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BIOMASSE - RELAZIONE DI MEDICINA DEMOCRATICA ALL’ASSEMBLEA DI

CASTELLAZZO BORMIDA (AL) 25/10/05


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POLITICA, INFORMAZIONE, CONTROINFORMAZIONE
Oggi ne abbiamo 25 del mese di ottobre 2005. Il 14 aprile di quest’anno, preceduta da contatti
informali, la ditta “Sviluppo BioAgri-Energia s.rl.” di Eros Polotti (questo nome non mi è nuovo)
presentò un progetto alla Provincia dal titolo serre “per produrre piante aromatiche in contenitori:
basilico”. Durante questi sette mesi, il progetto è stato esaminato in sordina nelle stanze della
Provincia, senza che nulla trapelasse fuori. L’opinione pubblica non è stata informata. E neppure
noi, che pure avevamo chiesto di essere informati di tutti i progetti con impatto ambientale. Quando
siamo venuti a saperlo, ci hanno rifiutato -è la prima volta che mi succede in trentanni- le fotocopie
del progetto obbligandoci a consultarlo in un corridoio. Ci vuole altro per scoraggiarci.
Il 3 ottobre mandiamo una lettera di diffida di tre pagine a Provincia e Comuni di Castellazzo
Bormida e limitrofi: lettera aperta al giornali. E’ notizia. I giornali nulla sapevano fino a quel
momento: chiedono conferma a Provincia e Comune e ricevono veline su di una grossa innocua
stufa a legna. Chi di voi ha comprato i giornali in quel periodo ha letto, sotto grossi titoli, molto
delle veline e poco delle nostre tre pagine. A dirla tutta, la Stampa è stata equilibrata, come il solito,
ma Il Piccolo ad esempio ha dedicato 351 righe alla versione di Provincia e Comune contro appena
11 righe alla nostra campana che suonava altra musica. Tre parole nostre ogni cento della Provincia.
L’autore giornalista è qui presente e può smentirmi.
La lettera aperta (copie sono in vostre mani) cominciava con queste parole: “Organizzeremo
assemblee con le popolazioni interessate in quanto apprendiamo che…” Assemblee? Ahi ahi. Di
corsa il sindaco di Castellazzo (con la Provincia) si è affrettato a stampare, prima di questa
assemblea, una edizione speciale di “Castellazzonotizie”, decisione evidentemente maturata nei
sette mesi precedenti. Un giornale ben fatto, impaginato bene. Per forza, è diretto da Nicola
Ricagni. Con Nicola facevo un giornale, La Settimana, un bel giornale purtroppo senza un editore
alle spalle e pubblicità. Ricordo un giornale coraggioso ma non fazioso, che riportava le posizioni
degli uni e degli altri. Perciò sul giornale del Comune mi aspettavo di leggere anche l’altra
campana, la nostra lettera aperta. Probabilmente il sindaco si è dimenticato di passarla a Ricagni,
altrimenti imbarazzato a scrivere sull’editoriale: “Vogliamo informare e non promuovere o
propagandare”. Bene, siccome entrambi, sindaco e direttore, esaltano l’informazione e la
trasparenza, faremo loro pervenire le relazioni dell’assemblea di questa sera, per vederle pubblicate
sul prossimo numero del periodico comunale. Non abbiamo dubbi.
Anche questa vicenda di Castellazzo è stata un esempio delle difficoltà che noi ambientalisti non
salottieri abbiamo nel tentativo di informare la gente. Se non avessimo distribuito i volantini, fosse
dipeso dai giornali, qui ora non ci sarebbe nessuno. Giornali e TV ci pubblicano poco e male. Perciò
abbiamo organizzato una rete di informazione, controinformazione. Oggi siamo in grado di
raggiungere via e-mail quasi un migliaio di indirizzi. Chi intende essere informato: aggiunga questa
sera il proprio indirizzo sull’elenco che facciamo circolare in sala. Nessun impegno, solo il
vantaggio di essere informati.
La Rete ambientalista sta organizzando, con successo, comitati e associazioni altrimenti deboli e
sparpagliati in provincia. Noi siamo tutti volontari, usiamo il tempo libero, benzina, telefoni ecc. a
spese delle nostre tasche. Ma stampare volantini e manifesti, affittare sale per assemblee
(ringraziamo il circolo che ci ospita), rimborsare le spese vive agli esperti che chiamiamo da
lontano, fare ricorsi amministrativi e legali ecc., hanno costi che non possiamo accollarci
individualmente. Perciò vi chiediamo di contribuire a queste spese: vicino all’uscita il nostro
tesoriere (si fa per dire) ha collocato un raccoglitore per il fondo di sopravvivenza della Rete, che
non ha altri finanziamenti.

