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Corso di Costruzione di Ponti - a.a. 2007/08 dott. ing.

Lorenzo Macorini

8. TRAVATE RETICOLARI,
PONTI AD ARCO, PONTI STRALLATI

Novembre 2007 – v. 1.0 - Pag. 8.1 -

Ponti a travi reticolari, ponti ad arco, ponti strallati dott. ing. Lorenzo Macorini

8.1. Travate reticolari

Le travate reticolare, solitamente impiegate per ponti in acciaio nel campo delle luci medio-
grandi L=150÷400 m, sono realizzate da un insieme di aste rettilinee collegate tra loro in modo
da formare una struttura a maglie triangolari capace di sopportare i carichi esterni principalmente
con forze assiali nelle aste componenti. Gli schemi statici impiegati comprendono la travata
continua, lo schema a trave Gerber o la trave semplicemente appoggiata.
Un ponte a trave reticolare è costituito da:
a) un impalcato a piastra ortotropa o a soletta in c.a.;
b) delle travi trasversali che sopportano l'impalcato e
riportano i carichi ai nodi delle strutture principali;
c) dalle travi reticolari propriamente dette che portano
i carichi verticali e che costituiscono la struttura
principale;
d) le strutture di controventamento che resistono a
tutte le azioni orizzontali e garantiscono la stabilità di
forma del ponte.
OSS: rispetto ai ponti costituiti da travi a parete piena le travate
reticolari garantiscono un risparmio sui materiali ed in genere
un’elevata rigidezza dovuta all’altezza significativa che gli elementi
possono raggiungere. Per contro si ha un maggior numero di
giunzioni da effettuare ed una maggiore difficoltà di manutenzione.

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Ponti a travi reticolari, ponti ad arco, ponti strallati dott. ing. Lorenzo Macorini

Per le strutture principali si possono


impiegare diversi tipi di travature
reticolari, le travi Pratt e Warren sono in
genere i sistemi maggiormente usati.
Le trave Pratt è caratterizzata da
diagonali tutte tese, almeno per i carichi
permanenti, mentre le aste compresse, i
montanti, sono più corte. Nella trave
Warren può essere necessario disporre
montanti del tipo 1 che assolvono la
funzione locale di riportare i carichi al
corrispondente nodo del corrente opposto
ed altri del tipo 2 che riducono la
lunghezza libera delle aste del corrente
compresso. Le travi a K ed a diamante
sono invece usate per le strutture di
controventamento richiedendo un
rapporto altezza-luce molto alto.
Il corrente che porta il piano viario può
essere quello superiore (ponti a via
superiore) o quello inferiore ed è quasi
sempre rettilineo. L'altro corrente invece
può avere un andamento curvilineo in
genere parabolico, per avere sforzi
uniformi nelle aste dei correnti.
L'altezza ottimale delle travi varia da
1/8÷1/16 della luce per i ponti stradali e
Sezioni tipiche per le aste. Ponti a via superiore e inferiore. 1/5÷1/10 della luce per i ponti ferroviari.

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Modellazione e calcolo
Le travature reticolari ideali sono caratterizzate da: i) aste incernierate agli estremi, ii)
carichi sono nodali, iii) tutti gli assi delle aste che concorrono in un nodo si incontrano in un
punto. Pertanto tali travature sono contraddistinte da aste componenti sollecitate solo da sforzi
assiali.
Nel caso di travature reticolari da ponte le
tre ipotesi precedenti non sono rispettate
perché le aste sono connesse rigidamente ai
nodi e le inevitabili imperfezioni di
montaggio portano ad eccentricità delle aste
rispetto ai nodi teorici. Infine i carichi non
sono mai esclusivamente nodali, poiché
almeno il peso proprio delle aste è
Nodo rigido con imperfezione di montaggio. uniformemente ripartito su di esse.
Pertanto nelle aste sono presenti anche sollecitazioni di flessione e taglio tanto più elevate
quanto più le aste sono tozze. Queste sollecitazioni in genere danno uno scarso contributo alla
portanza dei carichi esterni, rispetto al funzionamento di trave reticolare ideale; la loro entità va
però valutata in quanto possono portare a rottura per fatica in prossimità dei nodi ove queste
sollecitazioni secondarie sono più elevate e dove si hanno cause concomitanti che possono
innescare le rotture, quali intagli, fori per bulloni, saldature eccetera. Il calcolo delle
sollecitazioni secondarie nelle travi reticolari risulta molto semplice in quanto basta trattare la
struttura come un qualsiasi telaio a nodi rigidi.
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Strutture di controvento
Nei ponti a travata reticolare sono necessarie delle strutture di controvento per sopportare
tutte le azioni orizzontali (vento, frenatura, forza centrifuga ecc.) e trasferirle ai vincoli. I
controventi sono inoltre indispensabili per evitare che le strutture principali si deformino fuori
dal loro piano per fenomeni di instabilità e formano con la struttura principale una sezione
scatolare unicellulare.

