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BREVE CORSO DI EQUAZIONI

DIFFERENZIALI ORDINARIE

Giovanni Maria Troianiello


9 gennaio 2013
Indice

1 Equazioni del I ordine 3


1.1 Funzioni a valori complessi e operatori differenziali lineari . . . . . . . . . . . 3
1.2 Il coefficiente variabile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7
1.3 Equazioni nonlineari con la separazione della variabili . . . . . . . . . . . . 9
1.4 Equazioni autonome . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12
1.5 Equazioni differenziali esatte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16
1.6 Lequazione di Bernoulli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19

2 Equazioni di ordine superiore al primo 22


2.1 Le equazioni del II ordine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22
2.2 Equazioni lineari omogenee . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24
2.3 Il metodo dei coefficienti indeterminati per le equazioni del II ordine . . . . . 27
2.4 La risonanza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28
2.5 Espressione esplicita delle soluzioni della non omogenea . . . . . . . . . . . . 31
2.6 Le equazioni lineari di ordine N . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34
2.7 Equazioni lineari a coefficienti variabili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38
2.8 Estensioni del metodo di separazione delle variabili . . . . . . . . . . . . . . 41

3 Sistemi lineari a coefficienti costanti 43


3.1 Sistemi lineari omogenei Matrici diagonalizzabili, matrici triangolarizzabili 43
3.2 Esistenza e unicita per i problemi di Cauchy . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47
3.3 Determinanti wronskiani Stabilita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51
3.4 Tecniche risolutive per i sistemi di 2 equazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . 53
3.5 Tecniche risolutive per alcuni tipi di sistemi di N equazioni . . . . . . . . . 58
3.6 Esponenziali di matrici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61
3.7 Sistemi lineari non omogenei . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 64
3.8 Autovettori generalizzati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67

4 La teoria generale 73
4.1 Teorema delle contrazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73
4.2 Teorema di CauchyLipschitz per il Problema di Cauchy . . . . . . . . . . . 75
4.3 Prolungamenti di soluzioni e intervalli massimali . . . . . . . . . . . . . . . . 78
4.4 Il Lemma di Gronwall . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80
4.5 Applicazioni del Lemma di Gronwall . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81
4.6 Stabilita per i sistemi non lineari autonomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . 86

1
4.7 Il piano delle fasi di un sistema bidimensionale autonomo . . . . . . . . . . 88

2
Capitolo 1

Equazioni del I ordine

1.1 Funzioni a valori complessi e operatori differenziali


lineari
secI1-3

Per R la regola di derivazione delle funzioni composte da immediatamente

Det = et (1.1) I-1.1

e piu in generale
Dk et = k et , k N. (1.2) I-1.2
E difficile sopravvalutare limportanza della (1.2) in Analisi Matematica. Essa ci dice nien-
tedimeno che applicare k volte alla funzione t 7 et loperatore di derivazione e la stessa
cosa che moltiplicarla per lo scalare k . Si tratta di una proprieta ben nota per reale fin
dagli inizi dello studio del Calcolo, ma per farle giocare linsostituibile ruolo che e il suo nello
studio delle equazioni differenziali si rivelera conveniente, come vedremo fra breve, estenderla
a valori complessi = + i con , R. A tal fine partiamo dallidentita di Eulero

et = et (cos t + i sin t).

Derivando otteniamo

D(et cos t) = et ( cos t sin t), D(et sin t) = et ( sin t + cos t)

ovvero
D[et (cos t + i sin t)] = ( + i)et (cos t + i sin t)
da cui la (1.1), e quindi la (1.2), anche per C.
Adesso possiamo studiare per ogni a C le equazioni differenziali lineari piu semplici
che esistano: lomogenea
y 0 + ay = 0 (1.3) I-3.1
e la non omogenea
y 0 + ay = f (t) (1.4) I-3.2

3
con f (t) (a valori complessi) almeno di classe C 0 in un intervallo aperto I.
Alla (1.3) gia si riconducono alcuni modelli di importanti fenomeni fisici o biologici: il
decadimento radioattivo (y(t) denota la quantita del materiale radioattivo presente al tempo
t, mentre a e una costante reale positiva che dipende solo dalle caratteristiche chimiche del
materiale stesso), levoluzione numerica di una popolazione secondo la teoria malthusiana
(y(t) denota la quantita presente al tempo t ed a e una costante reale uguale alla differenza
tra il tasso di mortalita e quello di natalita, supposti costanti), eccetera. La (1.4) governa
ad esempio il modello newtoniano della caduta libera di un corpo in un mezzo resistente
(con: y(t) = velocita di caduta; a = k/m dove la costante k caratterizza la forza dattrito
ky(t) del mezzo e m e la massa del corpo; f (t) = g accelerazione di gravita) o quello della
variazione nel tempo della temperatura y(t) di un corpo posto in un ambiente di temperatura
uguale a f (t)/a con a > 0 (la rapidita y 0 (t) con cui varia y(t) e proporzionale, con fattore a,
allo scarto f (t)/a y(t)).
La (1.1) ci permette di constatare in un attimo che la funzione eat e una soluzione
(su tutto R) della (1.3), e quindi e tale ogni Keat con K arbitraria costante complessa;
se in particolare a e reale noi ci interessiamo alle sole soluzioni reali, prendiamo come K
unarbitraria costante reale. Ci sono altre soluzioni, definite in qualche intervallo aperto I?
Facciamo vedere che la risposta e negativa, servendoci di una tecnica che chiamiamo della
funzione ausiliaria (malgado questo sia un termine cos generico da rischiare la vacuita).
Una qualunque funzione derivabile y(t) definita in I si scrive come prodotto v(t)eat con v(t)
(la funzione ausiliaria) da determinare, e verifica

y 0 (t) + ay(t) = [v(t)eat ]0 + av(t)eat = v(t)[(eat )0 + aeat ] + v 0 (t)eat = v 0 (t)eat . (1.5) I-3.3

Se y(t) e soluzione della (1.3) in I, il primo membro si annulla e quindi v 0 (t) = 0 ovvero
v(t) = costante. Ne segue che devessere

y(t) = Keat (1.6) I-3.4

per t in I (e di conseguenza I = R). Abbiamo cos visto che lintegrale generale dellequa-
zione differenziale (1.3) e Keat , t R. Questo implica che le soluzioni costituiscono uno
spazio vettoriale di dimensione 1; come campo degli scalari prendiamo C se ci interessiamo,
per a reale o complesso che sia, alla famiglia delle soluzioni complesse, e invece R se a e reale
e ci interessiamo alla famiglia delle soluzioni reali. Le singole soluzioni dellequazione, cioe
gli integrali particolari, si ottengono volta per volta fissando la costante K dellintegrale
generale. Cos, dati comunque t0 in R e u0 in C o in particolare in R, uneventuale soluzione
y(t) della (1.3) che soddisfi anche la condizione iniziale o di Cauchy

y(t0 ) = u0 (1.7) I-3.5

e lintegrale particolare univocamente determinato dalla richiesta Keat0 = u0 . Riassumen-


do: per ogni scelta di t0 e di u0 il problema di Cauchy (1.3),(1.7) ammette ununica
soluzione, data dalla funzione (1.6) con K = u0 eat0 .
Anche per lequazione non omogenea si rivela utile lutilizzo della funzione ausiliaria v(t).
Questa pero non potra piu assumere valori costanti come nel caso dellomogenea, ragion

4
per cui il metodo e detto di variazione delle costanti. Infatti dalla (1.5) segue che una
funzione y(t) = v(t)eat , di classe (almeno) C 1 in I, soddisfa la (1.4) se e solo se

v 0 (t)eat = f (t) (1.8) I-3.6

ovvero Z t
v(t) = K + eas f (s) ds
t0

(t0 , t I). Ne segue che le soluzioni della (1.4) sono tutte e sole le funzioni della forma
Z t 
at
y(t) = Ke + e f (s) ds eat
as
t0

cioe Z t
at
y(t) = Ke + ea(ts) f (s) ds (1.9) I-3.7
t0

(e indifferente che si metta la quantita eat allinterno o allesterno dellintegrale in ds).


Abbiamo dunque ottenuto lintegrale generale della R t non omogenea (1.4) come somma di
at a(ts)
Ke , integrale generale dellomogenea (1.3), e di t0 e f (s) ds, integrale particolare
della non omogenea stessa. Vale la pena di osservare che questultimo si scrive come
Z t
Y (t s)f (s) ds
t0

dove Y (t) e a sua volta una soluzione particolare, ma dellomogenea: quella che vale 1 in 0.
Per s fissato in I, dunque, la funzione t 7 vs (t) = Y (t s)f (s) e la soluzione dellomogenea
che allistante s verifica la condizione di Cauchy vs (s) = f (s). Vista in questottica, la
precedente espressione e la formula di Duhamel. Quanto al problema di Cauchy (1.4),(1.7)
per la non omogenea, la sua unica soluzione e lintegrale particolare che si ottiene ponendo
K = u0 eat0 nella (1.9).
E peraltro opportuno soffermarsi sulla ricerca di integrali particolari della (1.4) quando
il termine noto f (t) suggerisce delle strade piu convenienti del calcolo dellintegrale (1.9).
Per cominciare va tenuto conto della proprieta di linearita: se f (t) e una combinazione
lineare c1 f1 (t) + c2 f2 (t) e y1 (t), y2 (t) soddisfano rispettivamente

y10 + ay1 = f1 (t), y20 + ay2 = f2 (t)

la funzione y(t) = c1 y1 (t) + c2 y2 (t) e soluzione della (1.4)1 .


Passiamo ai termini noti che si scrivono come prodotti di polinomi e funzioni esponenziali
e facciamo vedere che il metodo dei coefficienti indeterminati consente di aggirare il
calcolo dellintegrale nella (1.9).
Cominciamo dal caso elementare dellequazione

y 0 + ay = Bect (1.10) I-3.8


1
Per c1 = c2 = 1 si parla di principio di sovrapposizione.

5
con B costante complessa polinomio di grado 0! non nulla. Per un generico valore
della costante A (il coefficiente indeterminato) la funzione Aect verifica lidentita

(Aect )0 + aAect = (c + a)Aect per t R

e dunque quando c 6= a e una soluzione della (1.10) se e solo se (c + a)A = B, ovvero


A = B/(c + a). Sia invece c = a: una qualunque funzione Aect = Aeat e soluzione
dellequazione omogenea, dunque non della (1.10). Ma la (1.8) adesso diventa v 0 (t)eat =
Beat ovvero v 0 (t) = B, e quindi lequazione non omogenea e soddisfatta dalle funzioni
(C + Bt)eat , con C costante arbitraria (che possiamo prendere direttamente uguale a 0
perche tanto Ceat e comunque soluzione dellomogenea).
Il procedimento appena visto si estende facilmente a un termine noto f (t) che sia un
quasipolinomio, cioe un prodotto p(t)ect con p(t) polinomio B0 + B1 t + + Bn1 tn1 +
Bn tn di grado n 1 e c costante complessa che chiamiamo (con un termine non standard)
carattere del quasipolinomio, ovvero allequazione

y 0 + ay = p(t)ect .

Quando c 6= a si cerca una soluzione sotto la forma q(t)ect con q(t) = A0 + A1 t + +


An1 tn1 + An tn , calcolando prima, per generici valori dei coefficienti indeterminati Ak , la
quantita (q(t)ect )0 + aq(t)ect , e imponendo poi che essa sia uguale a p(t)ect : dopo aver diviso
per ect ed applicato il principio di identita dei polinomi si ricavano le condizioni

(c + a)An = Bn , (c + a)An1 + nAn = Bn1 , ..., (c + a)A0 + A1 = B0

che individuano successivamente An , An1 , . . . , A0 .


Quando c = a, cioe f (t) = eat p(t), la strada e ancora piu rapida. La (1.8) diventa
infatti v 0 (t) = p(t), per cui lequazione non omogenea e soddisfatta dalle funzioni P (t)ect con
P (t) primitiva di p(t), e dunque determinata a meno di unarbitraria costante additiva C
(che possiamo tranquillamente prendere uguale a 0 perche tanto Ceat e comunque soluzione
dellomogenea).
Supponiamo adesso che f (t) sia una funzione reale data dal prodotto di un polinomio q(t)
a coefficienti reali, di una funzione esponenziale et , R, e di una funzione trigonometrica
cos t, R, per cui la (1.4) si riscrive

y 0 + ay = q(t)et cos t. (1.11) I-3.11

Se anche il coefficiente a viene preso in R e naturale cercare una soluzione reale della (1.11).
A tal fine si passa al termine noto g(t) = q(t)et (cos t + i sin t) = q(t)e(+i)t , che ha per
parte reale la funzione di partenza f (t), e si calcola una soluzione z(t) a valori in C della
corrispondente equazione non omogenea

z 0 + az = q(t)e(+i)t . (1.12) I-3.12

Prendendo le parti reali di entrambi i membri della (1.12) vediamo che Re z(t) verifica

(Re z)0 + a(Re z) = q(t)et cos t

6
e quindi e una soluzione y(t) della (1.11). Analogamente si vede che la parte immaginaria
di una soluzione della (1.12) e soluzione dellequazione

y 0 + ay = q(t)et sin tt.

Le considerazioni che abbiamo appena svolto ci forniscono uno strumento Pm per descrivere
lintegrale generale della (1.4) nel caso in cui f (t) sia una somma k=1 qk (t)eck t di quasi
polinomi di caratteri ck . Sottolineiamo che questi ultimi possono non essere due a due distin-
ti, circostanza questa da cui puo nascere una molteplicita di scrittura del quasipolinomio.
Se, ad esempio, c1 , . . . , ch hanno uno stesso valore e ch+1 , . . . , ck uno stesso valore , la
somma m ck t
si scrive anche come somma dei quasipolinomi r(t)et + s(t)et di
P
q
k=1 k (t)e
caratteri e . (E notiamo che grazie alla formula di Eulero i prodotti di polinomi per cos t
o sin t, R, sono somme di quasipolinomi di caratteri i, i.) Ogni equazione

y 0 + ay = qk (t)eck t

ammette un integrale particolare della forma pk (t)eck t con pk (t) polinomio, e per passare alla
m
X
0
y + ay = qk (t)eck t
k=1

basta applicare il principio di sovrapposizione: lintegrale generale si scrive


m
X
at
Ke + pk (t)eck t . (1.13) 3.11
k=1

Abbiamo cos ottenuto il

leI3.1 Lemma 1.1.1. Sia f (t) una somma di quasipolinomi di caratteri c1 , . . . , cm . Lintegrale
generale della (1.4) si ottiene allora sommando lintegrale generale Keat dellomogenea e
opportuni quasipolinomi di caratteri c1 , . . . , cm .

Nella seconda parte del corso faremo uso della seguente banale

oss3.1 Osservazione 1.1.1. Se i ck sono tutti diversi da a, lespressione (1.13) non contiene
nessun prodotto di una costante non nulla per tj eat con j > 0.

1.2 Il coefficiente variabile


secI1-4

Adesso consentiamo al coefficiente di y nella (1.3) di variare con continuita, assumendo solo
valori reali, in un intervallo aperto I R:

y 0 + a(t)y = 0. (1.14) I-4.1

7
Cominciamo col supporre che in un sottointervallo aperto J di I sia definita una soluzione
mai nulla della (1.14), e che per un t0 J essa soddisfi la condizione di Cauchy

y(t0 ) = u0 (1.15) I-4.4

con u0 R \ {0} fissato. Cio significa che per t J risulta

y 0 (t)
= a(t),
y(t)
cioe
y(t) t t
y 0 (s)
Z Z Z
d
= ds = a(s) ds
u0 t0 y(s) t0
ovvero Z t
y(t)
log = a(s) ds.
u0 t0

Ne segue che una soluzione del problema di Cauchy (1.14),(1.15), se esiste, non puo che
essere data dalla
t a( ) d
R
y(t) = u0 e t0 , t J. (1.16) I-4.3
Viceversa si vede subito che la funzione definita nella (1.16) con J uguale a tutto lintervallo
I verifica effettivamente (1.14) e (1.15). Abbiamo cos visto che il problema di Cauchy in
esame ammette ununica soluzione, data in J = I dalla (1.16), sotto lipotesi u0 6= 0; ma
siccome in tal caso lespressione di y(t) mostra che essa non puo mai annullarsi, sicche lunica
soluzione dellequazione che si annulli in qualche punto di I e quella identicamente nulla, il
risultato di esistenza e unicita vale per ogni u0 R.
Passiamo allequazione non omogenea

y 0 + a(t)y = f (t) (1.17) I-4.5

con f (t) anchessa continua da I in R. Indichiamo con y1 (t) il secondo membro della (1.16)
per u0 = 1 e riprendiamo la tecnica della variazione delle costanti. Affinche una funzione
y(t), che scriviamo come prodotto v(t)y1 (t), soddisfi la (1.17) in I, ovvero la quantita

y 0 (t) + a(t)y(t) = [D + a(t)][v(t)y1 (t)] = v 0 (t)y1 (t)

sia uguale a f (t), e necessario e sufficiente che v 0 (t) sia uguale a f (t)/y1 (t). Questa richiesta
individua v(t) a meno di una costante additiva reale:
Z t Z t R
f (s) s
a( ) d
v(t) = K + ds = K + e t0 f (s) ds
y
t0 1 (s) t0

(t0 , t I). Abbiamo cos mostrato che la (1.17) e dotata delle infinite soluzioni che si
ottengono facendo variare K nella somma
Z t R  R Z t R
tt a( ) d s
tt a( ) d tt a( ) d t
R R
a( ) d
Ke 0 + e 0t
f (s) ds e 0 = Ke 0 + e s a( ) d f (s) ds
t0 t0
(1.18) I-4.6

8
dellintegrale generale dellomogenea (1.14) e di un integrale particolare della non omogenea
stessa.
(Ai fini del calcolo nei casi concreti si fa prima ad ottenere una soluzione particolare della
(1.17) ripercorrendo il procedimento con cui e stata ottenuta la funzione ausiliaria v(t) che
non ad applicare lespressione (1.18).)
Ponendo K = u0 nella (1.18) si ottiene la soluzione del problema di Cauchy (1.17),(1.15)
(ovviamente unica, perche la differenza di due soluzioni e la costante nulla, cioe lunica
soluzione di (1.14) che si annulla in un punto t0 ).

1.3 Equazioni nonlineari con la separazione della va-


riabili
secI-5

Il metodo che adesso presentiamo consente (almeno in via teorica) la risoluzione esplicita di
unequazione differenziale non lineare della forma
y 0 + a(t)b(y) = 0, (1.19) I-5.1

con a(t) continua in un intervallo aperto I e b(y) in un intervallo aperto U , b(y) 6= 0 in un


sottointervallo ]c, d[, cui aggiungiamo la condizione di Cauchy (1.15) per t0 I e c < u0 < d.
Quando a(t) e una costante non nulla in I = R, ovvero la (1.19) e unequazione autonoma
che scriviamo
y 0 = f (y), (1.20) I-5.1
il punto t0 in cui si impone il dato di Cauchy u0 puo essere sostituito da qualunque altro:
ad esempio dallorigine, passando dalla soluzione t 7 y(t) alla t 7 y(t0 + t).
La (1.19) generalizza la (1.14), e noi la affrontiamo estendendo la tecnica usata per
questultima. Supponiamo che esista una funzione y(t), definita in un intorno aperto J I
di t0 ed a valori in ]c, d[, soluzione del problema di Cauchy (1.19),(1.15). Cio significa che
per t J risulta
y 0 (t)
= a(t)
b(y(t))
ovvero Z y(t) Z t 0 Z t
d y (s)
= ds = a(s) ds
u0 b() t0 b(y(s)) t0
ovvero ancora
B(y(t)) = B(u0 ) A(t) + A(t0 ) (1.21) I-5.2
dove A(t) e una primitiva di t 7 a(t) in I e B(y) una di y 7 [b(y)]1 in ]c, d[. Ma B e
monotona e dunque invertibile in ]c, d[: ne segue che una soluzione y(t), t J, del problema
(1.19),(1.15), se esiste, e lunica funzione data dallespressione
y(t) = B 1 (A(t) + K) per t J (1.22) I-5.3

dove K = B(u0 ) + A(t0 ). Viceversa si vede subito che ogni funzione y(t) definita dalla (1.22)
con J I intervallo aperto e K costante ammissibile, cioe tale che
B(]c, d[) 3 A(t) + K per t J,

9
soddisfa lequazione (1.19) (basta derivare), nonche la condizione (1.15) con K = B(u0 ) +
A(t0 ) (ammissibile perche A(t) + K vale B(u0 ) per t = t0 , e quindi resta nellintervallo
aperto B(]c, d[) al variare di t in un conveniente intervallo aperto 3 t0 ).
Riassumiamo: Dati comunque t0 I e u0 U con b(u0 ) 6= 0, il problema di Cauchy
(1.19),(1.15) ammette ununica soluzione y(t), data dallespressione (1.22) dove J I e un
opportuno intervallo aperto contenente t0 , e K = A(t0 ) + B(u0 ).
E conveniente riassumere sbrigativamente il precedente procedimento dicendo che abbia-
mo risolto la (1.19) mediante la separazione delle variabili

dy
+ a(t) dt = 0,
b(y)

ovvero, sotto forma integrale, Z Z


dy
= a(t) dt
b(y)
ovvero ancora
B(y) = A(t) + K :
questultima e una famiglia di equazioni cartesiane

F (t, y) = A(t) + B(y) = K

in I]c, d[, che per ogni scelta di un ammissibile valore di K possiamo teoricamente
risolvere rispetto a y localmente in t, ottenendo la (1.22).
Vale la pena di sottolineare, anche per poter meglio inquadrare piu in la il fondamenta-
le teorema di esistenza e unicita che richiede sulla nonlinearita una condizione di Lipschitz
intorno ad u0 , che qui non si richiede a b(y), purche risulti b(u0 ) 6= 0, nessuna regolarita mag-
giore della continuita: ad esempio lesistenza e unicita vale tranquillamente per lequazione
(autonoma) y 0 = 1 + y 1/3 con condizione di Cauchy y(0) = 0.
Fin qui non abbiamo fatto altro che estendere alla (1.19) lo stesso approccio gia applicato
allequazione lineare omogenea (1.14), che rientra nella (1.19) per a(t) costante in I = R e
b(y) = y in U = R. Ma tale estensione solleva le seguenti due questioni, relative alle
restrizioni b(u0 ) 6= 0 nelle ipotesi e J 3 t 7 y(t) invece di I 3 t 7 y(t) nelle conclusioni.
1) Nel caso delle (1.14) abbiamo potuto mostrare che una soluzione o coincide identica-
mente con la costante nulla oppure non si annulla mai. Nel caso di una (1.19) non lineare,
supponiamo che U contenga qualche punto di equilibrio, cioe tale che in esso la b si annulli:
diciamo, per fissare le idee, U 3 u0 con b(u0 ) = 0. La soluzione costante y(t) = u0 soddisfa
lequazione nonche, banalmente, il corrispondente problema di Cauchy: si puo continuare
ad escludere che una soluzione non identicamente uguale a u0 vada a coincidere da un certo
punto in poi con u0 , cioe che sup J < sup I e y(t) u0 per t sup J?
2) Le soluzioni delle (1.14) vengono automaticamente ad essere definite in tutto linter-
vallo I dove sono continui i coefficienti a(t) (e anzi lo stesso accade per le soluzioni della non
omogenea (1.17) quando anche i termini noti f (t) sono continui in I). Vale per le soluzioni
di una qualunque (1.19) la stessa proprieta, ovvero J = I?
Nella prossima sezione vedremo, restringendoci per semplicita alle peraltro impor-
tantissime equazioni autonome, che per ciascuno dei precedenti interrogativi la risposta

10
e negativa: in particolare, la condizione necessaria e sufficiente affinche venga meno luni-
cita con dato di Cauchy in un equilibrio e che un certo integrale improprio con un estremo
nellequilibrio sia convergente. Prima pero ci soffermiamo brevemente su una famiglia di
equazioni, non autonome, che neanche appartengono direttamente alla famiglia di quelle a
variabili separabili, e pero ad esse possono essere ricondotte.
Sia S un sottoinsieme del piano costituito da semirette aperte uscenti dallorigine. Se
f C 0 (S) e omogenea (di grado zero), cioe verifica

f (t, y) = f (t, y) per (t, y) S, 6= 0,

lequazione (non lineare)


y 0 = f (t, y),
detta omogenea in unaccezione del termine che non ha nulla a che vedere con quella
dellambito lineare, si trasforma in unequazione a variabili separabili. Prendendo = 1/t
possiamo infatti riscriverla come  y
0
y = f 1, , (1.23) I-5.11
t
ovvero
tx0 + x = f (1, x) (1.24) I-5.11
con x = y/t, e quindi
1
x0 = [f (1, x) x]
t
sia per t > 0 e sia per t < 0. Indicando con F (x) una primitiva di [f (1, x) x]1 in un
intervallo delle x dove f (1, x) x 6= 0 otteniamo la famiglia di equazioni cartesiane

F (x) = log |t| + C

e da qui, se non riusciamo a esplicitare x = y/t in funzione di t, ricaviamo una famiglia di


curve del piano (t, y) di equazioni parametriche

t = KeF (x) , y = KxeF (x) (1.25) I-5.10

che puo essere vista come integrale generale della (1.24) nel senso che per ogni scelta di K
essa definisce una soluzione. Possono pero esistere altre soluzioni, dette integrali singolari,
che non si rientrano nella (1.25) per opportune scelte di K: sono quelle che si ottengono
associando alle (eventuali) soluzioni x = dellequazione f (1, x) x = 0 le funzioni lineari
y(t) = t.

I-o 5.3 Esempio 1.3.1. Lequazione differenziale non lineare


yt
y0 =
y+t
e omogenea. La riscriviamo come
x1
tx0 + x =
x+1

11
ovvero
1+x 1
x0 2
= ,
1+x t
da cui la famiglia delle curve definite, al variare di C, dalle equazioni cartesiane
 
1 2
arctan x + log(1 + x ) = log |t| + C
2

ovvero, al variare di K, dalle equazioni parametriche


1 2 1 2
t = Ke[arctan x+ 2 log(1+x )] , y = Kxe[arctan x+ 2 log(1+x )] .

Qui non ci sono integrali singolari.

1.4 Equazioni autonome


secI-5

Indicando con f una funzione continua in un intervallo aperto U e con u0 un punto di U ,


facciamo vedere che lo studio qualitativo condotto cioe , senza calcolare esplicitamente la
soluzione del problema di Cauchy

y 0 = f (y), y(0) = u0 (1.26) I-3.1.1_

si riconduce alla convergenza o divergenza di certi integrali impropri. (Potremmo dire, con
una terminologia non standard ma neppure troppo abusiva, che viene utilizzato il criterio
di Osgood.)
Cominciamo col supporre che in u0 la f sia 6= 0, diciamo > 0 per fissare le idee, e
indichiamo con ]c, d[3 u0 il sottointervallo di U dove f (y) si mantiene > 0. Come abbiamo
visto nella precedente sezione, il problema (1.26) ammette ununica soluzione, che si ottiene
risolvendo rispetto ad y U lequazione
Z y
d
=t (1.27) I-3.1.1_
u0 f ()

al variare di t nellintervallo aperto di estremi


Z c Z d
d d
t1 = e t2 = .
u0 f () u0 f ()

Innanzitutto, la soluzione y(t) e definita in un intervallo che contiene tutta la semiretta


< t 0 se t1 = e tutta la semiretta 0 t < se t2 = . Sia invece t2 < . Se d,
cioe il limtt2 y(t), e uguale a , il grafico di y(t) presenta un asintoto verticale in t = t2 , e
quindi la soluzione non si puo prolungare in avanti a partire da quel punto. Analogamente,
se t1 > e c = limtt+1 y(t) = , il grafico di y(t) presenta un asintoto verticale in
t = t1 , e quindi la soluzione non si puo prolungare allindietro a partire da quel punto.

