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Ogni società, aggregazione umana non può vivere senza un complesso di regole che disciplinano i
rapporti tra le persone che compongono l’aggregazione stessa e senza apparati che si incarichino di
farle osservare.
L’uomo per sua natura è portato a cercare l’aiuto e la collaborazione dei suoi simili; la cooperazione
rende possibile il raggiungimento di obiettivi che non sarebbero raggiungibili per il solo singolo.
NON ogni forma di collaborazione, però, da vita ad una collettività, cioè persone che costituiscono
un gruppo organizzato. Legati alla collettività ci sono 3 condizioni:
- il coordinamento degli apporti individuali non deve essere lasciato al caso o ala buona volontà di
ciascuno, ma deve essere disciplinato da regole di condotta, per garantire la collaborazione;
- queste regole devono sussistere sempre, non devono essere applicate in via transitoria o
occasionale, sulla base di precise regole di struttura o di competenza o organizzative;
- le due regole precedenti devono essere effettivamente osservate ↔ principio di effettività.
ORDINAMENTO GIURIDICO ↔ insieme di norme che regolano, disciplinano tutti i rapporti che
possono coesistere all’interno di una collettività che rendano
possibile una convivenza pacifica.
Ordinamento deriva da ordine, cioè una regola etica e impositiva di una collettività.
L’ordinamento non è un dato obiettivo, fisso e immutabile, è il risultato, in continua evoluzione, dei
comportamenti dei membri della collettività, delle loro lotte e delle loro alleanze, delle loro
ideologie, delle interpretazioni che i gruppi dominanti riescono ad imporre, ecc…
Esso costituisce un DIRITTO in senso OGGETTIVO, cioè il sistema di regole che organizzano la vita
sociale.
1) Chi le impone?
La fonte che dà “vita” alle norme è il Parlamento.
Il Parlamento ha una funzione istituzionale di formare e promulgare le leggi attraverso un sistema
democratico, disciplinato da regole e procedimenti.
Il Parlamento è diverso a seconda del Paese in cui ci si trova, ed esempio in Ruanda c’è un dittatore
non un Parlamento.
3) Chi le fa rispettare?
Il compito di far rispettare le norme è dell’apparato giurisdizionale, rappresentato dalla
magistratura, che vede la concerta applicazione di esse.
Tra tutte le forme di collettività la più importante è rappresentata dalla società politica, che è rivolta
“alla soddisfazione non già di uno o dell’altro dei vari bisogni dei consociati, bensì di quello che
tutti li precede condizionandone il conseguimento, e che consiste nell’assicurare i presupposti
necessari affinché le varie attività promosse dai bisogni stessi vengano svolti in modo ordinato e
pacifico”.
Questo tipo di società mira ad impedire le aggressioni tra i consociati, prevenendole e
scoraggiandole mediante la minaccia di sanzioni ai trasgressori, e tende a potenziare la difesa
dell’intera collettività contro i pericoli esterni, a promuovere lo sviluppo e il benessere della
comunità.
In epoca moderna si è verificato un importante processo di espansione dei compiti pubblici: da un
lato ha contribuito la rivoluzione industriale, che ha provocato un aumento del livello culturale delle
masse, garantendo a tutti il pieno sviluppo della persona, un’esistenza libera e dignitosa, stabilità
lavorativa, tutela igienico-sanitaria, ecc… Dall’altro lato la vita economica spinge il potere pubblico
ad interventi frequenti, volti a proteggere e incentivare o frenare e regolare il fenomeno industriale,
perché l’iniziativa economica “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da
arrecare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.
Il processo di integrazione europea ha avuto inizio nei primi anni ’50 con 3 Trattati costitutivi:
1. 1951 → Trattati di Parigi, che hanno dato vita alla CECA;
2. 1957 → Trattati di Roma, che hanno istituito la CEE e l’EURATOM.
Essi erano volti a cerare alcune istituzioni comuni ed erano orientati alla definizione di un’area di
libera circolazione delle merci e dell’attività economica.
3. 1992 → Trattato di Maastricht, il quale ha istituito l’UNIONE EUROPEA.
Si sono avute delle modificazioni nel tempo con alcuni trattati:
1. 1997 → Trattato di Amsterdam
2. 2001 → Trattato di Nizza
Rimane ancora aperto il Trattato costituzionale dell’Unione Europea, firmato a Roma nel 2004, ma
non è entrato in vigore.
LA NORMA GIURIDICA
L’ordinamento giuridico è composto da regole, esse si chiamano norme. Sono giuridiche, in quanto
appartengono allo ius.
La giuridicità della norma deriva da criteri fissati da ciascun ordinamento, è dotata di autorità, in
quanto è inserita nel sistema giuridico che contribuisce pure essa stessa a formare.
La norma giuridica essendo dotata di autorità è vincolante per tutti i consociati, avviene quando una
regola trova origine in un atto o in un fenomeno normativo, cioè quel fenomeno idoneo a porsi
come fonte di norme giuridiche.
Norma giuridica ≠ norma morale!
La norma morale è assoluta, cioè trova solo nel suo contenuto la propria validità, e obbliga solo
l’individuo che decide di adeguarsi ad essa. È anche autonoma, cioè che funge da imperativo solo in
quanto la coscienza del singolo spontaneamente ne accetti il comando.
La norma giuridica trae la propria forza vincolante dal fatto di essere prevista da un atto dotato di
autorità nell’ambito dell’organizzazione della collettività; è eteronoma, cioè è imposta da altri,
dall’ordinamento nel suo complesso.
Le norme giuridiche vengono prodotte da fonti; la volontà di chi le produce le deve consacrare in un
documento normativo. La formulazione concerta dell’atto di esercizio del potere normativo, è
chiamato testo, nel caso di una disposizione normativa scritta si parla di precetto di quel testo.
L’individuazione del significato del testo è il risultato di un’interpretazione del testo stesso. Di
qualsiasi testo possono esserci più interpretazioni, di conseguenza di un medesimo testo possono
esserci differenti o contrastanti precetti.
DIRITTI: distinzione.
Il diritto naturale è rappresentato da quelle istanze naturali, non è mai codificato; è dettato dalle
aspirazioni, cioè ciò che si vorrebbe che fosse. Esso non trova un fondamento obiettivo, in quanto il
contenuto di tale diritto, nel tempo, è mutato e continuerà a mutare.
Il diritto positivo (ius in civitate positum) è posto e consegnato in norme che rappresentano
comandi per i destinatari, composto dalla norme che formano ciascun ordinamento giuridico; se
esso viene violato c’è come pena una sanzione.
I giuristi positivi si basano sulle norme per come sono state poste dall’autorità competente, cioè
interrogandosi sulla ragione per cui è stata posta la norma: la ratio legis.
Il concetto di diritto evoca quello di giustizia. In nessun ordinamento, però, si realizza davvero un
sistema di rapporti giusto, ciò è dovuto alla natura imperfetta dell’uomo.
L’individuazione di ciò che è obiettivamente giusto presuppone la capacità del singolo di privarsi
della sue passioni, dei suoi egoismi, delle sue concezioni necessariamente soggettive e anche delle
ideologie.
La parte della norma che descrive l’evento che intende regolare, facendone discendere determinati
effetti giuridici è la fattispecie; ci sono due tipi di fattispecie:
- astratta → per la quale si intende un complesso di fatti non realmente accaduti, ma descritti
ipoteticamente da una norma ad indicare quanto deve verificarsi affinché si produca una data
conseguenza giuridica; la sua individuazione si risolve in una semplice operazione di
interpretazione del testo;
- concreta → si intende un complesso di fatti realmente verificatisi e rispetto ai quali occorre
accertare se e quali effetti giuridici ne siano derivati; l’indagine della fattispecie concreta consiste
nell’accertamento del fatto storico, quando si è verificato, per porre a confronto il fatto con
l’ipotesi astratta prevista e regolata dalla legge.
La fattispecie può riguardare un solo fatto, in questo caso si tratta di fattispecie semplice; mentre
quando la fattispecie è costituita da una pluralità di fatti giuridici, si dice composta. Quest’ultima si
verifica solo quando si siano realizzati tutti i fatti giuridici da cui essa è composta.
La fattispecie può essere anche a formazione progressiva, cioè quando consta in una serie di fatti
che si succedono nel tempo prima che la serie sia completa. La protezione è minore di quella
prevista quando la fattispecie è completa in tutti gli elementi, ma comunque l’effetto anticipato non
si può negare.
Esempio: contratto sottoposto a condizione sospensiva; negozio su cosa futura.
LA SANZIONE
In violazione della norma giuridica è prevista una pena, chiamata sanzione; la sua minaccia
favorisce l’osservanza spontanea della norma.
Quindi, il legislatore accanto a norme di condotta (dette primarie), prevede che ci sia una risposta o
reazione dell’ordinamento, attraverso le norme sanzionatorie o secondarie, da far scattare in caso di
inosservanza del comportamento prescritto.
La difesa dell’ordinamento giuridico avviene non solo attraverso misure repressive o restaurative di
una situazione preesistente, ma misure anche di vigilanza e di dissuasione.
Le norme promozionali o incentivanti sono quelle norme che sono a favore del soggetto che si
venga a trovare in particolari situazioni (esempio: imprese che si insediano in zone depresso o
sottosviluppate).
Astrattezza:
la legge non deve essere dettata per specifiche situazioni concrete, ma per fattispecie astratte, cioè
per situazioni individuate ipoteticamente.
Viene riconosciuta l’ammissibilità di leggi in senso formale, cioè atti degli organi legislativi,
emanati secondo le procedure stabilite dalla Costituzione per la formazione delle leggi, che non
dettino norme generali e astratte (leggi-provvedimento).
Principio di uguaglianza:
viene proclamato all’art. 3 della Costituzione.
Da esso deve venire distinto il principio dell’imparzialità, cioè l’obbligo di applicare le leggi in
modo eguale, senza arbitrarie differenziazioni di trattamento a favore o a danno dei singoli
interessati.
Il principio di uguaglianza ha due profili:
a) carattere formale → “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla
legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di
condizioni personali e sociali”.
Il legislatore ordinario ha posto un vincolo sul cittadino, per l’individuazione delle categorie
di soggetti cui ciascuna norma si indirizza, deve avvenire in modo non arbitrario, con criteri
che evitino di trattare situazioni omogenee in modo differenziato. Va precisato che il
principio di uguaglianza va applicato anche nei confronti dello straniero.
Il controllo del rispetto di tale principio è affidato alla Corte Costituzionale, che può
dichiarare l’illegittimità di una norma avente forza di legge quando ravvisi una irragionevole
o arbitraria differenziazione normativa di situazioni.
b) carattere sostanziale → la Repubblica si impegna “a rimuovere gli ostacoli di ordine
economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini,
impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i
lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Ciò è stato affermato per attenuare le differenze di fatto, economiche e sociali, che
discriminano le condizioni di vita dei singoli.
L’EQUITÀ
Nozione: è stata definita la giustizia del caso singolo.
Non sempre, però, si può fare ricorso all’equità come criterio decisorio. L’ordinamento giuridico
sacrifica spesso la giustizia del caso singolo all’esigenza della certezza del diritto, in quanto ritiene
pericoloso affidarsi alla valutazione soggettiva del giudice. La certezza del diritto presuppone: la
comprensibilità delle leggi, la stabilità della giurisprudenza e l’irretroattività delle norme.
Il giudice, quindi, deve seguire le norme di del diritto, e può far ricorso all’equità solo nel caso sia
la legge ad attribuirgli il potere di decidere secondo equità.
Il giudice non può far prevalere le sue concezioni personali, equità cerebrina, ma deve ispirarsi a
quelle accolte dall’ordinamento vigente e ricercare come si sarebbe potuto comportare il legislatore
se avesse potuto prevedere il caso.
L’equità integrativa si riferisce ai casi in cui la legge prevede che il giudice provveda ad integrare o
determinare secondo equità gli elementi di una fattispecie o anche di un regolamento contrattuale
predisposto per le parti.
DIRITTI: distinzione.
Il diritto pubblico disciplina l’organizzazione dello Stato e degli altri enti pubblici, regola la loro
azione, interna e di fronte ai privati, ed impone a questi ultimi il comportamento cui sono tenuti per
rispettare la vita associata e il reperimento di mezzi finanziari necessari per il perseguimento delle
finalità considerate pubbliche.
Il diritto privato è l’insieme di norme che disciplinano le relazioni interindividuali, sia dei singoli
che degli enti privati, lasciando alla iniziativa personale anche l’attuazione delle singole norme; esse
sono dettate in modo tale di avere presente l’interesse della società. Si tratta anche di disposizioni in
base alle quali il singolo, individuo o ente, opera su un piano di uguaglianza con gli altri individui.
La distinzione tra i due diritti è variabile e incerta (enti pubblici possono svolgere attività di diritto
privato in concorrenza con aziende private; soggetti privati possono essere concessionari di servizi
pubblici ed essere dotati di poteri pubblicistici; lo Stato o altri enti pubblici hanno il controllo di
società di diritto privato).
I soggetti pubblici possono occuparsi di iure privatorum, sui beni pubblici possono costituirsi
rapporti di diritto privato, gli enti pubblici perseguono o svolgono servizi di pubblico interesse per il
tramite di società per azioni di diritto privato, costituite da enti pubblici, sia con la partecipazione di
altri enti pubblici, sia unitamente a soggetti privati.
Molto spesso un medesimo fatto è disciplinato sia da norme di diritto privato che di diritto pubblico.
Questa bipartizione va conservata in via orientativa e come criterio di massima di ripartizione della
materia.
La realtà della società di massa, dei grandi complessi industriali, del consumismo, deve assumere
come tendenzialmente pubblica ogni disciplina che coinvolga intere classi e collettività, a
prescindere dal tipo di poteri o funzioni in cui quella disciplina si concentra.
Libro I°: importanza da parte del legislatore alla persona come singolo, appartenente a gruppi
oppure parte di una famiglia;
Libro II°: regola i rapporti giuridici che nascono dopo la morte;
Libro III°: è dedicato al concetto fondamentale di bene alla proprietà. La persona è titolare di un
diritto: concetto di proprietà esclusiva.
Non si parla più di rapporti interpersonali, ma tra persone e cose.
Libro VI°: regola la circolazione dei diritti, in particolare con gli istituti della trascrizione e della
prescrizione.
Nel termine giuridico codice si intendeva una raccolta di materiali normativi, realizzata
coordinando e manipolando i testi precedenti; dopodichè, il codice è stato inteso come la raccolta di
una legge tutta nuova, che si caratterizza per le note della organicità, della sistematicità, della
universalità ed eguaglianza. Ciò ha previsto l’abrogazione del diritto precedente vigente nella
materia codificata, e l’accertamento della disciplina nell’intero territorio contemplato e la facilità di
reperimento e consultazione del materiale normativo.
Nella storia moderna (XVII e XVIII secolo) ha avuto grande importanza la codificazione, sia in
campo costituzionale sia nel campo del diritto privato. Dal Medioevo ne derivò una situazione di
estrema complessità, con una molteplicità di fonti normative intersecantisi, essa favorirono
l’aumento delle incertezze, degli arbitri e dei disagi.
Il codice civile riveste un ruolo di fondamentale, centrale importanza nel sistema del diritto privato,
in quanto regola: i rapporti tra soggetti, l’attività, i principi fondamentali sulla responsabilità civile e
si pone come elemento di integrazione e supporto per qualsiasi altra legge.
Il primo grande codice fu il Code Napoleon emanato nel 1804, il quale diffuse i principi
dell’eguaglianza tra i cittadini e l’idea del primato del diritto di proprietà, il principio di libertà dei
commerci e delle attività economiche tra i privati.
In Italia la vita dei codici è stata particolarmente difficile. Un primo codice si ebbe dopo
l’unificazione del Regno di Italia nel 1865, accompagnato da un codice di commercio; nel 1938
cominciarono ad essere emanati singoli libri di un nuovo codice civile, interamente promulgato nel
1942 e in cui venne assorbito anche il codice di commercio.
La scelta di emanare un codice durante la grande guerra non fu felice, perché nel dopo guerra
furono emanate leggi che cambiarono profondamente il testo del codice originale. Anche per quanto
riguarda l’ideologia con cui era stato creato non è rimasta nel codice.
La tenuta del codice ha assunto una funzione di documento centrale e fondamentale nel
regolamento dei rapporti inter-privati.
La Carta costituzionale del 1948 affronta i temi principali legati alla perequazione sociale, di
elevazione delle masse, di partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica
e sociale del Paese.
Ora, anche i codici sono soggetti al controllo di legittimità della Corte Costituzionale, le sue leggi
possono essere modificate con leggi ordinarie successive. Le modifiche spesso vengono apportate
con la tecnica della Novella, cioè sostituendo direttamente il testo di un articolo, ferma la
numerazione originari, oppure aggiungendo articoli nuovi.
L’istanza di tutela proviene dal basso, cioè dai cittadini. Il legislatore recepisce le istanze e le
trasforma in norme che regolano una determinata materia.
Solo nel regime democratico in questo modo non si verificano squilibri, vengono recepite in modo
egualitario.
Art.1 C.C. Disposizioni sulla legge in generale→ Indicazione delle fonti. “Sono fonti del diritto:
1) le leggi;
2) i regolamenti;
3) [le norme corporative];
4) gli usi.”
È una legge ordinaria.
Esse hanno subito un’evoluzione, in quanto con la caduta del fascismo le norme corporative non
esistono più, esse avevano un senso solo in quel periodo; esse regolavano i rapporti tra le
corporazioni e i privati. Nel secondo dopo guerra si sono aggiunte altre importanti fonti del diritto la
Costituzione e le leggi costituzionali.
La gerarchia delle fonti, perciò con la Costituzione, risulta rimodellata:
a) i principi supremi o fondamentali, da cui derivano i diritti inviolabili;
b) le disposizioni della Carta Costituzionale e delle leggi di rango costituzionale;
c) le leggi ordinarie e le altre fonti inserite nell’art. 1 delle preleggi.
Ad esse si sono poi aggiunte: le leggi regionali e le norme di matrice comunitaria con la “creazione”
dell’UE.
L’articolo offre anche una giusta interpretazione delle caratteristiche delle norme:
- generalità
- astrattezza
- specialità
FONTI INTERNE:
1. NORME COSTITUZIONALI
la Costituzione assolve la funzione di fondamentale norma sulla produzione giuridica; stabilisce: il
procedimento di formazione delle leggi, la disciplina degli atti normativi.
Le disposizioni costituzionali si integrano alla Costituzione e precisano che la formazione delle
leggi e degli atti del Governo aventi forza di legge sono disciplinate da leggi di carattere
costituzionale.
La Costituzione pone dei limiti sostanziali all’attività del legislatore, in quanto contiene i principi
supremi e non sono suscettibili di revisione. Esse sono approvate da un’apposita procedura, regolata
dall’art. 138 della Costituzione.
Art.138 Costituzione → “Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono
adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono
approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione.
Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare, quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne
facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque dei Consigli
regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti
validi.
Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a
maggioranza di due terzi dei suoi componenti.”
Quando la Corte Costituzionale verifica l’incostituzionalità della norma, la dichiara con una
sentenza ed essa cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione.
2. Le LEGGI ORDINARIE disciplinano delle materie specifiche (penale, civile, amministrativo, ecc…).
Esse sono approvate dal Parlamento con una procedura particolare: approvazione di un identico
testo da parte di entrambe le Camere, con successiva promulgazione da parte del Presidente della
Repubblica e pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Per essere approvate occorre la maggioranza di
presenti (50%+1 ↔ iter legislativo ordinario).
Ci sono materie, però, che devono essere disciplinate da specifiche leggi, chiamate riserva di legge,
e quindi non possono essere disciplinate da fonti normative di rango inferiore.
Art.117 Costituzione→ “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della
Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.
Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie:
a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l’Unione europea; diritto di
asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea;
b) immigrazione;
c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose;
d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi;
e) moneta, tutela del risparmio e mercanti finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario; sistema
tributario e contabile dello Stato; perequazione delle risorse finanziarie;
f) organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento europeo;
g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali;
h) ordine pubblico e sicurezza, ed esclusione della polizia amministrativa locale;
i) cittadinanza, stato civile e anagrafi;
j) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa;
k) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere
garantiti su tutto il territorio nazionale;
l) norme generali sull’istruzione;
m) previdenza sociale;
n) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città
metropolitane;
o) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale;
p) pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati
dell’amministrazione statale, regionale e locale; opere dell’ingegno;
q) tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.
Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l’Unione europea delle
Regioni; commercio con l’estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l’autonomia della istituzioni
scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e
tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione, ordinamento
sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di
navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia;
previdenza complementare e integrativa; armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza
pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione
di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito
fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà
legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.
Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla
legislazione dello Stato.
Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle
decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all’attuazione e all’esecuzione
degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da
legge dello Stato, che disciplinano le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza.
La potestà regolamentare spetta allo Stato nella materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni. La
potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia. I Comuni, le Province e le Città metropolitane
hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni
loro attribuite.
Le leggi regionali rimuovo ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita
sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive.
La legge regionale ratifica le intese della Repubblica con altre Regioni per il migliore esercizio delle proprie
funzioni, anche con individuazione di organi comuni.
Nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali
interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato.”
La legge ordinaria è:
- generale
- speciale: disciplina settori specifici; successiva deroga alla legge generale
- eccezionale: si discosta dalla legge generale; derogano alla legge generale, ma valgono solo
per i destinatari a cui è rivolta.
3. I REGOLAMENTI sono fonti di diritto secondarie, non possono essere in contrasto con le leggi di
rango superiore. I regolamenti possono essere: regionali, comunali, parlamentari, ecc….
Essi possono essere emanati dal Governo, dai ministri o da altre autorità amministrative, come le
autorità indipendenti, in ambito di apposite prescrizioni di legge; essi non derivano dal potere
legislativo, ma da quello amministrativo!
Hanno contenuto normativo, generale ed astratto, e possono riguardare le materie più varie.
Essi disciplinano:
- l’organizzazione e il funzionamento dei pubblici uffici e anche degli organi costituzionali;
- regolano specifiche materie in forza di una delega o autorizzazione contenuta in una legge per
completare la disciplina, che può fare rinvio a successivi regolamenti.
4. Gli USI e le CONSUETUDINI hanno importanza residuale rispetto a leggi e regolamenti. Non hanno
forma scritta, non sono procedurizzati (è la fonte di diritto più antica). Il diritto consuetudinario ha
avuto grande importanza storica, ma anche nell’attuale diritto contemporaneo ci sono settori nei
quali la consuetudine ha mantenuto un ruolo di rilievo.
Esse sussistono quando:
1. c’è la ripetizione, generale e constante in un certo ambiente, per un tempo adeguatamente
protratto, di un certo tipo di comportamento osservabile come regola di condotta tra privati;
2. c’è un atteggiamento di osservanza di quel comportamento in quanto ritenuto, nell’ambiente
sociale considerato, doveroso e non semplicemente conforme a prassi.
La consuetudine provengono, quindi, direttamente dal destinatario attraverso il suo comportamento,
tenuto e reiterato nel tempo, con la convinzione, che il comportamento tenuto e mantenuto
corrisponda ad una norma giuridica e che esso sia necessario. ↔ elemento soggettivo
Esempio:
la Camera di Commercio è basata su un diritto consuetudinario consegnato da chi aveva la
convinzione che fosse strettamente necessario affidarsi ad esse per regolamentare la propria
attività;
il regolamento delle fiere di bestiame è basato su tradizioni.
L’uso normativo è norma giuridica che costituisce fonte di diritti tra privati, il singolo di fronte ad
una lesione di un suo diritto può rivolgersi al giudice per chiedere tutela.
Art.8 C.C. Disposizioni sulla legge in generale→ Usi. “Nelle materie regolate dalle leggi e dai
regolamenti gli usi hanno efficacia solo in quanto sono da essi richiamati.
[Le norme corporative prevalgono sugli usi, anche se richiamati dalle leggi e dai regolamenti, salvo che in esse
sia diversamente disposto.]”
Gli usi non possono disciplinare materie già regolate dalle fonti del diritto di grado più elevato.
Da questo articolo bisogna specificare il valore della consuetudine:
le materie o fattispecie disciplinate da leggi e regolamenti ↔ la consuetudine è idonea a
produrre effetti giuridici solo se ad essa si fa espresso rinvio nelle leggi e nei regolamenti
(consuetudine secundum legem). Il rinvio alla consuetudine però non è consentito alle materie
regolare da riserve di legge, in quanto dette materie non possono essere disciplinate che dalla
legge, e se facesse rinvio ad una consuetudine, essa sarebbe costituzionalmente illegittima.
le materie e fattispecie che non trovano disciplina in fonti scritte ↔ si argomenta a contrario
dalla disposizione presa in esame; molti affermano che sia possibile ricorrere alla
consuetudine per colmare le lacune del diritto. (consuetudini praeter legem)
Il ricorso alla consuetudine in questo caso è consentita solo se il caso non possa essere risolto
per analogia, e nemmeno ricada sotto alcun principio generale.
Per le consuetudini vale il principio iura novit curia, cioè il giudice deve applicare la consuetudine
di cui sia a conoscenza, anche se le parti la ignorino o non ne facciano richiesta; oppure una parte
può farne richiesta se ritenga che sia utile al fine della decisone della controversia, in questo caso
dimostra l’esistenza di essa collaborando con il giudice.
Art.9 C.C. Disposizioni sulla legge in generale→ Raccolte di usi. “Gli usi pubblicati nelle raccolte
ufficiali degli enti e degli organi a ciò autorizzati si presumono esistenti fino a prova contraria.”
Gli usi sono raccolti e assumono valenza di fonte del diritto solo in alcuni rapporti: il buon costume,
ordine pubblico, ecc…
Esso è chiamato uso normativo.
Uso normativo ≠ uso negoziale
└ integrazione degli effetti del contratto
Uso normativo ≠ uso interpretativo
└ funzione interpretativa del contratto
FONTI COMUNITARIE:
1.a) TRATTATI COMUNITARI: norme che vincolano sulle leggi interne, dal momento in cui ha
regolato l’istituzione della comunità. Essi sono posti sullo stesso livello delle norme costituzionali.
Se viola le leggi ordinarie, prevale il trattato comunitario ed è la legge ordinaria che deve adeguarsi.
1.b) REGOLAMENTI COMUNITARI: contengono norme applicabili dai giudici dei singoli Stati membri,
come se fossero leggi dello Stato; entrano direttamente nell’apparato burocratico dello Stato
membro. Sono di immediata attuazione, non hanno bisogno di leggi per essere recepite
nell’ordinamento giuridico del Paese membro.
Nel caso in cui una legge interna debba contrastare con un regolamento comunitario, il giudice
italiano deve disapplicare la norma interna e applicare la norma regolamentare.
2. Le DIRETTIVE COMUNITARIE si rivolgono agli Stati membri e hanno il compito di armonizzare le
legislazioni interne dei singoli Paesi. Devono essere recepite dagli Stati membri attraverso una
legge ordinaria. Nello Stato italiano vengono recepite attraverso una legge comunitaria nel mese di
febbraio, sottoforma di decreto legislativo di attuazione di un insieme di direttive delle quali sia in
scadenza il termine.
Quando contengono materie che disciplinano i diritti fondamentali della persona entrano
direttamente in vigore.
Uno Stato, quando non le percepisce nel proprio ordinamento secondo i termini previsti dalla
direttiva, può essere sanzionato dagli organi comunitari. Quando, invece, la direttiva sia
sufficientemente specifica e sia scaduto il termine per il suo recepimento, gli organi della Pubblica
Amministrazione si devono per forza di cose uniformare, anche in assenza di apposita legge di
recepimento.
Art.11 C.C. Disposizioni sulla legge in generale→ Efficacia della legge nel tempo. “La legge
non dispone che l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo.
I contratti collettivi di lavoro possono stabilire per la loro efficacia una data anteriore alla pubblicazione,
purché non preceda quella della stipulazione.”
Dopo l’entrata in vigore di una legge i rapporti verranno regolati con essa. La norma verrà, quindi,
applicata alla fattispecie descritta, in astratto, che si verifica, in concreto, successivamente
all’entrata in vigore della norma stessa. I rapporti preesistenti verranno regolati ancora con la
precedente legge. Il principio di irretroattività della legge garantisce la certezza del diritto e dei
consociati.
La norma penale non può essere retroattiva in quanto “nessuno può essere punito per un fatto che,
secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato”.
La norma retroattiva è quella norma che attribuisce conseguenze giuridiche a fattispecie
verificatesi in momenti anteriori alla sua entrata in vigore. Se si vuole che la legge sia retroattiva
deve essere specificato nella stessa legge.
Ci sono però delle eccezioni:
- in diritto penale: se la legge è più favorevole per il reo (favor rei) ci sarà l’effetto della
retroattività della legge, se una legge dispone misure più restrittive per il reo vige la legge
precedente;
- se il legislatore rende retroattiva una legge;
- hanno efficacia retroattiva le leggi interpretative, cioè quelle emanate per chiarire il
contenuto di una norma antecedente e che si applicano a tutti i fatti regolati da quest’ultima,
anche se anteriore alla legge interpretativa.
Quando la norma ha efficacia retroattiva, si applica anche alla risoluzione delle controversie che
siano ancora pendenti al momento della sua entrata in vigore (ius superveniens).
Il legislatore, in alcuni casi, interviene per regolare il passaggio tra la legge vecchia e quella nuova
con specifiche norme: disposizioni transitorie.
Egli potrebbe anche non provvedere ad esse o non abbia previsto casi applicabili a quella legge; in
questo caso sorgono problemi delicati che vengono chiamate questioni di diritto transitorio o di
successione di leggi nel tempo.
Si hanno 2 teorie:
1. teoria del diritto quesito → la nuova legge non può colpire i diritti quesiti, cioè quelli già
entrati nel patrimonio di un soggetto; essa è criticata perché non agevola la differenza tra
diritto quesito e la semplice aspettativa dell’acquisto di un diritto.
2. teoria del fatto compiuto → la nuova legge non estende la sua efficacia ai fatti
definitivamente perfezionati sotto il vigore della legge precedente, dai fatti devono essere
ancora pendenti gli effetti. È maggiormente condivisa come teoria; essa però offre criteri
meramente indicativi e lascia aperti i problemi legati ai rapporti pendenti oppure quando una
fattispecie si è verificata nell’impero di una legge ma non ha ancora esaurito tutti i suoi
effetti.
Occorre risalire alla volontà del legislatore e domandarsi se egli con la nuova legge non voglia
attribuirgli efficacia immediata al regolamento disposto ed estenderlo ai fatti compiuti, ma non
esauriti sotto il vigore di quella preesistente.
L’ultrattività di una norma si ha quando una disposizione di legge, stabilisce che atti o rapporti,
compiuti o svolgentisi nel vigore di una nuova normativa, continuano ad essere regolati dalla legge
anteriore.
Art.15 C.C. Disposizioni sulla legge in generale→ Abrogazione delle leggi. “Le leggi non
abrogate che da leggi posteriori per dichiarazione espressa dal legislatore, o per incompatibilità tra le nuove
disposizioni e le precedenti o perché la nuova legge regola l’intera materia già regolata dalla legge anteriore.”
L’abrogazione di una legge si ha quando un nuovo atto dispone che ne debba cessare l’efficacia; per
l’abrogazione occorre sempre l’intervento di una nuova disposizione di pari valore gerarchico: la
legge può essere abrogata da una legge posteriore (lex posterior deposat priore).
L’abrogazione può essere:
a) espressa ↔ la legge posteriore dichiara esplicitamente abrogata la legge anteriore, o suoi
articoli. Una figura di abrogazione espressa è il referendum popolare, richiesto da almeno
500 mila elettori o 5 Consigli Regionali. Tale richiesta si considera approvata se alla
votazione partecipa la maggioranza degli aventi diritto e la proposta consegua la
maggioranza dei voti espressi;
b) tacita ↔ manca tale dichiarazione, ma le disposizioni posteriori:
- o sono incompatibili con una o più disposizioni antecedenti;
- o costituiscono una regolamentazione dell’intera materia già regolata dalla legge
precedente, la quale deve ritenersi assorbita e sostituita integralmente dalle
disposizioni più recenti anche in assenza di una vera e propria incompatibilità tra la
vecchia e la nuova disciplina.
Anche l’illegittimità costituzionale di una legge ne fa perdere l’efficacia; essa annulla la
disposizione illegittima ex tunc, cioè come se non fosse mai esistita e non potrà essere più applicata
ai casi preesistenti.
L’abrogazione di una norma che aveva abrogato una norma precedente non fa rivivere quest’ultima,
salvo che sia disposto diversamente, in tal caso si parla di una norma ripristinatoria.
La deroga si ha quando una nuova norma sostituisce, ma solo per specifici casi, la disciplina
prevista dalla norma precedente, che continua però ad essere applicabile a tutti gli altri casi.
Il Ministero della delegificazione ha il compito più oneroso: ha il compito di guardare a ciò che
bisogna mantenere e ciò che bisogna togliere.
L’interpretazione del testo normativa consiste nel decidere che cosa si ritiene che il testo
effettivamente possa significare, e come vadano risolti i conflitti che insorgono nella sua
applicazione.
Un testo normativo ha letture plurime, tra le quali l’interprete sceglie la soluzione più opportuna, al
caso presentato, in basa a valutazioni complesse, a criteri di preferenza che inducono a ritenere un
risultato preferibile ad un altro.
L’attività dell’interpretazione non viene mai ad esaurirsi nel mero esame dei dati testuali; infatti,
non tutti i vocali giuridici trovano significato nelle norme, vanno ricavati da elementi extra-testuali.
Art.12 C.C. Disposizioni sulla legge in generale→ Interpretazione della legge. “Nell’applicare
la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole
secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore.
Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che
regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali
dell’ordinamento giuridico dello Stato.”
Tratta dell’applicazione della legge; l’interpretazione è l’attività necessaria per l’applicazione di una
legge. Il legislatore ha fissato dei canoni entro i quali rimanere.
I° comma: 1. criterio letterale ↔ è il criterio delle parole secondo la connessione di esse:
“significato proprio” (ma deve fare attenzione perché nessun
vocabolo ha un significato univoco). È un criterio sistematico
unitamente al criterio funzionale dell’individuazione della ratio
legis.
2. criterio dell’individuazione dell’intenzione del legislatore ↔ mitiga il criterio
precedente. Cioè individuare la ratio legis (la ragione di legge)
del legislatore; la predisposizione da parte del legislatore di
recepimento da parte di una collettività, dopo aver notato che le
istanze di legge non saranno conflittuali all’interno della
collettività e in base al contesto storico e socio-culturale.
Potrà essere necessaria agli studiosi, giuristi per comprendere gli
atti parlamentari (atti pubblici).
L’interprete ricostruisce l’intenzione del legislatore avvalendosi
di elementi extra-testuali.
3. criterio sistematico ↔ prevede che ad ogni singolo caso vengano combinate più
norme, opportunamente ritagliate e ricomposte.
Esempio:
nel periodo fascista furono emanate le leggi raziali, le quali avevano come loro giustificazione (la
ratio) la salvaguardia della razza. Ora, questa motivazione non è giustificabile.
Ogni testo normativo richiede di essere interpretato, si hanno 2 diversi tipi di interpretazione:
1) interpretazione dichiarativa → l’interprete attribuisce a un documento legislativo un senso
più immediato e intuitivo. Il principio metodologico in claris non fit interpretatio prescrive
di attenersi ad una interpretazione dichiarativa, ove la legge non sia oscura.
2) interpretazione correttiva → quando alla legge si attribuisce un significato diverso dal quello
che apparirebbe; si ha nelle forme:
a) estensiva
b) restrittiva: può giungere fino al limite dell’interpretazione abrogante.
Nell’uso si contrappone alla “interpretazione della legge” la “integrazione della legge”, per
distinguere tra l’attribuzione di significato ad un determinato documento normativo e la
individuazione di una nuova norma. Quindi rientra nell’attività interpretativa anche l’integrazione
della legge.
L’ANALOGIA
II° comma: i destinatari sono i magistrati e l’organo giudiziario. Possono giungere al Magistrato
delle controversie di interpretazione analogica delle norme. Essi non possono rifiutarsi di decidere
in merito ad una questione in quanto esiste questo comma (se si rifiutano pena di denegata
giustizia). Non possono sottrarsi alla decisione di una controversia anche perché esistono casi simili
o materie analoghe, qualora il caso rimanga ancora dubbio si applicano i principi generali
dell’ordinamento giuridico dello Stato.
Ricorrere all’analogia significa: applicare ad un caso non regolato una norma non scritta ricopiata
da una norma scritta, la quale, però, risulta dettata per regolare un caso diverso, sebbene simile a
quello da decidere. C’è un’identità di ratio, cioè una somiglianza data da identità di alcuni elementi,
e la ratio va ricercata dove sussista il comune elemento di entrambe le fattispecie.
L’analogia legis è l’applicazione in via analogica ad un caso non regolato da singole disposizioni
ritenute adatte a regolare quella fattispecie; mentre si ricorre all’analogia iuris, quando il caso
rimanga ancora dubbio. L’analogia iuris riguarda tutti quei principi generali dell’ordinamento
giuridico dello Stato, dai quali si estrapola la regola solutoria del caso dubbio.
Esempio:
negli anni ’80, inizi ’90 ci furono i primi contratti di leasing e factoring. Il leasing è un contratto con
cui una parte offre ad un’altra parte un bene in godimento. L’altra parte paga un canone per il
godimento del bene. Al momento della scadenza con il versamento dei canoni restanti può
acquistare totalmente la proprietà.
Questi casi non essendo ancora conosciuti, qualora sorgevano delle controversie per decidere si
ricorre alla vendita di riserva della proprietà, locazione, finanziamento.
L’analogia legis e iuris possono anche coesistere, perché un caso può essere deciso con analogia
legis ma può rimanere dubbio e il legislatore di conseguenza di affida all’analogia iuris.
L’analogia ha dei limiti: infatti, non è consentita per le leggi penali e per le leggi eccezionali.
Art.14 C.C. Disposizioni sulla legge in generale→ Applicazione delle leggi penali ed
eccezionali. “Le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano
oltre i casi e i tempi in esse considerati.”
Le leggi penali hanno la tipicità del reato e della pena; prevede specifici reati e pene. Non si
possono individuare altri reati che non sono stati precedentemente studiati dal legislatore.
Le leggi eccezionali sono motivate (esempio: anni ’70 leggi contro il terrorismo, terremoti-
esonerati da una certa tassa per permettere di risolvere il problema primario creato dal terremoto,
ecc…). Il limite di queste leggi è che sono destinate ad esaurirsi nel tempo, non riguarda tutti ma
solo i destinatari della legge eccezionale.
INTERPRETAZIONE
Dal punto di vista dei soggetti l’interpretazione si distingue:
1) GIUDIZIALE: da luogo ad una serie di provvedimenti emessi dai giudici, NON sono vincolati
per gli altri giudici, ma serve per un orientamento dei giudici per non creare sconvolgimento
nell’interpretazione. Assume valore vincolante solo nel caso che l’interpretazione venga
svolta da giudici dello Stato.
Una sentenza, scaturita da questo tipo di interpretazione, è idonea ad assumere valore di
precedente nei confronti di altri casi simili, limitato, però, alla persuasività logica ed
argomentativa del criterio di decisione.
Tale interpretazione ha di fatto sempre una notevole autorità a causa delle tendenze alla
consolidazione della giurisprudenza.
Ci sono diversi gradi di giudizio:
- I° grado ↔ il giudice emette una sentenza; la parte soccombente può ricorrere in appello e
richiedere ad un altro giudice di ripetere lo stesso processo;
- II° grado ↔ Corte d’Appello; si ha la ripetizione del processo con il fine di arrivare alla
sentenza di appello. Il secondo giudice può dare torto al primo giudice ed emanare una
seconda sentenza, e sarà valida quella seconda sentenza;
- III° grado ↔ Corte di Cassazione; ricorso contro la sentenza di secondo grado. Il giudice
valuta il processo, ma deve tenero conto solo degli elementi formali, se è tutto in regola
convalida la sentenza di secondo grado, sennò può eliminare la sentenza e far ripetere il
processo.
Nei Paesi anglosassoni c’è il sistema del Common Law, i casi sono regolati da precedenti
decisioni; i giudici ne sono vincolati.
2) DOTTRINALE: è costituita dagli apporti di studio dei cultori delle materie giuridiche, i quali
si preoccupano di raccogliere materiale utile alla interpretazione delle varie disposizioni, di
illustrarne i possibili significati, di sottolineare le implicazioni e le conseguenze delle varie
soluzioni interpretative.
È un’interpretazione teorica a cui possono fare riferimento anche i giudici, diventando così
interpretazione giurisprudenziale.
3) AUTENTICA: proviene dallo stesso legislatore, il quale emana apposite disposizioni per
chiarire il significato di leggi esistenti. Essa ha carattere vincolante.
Ha efficacia retroattiva: essa chiarisce anche per il passato il valore da attribuire alla legge
precedente, troncando i dubbi che erano sorti sulla sua interpretazione.
NON viene considerata interpretativa la norma che, al posto di chiarire, modifica la legge.
La legge interpretativa inoltre non incide sul giudicato formatosi sotto l’impero della legge
precedente.
LE REGOLE DELL’INTERPRETAZIONE
L’interpretazione letterale non è sufficiente per dare significato ad un testo normativo; spesso, nella
legge, compaiono le clausole generali (buona fede, buon costume, equità, forza maggiore, diligenza,
ecc..). Esse obbligano ad una valutazione di specifica riferibilità al singolo caso.
Inoltre, l’interpretazione letterale è accompagnata dall’interpretazione del legislatore. In questo
ultimo caso è possibile fare ricorso alle discussioni delle assemblee legislative, che con i loro voti e
pareri sui singoli disegni di legge, danno vita ai lavori preparatori che spesso forniscono indizi
importanti per la ricostruzione della volontà delle forze politiche che ne appoggiano l’approvazione.
Quindi, si tenta di individuare lo scopo (ratio legis) che la disposizione persegue; questa è detta
interpretazione teleologica.
Le norme che regolano i diritti dello straniero sono gli articoli dal 16 al 31 del Codice Civile,
Disposizioni sulla legge in generale. Esse offrono all’interprete la linea da seguire per i casi
riguardanti gli stranieri.
Le disposizioni sono state abrogate a seguito della Legge del 1995 n°218. Essa ha portato
all’elaborazione di numerose convenzioni di diritto internazionale privato uniforme, volte a porre
regole comuni di soluzione dei conflitti di leggi nello spazio, applicate da tutti gli Stati aderenti alle
convenzioni, a beneficio della certezza dell’individuazione delle norme applicabili ai rapporti
transnazionali. Dette norme possono entrare (diritto interno privato) o uscire dal nostro ordinamento
a seconda degli accordi.
Per stabilire quale sia l’ordinamento da applicare occorre procedere alla qualificazione del rapporto
in questione, evidenziandone la natura. Può, però, accadere che i singoli ordinamenti non seguano
identici criteri di classificazione, quindi viene accolta la legge del luogo in cui si procede alla
disciplina del rapporto.
Inoltre, occorre stabilire anche il momento di collegamento, cioè l’elemento della fattispecie
decisivo per l’individuazione dell’ordinamento competente a regolare il rapporto in oggetto, in
quanto ordinamento più vicino al caso concreto e appropriato per disciplinarlo.
Il nostro diritto internazionale privato prevede che ci siano dei rinvii ad ordinamenti stranieri, ma
questi pongono problemi molto delicati.
Le disposizioni abrogate con l’entrata in vigore della Legge 218/1995 affermavano che non si
dovesse tenere conto del rinvio ad altra legge di un altro ordinamento e che “in nessun caso le leggi
e gli atti di uno Stato estero, gli ordinamenti e gli atti di qualunque istituzione o ente o le private
disposizioni e convenzioni possono avere effetto nel territorio dello Stato, quando siano contrari
all’ordine pubblico o al buon costume”. Ora, invece, la nuova legge stabilisce che bisogna tenere
conto del rinvio se:
- il diritto di tale Stato accetta il rinvio;
- si tratta di rinvio alla legge italiana.
Inoltre, stabilisce che la legge straniera non può essere applicata se i suoi effetti sono contrari
all’ordine pubblico. Con ordine pubblico ci si riferisce a quello internazionale, il quale abbraccia i
fondamentali principi cui l’ordinamento pubblico giuridico italiano è ispirato.