12 CAMPI SPORTIVI DI BASILICO IN SERRE? CENTINAIA DI POSTI DI LAVORO?


Il titolo del progetto della BioAgri è serre per produrre piantine aromatiche in contenitore: basilico
(contenitori come vasetti di plastica che trovereste anche nei supermercati). Provincia e Comune
dicono, fanno scrivere sui giornali che non solo di basilico si tratta ma di pomodorini, insalatine…
Sarà… Sta di fatto che il progetto presentato parla invece di basilico: in decine e decine di pagine
dice tutto sul basilico: il ciclo di produzione aziendale, la filiera, le stagioni propizie ecc. Io l’ho
letto e so tutto sul basilico: il nome latino (Ocymum basilicum L.); le varietà “Genovese compatta”,
“Nana”, “Bageco”, “Lattuga”; come si cucina il pesto alla genovese. Pagine e pagine. Una serra,
compreso il vivaio, di 12 ettari (10 + 2), pari a 12 campi di calcio. E’ credibile?
Ora voi dovete sapere che -ce lo spiega dettagliatamente il progetto- che il basilico può essere
coltivato in due maniere: in piena aria da giugno ad ottobre (estate = caldo) oppure in serra da
ottobre a giugno (inverno = freddo). Attualmente è coltivato in pien’aria perché è meno costoso, più
buono, saporito: il 60% in Liguria, non a caso. In pratica tutta la produzione italiana dovrebbe,
secondo il progetto, essere sbaragliata da questo impianto che da solo dovrebbe occupare non il 100
ma il 120% della superficie delle serre. Praticamente gli addetti italiani alle produzioni di basilico
dovrebbero essere licenziati o assunti a Castellazzo. A meno che le esportazioni di basilico
invadano la Cina. E’ credibile tutto questo? Ma veramente si vuole costruire una centrale
termoelettrica di 46,5 megawatt per fare del basilico? O per altro uso? Provincia e Comune fanno
scrivere sui giornali che non solo di basilico si tratta, ma chi legge il progetto legge solo di basilico
per decine di pagine: di botanica, dati, grafici, tabelle sul basilico, sughi al basilico e via divertendo.
Insomma ‘sto basilico dovrebbe conquistare il mondo anche se, prodotto in serre, allevato in acqua,
costa di più per energia e manodopera, è più deperibile tanto che deve viaggiare su camion
refrigerati. Ma non è più conveniente produrlo nelle regioni dove fa più caldo (Liguria, Sicilia)
piuttosto che dove fa più freddo come da noi? Sta in piedi economicamente? La BioAgri, che deve
vendere il progetto, non ha difficoltà a sbilanciarsi per il sì: costo complessivo 36 milioni di euro;
ricavi 1,8 milioni euro/mese, utile netto 29.000 euro/mese. Utile un po’ bassino a dire il vero:
evidentemente i costi sono alti.
E’ credibile tutto ciò?
E’ credibile l’incremento occupazionale promesso? Il sindaco ne spara 120. Il progetto:
50 addetti diretti: 25 alla centrale (cos’è atomica?), 25 alla gestione del parco combustibile;
250 indiretti: nell’indotto, per la raccolta delle biomasse.
300 in totale. Più quelli che dovrebbero lavorare nelle serre, quanti? Sembrerebbero 70 o 120 come
fanno scrivere sui giornali. Nel progetto i numeri ballano: i 250 ad un certo punto diventano 210
che piantano pioppi e 40 che raccolgono rami nelle comunità montane. Questi fantastici numeri
dovrebbero corrispondere a non so quante centinaia, forse migliaia? di licenziamenti in Liguria e
resto d’Italia. E’ credibile tutto ciò? E’ serio fantasticare per il futuro una catena completa di
impianti di lavorazione in loco del prodotto (basilico) a valle delle serre? capannoni su capannoni,
centinaia di persone che lavorano e confezionano ed esportano basilico in tutto il mondo?
E’ credibile?
Di fronte a queste obiezioni, , il titolare della ditta, che porta in giro questo progetto per tutta
l’Italia, non avrà difficoltà ad aggiungere o sostituire nel progetto il basilico con altri vegetali, che
so, il prezzemolo (che si mette dappertutto), il cardo (per la bagna cauda, magari graditissima ai
cinesi), decine e decine di pagine su prezzemolo e cardi. Ma diventerebbe il progetto serre più
credibile? E’ credibile una centrale funzionale ad un superficie totale fra serre e accessori (30.000
m2) di 150.000 m2, suscettibili, sta scritto, di ampliamenti per ulteriori 14-15 ettari?
O dobbiamo convincerci che la centrale termoelettrica non è destinata, se non in minima parte al
basilico, prezzemolo e cardo, bensì a produrre energia elettrica per altro uso? Più avanti vedremo
l’uso.

