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Metodi elettrolitici

I metodi basati sull’elettrolisi sono metodi di analisi strumentale che, a differenza dei metodi potenziometrici,
operano in condizioni lontane dall'equilibrio elettrochimico. E’ interessante il confronto tra potenziometria ed
elettrolisi. Nella potenziometria si costruisce una pila con una coppia di elettrodi (uno di misura e l'altro di riferimento,
eventualmente uno solo di tipo combinato) che costituiscono una cella elettrochimica e si misura il potenziale (in
realtà la d.d.p.) della pila all'equilibrio cioè con passaggio di corrente nullo tra gli elettrodi.

Nei metodi elettrolitici si applica un potenziale esterno diverso da quello di equilibrio, cioè da quello che avrebbero
spontaneamente in soluzione. A tal scopo viene collegato agli elettrodi, immersi in una soluzione di elettroliti, un
generatore esterno di corrente continua (una pila) in modo che l'energia trasferita agli elettrodi produca una serie di
fenomeni elettrochimici, non spontanei, detti nel loro complesso, elettrolisi. Un dispositivo di tale genere è detto cella
elettrolitica e comprende due elettrodi: un anodo (+) ed un catodo (-), collegati ai relativi poli del generatore esterno.
Quando viene chiuso il circuito, la corrente che passa provocherà delle reazioni di scarica degli ioni dell'elettrolita
agli elettrodi (ossidazioni o riduzioni), che dipendono dalla natura degli elettrodi e dell'elettrolita.

Verranno ora discussi i concetti di base dei metodi elettrolitici, con particolare riferimento all'elettrogravimetria,
che costituisce l'applicazione analitica principale.

Elettrolisi

E’ il fenomeno opposto alla pila: si tratta di un processo in cui, mediante una corrente elettrica continua esterna,
viene fatta avvenire una reazione elettrochimica di scarica non spontanea; in questo fenomeno si ha perciò
conversione di energia elettrica in energia chimica. Allontanarsi dalla condizione di equilibrio, significa variare il
potenziale degli elettrodi (polarizzazione degli elettrodi: un elettrodo il cui potenziale si discosta da quello di
equilibrio si dice polarizzato), in modo tale che la reazione proceda nel senso dell’elettrodeposizione al catodo e nel
verso della dissoluzione all’anodo. Si utilizza un dispositivo detto cella elettrolitica, in cui sono presenti due elettrodi,
un anodo ed un catodo, che hanno segni opposti a quelli della pila (il catodo è negativo e l’anodo è positivo) e che
richiamano per effetto del loro campo elettrico, gli ioni della soluzione di elettrolita sottoposta ad elettrolisi (il catodo
attirerà i cationi e l’anodo gli anioni):

1: sorgente di corrente continua (pila o accumulatore)

2:catodo (per esempio di grafite)

3: anodo (per esempio di grafite)

Anche se i segni sono opposti a quelli della pila occorre sottolineare che i processi elettrochimici sono gli stessi: al
catodo avvengono sempre riduzioni mentre all’anodo avvengono sempre ossidazioni. Ad esempio sottoponendo ad
elettrolisi una soluzione di HCl, l’elettrolita forte si dissocia in H + e Cl- e quindi gli ioni migrano all’elettrodo di segno
opposto dove possono scaricarsi:

al catodo (riduzione): 2H++2e-  H2(g)

