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“L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.”
Così recita l’Art. 1 della Costituzione italiana. E riesco già a sentire i commenti
sarcastici, quelli che oggigiorno sono sulla bocca di tutti: ma non mi importa l’ormai
scontata mancanza di lavoro! Quello che a me interessa è il peso psicologico della
parola “lavoro” e le conseguenze che ha avuto sulla cultura, l’educazione e la società
italiane questo celeberrimo articolo (praticamente un mantra per il popolo).
So che rileggere (sono ottimista) questi articoli può fare ancora più rabbia visto il
panorama in cui ci stiamo muovendo negli ultimi tempi, ma è importante sapere
esattamente a cosa possiamo aspirare (anche se molti, troppi, hanno perso
l’entusiasmo necessario).
Quello che intendo svelare è fondamentale e per quanto possa sembrare capzioso o
superfluo è in realtà la chiave per la libertà individuale di ciascuno.
Il punto centrale del mio ragionamento (e della mia proposta) è che c’è un
profondo sbaglio linguistico nella decisione di usare la parola “lavoro”.
Posso già immaginare i soliti impauriti, poco avvezzi alla riflessione e all’analisi o
fin troppo abituati a saltare frettolosamente alle conclusioni, che reagiscono
prontamente: “ah tu ne fai una questione filosofica…”
“Trovati un lavoro, così potrai farti una famiglia, comprare una casa e vivere
serenamente”.
“Fai carriera, così potrai avere una macchina migliore, una casa più bella e offrire
di più alla tua famiglia”.
“Evita i rischi e potrai concederti qualche lusso ogni tanto”.
E ricorda, come recitano l’articolo 52 e 54 della Costituzione italiana, che
“La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino.”
e l’individuo?
Un brutta faccenda.
L’individuo ha sogni, ambizioni, intuizioni, genialità e pochissimi bisogni.
Insomma, praticamente inutile (per non dire “troppo scomodo”) per la società in
cui viviamo, la tarda società industriale (TSI), meglio nota come società dei consumi
(anche se in realtà sono due cose leggermente diverse).
Fondamentalmente, tutto è nato dal fatto che i progettisti e i produttori della tarda
società industriale sono stati proprio bravi e hanno reso più efficaci e più efficienti i
mezzi di produzione, facendo in modo di avere molti più prodotti a costi molto più
bassi.
Sfortunatamente, i proprietari dei suddetti mezzi di produzione (che solo
occasionalmente coincidono con progettisti e/o produttori) non hanno optato per la
possibilità di estendere queste risorse al mondo intero, ai giovani o agli artisti, ma
hanno deciso di spremere fino in fondo l’occidente, dimora fisica della TSI.
A quel punto è stato necessario convincere le persone che avevano oggettivamente
bisogno di più cose e anche con una certa regolarità: così è nata la società dei
consumi.
E così la TSI è diventata la società dei consumi, cioè la società che consuma
velocemente un oggetto e lo sostituisce con uno nuovo.
Più recentemente, ciò che viene consumato non è l’oggetto in sé ma il bisogno che
si ha dell’oggetto: il marketing è passato dalla volontà di convincerti che hai bisogno
di un oggetto tecnologicamente più avanzato, all’intento di dimostrarti che hai un
nuovo bisogno (emozionale, mentale, psicofisico, ecc.) che prima non avevi e che
quindi hai bisogno di un nuovo acquisto per soddisfare tale bisogno.
Uno scrittore vuole carta e penna e poi una macchina per scrivere (oggi un
computer).
Un pittore vuole un supporto e pigmenti.
Un musicista vuole uno strumento adatto alle proprie esigenze espressive.
Un inventore vuole una necessità e poi un progetto.
Un imprenditore vuole un’idea e un mercato.
Un insegnante vuole un concetto e un pubblico da far crescere.
Un attore vuole un copione.
E così via.
Tutti, ma proprio tutti, vogliono inoltre emozioni da trasformare in parole, forme,
suoni, utensili, oggetti, spettacoli, eccetera.
