elettore (era Ferdi-
nando, figlio di Guglielmo V Duca di Baviera,
e di Renata di Lorena) coron la festa so-
lenne, visitando la Certosa nella Domenica
dopo l'Ottava, ricevendovi la Ss. Eucaristia,
e accettandovi per quella notte ospitalit nel
portico.
Come a Colonia, cos in molte altre citt ce-
lebrossi allora la festa di S. Brunone ; peroc-
ch l'approvazione del suo culto n'aveva destata
viva divozione ne' popoli, che gi lo conosce-
vano per via delle Certose, solenne sovratutto
dovett'essere in Reims, per le strette relazioni
ch'ebbe con esso, fino a prenderne l'appella-
zione di Remense. Udimmo che l'illustre cit-
t, con sapiente proposito, poneva poco fa la
statua di S. Brunone sulla porta delle sue
scuole.
La resoluzione del Generale Capitolo de'
Certosini, del i5o5, di promuovere la Cano-
nizzazione del santo lor fondatore, non rest
in verit senza buon frutto per essi, e per mol-
tissime altre persone. Innanzi tutto, eglino ot-
tennero di ritornare al possesso della Certosa
Calabrese, dove mor e riposano le ossa del
Santo. Stava essa da trecento anni nelle mani
de' Cisterciensi1, e a que' d era stata data in
commenda al Cardinale Luigi d'Aragona; ma
Leone X la f retrocedere ai Certosini ; de'
quali, nella Bolla che ne sped nel 1513, loda
la regolare osservanza della disciplina, la san-
tit della vita, l'esemplarit de' costumi.
Poco appresso, cio nel 1514, si scoperse il
luogo dove giacevano le reliquie del santo Pa-
triarca, se ne riconobbe l'autenticit, e se ne fece
la solenne traslazione dalla chiesa di S. Maria
a quella di S. Stefano; dove furono collocate
in luogo conveniente ad esse, ed alla divozione
del popolo. Non mancarono le grazie straor-
dinarie. Il nobile Alfonso Toraldo, napolitano,
era in particolar modo divoto di S. Brunone ;
or trovandosi egli, nell'anno I522, a Tropea,
citt marittima della Calabria, e passeggiando
un d sulla sponda del mare, nel passare sopra
una rupe, pendente, alta circa cento cubiti, gli
falli un piede e cadde gi. Pur volle la sua buo-

4 IISurio narra che questa cessione de' Certosini a' Cister-


ciensi, allora fiorentissimi per opera del grande S. Bernardo
di Chiaravalle, avvenne perch in quella Calabrese Certosa
s'era rilassata la disciplina, mancavano i soggetti e la Gran
Certosa, per la distanza de' luoghi, non volle mandare Visi-
tatori e riformatori, secondoch que' Certosini stessi chiede-
vano. Simile ancora fu il motivo della retrocessione a'Certo-
sini ; cio rilassamento della disciplina ne' Cisterciensi. Dopo
la predetta traslazione del sacro corpo del Fondatore, la Ca-
labrese Certosa fu chiamata de'Ss. Stefano e Brunone. Essa
venne a'nostri d solennemente ristabilita dal re di Napoli
Ferdinando II di Borbone, ed ebbe titolo di Reale.
na ventura che, cadendo, potesse afferrare uno
sporgente pezzo della rupe ; ma si poco saldo
che, poco appresso staccatosi, questo medesimo
pezzo gli rovin sopra e lo mise in grandissimo
pericolo della vita. Ricorse egli allora a S. Bru-
none; ed ecco di tratto comparirgli un monaco
vestito di bianco, che, presolo per mano, lo
ricondusse sano e salvo in terra. Coloro che
l'accompagnavano e lo avevano visto a cadere,
si credevano di trovarlo sfracellato e morto :
ma con loro gran maraviglia lo videro intero
e sano, senza la menoma ferita. In prova del
che sta il fatto che se ne ritorn a casa a piedi,
senz'aiuto di cavallo o vettura ; pubblicando
ad alta voce il beneficio della sua salvezza, di
cui professavasi debitore a S. Brunone.
Nel medesimo anno 1522, la Contessa di
Arenes, figlia del Duca di Nivernais, mentre
era vicina a diventar madre, cadde in malattia
s grave che la ridusse agli estremi. Il Conte di
Arenes, suo marito, divotissimo di S. Brunone,
fece voto di un calice d'argento alla sua chiesa,
se Dio, per sua intercessione, risanava l'infer-
ma. Fu risanata, e a suo tempo diede alla luce
un figliuolo ; e cos al Conte come alla Contessa
parve questa si chiaramente una grazia di S.
Brunone, che imposero il suo nome al bam-
bino ; la Contessa obbligossi di pi con voto a
portare poi sempre vesti bianche, quali sem-
bravale che avesse S. Brunone, quando le ap-
parve in sogno.
Il barone de Lesselhol, luterano, era, nel
1721, capitano delle armi imperiali, stazionate
in Calabria ; sentendo parlare delle prodigiose
guarigioni che s'ottenevano alla Certosa, volle
recarvisi or bene, mentre visitava il piccolo
:

lago detto di S. Brunone, fu testimone ocula-


re della miracolosa guarigione di ventiquattro
indemoniati, per intercessione del santo Pa-
triarca. A tal vista altamente commosso, f
proponimento di rendersi cattolico; e l'esegu,
abiurando, il 24 Giugno del medesimo anno, il
Luteranismo, nella chiesa de'Cappuccini di
Reggio in Calabria. Velie che di questo fatto si
eseguisse autentico documento; che l'anno ap-
presso depose di propria mano sulla tomba del
suo santo benefattore, in segno di gratitudine.
Il ritorno de' Certosini al loro eremo cala-
brese, la solenne traslazione delle reliquie del
santo lor Patriarca, le grazie prodigiose allora
e poscia concesse a sua intercessione, grande-
mente valsero a ridestare la divozione de' Ca-
labresi al santo fondatore della Certosa. Il P.
Lorenzo Surio, lodato scrittor latino di vite
di santi ( nacque a Lubeca nel 1522 e mor
nel 1578) nella vita che scrisse di S. Brunone,
raccogliendola dalle altre due vite che gi ne
avevano steso due altri Certosini, cio il P.
Blomenvenna, priore della Certosa di Colonia,
ed il P. Francesco Du Puy (detto altrimenti
De Puteo, Puteanus), priore della Certosa di
Grenoble e Generale, cos descrive il culto e
la divozione de' Calabresi a S. Brunone : A
questi luoghi (cio alla Certosa) le turbe de' po-
poli, vecchi e fanciulli, uomini e donne, nobili
e plebei, principi e magnati, per la loro vene-
razione e pia divozione al santissimo Brunone,
ed anche per impetrare le sue grazie, come se
fosse vivo, contenplandolo nell'animo, concor-
rono a gara, s'accostano con riverenza, vene-
rano e pregano. Particolarmente la spelonca,
in cui quasi sempre solo a Dio serviva, con
tanta riverenza fede e affetto frequentano, che
molti, dal detto monastero (di S. Stefano) non
visi accostano che a piedi nudi. Altri striscian-
do co' ginocchi, fanno piangendo il giro di
quella sacra spelonca, e per divozione ne lam-
biscono i sassi e la terra, ne radono alcun che
e se lo portano via per reliquie. N alcuno pu
* dire a parole con quanta divozione e zelo il
santissimo uomo sia onorato dai vescovi, da-
gli abbati, dai prelati, dai religiosi ed anche
da' principi, dai conti, dai baroni, e da tutto
quanto il popolo della Calabria.
Simile attestazione della fervente divozione
de' Calabresi a S. Brunone fa il canonico Za-
notti, nella storia del Santo da lui pubblicata
in Bologna nel 1741 ; in cui narra le sopra ri-
ferite e molte altre grazie prodigiose. La spe-
lonca pi non esiste da molto tempo. Vi si
eresse una capella col suo altare, e v' la vera
e sacra immagine di S. Brunone. Su in alto si
legge questa epigrafe :
Sancti Brunonis Coloniensis ;
Magistri eremi Sanctge Mariae
Ordinis Carthusiensis primi institutoris.
LIBRO TERZO

DELLE REGOLE E CONSUETUDINI CERTOSINE.

ECONDOCH abbiamo promesso


narrando la fondazione della Gran
Certosa, facciamo qui una succinta
esposizione delle regole e consuetudi-
ni Certosine, desumendola, non da quanto ne
dissero persone estranee all'Ordine, ma da
quanto ne scrissero i Certosini stessi : i quali
certamente sono in ci i testimoni pi degni di
fede. E per procedere con ordine, e porre la
materia nella sua pi chiara luce, cominciamo
da ci che ne lasciarono scrittoi Certosini an-
tichi ; indi sentiremo i moderni.
CcATITOLO I.

REGOLE E CONSUETUDINI ANTICHE.

p detta delle
RIMO fare un' esposizione propriamente
a
regole consuetudini Certosine
e
fu Guigone,quinto Generale dell' Ordine. Egli
entr in questo nel I107, cio sei anni dopo la
morte di S. Brunone ; s che, quantunque non
abbia vissuto con esso alla Certosa, l'aveva
per conosciuto, e visse con alcuni de'suoi
primi compagni. Egli, venerando sotto ogni ris-
petto, e di merito cos insigne che fu eletto
Generale dopo appena tre o quattro anni di
professione, vivamente esortato da questi e da
quelli, e specialmente dal santo Vescovo Ugo,
s'arrese a stendere per iscritto quelle che sem-
plicemente chiam Consuetudini ; per seguire
anche in ci lo spirito di S. Brunone ; il quale
ben aveva suggerito norme e consigli per quel
nuovo, arduo genere di vita religiosa, e sovra-
tutto insegnato coll'esempio, ma non aveva
stabilito regole n prescrizioni. E d principio
al suo scritto nel seguente modo :
Guigone, priore della Certosa, a tutti i

fratri che stanno con lui, ai carissimi fra-
telli ed amici in N. S. Ges Cristo, Bernar-
do priore di Portes; Umberto priore di S. Sul-
1
pizio, e Milone, priore di Meyria ; e a tutti
coloro che, commessi e con essi, servono a Dio,
salute eterna. Poich tanto desiderate di
conoscere le consuetudini di nostra casa, vinto
dalle vostre sollecitazioni, e costretto a ubbi-
dire al reverendissimo e tenero padre Ugo, Ves-
covo di Grenoble, prendo la penna. Non ho
s a lungo differito a soddisfarvi, se non perch
la S. Scrittura dice esser meglio venir lodati
dagli altri che da noi medesimi ; e che bisogna
fare le nostre azioni cos segretamente che sian
note a Dio solo ; per tema di perderne il meri-
to, essendo conosciute dagli uomini ecc. ecc .
Troppo lungo riuscendo lo scritto di Guigo-
ne, ne daremo l'estratto che ne fece un Certo-
sino del secolo scorso, il pi volte citato P. Du
1 Poche erano le Certose quando il ven. Guigone scrisse
le Consuetudini. Secondo la Memoria delle fondazioni, stesa
nel 1785, non erano che sette, cio : La Gran Certosa di
Grenoble ; quelle di Portes, nella diocesi di Lione ; di Dur-
bon, nella diocesi di Gap ; di Sylve-Bnite, nella diocesi di
Vienne nel Delfinato, fondata dall'imperator Barbarossa ; di
Meyria, nella diocesi di Lione; delle Escouges, nella diocesi
di Grenoble ; di Mont-Rieux, nella diocesi di Marsiglia.
La Certosa Calabrese, pur fondata da S. Brunone, era
tuttavia nelle mani d Certosini ; ma non aveva relazione
colla Gran Certosa, n rispett le Consuetudini scritte dal
Ven. Guigone; e gi, prima che finisse il secolo XII, era pas-
sata alle mani dei Cisterciensi.
Creux, e si trova nella sua vita di S. Brunone,
per varie parti assai pregevole1.
Richiedendo il nostro stato, ch' di solitu-
dine, che noi siamo, o miei fratelli, tanto lon-
tani, di cuore e di mente, dal mondo e dalle cose
del mondo, quanto materialmente lo siamo di
corpo e di abitazione ; e ogni nostra occupazio-
ne dovendo essere di lodare Iddio, di pregarlo,
di ascoltarlo ; ogni nostro studio di conoscere
Lui, e noi stessi ; ogni nostra ambizione di pia-
cergli ed essergli uniti nel tempo e nell'eternit,
per conseguire pi facilmente tale scopo, Bru-
none, nostro istitutore, il quale d'altra parte sa-
peva quanto il commercio colle creature pu
dar occasione a falli, fermare il corso delle gra-
zie, interrompere l'unione con Dio, aveva savia-
mente ordinato che ciascuno avesse la sua cel-
la particolare. Tal regolamento non ebbe luogo
che quando l'Ordine da lui fondato aveva presa
una certa consistenza ; e la prima fondazione,

