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Lezione n° 13 del 26/04/2017

Materia: immunologia
Appunti di: Federica Vincenti – revisionati da Becco
Argomenti: Attivazione dei linfociti B e produzione di anticorpi.

Nella lezione precedente sono state trattate le citochine dell’immunità innata: le citochine infiammatorie
primarie, le citochine infiammatorie secondarie e le citochine anti-infiammatorie.

Il docente fa un ripasso di quanto trattato nella penultima lezione.

Nella penultima lezione è stata affrontata l’attivazione dei linfociti T e si è visto nel dettaglio che il solo
riconoscimento dell'antigene non è sufficiente per attivare i linfociti T, ma servono segnali costimolatori. Il
riconoscimento dell'antigene è indispensabile, poiché senza di esso non succede nulla, ed è stato definito
segnale 1. Il segnale 2 si basa sull’interazione di molecole costimolatorie, che sono i bersagli dei nuovi farmaci
antitumorali. CD28 è una delle molecole costimolatorie principali che riconosce B7-1 e B7-2, che sono espresse
dalle APC solo quando le APC sono attivate; questo è un segnale di salvaguardia che impedisce l’attivazione
quando non è necessaria. Il segnale 3 è dato dalle citochine che indirizzano il tipo di polarizzazione dei linfociti
T.

ATTIVAZIONE DEI LINFOCITI B


RECETTORE DEI LINFOCITI B

Il recettore dei linfociti B o BCR (B-cell receptor) è sempre associato in membrana con dimeri che sono
costituiti dalle catene Ig e Ig. Il recettore dei linfociti B, come il recettore dei linfociti T, ha una coda
citoplasmatica così corta che non gli permette di dialogare con gli elementi della trasduzione del segnale; a
questo sopperiscono le catene Ig e Ig che formano il complesso del BCR e che, oltre a stabilizzare il
recettore in membrana, forniscono il mezzo per la trasduzione del segnale. Infatti, Ig e Ig non sono
coinvolte nel riconoscimento dell’antigene, ma sono responsabili della trasduzione del segnale in quanto
possiedono domini ITAM, domini ricchi di tirosine che vengono fosforilate in presenza di elementi di
trasduzione del segnale.

ATTIVAZIONE DEI LINFOCITI B DA PARTE DEGLI ANTIGENI E DI ALTRI STIMOLI

Un linfocita B non necessita della processazione


dell'antigene, in quanto riconosce l’antigene nella sua
forma nativa. Lo stesso microbo possiede molteplici epitopi
che vengono riconosciuti, perciò si ha il legame di più
recettori sulla membrana, il che determina il fenomeno del
cross-linking, ovvero l’avvicinamento dei vari complessi di
trasduzione. Associate ai recettori ci sono tyrosin-chinasi,
appartenenti alla stessa famiglia di Lck (tyrosin-chinasi
associata al TCR), che fosforilano i domini ITAM di Ig e Ig.
I domini ITAM fosforilati rappresentano punti di adesione
di proteine citoplasmatiche che possiedono domini SH2.
Una proteina importante in questa trasduzione è Syk (è
l’equivalente di ZAP-70 nei linfociti T) che possiede due
domini SH2 e si associa ai domini ITAM fosforilati. Syk viene
a sua volta fosforilata dalle stesse chinasi, quali Lyn, Fyn e
Blk (le chinasi della famiglia SRC, ndr). Syk è un enzima, che
quando viene fosforilato si attiva e fosforila un altro enzima
citoplasmatico, che è stato reclutato da intermedi fosforilati.

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La trasduzione del segnale del BCR è molto simile a quella vista per i linfociti T.
Anche per i linfociti B sono necessari segnali costimolatori che potenziano e migliorano la loro attivazione:
1) il primo segnale costimolatorio è dato da un complesso costituito da 3 proteine, di cui la principale è
CR2, che è il recettore di frammenti che opsonizzano il microbo. Un microbo quando penetra
attraverso le barriere epiteliali viene immediatamente riconosciuto dall’immunità, il cui ramo
solubile è rappresentato dal sistema del complemento. Si generano frammenti del complemento che
opsonizzano il microbo. Il linfocita B tramite il BCR riconosce un epitopo specifico, ma
contemporaneamente il microbo opsonizzato può essere riconosciuto da un recettore del
complemento (che fa parte di un complesso che comprende CD19 e CD81) il quale attiva una
trasduzione del segnale che va a potenziare il riconoscimento da parte del BCR, avverrà quindi un
doppio riconoscimento.