Chi fa davvero tutto questo è un individuo e non un pezzo di un meccanismo più
grande progettato per consumare.
Altro esempio.
C’è una pubblicità agghiacciante che cito spesso per spiegare un concetto che mi
sta molto a cuore.
Tutta la prima parte della pubblicità in questione è emozionante: si vede un
pianista a un concerto nel momento in cui termina l’esecuzione, con il pubblico in
visibilio; subito dopo la telecamera si avvicina al volto soddisfatto del musicista e con
un effetto hollywoodiano passa dagli occhi alla mente del pianista, iniziando un
viaggio all’indietro nel tempo in cui si vedono tutti i sacrifici che il ragazzo ha dovuto
affrontare (notti insonni a studiare, litigi con la fidanzata gelosa della musica, ore
seduto al pianoforte per affinare la tecnica, …) sempre andando indietro nel tempo,
fino ad arrivare al musicista bambino che per la prima volta schiaccia un tasto del
pianoforte e sorridendo decide a cosa dedicare la propria vita.
Insomma, un climax di emozioni e di entusiasmo e proprio nel momento
emozionalmente più significativo, arriva lo slogan: “nuova xyz, tua a partire da tot, il
prezzo dell’unicità è cambiato!”
Guardiamo la pubblicità al contrario, quindi avanti nel tempo: un bambino è
talmente innamorato della musica che decide di dedicare la sua vita a questo sogno e
affronta con entusiasmo e coraggio il viaggio che conduce al successo.
Naturalmente, tutto questo è impegnativo, rischioso e a volte incomprensibile…
Certo in cambio ti dà l’unicità… Ma siamo proprio sicuri che ne valga la pena? Dai,
lascia stare, rinuncia ai tuoi sogni: oggi puoi sentirti unico condividendo il sogno di
qualcun altro e utilizzando i tuoi soldi (che naturalmente hai guadagnato lavorando)
per sentirti un po’ meglio.
Non importa se domani i sogni torneranno a bussare alla tua porta, ci sarà già
un’altra pubblicità pronta a demolirli.
Pensaci bene: il lavoro, così come lo conosci, serve davvero a te per permetterti di
acquistare ciò che vuoi veramente e che ti serve per esprimerti?
È merito di questi ragazzi se stai leggendo queste pagine ed è per loro che le ho
scritte.
E, in fondo, anche un po’ per gli adulti: per dimostrare che i rischi sono limitati.
I MILIONARI
Il loro senso della felicità funziona benissimo: sanno perfettamente cosa fare per
essere felici e riconoscono all’istante ciò che li rende infelici (non hanno ancora
imparato che a volte occorre tapparsi metaforicamente il naso e recarsi sul posto di
lavoro perché c’è un mutuo da pagare).
Quindi la situazione è piuttosto semplice: da bambini sappiamo perfettamente cosa
ci piace e cosa non ci piace e sappiamo perfettamente cosa vogliamo fare e cosa
vogliamo evitare; l’organizzazione all’interno della quale ci troviamo, però, pretende
che noi facciamo determinate cose, sia che ci piaccia farle sia che non ne abbiamo
voglia.
A quel punto nella testa del bambino sorge un dubbio: “o sbagliano gli adulti o
sbaglio io…” Eh sì, perché se un individuo si ritrova costantemente a volere alcune
cose e a essere costretto a farne altre, si accorgerà presto che c’è qualcosa che non va,
giusto?
Se vogliamo andare al cinema e abbiamo troppo mal di testa, il fatto di essere
costretti a stare a casa non ci piace, ce lo dice anche la pubblicità! E se questo evento
capita troppo spesso chiunque inizia a farsi qualche domanda.
La maggior parte dei bambini, purtroppo, propende per la seconda possibilità e si
convince di sbagliare: il fatto di volere così spesso cose che gli adulti non vogliono o
che ritengono sbagliate o impossibili inizia a essere insostenibile e così il senso della
felicità si incancrenisce e diventa senso di colpa.
