Documente Academic
Documente Profesional
Documente Cultură
SCUOLA DI INGEGNERIA
CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN INGEGNERIA CIVILE
RELAZIONE DI APPROFONDIMENTO PER IL CORSO DI
COSTRUZIONI MARITTIME
A.A. 2018/2019
Sommario
1. Energia marina e valutazione del potenziale ondoso .............................................................. 5
Appendice A ................................................................................................................................. 66
Riferimenti .................................................................................................................................... 69
convertita in energia utile mediante l’impiego di una membrana semipermeabile, che separa
l’acqua dolce da quella salata: il liquido a bassa salinità passa attraverso la membrana nella
soluzione a salinità maggiore generando un aumento del livello dell’acqua salata e creando, quindi,
un salto sfruttabile con tecnologie idroelettriche tradizionali.
raffreddati dall'acqua aspirata dal fondo. Tale tecnologia è efficacie nei mari tropicali, dove la
differenza di temperatura tra acque superficiali e profonde è circa 20°.
Figura 1.3 – A sinistra l’impianto di Rance; a destra lo schema di un generico impianto a escursione mareale
Figura 1.4 – A sinistra una turbina ad asse orizzontale; a destra una turbina ad asse verticale
Figura 1.5 – Le varie onde nel mare e i rispettivi contributi energetici. Fonte [5]
I venti che soffiano sulla superficie del mare, originati dalla differenza di pressione che può venire
a crearsi fra due punti distinti dell’atmosfera, provocano inizialmente delle increspature della
superficie del mare, denominate ripples. Una volta che i ripples si sono formati, se il vento continua
a soffiare, l’energia continua ad essere trasferita al mare e le onde si accrescono. L’altezza d’onda
che viene raggiunta dipende da molti fattori, fra cui la durata della tempesta, la profondità del mare
e il fetch, ovvero l’estensione del mare su cui soffiano i venti. Se questi parametri fossero tutti
tendenti all’infinito, le onde continuerebbero a crescere, ma fino a raggiungere un limite, oltre il
quale ulteriori trasferimenti di energia dal vento sarebbero dissipati; in queste condizioni il mare
viene detto completamente sviluppato.
Quando il vento smette di soffiare, le onde non si accrescono più, ma si propagano nello spazio
coprendo grandi distanze. Questo processo provoca la formazione di onde regolari e con periodo
tendenzialmente maggiore delle onde generate dal vento, e vengono dette swell.
𝐸 = 𝜌𝑔𝐻 2 /8 [𝐽/𝑚2 ]
𝑃 = 𝐸 ∙ 𝐶𝑔 [𝑊/𝑚]
1 1𝐿
𝐶𝑔 = 𝐶 =
2 2𝑇
𝑔𝑇 2
𝐿=
2𝜋
Si può quindi riscrivere la potenza associata ad un’onda regolare per unità di cresta:
1
𝑃= 𝜌𝑔2 𝐻 2 𝑇 [𝑊/𝑚]
32𝜋
La condizione di onde regolari non si verifica però mai nel mare, piuttosto queste sono irregolari;
tuttavia le onde reali possono essere viste come la sovrapposizione di infinite componenti regolari,
ciascuna caratterizzata da una determinata altezza, frequenza e direzione. La potenza associata alle
onde reali, in acque alte, è dunque:
2𝜋 ∞
𝑃 = 𝜌𝑔 ∫ ∫ 𝐶𝑔 (𝑓, 𝜃) ∙ 𝑆(𝑓, 𝜃) 𝑑𝑓𝑑𝜃
0 0
1 2
P= 𝜌𝑔2 𝐻𝑚0 𝑇𝑚−1,0 [𝑊/𝑚]
64𝜋
dove 𝐻𝑚,0 = 4√𝑚0 è l’altezza significativa, 𝑇𝑚−1,0 = 𝑚−1 /𝑚0 è il periodo energetico e 𝑚𝑛 =
2𝜋 ∞
∫0 ∫0 𝑓 𝑛 𝑆(𝑓, 𝜃) 𝑑𝑓𝑑𝜃 sono i momenti di ordine n dello spettro in frequenza del moto ondoso.
Figura 1.8 –Stima della potenza media annua del moto ondoso a scala globale in KW/m. Fonte [1]
Come facilmente immaginabile, si nota che le zone con un clima ondoso molto energetico sono
quelle esposte alle direzioni principali dei venti oceanici, e poste quindi alle estremità di lunghi
fetch. In Europa, i valori medi annuali di energia più elevati si registrano sulle coste occidentali
della Scozia e dell’Irlanda, dove si superano i 70 KW/m. In Nord America i picchi si registrano
sulla costa affacciata sull’oceano Pacifico, e in particolare in Oregon, British Columbia e Alaska,
con valori compresi fra i 40 KW/m e i 60 KW/m.
Nell’emisfero australe invece i valori massimi di potenza si hanno a largo delle coste meridionali
del Cile (fino a 100 KW/m), in Sud Africa (50 KW/m) e lungo le coste sud e sud-occidentali
dell’Australia e occidentali della Nuova Zelanda (anche qui si raggiungono valori intorno ai 100
KW/m).
Nelle acque equatoriali invece si osservano livelli di potenza su base annuale relativamente bassi,
con valori di 15-20 kW/m in tutti i punti dei bacini oceanici.
Si può notare inoltre che la potenza maggiore si concentra dove la forza di Coriolis è più intensa,
ovvero sulle coste occidentali dei continenti.
Oltre alla potenza media annuale, un’altra informazione molto importante al fine di valutare la
predisposizione di un sito allo sfruttamento dell’energia del moto ondoso, è la variabilità stagionale
della risorsa; la figura 1.9 mette a confronto le potenze medie relative ai mesi di gennaio e luglio,
e permette di osservare come la variabilità del potenziale medio del moto ondoso sia maggiore
nell’emisfero settentrionale.
Figura 1.9 –Confronto fra potenza media nel mese di gennaio (sinistra) e luglio (destra).
Tale caratteristica può essere osservata anche nella figura 1.10, dove è riportata la potenza media
delle onde in tutti i punti della griglia, in funzione della latitudine, sia annuale che media mensile
nei mesi di gennaio e luglio; nella stessa si può notare anche la maggiore disponibilità della risorsa
nell’emisfero meridionale.