2) un altro segnale costimolatorio è attivato dai PRR che riconoscono i PAMP espressi dai microbi. I PRR
sono i recettori della immunità innata, ma l'espressione di questi recettori non è ristretta
all’immunità innata. I PRR infatti sono espressi anche nell'immunità adattativa, anche se in questo
caso non funzionano da recettori per l’antigene, ma potenziano l'attivazione del BCR.

Il linfocita B riconosce l’antigene tramite il BCR e attiva una cascata di trasduzione del segnale, che porta
all’attivazione di fattori trascrizionali; questo comporta l'attivazione del linfocita B resting (naive o della
memoria) che comincia a svolgere alcune attività:
1. aumento dell’espressione delle proteine anti-apoptotiche, come ad esempio le proteine della
famiglia delle BCR, perché anche i linfociti B sono programmati per morire nel giro di qualche mese
se non riconoscono l'antigene per cui sono specifici. Quindi, in seguito al riconoscimento
dell’antigene, si aumenta la sopravvivenza della cellula che ha dimostrato di avere una specificità
utile;
2. espansione clonale: il linfocita B che ha una specificità utile comincia a proliferare;
3. Comincia il processo di attivazione: espressione di citochine, che iniziano ad essere secrete, e di
recettori per queste citochine;
4. aumento dell'espressione in membrana di molecole costimolatorie B7-1 e B7-2 e di molecole MHC
di classe II.

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PRESENTAZIONE DELL’ANTIGENE AI LINFOCITI T HELPER DA PARTE DEI LINFOCITI B

Un linfocita B dopo aver riconosciuto l'antigene, endocita il complesso recettore-antigene che viene poi
dissociato in antigene e recettore. L'antigene viene degradato dagli enzimi lisosomiali che confluiscono nella
vescicola endocitica, e frammenti peptidici di questi antigeni vengono montati su molecole MHC che sono in
corso di sintesi nel linfocita B attivato. Allo stesso tempo vengono espresse in membrana molecole
costimolatorie. Il linfocita B attivato si attrezza per diventare una vera e propria APC, (quindi un macrofago
attivato o una cellula dendritica attivata) cioè una cellula che processa e presenta l’antigene su molecole
MHC di classe II ed esprime molecole costimolatorie. Tutto questo serve per dialogare con i linfociti T.

INTERAZIONI TRA LINFOCITI B e T

Il linfocita B attivato, che ha acquisito le funzioni di una cellula che presenta


l’antigene, può presentare quest’ultimo al linfocita T: avviene lo stesso
dialogo che deriva dall’interazione tra cellula dendritica, un macrofago e
linfocita T. Questa interazione prevede il riconoscimento specifico
dell’antigene da parte del linfocita T, che si attiva: esprime CD40L (CD40
ligando) e inizia a produrre citochine. Il CD40L riconosce il CD40 espresso dai
linfociti B.
Il linfocita B che si attiva comincia a riconoscere le citochine prodotte dal
linfocita T, poiché esprime i recettori per tali citochine; questo segnale inviato
dal linfocita T permette al linfocita B di proliferare e produrre anticorpi.

RUOLO DELL’INTERAZIONE CD40L:CD40 NELL’ATTIVAZIONE DEI LINFOCITI B

Se si bloccasse l’interazione CD40L:CD40, utilizzando per esempio un


anticorpo che maschera CD40 (impedendogli di interagire con il suo ligando),
non si avrebbe la risposta messa in atto dai linfociti B. Un difetto di CD40 o
CD40L è associato ad una immunodeficienza, in quanto questa interazione è
essenziale per l’attivazione dei linfociti B. I virus, che nella loro lunga esistenza
hanno imparato a utilizzare e appropriarsi di ciò che è più importante per la
loro sopravvivenza, sono una dimostrazione dell’importanza del ruolo
dell’interazione CD40L:CD40 nell’attivazione dei linfociti B. Il virus di Epstein
Barr (associato all’immortalizzazione delle cellule B e quindi allo sviluppo di
linfomi) produce, nelle cellule che andrà ad infettare, una proteina LMP1 che
attiva TRAF, che è un elemento della trasduzione del segnale che attiva i recettori della famiglia del TNF,
compreso quindi CD40. Il virus attiva la via di CD40 inducendo così il linfocita B infettato a proliferare in
continuazione, in quanto quello è l'habitat ideale per la sua sopravvivenza.

