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Volume 41
(6 ottobre 2012)
1
Per un approfondimento delle idee qui sintetizzate mi permetto di rimandare
al mio commento al De vulgari eloquentia, in DANTE ALIGHIERI, Opere, edizione di-
retta da M. SANTAGATA, I, Milano, Mondadori (I Meridiani), 2011, pp. CCXI-
CCXXXV (Introduzione), 1067-1547 (Testo, traduzione e commento), e a un paio
di altri miei lavori: Volgare e latino nella storia di Dante, in Dantes Plurilingua-
lism: Authority, Knowledge, Subjectivity, Ed. by S. FORTUNA, M. GRAGNOLATI and
J. TRABANT, ICI Berlin Institute for Cultural Inquiry, 2-4 april 2009, Oxford, Le-
genda, 2010, pp. 52-68; e Il concetto dantesco di unit linguistica e le prime in-
tuizioni di una nazione italiana, in Pre-sentimenti dellUnit dItalia nella
tradizione culturale dal Due allOttocento. Atti del Convegno di Roma, 24-27 ot-
tobre 2011, Roma, Salerno Editrice, 2012, pp. 23-48.
(2) Sed quia unamquanque doctrinam oportet non probare, sed suum
aperire subiectum, ut sciatur quid sit super quod illa versatur dicimus,
celeriter actendentes, quod vulgarem locutionem appellamus eam qua
infantes assuefiunt ab assistentibus cum primitus distinguere voces inci-
piunt; vel, quod brevius dici potest, vulgarem locutionem asserimus quam
sine omni regula nutricem imitantes accipimus. (3) Est et inde alia lo-
cutio secundaria nobis, quam Romani gramaticam vocaverunt. Hanc qui-
dem secundariam Greci habent et alii, sed non omnes: ad habitum vero
huius pauci perveniunt, quia non nisi per spatium temporis et studii as-
siduitatem regulamur et doctrinamur in illa.
rono questa opzione (sintende nel mondo latino) furono i primi poeti
in lingua doc, 150 anni prima, per la nota motivazione:
(6) E lo primo che cominci a dire s come poeta volgare, si mosse per
che volle fare intendere le sue parole a donna, alla quale era malagevole
d intendere li versi latini. E questo contra coloro che rimano sopra altra
matera che amorosa, con ci sia cosa che cotale modo di parlare fosse dal
principio trovato per dire d amore.
2
Tutte le citazioni sono desunte dalla banca dati del TLIO Tesoro della Lingua
Italiana delle Origini, presso lOpera del Vocabolario Italiano, consultabile online
(http://tlio.ovi.cnr.it/TLIO/), dalla quale si possono desumere le edizioni di riferimento
di ogni testo.
14 Mirko Tavoni
questo statuto in volgare, s che quelli che ignorano e non sanno gra-
matica possino tutti capitoli di questo constituto leggere e [int]endere
per volgare. Cos in una cronaca come il toscano Libro fiesolano,
1290-1342: a la prima furono due luoghi vi si puse nome in prulari e
chiamasi in gramatica Pise; per che Siena si tiene in gramatica
e dicesi el suo nome in plulari Sene.
E cos in vari volgarizzamenti fiorentini. Bono Giamboni, Orosio,
1292: Incominciasi lo libro primo di Paulo Orosio, raccontatore di
Storie, translatato della grammatica in volgare per Bono Giamboni;
il libro settimo delle Storie contra gli accusatori de cristiani si fini-
sce benavventuratamente; translatato della grammatica in volgare per
Bono Giamboni. Zucchero Bencivenni, Esposizione del Paternostro,
XIV in.: che elli parla a Dio patrolianto met in francesco, e met in
gramatica; cio una virtude bella e buona che luomo appella in
grammatica masuetudine, o benignitade, cio dolzore di cuore. An-
drea Lancia, Eneide volgarizzata, 1316: e io poscia, ad istanzia di te,
non molto lievemente, di grammatica in lingua volgare traslatai. Sette
arti liberali di Seneca volgarizzate, 1325 (?): utilit, e correzione di
tutti coloro, che in questo libro leggeranno, i quali non sanno grama-
tica. E in un volgarizzamento messinese: Giovanni Campulu, Libru
de lu dialagu de sanctu Gregoriu, 1302-37: si intitula Lib[ru] [de] lu
diala[gu] de sanctu Gregoriu, lu quali si esti traslatatu da
gra[m]at[ica] in vulgaru pir Frati Iohanni Campulu de Missina, de
[lordine de li] frati minuri.