Università degli studi di Firenze 13
Corso di “Costruzioni Marittime” Capitolo 1
Poiché l’efficienza dei dispositivi per lo sfruttamento dell’energia del moto ondoso diminuisce
notevolmente all’aumentare della variabilità del clima ondoso, lo sfruttamento di tale risorsa
risulta più conveniente nell’emisfero meridionale.
Figura 1.11 – Mappa della potenza media annua da moto ondoso nel Mar Mediterraneo dallo studio di ENEA
Dalla figura si osserva che la parte occidentale del bacino del Mediterraneo risulta essere
caratterizzata dai valori più elevati di energia; nel dettaglio, nella zona che si estende tra le isole
Baleari e la costa della Sardegna vengono raggiunti valori medi superiori a 15 KW/m, e quest’area
più energetica si allunga poi verso il canale di Sicilia dove i valori medi restano comunque inferiori
a 10 KW/m. Nella parte orientale del Mediterraneo invece i valori di potenza sono compresi fra 6
KW/m e 9 KW/m.
Risulta quindi che le potenze ondose medie presenti nel Mediterraneo sono notevolmente inferiori
rispetto a quelle oceaniche, e questo era facilmente pronosticabile, essendo il Mediterraneo un
bacino chiuso; se però da un lato questo fatto limita la possibilità di produzione di energia da moto
ondoso, dall’altro può costituire un vantaggio. Mari con climi ondosi moderati, come appunto il
Mediterraneo o anche il Mare del Nord, garantiscono un maggiore sfruttamento della risorsa da
parte dei dispositivi per la conversione dell’energia del moto ondoso, in quanto questi ultimi non
sono sottoposti a mareggiate di estrema intensità, in presenza delle quali tali apparecchiature non
possono lavorare. Se dunque la differenza di energia disponibile nelle due condizioni è molto
elevata, l’energia sfruttabile per mezzo dei dispositivi sin qui sviluppato non risulta notevolmente
diversa, Inoltre i bacini di piccole dimensioni costituiscono di fatto dei “laboratori“, dove testare
sistemi in via di sviluppo, proprio a causa delle condizioni climatiche meno severe.
Passando al contesto italiano, si riporta di seguito (fig. 1.12) la carta della potenza ondosa incidente
su tutti i litorali della penisola, anch’essa dal lavoro pubblicato da ENEA.
Come dimostrato da ENEA, il potenziale energetico del moto ondoso lungo le coste italiane è
molto vario, e presenta i suoi massimi valori lungo la costa occidentale della Sardegna e in
particolare in prossimità di Alghero, che fa registrare un valore medio superiore ai 10 KW/m, con
picchi invernali fino a 15 KW/m. Altra zona ad alto potenziale è la costa sud-occidentale della
Sicilia (e l’isola di Pantelleria), seppur con valori inferiori (6 KW/m), mentre la costa tirrenica e
quella ligure presentano un interessante potenziale energetico (2-4 KW/m).
Figura 1.13 – Zoom in corrispondenza delle località a potenza ondosa maggiore d ‘Italia
Il bacino del Mar Adriatico invece costituisce la zona meno predisposta allo sfruttamento
dell’energia delle onde dell’intero Mediterraneo, con valori generalmente inferiori a 2 KW/m.
Per quanto riguarda la Toscana, come detto, il potenziale ondoso ha valori fra i 2 KW/m e i 4
KW/m. Il punto a maggiore concentrazione di energia si trova di fronte al litorale di Livorno, in
corrispondenza della secca della Meloria, su un fondale con profondità di circa 10 metri, dove si
verifica una grande focalizzazione dell’energia, dovuta ai fenomeni di rifrazione che si instaurano
a causa della scarsa profondità del fondale. In questo punto il valore dell’energia si innalza fino a
sfiorare i 5 KW/m, e risulta nettamente superiore ai punti situati nelle vicinanze, ma anche ai punti
collocati in acque alte.
Si riportano nella figura 1.14 il potenziale medio sulla costa settentrionale della Toscana (a nord
di Livorno) e il diagramma energetico (scatter matrix) in corrispondenza della secca della Meloria,
il punto con il potenziale maggiore in Toscana.
Figura 1.14 – A destra il potenziale medio sulla costa della Toscana, a nord di Livorno; a sinistra la scatter
matrix in corrispondenza della secca della Meloria. Fonte [15]
2.1.2 Attenuatori
Gli attenuatori sono strutture galleggianti posizionate parallelamente alla direzione di
propagazione dell’onda e aventi una lunghezza complessiva pari o maggiore alla lunghezza
d’onda. Sono formati da più segmenti incernierati tra loro, che vengono sollevati gli uni rispetto
agli altri dalle diverse altezze d’onda che si sviluppano lungo il dispositivo. Questo movimento
relativo delle cerniere provoca l’attivazione di alcune pompe che stanno tra ogni coppia di
segmenti, che, a loro volta, azionano dei generatori.
2.1.3 Terminatori
La geometria dei terminatori è simile a quella degli attenuatori, ovvero con una dimensione
molto maggiore dell’altra e dello stesso ordine di grandezza delle onde incidenti, ma sono
posizionati ortogonalmente rispetto alla direzione di propagazione dell’onda stessa. Data la loro
geometria, sono in grado di ostacolare significativamente la propagazione dell’onda, catturando e
riflettendo la sua energia.
a differenza dei sistemi galleggianti e delle opere shoreline, rispetto alle quali peraltro, il moto
ondoso possiede ampiezza maggiore. Inoltre, l’impatto ambientale e visivo risulta contenuto.
Tuttavia, essendo opere costruite in mare, i costi di realizzazione e di manutenzione sono elevati,
e i carichi a cui devono far fronte risultano nettamente superiori rispetto ai dispositivi installati
lungo la linea di costa.
Gli studi teorici condotti sui vari WECs hanno mostrato che, per ottenere dispositivi efficienti, la
frequenza propria dei convertitori deve essere uguale alla frequenza delle onde, e quindi il
convertitore deve operare in condizioni di risonanza o vicino a queste condizioni. La coincidenza
tra la frequenza naturale del dispositivo e quella delle onde è però molto difficile perché, a meno
che il dispositivo non sia molto grande, la prima è generalmente molto più alta della seconda, che
nella realtà poi non è univoca, ma è la composizione di più frequenze. Inoltre, le frequenze delle
onde non sono costanti nel tempo, ma dipendono dalla variabilità casuale dei venti.
