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Capitolo 1
1.1 Introduzione
Sommario
1.1 Introduzione
La nozione di vettore è collegata, sin dai primi studi di Fisica, allo spostamento tra
due punti. Quando, ad esempio, una nave, che effettui servizio di linea tra due
località, debba andare dal punto A fino al punto B, essa compie uno spostamento,
definito dal valore della distanza AB, dalla direzione della retta passante per i
punti A e B e dal verso che va da A verso B.
A B
s
s
r
A B
s oppure s
Questi segmenti orientati, in Fisica, vengono chiamati vettori (il termine vettore
deriva dal latino e significa ‘trasportatore’, suggerendo perciò uno spostamento) e,
14 - Campi elettrici e magnetici
nelle formule, essi vengono frequentemente indicati con una lettera sormontata da
una piccola freccia; in altri testi, i vettori vengono indicati con una lettera in
neretto, come ad esempio s. Pertanto, s rappresenta il segmento orientato e ‘s’ il
suo valore numerico, detto anche modulo. L’intensità o modulo viene anche
indicato per mezzo del simbolo s . Il punto A si chiama origine o punto di
applicazione del vettore; il punto B viene chiamato estremo libero; la retta (r),
lungo la quale giace il vettore, viene detta retta di azione. La freccia, infine, indica
il verso del vettore.
Oltre allo spostamento, molte altre grandezze fisiche sono rappresentate per
mezzo di vettori: le velocità, le accelerazioni, le forze ed altre ancora. Per
specificare completamente una forza, infatti, non basta dire se questa è più o meno
intensa; bisogna dire anche in quale direzione agisce ed assegnarne il verso, cioè se
spinge o tira.
F F
†
Figura 1.3: natura vettoriale delle forze.
Torneremo nei prossimi paragrafi sui vettori e sulle più comuni operazioni usate
per comporli. Qui ci basti concludere dicendo che spesso si desidera assegnare
soltanto la lunghezza, la direzione ed il verso di uno spostamento, senza indicare
quale sia stato il punto di partenza o quello di arrivo.
Dicendo, ad esempio, «mi sono spostato di 1 km verso nord», questo spostamento
può essere rappresentato da uno qualsiasi degli infiniti segmenti orientati che si
possono disegnare dovunque, tutti paralleli, dello stesso verso e della stessa
lunghezza (s = 1 km). Possiamo indifferentemente usare l’uno o l’altro di questi
vettori, applicati in punti qualsiasi. Più precisamente diremo che due vettori sono
uguali se, rappresentando grandezze fisiche omogenee (due velocità, due forze,
due spostamenti, ...), hanno lo stesso modulo, la stessa direzione e lo stesso verso
(si dice anche versi concordi). Direzioni parallele sono, pertanto, considerate
un’unica direzione. I vettori s1, s2 e s3 di Figura 1.4 sono uguali e scriveremo
semplicemente
15 - Campi elettrici e magnetici
s1 = s2 = s3 ,
s1
s2 s3
Due (o più) vettori sono diversi se differiscono in una delle loro caratteristiche:
possono differire nel modulo, nella direzione e nel verso. In Figura 1.5 abbiamo
riportato le tre situazioni citate.
a2 b1 c1
b2
a1
c2
Dati due vettori, possiamo, dunque, stabilire se essi sono uguali oppure diversi. In
questo secondo caso, tuttavia, non ha alcun significato dire che un vettore è, ad
esempio, maggiore di un altro: non esiste alcun criterio di ordinamento dei vettori
per il quale un vettore è maggiore (oppure minore) di un altro. Possiamo, tutt’al
più, affermare che il modulo di un vettore è maggiore di quello di un altro
vettore: i moduli sono numeri (positivi, al più nulli), non segmenti orientati, e per
essi esiste, dunque, un ordinamento.
• Somma
La somma di due o più vettori è quel vettore che si ottiene riportando i vettori
uno di seguito all’altro (con la regola di far coincidere un punto di applicazione
con un estremo libero) e congiungendo, poi, il punto di applicazione del primo
con l’estremo libero dell’ultimo. Un esempio di somma (o composizione) di tre
vettori è mostrato in Figura 1.6.
R
b R=a +b+c
b
R
R=a +b
a
Figura 1.7: regola del parallelogramma.
a+b=0
Possiamo fare la somma come vogliamo poiché essa gode della proprietà
commutativa
a+b = b+a,
18 - Campi elettrici e magnetici
b=ka
a a
b=2a b=-1a
2
b=-a
Figura 1.10: due vettori opposti.
• Differenza
La differenza di due vettori può, in buona sostanza, ricondursi ad una somma:
eseguire la differenza
19 - Campi elettrici e magnetici
d=a -b
a
d=a -b
d
-b
b
Somma
Differenza
a
Figura 1.12: somma e differenza di due vettori.
• Scomposizione
Un’altra importante operazione è la scomposizione di un dato vettore secondo
direzioni assegnate, determinate da due rette (non parallele) giacenti nello stesso
piano. Seguendo la costruzione grafica mostrata in Figura 1.13, partiamo
dall’origine A del vettore e tracciamo le due direzioni d1 e d2; ripetiamo, poi, la
stessa operazione nell’estremo libero B, adoperando le due parallele a d1 e d2
passanti per questo punto. I punti C e D sono gli estremi dei due vettori v1 e v2
che vogliamo costruire. Essi vengono detti vettori componenti e si può
scrivere, per costruzione:
20 - Campi elettrici e magnetici
v = v1 + v2 .
Abbiamo considerato il caso di due rette giacenti nello stesso piano, cui appartiene
anche il vettore che si vuole scomporre. Qualora ciò non dovesse essere, si osserva
che un vettore può sempre scomporsi in due vettori componenti: per fare ciò,
basta, in generale, assegnare un piano ed una retta non appartenente ad esso,
magari proprio la perpendicolare al piano stesso. Ebbene un vettore può sempre
scomporsi in un componente che giace lungo la retta ed in un altro appartenente al
piano.
d2
C
v2 B
v
A
d1
v1 D
v2 v
v1
• Prodotto scalare
21 - Campi elettrici e magnetici
Consideriamo due vettori a e b. Il prodotto scalare tra essi rappresenta una prima
possibile forma di prodotto tra due vettori (più avanti esamineremo un secondo
tipo di prodotto tra vettori) che fornisce come risultato uno scalare (da qui
discende la denominazione ‘scalare’). Definiamo precisamente prodotto scalare
tra due vettori, indicato con il puntino ‘⋅’, la seguente quantità scalare
a ⋅ b = a b cos θ , (1.1)
intesa come il prodotto tra i moduli dei due vettori ed il coseno del più piccolo
angolo formato dai essi. È ben noto, infatti, che una coppia di vettori individua
due angoli: l’angolo da considerare nella definizione del prodotto scalare è sempre
il più piccolo. In realtà, questa precisazione non ha valore nella definizione del
prodotto scalare, ma lo avrà in quella di prodotto vettoriale che discuteremo tra
breve, in quanto:
a ⋅ b = a b cos θ
θ
a
Il prodotto scalare di due vettori può essere considerato come il prodotto del
modulo del primo di essi per la componente del secondo nella direzione del
primo, ovvero come il prodotto del modulo del secondo di essi per la componente
del primo nella direzione del secondo, come mostrato in Figura 1.16. Ciò
discende, in ultima analisi, dalla definizione della funzione ‘coseno’
trigonometrico.
22 - Campi elettrici e magnetici
b
a cos θ
θ
a
b cos θ
b b b
θ θ
θ
a a
a⋅b>0 a⋅b=0 a
a ⋅ b = a b cos θ = 10 cos π = 10 1 = 5 2 .
4 2
• Prodotto vettoriale
Il prodotto vettoriale di due vettori a e b, scritto a × b, è un altro vettore c, dove
c = a × b. Il modulo di c è dato da
c = a × b = a b sen θ , (1.2)
dove θ è l’angolo più piccolo fra a e b. Il modulo del prodotto vettoriale, come
suggerisce la Figura 1.18, si può interpretare come la superficie racchiusa dal
parallelogramma avente i due vettori per lati.
b
b sen θ
a × b = a b sen θ
θ
c=a ×b
b a
a b
c=a ×b
Si noti che a × b non è uguale a b × a e, quindi, l’ordine dei fattori nel prodotto
vettoriale è importante. Questo non è vero nel caso degli scalari dato che il
prodotto algebrico oppure aritmetico non è influenzato dall’ordine dei fattori.
Invece, si ha che
a×b=-b×a.
Ciò può essere compreso adoperando la regola della vite destrorsa oppure la
cosiddetta regola della mano destra: se la mano è tenuta in modo che le dita
piegate seguano la rotazione di a verso b, il pollice punterà nella direzione di c.
Se i due vettori a e b sono paralleli, cioè se risulta θ = 0 oppure θ = π, il prodotto
vettoriale è nullo.
Consideriamo, ad esempio, i due vettori mostrati in Figura 1.20; non è difficile
convincersi che il modulo del prodotto vettoriale vale
c = a × b = a b sen θ = a b sen π = a b ,
2
ed il vettore è uscente dal foglio del disegno. Per questo motivo lo abbiamo
indicato come una ‘punta’ uscente; viceversa, lo avremmo indicato per mezzo di
una piccola croce ‘×’ che individua una punta entrante nel foglio del disegno.
c=a ×b
a
h h
P P
(a) (b)
0 x
y
6
4 B
A
2
0 x
-2
D
-4 C
-6
-6 -4 -2 0 2 4 6
B (- 3, 4) ; C (- 4, - 4) ; D (3, - 3) .
yE E
v
yP
P
0 xP xE x
Nel caso dei vettori liberi, tuttavia, non è indispensabile conoscere la posizione del
punto di applicazione. Riferendoci alla Figura 1.24, possiamo dire che bastano le
componenti del vettore, che indicheremo con vx e vy, date da
vx = xE - xP , vy = yE - yP .
Il modulo del vettore si calcola facilmente a partire dalle componenti del vettore.
In forza del teorema di Pitagora, risulta:
v = v = v2x + v2y .
28 - Campi elettrici e magnetici
v vy
vy v = v2x + v2y tan θ =
θ vx
vx
vx = v cos θ , vy = v sen θ ,
essendo (Figura 1.25) θ l’angolo formato dal vettore v con il semiasse positivo x,
misurato in senso antiorario a partire dall’asse. È chiaro che le due componenti,
dipendendo dal valore dell’angolo θ, possono essere sia positive che negative. Le
componenti di un vettore si comportano come grandezze scalari, dato che, quale
che sia il riferimento adottato, per individuarle è necessario soltanto un numero
col suo segno algebrico. Come esempio, in Figura 1.26 abbiamo disegnato tre
vettori; per il vettore a abbiamo riportato le componenti, mentre per gli altri due
non è stato necessario, dato che hanno componenti soltanto lungo un asse.
ay a
c
0 ax x
b
v=vv,
v=v
v
x y
Si noti che non è necessario che i tre versori siano spiccati dall’origine; come tutti
i vettori, essi possono essere traslati a piacere nello spazio delle coordinate, purché
le loro direzioni rispetto agli assi coordinati si mantengano inalterate.
Il teorema di scomposizione ci consente di scrivere un generico vettore in
funzione delle componenti e dei versori degli assi, come
v = x vx + y vy .
v = x vx + y vy + z vz .
a = x ax + y ay + z az e b = x b x + y b y + z b z .
Inoltre, immaginiamo di considerare una terna come quella di Figura 1.28, detta
terna levogira, che assumeremo, salvo avviso contrario, sempre quale base per
la rappresentazione dei vettori. Una tale terna è detta levogira perché la rotazione
di 90° di ciascun semiasse positivo per portarsi a sovrapporsi al successivo, ad
esempio il semiasse delle x su quello delle y, avviene intorno al terzo semiasse,
nell’esempio z, in verso antiorario; essa viene anche detta terna destra (o
destrorsa) poiché i tre semiassi x, y e z sono disposti, nell’ordine, come le dita
indice, medio e pollice (teso) della mano destra, tenuta leggermente rientrante
verso l’osservatore e con le altre dita serrate. In caso contrario, si parlerà di terna
destrogira, anche detta sinistra (o sinistrorsa).
• Somma
La risultante di due vettori può, in termini di componenti, scriversi come:
R = a + b = x ax + y ay + z az + x b x + y b y + z b z =
(1.3)
= x ax + bx + y ay + by + z az + bz .
Ora, dato che due vettori come R e a + b sono uguali solo se lo sono le
corrispondenti componenti, si può scrivere
Rx = a x + bx , Ry = a y + by , Rz = a z + bz .
a=2x-y+3z e b=-x+5y+7z;
risulta immediatamente
R = a + b = (2 - 1) x + (- 1 + 5) y + (3 + 7) z = x + 4 y + 10 z .
b=ka,
risulta
bx = k ax , by = k ay , bz = k az . (1.4)
• Differenza
La differenza discende immediatamente dalla somma e dalla moltiplicazione per
uno scalare:
D = a - b = x ax + y ay + z az - x b x + y b y + z b z =
= x ax - bx + y ay - by + z az - bz .
• Prodotto scalare
Sviluppiamo il prodotto scalare in termini di componenti. Se considerate che
a ⋅ b = x ax + y ay + z az ⋅ x b x + y b y + z b z = a x b x + a y b y + a z b z . (1.5)
Siano, ad esempio,
a=3x+2y+z e b=-3x+2y+7z;
risulta
a ⋅ b = a x bx + a y by + a z bz = - 9 + 4 + 7 = 2 .
• Prodotto vettoriale
Un tantino più complicato è il prodotto vettoriale; armiamoci, dunque, di pazienza
e cominciamo. Per rendere più semplice la deduzione, operiamo su vettori piani:
il caso tridimensionale costituirà una naturale estensione. Si ha, sfruttando la
proprietà distributiva del prodotto vettoriale rispetto alla somma:
a × b = x ax + y ay × x b x + y b y =
= x × x ax b x + y × x ay b x + x × y ax b y + y × y ay b y .
x×x=y×y=0 e x×y=-y×x=z,
a × b = z ax b y - ay b x ,
3 x + 2 y × x - y = z ax b y - ay b x = z (- 3 - 2) = - 5 z .
a × b = x ax + y ay + z az × x b x + y b y + z b z =
(1.6)
= x ay b z - az b y + y az b x - ax b z + z ax b y - ay b x .
