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2.1.

LA CLASSE COME COMUNITA’

All’inizio gli alunni di una classe sono solo un aggregato casuale di persone che non si sono
scelte; essi possono divenire un gruppo solo attraverso l’interazione tra un individuo e gli altri membri
della collettività.

Come sottolinea K. Lewin1, però, il gruppo non corrisponde alla mera somma dei suoi membri e
la sua essenza non è data dalla somiglianza o dissomiglianza tra i suoi membri, bensì dalla loro
interdipendenza. Esso può perciò definirsi come una totalità dinamica, per cui un qualsiasi
cambiamento di ogni sua parte interessa lo stato di tutte le altre. Per Lewin, quindi, il gruppo è un
evento fenomenologico ed operativo, una totalità in senso gestaltista, che trascende la somma dei
fenomeni dei singoli membri ed implica invece un campo psicologico dovuto non ai singoli ma alla
totalità dei fattori2. E’ un soggetto nuovo, un organismo vivente che esprime un potenziale espressivo e
generativo che nasce dall’unione e dalla complementarietà.

La ricerca di Lewin ha portato a dare consistenza a studi sperimentali in direzione della cosiddetta
dinamica di gruppo e dei legami che caratterizzano la vita di un gruppo, come l’interazione, cioè
l’azione reciproca tra gli individui del gruppo, all’interno della quale si sviluppa il fenomeno della
coesione, l’interdipendenza, cioè l’acquisizione della consapevolezza dei membri del gruppo di
dipendere gli uni dagli altri e, quindi, l’integrazione, che sviluppa collaborazione e la negoziazione

Pensare alla classe come a un gruppo significa essere consapevoli delle due componenti che lo
costituiscono, vale a dire l’efficienza, che rimanda alle dimensioni dell’apprendimento e degli obiettivi e
l’affettività, che rimanda a quegli aspetti della vita della classe che riguardano l’attenzione alla persona, al
suo sentirsi accettata e valorizzata e la coesione del gruppo. Il clima relazionale positivo è certamente
uno degli elementi di qualità di una esperienza scolastica.

Mantenere l’equilibrio tra queste due dimensioni significa lavorare per trasformare la classe in
comunità, cioè in un insieme di persone che condivide valori, obiettivi e contesto, si dà regole, si fa
carico dei bisogni, sviluppa appartenenza, valorizza le individualità, si adatta al cambiamento, è
accogliente verso tutti, è aperta a nuove presenze e contributi ed è rispettosa delle altre realtà. Pertanto,
la comunità è un sistema complesso, un insieme di unità di varia natura: territoriale, sociale, politica,
economica, culturale ecc., in forte interazione tra loro e funzionanti come un tutto3.

All’interno di una classe sono numerose le azioni che contribuiscono alla promozione della
costruzione di una comunità: il conoscersi, mettendo in comune qualcosa di sé, il negoziare, stabilendo

1 K Lewin, Teoria e sperimentazione in psicologia sociale, Il Mulino, Bologna 1972.


2 G. Dehò, Psicologia dell’educazione per animatori di gruppo, Zanichelli, Bologna 1974, p. 11.
3 In merito: R. D. Di Nubila, Dal gruppo al gruppo di lavoro, Tecom Project, S. Bartolomeo in Bosco (Fe) 2005, p. 232.
regole e patti che definiscono gli impegni reciproci e mediano gli eventuali conflitti ed il condividere in
maniera volontaria, quindi, il ri-conoscersi come membri di una comunità.

In tale processo, il docente si può porre in termini di costruttore di comunità, accogliendo,


ascoltando, dando fiducia, rischiare per promuovere accoglienza, ponendosi come garante delle regole,
garantendo spazio a tutti, richiamando gli obiettivi, tutelando le dimensioni emotive del singolo e del
gruppo, mediando i conflitti, contenendo i giudizi, frenando gli eccessi, ponendosi come specchio per
gli allievi ed alimentando la memoria, la storia e l’autocoscienza del gruppo.

La trasformazione di una classe in comunità consente di realizzare a scuola attività che attraverso
la mediazione sociale e semiotica4 promuovono le istanze di ispirazione socio-culturale legate al
concetto di zona di sviluppo prossimo5 di L.S. Vygotskij e ed il richiamo deweyano all’apprendimento per
scoperta6. Sia Vygotskij che Dewey, seppure con risvolti molto diversi, considerano del resto
l’apprendimento un processo profondamente sociale.

Per Vygotskij esiste una stretta relazione tra funzioni intrapsichiche e interpsichiche. Ogni
funzione nello sviluppo culturale del bambino appare due volte. La memoria logica, l’attenzione volontaria
e la formazione di concetti si sviluppano nel bambino prima a livello interpsicologico, come una
conseguenza dell’interazione sociale con il gruppo di coetanei e adulti in cui è inserito, e poi, in un
secondo tempo, a livello intrapsicologico, in termini interiorizzanti. La collaborazione viene considerata
come un catalizzatore per lo sviluppo di capacità di problem solving e di ragionamento perché chi