La maggior parte dei sistemi OWC proposti e testati sono localizzati sulle coste o vicino alla costa,
fissati al fondo del mare o su scogliere, come lo schema riportato in figura 2.4. Gli apparati
collocati sulla linea di costa hanno il vantaggio di una più semplice installazione e manutenzione
e non richiedono l’ancoraggio in acque profonde, né lunghi cavi sottomarini. Un grande vantaggio
è dovuto al fatto che queste opere possono essere inglobate all’interno di opere marittime come
dighe foranee e frangiflutti. Essendo infatti il costo di realizzazione delle strutture civili quello
principale per quanto riguarda i sistemi OWC fissi, questa operazione permette un notevole
abbattimento dei costi totali, e di conseguenza, tale soluzione appare oggi la più promettente al
fine dello sviluppo di questi sistemi su scala commerciale. A causa della camera d’aria infatti, gli
OWC richiedono grandi strutture di base: gli impianti più potenti (500 KW-1 MW) hanno una
sezione al livello medio dell’acqua di 100-400 m2 e altezze di 10-20 m. Il costo di un singolo
dispositivo è quindi piuttosto alto,
Questi impianti presentano qualche problema dal punto di vista ambientale poichè, oltre ad essere
molto rumorosi, hanno anche un alto impatto visivo quando sono installati sulla costa.
Oltre alle strutture fisse, sono state proposte e sperimentate diverse soluzioni OWC di tipo
galleggiante. Questi apparati sono costituiti essenzialmente da condotti fissati a un galleggiante
che si muove verticalmente, con un’estremità aperta e immersa nell’acqua e l’altra estremità fuori
dell’acqua, con la camera d’aria e la turbina. In seguito al movimento del condotto prodotto dalle
onde, il livello dell’acqua al suo interno varia e l’aria della camera si comprime e decomprime
azionando la turbina. Lo schema più semplice è costituito da un tubo verticale a simmetria assiale,
insensibile alla direzione delle onde, come rappresentato in figura 2.5. La lunghezza del tubo
determina la frequenza di risonanza della colonna d’aria all’interno del tubo stesso.
Una soluzione più complessa per l’OWC galleggiante è costituita dal Backward Bent Duct
Buoy, rappresentato in figura 2.6, che utilizza tubi orizzontali con apertura situata dalla parte
opposta rispetto all’onda incidente e che sfrutta quindi il movimento di beccheggio. In questo
modo la lunghezza del condotto può determinare una frequenza di oscillazione dell’aria più
favorevole per il funzionamento della turbina. Sono allo studio anche soluzioni con condotti
inclinati, in modo da sfruttare sia il moto di innalzamento, sia il beccheggio, detti Sloped Buoy.
Figura 2.6 – Schema del Backward Bent Duct Buoy. Fonte [14]
Come anticipato in precedenza nel caso generale, è di fondamentale importanza, anche per
gli OWC, la corretta progettazione del sistema in modo che la frequenza fondamentale del sistema
sia prossima a quella delle onde; la frequenza del sistema dipende da:
• forma e dimensione della camera;
• volume di aria nella camera;
• smorzamento prodotto dalla turbina.
L’efficienza del sistema nella produzione di energia dipende quindi dal corretto accoppiamento tra
frequenza del moto ondoso, geometria delle camere del dispositivo e caratteristiche della turbina.
L’idea dei moderni dispositivi a colonna oscillante non è recentissima, ma risale addirittura
agli anni 40 e fu introdotta dall’ufficiale di marina giapponese Yoshio Masuda; nonostante ciò tali
sistemi sono ancora in fase di sviluppo, anche se hanno già avuto numerose applicazioni di
carattere dimostrativo in diversi paesi e in alcuni casi sono anche stati connessi alla rete elettrici.
Grande impulso allo sviluppo di questi sistemi è stato dato dall’Europa, come si può notare dalla
tabella 2.2, che raccoglie i principali impianti OWC realizzati nel mondo, aggiornata al 2013. Si
riporta in seguito una breve descrizione di alcune di queste installazioni.
2.3.1.2 Il LIMPET
Il LIMPET 500 (Land Installed Marine Pneumatic Energy Transformer 500kW) è un OWC
shoreline sviluppato a partire dalle ricerche svolte dalla Queen University di Belfast, situato
sull’isola di Islay, lungo la costa Ovest della Scozia, e installato nel 2000.
Il sistema è costituito da una struttura in cemento suddivisa in tre camere di cattura aventi una
dimensione di 6 x 6 metri, inclinate di 40° rispetto al piano orizzontale. La forma inclinata delle
camere ha mostrato di offrire un percorso più agevole per l’ingresso e l’uscita dell’acqua, con
minore turbolenza e minori perdite di carico.
Nella parte superiore il LIMPET ha una singola apertura, attraverso la quale l'aria è forzata,
muovendo due turbine Wells controrotanti, ciascuna delle quali aziona un generatore di 250 kW,
per una potenza massima complessiva di 500 kW. Sullo scarico dell’aria c’è un attenuatore
acustico. Ad oggi l’impianto è stato dismesso, e tutte le installazioni ad eccezione delle strutture
in cemento sono state rimosse.
Figura 2.11 – Impianto OWC installato nella diga foranea del porto di Sakata. Fonte [4]
2.3.2.1 TAPCHAN
La prima applicazione della tecnologia a tracimazione è stata effettuata in Norvegia nel
1980 con il dispositivo Tapchan (Tapered Channel), un dispositivo shoreline caratterizzato dalla
presenza di un bacino sulla terraferma. Il sistema Tapchan è dotato di un canale a punta che
alimenta un bacino costruito su una scogliera: il restringimento del canale ha l’effetto di
incrementare l’altezza delle onde quando queste si muovono verso la scogliera, con il bacino
sistemato diversi metri sopra il livello medio mare. L’energia cinetica delle onde in arrivo è
convertita in energia potenziale, poiché l’acqua è immagazzinata nel bacino. La generazione di
elettricità è poi del tutto simile a quella di un impianto idroelettrico ad acqua fluente, con una
turbina Kaplan, e quindi affidata alla gravità.
Essendo presenti poche parti in movimento, i costi di manutenzione sono relativamente bassi, e il
sistema garantisce la generazione di energia in maniera continuativa.
Per contro, i costi di costruzione del serbatoio e del canale di alimentazione sono elevati, e la scelta
del sito risulta delicata.
La struttura a tre livelli garantisce un alto livello di efficienza e la generazione continua di energia;
infatti, consente di raccogliere sia onde di elevata dimensione, che creano la maggior parte
dell’energia, sia onde piccole, che permettono la produzione continua dell’energia.