ATTIVAZIONE DEI LINFOCITI B e T NEL LINFONODO

Il dialogo tra linfociti T e linfociti B è cruciale per l’attivazione di questi ultimi. Tuttavia, nel linfonodo esiste
una netta distinzione tra:
- area follicolare, in cui sono racchiusi i linfociti B; questo è possibile perché le cellule follicolari
producono la chemochina CXCL13, per la quale i linfociti B esprimono il recettore CXCR5;
- area paracorticale, in cui sono segregati i linfociti T; questo è possibile perché in quest’area sono
prodotte le chemochine CCL19 e CCL21, per le quali i linfociti T esprimono il recettore CCR7.
Pertanto, nel linfonodo le due popolazioni che dialogano tra loro sono segregate in compartimenti diversi.
Come è possibile che il dialogo avvenga tra popolazioni fisicamente separate? È stato osservato che, durante
una risposta dei linfociti B, le regole di segregazione nei follicoli e nella regione paracorticale non vengono
più rispettate. Il linfocita T che dialoga con i linfociti B è innanzitutto un linfocita T che è stato attivato e non
un linfocita T naive.

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Infatti, la differenza funzionale tra cellule APC professioniste, ovvero le cellule dendritiche, e cellule APC non
professioniste (es. macrofagi) è che le prime possono interagire con linfociti T naive, mentre le seconde
possono dialogare solo con linfociti T che sono già stati attivati. Le cellule dendritiche che legano l’antigene
si localizzano nell’area paracorticale del linfonodo. L’antigene viene presentato ai linfociti T naive, anch’essi
presenti nella zona paracorticale, che si attivano. Allo stesso tempo, i linfociti B riconoscono l'antigene
all'interno del follicolo e si attivano. Durante il processo di attivazione dei linfociti, sia i linfociti T che i linfociti
B cambiano il loro stato funzionale:
- il linfocita T che si attiva smette di esprimere CCR7, recettore che lo localizza a livello paracorticale,
e inizia a esprimere CXCR5, recettore normalmente espresso dai linfociti B, che lo localizza all’interno
del centro germinativo. Il linfocita T che esprime CXCR5 migra verso il follicolo; è un linfocita T
particolare, che è stato attivato, che esprime molecole anti-apoptotiche e che esprime anche la
molecola costimolatoria ICOS, che fa parte della famiglia di CD28.
- Il linfocita B che si attiva smette di esprimere CXCR5, recettore che lo tiene segregato nel follicolo e
inizia a esprimere CCR7, che gli permette di migrare a livello paracorticale.
Il linfocita B attivato esprime ICOSL (ICOS ligando).

COME AVVIENE IL DIALOGO TRA LINFOCITI B e T NEL LINFONODO?

I linfociti T e B attivati dall’antigene colocalizzano al confine tra follicolo e regione paracorticale; il linfocita B
attivato esprime ICOSL che interagisce con ICOS, espressa dal linfocita T. Il linfocita T attivato si specializza a
dialogare con i linfociti B in seguito alla interazione ICOSL:ICOS; questo linfocita T diventa un linfocita T
follicolare che migra nel follicolo per andare a svolgere la sua funzione. Il linfocita B comincia ad attivarsi,
andando incontro a un’espansione clonale che forma foci extrafollicolari, nella regione paracorticale. Le
cellule che costituiscono i foci sono plasmacellule a breve sopravvivenza (qualche settimana) che producono
anticorpi IgM. Solo poche delle cellule che hanno iniziato a proliferare nella regione paracorticale ritornano
a livello follicolare, dove continuano a proliferare; questo evento scatena una estrema espansione clonale,
dovuta al dialogo con i linfociti T follicolari che sono entrati nel follicolo, detta reazione del centro
germinativo.

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Se si osserva una sezione del linfonodo di un animale prima dell’immunizzazione, si nota la presenza di
linfociti T, colorati in blu, e linfociti B, in marrone. Dando l'antigene, dopo 1 giorno, c'è l'aumento del marrone,
perché i linfociti B riconoscono l’antigene e vanno incontro ad espansione clonale. Dopo qualche giorno le
aree blu e quelle marroni non sono più distinte, ma cellule blu e marroni sono mescolate nella regione attorno
al follicolo, perché i linfociti B fuoriescono dal follicolo e si portano nella paracorticale e viceversa i linfociti T
follicolari entrano nel follicolo.

