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ALESSANDRO BARATTA Universita del Saarland CHE COSA E LA CRIMINOLOGIA CRITICA? * a cura di Victor Sancha Mata VICTOR SANGHA MATA: Professor Baratta, cos't Ie Criminologia critica? ALESSANDRO BARATTA: La Criminologia “criti- | ca” € una direzione della sociologia giuridico-penale e della sociologia criminale che si distingue dalla crimi- nologia “tradizionale” per un cambiamento dell’ogget- to e del metodo intervenuti rispetto ad esse. La erimi- j nologia tradizionale definisce se stessa come una scienza | delle cause della criminalita e delle condizioni (bio- psichiche e sociali) che fanno dell"‘uomo delinquente” | un individuo diverso rispetto ai cittadini rispettosi della _ legge. Essa dunque é legata al “paradigma eziologico”. A partire dagli anni ’40 si é sviluppato invece, nel- &s sociologia della devianza e nella criminologia, un nuo- vo modello basato essenzialmente sulla “dereificazio- ne” dei concetti di devianza e di criminalita. Si é tenu- ; te conto, in effetti, che “devianza” e “criminalita” non sono qualita ontologiche o “naturali” di comportamenti © persone, ma piuttosto qualita che sono loro attribui- te attraverso processi-di definizione e di reazione so- ciale, informali ed istituzionali. L’oggetto della sociolo- Sa della devianza si é venuto in tal maniera spostando | dalle cause della devianza alle condizioni che presie-_ dono alla definizione di comportamenti e persone co- me devianti e alle reazioni sociali corrispondenti in una determinata societa, cioé dalle condizioni della crimi-_ nalita a quelle della criminalizzazione. In questo senso _ la Criminologia critica abbraccia lo stesso campo di in- dagine della sociologia giuridico-penale. Questo sviluppo é stato determinato tra l’altro dal- la considerazione che, dal punto di vista epistemologi- co, una teoria delle “cause” 0 “condizioni” della crimi- aalita € assai problematica, perché rispetto ad oggetti definiti da norme e valutazioni sociali non pud essere realizzata una ricerca eziologica, ma devono essere in- nanzi tutto analizzate le norme e le valutazioni sociali che condizionano la definizione di tali oggetti. A que- _ sto tipo di oggetti appartengono senza aleun dubbio la “criminalita” ed i “criminali”. Applicare a questi oggetti il modello della ricerca causale-naturalistica rappresenta una “reificazione” dei risultati delle definizioni, che ven- gono considerati come cose esistenti indipendentemen- te dalle definizioni stesse. E cid occorre effettivamente nella criminologia “tradizionale”, nella quale general- mente le norme e le valutazioni sociali restano fuori dalloggetto di indagine. Il “paradigma della definizione” o “della reazione | sociale” corrisponde al nuovo approccio, che ha trasfor- miato la teoria della reazione sociale. Le norme e le va- » lutazioni che li condizionano, la struttura comunicati- va e le interazioni sociali nelle quali i processi di defi- nizione si realizzano, costituiscono l’oggetto preminente di indagine. Si tratta di una vera “rivoluzione scientifi ca”, nel senso in cui questa espressione é stata usata da Thomas Kuhn, un noto teorico della seienza, e cioe un “cambio di paradigma” che interessa Poggetto e la prospettiva stessa di una disciplina scientifica. Nel ca- so della nuova teoria della devianza e della criminalita, si tratta del risultato delutilizzazione, in questi settori della moderna sociologia, del cosiddetto “approccio del- Yetichettamento” (labelling approach), che si é svilup- pato seprattutto nel quadro dell'interazionismo simbo- lico, una insportante corrente della sociologia e della sociolinguistica, che ha alle sue origini 'opera di Alfred Schutz e di George Mead. Liimpatto dell’approccio dell’etichettamento sulla nozione stessa di devianza risulta evidente se conside- riamo, per esempio, una classica definizione di Howard Becker, nel suo libro Outsider