Sono necessari controventi


orizzontali sia in corrispon-
denza dei correnti superiori
che di quelli inferiori. Nel
caso molto frequente in cui
il piano viario sia formato da
una struttura continua
(soletta in c.a. o lastra
ortotropa), questa funge
anche da controvento.

In corrispondenza degli appoggi sono necessari dei robusti portali o dei traversi reticolari (ponti
a via superiore) per riportare ai vincoli le reazioni orizzontali delle travi reticolari formate dai
controventi orizzontali.
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Nel caso di ponti a via inferiore in cui l’altezza delle travi principali non raggiunge l’altezza
minima richiesta per il transito dei sovraccarichi non è possibile inserire un controvento
superiore. Le azioni orizzontali sul corrente superiore vengono quindi riprese da una serie di
robusti telai a U che hanno anche la funzione di impedire lo sbandamento laterale del corrente
compresso fuori dal piano della trave.

Rigidezza ripartita K del telaio:


h3 h2b 1
δ= + ; K=
3EJ m 2EJ t δ⋅a

In questo caso il calcolo del carico critico per il


corrente compresso si effettua schematizzando l’asta
appoggiata su suolo elastico (telai trasversali
ravvicinati) e soggetta ad uno sforzo costante.

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d4w d2w dw
Equazione della linea elastica: EJ ⋅ 4 + N ⋅ 2 + K ⋅ =0
dx dx dx
dove EJ è la rigidezza flessionale del corrente e K la rigidezza su suolo elastico (rigidezza
ripartita del telaio).
d2w
condizioni al contorno: = w = 0 per x=0 e x=l.
dx 2
⎛ nπx ⎞
Assumendo la deformata: w = w 0 ⋅ sen ⎜ ⎟
⎝ l ⎠
n 2 π2 EJ Kl 2
si ricava il valore del carico N per l’n-esima deformata critica: N (n)
crit = + 2 2
l2 n π
dN
il valore minimo di N (n)
crit è il carico critico =0 → N crit = 2 EJK
dn

La lunghezza di libera inflessione (da impiegare per un calcolo “convenzionale” di Ncrit) può
essere calcolata come:
1/ 4
π2 EJ ⎛ EJ ⎞
= 2 EJK → l0 = π ⎜ ⎟
l02 ⎝ 4K ⎠

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Calcolo delle lunghezze di libera inflessione secondo EC3-2


I fattori β relativi alla lunghezza di libera inflessione: l0=β·l che possono essere usati per la
progettazione di elementi compressi nei ponti a travatura reticolare valgono:
Elementi verticali e diagonali con estremità fisse
- per instabilità nel piano: β = 0.9
- per instabilità fuori dal piano β = 1.0
Elementi verticali che sono parte di un telaio

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Correnti compressi di ponti a sezione aperta


I correnti compressi possono essere modellati come colonne con appoggi laterali.

Rigidezze laterali Cd per travature reticolari senza montanti.

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8.2. Ponti ad arco

Un sistema ad arco è caratterizzato dalla presenza di sforzi di compressione prevalenti,


tuttavia l’assenza di sollecitazioni flettenti e di taglio può avvenire solo per effetto dei carichi
permanenti ed è dovuta ad una scelta opportuna della forma dell’arco, mentre i carichi
accidentali (carichi mobili) generano sempre flessione.
Nel passato nei ponti ad arco i
carichi permanenti erano
prevalenti sui carichi
accidentali e assegnando
all’arco una forma adeguata
potevano essere impiegati
materiali non resistenti a
compressione.
I ponti ad arco moderni devono
sopportare il transito di carichi
elevati (convogli ferroviari,
mezzi militari) e pertanto
l’incidenza dei carichi
accidentali è superiore. E’
indispensabile impiegare
materiali che resistono a
trazione (acciaio, c.a., c.a.p).
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Per aumentare l’efficienza e


ridurre i costi di costruzione si
devono ridurre al minimo i
carichi permanenti. L’impalcato
non coincide con l’arco ma è
differenziato e viene appoggiato
o appeso all’arco stesso.

Attualmente la realizzazione dei


ponti ad arco è limitata dall’alto
costo delle opere provvisorie in
fase di costruzione (centine).