12
Supponiamo adesso che in u0 la f si annulli, e cerchiamo condizioni grazie a cui si possa
affermare che esistono o che non esistono soluzioni di (1.26) diverse da quella costantemente
uguale allequilibrio u0 . A tal fine cominciamo col richiedere che f si mantenga 6= 0 in
un intervallo ]u0 , u0 + k[ U , e sostituiamo nella (1.26) u0 con un qualunque v0 preso in
]u0 , u0 + k[:
y 0 = f (y), y(0) = v0 . (1.28) I-3.1.1_
Otteniamo la soluzione del nuovo problema risolvendo, al posto della (1.27), lequazione
Z y
d
=t
v0 f ()

rispetto a y ]u0 , u0 + k[. Se lintegrale improprio


Z u0
d
= (1.29) improI
v0 f ()

diverge, la soluzione (monotona) di (1.28) non incontra mai lequilibrio u0 . In maniera


analoga, se supponiamo che esista un intervallo ]u0 k, u0 [ U in cui f si mantenga 6= 0 e
passiamo a (1.28) con un qualunque v0 preso stavolta in ]u0 k, u0 [, vediamo che la soluzione
(monotona) di (1.28) non incontra mai lequilibrio u0 se, di nuovo, lintegrale improprio (1.29)
diverge. Abbiamo cos visto che, quando f 6= 0 in ununione ]u0 k, u0 []u0 , u0 + k[ U ,
lequilibrio u0 e lunica soluzione di (1.26) se lintegrale improprio (1.29) diverge per ogni
scelta di v0 ]u0 k, u0 []u0 , u0 + k[. Sia invece (1.29) convergente per un v0 , diciamo
v0 ]u0 k, u0 [. Supponiamo f > 0 in ]u0 k, u0 [, per cui e un reale positivo e y(t) e una
funzione crescente in [0, ] che vale u0 per t = : la costante u0 e la y(t) prolungata a u0
sulla semiretta t sono due distinte soluzioni della stessa equazione, con lo stesso dato di
Cauchy u0 allistante , e quindi viene meno lunicita.
Insomma, le risposte negative agli interrogativi posti nella precedente sezione vengono
fornite dalla convergenza degli integrali impropri in esame.
I-e 5.1 Esempio 1.4.1. Il secondo membro dellequazione
y0 = y2 (1.30) I-5.5

e una funzione continua in R, nulla in 0 e invece > 0 sia per y < 0 che per y > 0. Dunque le
soluzioni dellequazione sono tutte non decrescenti. Fissiamo un u0 > 0. Limmagine della
soluzione che vale u0 in 0 e ]0, [, e il suo intervallo di definizione ha per estremi
Z 0 Z
d d
t1 = 2
= , t2 = 2
< .
u0 u0

Questo permette di tracciare landamento qualitativo di y(t), constatando che e definita solo
per t < t2 e che per il suo grafico lasse t e asintoto orizzontale a e la retta t = t2 e
asintoto verticale. In maniera analoga si ottiene landamento qualitativo di y(t) partendo da
un u0 < 0 (e a questo punto si ha unicita per ogni dato iniziale u0 R).
Cerchiamo lespressione esplicita di una qualunque soluzione y(t) che assuma dei valori
positivi. Siccome y 1 e una primitiva di y 2 in ]0, [ otteniamo
y(t)1 = K t

13
ovvero
1
y(t) = . (1.31) I-5.5
K t
Per ogni K abbiamo cos ottenuto in J =] , K[ una soluzione che vale u0 = 1/K per
t = 0, assume solo valori positivi, e non si estende a destra di K perche tende all per
t K . Abbiamo cos visto che le soluzioni della (1.30) sono, oltre allequilibrio 0, quelle
date per ogni K dalla (1.31), che non si annullano mai e sono definite solo per t < K se
positive (o, in maniera analoga, per t > K se negative).

I-e 5.2 Esempio 1.4.2. Anche il secondo membro dellequazione

y 0 = |y|1/2 (1.32) I-3.1.1

e una funzione continua in R, nulla in 0 e > 0 sia per y < 0 che per y > 0. Dunque le
soluzioni dellequazione sono tutte non decrescenti. Per fissare le idee prendiamo u0 < 0.
Limmagine della soluzione che vale u0 in 0 e ] , 0[, e il suo intervallo di definizione ha
per estremi Z Z 0
d d
t1 = 1/2
= , t2 = 1/2
< .
u0 || u0 ||

Questo permette di tracciare landamento qualitativo di y(t), e mostra che il suo prolunga-
mento a 0 su [t2 , [ e ancora una soluzione, non identicamente nulla eppure coincidente con
quella identicamente nulla da un certo punto in poi.
Cerchiamo lespressione esplicita di una qualunque soluzione negativa per t = 0. Siccome
2(y)1/2 e una primitiva di |y|1/2 = (y)1/2 in ] , 0[, per ogni scelta di K < 0
otteniamo
1
[y(t)]1/2 = (K + t)
2
ovvero
1
y(t) = (K + t)2 .
4
Questa e una soluzione in ] , K[ che vale u0 = K 2 /4 per t = 0 e, prolungata a 0 in
[K, [, coincide identicamente in tale intervallo con la soluzione nulla, come previsto col
criterio di Osgood. Non solo: in maniera analoga si vede che
1
y(t) = (K + t)2
4
e una soluzione in ] K, [ che prolungata a 0 in ] , K] coincide identicamente in tale
intervallo con la soluzione nulla. Abbiamo cos 3 soluzioni su tutto R della stessa equazione
con condizione di Cauchy nulla in t = K. Anzi ne abbiamo 4: anche
 1
(K + t)2 per t K
y(t) = 1 4
4
(K + t)2 per t K

14
soddisfa lo stesso problema di Cauchy. E non e finita: per ogni scelta C K D tutte le
infinite funzioni 1
4 (C + t)2 per t C
y(t) = 0 per C t D
1
4
(D + t)2 per t D
soddisfano la (1.32) su tutto R e si annullano in K. (La figura costituita dallunione dei loro
grafici e detta pennello di Peano.)
Abbiamo cos visto che lequazione ammette infinite soluzioni non nulle definite su tutto
R e nulle in un punto o in un tutto intervallo, anche illimitato.

I-o 5.2 Esempio 1.4.3. Un esempio importante di equazione a variabili separabili e lequazione
logistica o di Verhulst
y 0 = y y 2 (1.33) I-5.6
(, > 0), che costituisce un modello di crescita di una popolazione piu plausibile di quello
malthusiano. Con laumentare del numero degli individui tende infatti ad aumentare anche
la competizione tra loro (ad esempio per il cibo o per lo spazio), con un effetto negativo
sulla crescita che in prima istanza possiamo prendere proporzionale, con fattore < 0, alla
media statistica y 2 delle loro interazioni a coppie.
Il secondo membro della (1.33) e continuo in R, si annulla in 0 e in /, e > 0 in ]0, /[
e < 0 in ] , 0[]/, [. Studiamo la soluzione che vale u0 in 0 a seconda che u0 > /,
0 < u0 < /, u0 < 0.
Nel primo caso limmagine di y(t) e ]/, [, e il suo intervallo di definizione ha per
estremi Z Z 0
d d
t1 = 2
> , t2 = 2
= .
u0 u0

Dunque la soluzione e una funzione (decrescente) definita solo per t > t1 , e per il suo grafico
la retta t = t1 e asintoto verticale mentre la retta y = / e asintoto orizzontale all.
Il caso 0 < u0 < / e (con molto piu piccolo di ) quello significativo per il modello
biologico. Limmagine della soluzione e ]0, /[, e il suo intervallo di definizione ha per
estremi Z 0 Z /
d d
t1 = 2
= , t2 = = .
u0 u0 2
Dunque la funzione (crescente) y(t) e definita su tutto R, e per il suo grafico le rette y = 0
e y = / sono asintoti orizzontali rispettivamente a e ; il suo grafico ha la forma
detta ad S (o sigmoide) nelle pubblicazioni di carattere demografico.
Quando u0 < 0 limmagine di y(t) e ] , 0[, e il suo intervallo di definizione ha per
estremi Z Z 0
d d
t1 = 2
= 0, t2 = 2
< .
u0 u0

Dunque la soluzione e una funzione (decrescente) definita solo per t < t2 , e per il suo grafico
la retta t = t1 e asintoto verticale mentre la retta y = 0 e asintoto orizzontale all.

15
A questo punto sappiamo che per ogni dato iniziale u0 R la soluzione del problema di
Cauchy e unica: i grafici di due soluzioni distinte non si incontrano mai. Siccome, inoltre,
la soluzione di (1.33),(1.15) con u0 comunque preso nellintorno ]0, [ di / tende a /
per t , la soluzione costante y(t) = / e un equilibrio asintoticamente stabile.
Invece nessuna soluzione del problema con u0 non importa quanto vicino a 0 ma 6= 0 resta, al
crescere di t, in un intorno di 0 come ad esempio ]1/2, 1/2[: lo 0 e un equilibrio instabile.
Dallidentita Z y
d
2
=t
u0

ricaviamo lespressione esplicita della soluzione che assume in 0 un valore u0 diverso sia da
0 che da /: siccome lintegrale vale

1 y u
0
log

u0 y

e la quantita dentro il modulo e > 0, otteniamo


y u0
= et
u0 y
da cui, risolvendo rispetto a y, otteniamo
u0
y(t) = . (1.34) I-5.7
( u0 )et + u0

1.5 Equazioni differenziali esatte

In questa sezione ci occupiamo di equazioni del tipo

p(t, y)
y0 = (1.35) I-6.1
q(t, y)

dove p(t, y) e q(t, y) sono funzioni continue in un aperto W del piano e q e diversa da 0 in un
intorno di un punto (t0 , u0 ) di W . Siccome il secondo membro della (1.35) e un quoziente,
facciamo finta che anche il primo, cioe dy/dt, lo sia, e riscriviamo lequazione come

p(t, y) dt + q(t, y) dy = 0. (1.36) I-6.1

Supponiamo che la forma differenziale a primo membro sia esatta, ovvero che esista una
F (t, y) di classe C 1 in W con Ft (t, y) = p(t, y) e Fy (t, y) = q(t, y). Grazie al Teorema di
Dini, lipotesi Fy (t0 , u0 ) = q(t0 , u0 ) 6= 0 garantisce che in un intorno sufficientemente piccolo
di (t0 , u0 ) lequazione
F (t, y) F (t0 , u0 ) = 0

16
definisce implicitamente ununica funzione y(t) che vale u0 in t0 , e che inoltre e di classe C 1
con derivata
Ft (t, y(t))
y 0 (t) = .
Fy (t, y(t))
Ma questultima identita e la (1.35), e dunque abbiamo dimostrato che in qualche conve-
niente intorno di t0 esiste ununica soluzione dellequazione differenziale esatta (1.36)
con condizione di Cauchy y(t0 ) = u0 .
Come facciamo a riconoscere se il primo membro della (1.36) e una forma differenziale
esatta (in W )? Una condizione sufficiente se ad esempio W e un rettangolo e la seguente:
Le derivate parziali py , qt esistano continue e soddisfino la condizione di chiusura py = qt . In
tal caso una primitiva della forma in W e
Z y Z t
F (t, y) = q(t0 , ) d + p(, y) d.
u0 t0

Infatti
Ft (t, y) = p(t, y),
Z t Z t
Fy (t, y) = q(t0 , y) + py (, y) d = q(t0 , y) + q (, y) d = q(t, y).
t0 t0
Le equazioni della forma
y 0 + a(t)b(y) = 0 (1.37) I-55.1
rientrano nella classe di quelle esatte con p(t, y) = a(t), q(t, y) = 1/b(y), e a ben vedere
proprio cos ne abbiamo impostato lo studio. Solo che la particolare espressione a variabili
separabili consente di ottenere subito la funzione F (t, y), che per la (1.37) non e altro che
A(t) + B(y) con A(t) e B(y) primitive rispettivamente di a(t) in I e di [b(y)]1 in ]c, d[, la cui
esistenza e diretta conseguenza del Teorema Fondamentale del Calcolo. Inoltre lesistenza di
soluzioni y(t) della (1.37) non ha bisogno di essere dimostrata attraverso il Teorema di Dini,
visto che segue semplicemente dallinvertibilita della funzione monotona B(y) della (sola)
variabile y ]c, d[. Di piu: applicando B 1 si puo dare (almeno teoricamente) unesplicita
espressione delle soluzioni che invece nel caso generale il Teorema di Dini non puo garantire.
Come ovvio siamo in grado di applicare il precedente ragionamento per risolvere la
(1.36) anche se non e esatta la forma p dt + q dy, ma lo e invece la forma p dt + q dy
per unopportuna (t, y) di classe C 1 e mai nulla, detta fattore integrante. Come trovare
(t, y)? Sempre supponendo che py , qt esistano continue imponiamo la condizione di chiusura
(p)y = (q)t , cioe
py + py = qt + qt . (1.38) I-6.6
Una tale , per di piu indipendente dalla y, esiste (ed e teoricamente calcolabile) come
soluzione dellequazione
d p y qt
= (1.39) I-6.7
dt q
se la frazione nel secondo membro (con denominatore 6= 0) dipende solo dalla t. Analoga-
mente, esiste una soluzione della (1.38) indipendente dalla t e dunque tale che
d q t py
=
dy p

17
se la frazione nel secondo membro (con denominatore 6= 0) dipende solo dalla y.
I-e 6.1 Esempio 1.5.1. Per risolvere la (1.36) con
y3
p(t, y) = 2ty + t2 y + , q(t, y) = t2 + y 2
3
osserviamo che
py (t, y) qt (t, y) 2t + t2 + y 2 2t
= = 1.
q(t, y) t2 + y 2
La (1.39) diventa 0 = , che ammette la soluzione (t) = et . Lequazione di partenza e
dunque equivalente alla
y3
 
t 2
e 2ty + t y + dt + et (t2 + y 2 ) dy = 0. (1.40) I-6.8
3
Il primo membro e in tutto R2 una forma differenziale esatta di cui si calcolano subito le
primitive, ottenendo lespressione implicita
y3
 
t 2
e t y+ =C
3
per le soluzioni y(t) dellequazione differenziale.

Osservazione 1.5.1. Unequazione a variabili separabili e banalmente esatta. Ora, lequa-
zione lineare non omogenea (1.17) (con a(t) e f (t) continue in un intervallo aperto I), a
differenza di quella omogenea, non e a variabili separabili. Pero si riconduce a unequazione
esatta, come si vede introducendo un fattore integrante. Siano infatti p(t, y) = a(t)y f (t)
(si noti che non abbiamo bisogno di derivabilita rispetto a t) e q(t, y) = 1. Siccome
(py (t, y) qt (t, y))/q(t, y) = a(t), una soluzione
Rt
a( ) d
(t) = e t0

(t0 , t I) dellequazione 0 = a(t) e un fattore integrante e la forma differenziale (t)[a(t)y


f (t)] dt+(t) dy e dotata di una primitiva F (t, y) che scriviamo come somma di una funzione
della sola t, diciamo h(t), e di (t)y. Ma allora Ft (t, y) = p(t, y) equivale a
h0 (t) + 0 (t)y = (t)[a(t)y f (t)],
e siccome 0 (t) = a(t)(t) ne ricaviamo h0 (t) = (t)f (t). Lintegrale generale della (1.17)
lo otteniamo risolvendo rispetto ad y lequazione
Z t
F (t, y) = ( )f ( ) d + (t)y = K
t0

da cui segue lespressione cercata


Rt Z t Rt
a( ) d a( ) d
y = Ke t0
+ e t0
f ( ) d.
t0

18
1.6 Lequazione di Bernoulli

Allo studio dellequazione lineare non omogenea (1.17) si riconduce quello dellequazione

y 0 + p(t)y + q(t)y = 0, (1.41) I-7.1

con p(t) e q(t) continue in un intervallo aperto I. Fissiamo un diverso sia da 0 che da 1.
Allora la (1.41) non e lineare, ma richiedere che essa sia soddisfatta in un intervallo aperto
J I da una y(t) positiva (o anche negativa, se ad esempio N) equivale a richiedere che

y 0 y + p(t)y 1 + q(t) = 0

ovvero che [y(t)]1 coincida con una soluzione z(t) dellequazione lineare

z 0 + (1 )p(t)z = (1 )q(t), (1.42) I-7.2

t J. La (1.41) e detta equazione di Bernoulli. Lequation de mon Frere, la chiama


in una lettera Johann Bernoulli, ma e lui che la risolve, con la semplice trasformazione che
abbiamo appena visto, dopo mesi di infruttuosi tentativi da parte del fratello Jacob.
Attenzione pero a non voler trasferire automaticamente alla (1.41) ogni risultato noto
per unequazione lineare quale la (1.42). Una qualunque soluzione z(t) di questultima e
infatti definita in tutto I, ma non e affatto detto che cio valga per la y(t) = z(t)1/(1) : si
pensi allesempio, gia studiato con la separazione delle variabili, di y 0 = y 2 (dunque p(t) = 0,
q(t) = 1, I = R) e alle soluzioni y(t) = (K t)1 definite solo in J =] , K[ o solo
in J =]K, [. Possiamo pero dire che, dati comunque t0 I e u0 > 0 (o anche u0 < 0, se
ad esempio N), esiste ununica funzione definita e positiva in un opportuno intervallo
aperto J I, J 3 t0 , che soddisfa la (1.41) e vale u0 in t0 : la funzione y(t) = z(t)1/(1) ,
t J, dove z(t) e lunica soluzione della (1.42) che vale u01 in t0 .
I-e 7.1 Esempio 1.6.1. E di Bernoulli lequazione

y 0 yt y 3 t3 = 0. (1.43) I-7.3

Con la sostituzione z = y 2 ci si riconduce allequazione lineare

z 0 + 2tz = 2t3 . (1.44) I-7.4

Lintegrale generale dellomogenea associata

z 0 + 2tz = 0
2 2
e Cet , per cui un integrale particolare della (1.44) e un prodotto v(t)et con v 0 (t) =
2
2t3 et . Integrando troviamo
1 2
v(t) = (t2 1)et
2
2
e moltiplicando per et otteniamo lintegrale particolare
1 2
(t 1)
2
19
(che si poteva anche, e piu rapidamente, ottenere col metodo dei coefficienti indeterminati,
benche lequazione non abbia il coefficiente costante). Dunque lintegrale generale della
(1.44) e
2 1
z(t) = Cet + (t2 1)
2
da cui arriviamo alla famiglia di soluzioni della (1.43)
 1/2
t2 1 2
y(t) = Ce + (t 1)
2

definita ciascuna, a costante C fissata, in ogni intervallo di R dove la quantita tra parentesi
si mantiene > 0.

I-o 7.1 Osservazione 1.6.1. Lequazione logistica (1.33), che abbiamo gia risolto mediante la se-
parazione delle variabili, e anche unequazione di Bernoulli. Ponendo y(t) = z(t)1 la
trasformiamo nella
z 0 + z = ,
il cui integrale generale e della forma

z(t) = Ket + .

Imponiamo la condizione di Cauchy y(0) = u0 , che trasformiamo nella z(0) = u1
0 suppo-
nendo u0 6= 0. Otteniamo K = ( u0 )/u0 , e di conseguenza

( u0 )et + u0
z(t) = .
u0
Se poi aggiungiamo lipotesi u0 6= 0 ritroviamo la soluzione (1.34) della (1.33), definita
in un intervallo aperto J contenente lorigine, dove essa assume il valore u0 :
u0
y(t) = .
( u0 )et + u0

Alla risoluzione di unequazione di Bernoulli si riconduce quella dellequazione di Ric-


cati
y 0 + a(t)y + q(t)y 2 = f (t)
con a(t), q(t), f (t) continue in I, f (t) non identicamente nulla, quando se ne conosce una
soluzione particolare y0 (t). In tal caso infatti si ottengono infinite altre soluzioni y(t) della
forma y0 (t) + u(t) imponendo

(y00 + u0 ) + a(t)(y0 + u) + q(t)(y0 + u)2 = f (t)

20
ovvero
u0 + [a(t) + 2q(t)y0 ]u + q(t)u2 = 0.
Malgrado la semplicita del procedimento appena illustrato non si conoscono metodi generali
di risoluzione dellequazione di Riccati, per cui e importante disporre anche di questaltra
proprieta: il birapporto

y1 (t) y3 (t) y1 (t) y4 (t)


Y (t) = :
y2 (t) y3 (t) y2 (t) y4 (t)

di 4 soluzioni definite in uno stesso intervallo aperto J I e costante. (Che poi abbia sempre
senso, perche yh (t) yk (t) con h 6= k non puo annullarsi in nessun punto di J, e conseguenza
di un risultato di unicita che daremo nel Capitolo IV.) Infatti

Y 0 (t) y 0 (t) y30 (t) y10 (t) y40 (t) y20 (t) y40 (t) y20 (t) y30 (t)
= 1 +
Y (t) y1 (t) y3 (t) y1 (t) y4 (t) y2 (t) y4 (t) y2 (t) y3 (t)

e quindi Y 0 (t) = 0 perche

yh0 (t) yk0 (t) = [q(t)(yh (t) + yk (t)) + a(t)](yh (t) yk (t))

tanto per h = 1 e k = 3 che per h = 2 e k = 4.

21
Capitolo 2

Equazioni di ordine superiore al primo

2.1 Le equazioni del II ordine


sec2-1
Fissati due numeri complessi a e b, associamo alloperatore differenziale lineare del II
ordine
L : y(t) 7 y 00 (t) + ay 0 (t) + by(t)
il polinomio caratteristico 2 + a + b e lequazione caratteristica
2 + a + b = 0 (2.1) II-A

nellincognita . Indichiamo con 1 e 2 le soluzioni della (2.1), cioe le radici del polinomio
caratteristico, che possono essere distinte tra di loro oppure uguali ad uno stesso numero,
diciamo . Quando i coefficienti a, b sono reali le radici sono, se distinte, o tutte due reali
oppure complesse coniugate, mentre se coincidono tra loro il comune valore e necessaria-
mente reale. Il polinomio caratteristico e uguale a ( 1 )( 2 ) e quindi L, che si ottiene
dal polinomio caratteristico sostituendo la variabile scalare col simbolo D delloperatore
di derivazione, soddisfa lidentita
L = (D 1 )(D 2 ). (2.2) II-B

La (2.2) mostra che applicare L ad una funzione y(t) equivale a calcolare dapprima la funzione
w(t) = (D 2 )y(t) e successivamente la funzione (D 1 )w(t): e il metodo di fattorizza-
zione o abbassamento dellordine delloperatore. Qui entrano inevitabilmente in scena,
per 1 , 2 C, operatori differenziali del I ordine D 1 , D 2 a coefficienti complessi
e quindi funzioni w(t) a valori complessi anche quando L ha coefficienti reali e viene
fatto operare su funzioni y(t) a valori reali. Dunque tanto vale cominciare col trattare il caso
generale di coefficienti a, b anchessi complessi.
Introduciamo lequazione differenziale lineare non omogenea del II ordine
Ly = y 00 + ay 0 + by = f (t) (2.3) II-C

con a, b C e f funzione continua I C, I intervallo aperto di R. Quando in particolare


a, b R e f : I R ritroviamo nella (2.3) la seconda legge di Newton, cioe
massa accelerazione = forza (totale),

22
applicata al moto rettilineo di un corpo di massa 1 su cui agiscono contemporaneamente tre
forze Fv ,Fp ed f dirette lungo lasse y: la prima proporzionale con fattore a alla velocita
del corpo (per cui e forza dattrito se a > 0), la seconda con fattore b alla sua posizione
(per cui e forza di richiamo se b > 0), la terza esterna.
Associamo alla (2.3) le condizioni di Cauchy

y(t0 ) = u0 , y 0 (t0 ) = u1 (2.4) II-D

con t0 I. Dalla (2.2) segue che una funzione y(t) di classe C 2 in I soddisfa (2.3),(2.4) se e
solo se e soluzione del problema di Cauchy (del I ordine)

(D 2 )y = y 0 2 y = w(t), y(t0 ) = u0 (2.5) II-E

con w = w(t) soluzione del problema di Cauchy (del I ordine)

(D 1 )w = w0 1 w = f (t), w(t0 ) = u1 2 u0 . (2.6) II-F

II-T2 Teorema 2.1.1. Siano a, b C e f : I C di classe C 0 .


(i) Per ogni scelta di t0 R e di u0 , u1 C il problema di Cauchy (2.3),(2.4) ammette
ununica soluzione I C.
(ii) Se, in particolare, a, b, u0 , u1 R e f (t) e a valori reali, allora anche y(t) e a valori
reali.
DIM. Come sappiamo dalla Sezione 1.1, il problema (2.6) ammette ununica soluzione w(t) di
classe C 1 da I in C, e con questa espressione di w(t) anche (2.5) ammette ununica soluzione
y(t), che e di classe C 2 da I in C. Questo dimostra (i).
Passiamo ai complessi coniugati in entrambi i membri della (2.3) e delle (2.4):

y 00 + a y 0 + b y = f (t), (2.7) II-G

y(t0 ) = u0 , y 0 (t0 ) = u1 . (2.8) II-H


Se supponiamo soddisfatte le ipotesi di (ii) le (2.7),(2.8) diventano

y 00 + ay 0 + by = f (t),

y(t0 ) = u0 , y 0 (t0 ) = u1 ,
ovvero y(t) e una soluzione di (2.3),(2.4) se e solo se lo e la sua funzione coniugata y(t). Ma
per lunicita della soluzione devessere y(t) = y(t), e quindi y(t) e a valori reali.

Osservazione 2.1.1. Le equazioni in (2.5) e (2.6), prese insieme, costituiscono un sistema
differenziale triangolare, cioe del tipo
 0
w = g(w, t)
y 0 = h(w, y)

(g(w, t) = 1 w + f (t), h(w, y) = w + 2 y).

23
2.2 Equazioni lineari omogenee

Il metodo di fattorizzazione utilizzato nella precedente sezione per pervenire ai risultati di


esistenza e unicita non e cos costruttivo, o per lo meno non e cos direttamente costruttivo,
come sembrerebbe a prima vista. Su esso ci potremo basare pero in questa sezione e nelle
prossime due per ottenere delle tecniche di calcolo esplicito delle soluzioni piu specificamente
adattate a varie classi di termini noti, di complessita crescente.
Cominciamo col termine noto identicamente nullo:

y 00 + ay 0 + by = 0. (2.9) II-I

II-T1 Teorema 2.2.1. Siano a, b C.


(i) Per ogni scelta di t0 R e di u0 , u1 C il problema di Cauchy (2.9),(2.4) ammette
ununica soluzione R C.
(ii) La soluzione di (2.9),(2.4) si scrive in un unico modo come combinazione lineare

c1 e 1 t + c2 e 2 t

oppure
c1 et + c2 tet
a seconda che le radici del polinomio caratteristico verifichino 1 6= 2 oppure 1 = 2 = .
(iii) Le soluzioni della (2.9) costituiscono uno spazio vettoriale bidimensionale su C.

DIM. Lenunciato (i) rientra banalmente (tenendo conto che adesso I = R) nellenunciato
(i) del Teorema 1.1.
Come sappiamo dalla Sezione 1.1, lunica soluzione del problema di Cauchy (2.6) con
f (t) identicamente nulla, cioe

(D 1 )w = w0 1 w = 0, w(t0 ) = u1 2 u0 , (2.10) II-V

e w(t) = Ke1 t con K univocamente determinato (per la precisione K = e1 t0 (u1 2 u0 )).


Applicando con questa espressione di w(t) la (1.9), o meglio, visto che w(t) e il prodotto di
una costante per una funzione esponenziale, le considerazioni che abbiamo svolto a proposito
della (1.10), possiamo concludere che lunica soluzione y(t) di (2.5) e della forma c1 e1 t +c2 e2 t
con c1 = K/(1 2 ), oppure della forma (c1 t + c2 )et con c1 = K, a seconda che 1 6= 2
oppure 1 = 2 = , e questo per ununica scelta di c2 .
Abbiamo cos dimostrato (ii). Ma non solo. Lespressione che abbiamo ottenuto di y(t)
come combinazione lineare con coefficienti c1 e c2 univocamente determinati vale per ogni
data soluzione dellequazione (2.9), visto che ad essa si associa banalmente un problema di
Cauchy (2.9),(2.4) (quello in cui u0 e u1 sono proprio definiti, rispettivamente, come y(t0 ) e
y 0 (t0 )). Ne segue (iii).