quanto mai sintomatico che Dante attribuisca questo uso termi-
nologico, tipico frutto della diglossia del suo tempo, ai Romani anti-
chi, che ovviamente mai avrebbero potuto concepirlo. questa forse
la spia pi acuta della ipostatizzazione che Dante opera: cio lasso-
lutizzazione acronica, o almeno lamplissima, indefinita estensione
nel tempo, della diglossia in cui erano immersi Dante e gli uomini
della sua et.
Ed ecco come Dante descrive linvenzione della gramatica, cio
della lingua latina (VE I ix 11):
Hinc moti sunt inventores gramatice facultatis: que quidem gramatica ni-
chil aliud est quam quedam inalterabilis locutionis ydemptitas diversi-
bus temporibus atque locis. Hec cum de comuni consensu multarum
gentium fuerit regulata, nulli singulari arbitrio videtur obnoxia, et per
consequens nec variabilis esse potest. Adinvenerunt ergo illam ne, prop-
ter variationem sermonis arbitrio singularium fluitantis, vel nullo modo
Che cosa erano il volgare e il latino per Dante 15
Da questo sono stati spinti coloro che hanno scoperto la facolt della
grammatica: la quale grammatica non altro che una sorta di inalterabile
identit della lingua attraverso tempi e luoghi diversi. Questa, poich
stata regolata per consenso comune di molte genti, non appare esposta al-
larbitrio individuale di nessuno, e di conseguenza non pu neanche es-
sere mutevole. Lhanno trovata, dunque, per evitare che, a causa del
variare della lingua, fluttuante secondo larbitrio dei singoli, non potes-
simo in alcun modo, o potessimo solo imperfettamente, attingere il sapere
e la storia degli antichi, ovvero di coloro che la diversit dei luoghi rende
diversi da noi.
Infatti i filosofi, vedendo che nessun idioma volgare era completo e per-
fetto, tale da poter esprimere attraverso di esso le leggi della natura, i co-
stumi degli uomini, il corso degli astri e gli altri argomenti di cui volevano
disputare, inventarono per s quasi un idioma proprio, che si chiama la-
tino, ovvero idioma grammaticale; e lo costruirono cos ampio e copioso
da poter esprimere adeguatamente, attraverso di esso, tutti i loro concetti.
tive cos vive, spessore culturale cos profondo, e cos alto magistero
stilistico, una poesia scritta in una lingua totalmente altra dal lin-
guaggio naturale che Dio ha donato alluomo come sua pi esclusiva
facolt?
Pi in particolare, se il latino un esperanto risulta contraddit-
toria litalianit del latino, espressa nel modo pi chiaro da Sordello
nel momento del suo incontro con Virgilio (Pg. VII 16-17):
3
G. VINAY, Ricerche sul De vulgari eloquentia. 1. Lingua artificiale, naturale e
letteraria, Giornale storico della letteratura italiana, 136 (1959), pp. 236-274 e 367-388.
4
Per la prima volta nella discussione del 1435 fra gli umanisti Leonardo Bruni e
Biondo Flavio: Cfr. M. TAVONI, Latino, grammatica, volgare. Storia di una questione
umanistica, Padova, Antenore, 1984.
Che cosa erano il volgare e il latino per Dante 17
sottolinea il primato che viene al volgare di s dal fatto che gli in-
ventori del latino presero appunto s come base per coniare la parti-
cella affermativa del latino, sic (I x 1):
Totum vero quod in Europa restat ab istis, tertium tenuit ydioma, licet
nunc tripharium videatur: nam alii oc, alii ol, alii s affirmando locuntur,
ut puta Yspani, Franci et Latini. Signum autem quod ab uno eodemque
ydiomate istarum trium gentium progrediantur vulgaria, in promptu est,
quia multa per eadem vocabula nominare videntur, ut Deum, celum,
amorem, mare, terram, est, vivit, moritur, amat, alia fere
omnia (I viii 5).