Ci sono poi bambini che invece nutrono e mantengono forte e in salute il proprio
senso della felicità e se ne fregano di piacere agli adulti, di soddisfare i bisogni altrui o
di accettare le paure che la TSI ci propina: fanno solo quello che amano veramente e
se ne fregano dei brutti voti o degli insuccessi temporanei, perché sanno cosa vogliono
e credono in se stessi.
Questi bambini, crescendo, hanno il brutto vizio di diventare ricchissimi e molto
spesso famosi.
A questo proposito, l’autobiografia di Keith Richards (per gli sfortunati che non lo
conoscono, è il chitarrista dei Rolling Stones) è il manuale d’istruzioni perfetto.
In qualsiasi ambito, non importa cosa fai o quanta tecnica hai: ciò
che conta è l’intensità con cui vivi l’esperienza e la generosità con cui
la condividi. Le persone non comprano né il meglio né il giusto: le
persone cercano ciò che emoziona e ciò che funziona.
ANCHE TU MILIONARIO/A
Il tentativo di evasione funziona? Per qualcuno sì, per chi ama la vendita, per
esempio.
Ma i ricchi, di solito, seguono una formula ben diversa da quella proposta dai guru
della ricchezza (a proposito, hai mai notato che nessuna persona di successo è mai
stata da un guru della ricchezza prima di diventare famosa?) e naturalmente io ho più
domande che risposte, ma mi sembra che l’atteggiamento di uno come Keith
Richards possa avvicinarsi a qualcosa del genere:
I. fai solo quello che ti piace e fallo con convinzione, se non hai così tanto
coraggio, fallo il più spesso possibile
II. impegnati per dare il meglio di te, non importa se non sempre ci riesci
III. vivi con intensità l’esperienza e condividi il tutto con generosità
IV. relazionati affettuosamente con gli altri
V. fai pace con il tuo passato (ma anche no)
insomma, piacere + intensità + generosità = una vita che ha senso.
I attività
1____________ 2____________ 3____________ 4____________ 5____________
II attività
1____________ 2____________ 3____________ 4____________ 5____________
III attività
1____________ 2____________ 3____________ 4____________ 5____________
IV attività
1____________ 2____________ 3____________ 4____________ 5____________
V attività
1____________ 2____________ 3____________ 4____________ 5____________
Ovvero, l’affamato.
Ho notato che pochissime persone prestano sufficiente attenzione a questo aspetto
fondamentale della fiaba.
Innanzitutto, una precisazione: mi sto riferendo alla fiaba scritta, non alla versione
animata della Disney; nell’originale non ci sono limiti ai desideri e fino a quando uno
è in possesso della lampada può usarla quante volte vuole.
Dunque, parlavamo della fame: Aladino ha fame e quindi la prima cosa che chiede
al Genio è cibo, semplice.
Riceve cibo in abbondanza, così lui e la madre possono saziarsi per alcuni giorni…
Poi il cibo finisce e cosa pensi che faccia Aladino?
Vende i piatti e i vassoi d’argento su cui il Genio gli aveva servito il cibo! Con i soldi
guadagnati compra altro cibo e di nuovo può saziare se stesso e sua madre per alcuni
giorni… Poi il cibo finisce di nuovo e cosa fa a questo punto Aladino? Naturalmente,
rimane affamato per qualche giorno! Perché la sua identità è quella del povero
affamato e non si sente ancora a suo agio con le possibilità del Genio.
Quando la fame torna a essere insopportabile, Aladino si fa coraggio e prova a
sfregare di nuovo la lampada… La sequenza di eventi che ti ho appena descritto si
ripete altre due volte! Aladino è talmente abituato a vedersi come un povero affamato
che non riesce proprio a chiedere altro al genio: è come se una parte della sua
capacità immaginativa fosse bloccata.
Finalmente un’anima generosa svela ad Aladino che il compratore d’argento è
disonesto e che gli spettano molti più soldi.