Tipologie di ponti ad arco.


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Criteri di calcolo
Nota la linea d’asse e la linea delle pressioni1 relativa ad un dato sistema di forze è possibile
calcolare le azioni sollecitanti:
M s = H ⋅ ( y p − ys )
N s = − R s ⋅ cos ( ϕ p − ϕs ) ≈* − R s = − H cos ϕ
Ts = R s ⋅ sen ( ϕ p − ϕs ) ≈* 0
* per piccoli spostamenti ϕp = ϕs = ϕ .

Se le due linee coincidono:


M s = Ts = 0
N s = − H cos ϕ

Def. Linea delle pressioni: la linea la cui tangente in ciascun punto coincide con
la retta d’azione della risultante di tutte le forze comprese le reazioni vincolari
che precedono quel punto.
Essa gode della proprietà che il momento rispetto ad un suo punto di tutte le forze
che lo precedono è nullo. Da ciò si ricava che:
yp = M y H
dove My è il momento dovuto a tutti i carichi verticali che precedono la sezione
analizzata.

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• Arco a tre cerniere


Le reazioni VA e VB dovute ai carichi
permanenti si calcolano come per le travi in
semplice appoggio, mentre la reazione
orizzontale H si determina con l’equilibrio
dei momenti in C. Inoltre la linea delle
pressioni deve passare per le tre cerniere.
Siccome l’arco a tre cerniere è isostatico
non si hanno sollecitazioni né per
variazioni termiche o da ritiro né per
cedimenti vincolari.

Gli effetti dovuti ai carichi mobili si


calcolano con le l.d.i
ms = ηA ⋅ x s − χ ⋅ ys − ⎣⎡ x s − x p ⎦⎤ ⋅ 1
n s = ηA ⋅ senϕ + χ ⋅ cos ϕ − [senϕ] ⋅ 1 *
t s = ηA ⋅ cos ϕ − χ ⋅ senϕ − [ cos ϕ] ⋅ 1
* per carico P=1 a sinistra di S

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Linee di influenza delle reazioni e delle caratteristiche della sollecitazione per un arco a tre cerniere.

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OSS1: Nel caso di carico variabile


uniformemente distribuito la situazione
più gravosa per le sollecitazioni flettenti
si ha quando il carico grava su metà
arco. Dividendo il carico in una
componente (a) simmetrica e una parte
(b) emi-simmetrica, si verifica come il
momento flettente sia dovuto alla sola
componente emi-simmetrica e presenti
un valore massimo pari ad 1/8 del
valore massimo calcolato su di una
trave in semplice appoggio di uguale
luce.

• Arco a due cerniere


Per il calcolo della reazione orizzontale H è
necessario fare un calcolo elastico in quanto la
struttura è 1 volta iperstatica.
Arco senza catena
congruenza: H ⋅ u ' = u 0
u’ spostamento dovuto ad una forza H=1, u0 spostamento
dovuto ai carichi esterni.

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Arco con tirante (EtAt) congruenza:


H ⋅l u0
H ⋅ u '− = u0 → H =
EtAt l
u '+
Et At
Oss: all’aumentare della deformabilità del tirante (EtAt → 0),
H si riduce e la struttura tende verso il comportamento di una
trave in semplice appoggio.

Linee di influenza delle reazioni e delle caratteristiche della sollecitazione per un arco a due cerniere.

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• Caduta di spinta
Si consideri un arco parabolico con linea
d’asse coincidente con la curva delle
pressioni, lo sforzo normale è costante e
vale:
N s = H 3c cos ϕ
con H3C reazione nel caso di arco a 3
cerniere.
Lo sforzo normale produce un
accorciamento dei singoli conci (di
lunghezza ds) pari a:
H 3c ds
− ⋅
cos ϕ EA

ds
L’accorciamento complessivo risulta: ∆l = − H 3c ⋅ ∫ EA
arco
ds
per congruenza con i vincoli esterni deve nascere una forza ∆H che si oppone a tale spostamento: ∆H = − H 3c ⋅ ∫ EA
u'
arco
tale forza è di segno opposto rispetto a H3C.