Notate come la terza componente, quella diretta lungo z, coincida con quella
trovata nel caso dei vettori piani. Infine, se avete conoscenza dei determinanti, il
precedente prodotto vettoriale può scriversi nella forma equivalente
x y z
a×b= ax ay az ,
bx by bz
Verificare che
a+b+c =2x+y+3z;
a-c=x+2z;
3a-b+2c=2x+6y-2z;
b×a=-4x+2y+2z.
v = v(P) = v(x, y) ,
ad indicare che la velocità dipende dalle coordinate del punto P sulla superficie
dell’acqua.
Restringimento
del fiume v(P)
v
P
Restringimento
del fiume
In Figura 1.30 abbiamo rappresentato alcune linee vettoriali, dette anche linee
di flusso: si tratta di linee matematiche che godono della notevole proprietà che la
tangente in un generico punto fornisce la direzione del vettore velocità in quel
punto. Se poi, come nel nostro caso, si considerano linee orientate, avremo anche
il verso. Questa rappresentazione può ottenersi lasciando scorrere nella corrente
del fiume un piccolo tappo di sughero: nel suo moto disegnerà una linea di flusso.
Per quanto riguarda il modulo si può dire che, laddove le linee diventano più
numerose, il modulo del vettore velocità è più elevato; dove, invece, le linee
35 - Campi elettrici e magnetici
vettoriali sono più rade il modulo è più debole. Sul modulo, dunque, dobbiamo
accontentarci di un’indicazione qualitativa.
ü
Figura 1.31: campo gravitazionale terrestre.
F=ma.
g
g
g
In una zona ristretta di spazio, come ad esempio una stanza, questo campo è ben
rappresentato da vettori che sono tutti uguali in modulo, direzione e verso.
Diciamo di essere in presenza di un campo uniforme, per cui avremo a che fare
con vettori tutti uguali e diretti verso il basso (come nell’esempio di Figura 1.32).
Infine, definiamo il campo centrale. Diciamo che abbiamo a che fare con un
campo centrale se, quale che sia il punto P considerato, la forza è diretta secondo
la congiungente P con un punto fisso O, detto centro del campo, e dipende soltanto
dalla distanza OP. In Figura 1.33 abbiamo disegnato alcune linee vettoriali relative
ai campi elettrostatici sostenuti da una carica puntiforme, positiva e negativa:
notate come l’infittirsi delle linee in prossimità delle cariche indichi che il modulo
del campo elettrico cresca.
(a) (b)
Figura 1.33: campo elettrico di una carica (a) positiva e (b) negativa.
37 - Campi elettrici e magnetici
Quando le linee vettoriali ‘escono’ da una certa regione, come in Figura 1.33a, si
dice che si è in presenza di una sorgente; nel caso contrario, quando le linee
‘entrano’ in una certa regione, si dice che si è in presenza di un pozzo.
n
v
spazio, e delle due orientazioni possibili abbiamo scelto quella che va da sinistra a
destra, nel preparare la Figura 1.34. Il flusso del campo vettoriale v
attraverso la superficie S, orientata secondo il versore n, vale
ΦS v = v S , se n || v ,
cioè è pari al prodotto del modulo del vettore v per l’area della superficie
attraverso cui consideriamo il flusso.
n
v
S
v ∆t
∆V = S v ∆t ,
ΦS v = ∆V = S v .
∆t
sia inclinata di un certo angolo α rispetto alla direzione del moto dell’acqua, come
mostrato in Figura 1.36.
v ∆t S n
α
v
α
v ∆t cos α
In questo caso non è difficile convincersi che le particelle d’acqua contenute nel
prisma punteggiato sono le sole capaci di intercettare la superficie S e, pertanto,
questo volume è pari a
∆V = S v ∆t cos α = S ∆t v ⋅ n → ΦS v = ∆V = S v ⋅ n ,
∆t
n
v
nk
∆Sk
Figura 1.37: scomposizione in areole quasi piane di una superficie non piana.
Numerando ciascuna areola a partire da uno, la generica ∆Sk verrà individuata dal
versore nk e si può scrivere che
ΦS v = v ⋅ n dS , (1.7)
S
Che distinzione possiamo fare tra questo tipo di superficie e quella di un foglio di
giornale, che chiamiamo ovviamente superficie aperta?
Un ipotetico osservatore che cammina sulla superficie chiusa non incontra mai il
bordo semplicemente perché il bordo non c’è. Una superficie aperta, invece, è
sempre delimitata da un bordo, che l’osservatore, prima o poi, incontrerà.
Una superficie chiusa suddivide lo spazio in due parti: una parte interna ed una
esterna e per passare da una parte all’altra si deve per forza ‘bucare’ la superficie.
Pertanto, data una superficie chiusa, possiamo definire punto per punto un versore
normale, come abbiamo fatto in Figura 1.38, in cui abbiamo scelto il versore che
punta verso l’esterno. Il flusso che calcoliamo, fatta questa convenzione per il
versore normale, viene detto flusso uscente ed in questo testo ci atterremo sempre
a questa convenzione. Se avessimo, invece, scelto la convenzione opposta,
avremmo parlato di flusso entrante.
42 - Campi elettrici e magnetici
Per ricordare che stiamo calcolando un flusso sui punti di una superficie chiusa,
apporremo un circoletto all’usuale simbolo di integrale, sicché il flusso uscente
attraverso la superficie chiusa Σ diventa
ΦΣ v = v ⋅ n dS . (1.8)
Σ
Infine, vale la pena sottolineare che quanto detto per il campo vettoriale delle
velocità v dell’acqua di un fiume, può adattarsi ad un generico campo vettoriale.
n
A0
B1 B2
A0
SL
n
n A0 A0
A0 ⋅ n = 0 su SL → A0 ⋅ n dS = 0 .
SL
Sulle due basi, avendo orientato la normale all’esterno del cilindro, i vettori A0 ed
n sono in ogni punto paralleli: su una base sono concordi, mentre sull’altra sono
discordi. Ciò comporta che, indicando con A0 il modulo del vettore A0, è
A0 ⋅ n = - A0 sulla base B1 ;
A0 ⋅ n = + A0 sulla base B2 .
43 - Campi elettrici e magnetici
A0 ⋅ n dS = - B A0 e A0 ⋅ n dS = + B A0 ,
B1 B2
essendo B l’area delle basi. Volendo calcolare il flusso sulla superficie totale del
cilindro, in definitiva, si può scrivere
A0 ⋅ n dS = A0 ⋅ n dS + A0 ⋅ n dS + A0 ⋅ n dS =
CILINDRO B1 B2 SL
= - B A0 + B A0 + 0 = 0 .
Questo esempio mostra che, affinché il flusso attraverso una superficie chiusa sia
complessivamente nullo, è necessario che su una parte della superficie totale
l’integrale sia positivo e sulla rimanente parte sia negativo (e dello stesso valore).
Diremo che un campo vettoriale A è conservativo per il flusso se, quale che sia la
superficie chiusa Σ considerata, il flusso è nullo, cioè
Questa relazione attesta che il flusso di A uscente (ma potrebbe essere anche
entrante) è nullo per qualsiasi superficie chiusa. Un campo vettoriale che gode di
questa proprietà si dice campo solenoidale o conservativo per il flusso, ed ora
diremo qualcosa di più sulle sue proprietà.
Osserviamo quanto segue: prendiamo una linea chiusa Γ e tracciamo due superfici
qualsiasi Σ 1 ed Σ 2 che abbiano Γ come contorno, come mostrato in Figura 1.40.
La superficie Σ, unione di Σ 1 ed Σ 2, è evidentemente una superficie chiusa e
quindi per essa potremo scrivere
A ⋅ n dS = 0 .
Σ
44 - Campi elettrici e magnetici
n1
Σ2
Γ
Σ1 n2
A ⋅n dS = A ⋅ n1 dS + A ⋅ n2 dS = 0 .
Σ Σ1 Σ2
A ⋅ n1 dS = - A ⋅ n2 dS ,
Σ1 Σ2
n2 = - n1 = - n ,
A ⋅ n dS = A ⋅ n dS .
Σ1 Σ2
La scelta effettuata per la normale è dettata dalla volontà di stabilire tra il versore
della curva e quello della normale alle superfici la cosiddetta regola della mano
destra: chiudendo le dita della mano destra nel verso indicato dal versore alla
curva, il pollice indicherà il versore della normale alla superficie. Questa scelta è
usuale in elettromagnetismo e, pertanto, quando non lo diremo la assumeremo
implicitamente.
45 - Campi elettrici e magnetici
Φ Σ1 A = Φ Σ2 A .
Ma, per l’arbitrarietà delle due superfici Σ 1 e Σ 2, deriva che, data una linea chiusa
Γ, è univocamente definito il flusso attraverso una qualsiasi superficie che abbia Γ
come contorno. Ecco dunque spiegata l’arbitrarietà della scelta della superficie Σ.
Si ricordi che ciò è vero solo per un campo conservativo per il flusso ovvero
solenoidale in tutto lo spazio.
In definitiva, dovendo valutare il flusso di un campo solenoidale, basta assegnare
la linea chiusa che rappresenta l’orlo di un insieme infinito di superfici attraverso
cui il flusso assume sempre lo stesso valore.
A
A
Γ
B
Suddividiamo la linea in tanti piccoli tratti, ciascuno dei quali sia praticamente
rettilineo e di lunghezza ∆lk. Seguendo il verso di percorrenza da A verso B,
osserviamo il generico tratto, mostrato in Figura 1.42, di estremi P e Q.
46 - Campi elettrici e magnetici
A P θ
t
Γ Q
B
Ak ⋅ tk ∆lk ,
cioè tra il vettore che rappresenta il campo vettoriale Ak, il versore tk e lo scalare
∆lk. Se sommiamo tutti questi contributi in cui abbiamo suddiviso la linea,
otteniamo una nuova grandezza che viene detta integrale del campo lungo la linea
Γ, pari a
N
integrale di linea → ∑ Ak ⋅ tk ∆lk .
k=1
integrale di linea → A ⋅ t dl ,
A-Γ-B
Avete già incontrato il concetto di integrale di linea, seppur non nella maniera
rigorosa da noi introdotta, in diverse parti della Fisica. Valga per tutte il concetto
di lavoro: se il campo vettoriale rappresenta un campo di forze F, l’integrale di
linea definisce il lavoro
Lavoro = F ⋅ t dl ,
A-Γ-B
fatto dalla forza lungo la generica linea Γ. Come potete constatare, il lavoro fatto
da una certa forza dipende, in generale, dal cammino fatto per congiungere i due
estremi A e B, e solo se il campo di forze è conservativo, come approfondiremo
nel prossimo paragrafo, il lavoro non dipende dal cammino seguito ma soltanto
dagli estremi di integrazione.
Si chiama circuitazione un integrale di linea calcolato lungo una linea chiusa.
Essendo la linea considerata chiusa, non è più necessario indicare l’estremo di
partenza e quello di arrivo ed il simbolo adoperato per la circuitazione è
CΓ A = A ⋅ t dl , (1.9)
Γ
ovvero qualunque integrale di linea, fatto lungo una linea chiusa e di forma
qualsiasi, è nullo. Ricordiamo che, analogamente a quanto fatto per il flusso,
l’integrale di linea si ottiene per mezzo delle seguenti operazioni: data una linea Γ,
non necessariamente chiusa, si sceglie un verso positivo sulla stessa, o come si
dice, si orienta la linea. Per ogni elemento di linea dl si costruisce il vettore t dl e
lo si moltiplica scalarmente per il vettore A relativo all’elemento di linea
considerato; la somma degli ‘infiniti’ prodotti infinitesimi così ottenuti è, per
definizione, l’integrale di linea cercato. Per le linee chiuse abbiamo parlato di
circuitazione del vettore A lungo la linea Γ.
Consideriamo un campo conservativo per la circuitazione e l’integrale di linea
lungo una curva chiusa qualsiasi sia, dunque, nullo. La Figura 1.43 mostra una
generica curva orientata Γ; su essa abbiamo individuato due punti qualsiasi P e P0,
che la suddividono in due curve non chiuse Γ 1 e Γ 2. Se il campo vettoriale A è
conservativo per la circuitazione, vuol dire che l’integrale lungo la linea Γ 1, fatto
a partire da P0 fino a P, è uguale a quello calcolato da P a P0 lungo Γ 2.
Γ2
P0
Γ P
Γ1
CΓ A = 0 → A ⋅ t1 dl = - A ⋅ t2 dl .
P 0 - Γ1 - P P - Γ2 - P0
t2 = - t1 = - t ,
A ⋅ t dl = A ⋅ t dl .
P 0 - Γ1 - P P 0 - Γ2 - P
Anche in questo caso, dunque, una diversa orientazione della linea porta al
seguente risultato: se consideriamo un campo vettoriale conservativo per la
circuitazione, possiamo affermare che l’integrale di linea, che congiunge due
qualsiasi punti, non dipende dalla linea lungo la quale andiamo dal primo al
secondo punto, ma soltanto dagli estremi di integrazione. Ciò mostra chiaramente
la precedente relazione e cioè che i due integrali di linea sono indipendenti dalle
due curve Γ 1 e Γ 2. L’integrale di linea dipende, allora, soltanto dagli estremi di
integrazione scelti e, pertanto, è una funzione solo di questi punti estremi e non del
cammino fatto per congiungerli. Simbolicamente scriveremo che
U(P, P0) = A ⋅ t dl ,
P0
in cui la funzione U(P, P0) viene spesso detta potenziale del campo. Molto
spesso il punto P0 viene fissato una volta per tutte e, quindi, la sua indicazione
nella funzione potenziale viene omessa, scrivendo più semplicemente:
U(P) = A ⋅ t dl .
P0
Γ1
Γ2
P0 P
Γ3
Abbiamo detto in maniera più formale ed astratta una cosa che sapevate già: nel
campo gravitazionale terrestre, ad esempio, non conta il cammino seguito per
andare da un punto all’altro, ma conta solo il dislivello, cioè la differenza di quota
tra il punto iniziale e quello finale.
50 - Campi elettrici e magnetici
T AΓB = - E ⋅ t dl .