Non poteva andargli peggio: si crogiola nella gioia di avere tanto denaro e si
dimentica nuovamente della lampada.
Poi un giorno accade qualcosa di meraviglioso: Aladino incontra la principessa.
Per fugare ogni dubbio, la fiaba ci dice subito che la vede mentre si fa il bagno.
L’amore fa il suo ingresso e Aladino scopre di poter chiedere qualsiasi cosa: smette
di vedersi come un povero affamato, si stacca mentalmente dal suo passato e inizia a
credere in qualcosa di più grande.
Proprio questo cambio di prospettiva gli permette di ottenere ciò che prima non
riusciva nemmeno a pensare di poter chiedere: smette di credere a se stesso e inizia a
credere in se stesso.
Smette di identificare la propria identità col passato e inizia a scorgere infinite
possibilità in tutto ciò che lo circonda.
1. volere
2. decidere
3. chiedere
Pensa a tutto quello che ti piacerebbe avere, raggiungere, ottenere, fare o realizzare.
Non preoccuparti se si tratta di cose fattibili oppure no.
Non preoccuparti nemmeno se sono cose che vuoi veramente.
Adesso devi allenare la tua capacità immaginativa: riempi lo spazio bianco
sottostante di tutti i desideri che ti vengono in mente.
Lascia che sia la tua mano a scrivere, non pensarci troppo, impegnati solo a volere.
Hai riempito tutto lo spazio a disposizione?
Hai scritto follie come “avere 13 Ferrari” oppure “fare un viaggio attorno alla terra
su un razzo”?
L’importante è che tu abbia espresso quella parte della psiche che possiamo definire
volontà e che è molto diversa dalla programmazione (nonostante quello che la scuola,
la pubblicità e i consulenti vogliono farti credere).
Adesso devi cancellare tutte le cose che hai scritto e che non ti interessano davvero;
possibili o impossibili che siano, ora divertiti a far fuori quelli che non sono desideri
autentici.
Il secondo passaggio è distinguere ciò che è possibile da ciò che è irrealizzabile; non
voglio però cancellare l’impossibile, sarà sufficiente evidenziare ciò è realizzabile.
A questo punto hai un elenco di cose che vuoi veramente e che sono anche
possibili: scegline tre, quelle che ti emozionano maggiormente.
Permettimi una domanda: se sono cose che vuoi veramente e che sono anche
realizzabili, perché stanno su un foglio e non nella tua vita?
IDENTIKIT DI UN’ALTRA PAROLA
Se rileggi gli articoli della Costituzione italiana citati all’inizio di questo saggio,
soprattuto alla luce di tutto quello che hai letto finora, probabilmente proverai una
certa confusione.
Dopo quello che abbiamo detto sull’autentico significato della parola “lavoro”
questi articoli risultano quantomeno contraddittori; inoltre, non si capisce come sia
possibile che ideali tanto belli abbiano portato le persone a essere sempre più bloccate
invece di seguire l’esempio di Aladino…
Deriva dall’antico provenzale menestier cioè servigio, carica e anche officio, nel senso
di opera.
Da menestier, a sua volta, deriva menestrello.
Il mestiere consiste nel saper fare talmente bene qualcosa che le altre
persone sono interessate a pagarti per farti fare questa cosa.
Questo modo di intendere il mestiere è prevalso per secoli e ancora adesso vediamo
che lo stesso principio si applica all’arte, alla scienza e al cinema: i musicisti, gli
scienziati e i pensatori vanno dove le persone li vogliono ascoltare; gli artisti, gli attori
e i registi vanno dove le persone li vogliono vedere; gli atleti e gli acrobati continuano
a far emozionare come millenni fa.
Se la risposta è sì, allora decidi di farlo sapere al mondo, perché non immagini
nemmeno quanto abbia bisogno di persone come te.
Un ultimo appello personale: invece di cercare un lavoro per quello che ti può dare,
proponi quello che tu hai da offrire!