CENTRALE PER IL BASILICO O PER L’ENEL?


E’ credibile questa centrale per lo scopo dichiarato?
Si estende su 3 ettari. Lavora a ciclo continuo (8.000 ore su 8.760), anche d’estate. Usa come
combustibile le biomasse (poi vedremo cosa sono). Ha una potenza termica di 46,5 megawatt
termici (MWt). Furbescamente di 46,5 perché oltre 50 ci voleva la VIA Valutazione di impatto
ambientale della Regione mentre fa comodo l’autorizzazione della Provincia! 46,5 megawatt.
Attenzione, Provincia e Comune nascondono questo dato, facendo la prima scrivere sui giornali 10
megawatt e il secondo riportando in tabella 11,9 di potenza elettrica (MWe) (rendimento 25% della
potenza termica). Non facciamoci ingannare: queste centrali si esprimono in potenza termica che
dà la misura dei consumi e delle emissioni. Dunque stiamo parlando di una grossa centrale a
biomasse. Affiancata da una caldaia di soccorso alimentata a gasolio della potenza termica di 21
megawatt. Perché poi una 21 e l’altra 46,5?
Veniamo al combustibile. Biomasse. Energia rinnovabile. Legna. Una grossa stufa a legna. Ma
come, si dice, voi ambientalisti siete contrari alle fonti rinnovabili? No, tutt’altro, visto che siamo
stati i primi e i soli a sostenerle: sole, vento, acqua. Qui, il problema è la dimensione della centrale:
46,5 megawatt. Ad una piccola centrale, secondo le necessità del territorio non ci opporremmo,
anche se riteniamo meglio non bruciare mai nulla, meglio il compostaggio. Nel progetto si parla di
alimentare una centrale di (furbescamente) 46,5 megawatt bruciando 1,5 milioni di quintali/anno
di biomasse (scarti vegetali, rifiuti lavorazione legno e affini non trattate, scarti di cartiere (pulper)
che contengono cloro, zolfo, piombo, cromo, zinco, ecc. nei limiti di legge naturalmente) di cui 1,15
milioni -incredibile- dai 120.000 ettari della provincia.
Ma dove stanno 1,15 milioni di quintali in provincia? E’ più di quanto potrebbero dare,
tagliandoli, tutti i boschi della provincia. Va da sé che il combustibile dovrebbe arrivare da fuori. Lo
ammette lo stesso assessore Penna sul giornale del Comune: “dalla regione, dal resto d’Italia, ma
non dall’estero”. Chissà perché no, quale legge lo vieta? se provengono dall’Amazzonia e
dall’Africa? Ma a quali costi? Costi insopportabili per produrre energia elettrica a lungo termine per
riscaldare il basilico. Ma sopportabili se invece l’energia elettrica viene venduta all’Enel che la
strapaga con gli incentivi statali. Infatti il progetto prevede -tramite un elettrodotto (15 KV)- questa
vendita di energia sotto forma di certificati verdi, ma, si dice, limitata all’esubero di energia.
Limitata? E’ credibile? E’ credibile che la sola illuminazione di serre richiede una quantità di
energia elettrica sufficiente per l’illuminazione pubblica di una città come Firenze?
Non è credibile. E’ invece credibile che una centrale che costa 38.330.000 euro (36.530.000 +
1.800.000 costi esterni), quasi 80 miliardi di lire, (includendo sbancamento e terreno, escluso costo
impianto serre), è più credibile che serva in piccola parte per una piccola serra e nella stragrande
parte per la vendita di energia elettrica. 80 miliardi allora si giustificano.

