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Cap 1

Forze Centrali
V. 2008.1

1
Costanti fisiche

COSTANTI FISICHE GENERALI

velocitá della luce c = 2.998 108 m s−1


costante gravitazionale G = 6.673 10−11 N m2 kg −2
massa dell’elettrone me = 9.109 10−31 kg
massa del protone mp = 1.673 10−27 kg
carica dell’elettrone e = 1.602 10−19 C
costante dielettrica del vuoto ε0 = 8.854 10−12 F m−1
permeabilitá del vuoto µ0 = 4π 10−7 H m−1
numero di Avogadro NA = 6.022 1023 mol−1
costante di Boltzmann k = 1.380 10−23 J K −1

GRANDEZZE ASTRONOMICHE

= 1.496 1011 m
L J
unitá astronomica(distanza media − ) AU
TERRA
massa della Terra mT = 5.974 1024 kg
raggio della Terra(al polo) Rp = 6356.8 km
raggio della Terra(equatore) Re = 6378.1 km
raggio della Terra(medio) R = 6371.0 km
semi-asse maggiore orbita aT = 1.496 108 km
periodo dell’orbita T = 3.156 107 s
eccentricitá dell’ orbita ε = 0.01672
velocitá angolare di rotazione ωT = 7.292 10−5 s−1
SOLE
massa del Sole mS = 1.988 1030 kg
raggio del Sole(equatore) RSe = 6.961 105 km
LUNA
massa della Luna mL = 7.348 1022 kg
semi-asse maggiore orbita aL = 3.844 105 km
periodo dell’orbita T = 2.361 106 s

2
Introduzione

Introduzione

LEGGI DI KEPLERO
Nello studio della dinamica dei sistemi di punti materiali liberi primeggiano per importanza storica e
per motivi fisici i problemi della Meccanica Celeste.
La meccanica Newtoniana si è sviluppata in connessione con lo studio del moto dei pianeti intorno al
Sole
Lo studio del moto dei pianeti intorno al Sole è ricondotto al cosı́ detto problema dei due corpi che
è ovviamente una semplificazione della situazione reale ma che è importante in quanto è un problema
relativamente semplice ed esattamente integrabile e che permette una buona comprensione quantitativa
della fisica dell’interazione gravitazionale.
Il problema dei due corpi(con interazione gravitazionale)riguarda l’interazione di due masse puntiformi
che si muovono a causa della mutua interazione gravitazionale la quale è descritta dalla legge di gravitazione
di Newton.
Le masse dei pianeti del sistema solare sono molto diverse ma le orbite dei pianeti e dei satelliti possono
essere ben approssimate considerando un sistema a due corpi formato da un corpo di massa piccola che si
muove attorno ad un corpo di massa molto piú grande.
Gli effetti degli altri pianeti possono venir trattati come perturbazioni del sistema di due corpi.
I moti dei pianeti sono fenomenologicamente caratterizzati dalle leggi di Keplero.
Le leggi di Keplero dei moti dei pianeti(le prime due leggi furono formulate nel 1609, la terza nel 1619)
sono espresse generalmente come segue:

1. Ogni pianeta si muove attorno al Sole descrivendo un’orbita che è una ellisse di cui il Sole occupa
uno dei fuochi

2. Le aree descritte dal raggio vettore che congiunge il Sole con un pianeta sono proporzionali ai tempi
impiegati a percorrerle

3. I quadrati dei periodi di rivoluzione dei pianeti sono proporzionali al cubo del semi-asse maggiore
della orbita ellittica descritta.

La prima legge è una conseguenza del fatto che l’interazione gravitazionale fra il Sole e un pianeta varia
in modo inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza.
Una forza che varia come l’inverso del quadrato della distanza produce una traiettoria che in generale
è una conica; vale a dire una ellisse, o una parabola o una iperbole benché solo l’ellisse sia una traiettoria
chiusa .
Una forza repulsiva che varia in modo inversamente proporzionale al quadrato della distanza gener-
erebbe una traiettoria che è una iperbole.
La prima e la terza legge di Keplero discendono dall’ipotesi dell’esistenza di una forza attrattiva
inversamente proporzionale al quadrato della distanza.
La seconda legge di Keplero è invece unicamente conseguenza della conservazione del momento angolare
e sarebbe valida per qualunque legge di forza alla sola condizione che la forza sia centrale cioé che la
direzione di applicazione della forza sia sempre diretta per un punto fisso.
La forza gravitazionale è una forza centrale e conservativa e benché sia uno dei tipi piú importanti di
tali tipi di forza non è la sola.
Le forze elettrostatiche fra particelle cariche sono descritte dalla legge di Coulomb che è formalmente
analoga alla legge di gravitazione e le considerazioni di questo capitolo saranno valide pur con le rispettive
distinzioni per ambedue i tipi di fenomeno.
Forza conservativa significa che la forza deriva da un potenziale, cioé esiste una funzione scalare,
V (x, y, z) funzione del punto tale che

3
Introduzione

F (x, y, z) = −∇V (x, y, z)

Le componenti della forza sono quindi

∂V ∂V ∂V
Fx = − , Fy = − , Fz = − in coordinate cartesiane
∂x ∂y ∂z
∂V 1 ∂V 1 ∂V
Fr = − , Fθ = − , Fφ = − in coordinate polari sferiche
∂r r ∂θ r sin θ ∂ϕ
La forza è puramente radiale, cioé dipende solo dalla distanza r, se e solo se la funzione potenziale V
non dipende dalle variabili angolari θ e ϕ

∂V dV
Fr = − , Fθ = 0 , Fϕ = 0 → F = −r̂
∂r dr

FORZE CENTRALI.

Una forza esterna agente su un punto materiale è detta centrale se la forza è sempre diretta lungo la
retta congiungente la posizione del corpo e un punto fisso talvolta chiamato centro delle forze.
Se si immagina di scegliere l’origine del sistema di coordinate con tale centro fisso, allora la forza F è
sempre parallela al vettore posizione r.
Il momento della forza rispetto al centro delle forze è sempre nullo e quindi

dL
= M (E) = 0
dt
da cui segue che il momento angolare è costante.
La costanza di L significa che sia la sua direzione nello spazio che il suo modulo sono costanti
Poiché

L=r×p

L è perpendicolare al piano definito da r e da p = mv = mṙ.


Quindi la costanza di L implica che r e v giacciono sempre in un piano che è costante.
Il moto della particella è piano cioé è sempre confinato in un piano che contiene il vettore posizione
iniziale e la velocitá iniziale.
La posizione di una particella nello spazio è generalmente descritta da tre coordinate che nel caso
presente si riducono a due.
Scegliamo ad esempio coordinate polari e prendiamo l’asse polare nella direzione di L ; il moto è sempre
nel piano perpendicolare all’asse polare.
La coordinata zenitale ha il valore costante π/2 e la posizione del punto materiale è descrivibile mediante
coordinate polari piane r e θ.
Se L è costante è costante anche il suo modulo, chiamiamolo l :

|L| = |r × p| = rmvτ = rm(rθ̇) = mr2 θ̇ = l

avendo chiamato vτ = rθ̇ la componente tangenziale della velocitá.


Una prima immediata conseguenza è che la velocitá areale, cioé l’area spazzata dal raggio vettore
posizione nell’unitá di tempo è costante.

l dA 1
r2 θ̇ = = cst → = cst poiché dA = r2 dθ
m dt 2

4
Introduzione

dA
cioé la velocitá areale è costante; il raggio vettore spazza area uguali in intervalli di tempo uguali.
dt
La conservazione del momento angolare è quindi equivalente ad affermare che la velocitá areale è
costante.
È quello che afferma per l’appunto la seconda legge di Keplero.
La costanza della velocitá areale(o del momento angolare) è una proprietá generale delle forze centrali
e non è limitata a forze inversamente proporzionali al quadrato della distanza.
Se la forza oltre che centrale è anche conservativa si ha un’ulteriore legge di conservazione, quella
dell’energia totale che si puó scrivere, indicando con T l’energia cinetica e con V l’energia potenziale del
punto materiale

T + V = E =costante

COORDINATE RELATIVE e MASSA RIDOTTA

Si è precedentemente definita una forza come centrale se la forza è sempre diretta lungo una retta che
congiunge la posizione del corpo su cui essa agisce e un punto fisso.
In realtá non si è quasi mai nella situazione ove esiste un punto fisso centro delle forze.
Il caso piú semplice che si incontra è quello dell’interazione fra due corpi puntiformi.Se la massa di uno
dei due corpi fosse infinitamente grande ci si ritrova nella situazione di poterlo considerare fisso.
In genere non è cosı́ ma è facile vedere che ci si puó ricondurre a tale situazione, il che semplifica la
scrittura delle equazioni del moto.
Consideriamo un sistema di due masse(non devono necessariamente essere puntiformi perché fin tanto
che hanno simmetria sferica agiscono, gravitazionalmente o elettrostaticamente, come se fossero masse
puntiformi).
Siano m1 e m2 le rispettive masse e C il centro di massa del sistema da esse formate.
Con riferimento alla figura seguente possiamo scrivere

5
Introduzione

m1 r 1 + m2 r 2
R=
m1 + m2
0 m2 m2 µ
r1 = r1 − R = − (r 2 − r 1 ) = − r=− r
m1 + m2 m1 + m2 m1
0 m1 m1 µ
r2 = r2 − R = (r 2 − r 1 ) = r= r
m1 + m2 m1 + m2 m2

avendo definito

r = r2 − r1

e avendo definito la massa ridotta del sistema

m1 m2
µ=
m1 + m2

L’energia cinetica, T , del sistema è rappresentabile(Teorema di Koenig) come la somma dell’energia


cinetica dovuta al moto del baricentro piú l’energia cinetica associata al moto delle masse attorno al
baricentro.
!
2 2
1 2 1 0 1 0 1 2 1 µ µ
T = (m1 + m2 )Ṙ + m1 ṙ 12 + m2 ṙ 22 = (m1 + m2 )Ṙ + + ṙ 2
2 2 2 2 2 m1 m2
1 2 1
(m1 + m2 )Ṙ + µṙ 2
2 2

L’interazione fra le due masse dipende solo dalla distanza relativa r.


In assenza di altre forze esterne al sistema il baricentro si muove di moto uniforme o è fermo.
Il moto delle due masse rispetto al loro baricentro è cosı́ ricondotto al moto di una massa µ soggetta
ad una forza diretta verso un punto fisso e r descrive la distanza radiale della massa da esso.
Le posizioni delle due masse m1 e m2 rispetto al baricentro sono espresse dalle formule sopra scritte.

SISTEMA del CENTRO di MASSA

È spesso conveniente descrivere il moto del sistema considerato mettendosi in un sistema di riferimento
nel quale il centro di massa è a riposo e sceglierlo altresı́ come origine.
Tale sistema è chiamato sistema del centro di massa (CM).

6
Introduzione

Esso è sovente, ad esempio in presenza di un campo gravitazionale, un sistema non inerziale ma è ció
non ostante molto utile.
Indicheremo in generale con un asterisco le grandezze valutate nel sistema del CM.
Nel sistema del CM R = R∗ = 0 e quindi poiché il vettore posizione relativa dei due corpi, r è
indipendente dalla scelta dell’origine si ha che
m2 m1
r ∗1 = r 0∗
1 = − r , r ∗2 = r 0∗
2 = r
m1 + m2 m1 + m2
Nel sistema del CM le quantitá di moto dei due corpi sono uguali e di direzione contraria

m1 ṙ ∗1 = −m2 ṙ ∗2 = −µṙ = −p∗

Nel sistema del CM quindi quantitá di moto totale, momento angolare ed energia cinetica valgono

P∗ = 0
L∗ = µr × ṙ = r × p∗
1 p∗2
T ∗ = µṙ2 =
2 2µ

In un altro sistema di riferimento nel quale il centro di massa si muove con velocitá Ṙ le velocitá e le
quantitá di moto delle due masse sono

ṙ 1 = ṙ ∗1 + Ṙ , ṙ 2 = ṙ ∗2 + Ṙ
p1 = m1 ṙ 1 = m1 Ṙ − p∗ , p2 = m2 ṙ 2 = m2 Ṙ + p∗

Pertanto in tale sistema quantitá di moto totale, momento angolare ed energia cinetica valgono de-
finendo : Mtot = m1 + m2

P = Mtot Ṙ
L = Mtot R × Ṙ + L∗
1 2
T = Mtot Ṙ + T ∗
2

7
Leggi di conservazione

Leggi di conservazione

LEGGI DI CONSERVAZIONE
Molte caratteristiche del moto di un corpo in un campo di forze conservative centrali sono deducibili
senza risolvere esplicitamente le equazioni del moto ma sfruttando solo le leggi di conservazione dell’energia
e del momento angolare.
Consideriamo quindi il caso di un corpo materiale(puntiforme) di massa m soggetto ad una forza
conservativa centrale descritta dalla funzione potenziale V (r) che dipende solo dalla distanza radiale della
massa dal centro di forze che è fisso come si puó sempre ottenere considerando il sistema ridotto(m è
quindi la massa ridotta in questo contesto).
Le due leggi di conservazione possono essere scritte nella forma

1
mṙ 2 + V (r) = E = cost mr × ṙ = L = cost
2

Come discusso precedentemente la seconda equazione implica che il moto si svolge in un piano e quindi
il problema del moto è bidimensionale; la posizione della massa m è caratterizzata da due variabili, ad
esempio le coordinate polari nel piano r, θ.
In termini di esse le leggi di conservazione si scrivono :

1  2 2 2

m ṙ + r θ̇ + V (r) = E
2
mr2 θ̇ = l

Eliminando θ̇ fra le due equazioni si ottiene

1 2 l2
mṙ + + V (r) = E
2 2mr2
Formalmente il secondo e il terzo addendo a primo membro appaiono come un’energia potenziale
effettiva U (r)

l2
U (r) = + V (r)
2mr2
in termini della quale l’equazione di conservazione dell’energia diventa

1 2
mṙ + U (r) = E
2

1 2
Poiché mṙ è sempre definito positivo ne segue che
2

l2
U (r) = + V (r) ≤ E
2mr2
Questa relazione impone delle restrizioni ai possibili valori che r puó assumere.
Ad esempio

1 2
ˆ V (r) = kr (k > 0) forza di richiamo elastica isotropa
2

8
Leggi di conservazione

l2 1 2
U (r) = + kr ≤ E
2mr2 2

L’energia E del sistema è sempre positiva.Il grafico è del tipo

Come si vede dalla figura per valori di E sufficientemente grandi il moto del sistema è tale che r
varia ma rimane sempre confinato fra i due valori rmin e rmax .
Quando il valore di E corrisponde al minimo di U (r)(e quindi ṙ = 0) la coordinata r ha un valore
costante. La massa m si muove descrivendo una circonferenza attorno all’origine.
La situazione è molto ovvia nel caso particolare unidimensionale(moto lineare di una massa soggetta
ad una forza di richiamo elastica).
Se la massa è spostata dalla posizione di equilibrio oscilla intorno a questa fra un valore minimo e
uno massimo.
La situazione di equilibrio e’ quando la massa rimane ferma nella posizione di riposo.
k k
ˆ V (r) = → F = 2 r̂ forza gravitazionale o coulombiana ∝ 1/r2
r r
La costante k puó essere positiva(caso di una forza repulsiva) o negativa (caso di forza attrattiva)
L’equazione di conservazione dell’energia è

1 2 l2 k
mṙ + U (r) = E con U (r) = 2
+
2 2mr r
1. k > 0 forza repulsiva
U (r) diminuisce monotonicamente ; non ci sono minimi. Per ogni valore di E vi è un valore
minimo di r = rmin tale che U (rmin ) = E ma non c’è un valore massimo. Nel suo moto la
massa m si avvicina fino a una distanza minima rmin dal centro delle forze per poi allontanarsi
indefinitamente. Come si vedrá l’orbita in questo caso è una iperbole.

9
Leggi di conservazione

Esempio :
diffusione di una particella α da parte di un nucleo.
k
Il potenziale è quello coulombiano V = . La forza è repulsiva poiché sia l’α che il nucleo
r
qα qN
hanno carica positiva. In particolare k =
4πεo
La particella si muova inizialmente(a grandi distanze dal nucleo) con energia cinetica T =
1
mv 2 .
2
La direzione di v è tale che se non ci fosse interazione la particella passerebbe a distanza b dal
nucleo.
b viene chiamato parametro d’urto o anche parametro d’impatto.
A grandi distanze dal nucleo il potenziale coulombiano puó essere supposto nullo(scegliendo
1
opportunamente la costante additiva del potenziale).L’energia è quindi E = T = mv 2 .
2
Il momento angolare è l = mvb.
La distanza minima r = rmin alla quale la particella passa vicino al nucleo si puó quindi ottenere
inserendo tali valori nell’equazione di conservazione dell’energia con la condizione ṙ = 0.Quindi
l2 k m 2 v 2 b2 k 1
2
+ = E → 2
+ = mv 2 →
2mrmin rmin 2mrmin rmin 2
v !2
u
2
k k u k
rmin −2 rmin − b2 = 0 → rmin = +t + b2
mv 2 mv 2 mv 2
(l’altra soluzione è negativa)

2. k < 0 forza attrattiva


Il potenziale effettivo è

10
Leggi di conservazione

! !
l2 |k| l2 1 A 1 l2
U (r) = 2
− = |k| 2
− = |k| 2
− con A =
2mr r 2m|k|r r 2r r m|k|
L’andamento di U (r) è quello illustrato nella figura

A |k|
U (r) è nullo per r = ed è minimo in corrispondenza di r = A ove vale U (A) = −
2 2A
Si possono presentare 4 casi diversi che corrispondono a 4 tipi di orbite diverse.

|k|
(a) E = −
2A
È il caso del minimo; ṙ = 0 e r ha un valore costante.
La particella si muove quindi su un’orbita circolare di raggio r = A

|k|
(b) − <E<0
2A
In questa situazione la distanza radiale è sempre compresa fra un valore minimo rmin ed
un valore massimo rmax . L’orbita è un’ellisse come si vedrá fra breve.