AΓB
V(B) - V(A) = - E ⋅ t dl ,
A
con il polo di in un campo vettoriale centrale, come può essere quello prodotto da
una carica puntiforme. Per rendere più concrete le cose, si osservi la Figura 1.45:
dal suo esame si può concludere immediatamente che il campo vettoriale, che è
diretto radialmente, ed il versore tangente alla circonferenza sono in ogni punto
perpendicolari.
A
Γ
A = 2 x y x + x z2 y + y z3 z .
In termini più formali, quanto detto vuol dire assegnare le tre componenti
cartesiane del campo
Ax = F(x,y,z) ,
Ay = G(x,y,z) ,
Az = H(x,y,z) ,
t Γ
R=a +b.
Rx = a x + bx , Ry = a y + by , Rz = a z + bz .
R=a +b.
In linguaggio più formale possiamo dire che le relazioni tra vettori sono
invarianti, cioè che non cambiano, per una traslazione oppure per una
rotazione delle coordinate.
55 - Campi elettrici e magnetici
Fino al 1956 si credeva pure che le leggi fisiche fossero invarianti anche per una
sostituzione di riferimento da destrorso a sinistrorso: un sistema destrorso e
sinistrorso possono essere considerati come l’immagine speculare l’uno dell’altro.
Specchio
y y
x x
z z
Sistema sinistrorso Sistema destrorso
x×y=-z x×y=z
Capitolo 2
Equazioni di Maxwell
2.1 Introduzione
2.9 Elettrostatica
Sommario
2.1 Introduzione
la prima legge deve fornire il flusso del campo vettoriale, o meglio il suo
valore, qualunque sia la superficie chiusa Σ orientata
59 - Campi elettrici e magnetici
A ⋅ n dS = ;
Σ
la seconda legge deve fornire, per ogni linea chiusa ed orientata Γ, il valore
della circuitazione del campo
A ⋅ t dl = .
Γ
Ribadiamo ancora una volta che per assegnare un campo vettoriale è necessaria la
conoscenza dei suoi flussi e delle sue circuitazioni (nel capitolo precedente
l’importanza di tutto ciò vi è stata chiarita mediante esempi).
Sulla base di questi richiami siamo pronti ad enunciare le leggi che governano i
fenomeni elettromagnetici nel vuoto ed in presenza di mezzi materiali, cosa che
faremo in questo capitolo.
Partiamo dalle leggi del flusso, che solitamente vanno sotto il nome di leggi di
Gauss per il campo elettrico e per quello magnetico e che si presentano nella
forma
E ⋅ n dS = Q , B ⋅ n dS = 0 . (2.1)
ε0
Σ Σ
La prima delle equazioni (2.1) afferma che il flusso del campo elettrico, attraverso
una qualunque superficie chiusa Σ, è proporzionale, attraverso la costante ε0, alla
carica netta contenuta nella regione delimitata dalla superficie Σ; quindi Q
rappresenta la somma, intesa in senso algebrico, delle cariche contenute nella
superficie chiusa Σ. Dato che il campo elettrico E è una grandezza che, in
generale, varia sia spazialmente che temporalmente, si conclude che la legge di
Gauss per il campo elettrico asserisce che, in un generico istante, il flusso uscente
del campo elettrico attraverso una qualunque superficie chiusa Σ è proporzionale,
per mezzo della costante ε0, alla somma algebrica delle cariche elettriche presenti,
nello stesso istante, all’interno della superficie Σ. In altri termini, ciò vuol dire che
il campo elettrico ha delle sorgenti oppure dei pozzi che sono proprio le cariche
elettriche, positive o negative. Ad esempio, se sappiamo che il flusso del campo
elettrico attraverso una certa superficie vale ΦE = 100 Vm, vuol dire che in quella
superficie è racchiusa una carica netta pari a (per il valore numerico di ε0 si veda
più avanti)
∂B ⋅ n dS ,
E ⋅ t dl = - B ⋅ t dl = µ0 J + ε0 ∂E ⋅ n dS . (2.2)
∂t ∂t
Γ SΓ Γ SΓ
La legge che esprime la circuitazione del campo elettrico, conosciuta come legge
di Faraday - Neumann, dal nome dei due fisici che nel XIX secolo hanno condotto
gli esperimenti decisivi che hanno portato a scoprirla e formalizzarla così come ve
la presentiamo, stabilisce che l’integrale di linea del campo elettrico E, lungo una
qualunque linea chiusa Γ, è pari, a meno del segno, al flusso della derivata
temporale del campo di induzione magnetica B attraverso una qualunque
superficie aperta SΓ, che però abbia come orlo proprio Γ. Precisiamo che al
secondo membro della legge di Faraday - Neumann compare la derivata parziale
perché il campo di induzione magnetica è una grandezza che varia nel tempo e
nello spazio ed è quindi funzione del punto - istante. La solenoidalità del campo B
ci consente di scegliere una qualunque superficie che orli la linea chiusa Γ
(supposta non in movimento). Il segno meno che compare nella equazione è
dovuto alla scelta di utilizzare la regola del cavatappi (coincidente con quella della
mano destra) per orientare le curve e le superfici ed è quindi legato ad una
convenzione. Volendo, infatti, applicare la legge di Faraday - Neumann, bisogna
anzitutto scegliere un’orientazione per la curva Γ; il versore della normale alla
superficie SΓ sarà, di conseguenza, scelto secondo il verso di avanzamento di un
cavatappi che ruota concordemente all’orientazione scelta per Γ.
Passiamo ora alla circuitazione di B. Essa è nota come legge di Ampère -
Maxwell, in onore ad Ampère, il geniale fisico francese che per primo eseguì
fondamentali esperienze sulle interazioni tra correnti elettriche, ed a Maxwell, il
grande fisico scozzese ideatore della teoria elettromagnetica nella sua forma più
generale. Osservando con attenzione questa equazione, ci si rende conto che ancora
62 - Campi elettrici e magnetici
In perfetta analogia al caso precedente, anche ora la scelta dei versori tangente e
normale viene fatta rispettando la regola del cavatappi. È chiaro allora che,
convenzione a parte, l’importante è che, nelle due leggi di circuitazione, i secondi
membri abbiano segni opposti.
µ0 = 4π • 10 -7 H . (2.4)
m
J = ρmobile v . (2.5)
velocità, che come tutti sappiamo è pari a m/s. In definitiva l’unità di misura della
densità di corrente sarà
J = C m= C = A .
m3 s m2 s m2
E A A'
ferme
_
+ +
v
_ _ +
+ _ in moto
_
+ + +
+ +
+ _
_ _ _ _
tratto generico
Abbiamo già fornito per i due protagonisti del campo elettromagnetico, il vettore
campo elettrico e quello di induzione magnetica, le leggi del flusso e della
circuitazione, necessarie alla loro individuazione. Potrebbe sembrare allora che le
equazioni siano complete, cosa in un certo qual modo vera, almeno per quel che
riguarda il campo elettromagnetico: le quattro leggi, le due di Gauss, quella di
Faraday - Neumann e quella di Ampère - Maxwell sono tutte le leggi che ci
occorrono. Ne esiste, tuttavia, una quinta che non riguarda direttamente il campo
elettromagnetico ma interessa le sorgenti del campo, cioè le cariche e le correnti
elettriche. Essa è nota come legge di conservazione della carica elettrica e
rappresenta una legge fondamentale della Fisica, che completa il quadro della
teoria elettromagnetica e delle sue sorgenti nel vuoto. Nella sua forma più
generale, essa si può scrivere come
66 - Campi elettrici e magnetici
J ⋅ n dS = - dQ , (2.6)
dt
Σ
secondo cui il flusso del vettore densità di corrente elettrica, uscente da una
qualunque superficie chiusa Σ, è in ogni istante di tempo pari all’opposto della
variazione temporale della carica elettrica contenuta nella regione di spazio
delimitata da Σ. Approfondiamo ancora il significato della legge (2.6) ed
immaginiamo di considerare una superficie chiusa Σ generica, all’interno della
quale siano presenti, in un dato istante, delle cariche elettriche dei due segni,
alcune positive, altre negative, in maniera tale che in un generico istante ‘t’ di
tempo la carica netta contenuta in Σ valga
Q(t) = Q0 .
Supponiamo ancora che alcune delle cariche elettriche, contenute nella regione,
stiano, ad esempio, uscendo, come schematizzato in Figura 2.2. Dire che cariche
positive stanno uscendo vuol dire che in quell’istante ‘t’ è presente un vettore
densità di corrente diretto verso l’esterno.
Σ +
+ J
- +
+
-
+ + + +
-
- +
+ - n
+
- + +
-
+
derivata nel tempo è negativa, cioè il suo opposto è positivo, proprio come il
flusso del vettore J uscente da Σ. Flusso in questo caso sicuramente positivo, visto
che il vettore J ed il versore normale sono concordi (Figura 2.2).
Per concludere illustriamo il significato fisico della legge espressa dalla (2.6). Essa
asserisce che le cariche elettriche non si creano, né si distruggono (ecco perché è
detta legge di conservazione della carica elettrica); o per lo meno non si è mai
verificato alcun fenomeno fisico nel quale si sia creata improvvisamente
all’interno di una regione dello spazio una singola carica elettrica. Esistono
esperimenti in cui cariche elettriche si creano o si annichiliscono, ma in ogni caso
questi fenomeni avvengono sempre a coppie, sicché la neutralità elettrica è
rispettata. In altri termini, in uno stesso luogo ed in uno stesso istante, due cariche
elettriche di pari modulo e di segno opposto si possono creare o distruggere
sempre in modo da avere carica netta, creata o distrutta, nulla. Stiamo
sottolineando con tanto vigore questa legge, che invece può sembrare quasi ovvia,
perché ovvia non è affatto; pensate che spesso si sostiene che la legge di
conservazione valga anche per la massa, cioè per la materia. Una delle espressioni
più tipiche, assai cara al filosofo Tito Lucrezio Caro, è che in natura nulla si crea
e nulla si distrugge. Nulla di più falso: il grande Albert Einstein ci ha insegnato
che la materia può crearsi e distruggersi trasformandosi in energia, secondo la
celeberrima equazione
E = m c2 .
Ciò non vale per la carica elettrica, come stiamo, a più riprese, sottolineando.
I= J ⋅ n dS , (2.7)
Σ
Σ
J
n
Nel caso in cui il vettore densità di corrente è costante ed uniforme su tutti i punti
della superficie Σ, allora si ottiene la relazione semplificata
I = J Σ cos β ,
I = J Σ = A m2 = A .
m2
Abbiamo già detto nel paragrafo precedente che, sulla base del teorema di
Helmholtz, ogni campo vettoriale richiede due leggi per essere descritto
completamente, una per il flusso ed una per la circuitazione. Ora, ricordando che
il campo elettromagnetico è definito da una coppia ordinata di grandezze
vettoriali, il campo elettrico ed il campo di induzione magnetica, è chiaro che per
enunciare le leggi del campo occorre fornire una legge per il flusso ed una per la
circuitazione del campo elettrico ed altrettanto bisogna fare per il campo di
induzione magnetica. A queste quattro leggi, poi, va aggiunta una quinta legge, la
69 - Campi elettrici e magnetici
legge di conservazione della carica elettrica, che lega tra loro le sorgenti, cioè le
cariche e le correnti, del campo elettromagnetico.
legge di
E ⋅ n dS = Q ,
ε0 Gauss
Σ
∂B ⋅ n dS legge di
E ⋅ t dl = - ,
∂t Faraday - Neumann
Γ SΓ
legge di Gauss
B ⋅ n dS = 0 ,
Σ
per il magnetismo (2.8)
legge di
B ⋅ t dl = µ0 J + ε0 ∂E ⋅ n dS ,
∂t Ampère - Maxwell
Γ SΓ
legge di conservazione
J ⋅ n dS = - dQ .
dt della carica elettrica
Σ
Adoperando la maniera semplificata di indicare gli integrali mostrata alla fine del
capitolo precedente, le equazioni (2.8) possono essere scritte nella forma più
concisa
ΦΣ E = Q , ΦΣ B = 0 ,
ε0
CΓ E = - ΦS Γ ∂B , CΓ B = µ0 ΦS Γ J + ε0 ∂E ,
∂t ∂t
ΦΣ J = - dQ ,
dt
CΓ E = - d B ⋅ n dS = - d ΦS Γ B . (2.9)
dt dt
SΓ
71 - Campi elettrici e magnetici
Passando alla legge di Ampère - Maxwell, possiamo dire che il campo di induzione
magnetica, in generale, è un campo non conservativo per il lavoro e presenta
vortici, costituiti sia dalla densità di corrente, sia dalle variazioni nel tempo del
campo elettrico. Per questo motivo spesso si dice che non solo le correnti
producono un campo magnetico, ma anche le variazioni del campo elettrico si
considerano al pari delle correnti. Tanto è vero che al termine
JS = ε0 ∂E (2.10)
∂t
Vogliamo, in questo paragrafo, soffermarci ancora sulle equazioni nel vuoto per
mettere in evidenza alcuni casi particolari che saranno di grande interesse per le
applicazioni che considereremo in questo volume e che ci torneranno utili anche
quando dovremo estendere le leggi del campo elettromagnetico nei mezzi
materiali. Esamineremo tra breve alcune situazioni fisiche particolari, che ci
faranno compenetrare meglio il significato fisico di queste leggi. Partiamo dal
primo caso, che va sotto il nome di Elettrostatica.
v=0,
da cui deriva che le densità di corrente sono anch’esse nulle, perché, come
certamente ricorderete, la densità di corrente J è data dal prodotto della densità
volumetrica di carica mobile ρmobile (diversa da zero in questo caso) per la velocità
media con cui queste cariche si muovono (grandezza, per ipotesi, nulla):
v = 0 → J = ρmobile v = 0 .
∂ ( )=0.
∂t
E ⋅ n dS = Q .
ε0
Σ
73 - Campi elettrici e magnetici
In realtà, l’unica cosa che cambia è che ora le grandezza campo elettrico, pur
continuando a variare in funzione delle coordinate spaziali, non dipende più da
quella temporale, cioè il campo elettrico sarà stazionario. Viceversa, dal fatto che
le densità di corrente sono tutte nulle, discende, in ossequio al teorema di
Helmholtz, che non c’è campo magnetico, e quindi
B=0.
E ⋅ t dl = 0 .