all’anodo (ossidazione): 2Cl-  Cl2(g)+ 2e-

con sviluppo di H2 gassoso al catodo e di Cl2 gassoso all’anodo. Da notare che se i due elettrodi fossero stati collegati
sotto forma di pila le due semireazioni sarebbero avvenute spontaneamente in senso opposto.
Il Cl2 si sarebbe ridotto a Cl- (avendo un maggiore potenziale standard di riduzione E°=1,36V) ed avrebbe costituito il
catodo (+) mentre l’H2 si sarebbe ossidato ad H+(avendo un E°=0,00V), costituendo l’anodo (-), a conferma che pila ed
elettrolisi sono due fenomeni opposti.
Anche per piccoli valori di tensione applicata, si verifica l'elettrolisi; alcuni ioni H+ e Cl- si scaricano rispettivamente al
catodo (-) e all’anodo (+) della cella. Il circuito esterno viene percorso da corrente di una certa intensità. Per cui
nell'interno della cella elettrolitica si crea una pila indotta la cui f.c.e.m. (forza controelettromotrice) si oppone alla
tensione applicata dall'esterno. Infatti, gli elettrodi di platino si rivestono ciascuno di una guaina di gas, smettono di
essere elettrodi inerti e si comportano come elettrodi ad idrogeno e a cloro di una cella, in conseguenza delle due
semireazioni concomitanti, viste sopra (Il fenomeno viene detto “polarizzazione chimica”).

Possiamo calcolare teoricamente il massimo valore della forza controelettromotrice della pila indotta. Infatti,
aumentando via via la tensione applicata dall'esterno, altri ioni H+ e ioni Cl- si scaricano, allo stato di gas, sui rispettivi
elettrodi, e quando la pressione dei gas uguaglia quella esterna (es. quella atmosferica), il potenziale dell'elettrodo di
cloro, che è collegato al polo positivo del generatore, assume il valore massimo; mentre il potenziale dell'elettrodo di
idrogeno, che è collegato al polo negativo del generatore, assume il valore minimo. Riferendoci per comodità alla
temperatura di 25 °C , si ha infatti rispettivamente:

0,0592 𝑝𝐶𝑙2
𝐸𝐶𝑙2 = 𝐸 ° 𝐶𝑙2 + 𝑙𝑜𝑔 = 1,36𝑉 𝑎 25°𝐶 𝑒 [𝐶𝑙 − ] = 1𝑀
2 [𝐶𝑙 − ]2

0,0592 [𝐻 + ]2
𝐸𝐻2 = 𝐸 ° 𝐻2 + 𝑙𝑜𝑔 = 0,00 𝑉 𝑎 25°𝐶 𝑒 [𝐻 + ] = 1𝑀
2 𝑝𝐻2

f.c.e.m.= 𝐸 + − 𝐸 − = 1,36 -0.00= 1,36 V

Generalizzando il caso preso ad esempio, possiamo concludere chela tensione minima teorica (V d) da applicare agli
elettrodi di una cella elettrolitica perché avvenga l'elettrolisi, non deve essere inferiore alla f.c.e.m. della pila indotta.

Riportando su di un diagramma come varia l’intensità di corrente nella cella elettrolitica in funzione della d.d.p.
applicata agli elettrodi (V), si ottiene la seguente curva tensione-corrente

Ec: potenziale assunto dal catodo


Ea: potenziale assunto dall’anodo
η : sovratensione totale
R·i : caduta ohmica della cella
Vd: tensione di decomposizione
V0: tensione teorica di scarica
Ve: tensione effettiva di scarica

Aumentando la tensione applicata agli elettrodi, l’elettrolisi dovrebbe iniziare alla tensione pari a Vd , detta tensione
di decomposizione, determinata dai potenziali assunti dagli elettrodi, catodo (E c) ed anodo (Ea), calcolabili con
l’equazione di Nerst, in base alle specie chimiche presenti ed alla loro concentrazione, cioè:

Vd= Ea - Ec ovvero, tenendo conto del segno (-) assunto dal catodo: Vd= Ea + Ec

Nel diagramma si nota che Vd è la somma grafica dei due segmenti che corrispondono a Ea e a Ec.(Nel caso citato come
esempio prima il valore dovrebbe essere =1,36 V)
Sperimentalmente, tuttavia, non si vedrebbe un apprezzabile passaggio di corrente ed infatti la curva rimane piatta.
Infatti, la scarica degli ioni agli elettrodi richiede un’energia supplementare più o meno grande, detta sovratensione η
(eta), che dipende sia dalla natura dell’elettrodo su cui avviene la scarica, che può facilitarla o renderla più difficile, sia
da particolari fenomeni legati alla scarica dell’elemento che si sottopone a elettrolisi:
𝜂 = 𝜂𝑐 + 𝜂𝐴

relative cioè sia all’anodo che al catodo, si ottiene quindi:

𝑉0 = 𝐸𝐴 + 𝐸𝑐 + 𝜂 dove V0 è la tensione di scarica

Quando si raggiunge V0 l’elettrolisi inizia e quindi la curva cresce rapidamente, evidenziando un netto aumento della
corrente che passa nel circuito, a causa della scarica degli ioni agli elettrodi.
Per capire perché esiste la sovratensione si deve tenere conto che:
All’interfaccia elettrodo-soluzione si sviluppano due correnti opposte e di uguale intensità dovute ai fenomeni che si
verificano in tale sede:
• avvicinamento e/o allontanamento degli ioni positivi o negativi dal proprio elettrodo
• scambio di molecole d’acqua di idratazione
• scambio di elettroni
L’insieme di questi eventi è caratterizzato da una energia di attivazione che ne condiziona la velocità di svolgimento
La sovratensione rappresenta una sorta di “ostacolo” per le reazioni di elettrodo e quindi comporta un ostacolo
energetico per il sistema
La sovratensione di scarica dipende da numerosi fattori, cioè vi sono vari tipi di sovratensione:
1-sovratensione da trasferimento di massa: è detta anche sovratensione (o polarizzazione) di concentrazione. Il
trasferimento di materia avviene a velocità finita
Vicino all'elettrodo si ha la scarica della specie elettroattiva, che non viene immediatamente rimpiazzate dalla
migrazione degli ioni adiacenti e ciò provoca la formazione di un gradiente di concentrazione attorno all’elettrodo:
strati di iquido nei quali diminuisce progressivamente la concentrazione della specie che si scarica, fino ad annullarsi
nello strato adiacente all’elettrodo, cioè: C2>C1>C0. Per ripristinare l’omogeneità, le specie consumate nella reazione di
elettrodo si diffondono spontaneamente verso l’elettrodo, dove la concentrazione è minore e, viceversa, le specie
generate durante la scarica si diffondono dall’elettrodo verso la soluzione. La velocità di diffusione è direttamente
proporzionale al gradiente di concentrazione. Il gradiente di concentrazione innesca la diffusione degli ioni dal corpo
della soluzione, più lontana dall’elettrodo, dove la concentrazione della specie elettroattiva è pressoché costante.
Poiché la velocità di diffusione è di solito bassa, il processo diffusivo non riesce a "rimpiazzare" completamente gli ioni
scaricati. Occorre quindi una tensione “in più” per aumentare la velocità di diffusione che coincide con la
sovratensione di diffusione. Si può limitare la polarizzazione dell’elettrodo agitando energicamente la soluzione e
scaldando

2-sovratensione da trasferimento di carica: è detta anche di attivazione perché dipende dalla velocità con cui
avviene il trasferimento di elettroni tra elettrodo e soluzione. Dipende dalla natura chimica delle specie che si
scaricano e dal loro stato fisico; dipende inoltre dalla natura dell'elettrodo e dalla sua geometria. E' di solito
proporzionale alla densità di corrente J: J = i/S dove i è l'intensità di corrente (A) ed S la superficie dell'elettrodo (m2 o
cm2). La densità di corrente esprime il numero degli elettroni scambiati sulla superficie dell’elettrodo nell’unità di
tempo. All'aumentare di J l'elettrodo è saturo di elettroni per cui diventa più difficile il loro scambio con gli ioni della
soluzione e quindi la sovratensione di attivazione aumenta.