La Legge 218/1995 afferma che bisogna tentare ugualmente di applicare la legge richiamata
“mediante altri criteri di collegamento eventualmente previsti per la medesima ipotesi normativa”.
Se manca tale possibilità si applica la legge italiana.
Detta Legge stabilisce che ci debba essere anche la conoscenza della legge straniera che, in base
all’applicazione delle norme di conflitto, dovesse risultare applicabile. La giurisprudenza tendeva a
ritenere che fosse onere della parte, che pretendeva di far valere un diritto fondato su norme
dell’ordinamento straniero richiamato, provare al giudice l’esistenza di dette norme invocate a
proprio favore. Ora è il giudice che deve accertare il contenuto delle norme straniere applicabili al
caso.
Nel caso in cui comunque non risulti possibile accertare le disposizioni della legge straniera
richiamata, il giudice deciderà in base alla legge italiana.
Per quanto riguarda gli extracomunitari la disciplina è stata modificata più volte. L’ultima
normativa è il “Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme
sulla condizione dello straniero” (prima D. Lgs. 25 luglio 1998, n. 286; ultima modifica Legge
2007 n. 46).
Ai cittadini extracomunitari viene riconosciuto il diritto di asilo (art.10 Costituzione), previsto per
qualsiasi straniero al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche
garantite dalla Costituzione italiana, sia l’inammissibilità della estradizione per reati politici.
Allo straniero vengono riconosciuti anche i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle
norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principi di diritto
internazionale generalmente riconosciuti.
All’extracomunitario regolarmente soggiornante è assicurato il godimento dei diritti in materia
civile attribuiti al cittadino italiano.
I FATTI GIURIDICI
Si intendono qualsiasi avvenimento cui l’ordinamento ricolleghi conseguenze giuridiche.
Distinzione:
- fatti materiali → quando si verifica un mutamento della situazione preesistente in rerum natura,
nel mondo esterno, fisico o sensibile, percepibile dall’uomo attraverso i sensi;
- fatti in senso ampio → composti da omissioni e da fatti interni o psicologici.
Si parla di fatti giuridici in senso stretto o naturali quando le conseguenze giuridiche sono
ricollegate ad un evento senza che assuma rilievo se a causarlo sia intervenuto o meno l’uomo
(esempio: morte di una persona per cause naturali che apre la successione).
La giuridicità di un fatto dipende dalla circostanza estrinseca che a quell’evento sia ricollegabile un
effetto giuridico, in forza di una norma giuridica che lo disponga.
Gli atti giuridici in senso stretto sono tutti quegli atti consapevoli e volontari. I loro effetti non
dipendono dalla volontà dell’agente, ma sono disposti dall’ordinamento senza riguardo
all’intenzione di colui che li pone in essere.
Per questi atti sarebbe richiesto lo stesso minor grado di capacità che si esige per gli atti illeciti: la
capacità di intendere e di volere al momento dell’atto.
Gli atti dovuti sono una particolare categoria di atti. Essi consistono nell’adempimento di un
obbligo.
IL NEGOZIO GIURIDICO
Elaborato dalla dottrina tedesca del XIX secolo, mediante un processo di astrazione rispetto ai più
frequenti e importanti tipi di atti i quali presentano tutti la nota comune per cui i privati enunciano
in una dichiarazione gli effetti giuridici che intendono conseguire. La volontà che vi viene
dichiarata ha forza di legge tra le parti.
Nozione: è una dichiarazione di volontà con la quale vengono enunciati gli effetti perseguiti ad alla
quale l’ordinamento giuridico ricollega effetti giuridici conformi al risultato voluto.
Detto fenomeno corrisponde alla necessità di attribuire ai singoli una sfera di autonomia, entro la
quale i privati possano decidere da sé come regolare i propri interessi, ottenendo dalla legge che gli
atti posti in essere siano resi vincolanti e impegnativi.
Il Codice Civile non gli dedica un’apposita disciplina, come invece fa per il contratto, il testamento,
il matrimonio e altre figure negoziali.
Il contratto viene disciplinato all’interno del libro IV, disponendo che per gli atti inter vivos e a
contenuto patrimoniale si devono osservare le regole previste per il contratto.
Il negozio giuridico non costituisce una forma normativa, ma comunque ha un ruolo centrale nella
storia della cultura giuridica e mantiene anche oggi rilevanza come strumento concettuale utilizzato
dagli interpreti.
2) atto collegiale
se la dichiarazione è volta a formare la volontà di un organo pluripersonale di una persona giuridica
o di una collettività organizzata di individui.
In essa si applica il principio di maggioranza, con il quale la deliberazione è valida ed efficace
anche se è approvata solo dalla maggioranza e non da tutti coloro che hanno diritto alla
partecipazione della formazione della volontà della persona giuridica.
3) atto complesso
composto da più volontà tendenti ad un fine comune, ma queste si fondono in modo da formarne
una sola.
La fusione o la distinzione delle volontà ha importanza sul piano pratico, in quanto quando si ha la
fusione delle volontà il vizio di una di esse vizia, senza rimedio, la dichiarazione complessa; ciò
NON avviene nell’atto collegiale in quanto la volontà di uno è separata da quella degli altri.
2) negozi patrimoniali
nei quali si collocano i negozi di attribuzione patrimoniale, i quali tendono allo spostamento di
diritti patrimoniali da un soggetto all’altro. Questi vengono distinti in:
a) negozi di disposizione ↔ che importano una immediata diminuzione del patrimonio
mediante alienazione; essi si dividono a loro volta in:
- traslativi ↔ il diritto viene trasferito in favore di altri;
- traslativi-costitutivi ↔ costituiscono un diritto reale limitato sul bene del
disponente;
- abdicativi ↔ è la rinunzia, cioè la dichiarazione unilaterale del titolare di un
diritto soggettivo, diretta a dismettere il diritto stesso senza trasferirlo ad
altri. Da ciò può trarne vantaggio colui che ha interesse della perdita del
diritto da parte del titolare (esempio: usufrutto).
La rinunzia non deve farsi nella forma dell’atto pubblico, detta forma è
richiesta solo per la donazione.
Non ricorre la figura della rinunzia se la dismissione del diritto è fatta verso
un corrispettivo
b) negozi di obbligazione ↔ danno luogo alla nascita di un’obbligazione, diretta al
trasferimento di un bene.
3) negozi di accertamento
sono negozi che si propongono di eliminare le controversie e i dubbi sulla situazione giuridica
esistente.
La sua ammissibilità è stata contestata, in quanto la funzione di accertamento è riservata agli organi
giudiziari, di conseguenza i privati non avrebbero alcun potere di accertare la situazione di diritto.
Detto negozio ha effetto retroattivo: lo stato di incertezza viene risolto ab origine, cioè come se non
fosse mai esistito.
LA DICHIARAZIONE
La volontà del soggetto volta a produrre effetti giuridici dev’essere dichiarata ed esternata, perché
gli altri possano percepirla e venirne a conoscenza.
In base ai modi con cui avviene la dichiarazione si distingue in:
- dichiarazione espressa → fatta con qualsiasi mezzo idoneo a far palesare ad altri il proprio
pensiero;
- dichiarazione tacita → comportamento che risulta incompatibile con la volontà contraria; detta
dichiarazione viene anche chiamata: indiretta o comportamento concludente.
L’ordinamento giuridico a volte prevede che non basti la dichiarazione tacita, ma richieda la
dichiarazione espressa per evitare le incertezze sull’esistenza della dichiarazione, che possono
sorgere quando venga impegnata la dichiarazione tacita di volontà.
Il silenzio secondo la giurisprudenza non assume il valore del detto volgare: “chi tace acconsente”.
Esso può avere valore di dichiarazione tacita di volontà solo in determinate circostanze, le quali si
riferiscono al semplice silenzio in un preciso valore espressivo.
↓
Qui tacet consentire videtur, si loqui debuisset ac potuisset.
LA FORMA
La decisione del soggetto deve essere sempre esternata, scegliendo le modalità di manifestazione
della volontà più idonee affinché l’atto raggiunga i suoi scopi. Non è previsto alcun formalismo per
riconoscere effetti agli atti dei privati, in base al principio della libertà della forma.
Legislatore afferma, però, che alcuni atti si compiano secondo determinate forme solenni. Le
prescrizioni di forma trovano, quindi, giustificazione in vari esigenze: di certezza, di conoscibilità,
di ponderazione dell’atto.
La forma può essere prescritta in considerazione del tipo di atto.
Nel contratto, non esiste un regime formale univo, in quanto specifici vincoli di forma risultano
imposti in relazione all’oggetto del contratto, o in relazione al tipo di contratto, o ai connotati di una
certa categoria di contratti.
In questi casi la forma è vincolata, in quanto sussiste un vincolo, per il dichiarante, di adottare la
forma richiesta affinché l’atto sia valido e non sia compiuto inutilmente; è quindi richiesta la forma
ad substantiam actum.
In altri casi il requisito della forma è richiesto solo ai fini processuali, in caso di divergenza tra le
parti circa la sua effettiva stipulazione. Esso può essere esibito in giudizio; in tale caso la forma
richiesta è la forma ad probationem tantum.
La forma può essere imposta dagli stessi privati, si tratta del formalismo convenzionale. Può
avvenire quando in un contratto si inserisce una clausola secondo la quale ogni eventuale
dichiarazione di disdetta o recesso non potrà avere effetto se non comunicata per iscritto o con
determinate modalità.
IL BOLLO E LA REGISTRAZIONE
Lo Stato per ragioni fiscali impone, ai vari negozi, l’uso della carta bollata. Le parti, acquistando la
carta bollata e utilizzandola per la redazione delle scritture, versano all’Erario l’importo dei valori
bollati acquistati. Se non viene osservata detta materia si subisce una sanzione pecuniaria.
È imposta anche la registrazione, cioè il deposito del documento presso l’ufficio del registro. Essa
serve per scopi fiscali, ma può avere importanza anche nel diritto privato, in quanto costituisce il
mezzo di prova più comune per rendere certa la data della scrittura privata di fronte a terzi
(opponibilità ai terzi).
SOGGETTI E PERSONE
L’idoneità ad essere titolari di situazioni giuridiche soggettive (si parla di soggetti) viene definita
come capacità giuridica. Essa compete alle persone fisiche, agli enti (associazioni, fondazioni,
comitati, società, consorzi, enti pubblici, ecc…) e ad altre strutture organizzate che la legge tratta
come autonomo centro di imputazione di situazioni giuridiche soggettive (condominio).
Quindi le persone fisiche o giuridiche sono dei soggetti, ma essi non completano questa categoria
che comprende gli enti non dotati di personalità e gli altri centri autonomi di imputazione giuridica.
PERSONE FISICHE!
Nel primo libro del Codice Civile non vengono trattati solo i soggetti singoli, ma anche enti e
associazioni.
La Costituzione Italiana ha cambiato la visuale dal binomio soggetto-proprietà a soggetto-dignità
(art.3 della Costituzione).
Con la Costituzione Repubblicana si è avuto maggiore riguardo alla salvaguardia dell’integrità della
persona. Mentre il binomio di soggetto-proprietà è stato un asse portante, incentrava tutta la
rilevanza dei rapporti privatistici del dominio su tutti i beni di proprietà.
Art.3 Costituzione → “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza
distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la
libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e dell’effettiva
partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”
Sulla base dell’art.3 della Costituzione il legislatore ha varato nel 2006 il “Codice delle pari
opportunità tra uomo e donna”, il quale non si limita a vietare atti discriminatori in ragione di
sesso, ma prevede le azioni positive. Esse sono “volte ad eliminare ogni distinzione, esclusione o
limitazione basata sul sesso”.
Le norma del Codice Civile si indirizzano a determinati soggetti, cioè le norme sono destinate alla
collettività nel quale si è creato l’ordinamento giuridico.
Ci sono due forme di capacità, il soggetto è titolare di due forme di capacità, le quali consentono al
soggetto di essere riconosciuto come tale.
Queste capacità sono:
1. capacità giuridica, che è l’idoneità di un soggetto di divenire titolare di diritti e di obblighi
al momento della nascita e acquista automaticamente i diritti della personalità o
personalissimi; divine soggetto di diritto;
Art.1 C.C.→ Capacità giuridica. “La capacità giuridica si acquista dal momento della nascita.
I diritti che la legge riconosce a favore del concepito sono subordinati all’evento della nascita.”
Nascita: acquisizione della piena indipendenza dal corpo materno che si realizza con l’inizio
della respirazione polmonare. È la condizione necessaria e sufficiente per l’acquisto della
capacità giuridica.
Entro 10 giorni dalla nascita deve essere dichiarato all’ufficiale dello stato civile per la
formazione dell’atto di nascita (fatta da uno dei genitori, dal medico o dall’ostetrica o da
altra persona che abbia assistito al parto). Se il parto è avvenuto in un ospedale o in una casa
di cura, i giorni per la dichiarazione all’ufficiale dello stato civile vengono ridotti a 3.
La capacità giuridica non compete solo al cittadino, ma anche allo straniero, con il limite del
rispetto del principio di reciprocità. L’applicazione di tale principio si risolve in forme di
limitazione della capacità dello straniero, non cittadino di Stati membri dell’Unione europea,
di godere dei diritti civili in Italia; gli vengono però garantiti i diritti fondamentali della
persona umana.
Comma II: il concepito per il diritto è inesistente come soggetto; però si può riconoscere
l’idoneità a divenire titolare di diritti attraverso:
- successione a causa di morte (= erede) per effetto dell’art.462 C.C. sia per legge che per
testamento;
Art.462 C.C. → Capacità delle persone fisiche. “Sono capaci di succedere tutti coloro che
sono nati o concepiti al tempo dell’apertura della successione.
Salvo prova contraria, si presume concepito al tempo dell’apertura della successione chi è nato entro i
trecento giorni dalla morte della persona della cui successione si tratta.
Possono inoltre ricevere per testamento i figli di una determinata persona vivente al tempo della morte
del testatore, benché non ancora concepiti.”
ESEMPIO: un nonno che sta per avere un nipote, lo riconosce nel testamento come erede di un
appartamento. Se il nascituro non dovesse nascere la disposizione sarebbe priva di effetto.
2. capacità di agire, con la quale si prevede di esercitare i propri diritti e assumere obblighi al
momento del compimento del 18°anno di età (non riguarda i minori).
Non sempre la persona fisica è in grado di gestire in prima persona le situazioni giuridiche
che gli fanno capo, ecco perché oltre alla capacità giuridica si affianca la capacità di agire, la
quale stabilisce che il soggetto può compiere personalmente e autonomamente atti di
amministrazione dei propri interessi.
La capacità di agire presuppone la capacità giuridica, ma esse non si confondono l’una con
l’altra: il soggetto se difetta di capacità di agire, è sempre dotato di capacità giuridica.
Art.2 C.C.→ Maggiore età. Capacità di agire. “La maggiore età è fissata al compimento del
diciottesimo anno. Con la maggiore età si acquista la capacità di compiere tutti gli atti per i quali non sia
stabilita una età diversa.
[Sono salve le leggi speciali che stabiliscono un’età inferiore in materia di capacità a prestare il proprio lavoro.
In tal caso il minore è abilitato all’esercizio dei diritti e delle azioni che dipendono dal contratto di lavoro.]”
Può compiere tutti gli atti per cui non sia prevista età diversa.
Può estinguersi e poi ritornare in capo al soggetto.
Sono stati istituiti degli istituti a protezione delle persone prive totalmente o in parte della
capacità di agire:
a) la minore età;
b) l’interdizione giudiziale;
c) l’inabilitazione;
d) l’emancipazione;
e) l’amministrazione di sostegno;
f) l’incapacità di intendere e di volere (incapacità naturale).
Differente è l’istituto dell’interdizione legale, che è stato “creato” sulla base di una logica
sanzionatoria e non di protezione della persona fisica.
La capacità di agire viene anche definita capacità negoziale, è l’idoneità del soggetto a
compiere personalmente e autonomamente atti di autonomia negoziale. Essa è differente
dalla capacità extranegoziale, che riguarda, invece, l’idoneità del soggetto a rispondere delle
conseguenze dannose degli atti che egli stesso ha posto in essere.
Art.8 Legge n°40→ Stato giuridico del nato. Ci si pone il problema se l’embrione (particolare entità
o già persona o insieme di cellule) può essere interpretato come nascituro e di conseguenza venirgli
riconosciuta la capacità giuridica.
Ciò però non può coesistere con la legge che consente di interrompere la gravidanza entro 3 mesi
dal concepimento.
Quando la fattispecie, della norma giuridica, si è realizzata, si produce un mutamento nei fenomeni
giuridici, c’è una situazione giuridica nuova. Essa può consistere:
- in un rapporto giuridico;
- nella qualificazione di persone (capacità, incapacità, coniuge, ecc…);
- nella qualificazione della cosa (demanialità, ecc…).
ATTIVE:
1. Diritti soggettivi:
è la signoria del volere, il potere di agire (agere licere) per il soddisfacimento di un proprio
interesse individuale, protetto dall’ordinamento giuridico.
L’esercizio del diritto soggettivo è l’esplicazione dei poteri che prevede lo stesso diritto soggettivo.
Il suo esercizio deve essere distinto dalla sua realizzazione, consistente nell’attuazione, nella
soddisfazione dell’interesse protetto, sebbene i due fenomeni possono coincidere. La realizzazione
del diritto soggettivo può avvenire in due modi:
- spontanea
- coattiva (quando occorre far ricorso ai mezzi che l’ordinamento predispone per la tutela
del diritto soggettivo).
Ci sono alcune disposizioni che vietano l’abuso del diritto soggettivo, cioè il suo uso improprio; non
si sa se questo principio abbia carattere generale oppure deve applicarsi solo nei casi espressamente
previsti (quest’ultima è più attendibile). La legge è intervenuta con il divieto degli atti di
emulazione (art. 833 C.C.) e delle immissioni (art. 844 C.C.).
Art.833 C.C. → Atti di emulazione. “Il proprietario non può fare atti i quali non abbiano altro scopo che
quello di nuocere o recare molestia ad altri.”
Art.844 C.C. → Immissioni. “Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore,
le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la
normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi.
Nell’applicare questa norma l’autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni
della proprietà. Può tener conto della priorità di un determinato uso.”
C’è una categoria di diritti che ha duplice natura, si tratta dei diritti personali di godimento. Questi,
consistono nella situazione in cui un soggetto si è obbligato a far godere di un proprio bene un altro
soggetto.
È relativa verso chi ha concesso il godimento, invece è assoluta verso tutti i consociati i quali sono
tutti tenuti ad astenersi dal turbare tale godimento.
2. Facoltà:
si esplicano nel mondo del diritto come attitudini, attraverso le quali si può esercitare il diritto
(esempio: diritto all’immagine). Viene esercitata attraverso un volere.
La facoltà è una manifestazione del diritto soggettivo che non hanno carattere autonomo, ma sono
in esso comprese.
Essa non essendo autonoma non si può estinguere, se prima non si estingue il diritto: non è
ammessa la prescrizione della sola facoltà; solo la prescrizione del diritto determina
necessariamente la prescrizione della facoltà di cui il diritto stesso consta (in facultativis non datur
preascriptio).
3. Potestà:
sono situazioni giuridiche soggettive-attive ibride, perché hanno sia un profilo attivo che un profilo
passivo. Essa infatti prevede diritti e obblighi (esempio: la patria potestà). L’esercizio della potestà
deve sempre ispirarsi al fine della cura dell’interesse altrui.
Vengono chiamati anche uffici, ad esempio: l’ufficio del tutore di una persona incapace.
4. Aspettativa:
non sempre è una situazione giuridica, lo diventa quando l’ordinamento giuridico ne riconosce
questa capacità.
Essa consiste nell’acquisto di un diritto che deriva dal concorso di più elementi successivi, se alcuni
di questi si sono verificati e altri allora si ha la figura dell’aspettativa. L’aspettativa è un interesse
preliminare del soggetto, tutelato in via provvisoria e strumentale, ossia quale mezzo al fine di
assicurare la possibilità del sorgere di diritti.
Essa costituisce una fattispecie a formazione progressiva (il risultato si realizza per gradi e
l’aspettativa attribuita al soggetto costituisce un effetto preliminare o prodromico o anticipato della
fattispecie).
5. Status:
è una qualità che si ricollega alla posizione dell’individuo in una collettività.
Esso può essere di diritto pubblico (stato di cittadino) o di diritto privato (stato di figlio, di coniuge,
ecc…).
C’è chi estende lo status anche alle categorie di eredi, di soci, ecc…ma per queste categorie si usa
l’espressione “qualità giuridica”.
L’interesse privato si dice semplice o di fatto quando non fruisce di alcuna particolare protezione
giuridica.
Quando si riceve piena tutela giuridica, cioè al soggetto è concesso di sollecitare la tutela degli
strumenti di coercizione messi a disposizione dall’ordinamento per ottenere soddisfazione di
quell’interesse; in questo caso il soggetto è titolare di un diritto soggettivo.
L’interesse legittimo è posto nell’ambito dei rapporti tra il privato e i pubblici poteri; il singolo,
quindi, può sollecitare un controllo giudiziario in ordine al comportamento tenuto, correttamente o
meno, dalla pubblica amministrazione.
Il rapporto tra Pubblica Amministrazione si configura connotato da una correlazione e reciprocità di
diritti soggettivi e obblighi: NORME DI RELAZIONE.
Differenti sono le NORME DI AZIONE, le quali regolano il funzionamento delle pubbliche
amministrazioni; da queste norme non derivano, in capo ai privati interessati alla loro osservanza,
diritti soggettivi pieni, perché quelle norme non sono destinate a tutelare specifici interessi
individuali, ma solo a disciplinare l’attività pubblica.
Art.24 Costituzione (I° comma) → “Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e
interessi legittimi.”
Art.113 Costituzione → “Contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela
giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o
amministrativa.
Tale tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per
determinare categorie di atti.
La legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione nei
casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa.”
Art.103 Costituzione → “Il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno
giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari
materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi.
La Corte dei Conti ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge.
I tribunali militari in tempo di guerra hanno la giurisdizione stabilita dalla legge. In tempo di pace hanno
giurisdizione soltanto per i reati militari commessi da appartenenti alle Forze armate.”
L’ordinamento giuridico non protegge, contro la violenza e il dolo, solo le situazioni giuridiche
legittime, ma anche quelle situazioni chiamate “di fatto”. Le situazioni di fatto sono quelle
situazioni in cui il soggetto può trovarsi rispetto ad un bene ed attribuisce anche ad essa alcuni
effetti, indipendentemente dalla sua situazione di diritto o meno.
Le situazioni di fatto possono essere legate:
- alle società;
- al pre-uso di un marchio;
- alla famiglia;
- ai rapporti di lavoro;
- alla mezzadria;
- ecc…
PASSIVE:
1. Dovere:
i soggetti passivi devono astenersi dal disturbare l’esercizio del diritto altrui (esempio: la proprietà);
ciò è stabilito sulla base del principio NEMINEM LAEDERE, che ha valenza assoluta. Non prevede che
gli atri si astengano, perché non vengono considerati i terzi (sono soggetti estranei, neutri); è una
relazione solo tra il soggetto attivo e quello passivo.
2. Obbligo:
questa situazione giuridica soggettiva-passiva non viene definita in negativo, ma in positivo.
È il comportamento che il destinatario dovrà tenere, perché il soggetto attivo possa svolgere il suo
diritto (possa soddisfare concretamente la sua pretesa –diritto relativo-), in forma di cooperazione.
L’altra parte deve soggiacere all’esercizio altrui.
(Esempi: a) rapporto di debito-credito è un diritto potestativo, si ha uno stato di soggezione da parte
del soggetto passivo, che rimane inerte, consentendo quindi che altri esercitino il diritto; b) acquisto
di un’auto in leasing, con il pagamento dell’ultima rata il soggetto attivo ne diventa il proprietario.
Cambia il suo titolo da creditore a proprietario).
3. Soggezione:
corrisponde al diritto potestativo; il soggetto passivo si trova in una condizione di soggezione
rispetto al soggetto attivo, il quale ha un diritto assoluto.
4. Onere:
il destinatario deve assumere e mantenere un determinato comportamento per il raggiungimento di
un interesse proprio, è condizionato, quindi, da un adempimento.
(Esempio: partecipazione ad un concorso, richiedono i documenti entro una certa data → il soggetto
non è obbligato, ma è onerato a farlo).
NON costituisce un vero onere, l’onere della prova la quale rappresenta più un rischio per il
soggetto che ne è gravato, in quanto il giudice di fronte ad un fatto rimasto incerto nel giudizio,
deve accogliere come vera la versione offerta dalla parte che non aveva l’onere di provare quel
fatto.
Il termine onere, inoltre, viene anche utilizzato come sinonimo di modo, ciò accade nell’ambito dei
cosiddetti elementi accidentali del negozio.
LE VICENDE DEL RAPPORTO GIURIDICO
Il rapporto giuridico si costituisce quando il soggetto attivo acquista il diritto soggettivo, cioè
avviene un collegamento tra un diritto e una persona che ne diventa titolare.
L’acquisto è di due tipi:
1. a titolo originale → quando il diritto soggettivo sorge a favore di una persona senza esserle
trasmesso da nessuno; è un acquisto a titolo originale l’acquisto per occupazione delle cose
abbandonate, ovvero per usucapione di un bene altrui;
2. a titolo derivativo* → quando il diritto si trasmette da una persona ad un’altra; è un acquisto
a titolo derivativo l’acquisto di una cosa da chi ne è il proprietario.
Il titolo di acquisto o causa adquirendi è l’atto o il fatto giuridico che giustifica l’acquisto.
*Gli acquisti a titolo derivativo vengono anche chiamate successioni; con questo termine si indica il
mutamento del soggetto di un rapporto giuridico: colui che per effetto della successione perde il
diritto si chiama autore o dante causa; chi, invece, lo acquista successore o avente causa. Nella
successione può verificarsi non solo il mutamento del soggetto attivo del rapporto (successione nel
lato attivo), ma anche quello del soggetto passivo (successione nel lato passivo).
L’acquisto a titolo derivativo sono di due specie:
a) acquisto derivativo-traslativo → viene trasmesso proprio lo stesso diritto che avevo il
precedente titolare;
b) acquisto derivativo-costitutivo → anche chiamato successione a titolo derivativo-costitutivo;
viene attribuito al nuovo titolare un diritto differente, il quale scaturisce dal diritto del
precedente titolare.
Nell’acquisto derivativo, il nuovo soggetto ha lo stesso diritto che aveva il precedente titolare o
comunque un diritto da esso derivante.
Ci sono delle regole:
1. il nuovo titolare non può vantare un diritto di portata più ampia di quello che spettava al
precedente titolare;
2. l’acquisto del diritto del nuovo titolare dipende dalla effettiva esistenza del diritto del
precedente titolare.
L’acquisto a titolo derivativo è considerato non con riferimento alla persona a cui favorisce il diritti,
ma si ha il concetto di alienazione.
Con l’estinzione si ha la conclusione del rapporto giuridico; esso si estingue quando il titolare perde
il diritto senza che questo si trasmesso ad altri (esempio: res derelictae = cose abbandonate; o
estinzione del rapporto obbligatorio).
Ci sono diritti disponibili (categoria del diritto privato) e diritti indisponibili; questi ultimi sono in
genere i rapporti che servono a soddisfare un interesse superiore, come le potestà e i diritti familiari.
DIRITTI DELLA PERSONALITÀ
“La Repubblica italiana riconosce a garantisce i diritti inviolabili dell’uomo” (art. 2 Costituzione).
Essa mira, quindi, a garantire il cittadino, contro gli abusi e l’arbitrio dei pubblici poteri, cioè mira
ad assicurare una sfera intangibile nei confronti dello Stato, ma anche nei confronti degli altri
consociati.
All’interno del Codice Penale sono previste le sanzioni per i delitti contro la persona, i quali
vengono distinti in:
- delitti contro la vita e l’incolumità personale;
- delitti contro l’onore;
- delitti contro la libertà individuale.
Mentre il Codice Civile detta norme specifiche in tutela del nome, dell’integrità fisica e
dell’immagine.
L’art. 2 della Costituzione fornisce un elenco dei diritti inviolabili dell’uomo, intendendo far
riferimento anche a quelli che la scienza sociale, in un determinato momento storico, ritiene
essenziali per la tutela della persona umana.
Tale elenco si definisce:
- aperto, in quanto sono ammissibili diritti della personalità atipici;
- storicamente condizionato (influenzato dallo Statuto Albertino).
Per l’individuazione dei diritti inviolabili, svolgono importante ruolo le norme di derivazione
extrastatuale, quali:
“Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo” approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni
Unite nel 1948;
“Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”,
firmato a Roma nel 1950;
“Patto internazionale sui diritti dei civili e politici”, New York 1966;
“Trattato sull’Unione Europea”, Maastricht 1992;
“Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”, proclamata dalle istituzioni comunitarie a
Nizza nel 2000; chiamata anche Carta di Nizza.
Gli organi competenti alla tutela dei diritti previsti da tali norme, sono:
- alla Corte internazionale di Giustizia dell’Aja ↔ tutela dei diritti umani garantiti dalla
“Dichiarazione universale”;
- alla Corte europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo ↔ i diritti e le libertà contemplate nella
“Convenzione europea”;
- Comitato composto da esperti indipendenti, al quale possono rivolgersi gli individui che
sostengono di essere vittime di tali diritti da parte di uno di quegli Stati ↔ “patto internazionale
sui diritti civili e politici”;
- alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee di Lussemburgo ↔ diritti fondamentali
riconosciuti in ambito comunitario.
Il diritto a nascere trova ampia tutela ad immediata nei confronti dei soggetti diversi dalla madre;
infatti, è penalmente sanzionato chiunque provochi l’interruzione della gravidanza, senza il
consenso della madre.
Nei confronti della madre occorre distinguere:
a) l’interruzione volontaria della gravidanza entro i primi 90 giorni dal concepimento ; questa è
prevista se la prosecuzione della gravidanza o il parto comporterebbero un serio pericolo per
la salute della madre; ma viene decisa anche in relazione alle condizioni economiche o
sociali o familiari. La madre su questi presupposti si rivolge a un consultorio pubblico o a
una struttura socio-sanitaria abilitata dalla regione oppure ad un medico di fiducia, questi
rilasciano alla donna stessa un certificato attestante l’urgenza. Con questo certificato si può
presentare ad una delle sedi autorizzate a praticare l’interruzione della gravidanza.
Quando non venga riscontrato lo stato d’urgenza il medico rilascia alla madre un
documento, firmato anche dalla stessa, attestante lo stato di gravidanza e l’avvenuta richiesta
di interruzione. Il medico la invita a ripensarci per almeno 7 giorni, dopodichè la donna può
ottenere l’interruzione della gravidanza sulla base del documento rilasciatole;
b) l’interruzione volontaria della gravidanza dopo i primi 90 giorni può essere praticata
unicamente quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della
donna. Il diritto del nascituro può essere scarificato di fronte al preminente interesse della
madre alla vita e all’integrità psico-fisica.
La legge non tutela il suicidio, non vi è prevista alcuna sanzione. Costituisce reato l’istigazione o
l’aiuto al suicidio.
Costituisce reato anche l’omicidio del consenziente, cioè omicidio commesso da altri ma con la
volontà del soggetto leso.
È molto discussa l’eutanasia, che è quella morte cagionata per motivi di pietà e con il suo consenso
a persona affetta da malattia probabilmente o certamente incurabile, allo scopo di sottrarla alle
sofferenze inerenti al processi patologico terminale.
Per l’ordinamento italiano questa condotta costituisce reato.
Quando il paziente è dotato di capacità legale e naturale di agire, consapevolmente rifiuti interventi
terapeutici che potrebbero ritardarne la morte, l’omessa azione curativa del medico o di un terzo è
legittima e necessitata.
Negli ultimi anni si pone all’attenzione del legislatore di provvedere ad una norma che vieti
l’accanimento terapeutico sul paziente con dichiarazioni preventive di lui stesso, in ordine alla
propria volontà di essere o meno assoggettato a trattamenti sanitari volti a prolungarne la
sopravvivenza. Dette dichiarazione verrebbero a costituire il cosiddetto testamento biologico.
DIRITTO ALLA SALUTE
Tale diritto è contenuto nella Costituzione e nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea; queste due fonti affermano che la salute è uno dei principi fondamentali dell’individuo e
che ognuno ha diritto alla propria integrità fisica e psichica.
Ciò implica che tutti i consociati si astengano da condotte che possono cagionare ad altri malattie,
infermità o menomazioni; per le quali sarebbero previste sanzioni penali e risarcitorie.
Il diritto alla salute spetta anche al nascituro; se il feto subisce lesioni nel periodo prenatale a cause
riconducibili alla condotta del medico sarà possibile richiedere il risarcimento del danno.
Al nascituro, la giurisprudenza italiana, gli nega il diritto a non nascere se non sano, da qui deriva la
decisione dell’aborto (L. 194/1978). Detta decisione è rimessa solo alla volontà della madre, che
potrebbe legittimamente non ricorrere all’interruzione volontaria della gravidanza. Se la madre non
venisse messa nelle condizioni di scegliere in merito, il responsabile risponderebbe nei confronti
della madre e del figlio nato con handicap.
Il diritto alla salute e all’integrità psico-fisica è rimesso all’autodeterminazione del suo titolare.
La legge può prevedere l’obbligo di un determinato accertamento o trattamento sanitario solo
quando ciò sia giustificato dall’interesse superiore alla protezione della sanità pubblica.
La legge prevede un indennizzo da parte dello Stato qualora i soggetti, sottoposti a tali trattamenti
obbligatori, riportino lesioni o infermità dalle quali sia derivata una menomazione permanente
dell’integrità psico-fisica.
Rivoluzionaria è la disciplina degli accertamenti e trattamenti sanitario obbligatori delle persone
affette da malattie mentali.
Gli accertamenti e i trattamenti sanitari sono rimessi all’autodeterminazione del singolo, cioè sono
volontari, e in questo caso serve il consenso dell’avente diritto che, legittimamente, potrebbe
rifiutarsi alle cure. Senza il consenso del paziente, il medico non può sottoporlo ad accertamenti
sanitari, cure mediche, interventi chirurgici, quando anche il trattamento risulti necessario per la sua
vita.
Il medico, inoltre, è tenuto a rendere noto ai pazienti le difficoltà e i rischi derivanti da un
trattamento; questo si chiama consenso informativo.
Il consenso del trattamento medico può essere revoca fino a quando l’intervento non sia stato
eseguito.
Quando il paziente è incapace legale, il consenso deve essere dato dal suo rappresentante legale; il
consenso sarà doveroso quando l’intervento sia obiettivamente utile.
Detto diritto non è rimesso integralmente all’autodeterminazione del singolo, ma ci sono anche
delle condizioni che devono essere rispettate:
a) che non siano contrari alla legge, all’ordine pubblico e al buon costume;
b) che non cagionino una diminuzione permanente dell’integrità fisica del soggetto.
Quando gli interventi siano menomativi del soggetto, la legge consente:
a) l’espianto da vivente del rene e parti di fegato;
b) interventi di modificazione dei caratteri sessuali.
La giurisprudenza ammette la liceità della sterilizzazione volontaria sia maschile che femminile.
Le parti legittimamente staccate dal corpo sono beni autonomi di proprietà del soggetto al cui corpo
appartenevano.
La persona può disporre anche in merito alla collocazione della propria salma o in ordine alla
cremazione del proprio corpo ed all’eventuale dispersione delle ceneri.
Può disporre anche per il prelievo di tessuti e di organi a scopo di trapianto (“i cittadini sono tenuti
a dichiarare la propria libera volontà in ordine alla donazione di organi e di tessuti del proprio
corpo”). Se manca la dichiarazione di disposizione del proprio corpo si considera come assenso alla
donazione.
DIRITTO AL NOME
Costituito da prenome (nome) e cognome; il nome svolge la funzione di identificazione sociale
della persona.
Il figlio legittimo assume il cognome del padre ed il prenome attribuitogli all’atto della
dichiarazione di nascita all’ufficiale dello stato civile.
Il figlio naturale assume il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto; se il
riconoscimento è avvenuto contemporaneamente, acquisirà il cognome del padre; se il
riconoscimento da parte del padre avviene in un momento successivo, il figlio potrà aggiungerlo o
sostituirlo a quello della madre. Se il riconoscimento avviene a distanza di tempo, il figlio naturale
può chiedere al giudice di mantenere il suo cognome perché ormai distintivo della sua identità
personale.
I bambini non riconosciuti, da nessun dei due genitori, assumo il cognome e il prenome che li
impone l’ufficiale di stato civile.
Il figlio adottivo assume il cognome del padre adottivo.
La moglie aggiunge al proprio cognome da nubile il cognome del marito fino a che non passi a
nuove nozze.
La donna divorziata perde il cognome maritale, ma può chiedere al giudice di essere autorizzata
a mantenere il cognome del marito, quando sussista un interesse suo o dei figli meritevole do tutela.
Colui che viene violato dell’esercizio del proprio diritto al nome, può chiedere la cessazione del
fatto lesivo ed il risarcimento del danno, oltre che alla pubblicazione della sentenza su uno o più
giornali.
Lo pseudonimo è il nome, diverso da quello attribuito per legge, con cui il soggetto è conosciuto in
determinati ambienti.
L’avente diritto può concedere a terzi, o a titolo gratuito od oneroso, il diritto di utilizzare il proprio
nome (celebre) a fini commerciali.
Sono illegittime qualsiasi espressine di mancato rispetto dell’integrità morale della persona,
manifestata direttamente all’interessato o anche solo a terzi.
L’efficacia non scriminante dell’exceptio veritatis prevede che l’illiceità dell’offesa rimanga anche
nel momento in cui essa corrisponda a verità, o no.
Il diritto all’integrità morale cede solo nel caso di fronte al diritto di informazione (diritti di cronaca
e critica giornalistica), quando concorrano 3 presupposti:
a) la verità della notizia;
b) l’utilità sociale dell’informazione;
c) la continenza espositiva (utilizzate modalità espressive dei fatti e della loro valutazione non
eccedenti rispetto allo scopo informativo).
La lesione di tale diritto comporta il risarcimento del danno, anche non patrimoniale. Il giudice può
ordinare la pubblicazione della sentenza su uno o più giornali. Nel caso di diffamazione a mezzo
stampa, la persona offesa può chiedere una somma a titolo di riparazione, da commisurarsi alla
gravità dell’offesa ed alla diffusione dello stampato.
DIRITTO ALL’IMMAGINE
Importa il divieto di esporre, pubblicare, mettere in commercio il ritratto altrui, senza il consenso
dell’interessato.
La giurisprudenza tutela l’immagine fino a comprendervi anche la “maschera scenica”, per la quale
si intende la rappresentazione di una persona attraverso l’interpretazione di un attore. Vi è compresa
anche la figura del sosia, la rappresentazione di oggetti notoriamente usati da personaggi per
caratterizzare la loro personalità.
Il consenso dell’effigiato vale solo nei confronti di chi ne ha fatto richiesta e per il tempo stabilito
dal soggetto interessato.
NON necessita del consenso, per:
la notorietà o l’ufficio pubblico ricoperto della persona ritratta;
necessità di giustizia o polizia;
scopi scientifici, didattici o culturali;
collegamento a fatti, avvenimenti o cerimonie di interesse pubblico o svoltesi in pubblico.
In ogni caso deve essere giustificata da esigenze di pubblica informazione.
La pubblicazione dell’altrui immagine senza il consenso è vietata, quando rechi pregiudizio
all’onore, alla reputazione e anche al decoro della persona ritratta; questo divieto cede di fronte al
legittimo esercizio dei diritti di cronaca e critica giornalistica.
È anche ammesso che il titolare possa consentire l’uso della propria immagine a titolo gratuito
oppure a titolo oneroso.
La lesione del diritto all’immagine obbliga il suo autore al risarcimento del danno, anche non
patrimoniale. Il giudice può disporre qualsiasi provvedimento idoneo ad impartire la prosecuzione o
il ripetersi dell’illecito.
Il diritto all’intimità era già stato richiamato da la “Dichiarazione universale dei diritti umani” e
“Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”.
Ora, la materia è regolamentata dal D. Lgs. 196/2003 “Codice in materia di protezione di dati
personali”, il quale attribuisce all’interessato, riguardo i suoi dati personali, il diritto non solo di
vietare il loro trattamento, ma anche di vigilare sul loro utilizzo. Prevede che:
- il trattamento dei dati personali da parte di privati o enti pubblici economici è ammesso solo
con il consenso espresso dell’interessato ↔ diritto di informativa;
- l’interessato ha diritto di ottenere da chiunque conferma se detiene o meno dati personali che lo
riguardino ↔ diritto di accesso;
- l’interessato ha diritto di ottenere da chiunque li detenga l’aggiornamento, la rettificazione o
l’integrazione dei dati personali che lo riguardano; oppure anche la cancellazione;
- i dati personali devono essere trattati in modo lecito e secondo correttezza; raccolti e registrati
per scopi determinati, espliciti e legittimi; per la definizione dei limiti vengono elaborati dei
codici di deontologia e di buona condotta;
- i dati oggetto di trattamento sono custoditi e controllati, anche in relazione alle conoscenze
acquisite in base al progresso tecnico, alla natura dei dati e alle specifiche caratteristiche del
trattamento, in modo da ridurre al minimo, mediante l’adozione di idonee e preventive misure
di sicurezza ↔ diritto alla sicurezza dei dati;
- chiunque cagiona danno ad altri per effetto del trattamento dei dati è tenuto al risarcimento
(parificato all’esercizio di attività pericolosa).
Il medesimo D. Lgs. ha istituito l’apposita “Autorità Garante per la protezione dei dati personali”.
1. LA MINORE ETÀ
La capacità di agire si acquista al momento del 18° anno di età e potrà compiere tutti gli atti per i
quali non sia richiesta un’età diversa; prima del compimento del 18° anno di età, il soggetto è
legalmente incapace e dopo quel momento, il soggetto è legalmente capace.
Il minore, quindi, non può stipulare direttamente gli atti negoziali destinati ad incidere nella propria
sfera giuridica e nemmeno decidere il loro compimento. Gli atti eventualmente posti in essere dal
minore sono annullabili per effetto dell’art.1425 C.C. (Incapacità delle parti: “l’atto è annullabile se una
delle parti era legalmente incapace di contrattare” ), salvo che egli non abbia raggirato ingannevolmente il
terzo occultando la propria minore età (art.1426 C.C. → Raggiri usati dal minore).
L’atto del minore può essere impugnato entro 5 anni dal raggiungimento della maggiore età. Essa
può essere proposta solo dal rappresentante legale del minore oppure dallo stesso minore; non può
mai essere impugnato dalla controparte.
La scelta di mantenere vivo l’atto stipulato dal minore spetta al legale rappresentante del minore
oppure il minore stesso.
Il minore, in sostanza, può svolgere solo gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita
quotidiana in relazione all’età raggiunta.
La gestione del patrimonio del minore (potere di amministrazione) ed il compito di ogni atto
relativo (potere di rappresentanza) spetta ai genitori:
- disgiuntamente, se riguardano gli atti di ordinaria amministrazione (atti che non comportano rischi
per l’integrità del patrimonio);
- congiuntamente, se riguardano gli atti di straordinaria amministrazione (atti che possono incidere
significativamente sul patrimonio).
La legge richiede che per il compimento degli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, i genitori
provvedano a richiedere preventivamente l’autorizzazione del giudice tutelare. In assenza di questa
autorizzazione gli atti sono annullabili, su istanza dei genitori oppure del minore una volta divenuto
maggiorenne.
Se uno dei due genitori è deceduto oppure è impossibilitato provvede il genitore vivo ad esercitare
la potestà sul figlio. Ma se entrambi i genitori sono venuti a mancare oppure sono impossibilitati, la
gestione del patrimonio del minore e la relativa rappresentanza viene affidata ad un tutore (art.343
C.C.). Il tutore viene nominato dal giudice tutelare nella persona designata dal genitore, o se egli
non ha lasciato disposizioni in merito, l’istituto della tutela viene affidata preferibilmente
scegliendo tra gli ascendenti o tra i parenti più prossimi o affini al minore.