***
***
Poich il nostro idioma oggi diviso in tre, come si detto sopra, allatto
di fare un confronto interno fra le tre variet nelle quali si differenziato,
procediamo con tanta esitazione a soppesarle che, comparandole, non
osiamo anteporre questa o quella o quellaltra parte, se non per il fatto che
i fondatori della lingua grammaticale hanno assunto sic come avverbio
affermativo: il che sembra assegnare un certo primato agli Italiani, che di-
cono s.
Nei primi due brani Dante dice che i tre volgari doc, dol e di s ri-
salgono allo stesso idioma babelico, perch altrimenti non si spieghe-
rebbero le tante concordanze lessicali che li uniscono. Nellesemplificare
con sette vocabula che sono eadem nei tre volgari, e particolarmente con
il lemma amor, nel momento in cui lautore espone questi lemmi nella
lingua del trattato, cio in latino, n lui stesso n il lettore possono fare
a meno di notare che non solo i tre volgari, ma anche il latino coincide
nelle stesse parole. Il latino certamente non la lingua madre dei tre vol-
gari, ma la sua base lessicale la stessa.
Il terzo brano dice che una ragione di superiorit del volgare di s su
quelli doc e dol che i positores della gramatica, cio della lingua la-
tina, quando si tratt di scegliere la particella affermativa (che in tutto il
trattato ha un particolarissimo valore identificante), scelsero sic cio la
parola grammaticale corrispondente al volgare s. Sintende che avreb-
bero invece potuto adottare una forma grammaticale corrispondente a
oc o a ol (che so, HOC, oppure HOC ILLUM), nel qual caso a potersene
gloriare sarebbero i provenzali (che Dante chiama Yspani) o i francesi.
La conclusione mi sembra alquanto evidente, e appunto a portata
di mano. La gramatica, sintende latina, cio la lingua latina, stata
inventata dopo la diversificazione forza incessante e inevitabile dopo
Babele, come spiega il cap. ix. Proprio questa la ragion dessere
della gramatica, quella di funzionare come rimedio alla variabilit,
come dice il passo di I ix 11 citato sopra. Dunque la gramatica latina
stata regolata de comuni consensu multarum gentium. Ma
Dante non vuol dire che sia stata regolata per consenso di tutte le
genti sulle quali il latino, ai suoi tempi, si estende come lingua di cul-
tura. LImpero era di l da venire, e cos i contatti con i Germani e gli
Slavi. La gramatica latina stata invece formata, prima di Terenzio,
Cesare, Cicerone ecc., entro i confini del solo idioma babelico ro-
manzo. Le molte genti di cui i positores hanno tenuto conto sono
solo loro cio siamo noi: la gramatica latina viene formata allin-
terno dellydioma tripharium che nostro, illud tantum quod nobis
Che cosa erano il volgare e il latino per Dante 19
5
A. DANCONA, Il tesoro di Brunetto Latini versificato, Roma, Tip. R. Accad. dei
Lincei, 1888 (Estratto da Memorie della R. Accad. dei Lincei, Classe di scienze
morali, storiche e filologiche, s. 4., vol. 4., pt. 1, a. 1887), pp. 125-26 ( mia la nu-
merazione dei versi).
20 Mirko Tavoni
6
O sangue mio, o sovrabbondante grazia di Dio, a chi come a te fu mai schiusa
due volte la porta del cielo?.
Che cosa erano il volgare e il latino per Dante 23
7
Cfr. CH. SINGLETON, The Use of Latin in the Vita Nuova, Modern Language
Notes, 61, 1946, pp. 108-112.
24 Mirko Tavoni
(4) In quel punto dico veracemente che lo spirito de la vita, lo quale di-
mora nella secretissima camera del cuore, cominci a tremare s forte-
mente, che apparia nelli menomi polsi orribilmente; e tremando disse
queste parole: Ecce deus fortior me, qui veniens dominabitur michi!