3- sovratensione chimica: dipende da processi elettrochimici secondari che si possono verificare sull'elettrodo; per es.
se durante la deposizione di un metallo sulla grafite si libera anche H2 derivante dalla scarica dell’acqua utilizzata come
solvente, si forma una guaina gassosa che ostacola la deposizione del metallo sull’elettrodo e quindi crea una
sovratensione

4-sovratensione ohmica: è dovuta al deposito sull'elettrodo; per es. se si scarica un metallo, il film depositato, che
tende a crescere di spessore col tempo, offre una resistenza elettrica diversa dalla soluzione per cui questa
sovratensione tende a crescere nel tempo, mano a mano che procede il processo di scarica.

Se venisse applicata la tensione teorica di elettrolisi V 0 come d.d.p. agli elettrodi, la corrente circolante sarebbe molto
piccola e ciò comporterebbe tempi di idrolisi molto lunghi. In pratica si utilizza la tensione effettiva Ve:

𝑉𝑒 = 𝐸𝐴 + 𝐸𝑐 + 𝜂 + 𝑅𝑖 essendo R·i la caduta ohmica della cella

In effetti, applicando questa tensione agli elettrodi, si completa l’elettrolisi in tempi ragionevoli in quanto in
corrispondenza di Ve la cella elettrolitica è attraversata dalla corrente ie elevata, che aumenta la mobilità ionica e
facilita la scarica agli elettrodi.

Principali accorgimenti per ridurre la sovratensione

Agitazione (diminuisce la sovratensione da concentrazione)

Bassa densità di corrente (per diminuire la sovratensione da attivazione, ma la scarica diventa più lenta)

Aumento della temperatura (fa aumentare la velocità della scarica)

Aggiunta di depolarizzanti (favoriscono le reazioni elettrodiche reagendo con i prodotti della scarica o distruggendo
l’eventuale pellicola gassosa)

Comunque la corrente che fluisce in una cella elettrolitica, che è determinata dalla quantità di sostanza ossidata o
ridotta agli elettrodi, non raggiunge mai valori troppo elevati. Il flusso di corrente tende a raggiungere un valore
massimo, corrente limite che corrisponde ad un ben definito regime stazionario. Ciò accade perché le specie che si
scaricano hanno una concentrazione limitata, danno luogo ad un flusso di particelle (verso l’elettrodo) per diffusione,
scaricandosi a velocità costante.

𝑖 𝑛𝐹𝐷𝐴𝐶
𝑙=
𝛿

il = corrente limite di diffusione (mA)

F= costante di Faraday (C/eq)

n= numero di elettroni scambiati (eq/mol)

D= coefficiente di diffusione (cm2/s)

A= superficie dell’elettrodo (cm2)

C= concentrazione (mol/L)

δ= spessore della soluzione che circonda l’elettrodo (cm)

Tra i parametri che compaiono nella corrente limite compare la concentrazione della specie elettroattiva; operando
in condizioni opportune si possono stabilire utili correlazioni tra corrente e concentrazione

IN SINTESI: l’elettrolisi consiste in un processo di scarica agli elettrodi che per durare nel tempo deve essere
accompagnato da un trasporto di massa nella soluzione. Le diverse tecniche analitiche (Voltammetria,
Voltammetria idrodinamica, Polarografia, Elettrodeposizione….) differiscono in base ai meccanismi di trasporto
delle specie che si scaricheranno agli elettrodi

I meccanismi di trasporto delle specie elettroattive dalla soluzione all’elettrodo sono di tre tipi:

Convezione: è lo spostamento dell'analita, insieme al solvente, dovuto alla agitazione della soluzione. Nella soluzione
si crea un moto turbolento che, vicino alla superficie di elettrodo, diventa di tipo laminare; lo strato a contatto con
l'elettrodo è praticamente stazionario. Differenze di densità e di temperatura, oltre alla eventuale agitazione
meccanica della soluzione, provocano flussi convettivi della soluzione.

Migrazione: sotto l’azione del campo elettrico generato dagli elettrodi gli anioni migrano all’anodo e i cationi migrano
al catodo, attirati dalla carica elettrica opposta

Diffusione: dovuta al gradiente di concentrazione che si stabilisce in seguito alla scarica degli ioni all’elettrodo (vista
sopra)

L’Elettrogravimetria e la coulombometria sfruttano come principale meccanismo la convezione, ottenuta mediante


agitazione della soluzione o dell’elettrodo.