i Queste antiche Consuetudini oggid ancora sono il fonda-


mento degli Statuti dei Certosini, ma coll' andar del tempo,
alcune cose furono modificate dalla sperienza. Le Consue-
tudini scritte per la Certosa di Grenoble non potevano in certe
cose di poca importanza adattarsi a duecento altre Case di di-
verse regioni. Per, alcuni punti della Regola or sono meno
austeri, e d'altronde vene sono altri pi rigidi, per esempio:
cantare l'Uffizio cosa pi penosa che recitarlo ; perci sta
sempre vero che la Certosa non fu mai riformata perch
non fu mai difformata ; come si pu vedere nell' egregia
opera : La Grande Chartreuse par un Chartreux, 3e di-
tion, page 91 ; Cte, Grenoble, 1884.
tirata su in fretta, ceduto il posto ad un mo-
nastero edificato su fondamenti pi durevoli,
senza cambiare di spirito, cambi di forma ; e
l'Ordine s'accrebbe. D'allora in poi noi viviamo
soli, col vantaggio (che non avevano gli antichi
solitarii, sparsi qu e l ne' deserti) di assistere
e partecipare a' santi misteri ; di offerirli noi
stessi ; di adorare il sommo Iddio, reso pre-
sente, dal suo grande amore per noi, nelle
nostre chiese : di essere sostenuti e stimolati
dall'esempio di coloro, co' quali ci troviamo
uniti in questo santo luogo : di non essere es-
posti, come quelli erano, al pericolo di gover-
narci noi stessi, di fare la nostra volont, e di
lasciare o le nostre solitudini o gli esercizi di
piet, per procurarci il necessario....
Dopo aver rinunziato al mondo ed a ci che
in esso avevamo di pi caro, parenti ed amici,
ed alla speranza di pi mai rivederli, noi ci
priviamo altres della compagnia di coloro che
la religione ci d per fratelli, senza per cessa-
re di amarli, amandoli anzi tanto pi vera-
mente, in quantoch li amiamo senza umano
interesse, in Dio e per Dio.... Noi viviamo
soli, bench in comunit. Abbiamo ciascuno la
nostra cella e ci si d abbondantemente, sem-
:

pre per in maniera conforme al nostro stato


di poveri di Ges Cristo e religiosi penitenti,
tutto ci ch' necessario per occuparci util-
mente, per vivere felici e contenti, senz' essere
obbligati d'uscirne,se non quando la regola ce
lo permette, o ce lo ordina.... Non riceviamo,
nelle nostre celle, alcuna persona n interna n
esterna, senza licenza del superiore, e tocca a
chi ci visita domandarla, senza questa licenza
non possiamo noi stessi far visita alcuna a' no-
stri confratelli : e quando si suona Compieta,
che diciamo tutti i giorni nelle nostre celle, ogni
visita, cos passiva come attiva, deve cessare,
salvoch ci sia una speciale permissione di fer-
marci pi a lungo. Fuori di casa non usciamo
mai se non per la passeggiata comune, quando
piace al superiore di concederla ; la regola non
assegnandone alcuna.
Abbiamo tra noi, parecchie volte la setti-
mana, comuni colloquii, dette in altro modo
collazioni o conferenze. Ne abbiamo parimente
quando qualche persona di grande considera-
zione, ecclesiastica o religiosa, ci visita. Il si-
lenzio e la solitudine ci sono singolarmente rac-
comandati come due cose essenziali al nostro
stato. La regola ci permette di esprimere in po-
che parole quello che desideriamo, quando
utile o necessario, senza ricorrere a segni ; ma
quando senza utilit o necessit parliamo ne'
luoghi in cui il silenzio comandato, come nel
chiostro, in chiesa, nel capitolo, nel radersi ecc.,
siamo in obbligo di accusarcene nel capitolo
della Domenica seguente, e ricevervi la dis-
ciplina od altra penitenza che piaccia al su-
periore d'imporci : si dice anzi che si deve
levare il vino a chi avvezzo a rompere il
silenzio...
vietato di tener conversazione con alcu-
ec

no quando mangiamo nelle nostre celle; nelle


quali mangiamo tutti i d, eccettoch le Dome-
niche e feste, e tutti i giorni dell'Ottava di Na-
tale, Pasqua e Pentecoste : allora mangiamo in
refettorio; e per tutto il tempo che dura la re-
fezione, si fa la lettura della Bibbia, o dei Pa-
dri della Chiesa.....
Nostra
ordinaria occupazione trascrivere
libri, per servire la Chiesa co ' nostri scritti, non
potendo servirla colla predicazione. Oltre a
questo lavoro manuale ordinato in cella, ab-
biamo, tre volte l'anno, tre giorni di lavoro
comune.
Cinque volte l'anno ci vien tratto sangue
per ragione di sanit, e per tre giorni1 di segui-
to ci si d una pietanza quale si uza darci nelle
maggiori solennit dell' anno ; siamo esentati
dall'osservanza del digiuno, del silenzio, della
solitudine, e ci si permette ben anche di bere
4 Si chiamavano giorni delle minuponi perch si dimi-
nuiva il sangue. Ecco una delle consuetudini abolite. Biso-
gna dire che quegli antichi fossero di ben forte e rigogliosa
complessione, mentre non bastavano tanti digiuni e austerit
ad estenuarne il corpo.
-
vino fuori di pasto : il che ci vietato in ogni
altro tempo....
La nostra pietanza consiste ordinariamente
in uova, pesci, cacio : di Quaresima e d'Avven-
to per, e tutti i venerd dell'anno, e i giorni
d'astinenza, anche in refettorio, non mangiamo
n uova n cacio, in una parola, niuna specie
di latticinio.... Non ci si portano punto i legu-
mi in cella : ciascuno ha la libert di chiederne
al dispensiere, e se li prepara egli stesso. Il
Luned, il Mercoled e il Venerd, salvoch in
tali giorni ricorra qualche festa, o che il su-
periore ordini diversamente, non mangiamo
che pane e non beviamo che acqua. Non ci
permesso di conservare niente della pietanza
quotidiana, che consiste in uova, pesci, cacio
ecc ; acciocch si possa conoscere se faciamo
privazioni contro l'obbedienza che dobbiamo
alla regola ; la quale vuole che non faciamo
astinenze n nulla di straordinario senza l'ap-
provazione del superiore ; e acciocch il supe-
riore, avvisato da chi preposto alla cucina,
possa informarsi dal religioso stesso perch non
ha mangiato, si presume che chi stato quasi
ventiquattr'ore senza mangiare, et d'altra parte
s' trovato di notte e di giorno agli esercizi
della regola, deve aver bisogno....
Dall' Esaltazione di S. Croce (14
di set-
tembre) sino a Pasqua, tranne le feste che ca-
dono fuori d'Avvento e di Quaresima, e i
giorni di minuzioni, non facciamo che un pasto
al giorno. Prendiamo tuttavia, la sera, un pez-
zetto di pane e due bicchieri di vino.... Da Pas-
qua fino all'Esaltazione, desiniamo e ceniamo,
eccetto i giorni di astinenza....
Ci singolarmente
ingiunto di non far ve-
glie indiscrete, per tema d'essere tentati di dor-
mire poi quando dobbiamo vegliare ; n asti-
nenze, n digiuni, n altra cosa fuori di regola
per non rovinare la nostra sanit, senza merito
dinanzi a Dio ; il quale non ricompenser se
non ci che avremo fatto di suo ordine, e non
alimentare l'amor proprio, ch' il nemico pi
da temersi da un solitario. E per combattere e
vincere questo nemico che la regola ci ordina,
se vogliamo edificare sodamente, di mettere per
pietra fondamentale l'ubbidienza. Licet ell1n
multa s1zt et diversa quce observamus, uno ta-
men et solo obedienti bono cuncta nobis fruc-
tuosa futura speramus.... In fatti, qualunque
cosa facciamo, se non facciamo la volont di
Dio, perdiamo il nostro tempo, sar cosa che
ci coster molta pena ; e per ricompensa della
nostra pena, saremo ancor castigati.... Il su-
periore pu aggravare o alleggerire il giogo del-
lo stato, concedere pi di riposo all'uno, pi
di cibo all'altro,secondoch giudicher conve-
niente dinanzi a Dio, secondo il bisogno di cias-
cheduno ; e in ci non ha da renderne conto
che a Dio; ben inteso conforme alle regole della
discrezione....
Al superiore sommamente raccomanda-
to d'aver grande cura degl'infermi, e ricordarsi
che, sebbene infermi, son religiosi. Egli deve,
se la malattia lo richiede, far comperare pesci,
supposto che in casa non ve ne sia, e non se ne
possa avere in altro modo che comperandone :
dar biancheria all'infermo, levargli il cilizio,
ch' uno scapolare di crine che sempre portia-
mo sulla carne ; diminuire la durezza del letto..
Ci corichiamo sopra un pagliericcio co-
perto di drappo : abbiamo inoltre un capezzale,
un altro drappo per coprirci, ed una coperta di
lana. Ci corichiamo quasi vestiti ; vale a dire
che, tranne l'abito e gli scappini (essendo le nos-
tre calzette senza solette) conserviamo tutto il
resto.... In luogo della grande cocolla, che sem-
pre portiamo quando siamo in comunit, e che
pende gi fino alle scarpe, fermata a ' due lati
da due specie di liste della medesima stoffa ;
onde l'abito prende forma di croce dinanzi e di
dietro, secondo lo spirito del nostro istitutore,
il quale vuole che portiamo sempre la croce :
prendiamo, per dormire e per lavorare, una
cocolla piccola, met meno grande di quella....
Tutti i giorni, d'estate e d'inverno, ci levi-

amo la notte ; l'ora del levarci dipende dalla


lunghezza dell'Uffizio. D'estate pi breve, e
d'inverno pi lungo; il che s'intende dell'Uffi-
zio di feria. Ci corichiamo pi presto d'inver-
no che d'estate ; regolandoci dal cadere e dal
levare del sole. Dormiamo circa sei o otto ore
di seguito : dopo Mattutino non torniamo a
coricarci ; suppliamo, lungo il di, con circa
un'ora di riposo tra Sesta e Nona, al dormire
che non abbiamo preso la notte....
D'inverno, per pararci dal freddo, portia-
mo, di notte e di giorno, una pelliccia : nelle
altre stagioni usiamo abiti di grossa stoffa, co-
mune in paese....
Quantunque dobbiamo comperar grano e
vino, perch la nostra terra non produce n
l'uno n l'altro, e molto ci costi il trasportarli
fin qu, perch non si pu far uso di veicoli,
Brunone, che aveva grandissima cura della
salute dell'anima e del corpo de'suoi religiosi,
e voleva si mortificasse la natura senza oppri-
merla con troppo grandi austerit, per tema che
si dovesse poi non fare pi niente per aver
voluto far troppo, e rilassarsi, desiderava che,
non badando alla spesa, si procurasse alla sua
comunit l'uno et l'altro. Egli pensava che la
buona sanit del corpo contribuisse talvolta a
quella dell'anima ; ma non voleva che si bevesse
vino puro, n che il pane, bench fatto di
frumento, fosse perfettamente bianco.... Alla
fine della settimana, bisogna rendere tutto il
pane ed il vino che ci pu essere avanzato....
Per ben imprimerci questa verit, che tutto
quanto la religione ci d, ce lo d in nome di
Dio, tutte le Domeniche, dopo cena, e fatto il
ringraziamento in chiesa, andiamo, come po-
veri di Ges Cristo, alla porta del refettorio a
domandare un pane ; questo pane, di forma
rotonda, detto il pane della limosina....
Per distruggere in noi la cupidigia e l'amor
delle cose terrene e di noi stessi, fino alle ra-
dici ; per farci conoscere che, essendo religiosi,
non abbiamo pi diritto a niente, se per caso
alcuno di noi riceve un dono da persona
estranea, il superiore, non dovendo mirare ad
altro che alla santificazione de' sottoposti alla
sua direzione,fa per lo migliore di darlo ad un
altro, invece di colui a cui era indirizzato.
Non dobbiamo donar niente, n ricevere
niente, n cambiar niente nelle nostre celle,
senza licenza del superiore.
Tutto ci che serve a'
nostri usi, deve an-
nunziare la santa povert, di cui facciam pro-
fessione; e tutto, fin le nostre chiese stesse, l'an-
nunzia ; perocch presso di noi non si vede n
oro n argento, eccetto un calice ed un canello
(di cui il diacono si serve per communicare sotto
la specie del vino). Noi viviamo in una beata
mediocrit ; e siamo stupiti di vedere, il che
non possiamo attribuire ad altro che ad una
speciale grazia del cielo, come, facendo le
grandi spese che dobbiamo fare e le tante
limosine che diamo, sia ad anime sante sia
a poveri lontani dal nostro monastero (peroc-
ch quivi non ne facciamo distribuere, per non
attirarne in troppo gran numero), noi sussis-
tiamo, e non siamo ridotti alla necessit. Iddio
ci preservi da questa disgrazia, che ci obbli-
gherebbe a far cose indegne del nostro stato, a
lasciare la nostra solitudine ; il che diame-
tralmente opposto al fine del nostro Istituto.
Egli a questo intento che procuriamo di non
ricevere religiosi pi di quanti le nostre facolt
lo permettono....
Noi mandiamo via quelli che si rigolano
male, e non li riceviamo pi se non quando
hanno dato segni di vero pentimento. A quelli
che tra noi sono inutili, diamo libert d'entrare
in altro Ordine. Prima de' venti anni d'et non
riceviamo nessuno a far professione ; salvoch
colui che si presenta sia di corpo e di mente cos
maturo, da meritare che per lui si deroghi alla
regola ordinaria.
Riceviamo coi pi grandi contrassegni di
rispetto i vescovi e gli abbati, che ci fanno l'onore
di visitarci. Fuggiamo con estrema cura la com-
pagnia delle donne ; e loro vietato d'entrare
nel recinto de'confini delle nostre possessioni...
Il solo Priore ha, propriamente parlando,
l'incarico del governo spirituale e temporale
della casa; ma acciocch non gli riesca ecces-
sivo, e quindi non possa dare allo spirituale,
che la parte principale, tutte le cure che esige,
affida il temporale a persone delle quali sicuro,
prese nella comunit ; nomina altres con-
fessori, e si scarica sovra di essi d'una parte del
peso, che la sua carica, impone....
Oltre al Procuratore incaricato della cura
delle cose temporali, che comunemente un
religioso, abbiamo un certo numero di fratelli
Conversi, che ci servono, e che amministrano
i nostri affari temporali. Le loro obbligazioni

sono a un di presso le medesime chele nostre ;


ma il loro Uffizio interamente diverso. Non
consiste che nell'Orazione domenicale e nell'
Ave Maria; e noi recitiamo, tutti i giorni, e
sempre in cella, l'Uffizio della B. Vergine.
Tutti i giorni, eccettuate le feste e le loro
vigilie, diciamo l'Uffizio de' morti, dalla Set-
tuagesima ad Ognissanti, in cella, dopo Vespro;
e da Ognissanti fino alla Settuagesima, la notte,
in chiesa, tra Mattutino e Lodi. Occorrendo
un anniversario, lo si dice in chiesa, dopo
Vespro. Oltre a questi Uffizi, recitiamo, tutti i
giorni, nelle nostre celle, al suono della cam-
pana, tutto l'Uffizio canonico (che , in molte
cose, simile a quello dei RR. PP. Benedettini),
eccettuati Mattutino e Vespro, che noi diciamo
in chiesa. Le Domeniche e feste lo salmeggia-
mo tutto intiero in chiesa, tranne Compieta,
con gravit, facendo una buona pausa a met
del versetto, e badando bene che un lato del
Coro non anticipi sull'altro. Tutti i giorni as-
sistiamo alla Messa conventuale ; e privata-
mente la diciamo, ora prima, ora dopo, se-
condoch occorrono d festivi o feriali, ecc.