24
Una famiglia fondamentale {y1 (t), y2 (t)} di soluzioni di (2.9) e una base nello spazio
vettoriale delle soluzioni, come ad esempio quella costituita dalle funzioni del Teorema 2.2.1
(ii). Se due funzioni y1 (t) e y2 (t) costituiscono una famiglia fondamentale di soluzioni della
(2.9) il loro determinante wronskiano

y1 (t) y2 (t)
0
y1 (t) y20 (t)

che indichiamo con W [y1 , y2 ](t) o piu brevemente con W (t), non puo annullarsi in nessun
punto t0 di R. Se cio accadesse esisterebbe infatti una soluzione (c1 , c2 ) 6= (0, 0) del sistema

c1 y1 (t0 ) + c2 y2 (t0 ) = 0
c1 y10 (t0 ) + c2 y20 (t0 ) = 0
e la funzione c1 y1 (t) + c2 y2 (t) verrebbe a soddisfare non solo, in quanto combinazione li-
neare di soluzioni, lequazione (2.9), ma anche le stesse condizioni di Cauchy della funzione
identicamente nulla. Grazie allunicita ne seguirebbe c1 y1 (t) + c2 y2 (t) = 0 per t R, in
contraddizione con lindipendenza lineare di y1 (t) e y2 (t).
Supponiamo adesso che 2 soluzioni y1 (t) e y2 (t) della (2.9) abbiano wronskiano non nullo
in un punto t0 di R. Che funzioni del genere esistano e conseguenza del Teorema 2.2.1: basta
considerare, ad esempio, le soluzioni dei problemi di Cauchy
Ly1 = 0, y1 (t0 ) = 1, y10 (t0 ) = 0,
Ly2 = 0, y2 (t0 ) = 0, y20 (t0 ) = 1.
Ebbene, {y1 (t), y2 (t)} e un sistema fondamentale di soluzioni dellequazione (2.9) (e quindi
dotato di wronskiano 6= 0 su tutto R). Infatti i valori in t0 di una soluzione y(t) e della sua
derivata prima sono i termini noti del sistema algebrico

c1 y1 (t0 ) + c2 y2 (t0 ) = y(t0 )
c1 y10 (t0 ) + c2 y20 (t0 ) = y 0 (t0 )
nelle incognite c1 , c2 . Poiche il determinante dei coefficienti e W (t0 ) 6= 0 la soluzione (c1 , c2 )
esiste ed e unica. In corrispondenza ai valori di c1 e c2 cos ottenuti la funzione c1 y1 (t) +
c2 y2 (t) viene a soddisfare non solo la stessa equazione (2.9) ma anche le stesse condizioni
di Cauchy (2.4) della y(t). Ne segue, grazie allunicita stabilita nel Teorema 2.2.1, che
y(t) = c1 y1 (t) + c2 y2 (t) per ogni t R. Cio significa che ogni soluzione y(t) della (2.9) si
esprime come combinazione lineare di y1 (t) e y2 (t).
ossII12 Osservazione 2.2.1. Se y1 (t) e y2 (t), t R, sono due funzioni qualunque, diciamo almeno
di classe C 1 , possiamo ancora parlare del loro wronskiano W (t). Pero in un ambito cos
generale non e piu vero che dallannullarsi del wronskiano in qualche punto t0 segua che
esistano due costanti c1 e c2 non entrambe nulle tali che c1 y1 (t) + c2 y2 (t) = 0 per ogni t R.
Anzi, come fece osservare G.Peano, non basta neppure lannullarsi di W (t) in ogni punto t:
in R le funzioni y1 (t) = t2 , y2 (t) = t|t| hanno wronskiano identicamente nullo ma non sono
una multipla dellaltra (mentre e vero che y1 (t) y2 (t) = 0 per ogni t 0, y1 (t) + y2 (t) = 0
per ogni t 0).


25
Teorema 2.2.2. Siano a, b, u0 , u1 R.
(i) La soluzione del problema (2.9),(2.4) e a valori reali.
(ii) La soluzione di (2.9),(2.4) si scrive in un unico modo come combinazione lineare
c1 e1 t + c2 e2 t ,
oppure
c1 et + c2 tet ,
oppure
c1 et cos t + c2 et sin t
a seconda che le radici 1 , 2 del polinomio caratteristico siano reali e distinte, oppure reali
e uguali ad uno stesso valore , oppure complesse coniugate non reali di valori i.
(iii) Le soluzioni reali della (2.9) costituiscono uno spazio vettoriale bidimensionale su R.
DIM. Lenunciato (i) rientra nellenunciato (ii) del Teorema 2.2.1.
Quanto a (ii) e (iii), basta occuparsi delle radici complesse coniugate (non reali) del
polinomio caratteristico e tener conto che le funzioni e(+i)t e e(i)t sono a loro volta
combinazioni lineari delle funzioni Re e(+i)t = et cos t e Im e(+i)t = et sin t.

Poiche le radici dellequazione caratteristica sono

a + a2 4b a a2 4b
1 = e 2 =
2 2
possiamo riscrivere lintegrale generale della (2.3) come
 
2 2
eat/2 c1 et a 4b/2 + c2 et a 4b/2 quando a2 4b > 0,

eat/2 (c1 + c2 t) quando a2 4b = 0,


 
t 4b a 2 t 4b a2
at/2
e c1 cos + c2 sin quando a2 4b < 0.
2 2
Se a = 0 la (2.9) diventa
y 00 + by = 0.

Quando b > 0 la totalita delle sue soluzioni e costituita dalle
 funzioni
 c1 cos t b + c2 sin t b
p
con c1 , c2 R, che possiamo anche scrivere come A cos t b + per A = c21 + c22 e
A cos = c1 , A sin = c2 . Nel modello newtoniano di un corpo sottoposto soltanto ad una
forza lineare di richiamo esse rappresentano tutti i possibili moti rettilinei
del corpo stesso: le
oscillazioni armoniche. A e detta ampiezza e fase; il periodo e 2/ b, la frequenza e
linverso del periodo. Supponiamo ora che oltre a b sia positivo anche il coefficiente a (come
piu plausibile nella realta: presenza di attrito). Quale che sia il segno del discriminante
a2 4b, per t prevale, nellintegrale generale della (2.9), il fattore infinitesimo eat/2 :
tutte le soluzioni dellequazione tendono a 0. Nel modello newtoniano esse rappresentano i
possibili moti rettilinei, detti vibrazioni smorzate, di un corpo sottoposto a una forza di
richiamo e ad una forza di attrito entrambe lineari.

26
2.3 Il metodo dei coefficienti indeterminati per le equa-
zioni del II ordine
secII-8

Passiamo al caso di un termine noto prodotto di un polinomio reale o complesso q(t) per un
esponenziale ect , dove c = + i e , R:

f (t) = q(t)ect

con c costante reale o complessa, per cui la (2.1) diventa

Ly = y 00 + ay 0 + by = q(t)ect . (2.11) II-N

La tecnica della fattorizzazione (2.2) mostra che una funzione y(t) e soluzione di questa
equazione, ovvero (D 1 )(D 2 )y = q(t)ect , se (e solo se) la funzione

(D 2 )y = y 0 2 y = w (2.12) II-O

soddisfa lequazione del 1o ordine

(D 1 )w = w0 1 w = q(t)ect . (2.13) II-P

Servendoci delle considerazioni svolte nella Sezione 1.1 procediamo alla risoluzione del siste-
ma (2.12),(2.13) col metodo dei coefficienti indeterminati. Distinguiamo tre casi.
1o caso: c 6= 1 , c 6= 2 . Poiche c e diversa da 1 la (2.13) ammette una soluzione
w(t) = p1 (t)ect , dove p1 (t) e un polinomio di grado n. Con questa scelta di w(t) la (2.12),
poiche c 6= 2 , ammette una soluzione y(t) = p(t)ect con p(t) polinomio di grado n, e i
coefficienti di questultimo si ottengono imponendo

[p(t)ect ]00 + a[p(t)ect ]0 + bp(t)ect = q(t)ect .

2o caso: c = 2 6= 1 . Risolvendo la (2.13) otteniamo una soluzione della forma w(t) =


p1 (t)ect , dove p1 (t) e un polinomio di grado n. Passiamo a y(t), che cerchiamo sotto la forma
v(t)ect . Siccome vogliamo che il primo membro dellidentita

(D c)[v(t)ect ] = v 0 (t)ect (2.14) II-Q

sia uguale a p1 (t)ect , resta solo da integrare la v 0 (t) = p1 (t) ed ottenere v(t) = tp(t) con
p(t) polinomio di grado n. Segnaliamo peraltro che quando si parte da un polinomio q(t) di
grado 0, cioe uguale a una costante K0 (e se ne vedra un esempio nella prossima sezione), si
fa prima a cercare una soluzione tA0 ect imponendo

[tA0 ect ]00 + a[tA0 ect ]0 + btA0 ect = K0 ect . (2.15) II-Q

3o caso: c = 1 = 2 . Cerchiamo y(t) sotto la forma v(t)ect . Applicando la (2.14) due


volte la seconda volta con v(t) sostituita da v 0 (t) otteniamo

(D c)2 [v(t)ect ] = v 00 (t)ect . (2.16) II-R

27
Siccome vogliamo che il primo membro di questa identita, cioe Ly(t), sia uguale a q(t)ect , non
resta che integrare due volte v 00 (t) = q(t), arrivando cos ad ottenere la funzione ausiliaria
v(t) = t2 p(t) con p(t) polinomio di grado n. Facciamo presente che quando 1 = 2 la tecnica
della funzione ausiliaria si puo rivelare conveniente anche con termini noti piu generali di
quello della (2.11).
Se i coefficienti di L e di q(t) sono reali le considerazioni svolte alla fine della Sezione I.2
mostrano che sono state risolte anche le equazioni
Ly1 = q(t)et cos t e Ly2 = q(t)et sin t
visto che ammettono per soluzioni rispettivamente la parte reale y1 (t) e quella immaginaria
y2 (t) di y(t). E a questo riguardo, e piu esattamente per le applicazioni che vedremo nella
prossima sezione, che Richard P.Feynman in The Feynman Lectures on Physics, I/1/23-2,
parla di magic of the complex method (nella risoluzione di equazioni a coefficienti reali).

2.4 La risonanza

Nel modello newtoniano il moto rettilineo, in assenza di attrito, di un corpo di massa 1 sotto
lazione di una forza di richiamo 02 y e di una forza esterna oscillante con frequenza /2
e fase nulla e governato da unequazione
y 00 + 02 y = C0 cos t (2.17) II-S

con tutte le costanti positive. Una soluzione della (2.17) e la parte reale di una soluzione
z(t) dellequazione
z 00 + 02 z = C0 eit , (2.18) II-T
e se 6= 0 , per cui c = i non e soluzione dellequazione caratteristica 2 + 02 = 0, ci
troviamo nel primo dei casi considerati nella Sezione 2.3 (con C0 = polinomio q(t) di grado
0): la (2.18) ammette un integrale particolare A0 eit con la costante A0 (polinomio p(t) di
grado 0), detta ampiezza complessa, determinata dalla condizione
(A0 eit )00 + 02 A0 eit = C0 eit ovvero ( 2 + 02 )A0 = C0 .
Un integrale particolare della (2.17) e dato dunque dalla parte reale della funzione
C0
eit ,
02 2
cioe dalla funzione
C0
cos t (2.19) II-U
02
2
che rappresenta unoscillazione di frequenza e fase uguali a quelle della forza esterna, ma di
ampiezza |C0 /(02 2 )| tanto piu grande quanto piu e preso prossimo (non uguale) a 0 .
Per ottenere lintegrale generale aggiungiamo alla (2.19) lintegrale generale dellomogenea:
C0
K1 cos 0 t + K2 sin 0 t + eit . (2.20) II-U
02 2

28
Supponiamo adesso = 0 . La (2.17) diventa

y 00 + 02 y = C0 cos 0 t, (2.21) II-U

per cui siamo nel secondo dei casi della Sezione 2.3: c = i0 e una delle due radici complesse
coniugate dellequazione caratteristica, e troviamo lespressione di un integrale particolare
della (2.18), diventata adesso
z 00 + 02 z = C0 ei0 t ,
con la variabile t a fattore. Si tratta della funzione z(t) = A0 tei0 t con A0 tale che

2i0 A0 = C0

e quindi
C0 t i0 t
z(t) = e .
2i0
Ne segue che un integrale particolare della (2.21) e
C0 t
sin 0 t; (2.22) II-U
20
lintegrale generale
C0 t
K1 cos 0 t + K2 sin 0 t + sin 0 t
20
e somma di oscillazioni armoniche e di unoscillazione la cui massima ampiezza (variabile!)
|C0 t/20 |, a causa del fattore t, tende all per t . Questo e il fenomeno della riso-
nanza, che sta dietro ad alcune vere e proprie catastrofi naturali o ingegneristiche. Un caso
delle seconde fu il crollo del Tacoma Bridge, raccontato con esilaranti aneddoti di contorno
da Martin Braun nella Sezione 2.6.1 di Differential Equations and Their Applications, New
York, Springer, 1993.

Osservazione 2.4.1. Lintegrale particolare (2.22) della (2.21) si ottiene rapidamente facen-
do tendere al limite per 0 unopportuna famiglia di integrali particolari delle equazioni
(2.17): non, evidentemente, quelli dati dallespressione (2.19), bens quelli che si ottengono
dalla (2.20) con K1 = C0 /(02 2 ) e K2 = 0:
C0 C0 t cos t cos 0 t C0 t
(cos t cos 0 t) = sin 0 t. (2.23) II-U_
02 2 0 + 0 t t 20
Una formulazione geometricamente espressiva di questo passaggio al limite ricorrendo alle
formule di prostaferesi
AB A+B
cos B cos A = 2 sin sin
2 2
che danno
C0 2C0 (0 )t (0 + )t
(cos t cos 0 t) = 2 sin sin .
02 2 0 2 2 2

29
Il secondo membro rappresenta unoscillazione la cui ampiezza variabile e periodica in t di
periodo p = 4/(0 ) (supponendo 0 > ) e assume valore massimo m = 2C0 /(02 2 )
la prima volta per t = p /41 : quando 0 sia p che m tendono all, e il risultato
finale e il grafico della (2.22).

Aggiungiamo adesso una forza (lineare) dattrito a quella di richiamo e a quella oscil-
latoria esterna. La formulazione matematica del problema e data dallequazione

y 00 + ay 0 + 02 y = C0 cos t (2.24) II-V

con a > 0 al posto della (2.17). Sotto le presenti ipotesi ogni soluzione dellequazione
omogenea associata alla (2.24) tende esponenzialmente a 0 per t (cfr. la Sezione 2),
e quindi ai fini del comportamento asintotico linteresse dello studio della (2.24) si restringe
alla ricerca di un integrale particolare.
Siccome a non e nullo, un numero immaginario come c = i non puo essere soluzione
dellequazione caratteristica. Ci troviamo di nuovo nel primo dei 3 casi considerati nella
Sezione 2.3, e gia siamo in grado di affermare che la (2.24) ammette una soluzione data da
una combinazione lineare di sin t e cos t, cioe una funzione A cos(t + ) per opportuni
valori di A e . Entriamo nei dettagli. Associamo alla (2.24) la sua versione complessa, cioe

z 00 + az 0 + 02 z = C0 eit . (2.25) II-W

Il metodo dei coefficienti indeterminati fornisce per la (2.25) una soluzione z(t) = A0 eit con
lampiezza complessa A0 soluzione di

(A0 eit )00 + a(A0 eit )0 + 02 A0 eit = C0 eit ovvero ( 2 + ai + 02 )A0 = K0 .

Dunque la (2.24) ha una soluzione particolare y(t) data dalla parte reale della funzione
C0
z(t) = eit .
2 + ai + 02
Come avevamo previsto, y(t) e una oscillazione armonica con frequenza /2 uguale a quella
della sollecitazione esterna C0 cos t. La sua fase e uguale a , dove R e un argomento
di 2 + ai + 02 :
2 + ai + 02 = | 2 + ai + 02 |ei .
La sua ampiezza A coincide infine col valore costante |C0 |/| 2 + ai + 02 | di |z(t)|, cioe
|C0 |
= max |y(t)|,
| 2 + ai + 02 |
come si vede tenendo conto che z(t) e un numero reale, e quindi coincide con y(t), quando t
e tale che t = .
1
Per fissato sufficientemente vicino a 0 la figura che si ottiene rappresenta il fenomeno acusti-
co dei battimenti: cfr. http://fisicaondemusica.unimore.it/Battimenti.html, pagina curata dal centro
CNRNANO.

30
Per trovare la frequenza della forza esterna in corrispondenza alla quale lampiezza
delloscillazione della soluzione e massima introduciamo la seguente funzione pari di :
1 1
R() = 2
=p 2 .
| 2 + ai + 0 | (0 2 )2 + a2 2

Poniamoci nellambito studio di funzione e cerchiamo il sup R() per > 0. Poiche R()
0 per , esiste un reale positivo K a destra del quale R() < R(0), e quindi il max[0,K] R
la cui esistenza e assicurata dal Teorema di Weierstrass e il massimo di R su tutto lasse reale.
Per calcolare tale massimo cerchiamo il minimo m su [0, [ della funzione (02 2 )2 + a2 2 .
La sua derivata prima (rispetto a , naturalmente) vale

4( 2 02 ) + 2a2
p
e quindi se 02 > a2 /2 (debole attrito) e 0 se e solo se r = 02 a2 /2, per cui R
assume massimo
1
R(r ) = q
2
a 02 a4
su ]0, [. Anche in questo caso si produce un fenomeno per il quale si parla di risonanza.
Se invece 02 a2 /2 la R() e decrescente su [0, [, e quindi non si ha piu a che fare con
una forma di risonanza.

2.5 Espressione esplicita delle soluzioni della non omo-


genea
secII25

Il prossimo risultato fornisce, per ogni scelta di f , unesplicita rappresentazione di una solu-
zione di (2.3). Cio consente di ottenere subito lintegrale generale dellequazione non omoge-
nea, somma di un qualunque integrale particolare e dellintegrale generale c1 y1 (t) + c2 y2 (t)
dellequazione omogenea associata (2.9). Prendendo poi in tale somma opportuni valori di
c1 e c2 , univocamente determinati da un sistema algebrico, si arriva a quellunico integrale
particolare che soddisfa anche le (2.4).

Teorema 2.5.1. La funzione


Z t
y(t) = Y (t s)f (s) ds (2.26) II-Z
t0

con Y (t) soluzione del problema di Cauchy

Y 00 + aY 0 + bY = 0, Y (0) = 0, Y 0 (0) = 1

e soluzione della (2.3), e piu esattamente lunica ad annullarsi in t0 insieme alla sua derivata
prima.

31
DIM. Applicando due volte la regola di derivazione degli integrali dipendenti da un para-
metro otteniamo prima
Z t Z t
0 0
y (t) = Y (0)f (t) + Y (t s)f (s) ds = Y 0 (t s)f (s) ds
t0 t0

e quindi Z t
0
ay (t) = [aY 0 (t s)]f (s) ds (2.27) II-A1
t0

poi
Z t Z t
00 0 00
y (t) = Y (0)f (t) + Y (t s)f (s) ds = f (t) + [aY 0 (t s) bY (t s)]f (s) ds
t0 t0

= f (t) ay 0 (t) by(t)


cioe la tesi. (In aggiunta alla (2.27) abbiamo utilizzato lequazione omogenea sotto la forma
Y 00 (t s) = aY 0 (t s) bY2 (t s) scrivendo il punto generico come t s invece di t.)

ex251 Esempio 2.5.1. Sia b R. Lintegrale generale dellequazione

y 00 + by = f (t)

vale
Z t
sin (t s) b
c1 sin t b + c2 cos t b + f (s) ds
t0 b
per b > 0, e invece

t b
e(ts) e(ts) b
Z
t b t b
c1 e + c2 e + f (s) ds
t0 2 b

per b < 0.
Prendiamo in particolare b = 1, f (t) = 1/ cos t per /2 < t < /2. La funzione (2.26)
con t0 = 0 e allora
Z t Z t Z t
sin(t s) sin t cos s cos t sin s sin s
ds = ds = t sin t cos t ds
0 cos s 0 cos s 0 cos s

= t sin t + cos t log(cos t).

32
Ma come mai viene in mente di scrivere la (2.26)?
Una prima risposta e: Trasportando al 2o ordine la formula di Duhamel che per il 1o
ordine avevamo incontrato nella Sezione 1.1. Per ogni s fissato in I la funzione t 7 vs (t) =
y1 (t s)f (s) e infatti la soluzione dellomogenea (2.9) che allistante s verifica le condizioni
di Cauchy vs (s) = 0, vs0 (s) = f (s). Ma cosa fa s che si riveli appropriata la scelta di queste
ultime invece di altre condizioni di Cauchy, come potrebbero essere vs (s) = f (s), vs0 (s) = 0?
Il motivo sara chiaro nella Sezione 3.7, quando ci sposteremo al caso dei sistemi.
Una seconda risposta, piu elaborata, e data da unaltra dimostrazione del Teorema 5.1 che
adesso passiamo ad illustrare. Riprendiamo la tecnica della fattorizzazione (2.2), rivelatasi
cos utile per le equazioni omogenee. La Y2 (t) e data da
e1 t e2 t
Y2 (t) = se 1 6= 2 , Y2 (t) = te1 t se 1 = 2 . (2.28) II-A1
1 2
Daltra parte, riprendiamo la dimostrazione del Teorema 2.1.1: una funzione y = y(t) deri-
vabile due volte in I e soluzione di (2.3), (2.4) se e solo se e soluzione del problema di Cauchy
(del 1o ordine)
(D 2 )y = y 0 2 y = w(t), y(t0 ) = u0 (2.29) II-A2
o
con w = w(t) soluzione del problema di Cauchy (del 1 ordine)
(D 1 )w = w0 1 w = f (t), w(t0 ) = u1 2 u0 . (2.30) II-A3
Procediamo col calcolo esplicito per u0 = u1 = 0:
Z t
w(t) = e1 (ts) f (s) ds,
t0
Z t Z t Z
y(t) = e 2 (t )
w( ) d = 2 (t )
e d e1 ( s) f (s) ds
t0 t0 t0
Z t Z Z t Z t
(1 2 ) 1 s 1 s
=e 2 t
e d e f (s) ds = e 2 t
e f (s) ds e(1 2 ) d.
t0 t0 t0 s
Se 1 6= 2 risulta
t
e(1 2 )t e(1 2 )s
Z
e(1 2 ) d =
s 1 2
e quindi
t t
e(1 2 )t e(1 2 )s 1 s e1 (ts) e2 (ts)
Z Z
2 t
y(t) = e e f (s) ds = f (s) ds.
t0 1 2 t0 1 2
Se invece 1 = 2 si ottiene subito
Z t
y(t) = (t s)e1 (ts) f (s) ds.
t0

In un caso come nellaltro ritroviamo la (2.26) tenendo conto della (2.28).


Abbiamo cos visto come per arrivare alla (2.26), che poi andra utilizzata per calcolare
una soluzione della (2.3), si possa ricorrere alla fattorizzazione (2.2). E se invece ci si servisse
direttamente di questultima ai fini del calcolo? In generale non sarebbe una buona idea,
come forse ci si puo convincere con il prossimo esempio.

33
Esempio 2.5.2. Data lequazione
2
y 00 3y 0 + 2y = tet+t

scriviamo innanzitutto lintegrale generale c1 et + c2 e2t dellomogenea associata.


La funzione Y2 (t) del Teorema 5.1 e et + e2t , e quindi la (2.26) (con t0 = 0) diventa
Z t Z t
s2 2
y(t) = et
se ds + e 2t
ses s ds
0 0
Z t Z t
1 2 1 1 s2 s 1 2 s
= et +t + et + e2t (2s 1)e ds + e2t es ds
2 2 2 0 2 0
Z t
1 1 1 2 s
= et e2t + e2t es ds.
2 2 2 0

Applicando la fattorizzazione (2.2) dobbiamo invece trovare la soluzione y(t) di


2
(D 1)(D 2)y = tet+t

ottenendo prima una soluzione particolare di


2
!0 2
0 t+t2 et+t et+t
w w = te = ,
2 2
2
ad esempio w(t) = et+t /2, e risolvendo poi
2
et+t
y 0 2y = ;
2
ma per ottenere una soluzione
Z t
1 2 s
y(t) = e2t es ds
2 0

di questultima dobbiamo applicare la (1.9), che e lanalogo, per lordine 1, proprio della
(2.26).

2.6 Le equazioni lineari di ordine N


secII6

Passiamo ad occuparci delle equazioni differenziali lineari a coefficienti costanti di arbitrario


ordine N , cioe della forma

LN y = y (N ) + aN 1 y (N 1) + + a1 y 0 + a0 y = 0 (2.31) II-A5

34
(le omogenee) oppure della forma

LN y = y (N ) + aN 1 y (N 1) + + a1 y 0 + a0 y = f (t) (2.32) II-A6

(le non omogenee).


Associamo alloperatore differenziale lineare di ordine N

LN = D(N ) + aN 1 D(N 1) + + a1 D + a0

il polinomio caratteristico

p() = N + aN 1 N 1 + + a1 + a0

e lequazione caratteristica p() = 0, che ha per soluzioni N numeri complessi 1 , . . . , N non


necessariamente distinti fra di loro; come sappiamo LN et = p()et , per cui et e soluzione
della (2.31) se e solo se e uguale ad uno dei j .
Dunque
LN = (D 1 ) (D N ). (2.33) II-A7
Le radici del polinomio caratteristico di LN possono anche essere distribuite nel modo
seguente:
1 = = m1 = 1 , . . . , N mr +1 = = N = r
con k soluzione di molteplicita mk ,

j 6= k j 6= k, m1 + + mr = N. (2.34) II-A8

La (2.33) si riscrive
LN = (D 1 )m1 (D r )mr . (2.35) II-A8-
(Nelle (2.33) e (2.35) lordine dei fattori e ovviamente irrilevante.)
Le condizioni di Cauchy associate alla (2.31) sono

y(t0 ) = u0 , ..., y (N 1) (t0 ) = uN 1 . (2.36) II-A9

II-T6 Teorema 2.6.1. Siano a0 , . . . , aN 1 C.


(i) Per ogni scelta di t0 R e di u0 , . . . , uN 1 C il problema di Cauchy (2.31),(2.36)
ammette ununica soluzione R C.
(ii) La soluzione di (2.31),(2.36) e somma di quasipolinomi di caratteri 1 , . . . , N .
(iii) Le soluzioni complesse della (2.31) costituiscono uno spazio vettoriale N dimensionale
su C.

DIM. Lenunciato (i) vale per N = 1 (e anche per N = 2). Supponendolo valido per un
numero naturale N , fissiamo un operatore LN +1 e indichiamo con 1 , . . . , N +1 le radici
del suo polinomio caratteristico. Fattorizziamo LN +1 come LN (D N +1 ) con LN dato
dalla (2.33). Per ogni scelta di u0 , . . . , uN 1 , uN C una funzione y = y(t) e soluzione del
problema di Cauchy (di ordine N + 1)

LN +1 y = LN (D N +1 )y = 0, y(t0 ) = u0 , ..., y (N 1) (t0 ) = uN 1 , y (N ) (t0 ) = uN

35
se e solo se e soluzione del problema di Cauchy (del 1o ordine)

(D N +1 )y = y 0 N +1 y = w(t), y(t0 ) = u0 (2.37) II-B1

con w = w(t) soluzione del problema di Cauchy (di ordine N )

LN w = 0, w(t0 ) = u1 N +1 u0 , ..., w(N 1) (t0 ) = uN N +1 uN 1 . (2.38) II-Y

Grazie allipotesi induttiva, (2.38) ammette ununica soluzione, somma di quasipolinomi di


caratteri 1 , . . . , N ; dal Lemma 1.1.1 segue allora che (2.37) ammette ununica soluzione,
somma di quasipolinomi di caratteri 1 , . . . , N +1 . Tanto basta a dimostrare (i) e (ii).
Daltra parte, le N soluzioni yk associate, al variare di k = 0, . . . , N 1, alle condizioni
(k1) (h1)
di Cauchy yk (0) = 1 e yk (0) = 0 per h 6= k sono linearmente indipendenti, e da cio
segue (iii).

Quando N = 2 lenunciato del Teorema 2.6.1 non si sovrappone interamente a quello


del Teorema 2.2.1, perche questultimo conteneva al punto (ii) lespressione dellintegrale
generale che il presente punto (ii) non fornisce. Per rimediare a questa carenza abbiamo
bisogno di una nozione ulteriore: quella di N sistema quasipolinomiale. Con questo
termine (peraltro non standard) indichiamo una qualunque N pla

e1 t , . . . , tm1 1 e1 t , ..., er t , . . . , tmr 1 er t (2.39) II-Z

dove i complessi j e gli interi non negativi mh soddisfano la (2.34). Ora, e facile vedere che
per C e g(t) di classe C m con m N vale lidentita

(D )m (g(t)et ) = (Dm g(t))et

(induzione su m) e quindi

(D )m (tk et ) = 0 per k < m, (D )m (tm et ) = m!et (2.40) II-Z

(cfr. la (2.16) per m = 2). Da qui segue subito che le funzioni (2.39) soddisfano lequazione
(2.31) con LN dato dalla (2.35). Infatti ognuna di loro, essendo un prodotto tk er t con
k < mr , annulla il fattore (D r )mr .
Ebbene:

Lemma 2.6.1. Le funzioni (2.39) sono linearmente indipendenti, dunque costituiscono una
base nello spazio delle soluzioni.