(c) E = 0
A
In questo caso vi è una distanza minima rmin = ma la distanza massima è infinita.
2
L’orbita è una parabola come si vedrá fra breve. All’infinito la particella arriva con energia
cinetica nulla e anche l’energia potenziale è nulla (E = 0)

(d) E > 0
0
Anche in questo caso vi è una distanza minima rmin con distanza massima infinita.
All’infinito la particella arriva con energia cinetica non nulla.
L’orbita è una iperbole come si vedrá fra breve.
Esempio:
Quanto vale la velocitá di fuga, cioé la minima velocitá che deve essere impartita ad un proiet-
tile(o un razzo)lanciato dalla superficie della Terra affinché possa uscire dal campo gravitazionale
terrestre senza ricascare sulla Terra.
Sia v il modulo della velocitá iniziale del razzo e α l’angolo formato dalla velocitá con la verticale
al suolo nel punto di lancio e m la sua massa
Si puó schematizzare la Terra come una sfera omogenea di raggio R e massa M .

11
Leggi di conservazione

L’energia ed il momento angolare valgono quindi


1 GmM
E= mv 2 − , l = mvR sin α
2 R
Il razzo riuscirá ad arrivare all’infinito(quindi senza rimanere legato al campo terrestre)se E ≥ 0
cioé se
r
2GM √ GM
v ≥ vf = = 2Rg ' 11.2 km s−1 poiché g =
R R2
La condizione non dipende dall’angolo α.
Se la velocitá iniziale è inferiore alla velocitá di fuga vf il razzo raggiunge una quota massima
e poi ricade

12
Orbite

Orbite

EQUAZIONI DEL MOTO

Consideriamo due masse puntiformi m1 e m2 .


Le loro posizioni siano individuate dai vettori posizione r 1 e r 2 rispetto ad una origine fissa O in un
sistema inerziale.
La posizione relativa della massa m2 rispetto alla massa m1 è descritta dal vettore : r = r 2 − r 1 .
Le forze (gravitazionali) e le accelerazioni acquistate dalle masse sono
Gm1 m2 Gm1 m2
F1 = 3
r = m1 r̈ 1 , F 2 = − r = m2 r̈ 2
r r3
Pertanto sommando
m1 r̈ 1 + m2 r̈ 2 = 0 → m1 r 1 + m2 r 2 = at + b a, b = vettori costanti
Il vettore posizione del centro di massa del sistema è stato definito precedentemente
m1 r 1 + m2 r 2 at + b
R= =
m1 + m2 m1 + m2
il che implica che il centro di massa è fermo(se a = 0) oppure si muove con velocitá uniforme lungo una
linea retta.
Consideriamo ora il moto di m2 rispetto a m1 . Dalle equazioni sopra scritte si ottiene subito l’equazione
del moto relativo
G(m1 + m2 )
r̈ = − r
r3
Poiché la posizione della massa m1 rispetto alla massa m2 è data da −r = r 1 − r 2 , la stessa equazione
descrive il moto di m1 rispetto alla massa m2 .
Moltiplicando vettorialmente per r ambo i membri dell’equazione del moto si ha
r × r̈ = 0 → r × ṙ = J
ove J è un vettore costante perpendicolare a sia r che ṙ.
Quindi il moto di m2 rispetto a m1 (o di m1 rispetto alla massa m2 ) si svolge nel piano perpendicolare
alla direzione definita da J .
Tale piano è il piano dell’orbita.Nel caso del moto della Terra rispetto al Sole il piano dell’orbita viene
chiamato piano dell’eclittica.
Le orbite degli altri pianeti giaceranno anch’esse su dei piani che peró non coincidono con il piano
dell’eclittica.
Si puó a questo punto continuare a studiare il moto e ricavare la traiettoria di una massa rispetto
all’altra.
Come precedentemente accennato è talvolta opportuno studiare il problema mettendosi nel sistema del
centro di massa e quindi ricavare la traiettoria della massa m1 e quella della massa m2 rispetto al centro
di massa.
La fisica non cambia ovviamente e il moto sará sempre come si vedrá fra breve descritto da una conica
dato che le posizioni delle due masse rispetto al centro di massa e la posizione relativa sono legate dalle
relazioni
m2 m1
r ∗1 = r 0∗
1 = − r , r ∗2 = r 0∗
2 = r
m1 + m2 m1 + m2

13
Orbite

Quindi se ad esempio si sceglie di studiare il moto relativo rispetto alla massa m1 sia la massa m2 che
il centro di massa descriveranno coniche (anticipando il risultato del prossimo paragrafo) con fuoco in m1 .
Se scegliamo di studiare il moto rispetto al centro di massa sia la massa m1 che la massa m2 descriver-
anno coniche con fuoco nel centro di massa come illustrato in figura

FORZE CENTRALI - CALCOLO DELLA TRAIETTORIA

Consideriamo due punti materiali di masse rispettivamente m1 = M e m2 = m (un esempio importante


è quello del moto dei pianeti ove quindi M rappresenta la massa del Sole tipicamente molto piú grande
delle masse dei pianeti; m rappresenta la massa della terra o di un generico pianeta).
I due corpi interagiscano tramite l’interazione gravitazionale.
Il problema è ricondotto allo studio di un singolo punto materiale avente per massa la massa ridotta,
µ, e la cui posizione è caratterizzata dal raggio vettore relativo, relativo cioé alla sua posizione rispetto a
quella dell’altro corpo.
Come visto poc’anzi le equazioni del moto, con r = r 2 − r 1 , vettore posizione relativa di m ≡ m2
rispetto a M ≡ m1 sono
GmM GmM Gm GM
3
r = M r̈ 1 , − 3
r = mr̈ 2 → 3
r = r̈ 1 , − 3 r = r̈ 2
r r r r
G(m + M )
r̈ = − r →
r3
GmM 1 1 1
µr̈ = − 3
r = +
r µ m M

14
Orbite

La forza agente sul corpo di massa µ è uguale alla forza di mutua interazione . In altre parole l’equazione
del moto di m rispetto a M è identica a quella valida in un sistema di riferimento inerziale con lo scambio
m → µ e con la forza immutata benché M si muova in realtá di moto accelerato.
Vogliamo determinare l’equazione r = r(θ) della traiettoria percorsa dal corpo di massa µ soggetto ad
una forza centrale diretta cioé sempre verso un punto fisso.
Indichiamo per il momento, per essere piú generali, con f (r) il modulo della forza.Successivamente
considereremo esplicitamente il caso della forza gravitazionale o di quella elettrostatica ove f (r) ∝ 1/r2 .
Poiché la forza è centrale il moto è necessariamente piano e il momento angolare è conservato(sia l il
suo valore costante).Quindi

µr2 θ̇ = l

Scriviamo la componente radiale e quella tangenziale dell’equazione della dinamica : F = µa :


 
2
µ r̈ − rθ̇ = f (r)
 
µ 2ṙθ̇ + rθ̈ = 0

La seconda equazione non dice nulla di nuovo; infatti descrive solo la costanza del momento angolare
  ṙ θ̈ d h i
2ṙθ̇ + rθ̈ = 0 → 2 + = ln(r2 θ̇) = 0 → r2 θ̇ = cost
r θ̇ dt
tenendo presente che

dr dr dθ l dr
µr2 θ̇ = l → = =
dt dθ dt µr2 dθ

possiamo riscrivere la prima equazione

l2
µr̈ − = f (r)
µr3
e ancora
" # " !#
l d l d l2 l2 d d 1 l2
µ 2 2
r − 3
= f (r) → − 2 − = f (r)
µr dθ µr dθ µr µr dθ dθ r µr3

Con il cambio di variabile

1
u=
r
l’equazione per u diventa
" #
l2 d2
u
− u2 2 + u3 = f (r)
µ dθ

La forma della forza di interazione fino a questo momento non è stata precisata; l’unica ipotesi è che
si tratti di una forza centrale.
Consideriamo ora il caso particolare ma importante che la forza sia inversamente proporzionale al
quadrato della distanza(forza gravitazionale, forza coulombiana, ..).
Del tipo quindi

15
Orbite

k
f (r) = (k < 0) → forza attrattiva (k > 0) → forza repulsiva
r2
q1 q2
ad esempio k = −GM m forza gravitazionale , k = forza coulombiana
4πεo

Per l’interazione gravitazionale la forza è proporzionale alla massa M e alla massa m(non a quella
ridotta!)
Dobbiamo pertanto risolvere l’equazione

2
d2 u 3
kµ 2 d2 u kµ
u + u = − u → + u = −
dθ2 l2 dθ2 l2
che possiamo ancora scrivere

d2 z kµ
2
+ z = 1 definendo u = −z 2
dθ l
Tale equazione è simile alll’equazione dell’oscillatore armonico ma non è omogenea.
Ricordando che la soluzione generale è data dalla somma della soluzione generale dell’equazione omo-
genea piú una soluzione particolare dell’equazione non omogenea è immediato scrivere che

z = 1 + ε cos(θ − θ0 ) con ε , θo costanti

e quindi

1 1 + ε cos(θ − θo )
=
r h

avendo definito

l2
h=−

Questa equazione ci dice che la traiettoria è una conica.


La costante ε è l’eccentricitá e determina la forma della conica(ellisse,parabola o iperbole), mentre la
costante h chiamata il semi-lato retto ne definisce la scala.
r assume il valore minimo per θ = θo .
Quindi θo specifica la posizione del punto di minima distanza dal cosidetto fuoco cioé il centro delle
forze.
Scegliendo di misurare gli angoli da tale direzione θo puó essere preso uguale a zero semplificando cosı́
le espressioni.
La figura illustra il significato geometrico dei parametri ε , h nel caso dell’ellisse

Si deduce facilmente dallo studio delle coniche (vedi Nota)che

16
Orbite

1 1 + ε cos θ
Ellisse = 0<ε<1
r h
1 1 + ε cos θ
Parabola = ε=1
r h
1 1 + ε cos θ
Iperbole = ε>1
r h

Connessione fra (ε,h) ed (energia, momento angolare)


È necessario collegare i parametri ε , h che descrivono completamente la conica con i parametri fisici
del problema in esame; in particolare con il momento angolare e con l’energia del sistema.
Il momento angolare è conservato e anche l’energia totale poiché la forza è conservativa e non ci sono
meccanismi dissipativi(come ad esempio l’attrito dell’atmosfera sul moto di un razzo o di un satellite
artificiale)
Vediamo anzitutto che

l2 = |k|µh

Per ogni traiettoria, cioé per ogni coppia di valori di ε , h, il momento angolare risulta determinato
dalla conoscenza di h.
Cosı́ pure risulta fissata l’energia totale, E, del sistema.
k k
Per valutare l’energia, E, ricordare che F = 2 r̂ , V (r) = e quindi
r r
1 2 k
E = Ecin + Epot = µv +
2 r
ma

v 2 = ṙ2 + (rθ̇)2 , µr2 θ̇ = l →


1 l
(rθ̇) =
! r !
µ
dr d 1 d 1 dθ ε lε
ṙ = = −r2 = −r2 = r2 θ̇ sin θ = sin θ
dt dt r dθ r dt h µh

e quindi si trova sostituendo

1 2 1 1 l 2 ε2 1 l2
Ecin = µv = µ[ṙ2 + (rθ̇)2 ] = sin2 θ + (1 + ε2 cos2 θ + 2ε cos θ) =
2 2 2 µh2 2 µh2
1 l2 2 2 2 2
 1 l2
ε sin θ + ε cos θ + (1 + 2ε cos θ)
2 µh2 2 µh2
di conseguenza

1 l 2 ε2 1 l2 l2 |k|
E = Ecin + Epot = 2
+ 2
+ 2
ε cos θ − (1 + ε cos θ) =
2 µh 2 µh µh h
1 l 2 ε2 1 l2 l2 l2 1 l 2 ε2 1 l2
+ + ε cos θ − (1 + ε cos θ) = −
2 µh2 2 µh2 µh2 µh2 2 µh2 2 µh2
cioé in conclusione

l2 = |k|µh
1 l2 2
E= (ε − 1)
2 µh2

17
Orbite

Quindi noti i parametri dell’orbita ε , h risultano definiti energia totale e momento angolare.
Viceversa conoscendo l’energia totale e il momento angolare(ad esempio dalle condizioni iniziali) sono
completamente definiti i parametri ε , h.
Vale la pena di considerare un pó piú in dettaglio le situazioni corrispondenti ai tre tipi di orbita.

1. Orbita ellittica (0 < ε < 1 , E < 0)

In questo caso l’energia puó venir espressa in modo particolarmente semplice considerando come
parametri che caratterizzano l’orbita i due semiassi(a quello maggiore e b quello minore)
I due semiassi appaiono esplicitamente scrivendo l’equazione in coordinate cartesiane

x2 y2
+ = 1 scegliendo l’origine nel centro
a2 b2
(x + aε)2 y2
+ = 1 scegliendo l’origine in un fuoco
a2 b2
con

b2 = a2 (1 − ε2 )

1 1 + ε cos θ
Dall’equazione dell’ellisse = deduciamo immediatamente che
r h

h h 2h
rmin = , rmax = → 2a = 2
→ h = a(1 − ε2 )
1+ε 1−ε 1−ε

Le relazioni fra i vari parametri a , b , ε , h sono semplicemente date da

b2 b2
(a , b) → ε2 = 1 − h= o anche h = a(1 − ε2 )
a2 a

Sostituendo nell’espressione che dá l’energia, tenendo conto che : l2 = |k|µh si ha

1 l2 2
E= (ε − 1) →
2 µh2
1 |k|
E=−
2 a

Per l’orbita ellittica data l’energia totale E rimane fissato il valore del semiasse maggiore dell’ellisse
(e viceversa).Invece l’eccentricitá ε risulta fissata dando anche il valore del momento angolare
Possiamo anche calcolare il periodo T con cui è percorsa l’orbita.

18
Orbite

dA 1 dθ 1 l l 2µ r 2µ r
= r2 = r2 2 = → dA = dt → T = dt = dA
dt 2 dt 2 µr 2µ l l

e ricordando che l’area dell’ellisse è : A = πab = πa2 1 − ε2 si ha

2µ 2 √ 4π 2 µ2 a4 (1 − ε2 )
T = πa 1 − ε2 → T 2 =
l |k|µa(1 − ε2 )
4π 2 µ 3
T2 = a
|k|

che è la terza legge di Keplero.


La costante di fronte ad a3 è praticamente la stessa per tutti i pianeti dato che la massa MS del Sole
è molto maggiore delle masse dei singoli pianeti.
Nel caso di orbita ellittica la distanza minima e quella massima di approccio al fuoco valgono come
si è visto

h h 2h
rmin = , rmax = → 2a =
1+ε 1−ε 1 − ε2

(nel caso del moto della terra attorno al Sole i due punti corrispondono rispettivamente al perigeo
ed all’apogeo). Da queste espressioni si ricava anche immediatamente che

rmax − rmin
ε=
rmax + rmin

Si puó ancora osservare che:


in corrispondenza di rmin la velocitá è massima e ortogonale al raggio vettore,
in corrispondenza di rmax la velocitá è minima e ortogonale al raggio vettore.Infatti:

h
θ = 0 → rmin = = a(1 − ε)
1+ε
" #2

(ṙ)2 = sin θ = 0
µh
l2 l2 l2 (1 + ε)2 |k| 1 + ε
(rθ̇)2 = (1 + ε 2
cos2
θ + 2ε cos θ)(θ=0) = (1 + ε)2
= =
µ2 h2 µ2 h2 µ2 a2 (1 − ε2 )2 µa 1 − ε
s
|k| 1 + ε
vmax =
µa 1 − ε

e analogamente

h
θ = π → rmax = = a(1 + ε)
1−ε
s
|k| 1 − ε
vmin =
µa 1 + ε

19
Orbite

Esempio 1 : Caduta di un grave

La traiettoria, in assenza di forze di attrito, di un grave nel campo gravitazionale terrestre è gen-
eralmente presentata nei corsi elementari di meccanica come esempio di una traiettoria parabolica.
Ad esempio supponiamo di lanciare una pietra di massa m con velocitá iniziale v diretta parallela-
mente al suolo.
Il campo gravitazionale viene supposto uniforme in una regione abbastanza piccola di spazio.La forza
agente su un corpo di massa m è quindi mg diretta verso il basso e costante.
Scegliamo un sistema locale di assi cartesiani con asse y diretto verticalmente verso l’alto e passante
per la posizione iniziale dell’oggetto che si lancia, l’asse x nella direzione della velocitá iniziale, l’asse
z di conseguenza, l’ origine degli assi nella posizione iniziale del corpo.
Sia H la quota rispetto al suolo dell’oggetto al momento del lancio. Le condizioni iniziali sono quindi

x(0) = 0 , y(0) = 0 ; ẋo = v , ẏo = 0

L’equazione del moto è

1 1 g 2
mÿ = −mg , mẍ = 0 → x = v t , y = − gt2 → y = − x
2 2 v2

L’equazione è quella di una parabola con vertice nella posizione iniziale del corpo con la convessitá
verso l’alto.Il corpo urterá il suolo a una distanza xmax

1 g 2 2
2Hv 2
−H = − x → x max =
2 v2 g

È interessante p
verificare che si ritrovano le conclusioni precedenti come limite per valori di H << RT
e v << vT = GMT /RT della soluzione esatta della traiettoria di un corpo materiale nel campo
gravitazionale terrestre.
Il corpo di massa m(per velocitá v inferiori alla velocitá di fuga) deve descrivere un’orbita ellittica
nel campo gravitazionale della Terra( supposta per semplicitá sferica con raggio RT e massa MT ).
I parametri dell’orbita sono definiti dalle condizioni iniziali

1 GMT m
lin = mv(RT + H) , Ein = mv 2 −
2 RT + H

L’energia è conservata e il semiasse maggiore, a, dell’orbita vale quindi

1 GMT m GMT m
mv 2 − =−
2 RT + H 2a

GMT
da cui, definendo per opportunitá vT2 = , e tenendo presente che nei casi che stiamo con-
RT
siderando h/RT << 1(ad esempio se H = 10 m si ha H/RT ' 1.5 10−6 ) e che pure v << vT (infatti
vT ' 8 103 m s−1 = 28 800 km h−1 )
! " ! #
1 2 v2 2 H v2 1 H v2
= − ' 1− − = 2 1− − 2
a RT + H GMT RT RT GMT RT RT vT

20
Orbite

Dal momento angolare si ricava il parametro h dell’ellisse approssimando (cosa piú che giustificata)
la massa ridotta con la massa del corpo
!2
v2 H
l2 = |k|µh = GMT m2 h = m2 v 2 (RT + H)2 → h = RT 2 1+
vT RT

Poiché : h = a(1 − ε2 ) si ricava che


!2 " ! #
v2 H 1 H v2
1 − ε2 = R T 2 1+ 2 1− − 2
vT RT RT RT vT

e trascurando termini di ordine superiore si ricava che


" #
2
v2 H v2
1−ε ' 2 2+2 − 2
vT RT vT

1 − ε2 è quindi un numero molto piccolo il che significa che ε è molto vicino a 1.