COABITO LO II.

REGOLE E CONSUETUDINI MODERNE.

p queste seguiremo l'esposizione, che ne


ER
fece l'abbate Berseaux1; la cui opera sull'Or-
dine Certosino e la Certosa di Bosserville ci-
tammo nella Vita di S. Brunone. Egli non
Certosino, ma nel suo scritto si valse di docu-
menti, che fan legge nell'Ordine. E sono io Le
Tradizioni generali dell'Ordine, contenute nel-

4 Les Chartreux et la Chartreuse de Bosserville. 1868.


le Consuetudini del Ven. Guigone, e nei Rego-
lamenti (Ordinationes) redatti dal B. Laudui-
no, che li ebbe dalla bocca stessa di S. Bru-
none. Questi chiamansi Statuti antichi. 2 Gli
Statuti nuovi, dell'anno 1368 ; recano varie
modificazioni richieste da' tempi. 3 La terza
compilazione degli Statuti, fatta nel 1509.
4 La nuova compilazione del 1581, stampata
a Parigi I. Questa tradizion generale co-
me la legge fondamentale, a cui niuno pu
derogare.

Art. I.

Il solitario.
Il Certosino tutt'insieme solitario e ceno-
bita. solitario, perch 'gran parte del viver
suo passa nella sua cella ; in cui non pu ri-
cevere alcuno senza licenza, e non n'esce che
per andare in chiesa o dal P. Priore ; s che e'
si trova nel deserto, bench viva in comunit.
cenobita, perch membro d'un convento ; a
cui legato per molti e forti vincoli. Cos il
Certosino partecipa de' vantaggi delle due for-
me, che prese la vita religiosa : della solitaria,
ch' pi perfetta, e supppone maggior perfe-

4 II predetto abbate si , per la sua esposizione, servito di


quest'edizione.
zione ; della cenobitica, che previene o corregge
i difetti della solitaria, secondoch dice S.
Tommaso d'Aquino 1.
A ben conoscere questo
religioso, giova pertanto considerarlo prima
ne' suoi privati esercizi di solitario; e poi
ne' comuni esercizi della vita conventuale.
Il Certosino va al riposo tra le sei e le sette
di sera, e lo prende in drappi di lana, peroc-
ch non fa uso di pannilini; senza spogliarsi
delle sue vesti, per essere pi pronto all'Uffizio ;
senza levarsi il cilizio, che sempre porta. Le
sue mani giunte sul petto mostrano che il suo
sonno non che una continuazione della sua
preghiera, secondo il detto : Sanctis ipse som-
nus oratio est. Dorme in meschino pagliericcio ;
ma il suo sonno assai pi tranquillo e dolce
che quello del peccatore....
Dopo un riposo di quattr' ore e mezza, il
Certosino destato dallo svegliatore, si leva
pronto, leggiero, non aggravato dal troppo ci-
bo e dalla difficile digestione.... Si fa il segno
della santa croce, bacia il suo crocifisso, ac-
cende la sua lampadetta, e poi recita il Mattu-
tino e le Lodi dell'Uffizio della B. Vergine.
Tre quarti d'ora appresso, al secondo segno

1
Siccome dunque ci che gi perfetto supera ci che si
.esercita alla perfezione, cos la vita de' solitarii, presa diritta-
mente, supera la vita di comunit; ma assunta senza prece-
dente esercizio, tal vita pericolosissima. Summ. q. 188.
della campana, preso un lanternino di chia-
ror pallido e tremolo, va in chiesa per l'Uffizio
notturno, composto di Mattutino e Lodi del
d corrente. Quanti pensieri s'affollano qui
nella mente alla vista di questo religioso in
coro, nella solenne ora delle tenebre Egli pre-
!

ga di notte, vale a dire quando il nemico gira


cercando chi divorare ; quando gli altri stan
sepolti nel sonno ; quando il peccatore s'ab-
bandona a' turpi disordini della crapola e
della dissolutezza ; quando il ladro e l'assassi-
no vanno attorno per commettere i loro funi
e delitti : egli prega, e contrappone sante e fer-
vide preci per ristabilir l'equilibrio tra la gius-
tizia e la misericordia di Dio. Mentre il re Fi-
lippo Augusto facea vela per Terra Santa, fu
nel mar di Sicilia sovrappreso da tale tempes-
ta che, tornando vano ogni sforzo ed arte
de' marinai, il naufragio era imminente. Or-
s, facciamo coraggio, diss'egli ; mezzanotte,
l'ora che i Cisterciensi si levano a cantar Mat-
tutino. Questi santi religiosi non si scordano
di noi : la loro preghiera placa il Signore, e ci
salver da questo pericolo. Aveva appena
pronunziate queste parole, che il vento cess,
calmossi il mare, e il cielo si f sereno. Simile
fatto si narra di Carlo V, vicino a perire ne' li-
di dell'Affrica.
Chiunque assiste all'Uffizio notturno de'
Certosini, ne sente un segreto fremito, si crede
trasportato tra i cori degli Angeli, e non pu
contenersi dall'esclamare : E bello Ecco des-
!

crizione che ne fece un testimone oculare, alla


Gran Certosa. I forestieri che vogliono pro-
curarsi il religioso piacere di assistere all'Uffi-
zio di notte, ne ricevono bene spesso profonda
impressione, specialmente in giorno di gran
festa, che l'Uffizio si canta pi solennemente.
La prima volta che v'assistetti, era sulla tribuna
in compagnia d'un amico. Vidi giungere in
coro tutti i Padri, tutti i professi in abito
bianco, i novizi colla lor cappa nera; e tutti
portavano un lanternino. Alla luce d'alcune
fiaccole presero posto ne' loro stalli ; e tosto
cominciarono in tono lento e grave, con voci
forti e sonore. Gran parte dell'Uffizio recitasi a
memoria... Di tratto in tratto, tutti i lori lumi
si spengono o nascondono ; e allora non v' pi
che la lampada del santuario che manda tra le
tenebre la sua scarsa luce. Pi non si vede nel
coro che vaghe, indeterminate figure : si direb-
bero fantasmi fissi alle pareti. Terminato l'Uf-
fizio de' morti, si fa silenzio completo. Ques-
to silenzio, aggiunto all'oscurit della notte,
vi commove fino al fondo dell'anima, e desta
un religioso fremito anche ne' pi indifferenti.
.11 mio amico, in que' momenti, cedette alla
sua involontaria emozione, e, stringendomi la
mano, mi disse a voce bassa : ecco cosa che fa
colpo pi di qualunque predica I. I Certosini
nonhanno cercato di diminuire l'Uffizio divino,
o sbrigarsene prontamente; n pur l'Uffizio
notturno, che dura circa due ore e mezza, o tre
ore, secondo il rito che corre : mai non hanno
sostituito il salmeggiare al canto, per aver pi
tempo a lavorare per Dio : che anzi cantano
posatamente, con gravit, e lentezza, che loro
permette di assaporare il senso di ogni parola :
osservano esattamente le medianti, rimprove-
randosi la menoma precipitazione, il menomo
sbaglio. Cantano collo spirito e colla mente,
come dice S. Paolo; lodando quando il salmo
loda,gemendo quandogeme,chiedendo quando
chiede : disposizione senza la quale il canto ,
non una preghiera, ma un simplice esercizio di
polmoni, un suono simile a quello dell'organo
o d'altro strumento. Vedesi quindi che i Cer-
tosini sono animati dallo spirito di S. Brunone ;
il quale, nel suo Commentario, ha cos bene
intesi e spiegati i salmi. Accadendo, in coro,
che alcuno di essi s'accorga della pi leggiera
disattenzione, del minimo sbaglio, d'una into-
nazione non giusta, d'una nota falsa, tosto s'in-
ginocchia per farne onorevole ammenda e ripa-
rare la sua distrazione : tanto sta loro amore di

4 Albert du Boys, La Grande Chartreuse, Grenoble, 1845.


cantare le lodi di Dio con dignit, e divozione.
V' chi si leva di notte, unicamente per amo-
re di scienza, a studiare : si pu ben permettere
a' Certosini di levarsi a cantare le lodi di Dio in
tal modo. V'ha forse opera pi bella e pi utile
che cantare in tal modo le lodi di Dio ? E l'oc-
cupazione degli Angeli in cielo ; e tutto il nostro
lavorare, se non santificato et benedetto da
Dio mediante la preghiera, a nulla giova. Nisi
Dominus cedificaverit dOlnum, in vanUln labo-
raveruntquidijicant eam. Certamente il lavo-
rare indispensabile; ed impossibile che
tutti siano Certosini, i quali non predicano,
non insegnano : ma non per questo il loro isti-
tuto meno utile alla Chiesa : anzi, poich tutto
il nostro operare senza la divina grazia a nulla
serve, sta bene che vi sia chi colla preghiera
impetri efficacia alle opere del vivo ministero.
V' chi lavora e prega; ma pur troppo v' chi
lavora e non prega o poco.
Dopo quattro ore di canto o di preghiere
vocali, il Certosino, d'inverno, scaldasi un
poco, e poi va a prendere il suo secondo riposo,
che dura tre o quattro ore ; per dare alla natura
quel che le e' necessario ; ma senza nulla di
superfluo ; e cos riprendere forze per nuove
fatiche. Talch, dopo aver vegliato non breve
tempo la notte e alzate le mani al cielo, e' si
trova la mattina pronto alle opere ; perch
l'ora della mattina ha loro nelle sue mani.
Alzato, e in poco d'ora vestito (l'abbigliarsi
non gli ruba tempo, in verit), verso le sei recita
una parte dell'Uffizio canonico e dell'Uffizio
della B. Vergine ; indi attende a varii esercizi
di piet. Niuno si maravigli che il Breviario
pigli tanta parte della giornata al Certosino :
il divino Uffizio una eccellente, sublime pre-
ghiera; utilissima al sacerdote che lo recita,
e al popolo cristiano, in nome del quale si
recita; anzi, non che utilissima, necessaria;
s che un sacerdote che non preghi uno
spirito fuor di regola. Il sacerdote, dice qui
uno scrittore t,
mantenuto nell'ubbidienza al-
l'autorit mediante quest'osservanza, per cui
fa ogni giorno, ogni ora il sacrifizio della pro-
pria volont, diviene vaso di grazia per se e
canale di grazie per i fedeli. Che spettacolo, rap-
presentano l'unit e l'universalit della Chie-
sa, quest'unione e conformit di preghiere,
che s'alzano al Cielo dalla bocca di tutti i sacer-
doti del mundo Ed pure un grande van-
!

taggio che il sacerdote entri, mediante il Bre-


viario, nello spirito di ciascuna festa, e coi
sentimenti, colla meditazione, colla lode, colla
supplicazione unisca, egli che n' membro, la
Chiesa militante alla purgante ed alla mili-

4 Mast. Dictionnaire Encyclopdique, art. Brviaire.


tante. I Padri, or alle sette ed ora alle otto,
assistono alla Messa conventuale, ch' prece-
duta o seguita dalle Messe lette. E qui che i
Certosini uniscono la loro preghiera a quella
dell'augusta Vittima, che rinnova ogni giorno
sull'altare il sacrifizio della croce; e pregano
per tutti, anche per coloro che, occupati inte-
ramente di cose terrene, trascurano le celesti.
Un articolo dello Statuto certosino dice : Pros-
trati a terra intercedano per ogni stato; cio
per lo stato della nostra Religione, per lo stato
della sacro-santa Romana Chiesa et del S. N.
il Papa, per il proprio diocesano et per tutti
gli altri Vescovi ed ecclesiastici personaggi ; per
il Romano Imperatore, o il proprio Re, per i re
e tutti i principi cristiani, per tutti i benefat-
tori, i raccomandati, i famigliari ed amici, per
tutti i tentati e gli afflitti da qualunque tribo-
lazione di corpo e d'anima, per quei che si
trovano in peccato mortale, per il ravvedi-
mento degli eretici e degli scismatici, per la
conversione de' Giudei e de' Pagani, per i
naviganti, i pellegrini, gl'infermi, per i frutti
della terra ed i loro coltivatori, per il tempo
buono, ecc.