SCAMBIO DI CLASSE (ISOTIPICO)

Nel linfocita B che si attiva all’interno del follicolo inizia una espansione clonale e inizia anche la produzione
di anticorpi; questi anticorpi sono IgM perché un linfocita B naive esprime sulla propria superficie IgM e IgD,
ma solo le prime vengono secrete. In seguito al dialogo con il linfocita T, il linfocita B cambia e impara ad
esprimere altre classi anticorpali (IgG, IgE, IgA), questo fenomeno si chiama scambio isotipico o switch
isotopico. Questo accade perché i linfociti T, nella fase di costimolazione, producono citochine che
istruiscono il linfocita B nella produzione di una classe anticorpale piuttosto che di un'altra.
A seconda della citochina che viene prodotta dal linfocita T avremo:
1. se il linfocita T produce IL-4, il linfocita B impara a produrre IgE;
2. se il linfocita T produce IFN-, il linfocita B impara a produrre IgG;
3. se il linfocita T produce IL-5, il linfocita B impara a produrre IgA.
È importante che i linfociti B vengano istruiti a produrre anticorpi appartenenti a una classe piuttosto che ad
un’altra, perché anticorpi di classi diverse svolgono funzioni effettrici differenti:
1. le IgE sono anticorpi importanti per l'eliminazione di parassiti di grandi dimensioni e sono
responsabili dell’allergia;
2. le IgG sono per definizione anticorpi opsonizzanti;
3. le IgA sono importanti per le difese messe in atto a livello delle barriere mucosali.

Il dialogo con i linfociti T indirizza i linfociti B a produrre la classe anticorpale che meglio si adatta a combattere
il tipo di microbo che è penetrato nell’organismo. Lo switch isotipico a IgA è l’unico che può avvenire senza
dialogo con il linfocita T, perché anche altre cellule, come le cellule dendritiche o i macrofagi attivati,
producono le citochine necessarie per istruire il linfocita B a produrre IgA. Queste citochine sono
essenzialmente BAFF (B-cell activating factor) e APRIL.

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A seconda di come è stato polarizzato il linfocita T, che è stato attivato dalle cellule dendritiche, abbiamo la
produzione di determinate citochine piuttosto che di altre, e di conseguenza questo istruisce i linfociti B a
produrre anticorpi appartenenti ad una classe piuttosto che ad un’altra. Il linfocita T, a sua volta, produce
citochine diverse a seconda delle citochine che sono state prodotte dalla cellula dendritica, con cui
interagisce, durante il processo di attivazione.
- La produzione di IL-12 da parte della cellula dendritica, in un ambiente in cui è presente IFN, polarizza
il linfocita T in senso Th1. Un linfocita Th1 produce IFN- e induce una super attivazione dei
macrofagi, aumentando la loro capacità microbicida, ma induce anche la produzione di anticorpi
opsonizzanti, che favoriscono la fagocitosi. Quindi, il linfocita Th1 favorisce la fagocitosi sia inducendo
i linfociti B a produrre anticorpi opsonizzanti, sia inducendo i macrofagi a produrre enzimi citolitici
che distruggono l’agente patogeno.
- Se il linfocita T naive è stato attivato in un ambiente ricco di IL-4, che ha portato all’up-regolazione
del fattore trascrizionale GATA-3, allora è diventato linfocita Th2 che produce IL-4, IL-5 e IL-13, le
quali attivano mastociti, eosinofili e linfociti B e attivano la produzione di IgE. Queste ultime sono
riconosciute da mastociti ed eosinofili, che producono il recettore per IgE ad alta affinità.
Pertanto, il linfocita Th1 è importante per combattere patogeni intracellulari, che hanno infettato la cellula
e sono stati fagocitati da essa, mentre il linfocita Th2 è importante per combattere parassiti extracellulari di
grandi dimensioni.


Il linfocita B naive, che produce IgM in membrana, che usa come recettori, impara poi a rilasciare le IgM
solubili; questo avviene tramite un cambiamento del sito di poliadenilazione del gene che è stato riarrangiato
durante la mutazione somatica, avvenuta con la maturazione del linfocita B. Si
ha un gene riarrangiato che è in coda a tutte le cassette che codificano per le regioni costanti. Inizialmente
viene trascritta la regione  di IgM e, a seconda che l’inizio della trascrizione del gene avvenga includendo o
escludendo la sequenza della coda citoplasmatica della regione transmembrana, la proteina rispettivamente
rimarrà ancorata sulla membrana o verrà secreta come proteina solubile.