Γ
Nel caso elettrostatico, dunque, il campo elettrico presenta sorgenti che sono le
cariche elettriche, ferme per ipotesi, ma non presenta vortici e, quindi, è
irrotazionale (e da questa relazione discende la LKT).
Non discutiamo la legge di Ampère - Maxwell, cioè della circuitazione di B, in
quanto essa si riduce ad una identità, nel senso che il primo membro è nullo per
l’assenza del campo di induzione magnetica, come pure il secondo membro, dato
che sia il flusso della densità di corrente, sia il termine di densità di corrente di
spostamento, proporzionale alla derivata nel tempo del campo elettrico, sono nulli.
Segue da quanto detto che l’equazione di Ampère - Maxwell si riduce alla semplice
identità 0 = 0!
In conclusione, il caso più semplice che possiamo considerare è quello statico,
detto anche elettrostatico, in cui non solo tutte le grandezze sono stazionarie, cioè
non variano nel tempo, ma addirittura le correnti sono assenti in quanto le cariche
elettriche non si muovono. Questo implica che il campo magnetico è assente e che
il solo campo elettrico è presente, ma è un campo di tipo irrotazionale. L’ultima
osservazione da fare è che, a buon diritto, potremo parlare di solo campo elettrico
e non di campo elettromagnetico.
∂ ( )=0,
∂t
ma ciò non comporta l’assenza di correnti. L’ipotesi che rimuoviamo, o che non
consideriamo più valida, è che le cariche siano ferme: ammettiamo, invece, che le
velocità dei portatori di carica siano diverse da zero e ciò implica, come
conseguenza, che siano presenti densità di corrente non nulle. Però queste densità
di correnti, per la stazionarietà, devono essere costanti nel tempo, diverse da zero
ma stazionarie, quindi variabili da punto a punto dello spazio ma costanti in
funzione del tempo. Allora, introducendo queste ipotesi nelle leggi generali
dell’elettromagnetismo nel vuoto troviamo, anzitutto, che la legge di Gauss resta
invariata:
E ⋅ n dS = Q .
ε0
Σ
Questa volta, però, non possiamo più dire che il campo B è nullo, in quanto ci
sono correnti (costanti) che sostengono il campo magnetico, e, quindi, anche la
legge di Gauss per il magnetismo appare invariata
B ⋅ n dS = 0 ,
Σ
E ⋅ t dl = 0 ,
Γ
B ⋅ t dl= µ0 J ⋅ n dS .
Γ SΓ
È evidente che non compare più il termine dovuto alle correnti di spostamento
essendo il caso stazionario, mentre compare il termine di corrente di conduzione.
Il campo elettrico ammette sorgenti ma non ammette vortici, quindi è
irrotazionale; il campo magnetico, al contrario, non ammette sorgenti, quindi è
solenoidale, ma ammette vortici, quindi è rotazionale. Inoltre, dalla legge di
conservazione della carica, ricaviamo che il flusso del vettore J è nullo
J ⋅ n dS = - dQ = 0 ,
dt
Σ
Vi facciamo osservare, infine, che la teoria delle reti elettriche è una diretta
conseguenza delle leggi dell’elettromagnetismo stazionario.
tempo. Ciò nondimeno, il sistema fisico evolve nel tempo in maniera tale che la
variazione nel tempo delle grandezze elettriche risulta trascurabile:
∂E ≅ 0 , dQ ≅ 0 .
∂t dt
La variazione nel tempo del campo di induzione magnetica, invece, non può essere
considerata nulla e, pertanto,
∂B ≠ 0 .
∂t
E ⋅ n dS = Q , B ⋅ n dS = 0 .
ε0
Σ Σ
Vale la pena sottolineare che, in questo caso, sia i campi sia la carica sono
grandezze variabili nel tempo, non più costanti.
Per quanto riguarda la legge della circuitazione relativa al campo E, non potendo
trascurare nel tempo le variazioni di B, essa si presenterà nella sua forma
completa:
∂B ⋅ n dS ,
E ⋅ t dl = -
∂t
Γ SΓ
B ⋅ t dl = µ0 J ⋅ n dS .
Γ SΓ
77 - Campi elettrici e magnetici
J ⋅ n dS = 0 ,
Σ
∂E ≠ 0 , ∂B ≅ 0 .
∂t ∂t
Diciamo subito che questo caso è utile per studiare tutti quei dispositivi, come il
condensatore, che operino in condizioni variabili nel tempo.
Per quel che riguarda le due leggi di Gauss, la situazione risulta inalterata:
78 - Campi elettrici e magnetici
E ⋅ n dS = Q , B ⋅ n dS = 0 .
ε0
Σ Σ
Venendo, invece, alle altre due leggi, ossia quelle di Faraday - Neumann e di
Ampère - Maxwell, osserviamo subito che nella prima, a causa delle ipotesi di
trascurabilità delle variazioni temporali del campo magnetico, il secondo membro
è zero, e quindi
E ⋅ t dl = 0 ,
Γ
B ⋅ t dl = µ0 J + ε0 ∂E ⋅ n dS .
∂t
Γ SΓ
Come nel caso precedente, non sono presenti entrambi gli effetti incrociati, ma è
presente solo quello magnetoelettrico: si possono, infatti, risolvere prima le
equazioni che forniscono il campo E, noto il quale è possibile risolvere le
equazioni per il campo B.
La presenza del termine di densità di corrente di spostamento comporta che il
vettore densità di corrente J non è più solenoidale:
J ⋅ n dS = - dQ ,
dt
Σ
∂E ≠ 0 , ∂B ≠ 0 .
∂t ∂t
Entrambi i campi sono presenti significativamente e da ciò deriva che le leggi del
campo elettromagnetico si presentano nella loro forma generale, che è quella che
vi abbiamo presentato nel precedente paragrafo. Questo caso presenta uno
straordinario interesse sia teorico che applicativo, interesse che deriva dalla
presenza simultanea, nello spazio e nel tempo, dei due fenomeni incrociati, e cioè
quello di induzione magnetoelettrica e quello di induzione elettromagnetica. La
conseguenza diretta è che il campo elettromagnetico, in questo caso come nei due
precedenti, va pensato come un tutt’uno, come una grandezza fisica unica, sia pure
costituita da una parte elettrica e da una magnetica, ma soprattutto che esso
evolve nel tempo sotto forma di onde, cioè si sviluppa nel tempo con
caratteristiche analoghe a quelle delle onde di qualunque altro tipo, siano esse onde
acustiche, onde in una corda di violino oppure onde sulla superficie di un lago.
La propagazione delle onde elettromagnetiche, che è alla origine di tante
applicazioni pratiche di interesse vitale per il nostro tempo, la radio, la televisione,
la telefonia cellulare e tante altre, trae origine proprio dalla presenza simultanea
dei due effetti incrociati. In altri termini, laddove anche uno soltanto dei due
effetti sia assente, come avveniva nei due casi lentamente variabili, sia di tipo
elettrico che di tipo magnetico, non è più possibile avere la propagazione per onde
elettromagnetiche, ma si parla di fenomeni di diffusione.
Nei paragrafi precedenti sono state enunciate e commentate le leggi che descrivono
il comportamento del campo elettromagnetico nel vuoto. In questo paragrafo
cominceremo a percorrere la strada che ci consentirà di passare da queste leggi a
quelle generali in presenza di mezzi materiali. Già abbiamo detto più volte che le
leggi dell’elettromagnetismo nel vuoto assumono importanza fondamentale nel
quadro generale della teoria elettromagnetica; esse, però, si riferiscono ad una
situazione idealizzata, lontana dalla realtà che possiamo sperimentare, nella quale
80 - Campi elettrici e magnetici
sono presenti corpi materiali di ogni tipo: isolanti, conduttori, mezzi magnetici. È
fondamentale allora riuscire a ricavare le leggi anche nel caso in cui siano presenti
mezzi materiali. Ed è questo che ora ci accingiamo a fare.
In condizioni normali la materia è costituita da cariche elettriche dei due segni,
mescolate tra loro in maniera uguale, senza che ci siano correnti macroscopiche.
Pensate al fatto che la materia è formata da molecole, da atomi e che ciascun
atomo e ciascuna molecola è composta da cariche positive, i protoni, da cariche
negative, gli elettroni, e da particelle neutre, i neutroni. All’interno di ciascun
atomo, ed all’interno di ciascuna molecola, in condizioni normali, il numero di
protoni (cariche positive) è uguale a quello degli elettroni (cariche negative) e
quindi si presentano elettricamente neutri. La materia si presenta come un insieme
di cariche elettriche dei due segni, intimamente mescolate tra loro, che non
presentano alcun effetto macroscopico risultante.
Quando però su un corpo materiale agisce un campo elettromagnetico, che abbia la
sua origine all’esterno del corpo considerato (immaginiamo che ci siano delle
cariche elettriche che spostiamo a nostro piacimento al di fuori del corpo
materiale), esso evidentemente agirà sulle cariche che esistono nel corpo materiale,
esercitando un sistema di forze sulle cariche contenute all’interno del corpo stesso.
Sotto l’azione di queste forze le cariche possono muoversi separandosi tra loro,
alterando cioè quella situazione di neutralità locale, valida punto per punto
all’interno del corpo, e producendo moti orientati (correnti elettriche) all’interno
del corpo. Quando si verifichi che sotto l’azione di un campo elettromagnetico
esterno forzante le cariche si separino e si producano delle correnti, pur potendo
considerare il corpo globalmente neutro, è chiaro che sia queste cariche separate
che queste correnti contribuiscano a produrre il campo elettromagnetico, allo
stesso modo in cui il campo è prodotto dalle sorgenti esterne, quelle sulle quali
possiamo agire liberamente. In altri termini, il campo elettromagnetico, in
presenza di corpi materiali, viene ad essere prodotto non più soltanto dalle cariche
e dalle correnti libere, che noi immaginiamo di controllare completamente, ma
anche da cariche e correnti, che chiameremo legate perché dovute ai corpi
materiali stessi. Per effetto di un campo esterno si generano nei corpi materiali
cariche e correnti che, proprio in quanto legate al corpo, sono meno controllabili.
La presenza di un corpo materiale all’interno di una regione in cui è presente un
campo elettromagnetico produce i suoi effetti più importanti attraverso un
meccanismo per cui, oltre che essere presenti le cariche e le correnti libere,
vengono a prodursi altre cariche ed altre correnti, legate ai corpi materiali, che
insieme a quelle libere, contribuiscono a produrre il campo elettromagnetico
risultante. Ove mai il corpo materiale non fosse costituito da cariche elettriche dei
due segni intimamente mescolate tra di loro, ma fosse esclusivamente costituito da
81 - Campi elettrici e magnetici
Campo di Sorgenti
Reazione Legate
Inizialmente abbiamo un sistema di sorgenti libere, con il quale creiamo una certa
distribuzione di cariche e correnti libere esterne al corpo. Queste sorgenti
producono un campo elettromagnetico, indicato come campo esterno o forzante, i
cui effetti si esercitano anche all’interno dei corpi materiali presenti. Il campo
risultante non coincide con il campo forzante, ma, come si nota dalla figura, è una
combinazione del campo forzante e del campo di reazione generato dalle sorgenti
legate: la ragione della accresciuta difficoltà della trattazione delle leggi
82 - Campi elettrici e magnetici
• trasparente;
• isolante;
• magnetico;
• conduttore.
Infine, dei casi particolari di grande interesse del comportamento conduttore sono
quelli conosciuti come semiconduttore, superconduttore e plasma.
Un semiconduttore è tipicamente un materiale che è di per sé scarsamente
conduttore, però diventa un buon conduttore quando nel materiale siano state
aggiunte delle piccole quantità di impurità, cioè sostanze diverse ed opportune,
che, introdotte nel materiale in maniera controllata, alterano radicalmente l’entità
del fenomeno di conduzione elettrica tipica del materiale originario (si dice anche
materiale non drogato). Presentano, quindi, un comportamento che per questo
motivo è chiamato semiconduttore ed è di grandissimo interesse in tutte le
applicazioni elettroniche. Basti pensare che oggi tutti i dispositivi elettronici sono
basati su comportamenti di materiali di tipo semiconduttore.
I superconduttori sono altri materiali che, portati a temperature molto basse,
mostrano i tipici fenomeni di superconduzione, scoperti agli inizi del secolo
ventesimo su materiali portati a temperature prossime allo zero assoluto. Questi
particolari materiali, nelle condizioni descritte, presentano una drastica riduzione
della resistività elettrica che diventa nulla al di sotto di una temperatura dipendente
dal materiale adoperato e tipicamente bassissima, dell’ordine di pochi gradi kelvin.
È opportuno ricordare che negli ultimi anni si sono scoperti materiali
superconduttori che presentano fenomeni del genere anche a temperature
relativamente più alte di quelle di cui parlavamo prima.
Infine, un altro comportamento che negli ultimi decenni ha assunto notevole
rilevanza nel campo della ricerca fisica di base è quello del plasma, che si forma
all’altro estremo del campo di temperature (anche se questo non è l’unica maniera
per ottenere un plasma), siamo cioè in presenza di materia allo stato fluido portata
a temperatura dell’ordine di quelle che possiamo riscontrare nel nocciolo delle
stelle, cioè milioni di gradi. Anche in questo caso per motivi radicalmente diversi
da quelli per i quali si verifica il fenomeno della superconduttività, la conducibilità
tipica dei plasmi raggiunge valori considerevoli, dando luogo a tutto un insieme di
fenomeni particolari e nuovi che hanno dato origine ad un interessantissimo campo
85 - Campi elettrici e magnetici
di ricerca, la fisica del plasma appunto, le cui possibilità, per altro anche di
applicazione in campo pratico ed in campo energetico, sono allo studio da molti
anni.