Alle nove si fa la meditazione, su qualche
verit dommatica, su qualche virt umana o
cristiana, su qualche mistero della vita di N.
S. Gesu Cristo o di Maria Ss., sugli esempi di
qualche santo, su i bisogni particolari di colui
che medita. E abbastanza nota la sommaimpor-
tanza della meditazione : onde non occorre che
qui ci fermiamo a spiegarla : basti dire che
senza di essa non si pu fare gran profitto nelle
vie dello spirito : e ch' cosa s propria spe-
cialmente del religioso, che S. Filippo diceva :
Un religioso senta orazione un religioso
senta ragione. E S. Teresa : E moralmente
impossibile che non si salvi quel religioso, che
persevera nell'orazione.
Dopo l'orazione, ossia meditazione, ha luogo,
verso le dieci, il lavoro manuale; ordinato a
ritemperare il religioso nel vigore del corpo
e dell'anima, e cos disporlo a ripigliare con
nuovo diletto e fervore le occupazioni proprie
del suo stato. Non si pu sempre leggere n me-
ditare ; l'arco sempre teso si rompe ; e d'altra
parte sapientissimo consiglio lo stare conti-
nuamente occupati, per evitare le insidie del
nemico. A ci mirava il manuale lavoro de'
Padri del deserto : S. Paolo apostolo lavorava
di tende ; N. S. Ges Cristo faceva con S. Giu-
seppe lavori da fabbro. Il lavoro de' Certosini
varia secondo il gusto particolare di ciasche-
duno. Tenere ben rassettata la cella, coltivare
l'orticello, spaccare, segare legna, lavorare di
tornio, di scarpello, di pialla, rilegar libri, pre-
parare le ostie, dipingere, disegnare, incorni-
ciare stampe, far corone del Rosario, sono le
pi ordinarie distrazioni del Certosino ; colle
quali rende utile il recrearsi, e non perde nulla
del tempo ; ch' tanto prezioso, e del cui uso
bisogner che tutti rendiamo strettissimo con-
to a Dio.
Alle dieci, dopo il lavoro, si fa la refezione ;
che non ha abbondanza n ricercatezza, ma
quanto basta a mantenere le forze. Il Certosino
fa sempre magro : la sua vita un perpetuo ve.
nerd ; la sua mensa sempre di penitenza. La
prescrizione del magro cos assoluta, la Rego-
la cos inflessibile, inesorabile su questo punto,
che non ammette dispensa, n pure in caso di
viaggio, n pure in caso di malattia grave e mor-
tale. All'astinenza va congiunto il digiuno, e non
mica solo nel tempo e n giorni prescritti dalla
Chiesa. In fatti, all'Esaltazione di S. Croce, 14
settembre, il Certosino comincia una Quaresi-
ma che dura otto mesi ; nella quale il regola-
mento del vitto, gi s austero, cresce ancora
d'austerit. D'Avvento e Quaresima, il Certo.
sino s'astiene dalle uova, da' latticini, da ogni
cibo formato di sostanze a sangue caldo. Il ve-
nerd si contenta di pane ed acqua, quando la
sanit lo permette. Tale si il desinare, ossia la
principal refezione del Certosino. Per colezio-
ne, ha in tutto e per tutto tre o quattr' oncie di
pane, acqua ovvero un po'd vino. Ciascuno
mangia separatamente nella sua cella la por-
zione che gli portata ; eccettoch certi giorni
di festa, che si mangia in refettorio. In tal mo-
do il Certosino compensa gli eccessi e le deli-
catezze nel mangiare di tanti altri uomini, di
tanti cristiani. Il mondo trova duro, crudele
il divieto della carne anche in tempo di malat-
tia ; ma si risponde prima non esser provato
che la carne giovi a ristabilir la salute : e poi,
per confessione de' Certosini stessi e d'altri re-
ligiosi pur astinenti, che il grasso produce nau-
sea allo stomaco avvezzo al magro Darebbe
un vigor momentaneo, per poi cagionare scon-
certi e malanni.
Dopo la refezione, vengono la ricreazione,
l'Angelus, la recita di Nona dell'Uffizio cano-
nico e di quello della B. Vergine, e la lettura
spirituale ; cos al lavoro ed ristoro del corpo
tosto succede l'alimento dell'animo. Frequenti
sono le pie letture che il Certosino fa per colti-
vare continuamente le pi elevate parti dell'
anima. noto che la lettura ha grande influ-
enza sul nostro animo, e che ciascuno predilige
1 Si narra che il Papa volle temperare questo punto della
Regola Certosina, concedendo l'uso della carne. Ci sapen-
do, i Certosini scelsero parecchi de' Padri pi anziani ; tutti
d'et superiore agli 80, e fino a' go anni ; i quali, mostrando
con tale prova di fatto nelle proprie persone, che l'astinenza
assoluta dall'uso della carne non impedisce punto di giungere
alla pi tarda vecchiaia, supplicarono il S. Padre di lor man-
tenere intatta la regola antica.
ci a cui si sente inclinato ; onde vi fu chi sen-
tenzi ; Dimmi ci che leggi, e ti dir chi sei :
ed anche potersi conoscere un uomo dalla sua
libreria. Or che nobilt, che altezza di pen-
sieri che fervore di santi affetti non deve
,
prendere il Certosino, che fa continua, attenta,
lettura di libri ascetici, scritti dagli spiriti pi
nobili, pi eminenti, pi fervidi, che siano
stati mai nella Chiesa Come l'ape che va pe'
!

nostri prati succhiando i fiori per formarne il


miele nel segreto ripostiglio del suo alveare,
cos il Certosino coglie nella sua ascetica libre-
ria, quasi in prato spirituale, i pensieri e i senti-
menti de' Santi, con cui innalza il suo spirituale
edifizio di perfezione. Vuolsi dir tuttavia che
due sono i libri che il Certosino preferisce a
tutti gli altri : la Bibbia, ed il Crocifisso.
Dopo il lavoro per il corpo e per l'anima,
viene ad un'ora pomeridiana, il lavoro per
l'intelletto cio lo studio. Il Certosino studia,
bench non sia chiamato a brillare nel mondo
mediante la scienza, o ad esercitare l'influenza
che il prete non pu avere senza dottrina, se per
istruzione non pu competere colle persone in
mezzo a ci si trova. E tuttavia studia, sia
per perfezionare la sua mente, sia per onorare
il sacerdotale carattere di cui insignito, sia per
potere all'uopo difendere la Religione da mis-
credenti quando viaggia da una casa all'altra.
S. Tommaso aggiunse, coll'usata sua acutezza,
che lo studio delle lettere giova indirettamente
alla vita contemplativa, rimovendo i pericoli
della contemplazione, cio gli errori in cui,
nella contemplazione delle cose divine, cadono
frequentemente coloro che ignorano le Sacre
Scritture1. Del resto l'Ordine de' Certosini ha
prodotto non solo de' grandi Santi, ma ancora
de' grandi scrittori e primo fra tutti, S. Bru-
:

none. E da dir tuttavia che gli studii de' Certo-


sini hanno per oggetto, non le scienze profane,
di cui essi non saprebbero che fare, ma le scien-
ze che convengono al loro stato : cio la scienza
sacra, ch' la scienza delle scienze, di cui le
altre sono semplici ancelle ; perocch nelle
tenebre l'uomo non illuminato dalla luce del
cielo ; e il mondo del pensiero, senza la teolo-
gia cattolica, un mondo senza sole. Egli studia
le Sacre Scritture, i Padri, i teologi, gli asceti-
ci ; da cui ha il meglio tra tutto, cio la scienza
de' Santi.
Alle due e mezza recita il Vespro della B.
Vergine, e poi canta in coro il Vespro del gior-
no ; con cui offre a Dio, a' pi dell'altare, il
sacrificio della sera, come, nella veglia nottur-
4 Alio modo studium litterarum juvat ad contemplativam
vitam indirecte, removendo contemplationis pericula ; scili-
cet errores qui, in divinorum contemplatione, frequenter ac-
cidunt his qui Scripturas ignorant. Summa, 21 2', Quasst.
188, art. 5.
na, gli ha offerto il sacrifizio della mattina.
Seguitano la conferenza, Compieta, e da ulti-
mo l'esame di coscienza, che pon fine a tutti
gli esercizi. Allora che il Certosino, ponen-
dosi di fronte a' propositi fatti la mattina, si
rende conto di se stesso, discute la sua giorna-
ta, la giudica pensando che sar poi giudicata
da Dio.
Il Certosino, nelle ore di sua vita eremitica,
vale a dire nella maggior parte della giornata,
osserva costantemente il silenzio, non aprendo
la bocca che per pregare, o per parlare a' suoi
superiori, o per dire a' suoi confratelli le cose
indispensabili colla maggior brevit possibile,
e, per quanto si pu, sotto voce. Questo silen-
zio, che fa della Certosa un deserto, bench
sia un Convento, e del Certosino un solitario,
bench sia un cenobita, dispiace al mondo ; il
quale dice che, se Dio ha dato all'uomo la fa-
vella, perch ne faccia uso. Ma si pu facil-
mente rispondere che il Certosino ne fa uso ;
prima col lodare Iddio, che l'ottimo degli
usi che l'uomo possa fare della lingua ; indi
col non dire se non cose necessarie od utili in
qualche modo all'anima ed al corpo ; s che
quel suo silenzio infine riducesi a un semplice
evitare l'abuso del parlare, e a dare, diremo
cos, un compenso dell'abuso, che in tante e s
turpi maniere si fa nel mondo di questo mira-
bile dono del Creatore. E poi il Certosino in-
nanzi tutto mira a ben vivere ; che certamente
vai pi del ben parlare. Poco male, vero, vi
sarebbe a dire passando una parola ; ma chi
non sa quanto facilmente una parola tira l'al-
tra ? Onde da una parola non necessaria sa-
rebbe agevolissimo il trascorrere ad altre non
necessarie, n utili : e quindi nelle superflue
parole se n'andrebbe il raccoglimento, col rac-
coglimento lo spirito interiore ; e che resta al-
lora il religioso ?
Quest'obbligo del silenzio non tuttavia egua-
lmente rigoroso per le Certosine ; delle quali pur
v'hanno alcune poche Comunit. L'estensore
della Regola Certosina ha per esse avuto riguar-
do alla diversit del sesso e del temperamento.
.
Temendo che un troppo lungo silenzio dia pi
che non bisogna campo all'immaginazione, la
quale nella donna pi viva e pi mobile, con-
cedette loro due ricreazioni al giorno, da pren-
dersi in compagnia. Anzi, sebbene nella sos-
tanza il regolamento sia lo stesso pei Certosini
come per le Certosine, tuttavia fu per queste
saviamente modificato in certe pratiche ed
osservanze, come si pu vedere dal Direttorio
dei Novizi e delle Novizie, secondo l'edizione
particolarmente destinata alle Certosinel.

1 V. Directoire des Moniales Novices. 1869.


De' fratelli conversi diremo appresso ; la lor
vita principalmente cenobitica.

Art. II.

Il Cenobita.

Visto il Certosino nella sua vita solitaria,


che ne forma un vero eremita o anacoreta,
vediamolo ora nella sua vita cenobitica, ossia
di comunit ; vale a dire in quanto forma, con
altri uomini, animati dallo stesso spirito, una
societ religiosa retta da una regola ossia legge
eguale per tutti.
Intorno a che vuolsi innanzi tutto osservare
che le varie Certose non sono altrimenti isola-
te e viventi di vita propria e particolare, ma
strette insieme, specialmente per quel che con-
cerne la vita spirituale, intorno ad una Casa-
Madre, che la Gran Certosa di Grenoble. In
essa risiede il Padre Generale ; al quale solo si
d il titolo di Reverendo ; agli altri Padri si
d quello di Venerabile. Havvi dunque nell'Or-
dine Certosino un accentramento di tutte le
Certose intorno ad un comun foco ; ch' come
l'anima, da cui parte la vita e si comunica a
tutte le membra del gran corpo, ch'esse for-
mano insieme unite.
g.
I Superiori.
Il
Capitolo Generale. Sebbene il primo Su-
periore dell'Ordine sia il Padre Generale re-
sidente alla Gran Certosa, nondimeno poich
sopra di lui sta il Capitolo Generale, ragion
vuole che cominciamo da questo.
1
Secondo gli Statuti, questo Capitolo si tiene
una volta ogni anno, tra Pasqua e Pentecoste,
alla GranCertosa.Essolariunione de'Visitato-
ri di ciascunaProvincia, e de' Priori di ciascuna
Certosa; all'uopo di deliberare sugli affari dell'
Ordine, di avvisare a' mezzi di mantener la
Regola in tutto il suo vigore, di reprimere ci
che sarebbe contrario ad essa, di rendere con-
to pubblicamente, al cospetto de' deputati da
tutte le Certose, dello stato particolare di cias-
cuna di esse.
Riunito che , nomina Elettori : i quali alla
lor volta nominano Definitori : questi, insieme
al Padre Generale, decidono e terminano le
questionipendenti. Il Capitolo Generale, aven-
do la potest di far leggi e regole per tutto
l'Ordine, ha autorit universale ed assoluta.