I processi elettrolitici hanno una notevole importanza:

1. sono utilizzati in campo analitico (elettrogravimetria) per la determinazione quantitativa di metalli

2. si impiegano in alcuni processi di raffinazione di metalli, come ad esempio la raffinazione del rame

3. servono a preparare alcune importanti materie prime di largo uso in campo chimico, come l’NaOH ed il Cl 2

4. si utilizzano nei processi di ricoprimento di metalli per proteggerli dalla corrosione.

Il valore di tensione da applicare agli elettrodi deve essere calcolato per impedire fenomeni parassiti che
abbasserebbero il rendimento del processo come:

- scarica di altri elementi metallici presenti in soluzione che produrrebbero un fenomeno di codeposizione, cioè di
deposizione contemporanea

- scarica di elementi gassosi indesiderati che, producendo bolle gassose sulla superficie su cui si sta scaricando
l’elemento voluto, ne rendono spugnosa e quindi poco aderente la struttura

Elettrogravimetria

L'elettrogravimetria (o elettrodeposizione) è il più vecchio dei metodi elettrolitici; risale infatti al 1864 ma ancora oggi
trova alcune applicazioni, anche se non molto vaste, soprattutto in alcuni tipi di analisi (metalli e leghe). Il principio è
quello di realizzare delle riduzioni catodiche (molto raramente delle ossidazioni anodiche), provocando cioè la scarica
quantitativa di un elemento metallico su di un catodo metallico inerte a peso noto: dall'incremento di peso del
catodo, al termine del processo, si risale alla quantità di elemento scaricato e quindi alla concentrazione della
soluzione analitica di partenza. Si tratta quindi di un metodo di analisi gravimetrica in cui l'elettrone è il reattivo
precipitante, che ha il vantaggio, rispetto ai tradizionali metodi gravimetrici, di non introdurre elementi contaminanti
nella soluzione in esame. Gli elettroni vengono, infatti, utilizzati come reattivi molto puliti ed esattamente misurabili,
dato che la corrente elettrica si può misurare molto accuratamente.

Questo metodo può essere applicato vantaggiosamente a numerosi metalli, come Cu, Ag, Zn, Sn, ecc. anche se la
determinazione del Cu nelle sue leghe è una delle poche (se non l'unica) ancora in uso per analisi industriali di routine,
caratterizzate da una buona sensibilità ed accuratezza.

L'elettrogravimetria permette, in alcuni casi, di realizzare delle separazioni tra metalli, depositando in modo selettivo e
successivo vari elementi sullo stesso catodo. E' adatta all'analisi di soluzioni non molto diluite (provenienti per es.
dall'attacco di leghe metalliche); non è invece adatta all'analisi di elementi in tracce. Richiede generalmente tempi di
analisi medio-lumghi.

La d.d.p. da applicare agli elettrodi, cioè la tensione di scarica effettiva V e può essere valutata sulla base del potenziale
dell'elemento da scaricare (utilizzando la serie elettrochimica e l'equazione di Nernst), tenendo conto delle possibili
sovratensioni.

Gli elettrodi più utilizzati sono la coppia di elettrodi di Winkler: si tratta di una coppia di elettrodi di Pt: il catodo a
forma di cilindro con le pareti costituite da una reticella di Pt; l'anodo, a spirale, ruota all'interno del catodo. L'anodo
rotante, posto all'interno del catodo, garantisce un adeguato mescolamento alla soluzione sottoposto ad elettrolisi, in
cui i due elettrodi sono immersi, aumentando la velocità di diffusione degli ioni al catodo e riducendo quindi i tempi di
esecuzione del processo.

