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12 - Campi elettrici e magnetici

Capitolo 1

Introduzione al calcolo vettoriale

1.1 Introduzione

1.2 Grandezze scalari e grandezze vettoriali

1.3 Operazioni sui vettori

1.4 Sistemi di riferimento

1.5 Campi vettoriali

1.6 Definizione di flusso

1.7 Campi conservativi per il flusso

1.8 Definizione di circuitazione

1.9 Campi conservativi per la circuitazione

1.10 Teorema di Helmholtz

Appendice: i vettori e le leggi fisiche

Sommario

In questo capitolo, dopo aver richiamato la fondamentale nozione di


vettore e le principali operazioni tra i vettori, definiremo due nuovi
operatori: il flusso attraverso una superficie e la circuitazione lungo una
curva. Questi operatori consentono di scrivere in una forma compatta ed
elegante le equazioni di Maxwell.
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1.1 Introduzione

La nozione di vettore è collegata, sin dai primi studi di Fisica, allo spostamento tra
due punti. Quando, ad esempio, una nave, che effettui servizio di linea tra due
località, debba andare dal punto A fino al punto B, essa compie uno spostamento,
definito dal valore della distanza AB, dalla direzione della retta passante per i
punti A e B e dal verso che va da A verso B.

A B
s

Figura 1.1: spostamento tra due punti.

Questi tre attributi di un qualsiasi spostamento (distanza, direzione e verso) sono


completamente determinati se si rappresenta uno spostamento per mezzo di un
segmento orientato, cioè per mezzo di una freccia, la cui lunghezza, una volta
fissata una scala convenzionale, rappresenti il valore della distanza AB, la cui
direzione ed il cui verso siano, rispettivamente, la direzione ed il verso dello
spostamento. Questa freccia, che rappresenta lo spostamento AB, suggerisce l’idea
di segmento orientato applicato nel punto A: dato che il simbolo ‘s’ indica soltanto
il valore dello spostamento, cioè la distanza di cui il corpo si è spostato, è evidente
che è utile introdurre un nuovo simbolo per indicare uno spostamento completo
dei suoi tre attributi, cioè del valore, della direzione e del verso.

s
r
A B

s oppure s

Figura 1.2: un vettore con i simboli che lo riguardano.

Questi segmenti orientati, in Fisica, vengono chiamati vettori (il termine vettore
deriva dal latino e significa ‘trasportatore’, suggerendo perciò uno spostamento) e,
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nelle formule, essi vengono frequentemente indicati con una lettera sormontata da
una piccola freccia; in altri testi, i vettori vengono indicati con una lettera in
neretto, come ad esempio s. Pertanto, s rappresenta il segmento orientato e ‘s’ il
suo valore numerico, detto anche modulo. L’intensità o modulo viene anche
indicato per mezzo del simbolo s . Il punto A si chiama origine o punto di
applicazione del vettore; il punto B viene chiamato estremo libero; la retta (r),
lungo la quale giace il vettore, viene detta retta di azione. La freccia, infine, indica
il verso del vettore.
Oltre allo spostamento, molte altre grandezze fisiche sono rappresentate per
mezzo di vettori: le velocità, le accelerazioni, le forze ed altre ancora. Per
specificare completamente una forza, infatti, non basta dire se questa è più o meno
intensa; bisogna dire anche in quale direzione agisce ed assegnarne il verso, cioè se
spinge o tira.

F F


Figura 1.3: natura vettoriale delle forze.

Torneremo nei prossimi paragrafi sui vettori e sulle più comuni operazioni usate
per comporli. Qui ci basti concludere dicendo che spesso si desidera assegnare
soltanto la lunghezza, la direzione ed il verso di uno spostamento, senza indicare
quale sia stato il punto di partenza o quello di arrivo.
Dicendo, ad esempio, «mi sono spostato di 1 km verso nord», questo spostamento
può essere rappresentato da uno qualsiasi degli infiniti segmenti orientati che si
possono disegnare dovunque, tutti paralleli, dello stesso verso e della stessa
lunghezza (s = 1 km). Possiamo indifferentemente usare l’uno o l’altro di questi
vettori, applicati in punti qualsiasi. Più precisamente diremo che due vettori sono
uguali se, rappresentando grandezze fisiche omogenee (due velocità, due forze,
due spostamenti, ...), hanno lo stesso modulo, la stessa direzione e lo stesso verso
(si dice anche versi concordi). Direzioni parallele sono, pertanto, considerate
un’unica direzione. I vettori s1, s2 e s3 di Figura 1.4 sono uguali e scriveremo
semplicemente
15 - Campi elettrici e magnetici

s1 = s2 = s3 ,

adoperando lo stesso simbolo che si usa per l’uguaglianza tra numeri.

s1

s2 s3

Figura 1.4: tre vettori uguali.

Due (o più) vettori sono diversi se differiscono in una delle loro caratteristiche:
possono differire nel modulo, nella direzione e nel verso. In Figura 1.5 abbiamo
riportato le tre situazioni citate.

a2 b1 c1
b2
a1

c2

Moduli Direzioni Versi


differenti differenti differenti

Figura 1.5: vettori diversi.

Dati due vettori, possiamo, dunque, stabilire se essi sono uguali oppure diversi. In
questo secondo caso, tuttavia, non ha alcun significato dire che un vettore è, ad
esempio, maggiore di un altro: non esiste alcun criterio di ordinamento dei vettori
per il quale un vettore è maggiore (oppure minore) di un altro. Possiamo, tutt’al
più, affermare che il modulo di un vettore è maggiore di quello di un altro
vettore: i moduli sono numeri (positivi, al più nulli), non segmenti orientati, e per
essi esiste, dunque, un ordinamento.

1.2 Grandezze scalari e grandezze vettoriali


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Chiameremo grandezze scalari (o, più semplicemente, scalari) quelle grandezze


fisiche, come la temperatura oppure il tempo, che risultano completamente
descritte da un numero (reale), che ne individua il valore. Per definire
univocamente una grandezza scalare è pertanto necessario indicare un valore
numerico accompagnato dalla relativa unità di misura: ad esempio, la durata di un
certo fenomeno è di 5 s, la massa di un determinato oggetto è 3 kg, la temperatura
della stanza in cui lavoro è 20 °C.
Sono dette grandezze vettoriali (o più semplicemente vettori) quelle grandezze
fisiche che per essere definite completamente necessitano, oltre che di un’intensità,
anche di una direzione e di un verso. Le grandezze vettoriali sono determinate da
segmenti orientati, identificati per mezzo di una freccia: il modulo è identificato
dalla lunghezza del segmento, la direzione è data dalla retta sulla quale esso giace,
il verso è indicato dalla punta della freccia.

1.3 Operazioni sui vettori

Studiamo ora alcune importanti regole che ci consentono di eseguire le principali


operazioni con i vettori, regole delle quali faremo uso frequente.

• Somma
La somma di due o più vettori è quel vettore che si ottiene riportando i vettori
uno di seguito all’altro (con la regola di far coincidere un punto di applicazione
con un estremo libero) e congiungendo, poi, il punto di applicazione del primo
con l’estremo libero dell’ultimo. Un esempio di somma (o composizione) di tre
vettori è mostrato in Figura 1.6.

R
b R=a +b+c

Figura 1.6: composizione di due o più vettori.

Nel fare questa operazione, possiamo liberamente trasportare un vettore


parallelamente a se stesso, senza alterarne quindi il modulo, la direzione ed il
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verso. Il vettore somma viene detto vettore risultante o, più semplicemente,


risultante.
In modo perfettamente equivalente, la somma si può ottenere secondo la cosiddetta
regola del parallelogramma, valida per due vettori e mostrata in Figura 1.7.

b
R
R=a +b

a
Figura 1.7: regola del parallelogramma.

La somma di due vettori si ottiene riportando i vettori ad un’origine comune,


considerando questi come i due lati di un parallelogramma e costruendo, infine, la
diagonale del parallelogramma in tal modo ottenuto. Una volta che abbiamo
imparato a sommare due vettori, possiamo sommare un numero qualsiasi di
vettori: dovendo, ad esempio, sommare cinque vettori, facciamo la somma dei
primi due; il vettore risultante lo sommiamo, poi, al terzo, ottenendo una nuova
risultante che aggiungiamo al quarto e così via.
Se i due vettori sono uguali ed opposti, la loro risultante coincide con il vettore
nullo 0. Quest’ultimo è un vettore di modulo nullo, che si riduce ad un punto, e
non ha senso chiedersi quale sia la direzione e quale il verso.

a+b=0

Figura 1.8: somma di due vettori uguali ed opposti.

Possiamo fare la somma come vogliamo poiché essa gode della proprietà
commutativa

a+b = b+a,
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e della proprietà associativa

a+b + c = a+ b+c =a +b+c,

proprio come la somma di numeri.

• Moltiplicazione per un scalare


Consideriamo un vettore a ed uno scalare k. La grandezza

b=ka

rappresenta un nuovo vettore che ha la stessa direzione di a; il suo modulo è


proporzionale, secondo il fattore |k|, a quello di a, cioè b = |k| a, ed il verso è
concorde oppure discorde con quello di a, a seconda che il numero reale k sia
positivo oppure negativo. La Figura 1.9 mostra due esempi di costruzione di
vettori proporzionali.

a a

b=2a b=-1a
2

Figura 1.9: vettori proporzionali.

Consideriamo il caso particolare k = - 1: risulta b = a ed il verso di b è discorde


rispetto a quello di a. Il vettore b è l’opposto di a.

b=-a
Figura 1.10: due vettori opposti.

• Differenza
La differenza di due vettori può, in buona sostanza, ricondursi ad una somma:
eseguire la differenza
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d=a -b

vuol dire sommare al vettore a il vettore - b, come mostrato in Figura 1.11.

a
d=a -b
d
-b

Figura 1.11: differenza di due vettori.

In pratica, possiamo concludere che la somma e la differenza di due vettori


rappresentano le due diagonali del parallelogramma avente per lati i due vettori
stessi, come suggerito in Figura 1.12.

b
Somma
Differenza

a
Figura 1.12: somma e differenza di due vettori.

• Scomposizione
Un’altra importante operazione è la scomposizione di un dato vettore secondo
direzioni assegnate, determinate da due rette (non parallele) giacenti nello stesso
piano. Seguendo la costruzione grafica mostrata in Figura 1.13, partiamo
dall’origine A del vettore e tracciamo le due direzioni d1 e d2; ripetiamo, poi, la
stessa operazione nell’estremo libero B, adoperando le due parallele a d1 e d2
passanti per questo punto. I punti C e D sono gli estremi dei due vettori v1 e v2
che vogliamo costruire. Essi vengono detti vettori componenti e si può
scrivere, per costruzione:
20 - Campi elettrici e magnetici

v = v1 + v2 .

Abbiamo considerato il caso di due rette giacenti nello stesso piano, cui appartiene
anche il vettore che si vuole scomporre. Qualora ciò non dovesse essere, si osserva
che un vettore può sempre scomporsi in due vettori componenti: per fare ciò,
basta, in generale, assegnare un piano ed una retta non appartenente ad esso,
magari proprio la perpendicolare al piano stesso. Ebbene un vettore può sempre
scomporsi in un componente che giace lungo la retta ed in un altro appartenente al
piano.

d2
C

v2 B
v
A
d1
v1 D

Figura 1.13: scomposizione di un vettore lungo due direzioni assegnate.

Anche quest’ultima proposizione ci sembra abbastanza intuitiva (Figura 1.14) e,


pertanto, non verrà ulteriormente commentata.

v2 v

v1

Figura 1.14: scomposizione secondo una generica direzione ed un piano.

• Prodotto scalare
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Consideriamo due vettori a e b. Il prodotto scalare tra essi rappresenta una prima
possibile forma di prodotto tra due vettori (più avanti esamineremo un secondo
tipo di prodotto tra vettori) che fornisce come risultato uno scalare (da qui
discende la denominazione ‘scalare’). Definiamo precisamente prodotto scalare
tra due vettori, indicato con il puntino ‘⋅’, la seguente quantità scalare

a ⋅ b = a b cos θ , (1.1)

intesa come il prodotto tra i moduli dei due vettori ed il coseno del più piccolo
angolo formato dai essi. È ben noto, infatti, che una coppia di vettori individua
due angoli: l’angolo da considerare nella definizione del prodotto scalare è sempre
il più piccolo. In realtà, questa precisazione non ha valore nella definizione del
prodotto scalare, ma lo avrà in quella di prodotto vettoriale che discuteremo tra
breve, in quanto:

cos θ = cos(2π - θ) , ma sen θ = - sen(2π - θ) .

A scanso di equivoci adopereremo sempre l’angolo più piccolo e, pertanto,


0 ≤ θ ≤ π.

a ⋅ b = a b cos θ
θ
a

Figura 1.15: definizione del prodotto scalare.

Il prodotto scalare di due vettori può essere considerato come il prodotto del
modulo del primo di essi per la componente del secondo nella direzione del
primo, ovvero come il prodotto del modulo del secondo di essi per la componente
del primo nella direzione del secondo, come mostrato in Figura 1.16. Ciò
discende, in ultima analisi, dalla definizione della funzione ‘coseno’
trigonometrico.
22 - Campi elettrici e magnetici

b
a cos θ
θ
a
b cos θ

Figura 1.16: interpretazione del prodotto scalare.

Ora, essendo il modulo di un vettore una quantità intrinsecamente non negativa, il


segno del prodotto scalare è determinato dal segno del coseno.

b b b

θ θ
θ
a a

a⋅b>0 a⋅b=0 a

0≤θ<π θ=π a⋅b<0


2 2
π <θ≤π
2

Figura 1.17: possibili segni del prodotto scalare.

La Figura 1.17 mostra i possibili segni che assume il prodotto scalare; in


particolare, dall’esame di questa figura segue che se due vettori sono
perpendicolari, il prodotto scalare tra essi è nullo.
Due vettori, di moduli a = 5 e b = 2, formano un angolo θ = π/4. Il prodotto
scalare tra questi vettori vale

a ⋅ b = a b cos θ = 10 cos π = 10 1 = 5 2 .
4 2

Il prodotto scalare gode della proprietà commutativa e di quella distributiva


rispetto alla somma:

a⋅b=b⋅a, a⋅ b+c =a ⋅b+a ⋅c.


23 - Campi elettrici e magnetici

• Prodotto vettoriale
Il prodotto vettoriale di due vettori a e b, scritto a × b, è un altro vettore c, dove
c = a × b. Il modulo di c è dato da

c = a × b = a b sen θ , (1.2)

dove θ è l’angolo più piccolo fra a e b. Il modulo del prodotto vettoriale, come
suggerisce la Figura 1.18, si può interpretare come la superficie racchiusa dal
parallelogramma avente i due vettori per lati.

b
b sen θ
a × b = a b sen θ
θ

Figura 1.18: interpretazione del modulo del prodotto vettoriale.

La direzione di c è definita come quella perpendicolare al piano individuato dai


due vettori a e b. Per specificare il verso del vettore c, si immagini di avvitare una
vite destrorsa, con asse perpendicolare al piano formato da a e b, in modo che essa
ruoti di un angolo θ andando da a verso b: la direzione di avanzamento della vite
destrorsa fornisce il verso del prodotto vettoriale a × b.

c=a ×b

b a

a b
c=a ×b

Figura 1.19: applicazioni della regola della vite destrorsa.


24 - Campi elettrici e magnetici

Si noti che a × b non è uguale a b × a e, quindi, l’ordine dei fattori nel prodotto
vettoriale è importante. Questo non è vero nel caso degli scalari dato che il
prodotto algebrico oppure aritmetico non è influenzato dall’ordine dei fattori.
Invece, si ha che

a×b=-b×a.

Ciò può essere compreso adoperando la regola della vite destrorsa oppure la
cosiddetta regola della mano destra: se la mano è tenuta in modo che le dita
piegate seguano la rotazione di a verso b, il pollice punterà nella direzione di c.
Se i due vettori a e b sono paralleli, cioè se risulta θ = 0 oppure θ = π, il prodotto
vettoriale è nullo.
Consideriamo, ad esempio, i due vettori mostrati in Figura 1.20; non è difficile
convincersi che il modulo del prodotto vettoriale vale

c = a × b = a b sen θ = a b sen π = a b ,
2

ed il vettore è uscente dal foglio del disegno. Per questo motivo lo abbiamo
indicato come una ‘punta’ uscente; viceversa, lo avremmo indicato per mezzo di
una piccola croce ‘×’ che individua una punta entrante nel foglio del disegno.

c=a ×b
a

Figura 1.20: un esempio di prodotto vettoriale.

La ragione per cui i prodotti scalare e vettoriale si definiscono nella maniera


proposta è che questa definizione risulta utile in Fisica. Quando in questo testo
incontreremo grandezze vettoriali per cui è utile introdurre l’uno o l’altro
prodotto, la loro connessione con quanto appena detto verrà sottolineata.
Un’ultima considerazione prima di chiudere questo lungo paragrafo. Abbiamo
visto che un vettore è individuato, in pratica, da una freccia. La posizione
occupata da questa freccia non è importante nelle considerazioni finora svolte.
25 - Campi elettrici e magnetici

Così, abbiamo liberamente traslato i vettori per poter calcolare ad esempio la


somma, che, a sua volta, possiamo liberamente traslare.
In sintesi, abbiamo considerato vettori liberi, il cui punto di applicazione non
deve essere specificato. A volte, però, può tornare utile pensare che il vettore sia
applicato in un ben determinato punto. Immaginiamo, per esempio,
un’autoambulanza che proceda ad una certa velocità: sia P la posizione
dell’autoambulanza e v la sua velocità. Potremmo rappresentare l’autoveicolo con
la sua velocità come mostrato in Figura 1.21. La rappresentazione di Figura 1.21a
va benissimo; tuttavia è più espressivo traslare il vettore velocità, sempre
parallelamente a se stesso, in modo che il suo punto di applicazione coincida con la
regione più vicina al motore, come mostrato in Figura 1.21b. Questa seconda
figura rende meglio l’idea della situazione.

h h
P P

(a) (b)

Figura 1.21: la stessa situazione mostrata in maniera differente.

In altri problemi fisici è indispensabile, invece, specificare il punto di applicazione


della grandezza vettoriale in esame. Pensate, ad esempio, alla forza applicata ad
un’altalena oppure a quella applicata ad un pesante cancello metallico: in questi
casi è necessario specificare in quale punto dell’altalena o del cancello è stata
applicata la forza per riuscire a predirne correttamente l’effetto. In
contrapposizione ai precedenti vettori liberi, si parla in questa evenienza di
vettori applicati, volendo con questa espressione rimarcare la necessità di
conoscere il punto di applicazione del vettore.

1.4 Sistemi di riferimento

Per poter fare calcoli e considerazioni con le grandezze scalari e vettoriali, è


buona norma introdurre un sistema di riferimento.
26 - Campi elettrici e magnetici

Se consideriamo vettori piani, per esempio, questo è costituito da due assi


ortogonali, chiamati assi cartesiani, ai quali viene, d’abitudine, attribuito un verso
ed una scala di misura. Di solito, questo sistema di assi cartesiani viene disegnato
con un asse orizzontale, detto asse delle ascisse o delle x, e con un asse verticale,
detto asse delle ordinate o delle y (Figura 1.22). Il punto di intersezione tra i due
assi viene detto origine del sistema di riferimento.

0 x

Figura 1.22: assi cartesiani in un piano.

In questo sistema è molto semplice specificare la posizione di un punto: è


sufficiente assegnare le coordinate del punto in questione. Queste sono da
intendersi come le proiezioni ortogonali del punto sui due assi.

y
6

4 B
A
2

0 x

-2
D
-4 C
-6
-6 -4 -2 0 2 4 6

Figura 1.23: alcuni punti con le rispettive coordinate.


27 - Campi elettrici e magnetici

Il punto A di Figura 1.23 ha coordinate 5 e 2, rispettivamente; scriviamo in modo


più compatto che A (5, 2), cioè il nome del punto (A) seguito, tra parentesi, da
una coppia ordinata di numeri reali, separati da una virgola, che specificano
rispettivamente l’ascissa e l’ordinata del punto considerato. Similmente potete
concludere che

B (- 3, 4) ; C (- 4, - 4) ; D (3, - 3) .

Specificare un vettore su un piano è molto semplice, se si dispone di un sistema di


riferimento. Basta specificare le coordinate del punto P di applicazione del vettore
e dell’estremo libero E. La conoscenza di queste coordinate ci consente di
individuare i due estremi del vettore e, quindi, il vettore stesso. Vale pure il
viceversa: assegnato un vettore, possiamo facilmente dire quanto valgono le
coordinate dei suoi estremi.

yE E
v
yP
P

0 xP xE x

Figura 1.24: vettore determinato dalle coordinate dei suoi estremi.

Nel caso dei vettori liberi, tuttavia, non è indispensabile conoscere la posizione del
punto di applicazione. Riferendoci alla Figura 1.24, possiamo dire che bastano le
componenti del vettore, che indicheremo con vx e vy, date da

vx = xE - xP , vy = yE - yP .

Il modulo del vettore si calcola facilmente a partire dalle componenti del vettore.
In forza del teorema di Pitagora, risulta:

v = v = v2x + v2y .
28 - Campi elettrici e magnetici

v vy
vy v = v2x + v2y tan θ =
θ vx
vx

Figura 1.25: modulo di un vettore a partire dalle sue componenti.

Le componenti sono anche date dalle relazioni

vx = v cos θ , vy = v sen θ ,

essendo (Figura 1.25) θ l’angolo formato dal vettore v con il semiasse positivo x,
misurato in senso antiorario a partire dall’asse. È chiaro che le due componenti,
dipendendo dal valore dell’angolo θ, possono essere sia positive che negative. Le
componenti di un vettore si comportano come grandezze scalari, dato che, quale
che sia il riferimento adottato, per individuarle è necessario soltanto un numero
col suo segno algebrico. Come esempio, in Figura 1.26 abbiamo disegnato tre
vettori; per il vettore a abbiamo riportato le componenti, mentre per gli altri due
non è stato necessario, dato che hanno componenti soltanto lungo un asse.

ay a

c
0 ax x
b

Figura 1.26: esempi di vettori assegnati per mezzo delle componenti.

Prima di procedere oltre e per poter applicare il teorema della scomposizione,


introduciamo la nozione di versore. Il generico vettore v si può scrivere come

v=vv,

in cui v rappresenta un versore, cioè un vettore di modulo unitario, nella


direzione di v (Figura 1.27).
29 - Campi elettrici e magnetici

v=v
v

Figura 1.27: definizione di versore.

È conveniente tracciare i versori degli assi coordinati scelti; useremo i simboli x,


y e z per indicare i versori degli assi x, y e z, rispettivamente (Figura 1.28).

x y

Figura 1.28: i versori usati per rappresentare i tre assi positivi x, y e z.

Si noti che non è necessario che i tre versori siano spiccati dall’origine; come tutti
i vettori, essi possono essere traslati a piacere nello spazio delle coordinate, purché
le loro direzioni rispetto agli assi coordinati si mantengano inalterate.
Il teorema di scomposizione ci consente di scrivere un generico vettore in
funzione delle componenti e dei versori degli assi, come

v = x vx + y vy .

Abbiamo cominciato dal caso di un vettore piano, ma nulla vieta di generalizzare


la precedente scomposizione al caso tridimensionale:

v = x vx + y vy + z vz .

I vettori x v x, y v y e z v z sono chiamati componenti vettoriali, o più


semplicemente i componenti, di v. Anche in questo caso il modulo vale:
30 - Campi elettrici e magnetici

v = v2x + v2y + v2z .

Prendiamo di nuovo in esame le operazioni tra vettori introdotte nel paragrafo


precedente e studiamole in termini di componenti. Allo scopo, consideriamo i due
generici vettori

a = x ax + y ay + z az e b = x b x + y b y + z b z .

Inoltre, immaginiamo di considerare una terna come quella di Figura 1.28, detta
terna levogira, che assumeremo, salvo avviso contrario, sempre quale base per
la rappresentazione dei vettori. Una tale terna è detta levogira perché la rotazione
di 90° di ciascun semiasse positivo per portarsi a sovrapporsi al successivo, ad
esempio il semiasse delle x su quello delle y, avviene intorno al terzo semiasse,
nell’esempio z, in verso antiorario; essa viene anche detta terna destra (o
destrorsa) poiché i tre semiassi x, y e z sono disposti, nell’ordine, come le dita
indice, medio e pollice (teso) della mano destra, tenuta leggermente rientrante
verso l’osservatore e con le altre dita serrate. In caso contrario, si parlerà di terna
destrogira, anche detta sinistra (o sinistrorsa).

• Somma
La risultante di due vettori può, in termini di componenti, scriversi come:

R = a + b = x ax + y ay + z az + x b x + y b y + z b z =
(1.3)
= x ax + bx + y ay + by + z az + bz .

Ora, dato che due vettori come R e a + b sono uguali solo se lo sono le
corrispondenti componenti, si può scrivere

Rx = a x + bx , Ry = a y + by , Rz = a z + bz .

Possiamo allora enunciare la seguente procedura per la somma di due (o più


vettori):

- scomporre ogni vettore nelle sue componenti in un dato sistema di coordinate;


- eseguire la somma algebrica delle singole componenti secondo un asse per
ottenere la componente del vettore somma secondo quell’asse;
- risalire al vettore somma, una volta note le componenti.
31 - Campi elettrici e magnetici

Come sempre, un esempio vale più di mille parole. Siano

a=2x-y+3z e b=-x+5y+7z;

risulta immediatamente

R = a + b = (2 - 1) x + (- 1 + 5) y + (3 + 7) z = x + 4 y + 10 z .

Il vantaggio di operare sulle componenti dei vettori, piuttosto che addizionare


direttamente i vettori stessi per mezzo della regola del parallelogramma, consiste
nel fatto che in questo modo si ha a che fare sempre con triangoli rettangoli, cosa
che semplifica moltissimo i calcoli. Se la terna è ortogonale, addizionando i vettori
con il metodo analitico, una conveniente scelta degli assi coordinati può rendere
ancora più semplice il procedimento matematico illustrato.

• Moltiplicazione per uno scalare


Anche la moltiplicazione di un vettore per uno scalare diventa semplice; posto

b=ka,

risulta

bx = k ax , by = k ay , bz = k az . (1.4)

• Differenza
La differenza discende immediatamente dalla somma e dalla moltiplicazione per
uno scalare:

D = a - b = x ax + y ay + z az - x b x + y b y + z b z =
= x ax - bx + y ay - by + z az - bz .

• Prodotto scalare
Sviluppiamo il prodotto scalare in termini di componenti. Se considerate che

x⋅x=y⋅y=z ⋅z=1, x⋅y=y⋅x=x⋅z=z ⋅x=y⋅z=z ⋅y=0,


32 - Campi elettrici e magnetici

discende immediatamente, sfruttando la proprietà distributiva del prodotto scalare


rispetto alla somma, che

a ⋅ b = x ax + y ay + z az ⋅ x b x + y b y + z b z = a x b x + a y b y + a z b z . (1.5)

Siano, ad esempio,

a=3x+2y+z e b=-3x+2y+7z;

risulta

a ⋅ b = a x bx + a y by + a z bz = - 9 + 4 + 7 = 2 .

• Prodotto vettoriale
Un tantino più complicato è il prodotto vettoriale; armiamoci, dunque, di pazienza
e cominciamo. Per rendere più semplice la deduzione, operiamo su vettori piani:
il caso tridimensionale costituirà una naturale estensione. Si ha, sfruttando la
proprietà distributiva del prodotto vettoriale rispetto alla somma:

a × b = x ax + y ay × x b x + y b y =
= x × x ax b x + y × x ay b x + x × y ax b y + y × y ay b y .

Ora, dato che

x×x=y×y=0 e x×y=-y×x=z,

si può scrivere che

a × b = z ax b y - ay b x ,

ovvero, come ci si aspettava, il prodotto vettoriale di due vettori contenuti nel


piano x-y è un nuovo vettore perpendicolare a questo piano, cioè diretto lungo
l’asse z. Verificate, per esempio, che

3 x + 2 y × x - y = z ax b y - ay b x = z (- 3 - 2) = - 5 z .

Nel più generale caso di vettori tridimensionali, potete controllare che


33 - Campi elettrici e magnetici

a × b = x ax + y ay + z az × x b x + y b y + z b z =
(1.6)
= x ay b z - az b y + y az b x - ax b z + z ax b y - ay b x .