In un arco a due cerniere si ha sempre una spinta inferiore rispetto all’arco a tre cerniere
corrispondente dovuta all’accorciamento elastico dell’arco provocato dallo sforzo normale.
Come conseguenza della caduta di spinta si hanno dei momenti flettenti provocati dai carichi
permanenti g anche nel caso ideale in cui la linea d’asse coincida con il poligono funicolare dei
carichi esterni. Nella generica sezione di coordinata y tale momento (positivo) vale: Mg = ∆H·y
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• Instabilità

Gli archi essendo strutture prevalentemente compresse risentono dei fenomeni di instabilità
nel loro piano e fuori dal piano.
Instabilità nel piano dell’arco
Nel caso di arco generico è possibile calcolare il
carico critico associato all’instabilità nel piano
mediante la formula proposta da Timoshenko:
EJ
pcr = γ ⋅ 2 x ,
l
dove EJx è la rigidezza flessionale in chiave, l la luce dell’arco e γ
un coefficiente tabellato.

Nel caso di arco parabolico sollecitato da un carico


uniformerete distribuito è possibile determinare il
valore critico della spinta Hcr:
EJ
H cr = C1 ⋅ 2 , con C1 coefficiente tabellato
l
noto Hcr è possibile calcolare il carico uniforme
critico:
H ⋅ l2
pcr = cr
8⋅f
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Instabilità fuori dal piano dell’arco

Per un calcolo approssimato del carico critico per instabilità fuori dal piano dell’arco è
possibile schematizzare la struttura reale come un arco parabolico caricato con carichi
uniformemente distribuiti ed avente sezioni che variano con la legge A = Ac/cosφ (Ac sezione in
chiave).
Il carico critico della spinta H coincide, per questa struttura semplificata, con il carico
critico di un’asta incernierata agli estremi di sezione pari alla sezione ad un quarto dell’arco e
lunghezza di libera inflessione l0 = β · l.

Il valore di β dipende dalla freccia dell’arco e dal momento di inerzia per flessione fuori
piano Jy.

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OSS: nel caso in cui gli elementi di


collegamento dell’arco con l’impalcato
siano disposti obliquamente i valori di
variano.
In particolare per un arco a via inferiore
diminuisce mentre per archi a via
superiore β aumenta (effetto in
stabilizzante del collegamento con
elementi obliqui).

• Calcolo semplificato dei ponti ad arco in muratura

Un calcolo semplificato dei ponti ad arco in muratura può essere condotto con due metodi
alternativi:
- Metodo di Méry (calcolo a rottura, materiale a comportamento elastico non resistente a trazione e con resistenza
limite a compressione);
- Metodo di Hayman (analisi limite applicata alla muratura).
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Metodo di Méry
La teoria di Mery prevede che la curva
delle pressioni sia contenuta entro il
terzo medio dell’arco, passando il suo
estremo superiore in chiave e per il suo
estremo inferiore al giunto di rottura
nelle sezioni di imposta (φi=60°).
Essa è quindi una curva limite,
corrispondente allo stato in cui l’arco è
sul punto di aprirsi nelle sezioni
critiche per l’insorgere di sforzi di
trazione tali da superare l’aderenza
della malta.

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Metodo di Heymann
Il metodo di Heymann fa riferimento al teorema
statico dell’analisi limite: “se è possibile trovare un
qualsiasi sistema di sollecitazioni interne in
equilibrio con il carico esterno e tale che in nessuna
sezione sia superata la resistenza allo
schiacciamento, allora la struttura nel suo
complesso è stabile.”
Pertanto se è possibile definire un qualunque
poligono funicolare (ossia una curva delle pressioni)
all’interno dello spessore dell’arco, questo è stabile.
Quindi per dimostrare che l’arco può assolvere le
sue funzioni è necessario soltanto dimostrare che
esiste almeno un sistema di forze interne
compatibile: equilibrio con le forze esterne, assenza
di trazioni, tensioni inferiori a quelle di rottura.
La stabilità della struttura in muratura è assicurata
non dalla sua resistenza, ma da una corretta
geometria globale, corretta in riferimento
all’andamento delle pressioni che la struttura deve
sopportare.

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Analisi limite modello a blocchi rigidi

Ipotesi di base:
- la pietra/mattone non offre alcuna resistenza a
trazione;
- la resistenza a compressione della pietra/mattone
si assume infinita2;
- i conci di pietra/mattoni non possono scorrere
l’uno rispetto all’altro;

La sicurezza della struttura viene indagata in


funzione della sua forma, cioè da un punto di vista
geometrico piuttosto che in termini di tensione e
deformazione.

2
è possibile anche tener conto della resistenza reale a compressione.
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Fattore geometrico di sicurezza η Curva limite: stati ammissibili di sollecitazione per i


quali non si verifica rotazione dei conci.

Si considera invece dello spessore reale dell’arco uno


spessore ridotto e si impone al poligono funicolare di
essere contenuto nello spessore ridotto.