Anche il tutore per svolgere gli atti (previsti dall’art.374 C.C.) riguardanti il minore deve munirsi
della preventiva autorizzazione del giudice tutelare, ma deve richiedere anche la preventiva
autorizzazione del tribunale per il compimento di altri atti di cui all’art. 375 C.C.
Art.374 C.C. → Autorizzazione del giudice tutelare. “Il tutore non può senza l’autorizzazione del
giudice tutelare:
1) acquistare beni, eccettuati i mobili necessari per l’uso del minore, per l’economia domestica e per
l’amministrazione del patrimonio;
2) riscuotere capitali, consentire alla cancellazione di ipoteche o allo svincolo di pegni, assumere obbligazioni,
salvo che queste riguardino le spese necessarie per il mantenimento del minore e per l’ordinaria
amministrazione del suo patrimonio;
3) accettare eredità o rinunciarvi, accettare donazioni o legati soggetti a pesi o a condizioni;
4) fare contratti di locazione d’immobili oltre il novennio o che in ogni caso si prolunghino oltre un anno dopo
il raggiungimento della maggiore età;
5) promuovere pregiudizi, salvo che si tratti di denunzie di nuova opera o di danno temuto, di azioni
possessorie o di sfratto e di azioni per riscuotere frutti o per ottenere provvedimenti conservativi.”
Art.375 C.C. → Autorizzazione del tribunale. “Il tutore non può senza l’autorizzazione del tribunale:
1) alienare beni, eccettuati i frutti e i mobili soggetti a facile deterioramento;
2) costituire pegni o ipoteche;
3) procedere a divisioni o promuovere i relativi giudizi;
4) fare compromessi e transizioni o accettare concordati.
L’autorizzazione è data su parere del giudice tutelare.”
2. L’INTERDIZIONE
a. INTERDIZIONE GIUDIZIALE
È la forma più grave di incapacità, dovuta ad infermità psico-fisiche di tale gravità da essere
continue e permanenti.
Infatti, le caratteristiche che devono sussistere, perché venga pronunciata una sentenza di
interdizione da parte del tribunale, sono:
infermità di mente: malattia che mini profondamente il soggetto nella sua sfera intellettiva e
volitiva, in modo che non possa esprimere una propria volontà liberamente e consapevolmente;
abitualità dell’infermità: infermità non transitoria, permanente;
incapacità del soggetto di provvedere ai propri interessi: gli interessi rilevanti ai fini
dell’interdizione non sono solo quelli economici, ma anche quelli extrapatrimoniali (cura della
propria salute);
necessità di assicurare al soggetto un’adeguata protezione : quando non sono sufficienti gli
strumenti idonei alla protezione dell’incapace.
L’interdizione viene pronunciata solo a carico del maggiore di età e del minore emancipato, ai sensi
dell’art.414 C.C.; il soggetto può essere interdetto anche nell’ultimo anno della sua minore età, gli
effetti dell’interdizione si avranno solo dal giorno in cui il minore raggiunge l’età maggiore.
PROCEDIMENTO:
Il procedimento di interdizione può essere promosso:
dallo stesso interdicendo, dal coniuge, dalla persona stabilmente convivente, dai parenti entro il
4°grado, dagli affini entro il 2°grado e dal pubblico ministero.
I parenti hanno il compito di rivolgersi al giudice, mostrando tutti i certificati, che dimostrino
l’interdizione del soggetto. Questi casi devono essere vagliati dal giudice.
Fase centrale del procedimento, infatti, è l’esame diretto dell’interdicendo da parte del giudice, nel
quale si avvarrà di periti ed esperti per raggiungere tale convincimento. Alla fine di questo esame,
egli potrà nominare un tutore provvisorio, che garantirà all’interdetto una rappresentanza legale.
Questo è un provvedimento “forte”: il soggetto, dopo la convalida, della richiesta di chi presenta la
domanda di interdizione, da parte del giudice, non sarà più in grado di svolgere alcun diritto.
L’interdetto si trova nella medesima situazione del minore: può compiere solo gli atti necessari a
soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana in relazione alle proprie capacità intellettive e
volitive; se compie atti che non potrebbe svolgere, essi sono annullabili, sono annullabili anche tutti
quegli atti che eventualmente, il soggetto ha compiuto dopo la nomina del tutore provvisorio. Il
procedimento di annullamento può essere promosso dal tutore oppure dall’interdetto stesso, qualora
l’interdizione sia stata revocata, entro 5 anni dalla cessazione dello stato di interdetto.
La gestione del patrimonio e gli atti negoziali relativi all’interdetto sono affidati al tutore nominato
dal giudice tutelare. Il tutore deve fare richiesta preventiva dell’autorizzazione da parte del giudice e
del tribunale (artt.374- 375 C.C.).
Il giudice prevede però che alcuni atti di ordinaria amministrazione possano essere svolti
dall’interdetto, ma con l’assistenza del tutore.
Gli effetti decorrono dal momento in cui avviene la pubblicazione della sentenza di I°grado; la
sentenza viene annotata dal cancelliere nel registro delle tutele (sottoforma di decreto), entro 10
giorni viene comunicata all’ufficio dello stato civile per essere annotata a margine dell’atto di
nascita. Grazie ad esso i consociati possono sapere le caratteristiche della persona con cui si trovano
in relazione.
Essa viene meno, cioè revocata, quando non è possibile riscontrare l’incapacità da parte del
soggetto in corrispondenza delle leggi o se dovessero venir meno tutti i presupposti che hanno
condotto all’interdizione.
La revoca, eventualmente, viene annotata al margine dell’atto di nascita con sentenza del tribunale,
cosicché i terzi sappiano che il soggetto è nella piena facoltà dei propri diritti.
Il tribunale, in sede di revoca dell’inabilitazione, può dichiarare il soggetto inabilitato, cioè vengono
trasmessi gli atti al giudice tutelare perché venga aperta nei confronti del soggetto una procedura di
amministrazione di sostegno.
b. INTERDIZIONE LEGALE
All’interdizione può affiancarsi una pena accessoria, la quale rimane fino alla fine della pena
principale (esempio: pena principale ↔ pena detentiva per 5 anni, pena accessoria ↔ interdizione
legale).
L’istituto dell’interdizione legale ha quindi una funzione sanzionatoria (normalmente, colpisce
soggetti perfettamente in grado di intendere e di volere).
Per i rapporti patrimoniali, l’interdetto legale si trova, durante la pena, nella medesima condizione
in cui si trova l’interdetto giudiziale.
Per gli atti a carattere personale nessuna incapacità consegue all’interdizione legale.
3. L’INABILITAZIONE
È una forma di incapacità meno grave. È uno stato di infermità psico-fisica non permanente;
riguarda soggetti che si trovano in uno stato di menomazione psico-fisica, stato di malattia
(esempio: l’epilessia).
Essa è pronunciata con sentenza del tribunale, quando ricorre uno di questi presupposti:
infermità di mente non totalmente grave da far luogo all’interdizione: incapacità del soggetto di
attendere personalmente ai propri affari, senza però privarlo della capacità di intendere e di
volere;
prodigalità: impulso patologico che incide negativamente sulla capacità del soggetto di valutare
la rilevanza economica dei propri atti, ed espone sé o la propria famiglia a gravi pregiudizi
economici (sperpero);
abuso abituale di bevande alcooliche o di stupefacenti , sempre che induca il soggetto ad esporre
sé o la propria famiglia a gravi pregiudizi economici;
sordomutismo o cecità della nascita i dalla prima infanzia, sempre che il soggetto non abbia
ricevuto un’educazione sufficiente a fargli acquisire le capacità necessarie per attendere ai
propri affari.
4. L’EMANCIPAZIONE
Con riferimento al diritto romano: l’emancipatio era il momento in cui i soggetti si liberavano
dell’autorità altrui e divenivano liberi o semiliberi a seconda del caso.
Emancipazione significa provenire da…/staccarsi da…e in particolare staccarsi dalla famiglia.
Si parla di emancipazione per i giovani compresi tra l’età di 16 e 18 anni che per gravi motivi venga
a contrarre matrimonio, essi acquistano automaticamente la capacità di agire, sottraendosi alla
disciplina della minore età. Lo stato di emancipazione cessa con il raggiungimento della maggiore
età.
L’emancipato può compiere autonomamente gli atti di ordinaria amministrazione; negli atti di
straordinaria amministrazione, invece, necessita dell’assistenza del curatore. Se l’emancipato
compie atti di straordinaria amministrazione, questi verrebbero annullati.
Il curatore può venire nominato nella figura del maggiorenne se nella coppia almeno uno dei due
coniugi è maggiore di età, oppure il giudice tutelare nomina un unico curatore, preferibilmente tra i
genitori.
L’annullamento del matrimonio per difetto di età, così come lo scioglimento del matrimonio non
fanno venir meno lo stato di emancipato.
N.B.:
L’INTERDETTO (giudiziale e legale) E IL MINORE DI ETÀ
Sono i casi di incapacità assoluta; il soggetto non può compiere alcun atto giuridico.
INCAPACITÀ NATURALE
È uno stato che normalmente presuppone lo stato di capacità legale, cioè è pienamente capace di
agire. Manca la capacità di intendere e di volere per cause transitorie (assunzione di droghe e
alcool) o permanenti (persona affetta fin dalla nascita della sindrome di Down, e non sia stato
assoggettato ad alcuna misura di tutela). Il soggetto si trova concretamente in una situazione di
menomazione della propria sfera intellettiva o volitiva.
Art.428 C.C.→ Atti compiuti da persona incapace di intendere o di volere. “Gli atti compiuti da
persone che, sebbene non interdetta, si provi essere stata per qualsiasi causa, anche transitoria, incapace
d’intendere o di volere al momento in cui gli atti sono stati compiuti, possono essere annullati su istanza della
persona medesima o dei suoi eredi o aventi causa, se ne risulta un grave pregiudizio all’autore.
L’annullamento dei contratti non può essere pronunziato se non quando, per il pregiudizio che sia derivato o
possa derivare alla persona incapace d’intendere o di volere o per la qualità del contratto o altrimenti, risulta la
malafede dell’altro contraente.
L’azione si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui l’atto o il contratto è stato compiuto.
Resta salva ogni diversa disposizione di legge.”
Questo articolo fornisce le linee da seguire per gli atti compiuti dal soggetto incapace naturale.
L’incapace naturale deve dimostrare, quando impugna l’atto, che nel momento in cui ha compiuto
l’atto, versava in uno stato di incapacità di intendere e di volere.
Bisogna distinguere:
- sono atti impugnabili da parte dell’incapace naturale: il matrimonio, il testamento e la
donazione; egli deve dimostrare che era incapace di intendere e di volere nel momento in
cui l’ha compiuto;
- sono atti annullabili: gli atti unilaterali (bisogna dimostrare che il soggetto era incapace
di intendere e di volere nel momento in cui li ha compiuti e che da detti atti è derivato un
grave pregiudizio per l’incapace stesso), e i contratti (se si dimostra che il soggetto era
incapace di intendere e di volere nel momento in cui li ha posti in essere e che dall’altro
contraente era in malafede).
L’annullamento di essi può essere richiesto dall’incapace naturale stesso una volta
riacquistata la capacità naturale, entro 5 anni dal loro compimento.
Esempio:
l’eredità è costituita solo da passività, il soggetto erede non è disposto a comprarlo e quindi si
deduce la malafede del terzo.
Si ha la violazione dei principi.
Art.2046 C.C.→ Imputabilità del fatto dannoso. “Non risponde delle conseguenze del fatto dannoso
chi non aveva la capacità d’intendere e di volere al momento in cui lo ha commesso, a meno che lo stato
d’incapacità derivi da sua colpa.”
Il soggetto non è colpevole perché incapace, ma se il danno è stato causato con colpa egli è
chiamato a rispondere per esso.
L’amministrazione di sostegno si apre con decreto motivato del giudice tutelare, quando ricorrono
congiuntamente degli elementi:
a) infermità o menomazione fisica o psichica della persona;
b) impossibilità per il soggetto di provvedere ai propri interessi.
La procedura di apertura dell’amministrazione di sostegno deve osservare:
- che non riguardi solo una infermità di mente, ma anche una semplice menomazione psichica
(situazione di disagio che però non si traduce in una vera e propria malattia);
- che ci sia anche una menomazione fisica o infermità: questa preclude al soggetto l’autonomia
nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana (portatori di handicap);
- rileva anche un’infermità o menomazione temporanea, non solo abituale (l’amministratore di
sostegno in questo caso viene nominato a tempo determinato);
- rileva un’infermità o menomazione che va ad incidere su alcuni profili solo della personalità
(gioco d’azzardo);
- rileva l’abituale infermità di mente di fronte, però, ad una patologia che legittimerebbe sia una
pronuncia di interdizione sia l’apertura di un’amministrazione di sostegno (se
l’amministrazione di sostegno non è idonea si apre il procedimento di interdizione ↔ carattere
residuale dell’interdizione).
La ratio di queste norme si può cogliere in una considerazione di fondo: riguarda le persone che non
rientrano nello stato di interdizioni e inabilitazione. Esse però hanno bisogno di un sostegno, che
non obbliga il soggetto di avere questa seconda figura sempre “addosso”. I soggetti interessati
attraverso questa persona possono essere affiancati oppure sostituiti in atti giuridici per essi
rilevanti.
L’amministrazione di sostegno è uno strumento più snello, perché è limitato per il periodo o per uno
o più atti, per i quali può essere menzionato oppure no.
Questa figura si modella a seconda dei casi, i quali li decide il giudice tutelare* in quanto
espressione del tribunale ordinario.
*è una particolare categoria di giudici a cui vengono affidati questi casi particolari.
Il soggetto interessato, attraverso dichiarazione in forma scritta, può indicare il nome
dell’amministratore di sostegno e la categoria di atti a lui affidati.
Art.406 C.C.→ Soggetti. “Il ricorso per l’istituzione dell’amministrazione di sostegno può essere proposto
dallo stesso soggetto beneficiario, anche se minore, interdetto o inabilitato, ovvero da uno dei soggetti indicati
nell’art.417.
Se il ricorso concerne persona interdetta o inabilitata il medesimo è presentato congiuntamente all’istanza della
revoca dell’interdizione o dell’inabilitazione davanti al giudice competente per quest’ultima.
I responsabili dei servizi sanitari e sociali direttamente impegnati nella cura e assistenza della persona, ove a
conoscenza di fatti tali da rendere opportuna l’apertura del procedimento di amministrazione di sostegno, sono
tenuti a proporre al giudice tutelare il ricorso di cui all’art.407 o a fornire comunque notizia al pubblico
ministero.”
Il procedimento di amministrazione di sostegno può essere proposto:
dallo stesso beneficiario, dal coniuge, dalla persona che stabilmente convivente, dai parenti entro il
quarto grado, dagli affini entro il secondo grado, dal tutore o dal curatore, dal pubblico ministero,
dai responsabili dei servizi sanitari e sociali direttamente impegnati nella cura della persona.
La fase più importante di detto procedimento è l’audizione personale dell’interessato ad parte del
giudice, il quale terrà conto dei bisogni e delle richieste del soggetto interessato.
Il giudice procede alla nomina di un amministratore di sostegno provvisorio attraverso
provvedimenti urgenti, posti nell’interesse della persona e per la conservazione e l’amministrazione
del suo patrimonio.
Gli effetti, di questo istituto, decorrono dal deposito del relativo decreto di aperture, emesso dal
giudice; esso viene direttamente annotato dal cancelliere nel registro delle amministrazioni di
sostegno e comunicato, entro 10 giorni, all’ufficiale dello Stato civile per essere annotato a margine
dell’atto di nascita.
I suoi effetti sono determinati volta per volta dal provvedimento del giudice tutelare, non come gli
effetti di interdizione e inabilitazione che sono dettati dalla legge.
LA LEGITTIMAZIONE
È l’idoneità del soggetto ad esercitare e/o disporre di un determinato diritto.
Quindi il soggetto per compiere validamente un determinato atto deve trovarsi nella situazione
giuridica richiesta dalla legge.
NON sempre coincide con la titolarità del diritto, e NON sempre il difetto di legittimazione produce
l’invalidità dell’atto, in questo caso l’ordinamento si accontenta dell’apparenza.
Quando il difetto di legittimazione non produce invalidità, la giurisprudenza applica il principio
dell’apparenza, ma devono ricorrere almeno 2 situazioni:
a) una situazione di fatto non corrispondente alla situazione di diritto;
b) il convincimento dei terzi che la situazione di fatto rispecchi la situazione di diritto.
2. residenza → luogo in cui la persona ha la dimora abituale; essa dipende dalla situazione di
fatto consistente nell’abitualità della dimora della persona fisica in un determinato luogo. Il
soggetto deve dichiarare all’anagrafe del comune che abbandona e all’anagrafe di quello in
cui intende fissare la dimora abituale il trasferimento della propria residenza.
Spesso domicilio e residenza coincidono, ma non sempre: se il soggetto ha una pluralità di luoghi
dove svolge la propria vita personale o professionale, il domicilio coincide con il luogo in cui si
intrattiene l’attività principale. Non è neppure necessaria la presenza della persona fisica presso il
proprio domicilio, è sufficiente che la persona in quel luogo abbia la sede principale dei suoi affari.
LA CITTADINANZA
Nozione: è la situazione di appartenenza di una persona fisica ad un determinato Stato.
L’affinità è il vincolo che unisce un coniuge ed i parenti dell’altro coniuge (il marito e la sorella
della moglie, la suocere e la nuora, ecc…).
Il grado di affinità viene calcolato tenendo conto del grado di parentela con cui l’affine è legato al
coniuge (suocera e nuora sono affini di 1° grado; il marito e la sorella della nuora sono affini di 2°
grado; ecc…).
MA gli affini di un coniuge non sono affini dell’altro coniuge.
La morte di uno dei coniugi non estingue il rapporto di affinità, cessa solo quando il matrimonio è
dichiarato nullo.
L’assenza è dichiarata con sentenza dal tribunale, quando concorrano dei presupposti:
a) allontanamento della persona dal luogo del suo ultimo domicilio o dell’ultima residenza;
b) mancanza di sue notizie oltre 2 anni.
Il tribunale ordina l’apertura degli eventuali testamenti dell’assente; gli eredi testamentari o
legittimi possono domandare l’immissione temporanea del possesso dei beni dell’assente. Essi,
però, non possono disporvi, se non per necessità o utilità evidente riconosciuta dal tribunale. Chi
viene immesso nel possesso temporaneo dei beni dell’assente ha l’amministrazione e il godimento,
con diritto di far propri i frutti e rendite.
Il matrimonio non viene sciolto, ma viene sciolta la comunione legale.
Gli effetti di detto istituto cessano se l’assente ritorna o se ne è provata l’esistenza. L’assente ha
diritto alla restituzione dei suoi beni, pur rimanendo fermi gli atti di gestione e quelli di
disposizione, se debitamente autorizzati, compiuti da chi era nel legittimo possesso.
La morte presunta è dichiarata con sentenza dal tribunale, quando concorrano i seguenti
presupposti:
a) allontanamento della persona dal luogo del suo ultimo domicilio o dell’ultima residenza;
b) mancanza di sue notizie da 10 anni.
Gli effetti di questo istituto sono quelli che la legge ricollega alla morte: coloro che sarebbero stati
suoi eredi testamentari o legittimi, se il soggetto fosse morto nel giorno a cui risale l’ultima notizia
di lui, conseguono la piena titolarità e disponibilità dei suoi beni e diritti, secondo le regole della
successione a causa di morte; il coniuge può passare a nuove nozze.
Gli effetti cessano, anche retroattivamente, in forza di una sentenza che accerta il ritorno o
l’esistenza in vita della persona di cui è stata dichiarata la morte presunta. Il nuovo matrimonio è
nullo, salvo gli effetti del matrimonio putativo.
Art.11 C.C.→ Persone giuridiche pubbliche. “Le province e i comuni, nonché gli enti pubblici
riconosciuti come persone giuridiche godono dei diritti secondo le leggi e gli usi osservati come diritto
pubblico.”
Gli enti privati si distinguono dagli enti pubblici, in quanto questi ultimi vengono affidati ad altre
norme. L’articolo individua le persone giuridiche pubbliche a cui sono riservate le norme di diritto
pubblico, distinte della sfera del diritto privato.
Rientrano in tale categoria:
- lo Stato e gli altri enti territoriali
- aziende sanitarie locali
- Banca d’Italia
- INPS, INAIL, ACI, ISTAT, CONI
- Camere di Commercio (C.C.I.A.A.)
- Ordini e Collegi professionali
- Università
- ecc…
Negli ultimi anni si è avuto il processo di privatizzazione di molti enti pubblici, i quali si sono
trasformati in società per azioni (ANAS s.p.a, ENI s.p.a, ecc…).
Per distinguere un ente pubblico da un ente privato, la giurisprudenza ha elaborato una serie di
indici di riconoscibilità della natura pubblica dell’ente, sono:
titolarità di pubblici poteri;
istituzione da parte dello Stato o di altro ente pubblico;
assoggettamento al controllo o all’ingerenza dello Stato o di altro ente pubblico;
fruizione di agevolazioni o privilegi tipici della Pubblica Amministrazione;
ecc...
Gli enti pubblici possono avvalersi anche i strumenti privatistici, salvo che non sia diversamente
previsto o vi sia incompatibilità con la natura peculiare del soggetto pubblico (esempio: per i
contratti di cui è parte una Pubblica Amministrazione vale l’opposto del principio della necessità
della forma scritta, per le prevalenti esigenze di certezza e pubblicità cui deve essere improntata
l’azione amministrativa).
Art.12 C.C.→ Persone giuridiche private. “Le associazioni, le fondazioni e le altre istituzioni di
carattere privato acquistano la personalità giuridica mediante il riconoscimento concesso con decreto dal
Presidente della Repubblica.
Per determinare categorie di enti che esercitano la loro attività nell’ambito della provincia, il Governo può
delegare ai prefetti la facoltà di riconoscerli con loro decreto.”
(articolo abrogato)
IL FENOMENO ASSOCIATIVO
Nella tradizione liberal-ottocentesca si guarda con diffidenza agli enti senza finalità economiche: i
corpi intermedi venivano considerati come ostacolo al rapporto diretto da cittadino e Stato che
costituivano uno dei capisaldi della filosofia politica liberale. Era, inoltre, diffuso anche il timore
dell’accumulo di patrimoni, pensando al suo inefficiente utilizzo con conseguenze negative sia sul
piano dello sviluppo economico sia su quello del benessere collettivo.
Il codice ha predisposto 2 distinti modelli organizzativi:
1. le associazioni riconosciute;
2. le associazioni non riconosciute.
Il riconoscimento di tali associazioni avrebbe fatto acquistare all’ente una posizione giuridica più
favorevole rispetto alle associazioni che non avessero richiesto o ottenuto il riconoscimento.
Però: alle associazioni non riconosciute erano preclusi gli acquisti mortis causa e quelli a titolo di
donazione, questi acquisti erano del tutto idonei nelle associazioni riconosciute; alle associazioni
non riconosciute, inoltre, l’ordinamento interno ed i rapporti tra associazione ed associati venivano
messi integralmente agli accordi degli associati, mentre nelle associazioni riconosciute questi
rapporti venivano fatti oggetto di specifica regolamentazione normativa.
L’obiettivo era quello di poter far selezionare gli enti meritevoli di tutela all’autorità governativa;
questi avrebbero potuto aumentare le proprie dimensioni ed assumere una certa rilevanza
economica e sociale, mentre gli altri enti avrebbero assunto una posizione marginale.
Del fenomeno associativo se ne parla anche nella Costituzione, la quale afferma che: “i cittadini
hanno diritto ad associarsi liberamente, senza autorizzazione”. Quindi, la Costituzione individua
negli enti associativi lo strumento per la partecipazione dei cittadini alla vita politica e sindacale,
per la professione del proprio credo religioso, per la realizzazione delle rispettive inclinazioni e la
crescita della personalità di ciascuno.
La Costituzione riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo anche all’interno delle
formazioni sociali.
Ora, le organizzazioni collettive vengono viste come una realtà da tutelare e da promuovere, in
quanto costituiscono lo strumento di sviluppo della personalità dei singoli e di partecipazione degli
stessi alla vita politica del Paese.
Per associazioni non riconosciute, ora, si parla di organizzazioni non solo marginali o destinate a
operare in ambito locale, ma si tratta anche delle maggiori organizzazioni collettive del Paese.,
destinate a giocare un ruolo fondamentale nella vita pubblica.
Ora, l’obiettivo è quello di evitare che lo Stato si intrometta nella vita interna dell’ente.
Controversa è la vicenda riguardante i sindacati, i quali volendo sottrarsi al controllo di
democraticità, hanno rinunciato alla registrazione e alla possibilità di stipulare contratti collettivi di
lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si
riferisce.
ASSOCIAZIONE E SOCIETÀ
Associazione ≠ società
L’associazione è un organizzazione che ha come scopo il perseguimento di finalità non economiche
(enti non profit). In essa sono precluse sia la ripartizione tra gli associati degli eventuali utili
conseguiti, sia l’attribuzione di vantaggi economici. Non è escluso che possono trarre vantaggi in
via indiretta (salari derivanti dal contratto stipulato con il datore di lavoro), di conseguenza, sempre
indirettamente, possono trarre vantaggi dall’agire dell’associazione anche per il soddisfacimento dei
propri interessi.
La società è caratterizzata o da uno scopo lucrativo, cioè lo scopo di dividere gli utili conseguiti
attraverso l’attività economica, o da uno scopo mutualistico, cioè lo scopo di attribuire ai
partecipanti vantaggi sempre di natura economica.
Il D. Lgs. 24 marzo 2006, n. 155 ha istituito l’impresa sociale, cui attività è senza scopo di lucro.
Tale norma consente che l’impresa sia gestita anche da enti previsti dal libro V° del Codice Civile,
cioè società, le quali verrebbero ammesse ad operare senza scopo di lucro, quando abbiano ad
oggetto principale l’esercizio di un’impresa sociale.
Scopo ≠ attività
Le associazioni possono svolgere attività economica di produzione o di scambio di beni o di servizi,
questa è chiamata attività d’impresa. Esse possono svolgerla sia in via secondaria, cioè al fine di
procurarsi entrate da destinare al perseguimento del proprio scopo; ma anche in via principale o
esclusiva.
Deve essere statutariamente escluso il lucro soggettivo: cioè non possono essere divisi gli utili
conseguiti attraverso l’esercizio dell’attività d’impresa.
Gli enti privati si distinguono in base alla loro struttura e al loro fine/scopo:
1. modello associativo (esempio: il circolo sportivo)
2. modello a direzione unipersonale (esempio: la fondazione)
1. MODELLO ASSOCIATIVO
Prevale come carattere fondamentale la volontà di farne parte, cioè l’elemento volontaristico,
pluralità.
Esempio: patrimonio ↔ pluralità delle persone che ne fanno parte costituisco gli elementi
fondamentali per far sì che si crei un modello associativo.
Questo tipo di modello è previsto dagli art.2, 4 e 5 della Costituzione e altre norme in cui la
Costituzione Repubblicana garantisce la libertà di associarsi per il perseguimento di uno scopo.
Art.2 Costituzione→ “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come
singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri
inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.”
Garantisce la libera associazione.
Art.4 Costituzione→ “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le
condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una
funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.”
Art.5 Costituzione→ “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua
nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo, adegua i principi ed i metodi
della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento.”
La caratteristica primaria è quella della volontà di più soggetti che avvertono una certa esigenza
diversa da quella economica. Questi decidono che le volontà di tutti confluiscano in un’unica
volontà associativa, mediante la predisposizione di un atto formale, tramite la quale viene resa nota
ai terzi la volontà, affinché i terzi siano informati che c’è una nuova entità nell’ambito del diritto.
Nella dichiarazione costitutiva e di volontà deve essere noto il patrimonio, che ciascun costituente
ha messo nelle casse dell’associazione, e il fine da perseguire che non deve essere lucrativo.
Queste caratteristiche potrebbero bastare per definire un ente una associazione, altre volte invece
non bastano.
2. MODELLO UNIPERSONALE
In questo tipo di modello si pone maggiore rilevanza ad un atto di un solo soggetto.
La fondazione ha come fine il raggiungimento di scopi non lucrativi, non avere profitti. Ha come
elemento caratterizzante la volontà di un solo soggetto che vuole destinare tutto o parte del proprio
patrimonio al perseguimento di un certo fine. Tutti coloro che entreranno a farne parte saranno
obbligati a seguire la volontà del fondatore.
La costituzione della fondazione è più formale e artificiosa. Il soggetto non farà una dichiarazione
plurilaterale ma unilaterale, nella quale dichiara di voler destinare, tramite l’atto di destinazione, in
tutto o in parte il patrimonio per il raggiungimento di uno scopo.
(Esempio: fondazione Polghetti ha reso possibile ai terzi di godere delle opere artistiche più
importanti al mondo; dall’atto è stata costruita una struttura: il consiglio di amministrazione o
l’amministratore che darà le direzioni per perseguire le finalità.)
Nei modelli associativo o della fondazione, possono crearsi delle figure atipiche? Sono a numero
chiuso?
È necessario attuare una forma di vigilanza in modo tale che esse non vadano a perseguire fini
diversi da quelli prestabiliti e non meritevoli di tutela (esempio: trasformazione della loggia
massonica fino alla P2).
Tutti gli altri elementi, tranne il lucro, possono entrare nelle finalità di questi due modelli, però nei
limiti del buon costume.
Ci sono state leggi speciali emanate per integrare o disciplinare le norme precedenti; esse colmano
le lacune che possono sorgere in materia.
LE ASSOCIAZIONI RICONOSCIUTE
Prende vita da un atto di autonomia, il quale è un vero e proprio contratto, tra i fondatori; esso deve
avere la forma di atto pubblico. Detto atto di autonomia si usa definirlo come atto costitutivo.
Nell’atto costitutivo oppure in un documento a parte, lo statuto, devono essere inserite diverse
indicazioni:
denominazione dell’ente; scopo, patrimonio e sede; norme sull’ordinamento e sull’amministrazione;
diritti e obblighi degli associati; condizioni di ammissione all’associazione.
Per il riconoscimento, l’associazione, deve presentare tutti i documenti (atto costitutivo, statuto e
domanda di riconoscimento come persona giuridica) alla prefettura; la quale dovrà verificare:
a) che siano soddisfatte le condizioni previste da norme di legge o di regolamento per la
costituzione dell’ente;
b) che lo scopo sia possibile e lecito;
c) che il patrimonio risulti adeguato alla realizzazione dello scopo.
La prefettura ha il potere di controllo di legittimità, non può esprimersi sulla meritevolezza dello
scopo fissato dall’associazione.
Quando questi elementi siano verificati con esito positivo, il prefetto procede con l’iscrizione
dell’associazione nel registro della persone giuridiche tenuto presso la stessa prefettura. Con tale
iscrizione, l’associazione, acquista personalità giuridica.
Se le associazioni operano in materie previste dal D.P.R. 24 luglio 1977 n. 616 e le finalità statutarie
si esauriscono nell’ambito territoriale di una singola regione, la domanda di riconoscimento va
presentata alla stessa regione e l’acquisto della personalità giuridica si determina con l’iscrizione
dell’associazione nel registro delle persone giuridiche istituto presso la medesima regione.
Nel periodo che intercorre tra l’atto costitutivo e l’iscrizione nel registro, l’associazione può operare
come una associazione non riconosciuta.
Il patrimonio è costituito dai cespiti conferiti dai fondatori, dalle quote di ammissione e/o di
iscrizione eventualmente versate dagli associati, dai proventi dell’attività svolta dall’associazione,
da apporti di privati, da finanziamenti pubblici, da acquisti effettuati dall’associazione, ecc…
All’associazione tradizionalmente erano preclusi gli acquisti immobiliari e acquisti a titolo gratuito
o mortis causa. Ora, l’associazione può compiere liberamente qualsiasi tipo di acquisto, senza
necessità di autorizzazione.
L’associato NON può essere escluso dall’associazione, se non per gravi motivi e in forza di una
delibera motiva dall’assemblea (esempio: inosservanza degli obblighi statutari, non pagamento dei
contribuiti associativi, ecc…).
L’associato espulso può ricorrere all’autorità giudiziaria entro 6 mesi dal giorno in cui la stessa gli è
stata notificata. Essa dovrà effettuare l’annullamento qualora l’esclusione non sia avvenuta per gravi
e motivati motivi, come: quando non siano state adottate le giuste procedure per l’esclusione;
l’insussistenza della condotta contestata; quando la condotta dall’associato non sia talmente grave
da impedire la permanenza in detta associazione.
L’associato può recedere dall’associazione in qualsiasi momento, con effetto allo scadere dell’anno
in corso. La richiesta di recessione va effettuata almeno 3 mesi prima dello scadere dell’anno.
L’associato può recedere anticipatamente solo quando ricorra giusta causa.
Art.24 C.C.→ Recesso ed esclusione degli associati. “La qualità di associato non è trasmissibile,
salvo che la trasmissione sia consentita dall’atto costitutivo o dallo statuto.
L’associato può sempre recedere dall’associazione se non ha assunto l’obbligo di farne parte per un tempo
determinato. La dichiarazione di recesso deve essere comunicata per iscritto agli amministratori e ha effetto
con lo scadere dell’anno in corso, purché si fatta almeno tre mesi prima.
L’esclusione d’un associato non può essere deliberata dall’assemblea che per gravi motivi; l’associato può
ricorrere all’autorità giudiziaria entro sei mesi dal giorno on cui gli è stata notificata la deliberazione.
Gli associati, che abbiano receduto o siano stati esclusi o che comunque abbiano cessato di appartenere
all’associazione, non possono ripetere i contributi versati, né hanno alcun diritto sul patrimonio
dell’associazione.”
Recesso: atto con cui è l’associato a decidere di allontanarsi dall’associazione;
I° comma:
principio personalistico tra associazione e associato, il titolo non è trasmissibile nemmeno agli
eredi, a meno che non ci sia scritto nello Statuto.
Nelle società di capitali aventi scopo di lucro, invece è possibile che venga trasmessa agli eredi,
basta che essi acquistino la quota del de cuius.
II° comma:
principio personalistico che detta le regole che consentono di recedere dall’associazione almeno 3
mesi prima della conclusione dell’anno in corso. Se non avviene è vincolato all’associazione per un
altro anno. 3 mesi prima bisogna che l’associato che vuole recedere presenti una dichiarazione
scritta consegnata poi all’organo esecutivo.
Esclusione: atto dovuto in conseguenza di eventi.
III° comma:
provvedimento preso dall’assemblea motivato per gravi motivi. È una violazione dell’associato di
associarsi liberamente.
Nel caso dell’esclusione è l’assemblea ad agire contro un associato, mentre nel caso del recesso è
l’amministratore.
La delibera può essere impugnata, entro 6 mesi, in caso non esistano gravi motivi. Interviene un
soggetto super-partes come il giudice, il quale avrà il compito di verificare l’esistenza o l’assenza di
talli motivi gravi.
L’associazione si estingue per cause previste dall’atto di costituzione o dallo statuto o per delibera
dell’assemblea, quando: sia stato raggiunto lo scopo fissato, per l’impossibilità della sua
realizzazione, o per il venir meno di tutti i suoi associati.
L’estinzione viene accertata dal prefetto quando vi sia la richiesta da parte di qualunque interessato
o anche d’ufficio.
Art.27 C.C.→ Estinzione della persona giuridica. “Oltre che per le cause previste nell’atto
costitutivo e nello statuto, la persona giuridica si estingue quando lo scopo è stato raggiunto o è divenuto
impossibile.
Le associazioni si estinguono inoltre quando tutti gli associati sono venuti a mancare.
[L’estinzione è dichiarata dalla autorità governativa, su istanza di qualunque interessato o anche d’ufficio. ]”
Dichiarata l’estinzione si procede alla fase si liquidazione del patrimonio, con il pagamento dei
debiti esistenti a carico dell’associazione. I beni verranno devoluti in conformità a quanto previsto
nell’atto di costituzione o nello statuto, o in mancanza di tale indicazione questi verranno devoluti
ad altri enti con fini analoghi.
Art.13 Disposizioni di attuazione→ “I liquidatori, entro quindici giorni dalla comunicazione avutane,
devono procedere all’annotazione della loro nomina nel registro dove la persona giuridica è iscritta, e
richiedere agli amministratori la consegna dei beni e delle scritture della persona giuridica. All’atto della
consegna è redatto inventario di cui è trasmessa copia al presidente del tribunale.
Se gli amministratori si rifiutano di procedere alla consegna, il presidente del tribunale autorizza il rilascio
coattivo con decreto non soggetto a reclamo. In questo caso l’inventario è redatto dall’ufficiale giudiziario
procedente.”
Art.14 Disposizioni di attuazione→ “Entro trenta giorni dalla formazione dell’inventario i liquidatori,
dopo avere determinato la consistenza dell’attivo e del passivo dell’ente, se riconoscono che il patrimonio non
è sufficiente al pagamento integrale della passività, devono iniziare la liquidazione generale dei beni
nell’interesse di tutti i creditori, dandone avviso mediante annotazione nel registro delle persone giuridiche.
Il medesimo avviso deve essere dato nel caso in cui i liquidatori non ritengano di dover procedere alla
liquidazione generale, essendovi eccedenza dell’attivo sul passivo.
In quest’ultimo caso i creditori dell’ente possono fare opposizione entro trenta giorni dall’annotazione
chiedendo la liquidazione generale del patrimonio.
Le opposizioni si propongono davanti al presidente del tribunale. Contro il provvedimento di questo è
ammesso reclamo davanti al presidente della corte nel termine di quindici giorni. Il provvedimento definitivo è
annotato nel registro a cura dei liquidatori.”
Art.15 Disposizioni di attuazione→ “Quando non sono intervenute opposizioni ai sensi dell’articolo
precedente o queste sono state rigettate con provvedimento definitivo, i liquidatori provvedono a riscuotere i
crediti dell’ente, a convertire in danaro, nei limiti in cui è necessario, i beni e a pagare i creditori a misura che
si presentano.
I liquidatori possono provvedere al pagamento anche dei creditori il cui credito non è attualmente esigibile, e
devono provvedere alle cautele necessarie per assicurare il pagamento dei creditori condizionali.
Soddisfatti i creditori, i liquidatori formano l’inventario dei beni residuati e rendono conto della gestione al
presidente del tribunale.
Copia dell’inventario e del rendiconto approvato dal presidente del tribunale deve essere trasmessa all’autorità
governativa.
I liquidatori distribuiscono i beni residuati a norma dell’art.31 del Codice, provocando, quando è necessario, le
disposizioni dell’autorità governativa.”
Conclusa la fase di liquidazione, si procede alla cancellazione dell’ente dal registro delle persone
giuridiche.
Al collegio dei probiviri compete l’esclusione dell’associato. Gli accordi degli associati non
potranno prevedere che detta esclusione avvenga tramite un organo associativo, che eserciti
attraverso una deliberazione immotivata e non impugnabile.
L’associazione non riconosciuta ha un fondo comune, il quale è distinto dal patrimonio degli
associati, che non possono chiederne la divisione per tutta la durata dell’associazione, né pretendere
una quota parte in caso di recesso.
Anche l’associazione non riconosciuta è libera di effettuare qualsiasi tipo di acquisto, riguardanti
anche immobili, a titolo gratuito e acquisti mortis causa.
Le associazioni non riconosciute non godono di autonomia patrimoniale perfetta, bensì hanno
autonomia patrimoniale imperfetta. In questo caso, per le obbligazioni dell’associazione
rispondono, anche personalmente e solidalmente, con il loro patrimonio personale, coloro che
hanno agito in nome e per conto dell’associazione, quand’anche non membri della stessa.
Il creditore può anche rivolgersi immediatamente a chi ha agito in nome e per conto
dell’associazione, senza dover preventivamente escutere il fondo comune.
I COMITATI
Nozione: organizzazione di più persone che, attraverso la raccolta pubblica di fondi, costituisce un
patrimonio con il quale realizzare finalità di natura altruistica.
Costituzione: nasce da un accordo di tipo associativo, in forza del quale più soggetti (promotori) si
vincolano all’esercizio in comune di un’attività di raccolta, tra il pubblico, dei mezzi con cui
successivamente realizzare il programma enunciato.
Il patrimonio del comitato è composto essenzialmente dai fondi pubblicamente raccolti, su cui grava
un vincolo di destinazione allo scopo programmato. La destinazione è modificabile solo
dall’autorità governativa, ma non deve essere stabilito diversamente nel programma presentato ai
sottoscrittori per sollecitare le oblazioni.
Art.42 C.C.→ Diversa destinazione dei fondi. “Qualora i fondi raccolti siano insufficienti allo scopo,
o questo non sia più attuabile, o, raggiunto lo scopo, si abbia un residuo di fondi, l’autorità governativa
stabilisce la devoluzione dei beni, se questa non è stata disciplinata al momento della costituzione.”
Art.40 C.C.→ Responsabilità degli organizzatori. “Gli organizzatori e coloro che assumono la
gestione dei fondi raccolti sono responsabili personalmente e solidalmente della conservazione dei fondi e
della loro destinazione allo scopo annunziato.”
Lo scopo del comitato deve essere di pubblico interesse o altruistico; non è necessario che abbia
durata limitata nel tempo, anche se ciò accade molto di frequente.
La legge nomina, oltre ad associazioni e fondazioni, “altre istituzioni di carattere privato”, quindi
sembra ammissibile la possibilità di costituire degli enti che siano caratterizzati dalla combinazione
dei modelli organizzativi tipici o di enti atipici.
Le fondazioni di partecipazione, sono fondazioni in cui i soggetti contribuiscono quotidianamente
alla realizzazione degli scopi dell’ente mediante il versamento di denaro o prestazione di servizi. Ad
essi è riconosciuta la qualifica di partecipanti, e all’assemblea di tale fondazione è riservato il diritto
di nominare un determinato numero di componenti dell’organo amministrativo, oltre che una
funzione consultiva su attività, programmi e obiettivi della fondazione, su bilanci consuntivi e
preventivi.
LE FONDAZIONI
Nozione: è un organizzazione stabile che si avvale dei un patrimonio per il perseguimento di uno
scopo non economico.
Trae vita da un atto di autonomia, che però non è un contratto, ma è un atto unilaterale; esso è
chiamato atto di fondazione.
Detto atto può essere:
a) inter vivos → riveste la forma dell’atto pubblico (notarile). Esso è revocabile dal fondatore
fino a quando non sia intervenuto il riconoscimento o se anteriore, fino al momento della
morte del fondatore o fino al momento in cui egli abbia fatto iniziare l’attività dell’opera da
lui disposta;
b) testamento → l’atto di fondazione diventa efficace solo al momento dell’apertura della
successione e fino a quel momento potrà essere revocato dal testatore.
Art.15 C.C.→ Revoca dell’atto costitutivo della fondazione. “L’atto di fondazione può essere
revocato dal fondatore fino a quando non sia intervenuto il riconoscimento, ovvero il fondatore non abbia fatto
iniziare l’attività dell’opera da lui disposta.
La facoltà di revoca non si trasmette agli eredi.”
La volontà del testatore può essere inserita nell’atto di fondazione oppure in un documento
separato, cioè lo statuto. In qualsiasi caso, il testatore deve inserire: denominazione dell’ente,
scopo, patrimonio e sede, norme sull’ordinamento e sull’amministrazione, criteri e modalità di
erogazione delle rendite.
Il patrimonio della fondazione viene costituito dal fondatore attraverso un atto di dotazione, con il
quale vincola i suoi beni alla realizzazione dello scopo fissato.
Esso è formato anche da: donazioni, lasciti, contributi pubblici, utili derivanti dall’attività svolta,
beni acquistati, ecc…
Per quanto riguarda il riconoscimento e l’attribuzione della personalità giuridica, valgono le stesse
regole delle associazioni riconosciute.
In mancanza di riconoscimento le fondazioni non possono operare, se non nei casi previsti dall’art.
32 C.C. (quando i beni di una fondazione vengono devoluti a enti che hanno fini analoghi).
Lo scopo oltre ad essere non economico deve essere volto alla pubblica utilità.
In senso negativo sono ammesse le fondazioni di famiglia, cioè quelle che sono poste a vantaggio
solo di una o più famiglie determinate.