+q -q
d t
Queste due cariche separate producono un campo elettrico che, in punti non
troppo vicini al dipolo, dipende dal cosiddetto momento elettrico del dipolo; si
tratta di un vettore, indicato con la lettera p, diretto lungo la retta che congiunge
le due cariche, dalla carica negativa verso quella positiva (Figura 2.5), pari a
p=qdt,
cioè il modulo è dato dal prodotto del modulo della carica per la distanza tra le
cariche e t è il versore della retta congiungente le cariche diretto dalla carica
negativa a quella positiva. Quel che è importante osservare è che il campo elettrico
prodotto da un dipolo dipende in maniera forte dal momento elettrico di dipolo.
m=iSn.
i
n
Questi dipoli, ancora una volta, hanno origine negli atomi e nelle molecole che
costituiscono il materiale che stiamo considerando e possiamo in qualche modo
immaginare che queste correnti elementari siano associate tanto ai moti di
rivoluzione degli elettroni attorno ai nuclei, quanto agli stessi moti di rotazione
attorno al proprio asse (si dice di spin) degli elettroni, almeno in una visione
estremamente semplificata dei fenomeni. Quel che possiamo aggiungere è che, in
condizioni normali, in assenza cioè di azioni esterne, questi diversi momenti
magnetici associati ai diversi atomi, siano orientati a caso; non esiste, quindi,
alcuna direzione privilegiata nello spazio, ed i campi magnetici prodotti da tutti
questi dipoli, sommandosi vettorialmente tra loro, hanno mediamente un effetto
nullo o comunque trascurabile. Quando accade, invece, che agisce sul materiale un
campo elettromagnetico di origine esterna, allora può accadere che i diversi dipoli
che costituiscono il materiale in qualche modo tendano ad orientarsi in una
direzione privilegiata, ed in tal caso il loro effetto risultante non sarà più
trascurabile, potendo contribuire in maniera significativa alla produzione del
campo elettromagnetico, sia all’interno del materiale che nelle sue vicinanze. In
ultima analisi, possiamo dire che un materiale è magnetizzato quando le particelle
che lo costituiscono si presentano come dipoli magnetici orientati mediamente in
una stessa direzione. Ed è ovvio anche che un materiale è tanto più magnetizzato
quanto maggiore è il numero dei dipoli magnetici orientati.
Iniziamo dalla polarizzazione elettrica degli isolanti. Come abbiamo visto nel
paragrafo precedente, il fenomeno della polarizzazione elettrica è il fenomeno per
cui ciascuna parte, per quanto piccola, del materiale si trova ad essere polarizzata
elettricamente: le molecole, che compongono un pezzetto di materia, si trovano ad
avere i loro momenti di dipolo elettrico orientati preferenzialmente in una certa
direzione. Allora è chiaro che il protagonista di cui abbiamo bisogno per
introdurre una relazione costitutiva, che riesca a descrivere compiutamente questo
fenomeno, è una grandezza che sia capace di dire quale sia il momento di dipolo
risultante per ciascun pezzetto di materia del corpo che stiamo considerando.
Supponiamo di avere un pezzetto elementare appartenente al materiale e che
questo corpo materiale sia polarizzato. Abbiamo bisogno di conoscere quale sia il
momento di dipolo risultante dovuto alla presenza di tutti i dipoli elementari
contenuti all’interno di questo elemento di volume. In altri termini, vogliamo
conoscere quella che comunemente viene chiamata polarizzazione P. Si tratta di
una grandezza vettoriale che, moltiplicata per l’elemento di volume elementare
89 - Campi elettrici e magnetici
dp = P dV .
dV = dx dy dz
dz
dy
dx
P = dp .
dV
dp
P = =Cm = C .
dV m3 m2
P=F E ,
cioè una funzione, che per il momento lasciamo generica, che metta in relazione
l’intensità di polarizzazione ed il campo elettrico agente sullo stesso elemento di
volume. È chiaro, come si dice, che si tratta di una relazione che caratterizza il
comportamento del materiale e che sarà valida in tutti i punti del corpo materiale.
Quindi in ciascun punto del corpo materiale, supposto omogeneo (avente, cioè la
stessa costituzione in ogni suo punto), avremo che, conoscendo questo tipo di
funzione, che ad ogni valore del campo E associa il corrispondente valore di P,
ove sia noto il campo elettrico, in quel punto è possibile determinare anche
l’intensità di polarizzazione e, viceversa, ammesso che il legame imposto dalla
funzione sia invertibile (il che, per inciso, non sempre accade). Vale la pena
osservare che il campo E, che è all’origine del fenomeno di polarizzazione, è il
campo risultante e non solo quello esterno, quello che avevamo chiamato forzante;
esso non è solo quello prodotto dalle cariche libere, ma da quelle libere e quelle
legate. Questo punto va sottolineato con forza, in quanto è grazie a questa
assunzione che abbiamo la possibilità di sciogliere il nodo logico di cui in
precedenza abbiamo parlato.
Quindi la relazione costitutiva tipica di un fenomeno di polarizzazione elettrica
consente di valutare l’intensità di polarizzazione che si verifica nel materiale
quando sia nota l’intensità del campo risultante agente nel materiale.
Per motivi che chiariremo tra breve, è conveniente introdurre anche una nuova
grandezza vettoriale che è detta vettore spostamento elettrico. Questa
grandezza vettoriale, solitamente indicata con D, è anche nota come induzione
elettrica ed è definita come
D = ε0 E + P , (2.12)
campo elettrico, che compare nella definizione (2.12), è quello risultante e non
quello forzante. Non stiamo ora a chiederci il perché introduciamo questa nuova
grandezza vettoriale, che se volete è di tipo un po’ misto, nel senso che contiene in
sé tanto la grandezza che descrive l’entità del fenomeno polarizzazione elettrica,
quanto la causa, cioè il campo elettrico che produce quella polarizzazione. Le
dimensioni di D sono le stesse di quelle di P, cioè C/m2.
Dalla definizione (2.12) è chiaro che la relazione costitutiva tipica del fenomeno di
polarizzazione elettrica, che prima avevamo dato come legame tra campo elettrico
risultante ed intensità di polarizzazione, a questo punto, può anche essere data
come legame tra il vettore spostamento ed il campo elettrico:
D=G E .
P = ε0 χe E , (2.13)
Allora possiamo dire che ci sono molti materiali dielettrici, che in un discreto
campo di valori del loro funzionamento, presentano un comportamento
caratterizzato dalla relazione (2.13) e, quindi, da un determinato valore della
suscettività elettrica. Per il momento immaginiamo di trovarci di fronte ad un
materiale per il quale sia noto il valore della suscettività elettrica, per cui sia
possibile, noto il campo elettrico risultante, determinare l’intensità di
polarizzazione. Notiamo esplicitamente che il comportamento è lineare, infatti se
il campo elettrico raddoppia, raddoppia l’intensità di polarizzazione, se il campo
elettrico dimezza, dimezza l’intensità di polarizzazione. Il legame è anche isotropo
perché constatate che il vettore P ed il vettore E sono tra loro allineati, essendo
proporzionali, e la direzione ed il verso di P coincidono con quelli di E. Questo fa
sì che, anche al variare della direzione del campo elettrico, i due vettori restano
paralleli ed è in questo senso che il legame è isotropo. Resta inteso che ci siamo
limitati a considerare il caso più semplice, quello dei mezzi materiali che hanno
comportamento lineare ed isotropo, anche se avremmo potuto considerare mezzi
molto più complessi, dato che nelle applicazioni cui faremo riferimento in questo
testo il comportamento tipico che avremo modo di considerare è proprio quello
lineare ed isotropo.
D = ε0 E + P = ε0 E + ε0 χe E = ε0 1 + χe E ,
D=εE . (2.14)
93 - Campi elettrici e magnetici
C
D m2
ε = = = C = F ,
E V mV m
m
dove abbiamo definito il farad (F) come il rapporto tra il coulomb ed il volt. È
abitudine diffusa riferirsi non tanto alla costante dielettrica, quanto alla costante
dielettrica relativa, definita come
ε 1 + χe
εr = ε = 0 = 1 + χe . (2.15)
ε0 ε0
QLEG = - P ⋅ n dS , (2.16)
Σ
94 - Campi elettrici e magnetici
legame che traduce in termini matematici di flusso la relazione che esiste tra le
cariche indotte nel materiale, legate a fenomeni di polarizzazione elettrica, al
vettore P che descrive lo stato di polarizzazione in ogni volume elementare del
materiale. La dimostrazione richiede considerazioni e teoremi di calcolo vettoriale
che non ci sembra opportuno riferire in questa sede.
Dopo aver discusso delle relazioni costitutive nei casi di polarizzazione elettrica,
passiamo ad esaminare la polarizzazione dei mezzi magnetici. Il discorso è in
qualche modo facilitato da ciò che già sappiamo a proposito della polarizzazione
elettrica, perché, anche in questo caso, avremo bisogno di definire anzitutto il
protagonista della situazione. E chi sarà? Dovrà essere una grandezza capace di
descrivere quantitativamente lo stato di polarizzazione magnetica di un materiale
e, quindi, come nel caso elettrico anche in questa nuova situazione ci tornerà utile
introdurre una grandezza vettoriale, l’intensità di magnetizzazione, definita in
modo del tutto simile all’intensità di polarizzazione. Anche in questo caso
l’intensità di magnetizzazione è fornita dal momento di dipolo magnetico per unità
di volume presente nel mezzo materiale. Immaginiamo di considerare un
elementino di volume del mezzo materiale magnetizzato e di valutare il momento
magnetico risultante, dovuto alla presenza di tutti i dipoli magnetici contenuti
all’interno del volumetto considerato, come prodotto del vettore intensità di
magnetizzazione per il valore del volume dV, del pezzetto di materia che stiamo
considerando
dm = M dV .
M = dm ,
dV
I S A m2 A
M = = = .
V m3 m
95 - Campi elettrici e magnetici
Ancora una volta, seguendo il percorso logico che abbiamo delineato per il caso
elettrico, l’altro protagonista della relazione costitutiva deve essere evidentemente
il campo di induzione magnetica B: il legame causa - effetto, sia pure complesso,
nei termini cui facevamo riferimento in precedenza, è tra lo stato di
magnetizzazione del materiale ed il campo di induzione agente in esso. È appena il
caso di sottolineare che B rappresenta il campo risultante, prodotto sia dalle
sorgenti esterne al corpo materiale, sia da quelle interne al corpo stesso. Il legame
costitutivo è un legame indicato genericamente dalla funzione
M=F B ,
H= B -M (2.17)
µ0
che, come il vettore spostamento elettrico D, ci tornerà molto utile per scrivere le
equazioni di Maxwell nei mezzi materiali. Ricorderete certamente che µ0 è la
permeabilità magnetica (assoluta) nel vuoto. Le dimensioni del campo magnetico
H sono naturalmente le stesse di quelle di M e, quindi, A/m. Se confrontate la
relazione (2.17) con la (2.12), potrete riscontrare una lieve differenza formale:
per definire il nuovo vettore, nel caso magnetico, dobbiamo operare una
differenza, non una somma vettoriale, come nel caso elettrico.
Come abbiamo già fatto in precedenza, possiamo fornire la relazione costitutiva,
che descrive il comportamento magnetico dei materiali, anche come
H= G B ,
96 - Campi elettrici e magnetici
M = χm B , (2.18)
µ0
|χm| « 1 .
Vedremo più avanti che esistono dei casi in cui questa affermazione non è vera,
ma non preoccupatevene troppo, dato che saranno casi in cui il legame tra M e B
non è più né lineare, né isotropo. Comunque, restando per il momento nel caso di
linearità ed isotropia, ricaviamo il legame tra H e B; sostituendo la relazione
(2.18) nella definizione (2.17), risulta
H = B - M = B - χm B = 1 - χm B .
µ0 µ0 µ0 µ0
1 - χm
µ0
1 - χm = 1 .
µ0 µ
97 - Campi elettrici e magnetici
H= 1 B → B = µH, (2.19)
µ
µr = µ = µ0 = 1 . (2.20)
µ0 µ0 1 - χm 1 - χm
Dalla (2.20) si capisce che, essendo χm sia positiva che negativa, segue che µr può
assumere valori maggiori oppure minori dell’unità. Questo vuol dire che
contrariamente al caso elettrico in cui la ε è in ogni caso maggiore o al più uguale
a quella del vuoto, nel caso magnetico, la µ può risultare sia minore che maggiore
di quella del vuoto. L’unità di misura di µ, coincidente con quella di µ0, è
Wb
B 2
µ = = m =H,
H A m
m
in cui l’henry (H) è dato dal rapporto tra il weber (Wb) e l’ampere (A).
Possiamo a questo punto fare una prima classificazione dei diversi tipi di materiali
magnetici. Chiameremo materiali diamagnetici quei materiali per i quali la µr
risulta minore dell’unità
una tabella in cui sono presenti, con i propri valori di µr, i più comuni materiali
diamagnetici e paramagnetici.
Materiali Tipo µr
Rame Diamagnetico 0.999991
Bismuto Diamagnetico 0.99984
Aria (a TPS) Paramagnetico 1.0000004
Platino Paramagnetico 1.0003
µr » 1 (materiali ferromagnetici) .
Riportiamo di seguito una tabella in cui sono presenti i più comuni materiali
ferromagnetici con le relative permeabilità magnetiche relative.
Materiali ferromagnetici µr
Ferro 25000
Ghisa 70
Lega Fe - Si 30000
Supermalloy 100000
B
µ » µ0
µ > µ0 B = µ0 H
µ < µ0
0 H
Prima di concludere questo paragrafo, come abbiamo già fatto per il caso della
polarizzazione elettrica, forniamo il legame matematico tra l’intensità di
magnetizzazione e le correnti indotte nel materiale dal campo esterno, correnti che
abbiamo chiamato legate
J= σE . (2.22)
E= 1J=ρJ,
σ
Conduttore ρ (Ω m)
Rame 1.7 ⋅ 10 -8
Alluminio 2.8 ⋅ 10 -8
Acqua di mare 3 ⋅ 10 -1
Acqua dolce 10 ÷ 100
Terreno 102 ÷ 104
nello sviluppo di calore che si verifica nei materiali conduttori quando sono
percorsi da corrente. Esso è descritto dalla legge di Joule
P S = ρ J2 ,
dove al primo membro compare la potenza elettrica per unità di volume PS , detta
anche potenza specifica, che viene dissipata in calore nel conduttore di resistività ρ
percorso dalla densità di corrente J. Si noti che la potenza per unità di volume
viene misurata in
2 2
PS = Ω m A = V A = V A = W .
m4 A m3 m3 m3
Questo vuol dire che in ogni metro cubo di materiale, percorso da corrente, si
dissipa in calore una potenza PS che è proporzionale, attraverso ρ, al quadrato
della densità di corrente. La proporzionalità al quadrato fa sì che se si raddoppia
la J, la potenza PS dissipata quadruplica, mentre se la J si dimezza, la PS diventa la
quarta parte. Dato che questa potenza si dissipa in calore nel materiale, è evidente
che il materiale conduttore si riscalda e nel momento in cui si riscalda la sua
temperatura diventa maggiore di quella dell’ambiente circostante; quindi, c’è la
possibilità di un flusso di calore che va dal materiale verso l’ambiente circostante e
questo flusso di calore è tanto più intenso quanto più alta è la temperatura del
materiale stesso. Ne deriva che quando in un materiale conduttore, poniamo un
filo conduttore, facciamo in qualche modo aumentare la densità di corrente che
circola nel conduttore, la temperatura del filo aumenta. A questo punto, se la
densità di corrente supera certi valori, la temperatura del conduttore può
raggiungere valori tali da compromettere la buona funzionalità del dispositivo di
cui il conduttore fa parte.