del 1963, secondo la qua. ‘le deviante é quel soggetto “cui é stata applicata con _successo |'etichetta di deviante”. Tuttavia Putilizzazione dell approccio dell’etichet- ; tamento é solo una condizione necessaria, ma non suf. ficiente, secondo la mia opinione, per poter qualificare | come “critica” una teoria della devianza e della crimi-_ nalita. Se la qualita e lo status sociale di deviante e di criminale sono il risultato di processi di definizione e- di etichettamento, come é distribuito in una determi- nata societa il potere di definizione? In che maniera_ sono distribuite le possibilita di venire etichettato co- _ me deviante, di vedersi attribuito lo stato sociale di cri- minale? In una criminologia “critica” queste questioni non sono meno centrali di quelle relative ai processi di definizione. Dvaltra parte, l'analisi storica e sociologica hanno mostrato abbondantemente che il potere di definizio- ne e la possibilita di vedersi attribuito lo status sociale di deviante sono distribuiti in modo disuguale tra indi- vidui e gruppi, e che questa diseguaglianza corrispon- de a quella nelle relazioni di potere e di proprieta: che i meccanismi di definizione e di reazione sociale alla — devianza sono inseriti nei conflitti di potere e di inte- resse che caratterizzano la societa in un momento de- terminato del suo sviluppo. Orbene, quando, oltre la “di- mensione della definizione” anche la “dimensione del potere” é suificientemente sviluppata, si realizzano le condizioni minime, secondo il criterio di classificazio- ne che propongo, per poter qualificare come “critica” una teoria della devianza e una criminologia. VICTOR SANCHA MATA: Vorrei rimanere sulla teoria del labelling approach. Nelappendice all'edi- zione spagnola del suo libro Criminologia critica e cri- tica del diritto penale Lei afferma che la critica “di si- nistra” ha denunciato i possibili effetti mistificanti propri del labelling approach in un contesto idealista. Potreb- be enumerare questi effetti? Ce ee ee mC ner ec on ee ee ALESSANDRO BARATTA: In primo luogo, l’uso del "labelling approach in un contesto idealista e soggetti- vista pud condurre a sottovalutare conflitti e problemi “reali” ed effettive situazioni di sofferenza, aggressio- ne ed ingiustizia di cui sono vittime individui e gruppi. Vaffermazione secondo cui la criminalita non é un fat- to naturale bensi il risultato di definizioni, implica che “tali situazioni possano considerarsi come non aventi al- _cuna relazione con la “realta”. La critica di sinistra al labelling approach ha fatto si che si esninesse que- sto alibi relativista rispetto a situazioni negative ampia- mente diffuse nella nostra societa. Negare la visione ri- duzionistica con cui solo una parte di dette situazioni viene privilegiata nell’attenzione del pubblico con l’at- tribuirle una qualita “naturale” di crimine, deve servi- re ad una percezione pit adeguata dei conflitti e dei problemi, ¢ non a scrollarsi la responsabilita di pren- dere posizione di fronte ad essi. { In secondo luogo, riconoscere che l'intervento del- la giustizia penale su conflitti e problemi non é adatto _ alla loro soluzione, e che spesso invece ne produce di nuovi; che il carcere ed altre misure privative della li- bert hanno effetti stigmatizzanti e marginalizzanti, pud determinare, incoerentemente, una generale attitudi- ne di “radical no intervention”: anziché un impegno a " cereare interventi pitt adeguati e pitt giusti. Ora, seb- _ bene é certo che per talune classi di situazioni “pro- * | blematiche” pud seriamente discutersi se, comparan. | do costi e benefici, non sarebbe pitt opportuno evitare / qualsiasi tipo di intervento, cid deve essere considera- to un’eecezione, essendo la regola la correzione di terventi inadeguati ¢ la loro sostituzione con interven- “ti “miglior’”. In terzo luogo, riconoscere il carattere selettivo e frammentario dell'intervento penale, e