DIM. Procediamo per induzione. Gia sappiamo che il risultato vale per N = 2. Supponiamo
che valga per un certo N . Un (N + 1)sistema quasipolinomiale si ottiene aggiungendo alle
funzioni (2.39) di un N sistema una funzione Y (t) uguale o a tmh eh t per qualche h = 1, . . . , r,
oppure a er+1 t per un r+1 C diverso da 1 , . . . , r . Le N + 1 funzioni ottenute in questo
modo sono indipendenti poiche altrimenti Y (t) verificherebbe anchessa LN Y = 0, e cio e
impossibile. Infatti:

36
nel primo caso, diciamo per semplicita con h = r, scrivendo LN = LN mr (Dr )mr con
LN mr = (D 1 )m1 (D r1 )mr1 otteniamo LN (tmr er t ) = mr !LN mr er t , e que-
sta non puo essere la funzione nulla perche r non e radice del polinomio caratteristico
associato a LN mr ;

nel secondo caso non puo accadere che LN er+1 t sia la funzione nulla perche r+1 non
e radice del polinomio caratteristico associato ad LN .

Teorema 2.6.2. Siano a0 , . . . , aN 1 R.


(i) Per ogni scelta di u0 , . . . , uN 1 R la soluzione del problema (2.31),(2.36) e a valori
reali.
(ii) Supponiamo che nella fattorizzazione (2.35) 1 , . . . , s siano numeri complessi non
reali 1 + i1 , . . . , s + is , che s+1 , . . . , 2s siano i rispettivi coniugati, e che 2s+1 , . . . , r
siano reali. La soluzione di (2.31),(2.36) con u0 , . . . , uN 1 R si scrive allora in un unico
modo come combinazione lineare delle N funzioni

ej t cos j t, . . . , tmj 1 ej t cos j t, ej t sin j t, . . . , tmj 1 ej t sin j t (j = 1, . . . , s),

ek t , . . . , tmk 1 ek t (k = 2s + 1, . . . , r).
(iii) Le soluzioni reali della (2.31) costituiscono uno spazio vettoriale N dimensionale su
R.

DIM. Quando sono reali sia i coefficienti delloperatore che i dati di Cauchy la soluzione
complessa y(t) di cui il Teorema 6.1 assicura lesistenza e lunicita devessere in effetti reale,
perche anche la coniugata y(t) verifica lo stesso problema di Cauchy. Questo mostra (i).
Le N funzioni reali dellenunciato sono parti reali ed immaginarie di soluzioni di une-
quazione a coefficienti reali, dunque a loro volta soluzioni della stessa equazione. In piu esse
costituiscono una base perche generano le N funzioni complesse di una base, dunque anche
lintera famiglia delle soluzioni. Questo basta a dimostrare (ii) e di conseguenza anche (iii).

Esempio 2.6.1. Le radici del polinomio caratteristico 4 + 22 + 1 associato allequazione

y IV + 2y 00 + 1 = 0

sono i e i, entrambe di molteplicita 2. Lintegrale generale complesso dellequazione e

c1 eit + c2 teit + c3 eit + c4 teit , ck C

e quello reale e
c1 sin t + c2 t sin t + c3 cos t + c4 t cos t, ck R.

37
Per le N ple di funzioni di classe C N 1 in uno stesso intervallo aperto si definisce il
determinante wronskiano
y1 (t) . . . y N (t)
0 0

y1 (t) . . . y N (t)
.. (2.41)

(II.6.11
.
(N 1) (N 1)

y 1 (t) . . . yN (t)
e attraverso di esso si caratterizzano i sistemi fondamentali di soluzioni della (2.31).
Passiamo allequazione non omogenea (2.32). Il metodo descritto nella Sezione 3 per un
generico termine noto f (t) continuo su un intervallo aperto I si trasporta immediatamente
dallordine N = 2 allordine N qualunque. Derivando N volte si vede infatti che, se Y (t) e la
soluzione della (2.31) che soddisfa le condizioni di Cauchy Y (0) = Y 0 (0) = = Y (N 2) (0) =
0, Y (N 1) (0) = 1, la funzione
Z t
y(t) = Y (t s)f (s) ds
t0

(cioe la (2.26) se N = 2) e la soluzione della (2.32) che si annulla in t0 con tutte le sue
derivate fino all(N 1)-esima.
Allequazione (2.32) si estende anche il metodo dei coefficienti indeterminati (valido per
f (t) = polinomio esponenziale) visto nella Sezione 1.1 per N = 1 e nella Sezione 2.3 per
N = 2.

2.7 Equazioni lineari a coefficienti variabili


secII27

Per le equazioni lineari del secondo ordine a coefficienti variabili, omogenee

Ly = y 00 + a(t)y 0 + b(t)y = 0 (2.42) II-B3

o non omogenee
Ly = y 00 + a(t)y 0 + b(t)y = f (t) (2.43) II-B4
che siano, non disponiamo di metodi di risoluzione altrettanto potenti e immediati di quelli
che abbiamo sviluppato per le equazioni a coefficienti costanti. Per lesistenza di soluzioni,
e per lunicita sotto condizioni di Cauchy, rimandiamo al Capitolo 4. Qui ci limitiamo a
presentare due risultati i quali sono in realta casi particolari di un unico teorema, dovuto
a Lagrange, che invece non riportiamo. La tecnica utilizzata e comunque lestensione al
secondo ordine di un ragionamento gia piu volte applicato, con coefficienti costanti o non, al
primo ordine.
Le funzioni a(t), b(t) e f (t) che compaiono nelle equazioni le prendiamo tutte a valori
reali, nonche continue su uno stesso intervallo aperto I.
Facciamo dapprima vedere che e possibile, quando si conosce una soluzione mai nulla
dellomogenea (2.42), calcolarne unaltra di cui ci accontentiamo per il momento di dire che
non si ottiene moltiplicando la precedente per una costante.

38
Teorema 2.7.1. Se y1 (t) e una soluzione della (2.42) diversa da 0 in ogni punto di I si
puo dare lespressione esplicita di unaltra soluzione della stessa equazione sotto la forma
y(t) = v(t)y1 (t) con v(t) funzione non costante.
DIM. Richiedere il prodotto y(t) di una funzione v(t) di classe C 2 per y1 (t) soddisfi la (2.42)
equivale ad imporre che

0 = Ly = vy100 + 2v 0 y10 + v 00 y1 + a(t) (vy10 + v 0 y1 ) + b(t)vy1

= v 00 y1 + v 0 [2y10 + a(t)y1 ] + v [y100 + a(t)y10 + b(t)y1 ] = v 00 y1 + v 0 [2y10 + a(t)y1 ]


dal momento che y1 (t) soddisfa la (2.42). Ma cio significa che basta trovare una qualunque
soluzione non nulla w dellequazione del primo ordine
 0 
0 y1 (t)
w + 2 + a(t) w = 0, (2.44) II-B5
y1 (t)
poi prendere come v(t) una qualunque primitiva di w(t).

Esempio 2.7.1. Una soluzione dellequazione


1 + 2t 0 2
y 00 y + y = 0, t>0
t t
e y1 (t) = e2t . La (2.44) diventa
 
0 1
w + 2 w=0
t
con integrale generale C1 te2t . Siccome la costante moltiplicativa C1 e irrilevante, purche
6= 0, la prendiamo = 1 e integriamo:
Z
1 1
te2t dt = te2t e2t + C2 .
2 4
Qui e la costante additiva C2 che e irrilevante, per cui la prendiamo = 0 e arriviamo ad una
soluzione particolare dellequazione uguale a t/2 1/4.

Adesso mostriamo come sia possibile ottenere una soluzione della non omogenea (2.43)
una volta note due soluzioni a wronskiano mai nullo della omogenea (2.42).
II-T8 Teorema 2.7.2. Siano y1 (t) e y2 (t) soluzioni dellequazione (2.42) con wronskiano W (t) =
W [y1 , y2 ](t) diverso da 0 in tutto I. Esiste allora una soluzione dellequazione (2.43) della
forma v1 (t)y1 (t) + v2 (t)y2 (t) con v1 , v2 C 1 (I) individuate, a meno di una costante additiva,
dal sistema  0
v1 (t)y1 (t) + v20 (t)y2 (t) = 0
(2.45) II-B6
v10 (t)y10 (t) + v20 (t)y20 (t) = f (t).

39
DIM. Il motivo per cui viene in mente di imporre le condizioni (2.45) e il seguente. Ogni
combinazione lineare c1 y1 (t) + c2 y2 (t) con c1 , c2 R soddisfa lequazione omogenea. Cer-
chiamo dunque una soluzione y della non omogenea facendo variare le costanti c1 , c2 , ovvero
sostituendole con v1 (t), v2 (t) funzioni derivabili da determinare. Devessere

(v1 y1 + v2 y2 )00 + a(v1 y1 + v2 y2 )0 + b(v1 y1 + v2 y2 ) = f (t).

Poiche

v1 y100 + v2 y200 + a(v1 y10 + v2 y20 ) + b(v1 y1 + v2 y2 ) = v1 (y100 + ay10 + by1 ) + v2 (y200 + ay20 + by2 )) = 0

rimane da imporre

v10 y10 + v20 y20 + (v10 y1 + v20 y2 )0 + a(v10 y1 + v20 y2 ) = f (t). (2.46) II-B7

Ma la (2.46) e soddisfatta non appena valgono le due equazioni della (2.45).


Ora, il sistema (2.45) nelle incognite v10 (t), v20 (t) ha come determinante dei coefficienti il
determinante wronskiano W (t), che abbiamo supposto diverso da 0 per ogni t I. Questo
ci consente di determinare (univocamente) le derivate
y2 (t)f (t) y1 (t)f (t)
v10 (t) = , v20 (t) = ,
W (t) W (t)
quindi anche (ciascuna a meno di una costante additiva proveniente dallintegrazione) le
funzioni v1 (t), v2 (t). A questo punto una soluzione della (2.43) e stata trovata.

Al metodo appena illustrato per il secondo ordine si fa riferimento di nuovo col termine
di variazione delle costanti.
Esempio 2.7.2. (Questo esempio e ripreso da M.Braun, cit., dove figura come Ex.2.4.9.)
Lequazione
t2 y 00 2y = 0,
t > 0, ammette due soluzioni a wronskiano sempre 6= 0: le funzioni t2 e t1 , che si tro-
vano imponendo che la funzione t soddisfi lequazione differenziale, ovvero che soddisfi
lequazione algebrica 2 2 = 0. Per risolvere lequazione non omogenea

t2 y 00 2y = t2

risolviamo nel caso in esame il sistema (2.45) (che abbiamo scritto, lo ricordiamo, prendendo
come f (t) il termine noto della non omogenea quando il coefficiente di y 00 vale 1!), cioe
 0
v1 (t)t2 + v20 (t)t1 = 0
v10 (t)2t v20 (t)t2 = 1

per cui v10 (t) = 1/(3t) e v20 (t) = t2 /3. Possiamo dunque prendere v1 (t) = (log t)/3 e
v2 (t) = t3 /9, ottenendo cos lintegrale particolare y(t) = (t2 log t)/3 t2 /9 dellequazione
non omogenea (e si noti che il secondo addendo e una soluzione dellomogenea).

40


Nonostante quello che sembrerebbe a leggere la quasi totalita degli esercizi svolti nei libri,
non e ovvio che valga la pena di ricorrere al Teorema 2.7.2 quando i coefficienti delloperatore
sono costanti (e ancora meno quando il termine noto consente lapplicazione del metodo dei
coefficienti indeterminati).

Esempio 2.7.3. Sia data lequazione


1
y 00 + y = ,
cos t
/2 < t < /2. Lintegrale generale dellomogenea associata e c1 cos t + c2 sin t, e quindi il
metodo di variazione delle costanti fornira una soluzione y(t) = v1 (t) cos t + v2 (t) sin t della
non omogenea di partenza purche v1 (t) e v2 (t) verifichino
 0
v1 (t) cos t + v20 (t) sin t = 0
v10 (t) sin t + v20 (t) cos t = cos1 t .

Lunica soluzione di questo sistema e per ogni t la coppia (v10 (t), v20 (t)) = ( tan t, 1), per cui
possiamo prendere (v1 (t), v2 (t)) = (log(cos t), t) e ottenere infine y(t) = t sin t+cos t log(cos t).
Questa funzione e la soluzione dellequazione che in precedenza (Esempio 2.5.1) avevamo
ottenuto direttamente dalla formula (2.19).

2.8 Estensioni del metodo di separazione delle variabili

Attraverso la separazione delle variabili si possono risolvere, passando per opportune tra-
sformazioni, alcuni tipi di equazioni differenziali che in partenza non sono della forma
(I.4.1).
Un tipo di equazione che si risolve con la separazione delle variabili e quella del secondo
ordine
y 00 = f (y 0 ),
che possiamo interpretare come la seconda legge di Newton per il moto rettilineo di un
corpo di massa unitaria sottoposto ad una forza la cui intensita f dipende solo dalla velocita
del corpo stesso. Questa equazione non presenta nessuna difficolta ulteriore rispetto ad
unequazione del I ordine, in quanto e unequazione del I ordine

x0 = f (x)

nella variabile x = y 0 .
Per f continua in un intervallo reale aperto H consideriamo adesso lequazione non lineare
del II ordine
y 00 = f (y), (2.47) II-B8

41
che possiamo interpretare come la seconda legge di Newton per il moto rettilineo di un corpo
di massa unitaria sottoposto ad una forza la cui intensita f dipende solo dalla posizione
del corpo stesso. Ad esempio la (2.47) con f (y) = a0 sin y, a0 > 0, e lequazione del
pendolo, diciamo quella esatta (la sua linearizzazione, cioe loscillatore armonico, descrive
matematicamente solo le piccole oscillazioni).
Prendendo nei due membri della (2.47) il valore in t di uneventuale soluzione y definita
in un intervallo aperto J, poi moltiplicando per y 0 (t), otteniamo facilmente
 0
1 0 2
y (t) = f (y(t))y 0 (t),
2
ovvero  0
1 0 2
y (t) F (y(t)) = 0
2
dove F (y) e una qualunque primitiva della f (y) in H, e finalmente
1 0 2
y (t) F (y(t)) = K (2.48) II-B9
2
con K costante. Nella (2.48) ritroviamo la legge di conservazione per lenergia meccanica,
somma dellenergia cinetica 12 (y 0 )2 e dellenergia potenziale F (y).
Dunque ogni soluzione della (2.47) verifica la (2.48). Vale anche il viceversa? Detto cos,
no: affinche valga la (2.47) la funzione y(t) devessere di classe C 2 , non solo C 1 come invece
basta perche la (2.48) abbia senso; daltra parte, per y(t) uguale ad una costante c la (2.47)
non vale a meno che f (c) = 0, mentre la (2.48) e soddisfatta non appena K = F (c). Se
pero y(t) e di classe C 2 e verifica y 0 (t) 6= 0 in J la (2.47) si ottiene dalla (2.48) derivando
rispetto a t e successivamente dividendo per y 0 (t).
Fissiamo ora t0 J e definiamo u0 H, u1 R come condizioni di Cauchy per y(t),
ovvero
y(t0 ) = u0 , y 0 (t0 ) = u1 . (2.49) II-C1
Supponiamo u1 6= 0. Possiamo sostituire lintervallo aperto J con un suo sottointervallo
aperto, ancora contenente t0 , dove la funzione continua y 0 (t) si mantiene dello stesso segno
di u1 e verifica di conseguenza lequazione a variabili separabili
1
y 0 = (segno di u1 ) u21 + 2F (y) 2F (u0 ) 2

(2.50) II-C2

insieme alla condizione di Cauchy


y(t0 ) = u0 . (2.51) II-C3
Daltra parte, ripercorrendo allindietro i passaggi precedenti constatiamo che per u1 6= 0 la
soluzione di (2.50), (2.51) verifica, in un intorno di t0 , lequazione (2.47) e le condizioni di
Cauchy (2.49).
Per u1 = 0 lo studio di (2.47), (2.49) presenta alcune difficolta. Tralasciamo il caso
f (u0 ) 6= 0. Se f (u0 ) = 0 la funzione costante y(t) = u0 e ovviamente una soluzione della
(2.47). Ce ne stanno altre? Ancora una volta (cfr. la Sezione 1.4) la risposta e: No, purche
f sia sufficientemente regolare, diciamo lipschitziana (e la dimostrazione e rimandata al
Capitolo 4). Altrimenti lunicita puo venir meno, come nel problema di Cauchy y 00 = y 1/3 ,
y(0) = y 0 (0) = 0 che ammette anche la soluzione non identicamente nulla y(t) = 63/2 t3 .

42
Capitolo 3

Sistemi lineari a coefficienti costanti

3.1 Sistemi lineari omogenei Matrici diagonalizzabili,


matrici triangolarizzabili

Lo spazio delle matrici N N e indicato con con MN (C) o con MN (R) a seconda che le
componenti siano complesse o in particolare reali. I vettori di CN o di RN sono identificati
con le colonne delle loro componenti, dunque con matrici N 1:

u1
..
u = col (u1 , . . . , uN ) = . .
uN
 
La notazione u1 . . .  uN viene utilizzata per la matrice che ha sulla k-esima colonna il
vettore col uk1 , . . . , ukN costituito dalle componenti del vettore uk . Ai vettori u = v + iw di
CN con v e w in RN si estendono le classiche notazioni u = v iw, Re u = v, Im u = w del
P 1/2
N
caso scalare N = 1. In CN la norma kuk = k=1 |u k |2
e quella associata al prodotto
PN
scalare u v =  k=1  uk v k , e vale la disuguaglianza di CauchySchwarz |u v| kuk kvk. La
k N2
norma di A = ah h,k=1,...,N MN (C) e quella in C :
N
!1/2
X
kAk = |akh |2 .
h,k=1

Il prodotto a destra (righe per colonne) di A per u CN verifica kAuk kAk kuk, come si
vede applicando la disuguaglianza di CauchySchwarz alle singole componenti.
Quando J e un intervallo reale aperto, C k (J; RN ) e C k (J; CN ) indicano gli spazi vet-
toriali, rispettivamente su R e su C, delle funzioni x = x(t), t J, di classe C k a valori
rispettivamente in RN e in CN .
Siano akh (h, k = 1, . . . , N ) costanti reali o complesse. Il sistema differenziale

0 1 N
x 1 = a1 x 1 + + a1 x N

.. (3.1) III-A
.
x 0 = a1 x + + aN x

N N 1 N N

43
nelle funzioni scalari incognite x1 = x1 (t), . . . , xN = xN (t) (in generale
 k  a valori in C) e detto
lineare, a coefficienti costanti, omogeneo. Ponendo A = ah h,k=1,...,N riscriviamo il
sistema (3.1) sotto la forma di equazione differenziale vettoriale

x0 = Ax (3.2) III-B

nella funzione vettoriale incognita x = x(t). Una soluzione, sempre la stessa quale che sia
A, esiste senzaltro: quella banale identicamente uguale al vettore nullo. Piu in generale, ad
ogni soluzione u del sistema algebrico Au = 0 (e ne esistono di diverse dal vettore nullo se e
solo se det A = 0) e associata una soluzione costante x(t) = u, detta equilibrio, del sistema
differenziale (3.2).
Un problema di Cauchy si ottiene aggiungendo alla (3.2) una condizione iniziale o
di Cauchy
x(t0 ) = u (3.3) III-C
per t0 R fissato arbitrariamente, oppure la sua formulazione apparentemente piu partico-
lare
x(0) = u
che pero equivale alla precedente, come si vede passando dalla funzione t 7 x(t) alla funzione
t 7 x(t0 + t). Per N > 1 anche la (3.3) e unidentita vettoriale, e precisamente

x1 (t0 ) = u1 , ..., xN (t0 ) = uN .

Nello studio della (3.2) si rivela preziosa la seguente semplice osservazione: se P


MN (C) e invertibile, e quindi A e simile alla matrice B = P 1 AP , una funzione x(t)
soddisfa la (3.2), cioe
P 1 x0 = P 1 Ax = BP 1 x,
se e solo la funzione y(t) = P 1 x(t), con derivata y(t) = P 1 x0 (t), e soluzione di

y0 = By. (3.4) III-D

Abbiamo dunque la possibilita di trasformare la (3.2) in unequazione equivalente (3.4) con


matrice dei coefficienti B piu maneggevole della A, a patto di costruire opportunamente la
matrice di passaggio P . E di tale costruzione che ora ci occupiamo.
Innanzitutto associamo ad A il polinomio caratteristico det (A I) e lequazione
caratteristica
det (A I) = 0 (3.5) III-E
con I matrice identita N N , che ha per soluzioni N numeri complessi, non necessariamente
distinti fra loro, detti autovalori di A. Sia un autovalore. La sua molteplicita algebrica
e il numero di volte che esso compare come soluzione della (3.5). Gli autovettori di A
relativi a , cioe le soluzioni u CN diverse dal vettore nullo dellequazione Au u = 0,
costituiscono lo spazio vettoriale ker (A I) di A I, detto autospazio di A relativo a ,
la cui dimensione e la molteplicita geometrica di . Ogni matrice B di MN (C) simile ad
A con matrice (invertibile) di passaggio P , nel senso che B = P 1 AP , ha la stessa equazione
caratteristica di A, e quindi gli stessi autovalori, ciascuno con la stessa molteplicita. Sia

44
A MN (R): alcuni o tutti gli autovalori possono tranquillamente non essere reali, per cui
gli autovettori possono appartenere a CN \ RN , e sia B che P a MN (C) \ MN (R).
Il seguente fondamentale risultato viene dimostrato nei corsi di Algebra Lineare (e co-
munque rientra in un risultato piu generale di cui daremo la dimostrazione nella Sezione
3.8).
III-l1.1 Lemma 3.1.1. Autovettori relativi ad autovalori distinti sono linearmente indipendenti.
Siano date A e P = [u1 . . . uN ] invertibile. Affinche B = [b1 . . . bN ] soddisfi
B = P 1 AP , ovvero [Au1 . . . AuN ] = [P b1 . . . P bN ], i vettori bk devono essere le
soluzioni dei sistemi algebrici P bk = Auk . Se in particolare u1 , . . . , un , con 1 n N , sono
autovettori linearmente indipendenti di A relativi rispettivamente ad autovalori 1 , . . . , n ,
i primi n di quei sistemi algebrici sono P b1 = 1 u1 , . . . , P bn = n un con soluzioni b1 =
1 e1 , . . . , bn = n en dove ek denota il kesimo versore della base canonica. Dunque B e la
matrice
1 0 . . . 0 bn+1 . . . bN

1 1
0 2 . . . 0 bn+1 2 . . . bN
2

.
 1 n n+1 N
 ..

1 e . . . n e b ... b = (3.6)

n+1 N III-F
0 0 . . . n bn . . . bn
.
..


0 0 . . . 0 bn+1 N . . . bN
N

Da qui segue facilmente il


III-l1.2 Lemma 3.1.2. La molteplicita geometrica di un autovalore non puo superare la sua molte-
plicita algebrica.
DIM. Se m e la molteplicita algebrica di un autovalore , il determinante di AI e prodotto
di ( )m e di un polinomio che non si annulla in . Sia n la molteplicita geometrica di
. Se esistono n autovettori linearmente indipendenti relativi a 1 = = n = la (3.6)
mostra che il determinante di B I ha a fattore ( 1 ) ( n ) = ( )n . Poiche i
due determinanti sono uguali devessere n m.

A completamento del precedente risultato aggiungiamo che la molteplicita geometrica di


un autovalore puo essere un qualunque numero naturale compreso tra 1 e la sua molteplicita
algebrica. Sia A ad esempio la matrice

1 a 0 0
0 1 b 0
0 0 1 c .

0 0 0 1

Per ogni scelta di a, b, c la molteplicita algebrica dellautovalore 1 e 4, mentre quella geome-


trica e 4 se a = b = c = 0, 3 se a 6= 0 e b = c = 0, 2 se a 6= 0, b 6= 0 e c = 0, infine 1 se a 6= 0,
b 6= 0 e c 6= 0.

45
Si dice che A e diagonalizzabile se ha N autovettori linearmente indipendenti, e quindi
e simile alla matrice diagonale data dalla (3.6) con n = N , cioe

1 0 . . . 0
0 2 . . . 0
.

..
.
0 0 . . . N
Perche cio si verifichi e necessario e sufficiente che ogni autovalore abbia la molteplicita
geometrica uguale a quella algebrica, e a tal fine e ad esempio sufficiente ma non necessario
che gli autovalori siano tutti distinti fra di loro. Quindi A MN (R) e simile ad una
matrice diagonale reale se e dotata di autovalori reali tutti distinti fra di loro (e unaltra
condizione sufficiente e che i suoi coefficienti ahk verifichino la condizione di simmetria ahk =
akh ). Pero A MN (R) puo anche essere diagonalizzabile in MN (C) senza esserlo in MN (R)
(come succede ad esempio se ha autovalori complessi tutti distinti tra di loro ma non tutti
reali), o non essere diagonalizzabile nemmeno in MN (C). Segnaliamo di sfuggita che la
diagonalizzabilita e proprieta di una classe di matrici molto particolare e pur tuttavia, in un
senso che ovviamente andrebbe precisato, maggioritaria.
Vediamo cosa accade nel caso generale. Una qualunque matrice N N , avendo almeno
un autovalore in C, e simile ad una B del tipo (3.6) con n = 1. Introduciamo la nozione
di matrice triangolarizzabile, cioe simile a una matrice triangolare superiore oppure
inferiore (i cui autovalori k sono le componenti diagonali):

1 b21 . . . b1N 1 bN 1 1 0 ... 0 0
0 2 . . . bN 1 bN b1 2 . . . 0 0
2 2 2
.. .
oppure .. .

.
N 1 2

0 0 . . . N 1 bN 1 bN 1 bN 1 . . . N 1 0
1
0 0 ... 0 N b1N b2N . . . bNN N
III-O1 Osservazione 3.1.1. Si vede subito che, se B e una matrice triangolare superiore con tutti
gli elementi della diagonale uguali ad uno stesso numero , la potenza (B I)N e la matrice
nulla.

Quando N = 2 la (3.6) con n = 1 mostra che B e gia una matrice triangolare superiore.
Nel caso di un qualunque N facciamo vedere per induzione che la B di (3.6) con n = 1 e
simile ad una matrice triangolare superiore, per cui lo e anche A. Scriviamo B come
 
1
(3.7) III-G
0 B1
 
con B1 = bkh h,k=2,...,N MN 1 (C) (e ovvio significato degli altri simboli). Ipotesi induttiva:
B1 e simile in MN 1 (C) ad una matrice triangolare superiore C1 con matrice di passaggio
Q, cioe B1 = QC1 Q1 . Ma allora la (3.7) verifica in MN (C) la similitudine
         1
1 1 0 1 1 0 1 0 1 1 0
= =
0 B1 0 Q 0 C1 0 Q1 0 Q 0 C1 0 Q

46
(con lo stesso simbolo per due sottomatrici non necessariamente uguali!), e di conseguenza
e simile ad una matrice triangolare superiore di MN (C). Abbiamo cos fatto vedere che
ogni matrice N N e triangolarizzabile. Sottolineiamo ancora una volta che sia la matrice
simile ad A e sia quella di passaggio possono appartenere a MN (C) \ MN (R) anche quando
A MN (R).
Il caso triangolare inferiore si tratta esattamente come quello superiore.

Osservazione 3.1.2. Sia A una matrice con tutti gli autovalori uguali ad uno stesso numero
. Allora (A I)N e la matrice nulla, come si vede applicando lOsservazione 3.1.1 ad una
matrice triangolare superiore simile ad A.

3.2 Esistenza e unicita per i problemi di Cauchy

Torniamo allequazione vettoriale (3.2). Dalla linearita segue che le soluzioni del sistema
su un intervallo aperto costituiscono una famiglia chiusa rispetto alle combinazioni lineari,
quindi uno spazio vettoriale. Quando in particolare le componenti di A sono tutte costanti
reali la (3.2) vale se e solo se vale la
x0 = Ax,
dunque se e solo se sono soluzioni tanto Re x = (x + x) /2 che Im z = (x x) /(2i).
Una soluzione per niente banale della (3.2) si ottiene prendendo un autovettore u relativo
a un autovalore di A: u CN , u 6= 0, Au = u. La funzione R 3 t 7 et u, che vale u in
t = 0, soddisfa lequazione:
d t
(e u) = et u = et Au = A(et u). (3.8) III-H
dt
Se Re 0 la norma della funzione non tende a 0 per t , ed anzi e illimitata per t > 0
se Re > 0: la rilevanza di questa semplice osservazione apparira tra breve.
Passiamo al problema di Cauchy (3.2),(3.3), indicando con 1 , . . . , N gli autovalori
di A.