STUFA A LEGNA? INNOCUA? O FUORILIGGE?


Veniamo agli effetti sull’ambiente e la salute.
Parliamo di una centrale a Castellazzo, ai confini di Casalcermelli e Castelspina; con comuni
limitrofi Alessandria, Oviglio, Borgoratto, Frascaro, Gamalero, Bosco Marengo, Frugarolo (i cui
sindaci dovrebbero dire la loro visto che l’inquinamento non si ferma ai confini amministrativi e
soprattutto indire le assemblee dei cittadini).
Siamo cioè nella Fraschetta. Un tempo foresta. La Fraschetta è stata dichiarata “area ad elevato
rischio ambientale e sanitario per l’inquinamento di aria, acqua e suolo, ai primi posti in Italia
negli studi epidemiogici per morti e malattie da cancro” (vedi relazione ARPA). Dichiarata non da
me (che pur lo ripeto da trenta anni) ma dalle istituzioni con trenta anni di ritardo, dichiarata da due
mozioni comunali votate all’unanimità ad Alessandria.
Ebbene, dicono Provincia e Comune ai giornali, non c’è problema. La centrale è innocua, una stufa
a legna, emissioni contenute, impatto ambientale minore di una autostrada. E’ credibile?
Vediamo. Il camino (ci saranno anche torri di raffreddamento) sarà alto 22/29 metri: portata 65.000
metri cubi ora, ceneri 370 Kg/ora; polveri fino a 2 grammi per ogni metro cubo di fumi di cui
scaricate 650 grammi/ora, diossine e furani fino a 6500 nano grammi/ora, ossidi di azoto fino a
200 milligrammi per ogni metro cubo di fumi. Sarà inoltre effettuato il monitoraggio, per verificare
che rientrino anche essi nei limiti di legge, di idrocarburi aromatici, monossidi di carbonio,
biossido di zolfo.
E naturalmente di anidride carbonica (C02) principale causa del riscaldamento globale e dei
devastanti mutamenti climatici in corso. Fanno scrivere sui giornali: “l’Arpa controllerà 24 ore su
24” (come notoriamente (non) fa per il polo chimico “se vi saranno sforamenti l’impianto verrà
chiuso”. Ma sé è così innocuo perché (far finta di) controllarlo 24 su 24? perché dovrebbero esserci
sforamenti oltre i limiti di legge?
Come si fa ad essere così tranquillizzanti visto che gli stessi autori del progetto ammettono la
sperimentazione di impianti pilota (essiccazione, recupero CO2) o non definitivi (trattamento e
preparazione combustibile)? Come si fa a propagandare (Penna) che è “una centrale di indubbia
novità per il Piemonte e l’Italia dove non ce ne sono più di 4 – 5 attive”? Eh certo, sono a decine
quelle bloccate dalle popolazioni. Abbiamo fior fior di esempi qui documentati.
Noi affermiamo che le dimensioni della centrale e il contesto geografico in cui sarebbe
inserita: la rendono inaccettabile. La Fraschetta è dichiarata “area ad elevato rischio ambientale”.
Castellazzo è compresa nella “zona di piano per la tutela della qualità dell’aria”. Per legge
l’inquinamento può solo diminuire. Castellazzo e comuni limitrofi (Alessandria, Oviglio,
Borgoratto, Frascaro, Gamalero, Castelspina, Casalcermelli, Bosco Marengo, Frugarolo)
negli studi epidemiologici di Provincia e Arpa presentano dati di estrema gravità: mortalità