Lo scopo non può essere modificato, né dal fondatore né dall’organo amministrativo, quando la
fondazione abbia ottenuto il riconoscimento. Di conseguenza, tale fine è posto a rischio di
obsolescenza. Per questo motivo negli ultimi tempi le fondazioni hanno scelto scopi in termini più
ampi e generici, con la conseguenza che l’organo di gestione deve scegliere l’attività da svolgere
concretamente e gli interessi da perseguire, volta per volta.
Art.16 C.C.→ Atto costitutivo e stato. Modificazioni. “L’atto costitutivo e lo statuto devono
contenere la denominazione dell’ente, l’indicazione dello scopo, del patrimonio e della sede, nonché le norme
sull’ordinamento e sulla amministrazione. Devono anche determinare, quando trattasi di associazione, i diritti e
gli obblighi degli associati e le condizioni della loro ammissione; e, quando trattasi di fondazioni, i criteri e le
modalità di erogazione delle rendite.
L’atto costitutivo e lo statuto possono inoltre contenere le norme relative alla estinzione dell’ente, e alla
devoluzione del patrimonio, e, per le fondazioni, anche quelle relative alla loro trasformazione.
[Le modificazioni dell’atto costitutivo e dello statuto devono essere approvate dall’autorità governativa nelle forme indicate
nell’art.12.]”
L’attività della fondazione, tradizionalmente, si limitava nella gestione del suo patrimonio al fine
dei devolverne le rendite per il raggiungimento dello scopo (fondazioni di erogazione). Ora, la
fondazione può svolgere anche attività d’impresa, per la produzione e lo scambio di beni o servizi:
- o per ricavarne gli utili da destinare allo scopo non lucrativo proprio della fondazione;
- o per realizzare immediatamente il proprio scopo istituzionale.
La gestione della fondazione è affidata all’organo amministrativo, il quale deve essere delineato
nello statuto.
Gli amministratori sono gli arbitri della fondazione, essa non ha un’assemblea, il controllo
dell’autorità governativa è solo un controllo di legittimità sugli atti di gestione, con l’esclusione di
qualsiasi sindacato in ordine all’opportunità delle scelte operate dagli amministratori.
La fondazione gode di autonomia patrimoniale perfetta, quindi delle obbligazioni si risponde solo
con il patrimonio della fondazione stessa.
Con lo scioglimento la fondazione può estinguersi oppure può modificare il suo scopo attraverso un
provvedimento dell’autorità governativa, basta che non si discosti troppo dalla volontà del
fondatore.
Il fondatore, prevedendo una causa di scioglimento, può disporre che i beni vengano devoluti a
terze persone e che la fondazione si estingua; se manca tale previsione, l’autorità governativa
attribuisce i beni ad altri enti che hanno fini analoghi.
La fase di liquidazione non sempre è necessaria per gli enti. Alla fase di estinzione l’ente può
giungere ad una trasformazione (ciò capita molto spesso per le fondazioni) e non all’estinzione vera
e propria che porta alla cancellazione.
Art.28 C.C.→ Trasformazione delle fondazioni. “Quando lo scopo è esaurito o divenuto impossibile
o di scarsa utilità, o il patrimonio è divenuto insufficiente, l’autorità governativa, anziché dichiarare estinta la
fondazione, può provvedere alla sua trasformazione, allontanandosi il meno possibile dalla volontà del
fondatore.
La trasformazione non è ammessa quando i fatti che vi darebbero luogo sono considerati nell’atto di
fondazione come causa di estinzione della persona giuridica e di devoluzione dei beni a terze persone.
Le disposizioni del primo comma di questo articolo e dell’art.26 non si applicano alle fondazioni destinate a
vantaggio soltanto di una o più famiglie determinate.”
Ciò accade nelle fondazioni, ma anche nelle associazioni però messa alla volontà degli associati. La
trasformazione può essere l’alternativa solo se l’autorità governativa lo ritiene opportuno.
La ratio di questa norma è quella di cercare di perpetuare la finalità dell’ente mantenendo fede alla
volontà del fondatore (cosa essenziale: rispettare lo scopo).
Se il patrimonio è insufficiente posso trasformare l’ente in un altro ente, ma che abbia la finalità
medesima e che si possa raggiungere con un patrimonio inferiore al precedente. Lo scopo viene
ridimensionato, ma comunque è molto vicino a quello precedente.
Se lo scopo è stato perseguito si forma un altro ente per agevolare lo stesso scopo o scopo analogo.
Attualmente le fondazioni sono preferite agli altri tipi di enti, in quanto più duttili ed efficienti. Ma
anche perché a causa del fenomeno della privatizzazione, la quale ha imposto la trasformazione di
fondazioni di diritto privato:
- di singoli enti pubblici;
- di intere categorie di enti pubblici.
La legge, inoltre, prevede che possano assumere carattere di fondazione i fondi pensione, le casse di
previdenza ed assistenza di liberi professionisti. Con D.P.R. 24 maggio 2001 n. 254 vengono
riconosciute fondazioni anche le università.
Questi tipi di fondazione di diritto speciale costituiscono lo strumento idoneo per la collaborazione
tra il settore privato e quello pubblico.
IL TERZO SETTORE
Con il progredire degli anni molte figure caratterizzanti sono andate via via scomparendo. A partire
dalla fine degli anni ’70 si è avuta la progressiva espansione del terzo settore. Esso riguarda la
realizzazione di attività di utilità sociale ad opera di enti senza fini di lucro, espressione della
società civile.
Con gli anni ’90 si sono avuti degli interventi normativi volti a promuovere e sostenere gli enti
operanti nel terzo settore.
Come:
- L. 11 agosto 1991 n. 266 → istituisce le “organizzazioni di volontariato”, le quali possono
assumere qualsiasi forma giuridica prevista dal codice per gli organismi senza scopo di lucro;
- L. 8 novembre 1991 n. 381 → “cooperative sociali”;
- D. Lgs. 4 dicembre 1997 n. 460 → “organizzazioni non lucrative di utilità sociale- ONLUS”,
possono assumere forma giuridica dell’associazione, del comitato, della fondazione e altre enti
a carattere privato, con o senza personalità giuridica;
- L. 7 dicembre 2000 n. 383 → “associazioni di promozione sociale”, nella forma
dell’associazione riconosciuta o non;
- D. Lgs. 24 marzo 2006 n. 155 → “impresa sociale”.
Questi provvedimenti si limitano a prevedere tutta una serie di meccanismi di promozione a favore
di enti che presentino ulteriori requisiti volti a garantire la rilevanza sociale dell’attività dagli stessi
svolta e l’idoneità e meritevolezza degli stessi a stravolgerla.
Il Titolo V della Costituzione contiene il principio di sussidiarietà. Principio sulla base del quale il
potere pubblico è legittimato a intervenire direttamente nel settore solo quando nessun privato sia
disponibile ad operare, o quando, nonostante gli aiuti pubblici, il livello dei servizi offerti dal
privato sia inferiore a quello ritenuto minimo essenziale.
Ha origine dal diritto romano, di cui sono rimasti i principi fondamentali, ma ha anche assunto
caratteristiche che lo differenziano profondamente da come si presentava in passato.
I mutamenti socio-economici sono quelli principali ed i più evidenti. Infatti, la ricchezza non è più
come quella del passato concentrata prevalentemente in capo ad un individuo; ma i patrimoni più
cospicui appartengono alla ad enti, società, associazioni. Su queste, in passato, a causa dei gravosi
oneri fiscali sulle successioni mortis causa, erano poste intestazioni di comodo.
Ora, l’aumento del reddito di ogni singola persona fa in modo si che al momento della morte, la
successione riguardi un patrimonio elevato anche per i ceti più modesti.
Ciò è dovuto anche alla modificazione del contenuto delle eredità: oltre agli immobili rientrano
anche i mobili; cioè tutto quello che era fonte di reddito per il de cuius.
Un altro cambiamento si è avuto nel modello della famiglia: in passato rappresentato dalla famiglia
patriarcale, oggi invece dalla famiglia nucleare (genitori e figli), le quali tendono a sfaldarsi più
facilmente non favorendo il fenomeno successorio all’interno della famiglia.
Ci sono alcuni istituti che si collegano alla morte dell’individuo, ma sono del tutto indipendenti:
liquidazione delle indennità dovute al lavoratore defunto ai superstiti; disciplina sulla reversibilità
delle pensioni e contratti di assicurazione sulla vita allo scopo di garantire risorse ai familiari
supersiti.
In previsione della morte, il futuro de cuius, sente l’esigenza di destinare il proprio patrimonio, per
far si che esso non rimanga senza titolare e che all’interno dei suoi eredi non si creino delle
situazioni di conflitto per l’apprensione dei beni relitti del de cuius. Inoltre, è importante la
destinazione del patrimonio per non estinguere i rapporti obbligatori che aveva posto in essere
quando era in vita il de cuius.
In questo senso ci sono molti interessati nel fenomeno della destinazione del patrimonio del de
cuisu. Sono:
a) interesse dell’ereditando → il quale è preoccupato della sorte dei suoi beni, dopo la morte;
b) interesse dei familiari → bisogna distinguere: le persone che godevano già dei beni del
defunto o ne ricevevano aiuti economici e persone che avevano contribuito alla formazione
del suo patrimonio e persone che a lui legate da vincoli parentali, ma rimaste o divenute
indipendenti;
c) interesse dei creditori → nell’eventuale ipotesi di incapienza dell’asse ereditario, si ha la
necessità di provvedere alla liquidazione idonea a garantire la par condicio, oppure alla
confusione dell’asse con il patrimonio personale del chiamato alla successione;
d) interesse dello Stato → il quale colpisce i trasferimenti delle successioni, o a volte acquista
l’intero patrimonio per destinarlo a vantaggio delle collettività.
La successione dello Stato nel patrimonio del de cuius si ha solo quando nessun altro soggetto
risulti chiamato, ex lege o ex testamento, alla successione; oppure quando il diritto di tutti i chiamati
risulti già estinto per rinuncia o per prescrizione.
Per lo Stato l’acquisto di una successione morti causa costituisce un prelievo tributario, da cui nasce
un credito tributario nei confronti di determinati soggetti.
L’imposta fiscale sulla successione era stata soppressa con la L. 18 ottobre 2001 n. 383 e
successivamente reintrodotta con la Legge Finanziaria del 2007.
Il testatore decide le sorti del suo patrimonio all’interno di un testamento. Il testatore deve tenere
presente che ai suoi stretti congiunti (quali: figli, coniuge e in assenza di figli, gli ascendenti) spetta
una quota del patrimonio, chiamata quota di legittima, alla quale non possono rinunciare. Detta
quota è variabile a seconda del numero e della qualità degli aventi diritto.
La quota di legittima però può essere ridotta prima che avvenga la morte del testatore.
Per la parte disponibile del patrimonio il de cuius può disporne come vuole, se lo ritiene opportuno
anche destinare parte dei suoi bei a persone estranee. Al legislatore è affidato il compito di
provvedere ai limiti per la successione legittima e testamentaria.
La successione ex lege è quella prevista dalla legge e detta i criteri per la devoluzione del
patrimonio relitto.
Inoltre, la legge fissa i successibili: il coniuge, i discendenti legittimi e naturali, gli ascendenti
legittimi, i collaterali, gli altri parenti e lo Stato.
La legge li fissa in questo ordine per tutelare l’interesse della persone legate al defunto da relazioni
qualificate.
Quando la successione si devolve per legge, la chiamata a titolo universale è già prevista da essa; si
ha però anche l’ipotesi della chiamata per il legato, e questa è tipica e tassativa.
Nel caso di una pluralità di successibili, la chiamata è a titolo universale per ciascun coerede, anche
se pro quota, cioè sulla base di una frazione aritmetica. Da questa ne consegue un regime di
comunione, che investe, in ragione delle quote spettanti a ciascun coerede, tutti gli elementi che
compongono l’asse ereditario.
La legge, inoltre, riconosce anche la trasmissione all’erede della legittimazione attiva o passiva in
relazione ad interessi non patrimoniali (esempio: impugnativa del riconoscimento del figlio naturale
per violenza o interdizione può essere promossa anche dagli eredi dell’autore del riconoscimento).
L’erede, inoltre, subentra nei diritti potestativi spettanti al de cuius: diritto di riscatto, di recesso, di
ratifica, di impugnazione, ecc…
All’erede spetta anche la possibilità di una proposta contrattuale quando essa venga fatta
nell’esercizio di un’impresa.
Art. 456 C.C.→ Apertura della successione. “La successione si apre al momento della morte, nel
luogo dell’ultimo domicilio del defunto”.
Si determina con la morte della persona e nel luogo del suo ultimo domicilio.
La legge determina:
- il modo e il luogo dell’apertura della successione;
- la norma applicabile qualora ci sia conflitto nello spazio di diverse norme;
- l’ipotesi di successione di norme nel tempo;
- il territorio competente per le cause ereditarie.
La morte naturale è equiparata alla morte presunta in quanto producono gli stessi effetti rispetto i
successori; per l’assenza, invece, verificatasi la morte dell’assente gli eredi possono solo domandare
l’immissione nel possesso temporaneo dei beni.
PATTI SUCCESSORI
La vocazione ereditaria è l’indicazione di colui che è chiamato all’eredità; il nostro codice parla di
delazione dell’eredità, cioè l’offerta dell’eredità ad una persone che la può acquistare o meno.
Si ha lo scontro tra 2 dottrine: una afferma che la vocazione e la delazione sono la medesima cosa;
mentre una seconda dottrina afferma che esse sono diverse, in quanto potrebbe sussistere una
chiamata senza offerta.
La legge vieta 3 tipi di patti successori; essi sono vietati per il votum captandae mortis.
I patti successori sono:
1. confermativi o istitutivi → essi vincolano il de cuius, gli tolgono la libertà di disporre
attribuitagli dalla legge fino al momento della morte;
2. dispositivi
3. rinunciativi
Per gli altri due tipi di patto il legislatore ha voluto impedire che un soggetto possa disporre con
leggerezza di beni che ancora non gli appartengono e dei quali l’acquisto non è mai sicuro.
La donazione mortis causa è vietata; è quella donazione in cui la morte del donate funziona come
causa dell’attribuzione patrimoniale. È invece ammessa la donazione fatta sotto la condizione
sospensiva “se il donante morirà prima del donatario”; cioè è valida la donazione con condizione di
premorienza, in quanto l’attribuzione patrimoniale dipende da un atto inter vivos.
GIACENZA DELL’EREDITÀ
Per subentrare nel patrimonio del de cuius il chiamato deve accettare l’eredità, attraverso una
dichiarazione di volontà.
L’accettazione retroagisce fino al momento dell’apertura della successione, per far sì che non si
verifichi la soluzione di continuità tra il de cuius e l’erede (efficacia retroattiva dell’accettazione).
La gestione del patrimonio deve essere assicurata anche in detto periodo in cui il chiamato decide se
accettare l’eredità o meno, in questo tempo si istituisce l’eredità giacente. Il periodi di prescrizione
dell’eredità è di 10 anni.
Per l’istituzione dell’eredità giacente devono concorre delle condizioni:
a) non sia ancora intervenuta l’accettazione da parte del chiamato;
b) il chiamato non si trovi nel possesso dei beni ereditari;
c) sia stato nominato, su istanza di qualsiasi interessato o d’ufficio, un curatore dell’eredità
giacente.
La nomina del curatore ha inizio con l’eredità giacente. Il curatore ha figura di amministratore, con
il compito di conservare il patrimonio del de cuius e non ha poteri dispositivi su di esso. Egli è
legittimato ad agire in giudizio (attivamente e passivamente); provvede al pagamento dei debiti
ereditari e dei legati, con autorizzazione del tribunale e che non vi sia l’opposizione da parte di
alcun creditore o legatari. Nel caso in cui si fosse opposizione si deve procedere alla liquidazione
dell’eredità.
Le funzioni del curatore cessano nel momento in cui il chiamato accetta l’eredità.
Il chiamato ha dei poteri nel caso in cui non venga nominato in curatore per l’amministrazione
dell’eredità giacente; in tal caso non si forma nemmeno una situazione di giacenza del patrimonio,
ma di mera vacanza dello stesso essendo privo di dominus.
Il chiamato quindi può: esercitare le azioni possessorie, se qualcuno compie atti di spoglio o di
turbativa del possesso; atti conservativi, di vigilanza e di amministrazione temporanea.
LA CAPACITÀ A SUCCEDERE
Idoneità del soggetto a subentrare nei rapporti che facevano capo al defunto.
Riguarda qualsiasi persona fisica, già nata e che sia ancora in vita.
MA NON SOLO! Il legislatore concede la capacità a succedere anche a coloro, che al tempo
dell’apertura della successione, erano solo concepiti. Questi però devono nascere entri 300 giorni
dalla morte della persona a cui si riferisce la successione. Ovviamente, la chiamata è subordinata
alla nascita.
Nella successione testamentaria il legislatore opera un ulteriore allargamento della capacità a
succedere. La successione può riguardare anche i figli non ancora concepiti di una determinata
persona vivente al momento dell’apertura della successione.
La capacità di succedere riguarda anche le persone giuridiche, per le quali non vi è nessun dubbio.
Esse per l’accettazione dell’eredità devono munirsi dell’autorizzazione governativa.
Agli enti non riconosciuti, in passato, non era concesso effettuare acquisti a titolo di successione,
ciò era possibile solo se richiedevano il riconoscimento entro 1 anno dal giorno in cui il testamento
era eseguibile.
Ora, invece, agli enti non riconosciuti è attribuita la capacità di effettuare qualsiasi tipo di acquisto,
anche successorio ad un’unica condizione che questa ultima venga fatta con accettazione con
beneficio di inventario. (L. 22 giugno 2000 n.192)
Negli anni passati si verificarono per altro delle deroghe per l’accettazione di eredità, nei confronti
di: associazioni di volontarito, enti non profit e associazioni di promozione sociale. Detta
accettazione va eseguita sempre con beneficio di inventario.
L’INDEGNITÀ
Si basa sull’incompatibilità morale del succissibile, il quale è colpevole di atti gravemente
pregiudizievoli verso il de cuius.
Indegnità ≠ incapacità
└ importa la mancanza di un soggetto idoneo all’acquisto dei diritti ereditari e la
radicale assenza di un effetto acquisitivo.
L’indegnità funziona più come una causa di esclusione che produce effetti, in quanto pronunciata
dal giudice; la sua sentenza ha carattere costitutivo.
L’azione per far dichiarare l’incapacità di succedere è imprescrittibile, mentre l’azione per
pronunziare l’indegnità si prescrive nel termine ordinario (10 anni), che decorre dal giorno
dell’apertura della successione.
L’indegnità non si comunica al figlio. Di conseguenza la legge vuole escludere qualsiasi modo per il
genitore di avvantaggiarsi, se pur indirettamente, della successione del figlio. All’indegno non
spettano né il potere di amministrazione né l’usufrutto legale sui beni che sono pervenuti ai suoi
figli dalla successione dalla quale egli è escluso.
La pronunzia di indegnità ha effetto retroattivo, quindi il tale soggetto viene come non fosse mai
stato erede ed è obbligato a restituire i frutti che gli sono pervenuti dopo l’apertura della
successione.
L’indegnità viene rimossa con la riabilitazione o con dichiarazione espressa (atto pubblico) o con
testamento, in questo caso si ha una riabilitazione totale; si ha una riabilitazione parziale solo
quando è contemplata nel testamento. In quest’ultimo caso è permesso a succedere nei limiti della
disposizione.
Indegnità ≠ diseredazione
└ clausola testamentaria con cui il testatore dichiari di non volere che alla sua
successione abbia a partecipare un determinato soggetto, in forza delle norme sulla
successione legittima, avrebbe invece titolo a parteciparvi.
LA RAPPRESENTAZIONE
È l’istituto in forza del quale i discendenti legittimi o naturali (rappresentanti) subentrano al loro
ascendente nel diritto di accettare un lascito qualora il chiamato non può o non vuole accettare
l’eredità o il legato.
Detto istituto può avere luogo solo quando i chiamati sono:
- un figlio
- un fratello o una sorella del defunto
È esclusa
- se il chiamato sia un estraneo o un parente (esempio: cugino).
- nel caso di successione testamentaria, quando il testatore abbia provveduto con una sostituzione
nell’ipotesi per la quale il primo chiamato non accetti l’eredità;
- quando si tratta di legato di usufrutto o di altro diritto di natura personale.
Quando colui che è chiamato all’eredità non accetta succedono i discendenti, i quali succedono
direttamente al de cuius, in modo tale che possano partecipare alla successione di quest’ultimo.
Questo istituto opera sia quando la chiamata è a favore del rappresentato, al momento dell’apertura
della successione, non possa più verificarsi, sia quando vi sia stata una prima chiamata, ma questa
sia caduta per indegnità o per rinuncia. ↔ vocazione indiretta
La divisione per stirpi si applica quando ricorre la rappresentazione. Detta divisione implica che i
discendenti subentrano tutti in luogo del capostipite, indipendentemente dal numero, e lo stesso
criterio si applica qualora uno stipite abbia prodotto più rami.
L’ACCRESCIMENTO
Può aversi solo in caso di chiamata congiuntiva, cioè quando:
- uno dei chiamati non possa o non voglia accettare l’eredità;
- non ricorrano le condizioni per farsi luogo alla rappresentazione;
- il testatore non abbia disposto una sostituzione
La quota quindi si devolve a favore degli altri beneficiari della chiamata congiuntiva: la quota si
accresce.
La ratio di tale norma sta nella presunta volontà del de cuius; egli potrebbe anche disporre che
l’accrescimento non si debba verificare.
L’accrescimento opera di diritto, senza bisogno di accettazione da parte di colui a cui profitta.
LE SOSTITUZIONI
Ci sono diversi tipi di sostituzione.
Sostituzione originaria o volgare → quando il testatore abbia preveduto l’ipotesi che un chiamato
non possa o non voglia accettare l’eredità o il legato, di conseguenza designa un’altra persona al
posto suo.
Possono sostituirsi al chiamato anche più persone oppure ad una pluralità di chiamati sostituirsi
una persona.
La riforma del diritto di famiglia ha apportato profonde modifiche. Essa esclude la validità della
sostituzione fedecommissaria in tutti i casi, con la sola eccezione che sia disposta dai genitori, dagli
ascendenti in linea retta o dal coniuge dell’interdetto o del minore incapace, a favore della persona o
degli enti che, sotto la vigilanza di un tutore, hanno avuto cura dell’istituito.
L’usufrutto successivo vale solo a favore di coloro che, all’apertura della successione, sono i primi
chiamati a goderne.
La clausola sine liberis decesserit si ha quando il mio erede muore senza figli, di conseguenza
l’eredità passa ad un’altra persona. In questa clausola manca la doppia istituzione, infatti l’altra
persona viene istituita sotto una condizione risolutiva e si considera come se non fosse mai stato
chiamato.
L’ACQUISTO E LA RINUNCIA
L’eredità si acquista per accettazione da parte del chiamato; egli però potrebbe avere un interesse
morale o economico a non accettare tale eredità, nel caso consista in sole passività.
Ci sono 2 tipi di accettazione:
- pura e semplice → si ha la confusione del patrimonio del de cuius con quella dell’erede;
l’erede subentra in universum ius defuncti, quindi, succede sia nell’attivo che nel passivo;
- con beneficio di inventario → non si produce la confusione dei patrimoni.
Accettazione tacita
L’acquisto dell’eredità dipende dal compimento di atti che il chiamato avrebbe diritto di fare solo in
quanto erede; questa azione è chiamata pro herede gestio.
Indispensabile è la consapevolezza del chiamato dell’esistenza di una delazione a suo favore.
Essa trova applicazione in due articoli del Codice Civile.
Art.477 C.C. → Donazione, vendita e cessione dei diritti di successione. “La donazione, la
vendita o la cessione, che il chiamato all’eredità faccia dei suoi diritti di successione a un estraneo o a tutti gli
altri chiamati o ad alcuno di questi, importa accettazione dell’eredità.”
La vendita o la donazione di diritti di successione ad un terzo o ad un altro chiamato importa
accettazione dell’eredita.
Art.478 C.C. → Rinunzia che importa accettazione. “La rinunzia ai diritti di successione, qualora sia
fatta verso corrispettivo o a favore di alcuni soltanto dei chiamati, importa accettazione.”
La rinunzia dell’eredità importa accettazione, quando venga operata verso corrispettivo o a favore
di alcuni soltanto dei chiamati. È una rinunzia alla disposizione dei beni dell’eredità.
Accettazione presunta
L’acquisto dell’eredità avviene automaticamente, in forza di legge, o per il fatto che non si è
provveduto ad uno specifico atto posto dalla legge, oppure perché si è tenuto un determinato
comportamento, che preclude la rinunzia all’eredità e rende colui che lo compie erede puro e
semplice.
Essa non si ricollega ad una presunzione di volontà di accettare, ma ad una fattispecie legale tipica,
automaticamente sufficiente a determinare l’effetto previsto dal legislatore.
Detta accettazione non è applicabile al minore o all’incapace.
L’accettazione dell’eredità deve essere trascritta, nel caso riguardi acquisti o liberazione di:
proprietà di beni immobili; diritto di usufrutto, diritto di superficie, diritti del concedente e
dell’enfiteuta; servitù prediali.
Nel caso dell’accettazione tacita la trascrizione avviene in base all’atto di accettazione, quando
risulti una sentenza o un atto pubblico o una scrittura privata autenticata.
Il diritto di succedere può essere anche trasmesso, nel caso in cui il chiamato muoia prima di avere
accettato l’eredità; in questo caso il diritto di succedere e di accettarla si trasmette ai suoi eredi (ius
delationis).
Il rappresentante subentra ope legis nel luogo e nel grado dell’ascendente e succede direttamente al
de cuius; invece, il chiamato che muore senza aver accettato l’eredità trasmette ai suoi eredi,
unitamente al suo patrimonio, il diritto di accettarla.
Il diritto di accettazione dell’eredità è soggetto a prescrizione ordinaria (10 anni), decorrente dalla
data dell’apertura della successione; in caso di istituzione sottoposta a condizione, il termine
decorre dalla data dell’avveramento della condizione stessa.
Se il primo chiamato attende 9 anni prima di accettare e poi vi rinunzia, il chiamato ulteriore ha solo
1 anno per decidere se accettare o meno.
L’actio interrogatoria è un’azione compiuta dal giudice, il quale fissa un termine entro il quale il
soggetto chiamato deve decidere se accettare, decorso il termine egli perde il diritto di accettare.
Questa azione è promossa da chiunque sia interessato a conoscere le intenzioni del chiamato.
Si tratta di ipotesi di decadenza.
Anche il testatore può stabilire il termine entro il quale vada accettata l’eredità (termine ex
voluntatis testatoris).
L’accettazione può essere impugnata solo in caso di dolo o di violenza; NON per errore, perché
cade sull’ammontare del passivo rispetto all’attivo.
Chi non voglia succedere nell’eredità ultra vires, può sempre accettare con beneficio di inventario.
L’erede, avendo accettato l’eredità, dispone dei beni del patrimonio del de cuius; di conseguenza,
può decidere di alienarli o singolarmente o nel loro complesso, in questo caso si parla di vendita di
eredità.
Nella vendita di eredità l’oggetto di vendita sono i beni nel loro complesso. L’erede continuerà a
rispondere dei debiti ereditati verso i creditori del defunto, avviene un accollo cumulativo tra erede
ed acquirente, il quale è obbligato a pagare in solido con il venditore i debiti ereditati.
L’erede è tenuto solo a garantire la qualità di erede.
La nullità della vendita è prevista quando l’atto non sia in forma scritta, anche se il complesso
ereditario non contiene beni immobili.
Detta accettazione ha carattere personale, anche se è vista come un atto di sfiducia nei confronti
della memoria del defunto. Ma è la legge ad attribuire l’opportunità di ricorrervi al chiamato.
Nell’accettazione pura e semplice i creditori non possono chiedere la separazione, in quanto avviene
la confusione dei patrimoni.
L’azione surrogatoria consente ai creditori di esercitare i diritti del proprio debitore, ma solo in
questa materia esclusiva, in quanto si tratta di un diritto che può essere esercitato dal suo titolare.
I termini per l’accettazione sono prescritti dalla legge, ma si deve tenere conto se:
- il chiamato è nel possesso dei beni ereditati ↔ l’inventario deve essere redatto entro 3 mesi
dall’apertura della successione o dalla notizia della devoluzione dell’eredità; entro 40 giorni
successivi deve dichiarare se accetta o rinunzia all’eredità. Trascorsi detti termini, e le clausole
non sono state adempiute, il chiamato è considerato erede puro e semplice.
- il chiamato non è nel possesso dei beni ereditari ↔ può accettare con beneficio di inventario
fino a quando non sia prescritto il diritto di accettare e conseguentemente redigere l’inventario
nei 3 mesi successivi. Nel caso avesse provveduto a redigere l’inventario ma non
all’accettazione, vi deve provvedere entro i 40 giorni successivi.
Per l’amministrazione dei beni ereditari ne diventa amministratore anche chi abbia accettato con
beneficio di inventario anche nell’interesse dei creditori del defunto e dei legatari.
All’amministratore è vietata l’alienazione dei beni ereditari senza autorizzazione del giudice.
La separazione impedisce la confusione del patrimonio del defunto e di quello dell’erede, ed opera a
favore dei creditori del defunto e dei legatari, i quali si assicurano il soddisfacimento sui beni del
defunto, a preferenza dei creditori dell’erede.
Detto istituto deriva dal diritto romano (separatio bonorum), il quale dava luogo a due patrimoni
distinti: quello del defunto, sul quale si soddisfacevano solo i creditori del defunto; e quello
dell’erede, su cui agivano solo i creditori di quest’ultimo.
Ora, la facoltà concessa ai creditori assicura solo la preferenze dei creditori del defunto e dei
legatari nel concorso sui beni ereditari. NON si creano due patrimoni distinti, quindi anche i
creditori dell’erede possono rivalersi sul patrimonio del de cuius, ma solo dopo che sono stati
soddisfatti i creditori e i legatari del defunto.
La preferenza spetta ai creditori separatisti, cioè coloro che hanno chiesto di ottenere la separazione.
La separazione non esclude che i creditori e i legatari del defunto si possano rivalere sul patrimonio
dell’erede.
La separazione ha carattere particolare e non universale, cioè opera non sull’intera massa del
patrimonio ereditario, ma sui singoli beni per i quali sia stata fatta valere specificatamente.
Quando la separazione è stata esercitata da creditori e legatari, i creditori sono preferiti rispetto ai
secondi.
L’attore deve dimostrare la propria qualità di erede, sulla base del testamento oppure, se si tratta di
successione legittima, in base al rapporto di parentela o coniugio con il de cuius. Inoltre, deve
dimostrare che i beni reclamati appartengono all’asse ereditario.
La legittimazione passiva è proposta non contro chiunque possegga beni ereditari, ma contro colui
che possiede tutti o parte di beni ereditari affermando di essere l’erede o contro il possessore senza
titolo.
Detta azione è imprescrittibile: una volta acquistata la qualità di erede non si perde più.
L’azione di petizione dell’eredità non assorbe quella di annullamento del testamento, la quale deve
essere proposta nel relativo termine di prescrizione.
Quando l’azione viene accolta, il convenuto è tenuto alla restituzione delle cose possedute. Per
quanto riguarda eventuali frutti, spese e altro, queste vengono regolate dalle disposizioni previste
per il possessore soccombente nel giudizio di rivendica.
In tali casi c’è la distinzione tra possessore di buona fede e il possessore di mala fede.
Il possessore di buona fede è colui che ha acquistato il possesso di beni ereditari, ritenendo per sua
colpa non grave (errore), di esserne l’erede.
Quando il possessore abbia alienato in buona fede una cosa dell’eredità, il vero erede ha diritto ad
ottenere il prezzo o il corrispettivo ricevuto dal possessore medesimo.
La buona fede basta che sussista al momento dell’acquisto del possesso dei beni ereditari.
Quando l’acquisto ha per oggetto beni mobili registrati e beni immobili essi devono essere trascritti,
sono soggetti alla pubblicità immobiliare. Questi sono fatti salvi solo se l’acquisto a titolo di erede
da parte dell’erede apparente, e il successivo trasferimento dall’erede apparente al terzo, sono stati
entrambi trascritti anteriormente alla trascrizione dell’acquisto da parte del vero erede o del vero
legatario, oppure della domanda giudiziale di petizione dell’eredità contro l’erede apparente.
LA RINUNCIA ALL’EREDITÀ
Consiste in una dichiarazione unilaterale non recettizia, con la quale il chiamato all’eredità
manifesta la sua decisione di non acquistare l’eredità.
Gli effetti della rinuncia sono diversi a seconda del tipo di successione:
- successione legittima → se non ha luogo la rappresentazione, la parte di colui che rinuncia va a
favore di coloro che avrebbero concorso con il rinunziante (accrescimento delle quote); se è
solo, invece, l’eredità viene devoluta ai chiamati di grado successivo;
- successione testamentaria → nel caso in cui il testatore abbia previsto il caso della rinunzia ed
abbia disposto una sostituzione, di conseguenza la quota del rinunciante è a favore del
sostituto; se il testatore non ha disposto nulla si provvede con la rappresentazione.
La rinunzia può essere revocata, cioè può accadere che il rinunziante torni sulla decisione presa ed
accettare l’eredità.
La revoca incontra 2 limiti:
non deve essere trascorso il termine decennale di prescrizione della facoltà dell’accettazione;
l’eredità non deve essere stata già accettata da altro chiamato a cui la rinunzia profitti.
La rinunzia può essere impugnata solo per violenza o per dolo, è esclusa l’impugnazione per errore.
La legge attribuisce, in materia di tutela dei creditori, la facoltà di impugnativa ai creditori stessi, i
quali possono farsi autorizzare di accettare in nome e luogo del rinunziante, non per acquistare la
qualità di erede, ma per soddisfarsi sui beni ereditari.
LA SUCCESSIONE LEGITTIMA
È la successione prevista dalla legge, se il singolo non ha disposto in tutto o in parte dei suoi beni. A
fondamento della successione legittima, accanto alla presunta volontà del de cuius, sta la solidità
familiare.
Essa si ha quando manca totalmente il testamento o il testatore non abbia disposto tutti i beni del
suo asse patrimoniale.
Quando fosse concorsa la separazione, il coniuge conserva tutti i diritti ereditati, tranne nell’ipotesi
che gli sia addebitata la separazione. Al coniuge viene riconosciuto il diritto ad un assegno vitalizio
se godeva degli alimenti a carico del coniuge deceduto; questo deve essere commisurato alle
sostanze ereditarie, alla qualità e al numero degli eredi legittimi.
In caso di divorzio l’ex coniuge non a diritto a partecipare alla successione. Il giudice gli riconosce
un assegno periodico a carico dell’eredità, qualora egli avesse goduto di un assegno divorziale. Tale
assegno è commisurato all’importo dell’assegno goduto a carico del de cuius, dell’entità del
bisogno, del numero e della qualità degli eredi, delle sostanze ereditarie e dell’eventuale pensione di
reversibilità dell’ex coniuge.
I discendenti legittimi e naturali sono stati introdotti nella successione con la riforma del diritto di
famiglia del 1975; essa fa salva la facoltà dei figli legittimi di soddisfare in denaro o in beni
immobili ereditari la porzione spettante ai figli naturali che non vi si oppongano.
Ai figli naturali non riconosciuti spetta un assegno vitalizio pari all’ammontare della rendita della
quota di eredità alla quale avrebbero diritto, se la filiazione fosse stata dichiarata o riconosciuta.
I fratelli naturali hanno rapporti solo con il genitore e non vi è alcun tipo di rapporto di parentela
tra il figlio e i parenti del genitore naturale.
La loro posizione rimane deteriore rispetto a quella di tutti i parenti ammessi alla successione.
Essi succedono al de cuius solo in assenza dei parenti entro il 6° grado e prima dello Stato.
Il convivente more uxorio del defunto non è contemplato tra coloro che possono succedere ex
lege.
LA SUCCESSIONE NECESSARIA
Quando ci sono determinate categorie di successibili (solo la categoria dei parenti più stretti) la
legge stabilisce che siano questi a succedere in una parte del patrimonio del de cuius. Ad essi spetta
una quota, prevista dalla legge, che viene denominata quota di legittima oppure riserva. Quindi, i
successibili che vi hanno diritto vengono chiamati legittimari o riservatari o successori necessari, i
quali non devono essere confusi con i successori legittimati, cioè coloro ai quali viene devoluta
l’eredità ex lege mancando il testamento.
Il testatore è quindi limitato nella disposizione dei suoi beni. Le disposizioni rivolte a tale istituto
hanno carattere inderogabile.
figli naturali
Godono della stessa tutela riservata ai figli legittimi. È illegittima l’attribuzione di una quota minore
di quella spettante a ciascun figlio legittimo.
I figli legittimi possono avvalersi della facoltà di commutazione, cioè di soddisfare in denaro o in
beni immobili ereditari la porzione spettante ai figli naturali del genitore comune, solo se questi
ultimi non si oppongano. Il giudice dovrà valutare, perciò, se l’istanza di commutazione possa
essere accolta o meno valutando ogni circostanza personale e patrimoniale.
coniuge
Nel passato al coniuge spettava una quota di usufrutto sui beni del de cuius. Ora, al coniuge viene
riservata una quota di piena titolarità dell’eredità che è:
- della metà in assenza di figli e ascendenti;
- variabile nel caso di concorrenza di altri soggetti in base alla loro qualità e al numero.
Al coniuge spetta il diritto di abitazione nella casa adibita a residenza familiare e di uso di mobili
che la corredano (legato ex lege). Detti diritti gravano sulla porzione disponibile e sulla quota di
riserva del coniuge ed eventualmente su quella spettante ai figli.
Quando si tratta di coniuge separato bisogna individuare 2 casi:
1. se non gli è stata attribuita la responsabilità del fallimento familiare, in questo caso gli sono
attribuiti tutti i diritti spettanti al coniuge non separato;
2. se, in caso contrario, gli fosse attribuita la responsabilità del fallimento familiare, egli ha diritto
all’assegno vitalizio solo nel caso in cui all’apertura della successione godeva degli alimenti a
carico del coniuge deceduto. Tale assegno è commisurato in base al patrimonio ereditario e alla
qualità e al numero degli eredi legittimi.
Per attribuire la quota di legittima, bisogna dividere il patrimonio del defunto in: disponibile, che è
la parte che il testatore è libero di disporre a suo piacimento, e legittima, che è la parte spettante per
legge ai legittimari. Il testatore, sulla legittima, non può imporre nessun peso e condizione.
La giurisprudenza però ammette che il testatore possa disporre il soddisfacimento della legittima
mediante danaro esistente nell’asse o beni determinati, corrispondenti al valore della legittima.
L’intangibilità della legittima è intesa in senso quantitativo non qualitativo.
Tale principio trova temperamento nella cautela sociniana (da Mariano Socino): se un genitore
lascia un figlio e possiede un patrimonio di 100, cede a titolo di legato ad un estraneo l’usufrutto di
un fondo del valore di 70. Il figlio acquista un reddito di valore inferiore che è di 50 (=100:2); ma
ottiene la nuda proprietà per intero, anziché la metà. Per vedere se è avvenuta lesione di legittima,
occorrerebbe capitalizzare l’usufrutto.
Per questo motivo il legislatore ha disposto la negazione, in tale caso, dell’azione di riduzione al
legittimario, ma gli consente di effettuare una scelta: o eseguire la disposizione oppure ottenere la
proprietà piena della quota di riserva, abbandonando a favore del legatario quella disponibile.
Il legittimario può rinunziare; in questo caso può ricevere i legati e trattenere le donazioni che gli
siano fatti, che vengono imputati alla quota disponibile. Può accadere, però, che sia necessario per
reintegrare la legittima spettante agli eredi accettanti, ridurre le disposizioni testamentarie e le
donazioni.
La riunione fittizia è un operazione contabile con la quale si stabilisce se il testatore ha leso i diritti
spettanti a qualcuno dei legittimari, occorre calcolare l’entità del suo patrimonio all’epoca
dell’apertura della successione.
Calcoli:
si calcolano i valori dei beni che appartenevano al defunto al tempo dell’apertura della successione
I debiti
=
Attivo ereditario
+
Donazioni
=
Sul risultato si calcola la quota di cui il testatore poteva disporre
Se vi è stata lesione di legittima occorre tener conto anche dei legati e delle donazioni fatte al
legittimario, salvo che il testatore lo abbia dispensato con clausola espressa.
Il legittimario che succede per rappresentazione deve imputare le donazioni e i legati fatti senza
espressa dispensa al suo ascendente. La rappresentazione ha luogo anche nel caso di unicità di
stirpe.
Per la determinazione delle donazioni e dei legati che debbano formare oggetto dell’imputazione si
rimanda a quanto è stabilito per la collazione.
Il legittimario ha l’onere di accettazione con beneficio di inventario nel momento in cui agisce con
un’azione de riduzione contro estranei.
Con le donazioni dissimulate il legittimario per ottenere al riduzione, deve agire prima per la
dichiarazione di simulazione. Egli potrà fornire la prova della simulazione anche mediante
testimoni e, soprattutto, presunzioni.
La sua natura si esplica in un’azione di risoluzione dell’acquisto compiuto dai beneficiari del
testamento o dal donatario ed ha carattere personale.
Le disposizioni lesive della legittima sono impugnabili attraverso l’azione di riduzione.
L’azione di riduzione è soggetta a trascrizione; inoltre, è soggetta a prescrizione ordinaria
decennale. Il tempo di decorrenza è diverso in base a:
- lesione della legittima attraverso disposizioni testamentarie, il termine decorre dalla data
dell’accettazione di colui che è stato chiamato all’eredità;
- lesione della legittima attraverso donazione, il termine decorre dall’apertura della successione.
L’azione di restituzione consiste nella resa del bene acquistato da un terzo al legittimario, il quale
attraverso un’azione giudiziaria pretende la restituzione del bene.
Recentemente sono stati introdotti degli interventi normativi, i quali pongono limiti temporali alla
proponibilità dell’azione nei confronti dei terzi aventi causa dal donatario.
Per quanto riguarda gli immobili, l’azione di restituzione può essere promossa solo dopo 20 anni
della trascrizione della donazione oggetto della riduzione.
Per i beni mobili l’azione di restituzione può essere proposta solo dopo il decorso di 20 anni; inoltre
fa salvi gli effetti del possesso in buona fede.
Il coniuge e i parenti in linea retta possono anche promuovere un atto di opposizione nei confronti
del donatario. Questa ha l’effetto di sospendere nei loro confronti il decorso del termine ventennale.
La ratio di tale norma è che senza l’azione di riduzione i legittimari rimarrebbero privi di qualsiasi
tipo di tutela contro l’acquirente del bene donato.
L’arresto del corso del termine con un atto unilaterale, che deve peraltro essere reso pubblico
mediante trascrizione, e deve essere rinnovata prima che siano trascorsi 20 anni dalla sua
trascrizione, altrimenti perde efficacia.
Il diritto dell’opponente è personale e rinunziabile.
Il terzo acquirente ha la facoltà di pagare in denaro l’equivalente dei beni, anziché restituirli in
natura. Il legittimario deve ottenere la somma corrispondente al valore che la cosa donata ha assunto
al momento della pronunzia giudiziale.
IL PATTO DI FAMIGLIA
L. 14 febbraio 2006 n. 55
Si propone di consentire a colui che sia titolare di un’attività economica di dare una destinazione
stabile all’impresa a favore dei propri discendenti, prevedendo eventuali dispute successorie e il
rischio che queste conducano ad una frammentazione della titolarità del complesso aziendale.
In tema di successioni mortis causa la trasmissione delle strutture produttive era ostacolata dal
momento della morte del testatore e della indisponibilità dei diritti successori prima dell’apertura
della successione.
Detta legge ha ritenuto rilevante introdurre uno specifico istituto che, derogando alle disposizioni
dei patti successori e sui diritti dei legittimari, cerca di dare stabilità agli atti volti a pianificare la
successione in modo da favorire la conservazione dell’integrità delle aziende nei passaggi da una
generazione all’altra.
La successione dell’imprenditore, qualora ci fossero dei legittimari che non hanno partecipato al
contratto, essi possono chiedere ai beneficiari del contratto stesso il pagamento della somma
prevista della quota legittima e del valore attribuito dal contratto aumentata degli interessi legali.
I beneficiari non sono solo gli assegnatari dell’azienda, ma anche tutti gli altri partecipanti al patto
che abbiano ricevuto la liquidazione.