Ma ε = 1 corrisponde ad orbita parabolica.
La traiettoria del corpo è una ellisse molto aperta che si avvicina moltissimo alla traiettoria parabolica
Al limite e entro le approssimazioni che abbiamo fatto si puó descrivere con la parabola.
Il parametro h della conica vale in queste stesse condizioni
!2
v2 H v2
h = RT 2 1+ → h ' RT
vT RT vT2

L’equazione di una parabola di parametro h in coordinate cartesiane con centro nel vertice della
parabola come abbiamo visto(vedi appendice sulle coniche) è

1 2
y= x
2h

il che significa con il valore di h sopra ricavato

vT2 2
1 vT2 x2 1 GMT x2 1 x2
y= x = = = g 2
2RT v 2 2 RT v 2 2 RT2 v 2 2 v

che è il risultato ottenuto nell’approssimazione di campo uniforme.


Il corpo che cade verso Terra descrive lo stesso tipo di traiettoria della Luna intorno alla Terra o
della Terra intorno al Sole. Fu questa la grande intuizione di Newton.

Esempio 2

La cometa Swift-Tuttle(scoperta indipendentemente da L.Swift il 16 Luglio 1862 e da H.P.Tuttle il


19 Luglio 1862) si è nuovamente presentata in vicinanza della Terra nel 1992.

21
Orbite

La cometa ha un’orbita tale che essa potrebbe entrare in collisione con la Terra o con la Luna in
corrispondenza ad uno dei prossimi passaggi.
In occasione del suo passaggio nel 1992 si è misurata la sua distanza al perielio rp = 0.9595 AU
(1 AU ' 1.496 1011 m)e la sua velocitá al perielio pari a vp = 4.26 104 m s−1 .
Determinare a partire da questi dati i parametri dell’orbita(eccentricitá, semi-xcyasse maggiore,
periodo).
Indicando con m la massa della cometa e con M la massa del Sole si trova subito (approssimando
la massa ridotta con la massa della cometa)che l’energia totale è negativa
!
1 GM m 1 2GM 1
E = mvp2 − = m vp2 − = m(−.97 109 ) < 0
2 rp 2 rp 2

L’orbita è chiusa ed è ellittica e possiamo scrivere

l2 = |k|µh = m2 GM (1 − ε2 )a
l2 = m2 vp2 rp2 (al perielio v è perpendicolare a r
h
rp = = a(1 − ε)
1+ε

Pertanto l’eccentricitá vale :

1+ε vp2 rp
m2 vp2 rp2 = m2 GM (1 − ε2 )a → vp2 = GM →ε= − 1 = 0.963
rp GM

L’orbita è ellittica con semiasse maggiore e periodo pari rispettivamente a

rp
a= = 25.95 AU = 3.88 1012 m
1−ε
r
a3
T = 2π = 41.686 108 s ' 132 anni
GM
Esempio 3

Si vuole lanciare un satellite artificiale su un’orbita geostazionaria.


Si procede in due fasi:
- inizialmente si colloca il satellite su un’orbita detta di parcheggio che è ad esempio un’orbita
circolare ad altezza h1 ∼ 200 km dalla superficie terrestre.
Si supponga che il satellite venga lanciato verticalmente a partire dall’equatore
- successivamente si aumenta la velocitá del satellite in modo da portarsi alla quota dell’orbita
geostazionaria

(a) determinare i parametri(quota,velocitá del satellite)dell’orbita geostazionaria


(b) calcolare la velocitá minima che deve avere il satellite al lancio per raggiungere la quota
dell’orbita di parcheggio
(c) calcolare la velocitá necessaria per rimanere sull’orbita di parcheggio
(d) calcolare la velocitá minima che bisogna impartire al satellite partendo dall’orbita di parcheggio
per arrivare alla quota dell’orbita geostazionaria

22
Orbite

(Trascurare l’effetto del Sole)

(a) Perché il satellite sia geostazionario cioé sia immobile rispetto alla Terra occorre che abbia la
stessa rotazione della Terra e che quindi descriva una traiettoria circolare di raggio rge attorno
all’asse della Terra con la stessa velocitá angolare di questa.
La sua orbita sará nel piano equatoriale.
La velocitá angolare, Ω, di rotazione della Terra è

Ω= ' 7.29 10−5 s−1
24 × 3600
L’accelerazione centripeta del satellite deve corrispondere alla forza di gravitazione terrestre(sia
m la massa del satellite)
!3/2
GMT m GM T
− 2
= −mrge Ω2 → rge = ' 42140 km
rge Ω2

La velocitá (tutta tangenziale)del satellite è


vge = rge Ω → vge ' 3.1 km s−1
e la quota rispetto al suolo sará
hge = rge − RT ' 35760 km
(b) Se il satellite viene lanciato verticalmente da un punto dell’equatore la sua velocitá iniziale sará
data dalla velocita di lancio ṙ0 (puramente radiale) piú una componente tangenziale dovuta alla
rotazione della Terra : v02 = ṙ02 + RT2 θ̇02 con θ̇0 = Ω.
L’energia iniziale e il momento angolare iniziale saranno quindi
" #
m 2 GM T
E0 = ṙ0 + RT2 θ̇02 − 2 , l = mRT2 θ̇0
2 RT

Sia r1 il raggio(rispetto al centro della Terra)dell’orbita di parcheggio Se si vuole lanciare il


satellite con la minima velocitá necessaria per raggiungere l’orbita di parcheggio occorre che la
velocitá del satellite arrivato alla quota dell’orbita di parcheggio sia puramente tangenziale
Quindi la sua energia sará
" #
m 2 2 GMT
r1 θ̇1 − 2 e ṙ1 = 0
2 r1
mentre la conservazione del momento angolare dice che
RT2
RT2 θ̇0 = r12 θ̇1 → θ̇1 = θ̇0
r12
Si puó quindi scrivere che
" # " #
4
m 2 GM T m R T GM T
ṙ0 + RT2 θ̇02 − 2 = θ̇2 − 2
2 RT 2 r12 0 r1

da cui (essendo θ̇0 = Ω)


" ! !#1/2
RT2 GMT 1 1
ṙ0 = RT2 Ω2 2
−1 +2 − ' 1.9 km s−1
r1 RT RT r1

23
Orbite

(c) Allorché il satellite ha raggiunto la quota dell’orbita di parcheggio (di raggio r1 ) la sua velocitá
tangenziale vale
RT2
r1 θ̇1 = θ̇0 ' 0.4 km s−1
r1
La velocitá corrispondente all’orbita circolare di raggio r1 vale peró
!1/2
v12 GMT GMT
= → v1 = ' 7.8 km s−1
r1 r12 r1

Occorre quindi aumentare la velocitá del satellite di ∼ 7.8 − 0.4 = 7.4 km s−1 affinché esso
rimanga sull’orbita circolare di raggio r1
(d) Infine partendo dall’orbita di raggio r1 si vuole portare il satellite alla quota dell’orbita
geostazionaria.
Occorre quindi aumentare la velocitá del satellite analogamente a quanto fatto precedentemente.
Dall’orbita di parcheggio il satellite deve partire con velocitá tangenziale corrispondente a una
velocitá angolare θ̇10 tale che sia soddisfatta la condizione la condizione
0
1 2 02 GMT 1 r14 θ̇12 GMT
r1 θ̇1 − = 2

2 r1 2 r2 r2
dalla quale si deduce che
! !
02 r12 1 1
r12 θ̇1 1− 2 = 2GMT −
r2 r1 r2
dalla quale
0
r1 θ̇1 ' 10.2 km s−1
La velocitá del satellite deve quindi essere aumentata di 2.5 km s−1
Una volta che esso ha raggiunto la quota hge = rge − RT la sua velocitá vale
r12 θ̇10
r2 θ̇2 = ' 1.6 km s−1
r2
Per mantenere il satellite sull’orbita circolare geostazionaria alla quale corrisponde una velocitá
di 3.1 km s−1 occorre quindi aumentare ancora una volta la velocitá di ∼ 1.5 km s−1

24
Orbite

2. Orbita iperbolica (ε > 1 , E > 0)


L’equazione in coordinate cartesiane è

x2 y2
− 2 = 1 scegliendo l’origine nel centro
a2 b
2
(x − aε) y2
− = 1 scegliendo l’origine in un fuoco
a2 b2

L’orbita iperbolica si verifica sia nel caso di forza repulsiva ma anche in presenza di forza attrattiva
allorché l’energia totale è maggiore di zero. Dei due rami dell’iperbole, vedi figura, quello di sinistra
corrisponde all’orbita nel caso di forza attrattiva con il centro d’azione della forza nel fuoco.
La distanza fra un fuoco e un asintoto
√ è uguale al parametro b che compare nell’equazione in coor-
dinate cartesiane e che è pure b = a ε2 − 1 (ricordare che ora ε > 1)
Il ramo di destra descrive invece l’orbita quando la forza con centro d’azione nel fuoco è repulsiva.

Come nel caso dell’ellisse l’energia dipende unicamente da a e vale la stessa formula come evidente
dalla sua derivazione.
Gli asintoti dell’iperbole sono

b √
y = ± x = ± ε2 − 1x
a

L’angolo Φ formato dagli asintoti con l’asse delle ascisse è quindi

b √
tan Φ = ± = ± ε2 − 1
a

ε2 − 1 1
sin Φ = , cos Φ =
ε ε

L’angolo Θ fra la direzione iniziale e quella finale vale

Θ π
Θ = π − 2Φ → = −Φ →
2 2
Θ 1
sin =
2 ε

25
Orbite

Tale angolo Θ è chiamato angolo di diffusione.


È pure semplice vedere che il parametro b che compare nell’equazione dell’iperbole rappresenta il
parametro d’impatto cioé la distanza dal fuoco alla quale passerebbe il corpo se la sua traiettoria
rettilinea iniziale proveniendo dall’infinito proseguisse indisturbata.

Esempio 4

Una cometa di massa m descrive una traiettoria parabolica che giace nel piano dell’eclittica.Al
perielio Po la distanza della cometa dal Sole è pari a 2R/3 essendo R il raggio dell’orbita terrestre
che ai fini del problema è supposta essere approssimativamente circolare.Determinare

(a) la velocitá vT della Terra sulla sua orbita


(b) l’equazione della traiettoria della cometa ed i valori dei parametri della traiettoria
(c) la velocitá massima della cometa
(d) l’angolo di intersezione fra la traiettoria della Terra e la traiettoria della cometa
(e) il tempo passato dalla cometa all’interno dell’orbita terrestre

(a) si puó usare la relazione fra energia e semiasse maggiore dell’orbita


|k| 1 GMS MT 1 GMS MT GMS
E=− → MT vT2 − =− → vT2 =
a 2 R 2 R R
si poteva anche semplicemente eguagliare l’accelerazione centripeta(orbita circolare)con la forza
per unitá di massa, cioé
vT2 GMS GMS
= 2
→ vT2 =
R R R
(b) Se la traiettoria è parabolica
1 1 + cos θ
= (ε = 1)
r h

26
Orbite

e poiché al perielio : r = 2R/3


2R 1 + cos θ 2R 4R
rp = →θ=0 , θ=0 = → h=
3 h 3 3
(c) la velocitá è massima al perielio e quindi
vmax → rp → θ = 0
al perielio la velocitá è solo tangenziale e quindi
" #
1 2 2 l
(ṙ)per = 0 , vmax = (rθ̇)θ=0 = (r θ̇) = con l2 = |k|mh
r h m
θ=0

da cui
2
4 l2 4 kmh |k| 3GMS
vmax = = = =
h2 m2 h2 m2 hm R
Piú brevemente si poteva imporre la condizione che l’energia totale sia nulla(parabola) e che la
velocitá al perielio sia solo tangenziale, da cui
1 GMS m
Etot = 0 → mvp2 − =0
2 rp
2GMS 3GMS
che con rp = 2R/3 dá v 2 = =
rp R
(d) l’angolo polare, θo , in corrispondenza del quale la traiettoria della cometa interseca la traiettoria
della Terra è tale che

h 1 2 2
= R → cos θo = , cos θ0 =
1 + cos θo 3 3
l’angolo α formato dalla velocitá della cometa con la tangente alla traiettoria terrestre è
(v c )rad ṙ 1 dr
tan α = = =
(v c )tan rθ̇ r dθ
h dr h sin θ 1 dr sin θ
r= → = 2
→ =
1 + cos θ dθ (1 + cos θ) r dθ 1 + cos θ
e quindi
" # √ √
sin θ 2 2/3 2
tan α = = = → α ' 35o 160
1 + cos θ 1 + 1/3 2
θ=θo

(e) il momento angolare è conservato e quindi si ha


r r
dθ l 2R 3GMS 2 GMS R
r2 = , l = rp vmax = =
dt m 3 R m 3
da cui
r
h2 dθ 2 GMS R 8 mR3/2 dθ
2
= → dt = √ √
(1 + cos θ) dt m 3 3 3 GMS (1 + cos θ)2
Il tempo totale impiegato dalla cometa per attraversare l’orbita terrestre è
8 mR3/2 r θ0 dθ 8 mR3/2 14
T = √ √ = √ √ √
3 3 GMS −θo (1 + cos θ)2 3 3 GMS 12 2

27
Orbite

poiché(integrare per parti) :


r dθ 1 r dθ/2 1r 1 dθ/2 1r 1
2
= = = d(tan θ/2) =
(1 + cos θ) 2 cos4 θ/2 2 cos θ/2 cos2 θ/2
2 2
2 cos θ/2
sin θ 2 + cos θ
3 (1 + cos θ)2

28
Orbite

Parametro d’impatto

Il parametro b è in generale chiamato parametro di impatto o parametro d’urto.


Fissata l’energia dell’orbita(ad esempio nota l’energia cinetica a grandi distanze ove l’energia poten-
ziale si puó considerare trascurabile) l’angolo di diffusione è fissato se è noto il parametro d’impatto
il che vuol pure dire che è fissato il momento angolare.Infatti se v è la velocitá iniziale

1 2
E= µv l = µvb
2
1 l2 2 1 |k| 2 Θ 1
l2 = |k|µh E = (ε − 1) → (ε − 1) , sin =
2 µh2 2 h 2 ε

sostituendo si ha
" # " #
2
1 2 1 |k| 1 l 1
µv = − 1 → µ2 v 2 = 2 − 1 → µ2 l 2 v 2 =
2 2 h sin2 Θ/2 h sin2 Θ/2
" #
l4 1 1
2 2 − 1 → µ2 v 4 b2 = |k|2 2
h sin Θ/2 tan Θ/2

1 2
e quindi in conclusione dato che T = µv
2

|k| 1 1 |k| 1
b= =
µv 2 tan Θ/2 2 T tan Θ/2

I punti di minima e di massima distanza sono chiamati in astronomia punti apsidali.


Piú precisamente il punto della traiettoria piú vicino al centro di forza è detto peri-apside mentre il
punto di massima distanza è chiamato apo-apside.
Nel caso di un’orbita attorno al Sole si usano piú comunemente i termini perielio e afelio mentre nel
caso di orbite attorno alla Terra(esempio per la luna o un satellite artificiale) si usano i termini perigeo ed
apogeo .
La linea che congiunge gli apsidi è chiamata linea degli apsidi, e corrisponde all’asse maggiore dell’ellisse
descritta dall’orbita.
In corrispondenza del periapside la velocitá è massima ed è minima in corrispondenza dell’apoapside.
Ovviamente nel caso di orbite aperte(parabola o iperbole) esiste solo il punto di minima distanza

29
Perturbazioni

Perturbazioni

La situazione di due punti materiali che interagiscono tramite una forza centrale(nella fattispecie la
legge di gravitazione Newtoniana) è una semplificazione molto forte della realtá.
In effetti in particolare in meccnica celeste(orbite dei pianeti, delle comete,degli asteroidi o di satelliti
naturali e artificiali) non si ha mai a che fare con corpi puntiformi.
I corpi non hanno simmetria sferica né distribuzione di massa uniforme il che implica che la legge di
interazione non varia piú solamente in funzione del quadrato dell’inverso della distanza.
La presenza di altri corpi anche assai lontani influenza altresı́ l’orbita come ad esempio nelle situazioni
storicamente celebri delle perturbazioni dell’orbita di Mercurio o la scoperta di Nettuno dall’osservazione
di anomalie dell’orbita di Urano.
Altro esempio è la modifica dell’orbita di un satellite artificiale a causa dell’attrito con l’atmosfera.
L’argomento è vasto e complicato ma in prima approssimazione lo si puó affrontare in modo sem-
plificato ed in particolare studiare come le orbite di due corpi puntiformi sono modificate sotto l’effetto
di una perturbazione esterna che sará supposta piccola rispetto all’effetto dominante che è l’interazione
gravitazionale fra i due corpi puntiformi.

Punti apsidali e precessione

Per molti tipi di forze centrali attrattive(in particolare per il caso di forze Newtoniane e Coulombiane)il
potenziale efficace ha l’andamento descritto in figura come giá precedentemente visto.

Se il moto è confinato la distanza radiale della particella dal centro delle forze è sempre compresa in
un intervallo finito

rmin ≤ r ≤ rmax

rmin e rmax corrispondono ai due punti apsidali della traiettoria.


Effettuando un giro completo(di 2π) in θ peró non è detto a priori (è certamente vero per forze che
variano in modo inversamente proporzionale al quadrato della distanza o forze di tipo elastico) che la
particella ritorni alla sua posizione originale.