COME AVVIENE LO SWITCH ISOTIPICO? (Il docente sottolinea


che non entrerà nel dettaglio dei meccanismi molecolari del
fenomeno e che chi lo desidera può approfondire l’argomento
autonomamente).

È un meccanismo complesso; si tratta di un secondo


riarrangiamento che avviene a livello del DNA. Questo
riarrangiamento non coinvolge la regione VDJ riarrangiata,
perché la specificità dell’anticorpo è quella e rimane tale. Il
riarrangiamento in questo caso riguarda la coda che contiene le
varie cassette; regioni distanti di cassette codificano regioni
costanti e vengono avvicinate a formare un loop che viene poi
tagliato. L’eliminazione di una sequenza di DNA porta ad
avvicinare regioni distanti. Le sequenze vicine che rimangono
sono quelle che vengono poi trascritte: se sono quelle che
codificano per catene costanti  si formano delle IgE.


Durante l’attivazione del linfocita B può cambiare la classe


anticorpale in questo modo, ma non cambia la specificità
dell'anticorpo. L'anticorpo, che esce dal midollo e che matura
nel fegato e nella milza, acquisisce una specificità che rimane
tale per tutta la vita, quello che può cambiare è la classe
mediante switch isotipico.
La cellula B attivata possiede un nuovo recettore sulla membrana, che ha la stessa specificità per l'antigene
ma la classe è diversa a seconda dell'isotipo che ha imparato a fare. Se un linfocita B impara a produrre IgG
produrrà IgG per il resto della sua vita.


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A seguito del dialogo con il linfocita T, il linfocita B non solo va incontro al fenomeno di switching isotipico,
con cui impara a produrre anticorpi di una determinata classe, ma anche produce una quantità maggiore di
anticorpi e genera cellule della memoria (prodotte solo in seguito al dialogo con il linfocita T!), destinate a
sopravvivere per un lungo periodo. Inoltre, sempre a seguito di questo dialogo, avviene una maturazione
dell’affinità di legame del linfocita B.

IMMUNODEFICIENZE DA DEFICIT DI ATTIVAZIONE Ly T e B

Se non ci fosse il dialogo con il linfocita T, ci sarebbero tutta una serie di immunodeficienze associate a geni
che codificano per molecole che sono cruciali in questa fase di attivazione:
1. soggetti che mancano di CD40 o di CD40L (mutazione identificata a Brescia dal professor
Notarangelo): in assenza di CD40 o di CD40L non avviene in maniera efficiente il dialogo T-B e quindi
non avviene lo scambio isotipico. I soggetti che hanno questa mutazione sono affetti dalla sindrome
iper-IgM, producono solo anticorpi della classe IgM perché non riescono a fare switch isotipico;
2. soggetti con mutazioni a carico di ICOS (molecola costimolatoria importante per generare linfociti T
follicolari) sono affetti da una patologia caratterizzata da un difetto di produzione di anticorpi,
definita immunodeficienza comune variabile, che può avere cause diverse.

Siccome stiamo parlando di un dialogo tra linfociti T e B, anche i difetti di geni che non permettono una
maturazione corretta dei linfociti T si ripercuotono in un difetto di produzione anticorpale da parte dei
linfociti B. Un esempio di difetto che riguarda esclusivamente i linfociti T, ma si ripercuote anche sui linfociti
B in un difetto di produzione anticorpale, è la sindrome X-SCID.

CENTRO GERMINATIVO DI REAZIONE


I linfociti B e T si trovano all'interfaccia tra follicolo e regione extrafollicolare e iniziando a dialogare formano
le prime foci extrafollicolari, che sono importanti per le risposte anticorpali più precoci. Poche, singole cellule
dei foci ritornano nel follicolo dove vanno incontro ad una espansione clonale significativa (dovuta al dialogo
con il linfocita T follicolare) che dà luogo alla reazione del centro germinativo. Questa reazione crea una
regione estremamente popolata di cellule che stanno proliferando, che per questo motivo assume una
colorazione scura e viene definita zona scura del follicolo. Le cellule migrano poi fuori dalla regione di
proliferazione, nella zona chiara, dove si trovano le cellule follicolari dendritiche (FDC, dendritiche perché
hanno una forma a dendriti). Le cellule follicolari dendritiche non c'entrano nulla con le cellule dendritiche
che presentano l'antigene, infatti: non sono di origine ematopoietica, ma probabilmente sono di origine
epiteliale; non esprimono complessi MHC sulla loro superficie; non catturano, non inglobano e non
processano antigeni, ma li appiccicano sulla loro superficie che esprime numerosi recettori. Tutti gli antigeni
che sono stati opsonizzati si appiccicano ai numerosi recettori espressi da queste cellule, tra cui abbiamo
recettori Fc e recettori di frammenti del complemento, come il recettore CR2. Le cellule dendritiche
follicolari rappresentano quindi un campionario di tutti gli antigeni che sono presenti nel follicolo.