4 V. l'op. cit., La Grande Chartreuse par un Chartreux,


pag. 25o e seq.
Esso conferma, depone i Priori, obbligati a
mandargli ogni anno la lor demissione : il che
nell'Ordine chiamasi domandare Misericordia.
Previene gli abusi tendenti a introdursi ; e cos
non li lascia prender piede e passare in usi : ci
tiene in vigore la disciplina, e impedisce la de-
cadenza dell'Ordine. La differenza tra le Re-
ligioni lodevoli e le decadute, dice S. Bona-
ventura, non consiste gi nel non trovarsi
religioso alcuno che violi la regola, ma nel
non permettere che niuno la violi impune-
mente, e nel procurare di precludere l'adito
alle violazioni.
Il Generale dell'Ordine risiede alla Gran
Certosa, di cui Priore ; e dev'essere eletto
da' soli Padri di essa. Convoca e presiede il
Capitolo Generale, ne fa osservare i regola-
menti, e ne ha, in certi casi, la potest supre-
ma, egli , come dire, il potere esecutivo. Ma
appunto perch la sua autorit s grande, egli
deve, acciocch non possa abusarne, ogni an-
no presentare la sua dimissione al Capitolo
Generale ; il quale non lo conferma se non in
quanto il suo governo gli par utile all'Ordine.
Egli non porta alcun segno distintivo della sua
dignit : va vestito semplicemente come gli al-
tri Certosini, obbligato come gli altri alla Re-
gola colle sue pratiche, alle sue minute osser-
vanze, a' suoi atti d'umiliazione, alle sue aus-
terit ; e non si distingue dagli altri se non per
i buoni esempi che d. Sotto il Generalato del
P. Guglielmo Raynaldi, il Papa Urbano V vol-
le che i Priori della Gran Certosa prendessero
il titolo di Abbati, e ne portassero le divise,
cio la mitra e il baston pastorale : ma l'umile
uomo, rendendo grazie al Sommo Pontefice,
lo supplic con s vive istanze di non obbligarlo
ad accettare tal onorificenza, che il Papa, edi-
ficato, s'arrese alla sua preghiera. Ecco perch
i Generali dell'Ordine Certosino non sono Ab-
bati. Tra essi molti ve n'ebbe di eccellenti.
Dopo S. Brunone, gi avemmo a mentovare
il ven. Guigone ; e poi conviene dare i nomi
di S. Antelmo, Giovanni Birelle, Francesco
Dupuy, Gerolamo Marchand, Bruno d'Af-
fringues, Innocenzio Le Masson, Giovan. Bat.
Mortaize... Hi omnes, curarum seculi hujus
anfractu expediti, virtutis luce, eruditionis
fulgore er sanctimoni multiplici gloria corus-
cantes, pleniore moderati regiminis et religio-
sorum operum successu, animam Deo, vitam
subditorum saluti, famam posterorum exem-
plo consecraruntl.
I Visitatori; sono Priori scelti, nel Capitolo
Generale, tra i pi abili e degni, per fare la vi-
sita canonica e regolare di tutte le case dell'Or-

4 V. Leggenda dell'incisione de' cinquanta primi Generali.


dine, provincia per provincia, per sapere quel
che si fa in ciascuna di esse, richiamarle, oc-
correndo, alla regolare osservanza, o stimolarle
a maggior perfezione. Sono veri ispettori che,
per vedere in che modo la disciplina osserva-
ta, fanno un inchiesta in regola, interrogando
ad uno ad uno cos intorno a ci che concerne
ognuno in particolare, come intorno all'am-
ministrazione di ciascheduna Certosa. Indi fan-
no una relazione di quanto hanno veduto e
sentito, e la mandano al Generale.
S'additarono gi varie cagioni dell'essersi
semprela disciplina de'Certosini mantenuta nel'
antico vigore, altres ne' secoli XV e XVI, cos
funesti a tanti altri Ordini e Congregazioni reli-
giose : si parl dell' unit che stringe la Casa
Madre e le altre Certose, specialmente dopo le
Bolle di Giulio II, che stabil per tutti i religiosi
dell'Ordine una legge di universaleubbidienza
al Priore della Gran Certosa ed agli Statuti
de' Capitoli Generali che vi si tenevano : si
parl della fedelt all'osservanza delle austerit
primitive, la cura di aggiungerne altre, il di-
giuno assiduo, la rigorosa astinenza da' cibi di
carne, la clausura e l'assoluto sequestramento
dal mondo e specialmente dalle donne, il silen-
zio quasi perpetuo, la continuit della preghie-
ra e del lavoro, la costanza nel portare il cili-
zio, che il Certosino non depone mai : ma
senz'alcun dubbio, una delle cagioni, che pi
conferiscono a mantenere i Certosini quali fu-
rono in origine, la forte organizzazione che
test vedemmo, e sovra tutto la frequente vi-
sita de' superiori, sempre vigilanti che non si
mitighi n scemi nulla delle pratiche in vigore.
Qui sta la ragione del loro splendore passato
e futuro ; e par bene che valga quel po' di dis-
turbo e di spesa, che il viaggiare occasiona ;
e di cui parla il Fleury nella sua Storia Eccle-
siastica : il Fleury, cos tenero degli Ordini re-
ligiosi.
I Priori. Alla testa di ciascuna Casa sta un
rappresentante dell'autorit centrale ; assistito
prima da un Vicario, che ne fa le veci in caso
di assenza, di malattia, di morte, e per occu-
pa da per tutto il secondo posto ; poi da un
Procuratore, che s'occupa delle cose tempora-
li per tutti, acciocch tutti possano pi facil-
mente attendere alle spirituali ; e che, sebbene
sia vestito di bianco, fu molto bene assomiglia-
to al corvo di S. Paolo eremita ; citiamo an-
cora il Coadjutore, al quale sono affidate certe
relazioni co' forestieri. Il Priore viene eletto
dai Padri, ossia religiosi sacerdoti, dopo tre
giorni di digiuno ed una solenne Messa del-
lo Spirito Santo. La sua elezione non vali-
da se non quando ha in suo favore la met
de' voti pi uno, vale a dire quando ha in
suo favore la pluralit de' voti. Ognuno de-
gli elettori deve dare il suo voto a colui, che
dinanzi a Dio e in coscienza crede il pi degno,
per scienza, virt, et, maturit, abilit, co-
noscenza degli uomini e pratica delle cose,
guardandosi bene da' raggiri partigiani. In tal
modo il Priore per ogni Casa, almen secondo
la Regola, l'uomo di sua scelta, il suo eletto,
e non un estraneo, imposto dal Padre Generale
o dal Capitolo ; in fatti ne gode la confidenza
e la vede stringersi alla sua persona ; ed egli
un pastore, un padre, e non un padrone, che
la famiglia s' dato, un primo tra eguali, secon-
doch dicono espressamente gli Annali dell'Or-
dine : un uomo che, pur facendo rispettare la
sua autorit, deve farsi amare. Perci giorno
di festa quello ch'egli assume il suo uffzio ; e i
Religiosi fanno la lor refezione, non in cella,
ma in refettorio tutti insieme, come nelle Do-
meniche e Feste. Assunto l'uffizio, il Priore
esercita la sua autorit con vigore e insieme
dolcezza, ad esempio di S. Brunone; il quale,
come vedemmo, aveva fermezza di padre e
tenerezza di madre.
Tocca a lui comandare, dirigere la coscienza
di tutti, di presedere al Capitolo, prescrivere
le penitenze ; a lui istruire, richiamare al do-
vere, decidere ne' casi speciali, non imponendo
la sua volont, ma interpretando le Costituzio-
ni a lui tenere una chiave di tutte le celle, ed
:

entrarvi quando lo stima opportuno per farne


la visita, assicurarsi co' proprii occhi che tutto
v' conforme alla lettera ed allo spirito della Re-
gola, esercitare in somma la sorveglianza ch'
dovere del suo uffizio. Del rimanente, la sua
autorit non punto assoluta. Oltrech deve
rendere conto del suo operato al Capitolo Ge-
nerale, oltrech soggetto all'inchiesta ed alla
verificazione del Visitatore, oltrech pu essere
rivocato ogni anno, non essendo gi, come un
Abbate, inamovibile e nominato a vita, deve,
negli affari di qualche importanza, chiedere
consiglio a tutti i Padri che hanno voto attivo
ed almeno cinque anni di professione, per chia-
rir bene le cose mediante la discussione del pro
e contra, e non agire se non dopo matura deli-
berazione. Negli affari di pi grave importanza,
ha obbligo di mettere la quistione a'voti, e ar-
rendersi alla decisione della pluralit, secondo
che dicono espressamente gli Statuti. S'aggiunga
che il Priore, come il Generale, astretto a tutte
le esigenze della Vita Certosina, nello stesso
grado che tutti gli altri membri dell'Istituto. Il
suo cibo, l'abito, il letto son precisamente co-
me que' de' suoi confratelli, a' quali in ci
eguale, com'essi soggetto alle mille prescrizioni,
nelle quali la Regola, ch' molto particolareg-
giata, allaccia, per cos dire, la vita del Certo-
sino. Altrettanto dicasi del Procuratore e degli
altri officiali della Casa.
Come facilmente si vide da questa breve es-
posizione, nell'Ordine Certosino trovansi mi-
rabilmente conciliati i tre elementi della vita
sociale, s difficili a combinarsi in pratica cio
:

autorit, eguaglianza, libert. Il mondo s'im-


magina che la Costituzione de' Certosini non
sia buona che a fare degli schiavi : e intanto
non potrebb'essa servir di modello a certe so-
ciet politiche, le quali pare che non parlino a
piena bocca di libert se non per consolarsi
della servit in cui giacciono ? Non trovasi for-
se in quel organizzazione il diritto del merito,
la libera ammissione agl'impieghi, l'elettivit
de'capi, la deliberazione previa, la pi asso-
luta eguaglianza, senza distinzione di nascita e
di ricchezze ? Non vi si trovano forse tutti i
grandi principii della scienza sociale, che la
Chiesa ha portati nel mondo, e de'quali il mon-
do non altro fu ben sovente che un plagiario
malaccorto ed ingrato ? L'organizzazione de'
chiostri, che pi tardi divenne il modello dell'
organizzazione de' Comuni, contiene la solu-
zione di tutti i problemi, da cui son tormentati
i Governi de' nostri tempi.
Si pu all'Ordine Certosino applicare ci che
un grande Oratore ha detto del Dominicano :

L'elezione temperata dalla necessit della


conferma; e, alla sua volta, l'autorit de'supe-
riori temperata dalla libert del voto. Simile
conciliazione si nota tra il principio di unit s
necessario all'autorit e l'elemento della molti-
plicit de' sudditi necessario per altra ragione I.
Da ultimo, l'autorit bench moderata dall'ele-
zione e dalle adunanze, non viene affidata alle
stesse mani che per un tempo assai limitato.
Ecco le Costituzioni, che un cristiano (S. Do-
menico) del secolo XIII dava ad altri cristiani :
e davvero che tutte le moderne Costituzioni po-
litiche, paragonate a quelle, sembrerebbero
stranamente dispotiche. Migliaia d'uomini,
sparsi per tutta la terra, vissero sei cento anni
sotto tale reggime, uniti e pacifici; laboriosi,
ubbidienti, liberi fra tutti quanti gli uomini2.
Di pi, ogni membro dell'Ordine pu, sia per
lettera sia per mezzo d'un confratello, corris-
pondere col Capitolo Generale quand' riunito,
col Generale, che sempre. l, per tutto ci che
concerne la sua persona o la sua Certosa. An-
cora, i Priori o gli altri membri dell'Ordine
che trascurassero, per qualsivoglia motivo, di
fare al Capitolo od al Generale le denunzie,
di cui fossero incaricati, le lagnanze che fos-
sero pregati di trasmettere ; sia che queste la-
1 Naturalmente; se mancano i sudditi, inutile l'autorit.
2 Lacordaire, Memoria per il ristabilimento dei Frati
Predicatori.
gnanze vengano dalla Casa in cui essi risiedono,
sia da quelle per cui passano; tali Priori o Re-
ligiosi devono pubblicamente accusarsene alla
presenza del Generale, o del Capitolo, se
raunato. Infine permesso ad ogni Certosino,
in qualunque tempo, riclamare, appellarsi, scri-
vere alla S. Sede.
Dicasi ora se mai trovinsi altrove prescrizioni
pi numerose e pi efficaci per guarentire tutt'
insieme la legge dalle interpretazioni arbitrarie,
la libert da ogni capricciosa esigenza. Non
essa un capolavoro una tale legislazione ? Non
essa nata fatta per dare all'Ordine Certosino
una stabilit a tutta prova, contro il tempo e
le persecuzioni, in perpetuo? A ragione i Cer-
tosini altamente la pregiano, e ripetono con
legittima soddisfazione le sequenti parole, di-
venute per essi un proverbio : Per sii., sol.,
cap.,vis., Cartusiapermanet in vigore : La Cer-
tosa sta in vigore mediante il silenzio, la solitu-
dine, il Capitolo, i Visitatori.

I II.