L’inosservanza delle disposizioni comporta la possibilità di impugnazione del patto.
Chi intende aderire al patto deve conoscere le varie tutele e che possono cadere in errore. Per questo
motivo avviene l’impugnazione per vizi del consenso.
Per quanto riguarda le controversie la nuova norma prevede che siano rimandate agli organismi di
conciliazione previsti dall’art. 38 del D. Lgs. 17 gennaio 2003 n.5.
LA SUCCESSIONE TESTAMENTARIA
IL TESTAMENTO
Nozione: è un atto con il quale un soggetto dispone delle proprie sostanze per il momento
successivo alla sua morte.
Esso è revocabile fino all’ultimo momento di vita del testatore; tale principio è inderogabile, in
quanto non si può privare in alcun modo la facoltà di revocare o modificare le disposizioni
testamentarie.
Non sono ammessi i patti successori e la donazione mortis causa.
Il testamento ha contenuto patrimoniale, del quale beneficeranno uno o più eredi, oppure potrebbe
costituire solo legati. Esso ha anche carattere non patrimoniale: designazione di un tutore o il
riconoscimento di un figlio naturale.
Inoltre, il testamento è una forma di negozio unilaterale, che si concretizza nella volontà di un
soggetto di disporre dei propri beni a favore dei suoi eredi. Da qui si deduce il principio della
personalità dell’atto. La sua redazione, quindi, non può essere delegata ad un rappresentante.
Il testamento congiuntivo, non è ammesso. Esso consiste nel fatto che due o più persone redigano in
medesimo atto una disposizione a favore di un terzo oppure una disposizione reciproca. In favore di
un terzo potrebbe essere il caso che i genitori dispongono uno stesso atto in favore del figlio; mentre
la disposizione reciproca che i coniugi dispongano che nel momento in cui venga a mancare uno dei
due, gli succeda il superstite.
Il testamento simultaneo consiste nella redazione di due diversi atti, sottoscritti da due diverse
persone, ma scritti su un medesimo foglio. Essi non sono nulli, ma fanno nascere il sospetto che uno
dei due testatori abbia influenzato o captato la volontà dell’altro.
La condizione di reciprocità, si concretizza nel testamento simultaneo, il quale non vieta a due
soggetti distinti di disporre a favore di un terzo o l’uno a favore dell’altro, sempre che non sia
intervenuto tra i due un patto successorio (che è vietato!!!).
Il testamento è un negozio solenne, in quanto richiede per la sua validità una forma determinata.
Nel testamento, essendo un negozio unilaterale e non recettizio, prevale la volontà del testatore;
essa è fondamentale per l’interpretazione del testamento.
Si pongono a maggior rilievo i criteri di interpretazione soggetti che quelli di interpretazione
oggettiva; si tende a sottolineare che i valori predominanti nell’interpretazione sono la ricerca della
volontà intima del disponente. Tale volontà deve ricostruirsi il più fedelmente possibile mediante il
ricorso di elementi extratestuali. Il principio di conservazione del negozio, si impone a causa della
impossibilità di una rinnovazione dell’atto di autonomia.
È consentita l’impugnabilità dell’atto per vizi di volontà, i quali sono: dolo, violenza ed errore.
Per il dolo si parla di “capatazione” ed i raggiri sono rilevanti da chiunque provengano; per l’errore
è inapplicabile il principio per cui la rilevanza dell’errore è subordinata alla sua riconoscibilità.
L’errore sul motivo, nel testamento, è rilevante ed è causa di annullamento; questo però è
subordinata a due condizioni che restringono l’impugnabilità:
- a condizione che il motivo erroneo risulti dal testamento (espressamente menzionato);
- a condizione che il motivo erroneo sia “il solo che ha determinato il testatore a disporre”.
Il motivo illecito rende nulla la disposizione testamentaria, assume rilevanza solo quando il motivo
“risulta dal testamento ed è il solo che ha determinato il testatore a disporre”.
Per l’erronea indicazione del beneficiario il legislatore prevede un’apposita norma, la quale è
salva quando, dal contesto del testamento o altrimenti, sia possibile ricostruire “in modo non
equivoco” quale persona il testatore voleva nominare.
La simulazione oltre che per i contratti può avvenire anche per il testamento.
Esempio: un testamento pubblico contiene un legato disposto a favore di un certo soggetto per
compiacere un’altra persona, ma con l’intesa, tra beneficiario e testatore.
Incapacità di ricevere o privazione della testamentificazione passiva
È l’incapacità di essere istituiti eredi o legatari per testamento; essa dipende dall’incapacità di
succedere e dalla tutela della libertà testamentari (determina l’incapacità assoluta di ricevere per
testamento delle persone che potrebbero trarne vantaggio).
Le incapacità previste per il tutore e il protutore si applicano anche all’amministratore di sostegno,
salvo che questi non sia un parente entro il 4°grado del beneficiario dell’amministrazione, o coniuge
o convivente.
Il Codice del 1942 stabiliva casi di incapacità di ricevere relativa, riguardava:
- i figli naturali, i quali non potevano ricevere più di determinati limiti massimi stabiliti dalla
legge;
- il coniuge del binubo, cioè chi dopo lo scioglimento del primo matrimonio contraeva nuove
nozze.
Tali disposizioni sono state: la prima dichiarata illegittima, mentre la seconda è stata abrogata dalla
riforma del diritto di famiglia.
Le disposizioni a favore di una persona incapace sono nulle.
Il legislatore ha presupposto che ciò che accade nei negozi in frode alla legge possa accadere anche
nella successione quando ci si trovi nel caso di incapacità di ricevere. Egli vorrebbe evitare che
venisse effettuato un lascito ad una persona interposta, che poi curasse la trasmissione del vantaggio
ricevuto a quella incapace di ricevere. In questo caso la disposizione è nulla.
La disposizione di fiducia si ha in casi similari: cioè il testatore si affida alla coscienza di una
persona nella quale pone particolare fiducia, alla quale ha disposto l’incarico di trasmettere ad un
terzo tutti o parte dei beni lasciategli. La persona che il testatore ha voluto veramente beneficiare
non potrà far nulla per ottenere i beni, a meno che la persona istituita non obbedisca alla sua
coscienza trasferendo i beni alla persona voluta dal testatore.
In questo caso ricorre la fattispecie dell’obbligazione naturale (adempimento di un dovere morale).
L’incertezza del beneficiari si ha quando vengono a mancare degli elementi minimi necessari per
garantire che quella è stata la volontà del testatore. Nel caso della mancanza di questi elementi
minimi, occorrerebbe supplire con la volontà di un terzo, correndo il rischio di giungere a risultati
arbitrari o contrastanti con la volontà del testatore. In questi casi è meglio fare ricorso alla
successione legittima.
Quando la disposizione è a favore di una persona incerta (non può essere determinata), l’atto è
nullo.
La disposizione è nulla anche quando sia a favore di poveri espressi genericamente. Il legislatore
ha considerato che, in questi eventuali casi, l’intenzione generica del testatore può essere attuata
mediante la devoluzione dei beni all’ente comunale di assistenza che si occupa di soccorso ai poveri
in genere.
GLI ELEMENTI
Il testamento essendo una forma di negozio può contenere alcuni elementi accidentali.
Esso può essere sottoposto a condizioni: sospensiva o risolutiva; sia per le successioni a titolo
universale, sia per quelle a titolo particolare.
Gli effetti di dette condizioni agiscono retroattivamente, nel momento in cui si verificano:
- se l’erede viene istituito sotto condizione sospensiva, si qualifica tale dal momento
dell’apertura della successione;
- se l’erede è stato istituito sotto condizione risolutiva, non si qualifica come erede ma è tenuto
alla restituzione dei frutti e dei beni ereditari solo dal momento in cui la condizione si è
avverata.
Nei casi di condizione del testamento viene nominato un amministratore dell’eredità, il quale sarà
l’erede stesso se la condizione è risolutiva, se invece è sospensiva viene nominato un
amministratore.
Le condizioni illecite e impossibili si considerano sempre come non apposte, salvo che risultino
espressione di un motivo unico determinante, nel qual caso si ricade nella specifica causa di nullità
del motivo illecito.
Dette condizioni illecite, contrarie alla libertà dell’individuo, possono essere:
le condizioni che impediscono le prime nozze o le ulteriori.
È fatto salvo il legato volto ad assicurare un aiuto per il periodo del celibato o della vedovanza,
senza che contenga un divieto di nozze.
Il termine si considera non apposto nelle disposizioni a titolo universale, per il principio: semel
heres semper heres (una volta che si accetta la qualità di erede, la si mantiene sempre). Il termine,
invece, viene apposto per i legati.
L’onere o modus è un elemento accidentale che può essere apposto ai negozi gratuiti e consiste
nell’imposizione dell’obbligo di eseguire una determinata prestazione; esso non condiziona gli
effetti dell’atto (l’erede è gravato dall’onere per il semplice fatto che abbia accettato l’eredità).
FORME DI TESTAMENTO
Il testamento orale nell’ordinamento italiano non è ammesso, però, l’opinione prevalente, afferma
che può essere confermato per iscritto.
Ci sono forme di testamento ordinarie e speciali.
Testamento ordinario:
- testamento olografo
- testamento per atto del notaio
pubblico
segreto
TESTAMENTO OLOGRAFO
È la forma più semplice e più riservata dell’espressione della volontà del testatore.
Ha 3 elementi fondamentali:
- l’autografia
- la data
- la sottoscrizione
L’autografia consiste nel fatto che il testamento viene scritto integralmente dalla mano del
testatore, costituendo anche una garanzia dell’autenticità della volontà del testatore. NON è
consentito che tale testamento venga scritto a macchina o a stampa.
Può costituire un testamento olografo anche una lettera, in tal caso si deve dimostrare che chi l’ha
scritta aveva l’effettiva ed attuale volontà di disporre dei propri beni, escludendo che si tratti di una
semplice manifestazione di volontà futura di redigere un testamento.
Sono validi anche i fogli sui cui il testatore abbia scritto appunti per le sue disposizioni di ultima
volontà. In questo caso sono necessarie espressioni aggiuntive che rivelino la volontà del testatore.
L’autografia viene meno quando avviene la collaborazione grafica di un terzo, mettendo in ipotesi
che il testatore sia affetto da paralisi. È consentita, invece, la collaborazione intellettuale (esempio:
notaio), purché il testatore in un momento successivo rediga il testamento di sua mano.
Tale testamento è una scrittura privata, esso costituisce anche un valore probatorio sempre che
venga riconosciuta dalla parte contro cui si esibisce. In caso di disconoscimento della
sottoscrizione, sta a chi presenta come prova il testamento garantirne l’autenticità.
La data deve essere indicata in tutte le sue parti: giorno, mese, anno. Oppure può essere indicata
con ricorrenze che possono far desumere il giorno in cui venne scritto (Natale 2007). Essa può
essere apposta all’inizio o alla fine delle disposizioni, prima o dopo la sottoscrizione.
Tale elemento serve ad accertare le condizioni del testatore nel momento in cui il testamento venne
redatto, e in caso di più atti testamentari quale sia il testamento posteriore che revochi le
disposizioni precedenti.
In mancanza di essa l’atto è annullabile; se la data è incompleta si può desumere da elementi
contenuti nella stessa scheda. L’atto è annullabile anche quando la data sia cancellata o interlineata.
È possibile che ricorra anche il caso della falsità della data. In questo caso è previsto un
accertamento delle ipotesi in cui si sostiene che il testamento fu scritto in un’epoca in cui il testatore
era incapace, oppure che il testamento fu redatto prima di un altro testamento, ecc… In tutti i casi la
falsità della data non produce l’annullabilità dell’atto.
Se essa è erroneo o impossibile viene rettificata dal giudice in base ad elementi che possono essere
desunti soltanto dal testamento.
NON è necessaria l’indicazione dell’ora.
La sottoscrizione serve ad individuare il testatore, normalmente formata da: nome e cognome. Può
essere, altresì, costituita da qualsiasi indicazione che designi con certezza la persona del testatore.
Essa è posta in fondo alle disposizioni; la sua inosservanza produce l’invalidità dell’atto.
Il testamento olografo può essere consegnato dal testatore ad un notaio o presso un pubblico
archivio per essere custodito; il compito del pubblico ufficiale si limita al ricevimento del
documento.
TESTAMENTO PUBBLICO
È un documento redatto con le richieste formalità da un notaio sottoforma di atto pubblico. Esso
presenta minore semplicità ma risponde all’esigenza che la manifestazione di ultima volontà del
soggetto si accertata con la forza probatoria di cui è dotato l’atto pubblico notarile e che il relativo
documento sia posto al riparo da ogni evento naturale o umano, che possa comprometterne
l’integrità.
Requisiti:
1. dichiarazione di volontà orale al notaio da parte del testatore. Il notaio in primo luogo deve
accertarsi dell’identità del testatore e, nel caso non lo conosca, deve far ricorso a due
fidefacienti. Al notaio spetta l’indagine sulla volontà del testatore e precisare eventuali
espressioni poco chiare e tradurle in forma giuridica, cercando di non modificare la volontà del
soggetto.
Anche i soggetti affetti da sordità e muti possono, avvalendosi di interpreti, fare testamento
pubblico;
2. presenza di testimoni (ne bastano due). Essi portano sono necessari per garantire la provenienza
della dichiarazione del testatore, che il notaio non abbia influenzato in alcun modo la volontà e
che questa sia stata riportata in modo fedele.
I testimoni sono quattro quando il testatore è sordo, muto, sordomuto e analfabeta.
I testimoni devono essere maggiorenni, sotto pena d’invalidità dell’atto;
3. redazione in iscritto della volontà a cura del notaio. Al notaio spetta redigere il testamento, ma
la scritturazione può essere fatta da un amanuense o da un dattilografo, da uno dei due
testimoni, o dallo stesso testatore;
4. lettura dell’atto al testatore e ai testimoni ad opera del notaio volta a garantire il controllo
diretto del testatore sulla veridicità dell’atto alla sua volontà;
5. sottoscrizione del testatore, dei testimoni e del notaio. Quando il testatore è impossibilitato a
farlo o analfabeta, serva la dichiarazione dell’inadempimento e il notaio deve menzionarla
prima della lettura dell’atto. NON è ammesso croce-segno.
Se la dichiarazione non avviene il testamento è invalido;
6. la data deve presentare tutti gli elementi: giorno, mese, anno; è necessaria anche l’indicazione
dell’ora;
7. menzione dell’osservanza delle formalità enunciate volta alla certificazione che dette formalità
sono state adempiute. Se una delle formalità fosse stata adempiuta, ma mancasse la menzione,
l’atto è invalido.
TESTAMENTO SEGRETO
Tramite tale testamento, il testatore può mantenere completamente riservato il contenuto delle
disposizioni e avere una maggiore garanzia di conservazione.
Ha 2 elementi principali:
- la scheda testamentaria → predisposta dal testatore e costituita da una serie di fogli su cui
vengono scritte le volontà relative alla successione;
- l’atto di ricevimento → con il quale il notaio attesta che il testatore ha personalmente
consegnato, in presenza di due testimoni, la scheda e ha dichiarato che in essa ci sono le sue
ultime volontà.
La scheda poi viene sigillata; il notaio fa sottoscrivere l’atto di ricevimento al testatore, ai testimoni
e appone la sua firma (in quanto ne è l’autore). Con l’atto di ricevimento si ha il perfezionamento di
tale negozio.
La scheda testamentaria può essere anche non autografa, cioè può essere scritta da un terzo o con
mezzi meccanici. È essenziale, però, che il testatore sappia leggere per poter controllare ciò che è
stato scritto; chi non sa o non può leggere non può fare testamento segreto, deve avvalersi del
testamento pubblico.
La sottoscrizione è apposta alla fine delle disposizioni; nel caso in cui il testatore non sappia
scrivere o non possa, deve essere fatta menzione nell’atto di ricevimento della causa che ha
impedito al testatore di sottoscrivere.
Se la scheda consiste in più fogli, la sottoscrizione va apposta in ciascun mezzo foglio.
La data non occorre che venga apposta sulla scheda, in quanto la data del testamento segreto è
quella dell’atto di ricevimento.
Qualora mancasse uno dei requisiti del testamento segreto, sono presenti tutti i requisiti del
testamento olografo, quindi diventerebbe tale (ma solo se scritto a mano).
Il testamento segreto può essere ritirato in qualsiasi momento dalle mani del notaio, a meno che il
testamento non possa valere come olografo.
TESTAMENTO “INTERNAZIONALE”
L. 29 novembre 1990 n. 387, entrata in vigore in Italia nel 1991, la quale ratificava la Convenzione
di Washington.
Detta convenzione ha previsto un’altra forma di testamento: il testamento internazionale. Essa si
coinvolge in primo luogo i notai, i quali sono abilitati a ricevere gli atti previsti dalla convenzione
limitatamente al territorio italiano, quando il testamento internazionale rientra tra i testamenti per
atto di notaio.
Prima di tale convenzione in Italia, se il testamento riguardava uno straniero oppure il testamento di
un cittadino italiano ma che fosse stato redatto in alto Paese, si doveva individuare la legge
applicabile alla forma di tale testamento e quindi valutare se l’atto rispondesse alla prescrizioni
della legge applicabile.
La convenzione riguarda solo la forma del testamento, non gli altri elementi essenziali.
Il testamento internazionale consiste nella consegna al notaio di un documento su cui risultano
scritte le disposizioni testamentarie e nella dichiarazione, resa al notaio in presenza di due testimoni,
che il documento consegnato è il so testamento e che egli è a conoscenza di quanto è scritto.
TESTAMENTI SPECIALI
Sono testamenti che vengono redatti in particolari circostanze, quando sia impossibile o non
agevole ricorrere al notaio e quindi alle forme ordinarie di testamento; casi come: malattie
contagiose, calamità pubbliche o infortuni; testamenti dei militari ed assimilati.
Essi presentano una caratteristica particolare: perdono la loro efficacia 3 mesi dopo la cessazione
della causa che ha impedito al testatore di valersi delle forme ordinarie o dopo che il testatore sia
venuto a trovarsi in un luogo in cui è impossibile fare testamento nelle forme ordinarie.
L’invalidità del testamento differisce da quella del negozio giuridico, in quanto la legge ha voluto
favorire la conservazione degli effetti del testamento, che costituisce l’estrema manifestazione della
volontà del soggetto.
Sono quindi invalidi:
tutti i vizi di sostanza (indeterminatezza delle disposizioni, illiceità dei motivi, incapacità del
testatore o dei beneficiari);
i vizi di forma, è richiesta la forma ad substantiam. La sua inosservanza oltre all’invalidità è anche
imprescrittibile.
Bisogna distinguere tra:
- mancanza di elementi senza i quali non v’è la certezza della provenienza del testamento della
persona a cui si vuole attribuirlo; in questo caso mancando tale certezza l’atto è nullo;
- inosservanza di tutte le altre formalità prescritte; l’atto è soggetto ad annullabilità chiesta da
chiunque ne abbia interesse, soggetta a prescrizione quinquennale (decorre dal giorno in cui è
stata data esecuzione al testamento).
La nullità trova una deroga nella sanatoria degli atti, ai sensi dell’art. 590 C.C. La conferma o
l’esecuzione volontaria di disposizioni testamentarie nulle, sana la nullità. Essa può operare per
qualsiasi causa di nullità, compreso il testamento verbale (nuncipativo).
La sanatoria non è applicabile se le disposizioni sono illecite, in quanto l’ordinamento non può in
nessun caso dal valore ad un negozio contrario all’ordine pubblico o al buon costume. Non viene
applicato nemmeno al testamento lesivo della legittima, in quanto si ricorre all’azione di riduzione.
L’esecuzione volontaria non esclude la possibilità di impugnare il testamento quando se ne assuma
la falsità.
La revoca può essere a sua volta revocata, in questo modo si determina la reviviscenza delle volontà
revocate, essa deve essere fatta obbligatoriamente in forma espressa.
La pubblicazione del testamento si verifica alla morte del testatore, e riguarda il testamento
olografo e quello segreto. Viene eseguita da parte del notaio, su richiesta di chiunque ne abbia
interesse; mentre chi è in possesso di un testamento olografo deve presentarlo al notaio dopo la
morte del testatore.
Può essere fissato un termine di presentazione del testamento olografo e per l’apertura e
pubblicazione del testamento segreto facendo ricorso al tribunale del circondario.
Per la pubblicazione bisogna seguire un procedimento:
1. presenza di 2 testimoni
2. verbale redatto nella forma di atto pubblico, deve contenere:
descrizione dello stato del testamento
riproduzione del suo contenuto
eventuale menzione dell’apertura del testamento, se sigillato
3. sottoscrizione della persona che presenta il testamento
4. allegati al testamento:
carta in cui è scritto il testamento, vidimata in ciascun mezzo foglio dal notaio e dai
testimoni
estratto dell’atto di morte del testatore o la copia del provvedimento che ordina l’apertura
degli atti di ultima volontà dell’assente o della sentenza che dichiara la morte presunta.
Il notaio, che ha eseguito la pubblicazione, morto il testatore, deve comunicare l’esistenza del
testamento agli eredi e ai legatari di cui conosce il domicilio o la residenza.
La pubblicazione è indispensabile solo se si voglia renderlo opponibile nei confronti di terzi o
esibirlo al giudice, ma non costituisce un elemento di validità del testamento.
L’iscrizione del testamento viene effettuata nel Registro generale dei testamento (Convezione di
Basilea, ratificata L. 307/1981). Tale registro è uno strumento volto ad agevolare la conoscibilità dei
testamenti, è tenuto presso l’Ufficio centrale degli archivi notarili. In esso devono essere scritti tutti
gli eventi legati ai testamenti.
Il registro può essere consultato da chiunque creda di avervi interesse, mediante apposita richiesta al
conservatore del registro, ma solo dopo la morte del testatore.
Il testatore nomina, ai fini dell’esecuzione, uno o più esecutori testamentari; a questi è chiesta la
capacità di obbligarsi (cioè la capacità di agire). Tra gli esecutori possono essere nominati anche gli
eredi o i legatari.
Gli esecutori hanno il compito di curare l’esecuzione delle disposizioni di ultima volontà del
defunto.
Per la loro accettazione occorre una dichiarazione alla cancelleria del tribunale del luogo dove si è
aperta la successione.
Questi hanno possesso, per meno di 1 anno, dei beni ereditari e devono amministrarli come un buon
padre di famiglia; con autorizzazione del tribunale possono anche alienarli ove necessario.
Possono essere esonerati dai loro incarichi dall’ufficio dell’autorità giudiziaria, per inadempimento
o quando compiano atti tali da arrecare sfiducia.
Quando il loro compito giunge al termine devono presentare il conto della loro gestione e restituire i
beni.
Questo è un ufficio di diritto privato gratuito, ma il testatore può decidere una retribuzione a carico
dell’eredità, così come lo sono le spese per l’esercizio dell’ufficio. Inoltre, il testatore può disporre
che l’esecutore si occupi della divisione dell’eredità.
IL LEGATO
È una disposizione a titolo particolare, non comprende tutta l’universalità o una quota dei beni del
testatore ma, consiste nell’attribuzione patrimoniale relativa a beni determinati, ed importa un
beneficio economico per la persona designata dal testatore.
Il legato è disposto per testamento oppure per legge.
Il legatario è la persona su cui viene effettuata tale disposizione. Egli non risponde dei debiti
ereditati. Nel caso il legato riguardasse un bene immobile ipotecato, l’ipoteca attribuisce al creditore
il potere di espropriarlo anche nei confronti del terzo acquirente (diritto di sequela) e di
conseguenza anche nei confronti del legatario.
L’onerato è la persona che è tenuta alla prestazione, oggetto del legato. Questo può essere sia
l’erede che un altro legatario.
Sublegato ≠ prelegato
└ è il legato a favore del coerede e a carico dell’eredita. L’erede beneficiato del
prelegato risponde di tutti i debiti ereditati soltanto in proporzione della quota
ereditaria e non anche del valore dei beni pervenutegli a titolo di prelegato.
Si considera come legato per l’intero.
Il coerede prelegatario ha il diritto a conseguire il legato per intero in anteparte.
Il legato limita l’attribuzione patrimoniale a titolo gratuito che vien fatta all’erede o all’onerato.
L’oggetto del legato può essere: il diritto di proprietà o altro diritto reale su cosa determinata già
appartenente al testatore, oppure di cose determinate solo nel genere. ↔ legato di genere
Esso da luogo ad un rapporto obbligatorio, è valido anche se nessuna cosa del genere considerato fa
parte del patrimonio ereditario; mentre il legatario di cosa di specie diviene immediatamente
proprietario.
La distinzione tra i due tipi di legato (di specie e di genere) corrisponde in parte alla distinzione tra
legato per vindicationem e legato per damnationem del diritto romano.
Nell’ordinamento italiano la differenze dipende dall’oggetto, nel diritto romano dipendeva dalla
formula.
TIPI DI LEGATI
Legato di cosa altrui
Si trova nei legati di specie: la proprietà o altro diritto reale deve appartenere al de cuius e produce
un automatico effetto reale a favore del legatario.
Se tale bene appartiene ad un terzo o allo stesso onerato, bisogna distinguere:
- se il testatore ignorava che la cosa non era sua, il legato è nullo:
- se il testatore dal testamento o da altra dichiarazione scritta risulta che era a conoscenza che la
cosa apparteneva ad altri, il legato produce effetti obbligatori.
In questo senso l’onerato è obbligato ad acquistare la proprietà per poi trasferirla al legatario.
Se l’onerato non intende alienare il bene o pretenda un prezzo eccessivo, il legatario si libera
dall’obbligazione pagando il giusto prezzo.
Legato di genere
Comporta la nascita di un’obbligazione in capo all’onerato, avente per oggetto una quantità di cose
del genere stabilito.
L’adempimento dell’obbligazione è affidata all’onerato ed è obbligato a dare cose di qualità non
inferiore alla media.
Legato alternativo
Nel quale si applicano i principi stabiliti per le obbligazioni alternative, in cui la scelta è lasciata
all’onerato.
LA DIVISIONE DELL’EREDITÀ
LA COMUNIONE
Si ha quando l’acquisto dell’eredità riguarda più persone; essa investe tutti i beni relitti.
La disciplina che si applica alla comunione ereditaria è la stessa che si applica alla comunione
ordinaria.
Nella comunione ordinaria ciascun partecipe può decidere liberamente di alienare la propria quota;
mentre nella comunione ereditaria questo non può avvenire.
I coeredi, infatti, godono del diritto di prelazione, cioè di essere preferiti rispetto ad altri (estranei)
nel caso di alienazione. Il coerede, quindi, deve notificare la proposta di alienazione agli altri
coeredi indicandone il prezzo. Questi, entro 2 mesi, devono decidere se acquistare al prezzo detto la
quota o meno, nel caso di acquisto l’alienazione è conclusa. In caso contrario, il coerede alienante
può venderla ad estranei.
È importante che avvenga la notificazione, perché in caso contrario, e se il coerede prosegue
ugualmente con la vendita, gli altri coeredi possono ottenere la quota per il prezzo pagato (riscatto),
sostituendosi quindi all’acquirente.
LA DIVISIONE
La comunione dei beni patrimoniali ereditari cessa con la divisione. Essa può essere richiesta da
ciascuno dei coeredi che partecipavano alla comunione dei medesimi beni, chiedendo, ora, di
divenire titolare di una determinata parte di beni, corrispondente per valore alla quota spettante
nello stato di in divisione.
La regola generale è, quindi, che ogni coerede può chiedere la divisione. Essi possono anche
pattuire che si rimanga nello stato di comunione per almeno 10 anni; il testatore può stabilire che,
nel caso tutti o alcuni degli istituiti sono minorenni, la comunione permanga fino a 1 anno dopo il
compimento della maggiore età di questi ultimi.
La divisione può pregiudicare gli altri coeredi, quindi, al giudice è attribuito il compito di stabilire
una congrua dilazione che non può essere superiore al quinquennio.
Il diritto di autore, in detta materia, assume una regola particolare. Ai sensi della L. 633/1941 viene
stabilito che il diritto di utilizzazione dell’opera deve rimanere indiviso tra gli eredi per 3 anni dalla
morte dell’autore; per gravi motivi la comunione può essere sciolta anche prima.
Art.757 C.C. → Diritto dell’erede sulla propria quota. “Ogni coerede è reputato solo e immediato
successore in tutti i beni componenti la sua quota o a lui pervenuti dalla successione, anche se per acquisto
all’incanto, e si considera come se non avesse mai avuto la proprietà degli altri beni ereditari.”
Esempio:
se il testatore lascia in eredità un appartamento e una bottega, e sono soggetti a comunione. In essa è
previsto che la prima spetti a X e la seconda a Y, quando si verifica la divisione i due soggetti si
considerano proprietari esclusivi dei beni a loro assegnati, fin dal momento della comunione.
Si parla di non corrispettività, quando la comunione riguarda beni indivisibili, l’acquisto della
proprietà da parte di un soggetto non è subordinata al pagamento del conguaglio, qualora all’altro
soggetto fosse stato attribuito il diritto al conguaglio in denaro. Ad essa non sono applicabili la
risoluzione per inadempimento e l’exceptio inadimpleti contractus, in quanto non si tratta di un
contratto a prestazioni corrispettive.
Quando uno dei coeredi costituisce un’ipoteca su beni indivisibili, soggetta a comunione, sulla
propria quota produce effetto direttamente sui beni che sono stati a lui assegnati in sede di
divisione. Se l’ipoteca la costituisce su beni in comunione, ma in sede di divisione non gli attribuiti,
l’ipoteca si trasferisce sui beni effettivamente assegnati allo stesso coerede (trasporto d’ipoteca).
I creditori iscritti devono intervenire nella divisione, per far sì che essa abbia effetti nei loro
confronti.
LA DIVISIONE CONTRATTUALE
Quando riguarda beni immobili è richiesta la forma scritta e sono soggetti a trascrizione.
Il contratto può essere annullato per dolo o per colpa, ma non per errore.
Si ha la nullità assoluta della divisione, quando essa sia avvenuta anche con l’esistenza di un
testamento, del quale, però, non si era a conoscenza al momento della divisione. È nulla anche
quando non vi partecipino tutti i coeredi.
Il supplemento di divisione avviene quando per errore siano stati omessi dei beni.
La rescissione per lesione della divisione si ha, invece, quando sia avvenuto un errore nella stima
dei beni.
Essa si distingue dalla quella generale di rescissione per lesione dei contratti per vari aspetti:
- è escluso ogni profilo soggettivo (basta la constatazione oggettiva che la porzione assegnata ad
uno dei condividenti non corrisponda al valore della quota e che superi il limite);
- il valore della parte assegnata deve essere inferiore di oltre ¼ al valore della quota.
L’azione generale di rescissione per lesione dei contratti è soggetta a prescrizione di 1 anno dalla
conclusione del contratto; mentre la rescissione della divisione è soggetta a prescrizione di 2 anni
dalla divisione.
Il contraente, nella rescissione del contratto, può evitarla offrendo una modificazione del contratto
sufficiente per ricondurlo ad equità; nel caso della rescissione della divisione, il coerede può
troncare il corso dell’azione e impedire una nuova divisione offrendo un supplemento della
porzione ereditaria in danaro o in natura.
Il supplemento di danaro deve essere commisurato al valore dei beni ereditari al momento
dell’offerta NON della divisione; è soggetto a svalutazione.
LA DIVISIONE GIUDIZIALE
Viene promossa da ciascuno dei coeredi e a detta divisione devono partecipare tutti i condividenti.
Questo tipo di divisione si apre con la stima dei beni (deve farsi con riferimento al loro stato e
valore venale al tempo della divisione) e in seguito con la formazione delle porzioni.
Tuttavia ci sono dei beni che per loro natura non possono essere divisi (beni indivisibili) oppure la
divisione non è opportuna nell’interesse della pubblica economia o dell’igiene. Se detti beni non
sono compresi nella porzione di uno dei coeredi, i quali siano disposti a continuare la comunione
(rispetto a questi beni), essi vengono venduti all’incanto e il danaro ricavato è diviso tra i coeredi.
Al conguaglio è tenuto il coerede che ha ricevuto la quota maggiore rispetto agli altri. A garanzia di
esso si concede l’ipoteca legale (ipoteca legale del condividente) sopra a immobili assegnati ai
condividenti debitori di tali importi. L’ipoteca va iscritta di ufficio dal conservatore dei registri
immobiliari al momento della trascrizione dell’atto di divisione.
L’assegnazione dei lotti viene fatta attraverso un progetto del giudice o da un notaio, nominato dal
giudice stesso, o da un esperto, sotto la direzione di entrambi i precedenti. Si procede con estrazione
a sorte se le quote sono uguali, attraverso attribuzione qualora le quote fossero disuguali.
I DEBITI EREDITARI
Devono essere sopportati da ciascuno dei coeredi in proporzione della propria quota di eredità,
salvo che il testatore abbia disposto altrimenti. Detta regola vale sia nei rapporti interni ai coeredi,
sia nei rapporti esterni, cioè nei confronti dei creditori del de cuius.
Il creditore del defunto non può pretendere dal singolo coerede, a meno che non si tratti di un
obbligazione indivisibile, più di quanto proporzionalmente è imputabile alla quota ereditaria.
Quando si tratta di debiti ipotecari il creditore può pretendere l’intero dal singolo cui quel bene si
assegnato e su cui penda l’ipoteca.
La quota di debito ipotecario del coerede insolvente viene ripartita in proporzione tra tutti gli altri,
quindi il rischio di insolvenza è minimo.
Il coerede che abbia pagato l’intero, può agire in regresso contro tutti gli altri coeredi solo nei limiti
in cui ciascuno degli altri è tenuto a contribuire al pagamento dei debiti ereditari.
Il legatario non è tenuto al pagamento dei debiti ereditari; quando, però, ha un legato su cui grava
un’ipoteca il legatario paga il debito garantito dall’ipoteca e subentra nelle ragioni del creditore
contro gli eredi.
LA COLLAZIONE
Consiste nel mantenere tra i discendenti e il coniuge del de cuius chiamati a succedere la
proporzione stabilita nel testamento o nella legge, se egli in vita avesse fatto delle donazioni
anticipando una quota della futura successione.
Tale istituto ha carattere dispositivo, cioè viene ad esserci solo quando il donante quando ne abbia
disposto.
Importante questione della collazione era legata all’usufrutto e alla rendita: si deve valutare il valore
dell’usufrutto al momento dell’apertura della successione.
Non ha rilevanza il valore dell’usufrutto al momento della donazione, il quale aveva già formato
oggetto di godimento prima della morte del donante.
Quindi, non deve essere conferito l’usufrutto che sia stato estinto prima della morte del de cuius.
L’oggetto della collazione sono le donazioni, le quali possono essere dirette (contratto attraverso il
quale una parte arricchisce l’altra per spirito di liberalità) oppure indirette.
Collazione ≠ riduzione
└ compito di salvaguardare la quota di legittima
Collazione ≠ riunione fittizia
nella collazione la riunione delle donazioni con il patrimonio esistente alla morte del de cuius è
reale e serve a formare la massa da dividere tra i coeredi; nella riunione fittizia, se la legittima non
viene lesa, l’operazione si riduce ad un calcolo che rimane sulla carta senza produrre conseguenze.
La collazione per:
gli immobili
si cede alla massa ereditaria il bene ricevuto in donazione (collazione in natura) oppure con
l’imputazione del valore, cioè prendendo dalla massa tanti beni in meno, quanto è il valore di quelli
donati.
Nella collazione in natura si ha la risoluzione della donazione; nell’imputazione la giurisprudenza
esclude il trasferimento al donatario e configura l’imputazione semplicemente come un
conferimento ideale dell’equivalente pecuniario del bene donato.
i mobili
si fa solo per imputazione; il valore del bene è quello che aveva al momento dell’apertura della
successione.
La donazione indiretta si ha ad esempio quando un genitore, in vita, paghi con denaro proprio il
prezzo di un immobili acquistato dal figlio.
La domanda, per anni, è stata:
il diritto di collazione si ripercuote sul denaro o sull’immobile?
Quando l’oggetto della donazione è l’immobile il donatario deve imputare alla propria quota il
valore del bene al momento dell’apertura della successione; se l’oggetto della donazione è il denaro,
il coerede è tenuto a portare in collazione solo l’importo ricevuto (debito in valuta, soggetto a
svalutazione).
Oggi si distingue: se risulta che il genitore ha messo a disposizione del figlio una somma di denaro,
l’oggetto della donazione è il denaro; mentre se il genitore ha inteso donare quello specifico
immobile, l’oggetto della liberalità deve identificarsi nell’immobile.
LE LIBERALITÀ
Sono atti che hanno la funzione di compiere prestazioni a titolo gratuito.
L’esempio più importante è: la donazione.
LA DONAZIONE
Dal punto di vista giuridico è un contratto: presuppone l’incontro di almeno due volontà, quella del
donante e quella del donatario. Il donatario non è tenuto ad un corrispettivo, però, per la perfezione
del contratto, è tenuto all’accettazione attraverso la quale si arricchisce grazie un’obbligazione di
dare del donante.
Art.769 C.C.→ Definizione. “La donazione è il contratto col quale, per spirito di liberalità, una parte
arricchisce l’altra, disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo verso la stessa una
obbligazione.”
Nella donazione è inammissibile la figura del contratto preliminare, essa deve essere spontanea. Nel
caso che il contratto sia volto all’obbligo di concludere una donazione, tale promessa di donazione è
nulla.
Le donazioni sono negozi a titolo gratuito; ma non tutti i negozi a titolo gratuito costituiscono una
donazione.
Il codice prevede altri contratti tipici, i quali sono o possono essere a titolo gratuito:
il comodato è essenzialmente un negozio a titolo gratuito;
il mandato, il deposito, il mutuo e il trasporto possono essere sia a titolo gratuito che a titolo
oneroso.
Quando, queste figure, prevedano una prestazione senza corrispettivo, non integrano una donazione,
la quale è un modello autonomo e distino.
Esse potrebbero anche non implicare necessariamente un intento di liberalità del soggetto che
esegue tale prestazione, ma consistere in un rapporto di cortesia o di interesse per lo stesso autore.
I negozi giuridici atipici comportano l’esecuzione di attribuzioni o di prestazioni non remunerate,
ma neppure giustificate da un intento liberale.
In tutte queste ipotesi non si applica la disciplina riguardante la donazione, in quanto non si tratta di
contratto di donazione.
Le liberalità che non integrano la donazione, sono: i regali d’uso e la donazione indiretta (liberalità
attuata mediante un negozio diverso da un contratto di donazione tipico).
N.B.: la donazione è un contratto tipico a scopo di liberalità, avente una propria specifica struttura e
disciplina.
LA DONAZIONE INDIRETTA
La donazione può avvenire direttamente con il contratto di donazione oppure con modi indiretti;
cioè avvalendosi di negozi che hanno una causa propria diversa da quella liberale.
Della donazione indiretta si è parlato anche nella collazione, quando: un genitore paga con denaro
proprio il prezzo per l’acquisto di un immobile da parte del figlio.
Detta donazione rientra nella figura generale del negozio o procedimento indiretto: quando le parti,
per raggiungere l’intento di liberalità, anziché utilizzare lo schema negoziale previsto dalla legge se
ne utilizza un altro, caratterizzato da causa diversa.
La donazione mista è la vendita a prezzo inferiore al valore della cosa, viene chiamato negotium
mixtum cum donatione. Devono ricorrere alcuni caratteri strutturali e di morfologia di entrambi i
negozi: quello della vendita e quello dalla donazione.
Quando invece si stabilisce un prezzo simbolico, cioè nummo uno, la vendita difetta di prezzo che è
l’elemento essenziale della vendita stessa; ci si trova in una donazione indiretta.
Il negozio misto con donazione si differenzia dalla simulazione, in quanto le manifestazioni di
volontà delle parti non presentano alcunché di fittizio, né esistono patti occulti o riservati tra le parti
contrari o diversi da quelli resi ostensibili.
Nel negozio misto con donazione è indispensabile che ci sia la sproporzione tra le due prestazioni
ed essa deve essere voluta da chi la subisce allo scopo di attuare una liberalità e la finalità sia nota e
accettata dall’altra parte. Se manca l’elemento volitivo e l’accettazione della finalità dalla parte
opposta, quando il contratto e commutativo, si potrà ricorrere all’azione generale di rescissione per
lesione.
La natura di questo negozio consiste nel fatto che si arricchisce una parte, in via indiretta, della cosa
(oggetto di vendita) che non riceve un corrispettivo adeguato.
La sua disciplina rispecchia la duplice valenza dell’operazione negoziale, la quale da un lato non da
luogo ad un vero e proprio contratto di donazione, di conseguenza è soggetta alle norme che
regolano il negozio a fini indiretti e non a quelle stabilite per la donazione; dall’altro si tratta
comunque di liberalità, cioè il patrimonio di chi la riceve si arricchisce, mentre diminuisce quello
di chi la effettua.
La quota dei legittimari può essere lesa anche dalla donazione, ed viene assoggetta all’azione di
riduzione. Viene, anche, sottoposta a revocazione per ingratitudine o per sopravvenienza di figli.
REQUISITI
Capacità di donare
NON possono effettuare donazioni: i minorenni, l’interdetto, l’inabilitato, l’incapace naturale.
Per i minorenni è prevista un’eccezione: donazioni obnuziali, cioè la donazione a causa di
matrimonio. È regolata in base al principio habilis ad nuptias habilis ad nuptiarum consequentias,
in questo caso sono valide, con l’assistenza delle persone che esercitano la potestà o la tutela o la
curatela, le donazioni fatte nel contratto di matrimonio dal minore o dall’inabilitato.
Persone giuridiche
Sono in grado di fare donazioni, se è prevista dal loro statuto o dall’atto costitutivo e nei limiti del
riconoscimento medesimo.
Valide sono le liberalità effettuate dalla società commerciali a scopo promozionale o di
rappresentanza o per consuetudine. Per tali società si potrebbe parlare di mecenatismo, quando le
liberalità consistono in erogazioni di denaro a favore della tutela e del recupero o restauro del
patrimonio artistico ambientale o del finanziamento di studi o altre iniziative di valore culturale ed
artistico.
Il mandato a donare
La donazione è rimessa alla volontà del donante, di conseguenza essa non può essere svolta da
alcun rappresentante. Quindi il mandato a donare è nullo cui voles o que voles.
Art.778 C.C. (I° comma) → Mandato a donare. “È nullo il mandato con cui si attribuisce ad altri la
facoltà di designare la persona del donatario o di determinare l’oggetto della donazione.”
La procura a donare può essere eseguita nei limiti previsti, sotto condizione di forma di atto
pubblico e con l’intervento di testimoni.
Per i legati è consentito rimettere ad un terzo la scelta del donatario tra determinate categorie di
persone o dell’oggetto tra più cose indicata dal donante.
Capacità di ricevere
Ha analogie con la successione testamentaria; inoltre, sono previste alcune deroghe analoghe alla
disciplina generale della capacità giuridica.
Capaci a ricevere sono:
- le persone fisiche e i nascituri (cioè viene disposta a favore del figlio, non ancora concepito, di
una persone vivente, una donazione);
- le persone giuridiche (ora anche per gli enti non riconosciuti).
Con la riforma del diritto di famiglia (1975) la norma che stabiliva la nullità delle donazioni fatte ad
un figlio naturale non riconoscibile è stata abrogata, e quella che sanciva l’incapacità di ricevere per
testamento dichiarata incostituzionale. La stessa dichiarazione l’ha subita il divieto di donazione tra
coniugi, in quanto le relazioni coniugali devono essere baste sul reciproco affetto e non per fini
egoistici; la Corte Costituzionale ha però ribadito l’assenza di ogni giustificazione a tale divieto.
La donazione è vietata a favore del tutore o del protutore. Sono valide le disposizioni testamentarie
e le convenzioni in favore dell’amministratore di sostegno che sia parente entro il 4° grado del
beneficiario, o che sia coniuge o persona che sia stata chiamata alla funzione in quanto vive
stabilmente con la persona.
Oggetto della donazione
NON può essere un bene futuro; la donazione è nulla se accadesse per porre un limite al principio di
prodigalità: non può essere consentito che qualcuno si privi senza corrispettivo di una cosa che non
è ancora venuta ad esistenza.