Oltre alle applicazioni shoreline, questo sistema può risultare efficiente anche in strutture offshore,
come piattaforme petrolifere fuori uso.
Si pensa che questo convertitora possa avere una buona diffusione in futuro, principalmente per
via del moderato costo della struttura e della sua robustezza, oltre all’efficienza di conversione.
L’impatto ambientale è modesto se realizzato in ambiente offshore, ma diventa alto lungo la costa,
perché, a causa delle dimensioni, tende a occupare notevolmente la spiaggia su cui è installato.
Le onde che colpiscono i riflettori vengono indirizzate verso la rampa, che agevola il processo di
tracimazione e permette l’accumulo di acqua all’interno del serbatoio, che è posizionato ad un
livello superiore rispetto alla superficie media del mare. Di fatto, la turbina idraulica costituisce
l’unica parte in movimento del sistema, e questa è una caratteristica estremamente favorevole.
Il Wave Dragon è costruito con delle camere d'aria, in cui il sistema ad aria pressurizzata rende
l’altezza del galleggiante del Wave Dragon regolabile, in modo da permettere al dispositivo di
mantenersi ugualmente efficiente anche al variare del clima ondoso.
Il Wave Dragon è progettato per essere costruito in acciaio e cemento rinforzato. Ad esempio,
un’unità in scala 1:1 da porre in un sito caratterizzato da una potenza di 24 KW/m ha un peso pari
a 22000 tonnellate incluse le zavorre, uno spessore di 260 m fra le punte dei riflettori, e una
capacità del serbatoio di 5000 m3. Al variare del potenziale del sito, variano le dimensioni della
struttura.
I dispositivi traslazionali più semplici sono costituiti da una parte fissa, che viene
generalmente posta sul fondo del mare, e da una boa posta sulla superficie del mare che oscilla
verticalmente. La boa viene collegata tramite un cavo alla parte fissa e, tramite le sue oscillazioni,
aziona un generatore posto all’interno del basamento. La presenza di un singolo corpo oscillante
rispetto ad un corpo fisso sul fondo del mare però, può causare alcuni inconvenienti nel caso in
cui il livello medio del mare vari, ad esempio a causa delle maree.
Il problema può essere superato introducendo i convertitori multi-corpo, caratterizzati dalla
presenza di più corpi oscillanti in maniera asincrona, nei quali l’energia viene ricavata sfruttandone
il moto relativo. In questo caso il prezzo da pagare sta nella maggiore difficoltà di controllo dei
corpi in movimento reciproco. I principali prototipi basati su questo concetto ai fini di produrre
energia utile sono AcquaBuoy, IPS Buoy, WaveBob e PowerBuoy.
I corpi traslazionali possono anche essere completamente sommersi, con una parte fissata o
incernierata al fondo del mare e un’altra parte oscillante in direzione verticale sotto l’azione
dell’onda incidente: il movimento della parte superiore aziona un generatore posto nella parte
inferiore. Il principale dispositivo di questo tipo è l’Archimedes Wave Swing (AWS).
Essendo la maggior parte dei dispositivi a corpi oscillanti di tipo offshore, questi possono sfruttare
il grande contenuto energetico delle onde in mare aperto; tuttavia sono molti i problemi che ne
stanno limitando la diffusione, come la resistenza alle mareggiate più intense, la presenza di parti
mobili soggette ad usura nel tempo, la necessità di lunghi cablaggi per il trasporto dell’energia
prodotta alla rete e i problemi legati alla difficoltà di sopravvivenza in ambiente marino (corrosione
e fouling).
Per quanto riguarda i meccanismi a più corpi mobili, un valido esempio è il sistema di
generazione ondosa di OPT PowerBuoy, composto da un galleggiante a forma di disco che si
muove relativamente ad un’asta che termina con una zavorra piatta (la funzione della zavorra e
aumentare l’inerzia anche con la colonna d’acqua che la sovrasta). Il moto relativo è convertito in
elettricità mediante una macchina idraulica. Una stazione elettrica OPT ha un profilo superficiale
molto basso ed e difficilmente visibile dalla costa.
Nel caso di onde molto grandi imminenti, il sistema automaticamente si blocca e cessa la
produzione di potenza. Quando l’altezza dell’onda ritorna normale, il sistema si sblocca e
ricomincia la produzione di energia e la trasmissione di energia elettrica a riva. Il Mark 3
PowerBuoy, installato nel 2011 al largo della costa scozzese, aziona un generatore con un picco
di 866 kW. Fattori di capacità tipici per un Mark 3 variano tra 30% e 45%, a seconda della
posizione.
Il Wavebob è un altro dispositivo a corpi oscillanti, che consiste in due boe assial-
simmetriche coassiali, il cui moto relativo è convertito mediante un sistema idraulico che fa uso di
fluidi biodegradabili, in modo da prevenire eventuali l’inquinamento in caso di rilascio
incontrollato. La boa interna è rigidamente connessa ad un corpo sommerso il cui scopo è quello
di aumentare l’inerzia e stabilizzare il sistema. Il diametro esterno della boa è di circa 20 metri e
l’altezza totale di 8 metri; si tratta quindi di una grande struttura galleggiante, avente importanti
costi di costruzione, ma modesti costi operativi e di manutenzione. Il sistema dispone di un
meccanismo capace di cambiare la frequenza naturale del dispositivo per adattarla alla frequenza
dell’onda, e questo ne aumenta di molto l’efficienza. La potenza media del dispositivo relativa ai
siti del Nord Atlantico è di 500 KW.
Il Wavebob è progettato specificatamente per recuperare potenza utile dall’energia delle onde
oceaniche, essendo dotato di un sistema che lo protegge in caso di eventi meteorologici estremi, e
per essere impiegato in grandi schiere offshore. Il sistema è collegato al fondo con un ormeggio
allentato.
Figura 2.27 –A sinistra la struttura a scala reale del WaveStar, a destra il prototipo con due galleggianti. Fonte [5]
Oltre al Pelamis, sono presenti molti altri meccanismi che si basano sul movimento
reciproco delle varie parti, durante il passaggio delle onde, per generare energia: fra questi si
ricordano Crest Wing, McCabe Wave Pump e DEXA.