I Sudditi.
Or venendo, da que' che comandano a quei
che ubbidiscono, li troviamo ordinati in quat-
tro classi IO I Padri, ossia religiosi del Coro :
:
2 I Fratelli Conversi, o religiosi laici : 3 I
Fratelli Donati : 401 Novizi, che ancora non
fanno parte della Comunit.
Diciamo una parola di ciascuna di queste
quattro classi di persone; le sole che abitino
le Certose : perocch la Regola vieta in ma-
niera molto chiara d'accettar pensionari, anche
ecclesiastici, per risedervi permanemente, stabi-
lirvi un domicilio fisso : e ci vietato affinch
lo spirito del secolo non entri a poco a poco in
una casa; la quale ha poste tra s ed il secolo
barriere insuperabili, e che gi appartiene al
secolo futuro.
I Padri. Questa prima classe di Religiosi
di quelli che hanno ricevuto un'educazione pi
accurata, maggior coltura letteraria, e che han-
no ricevuto l'ordine sacerdotale; sebben talora
tra i semplici Fratelli vi siano uomini riguar-
devoli, i quali per umilt hanno preferito l'ul-
timo grado nella casa del Signore. Son chiamati
religiosi del Coro, perch il loro speciale inca-
rico e dovere di cantare il divino Uffizio,
secondo il detto che corre nell'Istituto di S. Bru-
none : L'Uffzio prima di tutto. I Padri han gra-
do nella Casa, non secondo la nascita, la fortuna
temporale e la dote che hanno portata, non
secondo lo stato ch'ebbero nel mondo, non
secondo la scienza, non secondo i servizi che
hanno reso o possono rendere ancora tutte
queste considerazioni niente pesano nella bilan-
cia di religiosi che si sono dedicati all'umil-
t : ma l'hanno secondo la loro anzianit nella
Casa, dal d della lor vestizione.
I Padri, per coltivare lo spirito di comunit e
partecipare alla vita cenobitica, hanno parec-
chi esercizi comuni. Tutti i giorni, come gi
vedemmo, radunansi a certe ore per l'Uffizio ;
e ci pi o meno sovente, secondo il grado
della solennit. Le Domeniche e feste mangia-
no insieme nel refettorio, in silenzio per ; come
pure il d che un di loro, avendo reso la sua
anima a Dio, fu liberato dai mali della vita
presente, e chiamato ad una vita migliore; e
ci si fa per consolarsi. Ne' giorni di festa,
fanno altres una ricreazione insieme ; nella
quale possono conversare, e cos temperare
alquanto la lor solitudine quasi continua, col-
tivare i vincoli di socievolezza : onde si vede
che il silenzio prescritto al Certosino come una
virt essenziale , mediante la vita cenobitica,
'meno rigoroso che per i Trappisti.
Questa ricreazione permessa dalla Regola,
non consiste in altro che nel fare un po' di
moto e nel conversare ; ogni specie di giuoco
essendo proibito dagli Statuti ; come pure la
musica, cos vocale come strumentale. La con-
versazione del Certosino dev'essere tutta celes-
te, non respirar altro che giustizia, onest, san.
tit, non aggirarsi che su Dio e le cose divine,
sull'osservanza della Regola, su i mezzi da usa-
re per estirpare i vizi, superare le tentazioni,
praticar la virt ; deve sovratutto esser piena
di carit. Il Certosino non deve mai parlar di
politica ; il che dovrebbe concigliargli la bene-
volenza di tutti i partiti, perch non di niuno.
La Regola esplicita, inesorabile su questo
punto ; e dice : I Priori vietino energicamente
a' loro monachi ed agli altri soggetti di parlare
disordinatamente, ne' loro colloquii o altrove,
de' Signori della terra e degli altri Principi e
de' fatti loro, contendendo e facendo partiti.
Coloro che presumeranno di fare contro tale
divieto, escludansi da' colloqui, e secondo la
colpa siano poi puniti. Ma come potrebbero
essi mai occuparsi di politica, uomini che vi-
vono in un deserto, estranei agli intrighi e
all'agitarsi delle fazioni? uomini che non leggo-
no giornali, e che alla patria non pensano se
non per attirarle, colle loro ferventi preghiere,
le benedizioni del cielo? Uomini che si fanno
un dovere di dare a' loro concitaddini l'esem-
pio della sottomissione alle leggi, della pace,
della concordia, di tutte le virt sociali e reli-
giose ?
I Certosini vanno altres, una volta ogni
settimana, fuori della clausura, in luoghi soli-
tarii, a una passeggiata detta spassainento (spa-
tiarij per fare esercizio, cambiar aria. Questo
mitigamento, concesso dalla Regola, serve, co-
me le ricreazioni, a dilatare i cuori, alle dolci
espansioni della carit, a coltivare l'unione
fraterna, a far regnare una religiosa cordialit.
Ma in questa passeggiata, il Certosino deve
sempre ricordarsi che Certosino, cio uomo
di penitenza. Alcune Certose avendo ottenuto
da prelati di alto grado la facolt di spingere
il loro spassamento oltre i limiti assegnati, di
bere, di mangiare in tale tempo, di spargersi
qu e l, il Capitolo Generale del 15 g condan-
n i colpevoli di quest'infrazione della Regola
a mangiare in refettorio in ginocchio, prostrati
a terra, tante volte quante avevano commesso
quel fallo, e a stare in que' giorni a pane ed
acqua. I Priori furono ben anche dimessi ;
tanto fu sempre lo zelo de' Certosini di opporsi
agli abusi.
I Fratelli ; s'occupano de' lavori manuali
della Casa : perocch tutto o quasi tutto ci
che serve a' bisogni d'una Certosa, deve, in
quanto si pu, prepararsi e farsi in essa s che
:

ciascuno di essi ha un determinato impiego,


un'obbedienza speciale ; attesoch nelle Certo-
se, acciocch vi regni sempre un perfetto ordi-
ne, tutto v' determinato da regolamenti pre-
cisi, e niente lasciato libero alla personale
fantasia e volont di ciascuno.
Vi ha il cuoco, coquinarius ; che deve prepa-
rare i cibi in modo che n i Padri n i Conver-
si abbiano motivo di lagnarsi. Vi ha il panet-
tiere, pistor ; ch' dispensato dal Mattutino
ne' giorni che cuoce il pane. Vi ha il calzolaio,
sutor ; che deve preparare le cuoia, ungere e
rammollire le scarpe de' Padri. Vi ha il fab-
bro ferraio, faber ; che deve seguir nella Casa
tutti i lavori del suo mestiere, vi ha il giardi-
niere, hortulanus ; che deve aver cura dell'orto
e delle api, le quali sono s bel simbolo della
vita religiosa. Havvi il legnaiuolo, carpenta-
i-ius ; che deve fare tutte le riparazioni neces-
sarie alla Casa. Havvi l'agricoltore, agricul-
tor; che deve attendere a' lavori campestri,
ad alimentare il bestiame, regolandosi in modo
che almeno non ci metta le spese, e non l'arrischi
in opere che lo lascino con perdita.
Chiunque vuole entrare in Certosa a titolo
di Fratello, deve, per quanto si pu, sapere
un mestiere per rendersi utile. A coloro che
non ne sanno alcuno e per non possono ave-
re un impiego speciale, si d a fare or una co-
sa or un'altra ; e vanno ogni mattina dal P.
Procuratore a chiedergli quello che han da
eseguire quel d. Questi Fratelli fan da do-
mestici a' Padri, famuli, in servitium Patrum;
e attendono, come Marta, alla vita attiva, ac-
ciocch i Padri possano, come Maria, attendere
alla contemplativa. Niuno creda per che la
lor vita sia semplicemente attiva : essi sono re-
ligiosi, perch fanno i voti ; e la Regola loro
lascia molte ore da impiegare nella vita con-
templativa. Come i Religiosi sacerdoti, levansi
tutti i giorni per il Mattutino ; com'essi dico-
no l'Uffizio del giorno e della B. Vergine, reci-
tando certo numero di Pater, Ave, Gloria Pa-
tri ; e li recitano in Chiesa, quando nonne
sono impediti da' doveri del loro impiego.
Tutti i giorni, non ostante le loro molte occu-
pazioni, assistono alla S. Messa ; tutti i giorni
ancora devono fare orazione mentale. Con tut-
ti i loro lavori, che consumano le forze corpo-
rali, devono fare astinenza le vigilie di Natale,
di Pasqua, di Pentecoste, del Corpus Domini,
di tutte le feste della Ss. Vergine, di S. Gio-
vanni Battista, de' Ss. Apostoli Pietro e Paolo,
di S. Brunone, d'Ognissanti ; e in tali giorni
starsene al pane, sale ed acqua. D'Avvento e
Quaresima devono astenersi dalle uova e da'
latticini. Cionondimeno la Regola, in appa-
renza cos severa, ha cura della loro salute ; e
raccomanda loro di scuotere leggiermente il
sonno senza levarsi con troppa fretta ; perch
nuoce alla natura ; vuole che, nelle insonnie,
non si sforzino di applicare la mente a medi.
tare, ma che anzi procurino, lasciando correre
i pensieri, di riaddormendarsi, considerando
che stanno in seno a Dio, come un bambino
in seno alla madre ; vuole che, compiti i lo-
ro Uffizi, non tardino a coricarsi per nulla per-
dere del sonno, che vuol essere accudito, co-
me cosa di divino servizio ; poich non per
s stessi che devono dormire, ma per Dio ;

essendo un mezzo necessario a disporli a ri-


pigliare e far bene gli esercizi di suo servizio ;
vuole che, in tempo della refezione, non leg-
gano ; perch tale applicazione nuocerebbe
alla sanit. Vuole che mangino e bevano sen-
za scrupoli tutto ci che vien loro servito e se-
condo il bisogno che ne sentono ; perch se un
religioso, che ha i suoi lavori ed occupazioni
di giorno e di notte, le sue mortificazioni e pri-
vazioni regolate dall'ubbidienza, volesse prati-
care astinenze arbitrarie, bene spesso non
farebbe cosa che valga e si guasterebbe la sani-
t . Vuole infine ch'essi non credano punto
che, per essere mortificati, sia necessario non
sentire il piacere del gusto, cosa impossibile ;
ma solo che procurino di prendere il cibo co-
me cosa necessaria, senza oltrepassare i limiti
del bisogno. Tal la saviezza della Regola, la
misura del legislatore, che, tenendo conto
de' bisogni della natura, sa mortificarla senza
opprimerla, domarla senza distruggerla.
Oltre a ci la Regola, bench i Fratelli sia-
no, per propria condizione, occupati in gros-
si lavori, pensa in particolar maniera alla lor
vita interiore. Lor si fanno speciali istruzioni;
le Domeniche e Feste devono stare nelle lor
celle per osservare ritiro e silenzio ; essendo
membri di un'Ordine, che fa professione di
vita solitaria e ritirata. In tali giorni non han-
no, come i Padri, ricreazione in comune ; per-
ch non solo non hanno bisogno, come quelli,
di divertirsi dalla vita sedentaria e silenziosa,
ma hanno bisogno di raccogliersi , dopo
avere tutta la settimana atteso alle cose este-
riori, che dissipano lo spirito. N pur fanno
la settimanale passeggiata detta spassamento ;
perch quest'aiuto, necessario a Padri per ren-
der loro pi facile la solitudine, non punto
necessario a'Fratelli, che son quasi sempre oc-
cupati di fuori, e raramente solitarii. Vedesi
quindi chiaramente che i Certosini son lontani
dal trattare i loro servi come certi industriali
moderni, che tenendo l'operaio come un is-
trumento di lavoro, come, quasi dicemmo, una
macchina vivente, non gli concedono la libert
della Domenica, lo trattano come uno schiavo,
che non ha n anima n un destino immortale,
e profittano fin della sua coscienza.
Leggendo il Direttorio de' Fratelli laici,
notammo, nell'Avvertenza, queste parole spi-
ranti la pi alta filosofia. la ragione che
fa l'uomo ; e chi opera senza ragione, opera
pi da bestia che da uomo. Perci chi vuole
onorare Iddio da U01TI ragionevole, avendo
l'onore di essere creato a sua immagine e so-
miglianza, deve far precedere o accompagnare
le sue azioni da qualche atto della ragione,
che si riferisca espressamente o almeno inter-
pretativamente a Colui, ch' il suo sommo
Bene, suo principio, suo fine. Per la qual cosa
l'intenzione, ch' quest'atto di ragione, gius-
tamente detta l'anima di tutte le nostre azioni;
attesoch, senza di essa, essendo fatte in ma-
niera come muta, sono come un corpo senz'a-
nima.
I Fratelli Donati, Cos chiamansi perch,
senza legarsi con voti, si donano tuttavia alla
Comunit. Dopo almeno due anni di dimora
alla Certosa, sono ammessi a far parte della
Casa, purch s'obblighino con promessa di
rimanervi, si uniformino alle regole dell'Isti-
tuto, e tengano una condotta cristiana : altri-
menti l'Ordine pu annullare la lor donazio-
ne, senz'essere debitore d'alcuna paga per i
servizi che avranno resi. Dicono l'Uffizio re-
citando dieci volte il Pater e l'Ave per Mattu-
tino, e tre volte per ciascuna delle altre Ore.
Non sono obbligati ai digiuni dell'Ordine,
ma solo a quei della Chiesa. Fuori del re-
cinto della Certosa possono mangiar carne.
Portano, ne' giorni ordinari, un abito di co-
lor bruno; invece del quale, le Domeniche e
Feste, ne pigliano un altro di color bianco.
Solo dopo sette anni di prova pu il Fratello
donato pronunziare i voti semplici, e cos di-
venire Fratello Converso, ossia laico poich i
:

Conversi non prendono gli Ordini.