È vietata anche la donazione di cosa altrui; essa però non è un bene futuro, ma l’obbligazione
assunta dal donante di acquistare la cosa per trasmetterla al donatario (per bene futuro deve
intendersi in senso oggettivo- il bene non esiste in rerum natura- e in senso soggettivo- cioè che non
fa parte del patrimonio del disponente-).
È consentita la donazione universale, cioè che riguarda tutti i beni presenti nel patrimonio del
disponente.
Condizione di reversibilità
Si tratta di una condizione risolutiva. Con essa si stabilisce che i beni ritornino al donante nel caso
che il donatario muoia prima del donante stesso.
Viene chiamato anche patto di ritorno.
Donazione modale
Quando la donazione è gravata da onere o modo, e il donatario è tenuto al suo adempimento entro il
limite del valore della cosa donata. È distinta dalla donazione mista.
Nella donazione modale non appare l’idea di corrispettivo.
Per l’adempimento del modo possono agire il donante oppure altri interessati. Per la sua risoluzione,
qualora vi sia inadempimento, è possibile solo se prevista dall’atto di donazione e può essere
domandata dal donante stesso o dai suoi eredi.
L’onere illecito o impossibile si considera non apposto, nel caso in cui coinvolga tutto l’atto.
Divieto di sostituzione
Esse sono consentite nei limiti e nei casi stabiliti per gli atti di ultima volontà.
L’invalidità della donazione presenta alcuni punti in comune con quella stabilita per i negozi e per
altri punti a quella stabilita per il testamento. Per la natura gratuita dei due istituti, si fa riferimento
al motivo.
L’errore sul motivo della donazione la rende annullabile, se il motivo risulti dall’atto e sia il solo
che ha determinato il donante a compiere la liberalità.
Il motivo illecito è rilevante quando il motivo ha avuto valore determinante esclusivo ed è comune
ad entrambe le parti. La disciplina della donazione prevede che il motivo abbia avuto efficacia
determinante esclusiva e basta che risulti dall’atto.
La nullità non è sanabile e non è suscettibile di conferma, in quanto quest’ultima deve avvenire
dopo la morte del donante.
La nullità della donazione non può essere esperita dagli eredi o dagli aventi causa del donante che,
in quanto conoscono la causa della nullità, hanno confermato la donazione o che hanno dato
volontaria esecuzione dopo la sua morte; la nullità non è solo valida quando alla donazione manchi
una delle forme speciali, ma anche quando sia priva di ogni forma.
Art.810 C.C. → Nozione. “Sono beni le cose che possono formare oggetto di diritti.”
I beni sono una species all’interno del più ampio genus delle cose.
In senso giuridico il bene non è la res come tale, ma è il diritto sulla res, perché è questo che ha un
valore in funzione della sua negoziabilità, tanto che su una medesima res possono concorrere più
diritti.
Il concetto di bene, quindi, in base al legislatore codicistico assume il sinonimo di diritto. (esempi:
art. 2740- Responsabilità patrimoniale: il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni
con tutti i suoi beni presenti e futuri; ecc…).
In questo senso il concetto di bene finisce con il designare un genus molto ampio, che ricomprende,
oltre i diritti sulla res anche altri diritti che hanno elementi patrimoniali che non sono cose.
CATEGORIE DI BENI:
1. BENI MATERIALI E IMMATERIALI:
beni materiali → sono quelli che possono essere oggetto di diritti reali; si caratterizzano per la
loro corporeità o per la loro idoneità ad essere percepite con i sensi o con strumenti materiali.
Nella categoria sono comprese anche le energie naturali, sempre che abbiano valore economico.
beni immateriali → non hanno alcuna corporalità.
Rientrano nella categoria:
strumenti finanziari destinati alla negoziazione sui mercati regolamentati, per i quali la
legge impone la dematerializzazione, cioè che la relativa emissione e circolazione avvenga
tramite scritturazioni contabili, escludendo che possano esser incorporati in un supporto
cartaceo;
dati personali: il D. Lgs 30 giugno 2003, n. 196 attribuisce all’interessato penetranti e
articolati poteri di controllo in ordine al loro trattamento;
contenuto delle banche dati: il bene risulta protetto attraverso l’attribuzione al suo titolare
del diritto di opporsi all’estrazione, così come reimpiego, della totalità o di una parte
sostanziale di esso e l’imposizione al legittimo utilizzatore del divieto di eseguire
operazioni che siano in contrasto con la normale gestione della banca-dati o che arrechino
un ingiustificato pregiudizio al costitutore della banca-dati stessa;
opere di ingegno, che possono essere: opere letterarie, scientifiche, didattiche; opere e
composizioni musicali; opere coreografiche; opere della scultura, della pittura, dell’arte del
disegno; programmi elaborati (software); banche-dati sempre che costituiscano una
creazione intellettuale dell’autore;
marchi, invenzioni e altri possibili oggetti di proprietà industriale;
know-how: patrimonio di conoscenze, informatiche, notizie utili, competenze specifiche,
capacità tecniche necessarie per attuare un processo produttivo, per acquistare un vantaggio
competitivo sul piano organizzativo o commerciale, ecc…
3. BENI REGISTRATI:
sono soggetti a iscrizione nei pubblici registri, i quali possono essere consultati da chiunque ne
abbia bisogno.
I pubblici registri sono:
- registro immobiliare ↔ tenuto presso gli uffici periferici dell’Agenzia del Territorio, in cui
sono pubblicizzate le vicende relative ai beni immobili;
- pubblico registro automobilistico (P.R.A.) ↔ tenuto presso ogni sede provinciale
dell’Automobile Club d’Italia, in cui sono pubblicizzate le vicende relative agli autoveicoli;
- registri indicati dall’art. 146 cod. nav. ↔ nei quali sono pubblicizzate le vicende relative alle
navi e ai galleggianti; per le unità di porto dispone l’art. 17 D. Lgs. 18 luglio 2005, n. 171;
- registro aeronautico nazionale (R.A.N.) ↔ tenuto presso l’Ente Nazionale per l’Aviazione
Civile (E.N.A.C.), vi sono pubblicate le vicende relative agli aeromobili.
4. PRODOTTI FINANZIARI:
è una particolare categoria di beni, assoggettata ad una specifica disciplina a tutela degli investitori,
a sua volta strumentale al buon funzionamento del mercato dei capitali; cioè si intendono tutte le
forma di investimento di natura finanziaria e di impiego di risparmio effettuato in vista di un ritorno
economico.
Gli strumenti finanziari sono: azioni ed obbligazione emesse da società di capitali, titoli di Stato,
strumenti finanziari previsti dal codice civile, se negoziabili sul mercato dei capitali; quote di fondi
comuni di investimento; titoli negoziati sul mercato di capitali e sul mercato monetario; futures;
swaps, options; ecc…
La legge impone a chiunque intenda effettuare una “offerta al pubblico” di predisporre un prospetto
informativo, il quale contiene tutte le informazioni che sono necessarie affinché gli investitori
possano prevenire ad un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale e finanziaria, sui risultati
economici e sulle prospettive dell’emittente e degli eventuali garanti. Esso contiene anche una nota
di sintesi recante i rischi e le caratteristiche essenziali dell’offerta. Il prospetto informativo è
sottoposto al controllo della Consob e deve essere reso conoscibile al pubblico attraverso la
pubblicazione.
Per una tutela maggiore del risparmiatore, la legge riserva l’esercizio professionale nei confronti del
pubblico dei servizi di investimento a banche e ad imprese di investimento.
I FRUTTI
Ci sono due categorie:
a) frutti naturali → sono prodotti direttamente da altro bene, vi concorra o meno l’opera
dell’uomo; la produzione deve avere carattere periodico e non incida né sulla sostanza né
sulla destinazione economica della cosa madre.
I frutti si dicono pendenti quando non hanno ancora esistenza autonoma, cioè fanno ancora
parte della cosa madre; essi sono considerati beni futuri e possono formare oggetto di
rapporti obbligatori. Quando avviene la separazione, i frutti vengono chiamati frutti separati;
essi acquistano una propria individualità e divengono oggetto di un autonomo diritto di
proprietà.
Per quanto riguarda le spese, se la produzione è avvenuta da persona diversa dal proprietario
e alla quale spetterebbero i frutti, egli sarà tenuto a restituire i frutti e ha diritto al rimborso
di tali spese, basta che non superino il valore dei frutti. In questo ultimo caso il rimborso
spetta fino al limite del valore. ↔ fructus non intelleguntur nisi deductis impensis
b) frutti civili → sono quelli che si ritraggono dalla cosa come corrispettivo del godimento che
altri ne abbia.
Esempio: se io concedo in locazione un cosa mia dall’altra persona io ricavo un quid; esso
non è prodotto dalla cosa, ma costituisce l’utilità che si sarebbe ricavata da quella cosa.
I frutti civili devono avere il requisito della periodicità; detti frutti si acquistano giorno per
giorno, in ragione della durata del diritto.
COMBINAZIONE DI BENI
I beni possono essere impiegati individualmente o insieme o collegati ad altri; si distinguono in 2
categorie:
a) bene semplice → si intende quello i cui elementi sono compenetranti tra di loro e non
possono essere staccati senza distruggere o alterare la fisionomia del tutto;
b) ben composto → si intende quello risultante dalla connessione, materiale o fisica, di più
cose, ciascuna delle quali potrebbe essere staccata del tutto e avere autonoma rilevanza
giuridica ed economica.
La vendita di un bene composto abbraccia la totalità degli elementi di cui è composto, ma la
vendita potrebbe anche riguardare l’individualità dei singoli elementi, se ad esempio essi
appartengono a persone diverse che le rivendicano (per le cose mobili). Se si tratta, però, di
un immobile i singoli elementi diventano di proprietà del titolare dell’immobile per il
principio dell’accessione, salvo indennizzo o risarcimento.
La cosa composta è differente dall’universalità di fatto. Alla cosa composta si applica il
principio del possesso vale titolo, che non vige nell’universalità di mobili.
LE PERTINENZE
Si hanno quando una cosa è posta a servizio o ad ornamento di un’altra, senza costituirne parte
integrante e senza rappresentare elemento indispensabile per la sua esistenza, ma ne aumenta
l’utilità e il pregio.
Art.817 C.C. → Pertinenze. “Sono pertinenze le cose destinate in modo durevole a servizio o ad
ornamento di un’altra cosa.
La destinazione può essere effettuata dal proprietario della cosa principale o da chi ha un diritto reale sulla
medesima.”
Le cose accessorie possono provenire anche da terzi, essi possono rivendicare la propria cosa prima
che sia stata posta al servizio di un’altra cosa.
Questo vincolo pertinenziale può creare nel terzo la convinzione che le pertinenze appartengano
allo stesso proprietario della cosa principale. Le legge, quindi, tutela i terzi da 2 punti di vista:
costituzione → i terzi proprietari delle pertinenze possono rivendicarle contro il proprietario della
cosa principale; se egli ha alienato la cosa principale non escludendo le pertinenze, i terzi in
buona fede sono tutelati:
se la cosa principale è un bene immobile o un mobile registrato, ai terzi non si può
opporre l’esistenza di diritti altrui sulle pertinenze, se essi non risultano sa scrittura
avente data certa anteriore all’atto dell’acquisto;
se la cosa principale è un mobile non registrato, il terzo acquirente è protetto in base al
principio del possesso vale titolo.
cessazione → la cessazione della qualità di pertinenza non è opponibile ai terzi che abbiano
anteriormente acquistato diritti sulla cosa principale.
Le pertinenze normalmente seguono lo stesso destino della cosa principale, a meno che non sia
disposto diversamente (art. 818 C.C.); sono ammissibili contratti che riguardino in via autonoma la
sola pertinenza.
Art.818 C.C. → Regime delle pertinenze. “Gli atti e i rapporti giuridici che hanno per oggetto la cosa
principale comprendono anche le pertinenze, se non è diversamente disposto.
Le pertinenze possono formare oggetto di separati atti o rapporti giuridici.
La cessazione della qualità di pertinenza non è opponibile ai terzi i quali abbiano anteriormente acquistato
diritti sulla cosa principale.”
LE UNIVERSALITÀ PATRIMONIALI
Nozione: sono universalità la pluralità di cose mobili che appartengono alla stessa persona ed hanno
una destinazione unitaria.
Distinzione:
- è diversa dalla cosa composta, perché non vi è connessione fisica tra le varie cose;
- è diversa dal complesso pertinenziale, perché le cose non sono poste l’una a servizio o ad
ornamento dell’altra, ma tutte costituiscono una entità nuova dal punto di vista economico-sociale.
I beni all’interno dell’universalità possono essere considerati separatamente o come tutt’uno; questo
dipende dalla volontà delle parti e assume particolare importanza nell’usufrutto.
L’ordinamento giuridico stabilisce per l’universitas un regime proprio e diverso da quello che
disciplina i singoli beni mobili.
Il principio del possesso vale titolo non viene applicato a dette universalità, infatti, è necessario che
si abbia il possesso dell’universalità per 10 anni per diventare proprietari.
Essa è tutelata dall’azione di manutenzione, che non è concessa per i beni mobili.
La dottrina distingue:
universalità di fatto o universitas facti → costituita da più beni mobili unitariamente considerati
dal proprietario;
universalità di diritto o universitas iuris → costituita da più beni in cui la riduzione ad unità è
operata dalla legge che considera e regola unitariamente l’insieme di detti beni e rapporti.
L’AZIENDA
Nozione: complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa, cioè per la
produzione di beni o di servizi, o per lo scambio di beni o di servizi.
È costituita da un insieme di beni collegati tra loro da un nesso di dipendenza reciproca, volta al
fine produttivo comune.
La L. 27 luglio 1978, n. 392 tutela la sede dove si svolge l’attività aziendale ed ha previsto a favore
dell’imprenditore che gestisce un’azienda in locali altrui, il diritto a conseguire una indennità
qualora venga a cessare la locazione dell’immobile, purché non a seguito di una sua inadempienza o
recesso.
L’impresa è l’attività economica svolta dall’imprenditore; l’azienda è il complesso dei beni di cui
l’imprenditore si avvale per svolgere l’attività stessa.
IL PATRIMONIO
Nozione: complesso dei rapporti attivi e passivi, suscettibili di valutazione economica, facenti capo
ad un soggetto.
NON è considerato come un bene unico, non è un’universitas.
Ogni soggetto ha un patrimonio ed un patrimonio solo, attraverso il quale risponde dei propri debiti.
Al soggetto non gli è consentito di staccare dei beni o dei rapporti giuridici dal proprio patrimonio
per riservarli ad alcuni creditori, escludendo gli altri. Ciò è possibile sono quando si tratta di
patrimonio separato.
L’azienda non costituisce un patrimonio separato, l’imprenditore risponde dei debiti contratti anche
con il patrimonio che non abbia destinato all’attività.
Il patrimonio autonomo è quello che viene attribuito ad un nuovo soggetto, mediante la creazione di
una persona giuridica o di un ente che è dotato di autonomia patrimoniale anche se imperfetta.
I BENI PUBBLICI
Se ne parla in 2 sensi:
a) beni appartenenti ad un ente pubblico ovvero ad una società denominata “Patrimonio
dello Stato s.p.a.” ↔ beni pubblici in senso soggettivo;
b) beni assoggettati ad un regime speciale, diverso dalla proprietà privata, per favorire il
raggiungimento dei fini pubblici cui quei cespiti sono destinati ↔ beni pubblici in
senso oggettivo.
I beni pubblici in senso oggettivo sono: beni demaniali e beni del patrimonio indisponibile.
I BENI NON DEMANIALI appartenenti ad un ente pubblico territoriale vengono chiamati beni
patrimoniali; si distinguono:
a) beni del patrimonio indisponibile → non possono essere sottratti alle rispettive
destinazioni se non con le modalità previste dalle norme del diritto pubblico e non
possono essere oggetto né di atti contrattuali in contrasto con dette destinazioni, né di
usucapione;
b) beni del patrimonio disponibile → non sono destinati direttamente ed immediatamente al
perseguimento di fini pubblici e sono soggetti alle norme del codice civile.
Nell’ultimo decennio è stato avviato il processo per la privatizzazione del patrimonio immobiliare
pubblico.
I beni degli enti ecclesiastici sono disciplinati dalla Legge 20 maggio 1985, n. 222, e dal relativo
regolamento di esecuzione.
Le chiese possono appartenere anche a privati e sono soggette alla disciplina del diritto privato, ma,
finché non siano consacrate secondo le regole del diritto canonico, non possono essere sottratte alla
loro destinazione e al culto.
I DIRITTI REALI
I diritti reali è la categoria che raggruppa tutti i diritti che si formano su cosa materiale determinata
(iura in rem).
Hanno determinate caratteri, i quali, però, non sono relativi a tutti i diritti reali:
immediatezza → la possibilità che il titolare eserciti direttamente il potere sulla cosa, senza
necessità della cooperazione dei terzi;
assolutezza → il dovere di tutti i consociati di astenersi dall’interferire nel rapporto fra il
titolare del diritto reale ed il bene che ne è oggetto, dalla possibilità per il titolare di agire in
giudizio contro chiunque contesti o pregiudichi il suo diritto (hanno efficacia erga omens, nei
confronti di tutti);
inerenza → l’opponibilità del diritto a chiunque possieda o vanti diritti sulla cosa.
I diritti reali costituiscono un numerus clausus (numero chiuso), ciò preclude ai privati la possibilità
di creare diritti reali diversi da quelli già stabiliti dalla legge. Hanno anche il carattere della tipicità,
cioè non consente ai singoli privati la possibilità di modificare la disciplina legale dei singoli diritti
reali.
La tipicità e il numero chiuso dei diritti reali sono determinanti per l’impossibilità dei privati di
creare limiti e vincoli destinati a comprimere i poteri del proprietario, e vogliono anche tutelare i
terzi, i quali devono essere in grado di conoscere con precisione i vincoli che gravano sul diritto.
Le obbligazioni propter rem si caratterizzano per il fatto che la persona dell’obbligato viene
individuata in base alla titolarità di un diritto reale su un determinato bene.
Ci sono obbligazioni reali atipiche, diverse da quelle previste dalla legge, in esse sono contenuti i
principi della relatività degli effetti del contratto, quindi graverebbero anche sui terzi.
L’onere reale si ha quando il creditore, per il pagamento di somme di denaro o altre cose generiche
de prestarsi periodicamente in relazione ad un determinato bene immobile, può soddisfarsi sul bene
stesso, chiunque ne diventi proprietario o acquisti diritti reali di godimento o do garanzia su di esso.
L’unico esempio sono: i contributi consorziali.
LA PROPRIETÀ
Nello Statuto Albertino (1848) la proprietà era considerata sacra e inviolabile, era un autentico
pilastro dell’organizzazione sociale.
Il Codice Civile del 1942 le caratteristiche affermate nel precedente Statuto vengono a perdersi.
Art.832 C.C. → Contenuto del diritto. “Il proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose in modo
pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico.”
Al proprietario spetta il diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, solo però
entro i limiti e l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico.
Dal contenuto della norma derivano 2 poteri attribuiti al titolare:
1. potere di godimento → potere di trarre dalla cosa le utilità che la stessa è in grado di fornire,
decidendo se, come e quando utilizzarla, direttamente o indirettamente;
2. potere di disposizione → potere di cedere agli altri, in tutto o in parte, diritti sulla cosa.
Le altre caratteristiche della proprietà enunciate dal medesimo articolo, sono:
- l’assolutezza, cioè l’attribuzione al proprietario del diritto di fare sulla cosa tutto ciò che
vuole (ius utendi et abutendi);
- l’esclusività, cioè l’attribuzione al proprietario del diritto di vietare ogni ingerenza di terzi in
ordine alle scelte che il proprietario si riserva di effettuare secondo la sua volontà (ius
excludendi alios).
Nell’ambito della proprietà, il Codice Civile, detta una disciplina differenziata per alcuni tipi di
proprietà, per le quali, in base alle categoria di bene, elabora una serie di previsioni miranti a
conciliare l’interesse egoistico del proprietario con l’interesse degli altri proprietari o della
collettività.
Le categorie di proprietà di cui si parla, sono:
- proprietà dei beni di interesse storico e artistico;
- proprietà rurale;
- proprietà edilizia;
- proprietà fondiaria.
La proprietà è anche riconosciuta nell’attuale Costituzione, che ne parla nel titolo che tratta dei
rapporti economici.
La Costituzione dichiara che “la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge”: grazie a
questa legge, il legislatore ordinario non può sopprimere l’istituto della proprietà privata e che non è
possibile modificarlo attraverso altri principi costituzionali, in un ordinamento in cui i beni siano
prevalentemente collettivizzati.
Il legislatore inoltre potrebbe escludere l’ammissibilità della proprietà privata per quanto riguarda
una determinata categoria di beni: l’art.43 della Costituzione prevede che “a fini di utilità generale
la legge può riservare o trasferire (…) allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di
utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscono a servizi pubblici essenziali o a
fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale.”
L’art.42 della Costituzione rimanda anche ai modi di acquisto, di godimento ed i limiti relativi alla
proprietà allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.
Il legislatore, cioè, ha il compito di delineare il contenuto dei poteri del proprietario attraverso
interventi conformativi dei vari statuti proprietari, al fine di garantire che si realizzi una funzione
sociale. Questa funzione si deve ricollegare sia all’esigenza di realizzare uno sfruttamento
economicamente efficiente dei beni, sia all’esigenza di instaurare più equi rapporti sociali.
Il D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 in tema di espropriazione per pubblica utilità, prevede che nella
nozione di espropriazione di beni immobili rientri non solo l’ipotesi di passaggio del diritto di
proprietà dall’espropriato al beneficiario dell’espropriazione, ma anche quelle del vincolo
sostanziale espropriativo; cioè quella in cui il fondo sia gravato da una servitù o subisca una
permanente diminuzione di valore per la perdita o la ridotta possibilità di esercizio del diritto di
proprietà.
Ci sono alcuni tipi di proprietà a cui il legislatore dedica specifiche norme, come:
1. la proprietà dei beni culturali (art.839 C.C.)
anche nella Costituzione (art.19), oltre che nel Codice Civile, si prevede la tutela del patrimonio
storico e artistico della Nazione.
I beni culturali sono le cose, mobili e immobili, che presentano interesse artistico, storico,
archeologico, etno-antropologico, archivistico, bibliografico e testimonianze aventi valore di civiltà.
Il D. Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) impone al proprietario
una serie di limiti attraverso la dichiarazione dell’interesse culturale notificato dallo specifico
Ministero:
a) sia quanto al potere di godimento → non arrecare pregiudizio alla conservazione dei beni;
assoggettare ad autorizzazione del Sopraintendente l’esecuzione su di essi di opere e lavori
di qualunque genere; garantire la loro conservazione;
b) sia quanto al potere di disposizione → obbligo di denuncia degli atti che trasferiscono la
proprietà o la detenzione di detti beni; diritto di prelazione dello Stato, della regione o degli
atri enti pubblici territoriali nel cui ambito si trova il bene, in caso di alienazione a titolo
oneroso.
2. la proprietà edilizia (D.P.R. 6 giugno 2001, n. 20 – Testo unico delle disposizioni legislative
e regolamentari in materia edilizia)
ci sono vincoli per l’attività edilizia, la quale è subordinata:
a) al rilascio del permesso di costruire, da parte dell’autorità comunale, per gli interventi di
maggiore impatto e se l’intervento è conforme alle previsioni degli strumenti urbanistici e
della disciplina urbanistico-edilizia vigente.
Importante è l’obbligo della corresponsione, a favore del Comune, di un contributo di
costruzione, commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione e al costo di
costruzione.
b) alla denunzia di inizio attività (D.I.A.), la quale deve essere presentata almeno 30 giorni
prima dell’effettivo inizio dei lavori, accompagnata da una relazione a firma del progettista
che asseveri la conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici.
La legge riconosce l’abusivismo edilizio, per il quale prevede delle sanzioni:
sanziona con nullità gli atti che hanno per oggetto il trasferimento o la costituzione di diritti
reali su terreni, quando non vi sia allegato il certificato di destinazione urbanistica (rilasciato
dal Comune);
sanziona con nullità gli atti che hanno ad oggetto il trasferimento o la costituzione di diritti reali
su edifici, quando non abbiano gli estremi del permesso di costruire;
vieta alle aziende erogatrici di servizi pubblici di somministrare le loro forniture per
l’esecuzione di opere prive di permesso di costruire e sanziona con nullità i relativi contratti;
impone a chi abbia violato disposizioni che regolamentano l’attività edilizia l’obbligo di
risarcire i danni che terzi ne abbiano eventualmente sofferto.
Gli strumenti urbanistici sono le caratteristiche che devono essere rispettate per qualunque
intervento di trasformazione urbanistica o edilizia.
L. 17 agosto 1942, n. 1150 in materia di urbanistica prevede che la pianificazione del territorio
avvenga principalmente attraverso due strumenti ad iniziativa pubblica:
1. il piano regolatore generale (P.R.G.), nel quale va indicata la rete delle principali vie di
comunicazione, la divisione del territorio comunale, le aree destinate a formare spazi di uso
pubblico e quelle da riservare a edifici pubblici o di uso pubblico;
2. il piano particolareggiato di esecuzione (P.P.), nel quale vanno indicate nel dettaglio, per le
singole porzioni del territorio, le reti stradali, i principali dati altimetrici di ciascuna zona, ecc…
Oltre al piano particolareggiato di esecuzione, la legislazione ha introdotto:
3. il piano per l’edilizia economica e popolare (P.E.E.P.)
4. il piano per gli insediamenti produttivi
5. il piano di recupero…
Questi sopraelencati sono strumenti attuativi, la legge riconosce anche strumenti di tipo privatistico,
come: la convenzione di lottizzazione.
Questa convenzione permette ai proprietari delle aree interessate di proporre al Comune un piano di
lottizzazione ed essi si assumono una serie di impegni nei confronti del comune stesso.
Ricorrente è il problema delle sperequazioni che si creano tra i diversi proprietari: destinazione a
verde pubblico, che rende l’area praticamente incommerciabile e zona residenziale, che consente al
proprietario di lucrare la rendita di posizione dell’area, in funzione della sua edificabilità.
3. la proprietà fondiaria
ha due tipi di prospettive: in linea verticale e in linea orizzontale.
In linea verticale
la proprietà fondiaria si estende all’infinito sia nel sottosuolo che nello spazio aereo soprastante.
Art.840 C.C. → Sottosuolo e spazio sovrastante al suolo. “La proprietà del suolo si estende al
sottosuolo, con tutto ciò che vi si contiene, e il proprietario può fare qualsiasi escavazione od opera che non
rechi danno al vicino. Questa disposizione non si applica a quanto forma oggetto delle leggi sulle miniere, cave
e torbiere. Sono del pari salve le limitazioni derivanti dalle leggi sulle antichità e belle arti, sulle acque, sulle
opere idrauliche e da altre leggi speciali.
Il proprietario del suolo non può opporsi ad attività che si svolgano a tale profondità nel sottosuolo o a tale
altezza nello spazio sovrastante, che egli non abbia interesse ad escluderle.”
La proprietà del sottosuolo si estende a quella parte del sottosuolo suscettibile di utilizzazione
secondo un criterio di normalità.
Una limitazione della proprietà è comportata dal diritto di superficie.
In linea orizzontale
ciascuna proprietà fondiaria si estende nell’ambito dei propri confini. Quindi, il proprietario può
cintare il suo fondo e può impedire l’accesso su di esso a chiunque.
Le consuetudini, però, talvolta consentono l’accesso su fondi altrui per passeggiarvi, raccogliere
fiori o funghi, sciare, ecc…
I RAPPORTI DI VICINATO
Il Codice Civile ha introdotto una serie di norme al fine di regolare il rapporto tra proprietari di
fondi contigui, le quali sono:
a) atti emulativi;
b) immissioni;
c) distanze (in cui rientrano anche i muri, ecc…);
d) luci e vedute.
Atti emulativi
Sono quegli atti che non hanno altro scopo che nuocere o arrecare molestia ad altri.
Art.833 C.C. → Atti d’emulazione. “Il proprietario non può fare atti i quali abbiano altro scopo che
quello di nuocere o recare molestia ad altri.”
Vieta l’abuso del diritto soggettivo!
Perché l’atto di godimento sia vietato devono ricorre 2 elementi:
a) elemento oggettivo → assenza di utilità per il proprietario;
b) elemento soggettivo → intenzione di nuocere o arrecare molestia ad altri (animus aemulandi
o nocendi); quando l’atto risulti non giustificato da alcun interesse del proprietario e lesivo
degli interessi del vicino.
Non incorre nel divieto di atti emulativi il comportamento omissivo del proprietario anche se è
finalizzato a nuocere al vicino.
Immissioni
Ci sono 2 tipologie di immissioni:
1. materiali → quando avviene da terzi una qualsiasi attività materiale sul fondo di proprietà
altrui, il quale può opporsi;
2. immateriali → quando le attività si svolgono sul fondo del vicino, il proprietario del fondo
adiacente non può opporsi; le attività che riguardano le immissioni immateriali, sono: fumi,
calore, esalazioni, rumori, scuotimenti e simili…tutte attività che sono destinate a propagarsi
nelle proprietà circostanti.
L’immissione, però, può essere tale anche da arrecare danno alla salute dei soggetti operanti sul
fondo che la subisce, e anche l’integrità dell’ambiente; questo tipo di tutela viene affidata alle
regole della responsabilità extracontrattuale.
Distanze
Art.873 C.C. → Distanze nelle costruzioni. “Le costruzioni su fondi finitimi, se non sono unite o
aderenti, devono essere tenute a distanza non minore di tre metri. Nei regolamenti locali può essere stabilita
una distanza maggiore.”
La distanza ordinaria tra due fondi è di 3 metri; può essere aumentata nel caso in cui gli strumenti
urbanistici locali richiedano tra gli edifici una distanza maggiore.
Se la distanza è inferiore, il vicino può agire per la rimozione dell’opera abusivamente realizzata e
per il risarcimento del danno.
Per quanto riguarda la distanza prevista negli strumenti urbanistici, bisogna tener conto:
a) se la previsione degli strumenti urbanistici risulta destinata a disciplinare proprio le distanze
tra costruzioni nei rapporti intersoggettivi di vicinato, la sua violazione legittima il vicino ad
agire per la rimozione dell’opera abusivamente realizzata e per il risarcimento del danno
sofferto;
b) se la previsione degli strumenti urbanistici, pur prevedendo la necessità di rispettare
determinata distanze, risulta invece dettata esclusivamente per la tutela di interessi generali,
la sua violazione legittima il vicino ad agire solo per il risarcimento del danno.
Le luci sono quelle aperture che consentono il passaggio di aria e di luce, ma non permettono la
vista (inspicere) e dell’affaccio (prospicere) sul fondo del vicino. Le luci possono essere:
- luce regolare, quando ha determinate caratteristiche previste dalla legge (art.901 C.C.);
- luce irregolare, sono quelle che pur non concedendo di inspicere e di prospicere non hanno le
caratteristiche previste dalla legge, il proprietario può chiedere che esse siano rese regolari.
Il proprietario del fondo contiguo può chiedere le luci in qualsiasi momento, ma solo se costruisce
in aderenza o in appoggio al muro nel quale le luci risultano aperte.
L’occupazione consiste nella presa di possesso, con l’intenzione di acquisirle in via permanente e
definitiva, di cose mobili che non sono in proprietà di alcuno o abbandonate. Non sono suscettibili
di occupazione i beni immobili.
Le cose vacanti spettano per legge allo Stato.
L’invenzione riguarda solo le cose mobili smarrite, esse devono essere restituite al proprietario o, se
non se ne conosce l’identità, al sindaco; la proprietà spetta a colui che l’ha trovata, quando passa un
1 anno, se invece il proprietario la reclama, al ritrovatore spetta un premio.
Il tesoro è una forma particolare di invenzione. Esso diviene immediatamente di proprietà del fondo
in cui si trova; se è trovato nel fondo altrui metà spetta al proprietario del fondo e metà al
ritrovatore. Ciò non vale per i beni culturali, i quali appartengono allo Stato, al ritrovatore e al
proprietario su cui è avvenuto il ritrovamento sarà concesso un premio.
L’accessione opera in caso di stabile incorporazione di beni di proprietari diversi. Si hanno diversi
tipi di accessione:
a) accessione di mobile ad immobile → importa che in qualunque piantagione,
costruzione od opera esistente sopra il suolo appartiene al proprietario di questo. Quindi il
proprietario acquisisce ex lege la proprietà di quanto nello stesso suolo venga da chiunque
incorporato.
Questa regola viene derogata con l’accessione invertita, la quale si configura quando il proprietario
del finitimo sconfina sul fondo altrui; se il proprietario del fondo non fa opposizione entro 3 mesi, il
proprietario sconfinante può chiedere al giudice, attraverso una sentenza costitutiva, di trasferirgli la
proprietà del suolo occupato. Egli dovrà al proprietario del fondo una somma pari al doppio del
valore della superficie.
b) accessione di immobile ad immobile → si distingue in:
1. alluvione: consiste nell’accrescimento dei fondi rivieraschi di fiumi e torrenti per l’azione
dell’acqua corrente (i terreni alluvionali appartengono al proprietario dei terreni incrementati);
2. avulsione: è l’unione al fondo rivierasco di porzioni di terreno, considerevoli e riconoscibili,
staccatesi da altro fondo per forza istantanea dell’acqua corrente (detti terreni appartengono al
proprietario del fondo incrementato, il quale dovrà pagare l’altro proprietario un’indennità del
maggior valore recato dall’avulsione).
Entrano a far parte del demanio pubblico e quindi non soggette ad accessione: i terreni abbandonati
delle acque correnti; l’alveo derelitto; isole che si formano nel letto di fiumi o torrenti.
c) accessione di mobile a mobile → da origine a due figure:
1. unione: chiamata anche commistione; consiste nella congiunzione di beni mobili appartenenti a
proprietari diversi che vengono a formare un tutto inseparabile senza dar luogo a una cosa nuova;
2. specificazione: consiste nella creazione di una cosa del tutto nuova con beni mobili appartenenti
ad altri.
LE AZIONI DI TUTELA
Le azioni a difesa della proprietà sono chiamate azioni petitorie.
A) AZIONE DI RIVENDICAZIONE
è concessa a chi si afferma proprietario di un bene, ma non ne ha il possesso, al fine di ottenere
l’accertamento del suo diritto di proprietà sul bene stesso e la condanna di chi lo possiede o detiene
alla sua restituzione.
Legittimato attivamente: colui che sostiene di essere proprietario del bene, senza trovarsi nel
possesso della cosa.
Legittimato passivamente: colui che, avendo il possesso o la detenzione della cosa, ha la facultas
restituendi.
L’onere della prova è riservata all’attore, il quale deve dimostrare il suo diritto di proprietà. Se
l’acquisto è a titolo originario, gli basterà fornire la prova del titolo; se è avvenuto a titolo derivativo
non basterà la produzione in giudizio del suo titolo d’acquisto, in quanto l’alienante potrebbe essere
stato un non domino e quindi non avrebbe potuto trasferire il titolo. (probatio diabolica)
Sono legati all’azione di rivendicazione due istituti:
- rispetto ai beni mobili, anche se il soggetto ha acquistato a non domino, acquista la proprietà della
cosa per effetto delle regola “possesso vale titolo”;
- rispetto ai beni immobili, occorre invece che l’attore provi che, anche se avesse acquistato a non
domino, ha acquistato la proprietà per usucapione.
L’azione di rivendicazione è imprescrittibile, anche perché anche il non uso è una manifestazione
dell’ampiezza dei poteri del proprietario.
L’azione di restituzione presuppone che l’attore agisca in giudizio vantando un diritto alla
restituzione nascente da una rapporto contrattuale, e dalla sua risoluzione dalla scadenza.
B) AZIONE DI MERO ACCERTAMENTO DELLA PROPRIETÀ
riconosciuta a chi ha interesse ad una pronuncia giudiziale che affermi, con l’efficacia del giudicato,
il suo diritto di proprietà si un determinato bene; non già a recuperare la cose, ma semplicemente a
rimuovere la situazione di incertezza venutasi a creare in ordine alla proprietà stessa.
C) AZIONE NEGATORIA
è concessa al proprietario di un bene al fine di ottenere l’accertamento dell’inesistenza di diritti reali
vantati da terzi sul bene stesso, oltre che la condanna alla cessazione delle conseguenti molestie e
turbative ed al risarcimento del danno.
La prova è diretta non all’accertamento della proprietà di chi agisce, ma al riconoscimento della
libertà del bene da diritti di terzi.
L’azione negatoria è imprescrittibile; ma dovrà essere rigettata qualora il convenuto dovesse
dimostrare di avere acquistato il diritto vantato per usucapione.
Art.952 C.C. → Costituzione del diritto di superficie. “Il proprietario può costituire il diritto di fare
e mantenere al di sopra del suolo una costruzione a favore di altri, che ne acquista la proprietà.
Del pari può alienare la proprietà della costruzione già esistente, separatamente dalla proprietà del suolo.”
La superficie consiste:
a) nel diritto di costruire (concessione ad aedificandum), al di sopra del suolo altrui, un’opera, di cui
il superficiario, quando l’abbia realizzata, acquista la proprietà, separata da quella del suolo, il quale
rimane al concedente (nuda proprietà);
b) nella proprietà separata (proprietà superficiaria) di una costruzione già esistente di cui un
soggetto diverso dal proprietario divine titolare, mentre la proprietà del suolo rimane al concedente.
Ciò avviene analogamente per il sottosuolo, invece il Codice prevede che la proprietà delle
piantagioni non può essere trasferita senza anche il trasferimento della proprietà del suolo.
Bisogna chiarire che se la costruzione non esiste, si ha solo un diritto reale su cosa altrui, che si
estingue se il titolare mon costruisce per 20 anni; mentre se la costruzione già esiste, si ha una
proprietà della costruzione separata da quella del suolo.
La proprietà si acquista attraverso: contratto (sia oneroso che gratuito), testamento e usucapione.
Il perimento della costruzione non estingue il diritto di superficie, questo spiega il perché la
costruzione è un’estrinsecazione del diritto di superficie e non influisce su di esso.
Nozione: attribuisce alla persona a cui favore è costituita lo stesso potere di godimento che spetta al
proprietario, con l’obbligo di migliorare il fondo e di pagare un canone periodico nei limiti fissati da
leggi speciali. L’enfiteuta può anche modificare la destinazione del fondo, purché non lo deteriori.
Il potere di godimento dell’enfiteuta viene chiamato dominio utile; mentre il potere del proprietario
è il dominio utile, cioè il diritto al canone.
L’acquisto dell’enfiteusi si ha per contratto, per testamento e per gli effetti dell’usucapione.
Art.972 C.C. → Devoluzione. “Il concedente può chiedere la devoluzione del fondo enfiteutico:
1) se l’enfiteuta deteriora il fondo o non adempiere all’obbligo di miglioramento;
2) se l’enfiteuta è in mora nel pagamento di due annualità di canone. La devoluzione non ha luogo se
l’enfiteuta ha effettuato il pagamento dei canoni maturati prima che sia intervenuta nel giudizio sentenza,
ancorché di primo grado, che abbia accolto la domanda.
La domanda di devoluzione non preclude all’enfiteuta il diritto di affrancare, sempre che ricorrano le
condizioni previste dall’art.971.”
Art.978 C.C. → Costituzione. “L’usufrutto è stabilito dalla legge o dalla volontà dell’uomo. Può anche
acquistarsi per usucapione.”
Ha durata temporanea, perché in caso contrario (cioè se fosse perpetua) il concedente non trarrebbe
alcun vantaggio se la facoltà di godimento le fosse definitivamente sottratta.
Può essere costituito in favore di:
- una persona fisica → l’usufrutto si intende per tutta la durata della vita dell’usufruttuario, cioè
determina l’estinzione del diritto qualora non fosse ancora giunto il termine finale;
- una persona giuridica → la durata dell’usufrutto non è superiore ai 30 anni.
L’oggetto dell’usufrutto può essere qualunque specie di bene, mobile o immobile, ad eccezione dei
beni corporali consumabili.
A questi ultimi viene attribuito l’istituto del quasi usufrutto: quando il godimento di tali beni viene
attribuito a persona diversa dal proprietario, cioè al quasi-usufruttuario; egli avrà il compito di
restituire non gli stessi beni ricevuti, ma il loro valore, cioè altrettanti beni dello stesso genere.
Art.995 C.C. → Cose consumabili. “Se l’usufrutto comprende cose consumabili, l’usufruttuario ha
diritto di servirsene e ha l’obbligo di pagare il valore al termine dell’usufrutto secondo la stima convenuta.
Mancando la stima, è in facoltà dell’usufruttuario di pagare le cose secondo il valore che hanno al tempo in cui
finisce l’usufrutto o di restituirne altre in eguale qualità e quantità.”
Ad oggetto dell’usufrutto possono esserci anche i beni deteriorabili, in questo caso l’usufruttuario
ha diritto di servirsene secondo l’uso al quale sono destinati. Al fine dell’usufrutto, l’usufruttuario è
tenuto a restituirle nello stato in cui si trovavano.
Per quanto riguarda la costituzione dell’usufrutto volontario gli atti devono farsi per iscritto e sono
soggetti a trascrizione, alla quale sono sottoposti anche: l’accettazione dell’eredità e l’acquisto del
legato, che importino l’acquisto dell’usufrutto sui beni.
L’usufrutto uxorio era in vigore fino al 1975, quando venne eseguita la riforma del diritto di
famiglia. Esso costituiva nell’attribuzione del diritto di usufrutto al coniuge superstite in sede di
successione morits causa del coniuge defunto. Ora, invece, al coniuge supersite spetta la proprietà
piena dei beni appartenenti al defunto.
2) potere di disposizione del diritto di usufrutto ↔ l’usufruttuario può cedere ad altri il suo diritto e
può anche concedere l’ipoteca sull’usufrutto stesso. L’usufrutto si estingue ugualmente nel
termine stabilito nell’atto di costituzione e, in mancanza di esso, con la morte dell’usufruttuario.
3) potere di disposizione del godimento del bene ↔ esempio: l’usufruttuario da in locazione la cosa
che forma oggetto del suo diritto e concederla in godimento a terzi. La locazione si estingue
dopo 5 anni, se viene concessa al momento della cessazione del diritto e se la sua durata risulta
da atto pubblico o da scrittura privata contenente data certa anteriore.
L’estinzione del diritto comporta la riespansione della nuda proprietà nella proprietà piena.
La legge non ha vietato l’usufruttuario ad eseguire miglioramenti sulla cosa, ma limita il credito
dell’usufruttuario alla minor somma tra la spesa e l’aumento di valore conseguito dalla cosa per
effetto del miglioramento.
Per quanto riguarda le addizioni, il legislatore, richiama alle regole in tema di accessione; il
proprietario deve la minor somma tra lo speso ed il miglioramento, se intende mantenere le
addizioni.
L’USO E L’ABITAZIONE
L’uso consiste nel diritto di servirsi di un bene e, se fruttifero, di raccoglierne i frutti limitatamente
ai bisogni propri e della propria famiglia.
L’abitazione consiste nel diritto di abitare una casa limitatamente ai bisogni propri e della propria
famiglia.
Questi due diritti hanno carattere personale, di conseguenza non si possono cedere, né il bene può
essere concesso in locazione o in godimento a terzi.
Si estinguono con la morte del titolare, non possono formare oggetto di disposizione testamentaria.
LE SERVITÙ
Nozione: la servitù prediale consiste nel peso imposto sopra un fondo (fondo servente) per l’utilità
dei un altro fondo (fondo dominante), appartenente a diverso proprietario; il fondo dominante si
avvantaggia della limitazione che subisce quello servente.
Art.1029 C.C. → Contenuto del diritto. “La servitù prediale consiste nel peso imposto sopra un fondo
per l’utilità di un altro fondo appartenente a diverso proprietario.”
L’utilità consiste anche nella maggiore comodità o amenità del fondo dominante (esempio: in base
alla servitus altius non tollendi si impedisce di costruire o di elevare la costruzione sul fondo vicino,
per assicurare la vista o l’amenità di un parco).
Le servitù irregolari o personali si hanno quando il servizio è prestato da un fondo a favore di una
persona (esempio: diritto di una persona di passare sul fondo altrui per esercitare la pesca). Sono
servitù irregolari le servitù aziendali. Le servitù irregolari danno vita ad una obbligazione con effetti
limitati al concedente e ai suoi aventi causa e non ad un diritto reale che potrebbe essere fatto valere
erga omnes, cioè anche contro ogni successivo possessore del fondo.