Sistemi collaboranti arco-trave


Quando non esistono giunti nell’impalcato la sua rigidezza flessionale risulta non
trascurabile (soprattutto nel caso di luci medio-piccole) e quindi i carichi vengono portati in
parte dall’arco e in parte dall’impalcato stesso.

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Ponti metallici tipo “Langer” Ponti in c.a. tipo “Maillart”

• Calcolo semplificato
Ipotesi:
- la distanza tra i montanti è piccola rispetto alla luce l dell’arco (distribuzione continua dei
montanti);
- i montanti sono incernierati alle estremità e sono assunti indeformabili assialmente (bielle
infinitamente rigide);
- la trave irrigidente (impalcato) ha momento di inerzia costante lungo la luce.

Sulla base di queste ipotesi è possibile condurre un calcolo semplificato considerando due
situazioni limite: (i) caso di arco sottile, (ii) caso di arco con rigidezza flessionale finita.

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Arco sottile (rigidezza flessionale nulla)


Le forze sull’arco hanno come
funicolare la linea d’asse dell’arco.
Carico p sull’arco conformato
secondo una parabola del secondo
ordine:
p = - H·y’’ = cost.
Il sistema ha una sola iperstatica in
più rispetto allo schema a trave,
pertanto se la trave è semplicemente
appoggiata l’unica incognita risulta
la spinta H nell’arco. In questo caso
il momento sulla trave vale:
M(x) = m(x) - H·y,
dove m(x) corrisponde al momento
su di una trave in semplice appoggio.
Per calcolare H è necessario scrivere
l’equazione di congruenza.

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Arco con rigidezza flessionale finita


Se arco e trave hanno gli stessi
vincoli esterni è possibile applicare
il metodo proposto da Ritter. La
struttura reale viene schematizzata
mediante un arco equivalente con
area pari all’area dell’arco reale e
momento di inerzia J* dato dalla
relazione:
E a ⋅ J* ⋅ cos ϕ = E a ⋅ J a ⋅ cos ϕ + E t ⋅ J t

Ea, Ja modulo elastico e momento di inerzia dell’arco;


Et, Jt modulo elastico e momento di inerzia della trave.

Il momento complessivo M che agisce sulla struttura è pari alla somma del momento nella trave
Mt e del momento nell’arco Ma:
M = Ma + Mt.
dove: Ma(x) = -Ea·Ja·cosφ·va’’, Mtx) = -Et·Jt·vt’’
Per la compatibilità negli spostamenti nei due sistemi si ha: va = vt

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Quindi il momento complessivo si distribuisce tra arco e trave secondo la relazione:


Ma Mt
=
E a ⋅ J a ⋅ cos ϕ E t ⋅ J t

8.3. Ponti strallati

I ponti strallati possono essere realizzati secondo diversi schemi: a ventaglio o ad arpa
oppure secondo uno schema misto arpa-ventaglio.
Nello schema a ventaglio l'antenna è prevalentemente compressa e tutti gli stralli sono rinviati da
un unico punto che è collegato al suolo dal cavo di ormeggio e quindi può subire spostamenti
limitati. Nello schema ad arpa, invece, gli stralli inferiori hanno un’efficacia ridotta poiché i
punti di attacco all'antenna subiscono spostamenti a causa della deformabilità delle travi di riva;
inoltre ciò provoca azioni flessionali nell'antenna assenti nello schema a ventaglio. Lo schema ad
arpa ha però il vantaggio di avere gli attacchi dei cavi alla travata tutti eguali e di evitare i
problemi di congestione presenti nello schema a ventaglio dovuti all'arrivo di tutti i cavi in un
unico punto dell'antenna, ove nascono concentrazioni locali di sforzi.
Quando l'andamento del terreno lo permette risulta molto conveniente ancorare tutti gli stralli di
riva al suolo, migliorando così le prestazioni degli stralli nella campata centrale.
Si possono realizzare ponti strallati in schemi con una sola luce principale e due campate di riva
(una sola negli schemi dissimetrici) oppure, più raramente, ponti strallati a più luci, per lo più in
c.a.p., composti da più moduli formati da un’antenna e dall’impalcato con due sbalzi sorretti
dagli stralli.
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Ponti a travi reticolari, ponti ad arco, ponti strallati dott. ing. Lorenzo Macorini

I ponti strallati di recente costruzione sono


caratterizzati da un numero elevato di
stralli disposti ad un interasse
longitudinale che varia tra 6 e 15 m.
Il grande numero di stralli offre molti
vantaggi:
(i) la travata di impalcato può essere molto
sottile, al limite priva di rigidezza
flessionale;
(ii) gli stralli sono più piccoli e quindi più
facili da trasportare e da montare;
(iii) è facile sostituire gli stralli in esercizio
(con stralli molto ravvicinati la
sostituzione può avvenire addirittura senza
chiudere il ponte al traffico);
(iiii) sono facilitate le operazioni di
costruzione in quanto ogni uno o due conci
di impalcato si mette in opera uno strallo e
quindi la parte che deve reggersi a sbalzo è
molto limitata.