Crest Wing è costituito da due zattere, aventi una struttura scatolare chiusa, galleggianti e
incernierate fra loro. Le zattere si spostano verticalmente al passaggio dell’onda, e ruotano
reciprocamente attorno al giunto centrale, azionando un sistema meccanico di estrazione di
potenza.
Figura 2.30 – Crest Wing in scala 1:5, testato a Frederikshavn nel 2011
Il McCabe Wave Pump, concepito nel 1980, fu uno dei primi esponenti di questo principio.
Due zattere metalliche rettangolari, collegate ad un galleggiante centrale, si protendono verso
l’onda, e ruotano reciprocamente al passaggio di questa. Tale moto alimenta un PTO di tipo
idraulico.
Figura 2.3195 – Schema e immagine del McCabe Wave Pump. Fonte [5]
la lunghezza; all’interno, ciascuno di essi trasferisce l’energia delle onde ad un asse comune, che
alimenta un sistema di PTO indipendente. Un vantaggio di questo dispositivo è la capacità di poter
modificare l’angolo tra le due gambe principali; ciò permette l’adattamento del sistema alle
condizioni di agitazione del mare, aumentandone l’apertura in condizioni ordinarie e riducendola
in condizioni estreme.
Figura 2.32 – Modello a scala reale del Weptos, testato in Spagna nel 2011. Fonte [5]
pressione interna. L’aria all’interno della camera si comporta come una molla la cui rigidezza può
essere regolata con il pompaggio di acqua dentro o fuori la camera stessa, variandone il volume.
L’AWS è caratterizzato da una grande struttura e ciò rende difficoltoso il trasporto e l’istallazione
nella località prevista. Un prototipo di AWS è stato installato nel 2004 al largo della costa
portoghese (nelle vicinanze di Porto) in acque profonde. Il cilindro era largo 9 metri, con un’altezza
massima di 38 e una corsa di 7 metri, e la potenza nominale era di 2 MW.
Un altro esempio di corpo sommerso è il CETO, una boa ancorata al fondale e collegata tramite
un cavo ad una pompa anch’essa posta sul fondale. Mentre la boa si muove nelle onde, la pompa
pressurizza l'acqua di mare, che viene inviata verso una centrale posta sulla costa, e viene così
prodotta energia elettrica tramite turbine idrauliche. Essendo la produzione di elettricità effettuata
sulla costa, le boe non possono essere installate molto lontane da questa, per non accrescere troppo
i costi; si può quindi parlare di sistema di generazione nearshore. Da ciò consegue che i costi di
manutenzione saranno modesti, essendo l’unità di generazione posta sulla terraferma e la pompa
adagiata sul fondale, dove l’effetto degli eventi estremi sarà limitato.
Molto simile all’Oyster è il Wave Roller, costituito da uno o più pannelli messi in rotazione
rispetto alla base dal moto ondoso; tuttavia, il Wave Roller, che viene anch’esso installato in
fondali poco profondi, è completamente sommerso. Mentre il pannello del Wave Roller si muove
e assorbe l’energia delle onde oceaniche, un pistone, attaccato al pannello, pompa i fluidi idraulici
dentro un circuito idraulico chiuso, il quale alimenta un motore e quindi un generatore. La potenza
elettrica prodotta viene poi trasferita alla rete con cavi sottomarini. Tutti gli elementi del circuito
idraulico sono racchiusi dentro una struttura ermetica, dentro il dispositivo, e non sono esposti
all'ambiente marino.
Una delle caratteristiche uniche del Wave Roller è la facilità di esecuzione della manutenzione,
rispetto agli altri dispositivi sommersi. Le unità di Wave Roller comprendono grandi vasche di
zavorra che vengono riempite con aria per farle galleggiare, e con acqua per farle affondare; il
convertitore può essere facilmente reso galleggiante per la manutenzione, svuotando le vasche.
Solitamente la potenza delle onde viene trasferita a un fluido ausiliario, che può essere aria, olio o
acqua, nel quale è indotta una differenza di pressione. Questo fluido è un vettore energetico, che
attiva un sistema meccanico (PTO), che trascina un generatore a velocità variabile. Il Power take-
off è quindi il punto chiave dei convertitori di energia ondosa, essendo la tecnologia che converte
le oscillazioni indotte dalle onde in elettricità. Le oscillazioni indotte sono caratterizzate
dall’essere lente, con ampiezza e frequenza variabili; per una efficace conversione dell’energia
delle onde in potenza pneumatica dunque, le caratteristiche del PTO devono ben accoppiarsi con
tale variabilità. Le tipologie di sistemi di PTO più usate sono le turbine ad aria, le turbine
idrauliche (ad alta e a bassa prevalenza), i sistemi idraulici (azionati da fluidi ad alta pressione) e
i generatori lineari meccanici o elettrici.
L’energia elettrica prodotta dal convertitore a moto ondoso, deve essere generata in una macchina
elettrica, o in un generatore rotante, come nelle applicazioni eoliche o idroelettriche piccole, o con
un generatore lineare a trasmissione diretta.
Le prime turbine utilizzate nei convertitori di energia ondosa sono state quelle ad aria, ed ancora
oggi sono quelle più diffuse, soprattutto per gli OWC. Le turbine idrauliche a bassa prevalenza,
più o meno convenzionali, vengono usate nei dispositivi a tracimazione, mentre le turbine ad alta
prevalenza (in genere le Pelton) sono un’alternativa ai motori idraulici nei dispositivi a corpo
oscillante. I circuiti ad alta pressione, gli accumulatori di gas e i motori idraulici, sono invece stati
utilizzati in diversi prototipi di WEC a corpo oscillante, come il Pelamis. Infine, vi sono i
generatori lineari meccanici o elettrici che, nonostante siano stati proposti sin dalla fine degli anni
settanta per i dispositivi a moto ondoso con moto di traslazione, sono ancora in fase di sviluppo.
Caratteristica fondamentale dei WEC è la capacità di stoccare energia, che può essere procurata in
una molteplicità di modi, come nel caso dell'effetto volano in una turbina ad aria, della presenza
di serbatoi d'acqua nei dispositivi con turbine idrauliche, e degli accumulatori di gas nei circuiti
idraulici ad alta pressione, ad olio o ad acqua.
I possibili sistemi di power take-off sono quindi:
• turbine ad aria;
• turbine idrauliche;
• circuiti e motori idraulici;
• generatori diretti meccanici o elettrici.