Il motivo per cui esse non sono ammesse consiste nel fatto che i diritti reali su cose altrui
costituiscono un numers clausus, e per evitare che i privati a loro arbitrio facciano nascere tipi di
diritti reali su cose altrui che non siano previsti dalla legge.
Per la medesima ragione viene esclusa la costituzione volontaria di oneri reali.
La servitù si acquista:
a) in attuazione di un obbligo di legge ↔ servitù coattive
b) per volontà dell’uomo ↔ servitù volontarie
c) per usucapione
d) per destinazione del padre di famiglia
La legge prevede che in alcune ipotesi specifiche che l’avente diritto ad una servitù coattiva possa
chiederne la costituzione alla Pubblica Amministrazione, che provvederà attraverso un atto
amministrativo.
Quando vengono meno i presupposti per la costituzione della servitù coattiva è legittimata la
richieste di cessazione.
Il giudice deve tenere conto di alcuni elementi per la determinazione del luogo di passaggio:
la maggiore brevità del passaggio e il minor danno del fondo su cui la servitù dev’essere costituita.
b) SERVITÙ VOLONTARIE
sono dovute alla conclusione di un contratto con il proprietario del fondo sul quale si vorrebbe
acquistare la servitù. Il contratto deve farsi per iscritto ed è soggetto, per l’opponibilità ai terzi, a
trascrizione.
Essa può essere costituita anche per testamento; l’accettazione dell’eredità che importi l’acquisto di
una servitù è soggetta a trascrizione.
Il modo di acquisto può avvenire anche per destinazione del padre di famiglia, ma non può nascere
alcuna servitù per il principio del nemini res sua servit: e cioè non si può costituire servitù sulla
cosa propria. Se il fondo cessa di appartenere allo stesso proprietario, allora, secondo il legislatore e
sempre che sussistano i requisiti necessari per l’apparenza della servitù e sempre che nulla in
contrario venga stabilito nell’atto da cui origina la separazione in due parti del fondo, lo stato di
fatto possa continuare legittimamente. Si costituisce ex lege una servitù corrispondente allo stato di
fatto preesistente. Non occorre nessuna manifestazione di volontà negoziale, ma occorre che
nell’atto di separazione non sia inserita una clausola contraria alla costituzione della servitù.
Il principio del minimo mezzo consiste nel fatto che l’estensione e le modalità d’esercizio sulla
servitù devono svolgersi soddisfacendo il bisogno del fondo dominante con il minor aggravio del
fondo servente.
Il divieto, fatto al proprietario del fondo dominante, di aggravare ed a quello del fondo servente di
diminuire l’esercizio della servitù.
Il modo è imprescrittibile: la servitù si conserva per intero, ciò perché per non uso si può estinguere
solo il diritto, che non ha valore autonomo; non muore ciò che non ha vita propria.
Art.1075 C.C. → Esercizio limitato della servitù. “La servitù esercitata in modo da trarne un’utilità
minore di quella indicata dal titolo si conserva per intero.”
La tutela della servitù è esercitata attraverso l’azione confessoria in forza della quale chi se ne
afferma titolare chiede una pronuncia giudiziale di accertamento del suo diritto e, nell’ipotesi sia
tradotta in impedimenti o turbative all’esercizio della servitù stessa anche di una pronuncia di
condanna alla loro cessazione ed alla rimessione delle cose in pristino., oltre che al risarcimento del
danno.
LA COMUNIONE E IL CONDOMINIO
LA COMUNIONE
Un diritto soggettivo può appartenere a più persone, esse sono contitolari del medesimo diritto.
La contitolarità prende il nome di “comunione pro indiviso”, chiamata anche: comproprietà, quando
si tratta di contitolarità di un diritto dominicale; cousufrutto, quando si tratta di contitolarità di
usufrutto.
Il diritto di ciascuno dei contitolari investe l’intero bene, anche se il suo esercizio trova
necessariamente dei limiti nell’esistenza dell’egual diritto degli altri compartecipi.
Ai contitolari spetta una quota ideale dell’intero bene. Questa quota è disponibile e segna la misura
di facoltà, diritti ed obblighi dei rispettivi titolari.
Art.1101 C.C. → Quote dei partecipanti. “Le quote dei partecipanti alla comunione si presumo eguali.
Il concorso dei partecipanti, tanto nei vantaggi quanto nei pesi della comunione, è in proporzione delle
rispettive quote.”
Per l’amministrazione della cosa comune spetta a tutti i contitolari il diritto a concorrervi.
Le deliberazioni relative all’amministrazione della cosa comune vengono adottate in base al
principio di maggioranza, il quale si calcola in base al valore delle rispettive quote.
Per gli atti di ordinaria amministrazione è sufficiente il consenso di tanti comproprietari le cui quote
rappresentino più della metà del valore complessivo della cosa comune; per gli atti di straordinaria
amministrazione occorre il consenso di tanti comproprietari le cui quote rappresentino almeno i due
terzi del valore complessivo della cosa comune; per le innovazioni dirette al miglioramento della
cosa od a renderne più comodo o redditizio il godimento occorre parimenti il consenso di tanti
comproprietari le cui quote rappresentino almeno i due terzi del valore complessivo della cosa
comune.
Viene nominato un amministratore giudiziario dall’Autorità giudiziaria perché emetta i
provvedimenti opportune, nel caso in cui non vengano presi i provvedimenti necessari per
l’amministrazione.
Le spese deliberate gravano (obbligazioni propter rem) su ciascun compartecipe alla comunione in
proporzione della rispettiva quota; si può sottrarre dalla spese rinunciando al diritto che si ripartirà
tra gli altri comproprietari.
Per quanto riguarda la rappresentanza, la giurisprudenza ritiene che ciascun contitolare sia
singolarmente legittimato al compimento di atti di ordinari amministrazione, si presume che agisca
con il consenso degli altri.
Le tutele sono:
- azione petitoria a difesa del diritto comune;
- azione possessoria a difesa della comune situazione possessoria;
- azioni risarcitorie per danni sofferti dalla cosa comune.
IL CONDOMINIO
Nozione: si ha quando in un medesimo stabile coesistono più porzioni immobiliari di proprietà
esclusiva di singoli condomini e parti comuni strutturalmente e funzionalmente connesse al
complesso delle prime.
Le parti comuni appartengono in comunione a tutti i proprietari esclusivi delle singole unità
immobiliari site nel condominio, pro quota, in proporzione al valore di ciascuna delle unità
immobiliari rispetto al valore dell’intero edificio. Esse sono caratterizzate dal principio
dell’indivisibilità, in quanto sono funzionali ad un miglior sfruttamento delle unità immobiliari di
proprietà individuale.
2. l’amministratore
è nominato dall’assemblea, dura in carica 1 anno e può essere revocato dall’assemblea stessa.
competenze: eseguire le deliberazioni dell’assemblea, curare l’osservanza del regolamento,
disciplinare l’uso della cose comuni e la prestazione dei servizi, riscuotere i contributi ed erogare le
spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell’edificio e per l’esercizio dei
servizi comuni, compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alla parti comuni.
I provvedimenti sono obbligatori per tutti i condomini.
Egli ha rappresentanza del condominio e può agire in giudizio sia contro i condomini, sia contro i
terzi.
Il regolamento condominiale contiene le norme circa l’uso delle cose comuni, la ripartizione delle
spese, la tutela del decoro dell’edificio, l’amministrazione del condominio.
Si ha un regolamento contrattuale quando i condomini concordino, all’unanimità, limitazioni a
carico delle proprietà esclusive, venendo così a costituire servitù reciproche, rispettivamente a
favore ed a carico delle singole unità immobiliari di proprietà di ciascuno. Esso dovrà essere
formalizzato per iscritto.
Le limitazioni che disciplinano l’uso dei beni comuni possono essere modificate con la
maggioranza prevista dall’art.1136 C.C.
Art.1136 C.C. (II° comma) → “Sono valide le deliberazioni approvate con un numero di voti che
rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio”
LA MULTIPROPRIETÀ
Indica un’operazione economica volta ad assicurare al multiproprietario un potere di godimento su
un’unità immobiliare, ma solo per un determinato e invariabile periodo di ogni anno.
Per dar “forma” all’istituto il legislatore è ricorso all’istituto della comunione:
a) a ciascun multiproprietario viene venduta una quota in comproprietà pro indiviso di un
complesso residenziale;
b) a ciascun multiproprietario viene fatto accettare un regolamento della comunione, che prevede
una divisione topografica del godimento del bene e un frazionamento cronologico di detto
godimento.
Il regime legale viene derogato dal titolo, in forza di un accordo intercorrente fra tutti i partecipanti
attraverso cui ciascuno, pur continuando a rimanere contitolare dell’intero cespite, rinuncia a
servirsene nei tempi ed in relazione agli spazi attribuiti in uso agli altri.
Il D. Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, prevede che il soggetto interessato all’acquisto di una
multiproprietà venga edotto dei termini dell’operazione che va a stipulare e presti un consenso
informativo.
IL POSSESSO
NON è un diritto, ma una SITUAZIONE DI FATTO che produce effetti giuridici. È il fatto di
godere e disporre effettivamente di un bene.
La situazione di diritto spesso coincide con la situazione di fatto, ma non sempre è così. Può
accadere che il proprietario del bene non possa esercitare di fatto i poteri riconosciutigli dalla legge
o che un soggetto, pur non avendo il diritto di proprietà su un bene, si comporti di fatto come se lo
fosse.
Il possesso da vita a situazioni di fatto che si estrinsecano attraverso un’attività corrispondente
all’esercizio di diritti reali. Queste situazioni vengono chiamate: situazioni possessorie (factum
possessionis).
Art.1140 C.C. → Possesso. “Il possesso è il potere sulla cosa che si manifesta in un’attività
corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale.
Si può possedere direttamente o per mezzo di altra persona, che ha la detenzione della cosa.”
Differenza:
1. ius possessionis ↔ è l’insieme dei vantaggi che il possesso, di per sé, genera a favore del
possessore (commoda possessionis);
2. ius possidendi ↔ è la situazione di chi ha effettivamente diritto a possedere il bene (diritto che
premette di rivendicare il bene presso chiunque lo possieda sine titulo).
L’oggetto del possesso sono le cose, cioè i beni materiali; non sono oggetto di possesso i beni
demaniali ed i beni del patrimonio indisponibile dello Stato e degli altri enti pubblici territoriali.
È possibile che venga raggiunto anche un compromesso; ciò accade quando il possesso su un
determinato bene può essere esercitato congiuntamente da più soggetti ad un medesimo titolo. Il
compromesso si concretizza in un’attività corrispondente all’esercizio di diritti reali in comunione.
Importante è la distinzione tra possesso e detenzione, le quali hanno il medesimo elemento
obiettivo, cioè la materiale disposizione del bene. Essi si distinguono in base all’elemento
soggettivo, cioè l’animus.
Ai fini della qualificazione di una situazione di fatto come possessoria o detentoria, rileva non lo
stato psicologico soggettivo di chi acquisisce la materiale disponibilità del bene, ma il titolo in forza
del quale l’acquisizione si verifica.
Per quanto riguarda lo stato psicologico bisogna tenere conto che non è determinante lo stato
psicologico che il soggetto nutre, nel proprio interno, al momento dell’acquisizione materiale della
disponibilità del bene, ma è quello che il soggetto manifesta all’esterno. Questo tipo di stato
psicologico dipende dal titolo in forza del quale avviene l’acquisizione o dalle modalità con cui
questa acquisizione si realizza.
L’esercizio del potere di fatto su un bene si presume integrare la fattispecie del possesso; spetta a
chi nega la sussistenza del possesso l’onere di provare che, nel caso di specie, ricorre un’ipotesi di
semplice detenzione.
Art.1147 C.C. → Possesso di buona fede. “È possessore di buona fede chi possiede ignorando di
ledere l’altrui diritto.
La buona fede non giova se l’ignoranza dipende da colpa grave.
La buona fede è presunta e basta che vi sia stata al tempo dell’acquisto.”
La detenzione può essere:
1. qualificata → che si ha quando il detentore ha acquisito la materiale disponibilità del bene
nell’interesse proprio (detenzione qualificata autonoma) o nell’interesse del possessore
(detenzione qualificata non autonoma);
2. non qualificata → che si ha quando il detentore ha acquistato la materiale disponibilità del
bene per ragioni di ospitalità o di servizio o di lavoro.
La distinzione tra possesso e detenzione è importante nella pratica, perché la legge attribuisce
diversa rilevanza giuridica.
Le situazioni di fatto possono avere anche ad esercizio diritti reali minori: possesso della servitù,
possesso dell’usufrutto, ecc…
Il codice limita la figura del possesso alle situazioni di fatto corrispondenti all’esercizio di diritti
reali, ad esclusione del diritto di superficie nella forma della concessione ad aedificandum.
Sul medesimo bene possono coesistere possessi di diverso tipo (esempio: il titolo di proprietà può
coesistere con un possesso a titolo di usufrutto…).
Si può modificare il titolo del proprio possesso solo attraverso mezzi idonei a consentire la
trasformazione della detenzione in possesso, secondo il principio di interversione del possesso:
a) l’opposizione fatta dal possessore a titolo di diritto reale minore nei confronti del possessore a
titolo di proprietà;
b) la causa proveniente da un terzo.
La perdita del possesso si verifica per il venir meno di uno o di entrambi gli elementi del possesso,
cioè del corpus e/o dell’animus possidendi.
Per la perdita del corpus occorre la definitiva irreperibilità o irrecuperabilità, da parte del
possessore, del bene, non è sufficiente la momentanea dimenticanza di esso.
(il possesso di animali selvatici si perde quando riacquistano la naturale libertà, di quelli
mansuefatti, invece, quando si perde la consuetudo revertendi).
Per gli immobili il possesso si conserva solo per l’effetto della persistenza dell’animus, anche se il
possesso del bene si è perso momentaneamente, di 1 anno nel quale si può richiedere l’azione di
reintegrazione.
La successione nel possesso avviene alla morte del possessore, ed esso continua in capo al suo
successore a titolo universale o erede ipso iure; ciò vuol dire che in mancanza di una materiale
apprensione del bene da parte dell’erede e perfino se questi ignora l’esistenza del bene o che questo
fa parte dell’eredità. L’erede subentra nel possesso con i medesimi caratteri che aveva rispetto al
defunto.
Diversa è l’accessione del possesso, essa è applicabile solo a chi acquista il possesso a titolo
particolare, e a condizione che acquisti egli stesso il possesso.
L’acquirente a titolo particolare acquista un possesso nuovo, diverso da quello del suo dante causa;
quindi può essere in buona fede anche se il suo dante causa fosse in mala fede o viceversa.
Il successore a titolo particolare può sommare al periodo in cui egli ha posseduto, anche il periodo
durante il quale hanno posseduto i suoi danti causa. Ciò è utile ai fini dell’usucapione, dell’azione di
rivendicazione, dell’azione di manutenzione e ogni volta che assuma rilievo la durata del possesso.
Art.1146 C.C. → Successione nel possesso. Accessione del possesso. “Il possesso continua
nell’erede con effetto dall’apertura della successione.
Il successore a titolo particolare può unire al proprio possesso quello del suo autore per goderne gli effetti.”
Il possessore illegittimo è tenuto alla restituzione, al titolare del diritto, il bene e i frutti prodotti dal
bene a partire dal momento in cui ha avuto inizio il suo possesso; c’è un’eccezione: quando il
possessore è in buona fede. In questo caso il possessore ha diritto di tenere per sé i frutti percepiti
anteriormente alla proposizione della domanda giudiziale da parte del titolare del diritto, solo i frutti
percepiti durante la lite spettano al proprietario.
Le spese:
a) ordinarie ↔ per la produzione dei frutti ed il loro raccolto, le riparazioni ordinarie del bene; il
possessore ha diritto al rimborso limitatamente al tempo per il quale è tenuto alla restituzione dei
frutti;
b) straordinarie ↔ per le riparazioni straordinarie; il possessore ha diritto al rimborso;
c) per miglioramenti ↔ il possessore ha diritto al rimborso, sempre che questi miglioramenti
sussistano al tempo della restituzione.
L’importo della restituzione va distinto se il possessore era:
- in buona fede ↔ l’indennità che gli va corrisposta è in misura all’aumento di valore conseguito
dalla cosa per effetto di miglioramenti;
- in mala fede ↔ l’indennità corrisposta è nella minore somma tra lo speso ed il migliorato.
Il diritto di ritenzione è un diritto che viene riconosciuto al possessore, consiste nel fatto che egli
possa non restituire il bene fino a quando non gli siano state corrisposte le indennità dovute per le
spese, riparazioni e miglioramenti.
In base alla regola del possesso vale titolo chi acquista un bene a non domino ne diventa
proprietario, purché concorrano dei presupposti:
a) che l’acquisto riguardi beni mobili suscettibili di possesso;
b) che l’acquirente possa vantare un titolo idoneo al trasferimento della proprietà: un contratto che
presenti solo il vizio di essere stato stipulato da chi non era legittimato a disporre del bene;
c) che oltre ad aver stipulato l’atto di acquisto del bene mobile, abbia acquistato anche il possesso:
il legislatore tutela l’acquirente solo se è già stata effettuata la consegna, altrimenti preferisce
tutelare il dominus;
d) che l’acquirente sia in buona fede nel momento in cui il bene gli viene consegnato: non basta che
l’acquirente ignori che l’alienante non ha il diritto di disporre della cosa, ma occorre anche che
tale ignoranza non dipenda da sua colpa.
La buona fede è sempre presupposta per colui che si trova nel possesso di un bene, l’onere della
prova della mala fede, quindi, spetta a colui che contesta l’acquisto. Essa però è esclusa se
l’acquirente conosce l’illegittima provenienza della cosa.
Gli effetti della regola del possesso vale titolo si traducono nell’acquisto a titolo originario.
La proprietà si acquista libera da diritti altrui sulla cosa. (esempio: se si acquista un quadro a non
domino, in buona fede, e chi lo vende non dice che su di esso è stato costituito un pegno, non solo si
diventa il proprietario del quadro ma non può essere fatto valere nemmeno il diritto di pegno dal
creditore pignoratizio).
Può essere che il proprietario del bene mobile lo alieni a più persone o che costituisca lo stesso
diritto a favore di più persone o che cerchi di trasferire a più persone diritti tra loro incompatibili.
Il conflitto tra più persone si risolve ai sensi dell’art. 1155 C.C., il quale stabilisce che, se il
proprietario aliena con successivi contratti a più persone, tra esse quella che per prima ne acquista
in buona fede il possesso è preferita alle altre, anche se il suo titolo è di data posteriore.
Art.1155 C.C. → Acquisto di buona fede e precedente alienazione ad altri. “Se taluno con
successivi contratti aliena a più persone un bene mobile, quella tra esse che ne acquistato in buona fede il
possesso è preferita alla altre, anche se il suo titolo è di data posteriore.”
Il principio di acquisto di buona fede non viene applicato alle universalità di mobili e ai beni mobili
iscritti nei pubblici registri.
Per le universalità di mobili il legislatore preferisce sollecitare l’attenzione di chi voglia acquistare
un complesso di beni, evitando che questi possa accontentarsi dell’apparente titolarità di chi si
accinga a compiere atti di disposizione dell’universitas. In questo caso trova applicazione rigorosa il
principio nemo plus iuris transferre potest quam ipse habet; la tutela è posta su colui che può
vantare un titolo d’acquisto valido di data anteriore e non il possessore di buona fede.
Per i beni mobili iscritti nei pubblici registri trovano applicazione i principi della trascrizione, in
base ai quali viene tutelato chi per primo ha provveduto alla trascrizione.
L’USUCAPIONE
È un modo di acquisto a titolo originale della proprietà di un bene. Consiste nel possesso protratto
nel tempo, il quale fa acquisire al possessore la titolarità del diritto reale corrispondente alla
situazione di fatto esercitata.
Art.1158 C.C. → Usucapione dei beni immobili e dei diritti reali immobiliari. “La proprietà dei
beni immobili e gli altri diritti reali di godimento sui beni medesimi si acquistano in virtù del possesso
continuato per venti anni.”
La ratio di tale istituto è quella di favorire chi, nel tempo, utilizza e rende produttivo il bene a
fronte del proprietario che lo trascura.
Esso agevola anche la prova del diritto di proprietà, infatti se non soccorresse l’usucapione
bisognerebbe dimostrare che la proprietà si è acquistata dal legittimo proprietario (probatio
diabolica).
L’oggetto dell’usucapione sono la proprietà e i diritti reali minori, ad eccezione delle servitù non
apparenti e del diritto di superficie e con esclusione dei diritti reali di garanzia.
Sono usucapibili, quindi, tutti i beni corporali ad esclusione dei beni demaniali e dei beni del
patrimonio indisponibile dello Stato e degli altri enti pubblici territoriali.
L’usucapione abbreviata:
1. di 10 anni per i beni immobili e di 3 anni per i beni mobili registrati; devono concorrere i
seguenti requisiti:
- che il possessore possa vantare a suo favore un titolo idoneo a trascrivere la proprietà;
- che l’acquirente abbia acquistato il possesso del bene in buona fede;
- che sia stata effettuata la trascrizione del titolo;
2. di 10 anni per le universalità di mobili; devono concorre i seguenti presupposti:
- che il possessore possa vantare a suo favore un titolo idoneo all’acquisto del diritto;
- che l’acquirente abbia acquistato il possesso del bene in buona fede;
3. di 10 anni per i beni mobili non registrati, quando l’acquirente abbia acquistato il suo
possesso in buona fede;
4. di 15 anni per i fondi rustici con annessi fabbricati situati in comuni che per legge sono
classificati come montani ↔ usucapione speciale per la piccola proprietà rurale.
L’acquisto del diritto per usucapione avviene ex lege, nel momento stesso in cui matura il termine
previsto dalla legge.
Per un suo eventuale accertamento si può promuovere un giudizio di accertamento, il giudice
delibera una sentenza con valore dichiarativo.
Si pensa che l’usucapione abbia efficacia retroattiva, cioè fin dal momento in cui ha avuto inizio la
situazione possessoria che ha portato all’usucapione stessa.
LA TUTELA
È consentita l’autodifesa quando l’altrui condotta è volta a privare il possessore del possesso e di
arrecare turbativa nell’esercizio della situazione possessoria, finché l’azione illecita altrui è in atto.
Le azioni possessorie sono quelle azioni a tutela del possesso, vengono esperite dal possessore
quando l’azione si è risolta nella privazione o nella turbativa del possesso si è risolta. Il possessore
si rivolgerà all’Autorità dello Stato attraverso una delle azioni possessorie.
Esse sono concesse a chi esercita una situazione possessoria a prescindere dal fatto che lo stesso sia
titolare del diritto stesso.
Le azioni possessorie sono diverse dalle azioni petitorie, le quali vengono fatte valere solo da chi si
affermi titolare del diritto di proprietà o di un diritto reale di godimento, a prescindere dal fatto che
abbia il possesso del bene.
Le azioni possessorie hanno un procedimento giudiziale più agile di quello ordinario e danno
gravare su chi agisce un onere probatorio meno disagevole.
Le azioni possessore assicurano, inoltre, una tutela di carattere provvisorio, cioè chi soccombe nel
giudizio possessorio può successivamente, una volta definito il primo giudizio, esperire un giudizio
petitorio. Questo determina il principio del divieto del cumulo del giudizio petitorio con quello
possessorio, il quale determina che si può richiedere un giudizio petitorio solo dopo che il primo sia
definito e la sua decisione sia stata eseguita.
Esso però deroga nell’ipotesi in cui vi sia il rischio che dalla sua applicazione possa derivare, per il
convenuto, un pregiudizio irreparabile. In tal caso, l’attore è obbligato a risarcire il danno che sia
derivato al possessore o al detentore.
LE DIVERSE AZIONI
1. AZIONE DI REINTEGRAZIONE O SPOGLIO
tutela giudiziaria volta a reintegrare nel possesso del bene chi sia rimasto vittima di uno spoglio
violento o clandestino.
Lo spoglio è qualsiasi azione che si risolva nella duratura privazione totale o parziale del possesso.
Esso può essere violento o clandestino, quando è posto in essere contro la volontà espressa o
presunta del possessore o detentore.
Detta azione è esperibile solo quando ci sia l’animus spoliandi, che consiste nell’intenzione del suo
autore di privare il possessore o il detentore della disponibilità del bene.
Art.1168 C.C. → Azione di spoglio. “Chi è stato violentemente od occultamente spogliato del possesso
può, entro l’anno dal sofferto spoglio, chiedere contro l’autore di esso la reintegrazione del possesso
medesimo.
L’azione è concessa altresì a chi ha la detenzione della cosa, tranne il caso che l’abbia per ragioni di servizio o
di ospitalità.
Se lo spoglio è clandestino, il termine per chiedere la reintegrazione decorre dal giorno della scoperta dello
spoglio.
La reintegrazione deve ordinarsi dal giudice sulla semplice notorietà del fatto, senza dilazione.”
L’azione di reintegrazione ha un’eccezione: essa può essere esperita contro lo spogliator quando
egli sia il titolare del diritto e tenti di difendersi opponendo l’eccezione “feci, sed iure feci”: egli
deve prima ripristinare la situazione quo ante abusivamente mutata e dopo potrà agire in giudizio
per far valere contro il possessore il suo diritto.
2. AZIONE DI MANUTENZIONE
è volta:
a) reintegrare nel possesso del bene chi sia stato vittima di uno spoglio non violento né clandestino;
b) far cessare le molestie o le turbative, di cui sia stato vittima il possessore; ciò si intende qualsiasi
attività che arrechi al possessore un apprezzabile disturbo. Le molestie e le turbative possono
consistere in:
- molestie di fatto ↔ quando consiste in attentati materiali;
- molestie di diritto ↔ quando si estrinseca in atti giuridici.
L’azione di manutenzione è esperibile sono quando ci sia l’animus turbandi, cioè la consapevolezza
che il proprio atto arreca pregiudizio al possesso altrui.
Denunzia di danno temuto è data dal proprietario, al titolare di un diritto reale di godimento o al
possessore nel caso in cui vi sia pericolo di un danno grave e prossimo derivante da qualsiasi
edificio, albero o altra cosa, senza che ricorra l’ipotesi di nuova opera. Il giudice dispone i
provvedimenti necessari per ovviare il pericolo.
ATTO ↔ espressione della volontà umana attraverso la quale si esercitano i propri diritti.
Nel diritto romano classico per esercitare i diritti si ricorreva alle actiones.
L’agire giuridico si manifesta in diversi modi:
- modalità concludente (facta concludentia);
- modalità per volontà dichiarata.
Per agire ci sono diversi comportamenti:
- agire per dichiarazione di volontà;
- agire per factia concludentia.
Art.2963 C.C. → Computo dei termini di prescrizione. “I termini di prescrizione contemplati dal
presente codice e dalle altre leggi si computano secondo il calendario comune.
Non si computa il giorno nel corso del quale cade il momento iniziale del termine e la prescrizione si verifica
con lo spirare dell’ultimo istante del giorno finale.
Se il termine scade in un giorno festivo, è prorogato di diritto al giorno seguente non festivo.
La prescrizione a mesi si verifica nel mese di scadenza e nel giorno di questo corrispondente al giorno del mese
iniziale.
Se nel mese di scadenza manca tale giorno, il termine si compie con l’ultimo giorno dello stesso mese.”
In conclusione:
a) non si conta il giorno iniziale, ma quello finale;
b) il termine scadente il giorno festivo è prorogato al giorno seguente non festivo;
c) il termine è a mese: il termine scade nel giorno corrispondente a quello del mese inziale;
d) se nel mese di scadenza manca il giorno corrispondente, il termine si compie con l’ultimo giorno
dello stesso mese.
Il decorso del tempo può dar luogo all’acquisto o all’estinzione di un diritto soggettivo (se una
situazione di fatto si protrae a lungo nel tempo, l’ordinamento fa coincidere la situazione di diritto
con quella di fatto).
L’acquisto di un diritto soggettivo corrisponde all’istituto dell’usucapione, chiamato anche
prescrizione acquisitiva; mentre l’estinzione del diritto soggettivo si individua in due istituti: la
prescrizione estintiva e la decadenza.
PRESCRIZIONE
La prescrizione estintiva produce l’estinzione del diritto soggettivo per effetto dell’inerzia del
titolare. Se un soggetto ha un diritto ma non lo esercita nel periodo di tempo previsto dal legislatore,
esso viene estinto. L’ordinamento giuridico piuttosto che il diritto stagni, preferisce che si estingua.
Si dice perciò che il diritto è caduto in PRESCRIZIONE.
La prescrizione decorre dal giorno in cui il diritto avrebbe potuto essere esercitato.
Il fondamento di questo istituto deriva dal fatto che l’estinzione del diritto soggettivo consiste
nell’esigenza di certezza dei rapporti giuridici; per il fatto che un diritto soggettivo non viene
esercitato, si forma nella generalità delle persone la convinzione che esso non esista o sia stato
abbandonato.
Art.2934 C.C.→ Estinzione dei diritti. “Ogni diritto si estingue per prescrizione, quando il titolare non
lo esercita per il tempo determinato dalla legge.
Non sono soggetti alla prescrizione i diritti indisponibili e gli altri diritti indicati dalla legge.”
La prescrizione estintiva è un istituto di ordine pubblico, le norme che stabiliscono l’estinzione del
diritto e il tempo sono inderogabili.
Art.2937 C.C. → Rinunzia alla prescrizione. “Non può rinunziare alla prescrizione chi non può
disporre validamente del diritto.
Si può rinunziare alla prescrizione solo quando questa è compiuta.
La rinunzia può risultare da un fatto incompatibile con la volontà di valersi della prescrizione.”
La rinunzia deve essere dichiarata, può avere forma espressa o tacita. È tacita quando risulta da un
fatto incompatibile con la volontà di valersi della prescrizione. Il giudice per questo motivo non può
rilevare d’ufficio la prescrizione, essa deve essere eccepita dalla parte che ne abbia interesse.
Tutti i diritti sono soggetti a prescrizione estintiva; sono soggetti a prescrizione anche alcune azioni
giudiziali: prescrizione dell’azione di annullamento, prescrizione per far valere i vizi del bene
acquistato.
Sono esclusi dalla prescrizione:
- i diritti imprescrittibili (i diritti indisponibili, come i diritti derivanti dagli status personali, la
potestà dei genitori sui figli, ecc…);
- diritto di proprietà (il non uso è una libera espressione di tale diritto da parte del
proprietario);
- l’azione di petizione, l’azione per far dichiarare la nullità di un negozio giuridico;
- le singole facoltà (formano il contenuto di un diritto soggettivo: esse si estinguono solo in
conseguenza dell’estinzione del diritto soggettivo o del potere di cui costituiscono le
manifestazioni).
Le cause indicate dalla legge sono tassative; i semplici impedimenti di fatto non valgono ad
impedire il decorso della prescrizione; se l’impedimento assume carattere generale, intervengono
provvedimenti legislativi speciali.
Art.2941 C.C. → Sospensione per rapporto tra le parti. “La prescrizione rimane sospesa:
1) tra i coniugi;
2) tra chi esercita la potestà di cui all’art. 316 o i poteri a essa inerenti e le persone che vi sono sottoposte;
3) tra il tutore e il minore o l’interdetto soggetti alla tutela, finché non sia stato reso e approvato il conto
finale, salvo quanto è disposto dall’art. 387 per le azioni relative alla tutela;
4) tra il curatore e il minore emancipato o l’inabilitato;
5) tra l’erede e l’eredità accetta con beneficio di inventario;
6) tra le persone i cui beni sono sottoposti per legge o per provvedimento del giudice all’amministrazione
altrui e quelle da cui l’amministrazione è esercitata, finché non sia stato reso e approvato definitivamente il
conto;
7) tra le persone giuridiche e i loro amministratori, finché sono in carica, per le azioni di responsabilità contro
di essi;
8) tra il debitore che non ha dolosamente occultato l’esistenza del debito e il creditore, finché il dolo non sia
stato scoperto.”
Art.2942 C.C. → Sospensione per la condizione del titolo. “La prescrizione rimane sospesa:
1) contro i minori non emancipati e gli interdetti per infermità di mente, per il tempo in cui non hanno
rappresentante legale e per sei mesi successivi alla nomina del medesimo o alla cessazione dell’incapacità;
2) in tempo di guerra, contro i militari in servizio e gli appartenenti alle forze armate dello Stato e contro
coloro che si trovano per ragioni di servizio al seguito delle forze stesse, per il tempo indicato dalle
disposizioni delle leggi di guerra.”
2. l’interruzione
si verifica:
- perché il titolare compie un atto che costituisca esercizio del suo diritto (art.2943 C.C.);
- perché il soggetto passivo effettua il riconoscimento dell’altrui diritto (art.2944 C.C.).
Fondamento dell’istituto: l’inerzia viene meno, o perché il diritto è stato esercitato o perché è stato
riconosciuto dall’altra parte.
L’interruzione, venendo meno l’inerzia, toglie ogni valore al tempo anteriore trascorso: comincia a
decorrere, così, un nuovo tempo al momento della cessazione del fatto interruttivo.
Art.2943 C.C. → Interruzione da parte del titolare. “La prescrizione è interrotta dalla notificazione
dell’atto con il quale si inizia un giudizio, sia questo di cognizione ovvero conservativo o esecutivo.
È pure interrotta dalla domanda proposta nel corso di un giudizio.
L’interruzione si verifica anche se il giudice adito è incompetente.
La prescrizione è inoltre interrotta da ogni altro atto che valga a costituire in mora il debitore e dall’atto
notificato con il quale una parte, in presenza di compromesso o clausola compromissoria dichiara la propria
intenzione di promuovere il procedimento arbitrale, propone la domanda e procede, per quanto le spetta, alla
nomina degli arbitri.”
Art.2944 C.C. → Interruzione per effetto di riconoscimento. “La prescrizione è interrotta dal
riconoscimento del diritto da parte di colui contro il quale il diritto stesso può essere fatto valere.”
Art.2945 C.C. → Effetti e durata dell’interruzione. “Per effetto dell’interruzione s’inizia un nuovo
periodo di prescrizione.
Se l’interruzione è avvenuta mediante uno degli atti indicati dai primi due commi dell’art.2943 C.C, la
prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio.
Se il processo si estingue, rimane fermo l’effetto interruttivo e il nuovo periodo di prescrizione comincia dalla
data dell’atto interruttivo.
Nel caso di arbitrato la prescrizione non corre dal momento della notificazione dell’atto contente la domanda di
arbitrato sino al momento in cui il lodo che definisce il giudizio non è più impugnabile o passa in giudicato la
sentenza resa sull’impugnazione.”
Esempio: diritti reali di godimento: si prescrivono in 20 anni. Il titolare del diritto può essere inerte
per 19 anni e 11 mesi e poi cominciare ad esercitare il suo diritto. L’ordinamento giuridico tollera
l’inerzia entro i 20 anni di prescrizione. Il proprietario può compiere anche solo un atto utile perché
il suo diritto non cada in prescrizione.
Uno dei primi atti che può svolgere il proprietario è l’azione giudiziale. Il possessore si avvale della
clausola “possideo quia possideo” e inoltre chiede al giudice di trasformare il diritto di usufrutto a
diritto di usucapione. Il diritto del proprietario viene estinto. Il giudice non entra nemmeno nel
merito in quanto il diritto del proprietario è caduto in prescrizione; si limita a verificare gli elementi
previsti dalla legge: decorso del termine, ecc… Non c’è nemmeno l’obbligo dell’onere dalla prova;
basta il decorso del tempo e l’inerzia. La prova serve quando è avvenuta la sospensione dell’inerzia,
cioè si è compiuto almeno un atto. La sospensione consente al titolare del diritto di beneficiarne.
Essa vale dal momento in cui si realizza la sospensione e finisce quando finisce la causa di
sospensione; poi ricomincia a decorrere il tempo prescrizionale. Il tempo riprenderà a partire dal
tempo in cui si è arrestato, cioè dal periodo precedente che è già decorso.
Le cause di sospensione possono essere applicate, per via analogia, ad altri casi?
Per i casi contemplati dalla norma non dovrebbe essere contemplata l’amministrazione di sostegno,
ciò accade non per via analogica ma per via estensiva.
L’interruzione della prescrizione. Essa rappresenta un evento attraverso il quale il titolare del diritto
chiede di far cessare il decorrere del termine e di cominciarne un altro.
Esempio: pagamento a titolo di canone; pulizia del fondo per rispettare la destinazione
economica,ecc… Questo è un comportamento per factae concludentia; potrebbe essere anche un
compimento di un atto dichiarativo (attraverso dichiarazione espressa, manifestazione della
volontà). Il termine del decorso ricomincerà ex novo. Non ci devono essere abusi, cioè non
compiere atti interrottivi per far interrompere volontariamente la prescrizione.
Il titolare di un diritto potrebbe profittare di una posizione di scomodo a sfavore di coloro che
devono ricevere il pagamento dei crediti (diritto di credito; la prescrizione è di 10 anni).
Alla PRESCRIZIONE ACQUISITIVA può corrispondere l’acquisto del diritto in capo ad altri con
le modalità di acquisto a titolo originario.
PRESCRIZIONI PRESUNTIVE
La prescrizione presuntiva è differente dalla prescrizione estintiva. Essa, infatti, si fonda sulla
presunzione che un determinato rapporto sia stato estinto per altre cause e non perché caduto in
prescrizione, cioè il diritto è rimasto inerte.
La legge trascorso un periodo di tempo (differente a seconda dei casi: 6 mesi, 1 anno o 3 anni),
presume che il rapporto relativo al compenso delle prestazioni sia stato estinto.
Non è che il debito sia stato estinto, si presume che lo sia!
Esse non operano sul diritto sostanziale come opera, invece, la prescrizione estintiva; esse
riguardano la prova e s’inquadrano nell’istituto generale della presunzione.
Ci sono 2 specie di presunzioni:
1. presunzioni iuris tantum, le quali ammettono la prova contraria;
2. presunzioni iuris et de iure, le quali non ammetto alcuna prova.
Non è ammessa, quindi la prova contraria contro la presunzione di estinzione, però che ne abbia la
necessità può agire in giudizio facendo ricorso ad alcune strategie:
a) ottenendo dal debitore la confessione, cioè che il debito non è stato pagato, quindi il
riconoscimento che l’obbligazione è ancora esistente;
b) chiamare l’altra parte al giuramento decisorio, cioè invitando l’altra parte a confermare sotto
giuramento che l’obbligazione è stata realmente estinta.
Comunque non essendoci l’ammissione della la prova, da ciò derivano vantaggi importanti per il
debitore, il quale può opporsi dicendo di aver assolto all’obbligazione. Il giudice non può far altro
che assolverlo dalla domanda di pagamento. Il legislatore presume che l’obbligazione è stata estinta
per effetto di uno dei qualsiasi modi di estinzione del debito previsti dalla legge.
DECADENZA
Alla base della decadenza sta esclusivamente la fissazione di un termine perentorio entro il quale il
titolare del diritto deve compiere una determinata attività, senza riguardo alle circostanze soggettive
che abbiano determinato l’inutile decorso del termine.
La parte soccombente, ai sensi di legge, può impugnare la sentenza. Essa deve essere impugnata in
un breve tempo, se no l’impugnazione diventa inammissibile: si decade dal diritto di proporre
l’impugnativa.
La decadenza produce l’estinzione del diritto in virtù del fatto oggettivo del decorso del tempo,
viene esclusa ogni considerazione relativa alla situazione soggettiva del titolare di tale diritto; ciò,
implica che il soggetto ha l’onere di esercitare il diritto entro il tempo stabilito dalla legge.
Alla disciplina della decadenza non vengono applicate le norme relative all’interruzione e alla
sospensione, salvo che non sia disposto diversamente.
La decadenza viene impedita quando venga esercitato il diritto mediante il compimento dell’atto
previsto; infatti, con l’esercizio del diritto viene meno la ragione d’essere della decadenza: l’onere a
cui era condizionato il diritto è stato pienamente soddisfatto.
La decadenza può essere prevista anche nell’interesse di uno solo soggetto del rapporto e può essere
prevista nel contratto; in questo caso si parla di decadenza convenzionale (o decadenza negoziale).
Questa decadenza viene stabilita tra le parti e viene inserita nel contratto.
Un istituto eccezionale della decadenza è la decadenza legale. Essa deroga al principio generale,
secondo cui l’esercizio dei diritti soggettivi non è sottoposto a limiti ed il titolare può esercitarli
come gli pare opportuno; queste norme non sono suscettibili di applicazione analogica.
Questo tipo di decadenza può essere stabilita nell’interesse di una delle due parti:
1. stabilita nell’interesse generale → e anche in relazione a diritti indisponibili; le parti non
possono né modificare il regime previsto dalla legge, né rinunziare alla decadenza. Il giudice
deve rilevarla d’ufficio;
2. stabilita nell’interesse individuale → dato che si tratta di diritti disponibili, le parti possono
modificare il regime legale della decadenza e possono anche rinunziarvi.
Questo principio vale anche per la decadenza convenzionale o negoziale, ciò è possibile in
quanto nei contratti si versa in tema di diritti disponibili. Su di essi è posto un limite per
evitare la sopraffazione di una parte sull’altra: infatti, è necessario che il termine stabilito
non renda difficile l’esercizio del diritto.
TRASCRIZIONE
La trascrizione è un mezzo di pubblicità che si riferisce agli immobili o ai mobili registrati, ciò
serve per far conoscere ai terzi le vicende giuridiche legate ai queste categorie di beni. Solo nel
fenomeno ereditario si ha una trasmissione di titoli.
Bisogna sempre guardare all’agire giuridico e agli strumenti che possono essere utili ai soggetti per
tutelare i propri diritti.
La trascrizione, nel codice abrogato, era stata definita originaria, cioè il mezzo di pubblicità dei
negozi relativi ai beni mobili registrati e immobili.
La sua funzione originaria è quella di strumento per la soluzione di conflitti tra più soggetti
acquirenti di diritti reali su determinati beni. Con la trascrizione, un diritto reale, il quale deriva
dall’acquisto di un bene immobile, può essere opponibile ai terzi. (Il contratto ha efficacia traslativa
della proprietà o dei diritti reali purché esso sia fatto per iscritto).
Se ciò non accadesse si intralcerebbe la circolazione dei beni, la quale deve essere sempre favorita.
Un soggetto però non può mai essere sicuro che l’alienante non abbia già trasferito ad altri il diritto
reale di quel bene; quindi dovrebbe sempre astenersi dall’acquistare.
Ci sono 2 diversi criteri per la soluzione di conflitti in merito alla trascrizione:
a) l’apprensione materiale della res oggetto del diritto;
b) l’attuazione di un sistema di pubblicità dell’atto traslativo o costitutivo di un diritto
reale.
Per quanto concerne i conflitti sui beni mobili (non registrati), esso si risolve a favore di quello che
per primo ed in buona fede abbia conseguito il possesso della cosa (ai sensi dell’art.1155 C.C.).
Art.1155 C.C. → Acquisto di buona fede e precedente alienazione ad altri. “Se taluno con
successivi contratti aliena a più persone un bene mobile, quella tra esse che ne ha acquistato in buona fede il
possesso è preferita alla altre, anche se il suo titolo è di data posteriore.”
Per i diritti personali di godimento, il conflitto viene risolto facendo prevalere colui che per primo
ha meritatamente conseguito il godimento della cosa (ai sensi dell’art.1380 C.C.), la legge fa
prevalere colui che può vantare il titolo, di data certa, anteriore.
Per i beni immobili e mobili registrati (diritti reali immobiliari), il conflitto viene risolto in base alla
trascrizione dell’atto di acquisto: colui che per primo ha fatto trascrivere in pubblici registri il titolo
dal quale trae origine il suo diritto è preferito rispetto a colui che non ha trascritto affatto o che ha
trascritto in data successiva il suo titolo.
Art.2644 C.C. → Effetti della trascrizione. “Gli atti enunciati nell’articolo precedente non hanno
effetto riguardo ai terzi che a qualunque titolo hanno acquistato diritti sugli immobili in base a un atto trascritto
o iscritto anteriormente alla trascrizione degli atti medesimi.
Seguita la trascrizione, non può avere effetto contro colui che ha trascritto alcuna trascrizione o iscrizione di
diritti acquistati verso il suo autore, quantunque l’acquisto risalga a data anteriore.”