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Ponti a travi reticolari, ponti ad arco, ponti strallati dott. ing. Lorenzo Macorini

Un parametro caratteristico dei ponti a fune è


la snellezza definita come il rapporto h/l tra
l'altezza delle torri h, misurata dall'impalcato,
e la luce della campata principale l.

La scelta della disposizione dei vincoli nello


schema longitudinale influenza i diagrammi
degli sforzi assiali nella travata.
Gli schemi (c) e (d) che presentano la campata
centrale tesa sono i più favorevoli per gli
impalcati in acciaio ma sono più difficili da
realizzare in quanto presuppongono il
montaggio del ponte dal centro verso le torri
mentre risulta più agevole costruire l’impalcato
per sbalzi successivi procedendo dalle campate
La snellezza h/l influenza fortemente la di riva verso il centro.
quantità (peso) dei cavi π.
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Gli stralli possono essere tutti su di un piano verticale (a) o su due piani distinti (b).

(a) (b)
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Nel primo caso l’impalcato trasversalmente si comporta come due mensole incastrate nel piano
medio verticale che contiene gli stralli; eventuali carichi non simmetrici devono essere portati
per torsione dell’impalcato che deve essere a cassone. Nel caso di stralli su due piani il
comportamento trasversale dell’impalcato è quello di una trave semplicemente appoggiata alle
estremità.
Stralli
I cavi impiegati nei ponti strallati possono essere costituiti da singoli elementi (fili, trefoli)
avvolti a spirale, oppure formati da unità elementari disposte in parallelo.
Le funi spiroidali possono essere del tipo chiuso o aperto. Le funi spiroidali hanno grande vantaggio
di poter essere avvolte in bobine di raggio
relativamente contenuto, ciò ne rende
possibile la prefabbricazione in officina e il
trasporto in cantiere nella configurazione
finale. Per contro esse hanno lo svantaggio
di avere un modulo di elasticità apparente
relativamente basso, 140000÷170000 MPa,
dovuto all'avvolgimento dei fili. Pertanto
tali funi vanno presollecitate in officina per
permettere l'assestamento dei fili; va fatto
Nelle funi chiuse i fili esterni hanno una sezione speciale,
cioè una sorta di rodaggio della fune che,
generalmente a z, che fa sì che ciascuno di essi per effetto
se molto lunga, richiede attrezzature
dell'avvolgimento eserciti una pressione radiale su quello
complesse. La resistenza statica ed a fatica
adiacente. Nelle funi spiroidali aperte, invece, tutti i fili sono
di una fune spiroidale è piuttosto bassa in
circolari, generalmente del diametro di 1.1 mm.
quanto nei fili si hanno sollecitazioni
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parassite dovute all'avvolgimento ed alle tensioni trasversali trasmesse tra fili adiacenti. Inoltre i fili non
sono egualmente sollecitati per cui (se si escludono fenomeni di fatica) si assume un coefficiente di sicurezza
piuttosto elevato in genere pari a: v = 2.4.
Nei moderni ponti strallati le funi spiroidali tendono ad essere
sostituite con cavi ad elementi paralleli. Questi sono
generalmente formati da trefoli ma possono essere costituiti
da fili o da barre di acciaio speciale del diametro di 16÷32
mm. Questi cavi, molto simili a quelli utilizzati per il c.a.p.
ma con portate maggiori, devono necessariamente essere
confezionati in cantiere in quanto il parallelismo dei trefoli (o
fili) non ne permette l'avvolgimento e quindi il trasporto.
I cavi ad elementi paralleli sono poi caratterizzati da un
modulo di elasticità coincidente con quello dei singoli
elementi costituenti, E =195000÷205000 MPa, ed il
coefficiente di sicurezza a rottura, per carichi statici, può
essere assunto pari ad 1.75 (sono assenti le sollecitazioni
trasversali parassite e tutti i fili sono egualmente sollecitati).
Generalmente i cavi vengono posti in guaine di polietilene ad alta densità (HDPE), resistente ai raggi
ultravioletti. Per proteggere l'acciaio dalla corrosione i fili od i trefoli possono essere preventivamente
zincati. La guaina viene riempita con materiale protettivo: un grasso speciale nel caso di funi spiroidali
preconfezionate; malta di cemento nel caso di cavi confezionati in cantiere. Oppure è possibile adottare una
doppia protezione: il singolo trefolo, eventualmente zincato, viene posto in una guaina di vipla entro cui può
scorrere grazie alla presenza di un grasso che funge anche da protezione anticorrosione. Tutti i trefoli
inguainati vengono poi posti all'interno della guaina in HDPE in cui viene fatta l'iniezione finale. Con questa
disposizione è possibile teoricamente sostituire anche uno o parte dei trefoli costituenti il cavo.
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Statica dei cavi