Una prima tipologia di turbine utilizzabili è quella delle turbine convenzionali, che necessitano
però della rettifica del flusso d’aria alternato con un sistema di valvole di non ritorno. Tali soluzioni
non vengono di fatto utilizzate, perché il sistema di rettificazione del flusso d’aria presenta perdite
di carico, è complicato e di difficile manutenzione e negli impianti più grandi c’è il problema delle
dimensioni delle valvole.
Oltre all’auto rettificazione, la turbina Wells presenta altri vantaggi che ne hanno permesso la
diffusione, tra i quali l’elevata efficienza di picco (intorno a 0.7–0.8) e l’elevata velocità di
rotazione per bassi flussi d’aria, cosa che garantisce un maggiore immagazzinamento di energia
per effetto volano. Dettagli non trascurabili sono anche il basso costo e la semplicità di costruzione.
Tuttavia, il profilo simmetrico delle alette della turbina comporta una caduta di efficienza durante
la conversione. Questo succede perchè i profili alari simmetrici hanno dei coefficienti di resistenza
aerodinamica maggiori di quelli asimmetrici, che si usano con una direzione del flusso d'aria
costante. Inoltre, come conseguenza del profilo alare simmetrico, in certi casi la turbina può andare
in stallo, ovvero può avvenire la separazione del flusso d’aria sulla quasi totalità del dorso della
pala, con drastica riduzione o addirittura inversione della coppia motrice.
Altri svantaggi sono la necessità, in certi casi, di un motore o di un generatore per l'avviamento, le
dimensioni relativamente grande se paragonata al suo livello di potenza e la rumorosità ad alto
numero di giri.
Per ovviare a queste carenze, oltre alla versione iniziale a singolo rotore, sono state costruite
diverse versioni più complesse e costose di turbine Wells per migliorarne l’efficienza:
• rotore singolo con palette direttrici;
• doppio rotore in serie a due piani;
• due rotori controrotanti.
Figura 2.42 – a sinistra lo schema di una turbina Wells con palette direttrici; a
destra la turbina dell’impianto di Pico
Figura 2.43 – A destra lo schema di una turbina ad impulso; a sinistra la foto del rotore
Figura 2.45 – Le principali turbine idrauliche. a: Pelton; b: Kaplan; c: Francis. Fonte [10]
La boa galleggiante del WEC oscilla sotto l’aziona delle onde e, attraverso un pistone idraulico,
mette in pressione un fluido contenuto in un cilindro ancorato al fondale o anch’esso galleggiante,
a seconda del dispositivo. Il fluido in pressione viene indirizzato all’interno di un circuito, dove
un sistema di valvole di controllo ne permette il movimento in una sola direzione, anche quando
il movimento del pistone si inverte. Il fluido viene quindi raccolto all’interno di un accumulatore
di alta pressione, avente lo scopo di ridurre le variazioni di pressione e di regolarizzare l’afflusso
verso il motore idraulico, in modo che la produzione di energia elettrica sia regolare. A questo
punto il motore idraulico, accoppiato ad un generatore di elettricità, converte l’energia elettrica in
energia meccanica e, tramite il generatore, in energia elettrica utile. Il controllo dell’afflusso al
motore è fondamentale, poiché determina l’efficienza dell’intero sistema. Infine, l’accumulatore
di bassa pressione garantisce un sufficiente livello di pressione nella linea di ritorno, in modo da
scongiurare il rischio di cavitazione.
Dal momento che i convertitori idraulici sono costituiti da numerose parti in movimento e quindi
soggette ad usura, i costi di manutenzione possono risultare cospicui, considerato anche il fatto
che questi dispositivi si trovano normalmente in mezzo al mare. Inoltre, in caso di importanti
mareggiate, il pistone idraulico può eccedere nel suo movimento e danneggiare il sistema; tale
problema può essere risolto limitando la corsa del pistone con opportuni sistemi meccanici.
Un generatore lineare di tipo elettrico permette di convertire l’energia del moto ondoso
catturata da un corpo oscillante direttamente in energia elettrica, senza passaggi intermedi. Questo
tipo di generatore è costituito da uno statore, contenente degli avvolgimenti elettrici, e da un
traslatore direttamente collegato alla boa in movimento, sul quale sono montati dei magneti a
polarità alternata; il movimento traslatorio in direzione verticale della boa provocato dalle onde
induce così una corrente elettrica nello statore. Prima della connessione alla rete elettrica, la
corrente deve essere rettificata e la frequenza modificata.
In confronto gli altri PTO, esso è capace di convertire l'energia meccanica direttamente in energia
elettrica, mantenendo quindi un'efficienza più elevata, risulta più semplice degli altri sistemi e
richiede meno manutenzione. Tuttavia è piuttosto costoso, nonostante il prezzo dei magneti sia
recentemente crollato, il che rende questo tipo di PTO un'opzione economicamente fattibile.
Nonostante ciò, questa soluzione non viene ancora utilizzata nella maggior parte dei WEC
sviluppati; un dispositivo che fa uso di questo sistema di power take-off è AWS.
dispositivi OWC. Inoltre, un’ulteriore fonte di impatto dovuta all’installazione di WECs offshore,
può essere legata ai dispositivi di avviso per la navigazione, come luci e segnali sonori.
Infine, dato che molte aree adatte all’installazione di WECs sono lontane dai siti di utilizzazione
dell’energia elettrica, un elemento aggiuntivo di impatto visivo può essere costituito dalle linee di
trasmissione di elettricità sulla terraferma.
Altra tipica forma di impatto ambientale è quella dovuta alle emissioni acustiche, poiché
per alcune tecnologie di conversione, il rumore prodotto può essere notevole.
Le emissioni acustiche si possono trasmettere anche per lunghe distanze, generando disturbi alla
navigazione e alla fauna marina, poiché, a seconda del dispositivo, il rumore può essere prodotto
sia sopra che sotto la superficie del mare.
Esistono poi numerose sorgenti di rumore per ciascun dispositivo WEC: si possono infatti avere
emissioni acustiche rilasciate dai generatori e dalle turbine, se presenti, ed emissioni generate
dall’impatto delle onde sul dispositivo.
In generale, si può affermare che il rumore al di sopra della superficie libera marina è legato a
dispositivi come gli OWC, dove l’aria che viene trattenuta e poi espulsa è la principale sorgente
di rumore. Rumori al di sotto della superficie libera, invece, possono essere provocati da dispositivi
che impiegano turbine, pompe idrauliche e parti in movimento.