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MATURAZIONE DELL’AFFINITA’ ANTICORPALE

L’espansione clonale che avviene a livello follicolare ha un significato funzionale. Durante questa espansione
clonale estremamente intensa (nel giro di una settimana una cellula produce diverse migliaia di cellule con
la stessa specificità anticorpale) vengono compiuti tanti errori, migliaia di volte più frequenti di quelli
introdotti in una cellula normale; si introducono così tutta una serie di mutazioni puntiformi nelle sequenze
che codificano per il BCR. Queste mutazioni avvengono preferenzialmente nelle regioni CDR1, CDR2 e CDR3,
regioni deputate al riconoscimento dell’antigene. Le cellule che seguono a questa proliferazione caotica
derivano tutte da una cellula e in teoria hanno tutte la stessa specificità, ma gli errori possono modificare
questa specificità, che potrà risultare in una maggiore o minore affinità per l’antigene, o in una perdita della
capacità di riconoscere l’antigene. Il processo che avviene nella regione chiara, dopo che è stata introdotta
la mutazione, ha il compito di selezionare le cellule che hanno la maggiore affinità per l’antigene presente
sulla superficie delle cellule follicolari.

FASI DELLA RISPOSTA IMMUNITARIA UMORALE

I linfociti T follicolari producono alte quantità di IL-21 che promuove l’apoptosi del linfocita B, quindi le cellule
che stanno proliferando sono immerse in un ambiente pro-apoptotico che tende a farle morire. Il
riconoscimento dell’antigene e l’attivazione del BCR invia segnali di attivazione alla cellula, i quali ne evitano
la morte in questo ambiente pro-apoptotico. Quindi le cellule che hanno migliorato la loro affinità per
l'antigene ricevono segnali di sopravvivenza, quelle che l’hanno peggiorata non li ricevono e vengono
eliminate tramite apoptosi. Se si fa una immunoistochimica nel momento in cui avviene la reazione del centro
germinativo, si osserva che c'è una grande quantità di cellule che muore per apoptosi all'interno del
linfonodo. Le cellule che sopravvivono sono poche e sono quelle con la massima affinità antigenica; questo
processo è definito maturazione dell’affinità anticorpale. Le cellule che sopravvivono escono dal linfonodo
e rimangono per un breve periodo circolo, per poi annidarsi nel midollo dove continuano a produrre
anticorpi. Una parte di queste cellule va a costituire il pool di cellule della memoria, che sopravvivono per
decine di anni o anche per tutta la vita.
Il docente sottolinea nuovamente il seguente concetto: il dialogo linfocita T-B non solo determina la classe
anticorpale che viene prodotta e incrementa la quantità di anticorpi prodotta, ma anche è responsabile della
maturazione dell’affinità e della generazione di un pool di cellule della memoria, che hanno una capacità di
riconoscimento superiore di quella della cellula che aveva inizialmente riconosciuto l’antigene.


Visione di un video: viene mostrato un linfonodo che ha un vaso linfatico afferente e un vaso linfatico
efferente. Il vaso ematico sfocia nel linfonodo mediante le HEV. Tramite il vaso linfatico afferente arrivano nel
linfonodo le cellule dendritiche caricate con l'antigene. I linfociti B e T arrivano nel linfonodo mediante le HEV.
Il linfocita T si localizza nella regione paracorticale, dove sono presenti anche le cellule dendritiche caricate
con l’antigene, il linfocita B si localizza invece nel follicolo perché risponde a chemochine diverse. Se i linfociti
T e B non trovano l'antigene escono dal linfonodo tramite il vaso linfatico efferente e vanno a cercarlo in altri
linfonodi.
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Se a livello linfonodale arrivano antigeni liberi e cellule dendritiche, caricate con l’antigene specifico, i primi
vengono catturati dal linfocita B che è all’interno del follicolo. Gli antigeni liberi vengono anche catturati dalle
cellule dendritiche residenti, che possono presentarli insieme a quelle che sono entrate dall’esterno del
linfonodo. I linfociti T e B si attivano. Il dialogo tra linfociti T e B genera immediatamente una progenie, ma è
limitato nel tempo. I linfociti B proliferano, generano anticorpi e fuoriescono per andare a insediarsi nel
midollo.
Il docente sottolinea che il dialogo tra linfociti T e B è un evento cruciale per la risposta anticorpale e che,
nonostante sia limitato nel tempo, introduce dei cambiamenti notevoli poiché i linfociti T follicolari risultano
già pronti per una eventuale risposta secondaria e i linfociti B continuano poi a produrre anticorpi.