30
Perturbazioni

Un’orbita chiusa è simmetrica rispetto alla linea apsidale(ad esempio l’ellisse è simmetrica rispetto
all’asse maggiore); in questo caso la differenza fra i valori di θ corrispondenti agli apsidi deve’essere
costante(per l’ellisse vale π).
Se l’orbita non è chiusa ma quasi chiusa, cioé le deviazioni rispetto all’orbita ellittica sono piccole, la
particella raggiunge un apside per valori di θ che non sono multipli razionali di 2π come è invece il caso
per un’orbita chiusa.
La differenza fra le posizioni gli apsidi corrispondenti dopo un giro completo sull’orbita è diversa da
zero.
Nel piano dell’orbita la linea apsidale ruota, cioé precede.
Se la forza è esattamente proporzionale all’inverso del quadrato della distanza la traiettoria è un’ellisse
come sappiamo e i suoi punti apsidali sono fissi nello spazio.
Se la forza non è esattamente proporzionale all’inverso del quadrato della distanza la traiettoria è
approssimativamente un’ellisse il cui asse maggiore ruota intorno al fuoco
La presenza di una precessione è quindi segno della presenza di una forza che non varia esattamente
in modo inversamente proporzionale al quadrato della distanza, cosa giá fatta notare da Newton.
Il caso tipico che si presenta in astronomia nello studio delle orbite o traiettorie dei corpi celesti è quello
di un corpo che si muove sotto l’influenza di una forza di tipo Newtoniano (che rappresenta il contributo
principale) piú un’altra (o altre)forza con andamento diverso da 1/r2 che dá un contributo piccolo rispetto
alla componente principale ma sufficiente per dare un effetto significativo.
Il problema generale è pertanto lo studio del moto di un corpo in presenza di perturbazioni.
Il problema storicamente ha giocato un ruolo molto importante in l’astronomia; esso tuttavia è com-
plicato e la sua trattazione classica ha impegnato alcuni dei piú grandi fisici e matematici dell’ottocento
in particolar modo Gauss.
Senza entrare nei dettagli tecnici della teoria delle perturbazioni è possibile trattare in modo relativa-
mente semplice alcune situazioni particolari ma importanti e rendersi conto di come una perturbazione
modifica un’orbita.
Il caso piú noto è forse quello della precessione dell’orbita di Mercurio.
Il perielio dell’orbita di Mercurio precede(vale a dire l’asse maggiore dell’ellisse non è costante ma ruota
nel piano del’orbita)di una quantitá pari a ∼ 57500 arco per secolo.
Gran parte di tale effetto, circa ∼ 53100 arco per secolo è spiegabile con l’attrazione gravitazionale
esercitata su Mercurio da tutti gli altri pianeti del sistema solare.
Rimane una differenza di 4300 di arco che rimase inspiegata fino agli anni 1920 e che venne final-
mente risolta quando dopo la formulazione delle equazioni della Relativitá generale si scoprı́ un’ulteriore

31
Perturbazioni

correzione dovuta appunto ad effetti relativistici la quale permette di spiegare completamente lo scarto
esistente fra misura e calcolo classico.

Calcolo semplificato della precessione di un’orbita ellittica

Per ogni forza centrale il momento angolare L è una costante del moto e il moto è piano.
Usando coordinate polari (r, θ) in tale piano

|L|2 ≡ `2 = mr2 θ̇

Per una interazione centrale di tipo Newtoniano la traiettoria è una ellisse.


Se la forza è di tipo Newtoniano è facile vedere che oltre il momento angolare e l’energia vi sono altre
grandezze conservate.
Si verifica facilmente che il vettore, A, detto vettore di Laplace-Runge-Lenz definito come (essendo
k = GM m e (P ) la quantitá di moto)

A = P × L − kmr̂

gode delle proprietá seguenti

ˆ giace nel piano dell’orbita ellittica

ˆ è parallelo all’asse maggiore dell’ellisse

ˆ punta nella direzione del perielio

ˆ il suo modulo vale : |A| = mkε (ε =eccentricitá )

dA
Per forze Newtoniane il vettore, A, è una costante del moto ( = 0) e quindi la direzione dell’asse
dt
maggiore dell’ellisse rimane fissa nello spazio.
Talvolta si introduce anche il vettore e definito come
k̂ × A
e=
km
che è ovviamente pure lui costante.
È immediato verificare che il modulo di e è uguale all’eccentricitá ε e che la sua direzione è quella
dell’asse minore dell’ellisse.
Infatti
!
k̂ × A ` ` `2 1
e= = P − τ̂ = mṙr̂ + m 2 − 1 τ̂
km km km mk r

Poiché il vettore e è costante si puó calcolare il suo valore a qualunque istante di tempo cioé in
qualunque punto dell’orbita e se scegliamo come punto l’afelio(o il perielio) in tale punto si ha che

ṙ = 0 , τ̂ è perpendicolare all’asse maggiore

! ! " #
`2 1 kmh 1 kma(1 − ε2 ) 1
e= − 1 τˆ⊥ = − 1 τ̂⊥ = − 1 τ̂⊥ = (1 + ε − 1) τ̂ = ετ⊥
mk r mk r⊥ mk a(1 − ε)

In conclusione si puó affermare che una generica orbita ellittica è specificata da tre grandezze conservate

ˆ l’energia E

32
Perturbazioni

ˆ il momento angolare L

ˆ il vettore A oppure e

Le prime due grandezze, E, L, sono costanti del moto per qualunque tipo di forza centrale.
La terza è conservata solo per forze Newtoniane.
Se sul sistema agisce una forza centrale ma non Newtoniana il vettore A (oppure e) non sará costante
ma dipenderá dal tempo.
Vediamo di determinare come evolve tale vettore in presenza di una perturbazione ad una forza New-
toniana.
La forza totale, F , agente sulla massa m sia
1
F = −k r̂ + g
r2
essendo g la perturbazione al termine Newtoniano.
La derivata temporale del vettore di Laplace-Runge-Lenz è

Ȧ = mr̈ × L + mṙ × L̇ − mk r̂˙ − mk 2 r̂
r
ma

1
mr̈ = −k r̂ + g , L = r × mṙ → L̇ = r × g
r2
e quindi
" #
1 mk mk ṙ
Ȧ = −k 2 r̂ + g × (r × mṙ) + mṙ × (r × g) − ṙ 2 r
r r r

Eseguendo i doppi prodotti vettoriali e raggruppando si trova


! !
Ȧ 1 1 k k ṙ
= r (g · ṙ) − ṙ (g · r) + r (ṙ · g) − g (ṙ · r) − r k 2 r̂ · ṙ + ṙ k 2 r̂ · r − ṙ + 2 r
m r r r r

1 d 1
Gli ultimi quattro termini si cancellano poiché r̂ · ṙ = r·r = 2rṙ = ṙ e quindi si ha
2r dt 2r

= 2r (g · ṙ) − g (ṙ · r) − ṙ (g · r)
m
Come osservato se sul sistema agisce una forza non Newtoniana, cioé g 6= 0, il vettore A non sará costante
ed il perielio avrá un moto di precessione.
La velocitá angolare, ω, con la quale ruota il vettore A è

A × Ȧ
ω=
A2

Supponiamo che la perturbazione sia anch’essa una forza di tipo centrale e quindi solo con componente
radiale

g = g(r)r̂

In questa situazione

33
Perturbazioni


= 2(rṙg)r̂ − (rṙ)gr̂ − (rg)(ṙr̂ + rθ̇τ̂ ) = −r2 θ̇gτ̂
m
avendo indicato con τ̂ il versore perpendicolare al versore radiale r̂ e con θ l’angolo fra il raggio vettore r
e la direzione della linea fuoco-perielio.
Di conseguenza la velocitá angolare del vettore di Laplace-Runge-Lenz è indicando con â = A/A il
versore del vettore A e con ẑ 0 il versore normale al piano della traiettoria

â × Ȧ r2 g θ̇ r2 g θ̇
ω= =− â × τ̂ = − cos θẑ 0
A mkε mkε
Poiché A punta nella direzione del perielio, l’angolo di cui esso ha ruotato dopo una rivoluzione
completa supponendo la perturbazione piccola e quindi supponendo l’orbita quasi ellittica e quindi quasi
chiusa è
rT 1 r 2π 2
δθ = 0
ω dt = − r g(r) cos θ dθ
mkε 0
Al primo ordine perturbativo possiamo sostituire alla soluzione esatta, r(θ), (che occorrerebbe calcolare)
la soluzione dell’orbita Kepleriana non perturbata
a(1 − ε2 )
r=
1 + ε cos θ

34
Perturbazioni

Precessione di Mercurio

Orbita di Mercurio

Il caso di Mercurio è particolarmente interessante poiché la spiegazione della sua orbita è stata raggiunta
solo includendo gli effetti previsti dalla teoria della Relativitá Generale.
L’accordo fra il valore della precessione ottenuto includendo gli effetti relativistici e i dati sperimentali
è considerato tuttora uno dei pochissimi test diretti(sostanzialmente ve ne sono tre) dello schema della
relativita’ generale.
Mercurio è il piú interno dei pianeti solari con una massa che è solo ∼ 1/20 di quella della Terra e con
una distanza media dal Sole che è ∼ 38 % di quella della Terra.
Il perielio dell’orbita di Mercurio precede(vale a dire l’asse maggiore dell’ellisse non ha direzione costante
ma ruota nel piano del’orbita)di una quantitá pari a ∼ 57500 arco per secolo.
L’orbita di Mercurio è determinata principalmente dalla forza di attrazione gravitazionale del Sole che
è inversamente proporzionale al quadrato della distanza e da due contributi ulteriori che rappresentano
delle perturbazioni alla forza principale.
La prima perturbazione è dovuta all’effetto degli altri pianeti del sistema solare.Come si vedrá fra
breve l’effetto complessivo dei pianeti esterni è di generare una forza di tipo elastico(a parte termini di
ordine superiore) diretta verso il Sole. Tale perturbazione permette di spiegare ∼ 53100 di arco per secolo
di precessione.
Rimane una differenza di 4300 di arco che era rimasta inspiegata fino agli anni 1920 e che venne fi-
nalmente risolta nell’ambito della relativitá Einsteiniana. la quale predice che vi sia un effetto ulteriore
rispetto ai contributi classici dovuti alla attrazione gravitazionale del Sole e degli corpi del sistema solare.
Gli effetti introdotti dalla relativitá Generale sono equivalenti ad aggiungere un termine di interazione
3GMS 1
che corrisponde a una forza attrattiva centrale ; con l’aggiunta di tale termine si riesce a spiegare
00
c2 r 4
completamente i rimanenti 43 di arco.
Discuteremo dapprima l’effetto delle perturbazioni planetarie classiche e poi quello relativistico in modo
semplificato ma ottenendo ció non ostante un ottimo accordo con la situazione sperimentale.

Perturbazioni planetarie

L’effetto delle perturbazioni prodotte dagli altri pianeti del sistema solare puó venir valutato approssi-
mativamente. Si descrive l’effetto di ogni pianeta come equivalente all’azione di anello di materia con
massa totale pari alla massa del pianeta considerato distribuito uniformemente sull’orbita percorsa dal
pianeta stesso.
(Vedere per dettagli Price & Rush Am.Jour. of Phys. 47(6)531,1979)
L’approssimazione è giustificata dal fatto che la forza esercitata su Mercurio da parte del Sole è molto
piú grande delle forze dovute agli altri pianeti.
Le deviazioni di Mercurio dall’orbita non perturbata sono molto piccole su intervalli di tempo parago-
nabili ai periodi delle orbite di tali pianeti. Un anello di materia approssima abbastanza bene l’effetto di
un pianeta in moto mediato su un tempo pari al periodo o piú lungo di esso.
Sia R il raggio dell’orbita approssimativamente circolare, e M la massa del pianeta.
Per determinare l’effetto gravitazionale (mediato su un periodo) che si esercita in un punto interno alla
traiettoria di un pianeta valutiamo la forza generata in tale punto da un anello circolare di materia con
centro nel Sole con massa totale pari a quella del pianeta e raggio pari al raggio medio dell’orbita.
Sia λ la densitá lineare di massa (supposta costante)dell’anello che equivale al pianeta in orbita

M
λ=
2πR

35
Perturbazioni

Calcoliamo quindi la forza che si esercita su una massa puntiforme m collocata in un punto P a distanza
r dal centro O ove sta il Sole(vedi figura).

Siano A e B i punti estremi del diametro passante per P e O.


Dividiamo la distribuzione di massa dell’anello in tante coppie di elementini individuati dall’angolo α
rispetto alla linea AB;
π π
− ≤α≤
2 2
Gli elementi sottendono lo stesso angolo dα, hanno distanze da P pari a d1 e d2 e corrispondono ad elementi
di arco ds1 e ds2 con masse dm1 = λds1 e dm2 = λds2 .
Per r << R si ha

dmi = λdsi ' λdi dα

La forza elementare che si esercita sulla massa m posta in P è quindi avendo indicato con dˆ il versore
unitario diretto da P a dm1
! !
dm1 dm2 ˆ d2 − d1
dF = Gm − 2 d → Gmλ dα dˆ
d21 d2 d1 d2

Come si vede dalla figura gli elementini di anello in M 0 e N 0 corrispondenti all’angolo −α danno forze che
in modulo sono uguali a quelle prodotte dagli elementi in M e N .

36
Perturbazioni

a causa della simmetria la componente della forza risultante lungo la direzione y è nulla e rimane solo la
componente risultante lungo la direzione x, e vale
!
d2 − d1
dF = 2Gmλ cos αdα
d1 d2

e quindi la forza totale ha solo componente nella direzione x cioé componente radiale rispetto a O, e vale
!
r π/2 d2 − d1
F = 2Gmλ 0 cos αdα
d1 d2

quindi indicando con r̂ il versore radiale da O verso P si puó scrivere


!
r π/2 d2 − d1
F = 2Gmλ 0 cos αdαr̂
d1 d2

Considerando il triangolo OP M si ha

R2 = r2 + d21 − 2rd1 cos(π − α)

che dá come soluzioni


p
d1 = −r cos α ± r2 cos2 α − (r2 − R2 )

la soluzione corretta fra le due dev’essere tale che

α = 0 → d1 = R − r

e quindi dobbiamo prendere il segno + davanti alla radice


p
d1 = −r cos α + r2 cos2 α − (r2 − R2 )

analogamente si trova che


p
d2 = r cos α + r2 cos2 α − (r2 − R2 )

37
Perturbazioni

sostituendo tali espressioni si ha


r r π/2
F = 2Gmλ cos2 αdαr̂
R2 − r 2 0
cioé
r
F = Gmλπ r̂
R2 − r2
che descrive la forza prodotta da un anello materiale di raggio R su una massa puntiforme m posta a
distanza r dal centro dell’anello.
La forza(nei limiti delle approssimazioni fatte) ha modulo proporzionale alla distanza r dal centro O
ed è diretta radialmente.

Precessione indotta dai pianeti solari

Utilizzando l’espressione sopra ricavata siamo ora in grado di calcolare le forze che agiscono su Mercurio.
Se Ri e Mi sono rispettivamente raggio del’orbita(circolare) e massa del pianeta i-esimo e r e m raggio
dell’orbita e massa di Mercurio si puó scrivere la forza radiale repulsiva dovuta ai pianeti esterni come
P9 r Mi
F = Gmπ 2 λi r̂ , λ1 =
Ri2 − r2 2πRi
La tabella che segue riassume i valori associati ai vari pianeti e da essa si puó vedere fra l’altro che il
contributo dovuto ai pianeti piú lontani di Saturno è trascurabile
λr λr(R2 + r2 )
Pianeta Massa Raggio λ
(R2 − r2 ) (R2 − r2 )2
(1024 kg) (1011 m) (1012 kg m−1 ) (kg m−2 ) (kg m−2 )
Mercurio 0.3332 0.579
Venere 4.870 1.082 7.163 49.65 89.51
Terra 5.976 1.496 6.358 19.35 26.17
Marte 0.642 2.279 0.448 0.534 0.608
Giove 1899. 7.783 388.3 37.33 37.75
Saturno 568.6 14.27 63.42 1.807 1.813
Urano 86.832 28.71
Nettuno 102.43 44.98

Con tali valori numerici si trova di conseguenza che la forza totale esercitata su Mercurio dall’insieme dei
planeti vale

Fp (r) = 7.587 1015 N

mentre per confronto l’attrazione del Sole vale

FS = 1.318 1022 N

e risulta giustificata l’ipotesi che l’azione dei pianeti solari rappresenti una piccola perturbazione all’azione
gravitazionale del Sole La forza radiale media che descrive la perturbazione indotta da un pianeta di
massa Mp = 2π λ Rp che ha un’orbita approssimativamente circolare con raggio medio Rp è come visto
precedentemente

38
Perturbazioni

GmMp r
2Rp Rp2 − r2

e quindi il contributo alla funzione g(r) che è stata introdotta vale (MS massa del Sole)

Mp r3

2MS Rp3 − r3

Inserendo tale espressione, sommata del contributo di tutti i pianeti solari, si trova un contributo totale(per
secolo) di

∼ 53200

I contributi principali sono dovuti a Venere che contribuisce con ∼ 27200 , a Giove che contribuisce con
∼ 15700 e al sistema Terra-Luna che contribuisce con ∼ 9200 .
Contributi molto piccoli dagli altri pianeti.