OSS: per effetto del loro peso proprio, di quello delle
guaine, dei rivestimenti ecc., i cavi si dispongono
secondo una configurazione che si discosta da quella
rettilinea con conseguenze non trascurabili sul
comportamento dell’intera struttura.
Si consideri un cavo sottoposto ad un tiro la cui
componente orizzontale vale H e sia g il suo peso per
unità di lunghezza, supposto costante. Si suppone
inoltre che il cavo sia privo d i rigidezza flessionale.
La configurazione assunta dal cavo è quella di una
catenaria che, nel caso per i cavi dei ponti strallati,
può essere assimilata ad una parabola del secondo
ordine.
La lunghezza effettiva S del cavo può quindi essere calcolata in funzione della freccia f e della proiezione
rettilinea C mediante l’espressione:
⎡ 8 ⎛ f ⎞2 ⎤
S = C ⋅ ⎢1 + ⎜ ⎟ ⎥
⎣⎢ 3 ⎝ C ⎠ ⎦⎥
Lo sviluppo S del cavo può essere poi calcolato in funzione del tiro T considerando che il momento deve
essere nullo in ogni punto del cavo ed in particolare in mezzaria. Quindi si ha:
T1 ≈ T2 = T ≈ H cos α ⎡ g2 ⋅ l2 ⎤
→ S = C ⋅ ⎢1 + 2⎥
(cosα = l/C)
1 8 ⋅ ( g ⋅ cos α ) ⋅ C2 = T ⋅ f ⎣ 24 ⋅ T ⎦

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• Il modulo di elasticità ridotto


Si considera un cavo soggetto al peso proprio e ad un tiro T0. Si
applica un incremento di tiro ∆T (T1 = T0 + ∆T) e si valuta
l’incremento di spostamento ∆C che risulta somma di un
allungamento elastico ∆Cel e una componente rigida ∆Crig3:
∆C = ∆Cel + ∆Crig
C ⋅ ∆T
∆Cel ≈ , con Ec e Ac modulo elastico e area del cavo.
Ec ⋅ Ac
⎡ 1 1 ⎤
∆Crig = S ⋅ ⎢ − ⎥
2 2
(
⎢⎣1 + g ⋅ l 24 ⋅ T1
2
)
1 + g ⋅ l 24 ⋅ T0 2
2 2
( ) ⎥⎦
Quindi il cavo si comporta come se avesse un modulo di elasticità secante ridotto Er:
C ⋅ ( T1 − T0 )
Er = .
∆C ⋅ A c
Facendo tendere T1 → T0 si ottiene il modulo tangente ridotto, che può essere espresso attraverso la forma
ricavata da Dischinger:
Ec
Er =
γ 2l 2 E c
1+
12σ 3

3
Essendo aumentato il tiro T, diminuisce la freccia f e quindi a parità di S aumenta C.
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Essendo γ il peso specifico del cavo (compreso il contributo di guaine ecc.), σ la tensione nel cavo.

OSS1: per i cavi è importante impiegare materiali di


altissima qualità con un elevato rapporto σ/γ al fine
di avere Er prossimo ad Ec.

OSS2: Er dipende dalla proiezione orizzontale del


cavo l e dal cubo del tiro T, quindi la risposta del
cavo è non lineare.

OSS3: la riduzione apparente del modulo di elasticità


può essere anche notevole nel caso di cavi molto
lunghi o di guaine pesanti e ciò comporta un
comportamento fortemente non lineare per la
struttura.

• Statica dei ponti strallati.


In un calcolo approssimato del comportamento statico della struttura è possibile schematizzare gli
stralli come delle molle elastiche lineari per cui l'impalcato è in sostanza una trave continua su appoggi in

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parte fissi ed in parte elastici. Risulta pertanto fondamentale definire la costante di elasticità di queste molle e
i parametri la influenzano.