I Novizi. Ricevonsi i Novizi all'et di ventun
anno, e talvolta diciotto. Se il novizio vuol di-
venire religioso del Coro, vale a dire Padre e
sacerdote, bisogna che abbia voce e sappia can-
tare ; perch la grand'Opera de' Certosini
l'Uffizio solenne. Bisogna eziandio che abbia
studiata Rettorica e sia fornito di una certa let-
teratura. Siccome deve abbracciare una reli-
gione austera fra tutte, vien sottoposto a una
severa iniziazione, piena di prove dure e pe-
nose, all'uopo di mortificar la natura, spezzar
l'amor proprio che vorrebbe lasciarsi andare
alle passioni egoistiche, invece che dedicarsi a
Dio ed al prossimo mediante il consecrarsi alla
Regola. Gli vien rappresentato che l'Uffizio
lungo, cos di giorno come di notte; che il cibo
mediocre, cattivo ; che la vita del Certosino
povera, piccola la cella, continuo il silenzio,
interroto il sonno, stretta l'ubbidienza, neces-
saria la stabilit. E non viene alla fine rice-
vuto se non in quanto si mostra risoluto a tutto
e pronto a percorrere la penosa ma eroica via
che s'apre dinanzi a lui.
S. Brunone, convinto che nel noviziato sta
l'avvenire del religioso, volle che si prendesse
una cura speciale de' novizi, dicendo che la
perpetuit dell'Ordine dipendeva dalla cura che
si prenderebbe delle giovani piante. Quando il
novizio, che aspira a diventar Padre, si pre-
senta alla Certosa, comincia dal fare alcuni
giorni di spirituali esercizi, poi entra in cella
come Postulante; ed allora che il P. Maestro
de' novizi gli lava e bacia i piedi, per indicare
che deve scuotere la polvere del mondo ; lo
calza alla maniera dell'Ordine, per fargli in-
tendere che la dimora, in cui Dio l'ha condotto
luogo santo, e che egli deve camminare con
passo fermo e veloce nella via che gli si para
dinanzi, e al termine della quale si trova la
Terra promessa. Da quel punto egli mette in
pratica tutte le osservanze dell'Ordine. Porta,
per un mese, un mantello nero sopra i suoi
abiti secolareschi. Se in questo tratto di tempo
egli mostra un vero fervore per il nuovo ge-
nere di vita che vuole abbracciare, lo si pro-
pone alla Comunit per dargli l'abito; e se
ottiene la pluralit de' voti, ricevuto come
novizio. Allora lascia il suo nomepatronomico
per prendere quello di qualche santo favorito ;
perocch appartiene oggimai ad una nuova fa-
miglia tutta spirituale. Il suo noviziato dura
un anno; nel qualle egli scruta s stesso, evie-
ne scrutato. Se il P. Maestro dei novizi lo ri-
conosce degno, dopo il noviziato, d'entrare
nell'Ordine, l'introduce al cospetto di tutti i
religiosi riuniti in Capitolo, per chiedere la
grazia di essere ammesso alla professione. Se
accettato, e ripete la sua domanda, viene am-
messo, dopo gli esercizi spirituali, a pronun-
ziare i suoi voti, senza che si possa esigere da
lui dote alcuna. Di qui si vede che il Certosino
punto non si lega co'voti per effetto di un passeg-
giero moto di fervore, e senz'aver avuto tempo
di fare le pi mature riflessioni. E ci arriva a
poco a poco, per gradi : non fa il passo decisivo
se non dopo aver longamente studiato il tenor
della Regola, alla cui osservanza si obbliga.
Quanto al postulante che si propone di es-
sere Converso, viene anche lui sottoposto a
prove speciali, corrispondenti alle occupazioni
a cui dovr attendere. Il Priore lo esercita
ne' lavori pi umili e duri delle diverse ubbi-
dienze ; ed dopo di essere stato cinque anni
in condizione di donato, o, per dispensa, alme-
no un anno, che vien proposto alla Comunit
e ammesso a far professione, se lo si trova
umile, ubbidiente, casto, fedele, pio e diligente
nel lavorare. Niun Professo religioso o Con-
verso ha diritto di esigere checchessia dal No-
vizio ; una tale pretesa sarebbe punita colla
scomunica. Dal d della sua professione, il Con-
verso non pu pi possedere nulla, nemmeno
il bastone su cui s'appoggia camminando
;
perocch non pi padron di s stesso.

in.
Abito de' Certosini.

L'ordinario abito dei Padri Certosini consis-


te anzi tutto in una lunga veste di drappo, simi-
le alquanto alla toga degli antichi Romani; e il
drappo di color bianco, per significare l'in-
nocenza, la purit, e la santit della vita. A
questa veste, stretta a' fianchi da una cintura,
va unita una cocolla oscapulare; a cui appe-
so un cappuccio altres di drappo bianco. Alla
veste vanno pur unite liste laterali, che le dan-
no forma di croce. Il Certosino porta sulla
nuda carne, oltre il cilizio, un lombare, vale
a dire una cintura di corda ; e, per pannilini,
tonicelle di lana. Quanto all'abito di viaggio,
consiste in una cappa ossia mantello nero e in
un cappuccio pur nero. I Fratelli hanno in sos-
tanza lo stesso abito de' Padri si radono,:

come questi, i capelli, ma non la barba, che


lasciano crescere insegno di penitenza. Quand'
escono, portano una cappa ed un cappello di
color marrone. Non usano pannilini, come
non ne usano i Padri.
A chi deridesse quest'abito, facile rispon-
dere : Libero voi di vestire come v'aggrada, e
liberi anche i Certosini di portare il loro abito.
Che se lo diceste ridicolo e atto a far disprezzare
chi lo porta, sappiate prima di tutto che tale
non , essendo abbastanza grave, dignitoso,
venerando ; e fu portato, e tuttavia si porta
da moltissimi personaggi, d'alto grado nel
mondo; i quali, stanchi delle vanit mondane,
trovarono la pace e i veri beni nell'umile cella
del Certosino; e poi sappiate ancora che il
Certosino altres nell'abito cerca il disprezzo,
per umiliarsi sempre pi ; e ci serve a com-
penso dell'ambizione e vanit che altri cristia-
ni han nel vestire. S. Arsenio, prima di farsi
monaco, era personaggio d'altissimo affare nel
mondo ; messosi alla scuola de' solitari d'Egitto,
diceva Io so le scienze de' Greci e de' Romani ;
:

ma non ho ancora imparato l'alfabeto di questi


religiosi, in apparenza s dispregevoli. Anche
il mondano capisce che la virt, il vero merito
non consiste nell'abito; or siccome innato e fu-
nesto difetto della nostra natura l'amor pro-
prio, la vanit, la superbia, sta bene che l'abito
serva a continuamente rintuzzarla, ed a ricor-
darci la virt contraria.
2IV.

Di alcuni usi e costumi de' Certosini in vita.

Tale si Certosino considerato come so-


il
litario e come cenobita. Or chi mai potr dire
la calma, di cui gode nel suo deserto, a cui
non giungono i rumori del mondo ? Chi pu
intendere la dolcezza di piacere che egli prova
quando, per antivenire le difficolt e i disgusti
del suo stato, effonde il suo nel cuore de' suoi
confratelli, che gli sono teneri e fedeli amici?
I Certosini sono uniti coi vincoli della carit
cos strettamente, e forte pi strettamente an-
cora che con quelli del sangue. Essi formano
un cuore, un' anima sola : tanta la concordia
che regna fra essi, la cordial deferenza che l'u-
no ha per l'altro. Il che tanto pi maravi-
glioso, in quantoch in una Certosa si trovano
persone di ogni paese, differenti d'indole, d'in-
gegno, di educazione, di abitudini; e tuttavia
formano una famiglia di fratelli, che veramente
si amano, come i primi cristiani. I superiori
chiamansi padri ; e non questo un nome vano ;
perocch hanno tutta la sollecitudine e la tene-
rezza paterna per i loro soggetti ; i quali alla lor
volta hanno per essi una riverenza, una piet
veramente filiale. Se fra loro diconsi fratelli,
di fraterna amicizia si danno altres i contrasse-
gni e le prove. Fra essi non regna orgoglio,
ira, invidia n gelosia, n discordia; passioni
che nascono dall'amor proprio e da' privati
interessi di ciascun uomo regnano al contrario
:

la carit, la concordia, la pace, che fanno d'una


Certosa un Paradiso in terra. E tutti possono
esclamare : Oh quant' buono e giocondo l'a-
!

bitare insieme uniti i fratelli Salin. 132.


!

Ma ci che sovratutto forma il particolar


contrassegno del Certosino, la cristiana sem-
plicit, tanto raccomandata dal S. Vangelo,
tanto esaltata da S. Francesco di Sales. Nel Ce-
remoniale de' Fratelli trovansi queste parole :
Antico uso dell'Ordine che, bevendo, si met-
tano al bicchiere ambe le mani: una lo tiene, e
l'altra lo sorregge di sotto colla punta delle
dita. Ci si pratica per rispettare la primiera
simplicit de' nostri antichi Padri, bench al-
quanto contraria a' presenti usi del mondo;
ma noi saremo troppo felici di mettere bene
in pratica quelle parole della S. Scrittura :
Moriamo nella nostra seJnplicit !
Di questa semplicit trovasi un bell'esempio
nel libro di Mons. Camus, intitolato : Spirito
di S. Francesco di Sales. Predicando il santo
Vescovo di Ginevra il Quaresimale a Grenoble,
non manc di recarsi a passare alcuni giorni
alla Gran Certosa ; luogo a lui s caro, che vi
sarebbe stato sempre, se fosse stato libero di
seguir la sua inclinazione, e se la sua vocazione
non fosse stata di affaticarsi per santificare e
salvare molti altri, per poi riposarsi nel cielo.
Fu ricevuto alla porta del monastero dal Ge-
nerale, Dom Brunone d'Affringues, uomo di
profonda dottrina e eminente piet; che lo
condusse nell'appartamento destinato ai grandi
personaggi. Dopo le convenienti accoglienze e
alcune parole di santa conversazione, il buon
Generale, rammentando che il d seguente ri-
correva una festa dell'Ordine, trov che dove-
va andare al riposo, per essere poi pronto a
levarsi pel Mattutino ; onde si tenne in obbligo
di prendere commiato dal santo Vescovo. E
preselo in bel modo, dicendo che gli avrebbe
volentieri tenuto compagnia sino all'ora della
refezione, ed anche del riposo ; ma pensava che
non avrebbe disapprovato che la civilt fosse
sacrificata all'ubbidienza ; la quale lo chiamava
al riposo, per essere poi ben disposto pel can-
to del Mattutino. Volle ventura che per via
incontrasse il P. Procuratore ; il quale l'interro-
g dove avesse lasciato Monsignore ? Nella
sua camera, rispose, e me ne venni perch
l'ora del riposo, e per trovarmi pronto al Mat-
tutino. Aff disse il Procuratore, Reverendo
!

Padre, in fatto di cerimonie, mostrate di saper-


ne assai. E che? Abbiamo noi sempre in questi
?
deserti prelati di questa fatta Non sapete voi
che a Dio piace altres l'ospitalit e la corte-
sia ? Di cantar Mattutino non mancher tempo;
e tocca a voi tener compagnia a Monsignore.
Che vergogna lasciarlo solo Figliuolo mio,
!

rispose il Generale con una edificante sempli-


cit e modestia, mi pare che avete veramente
ragione. E tornato subito dal santo Vescovo,
Monsignore, gli disse, ho incontrato qui uno
degli Officiali, il quale m'ha detto che ho fatta
una sgarbatezza a lasciarvi solo, e che non mi
mancher tempo di cantar Mattutino un'altra
volta ; ma che non abbiamo punto tutti i gior-
ni in casa nostra un Monsignor di Ginevra.
Vedendo che ha ragione, son venuto a chie-
dervene pardono, e pregarvi di scusarmi della
mia sciocchezza ; perch vi dico in verit che
l'ho fatto per ignoranza : ignorans feci. Monsi-
gnor Camus soggiunge che il Salesio rest in-
cantato di tanta umilt e semplicit ; pi che se
avesse visto quel Generale fare un miracolo.
Scrittori d'ogni classe resero omaggio alla
virt de' Certosini ; citiamone alcuni. Voltaire,
non sospetto certamente di tenerezza pei reli-
giosi, ha detto : I Certosini consacrano inte-
ramente il loro tempo al digiuno, al silenzio,
alla solitudine, alla preghiera. Perfettamente
tranquilli in mezzo al mondo tumultuoso, il
cui frastuono giunge di rado alle loro orecchie,
essi non conoscono i loro sovrani rispettivi se
non per via delle preghiere, in cui i loro nomi
sono inseriti. Vero che Voltaire, detto dal
DeMaistre un velenoso insetto che insozz tutto
ci che tocc, fa poi le sue riserve, dicendo che
l'Ordine Certosino troppo ricco per uomi-
ni separati dal mondo e soggiunge : che
fortuna se virt s pure e perseveranti potesse-
ro essere utili al mondo Ma il Bergier molto
!

bene gli rispose : Finora non si sono mai accu-


sati i Certosini di far cattivo uso delle loro
ricchezze, n di ricusare soccorso agl'infelici.
N mai crederemo che l'esempio di virt pure
e perseveranti sia inutile al mondo ; e quest'e-
sempio in niun altro luogo pi necessario
che nella capitale del regno.
Quell'altro empio e famigerato scrittore che
fu Gian Giacomo Rousseau, essendosi recato
nelle montagne della Certosa per istudio di
botanica, di cui era vago, visit la Certosa, e
sull'albo, che gi presentavasi a'forestieri per-
ch vi mettessero il loro nome o qualche sen-
tenza, scrisse queste parole : In questo deserto
ho trovato delle rare piante e delle rare virt.
Ducis, il celebre drammatico, che ricus gli
onori offertigli da Napoleone, con dire che
amava pi i cenci che le catene, avendo fatto
un viaggio alla Gran Certosa, ne parl poscia
cos : Ho visto il suo deserto (di S. Brunone),
la sua fontana, la sua cappella, la pietra su
cui s'inginocchiava, dinanzi a quelle orride
montagne, sotto gli sguardi di Dio. Ho visitata
tutta la casa, ho visto i solitarii alla Messa so-
lenne, ho conversato con uno de' pi giovani
nella sua cella ; e tutto produsse in me un pia-
cere profondo e calmo. Le umane agitazioni
non ascendono fin l. Quello che mai non di-
menticher, si la celeste contentezza, che sta
visibilmente impressa sul volto di que' religiosi.
Il mondo non ha idea di tale pace ; quella
un'altra terra, un'altra natura ; si sente, ma
non si pu definirla cotesta pace che v'entra
in cuore. Ho veduto il riso e l'ingenuit dell'in-
fanzia sulle labbra del vegliardo ; la gravit e
il raccoglimento dell'anima nel volto della gio-
vent. Ebbi la mia cella, in cui passai due not-
ti ; e non senza pena mi staccai da quella casa
di pace. V'assicuro, mio caro amico, che tutti
que' pensieri di fortuna, di gloria, di piacere,
tutto quel tumulto della vita, quel frastuono
ch' ne' nostri occhi, nelle nostre orecchie,
nella nostra immaginazione, restano all'in-
gresso di quel deserto; l'anima nostra allora
ci riconduce alla natura ed al suo Autore 1.
Il Chateaubriand fece questa riflessione :
certamente cosa di venir notata, che tutte le

* Lettre un ami.
Regole monastiche pi rigide furono sempre
meglio osservate. I Certosini hanno dato al
mondo l'unico esempio d'una Congregazione,
che ha esistito settecento anni senz'aver biso-
gno di riforma. Il che prova che quanto pi
l'istitutore combatte le materiali inclinazioni,
tanto pi assicura la durata della sua opera.
Al contrario, coloro quali pretendono formar
i
societ, adoperando le passioni per materiali
dell'edifizio, somigliano a quelli architetti, che
fabbricano palazzi con quella specie di pietra,
che si fonde al contatto dell'aria1.
Visit a' suoi d la Gran Certosa anche il Pe-
trarca ; e nella lettera che poscia le indirizz,
fra l'altre cose dice queste, che possono appli-
carsi a tutte le altre Certose : Son venuto in
un paradiso ; ho visto gli angeli di Dio in terra
Non ho mai trovato altrove s brevi i gior-
....
ni, s brevi le notti2.
Concludiamo pertanto con quei bei versi
del Ducis sopra citato :

Quel calme quel dsert Dans une paix profonde


! !