Precessione dovuta agli effetti relativistici

Le modifiche introdotte dalla relativitá Generale sono equivalenti a introdurre un termine di interazione
descrivibile come una forza centrale che varia come (1/r4 ).
Si trova piú precisamente, risolvendo le equazioni di Einstein, che gli effetti relativistici danno origine
a una forza :
γ 3GM
F (r) = − 4
r̂ γ = ove M è la massa del Sole.
r c2
Consideriamo dapprima il problema in generale senza fare riferimento esplicito al caso di Mercurio.
Ci proponiamo cioé di determinare l’orbita di una massa puntiforme m soggetta ad un acmpo di forze
centrali del tipo:
k γ
F (r) = r̂ − r̂ k < 0 , γ piccolo
r2 r4
e quindi una energia potenziale per una massa m di
k γ
V (r) = + 3 r̂ k < 0 , γ piccolo
r 3r
Tale tipo di perturbazione alla forza Newtoniana si presenta nello studio dell’interazione Terra-Sole o
Terra-Luna a causa dello schiacciamento del globo terrestre che dá origine a un’energia potenziale di tale
forma nel piano equatoriale.
L’equazione del moto puó venir scritta(usando la notazione precedentemente usata di introdurre la
variabile u = 1/r) come

d2 u |k|µ µγ 1 `2 µγ
2
+ u = 2 + 2 u2 = + δu2 h= , δ= 2
dθ ` ` h |k|µ `
con ` modulo del momento angolare e |k| = GM m.
Il coefficiente del secondo termine a secondo membro è supposto piccolo rispetto a quello del primo
termine.
L’equazione non è lineare ma visto che δ è piccolo si puó cercare di risolverla per approssimazioni
successive.
La prima approssimazione si ottiene trascurando il termine in u2 e quindi si ha la usuale equazione
della conica con soluzione(misurando θ dalla posizione del perielio)

39
Perturbazioni

1
u0 = (1 + ε cos θ)
h
Sostituendo tale espressione a secondo membro si deve risolvere l’equazione
d2 u 1 δ
+ u = + (1 + 2ε cos θ + ε2 cos2 θ)
dθ2 h h2
Ponendo

u = u0 + u1

si vede che la correzione u1 alla prima approssimazione è tale che


" #
d2 u1 δ δ ε 2
+ u1 = 2 (1 + 2ε cos θ + ε2 cos2 θ) = 2 1 + 2ε cos θ + (1 + cos 2θ)
dθ2 h h 2

Una soluzione particolare di tale equazione è


" ! #
δ ε2 ε2
u1 = 2 1+ + εθ sin θ − cos 2θ
h 2 6

Se si arresta l’iterazione a questo punto si ha


!
1 δε δ ε2 δε2
u = (1 + ε cos θ) + 2 θ sin θ + 2 1+ − cos 2θ
h h h 2 6h2

In questa espressione si puó notare che il terzo addendo a secondo membro è una costante e che il
quarto è un piccolo termine periodico.
Nessuno di questi due termini contribuisce in media a uno spostamento della posizione degli apsidi.
I primi due addendi possono venir riscritti come
" #
1 δε
1 + ε cos θ) + θ sin θ
h h

facendo l’approssimazione(poiché δ è piccolo)

δ δ δ
cos θ ' 1 , sin θ ' θ
h h h
si ha
" # " !#
1 δε 1 δ
1 + ε cos θ) + θ sin θ ' 1 + ε cos θ − θ
h h h h

Il perielio si presenta allorché l’argomento del coseno è un multiplo di 2π


Un aumento dell’argomento di 2π richiede che
δ
θ− θ = 2π
h
cioé che
!
2π δ
θ= ' 2π 1 +
1 − (δ/h) h

Il perielio si sposta dopo ogni rivoluzione completa di

40
Perturbazioni

δ
∆ = 2π
h
o in termini espliciti dei parametri dell’orbita

µγ γ
∆ = 2π = 2π 2
`2 a(1 2
−ε ) ka (1 − ε2 )2

L’asse dell’ellisse precede con una velocitá angolare Ω tale che (indicando con To = 2π/ωo il periodo
dell’orbita ellittica non perturbata)

∆ γ
Ω' = ωo
To ka2 (1 − ε2 )2
Nel caso dell’orbita di Mercurio con il valore di γ fornito dalla relativitá generale
!2
GM m GM
∆ = 6π = 6π 2
c` ac (1 − ε2 )

l’effetto è tanto maggiore quanto piú a è piccolo e ε grande.


È questa la situazione di Mercurio che è il pianeta piú vicino al Sole e con l’orbita piú eccentrica(dopo
Plutone).
La quantitá ∆ sopra calcolata rappresenta quindi di quale angolo (in rad.) è ruotato l’asse maggiore
dell’ellisse dopo un periodo completo del pianeta.
Con i valori numerici appropriati riassunti nella tabella seguente

Pianeta massa semiasse maggiore, a eccentricitá, ε periodo(giorni terra)


Mercurio 0.3332 1024 kg 0.5791 1011 m 0.2056 87.97 d
Venere 4.8685 1024 kg 1.0821 1011 m 0.0068 224.7 d
Terra 5.9736 1024 kg 1.496 1011 m 0.0167 365.256 d
24 11
Marte 0.6418 10 kg 2.2794 10 m 0.0933 686.97 d
Giove 1899. 1024 kg 7.7855 1011 m 0.0488 4331.57 d
Saturno 568.46 1024 kg 14.3345 1011 m 0.0557 10759.22 d
24 11
Urano 86.832 10 kg 28.7668 10 m 0.0444 30799.09 d
Nettuno 102.43 1024 kg 45.0344 1011 m 0.0112 60190.54 d

si trova
GM
∆periodo = 6π ' 50.14 10−8 rad = 103.42 10−3 00
ac2 (1
− ε2 )
e quindi la precessione per secolo risulta

∆secolo ' 4300

valore veramente molto vicino al valore sperimentale(corretto per gli effetti degli altri pianeti)che è 43.1100 ±
0.4500

41
Perturbazioni

Stabilitá
Stabilitá dell’orbita circolare

Se l’energia totale del sistema corrisponde al minimo del potenziale efficace l’orbita ha coordinata
radiale costante, cioé è circolare

E = Eci → r = rci

Se la forza è una forza attrattiva esiste sempre un’orbita circolare poiché è sempre possibile far sı́ che la
forza centrifuga bilanci la forza attrattiva radiale.
Il fatto che esista sempre un’orbita circolare non implica peró che tale orbita sia stabile.
L’orbita circolare è stabile se piccoli spostamenti radiali danno luogo a piccole deviazioni intorno alla
traiettoria circolare.
La condizione di stabilitá si puó determinare come di seguito.
Sia f (r) il modulo della componente radiale della forza F = −f (r)r̂ (segno meno per indicare esplici-
tamente che consideriamo forze attrattive)
L’equazione del moto è quindi come al solito

µ(r̈ − rθ̇2 ) = −f (r) , µr2 θ̇ = `

e quindi
`2 f (r)
r̈ − 2 3 = −
µr µ
Inizialmente la particella si trovi sull’orbita circolare di raggio rci .
Sull’orbita circolare l’accelerazione è puramente tangenziale, e quindi
`2 1
r̈|r=rci = 0 → 2 3
= f (rci )
µ rci µ
Immaginiamo ora di applicare una piccola perturbazione in conseguenza della quale la traiettoria devia
leggermente da quella circolare.
Definiamo la grandezza y(deviazione percentuale dall’orbita iniziale)

r
=1+y y << 1.
rci
L’equazione del moto puó venir scritta
`2 −3 f (rci + rci y)
rci ÿ − 3
[1 + y] = −
µ2 rci µ
Sviluppando in serie a meno di termini del secondo ordine in (r/rci )

`2 1
rci ÿ − 2 3
[1 − 3y)] = − [f (rci ) + rci yf 0 (rci )]
µ rci µ

da cui
1 f (rci ) + rci yf 0 (rci )
rci ÿ − f (rci ) [1 − 3y)] = −
µ µ
cioé

42
Perturbazioni

" #
1 3f (rci )
ÿ + + f 0 (rci ) y = 0
µ rci

Definendo la quantitá costante


" #
1 3f (rci )
ω2 = + f 0 (rci )
µ rci

l’equazione precedente non è altro che l’equazione dell’oscillatore armonico

ÿ + ω 2 y = 0

la cui soluzione generale è

y = Aeiωt + Be−iωt

Se ω 2 < 0 il secondo termine della soluzione è

Be|ω|t

che diverge al passare del tempo.


Perché il moto rimanga dinamicamente stabile cioé oscilli solamente attorno al valore dell’orbita circo-
lare occorre che
3f (rci )
ω2 > 0 → + f 0 (rci ) > 0
rci
`2
Poiché f (rci ) = 3
>0
µ2 rci

f 0 (rci ) 3
+ >0
f (rci ) rci

che è la condizione che la funzione f (r) deve soddisfare per avere stabilitá. Ad esempio per una forza del

tipo

f (r) = −krn k > 0

l’espressione ricavata fornisce la condizione


(n−1)
− nkrci 3 1
n
+ → (3 + n) >0
−krci rci > 0 rci
cioé

n > −3

Quindi per una forza di tipo newtoniano per la quale n = −2 l’orbita è sempre stabile, mentre per
n = −4, −5, .. in generale non vi è stabilitá.
Il caso n = −3 è piú delicato e va esaminato in dettaglio.
Si trova che l’orbita in questo caso è un’orbita di tipo spirale le spirali di Cote.
Se la condizione di stabilitá è soddisfatta la deviazione dall’orbita originale è come visto

y = Aeiωt + Be−iωt

La pulsazione ω 2 puó venir scritta come

43
Perturbazioni

" #
1 3f (rci ) k n−1
ω2 = + f 0 (rci ) = rci (3 + n) = ωo2 β 2
µ rci µ

avendo definito
k n−1
ωo2 = r , β2 = n + 3
µ ci
e quindi si puó scrivere la soluzione come
y = a cos βωo t
e poiché per il moto circolare
θ = ωo t
si puó scrivere l’equazione dell’orbita(a meno di termini del secondo ordine) come
r = rci (1 + ε cos βθ)
Tale equazione corrisponde a una ellisse ove l’angolo chiamato βθ rappresenta la cosı́ detta anomalia
eccentrica, η, (vedi figura) e rci rappresenta il semiasse maggiore e ε l’eccentricitá.
Come si vede dalla figura descrivendo una ellisse in coordinate polari con centro in un fuoco e quindi
1 1 + ε cos θ
con equazione : = si ha
r h
!
h 1
OH = a cos η = OF1 + F1 H = aε + r cos θ → a cos η = aε + r −1 → r = a − aε cos η
r ε

Il moto complessivo corrispone quindi auna traiettoria ellittica il cui asse maggiore ruota con velocitá
angolare β θ̇
Il significato fisico di β è descrivere il numero di punti di “perielio” o di “afelio” della traiettoria
perturbata: mentre la variabile angolare θ che descrive l’orbita circolare compie un ciclo completo di 2π
l’orbita modificata ha β punti di afelio e β punti di perielio.
Indichiamo l’angolo di separazione fra due afeli consecutivi(o due perielii) con ΘA = 2π/β.
Le orbite esatte(in queste situazioni sono facilmente calcolabili analiticamente) sono chiuse solamente
per due valori di n

44
Perturbazioni

1. n = 1 → β = 2 forza di richiamo elastica


Le orbite sono ellissi con il centro delle forze coincidente con il centro dell’ellisse.

2. n = −2 → β = 1 forza Newtoniana o Coulombiana


Le orbite sono ellissi con il centro delle forze coincidente con uno dei fuochi dell’ellisse.

Le situazioni corrispondenti a valori successivi di β, ad esempio β = 3 e β = 5 corrispondono a forze


rispettivamente del tipo −kr6 e −kr22 .
L’orbita approssimata è chiusa e quasi chiusa(differisce di poco) nel caso di soluzione esatta.
È interessante notare che l’orbita è sempre concava rispetto all’origine che è il centro delle forze come
si vede in figura.

Per orbite stabili il periodo, τ , delle oscillazioni radiali intorno al valore r = rci è quindi
" #1/2
π µ
τ = 2 = 2π
ω 3f (rci )rci + f 0 (rci )

L’angolo apsidale ψ cioé l’angolo spazzato dal raggio vettore fra due punti apsidali consecutivi è

45
Perturbazioni

" #1/2 !
τ 1 µ `
ψ = θ̇ = 2π 2
2 2 (3f (rci )/rci ) + f 0 (rci ) mrci

e poiché come visto


`2 1
2 3
= f (rci )
µ rci µ
si ricava che
" #−1/2
f 0 (rci )
ψ = π 3 + rci
f (rci )

Come conferma si vede ad esempio che se consideriamo il campo gravitazionale cioé f (r) = −k/r2
l’equazione sopra scritta dá

ψ=π

come ci si attende per l’ellisse.


L’orbita in un campo di forze Newtoniano si ripete esattamente perché il periodo delle oscillazioni
attorno all’orbita circolare è uguale al periodo dell’orbita stessa.

46
Sezione d’urto

Sezione d’urto

SEZIONE D’URTO

Uno dei metodi piú importanti sviluppati dalla fisica moderna per studiare la struttura della materia a
livello elementare(struttura atomica, struttura dei nuclei, struttura delle particelle subnucleari,..)è quello
di inviare sugli oggetti da studiare un fascio di particelle di natura nota.
Si misura il numero di particelle che, dopo aver interagito, sono state diffuse in direzioni diverse da
quella originaria iniziale.
La distribuzione angolare delle particelle diffuse dipende come vedremo dalla struttura dei centri dif-
fusori nonché dalla natura delle forze che si esercitano fra particella incidente e centro diffusore studiato.
Se le forze sono note la distribuzione angolare dipende dalla struttura dei centri diffusori oppure se si
suppone nota tale struttura dalla distribuzione angolare si puó risalire alla legge di interazione.
Per fissare meglio le idee si puó iniziare con un caso semplice.
Consideriamo un bersaglio formato da una singola sfera rigida, indeformabile e impenetrabile di raggio
R.
Consideriamo un fascio di particelle materiali tutte identiche, di dimensioni trascurabili rispetto a R,
che si muovono con la stessa velocitá uniforme v. Esse formano in altre parole un fascio uniforme e parallelo
di particelle con distribuzione spaziale uniforme se si guarda una sezione trasversale(rispetto alla velocitá)
del fascio.
Indichiamo con Φ il flusso di tale fascio cioé il numero di particelle che nell’unitá di tempo passano
attraverso un’area unitaria disposta perpendicolarmente alla direzione di propagazione.
La sfera bersaglio viene investita da tale fascio di particelle.
Il numero di particelle che nell’unitá di tempo urtano la sfera bersaglio è

dN
= Φσ ove σ = πR2
dt
Consideriamo una generica particella del fascio incidente che urta contro la sfera.
Sia b il parametro d’impatto della particella.Essa urterá la superficie della sfera bersaglio ad un angolo
α rispetto alla normale alla superficie che vale

b = R sin α

La forza che agisce sulla particella incidente è una forza centrale impulsiva.
Supponiamo anche che vi sia simmetria assiale rispetto alla direzione del fascio.
Si conserva sia l’energia che il momento angolare.
La conservazione dell’energia impone che la velocitá dopo l’urto sia la stessa in modulo che prima
dell’urto.

47
Sezione d’urto

La conservazione del momento angolare implica che l’angolo fra la direzione della particella dopo l’urto
e la normale alla superficie della sfera sia uguale all’angolo fra la direzione incidente e la normale.
Di conseguenza
Θ = π − 2α
e quindi
Θ
b = R cos
2
Le particelle diffuse ad un angolo fra Θ e Θ + dΘ sono le particelle che incidono con un parametro
d’urto compreso fra b e b + db, ove
1 Θ
db = − R sin dΘ
2 2
e quindi sono le particelle che attraversano la corona circolare di raggi db e b+db la cui area (integrando
sulle direzioni azimutali ϕ) è
dσ = 2π b |db|
Se ci interessano quelle che diffondono entro un intervallo dϕ di angoli azimutali l’area attraversata è
r
dσ = b|db| dϕ ( dϕ = 2π)
cioé
1 2
dσ = R sin ΘdΘdϕ
4
Il numero di particelle che nell’unitá di tempo attraversano tale area e quindi il numero di particelle
che nell’unitá di tempo diffondono nell’angolo solido attorno alla direzione Θ, ϕ è
dN
= Φdσ
dt
Nella pratica sperimentale per misurare le particelle diffuse si pone un rivelatore con una certa
area(piccola) sensibile dA a una distanza L >> R nella direzione specificata.
Il rivelatore definisce un angolo solido dΩ
dA
dΩ = sin ΘdΘdϕ =
L2
Si puó quindi scrivere il numero di particelle contate dal rivelatore nell’unitá di tempo :
dN dσ
= Φdσ = Φ dΩ
dt dΩ

La quantitá è la sezione d’urto differenziale. Essa ha le dimensioni di un’area, o piú precisa-
dΩ
mente di un’area per unitá di angolo solido : m2 sr−1
Nel caso attuale
1 2 dσ 1
dσ = R sin ΘdΘdϕ → = R2
4 dΩ 4
La sezione d’urto differenziale nel caso della sfera rigida è isotropa ma in generale non è cosı́.
La sezione d’urto totale si ottiene integrando la sezione d’urto differenziale su tutte le direzioni di
diffusione.Nel caso che stiamo considerando
r dσ 1 r 1
σ= dΩ = R2 dΩ = R2 4π = πR2
dΩ 4 4
come ci si aspetta.

48
Sezione d’urto

SCATTERING RUTHERFORD

Benché storicamente la forza gravitazionale sia stata il classico esempio di forze centrali tale tipo di
forze si presenta in altri campi della fisica.
In particolare la legge di Coulomb che descrive l’interazione fra due cariche elettriche puntiformi ha la
stessa forma di quella di Newton con la principale differenza di poter essere repulsiva oltre che attrattiva .
Gli enormi progressi conoscitivi alla base dello sviluppo della fisica atomica e nucleare e subnucleare sono
sostanzialmente dovuti all’idea di Lenard( inizialmente) e di Rutherford che dalla misura della deviazione
subita da una particella carica che attraversava uno spessore di materia(e quindi incontrava un insieme
di atomi la cui struttura era all’epoca ancora sconosciuta e materia di dibattito) si potesse dedurre la
struttura e la distribuzione dei centri diffusori.
Le particelle cariche disponibili sperimentalmente all’epoca(inizio degli anni 900) erano elettroni e par-
ticelle α provenienti dai decadimenti di sorgenti radioattive. L’interazione era supposta essere dovuta
alla forza elettrostatica coulombiana(il che è sostanzialmente corretto per momenti trasferiti non troppo
grandi). Il modello atomico maggiormente accettato all’epoca era quello di Thomson che schematizzava
l’atomo come una sfera piena di carica positiva dentro la quale erano disperse cariche negative pun-
tiformi(gli elettroni).
Se gli atomi fossero stati delle sfere solide le collisioni con tali sfere avrebbero arrestato un elettrone
con energia dell’ordine del MeV.
Le misure sistematiche di Lenard (1903)davano viceversa un risultato contrario;gli atomi sembravano
essere quasi perfettamente trasparenti ad elettroni con energie di ∼ 1 M eV .
Per i suoi esperimenti Rutherford(1911)e collaboratori utilizzarono a differenza di Lenard non elettroni(
che hanno massa piccola ∼ .5 M eV ) ma particelle α che hanno massa ∼ 8000 volte quella dell’elettrone. A
causa della loro massa molto maggiore le particelle α non sono apprezzabilmente deviate dalla interazione
con gli elettroni atomici e quindi le loro deviazioni sono solo influenzate dalla parte dell’atomo piú massiva(il
nucleo alla luce delle nostre conoscenze attuali).
Se l’atomo avesse avuto una struttura quale quella del modello di Thomson ci si sarebbero attese
deviazioni molto piccole delle particelle α che passavano attraverso il bersaglio.