L'EFFETTO APTENE-CARRIER NELLA COLLABORAZIONE T-B


È sulla base del fenomeno definito aptene-carrier, emerso solo un decennio fa, che si sono sviluppati vaccini
coniugati, che contengono dei carboidrati, cioè gli epitopi riconosciuti dai linfociti B, legati a delle proteine,
ovvero gli epitopi riconosciuti dai linfociti T. Il linfocita B riconosce l'antigene nella sua forma originaria, senza
che esso venga processato; riconosce ciò che il microbo presenta sulla sua superficie. Il linfocita T invece
riconosce solo frammenti peptidici collocati su molecole MHC di classe I o II. Inoltre, il linfocita T riconosce
solo antigeni di natura proteica, mentre il linfocita B riconosce antigeni di qualsiasi natura. Quindi, il dialogo
tra linfocita T e B non coinvolge necessariamente lo stesso antigene. Il linfocita B tramite il BCR può
riconoscere antigeni che non sono proteine, ma che possono essere glicoproteine, polisaccaridi o lipidi.
Quando il linfocita B internalizza il complesso recettore-antigene, l'antigene viene degradato. Dalla
componente proteica, che non è l’antigene che è stato riconosciuto dal BCR, si ricavano peptidi che vengono
montati su molecole MHC di classe II e che vengono presentati al linfocita T. Ne consegue che l’antigene che
viene presentato al linfocita T è molto spesso diverso da quello riconosciuto originariamente dal BCR; i due
linfociti cooperanti riconoscono epitopi differenti dello stesso complesso. Il linfocita T però deve essere
stato precedentemente attivato tramite la presentazione dell’antigene da parte della cellula dendritica; il
peptide presentato al linfocita T dalle cellule dendritica deve essere lo stesso di quello presentatogli dal
linfocita B, ma che non è necessariamente lo stesso che viene riconosciuto dal linfocita B. Questo ha
permesso dal punto di vista terapeutico di creare i vaccini coniugati: il linfocita B riconosce una sequenza
zuccherina, che invece non potrebbe mai essere riconosciuta dal linfocita T, e perciò viene legata a proteine
carrier, per poter immunizzare un soggetto. Il linfocita B riconosce la sequenza zuccherina e va incontro ad
espansione clonale. Il linfocita T si attiva mediante il riconoscimento di peptidi che derivano dal carrier, e a
sua volta va ad attivare il linfocita B; si parla a questo proposito di effetto aptene-carrier. Aptene: sequenza
riconosciuta solo dal linfocita B che genera una risposta immunitaria estremamente limitata, ma se viene
coniugata ad una proteina carrier, si genera una risposta anche da parte del linfocita T. Questo stratagemma
è usato per esempio per i vaccini attualmente in commercio che riguardano strutture zuccherine di
pneumococchi, che altrimenti non riuscirebbero ad indurre una risposta anticorpale persistente.

TERMINAZIONE DELLA RISPOSTA ANTICORPALE


1. Un primo modo per far terminare la risposta anticorpale è far venir meno il segnale di sopravvivenza
dato dall'antigene riconosciuto; si porta così a morte il linfocita B. Questo meccanismo però non è
valido per le cellule della memoria che seguono altre regole.
2. Esistono anche meccanismi attivi che portano allo spegnimento della risposta anticorpale: uno di
questi è mediato dal recettore FcRIIb, che è un recettore per i frammenti Fc (frammenti
cristallizzabili) di tipo IIb, che non attiva la risposta immunitaria anticorpale, ma la spegne. Questo
accade perché FcRIIb è diverso nella regione citoplasmatica e recluta fosfatasi che defosforilano gli
elementi della trasduzione, tendendo così a spegnere la risposta generata dal BCR.
3. Nelle fasi avanzate della risposta anticorpale, quando c’è un elevato titolo anticorpale in circolo
perché le cellule producono anticorpi da giorni, si formano anche gli immunocomplessi, che possono
essere riconosciuti contemporaneamente da BCR, che riconosce la componente antigenica, e da
FcRIIb, che riconosce la componente anticorpale: questo doppio riconoscimento induce un segnale
negativo che va a disattivare il riconoscimento da parte di BCR, impedendo l'attivazione del linfocita
B.