Per evitare queste situazioni pericolose, gli ordini di grandezza tipici che si
accettano per la densità di corrente all’interno di un conduttore presente nei
dispositivi più comuni, sono quelli pari
J ≅ (2 ÷ 4) A/mm2 .
Nel prossimo capitolo mostreremo come si passi dalla legge di Ohm in forma
locale a quella in forma globale che è stata uno dei pilastri dei circuiti elettrici e
che abbiamo indicato semplicemente come legge di Ohm.
A questo punto, avendo descritto i principali fenomeni che si verificano nei mezzi
materiali soggetti a campo elettromagnetico ed avendo introdotto le principali
grandezze che occorrono per descrivere i fenomeni connessi e le relazioni
costitutive che legano tra loro queste grandezze, possiamo enunciare le leggi
generali del campo elettromagnetico in presenza di mezzi materiali. Ciò
rappresenta il passaggio più importante, cui più volte avevamo fatto menzione nei
paragrafi precedenti, e che ci fornirà lo strumento fisico - matematico essenziale
per poter poi spiegare compiutamente il funzionamento di tutti quei dispositivi
interessanti per le applicazioni elettrotecniche.
Abbiamo immaginato lo spazio vuoto come una situazione astratta nella quale
siano presenti cariche e correnti, che si muovono a nostro piacimento, e non ci sia
null’altro nell’universo. In questo momento rimuoviamo questa ipotesi ed
immaginiamo che ci siano cariche e correnti libere, che possiamo controllare a
piacere, ma che oltre a queste cariche e correnti ci siano dei corpi materiali, di
caratteristiche elettromagnetiche e forme diverse l’uno dall’altro.
E ⋅ n dS = QLIB + Q LEG ,
ε0
Σ
(2.23)
B ⋅ n dS = 0 ,
Σ
assumono la stessa forma già discussa per il vuoto, soltanto che a secondo membro
della prima legge, oltre alle cariche sorgenti QLIB del campo esterno, dovranno
essere portate in conto anche le cariche QLEG legate ai corpi materiali che stiamo
103 - Campi elettrici e magnetici
prendendo in considerazione. Per quel che riguarda poi la legge di Gauss per il
campo magnetico, la situazione resta assolutamente inalterata, non perché nel
corpo non possono esservi fenomeni di tipo magnetico, ma perché non esistono in
alcun caso cariche magnetiche libere che possono costituire sorgenti o pozzi in
grado di fornire un flusso di B non nullo. Così anche in presenza di mezzi
materiali il campo magnetico B rimane solenoidale.
Passiamo poi alle altre due leggi, quelle relative alle circuitazioni dei campi, e
vediamo come esse si modificano in presenza di corpi materiali:
∂B ⋅ n dS ,
E ⋅ t dl = -
∂t
Γ SΓ
(2.24)
B ⋅ t dl = µ0 JLIB + JLEG + ∂D ⋅ n dS .
∂t
Γ SΓ
Per quel che riguarda la legge di Faraday - Neumann nulla è cambiato e non c’è
alcuna differenza rispetto al caso del vuoto: anche in un mezzo materiale la
circuitazione del campo elettrico E, lungo una qualunque linea chiusa Γ, è pari, a
meno del segno, alla variazione del flusso della derivata temporale del campo di
induzione magnetica B, attraverso una qualunque superficie aperta SΓ, che abbia Γ
come orlo. La presenza dei mezzi materiali, di qualsiasi genere, non altera in
alcun modo la legge di induzione elettromagnetica.
Per la legge di Ampère - Maxwell, invece, notate che dei cambiamenti ci sono: in
particolare, la prima novità è che tra i vortici del campo B oltre ad essere presenti
le densità di correnti libere JLIB, così come prescritto dalle leggi generali nel
vuoto, stavolta sono da portare in conto anche le eventuali correnti legate JLEG che
si inducono nei corpi materiali a causa del campo elettromagnetico esterno; la
seconda novità è costituita dalla nuova espressione della densità di corrente di
spostamento
JS = ∂D ,
∂t
che non è più coincidente con l’espressione (2.10) valida per il vuoto, ma che si
riconduce ad essa nell’ipotesi di assenza di materiale, quando D = ε0 E.
104 - Campi elettrici e magnetici
Infine, per quel che riguarda la legge di conservazione della carica elettrica, essa
assume ancora la stessa forma che aveva nel vuoto, limitatamente però alle sole
cariche e correnti libere:
Le nuove leggi date possono essere poste in una forma più semplice, nella quale le
cariche e le correnti legate, sulle quali non esercitiamo alcun controllo, siano
assenti. In pratica si tratta di trasformare la legge di Gauss e la legge di Ampère -
Maxwell per mezzo delle definizioni e proprietà riportate relative ai vettori
intensità di polarizzazione elettrica e magnetica.
Partendo dalla legge di Gauss
E ⋅ n dS = QLIB + Q LEG ,
ε0
Σ
E ⋅ n dS = QLIB - 1 P ⋅ n dS → ε0 E + P ⋅ n dS = Q LIB .
ε0 ε0
Σ Σ Σ
D ⋅ n dS = Q LIB . (2.26)
Σ
B ⋅ t dl = µ0 JLIB + JLEG + ∂D ⋅ n dS .
∂t
Γ SΓ
1 B ⋅ t dl = M ⋅ t dl + JLIB + ∂D ⋅ n dS .
µ0 ∂t
Γ Γ SΓ
Ora, ricordando la definizione del vettore intensità di campo magnetico data dalla
relazione (2.17), non è difficile concludere che
H ⋅ t dl = JLIB + ∂D ⋅ n dS . (2.27)
∂t
Γ SΓ
Per la legge di Ampère - Maxwell, le cose cambiano in maniera analoga alla legge
di Gauss. Ricordiamo che avevamo già dato (2.24) la legge generale del campo in
presenza di mezzi materiali. Nel modo in cui la formuliamo ora, però, ci
liberiamo delle correnti legate, stavolta compaiono le sole correnti libere, ed al
posto della derivata temporale del campo elettrico compare quella dello
spostamento elettrico: il prezzo per liberarci dalle correnti legate lo paghiamo al
primo membro in cui non compare più il vettore B, ma abbiamo invece la
circuitazione dell’intensità di campo magnetico H.
106 - Campi elettrici e magnetici
In ultima analisi possiamo dire che in queste quattro leggi, le due di flusso e le due
di circuitazione, due di esse, la legge di flusso per il campo di induzione magnetica
e la legge di circuitazione per il campo elettrico, restano assolutamente inalterate
passando dall’elettromagnetismo nel vuoto a quello in presenza di mezzi materiali;
le altre due, la legge di Gauss per il campo elettrico e quella di Ampère -
Maxwell, invece, si modificano. Esse si modificano per una duplice ragione: in
primo luogo perché a secondo membro, tra le sorgenti, figurano ora soltanto
grandezze libere, cariche e correnti, che sono quelle sulle quali noi possiamo
esercitare un effettivo controllo; in secondo luogo, al primo membro non figurano
più i vettori E e B, ma figurano, rispettivamente, nella legge di Gauss lo
spostamento elettrico, la stessa grandezza la cui derivata temporale compare a
secondo membro della legge di Ampère - Maxwell, ed in quest’ultima legge
compare il campo magnetico.
Perché abbiamo detto più volte che l’esserci liberati dalle grandezze legate ci ha
fatto pagare un prezzo, che è quello di far apparire i due nuovi vettori D ed H? E,
poi, perché tutto ciò implica un prezzo?
Il prezzo è che noi adesso abbiamo quattro equazioni, così come accadeva nel
vuoto, però questa volta i protagonisti di queste equazioni non sono più soltanto
due, cioè E e B, bensì sono diventati quattro: il campo elettrico E, il campo di
induzione magnetica B, il vettore spostamento elettrico D ed il campo magnetico
H. Quindi è chiaro a questo punto che queste quattro equazioni, stante il teorema
di Helmholtz, ricordato più volte in precedenza, non possono essere sufficienti a
consentirci di individuare univocamente le grandezze del campo: occorrono altre
relazioni. Ma proprio sulla base delle cose dette negli ultimi due paragrafi,
sappiamo bene adesso quali possono e debbano essere queste relazioni: le relazioni
costitutive ci consentono di aggiungere quelle equazioni necessarie a rendere
univocamente determinato il sistema delle equazioni di Maxwell.
Questa conclusione ci consente di sciogliere il nodo logico cui eravamo pervenuti e
nelle leggi cui siamo pervenuti compaiono le sole sorgenti libere, le sole, come più
volte abbiamo sottolineato, che possiamo controllare direttamente.
Infine, per concludere il quadro delle leggi generali del campo elettromagnetico,
naturalmente, non dobbiamo dimenticare la solita legge della conservazione della
carica elettrica. Essa, come già sappiamo dall’equazione (2.13), rappresenta una
relazione tra le sorgenti del campo, che questa volta va enunciata con riferimento
107 - Campi elettrici e magnetici
alle sole grandezze libere, cioè il flusso della densità di corrente libera uscente da
una qualsiasi superficie chiusa Σ deve essere pari, a meno del segno, alla derivata
nel tempo della carica libera contenuta all’interno della regione delimitata da Σ. Il
significato rimane lo stesso, cioè non possono né crearsi né distruggersi cariche
elettriche libere.
legge di
D ⋅ n dS = Q LIB ,
Σ
Gauss
∂B ⋅ n dS legge di
E ⋅ t dl = - ,
∂t Faraday - Neumann
Γ SΓ
legge di Gauss
B ⋅ n dS = 0 ,
Σ
per il magnetismo
JLIB + ∂D ⋅ n dS
legge di
H ⋅ t dl = ,
∂t Ampère - Maxwell (2.28)
Γ SΓ
legge di conservazione
JLIB ⋅ n dS = - dQLIB ;
dt della carica
Σ
Relazioni Costitutive .
A partire dal paragrafo successivo studieremo, così come avevamo fatto nel caso
del vuoto, le situazioni più interessanti per gli argomenti che tratteremo più
avanti: si tratta, come certamente ricorderete, del caso statico, di quello lentamente
variabile di tipo magnetico, di quello lentamente variabile di tipo elettrico e della
magnetostatica. Naturalmente tutti questi casi discendono dalle equazioni generali
del campo, cioè dalle leggi di Maxwell, particolarizzate sulla base delle ipotesi che
man mano faremo.
108 - Campi elettrici e magnetici
Il caso stazionario è quello in cui, come abbiamo già avuto modo di sottolineare in
precedenza, tutte le grandezze sono costanti nel tempo. Quindi tutte le derivate
rispetto al tempo sono nulle, cosa che abbiamo scritto sinteticamente come
∂ ( )=0.
∂t
Questa ipotesi, sostituita nelle leggi generali fornite prima, porta alle seguenti
equazioni, che sono valide nel solo limite stazionario:
D ⋅ n dS = Q LIB , E ⋅ t dl = 0 ,
Σ Γ
B ⋅ n dS = 0 , H ⋅ t dl = JLIB ⋅ n dS , (2.29)
Σ Γ SΓ
E ⋅ t dl = 0 → v(B) - v(A) = - E ⋅ t dl .
Γ A
109 - Campi elettrici e magnetici
A + − B
+ +
− −
D C
+ −
Ora, valutando per il caso mostrato in Figura 2.9 la circuitazione del campo
elettrico, cioè usando come linea Γ proprio la maglia ABCD, risulta che
B C D A
E ⋅ t dl = E ⋅ t dl + E ⋅ t dl + E ⋅ t dl + E ⋅ t dl = 0 ,
Γ A B C D
in cui, nel passare dalla prima alla seconda uguaglianza, abbiamo usato la
proprietà subadditiva dell’integrale, cioè abbiamo suddiviso la linea chiusa in
quattro tratti, su ciascuno dei quali abbiamo calcolato l’integrale di linea del
campo. Ora, a parte il segno meno, il primo integrale rappresenta proprio la
tensione vAB, il secondo la vBC, e così via. Pertanto, la relazione precedente
diventa
Un discorso analogo si può fare per la LKC a partire dalla solenoidalità del
vettore densità di corrente:
JLIB ⋅ n dS = 0 .
Σ
110 - Campi elettrici e magnetici
n
S1 S2
Superficie
Gaussiana
i1 i2
i3 S3
JLIB ⋅ n dS = 0 → J1 ⋅ n dS + J1 ⋅ n dS + J3 ⋅ n dS = 0 .
Σ S1 S2 S3
+ i 1 - i2 - i3 = 0 ,
in cui abbiamo posto il segno ‘+’ prima della corrente se il suo verso (peraltro
arbitrario) è concorde con la normale alla superficie, il segno ‘-’ in caso
contrario. Come nel caso precedente, abbiamo ottenuto proprio la LKC applicata
alla superficie Gaussiana presa in esame.
2.9 Elettrostatica
111 - Campi elettrici e magnetici
D ⋅ n dS = Q LIB , E ⋅ t dl = 0 ,
Σ Γ
(2.30)
Relazioni Costitutive .