Il calcolo qualitativo della deviazione angolare aspettata con questo modello è semplice. Con riferimento
alla figura se indichiamo con p e p0 l’impulso della particella α prima e dopo l’urto e ammettiamo che l’urto
sia elastico e che il modulo della quantitá di moto rimanga sostanzialmente inalterato possiamo scrivere

|∆p|
p ' p0 → θ ' ∆p = p0 − p
p

d’altra parte

49
Sezione d’urto

1 (Ze)Qα 2R |∆p| 1 2(Ze)Qα


|∆p| ' F ∆t ≤ → θ ≤ =
4πεo R2 vα p 4πεo mα Rvα2

Nel caso di particelle α con energia cinetica di 4.87 M eV incidenti su una sottilissima foglia d’oro come
nell’esperimento di Geiger e Marsden si ha

Z = 79 , R = 0.18 10−9 m , Qα = 2e , vα ' 1.5 107 m s−1

da cui risulta un angolo di deflessione

θ ≤∼ 0.00013 rad ' 0.0075o

Vennero invece osservate frequentemente deviazioni angolari molto piú grandi fino ad angoli di ∼ 140o
incompatibili con il modello di Thomson.
Uno dei risultati fondamentali dell’esperimento di Rutherford fu mostrare che un atomo a parte un
nucleo positivo piccolo ma massivo è sostanzialmente vuoto il che era compatibile con le osservazioni di
Lenard.
Se supponiamo che le particelle α siano essenzialmente deflesse da parte di un nucleo positivo con
dimensioni molto piccole(∼ puntiforme), possiamo dedurre la legge che descrive come sono angolarmente
distribuite le particelle α che hanno attraversato un sottile foglio materiale.
Il bersaglio era sottile per far sı́ che in media la particella atttraversando il mezzo materiale subisse un
solo urto.
L’esperimento di Rutherford, molto schematizzato, consisteva nell’inviare su un sottile bersaglio for-
mato da atomi dello stesso tipo un fascio parallelo e monocromatico(stessa energia E) di particelle α e
misurare il numero di particelle per unitá di angolo solido che dopo il bersaglio erano state diffuse di un
certo angolo Θ.

Tale numero è proporzionale a una certa quantitá σ(Θ) che a meno di altri fattori costanti che saranno
precisati piu avanti è

1 Θ
σ(Θ) ∝ Z 2 4
csc4
E 2
Per collisioni quasi centrali, risultanti in angoli di diffusione molto grandi, si osservano deviazioni dalla
distribuzione prevista dalla legge di Coulomb.
Da queste deviazioni si arriva a concludere che la legge di Coulomb vale solo fino a distanze dell’ordine
di 10−13 cm(che sono circa le dimensioni del nucleo)e che il nucleo non è puntiforme ma ha una dimensione
finita.
L’interazione elementare fra una singola particella α ed un singolo nucleo non è osservabile. Possiamo
calcolare peró supposta nota la legge di interazione elementare le caratteristiche della diffusione e poi
da questa determinare l’effetto osservabile. Cominciamo innanzitutto a determinare le caratteristiche del
processo elementare.
Nel caso attuale l’interazione fra la particella α ed il nucleo è descritta dell’interazione coulombiana di
una particella di carica positiva q 0 con una di carica pure positiva q.

50
Sezione d’urto

1 qq 0
f (r) =
4πεo r2

La forza è repulsiva e la traiettoria dell’α è una iperbole.


Possiamo utilizzare direttamente le espressioni calcolate precedentemente e in particolare la relazione
fra il parametro d’impatto b e l’angolo di diffusione Θ, cioé
|k| 1 1 |k| 1 1
b= 2
= E= mv 2
mv tan Θ/2 2 E tan Θ/2 2
che dá
qq 0 1 1 qq 0 1 1
b= 2
=
4πεo mv tan Θ/2 8πεo E tan Θ/2

Inseriamo tale espressione del parametro d’impatto nella definizione precedente di sezione d’urto dif-
ferenziale

qq 0 1 1
dσ = |b|dbdϕ con db = − 2 dΘ
4πεo 4E sin (Θ/2)

e otteniamo
" #2
qq 0 1 cos(Θ/2)
dσ = dΘdϕ
4πεo 8E 2 sin3 (Θ/2)

Dividiamo infine per l’angolo solido dΩ = sin ΘdΘdϕ e abbiamo


" #2
dσ qq 0 1 1
= 2 4
dΩ 4πεo (4E) sin (Θ/2)

Questa espressione è la famosa formula di Rutherford.


Come si nota immediatamente a differenza della diffusione elastica da parte di una sfera rigida la
sezione d’urto dipende fortemente dall’angolo e dall’energia della particella incidente.
La sezione d’urto è anche proporzionale al quadrato della carica elettrica del nucleo.
Tenendo presente l’espressione che fornisce la distanza minima fra particella α e nucleo calcolata quando
si sono considerate orbite iperboliche (con forza repulsiva)
v !2
u
k u k
rmin = 2
+t + b2
mv mv 2

51
Sezione d’urto

si comprende perché per studiare la struttura di un nucleo(o di un’altra particella) a piccole distanze
bisogna usare particelle incidenti di velocitá (e quindi energia)elevata e misurare diffusioni a grandi angoli
poiché grandi angoli corrispondono a piccoli parametri d’impatto

|k| 1
b=
mv 2 tan Θ/2

Naturalmente la sezione d’urto diminuisce rapidamente andando a grandi angoli ma è questa regione
che fornisce maggiori informazioni fisiche.
È anche interessante notare che il calcolo quantistico nel limite non relativistico fornisce lo stesso
risultato del calcolo classico che abbiamo fatto.
L’integrale su tutto l’angolo solido della sezione d’urto differenziale fornisce la cosı́ detta sezione d’urto
totale, σT , definita quindi
r dσ r π dσ
σT = dΩ = 2π 0 sin ΘdΘ
dΩ dΩ
Se si prova a calcolare la sezione d’urto totale nel caso della diffusione coulombiana si trova che l’integrale
è infinito.
La ragione fisica è che la forza coulombiana è a lungo range cioé si estende fino all’infinito.
Grandi parametri d’impatto danno luogo a angoli di diffusione piccoli. Quindi tutte le particelle in
un fascio che lateralmente si estende fino all’infinito subiranno una deflessione, magari molto piccola ma
comunque non nulla.
La somma di tutte queste piccole deviazioni è responsabile della divergenza dell’integrale. In effetti
qualunque campo di forze che vada a zero solo all’infinito, come quello coulombiano, produce lo stesso tipo
di divergenza.
In realtá, a parte il caso di forze come quelle nucleari che sono intrinsecamente a corto range cioé si
annullano dopo distanze pari ad alcuni raggi nucleari, anche le forze coulombiane sono tagliate a causa
dell’effetto di schermo degli elettroni atomici che fa sı́ che la carica effettiva del nucleo a grandi distanze
sia nulla.
Le misure di Geiger e Marsden su bersaglio di Au mostrarono che il numero di particelle α diffuse in
funzione dell’angolo di diffusione ha un andamento consistente con quello che ci si aspetta se l’α subisce
un’interazione coulombiana con un distribuzione di carica positiva puntiforme.

52
Sezione d’urto

Anche ad angoli molto grandi e quindi a grandi momenti trasferiti il nucleo sembrava comportarsi come
una carica puntiforme.
Le particelle α a loro disposizione provenienti da decadimenti radioattivi avevano un’energia massima
di 7.7 M eV e con tali proiettili non si osservavano deviazioni dalla legge della diffusione Coulombiana
deviazioni che avrebbero dato un’indicazione delle dimensioini del nucleo.
Essi riuscirono finalmente ad aggirare la difficoltá studiando nuclei con numero atomico piú piccolo;in
particolare l’uso di un bersaglio di Al permise di mettere in evidenza deviazioni dalla legge Coulombiana
puntiforme e quindi di stimare un limite superiore delle dimensioni nucleari.
Ció avvenne osservando la retro-diffusione di un’α con energia di 7.7 M eV ad angoli vicini a 180o
La minima distanza dal nucleo di Al alla quale puó arrivare un’α puó essere stimata usando la conser-
vazione dell’energia imponendo che l’energia cinetica iniziale sia uguale all’energia potenziale che essa ha
al momento al quale si ferma in prossimitá del nucleo di Al.

Le dimensioni della sezione d’urto totale e pure di quella differenziale( l’angolo solido è adimension-
ale)sono quelle di un’area.
L’unitá correntemente utilizzata nell’ambito della fisica atomica, nucleare e subnucleare è il barn ove

1 barn = 10−24 cm2

valore che intituivamente è comprensibile considerando che il raggio di un atomo o di un nucleo(nei


limiti nei quali si puó parlare di raggio geometrico per oggetti a queste scale) sono rispettivamente di
∼ 10−8 cm e ∼ 10−13 cm.
Altrettanto frequentemente sono usati i suoi sottomultipli

ˆ millibarn 1 mb ≡ 10−3 barn

ˆ microbarn 1 µb ≡ 10−6 barn

ˆ nanobarn 1 nb ≡ 10−9 barn

53
Sezione d’urto

LIBERO CAMMINO MEDIO

La sezione d’urto è stata introdotta e definita considerando l’interazione elementare che avviene fra
una particella incidente ed una particella bersaglio.
In generale peró, e ció in particolar modo nelle situazioni sperimentali che si incontrano in fisica
molecolare, atomica, nucleare..., è irrealistico considerare un singolo centro diffusore.
Gli esperimenti sono effettuati inviando un fascio di particelle su un bersaglio il quale contiene sempre
un numero molto elevato di centri diffusori.
Ad esempio per un bersaglio omogeneo contenente nuclei dello stesso tipo con peso atomico A il numero
di centri diffusori per unitá di volume è

NA
n= ρ NA = numero di Avogadro 6.02 1023 mol−1 , ρ =densitá del bersaglio g cm−3
A
Inviando un fascio di particelle sul bersaglio alcune di esse saranno rimosse dalla loro direzione iniziale
in seguito alle interazioni subite.
Il fascio di particelle uscenti dopo il bersaglio e viaggianti nella direzione iniziale conterrá un numero
minore di particelle.
Il fascio ha cioé subito una attenuazione.
Per caratterizzare l’attenuazione subita si introduce la grandezza chiamata lunghezza di attenu-
azione o libero cammino medio.
Sia σ la sezione d’urto totale dell’interazione di una particella incidente con un centro diffusore del
bersaglio.
Consideriamo un cilindro il cui asse coincide con la direzione di propagazione della particella incidente
e la cui sezione trasversa ha area σ. La particella che stiamo seguendo subirá una collisione con tutti i
centri diffusori che si trovano dentro il cilindro.
Per un cilindro lungo l tale numero è nσl.
nσl è quindi anche il numero medio di collisioni subite dalla particella incidente quando essa percorre
una distanza l.
La distanza media percorsa fra due collisioni successive è quindi
l 1
λ= =
nσl nσ
λ è definito come libero cammino medio

Consideriamo ora un fascio di particelle aventi la stessa velocitá(modulo e direzione)incidenti su un


bersaglio.
Indichiamo con Φin il flusso incidente, cioé il numero di particelle che nell’unitá di tempo attraversano
una superficie di area unitaria disposta perpendicolarmente alla direzione di propagazione.
Vogliamo calcolare il flusso uscente Φ(L), cioé dopo aver attraversato uno spessore L di bersaglio.
Consideriamo una superficie di area unitaria disposta perpendicolarmente alla direzione di propagazione
a distanza x dalla faccia di ingresso del bersaglio e sia Φ(x) il flusso in tale sezione.
Il flusso sulla sezione analoga ma a coordinata x + dx sará inferiore perché alcune particelle avranno
subito delle collisioni.
Il numero totale di centri diffusori fra le due sezioni a x e a x + dx è : n dx e la sezione d’urto
complessiva presentata da questi centri varrá σ n dx (supposto che due centri non si facciano ombra fra
loro).
La frequenza delle collisioni che si verificano nell’intervallo fra le due sezioni è : Φ(x) σ n dx e quindi
abbiamo che

1
Φ(x) − Φ(x + dx) = Φ(x) σ n dx = Φ(x) dx
λ

54
Sezione d’urto

che fornisce la relazione


1 dΦ 1
−dΦ(x) = Φ(x) dx → − = dx
λ Φ λ
che integrata dá

Φ(x) = Φin e−x/λ

1
L’intensitá (o il flusso) del fascio incidente diminuisce di un fattore attraversando uno spessore pari
e
ad un libero cammino medio.
Da notare che la lunghezza d’interazione di una particella in generale dipende non solo dalla natura
del mezzo attraversato ma anche dall’energia della particella incidente. Ció è conseguenza del fatto che le
sezioni d’urto dei processi nei quali la particella è coinvolta dipendono in generale dall’energia.
Ad esempio la figura seguente(da PDG http://pdg.lbl.gov) illustra l’andamento in funzione dell’energia
della lunghezza di attenuazione di un fotone in diversi materiali

Nelle considerazioni precedenti si è considerata la situazione di un bersaglio “spesso” nel quale cioé è
apprezzabile la probabilitá che una stessa particella incidente subisca piú urti successivi.
Se il bersaglio è sufficientemente sottile la probabilitá di collisioni multiple ove una particella subisce
due o piú urti in successione è trascurabile.
In queste condizioni la distribuzione angolare delle particelle diffuse è la stessa che si osserverebbe nella
collisione con un singolo centro diffusore.
Un rivelatore con area sensibile A posto a distanza d dal bersaglio, nel limite che d sia molto grande
rispetto alle dimensioni del bersaglio misurerebbe un numero di particelle per unitá di tempo, f , pari a

dσ A
f = ntot Φ
dΩ d2
se ntot è il numero totale di centri diffusori visti dal fascio incidente(e sempre supponendo che non si
facciano reciprocamente ombra il che è vero se il bersaglio è sottile).
Quindi una frequenza ntot volte maggiore di quella che si misurerebbe con un singolo centro diffusore.

55
Trasformazione della sezione d’urto

Trasformazione delle sezioni d’urto

TRASFORMAZIONE SEZIONI D’URTO


Fino ad ora si è considerato il moto di una singola massa rispetto ad un centro di forze fisso.
In realtá sono sempre presenti due corpi.Nei casi considerati, quali il moto dei pianeti intorno al Sole
o la diffusione sui nuclei, uno dei corpi ha quasi sempre massa molto maggiore dell’altro e quindi non vi è
molta differenza nel considerarlo fisso almeno in prima approssimazione.
In realtá il secondo corpo si muove esso pure in conseguenza dell’interazione.
È pur vero che il problema dei due corpi è sempre riconducibile a quello di un singolo corpo avente la
massa ridotta. Ma l’angolo di diffusione calcolato considerando il centro di forze fisso differisce da quello
che viene osservato in pratica cioé nel sistema del laboratorio.
L’angolo di diffusione osservato nel sistema del laboratorio è l’angolo, ϑ, fra la direzione nel laboratorio
della particella incidente e la direzione sempre nel laboratorio della particella diffusa.
L’angolo,Θ , considerato nel problema ridotto è l’angolo fra la direzione della particella incidente e la
direzione del vettore direzione relativa fra le due particelle.
I due angoli sono in generale differenti; coincidono solo quando la massa del centro diffusore è infinita.

Per calcolare la relazione fra tali angoli consideriamo cosa avviene nel sistema del centro di massa.
In tale sistema la quantita’ di moto totale è nulla e quindi le due masse si muovono lungo la stessa
direzione(benché verso opposto) sia prima dell’interazione che dopo l’interazione. L’angolo fra le due
direzioni (incidente ed uscente), Θ, corrisponde nel laboratorio all’angolo fra la direzione relativa delle due
masse fra loro rispetto alla direzione della massa incidente.