III-TA Teorema 3.2.1. Sia A MN (C).


(i) Per ogni scelta di t0 R e di u CN il problema di Cauchy (3.2),(3.3) ammette
ununica soluzione R CN .
(ii) Ogni componente della soluzione x(t) = col (x1 (t), . . . , xN (t)), t R di (3.2),(3.3) e
somma di quasipolinomi di caratteri 1 , . . . , N .
(iii) Le soluzioni di (3.2) costituiscono uno spazio vettoriale N dimensionale su C.

DIM. Come abbiamo visto, una qualunque A a componenti reali o complesse e senzaltro
triangolarizzabile in MN (C), vale a dire verifica unidentita A = P BP 1 con P MN (C),
det P 6= 0, e B MN (C) matrice triangolare, diciamo superiore per fissare le idee.

47
Lequazione vettoriale y0 = By e il sistema triangolare costituito dalle N equazioni lineari
scalari
1

y10 = 1 y1 + b21 y2 + + bN
1 yN 1 + bN
1 yN
0 N 1 N
y2 = 2 y2 + + b2 yN 1 + b2 yN



.. (3.9) III-I
.
0 N

yN 1 = N 1 yN 1 + bN 1 yN


y 0 = y .

N N N

Aggiungendo allultima delle (3.9) una condizione yN (t0 ) = vN otteniamo un problema


(scalare) di Cauchy dotato, come gia sappiamo, di ununica soluzione che e prodotto di una
costante per la funzione eN t (per la precisione yN = eN (tt0 ) vN ).
Passiamo alla penultima delle equazioni (3.9) introducendo per yN lespressione appena
ottenuta ed aggiungendo la condizione yN 1 (t0 ) = vN 1 . Otteniamo un altro problema
(scalare) di Cauchy, il quale ammette ununica soluzione. Volendo potremmo anche calcolarla
esplicitamente, ma ci basta applicare il Lemma 1.1.1 per concludere che si tratta di una
combinazione lineare delle funzioni eN 1 t , eN t o delle funzioni eN 1 t , teN 1 t a seconda che
N 1 6= N o N 1 = N , e quindi comunque di una somma di quasipolinomi di caratteri
N 1 , N .
Cos procedendo arriviamo a dimostrare che per ogni k la kesima equazione del sistema
(3.9) nellincognita yk ammette una soluzione, determinata univocamente dalla condizione
yk (t0 ) = vk , uguale per il Lemma 1.1.1 a una somma di quasipolinomi di caratteri k , . . . , N
che, volendo, si potrebbe calcolare esplicitamente.
Una funzione x(t) verifica (3.2), (3.3) con u fissato in CN se e solo la funzione y(t) =
P 1 x(t) soddisfa (3.9) insieme a y(t0 ) = v = P 1 u, e come abbiamo appena visto que-
stultimo problema ammette ununica soluzione. Inoltre, siccome ogni componente di y(t)
e somma di quasipolinomi di caratteri 1 , . . . , N , lo stesso vale per ogni componente di
x(t) = P y(t). Abbiamo cos dimostrato (i) e (ii).
Sia x(t) una qualunquePsoluzione di (3.2). Il suo valore in t0 si scrive univocamente
come combinazione lineare N k k
k=1 ck u , dove u denota il kesimo vettore di una base di C .
N

Per ogni k = 1, . . . , N sia xk (t) la soluzione


PN di (3.2) che in t0 vale uk . Grazie allunicita,
x(t) deve coincidere con la funzione k=1 ck xk (t), dal momento che questultima soddisfa
la stessa equazione lineare! ed inoltre assume in t0 lo stesso valore di x(t). Questo
dimostra (iii).

Notiamo una conseguenza ovvia ma forte dellunicita appena ottenuta: la sola soluzione
della (3.2) che in qualche punto t0 possa verificare x(t0 ) = 0 e la soluzione identicamente
uguale al vettore nullo.
La dimostrazione del Teorema 3.2.1 e molto meno costruttiva di quanto si direbbe a pri-
ma vista, anche quando la matrice dei coefficienti e gia in partenza triangolare: il metodo di
risoluzione basato sulle eliminazioni successive in N problemi di Cauchy per equazioni sca-
lari finisce per rivelarsi oneroso se N 3, come si potrebbe vedere provando ad applicarlo
al caso che sara considerato nellEsempio 3.8.1. Pero il Teorema 3.2.1 (ii) fornisce nel caso
generale una descrizione qualitativa della soluzione che si rivelera sufficiente ai fini della-
nalisi asintotica della prossima sezione. Sempre nella prospettiva di tale analisi la prossima

48
osservazione fornisce unaltra descrizione qualitativa, che riguarda stavolta (per n > 1) un
caso abbastanza particolare.
ossIII21 Osservazione 3.2.1. Supponiamo che per un n tra 1 ed N esistano n autovettori linear-
mente indipendenti di A MN (C) relativi ad autovalori 1 , . . . , n , e facciamo vedere che
allora ogni componente di una soluzione di (3.2) e somma di una combinazione lineare di
e1 t , . . . , en t e quasipolinomi di caratteri n+1 , . . . , N . Adesso A e simile ad una B della
forma (3.6). Sia y(t) la soluzione di y0 = By, ovvero
y1 = 1 y1 + bn+1
0
1 yn+1 + + bN
1 yN



.
..


0
yn = n yn + bn+1 N
n yn+1 + + bn yN
0
yn+1 = bn+1 N
n+1 yn+1 + + bn+1 yN
..





.
yN = bn+1
0 N
N yn+1 + + bN yN

con condizione di Cauchy y(t0 ) = v = P 1 u. Le ultime N n equazioni costituiscono


un sistema la cui matrice [bsr ]r,s=n+1,...,N ha autovalori n+1 , . . . , N , e quindi le componenti
yn+1 , . . . , yN della soluzione y(t) sono, grazie al Teorema 3.2.1, somme di quasipolinomi di
caratteri n+1 , . . . , N . Daltra parte, per h = 1, . . . , nr le componenti yh sono soluzioni di
equazioni yh0 = h yh + bn+1 N
h yn+1 + + bh yN , e quindi sono somma di prodotti ch e
h t
e
quasipolinomi di caratteri n+1 , . . . , N . La conclusione si ottiene passando a x(t) = P y(t).
Rispetto al Teorema 3.2.1 (ii) quello che questa osservazione permette di dire in piu e
che, sotto lulteriore ipotesi che i h con h = 1, . . . , n verifichino h 6= k per k > n, le
componenti delle soluzioni sono sempre prive di qualunque addendo uguale al prodotto di
una costante non nulla per tj eh t con j > 0: cfr. lOsservazione 1.1.1.

Applicando il Teorema 3.2.1 ai sistemi a coefficienti reali otteniamo il


III-32 Teorema 3.2.2. Sia A MN (R).
(i) Per ogni scelta di u RN la soluzione di (3.2),(3.3) va da R a RN .
(ii) Ogni componente della soluzione x(t) di (3.2),(3.3) a valori in RN e una combinazione
lineare su R di prodotti tj ek t cos k t e tj ek t sin k t, con k + ik = k (dove e compreso il
caso k = 0 degli autovalori reali k = k ).
(iii) Le soluzioni reali di (3.2) costituiscono uno spazio vettoriale N dimensionale su R.
DIM. Passando ai coniugati nei primi e secondi membri di (3.2) e (3.3) si vede che nella pre-
sente situazione anche la coniugata x(t) dellunica soluzione x(t) verifica lo stesso problema
di Cauchy. Ne segue che x(t) coincide con x(t) e quindi con la propria parte reale. Questo
dimostra (i).
Grazie al Teorema 3.2.1 ogni componente della soluzione x(t) = col (x1 (t), . . . , xN (t))
di (3.2),(3.3) e una combinazione lineare in C di prodotti tj ek t . Passando alle parti reali
otteniamo (ii).
Quanto a (iii) basta tener conto che le soluzioni xk (t) di (3.2) con xk (t0 ) = ek , k =
1, . . . , N , sono (linearmente indipendenti e) a valori in RN .

49

O-121 Osservazione 3.2.2. Ad un sistema di equazioni del I ordine con matrice dei coefficienti
triangolare possiamo anche ricondurre, sviluppando lapproccio seguito per N = 2 nella
Sezione 2.1, lequazione lineare (scalare) di ordine N
y (N ) + aN 1 y (N 1) + + a1 y 0 + a0 y = 0. (3.10) III-L
Siano infatti 1 , . . . , N le radici del polinomio caratteristico
N + aN 1 N 1 + + a1 + a0
per cui
DN + aN 1 DN 1 + + a1 D + a0 = (D 1 ) (D N ).
Risolviamo prima (D 1 )x1 = 0, poi (D 2 )x2 = x1 e quindi (D 1 )(D 2 )x2 = 0, poi
(D 3 )x3 = x2 e quindi (D 1 )(D 2 )(D 3 )x3 = 0, eccetera fino a (D N )xN = xN 1
e quindi (D 1 ) (D N 1 )(D N )xN = 0. In questo modo troviamo una soluzione
del sistema

x01 = 1 x1
0
x2 = x1 + 2 x2



x03 = x2 + 3 x3 (3.11) III-M
..
.


x 0 = x

N N 1 + N xN

cioe x0 = Ax con matrice dei coefficienti triangolare (inferiore)



1 0 0 . . . 0 0
1 2 0 . . . 0 0

A = 0 1 3 . . . 0 0 , (3.12)

III-N
..
.
0 0 0 ... 1 N
e la componente xN e una soluzione y della (3.10).
Nel seguito pero ci fara comodo trasformare la (3.10) nellaltro sistema


x01 = x2
0
x 2 = x 3



.. (3.13) III-P
.
x0N 1 = xN




x0 = a x a

N 0 1 N 1 xN

cioe nellequazione vettoriale x0 = Ax con matrice dei coefficienti (non piu triangolare per
N 3)
0 1 ... 0 0
.

.

.

(3.14) III-Q

0 0 ... 0 1
a0 a1 . . . aN 2 aN 1

50
Stavolta una soluzione y della (3.10) e data dalla prima componente x1 , mentre y 0 =
x2 , . . . , y (N 1) = xN . Si noti che, se u = col (u1 , . . . , uN ) e un autovettore della (3.14) e
lautovalore associato, la funzione et u1 e una soluzione della (3.10). (Si avrebbe un assurdo
se fosse quella identicamente nulla, ma cio non puo accadere.)

3.3 Determinanti wronskiani Stabilita


sec3.3

Sia W [x1 , . . . , xN ](t), o piu semplicemente W (t), il wronskiano di N funzioni vettoriali


t 7 x1 (t), . . . , t 7 xN (t) a valori in RN o in CN , ovvero il determinante della matrice
[x1 (t) . . . xN (t)] che ha tali funzioni sulle colonne. Se le xk (t) sono linearmente dipendenti
come elementi (vettori) di C 0 (R; CN ), cioe se esistono N costanti complesse non tutte nulle
tali che
c1 x1 (t) + + cN xN (t) = 0 per t R, (3.15) III-3.1
si deve per forza avere
W (t) = 0 per t R. (3.16) III-3.2
La (3.16) e pero in generale piu debole della (3.15) perche equivale soltanto a richiedere che
per ogni fissato t gli elementi (vettori) x1 (t), . . . , xN (t) di CN siano linearmente dipendenti,
cioe verifichino
c1 (t)x1 (t) + + cN (t)xN (t) = 0
per unopportuna scelta di N costanti complesse c1 (t), . . . , cN (t) non tutte nulle: cfr. lOs-
servazione 2.2.1. Inutile poi dire che la (3.16) e piu forte della

W (t0 ) = 0 per qualche t0 R. (3.17) III-3.3

Ricapitoliamo: per una generica N -pla di funzioni non solo non e vero che (3.17) implica
(3.16), ma neppure che (3.16) implica (3.15) con le ck indipendenti da t! non tutte
nulle.
Se pero le funzioni sono soluzioni di sistemi differenziali (3.2) le cose cambiano. Come
abbiamo visto nella dimostrazione del Teorema 3.2.1 (iii), una famiglia x1 (t), . . . , xN (t) di
soluzioni con valori linearmente indipendenti in un punto t0 , ovvero con wronskiano W (t0 ) 6=
0, e una base nello spazio di tutte le soluzioni, dunque una famiglia fondamentale di queste
ultime, con W (t) 6= 0 per ogni t. Lespressione
N
X
x(t) = ck xk (t) (3.18) III-3.4
k=1

con le costanti ck arbitrarie e allora un integrale generale del sistema; la matrice (solu-
zione) fondamentale X(t) = [x1 (t) . . . xN (t)] ha per determinante il wronskiano, mai
nullo.

51
Si noti che il secondo membro della (3.18) e il prodotto di X(t) per il vettore c =
col (c1 , . . . , cN ), e la disuguaglianza kX(t)ck kX(t)k kck si riscrive
N
!1/2 N !1/2
X X
kx(t)k kxk (t)k2 |ck |2 . (3.19) III-3.5
k=1 k=1

Quello che siamo venuti dicendo si trasferisce allequazione scalare (3.10) mediante il
passaggio al sistema (3.12). In particolare si ritrova lespressione (2.41) del wronskiano di N
soluzioni y1 (t), . . . , yN (t) di classe C N .
Importantissimo e il seguente
III-e3.1 Esempio 3.3.1. Se A e diagonalizzabile in M  N (C) 1(in MNN(R)) una matrice fondamen-
1 t 1 N t N
tale del sistema (3.2) e e u . . . e u con u , . . . , u C ( RN ) autovettori
N

linearmente indipendenti associati rispettivamente agli autovalori 1 , . . . , N .

Per un sistema differenziale (adesso lineare, omogeneo, a coefficienti costanti: piu in la


generalizzeremo) si danno le seguenti definizioni. Una soluzione x0 (t) del sistema e stabile
se, dato un qualunque > 0, esiste un ]0, ] tale che ogni soluzione x(t) del sistema
con kx(0) x0 (0)k < verifica kx(t) x0 (t)k < per ogni t > 0; e asintoticamente
stabile se e stabile, ed inoltre puo essere scelto in modo tale che ogni soluzione x(t) con
kx(0) x0 (0)k < verifichi x(t) x0 (t) 0 per t ; e instabile se non e stabile.
III-t 3.2 Teorema 3.3.1. (i) Le soluzioni di (3.2) sono tutte stabili o tutte instabili a seconda che
lequilibrio 0 sia stabile o instabile.
(ii) Lequilibrio 0 e asintoticamente stabile se e solo se tutti gli autovalori di A hanno
parte reali negative.
(iii) Se esiste un autovalore con parte reale positiva lequilibrio 0 e instabile.
DIM. (i) Banale.
(ii) Ad un autovalore con parte reale 0 e associata una soluzione et u, con u autovet-
tore, che non tende al vettore nullo per t . Ne segue che 0 non puo essere asintoticamente
stabile. Viceversa, se la parte reale di ogni autovalore k e < 0, dal Teorema 2.1 (ii) segue
che per t > 0 le funzioni x1 (t), . . . , xN (t) della famiglia fondamentale con xk (0) = ek , essendo
combinazioni lineari di prodotti tj ek t , verificano
N
!1/2
X
kxk (t)k2 Kedt
k=1

con qualche coppia di costanti positive K e d, per cui ogni soluzione di x0 = Ax verifica
kx(t)k Kedt kx(0)k
grazie alla (3.19) con ck = xk (0) per k = 1, . . . , N . Questo dimostra che 0 e asintoticamente
stabile.
(iii) Ad un autovalore con parte reale > 0 e associata una soluzione et u, con u
autovettore, che e illimitata in modulo per t > 0. Ne segue che 0 non e stabile.

52


III-o3.1 Osservazione 3.3.1. Cosa succede se non ci sono autovalori con parti reali positive, ma
ce ne sono con parti reali nulle? Se per ognuno di questi ultimi la molteplicita algebrica
coincide con quella geometrica lequilibrio 0 di (3.2) e stabile. Siano infatti 1 , . . . , n gli
autovalori con parti reali nulle. Come sappiamo dallOsservazione 3.2.1 le componenti di una
qualunque soluzione sono combinazioni lineari di funzioni limitate e1 t , . . . , en t e di funzioni
infinitesime (per t ) tj eh t con h > n e qualche j. Le funzioni x1 (t), . . . , xN (t) della
famiglia fondamentale con xk (0) = ek verificano dunque

N
!1/2
X
sup kxk (t)k2 K
t0
k=1

con K costante positiva. Ne segue che ogni soluzione x(t), grazie alla (3.19) con ck = xk (0)
per k = 1, . . . , N , verifica supt0 kx(t)k se kx(0)k /K, e cio mostra la stabilita.
A questo punto rimane scoperto un caso: quello in cui esiste un autovalore con parte
reale = 0 e molteplicita geometrica strettamente minore della molteplicita algebrica. Piu in
la (nella Sezione 3.8 sara possibile far vedere che allora 0 e instabile.

3.4 Tecniche risolutive per i sistemi di 2 equazioni


secIII-4

In questa Sezione ci occuperemo dei sistemi (3.2) con A matrice 2 2 a componenti reali
 0
x1 = a11 x1 + a21 x2
(3.20) III-e4.1
x02 = a12 x1 + a22 x2

e forniremo le rappresentazioni esplicite delle soluzioni; interpretandole come curve piane in


forma parametrica, ne descriveremo i sostegni, detti anche orbite o traiettorie, nel piano
(x1 , x2 ), detto piano delle fasi.
Cominciamo con losservare che per N = 2 lequazione caratteristica (3.5) del sistema e

2 (tr A) + det A = 0.

Dunque, se A e singolare, allora uno degli autovalori e nullo e laltro e la traccia di A; in


generale gli autovalori 1 e 2 di A verificano

1 + 2 = tr A, 1 2 = det A

dove tr A denota la traccia a11 + a22 di A. Da queste due identita si possono dedurre a
colpo docchio, senza bisogno di risolvere lequazione caratteristica, alcune informazioni sugli
autovalori che permettono di applicare importanti considerazioni della Sezione 3.3. Se, ad
esempio, det A > 0, gli autovalori possono essere sia complessi coniugati che reali, e se inoltre
tr A < 0 hanno entrambi parti reali negative (per cui il vettore nullo e asintoticamente

53
stabile); se invece det A < 0 essi (non possono essere complessi coniugati e quindi) sono reali
con segni opposti (per cui il vettore nullo e instabile).
Ricordiamo che nellequazione vettoriale del primo ordine (3.20) rientra quella scalare del
secondo ordine
y 00 + ay 0 + by = 0. (3.21) III-4.2
Cfr. lOsservazione 3.2.2. Ma, viceversa, derivando o luna o laltra equazione del sistema e
poi procedendo per sostituzione si vede che sia x1 e sia x2 soddisfano lequazione scalare

y 00 (tr A)y 0 + det A = 0,

la cui equazione caratteristica e, non sorprendentemente, la stessa del sistema.


1o Supponiamo per cominciare che A abbia due autovalori reali e distinti 1 e 2 , con
rispettivi autovettori u1 e u2 . Siamo nellambito dellEsempio 3.3.1: A e diagonalizzabile in
M2 (R), una matrice fondamentale del sistema (3.20) e

[e1 t u1 e2 t u2 ]

e un suo integrale generale si ottiene facendo variare K1 , K2 R nellespressione


 
1 t 1 2 t 2
 1 2
 K1 e1 t
K1 e u + K2 e u = u u . (3.22) III-e4.3
K2 e2 t

Escludiamo che uno dei due autovalori sia lo 0 (rinviando per questultima eventualita allE-
sercizio 11). Allora 0 e lunico equilibrio, (e si vede che e) stabile se entrambi gli autovalori
sono negativi, instabile altrimenti.

III-o4.1 Osservazione 3.4.1. Quando il polinomio caratteristico dellequazione scalare (3.21) am-
mette due radici reali e distinte 1 e 2 lintegrale generale dellequazione e, come gia sap-
piamo dal Capitolo 2, C1 e1 t + C2 e2 t : possiamo dedurre questo dalla (3.22) semplicemente
prendendo Ch uguale al prodotto di Kh per la prima componente, che qui sappiamo essere
diversa da zero, dellautovettore uh .

Per studiare le traiettorie delle soluzioni (3.22) passiamo dalle coordinate x1 , x2 alle y1 , y2
definite da    
x1  1 2
 y1
= u u .
x2 y2
Quando K1 > 0 e K2 > 0 la traiettoria di una curva piana y1 = K1 e1 t , y2 = K2 e2 t , t R
t/
e il grafico di una funzione y2 = Cy1 2 1 , y1 > 0 con C > 0, e dunque si disegna subito
distinguendo i tre casi 0 < 2 /1 < 1, 2 /1 > 1, 2 /1 < 0, nellultimo dei quali si dice che
lorigine (equilibrio instabile) e un punto di sella. Lestensione ai casi degli altri segni di
K1 e K2 si fa per simmetrie.
A questo punto per ottenere la rappresentazione grafica delle traiettorie di partenza nel
piano delle fasi (x1 , x2 ) resta solo da operare una deformazione affine di matrice [u1 u2 ].

54
III-e 4.1 Esempio 3.4.1. La matrice dei coefficienti del sistema
 0
x1 = 5x1 + 3x2
x02 = 6x1 4x2

ha determinante < 0 e quindi autovalori reali di segni opposti: lorigine e un punto di sella.
Calcoliamo: un autovalore e uguale a 2 con un autovettore dato da col (1, 1), laltro a 1
con un autovettore dato da col (1, 2). Un integrale generale di questo sistema e dato da

K1 e2t K2 et
    
1 1 K1 e2t
=
1 2 K2 et K1 e2t + 2K2 et

ed una sua matrice fondamentale da


e2t et
 
.
e2t 2et

2o Supponiamo adesso che gli autovalori di A siano s distinti, ma complessi coniugati,


cioe della forma i (dove , R, 6= 0), con rispettivi autovettori v iw (dove v, w
sono vettori colonne di R2 , w 6= 0):

A(v iw) = ( i)(v iw).

Cio significa che A e simile alla matrice diag ( + i, i) di M2 (C) con matrice di
passaggio [v + iw v iw]. Siamo di nuovo nellambito dellEsempio 3.3.1: una matrice
fondamentale del sistema, ma di funzioni a valori in C2 e non in R2 , e

et [eit (v + iw) eit (v iw)].

Daltra parte, le due soluzioni linearmente indipendenti x(t) = e(+i)t (v+iw) = et (cos t+
i sin t)(v + iw) e x(t) sono combinazioni lineari di Re x(t) e Im x(t), cioe di

et (v cos t w sin t) e et (v sin t + w cos t),

che sono quindi a loro volta soluzioni linearmente indipendenti, ma adesso a valori in R2 .
Abbiamo cos trovato una matrice fondamentale (di funzioni a valori in R2 ) del sistema:

et [v cos t w sin t v sin t + w cos t].

In altri termini, la totalita della soluzioni (di funzioni a valori in R2 ) del sistema si ottiene
facendo variare K1 , K2 R nellespressione

K1 et (v cos t w sin t) + K2 et (v sin t + w cos t)


 
  t K1 cos t + K2 sin t
= v w e . (3.23) III-4.4
K1 sin t + K2 cos t

55
III-o 4.2 Osservazione 3.4.2. Quando lequazione caratteristica associata alla (3.21) ammette due
soluzioni complesse coniugate i lintegrale generale dellequazione e, come gia sappiamo
dal Capitolo 2, C1 et cos t + C2 et sin t. Si puo dedurre questo dalla (3.23) prendendo C1
e C2 uguali rispettivamente a K1 v1 + K2 w1 ed a K1 w1 + K2 v1 , dove abbiamo scritto come
v1 +iw1 la prima componente, che qui sappiamo essere diversa da zero, dellautovettore v+iw
(e le Ch sono altrettanto arbitrarie delle Kh , con cui sono in corrispondenza biunivoca).

Per studiare le traiettorie delle soluzioni (3.23) passiamo dalle coordinate x1 , x2 alle y1 , y2
definite da    
x1 y
= [v w] 1 .
x2 y2
Le traiettorie delle curve piane y1 = et (K1 cos t + K2 sin t), y2 = et (K1 sin t +
K2 cos t), t R, sono le circonferenze y12 + y22 = K12 + K22 se = 0. Altrimenti si tratta di
spirali che escono dallorigine e crescono verso linfinito per t crescente se > 0 e invece
per t decrescente se < 0.
A questo punto si ottiene la rappresentazione grafica delle traiettorie di partenza nel
piano delle fasi (x1 , x2 ) mediante una deformazione affine di matrice [v w].

III-e 4.2 Esempio 3.4.2. La matrice dei coefficienti del sistema


 0
x1 = 3x1 + 5x2
x02 = 5x1 + 3x2

ha un autovalore uguale a 3 5i con un autovettore dato da col (0, 1) + i col (1, 0) (e quindi,
automaticamente, laltro autovalore e uguale a 3 + 5i con un autovettore dato da col (0, 1)
i col (1, 0)). Due soluzioni linearmente indipendenti a valori in C2 sono la
     
(35i)t i 3t 0 1
e = e (cos 5t i sin 5t) +i
1 1 0

e la sua coniugata, mentre le sue parti reale e immaginaria, cioe


              
3t 0 1 3t sin 5t 3t 0 1 3t cos 5t
e cos 5t + sin 5t = e e e sin 5t + cos 5t = e
1 0 cos 5t 1 0 sin 5t

sono due soluzioni linearmente indipendenti a valori in R2 . Una matrice fondamentale di


soluzioni a valori in R2 e dunque
 
3t sin 5t cos 5t
e
cos 5t sin 5t

e unespressione dellintegrale generale e


       
3t sin 5t 3t cos 5t 0 1 3t K1 cos 5t K2 sin 5t
K1 e + K2 e = e .
cos 5t sin 5t 1 0 K1 sin 5t + K2 cos 5t

56


3o Supponiamo che i due autovalori di A abbiano lo stesso valore reale . Allora A, se non
e gia diagonale, non e diagonalizzabile (come si vede subito tenendo conto che una matrice
diagonale con tutte le componenti diagonali uguali allo stesso numero e la matrice identita
moltiplicata per , e quindi e simile solo a se stessa). Adesso siamo fuori dallEsempio
3.3.1. Pero possiamo comunque triangolarizzare A con un procedimento gia utilizzato (cfr.
la (3.6)) che nel presente caso diventa semplicissimo. Siano dunque u un autovettore di A
e v un versore ek non proporzionale ad u. Supponendo k = 2 per fissare le idee, possiamo
scrivere il vettore Av (seconda colonna di A) come combinazione lineare di u e v perche
questi vettori, essendo linearmente indipendenti, costituiscono una base di R2 . Dunque Av
e uguale a cu + dv. Otteniamo cos
 
  c
AP = P B con P = u v e B = .
0 d

Devessere d = perche B, essendo simile ad A, ha lo stesso autovalore di molteplicita 2;


daltra parte, c = 0 se e solo se v e un altro autovettore della matrice, la quale e allora diago-
na(lizzabi)le perche due suoi autovettori sono linearmente indipendenti. Riassumendo: se A
non e il prodotto di per la matrice identita si trovano due vettori linearmente indipendenti
u e v tali che  
1
  c
A = P BP con P = u v e B = .
0
Il sistema y0 = By, ovvero y10 = y1 + cy2 , y20 = y2 si risolve subito: inserendo la generica
soluzione y2 (t) = K2 et della seconda equazione nella prima si ottiene la generica soluzione
y1 (t) = et (K1 + K2 ct). Ne segue che lintegrale generale del sistema si ottiene facendo
variare K1 , K2 R nellespressione
   
t K1 + K2 ct
 t K1 + K2 ct
= K1 et u + K2 et (tcu + v)

Pe = u v e
K2 K2

e una matrice fondamentale e


[et u et (tcu + v)]. (3.24) III-4.5

III-o 4.3 Osservazione 3.4.3. Quando lequazione caratteristica associata alla (3.21) ammette una
soluzione reale di molteplicita 2 lintegrale generale dellequazione e C1 et + C2 tet , come
segue dalla (3.24) per C2 = K2 cu1 e C1 = K1 u1 + K2 v1 (dove u1 e la prima componente
dellautovettore u, che qui sappiamo essere diversa da zero, mentre la prima componente v1
di v puo benissimo essere nulla).