significativamente superiore all’attesa per tumori al polmone, colon, vescica, stomaco nei maschi,
polmone, utero e colon nelle femmine (vedi relazione ARPA).
In quanto la Fraschetta deve essere considerata come inquinamento a livello di saturazione,
abbiamo chiesto alla Provincia che sia applicato il principio della valutazione di impatto
ambientale strategica, ovvero che questo nuovo insediamento industriale debba essere valutato
non separatamente ma se migliorativo al quadro globale. Tale valutazione dimostrerebbe che
l’inquinamento aggiuntivo della centrale a biomasse non trova alcuna compensazione sul territorio
( come potrebbe essere immense foreste o ad es. il teleriscaldamento: di cui parlerò poco
avanti).Non a caso Castellazzo è compresa nella “zona di piano per la tutela della qualità
dell’aria”, norma che verrebbe violata. L’inquinamento atmosferico, anzichè ridursi come
prevedono le leggi, verrebbe aumentato dalle emissioni del nuovo impianto e dal traffico di
autotreni da esso generati (centinaia il giorno) (la strada Trinità da Lungi sarebbe allargata a 6
metri). Si consideri nella zona il movimento di masse d’aria al suolo prevalentemente lento e
dunque un microclima del tutto sfavorevole alla dispersione degli inquinanti. Si aggiungano gli
inquinamenti di suolo e sottosuolo e luminoso; dell’alienazione delle ceneri e delle resine in
discariche autorizzate ( ceneri escono anche dal camino, 90 kg/ora 2160 kg/g 756 Ton/a); dello
stoccaggio (riserva per un mese: cumuli alti 6 metri in un’area di accantonamento di 2.400 m2,
viabilità 3.180 m2, capannone 15.336 m3); i reflui liquidi (trattati e in fogna); il rumore (82 dBA
ad 1 m di distanza); il pericolo d’incendio nonché la modifica dell’ecosistema causata da
consistenti prelievi d’acqua (70 m3/h) rilasciati poi a più elevate temperature (? +3°).

TELERISCALDAMENTO, CHI PAGA?


Sul suo giornale il sindaco compra e vende in particolare il teleriscaldamento. Il quale ha tutto
l’aspetto di una bufala. C’è una intera pagina. Ma, se la leggi bene, hai la conferma che Castellazzo
non presenta nessuna delle caratteristiche indispensabili per una centrale ad uso teleriscaldamento.
Qui non siamo come nell’esempio riportato dell’Austria: oltre 300 impianti a biomasse, di piccole e
piccolissime dimensioni (0,5 – 1 megawatt) e non di 46,5; piccoli impianti rurali vicini ai luoghi
di provenienza della biomassa, ma noi non abbiamo foreste nel raggio di 20 – 30 Km né possiamo
pelare gli infelici fiumi; vicini ad agglomerati urbani possibilmente di nuova costruzione; in terreni
marginali senza alternative. Altrimenti è una impresa antieconomica, da accollare sulle spalle dello
Stato. Chi paga? Non certo gli autori del progetto, che infatti non ne parlano. Ma tagliamo corto: se
c’è chi lo paga, questo teleriscaldamento deve essere in grado -facendo spegnere tutte le caldaie
domestiche- di compensare tutto l’inquinamento che esce dalla centrale, tutta la CO2 anidride
carbonica. Se questo non avviene: la Provincia è fu-o-ri-legge. Questo è un concetto
fondamentale, su cui interverrà Godio dopo di me.