la sua tenden- za a criminalizzare soprattutto individui appartenenti ai gruppi pitt deboli « marginali nella societa, pud de- terminare una disposizione degli studiosi del sistema punitivo ad occuparsi solo o soprattutto di quei grup- pi, della loro situazione di clienti privilegiati di tale si- stema. In questo modo, contrariamente all'intenzione degli studiosi stessi, si riproduce lo stereotipo dominante del criminale, che corrisponde sostanzialmente all’im- magine di individui che stanno nel punto pit basso della seala sociale; mentre condotte di maggiore dannosita sociale realizzate da parte di individui dotati di uno sta- tus sociale elevato (si pensi alla criminalita organizza- ta, ai delitti economici ed ecologici, in generale alla cri- minalita dei “colletti bianchi”) possono rimanere fuori dal campo di indagine. Ho ripreso in questo modo i tre punti con i quali ho presentato, nel libro da Lei citato, la critica di “sini- stra” al labelling approach, critica rappresentata da au. tori come A. Gouldmer, A. Liazos, A. Thio e W. Kee- Keisen. Ora vorrei sottolineare la necessita — per evi tare confusioni — di stabilire la differenza fondamen- tale fra questa critica e la critica di “destra”. Con que- sto termine si possono qualificare le critiche alla teo- nia delPetichettamento orientate ad una restaurazione del modello tradizionale di criminologia, a riprodurre la reificazione della criminalita come un fatto sociale preesistente alla sua definizione. In questo moda, la cri- tea di destra é impegnata nell’assicurare la conserva- zione del sistema penale attuale, difendendolo dalla crisi di legittimita scientifica e politica che lo investe. La cri.» tica di “sinistra” non ha nulla in comune con questa nuova versione della concezione “ontologica” della cri- minalita. Tuttavia, anche nel suo ambito si é sviluppata una corrente di pensiero, il “neorealismo di sinistra”, che, nonostante i suoi preziosi apporti nella analisi del fe. nomeno criminale ¢ del sistema della giustizia penale, , ; non ha potuto sempre evitare il rischio di contribuire _ al restaurarsi della criminologia tradizionale, nel pro- porre una “nuova eziologia” ed un impegno “serio” in difesa dell’ordine pubblico, attraverso il diritto penale Mi riferisco agli ultimi lavori di Jock Young, uno dei padri della criminologia critica, come anche ad altri stu diosi che collaborano con lui al Middlesex Polytechnic di Enfield (Londra), come John Lea e Roger Matthews. Questo tipo di tendenze realiste si ¢ manifestato anche in altri paesi, nel quadro di cid che é stato definito da D. Melossi la “crisi della criminologia critica”. In realta, io non mi sono mai preoccupato troppo di questa “crisi”. Se essa é reale, ha rappresentato e rap- presenta un’occasione per approfondire e sviluppare il modello teorico della criminologia critica, per risolve- re problemi che restavano aperti all'interno del suo di- scorso. DYaltro canto, non si puo negare che in questa “eri- si” vi siano rischi di involuzione. Per parte mia ho sem- pre cereato di evitare questi rischi e di contrastare le tendenze involutive. II mio sforzo si unisce a quello di altri rappresentanti della criminologia critica in Germa: nia ed in Italia come G. De Leo, M. Pavarini, T. Pitch, F. Sack, G. Smaus ed altri. Volendo fare una polarizzazione dei due tipi di cri- tica, quella di “destra” e quella di “sinistra” che ovvia- mente non pué tener presente tutta la gamma di posi- zioni realmente esistenti al momento — si pud dire che la prima tende a negare il problema dell’etichettamen- to retrocedendo rispetto alla sua introduzione nella teo- ria della devianza e della eriminalita: mentre la secon- da cerca di sviluppare un “corretto uso” del labelling approach evitando le conseguenze del suo uso ideali- sta. Si tratta insomma di andare oltré il labelling ap- _ proach, ma attraverso di esso. Si veda la discussione che ¢ stata