Notate come la terza componente, quella diretta lungo z, coincida con quella
trovata nel caso dei vettori piani. Infine, se avete conoscenza dei determinanti, il
precedente prodotto vettoriale può scriversi nella forma equivalente

x y z
a×b= ax ay az ,
bx by bz

sicuramente più semplice da ricordare rispetto alla complicata formula (1.6).


Per concludere questo paragrafo, è utile proporvi qualche esercizio riassuntivo
per rivedere gli argomenti sviluppati. Siano assegnati i tre vettori

a=x+y+z , b=x-y+3z, c=y-z.

Verificare che

a+b+c =2x+y+3z;

a-c=x+2z;

3a-b+2c=2x+6y-2z;

a ⋅ c = 0 (e, dunque, i due vettori sono perpendicolari) ;

b×a=-4x+2y+2z.

1.5 Campi vettoriali

Un campo scalare rappresenta una regione di spazio in cui è definita, quindi


misurabile, un certa grandezza scalare. Pensate ad esempio ad una stanza, in tutti i
punti della quale misurate la temperatura: avete definito in tal modo una
corrispondenza che, ad ogni punto della stanza, associa il valore della temperatura
in quel punto. Si intende per campo vettoriale, invece, una zona di spazio nella
34 - Campi elettrici e magnetici

quale, ad ogni punto, corrisponde un vettore. Per comprendere sino in fondo


questo nuovo concetto fisico, esaminiamo qualche esempio.
Immaginiamo l’acqua di un fiume che scorra da sinistra verso destra. Fissato un
riferimento cartesiano, ad ogni punto P, di coordinate x e y, corrisponde un
vettore che rappresenta la velocità che l’acqua possiede in quel punto. Siamo in
presenza di un campo vettoriale e possiamo scrivere

v = v(P) = v(x, y) ,

ad indicare che la velocità dipende dalle coordinate del punto P sulla superficie
dell’acqua.

Restringimento
del fiume v(P)
v
P

Restringimento
del fiume

Figura 1.30: moto dell’acqua in un fiume che si restringe.

In Figura 1.30 abbiamo rappresentato alcune linee vettoriali, dette anche linee
di flusso: si tratta di linee matematiche che godono della notevole proprietà che la
tangente in un generico punto fornisce la direzione del vettore velocità in quel
punto. Se poi, come nel nostro caso, si considerano linee orientate, avremo anche
il verso. Questa rappresentazione può ottenersi lasciando scorrere nella corrente
del fiume un piccolo tappo di sughero: nel suo moto disegnerà una linea di flusso.
Per quanto riguarda il modulo si può dire che, laddove le linee diventano più
numerose, il modulo del vettore velocità è più elevato; dove, invece, le linee
35 - Campi elettrici e magnetici

vettoriali sono più rade il modulo è più debole. Sul modulo, dunque, dobbiamo
accontentarci di un’indicazione qualitativa.

Consideriamo un altro esempio di campo vettoriale: il campo gravitazionale


terrestre. Tutti i corpi vengono attratti verso il centro della Terra e, quindi,
possiamo rappresentare questo stato di cose con vettori che indicano la forza di
attrazione che si esercita su un corpo di massa unitaria, cioè il peso di un corpo di
massa unitaria in quella zona di spazio.

ü
Figura 1.31: campo gravitazionale terrestre.

Questa indicazione è equivalente a specificare il valore dell’accelerazione di


gravità, punto per punto nello spazio. Possiamo immaginare il campo
gravitazionale non solo come un campo di forze ma anche, in maniera equivalente,
come un campo di accelerazioni (Figura 1.31), dato che la legge di Newton
stabilisce che i vettori forza ed accelerazione sono proporzionali

F=ma.

Ad ogni punto esterno alla superficie terrestre corrisponde, dunque, un vettore


che punta verso il centro della Terra. Il modulo di questo vettore decresce poi
come 1/r 2, essendo ‘r’ la distanza misurata dal centro della Terra, a mano a mano
che ci allontaniamo dalla superficie terrestre. Si tratta di un campo non
uniforme dato che il modulo (e la direzione) del vettore cambiano da punto a
punto.
36 - Campi elettrici e magnetici

g
g
g

Figura 1.32: campo vettoriale uniforme.

In una zona ristretta di spazio, come ad esempio una stanza, questo campo è ben
rappresentato da vettori che sono tutti uguali in modulo, direzione e verso.
Diciamo di essere in presenza di un campo uniforme, per cui avremo a che fare
con vettori tutti uguali e diretti verso il basso (come nell’esempio di Figura 1.32).
Infine, definiamo il campo centrale. Diciamo che abbiamo a che fare con un
campo centrale se, quale che sia il punto P considerato, la forza è diretta secondo
la congiungente P con un punto fisso O, detto centro del campo, e dipende soltanto
dalla distanza OP. In Figura 1.33 abbiamo disegnato alcune linee vettoriali relative
ai campi elettrostatici sostenuti da una carica puntiforme, positiva e negativa:
notate come l’infittirsi delle linee in prossimità delle cariche indichi che il modulo
del campo elettrico cresca.

(a) (b)
Figura 1.33: campo elettrico di una carica (a) positiva e (b) negativa.
37 - Campi elettrici e magnetici

Quando le linee vettoriali ‘escono’ da una certa regione, come in Figura 1.33a, si
dice che si è in presenza di una sorgente; nel caso contrario, quando le linee
‘entrano’ in una certa regione, si dice che si è in presenza di un pozzo.

1.6 Definizione di flusso

A partire da questo paragrafo impareremo ad eseguire due nuove operazioni sui


vettori che vanno ad affiancarsi alla già nutrita lista di operazioni che sappiamo
portare avanti. Si tratta, però, di due operazioni un poco più complicate e,
pertanto, si richiede tutta la vostra attenzione, anche perché saranno proprio
queste operazioni i due ‘chiodi’ a cui appenderemo il quadro delle equazioni di
Maxwell.
Nelle questioni di elettromagnetismo ha molta importanza il concetto di flusso di
un campo vettoriale. Sebbene ci interessino i flussi del campo elettrico e del
campo magnetico, è bene discutere la questione in generale.
Cominciamo dal caso più semplice e cioè quello di un campo uniforme.
Immaginiamo (Figura 1.34) di avere una certa superficie S, piana e di forma
rettangolare, che si trova in una zona di spazio sede di un campo vettoriale
uniforme v di natura qualsiasi. Per rendere più concreto quanto stiamo dicendo,
pensate alla velocità dei diversi punti di un fiume nella parte più centrale del
corso, lontano dalle sponde.
La superficie S rappresenta una superficie ideale, alla quale pensiamo in maniera
astratta; ma possiamo anche pensarla realizzata materialmente con un foglio di
carta oppure con un retino immerso nella corrente del fiume.

n
v

Figura 1.34: una superficie S in un campo uniforme.

Con la lettera S indichiamo tanto la superficie in questione quanto l’area della


superficie stessa: da questo doppio senso non nasceranno confusioni. Sia n un
versore ortogonale ad S e che possiamo pensare applicato in un qualsiasi punto di
S stessa. Esso serve ad individuare la giacitura, ovvero l’orientamento di S nello
38 - Campi elettrici e magnetici

spazio, e delle due orientazioni possibili abbiamo scelto quella che va da sinistra a
destra, nel preparare la Figura 1.34. Il flusso del campo vettoriale v
attraverso la superficie S, orientata secondo il versore n, vale

ΦS v = v S , se n || v ,

cioè è pari al prodotto del modulo del vettore v per l’area della superficie
attraverso cui consideriamo il flusso.

n
v

S
v ∆t

Figura 1.35: interpretazione della definizione di flusso.

Per comprendere appieno la definizione introdotta, consideriamo la situazione


schematizzata in Figura 1.35: abbiamo disegnato in questa figura un
parallelepipedo retto con la base coincidente con S e di altezza ‘v ∆t’. Questo
parallelepipedo rappresenta il volume d’acqua del fiume che nel tempo ∆t passa
attraverso la superficie S considerata: non è difficile convincersi che qualunque
particella d’acqua posta al di fuori di questo parallelepipedo, o perché troppo
lontana o perché fuori bersaglio, non riesce ad intercettare la superficie S
attraverso cui stiamo valutando il flusso. Ora, questo volume d’acqua è pari a

∆V = S v ∆t ,

e possiamo concludere che il flusso rappresenta nient’altro che il volume d’acqua,


che raccoglie la superficie S, rapportato al tempo di osservazione ∆t, cioè

ΦS v = ∆V = S v .
∆t

La definizione fornita è corretta, seppur data in condizioni molto particolari e


vantaggiose. Rimuoviamo la prima ipotesi restrittiva, immaginando che la
superficie S non sia perpendicolare più al flusso d’acqua, ma supponiamo che essa
39 - Campi elettrici e magnetici

sia inclinata di un certo angolo α rispetto alla direzione del moto dell’acqua, come
mostrato in Figura 1.36.

v ∆t S n
α
v

α
v ∆t cos α

Figura 1.36: la superficie ed il campo formano un certo angolo.

In questo caso non è difficile convincersi che le particelle d’acqua contenute nel
prisma punteggiato sono le sole capaci di intercettare la superficie S e, pertanto,
questo volume è pari a

∆V = S v ∆t cos α = S ∆t v ⋅ n → ΦS v = ∆V = S v ⋅ n ,
∆t

essendo α l’angolo formato dal campo v e dal versore n.


Rimuoviamo la seconda ipotesi: supponiamo, cioè, che la superficie S abbia una
forma qualsiasi, non necessariamente rettangolare. Anche in questo caso una
semplice considerazione risolverà il nostro problema: come mostrato in Figura
1.37, basta scomporre la superficie assegnata in tante piccole areole, simili a
francobolli, che possono ritenersi praticamente piane.
40 - Campi elettrici e magnetici

n
v

nk
∆Sk

Figura 1.37: scomposizione in areole quasi piane di una superficie non piana.

Numerando ciascuna areola a partire da uno, la generica ∆Sk verrà individuata dal
versore nk e si può scrivere che

ΦS v ≅ ∆S1 v1 ⋅ n1 + ∆S2 v2 ⋅ n2 + + ∆SN vN ⋅ nN =


N
= ∑ ∆Sk vk ⋅ nk ,
k=1

essendo N il numero complessivo di francobolli considerati. È chiaro che quanto


più grande è il numero di areole considerate, tanto più vera è l’approssimazione di
considerarle quasi piane. Portando al limite questo ragionamento, la precedente
sommatoria diventa un integrale e si scrive come

ΦS v = v ⋅ n dS , (1.7)
S

in cui il significato dei diversi simboli discende da quanto in precedenza detto. Si


tratta di un integrale doppio che nel seguito saremo chiamati a sviluppare soltanto
in condizioni di particolare simmetria e, pertanto, si semplificherà notevolmente.
Per riassumere il procedimento illustrato possiamo dire che, per quanto la
superficie S sia non piana, possiamo immaginare di scomporla in tante areole
elementari di valore ‘dS’, individuate dalla normale n, in corrispondenza dei punti
della quale il campo vettoriale vale v; il flusso attraverso la generica areola vale
41 - Campi elettrici e magnetici

flusso attraverso un’areola elementare = v ⋅ n dS ,

mentre il flusso complessivo si ottiene sommando, cioè integrando, attraverso


l’intera superficie S.
L’ultima ipotesi da rimuovere per dare una definizione generale di flusso è legata
alla non uniformità del campo vettoriale e considerare un campo vettoriale
qualsiasi. In questo caso, non è necessario aggiungere niente a quanto detto in
precedenza dato che, se le areole sono sufficientemente piccole, il campo vettoriale
può essere considerato pressappoco uniforme nei punti di ciascuna areola e,
pertanto, la definizione riportata non va affatto modificata.
Ricordate solo questo: se la superficie è aperta, esiste soltanto un’ambiguità nella
scelta della normale alla superficie, cosa che non inficia la definizione data.
Tuttavia la superficie attraverso cui interessa il flusso del campo vettoriale può
essere chiusa, come quella di un pallone.

Figura 1.38: flusso attraverso una superficie chiusa.

Che distinzione possiamo fare tra questo tipo di superficie e quella di un foglio di
giornale, che chiamiamo ovviamente superficie aperta?
Un ipotetico osservatore che cammina sulla superficie chiusa non incontra mai il
bordo semplicemente perché il bordo non c’è. Una superficie aperta, invece, è
sempre delimitata da un bordo, che l’osservatore, prima o poi, incontrerà.
Una superficie chiusa suddivide lo spazio in due parti: una parte interna ed una
esterna e per passare da una parte all’altra si deve per forza ‘bucare’ la superficie.
Pertanto, data una superficie chiusa, possiamo definire punto per punto un versore
normale, come abbiamo fatto in Figura 1.38, in cui abbiamo scelto il versore che
punta verso l’esterno. Il flusso che calcoliamo, fatta questa convenzione per il
versore normale, viene detto flusso uscente ed in questo testo ci atterremo sempre
a questa convenzione. Se avessimo, invece, scelto la convenzione opposta,
avremmo parlato di flusso entrante.
42 - Campi elettrici e magnetici

Per ricordare che stiamo calcolando un flusso sui punti di una superficie chiusa,
apporremo un circoletto all’usuale simbolo di integrale, sicché il flusso uscente
attraverso la superficie chiusa Σ diventa

ΦΣ v = v ⋅ n dS . (1.8)
Σ

Infine, vale la pena sottolineare che quanto detto per il campo vettoriale delle
velocità v dell’acqua di un fiume, può adattarsi ad un generico campo vettoriale.

Consideriamo, per esempio, il flusso attraverso il cilindro mostrato in Figura 1.39


ed immerso in un campo uniforme, parallelo al suo asse di simmetria.

n
A0

B1 B2
A0
SL
n
n A0 A0

Figura 1.39: esempio di flusso calcolato su una superficie chiusa.

Su ogni punto della superficie laterale SL del cilindro, il campo vettoriale A0 e la


normale alla superficie formano un angolo retto e, pertanto,

A0 ⋅ n = 0 su SL → A0 ⋅ n dS = 0 .
SL

Sulle due basi, avendo orientato la normale all’esterno del cilindro, i vettori A0 ed
n sono in ogni punto paralleli: su una base sono concordi, mentre sull’altra sono
discordi. Ciò comporta che, indicando con A0 il modulo del vettore A0, è

A0 ⋅ n = - A0 sulla base B1 ;
A0 ⋅ n = + A0 sulla base B2 .
43 - Campi elettrici e magnetici

Passando agli integrali di superficie, risulta

A0 ⋅ n dS = - B A0 e A0 ⋅ n dS = + B A0 ,
B1 B2

essendo B l’area delle basi. Volendo calcolare il flusso sulla superficie totale del
cilindro, in definitiva, si può scrivere

A0 ⋅ n dS = A0 ⋅ n dS + A0 ⋅ n dS + A0 ⋅ n dS =
CILINDRO B1 B2 SL

= - B A0 + B A0 + 0 = 0 .

Questo esempio mostra che, affinché il flusso attraverso una superficie chiusa sia
complessivamente nullo, è necessario che su una parte della superficie totale
l’integrale sia positivo e sulla rimanente parte sia negativo (e dello stesso valore).

1.7 Campi conservativi per il flusso

Diremo che un campo vettoriale A è conservativo per il flusso se, quale che sia la
superficie chiusa Σ considerata, il flusso è nullo, cioè

ΦΣ A = A ⋅ n dS = 0, per ogni superficie chiusa Σ .


Σ

Questa relazione attesta che il flusso di A uscente (ma potrebbe essere anche
entrante) è nullo per qualsiasi superficie chiusa. Un campo vettoriale che gode di
questa proprietà si dice campo solenoidale o conservativo per il flusso, ed ora
diremo qualcosa di più sulle sue proprietà.
Osserviamo quanto segue: prendiamo una linea chiusa Γ e tracciamo due superfici
qualsiasi Σ 1 ed Σ 2 che abbiano Γ come contorno, come mostrato in Figura 1.40.
La superficie Σ, unione di Σ 1 ed Σ 2, è evidentemente una superficie chiusa e
quindi per essa potremo scrivere

A ⋅ n dS = 0 .
Σ
44 - Campi elettrici e magnetici

n1
Σ2
Γ
Σ1 n2

Figura 1.40: flusso attraverso una superficie chiusa.

Scomponiamo ora il flusso uscente di A attraverso Σ in due parti, il flusso


attraverso le due superfici aperte Σ 1 e Σ 2

A ⋅n dS = A ⋅ n1 dS + A ⋅ n2 dS = 0 .
Σ Σ1 Σ2

Dall’ultima relazione discende immediatamente che i flussi attraverso le due


superfici aperte sono uguali ed opposti

A ⋅ n1 dS = - A ⋅ n2 dS ,
Σ1 Σ2

ma, se ad esempio per la sola Σ 2 cambiamo l’orientazione della normale, ponendo

n2 = - n1 = - n ,

la precedente relazione diventa

A ⋅ n dS = A ⋅ n dS .
Σ1 Σ2

La scelta effettuata per la normale è dettata dalla volontà di stabilire tra il versore
della curva e quello della normale alle superfici la cosiddetta regola della mano
destra: chiudendo le dita della mano destra nel verso indicato dal versore alla
curva, il pollice indicherà il versore della normale alla superficie. Questa scelta è
usuale in elettromagnetismo e, pertanto, quando non lo diremo la assumeremo
implicitamente.
45 - Campi elettrici e magnetici

Tornando al nostro teorema, abbiamo visto che, per il campo solenoidale A, i


flussi attraverso due qualsiasi superfici orientate alla stessa maniera e che abbiano
lo stesso contorno Γ sono uguali, cioè

Φ Σ1 A = Φ Σ2 A .

Ma, per l’arbitrarietà delle due superfici Σ 1 e Σ 2, deriva che, data una linea chiusa
Γ, è univocamente definito il flusso attraverso una qualsiasi superficie che abbia Γ
come contorno. Ecco dunque spiegata l’arbitrarietà della scelta della superficie Σ.
Si ricordi che ciò è vero solo per un campo conservativo per il flusso ovvero
solenoidale in tutto lo spazio.
In definitiva, dovendo valutare il flusso di un campo solenoidale, basta assegnare
la linea chiusa che rappresenta l’orlo di un insieme infinito di superfici attraverso
cui il flusso assume sempre lo stesso valore.

1.8 Definizione di circuitazione

Consideriamo un generico campo vettoriale A ed una linea orientata Γ all’interno


di questo campo (Figura 1.41).

A
A
Γ
B

Figura 1.41: linea retta in un generico campo vettoriale.

Suddividiamo la linea in tanti piccoli tratti, ciascuno dei quali sia praticamente
rettilineo e di lunghezza ∆lk. Seguendo il verso di percorrenza da A verso B,
osserviamo il generico tratto, mostrato in Figura 1.42, di estremi P e Q.
46 - Campi elettrici e magnetici

A P θ
t
Γ Q
B

Figura 1.42: suddivisione della linea in tratti praticamente rettilinei.

Essendo questo tratto elementare praticamente rettilineo, consideriamo il versore


tangente alla linea Γ ed il campo vettoriale passante per i punti dell’arco di curva
compreso tra P e Q. Dovreste ricordare che, per ottenere il campo vettoriale in un
punto, basta considerare la tangente alla linea vettoriale passante per quel punto.
Per il tratto elementare in esame, che, per generalità, indicheremo con il pedice
‘k’ (il primo con 1, il secondo con 2, il generico con k), costruiamo il prodotto
scalare

Ak ⋅ tk ∆lk ,

cioè tra il vettore che rappresenta il campo vettoriale Ak, il versore tk e lo scalare
∆lk. Se sommiamo tutti questi contributi in cui abbiamo suddiviso la linea,
otteniamo una nuova grandezza che viene detta integrale del campo lungo la linea
Γ, pari a

N
integrale di linea → ∑ Ak ⋅ tk ∆lk .
k=1

Per la verità (e dovreste essere ormai abituati a questo tipo di ragionamento),


l’integrale di linea si ottiene rigorosamente portando al limite la definizione data,
facendo cioè tendere a zero il più grande dei tratti in cui abbiamo suddiviso la
linea, in modo tale che la sommatoria diventi un integrale

integrale di linea → A ⋅ t dl ,
A-Γ-B

in cui A - Γ - B vuol dire che l’integrale è da calcolarsi lungo la linea Γ, secondo


la direzione orientata che parte da A ed arriva a B. Sottolineiamo ancora una volta
come l’integrando dica con chiarezza le cose da fare: per il tratto elementare di
47 - Campi elettrici e magnetici

lunghezza dl bisogna considerare il prodotto scalare tra il versore tangente a


questo tratto ed il campo vettoriale, calcolato nel punto in esame. Se riguardate la
definizione di flusso, troverete tante analogie ed un procedimento di definizione
simile.

Avete già incontrato il concetto di integrale di linea, seppur non nella maniera
rigorosa da noi introdotta, in diverse parti della Fisica. Valga per tutte il concetto
di lavoro: se il campo vettoriale rappresenta un campo di forze F, l’integrale di
linea definisce il lavoro

Lavoro = F ⋅ t dl ,
A-Γ-B

fatto dalla forza lungo la generica linea Γ. Come potete constatare, il lavoro fatto
da una certa forza dipende, in generale, dal cammino fatto per congiungere i due
estremi A e B, e solo se il campo di forze è conservativo, come approfondiremo
nel prossimo paragrafo, il lavoro non dipende dal cammino seguito ma soltanto
dagli estremi di integrazione.
Si chiama circuitazione un integrale di linea calcolato lungo una linea chiusa.
Essendo la linea considerata chiusa, non è più necessario indicare l’estremo di
partenza e quello di arrivo ed il simbolo adoperato per la circuitazione è

CΓ A = A ⋅ t dl , (1.9)
Γ

in cui il circoletto apposto all’integrale ci ricorda che stiamo operando su una


linea chiusa, così come nel caso del flusso ci ricordava che stavamo integrando su
una superficie chiusa.

1.9 Campi conservativi per la circuitazione

Un campo vettoriale si dice conservativo per la circuitazione (oppure conservativo


per il lavoro oppure irrotazionale) quando

A ⋅ t dl = 0 , quale che sia la linea chiusa Γ,


Γ
48 - Campi elettrici e magnetici

ovvero qualunque integrale di linea, fatto lungo una linea chiusa e di forma
qualsiasi, è nullo. Ricordiamo che, analogamente a quanto fatto per il flusso,
l’integrale di linea si ottiene per mezzo delle seguenti operazioni: data una linea Γ,
non necessariamente chiusa, si sceglie un verso positivo sulla stessa, o come si
dice, si orienta la linea. Per ogni elemento di linea dl si costruisce il vettore t dl e
lo si moltiplica scalarmente per il vettore A relativo all’elemento di linea
considerato; la somma degli ‘infiniti’ prodotti infinitesimi così ottenuti è, per
definizione, l’integrale di linea cercato. Per le linee chiuse abbiamo parlato di
circuitazione del vettore A lungo la linea Γ.
Consideriamo un campo conservativo per la circuitazione e l’integrale di linea
lungo una curva chiusa qualsiasi sia, dunque, nullo. La Figura 1.43 mostra una
generica curva orientata Γ; su essa abbiamo individuato due punti qualsiasi P e P0,
che la suddividono in due curve non chiuse Γ 1 e Γ 2. Se il campo vettoriale A è
conservativo per la circuitazione, vuol dire che l’integrale lungo la linea Γ 1, fatto
a partire da P0 fino a P, è uguale a quello calcolato da P a P0 lungo Γ 2.

Γ2

P0
Γ P

Γ1

Figura 1.43: circuitazione lungo una linea chiusa.

In formule, possiamo scrivere che

CΓ A = 0 → A ⋅ t1 dl = - A ⋅ t2 dl .
P 0 - Γ1 - P P - Γ2 - P0

Cambiando il verso del tratto di curva Γ 2, ponendo cioè

t2 = - t1 = - t ,

la precedente relazione diventa


49 - Campi elettrici e magnetici

A ⋅ t dl = A ⋅ t dl .
P 0 - Γ1 - P P 0 - Γ2 - P

Anche in questo caso, dunque, una diversa orientazione della linea porta al
seguente risultato: se consideriamo un campo vettoriale conservativo per la
circuitazione, possiamo affermare che l’integrale di linea, che congiunge due
qualsiasi punti, non dipende dalla linea lungo la quale andiamo dal primo al
secondo punto, ma soltanto dagli estremi di integrazione. Ciò mostra chiaramente
la precedente relazione e cioè che i due integrali di linea sono indipendenti dalle
due curve Γ 1 e Γ 2. L’integrale di linea dipende, allora, soltanto dagli estremi di
integrazione scelti e, pertanto, è una funzione solo di questi punti estremi e non del
cammino fatto per congiungerli. Simbolicamente scriveremo che

U(P, P0) = A ⋅ t dl ,
P0

in cui la funzione U(P, P0) viene spesso detta potenziale del campo. Molto
spesso il punto P0 viene fissato una volta per tutte e, quindi, la sua indicazione
nella funzione potenziale viene omessa, scrivendo più semplicemente:

U(P) = A ⋅ t dl .
P0

Γ1

Γ2
P0 P
Γ3

Figura 1.44: integrale di linea in un campo conservativo per la circuitazione.

Abbiamo detto in maniera più formale ed astratta una cosa che sapevate già: nel
campo gravitazionale terrestre, ad esempio, non conta il cammino seguito per
andare da un punto all’altro, ma conta solo il dislivello, cioè la differenza di quota
tra il punto iniziale e quello finale.
50 - Campi elettrici e magnetici

Riferendosi al campo elettrico, si è soliti chiamare tensione elettrica T AΓB un


integrale di linea di questo campo, dipendente, in generale, dalla linea scelta:

T AΓB = - E ⋅ t dl .
AΓB

Il segno meno ci ricorda una convenzione diffusa in elettromagnetismo, quella di


orientare il campo elettrico a partire dalle cariche positive verso quelle negative.
Dato che il campo elettrico è definito come il rapporto tra una forza ed una carica
di prova, la tensione elettrica rappresenta un lavoro per unità di carica e si misura
in volt. Nei casi in cui il campo elettrico sia assimilabile ad un campo conservativo
per il lavoro, il precedente integrale di linea non dipende più dalla linea scelta, ma
soltanto dagli estremi di integrazione. In tal caso la tensione elettrica viene detta
più propriamente differenza di potenziale (d.d.p.) e si scrive

V(B) - V(A) = - E ⋅ t dl ,
A

avendo indicato con V(P) la funzione potenziale.

Due aspetti fanno somigliare il potenziale elettrico alla altitudine. Il primo è


rappresentato dal fatto che, quando le grandezze del circuito non cambiano nel
tempo, le cariche positive, se lasciate libere, cadono dai punti in cui il potenziale è
più alto a quelli in cui è più basso (dando così luogo a una corrente elettrica), così
come i corpi, lasciati liberi, cadono dai punti situati più in alto a quelli situati più
in basso. Il secondo aspetto di somiglianza fra potenziale e altitudine è
rappresentato dal fatto che si può scegliere, per il potenziale elettrico, un livello
di riferimento arbitrario. In altre parole, si può porre uguale a zero il
potenziale di un qualunque punto di un circuito, così come si può porre uguale a
zero l’altitudine di un qualsiasi punto della superficie terrestre: il livello del
pavimento di una stanza, il livello del mare, e così via.
È chiaro che, così come la differenza di altitudine fra due piani di un palazzo è
indipendente dal livello di riferimento, anche la d.d.p. fra due punti di un circuito
è indipendente dal punto in cui si è posto uguale a zero il potenziale.

Prima di concludere questo paragrafo, calcoliamo, per esempio, la circuitazione


lungo una circonferenza, percorsa in senso antiorario, avente il centro coincidente
51 - Campi elettrici e magnetici

con il polo di in un campo vettoriale centrale, come può essere quello prodotto da
una carica puntiforme. Per rendere più concrete le cose, si osservi la Figura 1.45:
dal suo esame si può concludere immediatamente che il campo vettoriale, che è
diretto radialmente, ed il versore tangente alla circonferenza sono in ogni punto
perpendicolari.

A
Γ

Figura 1.45: circuitazione in un campo centrale.

Ciò comporta immediatamente che

A ⋅ n = 0 , in ogni punto della circonferenza → A ⋅ n dl = 0 .


Γ

1.10 Teorema di Helmholtz

L’ultimo paragrafo di questo capitolo è dedicato allo studio di un teorema


matematico, dovuto a H.L.F. von Helmholtz [Opere, UTET, Torino (1967)], che
fa luce su tutte le definizioni degli operatori date nei precedenti paragrafi. Esso
costituisce, inoltre, lo strumento naturale per comprendere le equazioni di
Maxwell che studieremo nel capitolo successivo.