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Si tratta di un importante meccanismo di regolazione a feedback negativo; se infatti si fa knock-out
di FcRIIb la risposta anticorpale non è regolata correttamente e tende a generare malattie
autoimmuni.

RISPOSTA ANTICORPALE

I linfociti B sono attivati da:



- Ag (antigeni) T dipendenti antigeni di natura proteica.

- Ag (antigeni) T indipendenti  polisaccaridi e glicolipidi.


Il dialogo T-B, salvo il caso aptene-carrier, può avvenire solo se ci troviamo di fronte ad un antigene di natura
proteica. La risposta anticorpale può essere di due tipi: risposta ad antigeni T dipendenti e risposta ad
antigeni T indipendenti, cioè ad antigeni che non possono essere riconosciuti dai linfociti T. Se l’antigene è
puramente di natura lipidica, non si hanno la maturazione dell’affinità e la generazione di cellule della
memoria; da qui deriva la difficoltà nella creazione di vaccini verso microbi che non presentano componenti
proteiche in superficie. Una risposta ad Ag T dipendenti è diversa da quella ad Ag T indipendenti, quest’ultima
infatti è una risposta che si basa su IgM e che non genera cellule della memoria. Ci sono tuttavia anche
risposte ad Ag T indipendenti che producono cellule della memoria, è questo il caso di antigeni grossi che
hanno lo stesso epitopo ripetuto più volte (esempio: zucchero che presenta le stesse basi ripetute per tutta
la sua lunghezza), poiché questo sulla superficie della stessa cellula riesce ad ingaggiare tanti BCR, che si
attivano contemporaneamente. Mediante l’attivazione simultanea di più BCR, si riesce a portare la cellula a
quello stato di attivazione a cui arriva normalmente solo se c'è dialogo con i linfociti T.

RISPOSTA IMMUNITARIA UMORALE PRIMARIA E SECONDARIA


La risposta che viene messa in atto quando si incontra l’antigene per la prima volta è diversa da quella
scaturita da un successivo incontro con il medesimo antigene.

La prima volta che si incontra l'antigene si genera una risposta primaria, la quale è caratterizzata da:
1. lentezza (ci vogliono 7-10 gg per raggiungere il massimo della produzione anticorpale);
2. classe anticorpale prevalentemente costituita da IgM (nelle fasi più avanzate possono subentrare
anche IgG);
3. generazione di cellule della memoria;
4. titolo anticorpale in circolo superiore rispetto al precedente al termine della risposta, che ci dà un
tono di protezione anticorpale costante.

La risposta secondaria è caratterizzata da:


1. maggiore rapidità (il picco della produzione anticorpale è raggiunto in 3-5 gg);
2. livelli di anticorpi superiori a quelli generati dalla risposta primaria, che saranno IgA, IgG, IgE e
difficilmente saranno IgM, in quanto derivano da plasmacellule che hanno già imparato a fare
switching isotipico;
3. intervento di cellule che hanno una affinità maggiore per l'antigene perché sono già andate incontro
alla maturazione dell’affinità;
4. livello anticorpale di base che si mantiene più elevato di quello precedente al termine della risposta.

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La classe e la quantità di anticorpi ci permettono di determinare se è la prima volta che l’organismo sta
rispondendo all’antigene o se è già venuto a contatto con esso. Se la risposta è IgM si tratta della prima volta
che si entra a contatto con l’antigene. Una risposta IgG invece può essere una risposta secondaria o può
definire una produzione di cellule della memoria; si osserva quanto è alto il titolo anticorpale, titoli fino ad
un certo livello stabilito sono indicativi della produzione di cellule della memoria, mentre oltre un certo livello
si tratta di una risposta secondaria.


Riassumendo: la risposta secondaria è più efficace, veloce e persistente, è dotata di classi anticorpali diverse
da IgM e bastano concentrazioni di antigene inferiori per generare la risposta. Questo vale solo per antigeni
proteici, perché antigeni non proteici non generano una risposta secondaria.

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