Je n'entends plus mugir les temptes du monde.


Le monde a disparu, le temps s'est arrt ;
Commences-tu pour moi, terrible ternit ?
Ah! je sens que dj, dans cette auguste enceinte,
Un Dieu consolateur daigne apaiser ma crainte.
Je le sais ; c'est un pre, il chrit les humains :

1 Gnie du Christianisme, lib. III.


2 Epistola ad sodalitatem Magl1 Cartusice.
Pourquoi briserait-il l'ouvrage de ses mains ?
C'est lui qui m'a form dans le sein de ma mre ;
Il veut mon repentir, mais il veut que j'espre.
0 toi, qui sur ces monts blanchis par les hivers
Vins chercher les frimas, un tombeau, des dserts;
Et qui volant plus haut par ton amour extrme
Semblais, voisin du ciel, habiter le ciel mme,
Que j'aime voir tes pas empreints en ces saints lieux!

Le berceau de ton Ordre est cach dans les cieux ;


C'est l que, du Seigneur rptant les louanges,
La voix de tes enfants s'unit au chur des anges :
L de ses faux plaisirs, par le sicle gar,
Le voyageur pensif a souvent soupir.
Ces rochers, ces sapins, ce torrent solitaire,
Tout parle, tout m'instruit mpriser la terre
La terre, o le bonheur est un fruit tranger,
Que toujours quelque ver en secret vient ronger :
Partout de la douleur j'y trouve les images;
L'amour a ses tourments, l'amiti ses outrages.
Que de dsirs tromps! de travaux superflus !

Vous qui vivant pour Dieu, mourez dans ces retraites,


Heureux qui vient vous voir dans ce port, o vous tes ;
Mais plus heureux cent fois celui qui n'en sort plus.

v.
Usi de' Certosini in morte.
Dopo una vita s bella, dice uno scrittore

pi volte citato1, quale dev'essere la morte
del Certosino ? Quand'egli sente che l'anima
sua sta per rompere i vincoli che la legano al
corpo, raccoglie tutte le sue forze per lasciare
la terra da degno figliuolo di S. Brunone. Alla
presenza di tutta la Comunit riceve gli ultimi
sacramenti ; ed ogni suo confratello viene
1 Lefebvre.
commosso a dargli l'estremo bacio di pace. Vi-
cino a spirare, ancora s'unisce a' canti ed alle
preci de' suoi fratelli, che gli stanno attorno.
Spargesi sopra il suo volto il pallor della
morte ; ma il suo aspetto par che riverberi un
raggio della celeste felicit. Non s'ode un la-
mento : i suoi confratelli mormorano una pre-
ghiera, nella quale lasciano sfuggire un grido
d'amore : i suoi occhi son rivolti al cielo : egli
aspetta quel supremo istante che spiccher il
volo verso la patria, ad unirsi per sempre con
Dio. Intanto offre la sua vita per il bene della
Chiesa, e la salute del suo prossimo.
Reso ch'egli ha l'estremo sospiro, mentre
nel pratello del gran chiostro si scava una fos-
sa, i confratelli del trapassato ne lavano pia-
mente il corpo, gli mettono il suo abito e la
sua cocolla, gli calano gi il capuccio, e por-
tano in chiesa quella cara spoglia, ponendola
sopra una semplice tavola Gli si mette tra le
mani giunte una corona del santo Rosario, da
cui non s' mai separato; e colla cui recita
ha ogni d intrecciato ed offerto a Maria Ss.
una corona di rose. Allora vengono a due a
due per pregare e far la veglia accanto a colui,
ch'essi amarono con puro affetto. Il giorno
appresso, il Priore offre il santo Sacrifizio, tra

a Anticamente era posta su cenere benedetto.


i canti gravi e solenni della Comunit ; e il
corpo del Certosino, al ripetuto suono della
campana, vien deposto nella fossa, senza fere-
tro, ma solo involto nei suoi abiti monastici :
talch sembra che si voglia, eziandio nella
tomba, far praticare la povert, di cui aveva
fatto voto in vita. Una semplicissima croce di
legno, senza iscrizione, segna il luogo della
sua sepoltura. Non basta forse, la croce ?
I Certosini hanno cura di conservare le care
memorie ; essi scrivono il nome del loro con-
fratello nell'obituario (catalogo de' morti) del
Convento, e pregano per lui. Qual cristiano
non desiderebbe di avere la suprema consola-
zione, di sapere che riposer, aspettando il
giorno della risurrezione, in mezzo de' suoi
diletti fratelli, che conserveranno piamente
memoria di lui, e continuamente pregheranno
il Signore di riceverlo nella sua misericordia?
Fu S. Brunone che volle il cimitero de'
suoi figli e fratelli nel chiostro delle Certose ; 1
acciocch, dovendo essi frequentemente passar
di col per andare in chiesa, lor ricordasse
ognora la morte, il totale spogliamento a cui
essa riduce tutte quante le persone di qualsi-
voglia grado, l'eguaglianza nel sepolcro : scep-
tra ligonibus cequat. Il qual detto del poeta
~Cmeterium, in quo defuncti nostri divisi sepeliuntur,
sit in claustro. Ordinationes etc. XIV.
potrebbe tradursi colle parole scritte da un
austero religioso su di un teschio, che tenevasi
in cella : Fu egli un re od un pecoraio ?
Un recente scrittore, rammentando usi anti-
chi e moderni de' Certosini, ne descrive la se-
poltura cos : Morto il Certosino sul suo let-
to di assi, lo si radeva, lo si lavava, lo si
rivestiva del suo abito bianco, nelle sue mani
giunte sul petto si metteva una piccola croce
di legno, indi lo si portava in coro. Si cantava
l'Uffizio; dopo il quale, ogni Fratello gli pas-
sava davanti, e con gravit lo salutava. Allora
lo si trasferiva al luogo della sepoltura, che
ordinariamente era nel pratello del gran chios-
tro, lo si deponeva pianamente nella fossa, e
gli si calava gi sulla faccia il cappuccio, come
per dormire un ultimo sonno. E il santo reli-
gioso cos dormiva fino al risvegliarsi di tutti i
morti alla voce di Dio, piamente sepolto e im-
balsamato colle preghiere, le lagrime e i fiori
de' suoi Fratelli. Oh! com' dolce il morire
cos!
Si disse gi che i Certosini usino di scavare
ogni d la lor fossa, levandone una palata di
terra ; il che non vero n de' Certosini n
de' Trappisti. Tal fantasia pu esser nata da
ci che i Trappisti tengono sempre nel cimi-
tero una fossa mezzo scavata, che servir per
il primo chiamato a partire da questa terra
d'esiglio ; ed' pratica tra loro raccomandata,
libera nondimeno, di recarsi di quando in
quando a contemplarla dicendo : Forse sar
la mia !
altres falso che i Certosini e i Trappisti
incontrandosi, dicono : Fratello, bisogna mo-
rire ! Il vero si che non dicon niente ; per-
ch la legge del silenzio vieta non meno le pa-
role edificanti che le vane ed inutili. Fu quella
una pratica degli Eremiti di S. Paolo, detti in
Francia Frati della Morte, perch portavano
sullo scapolare una testa di morto, e perch i
loro ezercizi erano ordinati a render loro fami-
gliare il pensiero della morte. Incontrandosi,
si salutavano dicendo : Memento mori : ricor-
dati che bisogna morire I.
Ma se i Certosini non hanno tal pratica, la
lor regola per e tutti i loro esercizi, per lo spi-
rito e il modo con cui sono fatti, mirano al
medesimo scopo ; che il pi importante fra
quanti l'uomo se ne possa prefiggere su questa
terra ; cio di prepararsi a fare una buona
morte, per assicurarsi l'eterna felicit. Che
giova, che giova mai all'uomo guadagnare an-
che tutto il mondo e poi perdere l'anima ? Una
sola la cosa veramente necessaria, dice anco-
ra N. S. Ges Cristo nel Santo Evangelo:

1 V. Berseaux, l'Ordre des Chartreux.


pensare da senno a salvarsi, coll'amare e ser-
vire Iddio fedelmente. Questa l'ottima parte,
che il Certosino si eletta, e procura di otte-
nere seguendo le Regole e gli esempi di S.
Brunone. Tutte le altre cose in morte ci saran-
no tolte irremissibilmente ; questa non ci sar
tolta in eterno.
INDICE

LIBRO PRIMO

CAPITOLO I. La citt di Colonia, patria di


S. Brunone... ,
i
CAPITOLO Il. Natali, primi anni e primi studii

di S. Brunone .
II
CAPITOLO III. Studii, laurea, contegno di Bru-
none a Parigi 19
CAPITOLO IV. Brunone torna a Colonia; dov'
ordinato sacerdote e fatto canonico 29
CAPITOLO v.
La chiesa e
la scuola di Reims.. 36
S. Brunone chiamato e va
CAPITOLO VI. ad in-
segnare, e a reggere la scuola di Reims... 52
-
CAPITOLO VII. Insegnamento di Brunone... 61
CAPITOLO VIII. Santi esempii di Brunone...
CAPITOLOIX. -Scandali dell'Arcivescovo Manasse:
zelo di Brunone
70

78
CAPITOLO x.
Traversie di Brunone costretto a
lasciare Reims ; sua pazienza e costanza ; mise-
ra fine di Manasse 87
Ritorno
CAPITOLO XI. di Brunone a Reims : suo

tico
................
voto di fuggire il mondo e vestir l'abito monas-
101
CAPITOLO XII.
Partenza di Brunone da Reims :
un terribile avvenimento gli fa troncare ogni
indugio all'adempimento del voto : S. Roberto
lo riceve in Molesme * 112
CAPITOLO XIII.
Brunone, consigliatosi ancora
con S. Stephano di Mureto, s'avvia a Grenoble ;
accoglienza che vi ha dal Vescovo S. Ugo... 124
CAPITOLO XIV.
S. Ugo Vescovo di Grenoble : ac-
coglienza che fa a Brunone e ai .suoi compagni. 131

LIBRO SECONDO

CAPITOLO I.
La Certosa : principii 139
CAPITOLO II.
Primi anni della Gran Certosa.. 149
CAPITOLO III.
S. Brunone alla Certosa di Gre-
noble 164
CAPITOLO IV.
S. Brunone, chiamato dal B. Ur-
bano II Papa, lascia la Certosa di Grenoble.. 175
Viaggio di S. Brunone dalla
CAPITOLO v.
Certosa a Roma, ed in Sicilia ; accoglienza che
v'ha dal Papa, e dal Conte Ruggiero 181
CAPITOLO VI.
Una penosa traversia 194
CAPITOLO VII. Brunone ricusa l'archivescovado di
Reggio; va a Roma per mandato del Papa, che
li concede un sito alle Terme di Diocleziano.. 204
S. Brunone, ottenuta dal Papa
CAPITOLO VIII.
licenza di ritirarsi, fonda la Certosa di Calabria. 2I3
CAPITOLO IX.
Principii della nuova Certosa :
visita del Conte Ruggiero 223
CAPITOLO x.
Costruzione de' primi edifizi del-
la nuova Certosa ; sue facolt e privilegi... 232
CAPITOLO XI. S. Brunone, richiamato dal Papa,
assiste al concilio di Troia : altra visita e nuovo
privilegio del Conte Ruggiero alla Certosa : Bru-
none gli battezza un figliuolo 238
CAPITOLO XII.
Concilio di
Piacenza ; prefazio
della B. Vergine; riconciliazione di Siena... 247
CAPITOLO XIII.
S. Brunone promuove la crocia-
ta. Un' apparizione alla Certosa di Grenoble.. 259
CAPITOLO XIV.
Ritorno di S. Brunone all'eremo :
Costruzione di nuovi edifizi : Elezione di nuovo
Vescovo di Squillace 267
CAPITOLO xv.
Lettera di S. Brunone a Rodolfo
le Verd 275
,
CAPITOLO XVI. S. Brunone salva prodigiosamen-
te la vita al Conte Ruggiero : S. Anselmo d'Aos-
ta e il B. Urbano II sotto le mura di Capua.. 288
CAPITOLO XVII.
S. Brunone salva la vita e la li-
bert a' congiurati di Capua 298
CAPITOLO XVIII.
Il B. Lauduino alla Certosa di
Calabria : Lettera di S. Brunone a' Certosini
di Grenoble 3o5
CAPITOLO xix.- Prigionia e morte del B.Lauduino. 3I3
CAPITOLO XX.
Morte del B, Urbano II, et del
Conte Ruggiero 320
CAPITOLO XXI.
Ultima infermit, morte e se-
poltura di S. Brunone
CAPITOLO XXII.
Glorificazione ....... 325
332

LIBRO TERZO

DELLE REGOLE E CONSUETUDINI CERTOSINE 35 I


CAPITOLO i.
Regole e Consuetudini antiche.. 352
CAPITOLO Il.
Regole e Consuetudini moderne.. 365
Art. I. Il solitario 366
Art. II. Il cenobita 381
I. I Superiori 382
II. I Sudditi ' 391
III. Abito de' Certosini 404
IV. Di alcuni usi e costumi de' Certosini in
vita
......
V. Usi de' Certosini in morte
406
413

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