SERRE SI, CENTRALE NO. OPPURE: PERDITE PUBBICHE E PROFITTI PRIVATI


In conclusione.
La Rete ambientalista con l’Associazione dei comitati della Fraschetta ha diffidato per iscritto la
Provincia (e i Comuni), ha chiesto di non concedere l’autorizzazione alla centrale per qu-ella
dimensione, in qu-esto territorio. E’ ovvia l’autorizzazione alle (presunte) serre se alimentate da
corrente normale o meglio ancora da pannelli solari. Serre sì, centrale no. Prima le serre, poi una
piccola centrale.
Un’altra considerazione: la terza linea dell’inceneritore di Brescia (preso a modello per
Alessandria) è alimentata dalle cosiddette biomasse, in realtà residui industriali, ad esempio del
processo di riciclaggio della carta straccia, pieni di vernici, metalli pesanti e soprattutto cloro
(uguale diossine e furani). Ebbene sappiamo tutti che stanno cercando dove collocare un
inceneritore in provincia. A Rivalta il consiglio comunale di Tortona ha detto no. Stiamo allerta
anche qui. Per questo vi chiediamo di firmare il documento rivendicato alla Provincia con un “no
ovunque” all’inceneritore e un sì ad un piano di rifiuti alternativo all’inceneritore cioè basato
sulla riduzione dei rifiuti, il riuso dei r., la raccolta differenziata dei r., il riciclaggio dei r.
Noi come Rete e Associazione dei comitati possiamo fare poco per fermare la centrale, anche se
faremo tutto: diffide, opposizioni amministrative ecc. Voi cittadini potete fare molto, anzi tutto.
Dipende da voi. Non è vero che “tanto hanno già deciso”, “non possiamo fare niente”, “tanto
comandano loro”. Non è vero. A San Michele e a San Giuliano volevano fare due centrali, a Villa
del Foro maxi aeroporto e logistica, a Bosco impianto rifiuti adiacente al nucleare, e tanti altri
esempi, anche di centrali a biomasse. Le popolazioni si sono organizzate, hanno costituito un
comitato, si sono unite a noi. Gli amministratori, i politici hanno fatto marcia indietro.
Organizzatevi a Castellazzo in comitato, con noi. Noi con le nostre povere forze di volontari. Voi
con la forza del voto in mano. Vedrete, faranno marcia indietro.
Ah, dimenticavo di dirvi, ma ci sarete arrivati da soli, che è prevista la costituzione di una società
mista con partecipazione pubblica (a maggioranza). Soldi pubblici. Soldi nostri. Finanziamenti
pubblici e profitti privati, se si sono. Oppure finanziamenti pubblici e perdite pubbliche. Sempre
la stessa storia.
Se non la blocchiamo, come potrebbe finire questa storia? Secondo Cassandra: con la
costituzione di due società distinte. Una per gestire le serre. L’altra per gestire la centrale. Di serre
ne verrà costruita una, mezzo ettaro, un ettaro. Finirà per fallire o sarà sbolognata a qualche
cooperativa. La centrale invece sarà venduta all’Enel volente o nolente. Il teleriscaldamento, se lo
vuole, se lo paga il Comune. E il business privato del progetto è in ogni caso assicurato.

Lino Balza

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