Indichiamo con(l’asterisco “∗ ” indica le grandezze nel sistema del CM) :

56
Trasformazione della sezione d’urto

r 1 , v 1 posizione e velocitá nel laboratorio della massa 1 dopo l’interazione


r ∗1 , v ∗1 posizione e velocitá nel baricentro della massa 1 dopo l’interazione
R, v CM posizione e velocitá del baricentro nel sistema del laboratorio

Per definizione
r 1 = R + r ∗1 , v 1 = v CM + v ∗1

Se v o indica la velocitá nel sistema del laboratorio della particella incidente 1, cioé prima dell’urto, si ha
dalla definizione di centro di massa
v CM (m1 + m2 ) = m1 v 0
da cui
µ
v CM = v0 v CM , v 0 nel LABORATORIO
m2
Le velocitá nel sistema del baricentro delle due masse, prima dell’urto, sono

m2 µ
v ∗1,0 = v 0 − v CM = v0 = v0
m1 + m2 m1
m1 µ
v ∗2,0 = −v CM =− v0 = − v0
m1 + m2 m2
rispetto alla direzione iniziale della massa 1 gli angoli formati dalle velocitá dopo l’urto sono come illustrati
in figura

Guardando la figura si puó scrivere direttamente che

57
Trasformazione della sezione d’urto

v1 sin ϑ = v1∗ sin Θ


v1 cos ϑ = v1∗ cos Θ + vCM

e da esse
sin Θ vCM µ vo
tan ϑ = , ρ= ∗
=
cos Θ + ρ v1 m2 v1∗
o anche
cos Θ + ρ
cos ϑ = p
1 + 2ρ cos Θ + ρ2
Il valore di v1∗ in funzione di vo si ottiene imponendo la conservazione dell’energia e dell’impulso.
L’espressione puó essere complicata ma diventa particolarmente semplice se consideriamo il caso di un
urto elastico come calcolato in dettaglio piú avanti.
Per ora basta dire che siamo in grado di calcolare il valore di ρ e che esso dipende solo dalle masse
delle particelle.
Non solamente gli angoli di diffusione ϑ e Θ sono differenti ma anche la sezione d’urto (differenziale)
dipende da quale angolo viene usato come argomento.
La connessione fra le due descrizioni si ottiene considerando che il numero di particelle diffuse dentro
un certo angolo solido dev’essere lo stesso a seconda che si misurino gli eventi in termini di ϑ o di Θ.Cioé
dσ(Θ) dσ 0 (ϑ)
2π Φ sin Θ|dΘ| = 2π Φ sin ϑ|dϑ|
dΩ dΩ
che dá

dσ 0 (ϑ) dσ(Θ) sin Θ|dΘ| dσ(Θ) d cos Θ
= =
dΩ dΩ sin ϑ|dϑ| dΩ d cos ϑ

La derivata è facilmente calcolata dalla formula precedentemente ricavata, ottenendo



dσ 0 (ϑ) dσ(Θ) d cos Θ dσ(Θ) (1 + 2ρ cos Θ + ρ2 )3/2
= =
dΩ dΩ d cos ϑ dΩ 1 + ρ cos Θ)

dσ 0 (Θ)
Notare per concludere che NON è la sezione d’urto che un osservatore misurerebbe nel sistema
dΩ
dσ(Θ) dσ 0 (ϑ)
del baricentro. Sia che sono ambedue misurate nel sistema del laboratorio ma espresse in
dΩ dΩ
termini di coordinate angolari differenti.
In un caso specifichiamo la diffusione tramite l’angolo di diffusione nel laboratorio;nell’altro caso la
specifichiamo tramite l’angolo nel baricentro.
Un osservatore nel sistema del baricentro vedrebbe un flusso di particelle incidenti diverso dal flusso
visto da un osservatore nel laboratorio.
Volendo collegare i valori delle sezioni d’urto misurate nei due sistemi occorrerebbe quindi anche tener
conto della trasformazione del flusso incidente.
Consideriamo ora il caso di un urto elastico; ció significa che l’energia cinetica si conserva. In questo
caso si vede che il rapporto vale
µ vo m1
ρ= =
m2 v1∗ m2
Infatti in questo caso si deve conservare oltre che la quantitá di moto totale anche l’energia cinetica totale.
Nel baricentro abbiamo quindi le due equazioni

58
Trasformazione della sezione d’urto

(quantitá di moto) m1 v ∗1 + m2 v ∗2 = 0
1 1 1 1
(energia cinetica) m1 (v ∗1,o )2 + m2 (v ∗2,o )2 = m1 (v ∗1 )2 + m2 (v ∗2 )2
2 2 2 2
con i valori precedentemente calcolati si ricava subito (eliminando v2∗ ) che

µ vo m1 + m2
v1∗ = vo → ∗ =
m1 v1 m2
da cui il valore di ρ sopra citato.
Anche se l’urto è elastico e l’energia cinetica si conserva, nel caso di urto contro un bersaglio fermo vi
è trasferimento di energia cinetica al bersaglio e quindi dopo l’urto la particella incidente ha perso energia
cinetica.
In altre parole l’urto rallenta la particella incidente;ne degrada l’energia cinetica.
Di quanto è degradata l’energia cinetica è facilmente calcolato.
Dalle relazioni

v1 sin ϑ = v1∗ sin Θ


v1 cos ϑ = v1∗ cos Θ + vCM
µ µ
v CM = v o , v1∗ = vo
m2 m1
si deduce che
!2
µ
v12 = vo2 [1 + 2ρ cos Θ + ρ2 ]
m2 ρ

ed essendo ρ = m1 /m2 si ha

1 + 2ρ cos Θ + ρ2 (m21 + m22 ) + 2m1 m2 cos Θ m1


E1 = Eo = Eo (ρ = )
(1 + ρ)2 (m1 + m2 )2 m2
ove E0 è l’energia cinetica nel laboratorio della particella incidente 1 ed E1 è l’energia cinetica della stessa
dopo l’urto sempre nel laboratorio.
Quando le particelle hanno la stessa massa la relazione diventa estremamente semplice ed è
1 + cos Θ m1
E1 = Eo (ρ = = 1)
2 m2
Dalla relazione fra ϑ e Θ con ρ = 1
r
cos Θ + ρ 1 + cos Θ Θ
cos ϑ = p = = cos
1 + 2ρ cos Θ + ρ2 2 2

e quindi
Θ
ϑ=
2
Nel sistema del laboratorio non si possono avere angoli di diffusione maggiori di π/2. La diffusione avviene
tutta in avanti
Si ha pertanto

E1 = Eo cos2 ϑ

59
Trasformazione della sezione d’urto

In corrispondenza del massimo valore dell’angolo di diffusione (Θ = π nel baricentro) si ha ϑ = π/2 e


quindi E1 = 0 ; la particella incidente ha perso tutta la sua energia cinetica e si trova a riposo nel sistema
del laboratorio.
Questo meccanismo di trasferimento della energia cinetica di una particella attraverso il processo di
diffusione è tra l’altro quello che viene utilizzato nei moderatori dei reattori nucleari per ”termalizzare” i
neutroni.
I neutroni prodotti direttamente dai processi di fissione nucleare sono veloci e a tali energie hanno
piccola probabilitá di interagire con altri nuclei(la sezione d’urto è piccola).
Mediante diffusioni elastiche successive la loro energia cinetica viene ridotta fino a portarli ad energie
termiche.
Ovviamente in base alle considerazioni precedenti il moderatore piú efficiente sarebbe l’idrogeno(ρ =
1).In pratica nei reattori l’idrogeno è quello associato ad un opportuno mezzo come ad esempio l’acqua.
Un altro efficiente moderatore è ad esempio il deuterio(per il quale ρ = 2) che è utilizzato nei reattori
a acqua pesante. Il carbonio è meno efficiente dell’idrogeno o del deuterio ma in compenso è piú facile da
usare.

60
Teorema del Viriale

Teorema del viriale

TEOREMA del VIRIALE


Si consideri un insieme di punti materiali(schematizzando il sistema come discreto). Siano
r k , pk , F k
rispettivamente
ˆ il vettore posizione della k-esima massa mk

ˆ la sua quantitá di moto

ˆ la forza agente su di essa(vincoli inclusi)

Si consideri la quantitá G(G non ha di per sé nessun particolare significato fisico) definita come
P P 1 d P
G= k pk · r k = k mk ṙ k · r k = mk r k · r k
2 dt k
La derivata rispetto al tempo di questa grandezza(supposto che esista) è

dG P P
= k pk · ṙ k + k ṗk · r k
dt
e poiche’

ṗk = F k , pk = mk ṙ k

si puó pure scrivere


dG P P P
= k mk ṙ k · ṙ k + k F k · r k = 2T + k F k · r k
dt
essendo T l’energia cinetica totale del sistema di punti materiali.
Consideriamo ora l’evoluzione del sistema durante un intervallo di tempo τ e prendiamo il valor medio
temporale su tale periodo di tempo di ambo i membri della relazione scritta.
Ricordare che la media temporale sull’intervallo τ di una generica grandezza A(t) è :
1 rτ
hAi = A(t) dt
τ 0
Nel caso presente possiamo quindi scrivere
P dG 1
2hT i + h k F k · r k i = h i = [G(τ ) − G(0)]
dt τ
Se il moto del sistema fosse periodico con periodo τ , le coordinate e le velocitá si ripeterebbero con tale
periodo, e quindi il secondo membro sarebbe certamente nullo.
Anche se il moto non è periodico ma durante qualunque intervallo di tempo per lungo che sia il sistema
è tale che le coordinate e le velocitá dei singoli punti materiali rimangono finite vi è un limite superiore ai
valori che G puó assumere.
Fisicamente significa che nessun punto materiale scappa via dal sistema che continua ad essere legato
e che l’energia del sistema è finita. Facendo tendere τ → ∞ il secondo membro puó essere reso quindi
piccolo a piacere.
Di conseguenza si ha

61
Teorema del Viriale

P
2hT i + h k F k · r k i = 0

Quanto lungo dev’essere in pratica l’intervallo di tempo τ della media?


Deve essere un tempo lungo rispetto al tempo che un generico componente del sistema impiega per
andare da un estremo del sistema all’altro o nel caso di orbite chiuse grande rispetto al periodo dell’orbita.
È questa la formulazione generale del teorema del viriale (per il momento non si sono fatte ipotesi
particolari sulle forze).
Un caso particolare ma importante è quello ove le forze derivano da un potenziale (e poi in particolare
un potenziale tipo quello gravitazionale o coulombiano).
Sia V (r k ) il potenziale di una massa mk nella posizione r k .Si ha
P
F k = −∇V (r k ) → 2hT i − h k ∇V (r k ) · r k i = 0

Se la forza è di tipo centrale ed il potenziale varia come r−n il gradiente è diretto lungo la direzione radiale
e si ha
P P ∂V (rk )
k ∇V (r k ) · r k = k rk
∂rk
Si puó quindi scrivere in conclusione che in questa situazione
P
2hT i + nhVi = 0 , V = k V (rk )

ove V rappresenta l’energia potenziale totale del sistema di punti materiali.


Per potenziale gravitazionale o coulombiano (n = 1)

2hT i + hVi = 0

Un esempio banale è fornito dal moto di un pianeta di massa m molto piccola rispetto alla massa M
del Sole. Si supponga che l’orbita sia approssimativamente circolare con raggio a. L’energia potenziale del
sistema è
Mm
V = −G
a
la velocitá del pianeta puó venir dedotta dall’eguaglianza fra attrazione solare e forza centrifuga
Mm v2 2
M
G = m → v = G
a2 a a
da cui si vede che
1 1 Mm 1
T = mv 2 = G =− V
2 2 a 2
Il teorema ha importanti applicazioni in vari campi della fisica e fra questi in strofisica.
Tramite la sua applicazione possiamo ottenere una stima della massa degli ammassi galattici.
Le galassie che costituiscono un ammasso e che sono migliaia in grandi ammassi come quello della
Vergine o l’Ammasso della Chioma (Abell 1656)sono legate dall’interazione gravitazionale(o almeno si
ritiene)in modo analogo a come le stelle sono legate e costituiscono una galassia ordinaria.
La radiazione emessa dalle singole galassie dell’ammasso ci arriva spostata in frequenza a causa
dell’effetto Doppler.Da tale spostamento possiamo risalire alla dispersione dei valori delle velocitá delle
galassie componenti e quindi stimare l’energia cinetica totale associata ai moti delle galassie dell’ammasso.
In effetti l’energia cinetica della k-esima galassia è ;
1
T = mk vk2 vk2 = vk,x
2 2
+ vk,y 2
+ vk,z = vk2 + v⊥
2
2
Se i moti delle galassie nell’ammasso sono statisticamente(media sulle galassie) isotropi si ha che

62
Teorema del Viriale

1 2 2
hvx2 i + hvy2 i + hvz2 i = hv i hvk2 i hv 2 i
3 3
L’energia cinetica totale media è quindi valutabile come
P 1 1 3
hT i = h k mk vk2 i = M hvk2 i
2 2 2
Avendo indicato con M la massa totale dellammasso.
La quantitá hvk2 i è quella misurata attraverso l’effetto Doppler che permette di calcolare il valor
quadratico medio della dispersione delle velocitá radiali.
Il diametro dell’ammasso (approssimandolo come sferico) è stimabile dalla distanza dell’ammasso e
dall’angolo sotteso per un osservatore terrestre.
L’energia potenziale gravitazionale di una distribuzione sferica di raggio R e massa totale M è
3 GM 2
hV i =
5 R
Quindi applicando il teorema del viriale possiamo scrivere che
1 3 3 GM 2
2 M hvk2 i =
2 2 5 R
e quindi stimare il valore della massa M .
È interessante che la massa determinata in questo modo è tipicamente(succede per tutti gli ammassi
studiati)un ordine di grandezza circa superiore a quella stimata con altri metodi astronomici ad esempio
determinando la massa delle singole galassie dalla loro rotazione e da qui valutando l’energia potenziale
dell’insieme. Infatti la massa di una galassia puó venir stimata dalla misura (anche qui tramite spostamento
Doppler)della velocitá, v , di una stella vicina al bordo della galassia. È facile calcolare che la massa della
galassia è data da
Rv 2
M'
G
Nota la massa di una galassia tipica si calcola l’energia potenziale dell’ammasso di cui si è misurato il
diametro.
Il disaccordo potrebbe esssere dovuto o al fatto che non capiamo la dinamica su scale cosı́ grandi oppure
che gli ammassi osservati non sono legati ma stanno per rompersi. In realtá le due alternative sembrano
poco credibili tenuto conto dellinsieme delle osservazioni astronomiche.
Una terza possibilitá è che negli ammassi sia presente una grande quantitá di materia oscura cioè di ma-
teria che ha effetti gravitazionali ma che non è accoppiata al campo elettromagnetico (o lo è pochissimo)per
cui non è direttamente osservabile tramite osservazioni fatte con radiazione elettromagnetica come venne
proposto per la prima volta da Zwicky nel 1933 studiando l’ammasso della Chioma.
L’esistenza della materia oscura è ormai quasi universalemente accettata anche sulla base di numerosi
altri risultati fisici(nucleosintesi primordiale, radiazione cosmica di fondo e sue asimmetrie) anche se la sua
natura è ancora un enigma totale.
Il dato fondamentale sul quale concordano indicazioni sperimentali diverse è che la materia oscura con-
tribuisce in modo preponderante agli effetti gravitazionali ivi inclusa l’evoluzione dell’universo(la materia
cosı́ detta visibile o barionica rappresenta solamente ∼ 1/7 della materia cha ha effetti gravitazionali).
Il teorema del viriale trova pure numerose applicazioni nella teoria cinetica dei gas.
Il suo utilizzo puó ad esempio venir illustrato ricavando la legge di Boyle dei gas perfetti per limitarsi
ad un caso semplice. Riprendiamo l’espressione generale del teorema del viriale
P
2hT i = h k F k · r k i = 0

63
Teorema del Viriale

Consideriamo un volume di gas contenente N atomi (identici) racchiusi in un contenitore di volume V e


sia T la temperatura del sistema.
Dal teorema di equipartizione dell’energia cinetica sappiamo che l’energia cinetica media di ogni atomo
è 3kT /2 e quindi l’energia media totale del sistema è
3
hT i =
N kT
2
Le forze F k includono sia le forze di interazione fra gli atomi che le forze dovute ai vincoli esterni del
sistema.
Un gas è definito perfetto se le forze interatomiche contribuiscono in modo trascurabile. È il caso tipico
di un gas di densitá bassa per cui le collisioni fra atomi sono rare rispetto alle collisioni degli stessi con le
pareti del contenitore.
Le forze vincolari in questo caso sono le forze esercitate dalle pareti del contenitore quando gli atomi
le urtano.
Durante un certo intervallo di tempo, quello su cui si si fa la media, o una particella non va a sbattere
contro una parete e quindi la F k relativa è nulla o urta e l’effetto delle forze di reazione della parete dá
luogo a ció che viene chiamato pressione del gas.
La somma delle forze di reazione esercitate sulle particelle che durante l’intervallo di tempo considerato
hanno urtato le pareti è uguale per unitá di area a :
−P n̂
L’insieme delle forze di reazione esercitate dalle pareti corrisponde alla pressione P del gas. Si puó quindi
scrivere
dF k = −P n̂ dA
essendo n̂ il versore normale alla parete del contenitore e diretto verso l’esterno. Possiamo quindi scrivere
che
P r
k F k · r k = −P n̂ · r dA
e applicando il teorema di Gauss
!
r r r ∂x ∂y ∂z
A
n̂ · r dA = V
∇ · r dV = V
+ + dV = 3V
∂x ∂y ∂z
abbiamo quindi
P r
k F k · r k = −P n̂ · r dA = −3V P
Il teorema del viriale diventa quindi
3
2hT i = 2 N kT = 3V P
2
cioé
N kT = V P
che è l’equazione dei gas perfetti.
Nel caso di gas non-perfetti nei quali cioé le forze interatomiche non siano trascurabili il teorema del
viriale permette di scrivere l’equazione di stato corrispondente.
Si puó pure dimostare che anche se le forze avessero una componente che dipende dalla velocitá (forze
di attrito)il viriale dipende solo dalle componenti che non dipendono dalla velocitá.
Si dimostra in effetti che se le forze che agiscono sulle particelle consistono di forze conservative F 0k e
di forza dissipative f 0k proporzionali alle velocitá il teorema del viriale puó venir scritto come
2hT i + h k F 0k · r k i = 0
P

64
Velocitá e accelerazione

NOTA 1: Velocitá ed accelerazione

Sia r il raggio vettore che nel piano della traiettoria descrive la posizione del punto materiale rispetto
al centro, O, delle forze.
Possiamo scrivere indicando con r̂ il versore diretto da O a P che
r = rr̂
La velocitá del punto materiale è quindi
d d d
v= r= (rr̂) = ṙr̂ + r r̂ = ṙr̂ + rθ̇τ̂
dt dt dt
È opportuno introdurre il vettore velocitá angolare ω, (con n̂ versore perpendicolare al piano del moto)
d
ω = θ̇n̂ → r̂ = ω × r̂ = θ̇τ̂
dt

In modo analogo derivando ulteriormente possiamo calcolare l’accelerazione


d d   d dτ̂
a= v= ṙr̂ + rθ̇τ̂ = r̈r̂ + ṙ r̂ + ṙθ̇τ̂ + rθ̈τ̂ + rθ̇
dt dt dt dt
e poiché
dτ̂
= ω × τ̂ = −θ̇r̂
dt
e poiché
   
a = r̈ − rθ̇2 r̂ + 2ṙθ̇ + rθ̈ τ̂

65
Coniche

NOTA 2: Coniche

CONICHE
Le curve chiamate sezioni coniche o piú brevemente coniche dal fatto che esse possono essere ottenute
come sezioni piane di un cono circolare (come scoperto dai matematici greci)si presentano in numerosi
problemi fisici.
In particolare le traiettorie di un corpo soggetto ad una forza il cui modulo varia in modo inversamente
proporzionale al quadrato della distanza sono delle coniche.
Le coniche sono descritte in vari modi(equivalenti anche se a prima vista differenti).Alcune rappresen-
tazioni delle coniche sono peró piú pratiche di altre in certi problemi e quindi è opportuno riassumere le
varie rappresentazioni e le loro proprietá.