L'apparecchio che viene solitamente utilizzato ed illustrato nella figura, detto banco elettrolitico, permette anche il
riscaldamento della soluzione, tramite una piastra riscaldante, sempre per ridurre i tempi dell'analisi. La quantità di
rame da elettrolizzare deve essere dell’ordine di 0,1-0,2 g e la concentrazione della soluzione sarà all’incirca 0,01-0,04
M. La soluzione è acidificata con H2SO4 e HNO3. Il tempo di elettrolisi è dell’ordine di un’ora (mantenendo la soluzione
sotto agitazione). Le principali reazioni elettrodiche che possono avvenire nella soluzione da elettrolizzare
sono:

al catodo Cu2+ + 2e Cu E°=0,342 V

2H+ + 2e H2 E°=0,00 V

all’anodo 2H2O  O2 + 4H4e E°=1,229 V

(La sovratensione di O2 su Pt è di circa 1V)

2HSO4 -  S2O82- + 2H2e E°=2,05 V

Si deduce che le reazioni termodinamicamente favorite sono la deposizione catodica del rame e
l'ossidazione anodica dell'acqua. L’acido solforico ha la funzione, oltre che di abbassare la resistenza della
soluzione, di evitare che si formino macchie scure dovute a CuO, a causa dell’ossigeno che si sviluppa all’anodo. La
formazione di H2 gassoso al catodo produce generalmente effetti indesiderati sul precipitato di rame
(porosita', scarsa resistenza meccanica). L’acido nitrico agisce da depolarizzante, in quanto impedisce lo sviluppo
di idrogeno gassoso al catodo, secondo la reazione:

NO3- + 10 H+ + 8e NH4+ + 3H2O E°NO3-/NH4+=0,88 V

Cui compete un potenziale di scarica più positivo rispetto alla reazione di scarica dello ione idrogeno

2H+ + 2e H2 E°H+/H2=0,00 V

Questo impedisce la formazione di idrogeno contemporaneamente alla formazione di rame, il che darebbe origine ad
un deposito spugnoso, poco aderente, e contenente eventuali impurezze presenti nella soluzione.

L’elettrolisi viene condotta a caldo (60-70°C) per accelerare il processo e abbassare la sovratensione (che diminuisce
all’aumentare della temperatura) e sotto agitazione, per evitare la polarizzazione da concentrazione al catodo.

Prendendo in esame i potenziali a cui si svolge il processo, possiamo osservare che:

al catodo, il potenziale di scarica di Cu2+ in base all’equazione di Nernst, per una concentrazione di Cu 0,03M, è data
da:

0,0592
𝐸𝑐 = 0,34 + 𝑙𝑜𝑔0,03 = 0,29
2

All’anodo, il potenziale corrisponde all’ossidazione dell’acqua ed è dato da:

0,0592
𝐸𝑎 = 1,23 + log([𝐻 + ]4 )𝑃𝑂2
4
Se P=1 atm e [H+]=1 (pH=0), avremo:

𝐸𝑎 = 1,23𝑉

La tensione da applicare per vincere la forza controelettromotrice della pila indottta è quindi:

f.c.e.m.= 1,23 -0,29= 0,94V

A tale tensione vanno sommate le sovratensioni catodica (relativa alla scarica del Cu2+ che però in questo caso
possiamo considerare trascurabile), e anodica (relativa allo sviluppo di ossigeno sul platino liscio, che, a bassa densità
di corrente e alta temperatura, si considera circa 0,5 V); quindi:

𝜂𝑐 + 𝜂𝐴 = 0,5V

A questi valori di tensione si deve ancora aggiungere la tensione necessaria per vincere la resistenza ohmica della
soluzione (funzione della superficie degli elettrodi, della loro distanza e della composizione) : se si ammette che tale
resistenza sia dell’ordine di 0,5 Ω con un’intensità di corrente di 0,6 A, avremo:

V= R x i = 0,5 x 0,6 = 0,3V

In conclusione, la tensione da applicare agli elettrodi affinchè l’elettrolisi proceda con la voluta intensità, sarà:

V = (Ea - Ec) + 𝜂𝑐 + 𝜂𝐴 + 𝑅 𝑥 𝑖 = (1,23 -0,29) + 0,5 + 0,3= 1,74V


Dobbiamo tenere conto che , verso la fine dell’elettrolisi, le condizioni a cui occorre operare sono in parte cambiate:
mentre infatti il potenziale anodico rimane costante, quello catodico si abbassa a causa della diminuzione della
concentrazione dello ione Cu2+; se si considera completa la deposizione del rame, quando la sua concentrazione in
soluzione si è ridotta al valore 10-6M, il corrispondente potenziale catodico sarà:

0,0592
𝐸𝑐 = 0,34 + 𝑙𝑜𝑔10−6 = 0,16𝑉
2

Quindi la tensione da applicare a questo punto assume il valore:

V = (1,23-0,16) + 0,5 + 0,3 = 1,87V

In pratica la tensione applicata per l’esecuzione dell’elettrolisi verrà innalzata a 2,4V, tenendo conto delle incertezze
sui valori delle sovratensioni e degli errori di calcolo dovuti al fatto di aver tenuto conto delle concentrazioni invece
delle attività

Si pesa inizialmente il catodo; quindi si immergono gli elettrodi nella soluzione e si collegano al banco elettrolitico,
facendo passare corrente per un tempo opportuno: l’analita da dosare (per esempio il Cu contenuto in una soluzione
derivante dall’attacco chimico di una lega di Cu, come bronzo o ottone) si riduce al catodo e si deposita sull’elettrodo.

Al termine del processo di elettrolisi, non si spegne subito l’apparecchio ma, con la tensione ancora applicata, occorre
sollevare gli elettrodi dal becker in cui sono immersi, sostituire la soluzione con acqua distillata e solo a questo punto
eliminare la d.d.p. applicata. Se l'interruzione di corrente si verificasse quando gli elettrodi sono ancora immersi nella
soluzione analitica, si formerebbe una pila opposta e la sua forza controelettromotrice provocherebbe la
ridissoluzione o il distacco del deposito dall'elettrodo.

In seguito si pesa nuovamente il catodo e dall’incremento di peso si risale alla quantità di analita scaricato. Dopo
lavaggio con HNO3 concentrato, che rimuove il deposito elettrolitico, il catodo è pronto per una nuova determinazione
quantitativa.

Elettrolisi a corrente costante

Applicando la tensione di scarica effettiva Ve, che tiene conto di tutti i fattori che intervengono nell'elettrolisi, il
processo inizia con una adeguata velocità ma successivamente la velocità di scarica diminuisce, perché la scarica
impoverisce la soluzione della specie elettroattiva e quindi si riduce nel tempo la corrente che attraversa la cella
elettrolitica; ciò allungherebbe eccessivamente il tempo necessario per completare la scarica.

G: generatore di corrente continua


A: amperometro
R: reostato
C: catodo
A: anodo

Per ovviare a questo inconveniente si può operare a i = costante, aumentando progressivamente nel corso
dell'elettrolisi (specie nella parte finale), il potenziale applicato V, utilizzando l'apparecchio schematizzato. In tale
apparecchio, per mezzo del reostato R, si può aumentare la d.d.p. agli elettrodi in modo programmato cioè tramite un
motorino elettrico che fa scorrere il reostato sulla resistenza quando il valore della corrente i che passa nel circuito,
misurato dall’amperometro A, è inferiore ad un valore prefissato dall’operatore. L'aumento progressivo di V
compensa la diminuzione della velocità di scarica e quindi i tempi di elettrolisi rimangono contenuti a valori
accettabili. Vi è tuttavia un inconveniente: occorre fare attenzione che il potenziale applicato non cresca fino a
scaricare altri elementi presenti in soluzione, che potrebbero dare codeposizione, cioè scaricarsi insieme all'analita.