[Ecco un dio pi forte di me, che venendo mi dominer]. (5) In quel
punto lo spirito animale, lo quale dimora nellalta camera nella quale tutti
li spiriti sensitivi portano le loro percezioni, si cominci a maravigliare
molto, e parlando spezialmente alli spiriti del viso, disse queste parole:
Apparuit iam beatitudo vestra [ apparsa ormai la vostra beatitu-
dine]. (6) In quel punto lo spirito naturale, lo quale dimora in quella
parte ove si ministra lo nutrimento nostro, cominci a piangere, e pian-
gendo disse queste parole: Heu, miser, quia frequenter impeditus ero
deinceps! [O me misero, che sar spesso impedito dora in poi]. (7)
D allora innanzi, dico che Amore segnoreggi la mia anima, la quale fu
s tosto a llui disponsata, e cominci a prendere sopra me tanta sicurtade
e tanta signoria per la vert che li dava la mia imaginazione, che me con-
venia fare tutti li suoi piaceri compiutamente.
(3) E pensando di lei, mi sopragiunse uno soave sonno, nel quale map-
parve una maravigliosa visione. Che mi parea vedere nella mia camera
una nebula di colore di fuoco, dentro alla quale io discernea una figura
duno signore, di pauroso aspetto a chi la guardasse; e pareami con tanta
letizia, quanto a ss, che mirabile cosa era; e nelle sue parole dicea molte
cose, le quali io non intendea se non poche, tra le quali io intendea que-
ste: Ego dominus tuus [Io sono il tuo signore]. (4) Nelle sue braccia
mi parea vedere una persona dormire nuda, salvo che involta mi parea in
uno drappo sanguigno leggieramente; la quale io riguardando molto in-
tentivamente, conobbi chera la donna della salute, la quale m avea lo
giorno dinanzi degnato di salutare. (5) E nell una de le mani mi parea che
questi tenesse una cosa la quale ardesse tutta; e pareami che mi dicesse
queste parole: Vide cor tuum [Guarda il tuo cuore].
(3) Avenne quasi nel mezzo de lo mio dormire che mi parve vedere nella
mia camera lungo me sedere uno giovane vestito di bianchissime vesti-
menta, e pensando molto quanto alla vista sua, mi riguardava l ovio
giacea; e quando mavea guardato alquanto, pareami che sospirando mi
chiamasse, e diceami queste parole: Fili mi, tempus est ut pretermic-
tantur simulacra nostra [Figlio mio, tempo che si abbandonino i no-
stri simulacri]. (4) Allora mi parea che io il conoscesse, per che mi
chiamava cos come assai fiate nelli miei sonni mavea gi chiamato: e
riguardandolo pareami che piangesse pietosamente, e parea che atten-
desse da me alcuna parola. Onde io assicurandomi cominciai a parlare
cos con esso: Segnore della nobiltade, e perch piangi tu?. E quelli mi
dicea queste parole: Ego tanquam centrum circuli, cui simili modo se
habent circumferentie partes; tu autem non sic [Io sono come il cen-
tro del cerchio, a cui i punti della circonferenza si rapportano in modo
uguale, ma tu non sei cos]. (5) Allora, pensando alle sue parole, mi
parea che mavesse parlato molto oscuramente, s che io mi sforzava di
parlare, e diceali queste parole: Che ci, segnore, che mi parli con
tanta oscuritade?. E quelli mi dicea in parole volgari: Non dimandare
pi che utile ti sia.
pag. 5 Presentazione
di Fabrizio Matteucci
7 Mirko Tavoni
Premessa
9 Mirko Tavoni
Che cosa erano il volgare e il latino
per Dante
(6 ottobre 2012)
29 Lorenzo Tomasin
Dante e lidea di lingua italiana
(27 ottobre 2012)
47 Claudio Giunta
Ancora su Dante lirico
(10 novembre 2012)
61 Rita Librandi
Dante e la lingua della scienza
(17 novembre 2012)
Appendice
89 Gioachino Chiarini
Quattro cerchi, tre croci.
Tempi e silenzi della Divina Commedia
(9 settembre 2012)