F12 = k q1 q 2 r 12 ,
r2
in cui la costante k è positiva e dipende dal sistema di unità di misura scelto per
rappresentare le altre grandezze in gioco. La forza F12 è dunque diretta lungo la
congiungente tra le due cariche, è proporzionale al prodotto delle stesse,
inversamente proporzionale al quadrato della distanza che le separa e, come si
desume dalla presenza del versore r 12, è diretta nel verso che va dalla posizione
occupata dalla carica q1 a quella occupata dalla carica q2, se entrambe le cariche
hanno lo stesso segno; questa forza (Figura 2.11) è, dunque, attrattiva se le cariche
112 - Campi elettrici e magnetici
q1 e q2 hanno segno opposto, e repulsiva se esse invece hanno lo stesso segno. Sulla
carica q1 agisce una forza uguale ed opposta:
F21 = - F12 .
q1 q2
F21 F12 cariche omonime
r
q1 F
21 F12 q2
cariche eteronime
r
q2
F1
q1
F1 + F2
F2
k= 1 ,
4π ε
k= 1012 2
≅ 9 ⋅ 10 9 N m .
4 ⋅ 3.1415 ⋅ 8.854 C2
Applicando la legge di Coulomb, una volta nel mezzo, un’altra nel vuoto, ed
indicando con F il modulo comune della forza, possiamo scrivere
F = 1 4 ⋅ 45 ⋅ 10 = 1 20 ⋅ 1.5 ⋅ 10 .
-12 -12
4π ε (0.12)2 4π ε0 (0.06)2
1 4 ⋅ 45 = 20 ⋅ 1.5 2
→ εr = 180 0.06 = 1.5 .
εr (0.12)2 (0.06)2 30 0.12 2
Lo spazio circostante ad una carica elettrica, nel quale essa esercita su altre cariche
forze di attrazione oppure di repulsione secondo la legge di Coulomb, viene detto
campo elettrostatico. Ogni campo di questo tipo ha teoricamente un’estensione
infinita; in realtà, gli effetti della carica che lo produce, che possiamo anche
114 - Campi elettrici e magnetici
chiamare carica generatrice, sono rilevabili, anche con strumenti di misura dotati
di elevatissima sensibilità, solo fino a distanze finite più o meno grandi. La legge
della gravitazione universale, molto simile alla legge di Coulomb, ha, a differenza
di quest’ultima, una verifica su distanze molto più grandi, che spaziano dalle stelle
doppie alle galassie. Possiamo dire che abbiamo evidenza sperimentale della legge
di Coulomb solo su distanze dell’ordine delle decine (forse centinaia) di metri.
Detta F la forza prodotta sulla carica di prova q0, una piccola carica usata per
determinare proprio questa forza, il campo elettrico sostenuto dalla distribuzione
assegnata è legato alla forza dalla relazione
F = q0 E → E = F .
q0
9 36 ⋅ 10
-9
q
E= F = 1 → 3.6 ⋅ 10 = 9 ⋅ 10
3
→ r = 30 cm .
q0 4π ε0 r 2 r2
Infine, ricordiamo che il lavoro per spostare una carica q da un punto A fino ad
un punto B in un campo elettrostatico, data l’irrotazionalità di quest’ultimo, non
dipende dal percorso fatto per congiungere i due punti e vale
L AB = q VA - VB .
Per spostare, ad esempio, una carica di q = 0.1 mC tra due punti tra i quali esiste
una differenza di potenziale di 125 V, bisogna compiere sulla carica un lavoro
pari a
E
Conduttore isolato
E=0
E n
∆S ε
Esterno del conduttore
Interno del conduttore
E=0
n
D ⋅ n dS = Q LIB ,
Σ
posto QLIB = ∆Q, si riduce al solo integrale attraverso la base esterna al conduttore
D ⋅ n dS = ∆Q ,
∆S
D ∆S = ∆Q → ε E ∆S = ∆Q → E = ∆Q .
ε ∆S
La carica libera ∆Q, per quanto in precedenza detto, è tutta spalmata sulla
superficie limite del conduttore, per cui risulta conveniente introdurre una densità
117 - Campi elettrici e magnetici
σ = ∆Q .
∆S
E=σ,
ε
Questa proprietà, detta potere delle punte, viene anche utilizzata nella
costruzione dei parafulmini (la cui invenzione si deve a Beniamino Franklin).
Ponendo sulla sommità di un edificio un’asta metallica terminante a punta ed in
contatto elettrico con il suolo, si ottiene un dispositivo che, investito durante i
temporali dalle scariche elettriche delle nubi, in parte disperde, per il potere delle
punte, l’elettricità nell’aria, in parte la convoglia, attraverso l’asta, al suolo,
proteggendo l’edificio. Nelle moderne costruzioni in cemento armato la
protezione contro le scariche atmosferiche si ottiene collegando opportunamente
tra loro e con il suolo i tondini di ferro immersi nel cemento.
Alla luce di queste informazioni, infine, si può chiarire il significato del termine
‘messa a terra’. La Terra può essere considerata una grande sfera conduttrice e,
118 - Campi elettrici e magnetici
date le sue dimensioni, la forza repulsiva esistente tra le cariche presenti su essa è
sempre bassa. Se un conduttore viene messo in contatto elettrico con la Terra, le
sue cariche fluiscono verso essa senza che il suo potenziale vari in maniera
apprezzabile. Mettere a terra un conduttore vuol dire, in ultima analisi, eliminare
le sue cariche in eccesso, portandolo allo stesso potenziale della Terra.
∂B ⋅ n dS ,
D ⋅ n dS = Q LIB , E ⋅ t dl = -
∂t
Σ Γ SΓ
B ⋅ n dS = 0 , H ⋅ t dl = JLIB ⋅ n dS ,
Σ Γ SΓ (2.31)
H= i .
2π r
119 - Campi elettrici e magnetici
i
H= i
2πr i
t
H Γ H
H ⋅ t dl = i .
Γ
Prendiamo quale linea chiusa Γ proprio una circonferenza con centro sul filo di
corrente e raggio r: il campo magnetico è diretto, in ogni punto di questa
circonferenza, in maniera parallela e concorde al versore tangente. Allora, si ha
che la circuitazione del campo magnetico vale
H ⋅ t dl = H dl = H(r) dl = 2π r H(r) .
Γ Γ Γ
Notate come, nella terza uguaglianza, abbiamo evidenziato che il campo magnetico
dipende dalla sola coordinata r scrivendo H(r), cosa che implica che può essere
portato fuori dall’integrale dato che, lungo i punti della circonferenza, r si
mantiene costante. Imponendo, infine, che questa circuitazione sia pari alla
corrente, si deduce facilmente il valore del campo magnetico
2π r H = i → H = i .
2π r
120 - Campi elettrici e magnetici
Il verso di questo campo, come si deduce dalla Figura 2.15, si può determinare
immediatamente usando la regola della mano destra. Quando questa relazione
viene riferita all’induzione magnetica, è conosciuta come legge di Biot e Savart
e diventa
B=µH → B= µi .
2π r
t
i
B=µi t × r dl .
4π FILO
r3
contributo elementare → µ i t × r dl .
4π r 3
A questo punto, non ci resta che sommare, cioè integrare, i diversi contributi,
tenendo conto che si tratta di una somma di vettori.
Per esercizio, provate a riottenere la legge di Biot e Savart a partire dalla legge di
Laplace. Noi useremo questa legge per determinare il campo B al centro di una
spira circolare.
n B
t i
Nella spira circola la corrente i e, come si vede dall’esame della Figura 2.17, il
versore tangente alla spira ed il vettore di posizione r sono sempre perpendicolari.
Ciò vuol dire che, stabilito che secondo la regola della mano destra il campo di
induzione magnetica è diretto secondo il versore normale n, possiamo scrivere
B=µi n r dl = µ i 2π r = µ i .
4π SPIRA
r3 4π r 2 2r
Abbiamo portato fuori dell’integrale il termine 1/r 2 dato che, in tutti i punti della
spira, esso è costante (per definizione di circonferenza).
D ⋅ n dS = Q LIB , E ⋅ t dl = 0 ,
Σ Γ
B ⋅ n dS = 0 , H ⋅ t dl = JLIB + ∂D ⋅ n dS ,
∂t
Σ Γ SΓ (2.32)
n
ε2 , µ2
P
t
ε1 , µ1
D1 ⋅ n = D2 ⋅ n , B1 ⋅ n = B2 ⋅ n ,
E 1 ⋅ t = E 2 ⋅ t , H1 ⋅ t = H2 ⋅ t .
A ⋅ n = An e A ⋅ t = At ,
D1n = D 2n , B1n = B 2n ,
E 1t = E2t , H1t = H2t .
Per comprendere quale sia il significato delle relazioni di continuità (dette anche
di raccordo), invece del punto P, che giace esattamente sulla superficie di
separazione, consideriamo due punti ad esso prossimi: un punto P1 appartenente al
124 - Campi elettrici e magnetici
E2
E 2n
P1
ε2 , µ2 E 2t Superficie di separazione
ε1 , µ1 P
E1
E 1n
P2
E 1t
mezzo 1 → ε1 = ε , µ1 ;
mezzo 2 → ε2 = ε , µ2 ≠ µ1.
125 - Campi elettrici e magnetici
D = εE , B = µH,
D1n = D 2n → ε E 1n = ε E 2n → E 1n = E2n .
Michael Faraday chimico e fisico inglese (Newington, Surrey, 1791 - Hampton Court, Londra,
1867). Nato in una famiglia povera e numerosa e ricevuta soltanto una istruzione sommaria,
cominciò a lavorare a quattordici anni come fattorino in una libreria e legatoria londinese,
diventando poi apprendista rilegatore. Il contatto quotidiano con i libri stimolò in lui l’amore per la
lettura, soprattutto di opere relative alla chimica ed all’elettricità. Frequentando i corsi di conferenze
serali alla Royal Institution, ebbe modo di conoscere Davy e di farsi apprezzare da lui al punto da
diventare assistente (all’età di ventun anni) presso la stessa Royal Institution, ove rimase per tutta la
vita, diventando direttore del laboratorio nel 1825 e professore di chimica nel 1833. La sua opera è
notevole e multiforme: le prime ricerche relative lo portarono all’isolamento del benzene ed alla
liquefazione del biossido di carbonio, del cloro e di altri gas ritenuti non liquefattibili. In seguito
realizzò la liquefazione di quasi tutti i gas allora noti, mediante compressione e raffreddamento in un
semplice e geniale apparecchio da lui stesso ideato. Nel 1821, stimolato dalle esperienze di Oersted,
cominciò ad interessarsi all’elettromagnetismo studiando l’azione esercitata da un magnete sulla
corrente elettrica e puntualizzando le teorie formulate da Ampère. Essendo riuscito a far ruotare un
circuito sotto l’azione di magneti permanenti, enunciò il principio del motore elettrico. Nel 1831
scoprì il fenomeno dell’induzione elettromagnetica, grazie al quale è possibile la trasformazione di
lavoro meccanico in energia elettrica. Due anni dopo formulò la teoria dell’elettrolisi stabilendone le
leggi quantitative e qualitative, che portano il suo nome. Si dedicò quindi all’elettrostatica,
verificando, nel 1843, grazie ad un cilindro collegato ad un elettroscopio, il principio della
conservazione dell’elettricità. Enunciò la teoria dell’elettrizzazione per induzione e dimostrò che un
conduttore concavo (gabbia di Faraday) costituisce uno schermo per le azioni elettriche. Nel 1848
segnalò il fenomeno dell’elettroluminescenza; le sue ultime scoperte quella dell’azione di un campo
magnetico sulla luce polarizzata, e quella del diamagnetismo. Verso i settant’anni si ritirò in una casa
di Hampton Court messagli a disposizione dalla regina Vittoria. Le sue principali scoperte furono
raccolte in alcuni libri, di cui i principali sono: Ricerche sperimentali in Elettricità (3 volumi del
1839, 1844, 1855) e Ricerche sperimentali in Chimica e Fisica (1859).
Liberamente tratto dal libro ‘Le cinque equazioni che hanno cambiato il mondo’ di
Michael Guillen, Longanesi Editore.
Era il 1791 e l’Occidente era ormai alle prese con le lotte di classe di cui fino
allora non si era mai fissato l’obiettivo: all’improvviso la gente comune
combatteva per la propria condizione ribellandosi allo status quo.
Nel nuovo continente i coloni americani avevano appena redatto una
“Dichiarazione d’indipendenza”. In Europa le classi lavoratrici parigine avevano
preso la Bastiglia ed il re Luigi XVI aveva firmato una “Dichiarazione dei diritti
dell’uomo e del cittadino”. Contemporaneamente, le stesse classi lavoratrici
americana ed europea dovevano fare i conti con le dure esigenze di un altro
sconquasso senza precedenti: la rivoluzione industriale. Nel 1791, gli automi ad
alta velocità avevano fatto salire la produttività ed i profitti ad un livello mai
raggiunto prima. Questo a spese degli operai che si trovavano ad essere sfruttati o
licenziati dai propri datori di lavoro, che preferivano a loro le nuove macchine
più redditizie.
Anche per James e Margaret Faraday, che all’epoca vivevano in campagna, le
ultime novità si sarebbero rivelate drammatiche. James era un fabbro, adesso,
127 - Campi elettrici e magnetici
però, i suoi bellissimi lavori erano resi meno appetibili dalle crescenti
disponibilità di prodotti fatti a macchina. Alla fine, per trovare più lavoro, decise
di trasferirsi con la famiglia nel villaggio di Newington, in modo da stare più
vicino a Londra. Doveva in qualche modo incrementare i suoi guadagni, anche
perché l’aiuto economico che la moglie a volte dava, facendo la domestica, era
venuto a mancare in quanto era rimasta incinta per la terza volta.
Il 22 settembre Margaret Faraday diede alla luce un bambino che venne chiamato
Michael. Il neonato aveva appena aperto gli occhi che cominciò a strillare e
piangere per il terremoto sociale del mondo circostante. Pur felici per il lieto
evento, i Faraday erano preoccupati per la sorte che li aspettava se James non
avesse trovato al più presto un lavoro fisso. L’unico conforto i Faraday lo
trovavano nella religione; erano membri di quella che il figlio Michael avrebbe
poi definito “una minuscola e spregiata setta di cristiani nota, se si poteva dir così,
come sandemanisti”, dal nome del fondatore, il defunto Robert Sandeman.
Tutto ciò comportava, fra l’altro, che i Faraday non credessero nella scuola
istituzionalizzata. Perciò nel 1796, quando si trasferirono nella zona settentrionale
di Londra, sempre in cerca di un reddito sicuro, non stimolarono i figli ad
impegnarsi negli studi; per di più la scuola stessa trovandosi in un quartiere
povero, non era troppo esigente.