Elettrolisi a potenziale controllato

E' la tecnica più usata perché evita il rischio di codeposizioni di elementi indesiderati. In questo caso la cella
elettrolitica contiene 3 elettrodi: l'anodo, il catodo su cui si avrà il deposito ed un terzo elettrodo di riferimento (a
potenziale costante), posto vicino al catodo, che ha lo scopo di controllarne accuratamente il potenziale.

A1: alimentatore della cella elettrolitica


A2: alimentatore del potenziostato
A: amperometro
P: potenziometro
C: catodo
A: anodo
SCE: elettrodo a calomelano saturo (riferimento)
R: reostato

L'apparecchio che consente di realizzare una elettrolisi a potenziale controllato è detto potenziostato ed è
schematizzato a fianco; si tratta di un banco elettrolitico abbinato ad un potenziometro, per il controllo del potenziale
assunto dal catodo.
Quando l'apparecchio è in funzione, tramite l’amperometro A si legge il valore della corrente i che attraversa la cella
elettrolitica, che deve rimanere superiore ad un valore prefissato, mentre ovviamente tenderebbe a diminuire nel
tempo.

Quando il valore della corrente i scende al di sotto del valore minimo, tramite il reostato R che si sposta sulla
resistenza tramite un motorino elettrico, viene aumentata la d.d.p agli elettrodi ma agendo solo sul potenziale
dell'anodo; il potenziale del catodo rimane costante e viene controllato in un campo di pochi mV tramite il
potenziometro, la cui cella di misura è costituita dal catodo e da un elettrodo a potenziale costante (per esempio
l'elettrodo SCE). In tal modo la corrente che attraversa la cella rimane pressoché costante ma anche il potenziale del
catodo rimane rigorosamente invariato. Il continuo controllo esercitato sul potenziale assunto dal catodo permette di
evitare fenomeni di scarica di elementi indesiderati e di codeposizione.

Leggi di Faraday

Il fenomeno dell’elettrolisi è regolato dalle due leggi di Faraday, dedotte nel 1833:

-prima legge: la massa di sostanza ridotta al catodo o ossidata all’anodo è proporzionale alla quantità di carica Q che
è passata attraverso la cella, Q=it dove i è la corrente elettrica (Ampere) e t il tempo (secondi)

-seconda legge: la medesima quantità di carica elettrica fatta passare in soluzioni di elettroliti diversi scarica un ugual
numero di equivalenti elettrochimici. La quantità di carica necessaria per la scarica di 1 g equivalente, cioè una
quantità in g numericamente uguale al peso equivalente di una sostanza, è pari ad 1Faraday, ovvero a circa
96.500 Coulomb.

Utilizzando le due leggi di Faraday si possono effettuare calcoli quantitativi sui processi di scarica agli
elettrodi.
Per illustrare le leggi di Faraday si consideri un sistema formato da 2 celle elettrolitiche in parallelo (2 e 3)
collegate ad un generatore di corrente continua (1).

Si supponga cha nelle due celle avvengano due diverse riduzioni catodiche:

cella 2: Cu2++2e-↔Cu

cella 3: Al3++3e- ↔ Al

Facendo passare la stessa quantità di carica: Q= i·t nelle due celle si ridurranno un identico
numero di equivalenti elettrochimici ma massa diverse di Cu e di Al

1 𝑒𝑞 𝑖∙𝑡
96500
= 𝑖∙𝑡 𝑒𝑞 = 96500

𝑖∙𝑡
𝑒𝑞𝐶𝑢 = 𝑒𝑞𝐴𝑙 = 96500

𝑃𝐴𝐶𝑢 𝑃𝐴𝐶𝑢
𝑚 = 𝑒𝑞 ∙ 𝑃𝐸 𝑃𝐸𝐶𝑢 = 2
𝑃𝐸𝐴𝑙 = 3

𝑖∙𝑡 𝑃𝐴 𝑖∙𝑡 𝑃𝐴
𝑚𝐶𝑢 = ∙ 𝐶𝑢 𝑚𝐴𝑙 = ∙ 𝐴𝑙
96500 2 96500 3

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