Anche in questo 3o caso, come abbiamo fatto nei primi due, possiamo studiare le traiet-
torie delle soluzioni (3.24) passando dalle coordinate x1 , x2 alle y1 , y2 definite da
   
x1   y1
= u v .
x2 y2

57
Adesso le equazioni parametriche da cui eliminare la t sono y1 = (K1 + K2 ct)et , y2 = K2 et .
Dalla seconda equazione ricaviamo t = 1 log Ky22 per y2 /K2 > 0, e dalla prima otteniamo
y1 = (K1 + K2 c log Ky22 ) Ky22 sia per y2 > 0, purche K2 > 0, e sia per y2 < 0, purche K2 < 0.
III-e 4.3 Esempio 3.4.3. La matrice dei coefficienti del sistema
 0
x1 = x1 x2
x02 = x1 + 3x2
ha un autovalore doppio = 2, con autovettore u = col (1, 1). Prendiamo come v il versore
col (0, 1). Siccome Av = u + 2v la totalita delle soluzioni del sistema si scrive come
 
(K1 K2 t)e2t
[K1 + K2 (t + 1)]e2t
e la matrice fondamentale corrispondente come
 2t 
e te2t
.
e2t (t + 1)e2t


3.5 Tecniche risolutive per alcuni tipi di sistemi di N


equazioni
secIII-5
Vediamo quali delle tecniche risolutive viste nella Sezione precedente per i sistemi di 2
equazioni possono essere estese a sistemi di un numero N 3 di equazioni.
La prima di esse riguarda il caso considerato  nellEsempio
3.3.1: A MN (R) diago-
nalizzabile (almeno) in MN (C). Sia dunque u1 , . . . , uN una base di CN costituita da
autovettori di A relativi rispettivamente agli autovalori 1 , . . . , N .
Se tutti gli autovalori sono reali si prendono gli uk in RN e si ottengono subito N soluzioni
linearmente indipendenti
e1 t u1 , . . . , eN t uN
della (3.2).
III-e 5.1 Esempio 3.5.1. Sia
0 1 1
A = 1 0 1 .
1 1 0
I suoi autovalori sono 1 = 1 con molteplicita algebrica 2 e 2 = 2. Il ker (A + I) contiene
coppie di vettori linearmente indipendenti, ad esempio col (1, 0, 1) e col (0, 1, 1), e a questo
punto gia sappiamo che A e diagonalizzabile. Per parte sua, il ker (A 2I) e generato ad
esempio da col (1, 1, 1). Ne segue che le 3 funzioni vettoriali

1 0 1
et 0 , et 1 , e2t 1
1 1 1

58
sono soluzioni linearmente indipendenti del sistema
0
x 1 = x 2 + x 3
x0 = x1 + x3
20
x3 = x1 + x2 .

Se invece i primi 2n N autovalori sono complessi, non reali, otteniamo dapprima N


soluzioni linearmente indipendenti a valori in CN :

e(1 +i1 )t v1 + iw1 , . . . , e(n +in )t (vn + iwn ) ,




e(1 i1 )t v1 iw1 , . . . , e(n in )t (vn iwn ) ,




e2n+1 t u2n+1 , . . . , eN t uN
con k = Re k , k = Im k , vk = Re uk e wk = Im uk . Da esse passiamo alle N funzioni

e1 t v1 cos 1 t w1 sin 1 t , . . . , en t (vn cos n t wn sin n t) ,




e1 t v1 sin 1 t + w1 cos 1 t , . . . , en t (vn sin n t + wn cos n t) ,




e2n+1 t u2n+1 , . . . , eN t uN
a valori in RN , anchesse linearmente indipendenti: le e(k ik )t vk iwk sono infatti


combinazioni lineari delle ek t vk cos 1 t wk sin k t e ek t vk sin k t + wk cos k t .

III-e 5.2 Esempio 3.5.2. La matrice


1 0 0
A = 0 1 1
0 1 1
e diagonalizzabile sui complessi ma non sui reali, perche il suo polinomio caratteristico (1
)(2 2 + 2) ha 3 radici semplici ma non tutte reali: 1 = 1 + i, 2 = 1 i, 3 = 1. A
1 e associato lautovettore u1 = col (0, i, 1) = col (0, 0, 1) + icol (0, 1, 0), per cui a 2 = 1 e
automaticamente associato lautovettore u2 = u1 = col (0, i, 1) = col (0, 0, 1) icol (0, 1, 0);
a 3 , poi, e associato lautovettore u3 = col (1, 0, 0). Questi 3 vettori costituiscono una base
di C3 , mentre una base di R3 e costituita dai vettori Re u1 = col (0, 0, 1), Im u1 = col (0, 1, 0),
u3 . Nello spazio delle soluzioni a valori in C3 del sistema differenziale
0
x 1 = x 1
x02 = x2 x3
0
x3 = x2 + x3

le 3 funzioni

0 0 0 1
(1i)t t t
e i = e (cos t i sin t)
0 i 1 ,
e 0
1 1 0 0

59
costituiscono una base; nello spazio delle soluzioni a valori in R3 sono invece le funzioni

0 0 1
t t t
e sin t , e cos t , e 0

cos t sin t 0
che costituiscono una base.

Come possiamo procedere quando A non e diagonalizzabile? Se esistono N 1 suoi
autovettori u1 , . . . , uN 1 linearmente indipendenti, A e simile ad una matrice (3.6) con n =
N 1, dunque triangolare s, ma quasi diagonale, e la matrice di passaggio P e gia quasi
pronta.
III-e 5.3 Esempio 3.5.3. Sia
1 2 0
A = 2 2 3 .
2 2 1
I suoi autovalori sono 0 e 1, questultimo con molteplicita algebrica uguale a 2; ker A e gene-
rato da u1 = col (2, 1, 2) e ker (A I) da u2 = col (1, 1, 1). Dunque A non e diagonalizzabile.
Poniamo
2 1 0
P = u1 u2 e3 = 1 1 0
 

2 1 1
e cerchiamo B = [0 u1 1 u2 b] con b = col (b1 , b2 , 1) tale che AP = P B. Perche Ae3 ,
cioe il vettore col (0, 3, 1), sia uguale a P b, cioe a col (2b1 + b2 , b1 + b2 , 2b1 + b2 + 1), occorre
e basta che b1 = 3, b2 = 6. Dunque

0 0 3
B = 0 1 6
0 0 1
(e il fatto che un autovalore sia 0 fornisce lulteriore vantaggio di una colonna nulla).
Risolvendo il sistema 0
y1 = 3y3
y20 = y2 6y3
0
y3 = y3
a partire dalla terza equazione, otteniamo y3 = K3 et , y2 = K2 et 6K3 et , y1 = K1 + K3 et ,
ovvero una matrice fondamentale

1 0 3et
0 et 6tet ,
0 0 et
che moltiplicata a sinistra per la matrice P fornisce una matrice fondamentale del sistema
0
x1 = x1 + 2x2
x0 = 2x1 + 2x2 3x3
20
x3 = 2x1 + 2x2 + x3 .


60
Per passare al caso di una matrice A qualsiasi abbiamo bisogno di strumenti piu sofisticati,
che introdurremo nelle prossime due sezioni.

3.6 Esponenziali di matrici

Finora ci siamo occupati delle matrici fondamentali dei sistemi differenziali pressocche sol-
tanto dal punto di vista insiemistico, identificandole sostanzialmente con le famiglie fon-
damentali di soluzioni. Adesso passiamo a studiarne le proprieta specificamente legate al
calcolo matriciale.
Riformuliamo innanzitutto il Teorema 3.2.1 di esistenza ed unicita di soluzioni xk (t)
per i problemi (3.2),(3.3) con u = uk CN , k da 1 a N , nel modo
 1 seguente:Nla funzione

R MN (C) che associa al numero reale t la matrice X(t) = x (t) . . . x (t) , di cui
definiamo la derivata X 0 (t) come la matrice dx1 (t)/dt . . . dxN (t)/dt , e lunica soluzione
del problema di Cauchy matriciale

X 0 = AX, X(t0 ) = U (3.25) III-c


 
con U = u1 . . . uN ; se U e invertibile, X(t) e una matrice (soluzione) fondamentale,
con determinante W [x1 , . . . , xN ](t) mai nullo.
Prendiamo poi in particolare U = I (cioe uk = ek per k = 1, . . . , N ) e t0 = 0. Quando
N = 1 sappiamo scrivere lo sviluppo di MacLaurin della soluzione etA , A R, dellequazione
scalare (3.2) con valore iniziale 1:

X tk k
A . (3.26) exp
k=0
k!
Ma questa e unespressione che continua ad avere senso anche per N > 1 e A in MN (C) o in
MN (R): si tratta di una serie di funzioni a valori matrici, che coincide con la matrice identica
quando t = 0, e inoltre in ogni intervallo |t| R converge uniformemente (sintende in norma,
ovvero componente per componente) P a unak funzione a valori rispettivamente in MN (C) o in
MN (R). Infatti la serie numerica k=0 R kAk k
/k!, essendo convergente, soddisfa il criterio
di Cauchy, per cui le maggiorazioni
n+p n+p n+p
X tk X Rk k X Rk
k
A kA k kAkk

k! k! k!


k=n k=n k=n

mostrano che la serie (3.26) soddisfa il criterio di Cauchy uniformemente rispetto a t


[R, R]. Chiamiamo funzione esponenziale matriciale e denotiamo con etA la somma
della serie (3.26):

tA
X tk k
e = A .
k=0
k!
Anche la serie derivata termine a termine
j
X tk1 k
X t j
A =A A
k=1
(k 1)! j=0
j!

61
converge uniformemente in ogni [R, R], e la sua somma e uguale a AetA . Dal teorema di
derivazione per le serie di funzioni numeriche1 applicato alle serie delle singole componenti
delle matrici tk Ak /k! segue che etA e derivabile, con
d tA
e = AetA .
dt
Dunque etA e (lunica) soluzione di (3.25) con U = I e t0 = 0; etA u denota la soluzione x(t)
di x0 = Ax, x(0) = u, e vale et u se e un autovalore di A e u un autovettore associato a .
Esempio 3.6.1. (i) Sia A = diag (1 , . . . , N ). A k fissato la kesima colonna di etA ha sulla
jesima riga la soluzione di dxjk /dt = k xjk , xjk (0) = kj , cioe xjk (t) = kj ek t per j = 1, . . . , N .
Dunque eAt = diag (e1 t , . . . , eN t ).
(ii) Le funzioni t 7col (cos t, sin t) e t 7col (sin t, cos t) sono le soluzioni del sistema
 0
x1 = x2
x02 = x1
che per t = 0 valgono rispettivamente col (1, 0) e col (0, 1). Dunque
   
tA cos t sin t 0 1
e = per A = .
sin t cos t 1 0
(iii) Le funzioni t 7col ((et + et )/2, (et et )/2) e t 7col ((et et )/2, (et + et )/2)
sono le soluzioni del sistema  0
x1 = x2
x02 = x1
che per t = 0 valgono rispettivamente col (1, 0) e col (0, 1). Dunque
 et +et et et   
tA 2 2
0 1
e = et et et +et per A = .
2 2
1 0

ossIII-6.1 Osservazione 3.6.1. Per ogni scelta di N vettori u1 , . . . , uN linearmente indipendenti la
matrice
eAt [u1 . . . uN ] = [eAt u1 . . . eAt uN ] (3.27) III-a
e la matrice fondamentale soluzione del problema (3.25) con t0 = 0. Possiamo calcolarla
subito se A e diagonalizzabile. In tal caso sappiamo infatti che, se u1 , . . . , uN sono auto-
vettori linearmente indipendenti associati rispettivamente agli autovalori 1 , . . . , N , risulta
eAt uk = ek t uk , e la matrice fondamentale (3.27) non e altro che la [e1 t u1 . . . eN t uN ]
gia vista nellEsempio 3.3.1. In generale pero si ha a che fare con una matrice A che non
e diagonalizzabile, e per costituire unN pla di vettori uk su cui il calcolo delle colonne
eAt uk della (3.27) risulti ancora abbastanza semplificato bisogna opportunamente allargare
la categoria degli autovettori propriamente detti. Questo lo faremo nella Sezione 3.8.

1
Siano a1 (t), a2 (t), . . . funzioni reali o complesse di classe C 1 in un intervallo reale non degenere I tali che:
(i) per un t0 I la serie dei valori an (t0 ) converge, (ii) la serie delle derivate a0n (t) converge uniformemente
in I. Allora la serie delle an (t) converge in I a una funzione di classe C 1 la cui derivata e la somma della
serie delle derivate.

62
Fissiamo arbitrariamente U e t0 . La funzione e(tt0 )A U e una soluzione del problema
(3.25), e di conseguenza ogni soluzione X(t) di (3.25) si ottiene dalla matrice esponenziale
attraverso la formula
X(t) = e(tt0 )A X(t0 ).
Daltra parte questa identita si scrive anche
e(tt0 )A = X(t)X(t0 )1 (3.28) III-z

se il determinante wronskiano W (t) della matrice X(t) e diverso da 0 (per t = t0 o per ogni
t fa lo stesso), e cio consente di calcolare la funzione esponenziale matriciale non appena sia
nota una qualunque (altra) matrice fondamentale.
La (3.28) con X(t) uguale proprio a etA diventa
1
e(tt0 )A = etA et0 A
e quindi in particolare, per t = t0 , la piu semplice formula che possa esistere per il calcolo di
una matrice inversa: 1
et0 A = et0 A .
Le ultime due formule scritte qui sopra si condensano nella seguente:
e(s+t)A = esA etA per s, t R.
Questa e la generalizzazione di una proprieta di cui abbiamo tante volte visto il ruolo
fondamentale quando gli esponenti sono scalari. In quel caso, pero, vale sempre anche
lidentita
et(A+B) = etA etB . (3.29) III-y
Invece per A e B in MN (C) la (3.29) non e vera in generale, bens se e solo se le due matrici
commutano. Limitiamoci qui a mostrare la parte se.
prop361 Proposizione 3.6.1. La (3.30) vale per le matrici A, B MN (C) che verificano AB = BA.
DIM. Grazie allipotesi di commutativita, la funzione matriciale X(t) = BetA soddisfa le
identita
X 0 (t) = BAetA = ABetA = AX(t),
per cui
X(t) = etA X(0)
e cio significa che
BetA = etA B, (3.30) III-b
vale a dire che, se A commuta con B, lo stesso e vero di etA .
Ebbene, le due funzioni matriciali et(A+B) e etA etB devono coincidere perche soddisfano
lo stesso problema di Cauchy
X 0 = (A + B)X, X(0) = I.
Infatti esse valgono I per t = 0; le loro rispettive derivate sono (A + B)et(A+B) e AetA etB +
etA BetB = (A + B)etA etB , con questultima proprieta conseguenza della (3.30).


63
3.7 Sistemi lineari non omogenei
secIIIp
Passiamo allo studio del problema di Cauchy per un sistema lineare non omogeneo a
coefficienti costanti:
0 1 N
x1 = a1 x1 + + a1 xN + g1 (t)

..
.
x0 = a1 x + + aN x + g (t)

N N 1 N N N
ovvero
x0 = Ax + g(t). (3.31) III-p
Alle soluzioni della (3.31) si estendono in modo ovvio le nozioni di stabilita, stabilita asin-
totica e instabilita introdotte per le soluzioni dellomogenea (3.2).
Aggiungiamo una condizione di Cauchy
x(t0 ) = u. (3.32) III-q

Teorema 3.7.1. Siano A MN (C) e g(t) una funzione continua da un intervallo aperto
I di R in CN . Per ogni scelta di t0 in I e di u in CN il problema (3.31),(3.32) ammette
ununica soluzione, che sta in C 1 (I; CN ) ed e data da
Z t
1
X(t)[X(t0 )] u + X(t) [X(s)]1 g(s) ds (3.33) III-s
t0

se X(t) e una qualunque matrice fondamentale dellomogenea, quindi in particolare da


Z t
(tt0 )A
e u+ e(ts)A g(s) ds. (3.34) III-r
t0

DIM. Ci serviamo del metodo di variazione delle costanti, che nel caso in esame si imposta
al modo seguente (cfr. la Sezione 1.1 per N = 1). Affinche una funzione x(t), che scriviamo
come prodotto X(t)v(t) con v(t) da determinare, soddisfi la (3.31), ovvero la quantita
x0 (t) Ax(t) = [X 0 (t) AX(t)]v(t) + X(t)v0 (t) = X(t)v0 (t)
sia uguale a g(t), e necessario e sufficiente che v0 (t) = [X(t)]1 g(t). Questa richiesta indivi-
dua v(t) a meno dellaggiunta di un vettore di componenti costanti K = col (K1 , . . . , KN ):
Z t
v(t) = K + [X(s)]1 g(s) ds
t0

(t0 , t I). Lintegrale generale della (3.31) e dunque


Z t
X(t)K + X(t) [X(s)]1 g(s) ds,
t0

e trasferendo a v(t) la condizione di Cauchy su x(t) si ottiene K = v(t0 ) = [X(t0 )]1 u, da


cui la (3.34).


64
Come sempre quando e questione di variazioni delle costanti, ai fini del calcolo nei
casi concreti, piuttosto che andare direttamente ad applicare la formula finale, conviene
ripercorrere il procedimento con cui e stata ottenuta:
Esempio 3.7.1. Per ottenere lintegrale generale del sistema
 0
x1 = 3x1 + x2 e2t
x02 = 2x1 + 2x2 e2t

ci procuriamo dapprima gli autovalori 4, 1 della matrice A dei coefficienti e una coppia
di relativi autovettori col (1, 1), col (1, 2). Lintegrale generale dellomogenea associata e
dunque col (C1 e4t + C2 et , C1 e4t 2C2 et ). Imponendo i valori col (1, 0) e col (0, 1) in t = 0
troviamo rispettivamente C1 = 2/3, C2 = 1/3 e C1 = 1/3, C2 = 1/3, per cui
 
At 1 2e4t + et e4t et
e = .
3 2e4t 2et e4t + 2et

Una soluzione x(t) dellequazione non omogenea e della forma eAt v(t) con v(t) tale che

1 2e4t + et e4t et
 2t     2t   2t 
0 At e e e
v (t) = e 2t = 4t t 4t t 2t = .
e 3 2e 2e e + 2e e e2t

Sia dunque
1 e2t
 
v(t) = .
2 e2t
Lintegrale particolare eAt v(t) del sistema non omogeneo e dato dallespressione
   2t   
1 2e4t + et e4t et e 1 e2t
=
6 2e4t 2et e4t + 2et e2t 2 e2t

che sommata a col (C1 e4t + C2 et , C1 e4t 2C2 et ) fornisce lintegrale generale.

Osservazione 3.7.1. La funzione t 7 X(t)[X(s)]1 g(s) soddisfa lomogenea e vale g(s) per
t = s. Siccome il suo integrale in ds da t0 a t e la funzione di t che soddisfa la non omogenea
e si annulla in t0 , ritroviamo nella (3.33) o se si preferisce nella (3.34) la formula di Duhamel.

Osservazione 3.7.2. NellOsservazione 3.2.2 abbiamo associato la matrice (3.14) ai coeffi-


cienti delloperatore differenziale di ordine N

DN + aN 1 DN 1 + + a1 D + a0

e ricondotto lequazione (3.10) nellincognita scalare y(t) ad un sistema (3.2) nellincognita


vettoriale x(t) con x1 (t) = y(t) (e quindi xk+1 (t) = y (k) (t) per k = 1, . . . , N 1). Per
calcolare la corrispondente matrice esponenziale trasformiamo una base {y1 (t), . . . , yN (t)}

65
nello spazio delle soluzioni in C (R; C) dellequazione scalare omogenea (3.10) in una fa-
miglia fondamentale {x1 (t), . . . , xN (t)} di soluzioni in C (R; CN ) dellequazione vettoriale
omogenea x0 = Ax attraverso le espressioni

yk (t)
y 0 (t)
k
xk (t) = .. per k = 1, . . . , N.

.
(N 1)
yk (t)

Imponendo, in particolare, che le yk verifichino le condizioni di Cauchy


(k1) (h)
yk (0) = 1, yk (0) = 0 per h < N, h 6= k 1

otteniamo
y1 (t) y2 (t) ... yN (t)
y10 (t) y20 (t) ... 0
yN (t)
etA = .. .

.
(N 1) (N 1) (N 1)
y1 (t) y2 (t) . . . yN (t)
Sia ora f una funzione continua in un intervallo aperto I e sia g(t) = col (0, 0, . . . , f (t)).
Lequazione lineare non omogenea di ordine N

y (N ) + aN 1 y (N 1) + + a1 y 0 + a0 y = f (t) (3.35) III-6.11

si riscrive come

x01 = x2
0
x 2 = x 3



..
.
x0 1 = xN


x N


0

N = a0 x1 aN 1 xN + f (t)

ovvero x0 = Ax + g(t), dove di nuovo x1 (t) = y(t). Con queste notazioni il vettore colon-
na espresso dalla (3.34) ha come prima componente la soluzione y(t) della (3.35) tale che
y (k) (t0 ) = uk+1 , k = 0, . . . , N 1. Siccome la prima componente del vettore e(ts)A g(s) e
yN (t s)f (s), prendendo u = 0 nella (3.34) si ottiene, per la soluzione y(t) della (3.35) che
si annulla in t0 con tutte le sue derivate fino all(N 1)esima, lespressione
Z t
y(t) = yN (t s)f (s) ds :
t0

cfr. la Sezione 2.5 per N = 2 e la Sezione 2.6 per N qualunque.

66
3.8 Autovettori generalizzati
secIII8
Sia un autovalore di A MN (C). Grazie alla Proposizione 3.6.1 risulta

X tk
etA = etI et(AI) = et (A I)k
k=0
k!

dal momento che I e A I commutano.


Se ha molteplicita N sicche siamo per N = 2 nel 3o caso considerato nella Sezione
3.4, mentre per N = 3 siamo in quello non considerato nella Sezione 3.5 sappiamo
dallOsservazione 3.1.1 che (A I)N e la matrice nulla, per cui e tale anche ogni (A I)p
con p > N , e la serie qui sopra si ferma a k = N 1:
N 1 k
At t
X t
e =e (A I)k .
k=0
k!

Ebbene, faremo vedere come in generale si possa comunque esprimere non eAt , ma la sua
azione su un qualunque u CN come una somma finita di potenze di matrici moltiplicata
a destra per u.
Cominciamo col definire autovettore generalizzato relativo allautovalore un vettore
non nullo u di CN che per qualche n N verifica (A I)n u = 0, ovvero appartiene al
nucleo ker (A I)n di (A I)n . Si noti che, se B MN (C) e simile ad A, per cui e
anche autovalore di B, la dimensione di ker (B I)n coincide con quella di ker (A I)n .
E la categoria degli autovettori generalizzati che estende nel senso indicato nellOsserva-
zione 3.6.1 quella degli autovettori propriamente detti. Per vedere questo cominciamo con
la seguente considerazione. Se n = 1, per cui u e un autovettore propriamente detto, eAt u
vale et u. Ebbene, nel caso di un n qualunque lazione di eAt sullautovettore generalizzato
u e espressa dalla
tn1
 
At t n1
e u = e u + t(A I)u + + (A I) u . (3.36) III-d
(n 1)!
Infatti la quantita tra parentesi quadre coincide con la serie (di vettori)

X tk
(A I)k u = et(AI) u
k=0
k!

dal momento che (A I)n u = 0 implica (A I)p u = 0 per ogni p n.


Naturalmente ker (AI)n ker (AI)n+1 . Facciamo vedere che, se n e la molteplicita
algebrica di un autovalore , la dimensione di ker (AI)n e n. Non e restrittivo supporre
che = 0, che A sia triangolare superiore e che lautovalore 0 occupi i primi n posti della
diagonale: la matrice An ha allora la prime n colonne costituite solo da zeri, e di conseguenza
i primi n versori e1 , . . . , en della base canonica appartengono al suo nucleo. Si noti che puo
benissimo essere n anche la dimensione di un ker (A I)m con m < n: questo e vero ad
esempio per m = 1 quando la dimensione geometrica di coincide con n.
Mostriamo che, non appena uninclusione ker (A I)n ker (A I)n+1 si riduce ad
unidentita, lo stesso si verifica per tutte le inclusioni successive.

67
III-le71 Lemma 3.8.1. Sia n N tale che ker (A I)n+1 = ker (A I)n . Allora per ogni k N
risulta ker (A I)n+k = ker (A I)n .

DIM. Sia v ker (A I)n+k per qualche k N. Allora il vettore w = (A I)k1 v sta in
ker (A I)n+1 :

(A I)n+1 w = (A I)n+1 [(A I)k1 v] = (A I)n+k v = 0.

Ma cio implica, per lipotesi del lemma, che w ker (A I)n . Ne segue che

(A I)n+k1 v = (A I)n [(A I)k1 v] = (A I)n w = 0,

cioe v ker (A I)n+k1 . Dunque ker (A I)n+k = ker (A I)n+k1 , e cos procedendo
si arriva alla conclusione in un numero finito di passi.

Siccome ogni inclusione stretta ker (A I)n ker (A I)n+1 fa passare ad un sotto-
spazio di dimensione strettamente maggiore, il numero delle inclusioni strette tra autospazi
generalizzati non puo superare la dimensione N dello spazio ambiente. Da qui segue che gli
infiniti n con la proprieta enunciata nel Lemma 3.8.1 hanno un minimo n() {1, . . . , N }.
Dunque il Lemma 3.8.1 e dotato del seguente

III-co71 Corollario 3.8.1. Un autovettore generalizzato u relativo a e caratterizzato dalla proprieta


(A I)N u = 0.

Chiamiamo Ker (AI)N = Ker (AI)n() autospazio generalizzato associato a , e


diciamo che la sua dimensione e la molteplicita geometrica generalizzata (terminologia
non standard) di .
Il risultato che avevamo preannunciato a proposito del Lemma 3.1.1, dicendo che ne
avrebbe costituito una generalizzazione, e il seguente:

III-Te71 Teorema 3.8.1. Autovettori generalizzati associati ad autovalori distinti sono linearmente
indipendenti.

DIM. Siano u1 , . . . , uk autovettori generalizzati associati ad autovalori 1 , . . . , k con k 6= j


se k 6= j. Siano poi c1 , . . . , ck costanti complesse tali che c1 u1 + +ck uk = 0. Indicando con
n il piu piccolo numero naturale con la proprieta (A 1 I)n u1 = 0 applichiamo la matrice
(A 1 I)n1 (A 2 I)N (A k I)N alla combinazione lineare: otteniamo

c1 (A 1 I)n1 (A 2 I)N (A k I)N u1 = 0

dal momento che uj ker (A j I)N per j = 2, . . . , k (cfr. il Corollario 3.8.1). Daltra
parte, utilizzando la formula della potenza N esima di un binomio si vede che il prodotto di
matrici

(A 2 I)N (A k I)N = [(A 1 I) + (1 2 )I]N [(A 1 I) + (1 k )I]N

68
e somma di un termine uguale a (1 2 )N (1 k )N I e di termini che hanno a fattore
potenze (con esponenti non nulli) di A 1 I. Queste ultime, moltiplicate per (A 1 I)n1
e poi a destra per u1 , danno il vettore nullo, per cui rimane solo laddendo

c1 (1 2 )N (1 k )N (A 1 I)n1 u1 = 0.

Ma (A 1 I)n1 u1 6= 0 e j 6= 1 per j = 2, . . . , k. Dunque devessere c1 = 0.


In maniera analoga si prova che c2 = = ck = 0.

Sia un autovalore di A. A differenza di quanto avevamo visto col Lemma 3.1.2 adesso
abbiamo:

Teorema 3.8.2. La molteplicita geometrica generalizzata di un autovalore di A e sempre


uguale a quella algebrica.

DIM. Grazie al Teorema 3.8.1 la somma delle molteplicita geometriche generalizzate degli
autovalori distinti di A non puo superare la dimensione N dello spazio ambiente, cioe la
somma delle loro molteplicita algebriche, e per concludere ci basta ricordare che, se n e la
molteplicita algebrica di un autovalore , la dimensione di ker (A I)n e n.

A questo punto otteniamo facilmente il

cor382 Corollario 3.8.2. Data comunque una matrice A, esistono N suoi autovettori generalizzati
u1 , . . . , uN che sono linearmente indipendenti e di conseguenza costituiscono una base di CN .