Il consenso traslativo, riguarda i contratti che trasferiscono la proprietà o diritti reali. Esso si
coordina con la trascrizione in questi termini:
- il contratto ha immediata efficacia traslativa in favore dell’acquirente, che diviene
proprietario;
- fino a quando la trascrizione non è eseguita, il diritto acquistato e già attuale nel patrimonio
dell’acquirente, soccombe rispetto ai diritti con esso incompatibili che dovessero essere
acquistati da altri soggetti in forza di atti trascritti anteriormente.
Ciò accade ai sensi dell’art.2644 C.C., secondo il quale gli atti di acquisto di diritti reali
immobili non producono effetto qualora un terzo abbia acquistato a qualsiasi titolo diritti su
detti immobili in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione degli atti
medesimi.
Determinante per la trascrizione, non è la data in cui l’atto viene compiuto, ma quella in cui viene
eseguita la trascrizione o iscrizione nei pubblici registri. Quando questa è stata compiuta, l’atto è
opponibile ai terzi, ma non può avere effetto contro colui che ha trascritto alcuna trascrizione o
iscrizione di diritti acquistati verso il suo autore, quantunque l’acquisto risalga a data anteriore.
In altri sistemi giuridici, per esempio in Germania, Austria-Ungheria ed alcune regioni dell’Italia
(province di Trento, Bolzano, Trieste e Gorizia), la trascrizione assume una pubblicità costitutiva. In
questo senso al contratto di vendita non ha efficacia reale, ma produce in capo al soggetto l’obbligo
di porre in essere le operazioni funzionali all’attuazione della pubblicità immobiliare.
La trascrizione in questi Paesi e regioni italiane è su base tavolare, non del soggetto.
Ne fa parte l’iscrizione dell’ipoteca; l’art.2808 C.C. (II° comma), afferma che l’ipoteca si
costituisce mediante iscrizione nei registri immobiliari.
La trascrizione non ha alcun potere di rimuovere o superare eventuali vizi da cui il negozio
giuridico trascritto fosse affetto. La vendita è annullabile o nulla, quando un soggetto acquista dal
non domino (colui che non è proprietario), non basta la trascrizione dell’atto.
Si hanno alcuni casi in cui la trascrizione assume un’efficacia sanante, cioè:
a) nullità e annullamento per incapacità legale
l’azione tendente all’accertamento della nullità è imprescrittibile, e con il suo accoglimento
coinvolge tutti gli atti dipendenti da quello dichiarato nullo.
Art.2652 C.C. n°6 → “le domande dirette a far dichiarare la nullità o a far pronunziare l’annullamento di
atti soggetti a trascrizione e le domande dirette a impugnare la validità della trascrizione.
Se la domanda è trascritta dopo cinque anni dalla data delle trascrizione dell’atto impugnato, la sentenza che
l’accoglie non pregiudica i diritti acquistati a qualunque titolo da terzi di buona fede in base a un atto trascritto
o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda. […]”
b) annullabilità per cause diverse dall’incapacità legale
la tutela dei diritti dei terzi non dipende dal tempo: anche se la domanda è stata trascritta in un
periodo inferiore a 5 anni dalla data dell’acquisto.
Art.2652 C.C. n°6 → “Se però la domanda è diretta a far pronunziare l’annullamento per una causa divera
dall’incapacità legale, la sentenza che l’accoglie non pregiudica i diritti acquistati dai terzi di buona fede in
base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda, anche se questa è stata
trascritta prima che siano decorsi i cinque anni dalla data della trascrizione dell’atto impugnato, purché in
questo caso i terzi non abbiano acquistato a titolo oneroso.”
La trascrizione concorre ad un effetto costitutivo del diritto; in questo caso si parla dall’usucapione
abbreviata: decennale per gli immobili e triennale per i beni mobili registrati.
Per la sua maturazione occorre la buona fede dell’acquirente, un titolo idoneo di acquisto e la
trascrizione.
La trascrizione rappresenta un onere per le parti, cioè non obbliga nessuno alla trascrizione. Ci si
avvale della trascrizione come interesse personale, per il principio di opponibilità ai terzi,
impedendo che altri rendano inoperante l’acquisto.
Per i pubblici ufficiali (in special modo i notai), la trascrizione rappresenta un obbligo. Qualora un
pubblico ufficiale abbia ricevuto o autenticato l’atto soggetto a trascrizione, egli ha l’obbligo di
effettuarla nel più breve tempo possibile. È tenuto al risarcimento del danno in caso di ritardo (30
giorni dopo la data di ricevimento o autenticazione dell’atto).
Il concetto di terzo, nella trascrizione, è diverso rispetto al concetto di terzo che si usa in un
contratto o in un rapporto (in questo caso si parla di parti). Nella trascrizione si parla di terzo in
senso più ristretto; sono terzi: coloro che abbiano acquistato diritti sull’immobile oggetto di quegli
atti in base ad un atto trascritto o iscritto anteriormente rispetto alla trascrizione di quegli atti
medesimi (art.2644 C.C.).
La trascrizione ha impostazione a base personale, non reale come avviene invece per Germania,
Austria-Ungheria e due regioni italiane (Trentino Alto-Adige e Friuli Venezia Giulia). Quindi, nei
registri immobiliari le vicende giuridiche di un immobile sono intestate alla singola persona
interessata.
Grazie ai registri immobiliari si viene a conoscenza di quali trascrizioni o iscrizioni siano veramente
a carico (contro) di un soggetto e a favore di un altro. Se si vuole conoscere la vicenda giuridica di
un determinato fondo, bisogna ricostruire gli atti che lo hanno riguardato, indagando in base ai
soggetti che ne sono stati parte. Si fa una ricerca sulle persone coinvolte, non in base al bene.
Carattere reale, cioè legato ai beni, il sistema tavolare dei registri fondiari. L’intavolazione ha
funzione costitutiva, in quanto è necessaria perché l’atto abbia efficacia anche tra le parti.
Sulle singole registrazioni, nel sistema tavolare, vengono svolti controlli preventivi.
Il conservatore del registro immobiliare non deve operare indagini in ordine alla validità ed
efficacia dell’atto, deve limitarsi a verificare che il titolo che gli si richiede di trascrivere rientri
negli atti dei quali la legge prevede la trascrizione e che consista in un atto pubblico, o in una
scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente (sentenza) (art.2657 C.C.).
Devono, quindi, essere trascritti tutti gli atti che sono previsti da questa legge. Se la trascrizione non
avviene o avviene con altri mezzi che non sia la trascrizione, la notizia rimane priva di qualsiasi
effetto ai fini della disciplina. Mentre se viene trascritto un atto, che non è compreso nell’art.2643
C.C., non si produce alcun effetto della pubblicità dichiarativa.
I presupposti per la trascrizione sono:
1. beni immobili e beni mobili registrati;
2. atti che comportano trasferimento, modificazione, costituzione o estinzione di diritti reali;
3. alcuni atti obbligatori: locazione ultranovennale o contratto preliminare.
Gli atti che sono soggetti a trascrizione, sono:
a) contratti traslativi della proprietà, o costitutivi o modificativi o traslativi di diritti reali
immobiliari; atti tra vivi di rinunzia alla proprietà ai diritti reali;
b) contratti relativi a diritti personali su beni immobili se superano una certa durata (locazione
novennale); atti di conferimento del godimento di beni immobili in una società o in una
associazione o consorzio per un periodo superiore a nove anni; atti di costituzione di
anticresi;
c) transazioni, devono avere per oggetto controversie sui diritti di cui all’art.2643 C.C.;
d) sentenze che operano la costituzione, il trasferimento o la modificazione di uno dei diritti di
cui all’art. 2643 C.C., cioè le sentenze costitutive.
Vengono trascritte anche le sentenze che fanno acquistare un diritto per usucapione, o per uno
degli altri modi di acquisto a titolo originario, e quelle da cui risulta estinto per prescrizione un
diritto reale.
La trascrizione delle sentenze ha funzione di pubblicità notizia.
Vengono trascritti anche gli atti interrottivi del corso dell’usucapione. L’efficacia dell’atto
interruttivo si produce dalla data di trascrizione (se un terzo entro quella data aveva già trascritto
un proprio diritto, si hanno due casi: se il tempo occorrente per l’usucapione era già decorso,
l’acquisto è fatto salvo; se non era ancora decorso il terzo cederà il diritto al proprietario che
abbia interrotto l’usucapione).
La funzione della trascrizione per gli atti mortis causa è per garantire la continuità di circolazione
dei diritti.
Per eventuali conflitti tra gli eredi non si ricorre all’art.2644 C.C., ma si individua un testamento di
cui bisognerà decidere la validità. Nel caso di più testamenti si individua quello più recente o si
dovrà accertare il presupposto di una delazione ex lege.
Il legatario e l’erede non sono gravati dall’onere di trascrivere il proprio acquisto per renderlo
opponibile ai terzi.
Ai sensi dell’art.2650 C.C. colui che abbia acquistato dall’erede può rendere opponibile il proprio
acquisto ai terzi se sia stato trascritto pure l’acquisto mortis causa del suo autore.
La trascrizione degli acquisti mortis causa è stata introdotta dal codice vigente; il codice del 1865
non la contemplava, facendo così affiorare gravi lacune nel sistema e nella conoscibilità delle
vicende che avevano interessato un immobile.
Recentemente sono state approvate delle novelle, le quali stabiliscono che è soggetto a trascrizione
anche l’atto di opposizione del coniuge e dei parenti del donante (art.563 C.C.) e del provvedimento
di assegnazione della casa familiare al coniuge, ex coniuge o convivente, che il giudice può
pronunciare in presenza dei figli e nell’interesse di questi.
Vanno trascritti, se hanno per oggetto beni immobili, la costituzione del fondo patrimoniale, le
convenzioni matrimoniali, gli atti e i provvedimenti di scioglimento della comunione, gli atti di
acquisto dei beni personali previsti dall’art.179 C.C.
La legge ammette che un soggetto, con un atto che deve necessariamente avere la forma di atto
pubblico, possa destinare beni immobili o mobili registrati, alla realizzazione di interessi meritevoli
di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone
fisiche.
I beni destinati, in forza di legge, sono vincolati allo scopo e possono essere impiegati solo a tale
destinazione.
È peraltro concesso utilizzare propri beni o il proprio reddito per soddisfare le esigenze di un
familiare disabile o di un ente, senza che vi sia alcun vincolo reale di destinazione sul bene, né la
separazione dello stesso da patrimonio di colui che ha deciso tale destinazione.
È possibile operare destinazioni di beni opponibili ai terzi, sottraendo tali beni alla circolazione
giuridica dei beni; queste però sono tassativamente previste dalla legge (esempio: fondo
patrimoniale).
I beneficiari dell’atto di destinazione sono previsti dalla legge:
persone con disabilità, pubbliche amministrazioni, altri enti o persone fisiche.
La legge è quindi volta alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela. Secondo alcuni interpreti
esso varrebbe a legittimare qualsiasi atto di destinazione, anche atipico, purché giustificato dalla sua
strumentalità ad un fine meritevole di protezione giuridica; secondo altri la norma riguarda solo gli
atti di destinazione tipici, e dunque per la identificazione dei singoli atti suscettibili di produrre gli
effetti decritti dalla norma si dovrebbe fare riferimento ad altre specifiche disposizioni
dell’ordinamento, che contemplino e regolino volta per volta specifici atti di destinazione.
Il vincolo temporale a cui sono sottoposte è che non devono essere superiori 90 anni o della vita del
beneficiario.
Alcuni interpreti hanno trovato anche il fondamento positivo della trascrizione del trust.
Dopo la ratifica della Convenzione de L’Aja del 1° luglio 1985 si è aperto il dibattito circa
l’ammissibilità della costituzione di trust efficaci nell’ordinamento italiano. La Convenzione da la
possibilità che i beni dei trust istituiti in base alle leggi di Paesi il cui ordinamento conosce e
disciplina il trust possano essere registri a nome del trustee.
La giurisprudenza è stata favorevole all’ammissibilità della trascrizione del trust, in quanto prevista
dalla Convenzione e ratificata, quindi non era più estranea al diritto italiano.
Il trust, il cui effetto proprio consiste nel destinare determinati beni ad uno specifico scopo,
vincolando il trustee a rispettarlo ed evitando che i beni del trust vadano a confondersi nel
patrimonio del trustee, in quanto trascritti, tali atti risulterebbero opponibili ai terzi.
L’ANNOTAZIONE
L’art.2654 C.C. dispone che se una domanda giudiziale si riferisce a un atto trascritto o iscritto la
trascrizione della domanda deve essere anche annotata a margine della trascrizione dell’atto.
L’art.2655 C.C., invece, dispone che siano annotati in margine alla trascrizione di atti trascritti le
sentenze o le convenzioni che dichiarino o provochino la nullità, l’annullamento, la risoluzione, la
rescissione o la revoca dell’atto trascritto.
Anche nell’annotazione trova applicazione il principio della continuità delle trascrizioni, perché se
l’annotazione non avviene le successive trascrizioni di quell’atto non avranno alcun effetto.
La trascrizione può riguardare atti inter vivos o atti d’acquisto mortis causa.
Per la trascrizione di un atto inter vivos, il richiedente alla trascrizione deve presentare le coppie del
titolo e una nota, in doppio originale, nella quale devono essere contenute le indicazioni all’art.2659
C.C.
Art.2659 C.C. → Nota di trascrizione. “Chi domanda la trascrizione di un atto tra vivi deve presentare
al conservatore dei registri immobiliari, insieme con la copia del titolo, una nota in doppio originale, nella
quale devono essere indicate:
1) il cognome e il nome, il luogo e la data di nascita e il numero di codice fiscale delle parti, nonché il regime
patrimoniale delle stesse, se coniugate, secondo quanto risulta da loro dichiarazione resa nel titolo o da
certificato dell’ufficiale di stato civile; la denominazione o la ragione sociale, la sede e il numero di codice
fiscale delle persone giuridiche, della società previste ai capi II, III e IV dei titoli V del libro quinto e delle
associazioni non riconosciute, con l’indicazione, per queste ultime e per le società semplici, anche delle
generalità delle persone che le rappresentano secondo l’atto costitutivo;
2) il titolo di cui si chiede la trascrizione e la data del medesimo;
3) il cognome e il nome del pubblico ufficiale che ha ricevuto l’atto o autenticato le firme, o l’autorità
giudiziaria che ha pronunziato la sentenza;
4) la natura e la situazione dei beni a cui si riferisce il titolo, con le indicazioni richieste dall’art. 2826, nonché,
nel caso previsto dall’art. 2645-bis, comma 4, la superficie e la quota espressa in millesimi di cui a
quest’ultima disposizione.
Se l’acquisto, la rinunzia o la modificazione del diritto sono sottoposti a termine o a condizione, se ne deve fare
menzione nella nota di trascrizione. Tale menzione non è necessaria se, al momento in cui l’atto si trascrive, la
condizione sospensiva si è verificata o la condizione risolutiva è mancata ovvero il termine iniziale è scaduto.”
Per la trascrizione dell’atto d’acquisto mortis causa devono essere presentati l’atto di accettazione di
eredità, il certificato di morte dell’autore della successione e una copia del testamento o un estratto
autentico del testamento e una nota in doppio originale con le indicazione di cui all’art.2660 C.C.
Art.2660 C.C. → Trascrizione degli acquisti a causa di morte. “Chi domanda la trascrizione di un
acquisto a causa di morte deve presentare, oltre all’atto indicato dall’art. 2648, il certificato di morte o un
estratto autentico del testamento, se l’acquisto segue in base a esso.
Deve anche presentare una nota in doppio originale con le seguenti indicazioni:
1) il cognome e il nome, il luogo e la data di nascita dell’erede o legatario e del defunto;
2) la data di morte;
3) se la successione è devoluta per legge, il vincolo che univa all’autore il chiamato e la quota a questo
spettante;
4) se la successione è devoluta per testamento, la forma e la data del medesimo, il nome del pubblico ufficiale
che l’ha ricevuto o che l’ha in deposito;
5) la natura e la situazione dei beni con le indicazioni richieste dall’art. 2826;
6) la condizione o il termine, qualora siano apposti alla disposizione testamentaria, salvo il caso contemplato
del secondo comma del precedente articolo, nonché la sostituzione fidecommissaria, qualora sua stata disposta
a norma dell’art. 692.”
Se nelle note ci sono delle inesattezze o omissioni, si determina la nullità della trascrizione solo se
sono tali da indurre incertezze sulle persone o sul rapporto giuridico a cui l’atto si riferisce.
LEZIONE PASQUINO
Esempio: possesso di un bene ↔ acquisto della proprietà
Contratto di compra-vendita ↔ il bene passa da un patrimonio all’altro.
Il contratto è quell’atto grazie al quale la titolarità su un bene cambia.
Provvedimento del giudice quando si parla di divorzio; il giudice dovrà assegnare i beni alle parti.
Esempio:
Tizio e Caio vogliono comprare un’immobile in un luogo diverso dal loro. Tizio è di Milano,
Caio è di Genova, mentre l’immobile è a Santa Margherita Ligure. La contrattazione può
avvenire anche attraverso un notaio che si trova a Perugia (altro luogo ancora).
Formalizzato l’atto, viene trasferito il bene immobile alla parte?
Si, il bene immobile viene trasferito alla parte, perché nel nostro ordinamento giuridico vige il
principio consensualistico. Però non rileva il materiale trasferimento del bene, che si ha con la
consegna delle chiavi anche in un periodo successivo alla stipula del contratto. Il possesso si
può realizzare anche in un momento successivo, mentre il diritto effettivo sul bene è già
trasferito.
Art.1376 C.C.→ Contratto con effetti reali. “Nei contratti che hanno per oggetto il trasferimento della
proprietà di una cosa determinata, la costituzione o il trasferimento di un diritto reale ovvero il trasferimento
di un altro diritto, la proprietà o il diritto si trasmettono e si acquistano per effetto del consenso delle parti
legittimamente manifestano.”
Se il precedente caso non viene fatto attraverso un atto notarile, ma attraverso una scrittura
privata semplice essa è comunque idonea a raggiungere l’effetto traslativo. Nello stesso
momento viene stipulata con un’altra persona, Sempronio, sempre interessata al medesimo
bene immobile di Santa Margherita Ligure, un atto pubblico notarile oppure una scrittura
privata autenticata. Questo viene trascritto, cioè gli atti vengono portati presso la
Conservatoria immobiliare e fa si che gli atti delle parti vengano “registrati” e resi disponibili
e noti a tutti i terzi.
Caio sembrerebbe essere il titolare del diritto perché lo ha acquistato prima, ma non può
andare da Sempronio e dire che il diritto è suo perché a contrario di Caio, Sempronio ha
trascritto gli atti.
Il principale effetto della trascrizione è: di poter opporre a tutti coloro che hanno acquistato il
diritto, prevale il diritto di colui che lo ha reso pubblico per primo (cioè lo ha trascritto per primo).
La trascrizione è anche una forma di tutela che opera per la parte che vuole essere tutelata
dall’ordinamento, ma con l’onere di eseguire regolarmente ciò che prevede la legge.
Esempio:
tra A e B viene stipulato un contratto di compra-vendita, nel quale viene pattuito che il
trasferimento avviene in modo dilazionato nel tempo. Grazie al principio consensuale il
contratto ha efficacia traslativa.
30/10/2008
A B
Consegna: 30/06/2009
Il diritto di proprietà si trasferisce nel momento in cui si sono stipulate le volontà di A di vendere e
di B di acquistare. Il diritto si trasferisce per il principio consensuale.
Hanno stipulato un contratto con scrittura privata semplice, il quale contiene le volontà delle parti.
Essi hanno concluso un agire giuridico perfetto, idoneo a far arrivare gli effetti.
30/11/2008
A C Consegna: 01/12/2008
Solo A e B sanno che è avvenuto il trasferimento e l’atto è solo a loro conoscenza. A però aliena lo
stesso bene a C, che essendo più accorto va a sindacare presso un notaio se A può vendere
realmente quel bene. Il notaio verificherà nei pubblici registri della Conservatoria immobiliare ed A
risulta ancora proprietario, quindi è autorizzato alla vendita. Il notaio da garanzia C che può
acquistare, stipulano l’atto e la consegna avviene il giorno dopo. C lo trascrive regolarmente.
B ha acquistato per primo il diritto di proprietà, può esplicare il suo diritto solo nei confronti di A,
tra cui c’è un rapporto personale. Però nell’ordinamento giuridico viene privilegiata la situazione di
C, grazie alla ratio dell’art.2644 C.C. che fornisce la certezza dei diritti, la tutela del terzo
acquirente. Il terzo acquirente che in uno stato di affidamento ha eseguito tutte le formalità della
legge e ha visto di poter acquistare. La trascrizione è una forma di pubblicità che rende opponibile
ai terzi un suo acquisto anche se in un momento successivo di acquisto altrui.
30/10/2008 29/11/2008
A B D
Le trascrizioni si fanno presso un ufficio aperta al pubblico che è la Conservatoria dei beni
immobili; ciascuna vicenda giuridica relativa a quel bene viene registrata. La Conservatoria è
dislocata in diverse zone della regione.
L’art. 2644 C.C. ha come principio la salvaguardia del diritti trascritto, il legislatore lo
approfondisce ulteriormente in una norma che potrebbe sembrare oscura: art.2650 C.C..
Art.2650 C.C.→ Continuità delle trascrizioni. “Nei casi in cui, per le disposizioni precedenti, un atto
di acquisto è soggetto a trascrizione, le successive trascrizioni o iscrizioni a carico dell’acquirente non
producono effetto, se non è stato trascritto l’atto anteriore di acquisto.
Quando l’atto anteriore di acquisto è stato trascritto, le successive trascrizioni o iscrizioni producono effetto
secondo il loro ordine rispettivo, salvo il disposto dell’art.2644.
[L’ipoteca legale a favore dell’alienante e quella a favore del condividente, iscritte contemporaneamente alla
trascrizione del titolo di acquisto o della divisione, prevalgono sulle trascrizioni o iscrizioni eseguite
anteriormente contro l’acquirente o il condividente tenuto al conguaglio.]”
Le successive trascrizioni a carico dell’acquirente non producono alcun effetto se non è stato
trascritto l’atto di acquisto precedente; per far si che gli atti di acquisto vengano trascritti è
necessario che ci sia la trascrizione dell’acquisto (atto) precedente.
Esempio 1:
A B
D
Entrambi i trasferimenti avvengono con atti idonei alla trascrizione.
D trascrive prima di B, il suo acquisto è salvo anche se successivo a quello di B. Devono essere
fatte le relative visure presso la Conservatoria Immobiliare, localizzata in diverse aree del territorio
regionale. La Conservatoria ha il compito di conservare ed aggiornare i pubblici registri, nei quali
vengono inserite tutte le vicende giuridiche relative ad un soggetto (sono registri nominali, non per
tipologia di bene). Questi registri sono messi a disposizione di tutti i terzi interessati. Gli interessati
devono verificare, nella parte relativa ad A, le diverse trascrizioni: acquisti (trascrizioni/iscrizioni a
favore) e/o alienazioni (trascrizioni/iscrizioni contro).
Se nella parte relativa alle trascrizioni/iscrizioni a favore di A compare l’atto di acquisto, vuol dire
che il soggetto ha trascritto regolarmente l’atto e di conseguenza può vendere il bene.
Il principio della trascrizione prevede che non ci si fermi solo all’atto di provenienza; inoltre, se ci
si avvale di un pubblico ufficiale, egli deve avere l’onere di verificare se c’è la possibilità
all’acquisto prima che il soggetto che si è rivolto a lui stipuli il contratto.
1970 11/07/2008
C A B
12/07/2008
1971
E D
A acquistato il bene da C senza trascrivere l’atto di acquisto, in un momento successivo A aliena lo
stesso bene ad un terzo (che può essere B e C). L’atto di A non risulta trascritto nei pubblici registri,
cioè non risulta il titolo di provenienza del 1970, quando C ha alienato il suo bene ad A. D, quando
va a trascrivere il suo titolo, non lo può fare perché manca la trascrizione dell’atto precedente
(manca titolo di provenienza).
La trascrizione di D non produce effetto!
Se D vuole trascrivere il suo titolo, deve colmare la lacuna cerata da A nel 1970. D trascrive
comunque e si dice che la trascrizione ha effetto prenotativo, che gli consente, dopo aver colmato la
lacuna, di vedere il suo titolo trascritto automaticamente. Se tutto procede regolarmente la lacuna si
sana e D automaticamente ha trascritto il titolo. D si deve accollare tutte le spese per la trascrizione
dell’atto mancante di A.
Quando D va a sanare la trascrizione mancante (quando il titolo è passato da C ad A), dovrà
guardare nella pagina delle trascrizioni di C. Troverà che il C aveva alienato il bene anche ad E, il
quale ha trascritto regolarmente il suo atto (risulta nella pagina di C nelle trascrizioni contro,
mentre nella pagina di E nelle trascrizioni a favore).
A di conseguenza ha acquistato a non domino, cioè da chi non era il proprietario.
C ha alienato due volte: ad A e ad E; però solo E ha acquistato il titolo perché ha trascritto il bene
nel pubblico registro.
D
2008
A
B C
a) Verificare se l’atto di provenienza è stato trascritto; è opportuno che la verifica risalga alle
trascrizioni anteriori, almeno fino a 20 anni prima. La verifica si fermerà al 1985 perché anche
se prima c’è stato acquisto a non domino sarebbe stato sanato per effetto della prescrizione
dell’usucapione.
└ acquisto a titolo originario per effetto dell’usucapione
b) Al momento in cui arriva all’atto di D, A o B vengono a conoscenza che c’è stata una
trascrizione nell’intermezzo tra D e A. → usucapione abbreviata (art.1159 C.C.), che prevede
che bastino 10 anni, che ci sia un atto regolarmente trascritto e che ci sia la buona fede.
c) Quando si andasse a scoprire che nel tempo la catena non è unica ma è diramata: ciò che si
verifica nel 2008 con doppia alienazione, si è verificato anche qualche anno prima. Bisogna
verificare se l’atto di acquisto sia stato trascritto in altri nomi, da altri soggetti. Per effetto
dell’art.2650 C.C. un atto trascritto nel 2008 vale sull’atto del 1970, se questo non è stato
trascritto.
Se il bene è di proprietà del dante causa ma egli ha fatto giacere su esso un onere o altro diritto reale
dopo averlo avuto in esclusiva, potrebbe essere costretto a cedere una parte del suo diritto oppure
viene costretto all’ipoteca sul bene a causa di un debito. I diritti di sequela durano fino a quando
non finisce quel diritto (usufrutto con la morte dell’usufruttuario; enfiteusi, ecc…). Nascono queste
situazioni tramite contratti e con testamenti (atti unilaterali) dai quali derivano effetti di tipo
costitutivo. Anche questi sono soggetti alle regole della trascrizione, non solo perché contenuti
nell’art.2644 C.C., ma anche perché gli eredi o i soggetti interessati rendono così noto ai terzi tutte
le vicende costitutive che si sono create sul bene che essi vogliono acquistare.
B e C devono sapere che acquisteranno la nuda proprietà, in quanto ci sarà una diversa valutazione
del bene perché su di esso gravano diritti di altri soggetti.
Per effetto dell’art.1376 C.C., che tratta del contratto con effetti reali, non solo gli atti che
trasferiscono diritti ma anche quelli costitutivi hanno effetti reali, perciò sono soggetti a
trascrizione. Essi devono essere trascritti per la tutela dei terzi, quando essi abbiano per oggetto
diritti reali immobiliari e beni immobili.
Quando si tratta di atti pubblici non si pone alcun problema, perché il pubblico ufficiale da la
garanzia della linearità della circolazione dei beni. Con la scrittura privata autenticata il notaio si
limita ad autenticare le sottoscrizioni degli interessati.
Alla fine degli anni ’90 si è data la possibilità ai privati di trascrivere uno o più atti con efficacia
obbligatoria.
Gli atti di acquisto sono preceduti da atti preliminari che contengono solo le volontà delle parti per
un futuro contratto definitivo.
Questo accadeva per l’acquisto di beni immobili non ancora costruiti. Si stipulava un contratto
preliminare, perché non c’era il diritto sul bene, ci si obbligava a stipulare un contratto definitivo
futuro (quando il bene fosse stato costruito), con il quale si ha il trasferimento del diritto.
Ci sono due contratti diversi e autonomi uno dall’altro:
- preliminare → produce effetti solo obbligatori;
- definitivo → ha efficacia reale, trasferisce il diritto e solo esso può essere trascritto.
Potendo stipulare contratti preliminari, uno stesso bene veniva promesso a più acquirenti. È stata
creata una legge a doc per la loro tutela nel 1997 con cui è stato introdotto l’art.2645-bis.
ESEMPIO:
Contratto preliminare
Devono essere intavolati solo gli atti stipulati inter vivos, attraverso un contratto.
Gli atti mortis causa ↔ non è che non si rendono pubblici, ma la loro intavolatura non ha un effetto
costitutivo, ma dichiarativo in quanto mette al corrente i terzi del trasferimento del diritto agli eredi.
Gli eredi se vogliono alienare dovranno richiedere l’atto dichiarativo con il quale potrà far circolare
nuovamente il bene; viene rilasciata una sorta di certificazione.
I libri fondiari sono organizzati su base reale, andando attraverso l’individuazione del bene. Su base
reale, riguardando solo il bene, è più certa la situazione giuridica al di là di quelle che sono le parti.
Con una sola consultazione si possono sapere tutte le vicende giuridiche su quel bene (è un regime
più certo e lineare).
Fasi:
- intavolazione;
- prenotazione;
- annotazione (serve per rendere noto ai terzi, anche se non ha efficacia costitutiva).
Ipotesi eccezionali:
- diritto di ritenzione;
- eccezione di inadempimento;
- difesa del possesso finché la violenza dell’aggressore è in atto;
- legittima difesa.
Le lesioni dei diritti sono sottoposte all’attenzione del diritto processuale civile.
Tipi di azione
Il diritto di azione è quel diritto attraverso il quale un soggetto leso nell’esercizio di un suo diritto,
richiede allo Stato per la difesa di quest ultimo.
b) PROCESSO DI ESECUZIONE
la cui finalità consiste nel realizzare il comando contenuto nella sentenza
Nel processo esecutivo ci sono due tipi di esecuzione:
- esecuzione forzata in forma specifica, quando il processo esecutivo riesce ad assicurare
coattivamente proprio quel risultato voluto dal comando della sentenza.
Essa avviene quando rimane inseguito:
a) un obbligo avente ad oggetto la consegna di una cosa determinata, mobile o
immobile. L’avente diritto otterrà la consegna o il rilascio forzati del bene stesso;
b) un obbligo avente ad oggetto un facere fungibile: l’avente diritto ottiene soltanto che
esso sia eseguito da altri.
c) un obbligo avente ad oggetto quel particolare facere consistente nella conclusione di
un contratto: l’avente diritto potrà ottenere dal giudice una sentenza costitutiva che
produca gli effetti del contratto non concluso;
d) un obbligo avente ad oggetto un non facere: l’avente diritto potrà ottenere la
distruzione della cosa che sia stata realizzata in violazione dell’obbligo, ciò avviene
a spese dell’obbligato.
- esecuzione mediante espropriazione forzata è la figura più importante del processo esecutivo. In
questo caso il bene o i beni colpiti da espropriazione vengono venduti ai pubblici incanti e la
somma ricavata viene ripartita tra i creditori.
Questo tipo di esecuzione ha inizio con il pignoramento dei beni, attraverso il quale si indicano i
beni assoggettati all’azione esecutiva.
In base agli effetti sostanziali del pignoramento si stabilisce che non hanno effetto gli atti di
alienazione dei beni sottoposti a pignoramento. Tale inefficacia dipende dalla destinazione dei beni
alla espropriazione.
Essa è relativa, cioè è fatta valere solo dal creditore pignorante e dai creditori intervenuti
nell’esecuzione.
Si tiene conto anche dei terzi che abbiano acquistato in buona fede:
- acquisto di mobili non iscritti nei pubblici registri, basta l’acquisto del possesso a
salvaguardare il diritto del terzo;
- acquisto di immobili o mobili registrati, la protezione del terzo è effettuata attraverso la
trascrizione.
c) PROCESSO CAUTELARE
la cui finalità è quella di conservare lo stato di fatto esistente per rendere possibile l’esecuzione
della sentenza o l’accertamento che si è richiesto a giudice
La cosa giudicata
La sentenza può essere impugnata dalla parte soccombente, proponendo, quindi, un riesame del
processo.
Il limite del riesame si ha quando il comando contenuto nella sentenza non può essere modificato da
alcun altro giudice (res iudicata). Ad altri tentativi di impugnazione si può opporre la cosa giudicata
o il passaggio in giudicato della sentenza.
La “cosa giudicata formale”s’intende la sentenza passata in giudicato e che non è più soggetta ai
mezzi di impugnazione.
Essa ha valore sostanziale: la cosa giudicata in senso sostanziale. Quindi la sentenza non è più
impugnabile, ma, se in essa è stato riconosciuto il diritto personale di proprietà o di credito, non
potrà più formare oggetto di discussione o di riesame tra il soggetto e l’altra parte in futuri processi.
Ciò viene applicato anche gli eredi e gli aventi causa, non solo all’altra parte.
La cosa giudicata in senso sostanziale consiste, quindi, nella definitività dell’accertamento
contenuto nella sentenza anche al di fuori del processo nel quale è stata pronunziata, rispetto a
qualunque futuro processo ad anche a prescindere da processo.
Il processo esecutivo
Esecuzione forzata in forma specifica, quando il processo esecutivo riesce ad assicurare
coattivamente proprio quel risultato voluto dal comando della sentenza.
Essa avviene quando rimane inseguito:
e) un obbligo avente ad oggetto la consegna di una cosa determinata, mobile o
immobile. L’avente diritto otterrà la consegna o il rilascio forzati del bene stesso;
f) un obbligo avente ad oggetto un facere fungibile: l’avente diritto ottiene soltanto che
esso sia eseguito da altri.
g) un obbligo avente ad oggetto quel particolare facere consistente nella conclusione di
un contratto: l’avente diritto potrà ottenere dal giudice una sentenza costitutiva che
produca gli effetti del contratto non concluso;
h) un obbligo avente ad oggetto un non facere: l’avente diritto potrà ottenere la
distruzione della cosa che sia stata realizzata in violazione dell’obbligo, ciò avviene
a spese dell’obbligato.
L’esecuzione mediante espropriazione forzata è la figura più importante del processo esecutivo. In
questo caso il bene o i beni colpiti da espropriazione vengono venduti ai pubblici incanti e la
somma ricavata viene ripartita tra i creditori.
Questo tipo di esecuzione ha inizio con il pignoramento dei beni, attraverso il quale si indicano i
beni assoggettati all’azione esecutiva.
In base agli effetti sostanziali del pignoramento si stabilisce che non hanno effetto gli atti di
alienazione dei beni sottoposti a pignoramento. Tale inefficacia dipende dalla destinazione dei beni
alla espropriazione.
Essa è relativa, cioè è fatta valere solo dal creditore pignorante e dai creditori intervenuti
nell’esecuzione.
Si tiene conto anche dei terzi che abbiano acquistato in buona fede:
- acquisto di mobili non iscritti nei pubblici registri, basta l’acquisto del possesso a
salvaguardare il diritto del terzo;
- acquisto di immobili o mobili registrati, la protezione del terzo è effettuata attraverso la
trascrizione.
Nel giudizio civile si ricorre ai mezzi di prova, forniti dalle parti in giudizio. I mezzi di prova
vengono indicati in base alla propria versione dei fatti, in modo tale che risulti più convincente di
quella fornita dalla controparte.
I mezzi di prova possono essere:
- ammissibili, cioè conformi alla legge;
- rilevanti, cioè che abbiano ad oggetto fatti che possano influenzare la decisione della lite.
Il giudice dopo aver ammesso, con ordinanza, e assunto le prove, valuterà con una sentenza la loro
concludenza: cioè, l’idoneità delle prove a dimostrare i fatti della lite in questione.
Il giudice deve motivare la sua decisione, spiegando le ragioni del suo convincimento, che si è
formato sulle basi del principio iuxta alligata et probata partium. Egli non è autorizzato a trarre il
suo convincimento da fonti esterne al giudizio.
I mezzi di prova
Si intende qualsiasi strumento idoneo ad influenzare la scelta che il giudice deve fare per stabilire
quale delle versioni sia più convincente.
Questi sono soggetti al principio del libero apprezzamento della prova, cioè spetta al giudice
valutare liberamente le prove raccolte. Questo principio è temperato dall’obbligo di motivazione,
per il quale la scelta del giudice deve essere validamente giustificata. Le motivazioni possono
sempre essere sottoposte al controllo del giudice dell’impugnazione.
Le prove legali sono quelle prove la cui rilevanza è già predeterminata dalla legge, in modo tale che
il giudice ne sia vincolato. Esse fanno piena prova sulla provenienza del documento dal pubblico
ufficiale e delle dichiarazioni che il soggetto attesta essere state fatte alla sua presenza, sulla verità
dei fatti sfavorevoli al dichiarante, sulla verità dei fatti dichiarati sotto giuramento.
La prova documentale
Il documento è ogni “cosa” idonea a rappresentare un fatto, in modo di consentirne la presa di
conoscenza a distanza di tempo.
Importanti sono l’atto pubblico e la scrittura privata.
L’atto pubblico è il documento redatto con particolari formalità, stabilite dalla legge, da un pubblico
ufficiale autorizzato ad attribuire all’atto una particolare fiducia nella sua veridicità: pubblica fede.
Sono atti pubblici:
rogiti notarili, verbali di udienza redatti da un cancelliere del tribunale o le relazioni di notifica
predisposte dagli ufficiali giudiziari, verbali redatti da una commissione di esami e alcune
attestazioni rilasciate dai pubblici uffici.
Esso ha piena prova in giudizio per:
i) la provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato;
j) le dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta essere
avvenuti alla sua presenza.
Il giudice, quindi, è tenuto a considerare vere tali dichiarazioni, senza che vi siano contestazioni o
controprove.
Se una parte intende contestare tale prova, costituita dall’atto pubblico, deve ricorrere ad un
procedimento particolare che si avvia con la querela di falso. Questa procedura è volta a dimostrare
la fallacia oggettiva del documento.
Qualora l’atto pubblico sia nullo ha la stessa efficacia della scrittura privata, sempre che sia stato
sottoscritto da una delle parti; in questo caso si parla di conversione formale dell’atto pubblico.
La prova testimoniale
È la narrazione fatta al giudice da una persona estranea alla causa in relazione a fatti controversi di
cui il teste abbia conoscenza.
Ha dei limiti legali di ammissibilità:
A) non è ammissibile quando sia invocata per provare il perfezionamento o il contenuto di un
contratto avente un valore superiore a € 2,58.
In essa si ammette la prova testimoniale se ricorrono 3 ipotesi:
- quando vi sia un principio di prova scritta;
- quando la parte si sia trovata nell’impossibilità morale o materiale di procurarsi una prova
scritta;
- quando la parte abbia perduto senza sua colpa il documento che le forniva la prova.
B) non è ammissibile se tende a dimostrare che anteriormente o contemporaneamente alla
stipulazione di un accordo scritto siano stati stipulati altri patti, non risultanti dal documento.
Anche in questo caso ricorrono le 3 ipotesi di cui sopra.
C) non è ammissibile se tende a provare un contratto che deve essere stipulato (forma ad
substantiam1) o anche solo provato (forma ad probationem tantum2) per iscritto.
In questo caso ricorre solo l’ultima delle 3 ipotesi: la prova testimoniale è ammessa solo
quando la parte abbia perso senza sua colpa il documento che le forniva la prova.
1
La forma ad substantiam è un elemento fondamentale del negozio, se non avviene l’atto è nullo.
La prova della stipulazione dell’atto con la forma richiesta può essere data con la produzione in
giudizio del documento in cui l’atto è consacrato.
Il legislatore non consente che la formazione del documento sia provata per testimoni, né da
confessione. L’unica eccezione, in cui è ammessa la prova testimoniale, è data dalla perdita senza
colpa del documento. In questo caso può essere ammesso ogni tipo di prova, basta che attesti:
l’originaria esistenza del documento, la perdita incolpevole di esso, il suo contenuto.
Questo documento non è valido solo ai fini della validità del contratto, ma anche ai fini della prova.
Il legislatore impone quindi l’onere di custodire tali documenti.
2
La forma ad probationem tantum dell’atto non è considerato nullo se non avviene, l’unica
conseguenza dell’inosservanza della forma è il divieto della prova testimoniale e di quella
presuntiva.
La mancanza di tale atto non pregiudica le parti a provare l’atto e il suo contenuto:
a) se la formazione del negozio e quanto con esso le parti stabiliscono costituisce un fatto non
contestativi, il giudice, quindi, deve considerarlo provato;
b) quando la formazione dell’atto o il suo contenuto vengano contestati in giudizio, la parte che
intenda dimostrare che il negozio si è realmente perfezionato (il contenuto corrisponde al
vero), può chiedere l’interrogatorio formale della controparte, ottenendo una confessione o
un giuramento decisorio.
Le presunzioni
Sono gli argomenti, le congetture, le illazioni, attraverso le quali, già provata una determinata
circostanza (fatto-base), si giunge a considerare provata un’altra circostanza, quest’ultima sfornita
di prova diretta.
La confessione
È la dichiarazione che fa parte della verità di fatti a se sfavorevoli e favorevoli dell’altra parte.
Questa non è un negozio giuridico, ma è una dichiarazione di scienza.
Può essere:
3. giudiziale, cioè resa in giudizio; essa costituisce una piena prova: il fatto oggetto di
confessione non può essere considerato controverso dal giudice. Può essere fatta
spontaneamente, ma la maggior parte di volte deriva da un interrogatori formale della parte, a
cui il giudice procede su richiesta dell’altra parte;
4. stragiudiziale, resa fuori dal giudizio; se fatta alla parte o al suo rappresentante, assume lo
stesso valore di quella giudiziale, mentre se fatta ad un terzo, il giudice la può apprezzare
liberamente.
La confessione stragiudiziale deve essere dimostrata.
Questi due tipi di confessione possono essere revocati solo se si riesce a dimostrare che è stata
causata da errore di fatto o da violenza.
Distinzione:
- dichiarazione confessoria ↔ oggetto l’asseverazione di fatti a se sfavorevoli e favorevoli
all’altra parte;
- dichiarazione ricognitiva ↔ oggetto l’asseverazione di diritti o rapporti giuridici.
Il giuramento
È un mezzo di prova di cui le parti possono chiedere l’acquisizione nel corso del giudizio civile.
GIRAMENTO DECISORIO: deve riguardare circostanze che abbiano valore decisorio in ordine a una
quaestio facti su cui il giudice è chiamato a pronunciarsi. Anche il giuramento è una prova legale e
il suo esito, quindi, fa piena prova in ordine alle circostanze che ne fanno oggetto.
Esso può essere richiesto solo da una delle parti in lite. Egli dovrà chiedere al giudice di invitare a
confermare sotto giuramento se il fatto oggetto di contestazione si è davvero verificato secondo
quanto il soggetto ha sostenuto nel processo.
Questo tipo di giuramento è ammissibile solo quando sia relativo ad un fatto proprio della parte cui
è deferito (giuramento de veritate), e quando sia relativo alla conoscenza che essa ha di un fatto
altrui (giuramento de scientia).
Il giuramento viene richiesto dalla parte in presenza del giudice, il quale ha il compito di ammonire
il giurante sull’importanza morale dell’atto e sulle conseguenze penali qualora dicesse il falso. In
caso di dichiarazione di falso si deve denunciare in sede penale. Si ha diritto al risarcimento del
danno, ma non alla revocazione della sentenza civile che sia stata pronunciata in base al falso
giuramento, nel caso in cui intervenga una condanna penale. Se il delitto di falso giuramento si
estingue, spetta al giudice civile a verificare se sussistono gli elementi per il risarcimento del danno.
Se la parte giurante si rifiuta o non si presenta, la sua versione del fatto non viene più considerata
vera dal giudice, indipendentemente da qualsiasi altra prova a suo favore.
GIURAMENTO ESTIMATORIO: può essere richiesto per stabilire il valore di una cosa, quando non sia
possibile accertarlo diversamente.