Partiamo da una questione apparentemente semplice: immaginiamo di essere nello


spazio libero e di domandarci come possa assegnarsi un campo vettoriale, che
indicheremo genericamente con A.
La prima risposta, la più immediata, potrebbe essere la seguente: un generico
campo vettoriale si può assegnare dando le sue componenti, magari in un sistema
52 - Campi elettrici e magnetici

cartesiano, in maniera esplicita. Ad esempio, il nostro campo vettoriale è definito


dalla relazione vettoriale

A = 2 x y x + x z2 y + y z3 z .

In termini più formali, quanto detto vuol dire assegnare le tre componenti
cartesiane del campo

Ax = F(x,y,z) ,
Ay = G(x,y,z) ,
Az = H(x,y,z) ,

per mezzo di tre espressioni matematiche note. Tuttavia, questa maniera di


assegnare un campo vettoriale, anche se è la più semplice, non è la più frequente
dato che le leggi fisiche ci conducono alla scrittura di equazioni la cui soluzione
fornirà, poi, il campo desiderato. Queste equazioni assumono ‘aspetti’ diversi a
seconda della disciplina che stiamo considerando, sia essa la dinamica dei fluidi
oppure l’elettromagnetismo. Si può identificare in queste equazioni un elemento
comune costituito proprio dal teorema di Helmholtz che stabilisce che, nello spazio
libero (nel prossimo capitolo diremo più precisamente in un mezzo lineare,
omogeneo ed isotropo), per assegnare un campo vettoriale occorre e basta
assegnare il suo flusso ad una qualsiasi superficie chiusa e la sua circuitazione ad
una qualunque linea, anch’essa chiusa. In altri termini, per assegnare un campo
vettoriale occorre specificare i due operatori

ΦΣ A = F , ad una qualsiasi superficie chiusa Σ ;


CΓ A = C , ad una qualsiasi linea chiusa Γ .

Le espressioni ‘F’ e ‘C’ rappresentano i valori noti di flusso e circuitazione; i flussi


F vengono detti pozzi o sorgenti del campo A, le circuitazioni C sono chiamate
vortici del campo A. Si noti che i valori di flusso e circuitazione devono essere
specificati per una qualsiasi superficie chiusa o linea chiusa.
53 - Campi elettrici e magnetici

t Γ

Figura 1.46: il teorema di Helmholtz si applica solo a superfici e linee chiuse.

Dunque, se conosciamo il valore del flusso e della circuitazione su superfici e linee


chiuse, almeno in linea di principio, possiamo ricostruire il campo vettoriale in
tutto lo spazio. Abbiamo usato l’espressione ‘almeno in linea di principio’ dato
che, in pratica, non risulta poi tanto agevole ottenere le informazioni desiderate.
54 - Campi elettrici e magnetici

Appendice: i vettori e le leggi fisiche

Liberamente tratto dal volume di Fisica 1 di David Halliday e Robert Resnick,


Casa Editrice Ambrosiana di Milano, 1978.

I vettori si sono rivelati estremamente utili in Fisica e, pertanto, è necessario


approfondirne il motivo. Consideriamo tre vettori a, b e R collegati dalla
relazione:

R=a +b.

Riferendo questa equazione ad un sistema cartesiano ortogonale, essa si può


articolare in tre relazioni scalari

Rx = a x + bx , Ry = a y + by , Rz = a z + bz .

Immaginiamo ora un altro sistema di riferimento, anch’esso cartesiano ortogonale,


che per distinguere dal precedente verrà contraddistinto per mezzo di apici.
Questo nuovo sistema sia caratterizzato dalle seguenti proprietà:

• la sua origine non coincide con l’origine del primo sistema;


• i suoi tre assi non sono paralleli ai corrispondenti assi del primo sistema.

Semplificando, il secondo sistema è traslato e ruotato rispetto al primo.


Nel nuovo sistema i tre vettori a, b e R saranno, in generale, espressi mediante
componenti diverse che, tuttavia, si potrebbe dimostrare essere sempre collegate
dalle relazioni (l’apice ci ricorda che siamo nel nuovo sistema)

Rx' = a x' + bx' , Ry' = a y' + by' , Rz' = a z' + bz' ,

cioè è ancora valida la relazione vettoriale

R=a +b.

In linguaggio più formale possiamo dire che le relazioni tra vettori sono
invarianti, cioè che non cambiano, per una traslazione oppure per una
rotazione delle coordinate.
55 - Campi elettrici e magnetici

È un fatto verificabile in laboratorio che gli esperimenti, fondamento delle leggi


fisiche, restano inalterati nella loro forma quando ruotiamo oppure trasliamo il
sistema di riferimento. Ciò comporta che il linguaggio dei vettori è il linguaggio
più ‘naturale’ con il quale esprimere una legge fisica: se riusciamo ad esprimere
una legge in forma vettoriale, l’invarianza di tale legge rispetto ad una traslazione
oppure ad una rotazione delle coordinate è assicurata proprio in forza di questa
proprietà puramente geometrica dei vettori.

Fino al 1956 si credeva pure che le leggi fisiche fossero invarianti anche per una
sostituzione di riferimento da destrorso a sinistrorso: un sistema destrorso e
sinistrorso possono essere considerati come l’immagine speculare l’uno dell’altro.

Specchio

y y

x x
z z
Sistema sinistrorso Sistema destrorso
x×y=-z x×y=z

Figura A.1: rappresentazione di un sistema destrorso e di uno sinistrorso.

Ebbene, in quell’anno vennero effettuati alcuni esperimenti sul decadimento di


certe particelle elementari subatomiche il cui risultato apparve dipendere dal tipo
di terna usata e la simmetria di alcune relazioni vettoriali rispetto ad un cambio di
sistema di riferimento da destrorso a sinistrorso non venne confermata. C.N. Yang
e T.D. Lee ricevettero il premio Nobel nel 1957 per le loro previsioni teoriche
sull’argomento che condussero ad una revisione dell’intero problema della
simmetria nelle leggi fisiche. Questi studi sono tuttora all’avanguardia nella fisica
moderna.
56 - Campi elettrici e magnetici

Capitolo 2

Equazioni di Maxwell

2.1 Introduzione

2.2 Le leggi generali nel vuoto

2.3 Approfondimenti sulle equazioni di campo

2.4 Casi particolari

2.5 Mezzi materiali

2.6 Relazioni costitutive

2.6.1 Polarizzazione elettrica


2.6.2 Polarizzazione magnetica
2.6.3 Conduzione elettrica

2.7 Le leggi generali in presenza di mezzi materiali

2.8 Quadro comparato di tutte le leggi

2.9 Elettrostatica

2.10 Il caso quasi stazionario magnetico

2.11 Il caso quasi stazionario elettrico

2.12 Condizioni di raccordo

Appendice: Michael Faraday e la legge dell’induzione


elettromagnetica
57 - Campi elettrici e magnetici

Sommario

In questo capitolo formuliamo le equazioni che governano il


comportamento del campo elettromagnetico nel vuoto e nei mezzi
materiali. Per ottenere una comprensione esauriente delle famosissime
equazioni di Maxwell è necessario aver ben assimilato le nozioni di
calcolo vettoriale fornite nel capitolo precedente.
58 - Campi elettrici e magnetici

2.1 Introduzione

Nel capitolo precedente si sono introdotte le due nozioni fondamentali necessarie


per descrivere un qualunque campo vettoriale e per stabilire le leggi fisiche che lo
governano. Queste due nozioni sono due operazioni matematiche che possiamo
sempre fare:

• il flusso, ovvero l’integrale di superficie di un campo vettoriale attraverso una


superficie orientata;
• la tensione, ovvero l’integrale di linea di un campo vettoriale lungo una linea
orientata.

Queste grandezze, sempre esprimibili per qualunque campo vettoriale,


rappresentano nei vari casi di interesse diverse grandezze. Di conseguenza, le
relative unità di misura varieranno in funzione del campo vettoriale che vogliono
descrivere. L’aver introdotto queste quantità ci offre oltretutto la possibilità di
classificare i campi in:

• solenoidali, oppure conservativi rispetto al flusso, riferendoci a quei campi il


cui flusso attraverso una qualunque superficie chiusa sia nullo;
• irrotazionali, oppure conservativi rispetto alla circuitazione, riferendoci a
quei campi la cui circuitazione lungo una qualunque linea chiusa sia nulla.

Si è poi visto che, considerando un campo non solenoidale, esistono superfici


chiuse all’interno delle quali sono presenti sicuramente delle sorgenti o dei pozzi
del campo. Dualmente, considerando un campo non irrotazionale, siamo sicuri che
all’interno della regione in cui è presente il campo vi sono dei vortici. Abbiamo
poi ricordato un importante teorema matematico, il teorema di Helmholtz,
secondo cui quando di un campo vettoriale conosciamo tutte le sorgenti (o pozzi) e
tutti i vortici nell’intero spazio, cioè, conosciamo i flussi uscenti da tutte le
superfici chiuse e le circuitazioni lungo tutte le linee chiuse, siamo in grado di
conoscere pienamente il campo. In altri termini, note queste grandezze, il campo è
univocamente determinato.
Per questo motivo, quando vogliamo esprimere le leggi fisiche che governano un
generico campo vettoriale, esse devono essere sempre due e debbono avere forma
di questo tipo:

la prima legge deve fornire il flusso del campo vettoriale, o meglio il suo
valore, qualunque sia la superficie chiusa Σ orientata
59 - Campi elettrici e magnetici

A ⋅ n dS = ;
Σ

la seconda legge deve fornire, per ogni linea chiusa ed orientata Γ, il valore
della circuitazione del campo

A ⋅ t dl = .
Γ

Ribadiamo ancora una volta che per assegnare un campo vettoriale è necessaria la
conoscenza dei suoi flussi e delle sue circuitazioni (nel capitolo precedente
l’importanza di tutto ciò vi è stata chiarita mediante esempi).

Sulla base di questi richiami siamo pronti ad enunciare le leggi che governano i
fenomeni elettromagnetici nel vuoto ed in presenza di mezzi materiali, cosa che
faremo in questo capitolo.

2.2 Le leggi generali nel vuoto

Prima di enunciare le equazioni di Maxwell nel vuoto è doveroso chiarire cosa


intendiamo con l’espressione nel vuoto. Con questa frase immaginiamo di essere
in una situazione molto particolare, ideale, ma che vedrete sarà essenziale per
comprendere le leggi generali del campo elettromagnetico in tutti i casi di
interesse fisico ed applicativo. La situazione è la seguente: dobbiamo immaginare
uno spazio vuoto, privo cioè di mezzi materiali, all’interno del quale però siano
presenti cariche elettriche, che, se volete, possiamo considerare puntiformi e che si
muovono in maniera arbitraria. Queste cariche, ferme oppure in movimento, sono
da noi controllate, nel senso che conosciamo esattamente, attimo per attimo dove si
trovano e quale valore assumono. Altri corpi carichi, proprio perché siamo nel
vuoto, non ce ne sono.
In questo paragrafo intendiamo studiare le leggi che governano il campo
elettromagnetico nel vuoto, intendendo con ciò le leggi che governano il campo
elettromagnetico prodotto da cariche elettriche ferme oppure in moto arbitrario:
faremo questo applicando, senza esitazione, il teorema di Helmholtz.

Nella prefazione a questo volume abbiamo già sottolineato come il campo


elettromagnetico possa essere descritto dai vettori E e B e debba intendersi come
60 - Campi elettrici e magnetici

la coppia ordinata di vettori E, B . Si tratta allora di un insieme ordinato di


campi vettoriali e, quindi, in forza del teorema di Helmholtz, per fornire in
maniera compiuta le leggi fisiche che descrivono un qualsiasi fenomeno
elettromagnetico nel vuoto, occorrono due leggi per il campo vettoriale E ed
altrettante per il campo B. Cominciamo allora ad enunciare le leggi nella loro
forma più generale, ribadendo che ci riferiamo allo spazio vuoto, con ormai ovvio
significato.

Partiamo dalle leggi del flusso, che solitamente vanno sotto il nome di leggi di
Gauss per il campo elettrico e per quello magnetico e che si presentano nella
forma

E ⋅ n dS = Q , B ⋅ n dS = 0 . (2.1)
ε0
Σ Σ

La prima delle equazioni (2.1) afferma che il flusso del campo elettrico, attraverso
una qualunque superficie chiusa Σ, è proporzionale, attraverso la costante ε0, alla
carica netta contenuta nella regione delimitata dalla superficie Σ; quindi Q
rappresenta la somma, intesa in senso algebrico, delle cariche contenute nella
superficie chiusa Σ. Dato che il campo elettrico E è una grandezza che, in
generale, varia sia spazialmente che temporalmente, si conclude che la legge di
Gauss per il campo elettrico asserisce che, in un generico istante, il flusso uscente
del campo elettrico attraverso una qualunque superficie chiusa Σ è proporzionale,
per mezzo della costante ε0, alla somma algebrica delle cariche elettriche presenti,
nello stesso istante, all’interno della superficie Σ. In altri termini, ciò vuol dire che
il campo elettrico ha delle sorgenti oppure dei pozzi che sono proprio le cariche
elettriche, positive o negative. Ad esempio, se sappiamo che il flusso del campo
elettrico attraverso una certa superficie vale ΦE = 100 Vm, vuol dire che in quella
superficie è racchiusa una carica netta pari a (per il valore numerico di ε0 si veda
più avanti)

Q = ε0 ΦE ≅ 8.854 ⋅ 10 -12 ⋅ 100 C = 8.854 ⋅ 10 -10 C .

Per il campo di induzione magnetica la legge è ancora più semplice. Essendo B


una grandezza che varia nello spazio e nel tempo, la legge afferma che il flusso del
campo di induzione magnetica B, attraverso una qualunque superficie chiusa Σ, è
in ogni istante di tempo pari a zero. Essa viene spesso indicata come proprietà di
61 - Campi elettrici e magnetici

solenoidalità di B, invece che legge di Gauss. In estrema sintesi, la legge asserisce


l’inesistenza di cariche magnetiche libere, cioè, come dicono i fisici, non esiste il
monopolo magnetico, che sarebbe l’equivalente magnetico della carica elettrica. Il
che vuol dire che se in una regione dello spazio vi è una carica magnetica di segno
positivo ve ne deve essere necessariamente una di stesso modulo e segno opposto,
in modo da rendere nulla la carica magnetica totale.
Con ciò abbiamo fornito, sia per E che per B, le leggi del flusso, avendo in
qualche modo definito quali siano i pozzi e le sorgenti per questi due campi.
Passiamo ora a quelle relative alla circuitazione; esse si presentano nella forma

∂B ⋅ n dS ,
E ⋅ t dl = - B ⋅ t dl = µ0 J + ε0 ∂E ⋅ n dS . (2.2)
∂t ∂t
Γ SΓ Γ SΓ

La legge che esprime la circuitazione del campo elettrico, conosciuta come legge
di Faraday - Neumann, dal nome dei due fisici che nel XIX secolo hanno condotto
gli esperimenti decisivi che hanno portato a scoprirla e formalizzarla così come ve
la presentiamo, stabilisce che l’integrale di linea del campo elettrico E, lungo una
qualunque linea chiusa Γ, è pari, a meno del segno, al flusso della derivata
temporale del campo di induzione magnetica B attraverso una qualunque
superficie aperta SΓ, che però abbia come orlo proprio Γ. Precisiamo che al
secondo membro della legge di Faraday - Neumann compare la derivata parziale
perché il campo di induzione magnetica è una grandezza che varia nel tempo e
nello spazio ed è quindi funzione del punto - istante. La solenoidalità del campo B
ci consente di scegliere una qualunque superficie che orli la linea chiusa Γ
(supposta non in movimento). Il segno meno che compare nella equazione è
dovuto alla scelta di utilizzare la regola del cavatappi (coincidente con quella della
mano destra) per orientare le curve e le superfici ed è quindi legato ad una
convenzione. Volendo, infatti, applicare la legge di Faraday - Neumann, bisogna
anzitutto scegliere un’orientazione per la curva Γ; il versore della normale alla
superficie SΓ sarà, di conseguenza, scelto secondo il verso di avanzamento di un
cavatappi che ruota concordemente all’orientazione scelta per Γ.
Passiamo ora alla circuitazione di B. Essa è nota come legge di Ampère -
Maxwell, in onore ad Ampère, il geniale fisico francese che per primo eseguì
fondamentali esperienze sulle interazioni tra correnti elettriche, ed a Maxwell, il
grande fisico scozzese ideatore della teoria elettromagnetica nella sua forma più
generale. Osservando con attenzione questa equazione, ci si rende conto che ancora
62 - Campi elettrici e magnetici

una volta la circuitazione, in questo caso quella di B, è proporzionale, per mezzo


del fattore µ0, al flusso di un campo vettoriale, somma di due contributi:

• il vettore J, il cui significato sarà chiarito tra poco;


• la derivata temporale del campo elettrico, a meno del fattore ε0.

In perfetta analogia al caso precedente, anche ora la scelta dei versori tangente e
normale viene fatta rispettando la regola del cavatappi. È chiaro allora che,
convenzione a parte, l’importante è che, nelle due leggi di circuitazione, i secondi
membri abbiano segni opposti.

Per completezza soffermiamoci sulle costanti universali ε0 e µ0 che figurano in


queste leggi. Si tratta di costanti che dipendono unicamente dal sistema di misura
adoperato, e che, nel Sistema Internazionale, valgono:

la costante dielettrica del vuoto ε0, con quattro cifre significative,

ε0 ≅ 8.854 • 10 -12 F ; (2.3)


m

la permeabilità magnetica del vuoto µ0

µ0 = 4π • 10 -7 H . (2.4)
m

Le rispettive unità di misura dipendono ovviamente dalla scelta del sistema di


misura e saranno chiarite meglio nel seguito.

A questo punto facciamo qualche commento.


Innanzitutto, osservando le due leggi, si nota una struttura molto simmetrica: la
circuitazione di E è pari, a meno del segno, al flusso della derivata temporale di B;
la circuitazione di B è pari, a meno del termine contenente la densità di corrente J,
al flusso della derivata temporale di E. In qualche modo, la circuitazione dell’uno
è legata al variazione temporale dell’altro. Detto in altri termini, sia E che B
hanno dei vortici, legati alle derivate temporali di B e di E, rispettivamente.
Oltretutto aver presentato le leggi in questo modo ci consente di osservare, così
come già accennato nella prefazione, il motivo per cui si parla di campo
elettromagnetico e non separatamente di campo elettrico e di campo magnetico: la
giustificazione di questa osservazione è espressa dalle due leggi relative alla
63 - Campi elettrici e magnetici

circuitazione con grande chiarezza. Le leggi relative ai flussi interessano


singolarmente i campi E e B; nelle leggi relative alle circuitazioni, questi due
campi sono legati tra loro, in quanto presenti nelle stesse equazioni, in maniera
inestricabile. È chiaro allora che l’evoluzione temporale e spaziale dei due campi
E e B non può essere determinata in maniera separata ed indipendente, ma occorre
considerarla congiuntamente.

A questo punto della trattazione, tutte le grandezze presenti nelle equazioni di


campo dovrebbero esservi chiare; tuttavia è giunto il momento di soffermarci sul
significato del vettore J, che abbiamo chiamato densità di corrente elettrica e che
compare a secondo membro della equazione di Ampère - Maxwell. Notiamo subito
che un termine analogo non compare nella legge di Faraday - Neumann, dato che,
non esistendo la carica magnetica libera, il cosiddetto monopolo magnetico, non
può nemmeno esistere la corrente ‘magnetica’: ciò, quindi, rappresenta un motivo
di asimmetria delle equazioni di campo.
Abbiamo già sottolineato che la carica Q, che compare nella legge di Gauss per il
campo elettrico, altro non è che la carica totale netta contenuta nella regione
delimitata da Σ: la carica elettrica positiva viene detta sorgente, quella negativa
pozzo, del campo elettrico. A differenza della carica che è uno scalare, il vettore
densità di corrente J è per definizione il prodotto tra la densità di carica elettrica
ρmobile, che si muove, e la velocità v con cui le cariche stesse si muovono:

J = ρmobile v . (2.5)

Per comprendere sino in fondo la definizione (2.5), immaginiamo che le cariche


elettriche libere, per intenderci gli elettroni in un buon conduttore, sotto l’azione
di un campo elettrico comincino a muoversi in maniera più o meno ordinata nella
direzione del campo, proprio come le particelle d’acqua nella corrente di un
fiume, mentre gli ioni che costituiscono il reticolo cristallino sono tutto sommato
fermi. Questo moto ordinato di cariche elettriche determina una corrente elettrica:
la grandezza vettoriale, che descrive, dal punto di vista cinematico, il fenomeno
della corrente, è una grandezza che deve contenere da un lato l’indicazione del
numero di cariche elettriche che si muovono attraverso ogni regione dello spazio,
cioè le cariche per unità di volume, dall’altro la velocità con cui queste cariche si
muovono. Ecco allora il senso profondo della definizione (2.5). È anche chiaro
che l’unità di misura della densità di corrente sarà data dal prodotto dell’unità di
misura della densità volumetrica di carica, cioè C/m3, per quella relativa alla
64 - Campi elettrici e magnetici

velocità, che come tutti sappiamo è pari a m/s. In definitiva l’unità di misura della
densità di corrente sarà

J = C m= C = A .
m3 s m2 s m2

Dovreste ricordare che all’inizio di questo volume, precisamente nella prefazione,


accennammo al fatto che il coulomb è una unità di misura troppo grande per la
carica legata a fenomeni di elettrizzazione o di elettrizzazione per strofinio, ma
che esso veniva scelto per descrivere compiutamente i fenomeni legati alla
corrente elettrica. È arrivato il momento di giustificare questa affermazione:
osservate con attenzione la Figura 2.1 che rappresenta una situazione istantanea
all’interno del conduttore e riporta, in maniera estremamente semplificata, ciò che
accade quando esso viene sottoposto all’azione di un campo elettrico esterno. Nel
suo complesso il conduttore è elettricamente neutro, cioè costituito da un certo
numero di cariche elettriche positive e dallo stesso numero di cariche negative: le
cariche positive, che rappresentano gli atomi privati di uno o più elettroni del
metallo che costituisce il conduttore, sono ferme, mentre le cariche negative sono
libere di muoversi all’interno del conduttore. Queste ultime, sotto l’azione di un
campo elettrico, cominceranno a muoversi in maniera orientata.

E A A'
ferme

_
+ +
v
_ _ +
+ _ in moto
_
+ + +
+ +
+ _
_ _ _ _

tratto generico

Figura 2.1: sezione di un conduttore.

Immaginiamo, in un primo momento, di essere in assenza di campo elettrico: in


questa situazione, le cariche negative si muovono in tutte le possibili direzioni
65 - Campi elettrici e magnetici

determinando una corrente nel complesso nulla. In altri termini, se immaginiamo


di fotografare il conduttore, in un certo istante di tempo, dato l’elevato numero di
elettroni presenti in un centimetro cubo di materia, troveremo un elettrone che
con una data velocità si muove da destra a sinistra, ma ne troveremo pure un altro
che, con la stessa velocità, si muove da sinistra a destra: questi due elettroni
producono corrente nulla come se stessero fermi. Inoltre, la somma di tutte le
cariche, positive e negative, presenti in un assegnato tratto di conduttore come
A - A', è sempre nulla, perché ci sono tante cariche positive quante negative, e
giacché il valore, in modulo, di ognuna di esse è lo stesso, alla fine la somma sarà
zero. Questo sarà vero per qualunque tratto di conduttore, fisicamente
macroscopico, cioè di dimensioni non atomiche, considerato.
Se, invece, all’interno del conduttore è presente un campo elettrico E, al moto
disordinato delle cariche negative se ne sovrappone un altro ordinato nella
direzione del campo elettrico, rappresentato da una quantità notevolissima di
cariche elettriche. Nella definizione della densità di corrente, naturalmente le
cariche positive non figurano, perché non sono mobili; l’unica cosa che compare è
il prodotto della densità di carica negativa per la velocità media che esse stesse
acquistano per azione del campo elettrico. Si comprende allora come sia possibile
avere, in un conduttore percorso da corrente, una densità di cariche mobili di
grandissimo valore, per la quale il coulomb è un’unità di misura adatta. Data
l’importanza tecnica del fenomeno corrente, rispetto a quello di cariche statiche, si
è preferito adottare il coulomb che bene si adatta a rappresentare questi fenomeni.

Siamo, a questo punto, in grado di completare il quadro delle leggi fondamentali


dell’elettromagnetismo nel vuoto.

Abbiamo già fornito per i due protagonisti del campo elettromagnetico, il vettore
campo elettrico e quello di induzione magnetica, le leggi del flusso e della
circuitazione, necessarie alla loro individuazione. Potrebbe sembrare allora che le
equazioni siano complete, cosa in un certo qual modo vera, almeno per quel che
riguarda il campo elettromagnetico: le quattro leggi, le due di Gauss, quella di
Faraday - Neumann e quella di Ampère - Maxwell sono tutte le leggi che ci
occorrono. Ne esiste, tuttavia, una quinta che non riguarda direttamente il campo
elettromagnetico ma interessa le sorgenti del campo, cioè le cariche e le correnti
elettriche. Essa è nota come legge di conservazione della carica elettrica e
rappresenta una legge fondamentale della Fisica, che completa il quadro della
teoria elettromagnetica e delle sue sorgenti nel vuoto. Nella sua forma più
generale, essa si può scrivere come
66 - Campi elettrici e magnetici

J ⋅ n dS = - dQ , (2.6)
dt
Σ

secondo cui il flusso del vettore densità di corrente elettrica, uscente da una
qualunque superficie chiusa Σ, è in ogni istante di tempo pari all’opposto della
variazione temporale della carica elettrica contenuta nella regione di spazio
delimitata da Σ. Approfondiamo ancora il significato della legge (2.6) ed
immaginiamo di considerare una superficie chiusa Σ generica, all’interno della
quale siano presenti, in un dato istante, delle cariche elettriche dei due segni,
alcune positive, altre negative, in maniera tale che in un generico istante ‘t’ di
tempo la carica netta contenuta in Σ valga

Q(t) = Q0 .

Supponiamo ancora che alcune delle cariche elettriche, contenute nella regione,
stiano, ad esempio, uscendo, come schematizzato in Figura 2.2. Dire che cariche
positive stanno uscendo vuol dire che in quell’istante ‘t’ è presente un vettore
densità di corrente diretto verso l’esterno.

Σ +
+ J
- +
+
-
+ + + +
-
- +
+ - n
+
- + +
-
+

Figura 2.2: conservazione della carica.

Ma allora su tutti i punti della superficie chiusa Σ vi sarà un distribuzione del


campo densità di corrente, il cui flusso uscente rappresenta un’indicazione del fatto
che la carica totale contenuta nella regione delimitata dalla superficie Σ sta
diminuendo, in quanto alcune cariche positive stanno lasciando il volume passando
attraverso la superficie. Ora, se la carica totale diminuisce, vuol dire che la
67 - Campi elettrici e magnetici

derivata nel tempo è negativa, cioè il suo opposto è positivo, proprio come il
flusso del vettore J uscente da Σ. Flusso in questo caso sicuramente positivo, visto
che il vettore J ed il versore normale sono concordi (Figura 2.2).
Per concludere illustriamo il significato fisico della legge espressa dalla (2.6). Essa
asserisce che le cariche elettriche non si creano, né si distruggono (ecco perché è
detta legge di conservazione della carica elettrica); o per lo meno non si è mai
verificato alcun fenomeno fisico nel quale si sia creata improvvisamente
all’interno di una regione dello spazio una singola carica elettrica. Esistono
esperimenti in cui cariche elettriche si creano o si annichiliscono, ma in ogni caso
questi fenomeni avvengono sempre a coppie, sicché la neutralità elettrica è
rispettata. In altri termini, in uno stesso luogo ed in uno stesso istante, due cariche
elettriche di pari modulo e di segno opposto si possono creare o distruggere
sempre in modo da avere carica netta, creata o distrutta, nulla. Stiamo
sottolineando con tanto vigore questa legge, che invece può sembrare quasi ovvia,
perché ovvia non è affatto; pensate che spesso si sostiene che la legge di
conservazione valga anche per la massa, cioè per la materia. Una delle espressioni
più tipiche, assai cara al filosofo Tito Lucrezio Caro, è che in natura nulla si crea
e nulla si distrugge. Nulla di più falso: il grande Albert Einstein ci ha insegnato
che la materia può crearsi e distruggersi trasformandosi in energia, secondo la
celeberrima equazione

E = m c2 .