Si considera lo schema semplificato in figura


dove il cavo in sommità dell'antenna è in grado
spostarsi orizzontalmente. Ipotesi plausibile
nel caso in cui il cavo sia rinviato dalla sella
d'appoggio scorrevole oppure quando il pilone
è incernierato al piede. La stessa ipotesi è
generalmente accettabile anche nei casi di cavi
ancorati ad antenne incastrate al piede, poiché
deformabilità flessionale del pilone è in genere
molto elevata rispetto a quella estensionale
delle funi.
Il punto A può spostarsi verticalmente di una
quantità nota ∆A che risulterà evidentemente
nulla nel caso in cui A sia un blocco di
ancoraggio. Si trascurano le deformabilità
assiali della travata e dell’antenna.
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La deformabilità della molla da sostituire allo strallo in D si ottiene dall’abbassamento verticale ∆D del
punto D provocato da una forza unitaria:
l1 l2 tgβ
∆D = + + ∆A ⋅
A1E1sen 2 α ⋅ cos α A 2 E 2 cos3 β ⋅ tg 2α tgα
OSS1: l’efficacia del tirante è tanta maggiore quanto più il tirante in campata tende alla verticale (α grande)
e quanto più quello di riva tende all’orizzontale (β piccolo).

Le considerazioni che si possono fare sulla deformabilità degli stralli riguardano i carichi mobili in
quanto durante le fasi costruttive ed a costruzione ultimata si può sempre agire sulle funi regolandone la
tensione e quindi la lunghezza. In particolare uno dei criteri comunemente più seguiti è quello di regolare a
fine costruzione la tensione negli stralli in modo che l'impalcato si comporti come una trave continua su
appoggi fissi. Lo sforzo di trazione Ti nella generica fune quindi dovrà essere tale che la sua componente
verticale sia pari proprio alla reazione Ri dovuta ai carichi permanenti che si avrebbe nella trave continua
equivalente: Ri = Ti · senαi
Per un numero di stralli elevato il diagramma dei
momenti tende praticamente a zero e la trave è
soggetta a solo sforzo normale.
Si può anche regolare la tensione negli stralli in
modo diverso, provocando volutamente una
distribuzione dei momenti differente e tale da avere
un diagramma dei massimi e minimi più favorevole
(ad esempio introducendo momenti positivi nelle
zone ove i carichi accidentali provocheranno i
massimi momenti negativi e viceversa).
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Nel caso dei ponti in c.a.p. va peraltro notato che l'effetto della viscosità del calcestruzzo riduce nel tempo
questi vantaggi ed il diagramma dei carichi permanenti tende comunque a quello della trave continua su
appoggi fissi, in modo simile a quanto visto nel caso di cedimenti vincolari.

Al passaggio dei carichi accidentali i tiranti si comportano quindi come molle e quindi la distribuzione delle
sollecitazioni è governata dal rapporto Z tra la rigidezza della trave e quella delle molle:
6 ⋅ Et ⋅ J t
Z= ⋅ω
b13
con Et, Jt modulo di elasticità e momento di inerzia della trave, ω deformabilità della molla e b1 interasse
delle molle.

• Considerazioni generali relative ai rapporti dimensionali ottimali per i ponti strallati:


i) il rapporto h/l tra l’altezza della torre e la luce centrale è in genere compreso tra 0.15 e 0.20 per i ponti in
acciaio e tra 0.15 e 0.25 per quelli in c.a.p., con una leggera prevalenza ad avere antenne più alte nel caso dei
ponti ad arpa; ciò porta ad inclinazioni minime degli stralli della campata centrale di circa 15° ÷ 20°;
ii) il rapporto tra luce centrale e luce di riva è in prevalenza compreso, per gli schemi simmetrici, tra 2.0 e
3.5 con valori più piccoli in genere per gli schemi ad arpa; ciò porta ad inclinazioni massime degli stralli
nelle campate di riva di 40° ÷ 45°.

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Riferimenti bibliografici

• Progettazione e costruzione di Ponti con cenni di patologia e diagnostica delle opere esistenti.
M. P. Petrangeli (IV edizione, MASSON, 1997).
• Ponti a struttura d’acciaio. F. de Miranda (Collana tecnico-scientifica per la progettazione di
strutture in acciaio, Distribuzione CISIA – 1972).
• Manual of Bridge Engineering, Edited by M.J. Ryall, G.A.R. Parke and J.E. Harding (Thomas
Telford, 2000).
• ENV 1993-2:2002. Eurocodice 3 - Progettazione delle strutture di acciaio - Parte 2: Ponti di
acciaio.

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