Rappresentazione cartesiana

In coordinate cartesiane ortogonali la piú generale espressione di una conica è descritta dall’equazione

Ax2 + 2Bxy + Cy 2 + 2Dx + 2Ey + F = 0

ove A, B, ... sono costanti reali


Con un’opportuna rotazione degli assi, cioé con una trasformazione lineare del tipo

x = x0 cos θ + y 0 sin θ
y = −x0 sin θ + y 0 cos θ

è possibile diagonalizzare il termine quadratico

Ax2 + 2Bxy + Cy 2 → A0 x02 + C 0 y 02

L’equazione è ora del tipo (dimenticandoci delle coordinate originali e ribattezzando x0 con x, y 0 con
y, e pure A0 con A, etc..

Ax2 + Cy 2 + 2Dx + 2Ey + F = 0

Supponiamo A, C 6= 0 (si discuterá piú tardi cosa avviene se A = 0 oppur B = 0.


A questo punto possiamo ancora effettuare una traslazione dell’origine delle coordinate

D E
x = x0 − , y = y0 −
A C
con il che si eliminano i termini lineari in x0 e y 0 ottenendo
" #
2 2
D E
Ax2 + Cy 2 + F − − =0
A C

Portiamo la parentesi quadra a secondo membro e dividiamo per il suo valore


( se la parentesi quadra è nulla si cade in un caso degenere :
1. se A e C hanno lo stesso segno la sola soluzione è x = y = 0.
p
2. se hanno segni diversi l’equazione rappresenta una coppia di rette y = ± −A/C )

66
Coniche

Possiamo quindi sempre ricondurci a un’equazione del tipo

Ax2 + Cy 2 = 1

ove A e C hanno ambedue segno positivo, oppure segni opposti. Non possono essere ambedue negativi
perché non ci sono in questo caso soluzioni reali

1.) A > 0 , C > 0 ellisse


senza perdita di generalitá si puó supporre A ≤ C (se
no basta invertire x con y
1 1
Definendo ancora A = 2 e B = 2 si arriva
a b
all’equazione dell’ellisse

x2 y2
+ 2 =1 a≥b
a2 b
In questa forma gli assi coordinati hanno la direzione
degli assi dell’ellisse e origine nel centro
a , b rappresentano i semiassi dellellisse
Con una rotazione degli assi(ma stesso centro)

x = x0 cos θ − y 0 sin θ
y = x0 sin θ + y 0 cos θ

L’equazione dell’ellisse diventa

Ax2 + 2Bxy + Cy 2 = 1

Geometricamente l’ellisse è definita come


figura che è il luogo geometrico dei punti del piano tali che la somma delle loro distanze
da due punti fissi detti fuochi sia costante.
Scegliamo un sistema di coordinate cartesiane ortogonali nel piano con centro nel punto medio O del
segmento definito dai due fuochi, F1 e F2 , e con l’asse x diretto lungo la retta definita dai fuochi.
Chiamiamo 2a la somma costante delle distanze del punto generico P dai fuochi.
Chiamiamo 2aε la lunghezza del segmento F1 F2 (con 0 < ε < 1)
Si puó scrivere
p p
P F1 + P F2 = 2a → (x − aε)2 + y 2 + (x + aε)2 + y 2 = 2a

da cui portando una delle radici a secondo membro, elevando al quadrato e semplificando si ha
x2 y2
+ =1
a2 a2 (1 − ε2 )
definendo : b2 = a2 (1 − ε2 ) l’equazione puó venir scritta

x2 y2
+ =1
a2 b2

67
Coniche

Il significato geometrico di a , b come si vede dalla


figura è essere i semiassi dell’ellisse.
a = semiasse maggiore , b = semiasse minore
Coordinate dei fuochi

F1 = (aε , 0)
F2 = (−aε , , 0)

b2
La grandezza ε è chiamata eccentricitá dell’ellisse : ε2 = 1 −
a2
È anche evidente che allorché a = b e quindi ε = 0 l’ellisse degenera nella circonferenza di raggio a.

2.) A > 0 , C < 0 iperbole


senza perdita di generalitá ; se A < 0 , C > 0 basta invertire x con y
1 1
Definendo come nel caso precedente A = 2 e B = 2 si arriva all’equazione dell’iperbole
a b

x2 y2
− =1 a≥b
a2 b2
Geometricamente l’iperbole è definita come
figura che è il luogo geometrico dei punti del piano tali che la differenza delle loro distanze
da due punti fissi detti fuochi sia costante (in valore assoluto).
Scegliamo un sistema di coordinate cartesiane ortogonali nel piano con centro nel punto medio O del
segmento definito dai due fuochi, F1 e F2 , e con l’asse x diretto lungo la retta definita dai fuochi.
Chiamiamo 2a la differenza costante delle distanze del punto generico P dai fuochi.
Chiamiamo 2aε la lunghezza del segmento F1 F2 (con ε > 1).
Analogamente a quanto fatto per la ellisse si arriva all’equazione
x2 y2
− =1
a2 a2 (ε2 − 1)
definendo : b2 = a2 (ε2 − 1) l’equazione puó venir scritta

x2 y2
+ =1
a2 b2
Notare che la curva è composta di 2 rami distinti situati simmetricamente rispetto all’asse y.
Gli asintoti dell’iperbole sono facilmente derivati dall’equazione della stessa
x2 y2 1 y 2 /x2 1
2
− 2
= 1 → 2
− 2
= 2
a b a b x
1 y 2 /x2
x→∞ − →0
a2 b2
b √
y = ± x = ± ε2 − 1x
a
L’angolo Φ formato dagli asintoti con l’asse delle ascisse è quindi

b √ ε2 − 1 1
tan Φ = ± = ± ε2 − 1 , sin Φ = , cos Φ =
a ε ε
La figura illustra il significato geometrico dei parametri a e b.

68
Coniche

Il parametro b che compare nell’equazione dell’iperbole rappresenta pure il parametro d’impatto cioé la
distanza dal fuoco alla quale passerebbe il corpo se la sua traiettoria rettilinea iniziale proseguisse indis-
turbata.

3.) A = 0 , C > 0 parabola


riferendoci all’equazione della conica nella forma seguente(dopo cioé aver ruotato gli assi in modo che
x e/o y coincidano con gli assi di simmetria della figura

Ax2 + Cy 2 + 2Dx + 2Ey + F = 0

nuovamente senza perdita di generalitá


Quindi l’equazione della conica è

Cy 2 + 2Dx + 2Ey + F = 0

Come precedentemente possiamo traslare l’origine degli assi lungo y in modo da eliminare E ponendo
E
y = y0 −
C
Quindi l’equazione della conica diventa
!
2
E
Cy 02 + 2Dx +F − =0
C

cioé del tipo

Cy 02 + 2Dx + F = 0

e scegliendo l’origine nella direzione x in modo da rendere F = 0


F
x = x0 −
2D
si arriva all’equazione
D
y 2 = 2Gx G=−
C

69
Coniche

70
Coniche

Altra definizione geometrica

Una definizione generale di conica(equivalente alle definizioni precedenti) è


Una conica piana è il luogo dei punti del piano tali che il rapporto fra la loro distanza da
un punto fisso detto fuoco e la distanza da una retta fissa(detta direttrice) è costante.
Tale costante è chiamata l’eccentricita, ε , della conica.

È immediato verificare che si ritrovano le equazioni precedenti in corrispondenza dei tre casi

ˆ ellisse 0 < ε < 1

ˆ parabola ε = 1

ˆ iperbole ε > 1

Con le notazioni della figura si trova che d è legato ai parametri a e ε introdotti precedentemente da
1 − ε2 ε2 − 1
d=a ellisse , d = a iperbole
ε ε
Le figure seguenti riassumono le tre situazioni nel caso in cui la conica circonda il fuoco(forza attrattiva)
e le principali relazioni fra i vari parametri

71
Coniche

72
Coniche

Rappresentazione in coordinate polari

In diverse situazioni, in particolare studiando le orbite in un campo di forze gravitazionali(o analoghe)


è opportuno usare coordinate polari che conducono ad espressioni piú semplici.
Poiché le coniche sono caratterizzate da punti privilegiati, i fuochi, è abbastanza naturale usare coor-
dinate polari aventi come polo uno dei fuochi anziché usare come polo il centro di simmetria. Le equazioni
risultanti sono piú semplici.
Introduciamo coordinate polari con centro in uno dei fuochi, ad esempio F2 .
La posizione del punto P è caratterizzata dal raggio vettore r2 e dall’angolo θ2 .
Indichiamo con 2aε la distanza di F1 da F2 .

Dalla figura si vede che possiamo scrivere

r1 sin θ1 = r2 sin θ2
r1 cos θ1 = r2 cos θ2 + 2aε

quadrando e sommando le due equazioni si ha

r12 = r22 + 4aεr2 cos θ2 + 4a2 ε2

Distinguiamo i due casi: ellisse e parabola

1. ellisse : r1 + r2 = 2a → r1 = 2a − r2

2. iperbole :

(a) ramo che avvolge F2 → r1 − r2 = 2a → r1 = 2a + r2


(b) ramo che esclude F2 → r1 − r2 = −2a → r1 = −2a + r2

Elevando a quadrato i due membri di queste relazioni si ha

r12 = r22 + 4a2 − 4ar2 ellisse e iperbole ramo esterno a F2


r12 = r22 + 4a2 + 4ar2 iperbole ramo che avvolge F2

sostituendo per r1 il valore dato dalla prima equazione

4a2 ∓ 4ar2 + r22 = r22 + 4aεr2 cos θ2 + 4a2 ε2

si ottiene

73
Coniche

a(1 − ε2 ) 1 ±1 ε
r2 = → = + cos θ2
±1 + ε cos θ2 r2 a(1 − ε2 ) a(1 − ε2 )
Dove il segno + corrisponde al caso dell’ellisse o al ramo di iperbole che non include F2 .
Il caso del segno − descrive il ramo di iperbole che avvolge il fuoco F2 .
Questa equazione descrive tutte le coniche.
Se 0 < ε < 1 la figura descritta è una ellisse.
Se ε = 0 si ritrova l’espressione di un cerchio di raggio a .
Se ε = 1 , a diventa infinito ma il prodotto a(1 − ε2 ) rimane finito e l’equazione descrive una parabola.
Se ε > 1 l’equazione descrive un’iperbole.
In ogni caso il parametro h vale : h = a|(1 − ε2 )|
Si ritrova la stessa espressione or ora ricavata anche partendo dall’altra definizione geometrica di conica
come luogo dei punti che hanno rapporto costante fra le distanze dal fuoco e dalla direttrice.
Infatti si ha che
FP r
ε= =
P direttrice d − r cos θ
da cui
εd 1 1 1
r= → = + cos θ
1 + ε cos θ r εd d
Per l’iperbole si ottiene un’equazione quasi identica con solo un cambiamento di segno(poiché stiamo
descrivendo il ramo che non avvolge il fuoco)

1 1 1
=− + cos θ
r εd d
Queste relazioni sono del tutto identiche a quelle scritte sopra identificando il parametro d come

εd = a|(1 − ε2 )|

È interessante calcolare l’angolo α formato dal raggio vettore con la tangente alla curva nel punto
relativo. Ad esempio per l’ellisse

Siano xP , yP le coordinate del punto P rispetto ad una coppia di assi ortogonali aventi l’asse x coincidente
con la direzione del semiasse maggiore ed origine nel fuoco F2 .Si ha
ε cos θ ε sin θ
xP = r cos θ = d , yP = r sin θ = d
1 + ε cos θ 1 + ε cos θ
Il coefficiente angolare della retta tangente in P è
" # " #
dyP dyP dxP ε cos θ ε2 sin2 θ ε sin θ ε2 cos θ sin θ
tan ϕ = = / = + / − +
dxP dθ dθ 1 + ε cos θ (1 + ε cos θ)2 1 + ε cos θ (1 + ε cos θ)2

cioé

74
Coniche

ε + cos θ
tan ϕ = −
sin θ
quindi l’angolo α vale
!
ε + cos θ
α = ϕ − θ → α = − arctan −θ
sin θ

L’andamento in funzione di θ è illustrato nella figura seguente.


Si puó pure notare dalla figura o dall’espressione ricavata che α è uguale a π/2 in due soli casi cor-
rispondenti ai due estremi dell’asse maggiore.

75
Cinematica elastica

NOTA 3: Cinematica dell’urto elastico

CINEMATICA DELL’URTO ELASTICO

Una collisione fra due corpi materiali è definita elastica se :

1. l’energia cinetica totale dopo la collisione è uguale a quella prima della collisione.

2. si assume pure che la natura dei due corpi non cambi come risultato della collisione e quindi che le
masse dei corpi nello stato finale siano identiche a quelle dei corpi nello stato iniziale.

Tipico esempio nella meccanica elementare è l’urto fra due corpi solidi e impenetrabili come due palle
da biliardo.
Ma la stesso concetto e definizione si applicano a collisioni atomiche o nucleari.
Il modo piú semplice di descrivere la cinematica di tali urti è nel sistema del centro di massa(CM)
mentre la tipica situazione sperimentale è quella del sistema del laboratorio nel quale inizialmente uno dei
corpi è in quiete.
Nel sistema del CM i due corpi, 1 e 2, hanno quantitá di moto uguali in modulo ma di segno contrario,
p∗ e −p∗ , prima dell’urto.
Dopo l’urto hanno ancora quantitá di moto uguali in modulo ma di segno contrario, q ∗ e −q ∗ .
L’angolo θ∗ fra il vettore q ∗ e −p∗ è l’angolo di diffusione(in inglese angolo di scattering)
Nel sistema del laboratorio invece supporremo inizialmente la particella 2 a riposo e indichiamo con p1
la quantitá di moto della particella 1 incidente.
Dopo la collisione le particelle avranno quantitá di moto rispettivamente indicate con q 1 e q 2 e esse
rispetto alla direzione di propagazione iniziale formeranno gli angoli θ1 e θ2 .

Vogliamo trovare innanzi tutto la relazione fra le grandezze cinematiche nel sistema del CM e le
corrispondenti grandezze nel sistema del laboratorio.
Per definizione il vettore posizione del centro di massa nel Laboratorio è (con M = m1 + m2 )

m1 r 1 + m2 r 2 p1 p2 p1
R= → Ṙ = + =
M M M M
Le velocitá iniziali dei corpi 1 e 2 nel CM rispetto ai valori nel laboratorio sono :
(m1 + m2 )ṙ 1 − (m1 ṙ 1 + m2 ṙ 2 ) m2 m1
ṙ ∗1 = ṙ 1 − Ṙ = = ṙ , ṙ ∗2 = ṙ 2 − Ṙ = − ṙ r = r1 − r2
M M M

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Cinematica elastica

e quindi le quantitá di moto sono tali che


m1 m2 m2 m1
p∗1 = ṙ = µṙ , p∗2 = − ṙ = −µṙ
M M
cioé
m1 m2
p∗1 = −p∗2 = p∗ con p∗ = ṙ che è anche una definizione equivalente del sistema del CM
M
Le quantitá di moto iniziali nel sistema del laboratorio sono :

p1 = m1 ṙ 1 = m1 ṙ ∗1 + m1 Ṙ = p∗ + m1 Ṙ , p2 = m2 ṙ 2 = m2 ṙ ∗2 + m2 Ṙ = −p∗ + m2 Ṙ

Nel sistema del laboratorio : p2 = 0 e quindi


m1 ∗ M ∗
p∗ = m2 Ṙ , p1 = p∗ + p = p
m2 m2
In conclusione
m2
PRIMA DELL’URTO LAB p1 6= 0, p2 = 0 CM p∗1 = −p∗2 = p∗ = p
M 1
Dopo la collisione valgono relazioni analoghe ove p è sostituito da q e quindi
m1 ∗
DOPO L’URTO LAB q 1 = q ∗ + m1 Ṙ = q ∗ + p
m2
q 2 = −q ∗ + m2 Ṙ = −q ∗ + p∗

Come si vede la quantitá di moto è correttamente conservata


m1 ∗
q1 + q2 = p + p∗ = p1
m2
Le quantitá di moto prima e dopo l’urto possono essere graficamente visualizzate in modo semplice .
Infatti dalle relazioni precedentemente scritte si vede che i vari vettori e le relazioni di conservazione sono
descritte da un diagramma vettoriale dal quale è immediato o quasi ricavare le relazioni desiderate.

Poiché p∗ = q ∗ il triangolo DBC è isoscele e quindi si puó immediatamente scrivere che


θ∗
q2 = 2p∗ sin
2
L’energia cinetica, T2dop , del corpo 2 nel laboratorio dopo l’urto è quindi

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Cinematica elastica

q22 p∗2 θ∗
T2dop = =2 sin2
2m2 m2 2
mentre l’energia cinetica, T1pr , della particella incidente è

p21 M 2 1 ∗2
T1pr = =2 2 p
2m1 m2 2m1
Si ricava cosı́ l’espressione

T2dop 4m1 m2 2
θ∗
= sin
T1pr M2 2
Il rapporto è massimo per θ∗ = π e ivi vale

T2dop 4m1 m2 4m1 /m2


pr = 2
=
T1 (m1 + m2 ) (1 + m1 /m2 )2
da cui si vede che

ˆ se m1 << m2 la particella incidente rimbalza conservando quasi tutta la sua energia cinetica; .
pochissima energia è trasferita alla particella 2

ˆ se m1 >> m2 nuovamente viene trasferita pochissima energia

Un’altra relazione importante che si ricava facilmente dal diagramma è quella fra gli angoli di diffusione
nel CM e nel laboratorio.Infatti dalla figura si ha
m1 ∗
q1 sin θ1 = q ∗ sin θ∗ , q1 cos θ1 = p + q ∗ cos θ∗
m2
da cui dividendo membro a membro tenendo presente che p∗ = q ∗
sin θ∗
tan θ1 =
(m1 /m2 ) + cos θ∗
La derivata di questa espressione è
1 + ρ cos θ∗ m1
ρ=
(ρ + cos θ∗ )2 m2
Si vede quindi che se

ˆ m1 > m2 ≡ ρ > 1 cioé massa del proiettile maggiore di quella del bersaglio
c’è un valore di θ∗ per il quale θ1 è massimo (come si verifica facilmente)
Al variare di θ∗ fra 0 e π l’angolo θ1 varia da zero fino ad un massimo per poi tornare a zero in
corrispondenza di θ∗ = π.
Se in particolare m1 = m2 l’angolo massimo vale θ1,max = π/2

ˆ m1 < m2 ≡ ρ < 1 cioé massa del proiettile inferiore a quella del bersaglio
In questo caso l’angolo θ1 varia fra 0 e π nel mentre θ∗ varia anche lui fra 0 e π

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