Ciò non vale per la carica elettrica, come stiamo, a più riprese, sottolineando.

Evidenziamo, infine, che la corrente elettrica I, in regime stazionario e non, può


rigorosamente definirsi come il flusso del vettore densità di corrente considerato,
però, su una superficie aperta, non chiusa. Formalmente si può scrivere che

I= J ⋅ n dS , (2.7)
Σ

e l’integrale, avendo perduto il ‘circoletto’, deve essere eseguito su una superficie


Σ aperta (Figura 2.3).
68 - Campi elettrici e magnetici

Σ
J
n

Figura 2.3: definizione della corrente.

Nel caso in cui il vettore densità di corrente è costante ed uniforme su tutti i punti
della superficie Σ, allora si ottiene la relazione semplificata

I = J Σ cos β ,

essendo β l’angolo tra il vettore J ed il versore normale. In termini dimensionali


risulta agevolmente

I = J Σ = A m2 = A .
m2

2.3 Approfondimenti sulle equazioni di campo

Nel paragrafo precedente abbiamo enunciato le leggi generali


dell’elettromagnetismo nel vuoto, dove l’espressione ‘nel vuoto’ indica una
situazione idealizzata, nella quale non esiste alcun corpo materiale, ma invece
esistono cariche elettriche che si possono muovere in maniera arbitraria, cioè che
supponiamo di poter muovere a nostro piacimento. Queste leggi sono cinque e
costituiscono il quadro generale al quale faremo riferimento nel corso di questo
volume.

Perché le leggi sono cinque?

Abbiamo già detto nel paragrafo precedente che, sulla base del teorema di
Helmholtz, ogni campo vettoriale richiede due leggi per essere descritto
completamente, una per il flusso ed una per la circuitazione. Ora, ricordando che
il campo elettromagnetico è definito da una coppia ordinata di grandezze
vettoriali, il campo elettrico ed il campo di induzione magnetica, è chiaro che per
enunciare le leggi del campo occorre fornire una legge per il flusso ed una per la
circuitazione del campo elettrico ed altrettanto bisogna fare per il campo di
induzione magnetica. A queste quattro leggi, poi, va aggiunta una quinta legge, la
69 - Campi elettrici e magnetici

legge di conservazione della carica elettrica, che lega tra loro le sorgenti, cioè le
cariche e le correnti, del campo elettromagnetico.

Riscriviamo per chiarezza tutte le equazioni di Maxwell nel vuoto

legge di
E ⋅ n dS = Q ,
ε0 Gauss
Σ

∂B ⋅ n dS legge di
E ⋅ t dl = - ,
∂t Faraday - Neumann
Γ SΓ

legge di Gauss
B ⋅ n dS = 0 ,
Σ
per il magnetismo (2.8)

legge di
B ⋅ t dl = µ0 J + ε0 ∂E ⋅ n dS ,
∂t Ampère - Maxwell
Γ SΓ

legge di conservazione
J ⋅ n dS = - dQ .
dt della carica elettrica
Σ

Le due leggi relative ai flussi asseriscono che il campo elettrico ha sorgenti e


pozzi, rappresentati dalle cariche elettriche, mentre il campo magnetico non ha
sorgenti libere; quindi E non è conservativo per il flusso, mentre B lo è, cioè è
solenoidale. Poi ci sono le equazioni relative alle circuitazioni, dette
rispettivamente di Faraday - Neumann e di Ampère - Maxwell. Infine, abbiamo
riportato la quinta ed ultima equazione che stabilisce la conservazione della carica,
la quale, ricordiamo, non riguarda direttamente i campi, ma interessa da un lato le
sorgenti del campo elettrico, dall’altro i vortici del campo magnetico e come
abbiamo avuto modo di sottolineare stabilisce che la carica elettrica si conserva,
ovvero si crea e si distrugge a coppie.

Notate ancora una volta l’asimmetria dovuta all’inesistenza di cariche magnetiche


libere: infatti, laddove esistessero, contribuirebbero a produrre vortici per il
campo elettrico, ristabilendo una perfetta simmetria.
70 - Campi elettrici e magnetici

Adoperando la maniera semplificata di indicare gli integrali mostrata alla fine del
capitolo precedente, le equazioni (2.8) possono essere scritte nella forma più
concisa

ΦΣ E = Q , ΦΣ B = 0 ,
ε0

CΓ E = - ΦS Γ ∂B , CΓ B = µ0 ΦS Γ J + ε0 ∂E ,
∂t ∂t

ΦΣ J = - dQ ,
dt

dove Σ è una qualunque superficie chiusa e Γ è una qualsiasi linea chiusa.


Riepilogando il significato di queste equazioni, possiamo dire che

• il campo elettrico ammette pozzi e sorgenti, le cariche elettriche;


• il campo di induzione magnetica non ha né pozzi, né sorgenti;
• il campo E presenta vortici prodotti dalle variazioni di B nel tempo;
• il campo B presenta quali vortici le correnti e le variazioni di E nel tempo.

La legge di Faraday - Neumann, nota anche come legge di induzione


elettromagnetica, stabilisce che il campo elettrico è in generale non conservativo
per il lavoro, essendo un campo rotazionale, cioè un campo che ammette vortici,
dati dalle variazioni temporali del campo magnetico. Questa legge viene spesso
anche enunciata dicendo che tutte le volte che il campo di induzione magnetica
presenta una variazione nel tempo, per cui la sua derivata nel tempo sia diversa da
zero, viene prodotta una circuitazione di E non nulla, cui viene dato il nome di
forza elettromotrice (f.e.m.). La legge di Faraday - Neumann viene enunciata
dicendo che la forza elettromotrice del campo elettrico, valutata lungo una
generica linea chiusa Γ, è pari all’opposto del flusso della variazione nel tempo del
campo di induzione magnetica, attraverso una qualunque superficie aperta SΓ che
abbia la linea Γ quale orlo. C’è anche da dire che quando la linea Γ e la superficie
SΓ sono ferme, nel senso che non si muovono, né si deformano, allora la derivata
temporale può essere portata fuori dal segno di integrale, e si ha

CΓ E = - d B ⋅ n dS = - d ΦS Γ B . (2.9)
dt dt

71 - Campi elettrici e magnetici

In questo modo la legge di Faraday - Neumann può essere enunciata più


semplicemente dicendo che la forza elettromotrice del campo elettrico, lungo una
qualunque linea chiusa Γ è pari all’opposto della derivata nel tempo del flusso del
campo di induzione magnetica attraverso la superficie aperta SΓ, che orla Γ.

Passando alla legge di Ampère - Maxwell, possiamo dire che il campo di induzione
magnetica, in generale, è un campo non conservativo per il lavoro e presenta
vortici, costituiti sia dalla densità di corrente, sia dalle variazioni nel tempo del
campo elettrico. Per questo motivo spesso si dice che non solo le correnti
producono un campo magnetico, ma anche le variazioni del campo elettrico si
considerano al pari delle correnti. Tanto è vero che al termine

JS = ε0 ∂E (2.10)
∂t

venne dato, dallo stesso Maxwell, il nome di densità di corrente di


spostamento (a dire il vero non molto appropriato). Il nome andrebbe anche
bene per la parte ‘densità di corrente’ dato che questo termine ha le stesse unità di
misura della densità di corrente di conduzione J; tuttavia si mostra meno
appropriato per la specificazione ‘di spostamento’, che lascia pensare a qualche
entità in movimento, che, in realtà, non c’è, esistendo soltanto una variazione di
campo elettrico. Sarebbe più opportuno, in perfetta analogia a quanto fatto per la
legge di Faraday - Neumann, chiamare questo contributo ‘induzione
magnetoelettrica’, in modo da ribadire il fatto che una variazione nel tempo del
campo elettrico produce un vortice dell’induzione magnetica non nulla, cioè una
circuitazione che in perfetta corrispondenza al caso precedente può essere
chiamata forza magnetomotrice (f.m.m.). La cosa comunque più importante è
che nelle due leggi le cause e gli effetti si scambiano di ruolo, confermando, se ve
ne fosse ancora bisogno, l’indistinguibilità tra campo elettrico e il campo di
induzione magnetica.

A questo punto abbiamo completato il quadro delle leggi fondamentali


dell’elettromagnetismo (equazioni di Maxwell) nel vuoto. In realtà, questo è
quanto ci occorre per risolvere tutti gli eventuali problemi che si dovessero
presentare: l’unica cosa che manca è l’estensione al caso in cui siano presenti mezzi
materiali. Ma questo, come vedremo nei prossimi paragrafi, rappresenta un
semplice risvolto di quanto già fatto per il vuoto.
72 - Campi elettrici e magnetici

2.4 Casi particolari

Vogliamo, in questo paragrafo, soffermarci ancora sulle equazioni nel vuoto per
mettere in evidenza alcuni casi particolari che saranno di grande interesse per le
applicazioni che considereremo in questo volume e che ci torneranno utili anche
quando dovremo estendere le leggi del campo elettromagnetico nei mezzi
materiali. Esamineremo tra breve alcune situazioni fisiche particolari, che ci
faranno compenetrare meglio il significato fisico di queste leggi. Partiamo dal
primo caso, che va sotto il nome di Elettrostatica.

• Caso Statico (o Elettrostatico)


Questo modello particolare delle equazioni di Maxwell è il caso in cui le cariche
elettriche, che costituiscono le sorgenti del campo elettrico, sono tutte ferme, cioè
non si muovono. Cosa implica questo fatto?
Implica che tutte le velocità dei portatori di carica sono rigorosamente nulle

v=0,

da cui deriva che le densità di corrente sono anch’esse nulle, perché, come
certamente ricorderete, la densità di corrente J è data dal prodotto della densità
volumetrica di carica mobile ρmobile (diversa da zero in questo caso) per la velocità
media con cui queste cariche si muovono (grandezza, per ipotesi, nulla):

v = 0 → J = ρmobile v = 0 .

Non essendoci nulla che si muove, il campo elettromagnetico che andiamo a


considerare deve essere costante nel tempo. Questo si indica simbolicamente
dicendo che le derivate nel tempo di tutte le grandezze devono essere nulle, cioè

∂ ( )=0.
∂t

Sostituendo queste relazioni nella legge di Gauss, relativa al campo elettrico,


apparentemente non cambia nulla:

E ⋅ n dS = Q .
ε0
Σ
73 - Campi elettrici e magnetici

In realtà, l’unica cosa che cambia è che ora le grandezza campo elettrico, pur
continuando a variare in funzione delle coordinate spaziali, non dipende più da
quella temporale, cioè il campo elettrico sarà stazionario. Viceversa, dal fatto che
le densità di corrente sono tutte nulle, discende, in ossequio al teorema di
Helmholtz, che non c’è campo magnetico, e quindi

B=0.

Tornando alla legge di circuitazione di E e ricordando che la circuitazione del


campo elettrico è pari, a parte il segno, al flusso della variazione temporale del
campo B, essendo la variazione nel tempo nulla per ipotesi, ne deriva che la
circuitazione del campo elettrico estesa ad una qualunque linea chiusa Γ è nulla

E ⋅ t dl = 0 .
Γ

Nel caso elettrostatico, dunque, il campo elettrico presenta sorgenti che sono le
cariche elettriche, ferme per ipotesi, ma non presenta vortici e, quindi, è
irrotazionale (e da questa relazione discende la LKT).
Non discutiamo la legge di Ampère - Maxwell, cioè della circuitazione di B, in
quanto essa si riduce ad una identità, nel senso che il primo membro è nullo per
l’assenza del campo di induzione magnetica, come pure il secondo membro, dato
che sia il flusso della densità di corrente, sia il termine di densità di corrente di
spostamento, proporzionale alla derivata nel tempo del campo elettrico, sono nulli.
Segue da quanto detto che l’equazione di Ampère - Maxwell si riduce alla semplice
identità 0 = 0!
In conclusione, il caso più semplice che possiamo considerare è quello statico,
detto anche elettrostatico, in cui non solo tutte le grandezze sono stazionarie, cioè
non variano nel tempo, ma addirittura le correnti sono assenti in quanto le cariche
elettriche non si muovono. Questo implica che il campo magnetico è assente e che
il solo campo elettrico è presente, ma è un campo di tipo irrotazionale. L’ultima
osservazione da fare è che, a buon diritto, potremo parlare di solo campo elettrico
e non di campo elettromagnetico.

• Caso stazionario, modello in corrente continua


Veniamo ora ad un caso un po’ più complesso dato che faremo una nuova ipotesi:
la stazionarietà. Un caso stazionario non è un caso statico ed è conosciuto come
74 - Campi elettrici e magnetici

modello in corrente continua. La stazionarietà è un’ipotesi un po’ più debole della


staticità, nel senso che risulta ancora verificata la condizione che tutte le derivate
temporali sono nulle

∂ ( )=0,
∂t

ma ciò non comporta l’assenza di correnti. L’ipotesi che rimuoviamo, o che non
consideriamo più valida, è che le cariche siano ferme: ammettiamo, invece, che le
velocità dei portatori di carica siano diverse da zero e ciò implica, come
conseguenza, che siano presenti densità di corrente non nulle. Però queste densità
di correnti, per la stazionarietà, devono essere costanti nel tempo, diverse da zero
ma stazionarie, quindi variabili da punto a punto dello spazio ma costanti in
funzione del tempo. Allora, introducendo queste ipotesi nelle leggi generali
dell’elettromagnetismo nel vuoto troviamo, anzitutto, che la legge di Gauss resta
invariata:

E ⋅ n dS = Q .
ε0
Σ

Questa volta, però, non possiamo più dire che il campo B è nullo, in quanto ci
sono correnti (costanti) che sostengono il campo magnetico, e, quindi, anche la
legge di Gauss per il magnetismo appare invariata

B ⋅ n dS = 0 ,
Σ

a patto di tener presente che il vettore B che vi compare è una grandezza


stazionaria, cioè costante nel tempo.
Passiamo, ora, alle due leggi della circuitazione; per esse è facile notare che, come
nel caso statico, il campo elettrico è irrotazionale

E ⋅ t dl = 0 ,
Γ

mentre la circuitazione di B assume la forma semplificata:


75 - Campi elettrici e magnetici

B ⋅ t dl= µ0 J ⋅ n dS .
Γ SΓ

È evidente che non compare più il termine dovuto alle correnti di spostamento
essendo il caso stazionario, mentre compare il termine di corrente di conduzione.
Il campo elettrico ammette sorgenti ma non ammette vortici, quindi è
irrotazionale; il campo magnetico, al contrario, non ammette sorgenti, quindi è
solenoidale, ma ammette vortici, quindi è rotazionale. Inoltre, dalla legge di
conservazione della carica, ricaviamo che il flusso del vettore J è nullo

J ⋅ n dS = - dQ = 0 ,
dt
Σ

cioè J è un campo solenoidale (da questa relazione discende la legge di Kirchhoff


per le correnti, la LKC).
Un’ultima osservazione per quel che riguarda questo modello: anche in questo
caso, come nel precedente, possiamo, a buon diritto, parlare di campo elettrico e
di campo magnetico separatamente, non siamo obbligati a considerare il campo
elettromagnetico nel suo insieme, perché, come è evidente, le equazione relative al
campo elettrico comprendono soltanto grandezze elettriche, e nelle equazioni del
campo di induzione magnetica non compaiono termini relativi al campo elettrico.
Per questa ragione possiamo considerare separatamente le leggi di B e quelle di E,
circostanza che mette ancora di più in evidenza che, quando le grandezze variano
nel tempo, siamo, in generale, costretti a parlare di campo elettromagnetico,
mentre, in alcuni casi particolari, come quello che stiamo prendendo in esame,
possiamo, a buon diritto, parlare in maniera disaccoppiata di campo elettrico e di
campo magnetico.

Vi facciamo osservare, infine, che la teoria delle reti elettriche è una diretta
conseguenza delle leggi dell’elettromagnetismo stazionario.

• Caso lentamente variabile di tipo magnetico


Veniamo ora agli ulteriori casi sempre più complicati, che pure avremo modo di
considerare nel seguito. Il caso che andiamo a considerare è quello lentamente
variabile di tipo magnetico. Con questa frase intendiamo dire che abbiamo rimosso
l’ipotesi di stazionarietà, cioè le grandezze ora non sono più costanti nel tempo,
come avveniva sia nel caso statico sia in quello stazionario, ma sono variabili nel
76 - Campi elettrici e magnetici

tempo. Ciò nondimeno, il sistema fisico evolve nel tempo in maniera tale che la
variazione nel tempo delle grandezze elettriche risulta trascurabile:

∂E ≅ 0 , dQ ≅ 0 .
∂t dt

La variazione nel tempo del campo di induzione magnetica, invece, non può essere
considerata nulla e, pertanto,

∂B ≠ 0 .
∂t

Cosa si può dedurre da ciò?


Al solito, le leggi di Gauss, per il campo elettrico e per quello di induzione
magnetica, si presentano nella solita forma:

E ⋅ n dS = Q , B ⋅ n dS = 0 .
ε0
Σ Σ

Vale la pena sottolineare che, in questo caso, sia i campi sia la carica sono
grandezze variabili nel tempo, non più costanti.
Per quanto riguarda la legge della circuitazione relativa al campo E, non potendo
trascurare nel tempo le variazioni di B, essa si presenterà nella sua forma
completa:

∂B ⋅ n dS ,
E ⋅ t dl = -
∂t
Γ SΓ

quindi il campo elettrico sarà rotazionale.


Per quel che riguarda la circuitazione del campo B, questa volta il fatto che
possiamo ritenere trascurabile le variazioni nel tempo di E , fa in modo che a
secondo membro dell’equazione in esame non compaia il termine di densità di
corrente di spostamento, ma solo quello di corrente di conduzione:

B ⋅ t dl = µ0 J ⋅ n dS .
Γ SΓ
77 - Campi elettrici e magnetici

Per quel che riguarda la densità di corrente elettrica, si ha immediatamente la


seguente relazione

J ⋅ n dS = 0 ,
Σ

cioè la densità di corrente è un vettore solenoidale.


In definitiva, nel caso lentamente variabile di tipo magnetico, dei due effetti
incrociati, quello di induzione elettromagnetica, tipico della legge di Faraday -
Neumann e quello di induzione magnetoelettrica, tipico della legge di Ampère -
Maxwell, è presente solo il primo, laddove il secondo si può ritenere trascurabile.
Capite bene che non avremo più la possibilità di considerare separatamente il
campo elettrico e quello magnetico, in quanto un effetto incrociato è comunque
presente. Però è pur vero che l’assenza del secondo effetto incrociato, quello di
induzione magnetoelettrica, semplifica notevolmente la trattazione dei fenomeni
che ci troveremo a sviluppare nel seguito: si possono, infatti, risolvere prima le
equazioni che forniscono il campo B, poi, una volta noto questo campo, risolvere
le equazioni per il campo E. È questo il caso cui si fa riferimento più di frequente
nello studio delle macchine elettriche.
Il caso duale rispetto a quello lentamente variabile di tipo magnetico è quello
lentamente variabile di tipo elettrico, che ora esamineremo.

• Caso lentamente variabile di tipo elettrico


In questo caso, sia E che B sono in generale variabili nel tempo, non più costanti;
tuttavia la situazione che stiamo considerando rende possibile trascurare senz’altro
le variazioni nel tempo di B, mentre non possiamo trascurare le variazioni nel
tempo di E:

∂E ≠ 0 , ∂B ≅ 0 .
∂t ∂t

Diciamo subito che questo caso è utile per studiare tutti quei dispositivi, come il
condensatore, che operino in condizioni variabili nel tempo.
Per quel che riguarda le due leggi di Gauss, la situazione risulta inalterata:
78 - Campi elettrici e magnetici

E ⋅ n dS = Q , B ⋅ n dS = 0 .
ε0
Σ Σ

Venendo, invece, alle altre due leggi, ossia quelle di Faraday - Neumann e di
Ampère - Maxwell, osserviamo subito che nella prima, a causa delle ipotesi di
trascurabilità delle variazioni temporali del campo magnetico, il secondo membro
è zero, e quindi

E ⋅ t dl = 0 ,
Γ

ed il campo elettrico risulta conservativo rispetto al lavoro, cioè è irrotazionale. In


questo caso, il campo elettrico E si comporta come nei casi statico e stazionario.
Esaminiamo ora cosa succede alla legge di Ampère - Maxwell; non potendo più
trascurare il termine di densità di corrente di spostamento, discende che

B ⋅ t dl = µ0 J + ε0 ∂E ⋅ n dS .
∂t
Γ SΓ

Come nel caso precedente, non sono presenti entrambi gli effetti incrociati, ma è
presente solo quello magnetoelettrico: si possono, infatti, risolvere prima le
equazioni che forniscono il campo E, noto il quale è possibile risolvere le
equazioni per il campo B.
La presenza del termine di densità di corrente di spostamento comporta che il
vettore densità di corrente J non è più solenoidale:

J ⋅ n dS = - dQ ,
dt
Σ

e la conservazione della carica si presenta nella sua forma compiuta.


Veniamo, infine, al caso più generale quello in cui i campi variano rapidamente
nel tempo e nessuna derivata risulta trascurabile.

• Caso rapidamente variabile nel tempo


Si tratta del caso in cui non è possibile trascurare alcuna delle due variazioni nel
tempo delle grandezze, cioè
79 - Campi elettrici e magnetici

∂E ≠ 0 , ∂B ≠ 0 .
∂t ∂t

Entrambi i campi sono presenti significativamente e da ciò deriva che le leggi del
campo elettromagnetico si presentano nella loro forma generale, che è quella che
vi abbiamo presentato nel precedente paragrafo. Questo caso presenta uno
straordinario interesse sia teorico che applicativo, interesse che deriva dalla
presenza simultanea, nello spazio e nel tempo, dei due fenomeni incrociati, e cioè
quello di induzione magnetoelettrica e quello di induzione elettromagnetica. La
conseguenza diretta è che il campo elettromagnetico, in questo caso come nei due
precedenti, va pensato come un tutt’uno, come una grandezza fisica unica, sia pure
costituita da una parte elettrica e da una magnetica, ma soprattutto che esso
evolve nel tempo sotto forma di onde, cioè si sviluppa nel tempo con
caratteristiche analoghe a quelle delle onde di qualunque altro tipo, siano esse onde
acustiche, onde in una corda di violino oppure onde sulla superficie di un lago.
La propagazione delle onde elettromagnetiche, che è alla origine di tante
applicazioni pratiche di interesse vitale per il nostro tempo, la radio, la televisione,
la telefonia cellulare e tante altre, trae origine proprio dalla presenza simultanea
dei due effetti incrociati. In altri termini, laddove anche uno soltanto dei due
effetti sia assente, come avveniva nei due casi lentamente variabili, sia di tipo
elettrico che di tipo magnetico, non è più possibile avere la propagazione per onde
elettromagnetiche, ma si parla di fenomeni di diffusione.

Ora, però, è tempo che rispondiamo ad un’altra fondamentale domanda: quale


forma assumono le equazioni di Maxwell quando siano presenti dei mezzi
materiali quali isolanti, conduttori e materiali magnetici? Lo splendido e coerente
edificio che finora abbiamo costruito resta in piedi oppure crolla miseramente
sotto il suo stesso peso? Lo scoprirete nel prossimo paragrafo.

2.5 Mezzi materiali

Nei paragrafi precedenti sono state enunciate e commentate le leggi che descrivono
il comportamento del campo elettromagnetico nel vuoto. In questo paragrafo
cominceremo a percorrere la strada che ci consentirà di passare da queste leggi a
quelle generali in presenza di mezzi materiali. Già abbiamo detto più volte che le
leggi dell’elettromagnetismo nel vuoto assumono importanza fondamentale nel
quadro generale della teoria elettromagnetica; esse, però, si riferiscono ad una
situazione idealizzata, lontana dalla realtà che possiamo sperimentare, nella quale
80 - Campi elettrici e magnetici

sono presenti corpi materiali di ogni tipo: isolanti, conduttori, mezzi magnetici. È
fondamentale allora riuscire a ricavare le leggi anche nel caso in cui siano presenti
mezzi materiali. Ed è questo che ora ci accingiamo a fare.
In condizioni normali la materia è costituita da cariche elettriche dei due segni,
mescolate tra loro in maniera uguale, senza che ci siano correnti macroscopiche.
Pensate al fatto che la materia è formata da molecole, da atomi e che ciascun
atomo e ciascuna molecola è composta da cariche positive, i protoni, da cariche
negative, gli elettroni, e da particelle neutre, i neutroni. All’interno di ciascun
atomo, ed all’interno di ciascuna molecola, in condizioni normali, il numero di
protoni (cariche positive) è uguale a quello degli elettroni (cariche negative) e
quindi si presentano elettricamente neutri. La materia si presenta come un insieme
di cariche elettriche dei due segni, intimamente mescolate tra loro, che non
presentano alcun effetto macroscopico risultante.
Quando però su un corpo materiale agisce un campo elettromagnetico, che abbia la
sua origine all’esterno del corpo considerato (immaginiamo che ci siano delle
cariche elettriche che spostiamo a nostro piacimento al di fuori del corpo
materiale), esso evidentemente agirà sulle cariche che esistono nel corpo materiale,
esercitando un sistema di forze sulle cariche contenute all’interno del corpo stesso.
Sotto l’azione di queste forze le cariche possono muoversi separandosi tra loro,
alterando cioè quella situazione di neutralità locale, valida punto per punto
all’interno del corpo, e producendo moti orientati (correnti elettriche) all’interno
del corpo. Quando si verifichi che sotto l’azione di un campo elettromagnetico
esterno forzante le cariche si separino e si producano delle correnti, pur potendo
considerare il corpo globalmente neutro, è chiaro che sia queste cariche separate
che queste correnti contribuiscano a produrre il campo elettromagnetico, allo
stesso modo in cui il campo è prodotto dalle sorgenti esterne, quelle sulle quali
possiamo agire liberamente. In altri termini, il campo elettromagnetico, in
presenza di corpi materiali, viene ad essere prodotto non più soltanto dalle cariche
e dalle correnti libere, che noi immaginiamo di controllare completamente, ma
anche da cariche e correnti, che chiameremo legate perché dovute ai corpi
materiali stessi. Per effetto di un campo esterno si generano nei corpi materiali
cariche e correnti che, proprio in quanto legate al corpo, sono meno controllabili.
La presenza di un corpo materiale all’interno di una regione in cui è presente un
campo elettromagnetico produce i suoi effetti più importanti attraverso un
meccanismo per cui, oltre che essere presenti le cariche e le correnti libere,
vengono a prodursi altre cariche ed altre correnti, legate ai corpi materiali, che
insieme a quelle libere, contribuiscono a produrre il campo elettromagnetico
risultante. Ove mai il corpo materiale non fosse costituito da cariche elettriche dei
due segni intimamente mescolate tra di loro, ma fosse esclusivamente costituito da
81 - Campi elettrici e magnetici

particelle neutre, esso non avrebbe alcuna reazione ad influenze di tipo


elettromagnetico.
A questo punto è chiaro che l’effetto delle sorgenti legate al corpo finisce per
alterare la distribuzione del campo elettromagnetico prodotto dalle sorgenti libere
esterne al corpo stesso. Il problema sembra, almeno ad una prima indagine,
sostanzialmente presentare poche differenze rispetto al caso del vuoto. Si potrebbe
quasi affermare che le leggi sono ancora valide nel vuoto, a patto di considerare
tra le sorgenti e tra i vortici, che sono all’origine del campo elettromagnetico, non
soltanto quelli esterni liberi, ma anche quelli legati, indotti nei corpi materiali. Ed
in effetti la cose stanno così.

Ma allora dove nascono le difficoltà?

Le difficoltà nascono allorquando andiamo ad esaminare più da vicino il


meccanismo in base al quale si producono le sorgenti legate e come queste ultime
contribuiscono a determinare il campo elettromagnetico risultante. Nello schema a
blocchi di Figura 2.4 questo problema è rappresentato in maniera, speriamo,
sufficientemente chiara.

Sorgenti Campo Campo


Libere Forzante Risultante

Campo di Sorgenti
Reazione Legate

Figura 2.4: schema a blocchi per lo studio dell’interazione campo - materia.