Adesso e possibile esprimere lazione di eAt su un qualunque u CN attraverso una


somma finita di potenze di matrici. Questo infatti, come abbiamo visto, e vero se u coincide
con un autovettore
PN generalizzato uk , mentre in generale basta esprimere u come combinazione
lineare k=1 Ck uk di autovettori generalizzati per ottenere
N
X
eAt u = Ck eAt uk
k=1

dove il secondo membro si esprime alla luce della (3.36). Arriviamo cos al

III-d1 Teorema 3.8.3. Una matrice fondamentale (3.27) di soluzioni di (3.2) si ottiene prendendo
come kesima colonna etA uk il vettore (3.36) con u = autovettore generalizzato uk della
matrice A relativo allautovalore = k e n tale che (A k )n uk = 0 (ad esempio n = N ).
Per ricavare etA dalla matrice fondamentale ottenuta cos ottenuta si moltiplica questultima
(a destra) per la matrice inversa del suo valore in t = 0, cioe per [u1 . . . uN ]1 .

Riassumiamo: grazie al Corollario 3.8.2 ed al Teorema 3.8.3, ad ogni A si possono asso-


ciare N vettori linearmente indipendenti di CN su ciascuno dei quali il valore della serie di
etA a secondo membro si ottiene dopo la somma di un numero finito di termini. E si noti

69
che negli enunciati di entrambi i risultati non abbiamo distinto, allinterno della famiglia
degli autovettori generalizzati uk , gli autovettori propriamente detti. Adesso passiamo a
mettere in evidenza questi ultimi, indicandoli con u1 , . . . , um , sicche per k = m + 1, . . . , N
(se m < N ) ogni autovettore generalizzato uk non e un autovettore propriamente detto. Ne
segue che per k = 1, . . . , m risulta

eAt uk = ek t uk ,

mentre a ciascun k = m + 1, . . . , N e associato un nk > 1 tale che (A k I)nk 1 uk =


6 0e

tnk 1
 
At k k t k k nk 1 k
e u =e u + t(A k I)u + + (A k I) u . (3.37) III-qq
(nk 1)!

Questa ripartizione consente di ottenere subito un quadro completo dei possibili risultati di
stabilita. Supponendo che tutti gli autovalori abbiano parti reali 0 (altrimenti il sistema
sarebbe instabile), rimangono le possibilita per k = m + 1, . . . , N che i k (con molteplicita
geometrica minore di quella algebrica) abbiano tutti parte reale negativa, oppure ce ne
sia qualcuno con parte reale nulla. Sia t : nel primo caso (gia considerato con un
diverso approccio nellOsservazione 3.3.1) ogni eAt uk si mantiene limitato (stabilita), mentre
nel secondo la (3.37) mostra che qualche eAt uk e illimitato (instabilita) dal momento che
|ek t tnk 1 | .
Per il calcolo degli autovettori generalizzati si procede nel modo seguente. Fissato k,
indichiamo con nk la dimensione algebrica dellautovalore k e cerchiamo una base di ker (A
k I). Se questultimo ha dimensione nk abbiamo gia finito, mentre se ha dimensione < nk la
sua inclusione in ker (A k I)2 e stretta. Completiamo la base di ker (A k I) in una base
di ker (A k I)2 : se questultimo ha dimensione nk abbiamo finito, mentre se ha dimensione
< nk la sua inclusione in ker (A k I)3 e stretta, e dobbiamo ripetere il procedimento. Ad
un certo punto troviamo un jk nk tale che ker (A k I)jk ha dimensione nk e quindi
coincide con ker (A k I)nk .

III-e7.2 Esempio 3.8.1. La matrice


2 1 3
A = 0 2 1
0 0 2
ha il solo autovalore = 2, per cui

t2 (A 2I)2
 
tA 2t
e =e I + t(A 2I) +
2

e qui gia potremmo accontentarci. Procediamo invece a studiare i singoli autospazi genera-
lizzati. Siccome
0 1 3 u1 u2 + 3u3
(A 2I)u = 0 0 1 u2 = u3
0 0 0 u3 0
il ker (A 2I) e generato dallautovettore e1 , e ker (A 2I)2 \ ker (A 2I) contiene e2 perche
gli elementi della prima e della seconda colonna di (A 2I)2 sono automaticamente tutti

70
nulli. Ma questo non basta, perche dobbiamo appurare se la dimensione di ker (A 2I)2 e
2 o 3. Nel secondo caso ker (A 2I)2 coinciderebbe con R3 e (A 2I)2 sarebbe la matrice
nulla, mentre invece la sua terza colonna e

0 1 3 3 1
0 0 1 1 = 0 .
0 0 0 0 0

Dunque e ker (A2I)3 che coincide con R3 , e una sua base si ottiene aggiungendo e3 ai primi
due autovettori generalizzati. Come matrice fondamentale del sistema x0 = Ax troviamo
direttamente quella esponenziale etA = [etA e1 etA e2 etA e3 ]. Calcoliamo le colonne:

1
tA 1 2t
e e =e 0 ,
0

0 t
etA e2 = e2t [I + t(A 2I)] 1 = e2t 1 ,
0 0

h i 0 3t t2 /2
2 2
etA e3 = e2t I + t(A 2I) + t (A2I)
2
0 = e2t t .
1 1

Esempio 3.8.2. Gli autovalori della matrice



1 1 2
A = 0 1 4
0 0 1

sono gli elementi della diagonale: 1 = 2 = 1, 3 = 1. Siccome



0 1 2 u1 u2 2u3
(A + I)u = 0 0 4 u2 = 4u3 ,
0 0 2 u3 2u3

il ker (A + I) e generato dallautovettore e1 , mentre ker (A + I)2 contiene e2 perche gli


elementi della seconda colonna di (A + I)2 sono tutti nulli. Infine un autovettore u relativo
allautovalore 1 e col (0, 2, 1). Otteniamo le colonne di una matrice fondamentale del sistema
x0 = Ax:
1
tA 1 t
e e =e 0 ,
0

0 t
etA e2 = et [I + t(A + I)] 1 = et 1 ,
0 0

71

0
tA 3 t
e u =e 2 .
1
Se, invece del metodo precedente, vogliamo seguire quello utilizzato nellEsempio 3.5.3,
dobbiamo innanzitutto fissare la matrice di passaggio

2 1 0
P = u e1 e2 = 1 1 0
 

2 1 1

e cercare B = [1 u 1 e1 b] con b = col (b1 , b2 , 1) tale che AP = P B. Perche Ae2 ,


cioe il vettore col (1, 1, 0), sia uguale a P b, cioe a col (b2 , 2b1 1, b1 ), occorre e basta che
b1 = 0, b2 = 1. Dunque
1 0 0
B = 0 1 1 .
0 0 1
A questo punto risolviamo il sistema
0
y1 = y1
y 0 = y2 + y3
20
y3 = y3

ottenendo y1 = K1 et , y2 = K2 et + K3 tet , y3 = K3 et , ovvero una matrice fondamentale


t
e 0 0
0 et tet ,
0 0 et

che moltiplicata a sinistra per la matrice P fornisce una matrice fondamentale

et tet

0
2et 0 et
et 0 0

del sistema di partenza, le cui colonne coincidono con le funzioni vettoriali etA u3 , etA e1 e
etA e2 precedentemente ottenute.
Se ci interessa proprio la matrice fondamentale etA esprimiamo e3 nella base {e1 , e2 , u3 }:
e = 2e2 + u3 . Dunque etA e3 = 2etA e2 + etA u3 , da cui segue
3

t
tet 2tet

e
etA = [etA e1 etA e2 etA e3 ] = 0 et 2et + 2et .
0 0 et

72
Capitolo 4

La teoria generale

4.1 Teorema delle contrazioni

Sia X un insieme. Se su X e definita una metrica, cioe una funzione XX 3 (x, y) 7 d(x, y)
a valori reali 0 dotata delle seguenti proprieta:

d(x, y) = d(y, x) per x, y X,

d(x, y) d(x, z) + d(z, y) per x, y, z X,


d(x, y) = 0 x=y
diciamo che (X, d), o piu brevemente X, e uno spazio metrico. Per le successioni {xn } in
X si parla di convergenza ad un x X quando d(xn , x) 0 (ovviamente in R). Scriviamo
allora xn x (per n ), oppure x = limn xn , e diciamo che x e il limite di {xn }
(per n ). In X ogni successione convergente soddisfa necessariamente il criterio di
Cauchy: dato comunque > 0, esiste = N tale che

d(xn , xn+p ) per ogni n e per ogni p N.

Se vale il viceversa, cioe se ogni successione di X che verifichi la condizione di Cauchy e


automaticamente convergente, si dice che X e completo.

Esempio 4.1.1. Sia CN che RN sono spazi metrici completi rispetto a d(x, y) = kx yk. Se
I e un intervallo compatto di R poniamo d(, ) = maxtI |(t)(t)| per , C 0 (I; RN ):
si tratta di una metrica rispetto a cui C 0 (I; RN ) e completo perche ogni successione dello
spazio per la quale valga la condizione di Cauchy rispetto a d converge uniformemente, cioe
nella metrica, ad una funzione di C 0 (I; RN ).

Sia adesso T una funzione X X. Diciamo che T e una contrazione se esiste un


]0, 1[ tale che
d(T (x), T (y)) d(x, y) per x, y X. (4.1) IV-(1.1)

73
La proprieta di contrazione gioca un ruolo importante nella ricerca di un punto fisso di
T , cioe di un x X tale che
T (x) = x. (4.2) IV-(1.2)
Infatti vale il

IV-e 1.1 Teorema 4.1.1. Se X e uno spazio metrico completo una contrazione T di X e dotata di
un unico punto fisso x, dato dalla formula x = limn xn per x1 preso comunque in X e

xn+1 = T (xn ), n N. (4.3) IV-(1.3)

DIM. Se x X e un altro punto fisso di T , cioe se oltre alla (4.2) vale anche la

T (x ) = x ,

applichiamo la (4.1) con y = x . Otteniamo

d(x, x ) = d(T (x), T (x )) d(x, x ),

e siccome 0 < < 1 devessere d(x, x ) = 0, per cui x = x . Questo mostra lunicita.
Passiamo allesistenza. Per ogni n N si ha

d(xn+1 , xn ) = d(T (xn ), T (xn1 )) d(xn , xn1 ),

quindi per ricorrenza


d(xn+1 , xn ) n1 d(x2 , x1 ).
Ne segue che la serie numerica d(xn+1 , xn ) e convergente (confronto con d(x2 , x1 ) n1 ),
P P
e dunque soddisfa la condizione di Cauchy (in R): per ogni > 0 esiste un = tale che
n+p
X
d(xk+1 , xk ) per ogni n > e per ogni p N.
k=n

La somma delle distanze a sinistra maggiora la distanza d(xn+p+1 , xn ), e quindi {xn } X


verifica la condizione di Cauchy. In X, che per ipotesi e completo, esiste il limite x =
limn xn . Utilizzando la 4.1 col presente significato di x e con y = xn otteniamo

d(T (x), xn+1 ) = d(T (x), T (xn )) d(x, xn ).

Questo mostra che {xn } converge tanto ad x che a T (x), dunque che vale la (4.2).

Il precedente risultato e il Teorema di BanachCaccioppoli, o delle contrazioni.

74
4.2 Teorema di CauchyLipschitz per il Problema di
Cauchy

Data una funzione continua f : W RN , W RN +1 , ci interessiamo allequazione


differenziale (vettoriale)
x0 = f (t, x) (4.4) IV-(2.1)
cioe (quando N > 1) al sistema

0
x1 = f1 (t, x1 , . . . , xN )

.. (4.5)
.
x0 = f (t, x , . . . , x )

N N 1 N

Una soluzione di (4.4) e una funzione derivabile x = x(t) definita in un intervallo non
degenere J R ed a valori in RN tale che per t J il punto (t, x(t)) appartenga a W , e
inoltre valga lidentita
x0 (t) = f (t, x(t)). (4.6) IV-(2.2)
Se f non dipende da t, per cui la (4.4) diventa

x0 = f (x),

si ha a che fare con un sistema autonomo. Se x(t) verifica anche la condizione iniziale
o di Cauchy
x(t0 ) = u (4.7) IV-(2.3)
per (t0 , u) fissato in W con t0 J si dice che x(t) e una soluzione del problema di Cauchy
(4.4),(4.7). Per N > 1 anche la (4.7) e unidentita vettoriale, e precisamente

x1 (t0 ) = u1 , ..., xN (t0 ) = uN . (4.8) IV-(2.4)

Nella (4.4) rientra lequazione differenziale scalare di ordine N

y (N ) = g(t, y, y 0 , . . . , y (N 1) ) (4.9) IV-(2.5)

perche la si puo scrivere anche, ponendo x1 = y, come




x01 = x2
0
x 2 = x 3



.. (4.10)
.
x0N 1 = xN




x0 = g(t, x , . . . , x )

N 1 N

Le condizioni di Cauchy (scalari)

y(t0 ) = 0 , ..., y (N 1) (t0 ) = N 1 (4.11) IV-(2.6)

75
associate alla (4.9) si trasformano facilmente nelle (4.8), e quindi nella (4.7).
Tra un attimo ci soffermeremo sulle ipotesi di regolarita che avremo bisogno di imporre
al secondo membro dellequazione. Prima pero sottolineiamo che lespressione (4.4) contiene
come casi molto particolari le equazioni di tutti i tipi che abbiamo considerato, mirando
soprattutto a metodi di calcolo esplicito delle soluzioni, nei primi tre capitoli: equazioni
lineari scalari a coefficienti variabili del primo ordine, con qualche cenno anche al secondo
ordine; sistemi lineari a coefficienti costanti; poche equazioni non lineari del primo ordine (a
variabili separabili, esatte di Bernoulli, di Riccati) e sostanzialmente una sola del secondo
ordine (quella che esprime la seconda legge di Newton).
Adesso, avendo a che fare con tutta la generalita del secondo membro della (4.4), allef-
fettivo calcolo delle soluzioni dobbiamo rinunciare. Quello che possiamo invece affrontare e
la questione della loro esistenza ed unicita sotto condizioni di Cauchy. A tal fine passiamo a
mettere in risalto i punti piu importanti dellimpostazione giusta del problema (4.4),(4.7).
1 Perche x(t) soddisfi (4.4),(4.7) e necessario e sufficiente che x(t) sia una funzione
continua J RN tale che per t J il punto (t, x(t)) appartenga a W e inoltre
Z t
x(t) = u + f (, x( )) d. (4.12) IV-(2.7)
t0

Infatti il secondo membro della (4.12) e, grazie al Teorema Fondamentale del Calcolo,
una funzione derivabile, con derivata uguale alla funzione continua f (t, x(t)). Dunque x(t),
anche se in partenza solo di classe C 0 , e in effetti di classe C 1 , e verifica la (4.4); la (4.7)
segue dalla (4.12) per t = t0 . Questo mostra la sufficienza. La necessita si ottiene subito
integrando la (4.4) a partire da t0 .
2 La (4.12) mostra che x(t) e un punto fisso di una trasformazione
Z t
z(t) = u + f (, y( )) d (4.13) IV-(2.8)
t0

definita sulle funzioni continue J 3 t 7 y(t) tali che (t, y(t)) W per t J (il che permette
di applicare la composizione con f ). Scriviamo z(t) = T (y). Si noti che z(t) e continua e
derivabile, con z0 (t) = f (t, y(t)), ma non e detto che z(t) verifichi a sua volta (t, z(t)) W
al variare di t J. Quali ipotesi possiamo imporre a f , e a J, per essere sicuri che questo
accada? Supponiamo che esista un numero positivo r tale che K0 = [t0 r, t0 + r] Br (u)
W . Siccome Z t

kz(t) uk kf (, y( )k d M0 |t t0 |
t0

dove M0 = maxK0 kf k, z(t) verifica

kz(t) uk r per t0 t t0 +

non appena e un numero positivo non solo r, ma anche r/M0 . Per ognuno di questi
valori di la T trasforma dunque in se stesso linsieme S = S C 0 ([t0 , t0 + ]; RN )
costituito dalle y(t) che verificano ky(t) uk r per t0 t t0 + (insieme non vuoto
perche contiene quanto meno la y(t) identicamente uguale ad u).

76
3 Se su C 0 ([t0 , t0 + ]; RN ) prendiamo la metrica uniforme d anche il sottoinsieme
S e dotato di una struttura di spazio metrico completo: quando una {yn } S verifica la
condizione uniforme di Cauchy il suo limite y in C 0 ([t0 , t0 +]; RN ) verifica ky(t)uk r
e dunque appartiene ad S. Se f soddisfa unopportuna ulteriore ipotesi di regolarita (oltre
alla continuita in W ), puo essere scelto in modo tale che la T sia una contrazione di S
e in quanto tale dotata di un unico punto fisso. Lipotesi in questione e che sulla sfera N
dimensionale chiusa Br (u) la funzione x 7 f (x, t) soddisfi una condizione di lipschitzianita
uniforme rispetto a t [t0 r, t0 + r]:
kf (t, x) f (t, y)k L0 kx yk per t [t0 r, t0 + r] e x, y Br (u). (4.14) IV-(2.9)

Prendiamo > 0 non solo r/M0 e r, ma anche < 1/L0 . Date comunque y(t) e z(t)
in S otteniamo
Z t

k[T (y)](t) [T (z)](t)k kf (, y( )) f (, z( ))k d L0 max ky( ) z( )k

t0 [t0 ,t0 +]

e quindi
d(T (y), T (z)) d(y, z)
con = L0 < 1.
Coi tre passi precedenti abbiamo costruito uno spazio metrico completo S, sottospazio
di C 0 ([t0 , t0 + ]; RN ), su cui T e una contrazione. Ma allora esiste un unico punto fisso
di T , cioe ununica soluzione x = x(t), t J = [t0 , t0 + ], dellequazione (4.12), il che e
come dire del problema di Cauchy (4.4),(4.7).
Abbiamo cos dimostrato il
IV-t 2.1 Teorema 4.2.1 (di CauchyLipschitz). Siano W un sottoinsieme di RN +1 , (t0 , u) un
punto di W tale che [t0 r, t0 + r] Br (u) W e f : W RN una funzione continua tale
che valga la condizione (4.14) di lipschitzianita uniforme rispetto a t [t0 r, t0 + r]. Allora
esiste un ]0, r] per il quale il problema di Cauchy (4.4),(4.7) ammette ununica soluzione
x = x(t), t [t0 , t0 + ], con limmagine x([t0 , t0 + ]) contenuta in Br (u).
IV-o 2.1 Osservazione 4.2.1. Nel teorema precedente il risultato di unicita vale anche separatamen-
te in [t0 , t0 ] o in [t0 , t0 + ]. Per vedere questo basta tener conto che sono contrazioni
sia la restrizione della (4.13) al sottoinsieme di C 0 ([t0 , t0 + ]; RN ) costituito dalle y(t) che
verificano ky(t) uk r per t0 t t0 + e sia quella al sottoinsieme di C 0 ([t0 , t0 ]; RN )
costituito dalle y(t) che verificano ky(t) uk r per t0 t t0 .

IV-e 2.1 Esempio 4.2.1. Siano ahk (t) e gk (t) (h, k = 1, . . . , N ) funzioni continue in un intervallo
aperto I, componenti rispettivamente di una matrice A(t) e di un vettore colonna g(t).
Siccome la funzione vettoriale f (t, x) = A(t)x + g(t) e continua ed ha matrice jacobiana
f /x = A(t) continua in W = I RN , il Teorema 4.2.1 assicura per ogni scelta di t0 I e
di u RN lesistenza su un intervallo [t0 , t0 + ] I con > 0 di ununica funzione x(t)
di classe C 1 che soddisfa il sistema lineare (non omogeneo) a coefficienti variabili
x0 = A(t)x + g(t) (4.15) IV-(2.10

77
e la condizione di Cauchy (4.7).
Le equazioni lineari (non omogenee) a coefficienti variabili

y (N ) + aN 1 (t)y (N 1) + + a1 (t)y 0 + a0 (t)y = f (t) (4.16) IV-(2.11

(cfr. la Sezione 1.2 per N = 1 e la Sezione 2.7 per N = 2), scritte sotto forma di sistema


x01 = x2
0
x 2 = x 3



.. (4.17)
.
0

x = xN
x0N 1



N = a0 (t)x1 aN 1 (t)xN + f (t)

con le condizioni di Cauchy (4.11) trasformate nelle (4.8), rientrano facilmente nelle consi-
derazioni precedenti.
Piu in la (con lEsempio 4.5.1) mostreremo che, come nel caso dei coefficienti costanti, le
soluzioni sia delle (4.15) che delle (4.16) sono sempre definite su tutto I.

4.3 Prolungamenti di soluzioni e intervalli massimali

Da adesso in poi indichiamo con W un aperto di RN +1 e supponiamo f : W RN continua


e dotata di matrice jacobiana f /x, anchessa continua, rispetto alle ultime N variabili.
Come noto dal corso di Calcolo 2 queste ipotesi garantiscono la lipschitzianita uniforme di
f rispetto alle ultime N variabili in ogni sottoinsieme compatto e convesso K di W , con
costante di Lipschitz uguale al maxK kf /xk.
IV-t 3.1 Teorema 4.3.1. Per ogni scelta di (t0 , u) W esiste ununica soluzione di (4.4),(4.7),
definita (almeno) su un intervallo [t0 , t0 + ] per un opportuno > 0. Di piu: dato
comunque un sottoinsieme compatto C di W si puo fare in modo che sia indipendente dal
punto (t0 , u) al variare di questultimo in C.
DIM. Indichiamo con r un reale positivo tale che K0 = [t0 r, t0 + r] Br (u) (compatto e
convesso) sia W . Poniamo

f
M0 = max kf k, L0 = max .
K0 K0 x

Il Teorema di CauchyLipschitz assicura che, non appena > 0 verifica


r 1
r, , < , (4.18) IV-(3.1)
M0 L0
sullintervallo [t0 , t0 + ] e definita una (e solo una) soluzione del problema di Cauchy
(4.4),(4.7) (la quale assume valori in Br (u)). I valori ammissibili di , cioe quelli determinati
dalle disuguaglianze (4.18), dipendono da t0 e u tramite K0 .

78
Per terminare la dimostrazione ci resta da far vedere che possiamo trovare un > 0 cos
piccolo da risultare ammissibile per tutte le scelte di (N + 1)ple (t0 , u) nel compatto C.
Siano C 0 un altro compatto contenuto in W e contenente C al suo interno,

0 0
f
M = max kf k, L = max . (4.19) IV-(3.2)
C0 C 0 x

La conclusione si ottiene prendendo un r > 0 tale che ogni cilindro [t0 r, t0 + r] Br (u) con
(t0 , u) C giaccia in C 0 , poi un ]0, r[ che verifichi r/M 0 , < 1/L0 e di conseguenza
soddisfi le (4.18).

Lemma 4.3.1. Siano date due soluzioni x(t) e y(t) dellequazione (4.4) che assumono lo
stesso valore u in un punto t0 di un intervallo J intersezione dei loro rispettivi domini J e
J 0 . Allora risulta anche x(t) = y(t) per ogni t J .
DIM. Supponiamo t0 < sup J . Linsieme dei punti b ]t0 , sup J [ tali che x(t) = y(t) per
ogni t [t0 , b] non e vuoto dal momento che contiene b = t0 + (t0 , u) con (t0 , u) > 0
fornito dal Teorema 4.3.1 (grazie allOsservazione 4.2.1). Il suo estremo superiore verifica
t0 < sup J . Facciamo vedere che non puo valere la disuguaglianza stretta < sup J .
Se cio accadesse le due funzioni assumerebbero (con continuita) lo stesso valore v in , e
siccome soddisfano la stessa equazione in J dovrebbero, per qualche (, v) > 0, coincidere
in [ (, v), +(, v)] e dunque in [t0 , +(, v)]. Ma questo e impossibile per definizione
di . Ne segue che = sup J e x(t) = y(t) per ogni t J , t t0 .
Se t0 = min J la dimostrazione si conclude qui. Se invece t0 > inf J si segue un
procedimento analogo a quello della prima parte della dimostrazione per concludere che inf J
coincide con lestremo inferiore dellinsieme dei punti a ] inf J , t0 [ tali che x(t) = y(t) per
ogni t [a, t0 ].

Adesso teniamo fisso (t0 , u) W . Dal Teorema 4.3.1 segue che esiste almeno un intervallo
contenente t0 al suo interno dove il problema di Cauchy (4.4),(4.7) ammette una soluzione.
Sia Imax lunione di tutti questi intervalli. In ogni suo punto t e definito almeno un vettore
x(t) che viene assunto come valore da una soluzione di (4.4),(4.7): grazie al precedente
lemma, x(t) e univocamente determinato. Il problema (4.4),(4.7) e dunque dotato di quella
che si chiama soluzione massimale x = x(t) sullintervallo massimale di esistenza Imax .
Nessuna soluzione massimale x(t) puo essere prolungata per continuita fino ad un estremo
del suo intervallo massimale di esistenza (dopo aver comunque supposto, per cominciare, che
si tratti di un estremo finito), ma anzi il suo grafico (t, x(t)) deve uscire definitivamente
da ogni compatto contenuto in W allavvicinarsi di t alluno o allaltro estremo, nel senso
precisato dal prossimo risultato.
IV-t 3.2 Teorema 4.3.2. Sia x(t) una soluzione di (4.4) definita sullintervallo massimale Imax . Da-
to comunque un compatto C W , esistono a, b interni a Imax tali che nessun punto (t, x(t))
con t < a o t > b cada in C.

79
DIM. Sia = sup Imax . Supponiamo = : allora gode della proprieta richiesta un
qualunque b R, certo esistente, tale che la proiezione di C sullasse delle t sia contenuta
nella semiretta t b. Supponiamo invece < . Associamo a C un > 0 come nel
Teorema 4.3.1 e supponiamo per assurdo che in ] , [ cada un con (, x( )) C. Il
problema di Cauchy
y0 = f (t, y), y( ) = x( )
e dotato di soluzione y(t) sullintervallo [ , + ]. Sia x(t) che y(t) soddisfano la stessa
equazione in [ , ] e coincidono in , per cui, grazie allunicita in [ , ] (cfr. lOsser-
vazione 4.2.1), coincidono su tale intervallo. Ne segue che la funzione uguale a x(t) in ], ]
ed a y(t) in ], + ] e un prolungamento di x(t) su ], + ], e questo e impossibile perche
+ > . Dunque b = ha la la proprieta richiesta.

Esempio 4.3.1. Supponiamo che W contenga un prodotto cartesiano [t0 , [K con K


compatto di RN . (Si noti che questo accade ad esempio nel caso autonomo.) Se la soluzione
massimale di (4.4),(4.7) verifica x(t) K per ogni t Imax con t t0 , allora = sup Imax =
. Se fosse finito, infatti, (t, x(t)) rimarrebbe in C = [t0 , ] K, compatto di RN +1 , per
ogni t Imax con t t0 , e per il Teorema 4.3.2 questo e impossibile.

4.4 Il Lemma di Gronwall

Siano (t), (t) funzioni continue in un intervallo aperto J. Supponiamo che valga unidentita
Z t
(t) = C + (s)(s) ds per t J
t0

con C costante e t0 fissato in J. Allora (t) verifica 0 (t) (t)(t) = 0 e (t0 ) = C, cioe
un problema di Cauchy per unequazione lineare omogenea del I ordine, la cui soluzione si
scrive immediatamente: Rt
(s) ds
(t) = Ce t0 per t J.
Abbiamo ottenuto unimplicazione (ma in effetti si tratta di unequivalenza) tra identita che
si trasferisce ad una implicazione tra disuguaglianze attraverso il prossimo risultato.