portata avanti, anche nella rivista “Dei De- litti e delle Pene”, sul neorealismo di sinistra e sull’a- bolizionismo, Nel mio lavoro attuale mi trovo impegnato nella ri- | cerca di soluzioni teoriche che evitino il relativismo sen- za cadere su posizioni giusnaturalistiche o dogmatiche. | Si tratta di integrare la considerazione della sfera sog- Settiva nei processi di costruzione sociale della realta con quella della sfera materiale, ossia la struttura dei rapporti sociali di produzione, ¢, allo stesso tempo, di integrare la prospettiva microsociologica con quella ma- crosociologica. In questo senso mi sembra che il lavo- ro all'interno di una criminologia critica si incontri og: &i con tre ordini di question 1) le questioni relative alle condizioni materiali dei Processi soggettivi di definizione della criminalita: 2) le questioni relative agli effetti o — in un’interpre- | tazione sistemica di essi — alle funzioni della costru- zione sociale della criminalita, ossia agli effetti o fun- zioni che la sua immagine esercita sulla societa: | 3) questioni relative alla definizione della negativita sociale da un punto di vista esterno al sistema penale istituzionale ed allimmagine della criminalita nel sen- } so comune. Si tratta della ricerca di cid che altrove ho definito “referente materiale” delle definizioni della cri- minalita. 1. Per quanto riguarda la prima serie di questioni, si | trata di andare al di 1a dei risultati cui é pervenuta la teoria della costruzione dei problemi sociali nell'ambi- to dell’interazionismo simbolico ¢ dell’etnometodolo- gia. Prendiamo come esempio i libri dedicati a questa materia da M. Spector e J. Kitsuse nel 1962 e da JR. Gusfield nel 1981. Si tratta indubbiamente di contri- buti importanti, che hanno mostrato linsostenibilita del realismo ingenuo e del dogmatismo come forme per af- 1. seamen frontare questo tipo di ricerche. Essi hanno messo in evidenza in modo molto efficace la relativita dei punti di vista e delle operazioni della realta che determina- no, nell’opinione pubblica e nelle istituzioni, una nuo- va attenzione a determinate situazioni, le quali vengo- no interpretate come tanto “problematiche” da rende- re necessario l’intervento del sistema della giustizia pe- nale. Questi lavori hanno parimenti mostrato i proces- si ed i meccanismi mediante i quali quelle situazioni vengono “drammatizzate” nell’opinione publica e nella sfera politica; la funzione esercitata dagli “imprendito- ri morali” e dalle campagne di opinione pubblica in que- sti processi Tuttavia l'analisi della costruzione sociale dei pro- blemi non pud ridursi al riconoscimento dei processi soggettivi che in essa agiscono. Perché é stata creata ed alimentata, da parte degli “imprenditori morali”; una determinata percezione della realta e non un’altra? Que- sto interrogativo, eluso dagli autori summenzionati, non pud essere accantonato senza cadere in un relativismo storicistico, in cui i processi soggettivi di definizione so- no considerati come variabili indipendenti, o in un ir- razionalismo metodologico come quello che caratterizza Vopera di Gusfield, il quale palesemente esclude la pos- sibilita di un discorso scientifico che spieghi ¢ non so- lo deseriva quei processi: che li studi come variabili dipendenti e ne cerchi le condizioni nella struttura cul- turale e materiale della societa. Qui emergono i limiti delPapplicazione idealistica dellinterazionismo simbo- lico, quando esso non si presenta come uno strumento di analisi dei processi linguistici e comunicativi (stru- mento importante e, a volte, insostituibile) quanto piut- _tosto come una concesione della realta, opposta al rea- lismo naturalista ma non meno ingenua di questo, che riduce la realta sociale a tali processi. In un discorso esplicativo pit adeguato i soggetti ¢ Pobiettivita sociale stanno in una relazione “dinami- { ca” tra di loro; cid significa che i processi della sfera soggettiva sono considerati, a seconda dell’oggetto spe. calico dell'analisi, come variabili dipendenti o indipen. | denti. Le condizioni oggettive precostituite dalla strut: tura materiale ¢ culturale della societa hanno conse- guenze sulla sfera soggettiva. A loro volta, i risultati dei | Processi soggettivi influenzano e trasformano la sfera | oggettiva della realta. 