Un’ulteriore possibile conseguenza dovuta all’installazione di un dispositivo è l’impatto
sui processi costieri che può derivarne. La disposizione di impianti nel flusso delle correnti può
influire sulla velocità del flusso stesso; infatti i WECs assorbono una porzione di energia dal moto
ondoso variabile fra il 10 % e il 50 %. La diminuzione dei livelli energetici delle onde che
raggiungono la costa, potrebbe ridurre il trasporto di sedimenti verso il litorale, riducendo
l’erosione in prossimità dell’impianto, ma aumentandola vicino alla costa. Questo fenomeno
tuttavia, è limitato ai sistemi posizionati vicino alla costa, in quanto il fenomeno della riduzione di
energia si annulla nel giro di pochi km.
Inoltre, è stato dimostrato che l’effetto sull’ambiente costiero a valle di un’installazione di WECs
è trascurabile, soprattutto considerando che i processi costieri subiscono maggiori trasformazioni
durante le condizioni di tempesta, quando l’estrazione dell’energia ondosa da parte dei WECs è
minima se non nulla.
L’impatto sull’habitat marino dipende da numerosi parametri, quali la natura delle superfici
del dispositivo, il luogo di installazione dei dispositivi ed i mutamenti provocati nel fondale marino
(cavi, ancoraggi). Non sempre questi impatti si devono considerare negativi; infatti alcune
superfici artificiali sommerse possono essere utilizzate come substrati per diversi sistemi biologici,
mentre alcune superfici emerse possono, ad esempio, costituire aree di nidificazione per gli uccelli.
Un WEC, nel giro di pochi anni, può venire ricoperto di varie forme di vita: si parla di crescita
marina o biofouling, e può rappresentare un problema per molte tecnologie di impiego dell’energia
ondosa, poiché può bloccare l’accumulo di acqua o impedire il movimento dei sistemi di power
take-off. Perciò potrebbero essere necessari rivestimenti tossici e una costosa manutenzione per
inibire la crescita marina sugli impianti.
I cavi sottomarini possono avere interazioni elettromagnetiche con i pesci. Il sotterramento
profondo dei cavi può ridurre il problema, ma aumenta i costi e provoca la distruzione dei fondali
durante le operazioni di scavo.
Si possono poi verificare rilasci tossici a seguito di perdite o sversamenti accidentali di
liquidi, utilizzati dai sistemi che lavorano con fluidi idraulici, o a causa di alcuni materiali, come
la vernice per navi, che spesso è mescolata con sostanze tossiche per ridurre la crescita marina.
Ciascun impatto può essere minimizzato mediante la scelta di fluidi biodegradabili in mare,
attraverso attento monitoraggio e adeguati piani di azione per i casi di sversamento.
Un altro aspetto di cui tenere conto è l’inquinamento da rottami derivanti dalla rottura o
dismissione di un dispositivo.
Infine, i dispositivi mobili galleggianti possono rappresentare un ostacolo per la pesca
commerciale, la navigazione turistica o industriale, le attività ricreative, le piattaforme petrolifere,
ecc, in quanto risultano difficili da individuare a vista o tramite radar.
Gli impianti galleggianti offshore vanno quindi posizionati lontano dalle principali rotte
commerciali e militari, mentre chiaramente quelli sommersi non influiscono sulle rotte. Vanno in
entrambi i casi posizionate boe di segnalazione, segnali visivi e acustici.
Figura 3.1 – Inquadramento del punto analizzato effettuato con Google Maps
Come detto nel capitolo 1, il litorale in oggetto è esposto ad un alto potenziale ondoso, il più alto
del Mediterraneo. Il punto che viene analizzato si trova a nord dell’area più energizzata, situata a
largo delle coste di Alghero, quindi ci si aspetta un potenziale leggermente inferiore.
Per effettuare il calcolo della produzione elettrica in uno specifico sito da parte dei vari dispositivi,
i dati forniti sono stati rielaborati. L’approccio più comune per calcolare la potenza elettrica media
attesa del dispositivo consiste nell’associare alla matrice di potenza del singolo WEC (di cui si
parlerà nel paragrafo 3.3), la matrice (scatter matrix) che descrive lo stato di mare, inteso come
probabilità di accadimento di una determinata condizione altezza d’onda-periodo, secondo la
formula:
nT nH
PE = ∑ ∑ Pij ∙ fij ,
i=1 j=1
dove fij è la frequenza di un determinato stato di mare Hi-Ti, Pij è la corrispondente potenza prodotta
dal dispositivo analizzato, nT è il numero di classi in cui è stato suddiviso il periodo e nH il numero
di classi in cui è stata suddivisa l’altezza d’onda.
A partire dai dati forniti è quindi stata ricavata la scatter matrix del sito studiato, ovvero la matrice
che appunto descrive la frequenza di una certa condizione H-T, suddividendo i periodi in intervalli
di 1s e le altezze d’onda in intervalli di 0.5m. In realtà le scatter matrix ricavate sono due, poiché
le matrici di potenza di alcuni WECs sono fornite in termini di periodo di picco Tp, e altre in
termini di periodo energetico Te. Si riportano di seguito le matrici appena descritte, che riportano
gli stati di mare presenti in sito.
Te (s)
2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
0.5 0.00083 0.02759 0.10755 0.12300 0.05268 0.00844 0.00038 0.00023 0 0
1 0 0 0.00430 0.04236 0.10213 0.03964 0.00678 0.00068 0 0
1.5 0 0 0 0.00354 0.03324 0.05329 0.03083 0.00294 0 0
2 0 0 0 0 0.00588 0.03037 0.03512 0.00882 0.00045 0
2.5 0 0 0 0 0.00015 0.00837 0.02789 0.01319 0.00113 0
Hs (m)
TP (s)
2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13
0.5 0.00023 0.01764 0.06361 0.11984 0.09188 0.02314 0.00384 0.00030 0.00023 0 0 0
1 0 0 0.00090 0.01651 0.08984 0.06112 0.02254 0.00437 0.00060 0 0 0
5 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0.00219 0.00083 0
6 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0.00008 0.00053 0
Potenza
Posizione Tipo PTO
nominale
Corpo galleggiante
AquaBuoy Offshore
prevalentemente traslazionale
Turbina idraulica 250 KW
Corpo galleggiante
Pelamis Offshore
prevalentemente rotazionale
Sistema idraulico 750 KW
Corpo galleggiante
Wavebob Offshore
prevalentemente traslazionale
Sistema idraulico 1 MW
Per valutare l’efficienza dei dispositivi, oltre alla potenza media prodotta nel periodo di tempo
analizzato, si fa riferimento all’energia totale prodotta in un anno (che dipende solo dalla potenza
media) e a due fattori: il capacity factor e il capture width, definiti rispettivamente come:
PE PE
Cf = , Cw = ,
Pnom Pmed
dove PE (KW) è la potenza media prodotta dal dispositivo, Pnom (KW) è la potenza nominale del
dispositivo e Pmed (KW/m) è la potenza media del moto ondoso nel sito in esame (riportata in
tabella 3.2).