IV-t 4.1 Lemma 4.4.1 (di Gronwall). Indichiamo con , funzioni continue 0 in un intervallo
aperto J tali che Z t

(t) C + (s)(s) ds per t J
(4.20) IV-(4.1)
t0

con C 0 e t0 fissato in J. Allora


R
t
t (s) ds

(t) Ce 0 per t J. (4.21) IV-(4.2)

80
DIM. Non e restrittivo limitarsi a C > 0, (t) > 0, (t) > 0 dal momento che si puo sempre
aggiungere a ciascuna quantita un > 0 e ottenere la corrispondente disuguaglianza, poi
passare al limite per 0.
Se vale la (4.20) vale anche la
(t)(t)
R (t). (4.22) IV-(4.3)
t
C + t0 (s)(s) ds

R t Quando t > t0 il denominatore h(t) della frazione a sinistra della (4.22) vale C +
t0
(s)(s) ds ed ha per derivata il numeratore. Dunque la (4.22) si riscrive come

d
log h(t) (t).
dt
Questultima disuguaglianza implica
Z t
log h(t) log h(t0 ) + (s) ds
t0

per la positivita dellintegrale, ovvero


Rt
(s) ds
h(t) Ce t0
per t J, t t0 . (4.23) IV-(4.4)
Rt
Quando t < t0 , invece, h(t) vale C t0
(s)(s) ds ed ha per derivata (t)(t), per cui

d
log h(t) (t).
dt
Integrando da t a t0 otteniamo
Z t0
log h(t0 ) log h(t) (s) ds,
t
ovvero R t0
(s) ds
h(t) Ce t per t J, t t0 . (4.24) IV-(4.5)
Siccome la (4.20) si riscrive (t) h(t) la (4.21) segue dalle (4.23) e (4.24).

4.5 Applicazioni del Lemma di Gronwall

Una prima applicazione del Lemma di Gronwall riguarda lintervallo massimale di esistenza
della soluzione di (4.4), (4.7). Gia nel caso scalare N = 1 abbiamo visto che per funzioni non
lineari ma regolarissime f : U R, con U aperto di R per cui W = R U , puo ben accadere
che Imax non coincida con R. Pero abbiamo anche visto che, ad esempio, i sistemi lineari
a coefficienti costanti sono dotati di soluzioni in tutto lintervallo di esistenza (e continuita)
del termine noto. Ebbene, il prossimo risultato permettera di mostrare che questo rimane
vero per una vasta classe di sistemi differenziali, tra cui quelli lineari a coefficienti variabili.

81
IV-t 5.1 Teorema 4.5.1. Sia W = I U con I intervallo aperto di R e U sottoinsieme aperto di
RN . Se esistono due funzioni continue 1 (t), 2 (t) 0 tali che
kf (t, x)k 1 (t) + 2 (t)kxk per t I e x U (4.25) IV-(5.1)

lintervallo massimale di esistenza della soluzione di (4.4),(4.7) coincide con tutto I per ogni
scelta di t0 I e u U .
DIM. In Imax =], [ la soluzione
Z t
x(t) = u + f (s, x(s)) ds
t0

di (4.4),(4.7) verifica Z t

kx(t)k kuk + kf (s, x(s))k ds .

t0

Se fosse < sup I la (4.25) implicherebbe


Z t
kx(t)k kuk + c1 + c2 kx(s)k ds per t [t0 , [
t0

con c1 = ( t0 ) max[t0 ,] 1 e c2 = max[t0 ,] 2 , dunque

kx(t)k (kuk + c1 ) ec2 (t0 ) per t [t0 , [


grazie al Lemma di Gronwall. Ne seguirebbe lesistenza di un compatto C contenente (t, x(t))
per ogni t [t0 , [, in contraddizione con quanto affermato dal Teorema 4.3.2.

IV-e 5.1 Esempio 4.5.1. Ritorniamo al caso lineare con coefficienti variabili introdotto nellEsempio
4.2.1. Siccome la (4.25) e soddisfatta con 1 (t) e 2 (t) date rispettivamente dalle norme kg(t)k
e kA(t)k, il Teorema 4.5.1 garantisce che la soluzione di (4.15),(4.7) e definita su tutto I (e
lo stesso vale per la soluzione del problema di Cauchy (4.16),(4.11)). Questo ci consente
di estendere ai sistemi a coefficienti variabili alcune definizioni e proprieta precedentemente
viste per i sistemi a coefficienti costanti.
Innanzitutto, lequazione vettoriale omogenea associata alla (4.15) (f (t) identicamente
nulla) e un sottospazio vettoriale N dimensionale di C 1 (I; RN ): una sua base, o famiglia
fondamentale, e ad esempio lN pla delle soluzioni x1 (t), . . . , xN (t) che verificano xk (0) =
ek per k = 1, . . . , N con t0 fissato in I. Una N pla di soluzioni e una famiglia fondamentale,
e quindi ha wronskiano W (t) diverso da 0 in tutti i punti t I, se e solo se per k =
1, . . . , N i valori uk delle xk (t) in un (qualunque) t0 I sono linearmente indipendenti, ovvero
W (t0 ) 6= 0. Una matriceP fondamentale dellomogenea e X(t) = [x1 (t) . . . xN (t)]; un
suo integrale generale e N k
k=1 Ck x (t), e aggiungendogli una qualunque soluzione x(t) della
PN
non omogenea si ottiene lintegrale generale questultima: x(t) + k=1 Ck xk (t). Il metodo
di variazione delle costanti permette di trovare lespressione esplicita (la stessa (3.33) della
soluzione di (4.4),(4.7)) se si riesce a calcolare X(t): ma questa e impresa votata, nel caso
generale dei coefficienti variabili, alla sconfitta. Quanche speranza si puo tuttavia nutrire se
A(t) e (in partenza!) una matrice triangolare.

82


Osservazione 4.5.1. Facciamo vedere che nel caso scalare autonomo

y 0 = f (y), y(0) = u0 , (4.26) IV-3.1.1

f continua in un intervallo aperto U , le considerazioni che abbiamo svolto allinizio della


Sezione 1.4 inquadrandole in quello che abbiamo chiamato criterio di Osgood forniscono
risultati piu forti di quelli che si ottengono applicando al problema (4.26) i Teoremi 4.3.1 e
4.5.1.
Sia u0 un punto di U in cui la f non si annulla, diciamo f (u0 ) > 0 per fissare le idee, e sia
]c, d[3 u0 il sottointervallo di U dove f (y) si mantiene > 0. La sola continuita (nessun bisogno
di condizione di Lipschitz) basta a garantire in un conveniente intorno di t = 0 lesistenza di
ununica soluzione: quella che si ottiene risolvendo rispetto ad y U lequazione
Z y
d
=t (4.27) IV-3.1.1
u0 f ()

al variare di t nellintervallo aperto


Z c Z d 
d d
, .
u0 f () u0 f ()

Dunque la soluzione y(t) e definita in un intervallo che contiene lintera semiretta 0 t <
se Z d
d
= .
u0 f ()

Cio accade ad esempio se f (y) ha una crescita C1 + C2 y per y d = , come nella


versione scalare della (4.25), oppure C(d y) per y d < , ma anche sotto ipotesi piu
deboli: si pensi a f (y) = |y|| log |y|| per y R \ {0}, f (0) = 0, con u0 preso in ]0, [ oppure
in ] 1, 0[. Analogo discorso se interessa trovare una condizione per cui la soluzione y(t) sia
definita in un intervallo che contiene lintera semiretta ] , 0[.
Supponiamo invece che in u0 U la f si annulli. Adesso si tratta di trovare condizioni
grazie a cui si possa escludere lesistenza di soluzioni di (4.26) diverse da quella costantemente
uguale allequilibrio u0 . A tal fine supponiamo che esista un intervallo ]u0 , u0 + k[ U in cui
f 6= 0, e sostituiamo nella (4.26) u0 con un qualunque v0 preso in ]u0 , u0 + k[:

y 0 = f (y), y(0) = v0 . (4.28) IV-3.1.1

Otteniamo la soluzione del nuovo problema risolvendo, al posto della (4.27), lequazione
Z y
d
=t
v0 f ()

rispetto a y ]u0 , u0 + k[. Se Z u0


d
(4.29) impro
v0 f ()

83
diverge, la soluzione (monotona) di (4.28) non incontra mai lequilibrio u0 . In maniera
analoga, se supponiamo che esista un intervallo ]u0 k, u0 [ U in cui f 6= 0 e passiamo a
(4.28) con un qualunque v0 preso stavolta in ]u0 k, u0 [, vediamo che la soluzione (monotona)
di (4.28) non incontra mai lequilibrio u0 se, di nuovo, lintegrale improprio (4.29) diverge.
Dunque possiamo concludere che, quando f 6= 0 in ununione ]u0 k, u0 []u0 , u0 + k[ U ,
lequilibrio u0 e lunica soluzione di (4.26) se lintegrale improprio (4.29) diverge per ogni
scelta di v0 ]u0 k, u0 []u0 , u0 + k[. Cio accade senzaltro se f soddisfa una condizione
di Lipschitz su ]u0 k, u0 + k[ come nel Teorema 4.3.1, ma non solo: si pensi di nuovo a
f (y) = |y|| log |y|| per y R \ {0}, f (0) = 0, prendendo stavolta u0 = 0.

Il Lemma di Gronwall permette anche di dare una stima dellerrore che si commette
alterando listante iniziale t0 ed il valore iniziale u. E quello che mostra il prossimo risultato.
IV-t 5.2 Teorema 4.5.2. Associamo ad un compatto C W un altro compatto C 0 W conte-
nente C al suo interno e un numero reale positivo come nella dimostrazione del Teore-
ma 4.3.1. Dati (t1 , u1 ) e (t2 , u2 ) in C, le soluzioni x1 (t), x2 (t) della (4.4) che verificano,
rispettivamente, x1 (t1 ) = u1 , x1 (t2 ) = u2 soddisfano la disuguaglianza
0
kx2 (t) x1 (t)k (ku2 u1 k + M 0 |t2 t1 |)eL |tt1 | per t [t1 , t1 + ] [t2 , t2 + ]

dove L0 , M 0 sono le costanti in (4.19).


DIM. Siccome Z t
1 1
x (t) = u + f (, x1 ( )) d per t [t1 , t1 + ],
t1
Z t
2 2
x (t) = u + f (, x2 ( )) d per t [t2 , t2 + ]
t2

(cfr. la (4.12)), nellintersezione dei due intervalli risulta


Z t1 Z t
2 1 2 1 2
x (t) x (t) = u u + f (, x ( )) d + [f (, x2 ( )) f (, x1 ( ))] d.
t2 t1

Passando alle norme:


t1
Z
2 1
2 1 2

kx (t) x (t)k ku u k + kf (, u ( ))k d
t2
Z t
2 1

+ kf (, x ( )) f (, x ( ))k d

t1

e infine
Z t
kx2 (t) x1 (t)k ku2 u1 k + M 0 |t2 t1 | + L0 kx2 ( ) x1 ( )k d .

t1

La conclusione segue dal Lemma di Gronwall per C = ku2 u1 k + M 0 |t2 t1 |, (t) =


kx2 (t) x1 (t)k e (t) = L0 .

84


Per ogni t2 abbastanza vicino a t1 , diciamo t1 t2 t1 + con 0 < < , lintervallo


[t1 , t1 + ] [t2 , t2 + ] che compare nellenunciato del teorema contiene un intervallo
[t1 , t1 + ] con > 0 indipendente da t2 , e quindi
0
kx2 (t) x1 (t)k (ku2 u1 k + M 0 |t2 t1 |)eL per t [t1 , t1 + ].

Dal teorema segue dunque il


coro Corollario 4.5.1. Stesse notazioni del Teorema 4.5.2 ma con (t1 , u1 ) fisso e (t2 , u2 )
(t1 , u1 ). Allora x2 (t) x1 (t) uniformemente al variare di t in [t1 , t1 + ].
Riguardo alla derivabilita rispetto al dato di Cauchy ci limitiamo alla dimensione N = 1,
e quindi indichiamo con W un aperto di R2 . Per (t0 , u) W indichiamo con (t, u) la
soluzione di y 0 = f (t, y) che vale u in t = t0 .
IV-t 5.3 Teorema 4.5.3. La funzione (t, u) e derivabile (anche) rispetto ad u, e u (t, u) coincide
con la soluzione del problema di Cauchy

z 0 = fy (t, (t, u))z, z(t0 ) = 1. (4.30) IV-(5.2)

DIM. Fissato (t0 , u) W , sia C il compatto {t0 } [u , u + ] con > 0 tale che C W ,
e siano r, > 0 determinati come nel Teorema 4.3.1, per cui W contiene tutto il rettangolo
R = [t0 , t0 + ] [u r, u + + r]. Per |v u| sia (t, v), |t t0 | , la soluzione
di y 0 = f (t, y) che vale v in t = t0 . La funzione
Z 1
a(t, u, v) = fy (t, (t, v) + (1 )(t, u)) d
0

e ben definita perche ogni (t, v) ha il grafico contenuto in R, e dipende con continuita
da (t, v) [t0 , t0 + ] [u , u + ] perche lintegrando dipende con continuita da
(, t, v) [0, 1] [t0 , t0 + ] [u , u + ] (Corollario 4.5.1 e teorema di continuita degli
integrali dipendenti da parametri). Sia v 6= u. La funzione
(t, v) (t, u)
(t, u, v) =
vu
verifica
t (t, v) t (t, u) f (t, (t, v)) f (t, (t, u))
t (t, u, v) = =
vu vu
a(t, u, v)[(t, v)) (t, u)]
= = a(t, u, v)(t, u, v)
vu
insieme alla condizione di Cauchy (t0 , u, v) = 1, e di conseguenza
Rt
a(s,u,v) ds
(t, u, v) = e t0
.

Per v u risulta
a(s, u, v) a(s, u, u) = fy (s, (s, u))

85
e quindi (potendosi passare al limvu sotto lintegrale in ds, di nuovo grazie al teorema di
continuita degli integrali dipendenti da parametri) (t, u, v) tende a
Rt
fy (s,(s,u)) ds
z(t) = e t0

che e la soluzione della (4.30).

4.6 Stabilita per i sistemi non lineari autonomi

Se f e di classe C 1 in un aperto U di RN il Teorema di CauchyLipschitz si applica al sistema


autonomo (4.4), cioe
x0 = f (x) (4.31) IV-(6.1)
con W = R U .
Una soluzione x0 (t) di (4.31) e stabile se, dato un qualunque > 0, esiste un ]0, ]
tale che ogni soluzione x(t) del sistema con kx(0) x0 (0)k < verifica kx(t) x0 (t)k <
per ogni valore positivo di t nellintervallo massimale di esistenza; e asintoticamente
stabile se e stabile, ed inoltre puo essere scelto in modo tale che ogni soluzione x(t) con
kx(0)x0 (0)k < verifichi x(t)x0 (t) 0 per t ; e instabile se non e stabile. Queste
nozioni sono rilevanti anche quando N = 1, caso in cui la (4.33) e unequazione scalare a
variabili separabili.
Ci interessiamo alla stabilita o meno di un equilibrio di (4.31), cioe dei vettori u U
tali che f (u) = 0. Se u e stabile ogni soluzione di (4.31) vicina ad u in t = 0 resta in un
limitato di U per ogni valore positivo di t nellintervallo massimale di esistenza, e quindi
questultimo deve contenere tutta la semiretta [0, [ grazie al Teorema 4.3.1.

IV-t 6.1 Teorema 4.6.1. Sia f C 1 (U ). Se in un punto u U la f si annulla e tutti gli autovalori
della matrice jacobiana hanno parti reali negative, allora u e un equilibrio asintoticamente
stabile del sistema (4.31).

DIM. Cominciamo supponendo u = 0 e scriviamo A = (f /x)(0). La funzione f (x) Ax e


un o(kxk) per U 3 x 0, e quindi ad ogni > 0 si puo associare un = () > 0 tale che

kf (x) Axk kxk per x U con kxk . (4.32) IV-(6.2)

Data comunque una soluzione della (4.31), al variare di t nel suo intervallo massimale di
definizione Imax la funzione
g(t) = f (x(t)) Ax(t)
varia con continuita. Siccome x(t) soddisfa x0 = Ax + g(t), vale lidentita
Z t
At
x(t) = e x(0) + eA(ts) g(s) ds
0

86
(cfr. la (3.34)) in cui lintegrale si maggiora in norma con lintegrale della norma (cfr.
lEsercizio III.3): Z t Z t
A(ts)

e
g(s) ds
keA(ts) g(s)k ds.
0 0
Grazie allipotesi sugli autovalori di A esistono c, K > 0 tali che
keAt x(0)k Kect kx(0)k per t 0, keA(ts) g(s)k Kec(ts) kg(s)k per 0 s t
(cfr. la (3.19)). Associamo a = c/(2K) il della (4.32). Siccome non e restrittivo supporre
K > 1, se la soluzione x(t) soddisfa kx(0)k /K esiste un ]0, sup Imax [ tale che per
ogni t in [0, ] si ha kx(t)k , dunque kg(t)k ckx(t)k/(2K) e infine
c t c(ts)
Z
ct
kx(t)k Ke kx(0)k + e kx(s)k ds
2 0
ovvero
c t cs
Z
ct
e kx(t)k Kkx(0)k + e kx(s)k ds.
2 0
Applichiamo il Lemma di Gronwall alla funzione (t) = ect kx(t)k. Siccome
c t
Z
(t) Kkx(0)k + (s) ds
2 0
otteniamo
(t) Kkx(0)kect/2 ovvero kx(t)k Kkx(0)kect/2
per ogni t [0, ]. Prendiamo lestremo superiore 0 di tutti i ammissibili. Se 0 fosse
interno allintervallo massimale otterremmo kx(0 )k ec0 /2 : ma allora x(t) sarebbe
definita e verificherebbe ancora kx(t)k in un intorno destro di 0 , contro la definizione
di questultimo. Dunque kx(t)k per ogni t > 0 nellintervallo massimale, per cui il
sup di questultimo devessere per ogni soluzione il cui valore in 0 verifica la condizione
kx(0)k /K. Questo permette di concludere per u = 0.
Se u 6= 0 il sistema
y0 = f (y + u) (4.33) IV-(6.3)
ha, per quello che abbiamo appena visto, un equilibrio asintoticamente stabile in 0, e per
la conclusione nel caso generale basta tener conto che y(t) e soluzione di (4.33) se e solo se
x(t) = y(t) + u e soluzione di (4.31).

Il teorema precedente riconduce la stabilita asintotica di un equilibrio u per (4.31) a


quella di 0 per il sistema linearizzato
x0 = Ax, A = (f /x)(u) (4.34) lineariz

Daltra parte, si potrebbe vedere non senza sforzo che se un autovalore di A ha parte
reale > 0, allora linstabilita di u per (4.34) si trasporta a (4.31).
Cosa accade se esistono autovalori di A con parte reale nulla? Il prossimo esempio mostra
che dal comportamento degli equilibri per (4.34) non si puo dedurre nulla per (4.31).

87
Esempio 4.6.1. Consideriamo i sistemi
 0
x1 = x2 x1 (x21 + x22 )
(4.35) nolinear
x02 = x1 x2 (x21 + x22 )
prendendo entrambe le equazioni con la stessa scelta nel segno . Il sistema linearizzato
nellequilibrio 0 e per tutte due i casi
 0
x1 = x2
x02 = x1
con autovalori della matrice dei coefficienti dati da i, e quindi e stabile ma non asinto-
ticamente stabile. Moltiplichiamo i due membri della prima equazione per x1 , quelli della
seconda per x2 , e sommiamo membro a membro:

x01 x1 + x02 x2 = (x21 + x22 )2 .

Il primo membro e la derivata di (x21 + x22 )/2, e quindi y = x21 + x22 soddisfa le equazioni

y 0 = 2y 2

a seconda dei segni scelti in (4.35). Aggiungendo a esempio la condizione di Cauchy y(0) = 1
vediamo che
1
y= ,
1 2t
e quindi x21 + x22 tende a 0 per x21 + x22 nel caso delle equazioni col segno (stabilita
asintotica), mentre x21 + x22 tende a per x21 + x22 1 nel caso di quelle col segno +
(instabilita).

4.7 Il piano delle fasi di un sistema bidimensionale


autonomo

Per N = 2 scriviamo la (4.31) come

x0 = f (x, y)

(4.36) IV-(7.1)
y 0 = g(x, y)
o piu pedantemente come  0
x (t) = f (x(t), y(t))
y 0 (t) = g(x(t), y(t))
con f e g funzioni reali di classe C 1 in un aperto U del piano.
Mostriamo che nellaperto V U dove f (x, y) si mantiene 6= 0 il sistema (4.36) e
equivalente allequazione scalare
dy g(x, y)
= (4.37) IV-(7.2)
dx f (x, y)

88
ovvero
dy g(x, y(x))
(x) = .
dx f (x, y(x))
Per la precisione fissiamo (x0 , y0 ) V e facciamo vedere che in un intorno di t = 0 la soluzione
t 7 (x(t), y(t)) di (4.36) con (x(0), y(0)) = (x0 , y0 ) e una rappresentazione parametrica locale
del grafico della soluzione x 7 y(x) di (4.37) con y(x0 ) = y0 . A tal fine invertiamo x = x(t)
in un intorno di t = 0: possiamo farlo perche x0 (0) = f (x(0), y(0)) 6= 0. Sia t = (x) la
funzione inversa e sia (x) = y( (x)). Le funzioni x 7 (x) e x 7 (x) verificano
 1
d dx 1 d dy d g(x, y( (x)))
(x) = ( (x)) = , (x) = ( (x)) (x) =
dx dt f (x, y( (x))) dx dt dx f (x, y( (x)))

e quindi y = (x) soddisfa la (4.37) insieme a (x0 ) = y0 , come volevamo dimostrare.


In maniera analoga si fa vedere che il sistema (4.36) e equivalente allequazione scalare

dy f (x, y)
=
dx g(x, y)

nel sottoinsieme aperto di U dove g(x, y) si mantiene 6= 0.

e 7.1 Esempio 4.7.1. Il sistema di VolterraLotka


 0
x = hx axy
(4.38) IV-(7.3)
y 0 = ky + bxy

(dove a, b, h, k > 0) fornisce un modello della relazione tra le quantita x(t) e y(t) di due
popolazioni animali, rispettivamente di prede (potenziali) e di predatori: si sta supponendo
che le prime costituiscano lunico sostentamento dei secondi e che levoluzione sia di tipo
malthusiano ma con coefficiente variabile h ay(t) per le prede e k + bx(t) per i predatori.
Gli equilibri del sistema sono in (k/b, h/a) e gia a questo punto va sottolineato che i
parametri della prima (seconda) coordinata sono quelli della seconda (prima) equazione
e in (0, 0).
Linearizzando in (0, 0) otteniamo il sistema
 0
x = hx
(4.39) IV-(7.4)
y 0 = ky,

corrispondente alla situazione di prede tenute separate dai predatori, che e dotato della
famiglia fondamentale di soluzioni esponenziali (K1 eht , K2 ekt ): lorigine e un equilibrio
instabile per (4.39) (nonche per (4.38), ma non labbiamo mostrato).
Linearizzando in (k/b, h/a) otteniamo invece
 0
x = akb
y
0 bh (4.40) IV-(7.5)
y = a x,

Lequazione
caratteristica e 2 + hk = 0. Siccome le sue soluzioni sono gli immaginari
puri i hk non disponiamo di risultati generali sul sistema (4.40) da cui dedurre la natura

89
dellequilibrio (k/b, h/a) per (4.38). Procediamo dunque con tecniche ad hoc. Il sistema
(4.38) e equivalente allequazione
dy y(bx k)
=
dx x(h ay)
nellinterno del primo quadrante privato della semiretta y = h/a, e allequazione
dx x(h ay)
=
dy y(bx k)
nellinterno del primo quadrante privato della semiretta x = k/b. Meglio ancora: possiamo
separare le variabili e ricondurci cos nellinterno del primo quadrante ad ununica equazione
differenziale esatta
bx k h ay
dx dy = 0.
x y
Le curve di livello della primitiva
f (x, y) = bx k log x h log y + ay
del primo membro forniscono dunque le traiettorie di (4.38) intorno a (k/b, h/a). Ma f (x, y)
e una funzione convessa che tende all sia per x 0 o x (uniformemente in y)
che per y 0 o y (uniformemente in x), ed ha minimo in (k/b, h/a). Quindi ogni
sua curva di livello f (x, y) = C (con C > f (k/b, h/a)), oltre ad essere regolare e chiusa,
e anche limitata, e racchiude laperto convesso f (x, y) < C. Cio significa che a partire da
una qualunque coppia di valori (x0 , y0 ) al tempo t = 0 le soluzioni del sistema presentano
un andamento ciclico in 4 fasi, che assicura lesistenza della soluzione per ogni valore di t
e inoltre e pienamente plausibile nellapplicazione di (4.38) alla dinamica delle popolazioni
di prede e predatori. Prendendo ad esempio come fase iniziale quella in cui laumento del
numero di prede sostiene quello dei predatori, si passa alla fase in cui i predatori continuano
ad aumentare e a causa di cio le prede cominciano a diminuire, poi a quella in cui le prede
continuano a diminuire e di conseguenza cominciano a diminuire anche i predatori, infine a
quella in cui la quantita di prede risale mentre i predatori continuano a diminuire. Arrivati
qui, diciamo al tempo t = T , si ritrovano gli stessi valori iniziali (x0 , y0 ) e si ricomincia.
Dallandamento delle traiettorie del sistema segue che (k/b, h/a) e un equilibrio stabile.
Ma ce ben di piu. Indichiamo con x e y le medie dei valori assunti rispettivamente da x(t)
e y(t) nellintervallo di tempo [0, T ]:
1 T 1 T
Z Z

x = x(t) dt, y = y(t) dt.
T 0 T 0
Riscriviamo le (4.38) sotto la forma
(
x0
x
= h ay
y0
y
= k + bx

e integriamo da 0 a T : siccome x(T ) = x(0) e y(T ) = y(0) otteniamo


Z T
log x(T )
0= = (h ay(t)) dt = hT aT y ,
x(0) 0

90
Z T
log y(T )
0= = (k + bx(t)) dt = kT + bT x
y(0) 0

e di conseguenza
k h
x = , y = . (4.41) IV-(7.6)
b a
Questo mostra che le coordinate della posizione di equilibrio sono i valori medi (in un ciclo)
delle quantita di popolazione di prede e di predatori. Cio significa innanzitutto che questi
valori non dipendono da quelli assunti allistante iniziale. Non solo: alteriamo, sia pure senza
esagerare, i parametri indipendenti di crescenza h (per le prede) e di decrescenza k (per i
predatori) passando rispettivamente a h + e k + con 0 < || < k. Se le prede fossero
tenute separate dai predatori (a = b = 0) si passerebbe dal sistema (4.39) al sistema
 0
x = (h + )x
y 0 = (k + )y

e lalterazione quantitativa agirebbe nello stesso senso sullevoluzione (esponenziale) delle


soluzioni, la cui famiglia sarebbe ora quella delle funzioni (K1 e(h+)t , K2 e(k+)t ). Ma noi
stiamo supponendo la compresenza di prede e predatori (a, b > 0). Dal sistema (4.38) si
passa al sistema  0
x = (h + )x axy
y 0 = (k + )y + bxy
e lalterazione quantitativa dei parametri modifica i valori medi delle soluzioni in un ciclo
facendo passare dalle (4.41) alle

k h+
x = , y = : (4.42) IV-(7.7)
b a
il contributo di compare con segni opposti nelle due componenti! Fu questo risultato
teorico, passato alla storia della scienza col nome di principio di Volterra, che permise
al grande matematico italiano di spiegare lapparente paradosso del fenomeno osservato dal
biologo Umberto DAncona: nellAdriatico, durante la prima guerra mondiale che aveva
grandemente ridotto la pesca e dunque il contributo che questa dava al tasso di mortalita
sia dei pesci commestibili per luomo e sia dei loro predatori (squaletti chiamati selaci),
la quantita media dei secondi era aumentata molto piu di quella dei primi. Ebbene, se
supponiamo che venga ridotto il contributo esterno al tasso di mortalita tanto delle prede
che dei predatori, cioe che > 0, il confronto tra le (4.41) e le (4.42) mostra per lappunto
che la popolazione dei predatori ci guadagna e quella delle prede ci rimette. Naturalmente
il risultato si capovolge se viene incrementato il contributo esterno al tasso di mortalita di
entrambe le specie ( < 0). Un caso eclatante si manifesto quando fu introdotto luso del
DDT in agrumeti infestati da cocciniglie contro cui, fino ad allora, era stata fatta agire
una popolazione (predatrice) di coleotteri: linsetticida sterminava entrambe le popolazioni,
ma come risultato si ebbe, contro una diminuzione del numero di coleotteri, un aumento
di quello delle cocciniglie. Per tornare ai pesci commestibili: un moderato aumento della
pesca fa crescere il loro numero, beninteso a patto che insieme a loro si peschino anche i loro
predatori.

91
Notiamo infine che le traiettorie delle soluzioni del sistema (4.38) sono le stesse del
sistema  0 x
x = bxk
y
y 0 = hay
costituito da due equazioni indipendenti (il che motiva luso delle virgolette).

92

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