Inizialmente abbiamo un sistema di sorgenti libere, con il quale creiamo una certa
distribuzione di cariche e correnti libere esterne al corpo. Queste sorgenti
producono un campo elettromagnetico, indicato come campo esterno o forzante, i
cui effetti si esercitano anche all’interno dei corpi materiali presenti. Il campo
risultante non coincide con il campo forzante, ma, come si nota dalla figura, è una
combinazione del campo forzante e del campo di reazione generato dalle sorgenti
legate: la ragione della accresciuta difficoltà della trattazione delle leggi
82 - Campi elettrici e magnetici

dell’elettromagnetismo in presenza di mezzi materiali, rispetto a quella che


abbiamo enunciato per il vuoto, sta tutta nella presenza di queste nuove sorgenti
indotte nei materiali. Le sorgenti legate, infatti, sono a loro volta sostenute dal
campo risultante e non soltanto, come in un primo momento avevamo immaginato,
dal solo campo forzante. Essendo le sorgenti legate l’effetto dell’intero campo che
agisce all’interno del corpo stesso, ci si presenta un ragionamento ciclico, una
reazione, che agisce un po’ come il cane che si morde la coda, dell’uscita
sull’ingresso secondo cui le sorgenti legate sono, ad un tempo, causa del campo
risultante, ma, in certa misura, ne sono anche l’effetto, come suggeriscono le
frecce dello schema a blocchi. Abbiamo in ultima analisi una situazione in cui il
campo elettromagnetico risultante e le sorgenti indotte nei corpi materiali non
sono più nel rapporto diretto in cui si trovavano quando eravamo nel vuoto; le
sorgenti legate determinano il campo elettromagnetico secondo una relazione
logica più complessa, in quanto costituiscono, ad un tempo, causa ed effetto.
È chiaro a questo punto che, ove mai potessimo conoscere esattamente la
distribuzione di tutte le sorgenti legate esistenti nei corpi materiali, cioè di tutte le
cariche e di tutte le correnti ivi esistenti, potremmo considerare queste sorgenti al
pari di quelle libere di modo che, utilizzando le equazioni di Maxwell nel vuoto,
potremmo arrivare a determinare il campo elettromagnetico risultante. Siamo di
fronte alla difficoltà di non poter determinare il campo risultante se non
conosciamo le sorgenti legate, e d’altra parte, per determinare le sorgenti legate,
abbiamo bisogno di conoscere il campo elettromagnetico risultante. Ed allora
occorre riuscire a determinare, contemporaneamente, tanto il campo
elettromagnetico risultante quanto le sorgenti legate, rompendo il circolo vizioso
nel quale siamo impantanati: verranno in nostro aiuto le cosiddette relazioni
costitutive che descrivono il comportamento del mezzo materiale.

I mezzi materiali soggetti a campi elettromagnetici possono comportarsi in


molti modi diversi, spesso combinati tra loro, nel senso che uno stesso corpo
materiale può presentare comportamenti diversi contemporaneamente. I principali
tipi di comportamento che possiamo riscontrare in un mezzo materiale sono:

• trasparente;
• isolante;
• magnetico;
• conduttore.

Ciascuno di questi comportamenti è caratterizzato da una relazione costitutiva, che


rappresenta una legge fisica con caratteristiche molto diverse rispetto alle leggi
83 - Campi elettrici e magnetici

generali dell’elettromagnetismo, di cui abbiamo fin ora parlato. Si tratta di legami


che descrivono in maniera quantitativa i diversi comportamenti che un corpo
materiale può presentare e che per ora abbiamo soltanto elencato.
In uno stesso materiale, abbiamo già detto, possono esistere vari tipi di
comportamenti: pensate, per esempio, ad un materiale che presenti
contemporaneamente fenomeni magnetici e conduttivi, come può essere il nucleo
di un trasformatore. Comunque, in uno stesso materiale, le relazioni costitutive
dipendono molto anche dalla rapidità di variazione nel tempo del campo
elettromagnetico, potendosi presentare relazioni costitutive di tipo radicalmente
diverso a seconda che esso sia soggetto ad un campo di tipo stazionario, lentamente
variabile oppure sia soggetto ad un campo rapidamente variabile. Diciamo che, in
questo testo, ci limiteremo a considerare essenzialmente situazioni stazionarie e
lentamente variabili, che sono quelle di maggiore interesse per le applicazioni
elettrotecniche. Nei prossimi paragrafi entreremo in maggior dettaglio ed a tal
fine daremo le relazioni costitutive che descrivono quantitativamente i diversi tipi
di comportamento. Qui limitiamoci ancora ad una descrizione intuitiva e
qualitativa.

Il primo comportamento, quello più semplice di tutti, è quello che abbiamo


indicato con l’attributo trasparente. In questo caso la situazione è molto
semplice: le sorgenti legate alla presenza del mezzo materiale che stiamo
considerando hanno effetti trascurabili e sono di scarsa entità. Ne deriva
semplicemente che in presenza di questi mezzi, come può essere l’aria oppure un
gas in condizioni normali, le leggi dell’elettromagnetismo conservano la forma che
abbiamo enunciato per il vuoto e, quindi, la presenza di un mezzo trasparente non
altera in maniera significativa il comportamento del campo elettromagnetico.
Questa, in fondo, è la ragione per la quale moltissime esperienze fisiche, cui
facciamo riferimento quando parliamo di elettromagnetismo, possono essere
effettuate in presenza di aria e non nel vuoto, come altrimenti bisognerebbe fare.

Il secondo comportamento tipico è quello cosiddetto isolante, tipico di quei


materiali dotati di pochissime cariche libere che possono muoversi al suo interno e
che vanno sotto il nome di isolanti. Presentano fenomeni di polarizzazione
elettrica, dei quali parleremo più diffusamente tra breve.

Il terzo comportamento è quello di tipo magnetico, tipico dei materiali che


esibiscono fenomeni di polarizzazione magnetica. Molti di essi presentano anche
portatori di carica liberi in numero considerevole e, quindi, non è improbabile
avere la sovrapposizione di un comportamento conduttivo a quello magnetico.
84 - Campi elettrici e magnetici

Il comportamento conduttore è quello tipico dei materiali conduttori, nei quali


sono presenti moltissimi portatori di carica liberi, come possono essere i metalli:
rame, alluminio, oro, argento. Gli atomi che costituiscono il metallo sono ordinati
in un reticolo cristallino in condizioni normali (TPS), cioè a temperatura e
pressione standard; ciascun atomo perde con grande facilità uno o più dei suoi
elettroni esterni, i quali diventano liberi di vagare all’interno del reticolo
cristallino del metallo, dando luogo sotto l’effetto di azioni prodotte da campi
esterni a fenomeni di moto collettivo, cioè fenomeni di corrente elettrica.

Infine, dei casi particolari di grande interesse del comportamento conduttore sono
quelli conosciuti come semiconduttore, superconduttore e plasma.
Un semiconduttore è tipicamente un materiale che è di per sé scarsamente
conduttore, però diventa un buon conduttore quando nel materiale siano state
aggiunte delle piccole quantità di impurità, cioè sostanze diverse ed opportune,
che, introdotte nel materiale in maniera controllata, alterano radicalmente l’entità
del fenomeno di conduzione elettrica tipica del materiale originario (si dice anche
materiale non drogato). Presentano, quindi, un comportamento che per questo
motivo è chiamato semiconduttore ed è di grandissimo interesse in tutte le
applicazioni elettroniche. Basti pensare che oggi tutti i dispositivi elettronici sono
basati su comportamenti di materiali di tipo semiconduttore.
I superconduttori sono altri materiali che, portati a temperature molto basse,
mostrano i tipici fenomeni di superconduzione, scoperti agli inizi del secolo
ventesimo su materiali portati a temperature prossime allo zero assoluto. Questi
particolari materiali, nelle condizioni descritte, presentano una drastica riduzione
della resistività elettrica che diventa nulla al di sotto di una temperatura dipendente
dal materiale adoperato e tipicamente bassissima, dell’ordine di pochi gradi kelvin.
È opportuno ricordare che negli ultimi anni si sono scoperti materiali
superconduttori che presentano fenomeni del genere anche a temperature
relativamente più alte di quelle di cui parlavamo prima.
Infine, un altro comportamento che negli ultimi decenni ha assunto notevole
rilevanza nel campo della ricerca fisica di base è quello del plasma, che si forma
all’altro estremo del campo di temperature (anche se questo non è l’unica maniera
per ottenere un plasma), siamo cioè in presenza di materia allo stato fluido portata
a temperatura dell’ordine di quelle che possiamo riscontrare nel nocciolo delle
stelle, cioè milioni di gradi. Anche in questo caso per motivi radicalmente diversi
da quelli per i quali si verifica il fenomeno della superconduttività, la conducibilità
tipica dei plasmi raggiunge valori considerevoli, dando luogo a tutto un insieme di
fenomeni particolari e nuovi che hanno dato origine ad un interessantissimo campo
85 - Campi elettrici e magnetici

di ricerca, la fisica del plasma appunto, le cui possibilità, per altro anche di
applicazione in campo pratico ed in campo energetico, sono allo studio da molti
anni.

Dopo questa rapidissima panoramica sui diversi tipi di comportamenti dei


materiali, possiamo esaminarli uno per volta, in maniera più dettagliata ed
approfondita, prima di arrivare ad enunciare per ciascuno di questi
comportamenti le tipiche relazioni costitutive.

Per quel che riguarda il comportamento di un materiale isolante, facciamo una


breve parentesi e ricordiamo che un dipolo elettrico è un sistema, nel suo
complesso neutro, costituito da due cariche di valore + q e - q di segno opposto,
separate da una distanza d.

+q -q
d t

Figura 2.5: rappresentazione schematica di un dipolo elettrico.

Queste due cariche separate producono un campo elettrico che, in punti non
troppo vicini al dipolo, dipende dal cosiddetto momento elettrico del dipolo; si
tratta di un vettore, indicato con la lettera p, diretto lungo la retta che congiunge
le due cariche, dalla carica negativa verso quella positiva (Figura 2.5), pari a

p=qdt,

cioè il modulo è dato dal prodotto del modulo della carica per la distanza tra le
cariche e t è il versore della retta congiungente le cariche diretto dalla carica
negativa a quella positiva. Quel che è importante osservare è che il campo elettrico
prodotto da un dipolo dipende in maniera forte dal momento elettrico di dipolo.

In cosa consiste il fenomeno di polarizzazione elettrica di un isolante?

Diciamo che un isolante è polarizzato elettricamente quando le particelle neutre


che lo costituiscono, atomi e molecole, si presentano come dei dipoli elettrici
orientati, mediamente, in una stessa direzione. In un isolante polarizzato, ciascuna
86 - Campi elettrici e magnetici

molecola e ciascun atomo, pur rimanendo di per sé neutri in quanto il numero di


protoni presenti nell’atomo e nella molecola è pari esattamente a quello degli
elettroni, non presenta un effetto elettromagnetico globalmente nullo, poiché le
cariche positive e quelle negative, presenti all’interno dell’atomo o della molecola,
si presentano separate tra loro di una distanza d, per cui la particella presenta un
effetto di tipo elettromagnetico a causa della esistenza di un momento elettrico di
dipolo. È chiaro allora che un isolante è tanto più polarizzato elettricamente,
quanto più orientati sono i dipoli che lo costituiscono. In condizioni normali, cioè
in assenza di qualunque azione di campi esterni, un isolante può anche presentare
al suo interno particelle come dei dipoli, orientati a caso in maniera che non esista
alcuna direzione preferenziale di orientamento dei dipoli stessi. In presenza invece
di azioni esterne, questi dipoli possono orientarsi, cioè può verificarsi una
situazione privilegiata di orientamento, ed in tal caso gli effetti elettromagnetici
prodotti dai dipoli stessi si sommano dando luogo ad un effetto risultante non
trascurabile, contribuendo in maniera significativa alla produzione del campo
elettrico non solo all’interno del materiale di cui stiamo parlando, ma anche nelle
vicinanze dello stesso.

Passiamo ora al comportamento dei materiali magnetici.


Anche in questo caso iniziamo con il ricordare la definizione del sistema fisico che
costituisce il protagonista di questo tipo di comportamento, cioè il dipolo
magnetico: un dipolo magnetico (Figura 2.6) è un sistema neutro costituito da
una corrente i che scorre in una spira di area S. Immaginate la spira come una
monetina sul cui bordo scorre una corrente e che racchiude un’area circolare di
valore S. Come per il caso elettrico, anche per il caso magnetico il campo di
induzione magnetica prodotto dalla spira dipende dal momento magnetico del
dipolo, definito dalla relazione

m=iSn.

Anche il momento magnetico è una grandezza vettoriale (come vettoriale era il


momento elettrico del dipolo), definito come prodotto della corrente che circola
nella spira per la superficie da essa racchiusa, mentre la sua direzione è quella
normale alla spira stessa. Il verso della normale e quello della corrente rispettano
la regola del cavatappi, più volte richiamata. Il dipolo magnetico è il protagonista
dei fenomeni di polarizzazione magnetica, in maniera analoga al dipolo elettrico,
protagonista dei fenomeni di polarizzazione elettrica. E come in quel caso
avevamo sottolineato che la materia in condizioni normali può essere considerata
come composta da un insieme di dipoli elettrici, anche in questo caso potremmo
87 - Campi elettrici e magnetici

ritenere che la materia, in condizioni normali, sia costituita da un apparato di


dipoli magnetici.

i
n

Figura 2.6: schema di un dipolo magnetico orientato.

Questi dipoli, ancora una volta, hanno origine negli atomi e nelle molecole che
costituiscono il materiale che stiamo considerando e possiamo in qualche modo
immaginare che queste correnti elementari siano associate tanto ai moti di
rivoluzione degli elettroni attorno ai nuclei, quanto agli stessi moti di rotazione
attorno al proprio asse (si dice di spin) degli elettroni, almeno in una visione
estremamente semplificata dei fenomeni. Quel che possiamo aggiungere è che, in
condizioni normali, in assenza cioè di azioni esterne, questi diversi momenti
magnetici associati ai diversi atomi, siano orientati a caso; non esiste, quindi,
alcuna direzione privilegiata nello spazio, ed i campi magnetici prodotti da tutti
questi dipoli, sommandosi vettorialmente tra loro, hanno mediamente un effetto
nullo o comunque trascurabile. Quando accade, invece, che agisce sul materiale un
campo elettromagnetico di origine esterna, allora può accadere che i diversi dipoli
che costituiscono il materiale in qualche modo tendano ad orientarsi in una
direzione privilegiata, ed in tal caso il loro effetto risultante non sarà più
trascurabile, potendo contribuire in maniera significativa alla produzione del
campo elettromagnetico, sia all’interno del materiale che nelle sue vicinanze. In
ultima analisi, possiamo dire che un materiale è magnetizzato quando le particelle
che lo costituiscono si presentano come dipoli magnetici orientati mediamente in
una stessa direzione. Ed è ovvio anche che un materiale è tanto più magnetizzato
quanto maggiore è il numero dei dipoli magnetici orientati.

A questo punto, la descrizione qualitativa dei diversi fenomeni di cui abbiamo


parlato può ritenersi esaurita. Dobbiamo ora uscire dall’ambito qualitativo e
descrittivo di questi fenomeni per descriverli in maniera quantitativa, in modo da
88 - Campi elettrici e magnetici

poter enunciare, per ciascuno di questi tipi di comportamento, le relazioni


costitutive e, quindi, poter caratterizzare i diversi tipi di comportamento. Questo è
ciò che faremo nel prossimo paragrafo.

2.6 Relazioni costitutive

Nel paragrafo precedente abbiamo cominciato ad introdurre il comportamento dei


mezzi materiali quando sono soggetti a campi elettromagnetici. Abbiamo iniziato
con il descrivere qualitativamente i diversi tipi di comportamento ed abbiamo
accennato al fatto che la descrizione quantitativa di questi fenomeni viene fatta
per mezzo di leggi fisiche, dette relazioni costitutive, che assolvono il compito di
specificare i diversi comportamenti di ciascun materiale. Abbiamo anche detto che
queste relazioni ci aiutano a superare la difficoltà logica davanti alla quale ci
venivamo a trovare nel momento in cui non siamo a conoscenza della
distribuzione di tutte le sorgenti legate ai corpi materiali. Per il momento, però,
supponiamo di poter saltare a piè pari questa difficoltà logica, supponendo di
osservare quel che accade all’interno dei corpi materiali ed immaginiamo di avere
degli strumenti di misura opportuni, che ci consentano di effettuare tutte le misure
di cui abbiamo bisogno per determinare la situazione particolare in cui si trova ad
operare il corpo materiale che stiamo considerando.

2.6.1 Polarizzazione elettrica

Iniziamo dalla polarizzazione elettrica degli isolanti. Come abbiamo visto nel
paragrafo precedente, il fenomeno della polarizzazione elettrica è il fenomeno per
cui ciascuna parte, per quanto piccola, del materiale si trova ad essere polarizzata
elettricamente: le molecole, che compongono un pezzetto di materia, si trovano ad
avere i loro momenti di dipolo elettrico orientati preferenzialmente in una certa
direzione. Allora è chiaro che il protagonista di cui abbiamo bisogno per
introdurre una relazione costitutiva, che riesca a descrivere compiutamente questo
fenomeno, è una grandezza che sia capace di dire quale sia il momento di dipolo
risultante per ciascun pezzetto di materia del corpo che stiamo considerando.
Supponiamo di avere un pezzetto elementare appartenente al materiale e che
questo corpo materiale sia polarizzato. Abbiamo bisogno di conoscere quale sia il
momento di dipolo risultante dovuto alla presenza di tutti i dipoli elementari
contenuti all’interno di questo elemento di volume. In altri termini, vogliamo
conoscere quella che comunemente viene chiamata polarizzazione P. Si tratta di
una grandezza vettoriale che, moltiplicata per l’elemento di volume elementare
89 - Campi elettrici e magnetici

dV, occupato dal pezzetto di materia considerato, ci fornisce il momento di dipolo


risultante di tutti i dipoli che si trovano nel volumetto dV, cioè

dp = P dV .

Ad esempio, se diciamo che in quel volumetto esiste una intensità di polarizzazione


pari a P, allora vorrà dire che la somma vettoriale di tutti i momenti di dipolo
delle diverse particelle contenute in questo volumetto è pari proprio a P dV.

dV = dx dy dz
dz
dy
dx

Figura 2.7: volume elementare polarizzato.

Si vede immediatamente, a questo punto, che la definizione di questo nuovo


protagonista, di questa grandezza capace di descrivere quantitativamente l’entità
del fenomeno polarizzazione, è data formalmente dal rapporto tra il momento di
dipolo risultante dp ed il volume dV, di cui stiamo parlando. Per questo motivo,
l’intensità di polarizzazione elettrica è definita come il momento di dipolo per
unità di volume

P = dp .
dV

L’unità di misura di P, considerando la relazione precedente, è

dp
P = =Cm = C .
dV m3 m2

Chi è l’altro protagonista del fenomeno di polarizzazione elettrica?

Abbiamo già detto che la polarizzazione in un materiale isolante (o dielettrico) è


prodotta dal campo elettrico che agisce sul materiale stesso. È chiaro quindi che i
due protagonisti del fenomeno polarizzazione sono l’intensità di polarizzazione,
90 - Campi elettrici e magnetici

che come abbiamo visto è in grado di descrivere quantitativamente il fenomeno


polarizzazione, ed il campo elettrico, che è all’origine del fenomeno stesso. Ciò
vuol dire che la relazione costitutiva di questo tipo di materiale, capace di
descrivere il fenomeno della polarizzazione, deve essere una relazione che leghi
l’intensità di polarizzazione, presente in un elemento del corpo materiale
considerato, al campo elettrico agente sullo stesso elemento. La relazione
costitutiva di cui abbiamo bisogno deve essere, allora, una relazione del tipo

P=F E ,

cioè una funzione, che per il momento lasciamo generica, che metta in relazione
l’intensità di polarizzazione ed il campo elettrico agente sullo stesso elemento di
volume. È chiaro, come si dice, che si tratta di una relazione che caratterizza il
comportamento del materiale e che sarà valida in tutti i punti del corpo materiale.
Quindi in ciascun punto del corpo materiale, supposto omogeneo (avente, cioè la
stessa costituzione in ogni suo punto), avremo che, conoscendo questo tipo di
funzione, che ad ogni valore del campo E associa il corrispondente valore di P,
ove sia noto il campo elettrico, in quel punto è possibile determinare anche
l’intensità di polarizzazione e, viceversa, ammesso che il legame imposto dalla
funzione sia invertibile (il che, per inciso, non sempre accade). Vale la pena
osservare che il campo E, che è all’origine del fenomeno di polarizzazione, è il
campo risultante e non solo quello esterno, quello che avevamo chiamato forzante;
esso non è solo quello prodotto dalle cariche libere, ma da quelle libere e quelle
legate. Questo punto va sottolineato con forza, in quanto è grazie a questa
assunzione che abbiamo la possibilità di sciogliere il nodo logico di cui in
precedenza abbiamo parlato.
Quindi la relazione costitutiva tipica di un fenomeno di polarizzazione elettrica
consente di valutare l’intensità di polarizzazione che si verifica nel materiale
quando sia nota l’intensità del campo risultante agente nel materiale.
Per motivi che chiariremo tra breve, è conveniente introdurre anche una nuova
grandezza vettoriale che è detta vettore spostamento elettrico. Questa
grandezza vettoriale, solitamente indicata con D, è anche nota come induzione
elettrica ed è definita come

D = ε0 E + P , (2.12)

cioè come la somma di due vettori l’intensità di polarizzazione e campo elettrico,


moltiplicato per la costante ε0. Vale la pena notare ancora una volta che il vettore
91 - Campi elettrici e magnetici

campo elettrico, che compare nella definizione (2.12), è quello risultante e non
quello forzante. Non stiamo ora a chiederci il perché introduciamo questa nuova
grandezza vettoriale, che se volete è di tipo un po’ misto, nel senso che contiene in
sé tanto la grandezza che descrive l’entità del fenomeno polarizzazione elettrica,
quanto la causa, cioè il campo elettrico che produce quella polarizzazione. Le
dimensioni di D sono le stesse di quelle di P, cioè C/m2.
Dalla definizione (2.12) è chiaro che la relazione costitutiva tipica del fenomeno di
polarizzazione elettrica, che prima avevamo dato come legame tra campo elettrico
risultante ed intensità di polarizzazione, a questo punto, può anche essere data
come legame tra il vettore spostamento ed il campo elettrico:

D=G E .

Basta infatti sostituire nella definizione di D, al posto di P la vecchia relazione


costitutiva F E per ottenere il legame tra E e D. Notiamo esplicitamente che le
due rappresentazioni sono equivalenti e possiamo dire che quasi tutti i materiali
isolanti, in condizioni stazionarie o quasi stazionarie, vengono contemplati da
questo genere di relazione.
Passiamo ora a considerare il caso più semplice di relazione costitutiva, quello
relativo ad un mezzo lineare ed isotropo. Sinteticamente, questo caso è quello in
cui semplicemente l’intensità di polarizzazione è direttamente proporzionale al
campo elettrico risultante

P = ε0 χe E , (2.13)

laddove il fattore di proporzionalità è dato dal prodotto della solita costante


universale ε0 per una nuova costante χe, che prende il nome di suscettività
elettrica e rappresenta una quantità adimensionale, intrinsecamente non negativa.

La relazione (2.13) è valida solo se il campo elettrico è, in modulo, inferiore ad


un certo valore critico, detto rigidità dielettrica. Al di sopra di questo valore, i
dielettrici reali (solidi, liquidi o gassosi) non sono più in grado di sopportare alcun
incremento nel modulo del campo e si verifica una scarica elettrica, detta
disruptiva, accompagnata da effetti termici e luminosi, che può anche distruggere
il dielettrico. La rigidità dielettrica è influenzata da molti fattori tra i quali vi sono
certamente la durata della sollecitazione, la configurazione del campo, la
temperatura, la pressione e l’umidità. Più avanti, in una tabella comparativa,
daremo alcuni valori numerici di questo importante parametro.
92 - Campi elettrici e magnetici

Allora possiamo dire che ci sono molti materiali dielettrici, che in un discreto
campo di valori del loro funzionamento, presentano un comportamento
caratterizzato dalla relazione (2.13) e, quindi, da un determinato valore della
suscettività elettrica. Per il momento immaginiamo di trovarci di fronte ad un
materiale per il quale sia noto il valore della suscettività elettrica, per cui sia
possibile, noto il campo elettrico risultante, determinare l’intensità di
polarizzazione. Notiamo esplicitamente che il comportamento è lineare, infatti se
il campo elettrico raddoppia, raddoppia l’intensità di polarizzazione, se il campo
elettrico dimezza, dimezza l’intensità di polarizzazione. Il legame è anche isotropo
perché constatate che il vettore P ed il vettore E sono tra loro allineati, essendo
proporzionali, e la direzione ed il verso di P coincidono con quelli di E. Questo fa
sì che, anche al variare della direzione del campo elettrico, i due vettori restano
paralleli ed è in questo senso che il legame è isotropo. Resta inteso che ci siamo
limitati a considerare il caso più semplice, quello dei mezzi materiali che hanno
comportamento lineare ed isotropo, anche se avremmo potuto considerare mezzi
molto più complessi, dato che nelle applicazioni cui faremo riferimento in questo
testo il comportamento tipico che avremo modo di considerare è proprio quello
lineare ed isotropo.

Abbiamo già accennato al fatto che la relazione costitutiva tra P ed E ci fornisce


immediatamente anche quella tra D ed E. Ricordando, infatti, la definizione (2.12)
del vettore spostamento elettrico e sostituendo in essa la relazione (2.13), si può
scrivere

D = ε0 E + P = ε0 E + ε0 χe E = ε0 1 + χe E ,

ed ottenere che anche lo spostamento elettrico, come già l’intensità di


polarizzazione elettrica, risulta proporzionale al campo elettrico. Naturalmente il
fattore di proporzionalità non è più ε0 χe, ma ε0 1 + χe , ciononostante la
relazione ha conservato le caratteristiche di linearità ed isotropia. Tipicamente al
termine ε0 1 + χe viene dato il nome di costante dielettrica (assoluta) del
materiale, indicata con ε, ed in tal caso la relazione costitutiva tipica di un
materiale isolante, lineare ed isotropo, diventa

D=εE . (2.14)
93 - Campi elettrici e magnetici

Le dimensioni della costante dielettrica, che coincidono con quelle di ε0 essendo la


suscettività adimensionale, si ricavano immediatamente dalla (2.14)

C
D m2
ε = = = C = F ,
E V mV m
m

dove abbiamo definito il farad (F) come il rapporto tra il coulomb ed il volt. È
abitudine diffusa riferirsi non tanto alla costante dielettrica, quanto alla costante
dielettrica relativa, definita come

ε 1 + χe
εr = ε = 0 = 1 + χe . (2.15)
ε0 ε0

La costante dielettrica relativa del materiale è una grandezza adimensionale e


sempre maggiore oppure uguale all’unità, cioè è almeno pari a quella del vuoto
ma non minore, dato che non esistono materiali che hanno una costante dielettrica
inferiore a quella del vuoto. Riportiamo nella tabella che segue le costanti
dielettriche relative di alcuni materiali di uso comune, valori che vi aiuteranno a
giustificare alcune affermazioni fatte nei paragrafi precedenti.

Materiali di uso comune εr Rigidità (kV/mm)


vuoto 1 ∞
aria (a TPS) 1.00054 0.8
acqua 78.0 -
vetro pirex 4.5 13
porcellana 6.5 4
carta 3.5 14
polistirolo 2.6 25
teflon 2.1 60
biossido di titanio 100 6

Infine, riportiamo senza dimostrare il legame fondamentale tra l’intensità di


polarizzazione e le cariche legate

QLEG = - P ⋅ n dS , (2.16)
Σ
94 - Campi elettrici e magnetici

legame che traduce in termini matematici di flusso la relazione che esiste tra le
cariche indotte nel materiale, legate a fenomeni di polarizzazione elettrica, al
vettore P che descrive lo stato di polarizzazione in ogni volume elementare del
materiale. La dimostrazione richiede considerazioni e teoremi di calcolo vettoriale
che non ci sembra opportuno riferire in questa sede.