Come si vede, il parametro fondamentale da determinare è la potenza media prodotta dal generico
convertitore PE, che si ottiene a partire dalla scatter matrix del sito (tabelle 3.3 e 3.4) e dalla power
matrix del convertitore stesso; si riportano in appendice le matrici di potenza dei dispositivi presi
in considerazione, ricavate da alcune fonti bibliografiche.
Energia media
Potenza media Capacity factor Capture width
annua prodotta
prodotta (KW) Cf (%) Cw (m)
(MWh)
AquaBuoy 20.305 177.87 8.122 2.383
Pelamis 63.116 552.895 8.415 7.408
Wavebob 61.742 540.857 6.174 7.247
AWS 75.602 662.269 3.780 8.873
Oyster 57.581 504.408 19.855 6.758
Tabella 3.6 – Risultati del calcolo
Come si può notare, l’AWS è il dispositivo che produce la maggiore quantità di energia annua ma,
dato che è anche quello con la massima potenza nominale fra quelli presi in considerazione, ciò
non sorprende. La valutazione del dispositivo più adatto deve quindi essere fatta sulla base degli
altri parametri, ovvero il capacity factor, che descrive il grado di sfruttamento del dispositivo, e il
capture width, che permette di confrontare il rendimento di uno stesso dispositivo in siti diversi. Il
capture width non risulta quindi utile in questa analisi, ma è comunque stato calcolato per
completezza.
Il valore più alto del capacity factor è raggiunto dall’Oyster, dove questo supera il 19 %, mentre
proprio l’AWS ha il capacity factor più basso, che è minore del 4%. Gli altri tre dispositivi hanno
invece un comportamento molto simile, con valori di Cf intorno al 6-8 %.
Si può quindi concludere che, in questo caso, il miglior dispositivo risulta essere l’Oyster.
3.5 Conclusioni
L’energia del moto ondoso del mare costituisce, come ampiamente descritto nella
relazione, una risorsa dalle grandi possibilità, che però risulta ancora poco utilizzata. Lo scopo
dell’elaborato è quindi quello di dare un inquadramento generale allo sfruttamento di tale risorsa,
senza però entrare troppo nel dettaglio, descrivendone nel complesso gli aspetti positivi e negativi.
Si è visto come il potenziale energetico delle onde non sia distribuito in maniera omogenea lungo
le coste del pianeta, ma come esistano zone in cui questo raggiunge dei valori molto elevati; da
questo punto di vista l’Italia non è molto fortunata, dato che si affaccia su un bacino chiuso come
il Mediterraneo, avente un contenuto energetico nettamente inferiore rispetto agli oceani, ma, dato
il suo importante sviluppo costiero, potrebbe sicuramente trarre dei benefici dall’implementazione
di tecniche atte a sfruttare l’energia delle onde, specialmente in certe località. Proprio per questo
motivo è stata calcolata, nell’ultimo capitolo, la produzione energetica di alcuni dispositivi
esistenti in una località della costa italiana favorevole da questo punto di vista; ciò ha permesso di
mettere in evidenza quali siano gli ordini di grandezza in merito alla reale produzione energetica,
senza però spingersi a valutazioni più approfondite, per esempio di carattere economico, che
possono costituire un approfondimento di tale lavoro.
Si è anche visto come, ad oggi, non sia emersa una tecnologia dominante, diffusasi a livello
commerciale, a differenza di altre forme di energia rinnovabile, per le quali esistono dispositivi
specifici; da questo punto di vista è quindi necessaria un’ulteriore attività di ricerca e di
sperimentazione, dato che le difficoltà ancora da risolvere sono numerose e appaiono molto
ostiche. Fra queste, sicuramente, il costo delle installazioni e il rendimento energetico dei
dispositivi costituiscono le principali problematiche che ne hanno frenato lo sviluppo. Dato però
il sempre maggior interesse verso fonti energetico di tipo green, e con l’aiuto di opportune
incentivazioni, l’utilizzo della risorsa ondosa potrà avere modo di crescere ed affiancarsi alle fonti
rinnovabili ad oggi più sviluppate.
Appendice A
Riferimenti
[1] A. Manzoni, «Stato dell'arte delle tecnologie di conversione dell'energia dal moto ondoso,»
Politecnico di Milano, 2013.
[2] A. Niccolini, «Laboratory experiments on the interaction between waves and a wave energy
converter,» Università degli studi di Firenze, 2015.
[3] A. Carillo, A. Bargagli, E. Cariaffa, R. Iacono e G. Sannino, «Stima del potenziale energetico
associato al moto ondoso in regioni campione della costa Italiana,» ENEA, 2012.
[5] A. Pecher e J. P. Kofoed, «Handbook of ocean wave energy,» Ocean Engineering &
Oceanography, 2017.
[6] B. Zanuttigh e E. Angelelli, «Analisi delle attuali tecnologie esistenti per lo sfruttamento
della energia marina dai mari italiani,» ENEA, 2011.
[7] D. Silva, E. Rusu e C. G. Soares, «Evaluation of Various Technologies for Wave Energy
Conversion in the Portuguese Nearshore,» 2013.
[9] G. Bevilacqua e B. Zanuttigh, «Overtopping Wave Energy Converters: general aspects and
stage of development,» DICAM, Università di Bologna.
[12] T. Aderinto e H. Li, «OceanWave Energy Converters: Status and Challanges,» 2018.
[13] N. Guillou e G. Chapalain, «Annual and seasonal variabilities in the performances of wave
energy converters,» ResearchGate, 2018.
[18] S. Bozzi, G. Besio e G. Passoni, «Wave power technologies for the Mediterranean offshore:
Scaling and performance analysis,» ScienceDirect, 2013.
[20] R. G. Dean e R. A. Darlymple, «Water Wave Mechanics for Engineers & Scientists,» World
Scientific.