Negli anni successivi Michael dovette cambiare scuola, ma sia il livello sia la
spinta dei genitori era sempre più scadente. “La mia istruzione”, si sarebbe
lamentato Faraday, “è stata veramente miserabile: poco più che i rudimenti della
lettura, della scrittura e dell’aritmetica appresi in una modesta scuola pubblica”.
In quegli anni i Faraday mangiavano solo le pagnotte di sussistenza settimanale
elargite dal governo inglese. Stranamente però, nonostante il peggiorare della loro
situazione, continuarono ad essere una famiglia felice. In realtà, tutti i
sandemanisti non erano mai tanto felici come quando non avevano il becco d’un
quattrino. Nonostante fosse stato educato da buon sandemanista, agli occhi della
società inglese Michael Faraday era poco più di un teppistello povero ed
ignorante.
Per giunta, a tredici anni, benché sapesse a malapena leggere e scrivere, dovette
interrompere gli studi. Secondo le consuetudini del proletariato, era giunto il
momento che il giovane trovasse lavoro.
Sarebbe stata la solita trafila: innanzitutto doveva fare l’apprendista presso
qualcuno, imparando pian piano quel mestiere che gli avrebbe permesso di
guadagnare per sé e per la donna che avrebbe sposato. Per fortuna non era tutto
così negativo.
Con l’incremento dell’automazione erano aumentate anche le opportunità di lavoro
per gli operai non specializzati. Infatti gli si aprirono diverse prospettive ed alla
128 - Campi elettrici e magnetici
fine il giovane Faraday prese una decisione, diventare il nuovo fattorino della
vicina libreria gestita dal signor George Riebau.
Stupito dall’interesse che le persone, specie in quel periodo, nutrivano per i libri,
Faraday cominciò a cambiare atteggiamento verso la carta stampata. Il lavoro lo
attrasse a tal punto che nel 1805 decise di diventare apprendista legatore. Non era
mai entrato in una biblioteca, ma nei sette anni successivi sarebbe stata un’intera
biblioteca di testi provenienti da ogni parte del mondo ad entrare in lui. Dopo
poco cominciò ad imparare a leggere da solo. Fu un impegno duro e difficile, ma
in pochi mesi riuscì a recuperare quanto non era stato capace di apprendere in
anni di scuola pubblica. Un giorno mentre stava cucendo le pagine della nuova
edizione dell’Encyclopedia Britannica, la vita di Faraday ebbe una svolta
determinante. Leggendo la voce sull’elettricità, imparò che, sebbene i filosofi
naturali conoscessero quell’invisibile fenomeno da secoli, non erano ancora
pervenuti ad una spiegazione definitiva. Affascinato da quella lettura decise di
studiare quel fenomeno al fine di trovarne una soluzione. Infatti i sandemanisti,
erano convinti che il rapporto con Dio è fondamentalmente semplice, e proprio
per questo non credeva che l’elettricità potesse essere troppo complicata.
Per fortuna, la Londra di quei tempi offrì a quel ragazzo ingenuo un’occasione
senza precedenti per arrivare in fondo al problema.
In quegli anni, la rivoluzione industriale aveva suscitato un tale interesse per la
scienza e la tecnologia che i filosofi naturali avevano cominciato a scrivere libri
divulgativi e articoli su riviste popolari, e a tenere lezioni soprattutto al grande
pubblico. I libri, non appena pubblicati, andavano a ruba, e le lezioni si
svolgevano davanti a folle di uditori in piedi.
Per il giovane Faraday quella fame di testi scientifici rappresentò una doppia
benedizione: come legatore, significava lavoro sicuro; come aspirante filosofo
naturale, gli consentiva di trovare una serie infinita di informazioni sull’elettricità,
scritte in inglese semplice.
Se da un lato si rallegrava dell’opportunità di consultare gratuitamente tanti libri,
dall’altro sentiva il peso della povertà, non potendosi permettere di comprare i
biglietti delle lezioni pubbliche, soprattutto quelle tenute da Humphry Davy,
l’illustre chimico direttore della prestigiosa Royal Institution di Londra. Per
Faraday vedere Davy in azione era diventato un chiodo fisso: desiderio legittimo,
considerato che la Royal Institution si trovava a due passi dal laboratorio di
Riebau.
La Royal Institution era una specie di circolo ultra esclusivo, i cui aristocratici
membri non avrebbero mai e poi mai acconsentito a condividere i gusti di un
Michael Faraday né di altri straccioni del suo tempo.
129 - Campi elettrici e magnetici
il lavoro in sé non lo avrebbe reso felice. Nei mesi successivi, mentre con ansia
crescente assisteva alle altre tre conferenze di Davy, al giovane Faraday venne
un’idea. Avrebbe ricopiato gli appunti e li avrebbe trasformati in un volume così
bello che Davy non avrebbe potuto fare a meno di notare sia il libro, sia il suo
autore. Purtroppo non riuscì a contattare Davy, ed il 7 ottobre, giorno in cui
scadeva il suo apprendistato, si recò al suo nuovo lavoro. Quando ormai le lezioni
di Davy erano così lontane, come le speranze di diventare un filosofo, ebbe la
notizia che Davy era rientrato a Londra. Riprese il suo vecchio progetto, ed inviò
a Davy, insieme al libro degli appunti delle sue conferenze, una lettera in cui gli
chiedeva di lavorare alla Royal Institution. Nei giorni seguenti, il giovane
Michael, restò in attesa di una risposta di Davy; purtroppo non arrivò nulla. Poi il
24 dicembre, al numero 18 di Weymouth Street si presentò un domestico
elegantemente vestito. Bussò alla porta e consegnò a Faraday un messaggio di
Davy, nel quale diceva che aveva apprezzato molto il suo libro e che lo avrebbe
ricevuto, da qui ad un mese, al suo ritorno. Quando finalmente giunse il fatidico
giorno, l’incontro fu così rapido che il giovane Michael si chiese se per caso non
fosse stato solo un sogno. Ricordava di essersi seduto, prima, ubriaco di emozione
nell’atto di stringere la mano a Davy; poi, speranzoso perché il grande scienziato
aveva ascoltato con benevolenza le sue richieste di lavoro; e, infine, distrutto
quando Davy gli aveva spiegato che, purtroppo, non era in grado di offrirgli
alcun impiego e lo aveva consigliato di tenersi ben stretto il suo attuale posto di
legatore. Mentre scendeva le scale della Royal Institution, il giovane Faraday era
sicuro che non avrebbe mai più oltrepassato quel portone.
Da mesi correva cattivo sangue tra l’assistente di Davy e un altro dipendente
dell’istituzione. Il mattino del primo marzo, mentre Faraday si stava recando al
lavoro, qualcuno bussò alla porta. Era nuovamente il domestico di Davy: gli
veniva comunicata l’espulsione dell’assistente dello scienziato per atti di violenza.
Se lui era ancora interessato, Davy gli offriva quel posto ed un appartamento di
due stanze sopra il laboratorio. Senza neanche rileggere il messaggio, Faraday
cominciò a fare i bagagli e in pochi minuti si precipitò alle Royal Institution.
Negli anni a seguire Michael svolse le sue mansioni con diligenza e grande
impegno. Tra l’altro, imparò ad estrarre lo zucchero dalle barbabietole, a
migliorare le proprietà dell’acciaio e ad usare l’elettrolisi per scomporre diverse
sostanze chimiche. Durante il primo viaggio all’estero, che ebbe inizio nell’ottobre
del 1814, Faraday imparò anche a digerire gli affronti che gli venivano dal fatto
di essere un legatore di libri, un proletario che cercava di farsi accettare dagli
aristocratici del mondo scientifico. Gli scienziati di altri paesi, che si
innamoravano di quel giovane modesto ed entusiasta per tutto quanto sapeva di
scienza, non erano un problema. I colpevoli furono Davy e la moglie; infatti
131 - Campi elettrici e magnetici
Faraday dovette fare da servo per quasi tutto il viaggio. Quel viaggio umiliante,
comunque, non fu per Faraday un disastro completo. Egli infatti ebbe la
possibilità di incontrare scienziati del calibro di Alessandro Volta e André-Marie
Ampère, che erano proprio gli scienziati di cui aveva letto negli anni passati alla
bottega di Riebau, e poté provare le costose apparecchiature che essi usavano per
gli esperimenti di elettricità e magnetismo. Al suo rientro a Londra, nella
primavera del 1815, Faraday fu premiato da Davy con due riconoscimenti: lo
promosse sovrintendente dell’apparato, assistente al laboratorio ed alla collezione
di minerali. Inoltre, il chimico incoraggiò Faraday a eseguire degli esperimenti
autonomamente, ed il giovane cominciò da un campione di roccia raccolto in
Italia. Nel 1816, Faraday pubblicò i risultati, in “Analisi della calce caustica pura
della Toscana”, sul Quarterly Journal of Science. Era la sua prima pubblicazione
scientifica e quasi una dichiarazione di indipendenza: con essa smetteva
ufficialmente di essere solo il protetto di Davy. Negli anni che seguirono, la
rivelazione del talento scientifico di Faraday scosse la Royal Institution. Il giovane
studioso, che assemblava gli esperimenti come un tempo faceva con i libri, con
eccezionale pazienza e precisione, si rivelò un mago della tecnica al punto che
qualcuno cominciò a definirlo l’erede di Davy. Proprio perché metteva in pratica
quello che diceva, quel giovane scienziato intellettualmente irriverente e
religiosamente umile si conquistò un tale rispetto alla Royal Institution che svanì il
pericolo che tornasse, un giorno, a rilegare libri. Ora, pensava Faraday pieno di
gioia e di voglia di fare, avrebbe potuto concentrarsi sull’altro sogno della sua
fanciullezza: quello di essere il primo a demistificare il fenomeno enigmatico
dell’elettricità. Purtroppo, però, altri scienziati in tutto il mondo avevano nutrito
lo stesso sogno, e ormai non erano molto lontani dal realizzarlo.
L’uomo che sembrava più vicino al traguardo era un fisico danese, Hans Oersted,
il quale nel 1820 aveva scoperto che una corrente elettrica provoca il leggero
spostamento dell’ago di una bussola magnetica, come se la stessa corrente elettrica
fosse un magnete. Alcuni mesi più tardi, in Francia, la sorprendente novità fu
confermata in modo leggermente diverso da Ampère e da un suo collega,
Dominique-François Arago. I due scoprirono che la corrente elettrica si comporta
come un magnete, attirando a sé della limatura di ferro; proprio per quel motivo,
diedero alla loro scoperta il nome di elettromagnete. Nei secoli precedenti, i
filosofi naturali avevano riscontrato diversi punti in comune tra elettricità e
magnetismo. Adesso, rifletteva incredulo Faraday, Oersted, Ampère ed Arago
avevano rivelato qualcosa di più profondo, e cioè la possibilità che le due forze
fossero intercambiabili. Ammesso che l’elettricità si comportasse come un
magnete, restava però da vedere se era vero anche il contrario: un magnete
132 - Campi elettrici e magnetici
relazione fu tradotta in decine di lingue, tant’è che due mesi dopo fu avanzata la
sua candidatura a membro della Royal Society, l’Olimpo della scienza inglese.
Dopo essere stato fortemente contrastato in questa candidatura dal suo stesso
maestro Humphry Davy, al secondo tentativo l’8 luglio del 1824, i membri della
Royal Society votarono in segreto ed il risultato fu quasi unanime: nell’urna si
trovarono molte palline bianche ... e solo una nera. L’anno seguente (1825) il
nuovo membro della Royal Society, fu promosso direttore della Royal Institution.
Per Faraday rappresentava il coronamento della carriera. Dodici anni prima era
entrato in quella maestosa reggia della scienza come un umile domestico; oggi ne
era diventato il signore. Invece di montarsi le testa, Faraday prese ancora di più a
lavorare per dare risposta ad un quesito che lo tormentava dalla scoperta del
motore elettrico. Se l’elettricità era in grado di produrre magnetismo, allora
perché non sarebbe potuto succedere il contrario? Perché il magnetismo non
avrebbe potuto produrre elettricità? Molti scienziati se lo erano domandato, ma
non avevano mai trovato una risposta. Il 29 agosto 1831, Faraday si avvicinò alla
soluzione. Cominciò con l’avvolgere un lungo filo metallico attorno ad un
segmento di un anello di ferro; poi fece lo stesso attorno ad un altro segmento
opposto al primo. Se i fili fossero stati fasce, sarebbe sembrato che il braccio
circolare dell’anello fosse stato ferito in due punti opposti. Come al solito, la
strategia di Faraday era della medesima semplicità: avrebbe inviato un impulso
elettrico attraverso la prima fascia di filo metallico, creando in tal modo un vento
magnetico che avrebbe percorso l’intero anello. Se quella tempesta magnetica
avesse prodotto un passaggio di corrente elettrica attraverso l’altra fascia di filo
metallico, voleva dire che Faraday aveva dimostrato quello che tutti stavano
cercando: il magnetismo produce elettricità. Faraday collegò alla seconda fascia di
filo metallico uno strumento che avrebbe rivelato anche la più piccola corrente
elettrica, un attuale amperometro. Dopo aver elettrificato la prima fascia
allacciandola ad una pila voltaica, Faraday gettò uno sguardo speranzoso al
misuratore di corrente. L’ago del contatore si stava muovendo! “Oscilla”,
scarabocchiò freneticamente sul taccuino, “ed alla fine torna al punto di partenza”.
Lo scienziato stupefatto continuò a fissare l’ago. Si sarebbe spostato ancora? Dopo
alcuni minuti di vana attesa, desistette, ma appena ebbe staccato la batteria notò
con stupore “un persistente agitarsi dell’ago”. Per tutta la notte, Faraday collegò e
scollegò l’anello di ferro, e ogni volta il misuratore di corrente ricominciava a
ballare. Alla fine gli venne un’idea: la corrente elettrica passando attraverso la
prima fascia di filo metallico produce un vortice magnetico; quel turbine, a sua
volta, faceva scorrere attraverso l’altra fascia una seconda corrente elettrica, ma
ciò accadeva solo quando l’intensità del vortice diminuiva o aumentava. Questo
spiegava l’agitazione dell’ago: ogni volta che Faraday collegava o scollegava la
134 - Campi elettrici e magnetici