2.6.2 Polarizzazione magnetica

Dopo aver discusso delle relazioni costitutive nei casi di polarizzazione elettrica,
passiamo ad esaminare la polarizzazione dei mezzi magnetici. Il discorso è in
qualche modo facilitato da ciò che già sappiamo a proposito della polarizzazione
elettrica, perché, anche in questo caso, avremo bisogno di definire anzitutto il
protagonista della situazione. E chi sarà? Dovrà essere una grandezza capace di
descrivere quantitativamente lo stato di polarizzazione magnetica di un materiale
e, quindi, come nel caso elettrico anche in questa nuova situazione ci tornerà utile
introdurre una grandezza vettoriale, l’intensità di magnetizzazione, definita in
modo del tutto simile all’intensità di polarizzazione. Anche in questo caso
l’intensità di magnetizzazione è fornita dal momento di dipolo magnetico per unità
di volume presente nel mezzo materiale. Immaginiamo di considerare un
elementino di volume del mezzo materiale magnetizzato e di valutare il momento
magnetico risultante, dovuto alla presenza di tutti i dipoli magnetici contenuti
all’interno del volumetto considerato, come prodotto del vettore intensità di
magnetizzazione per il valore del volume dV, del pezzetto di materia che stiamo
considerando

dm = M dV .

È chiaro che, come in precedenza, non è difficile determinare le dimensioni


dell’intensità di magnetizzazione; posto, infatti,

M = dm ,
dV

segue che (ricordate la definizione di m?)

I S A m2 A
M = = = .
V m3 m
95 - Campi elettrici e magnetici

Ancora una volta, seguendo il percorso logico che abbiamo delineato per il caso
elettrico, l’altro protagonista della relazione costitutiva deve essere evidentemente
il campo di induzione magnetica B: il legame causa - effetto, sia pure complesso,
nei termini cui facevamo riferimento in precedenza, è tra lo stato di
magnetizzazione del materiale ed il campo di induzione agente in esso. È appena il
caso di sottolineare che B rappresenta il campo risultante, prodotto sia dalle
sorgenti esterne al corpo materiale, sia da quelle interne al corpo stesso. Il legame
costitutivo è un legame indicato genericamente dalla funzione

M=F B ,

che ci consente, per ogni valore di B, di determinare la corrispondente intensità di


magnetizzazione, ovvero da M di ricavare B, laddove la funzione sia invertibile. È
il caso di sottolineare che questo tipo di relazione costitutiva, per quanto generale
possa apparire, è in realtà insufficiente a descrivere il comportamento di certi
mezzi materiali di grande interesse nell’ambito applicativo: i materiali isteretici.
Abbiamo, dunque, tutti gli strumenti idonei per conoscere con esattezza tutto ciò
che accade nel mezzo materiale magnetizzato: in ogni suo punto conosciamo qual è
l’intensità di magnetizzazione M e quale valore assume il campo risultante di
induzione magnetica B. Siamo pronti ad introdurre una nuova grandezza
vettoriale, nota come intensità di campo magnetico, indicata con H, definita come

H= B -M (2.17)
µ0

che, come il vettore spostamento elettrico D, ci tornerà molto utile per scrivere le
equazioni di Maxwell nei mezzi materiali. Ricorderete certamente che µ0 è la
permeabilità magnetica (assoluta) nel vuoto. Le dimensioni del campo magnetico
H sono naturalmente le stesse di quelle di M e, quindi, A/m. Se confrontate la
relazione (2.17) con la (2.12), potrete riscontrare una lieve differenza formale:
per definire il nuovo vettore, nel caso magnetico, dobbiamo operare una
differenza, non una somma vettoriale, come nel caso elettrico.
Come abbiamo già fatto in precedenza, possiamo fornire la relazione costitutiva,
che descrive il comportamento magnetico dei materiali, anche come

H= G B ,
96 - Campi elettrici e magnetici

in cui H svolge il ruolo che occupava D nel caso elettrico, mentre B è il


corrispondente di E (non lasciatevi, tuttavia, ingannare dalla similarità delle unità
di misura che suggerirebbe una dualità tra i campi H ed E, ovvero tra B e D).
Sottolineiamo che questa relazione è equivalente alla precedente: una volta che sia
nota la relazione costitutiva, in una qualsiasi delle forme, ricorrendo alla
definizione dell’intensità del campo magnetico H, siamo in grado immediatamente
di determinare anche l’altra forma.
Anche nella polarizzazione magnetica assume interesse pratico e concettuale il caso
più semplice di mezzo lineare ed isotropo, in cui

M = χm B , (2.18)
µ0

e l’intensità di magnetizzazione M risulta proporzionale al campo B. Il fattore di


proporzionalità χm, a parte la permeabilità µ0, viene detto suscettività magnetica.
Contrariamente al caso elettrico questa volta χm, che rimane ancora una grandezza
adimensionale, può assumere sia valori positivi che negativi e, in ogni caso, si
mantiene molto più piccola dell’unità

|χm| « 1 .

Vedremo più avanti che esistono dei casi in cui questa affermazione non è vera,
ma non preoccupatevene troppo, dato che saranno casi in cui il legame tra M e B
non è più né lineare, né isotropo. Comunque, restando per il momento nel caso di
linearità ed isotropia, ricaviamo il legame tra H e B; sostituendo la relazione
(2.18) nella definizione (2.17), risulta

H = B - M = B - χm B = 1 - χm B .
µ0 µ0 µ0 µ0

Da quest’ultima espressione segue che H è proporzionale a B secondo il fattore

1 - χm
µ0

che viene specificamente indicato come

1 - χm = 1 .
µ0 µ
97 - Campi elettrici e magnetici

Quindi il legame tipico lineare tra i campi H e B è

H= 1 B → B = µH, (2.19)
µ

e la costante µ prende il nome di permeabilità magnetica assoluta del materiale, in


modo da distinguerla da quella relativa, ottenuta al solito dividendo quella assoluta
per quella assoluta del vuoto

µr = µ = µ0 = 1 . (2.20)
µ0 µ0 1 - χm 1 - χm

Dalla (2.20) si capisce che, essendo χm sia positiva che negativa, segue che µr può
assumere valori maggiori oppure minori dell’unità. Questo vuol dire che
contrariamente al caso elettrico in cui la ε è in ogni caso maggiore o al più uguale
a quella del vuoto, nel caso magnetico, la µ può risultare sia minore che maggiore
di quella del vuoto. L’unità di misura di µ, coincidente con quella di µ0, è

Wb
B 2
µ = = m =H,
H A m
m

in cui l’henry (H) è dato dal rapporto tra il weber (Wb) e l’ampere (A).

Possiamo a questo punto fare una prima classificazione dei diversi tipi di materiali
magnetici. Chiameremo materiali diamagnetici quei materiali per i quali la µr
risulta minore dell’unità

µr < 1 (materiali diamagnetici) .

Chiameremo altresì materiali paramagnetici quei materiali per cui la µr risulta


maggiore dell’unità

µr > 1 (materiali paramagnetici) .

È bene chiarire, a scanso di equivoci, che, in realtà, entrambi questi tipi di


materiali sono sostanzialmente trasparenti nel senso che il loro valore di
permeabilità magnetica relativa è molto prossimo all’unità. Riportiamo di seguito
98 - Campi elettrici e magnetici

una tabella in cui sono presenti, con i propri valori di µr, i più comuni materiali
diamagnetici e paramagnetici.

Materiali Tipo µr
Rame Diamagnetico 0.999991
Bismuto Diamagnetico 0.99984
Aria (a TPS) Paramagnetico 1.0000004
Platino Paramagnetico 1.0003

Radicalmente diversa è la situazione di quei materiali che vanno sotto il nome di


ferromagnetici, costituiti dal ferro o da molte leghe del ferro. Questi materiali
hanno un comportamento che è molto più complicato rispetto a quello che
abbiamo classificato come diamagnetico e paramagnetico. Di questo
comportamento più complicato, dato l’enorme interesse applicativo in
Elettrotecnica, parleremo più avanti; per il momento ci basti dire che, fin quando
questi materiali si comportano in maniera lineare ed isotropa, o come si è soliti
dire lavorano ‘in zona lineare’, essi presentano un comportamento radicalmente
diverso dai due introdotti in precedenza, che sono pressoché trasparenti. I
materiali ferromagnetici mostrano una permeabilità magnetica relativa che è
molto più grande dell’unità

µr » 1 (materiali ferromagnetici) .

Riportiamo di seguito una tabella in cui sono presenti i più comuni materiali
ferromagnetici con le relative permeabilità magnetiche relative.

Materiali ferromagnetici µr
Ferro 25000
Ghisa 70
Lega Fe - Si 30000
Supermalloy 100000

È chiaro allora a questo punto che i fenomeni magnetici sono radicalmente


diversi. Per rendere ancora più visibile questa differenza, abbiamo riportato in
Figura 2.8 l’andamento tipico, nel piano B - H, della caratteristica lineare di un
materiale magnetico (con scale differenti per le ascisse e le ordinate).
99 - Campi elettrici e magnetici

B
µ » µ0

µ > µ0 B = µ0 H
µ < µ0

0 H

Figura 2.8: diagramma nel piano B - H.

Notate innanzitutto la relazione costitutiva B = µ0 H del vuoto, che, come potete


constatare, è una retta. Poi, subito al di sotto, di questa caratteristica, abbiamo
riportato l’andamento tipico per un materiale diamagnetico, che presenta una
permeabilità magnetica leggermente minore di quella del vuoto, µ < µ0. Come si
vede, si tratta ancora di una caratteristica lineare, ma con pendenza minore di
quella del vuoto. Immediatamente sopra è riportato il caso dei materiali
paramagnetici, quelli per cui µ > µ0; si tratta ancora di una retta, ma con pendenza
lievemente superiore a quella del vuoto. Se ora volessimo riportare il caso dei
materiali ferromagnetici, avremmo qualitativamente, nei limiti in cui è ancora
possibile parlare di comportamento lineare del materiale, una retta con una
pendenza molto elevata, dato che µ » µ0. Cosa comporta avere una µr tanto
elevata? La risposta è semplice: il campo magnetico B prodotto in un materiale
ferromagnetico, per effetto di una data corrente, circolante in un circuito esterno,
è enormemente più grande di quello che la stessa corrente produrrebbe in aria.
Questa è la particolarità che rende così interessanti questi materiali.

Prima di concludere questo paragrafo, come abbiamo già fatto per il caso della
polarizzazione elettrica, forniamo il legame matematico tra l’intensità di
magnetizzazione e le correnti indotte nel materiale dal campo esterno, correnti che
abbiamo chiamato legate

ILEG = JLEG ⋅ n dS = M ⋅ t dl , (2.21)


SΓ Γ

legame che traduce in termini matematici di circuitazione la relazione che esiste


tra le correnti indotte nel materiale, legate a fenomeni di polarizzazione
100 - Campi elettrici e magnetici

magnetica, al vettore M che descrive lo stato di polarizzazione in ogni volume


elementare del materiale. La dimostrazione richiede considerazioni e teoremi di
calcolo vettoriale che non ci sembra opportuno riferire in questa sede.

2.6.3 Conduzione elettrica

Per completare il quadro delle relazioni costitutive, che descrivono i diversi


fenomeni tipici dei materiali, ci resta da dire qualcosa sui fenomeni di conduzione
elettrica. Il caso lineare ed isotropo è, come d’abitudine, il più semplice ed è
quello la cui relazione costitutiva è nota come legge di Ohm. Questa relazione
stabilisce che, nel caso lineare, quando c’è una certa corrente di conduzione in un
materiale conduttore per effetto della presenza, nel materiale stesso, di un campo
elettrico, il legame costitutivo, tra la densità di corrente ed il campo elettrico, è di
diretta proporzionalità:

J= σE . (2.22)

La costante di proporzionalità σ, tipica dei diversi materiali, è la conducibilità


elettrica. Questa relazione in forma inversa diventa

E= 1J=ρJ,
σ

dove la costante di proporzionalità ρ è la resistività elettrica e la relazione


costitutiva prende il nome di legge di Ohm in forma locale. Per dare un’idea
dell’ordine di grandezza delle resistività, riportiamo una tabella in cui sono
presenti alcuni dei materiali più comuni con i relativi valori di ρ.

Conduttore ρ (Ω m)
Rame 1.7 ⋅ 10 -8
Alluminio 2.8 ⋅ 10 -8
Acqua di mare 3 ⋅ 10 -1
Acqua dolce 10 ÷ 100
Terreno 102 ÷ 104

Prima di chiudere questi pochi richiami relativi ai fenomeni di conduzione,


dobbiamo fare assolutamente un cenno ad un fenomeno fondamentale che si
verifica nei conduttori percorsi da corrente: l’effetto Joule. Il fenomeno consiste
101 - Campi elettrici e magnetici

nello sviluppo di calore che si verifica nei materiali conduttori quando sono
percorsi da corrente. Esso è descritto dalla legge di Joule

P S = ρ J2 ,

dove al primo membro compare la potenza elettrica per unità di volume PS , detta
anche potenza specifica, che viene dissipata in calore nel conduttore di resistività ρ
percorso dalla densità di corrente J. Si noti che la potenza per unità di volume
viene misurata in

2 2
PS = Ω m A = V A = V A = W .
m4 A m3 m3 m3

Questo vuol dire che in ogni metro cubo di materiale, percorso da corrente, si
dissipa in calore una potenza PS che è proporzionale, attraverso ρ, al quadrato
della densità di corrente. La proporzionalità al quadrato fa sì che se si raddoppia
la J, la potenza PS dissipata quadruplica, mentre se la J si dimezza, la PS diventa la
quarta parte. Dato che questa potenza si dissipa in calore nel materiale, è evidente
che il materiale conduttore si riscalda e nel momento in cui si riscalda la sua
temperatura diventa maggiore di quella dell’ambiente circostante; quindi, c’è la
possibilità di un flusso di calore che va dal materiale verso l’ambiente circostante e
questo flusso di calore è tanto più intenso quanto più alta è la temperatura del
materiale stesso. Ne deriva che quando in un materiale conduttore, poniamo un
filo conduttore, facciamo in qualche modo aumentare la densità di corrente che
circola nel conduttore, la temperatura del filo aumenta. A questo punto, se la
densità di corrente supera certi valori, la temperatura del conduttore può
raggiungere valori tali da compromettere la buona funzionalità del dispositivo di
cui il conduttore fa parte.
Per evitare queste situazioni pericolose, gli ordini di grandezza tipici che si
accettano per la densità di corrente all’interno di un conduttore presente nei
dispositivi più comuni, sono quelli pari

J ≅ (2 ÷ 4) A/mm2 .

Nel prossimo capitolo mostreremo come si passi dalla legge di Ohm in forma
locale a quella in forma globale che è stata uno dei pilastri dei circuiti elettrici e
che abbiamo indicato semplicemente come legge di Ohm.

2.7 Le leggi generali in presenza di mezzi materiali


102 - Campi elettrici e magnetici

A questo punto, avendo descritto i principali fenomeni che si verificano nei mezzi
materiali soggetti a campo elettromagnetico ed avendo introdotto le principali
grandezze che occorrono per descrivere i fenomeni connessi e le relazioni
costitutive che legano tra loro queste grandezze, possiamo enunciare le leggi
generali del campo elettromagnetico in presenza di mezzi materiali. Ciò
rappresenta il passaggio più importante, cui più volte avevamo fatto menzione nei
paragrafi precedenti, e che ci fornirà lo strumento fisico - matematico essenziale
per poter poi spiegare compiutamente il funzionamento di tutti quei dispositivi
interessanti per le applicazioni elettrotecniche.

Se rimuoviamo l’ipotesi semplificativa nella quale ci eravamo posti quando


parlavamo delle leggi generali nel vuoto, quali sono, dunque, le leggi generali
dell’elettromagnetismo in presenza di mezzi materiali?

Abbiamo immaginato lo spazio vuoto come una situazione astratta nella quale
siano presenti cariche e correnti, che si muovono a nostro piacimento, e non ci sia
null’altro nell’universo. In questo momento rimuoviamo questa ipotesi ed
immaginiamo che ci siano cariche e correnti libere, che possiamo controllare a
piacere, ma che oltre a queste cariche e correnti ci siano dei corpi materiali, di
caratteristiche elettromagnetiche e forme diverse l’uno dall’altro.

Come si trasformano le leggi del campo elettromagnetico?

Le leggi generali dell’elettromagnetismo in presenza di mezzi materiali restano


formalmente uguali a quelle che avevamo enunciato nel vuoto, ma con
l’importante differenza costituita dalle cariche e correnti legate. Ciò vuol dire, ad
esempio, che gli enunciati delle due leggi di Gauss

E ⋅ n dS = QLIB + Q LEG ,
ε0
Σ
(2.23)
B ⋅ n dS = 0 ,
Σ

assumono la stessa forma già discussa per il vuoto, soltanto che a secondo membro
della prima legge, oltre alle cariche sorgenti QLIB del campo esterno, dovranno
essere portate in conto anche le cariche QLEG legate ai corpi materiali che stiamo
103 - Campi elettrici e magnetici

prendendo in considerazione. Per quel che riguarda poi la legge di Gauss per il
campo magnetico, la situazione resta assolutamente inalterata, non perché nel
corpo non possono esservi fenomeni di tipo magnetico, ma perché non esistono in
alcun caso cariche magnetiche libere che possono costituire sorgenti o pozzi in
grado di fornire un flusso di B non nullo. Così anche in presenza di mezzi
materiali il campo magnetico B rimane solenoidale.

Passiamo poi alle altre due leggi, quelle relative alle circuitazioni dei campi, e
vediamo come esse si modificano in presenza di corpi materiali:

∂B ⋅ n dS ,
E ⋅ t dl = -
∂t
Γ SΓ
(2.24)
B ⋅ t dl = µ0 JLIB + JLEG + ∂D ⋅ n dS .
∂t
Γ SΓ

Per quel che riguarda la legge di Faraday - Neumann nulla è cambiato e non c’è
alcuna differenza rispetto al caso del vuoto: anche in un mezzo materiale la
circuitazione del campo elettrico E, lungo una qualunque linea chiusa Γ, è pari, a
meno del segno, alla variazione del flusso della derivata temporale del campo di
induzione magnetica B, attraverso una qualunque superficie aperta SΓ, che abbia Γ
come orlo. La presenza dei mezzi materiali, di qualsiasi genere, non altera in
alcun modo la legge di induzione elettromagnetica.
Per la legge di Ampère - Maxwell, invece, notate che dei cambiamenti ci sono: in
particolare, la prima novità è che tra i vortici del campo B oltre ad essere presenti
le densità di correnti libere JLIB, così come prescritto dalle leggi generali nel
vuoto, stavolta sono da portare in conto anche le eventuali correnti legate JLEG che
si inducono nei corpi materiali a causa del campo elettromagnetico esterno; la
seconda novità è costituita dalla nuova espressione della densità di corrente di
spostamento

JS = ∂D ,
∂t

che non è più coincidente con l’espressione (2.10) valida per il vuoto, ma che si
riconduce ad essa nell’ipotesi di assenza di materiale, quando D = ε0 E.
104 - Campi elettrici e magnetici

Infine, per quel che riguarda la legge di conservazione della carica elettrica, essa
assume ancora la stessa forma che aveva nel vuoto, limitatamente però alle sole
cariche e correnti libere:

JLIB ⋅ n dS = - dQLIB . (2.25)


dt
Σ

Le nuove leggi date possono essere poste in una forma più semplice, nella quale le
cariche e le correnti legate, sulle quali non esercitiamo alcun controllo, siano
assenti. In pratica si tratta di trasformare la legge di Gauss e la legge di Ampère -
Maxwell per mezzo delle definizioni e proprietà riportate relative ai vettori
intensità di polarizzazione elettrica e magnetica.
Partendo dalla legge di Gauss

E ⋅ n dS = QLIB + Q LEG ,
ε0
Σ

utilizzando il legame (2.16) tra polarizzazione elettrica e cariche legate, si può


scrivere che

E ⋅ n dS = QLIB - 1 P ⋅ n dS → ε0 E + P ⋅ n dS = Q LIB .
ε0 ε0
Σ Σ Σ

Ora, ricordando la definizione del vettore spostamento elettrico data dalla


relazione (2.12), non è difficile concludere che

D ⋅ n dS = Q LIB . (2.26)
Σ

La legge di flusso per il campo elettrico presenta due significativi cambiamenti: il


primo è che questa legge non riguarda più il vettore campo elettrico, ma interessa
il vettore spostamento elettrico D; il secondo è che il flusso uscente di D attraverso
una qualunque superficie chiusa Σ è pari non alla carica netta totale contenuta
nella regione delimitata da Σ, ma soltanto alla carica netta libera. A secondo
membro della relazione (2.26) compare la sola carica totale libera, non quella
legata e, per ottenere questo risultato occorre pagare un prezzo, rappresentato dal
fatto che al primo membro della legge non figura più il vettore campo elettrico E,
105 - Campi elettrici e magnetici

ma compare il vettore spostamento elettrico D. Chiariamo subito che ciò che


stiamo dicendo non contraddice, in alcun modo, ciò che avevamo detto nei
paragrafi precedenti. La legge di Gauss in presenza di mezzi materiali può essere
enunciata dicendo che il flusso del vettore E, uscente da una qualunque superficie
chiusa Σ è proporzionale, secondo il fattore ε0, a tutte le cariche contenute nella
regione delimitata da Σ, cioè sia le cariche libere che quelle legate, come abbiamo
fatto quando abbiamo scritto le equazioni (2.23). Le due rappresentazioni sono del
tutto equivalenti, solo che mentre per applicare la relazione (2.26) occorrono le
sole sorgenti libere, per adoperare la relazione (2.23) devo conoscere entrambe le
cariche, quelle libere e quelle legate.

Veniamo adesso alla legge di Ampère - Maxwell

B ⋅ t dl = µ0 JLIB + JLEG + ∂D ⋅ n dS .
∂t
Γ SΓ

Utilizzando il legame (2.21) tra polarizzazione magnetica e correnti legate, si può


scrivere che

1 B ⋅ t dl = M ⋅ t dl + JLIB + ∂D ⋅ n dS .
µ0 ∂t
Γ Γ SΓ

Ora, ricordando la definizione del vettore intensità di campo magnetico data dalla
relazione (2.17), non è difficile concludere che

H ⋅ t dl = JLIB + ∂D ⋅ n dS . (2.27)
∂t
Γ SΓ

Per la legge di Ampère - Maxwell, le cose cambiano in maniera analoga alla legge
di Gauss. Ricordiamo che avevamo già dato (2.24) la legge generale del campo in
presenza di mezzi materiali. Nel modo in cui la formuliamo ora, però, ci
liberiamo delle correnti legate, stavolta compaiono le sole correnti libere, ed al
posto della derivata temporale del campo elettrico compare quella dello
spostamento elettrico: il prezzo per liberarci dalle correnti legate lo paghiamo al
primo membro in cui non compare più il vettore B, ma abbiamo invece la
circuitazione dell’intensità di campo magnetico H.
106 - Campi elettrici e magnetici

In ultima analisi possiamo dire che in queste quattro leggi, le due di flusso e le due
di circuitazione, due di esse, la legge di flusso per il campo di induzione magnetica
e la legge di circuitazione per il campo elettrico, restano assolutamente inalterate
passando dall’elettromagnetismo nel vuoto a quello in presenza di mezzi materiali;
le altre due, la legge di Gauss per il campo elettrico e quella di Ampère -
Maxwell, invece, si modificano. Esse si modificano per una duplice ragione: in
primo luogo perché a secondo membro, tra le sorgenti, figurano ora soltanto
grandezze libere, cariche e correnti, che sono quelle sulle quali noi possiamo
esercitare un effettivo controllo; in secondo luogo, al primo membro non figurano
più i vettori E e B, ma figurano, rispettivamente, nella legge di Gauss lo
spostamento elettrico, la stessa grandezza la cui derivata temporale compare a
secondo membro della legge di Ampère - Maxwell, ed in quest’ultima legge
compare il campo magnetico.

Perché abbiamo detto più volte che l’esserci liberati dalle grandezze legate ci ha
fatto pagare un prezzo, che è quello di far apparire i due nuovi vettori D ed H? E,
poi, perché tutto ciò implica un prezzo?

Il prezzo è che noi adesso abbiamo quattro equazioni, così come accadeva nel
vuoto, però questa volta i protagonisti di queste equazioni non sono più soltanto
due, cioè E e B, bensì sono diventati quattro: il campo elettrico E, il campo di
induzione magnetica B, il vettore spostamento elettrico D ed il campo magnetico
H. Quindi è chiaro a questo punto che queste quattro equazioni, stante il teorema
di Helmholtz, ricordato più volte in precedenza, non possono essere sufficienti a
consentirci di individuare univocamente le grandezze del campo: occorrono altre
relazioni. Ma proprio sulla base delle cose dette negli ultimi due paragrafi,
sappiamo bene adesso quali possono e debbano essere queste relazioni: le relazioni
costitutive ci consentono di aggiungere quelle equazioni necessarie a rendere
univocamente determinato il sistema delle equazioni di Maxwell.
Questa conclusione ci consente di sciogliere il nodo logico cui eravamo pervenuti e
nelle leggi cui siamo pervenuti compaiono le sole sorgenti libere, le sole, come più
volte abbiamo sottolineato, che possiamo controllare direttamente.

Infine, per concludere il quadro delle leggi generali del campo elettromagnetico,
naturalmente, non dobbiamo dimenticare la solita legge della conservazione della
carica elettrica. Essa, come già sappiamo dall’equazione (2.13), rappresenta una
relazione tra le sorgenti del campo, che questa volta va enunciata con riferimento
107 - Campi elettrici e magnetici

alle sole grandezze libere, cioè il flusso della densità di corrente libera uscente da
una qualsiasi superficie chiusa Σ deve essere pari, a meno del segno, alla derivata
nel tempo della carica libera contenuta all’interno della regione delimitata da Σ. Il
significato rimane lo stesso, cioè non possono né crearsi né distruggersi cariche
elettriche libere.

2.8 Quadro comparato di tutte le leggi

Riportiamo ora il quadro completo delle leggi generali in presenza di mezzi


materiali, valide per una qualunque superficie chiusa Σ e per una qualsiasi linea Γ,
anch’essa chiusa:

legge di
D ⋅ n dS = Q LIB ,
Σ
Gauss

∂B ⋅ n dS legge di
E ⋅ t dl = - ,
∂t Faraday - Neumann
Γ SΓ

legge di Gauss
B ⋅ n dS = 0 ,
Σ
per il magnetismo

JLIB + ∂D ⋅ n dS
legge di
H ⋅ t dl = ,
∂t Ampère - Maxwell (2.28)
Γ SΓ

legge di conservazione
JLIB ⋅ n dS = - dQLIB ;
dt della carica
Σ

Relazioni Costitutive .

A partire dal paragrafo successivo studieremo, così come avevamo fatto nel caso
del vuoto, le situazioni più interessanti per gli argomenti che tratteremo più
avanti: si tratta, come certamente ricorderete, del caso statico, di quello lentamente
variabile di tipo magnetico, di quello lentamente variabile di tipo elettrico e della
magnetostatica. Naturalmente tutti questi casi discendono dalle equazioni generali
del campo, cioè dalle leggi di Maxwell, particolarizzate sulla base delle ipotesi che
man mano faremo.
108 - Campi elettrici e magnetici

Il caso stazionario è quello in cui, come abbiamo già avuto modo di sottolineare in
precedenza, tutte le grandezze sono costanti nel tempo. Quindi tutte le derivate
rispetto al tempo sono nulle, cosa che abbiamo scritto sinteticamente come

∂ ( )=0.
∂t

Questa ipotesi, sostituita nelle leggi generali fornite prima, porta alle seguenti
equazioni, che sono valide nel solo limite stazionario:

D ⋅ n dS = Q LIB , E ⋅ t dl = 0 ,
Σ Γ

B ⋅ n dS = 0 , H ⋅ t dl = JLIB ⋅ n dS , (2.29)
Σ Γ SΓ

JLIB ⋅ n dS = 0 , Relazioni Costitutive .


Σ

L’unica cosa da notare è che le grandezze che vi compaiono non dipendono,


ovviamente, dal tempo. Per inciso, sottolineiamo che anche in presenza di mezzi
materiali, in regime stazionario, il campo elettrico rimane irrotazionale ed il
campo densità di corrente libera rimane solenoidale: sono proprio queste due leggi
che ci consentono di ricavare le leggi generali dell’Elettrotecnica, cioè le leggi di
Kirchhoff per le tensioni e per le correnti. Esaminiamole, in qualche
dettaglio.
Partiamo dalla legge di Kirchhoff per le tensioni (LKT) che stabilisce che la
somma algebrica delle tensioni lungo un qualsiasi percorso chiuso è nulla.
Dalla irrotazionalità del campo elettrico discende la indipendenza dal cammino di
integrazione e, quindi, la possibilità di introdurre una funzione potenziale; in
formule:

E ⋅ t dl = 0 → v(B) - v(A) = - E ⋅ t dl .
Γ A
109 - Campi elettrici e magnetici

A + − B

+ +

− −
D C
+ −

Figura 2.9: esempio di LKT.