3 Una delle principali caratteristiche di cié che po- tremmo definire la “reazione” della teoria dell’etichet- tamento all’interno della criminologia critica tedesco- occidentale rappresentata da F. Sack, G. Smaus, W. Kee- keisen e da altri studiosi tra i quali colloco anche me stesso, ¢ lo sforzo di trovare una mediazione fra linte- | razionismo simbolico ed una teoria materialista della _ societa di ispirazione marxiana. Questa mediazione non _ ba come obiettivo, ovviamente, quello di costruire una teoria eclettica; si tratta, al contrario, di utilizzare me-_ todi di analisi dell'interazione e della struttura comu- nicativa all’interno della societa elaborati dall’interazio- nismo simbolico senza ridurre il concetto di realta alla \ sola costruzione soggettiva, come avviene in autori quali Berger e Luckmann. Si tratta, peraltro, di prendere in considerazione in- terpretazioni e moderni sviluppi del marxismo che non lo riducono ad una teoria economicista, ma danno am- pio spazio, nella analisi della societa, agli elementi ideo- logici. La relazione fra struttura materiale e sovrastrut- ‘ura culturale é costituita, in questo caso, non come re- _ lazione lineare fra causa ed effetto, bensi come relazio-_ ne dialettica, in cui entrambe si influenzano reciproca- mente. In questo senso, autori come A. Gramsci, M. Pou- | tantzas, cosi come J. Habermas e K. Offe, svolgono un ruolo particolarmente importante. Dobbiamo tener con- ®9, inoltre, di recenti interpretazioni dell’interazionismo en simbolico, delle fonti di questa corrente del pensiero sociologico, che hanno posto in rilievo che quegli au- tori non hanno affatto disconosciuto la struttura mate- riale della societa nel porre le basi di una ricerca socio- linguistica. In un recente saggio del tedeseo H. Jonas € stato messo in evidenza che Schutz e Mead tennero conto del mondo del lavoro e della produzione inter- pretandolo non soltanto come una struttura simbolica. I programma di una integrazione dell’approecio ma- terialistico con quello interazionistico all’interno di una criminologia critica fa sorgere una questione epistemo- logica che W. Keckeisen in un libro del 1974 sul label- ling approach ha formulato cosi: “In che modo una teoria orientata a strutture e sviluppi oggettivi pud es- sere mediata con un tipo di analisi del senso avente per oggetto il linguaggio, la coscienza e l’agire”. Questa que- stione rimanda ad una problematica che ha acquistato un ruolo eminente nella recente discussione sul mar- xismo: quella relativa ad una corretta determinazione del rapporto tra soggetto e oggetto, e tra la prospettiva microsociologica e quella macrosociologica, nel quadro di una teoria storico-materialistica. Specialmente Sar- tre ha affrontato tale problematica nell’ambito del suo tentativo di trovare una mediazione tra le scienze so- ciali moderne ed il marxismo e di elaborare una epi- stemologia realistica. Secondo Sartre non si tratta né di “risolvere il rea- le nella soggettivita” né di negare ogni elemento speci- fico di soggettivita a favore dell oggettivita. Si tratta piut- tosto, di concepire la soggettivita come “un momento del processo oggettivo” (dell'interiorizzazione di cid che ¢ esteriore): e cioé come un momento “che viene con- tinuamente superato per rientrare sempre di nuovo in gioco”. Ritengo che in una simile direzione possano es- sere rinvenute le condizioni per integrare |’analisi del- le forme “soggettive” della costruzione della realta so-

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