Ora, valutando per il caso mostrato in Figura 2.9 la circuitazione del campo
elettrico, cioè usando come linea Γ proprio la maglia ABCD, risulta che

B C D A

E ⋅ t dl = E ⋅ t dl + E ⋅ t dl + E ⋅ t dl + E ⋅ t dl = 0 ,
Γ A B C D

in cui, nel passare dalla prima alla seconda uguaglianza, abbiamo usato la
proprietà subadditiva dell’integrale, cioè abbiamo suddiviso la linea chiusa in
quattro tratti, su ciascuno dei quali abbiamo calcolato l’integrale di linea del
campo. Ora, a parte il segno meno, il primo integrale rappresenta proprio la
tensione vAB, il secondo la vBC, e così via. Pertanto, la relazione precedente
diventa

- v AB - vBC - vCD - vDA = 0 → vAB + vBC + vCD + vDA = 0 ,

che rappresenta proprio la LKT applicata alla maglia scelta.

Un discorso analogo si può fare per la LKC a partire dalla solenoidalità del
vettore densità di corrente:

JLIB ⋅ n dS = 0 .
Σ
110 - Campi elettrici e magnetici

n
S1 S2
Superficie
Gaussiana
i1 i2

i3 S3

Figura 2.10: esempio di LKC.

Consideriamo, per esempio, la superficie Gaussiana mostrata in Figura 2.10; essa


è interessata da tre conduttori attraverso i quali fluiscono tre correnti. Il versore
normale alla superficie n è stato scelto uscente.
L’integrale di superficie della densità di corrente è non nullo solo in
corrispondenza dei tre conduttori e, pertanto, con evidente significato dei simboli

JLIB ⋅ n dS = 0 → J1 ⋅ n dS + J1 ⋅ n dS + J3 ⋅ n dS = 0 .
Σ S1 S2 S3

Riconoscendo nell’integrale della densità di corrente ad una aperta, quale può


essere S1, S2 o S3, la corrente, l’ultima relazione diventa

+ i 1 - i2 - i3 = 0 ,

in cui abbiamo posto il segno ‘+’ prima della corrente se il suo verso (peraltro
arbitrario) è concorde con la normale alla superficie, il segno ‘-’ in caso
contrario. Come nel caso precedente, abbiamo ottenuto proprio la LKC applicata
alla superficie Gaussiana presa in esame.

Riassumendo, la irrotazionalità del campo elettrico e la solenoidalità del campo


densità di corrente, entrambe vere solo nel caso stazionario, sono le due equazioni
di Maxwell da cui discendono le due leggi di Kirchhoff.

2.9 Elettrostatica
111 - Campi elettrici e magnetici

Il caso statico può ottenersi a partire da quello stazionario aggiungendo l’ipotesi


di assenza di correnti e di campo magnetico e, pertanto, viene descritto per mezzo
delle equazioni:

D ⋅ n dS = Q LIB , E ⋅ t dl = 0 ,
Σ Γ
(2.30)
Relazioni Costitutive .

Esso rappresenta, senza alcun dubbio, il caso più semplice da risolvere ed è il


campo in cui trova applicazione la legge di Coulomb, richiamata nella
prefazione. Questa legge immagina una situazione ideale in cui i corpi materiali
portatori delle cariche si riducano a punti geometrici, detti cariche puntiformi: si
tratta, in ultima analisi, di un corpuscolo che occupa un volume idealmente nullo
intorno ad un punto, ma con massa non nulla, e che è portatore di una carica
elettrica q (positiva o negativa). Stiamo considerando certamente una
idealizzazione, ma non del tutto priva di fondamento fisico, se si pensa che i
‘volumi occupati’ dai naturali portatori elementari di cariche, protoni ed elettroni,
sono generalmente molto piccoli rispetto alle dimensioni che caratterizzano il
fenomeno particolare che si vuole studiare; gli esperimenti ci dicono che, per
esempio, la carica di un protone si può immaginare concentrata in una sfera di
circa 10-13 cm di raggio.
Si consideri, allora, l’interazione elettrica tra punti materiali fermi: la legge di
Coulomb afferma che se due cariche puntiformi, q1 e q2, fossero poste (ferme)
alla distanza r l’una dall’altra, su ciascuna delle cariche agirebbe una forza. In
particolare, quella esercitata dalla carica 1 sulla carica 2 è espressa dalla formula

F12 = k q1 q 2 r 12 ,
r2

in cui la costante k è positiva e dipende dal sistema di unità di misura scelto per
rappresentare le altre grandezze in gioco. La forza F12 è dunque diretta lungo la
congiungente tra le due cariche, è proporzionale al prodotto delle stesse,
inversamente proporzionale al quadrato della distanza che le separa e, come si
desume dalla presenza del versore r 12, è diretta nel verso che va dalla posizione
occupata dalla carica q1 a quella occupata dalla carica q2, se entrambe le cariche
hanno lo stesso segno; questa forza (Figura 2.11) è, dunque, attrattiva se le cariche
112 - Campi elettrici e magnetici

q1 e q2 hanno segno opposto, e repulsiva se esse invece hanno lo stesso segno. Sulla
carica q1 agisce una forza uguale ed opposta:

F21 = - F12 .

q1 q2
F21 F12 cariche omonime
r

q1 F
21 F12 q2
cariche eteronime
r

Figura 2.11: la legge di Coulomb.

Se le cariche fossero libere di muoversi, tali forze produrrebbero movimento,


secondo le ben note leggi della dinamica newtoniana. Se ci limitassimo a
considerare cariche ferme ed aggiungessimo, alla legge di Coulomb, la proprietà
che tali forze di interazione (Figura 2.12) sono sovrapponibili (in presenza, cioè,
di più cariche puntiformi, la forza agente su ognuna di esse è la somma vettoriale
delle forze che ogni altra carica produrrebbe sulla stessa carica, in assenza delle
altre) potremmo derivare, dalla sola legge di Coulomb, tutte le leggi della
interazione elettrica. Le cose si complicano un poco quando consideriamo cariche
in movimento: la legge di Coulomb va leggermente modificata, o sostituita con
altre leggi ad essa equivalenti. Non possiamo, però, in questa sede, approfondire
oltre l’argomento.

q2

F1
q1

F1 + F2
F2

Figura 2.12: legge di Coulomb e sovrapposizione degli effetti.


113 - Campi elettrici e magnetici

La costante di proporzionalità k presente nella legge di Coulomb è pari a

k= 1 ,
4π ε

essendo, ovviamente, ε la costante dielettrica del mezzo in cui le cariche sono


immerse. Nel vuoto questa costante vale approssimativamente

k= 1012 2
≅ 9 ⋅ 10 9 N m .
4 ⋅ 3.1415 ⋅ 8.854 C2

In definitiva, per studiare l’interazione tra due o più cariche o adoperiamo le


equazioni (2.30) per ottenere una descrizione in termine di campo elettrico,
oppure utilizziamo la legge di Coulomb ed il principio di sovrapposizione degli
effetti per avere direttamente le forze. È una questione di convenienze legata alla
distribuzione delle cariche (se sono puntiformi oppure distribuite in maniera
continua) ed alla geometria del sistema.

Esempio 1 - Due cariche elettriche, di valore 4 µC e 45 µC, sono poste a 12 cm


di distanza in un dielettrico. Esse si respingono con una forza che, in modulo, è
uguale a quella con cui si respingono due altre cariche, di 20 µC e 1.5 µC, distanti
6 cm nel vuoto. Determinare la costante dielettrica del mezzo.

Applicando la legge di Coulomb, una volta nel mezzo, un’altra nel vuoto, ed
indicando con F il modulo comune della forza, possiamo scrivere

F = 1 4 ⋅ 45 ⋅ 10 = 1 20 ⋅ 1.5 ⋅ 10 .
-12 -12

4π ε (0.12)2 4π ε0 (0.06)2

Ora, dato che ε = ε0 εr, la precedente uguaglianza, semplificando alcuni fattori


presenti ad entrambi i membri, diventa

1 4 ⋅ 45 = 20 ⋅ 1.5 2
→ εr = 180 0.06 = 1.5 .
εr (0.12)2 (0.06)2 30 0.12 2

Lo spazio circostante ad una carica elettrica, nel quale essa esercita su altre cariche
forze di attrazione oppure di repulsione secondo la legge di Coulomb, viene detto
campo elettrostatico. Ogni campo di questo tipo ha teoricamente un’estensione
infinita; in realtà, gli effetti della carica che lo produce, che possiamo anche
114 - Campi elettrici e magnetici

chiamare carica generatrice, sono rilevabili, anche con strumenti di misura dotati
di elevatissima sensibilità, solo fino a distanze finite più o meno grandi. La legge
della gravitazione universale, molto simile alla legge di Coulomb, ha, a differenza
di quest’ultima, una verifica su distanze molto più grandi, che spaziano dalle stelle
doppie alle galassie. Possiamo dire che abbiamo evidenza sperimentale della legge
di Coulomb solo su distanze dell’ordine delle decine (forse centinaia) di metri.
Detta F la forza prodotta sulla carica di prova q0, una piccola carica usata per
determinare proprio questa forza, il campo elettrico sostenuto dalla distribuzione
assegnata è legato alla forza dalla relazione

F = q0 E → E = F .
q0

Esempio 2 - Lavorando con una carica di prova in un campo elettrostatico nel


vuoto, si trova che, in un certo punto, l’intensità del campo è di E = 3.6 kV/m. La
carica che ha generato questo campo è di q = 36 nC. A che distanza si trova la
carica di prova?

Detta r la distanza incognita, per la definizione di campo elettrico, risulta

9 36 ⋅ 10
-9
q
E= F = 1 → 3.6 ⋅ 10 = 9 ⋅ 10
3
→ r = 30 cm .
q0 4π ε0 r 2 r2

Infine, ricordiamo che il lavoro per spostare una carica q da un punto A fino ad
un punto B in un campo elettrostatico, data l’irrotazionalità di quest’ultimo, non
dipende dal percorso fatto per congiungere i due punti e vale

L AB = q VA - VB .

Per spostare, ad esempio, una carica di q = 0.1 mC tra due punti tra i quali esiste
una differenza di potenziale di 125 V, bisogna compiere sulla carica un lavoro
pari a

L AB = q VA - VB = 10-4 ⋅ 125 J = 12.5 mJ .

Quando carichiamo un conduttore isolato, le cariche si distribuiscono sulla sua


superficie in modo che tutte le parti del conduttore siano interessate da un campo
elettrico nullo, ovvero che tutti i punti abbiano lo stesso potenziale (Figura 2.13).
Ogni eccesso di carica immesso in un corpo conduttore finisce sulla sua superficie.
115 - Campi elettrici e magnetici

Un conduttore ha una struttura interna costituita da un reticolo di ioni e da


elettroni che, non appartenendo più a nessun atomo, sono liberi di sciamare
all’interno del corpo. Pertanto, se all’interno di un conduttore fosse presente un
campo elettrico, questo porrebbe in movimento i portatori di carica creando delle
correnti che, nel modello che stiamo considerando, cioè quello elettrostatico,
devono essere assenti.

E
Conduttore isolato
E=0

Figura 2.13: campo all’interno di un conduttore isolato.

Nella realtà queste correnti esistono, sono di durata brevissima e servono a


portare la carica in eccesso sulla superficie del conduttore.
Allo stesso modo, quando poniamo in contatto due conduttori, come ad esempio
due sfere, le cariche sulla loro superficie si distribuiranno in modo che il sistema
composto dai due conduttori abbia potenziale costante. Se uno dei due conduttori
possiede una carica superiore all’altro, quando vengono messe a contatto, parte
della carica presente sul conduttore più carico fluisce su quello meno carico:
questo flusso di cariche si arresta solo quando i due conduttori hanno il medesimo
potenziale.
Il campo elettrico deve, inoltre, essere perpendicolare alla superficie del
conduttore, come mostrato in Figura 2.13 in cui si è assunto che il conduttore sia
stato caricato con una carica positiva. Anche questo fatto può essere compreso
facilmente: se esistesse una componente di campo elettrico tangenziale alla
superficie, nulla vieterebbe alle cariche su essa presenti di mettersi in moto sotto
l’azione di questa componente. L’unico modo per non far muovere le cariche è
ammettere che il campo esca (oppure entri) perpendicolarmente alla superficie
terminale del corpo.
116 - Campi elettrici e magnetici

Le precedenti semplici osservazioni ci conducono a discutere un’importante


proprietà dei campi elettrostatici, conosciuta con il nome, un po’ pomposo, per la
verità, di teorema di Coulomb.

E n
∆S ε
Esterno del conduttore
Interno del conduttore
E=0
n

Figura 2.14: dimostrazione del teorema di Coulomb.

Consideriamo un piccolo cilindro di base ∆S che si sviluppi in parte all’interno del


conduttore, in parte all’esterno. L’altezza del cilindro sia trascurabile, in modo
che le due basi del cilindro siano molto vicine alla superficie limite del conduttore.
Dato che all’interno del conduttore il campo elettrico è nullo, la legge di Gauss,
applicata alla superficie totale Σ di questo cilindretto

D ⋅ n dS = Q LIB ,
Σ

posto QLIB = ∆Q, si riduce al solo integrale attraverso la base esterna al conduttore

D ⋅ n dS = ∆Q ,
∆S

essendo irrilevante il flusso attraverso la superficie laterale. In tutti i punti della


superficie di base ∆S, la normale ed il vettore spostamento elettrico sono paralleli
e concordi, sicché si può scrivere

D ∆S = ∆Q → ε E ∆S = ∆Q → E = ∆Q .
ε ∆S

La carica libera ∆Q, per quanto in precedenza detto, è tutta spalmata sulla
superficie limite del conduttore, per cui risulta conveniente introdurre una densità
117 - Campi elettrici e magnetici

superficiale di carica, definita proprio come il rapporto tra questa carica e la


superficie sulla quale si distribuisce, cioè

σ = ∆Q .
∆S

Sostituendo nella precedente relazione, otteniamo

E=σ,
ε

ovvero in forma vettoriale

E = σ n , in punti molto prossimi alla superficie del conduttore .


ε

Il teorema di Coulomb afferma, allora, che l’intensità del campo elettrostatico


(diretto secondo la normale) in un punto esterno, ma molto prossimo alla
superficie di un conduttore elettrizzato ed in equilibrio elettrostatico, è uguale al
rapporto tra la densità elettrica superficiale di carica e la costante dielettrica del
mezzo in cui il conduttore è immerso.
Se il conduttore presenta punte o spigoli, dove la densità è massima, allora anche il
campo elettrico è massimo e le cariche elettriche tendono dunque a sfuggire dalle
punte. Le molecole d’aria poste in prossimità di una punta vengono facilmente
ionizzate ed il moto di queste cariche in vicinanza delle punte viene detto vento
elettrico: la fiamma di una candela, posta vicino ad una punta elettrizzata, viene
deviata, come se la punta soffiasse su di essa.

Questa proprietà, detta potere delle punte, viene anche utilizzata nella
costruzione dei parafulmini (la cui invenzione si deve a Beniamino Franklin).
Ponendo sulla sommità di un edificio un’asta metallica terminante a punta ed in
contatto elettrico con il suolo, si ottiene un dispositivo che, investito durante i
temporali dalle scariche elettriche delle nubi, in parte disperde, per il potere delle
punte, l’elettricità nell’aria, in parte la convoglia, attraverso l’asta, al suolo,
proteggendo l’edificio. Nelle moderne costruzioni in cemento armato la
protezione contro le scariche atmosferiche si ottiene collegando opportunamente
tra loro e con il suolo i tondini di ferro immersi nel cemento.

Alla luce di queste informazioni, infine, si può chiarire il significato del termine
‘messa a terra’. La Terra può essere considerata una grande sfera conduttrice e,
118 - Campi elettrici e magnetici

date le sue dimensioni, la forza repulsiva esistente tra le cariche presenti su essa è
sempre bassa. Se un conduttore viene messo in contatto elettrico con la Terra, le
sue cariche fluiscono verso essa senza che il suo potenziale vari in maniera
apprezzabile. Mettere a terra un conduttore vuol dire, in ultima analisi, eliminare
le sue cariche in eccesso, portandolo allo stesso potenziale della Terra.

2.10 Il caso quasi stazionario magnetico

Il caso lentamente variabile magnetico è quello in cui possiamo trascurare il


fenomeno di induzione magnetoelettrica, cioè la corrente di spostamento, ma non
possiamo fare la stessa cosa con l’induzione elettromagnetica. In particolare, in
questo caso, le leggi diventano:

∂B ⋅ n dS ,
D ⋅ n dS = Q LIB , E ⋅ t dl = -
∂t
Σ Γ SΓ

B ⋅ n dS = 0 , H ⋅ t dl = JLIB ⋅ n dS ,
Σ Γ SΓ (2.31)

JLIB ⋅ n dS = 0 , Relazioni Costitutive .


Σ

Se prendiamo in esame le sole equazioni relative ai vettori magnetici, trascurando


i due vettori elettrici, si dice che stiamo considerando la Magnetostatica. Ora,
possiamo usare le equazioni (2.31) per determinare il campo magnetico sostenuto
da un filo indefinito percorso da corrente, come illustrato in Figura 2.15. Il
sistema presenta una evidente simmetria attorno al filo di corrente, che può essere
ben evidenziata per mezzo di un esperimento con la limatura di ferro. Se
consideriamo piccoli pezzetti di ferro e li disponiamo su un foglio di carta
perpendicolare al filo di corrente, ci rendiamo immediatamente conto che le linee
di campo magnetico sono delle circonferenze, aventi tutte lo stesso centro, locato
sul filo di corrente. Il campo è, dunque, tangente a queste circonferenze
concentriche con il filo e, come mostreremo tra un momento, ad una distanza
generica r, è pari a

H= i .
2π r
119 - Campi elettrici e magnetici

i
H= i
2πr i
t

H Γ H

Figura 2.15: induzione magnetica sostenuta da un filo rettilineo indefinito.

Questo risultato discende direttamente dall’equazione di Ampère - Maxwell, che in


questo caso si può scrivere nella forma

H ⋅ t dl = i .
Γ

Prendiamo quale linea chiusa Γ proprio una circonferenza con centro sul filo di
corrente e raggio r: il campo magnetico è diretto, in ogni punto di questa
circonferenza, in maniera parallela e concorde al versore tangente. Allora, si ha
che la circuitazione del campo magnetico vale

H ⋅ t dl = H dl = H(r) dl = 2π r H(r) .
Γ Γ Γ

Notate come, nella terza uguaglianza, abbiamo evidenziato che il campo magnetico
dipende dalla sola coordinata r scrivendo H(r), cosa che implica che può essere
portato fuori dall’integrale dato che, lungo i punti della circonferenza, r si
mantiene costante. Imponendo, infine, che questa circuitazione sia pari alla
corrente, si deduce facilmente il valore del campo magnetico

2π r H = i → H = i .
2π r
120 - Campi elettrici e magnetici

Il verso di questo campo, come si deduce dalla Figura 2.15, si può determinare
immediatamente usando la regola della mano destra. Quando questa relazione
viene riferita all’induzione magnetica, è conosciuta come legge di Biot e Savart
e diventa

B=µH → B= µi .
2π r

Il procedimento seguito per ottenere il campo magnetico sostenuto da un filo


rettilineo di corrente può essere generalizzato per ottenere il campo sostenuto da
un filo di corrente di forma qualsiasi.

t
i

Figura 2.16: filo di corrente di forma qualsiasi.

Supponiamo di voler conoscere il campo di induzione magnetica in un punto come


P, mostrato in Figura 2.16. Si potrebbe dimostrare a partire dalle equazioni di
Maxwell che il campo sostenuto dalla corrente che circola nel filo, adoperando la
geometria e le convenzioni mostrate sempre in Figura 2.16, vale

B=µi t × r dl .
4π FILO
r3

Questa relazione è nota come legge di Laplace.


L’integrale è un integrale esteso all’intero circuito (chiuso) in cui fluisce la
corrente. Anche se l’integrale ci sembra già chiaro, vediamo come si applica
questa formula. Diviso il filo in tante piccole porzioni di valore dl, per ognuno di
essi si considera il versore tangente alla curva che descrive il filo ed il vettore r,
orientato dal generico pezzetto di filo verso il punto nel quale si vuole calcolare il
121 - Campi elettrici e magnetici

campo. Il contributo elementare di ogni pezzetto di filo è pari al prodotto


vettoriale tra il versore del filo ed il vettore r, diviso per il modulo al cubo di
questo vettore; in formule:

contributo elementare → µ i t × r dl .
4π r 3

A questo punto, non ci resta che sommare, cioè integrare, i diversi contributi,
tenendo conto che si tratta di una somma di vettori.
Per esercizio, provate a riottenere la legge di Biot e Savart a partire dalla legge di
Laplace. Noi useremo questa legge per determinare il campo B al centro di una
spira circolare.

n B

t i

Figura 2.17: campo al centro di una spira circolare.

Nella spira circola la corrente i e, come si vede dall’esame della Figura 2.17, il
versore tangente alla spira ed il vettore di posizione r sono sempre perpendicolari.
Ciò vuol dire che, stabilito che secondo la regola della mano destra il campo di
induzione magnetica è diretto secondo il versore normale n, possiamo scrivere

B=µi n r dl = µ i 2π r = µ i .
4π SPIRA
r3 4π r 2 2r

Abbiamo portato fuori dell’integrale il termine 1/r 2 dato che, in tutti i punti della
spira, esso è costante (per definizione di circonferenza).

2.11 Il caso quasi stazionario elettrico

Il caso quasi stazionario elettrico è quello in cui possiamo trascurare il


fenomeno di induzione elettromagnetica, ma non possiamo fare la stessa cosa con
l’induzione magnetoelettrica. Esso ci tornerà utile quando spiegheremo il
122 - Campi elettrici e magnetici

passaggio di corrente attraverso un condensatore ed è anche alla base di gran parte


di quei dispositivi che sono studiati dalla moderna Elettronica (dei quali, però, non
ci interesseremo in questo testo). Andando nello specifico, le leggi, in questo caso,
diventano:

D ⋅ n dS = Q LIB , E ⋅ t dl = 0 ,
Σ Γ

B ⋅ n dS = 0 , H ⋅ t dl = JLIB + ∂D ⋅ n dS ,
∂t
Σ Γ SΓ (2.32)

JLIB ⋅ n dS = - dQLIB , Relazioni Costitutive .


dt
Σ

Ciò conclude in maniera definitiva e completa il quadro della teoria


elettromagnetica. Infatti, difficoltà a parte per la soluzione, queste leggi sono da
sole in grado di descrivere qualunque tipo di fenomeno elettromagnetico
macroscopico; proprio per questo motivo, esse vengono riconosciute come una
delle più alte sintesi della mente umana, a tutto merito del loro ideatore James
Clerk Maxwell.

2.12 Condizioni di raccordo

Nella trattazione fino a questo momento sviluppata sulle equazioni di Maxwell,


abbiamo sempre supposto di trovarci in un mezzo materiale le cui caratteristiche
elettromagnetiche rimanessero costanti in ogni punto, per intenderci meglio, un
mezzo caratterizzato da una costante dielettrica ε e da una permeabilità magnetica
µ che non cambiano nei diversi punti considerati. Quello che invece ora ci
proponiamo di fare è capire cosa accade ai protagonisti delle equazioni di
Maxwell, quando ci troviamo in una regione di spazio costituita da due mezzi
materiali con caratteristiche completamente diverse, come mostrato in Figura
2.18, in cui riportiamo la superficie di separazione tra due mezzi differenti, uno
descritto dalla coppia ε1 , µ1 , l’altro da ε2 , µ2 .
Senza inoltrarci troppo in difficoltose dimostrazioni matematiche, qui vogliamo
soltanto darvi il risultato che ci consente di studiare come si comportano le
componenti dei campi nel passaggio dal mezzo 1 al mezzo 2. In particolare, detto
P un qualunque punto della superficie di separazione tra i due diversi mezzi, si
potrebbe dimostrare, adoperando le equazioni di Maxwell, che le componenti
123 - Campi elettrici e magnetici

normali dello spostamento elettrico e dell’induzione magnetica si mantengono


continue, come pure le componenti tangenziali dei campi elettrici e magnetici sono
continue. Spieghiamoci meglio.

n
ε2 , µ2
P
t
ε1 , µ1

Figura 2.18: superficie di separazione tra due mezzi diversi.

Formalmente, indicati con n e t, rispettivamente, il versore normale e quello


tangente alla superficie di separazione nel punto P, quanto detto, si può scrivere,
con riferimento alle componenti normali, come

D1 ⋅ n = D2 ⋅ n , B1 ⋅ n = B2 ⋅ n ,

mentre, per quelle tangenti, come

E 1 ⋅ t = E 2 ⋅ t , H1 ⋅ t = H2 ⋅ t .

Queste due coppie di relazioni vengono, d’abitudine, presentate nella letteratura


tecnica in una forma più compatta. Se, infatti, indichiamo con un pedice le
componenti normali e tangenziali di un generico vettore A, cioè

A ⋅ n = An e A ⋅ t = At ,

le citate relazioni di continuità possono più stringatamente riscriversi nella forma

D1n = D 2n , B1n = B 2n ,
E 1t = E2t , H1t = H2t .

Per comprendere quale sia il significato delle relazioni di continuità (dette anche
di raccordo), invece del punto P, che giace esattamente sulla superficie di
separazione, consideriamo due punti ad esso prossimi: un punto P1 appartenente al
124 - Campi elettrici e magnetici

primo ed un altro P2 appartenete al secondo mezzo. Osservate la Figura 2.19 per


farvene un’idea più precisa.

E2

E 2n

P1
ε2 , µ2 E 2t Superficie di separazione

ε1 , µ1 P
E1
E 1n
P2
E 1t

Figura 2.19: due punti prossimi alla superficie di separazione.

Consideriamo, ad esempio, la relazione di continuità tra le componenti tangenziali


dei campi elettrici

E 1t = E2t , nel punto P .

Nei punti appartenenti ai diversi mezzi i campi elettrici sono, in generale,


differenti; tuttavia, prendendo in esame i punti P1 e P2, prossimi alla superficie di
separazione, notate dalla figura come i vettori componenti tangenziali (e quindi
anche le componenti) siano approssimativamente uguali, cosa che non accade,
invece, per le componenti normali del campo elettrico. E quanto più i due punti si
approssimano alla superficie, tanto più le componenti tangenziali tenderanno a
coincidere. È questo il senso profondo di quanto stabilito dalle relazioni di
continuità, adattato, ovviamente, alla componente esaminata. La stessa cosa potete,
per esercizio, fare da soli per tutte le relazioni riportate.

È interessante osservare cosa prevedono le condizioni di raccordo tra due mezzi


materiali così fatti:

mezzo 1 → ε1 = ε , µ1 ;
mezzo 2 → ε2 = ε , µ2 ≠ µ1.
125 - Campi elettrici e magnetici

In altri termini, i due mezzi differiscono per le caratteristiche magnetiche, ma non


per quelle elettriche. Supponendo ciascun mezzo lineare ed isotropo, cioè
immaginando che i campi siano legati tra loro dalle relazioni

D = εE , B = µH,

dalla condizione di continuità delle componenti normali del vettore spostamento


elettrico segue la continuità delle componenti normali dei campi elettrici. In
formule, possiamo scrivere che

D1n = D 2n → ε E 1n = ε E 2n → E 1n = E2n .

Da ciò si deduce che abbiamo la continuità delle componenti tangenziali e normali


del campo elettrico, cioè il vettore campo elettrico si mantiene continuo nel
passaggio attraverso la superficie di separazione dei due mezzi. Stessa cosa
potrebbe essere detta per il vettore spostamento elettrico. Concludiamo, allora,
che se i due mezzi non presentano costanti dielettriche diverse, nessuna
discontinuità, nel passaggio attraverso la superficie di separazione, è presente nei
vettori che descrivono il comportamento elettrico. Dunque, la assenza di
discontinuità nelle costanti dielettriche implica la continuità dei vettori elettrici
lungo i punti della superficie di separazione (superficie che, dal punto di vista
elettrico, non esiste). Le condizioni di raccordo si mantengono, invece, inalterate
per i vettori magnetici:

B1n = B 2n , H1t = H2t , nei punti della superficie di separazione .

Stesso discorso potrebbe farsi se i due mezzi presentassero diverse caratteristiche


elettriche, ma uguali caratteristiche magnetiche. In tal caso, nessuna discontinuità
si riscontrerebbe nei vettori magnetici lungo la superficie di separazione e, tra i
vettori elettrici, bisognerebbe imporre le condizioni in precedenza discusse:

D1n = D 2n , E 1t = E2t , nei punti della superficie di separazione .


126 - Campi elettrici e magnetici

Appendice: Michael Faraday e la legge dell’induzione elettromagnetica

Michael Faraday chimico e fisico inglese (Newington, Surrey, 1791 - Hampton Court, Londra,
1867). Nato in una famiglia povera e numerosa e ricevuta soltanto una istruzione sommaria,
cominciò a lavorare a quattordici anni come fattorino in una libreria e legatoria londinese,
diventando poi apprendista rilegatore. Il contatto quotidiano con i libri stimolò in lui l’amore per la
lettura, soprattutto di opere relative alla chimica ed all’elettricità. Frequentando i corsi di conferenze
serali alla Royal Institution, ebbe modo di conoscere Davy e di farsi apprezzare da lui al punto da
diventare assistente (all’età di ventun anni) presso la stessa Royal Institution, ove rimase per tutta la
vita, diventando direttore del laboratorio nel 1825 e professore di chimica nel 1833. La sua opera è
notevole e multiforme: le prime ricerche relative lo portarono all’isolamento del benzene ed alla
liquefazione del biossido di carbonio, del cloro e di altri gas ritenuti non liquefattibili. In seguito
realizzò la liquefazione di quasi tutti i gas allora noti, mediante compressione e raffreddamento in un
semplice e geniale apparecchio da lui stesso ideato. Nel 1821, stimolato dalle esperienze di Oersted,
cominciò ad interessarsi all’elettromagnetismo studiando l’azione esercitata da un magnete sulla
corrente elettrica e puntualizzando le teorie formulate da Ampère. Essendo riuscito a far ruotare un
circuito sotto l’azione di magneti permanenti, enunciò il principio del motore elettrico. Nel 1831
scoprì il fenomeno dell’induzione elettromagnetica, grazie al quale è possibile la trasformazione di
lavoro meccanico in energia elettrica. Due anni dopo formulò la teoria dell’elettrolisi stabilendone le
leggi quantitative e qualitative, che portano il suo nome. Si dedicò quindi all’elettrostatica,
verificando, nel 1843, grazie ad un cilindro collegato ad un elettroscopio, il principio della
conservazione dell’elettricità. Enunciò la teoria dell’elettrizzazione per induzione e dimostrò che un
conduttore concavo (gabbia di Faraday) costituisce uno schermo per le azioni elettriche. Nel 1848
segnalò il fenomeno dell’elettroluminescenza; le sue ultime scoperte quella dell’azione di un campo
magnetico sulla luce polarizzata, e quella del diamagnetismo. Verso i settant’anni si ritirò in una casa
di Hampton Court messagli a disposizione dalla regina Vittoria. Le sue principali scoperte furono
raccolte in alcuni libri, di cui i principali sono: Ricerche sperimentali in Elettricità (3 volumi del
1839, 1844, 1855) e Ricerche sperimentali in Chimica e Fisica (1859).

Liberamente tratto dal libro ‘Le cinque equazioni che hanno cambiato il mondo’ di
Michael Guillen, Longanesi Editore.

Era il 1791 e l’Occidente era ormai alle prese con le lotte di classe di cui fino
allora non si era mai fissato l’obiettivo: all’improvviso la gente comune
combatteva per la propria condizione ribellandosi allo status quo.
Nel nuovo continente i coloni americani avevano appena redatto una
“Dichiarazione d’indipendenza”. In Europa le classi lavoratrici parigine avevano
preso la Bastiglia ed il re Luigi XVI aveva firmato una “Dichiarazione dei diritti
dell’uomo e del cittadino”. Contemporaneamente, le stesse classi lavoratrici
americana ed europea dovevano fare i conti con le dure esigenze di un altro
sconquasso senza precedenti: la rivoluzione industriale. Nel 1791, gli automi ad
alta velocità avevano fatto salire la produttività ed i profitti ad un livello mai
raggiunto prima. Questo a spese degli operai che si trovavano ad essere sfruttati o
licenziati dai propri datori di lavoro, che preferivano a loro le nuove macchine
più redditizie.
Anche per James e Margaret Faraday, che all’epoca vivevano in campagna, le
ultime novità si sarebbero rivelate drammatiche. James era un fabbro, adesso,
127 - Campi elettrici e magnetici

però, i suoi bellissimi lavori erano resi meno appetibili dalle crescenti
disponibilità di prodotti fatti a macchina. Alla fine, per trovare più lavoro, decise
di trasferirsi con la famiglia nel villaggio di Newington, in modo da stare più
vicino a Londra. Doveva in qualche modo incrementare i suoi guadagni, anche
perché l’aiuto economico che la moglie a volte dava, facendo la domestica, era
venuto a mancare in quanto era rimasta incinta per la terza volta.
Il 22 settembre Margaret Faraday diede alla luce un bambino che venne chiamato
Michael. Il neonato aveva appena aperto gli occhi che cominciò a strillare e
piangere per il terremoto sociale del mondo circostante. Pur felici per il lieto
evento, i Faraday erano preoccupati per la sorte che li aspettava se James non
avesse trovato al più presto un lavoro fisso. L’unico conforto i Faraday lo
trovavano nella religione; erano membri di quella che il figlio Michael avrebbe
poi definito “una minuscola e spregiata setta di cristiani nota, se si poteva dir così,
come sandemanisti”, dal nome del fondatore, il defunto Robert Sandeman.
Tutto ciò comportava, fra l’altro, che i Faraday non credessero nella scuola
istituzionalizzata. Perciò nel 1796, quando si trasferirono nella zona settentrionale
di Londra, sempre in cerca di un reddito sicuro, non stimolarono i figli ad
impegnarsi negli studi; per di più la scuola stessa trovandosi in un quartiere
povero, non era troppo esigente.
Negli anni successivi Michael dovette cambiare scuola, ma sia il livello sia la
spinta dei genitori era sempre più scadente. “La mia istruzione”, si sarebbe
lamentato Faraday, “è stata veramente miserabile: poco più che i rudimenti della
lettura, della scrittura e dell’aritmetica appresi in una modesta scuola pubblica”.
In quegli anni i Faraday mangiavano solo le pagnotte di sussistenza settimanale
elargite dal governo inglese. Stranamente però, nonostante il peggiorare della loro
situazione, continuarono ad essere una famiglia felice. In realtà, tutti i
sandemanisti non erano mai tanto felici come quando non avevano il becco d’un
quattrino. Nonostante fosse stato educato da buon sandemanista, agli occhi della
società inglese Michael Faraday era poco più di un teppistello povero ed
ignorante.
Per giunta, a tredici anni, benché sapesse a malapena leggere e scrivere, dovette
interrompere gli studi. Secondo le consuetudini del proletariato, era giunto il
momento che il giovane trovasse lavoro.
Sarebbe stata la solita trafila: innanzitutto doveva fare l’apprendista presso
qualcuno, imparando pian piano quel mestiere che gli avrebbe permesso di
guadagnare per sé e per la donna che avrebbe sposato. Per fortuna non era tutto
così negativo.
Con l’incremento dell’automazione erano aumentate anche le opportunità di lavoro
per gli operai non specializzati. Infatti gli si aprirono diverse prospettive ed alla
128 - Campi elettrici e magnetici

fine il giovane Faraday prese una decisione, diventare il nuovo fattorino della
vicina libreria gestita dal signor George Riebau.
Stupito dall’interesse che le persone, specie in quel periodo, nutrivano per i libri,
Faraday cominciò a cambiare atteggiamento verso la carta stampata. Il lavoro lo
attrasse a tal punto che nel 1805 decise di diventare apprendista legatore. Non era
mai entrato in una biblioteca, ma nei sette anni successivi sarebbe stata un’intera
biblioteca di testi provenienti da ogni parte del mondo ad entrare in lui. Dopo
poco cominciò ad imparare a leggere da solo. Fu un impegno duro e difficile, ma
in pochi mesi riuscì a recuperare quanto non era stato capace di apprendere in
anni di scuola pubblica. Un giorno mentre stava cucendo le pagine della nuova
edizione dell’Encyclopedia Britannica, la vita di Faraday ebbe una svolta
determinante. Leggendo la voce sull’elettricità, imparò che, sebbene i filosofi
naturali conoscessero quell’invisibile fenomeno da secoli, non erano ancora
pervenuti ad una spiegazione definitiva. Affascinato da quella lettura decise di
studiare quel fenomeno al fine di trovarne una soluzione. Infatti i sandemanisti,
erano convinti che il rapporto con Dio è fondamentalmente semplice, e proprio
per questo non credeva che l’elettricità potesse essere troppo complicata.
Per fortuna, la Londra di quei tempi offrì a quel ragazzo ingenuo un’occasione
senza precedenti per arrivare in fondo al problema.
In quegli anni, la rivoluzione industriale aveva suscitato un tale interesse per la
scienza e la tecnologia che i filosofi naturali avevano cominciato a scrivere libri
divulgativi e articoli su riviste popolari, e a tenere lezioni soprattutto al grande
pubblico. I libri, non appena pubblicati, andavano a ruba, e le lezioni si
svolgevano davanti a folle di uditori in piedi.
Per il giovane Faraday quella fame di testi scientifici rappresentò una doppia
benedizione: come legatore, significava lavoro sicuro; come aspirante filosofo
naturale, gli consentiva di trovare una serie infinita di informazioni sull’elettricità,
scritte in inglese semplice.
Se da un lato si rallegrava dell’opportunità di consultare gratuitamente tanti libri,
dall’altro sentiva il peso della povertà, non potendosi permettere di comprare i
biglietti delle lezioni pubbliche, soprattutto quelle tenute da Humphry Davy,
l’illustre chimico direttore della prestigiosa Royal Institution di Londra. Per
Faraday vedere Davy in azione era diventato un chiodo fisso: desiderio legittimo,
considerato che la Royal Institution si trovava a due passi dal laboratorio di
Riebau.
La Royal Institution era una specie di circolo ultra esclusivo, i cui aristocratici
membri non avrebbero mai e poi mai acconsentito a condividere i gusti di un
Michael Faraday né di altri straccioni del suo tempo.
129 - Campi elettrici e magnetici

Nel 1810, impossibilitato a seguire conferenze pubbliche, Faraday cominciò a


seguire le lezioni tenute dal professore di scienze John Tatum. Tatum non era
certo Davy e la sua casa non era certo la Royal Institution, ma gli incontri da lui
tenuti al modesto costo di uno scellino per settimana erano perfettamente
comprensibili ed illuminanti. Non solo, nello stesso periodo Faraday convinse
Riebau a trasformare parte della bottega in un laboratorio; in questo modo egli
poteva verificare tutte le affermazioni che gli venivano fatte nelle varie lezioni, e
ripetere tutti gli esperimenti menzionati nei libri. Egli stesso disse anni dopo di sé
“potevo credere ad un fatto ma dovevo sempre verificare un affermazione”.
Purtroppo in quello stesso anno il padre James morì e Michael dovette contribuire
al sostentamento di sua madre e dei fratelli, senza mai perdere la speranza di
diventare un filosofo naturale.
Nel 1812 ormai quasi rassegnato alla sua prospettiva di vita, causa anche la fine
del suo periodo di apprendistato, un uomo di nome Dance Junr entrò nella libreria
ed anche nella vita di Faraday. Junr aveva notato il libro in cui Faraday annotava
le lezioni tenute dal professor Tatum, e curioso di conoscerne il contenuto, aveva
ottenuto di averlo in prestito per qualche tempo. Alcune settimane più tardi glielo
riportò, consegnandolo personalmente con quattro pezzetti di carta inseriti tra le
pagine. Faraday scoprì con grande meraviglia che Junr era membro della Royal
Institution e che, ammirato per le osservazioni contenute nei suoi appunti, aveva
infilato nel libro i biglietti per il successivo ciclo di conferenze pubbliche tenute
dal famoso Humphry Davy.
Il 29 febbraio 1812, Faraday salì i tre gradini di pietra ed oltrepassò le pesanti
porte della Royal Institution di Londra. La serata lungamente attesa era arrivata.
Appena si fu seduto, il giovane aprì il suo taccuino e cominciò a disegnare ed a
descrivere quella stanza così elegante. Secondo il programma, la conferenza
sarebbe cominciata alle otto, ed in quel preciso istante tutti gli sguardi furono
rivolti all’oratore alto e di bell’aspetto che con passo deciso stava per salire sul
palco. Tutti in quell’istante cominciarono ad applaudire quello che era considerato
il più grande filosofo naturale di quel tempo. Placatesi le acclamazioni, Davy
cominciò a sbalordire gli spettatori con il suo ormai famoso ingegno e con le sue
eccentriche dimostrazioni. Quella per Michael fu una serata memorabile, tanto più
che si mormorava che quello sarebbe stato l’ultimo ciclo di conferenze tenuto da
Davy. Per il ventenne, che scrisse novantasei pagine di appunti e disegni su di un
taccuino, invece fu l’inizio di una folgorante carriera scientifica. Purtroppo quella
felicità fu presto dissolta. Infatti il periodo di apprendistato si sarebbe concluso
entro otto mesi, rifletté tristemente Faraday; dopodiché sarebbe stato assunto come
operaio specializzato dal legatore francese Henri de la Roche. Lo stipendio sarebbe
stato appena sufficiente a mantenere se stesso e la madre rimasta vedova; ma certo
130 - Campi elettrici e magnetici

il lavoro in sé non lo avrebbe reso felice. Nei mesi successivi, mentre con ansia
crescente assisteva alle altre tre conferenze di Davy, al giovane Faraday venne
un’idea. Avrebbe ricopiato gli appunti e li avrebbe trasformati in un volume così
bello che Davy non avrebbe potuto fare a meno di notare sia il libro, sia il suo
autore. Purtroppo non riuscì a contattare Davy, ed il 7 ottobre, giorno in cui
scadeva il suo apprendistato, si recò al suo nuovo lavoro. Quando ormai le lezioni
di Davy erano così lontane, come le speranze di diventare un filosofo, ebbe la
notizia che Davy era rientrato a Londra. Riprese il suo vecchio progetto, ed inviò
a Davy, insieme al libro degli appunti delle sue conferenze, una lettera in cui gli
chiedeva di lavorare alla Royal Institution. Nei giorni seguenti, il giovane
Michael, restò in attesa di una risposta di Davy; purtroppo non arrivò nulla. Poi il
24 dicembre, al numero 18 di Weymouth Street si presentò un domestico
elegantemente vestito. Bussò alla porta e consegnò a Faraday un messaggio di
Davy, nel quale diceva che aveva apprezzato molto il suo libro e che lo avrebbe
ricevuto, da qui ad un mese, al suo ritorno. Quando finalmente giunse il fatidico
giorno, l’incontro fu così rapido che il giovane Michael si chiese se per caso non
fosse stato solo un sogno. Ricordava di essersi seduto, prima, ubriaco di emozione
nell’atto di stringere la mano a Davy; poi, speranzoso perché il grande scienziato
aveva ascoltato con benevolenza le sue richieste di lavoro; e, infine, distrutto
quando Davy gli aveva spiegato che, purtroppo, non era in grado di offrirgli
alcun impiego e lo aveva consigliato di tenersi ben stretto il suo attuale posto di
legatore. Mentre scendeva le scale della Royal Institution, il giovane Faraday era
sicuro che non avrebbe mai più oltrepassato quel portone.
Da mesi correva cattivo sangue tra l’assistente di Davy e un altro dipendente
dell’istituzione. Il mattino del primo marzo, mentre Faraday si stava recando al
lavoro, qualcuno bussò alla porta. Era nuovamente il domestico di Davy: gli
veniva comunicata l’espulsione dell’assistente dello scienziato per atti di violenza.
Se lui era ancora interessato, Davy gli offriva quel posto ed un appartamento di
due stanze sopra il laboratorio. Senza neanche rileggere il messaggio, Faraday
cominciò a fare i bagagli e in pochi minuti si precipitò alle Royal Institution.
Negli anni a seguire Michael svolse le sue mansioni con diligenza e grande
impegno. Tra l’altro, imparò ad estrarre lo zucchero dalle barbabietole, a
migliorare le proprietà dell’acciaio e ad usare l’elettrolisi per scomporre diverse
sostanze chimiche. Durante il primo viaggio all’estero, che ebbe inizio nell’ottobre
del 1814, Faraday imparò anche a digerire gli affronti che gli venivano dal fatto
di essere un legatore di libri, un proletario che cercava di farsi accettare dagli
aristocratici del mondo scientifico. Gli scienziati di altri paesi, che si
innamoravano di quel giovane modesto ed entusiasta per tutto quanto sapeva di
scienza, non erano un problema. I colpevoli furono Davy e la moglie; infatti
131 - Campi elettrici e magnetici

Faraday dovette fare da servo per quasi tutto il viaggio. Quel viaggio umiliante,
comunque, non fu per Faraday un disastro completo. Egli infatti ebbe la
possibilità di incontrare scienziati del calibro di Alessandro Volta e André-Marie
Ampère, che erano proprio gli scienziati di cui aveva letto negli anni passati alla
bottega di Riebau, e poté provare le costose apparecchiature che essi usavano per
gli esperimenti di elettricità e magnetismo. Al suo rientro a Londra, nella
primavera del 1815, Faraday fu premiato da Davy con due riconoscimenti: lo
promosse sovrintendente dell’apparato, assistente al laboratorio ed alla collezione
di minerali. Inoltre, il chimico incoraggiò Faraday a eseguire degli esperimenti
autonomamente, ed il giovane cominciò da un campione di roccia raccolto in
Italia. Nel 1816, Faraday pubblicò i risultati, in “Analisi della calce caustica pura
della Toscana”, sul Quarterly Journal of Science. Era la sua prima pubblicazione
scientifica e quasi una dichiarazione di indipendenza: con essa smetteva
ufficialmente di essere solo il protetto di Davy. Negli anni che seguirono, la
rivelazione del talento scientifico di Faraday scosse la Royal Institution. Il giovane
studioso, che assemblava gli esperimenti come un tempo faceva con i libri, con
eccezionale pazienza e precisione, si rivelò un mago della tecnica al punto che
qualcuno cominciò a definirlo l’erede di Davy. Proprio perché metteva in pratica
quello che diceva, quel giovane scienziato intellettualmente irriverente e
religiosamente umile si conquistò un tale rispetto alla Royal Institution che svanì il
pericolo che tornasse, un giorno, a rilegare libri. Ora, pensava Faraday pieno di
gioia e di voglia di fare, avrebbe potuto concentrarsi sull’altro sogno della sua
fanciullezza: quello di essere il primo a demistificare il fenomeno enigmatico
dell’elettricità. Purtroppo, però, altri scienziati in tutto il mondo avevano nutrito
lo stesso sogno, e ormai non erano molto lontani dal realizzarlo.
L’uomo che sembrava più vicino al traguardo era un fisico danese, Hans Oersted,
il quale nel 1820 aveva scoperto che una corrente elettrica provoca il leggero
spostamento dell’ago di una bussola magnetica, come se la stessa corrente elettrica
fosse un magnete. Alcuni mesi più tardi, in Francia, la sorprendente novità fu
confermata in modo leggermente diverso da Ampère e da un suo collega,
Dominique-François Arago. I due scoprirono che la corrente elettrica si comporta
come un magnete, attirando a sé della limatura di ferro; proprio per quel motivo,
diedero alla loro scoperta il nome di elettromagnete. Nei secoli precedenti, i
filosofi naturali avevano riscontrato diversi punti in comune tra elettricità e
magnetismo. Adesso, rifletteva incredulo Faraday, Oersted, Ampère ed Arago
avevano rivelato qualcosa di più profondo, e cioè la possibilità che le due forze
fossero intercambiabili. Ammesso che l’elettricità si comportasse come un
magnete, restava però da vedere se era vero anche il contrario: un magnete
132 - Campi elettrici e magnetici

riusciva a produrre energia elettrica? All’improvviso trovare una risposta a questa


domanda diventò il Santo Graal della scienza del XIX secolo.
Mentre si dedicava alla sua ricerca il 12 giugno del 1821, Faraday si sposò con
Sarah Barnard, figlia di un anziano argentiere della comunità sandemanista. Nei
giorni successivi, senza neanche intraprendere il viaggio di nozze, cominciò a
leggere tutto quanto riusciva a trovare sull’argomento. Alla fine di agosto, dopo
aver riprodotto centinaia di esperimenti, non riuscì a togliersi dalla testa un
chiodo fisso. Faraday aveva osservato che il magnetismo provocato da una
corrente elettrica deviava un ago di bussola sempre nello stesso modo.
Immaginiamo che la bussola fosse sul tavolo e la corrente elettrica corresse dal
tavolo al soffitto, l’ago si sarebbe spostato sempre leggermente in senso antiorario,
mai orario (regola del cavatappi). Dopo aver presentato il suo articolo sulla storia
dell’elettricità e del magnetismo agli Annals of Philosophy, non avendo ancora
capito il perché di quel fenomeno, si mise all’opera per scoprirlo. Egli, dopo tanto
penare, concluse che, proprio come una calda corrente ascensionale d’aria a volte
sfocia in una tromba d’aria, così una corrente ascensionale di elettricità potrebbe
provocare dei mulinelli di magnetismo, provocando la leggera rotazione dell’ago
della bussola. Era una ipotesi a metà fra la pura supposizione e la teoria, ma c’era
un modo per verificarla: se la corrente elettrica fosse stata davvero in grado di
produrre un vortice magnetico, allora i suoi venti turbinosi avrebbero potuto far
girare qualsiasi oggetto magnetico in continuazione, e non leggermente come
avveniva nel caso della bussola di Oersted. Il problema era come fare perché
questo accadesse. Dopo aver armeggiato con l’attrezzatura giorno e notte per
settimane, all’inizio di settembre Faraday ebbe la risposta. Prese una barretta di
magnete e fece in modo che, una volta immersa in una vaschetta di mercurio,
galleggiasse come una piccola boa. Poi fissò verticalmente un filo metallico al
centro della vaschetta e lo fece attraversare da un flusso di corrente elettrica, dal
fondo fino alla cima.
Il risultato fu sorprendente: il magnete - boa cominciò a roteare attorno al filo
come se fosse sospinto da una corrente invisibile: una corrente invisibile che si
muoveva in senso antiorario. Con questo semplice esperimento Faraday approdò
in un colpo solo a due sensazionali risultati: confermò la teoria del vortice
magnetico e creò il primo motore elettrico della storia. Nell’ottobre del 1821, il
Quarterly Journal of Science rese pubblica la scoperta di Faraday in un articolo
intitolato modestamente “Su alcuni nuovi moti elettromagnetici”. Negli anni
successivi i tecnici avrebbero perfezionato il rudimentale congegno di Faraday,
creando motori elettrici, destinati a soppiantare le macchine a vapore che all’epoca
muovevano la rivoluzione industriale. La fama di Faraday salì alle stelle, la sua
133 - Campi elettrici e magnetici

relazione fu tradotta in decine di lingue, tant’è che due mesi dopo fu avanzata la
sua candidatura a membro della Royal Society, l’Olimpo della scienza inglese.
Dopo essere stato fortemente contrastato in questa candidatura dal suo stesso
maestro Humphry Davy, al secondo tentativo l’8 luglio del 1824, i membri della
Royal Society votarono in segreto ed il risultato fu quasi unanime: nell’urna si
trovarono molte palline bianche ... e solo una nera. L’anno seguente (1825) il
nuovo membro della Royal Society, fu promosso direttore della Royal Institution.
Per Faraday rappresentava il coronamento della carriera. Dodici anni prima era
entrato in quella maestosa reggia della scienza come un umile domestico; oggi ne
era diventato il signore. Invece di montarsi le testa, Faraday prese ancora di più a
lavorare per dare risposta ad un quesito che lo tormentava dalla scoperta del
motore elettrico. Se l’elettricità era in grado di produrre magnetismo, allora
perché non sarebbe potuto succedere il contrario? Perché il magnetismo non
avrebbe potuto produrre elettricità? Molti scienziati se lo erano domandato, ma
non avevano mai trovato una risposta. Il 29 agosto 1831, Faraday si avvicinò alla
soluzione. Cominciò con l’avvolgere un lungo filo metallico attorno ad un
segmento di un anello di ferro; poi fece lo stesso attorno ad un altro segmento
opposto al primo. Se i fili fossero stati fasce, sarebbe sembrato che il braccio
circolare dell’anello fosse stato ferito in due punti opposti. Come al solito, la
strategia di Faraday era della medesima semplicità: avrebbe inviato un impulso
elettrico attraverso la prima fascia di filo metallico, creando in tal modo un vento
magnetico che avrebbe percorso l’intero anello. Se quella tempesta magnetica
avesse prodotto un passaggio di corrente elettrica attraverso l’altra fascia di filo
metallico, voleva dire che Faraday aveva dimostrato quello che tutti stavano
cercando: il magnetismo produce elettricità. Faraday collegò alla seconda fascia di
filo metallico uno strumento che avrebbe rivelato anche la più piccola corrente
elettrica, un attuale amperometro. Dopo aver elettrificato la prima fascia
allacciandola ad una pila voltaica, Faraday gettò uno sguardo speranzoso al
misuratore di corrente. L’ago del contatore si stava muovendo! “Oscilla”,
scarabocchiò freneticamente sul taccuino, “ed alla fine torna al punto di partenza”.
Lo scienziato stupefatto continuò a fissare l’ago. Si sarebbe spostato ancora? Dopo
alcuni minuti di vana attesa, desistette, ma appena ebbe staccato la batteria notò
con stupore “un persistente agitarsi dell’ago”. Per tutta la notte, Faraday collegò e
scollegò l’anello di ferro, e ogni volta il misuratore di corrente ricominciava a
ballare. Alla fine gli venne un’idea: la corrente elettrica passando attraverso la
prima fascia di filo metallico produce un vortice magnetico; quel turbine, a sua
volta, faceva scorrere attraverso l’altra fascia una seconda corrente elettrica, ma
ciò accadeva solo quando l’intensità del vortice diminuiva o aumentava. Questo
spiegava l’agitazione dell’ago: ogni volta che Faraday collegava o scollegava la
134 - Campi elettrici e magnetici

batteria, il vortice magnetico si formava o cessava all’improvviso, producendo


l’effetto. Tra questi due momenti, e per tutto il periodo in cui i venti magnetici
correvano regolarmente attraverso l’anello di ferro, non accadeva nulla.
Nei mesi successivi, Faraday ricontrollò e perfezionò il suo apparecchio,
ottenendo sempre gli stessi risultati. Poi finalmente, nel 1831, a quarant’anni, il
genio della Royal Institution poté sintetizzare la sua storica scoperta in un unico
enunciato:

ogni volta che una forza magnetica aumenta o diminuisce, produce


elettricità; quanto più veloce è il suo aumento o la sua diminuzione, tanto
maggiore è l’elettricità prodotta.

Benché i colleghi non trovassero nulla da eccepire sull’importante scoperta, si


stupirono che Faraday avesse voluto esprimerla in termini descrittivi. Da quando
Newton aveva inventato il calcolo, la lingua della scienza era diventata la
matematica. Si dovettero aspettare trent’anni prima che qualcuno traducesse le
semplici parole di Faraday in un’equazione matematica. Nel 1863, un giovane
fisico scozzese, James Clerk Maxwell, avrebbe pubblicato il suo capolavoro
Treatise on Electricity and Magnetism, il quale conteneva per la prima volta la
legge di Faraday nella forma che abbiamo studiato.
Sebbene sia l’elettricità che il magnetismo potessero anche essere considerate forze
a sé stanti, di fatto erano inseparabilmente uniti: in presenza dell’una, era presente
anche l’altra. Per questo motivo la scienza battezzò le due forze stranamente
collegate tra loro con un unico termine ibrido: Elettromagnetismo.
Per di più, per concludere, si può dire che a causa dell’equazione di Faraday le
vite umane non sarebbero più state semplici come prima. Il figlio di un modesto
artigiano aveva scoperto e trascritto un grande segreto della natura, un segreto che
avrebbe comportato la fine della rivoluzione industriale e l’inizio dell’era
dell’elettricità.

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