4 Come sottolinea M. Santi, in Costruire comunità di integrazione in classe, Pensa MultiMedia, Lecce 2006, p. 39, Vygotskij con la
definizione di mediazione semiotica indica una mediazione sociale resa possibile dall’interazione tra soggetti su un piano interpsichico: è
una mediazione semiotica perché passa attraverso l’uso dei segni come strumenti simbolici in grado di operare trasformazioni sostanziali
nell’organizzazione delle mente a livello intrapsichico.
5 L. S. Vygotskij indica con tale concetto l’area in cui si può realizzare lo sviluppo futuro del bambino, sulla base dello

sviluppo attuale e delle attuali capacità intellettive, con il supporto della presenza di un adulto. Si tratta di un parametro che
non prende in considerazione solo le funzioni e le capacità già maturate nel bambino ma anche quelle appena comparse ed
in via di maturazione. La possibilità di apprendimento ed il corso dello sviluppo mentale del bambino si basano proprio
sullo sviluppo prossimo, così come le possibilità di insegnamento. La possibilità di elevarsi ad un livello intellettivo superiore
e quella di passare da ciò che il bambino sa fare a ciò che non sa fare mediante imitazione mettono in evidenza la centralità
della collaborazione, con la quale il bambino può fare sempre di più che da solo. In merito: L. S. Vygotskij, Pensiero e
linguaggio, Laterza, Roma-Bari 2003.
6 Il pensiero filosofico e pedagogico di Dewey si basa su una concezione dell’esperienza come rapporto tra uomo ed

ambiente, dove l’uomo non è spettatore ma interagisce con ciò che lo circonda: il suo pensiero nasce dall’esperienza, che è
sociale. L’educazione deve aprire la via a nuove esperienze ed al potenziamento di tutte le opportunità per uno sviluppo
ulteriore. Le esperienze non vengono imposte dall’insegnante ma nascono dagli interessi naturali degli alunni ed il compito
dell’educatore è quello di assecondare tali interessi. La scuola deweyana è attiva, in essa si impara facendo (learning by doing) e
l’insegnamento non viene subito attraverso la ricezione di nozioni ma è il risultato dell’attività volontaria del bambino,
impegnato in lavori che rispondano ai suoi interessi e alle sue scelte. La caratteristica essenziale dell’apprendimento mediante
scoperta personale è che il contenuto da apprendere non è dato ma è scoperto dallo studente prima che egli lo faccia proprio
e gli assegni un suo posto significativo nella sua struttura cognitiva. Il compito specifico e primario, in altre parole, è scoprire
qualcosa: il discente deve riordinare le informazioni, integrarle con il bagaglio cognitivo preesistente e riorganizzare o
trasformare questo amalgama in modo da dare il risultato finale. L’insegnante rimane sullo sfondo e lo studente impara
scoprendo da solo, attraverso la manipolazione diretta o l’osservazione di fatti ed eventi. Il ruolo dell’insegnante è proprio
quello di guidare la scoperta, prevenendo che s’imbocchino cammini di esplorazione sbagliati e dirigendo verso
concettualizzazioni adeguate.
apprende userà le tecniche e le strategie di ragionamento che ha assimilato durante il lavoro con i
compagni o con l’insegnante anche quando si troverà ad affrontare, da solo, un problema simile ad uno
già visto in gruppo.
L’attenzione di Dewey si concentra sull’importanza dell’integrazione del giovane nella società
piuttosto che sui risvolti che la cooperazione ha sullo sviluppo cognitivo del singolo. La sua riflessione
parte dalla considerazione del divario tra l’esperienza diretta e i concetti astratti appresi nella scuola del
suo tempo. Per Dewey, infatti, il vero centro dell’apprendimento non è nelle singole discipline ma nelle
attività sociali dell’alunno. L’apprendimento collaborativo è un modo per trasformare l’esperienza scolastica
degli studenti in esperienza diretta.
A prescindere dal grado di collaborazione che si stabilisce tra i partecipanti, cioè dalla ripartizione
o divisione dei compiti c’è una convergenza tra ciò che Kaye chiama apprendimento collaborativo7 e la
modalità di imparare con gli altri propria dell’interazione con l’ambiente sociale. Si potrebbero pertanto
chiamare apprendimento cooperativo sia gli apprendimenti individuali derivanti dall’attività di un gruppo
impegnato nella realizzazione di un compito comune, sia l’apprendimento complessivo del gruppo di
lavoro.
In un apprendimento collaborativo si trasformano le figure del docente e del discendente; il
primo da depositario assoluto del sapere, unico trasmettitore di conoscenze e solitario attore del
processo educativo si trasforma in guida, in docente-regista che progetta scenari di apprendimento e
coopera con i suoi allievi per realizzare insieme un percorso educativo. Egli imposta soltanto la
struttura iniziale del lavoro dello studente incoraggiandolo a sviluppare capacità di autodirezione,
privilegia le domande che prevedono una risposta aperta stimolando gli studenti a pensare in modo
creativo, non fornisce risposte agli studenti ma li conduce attraverso il dialogo socratico a scoprire da soli
la risposta. L’allievo, invece, da ricettacolo passivo di conoscenza si trasforma in costruttore attivo del
proprio sapere e risolutore di problemi complessi, agendo quale membro di un gruppo di
apprendimento impegnato in compiti collaborativi e cooperativi e divenendo così gestore del proprio
processo di apprendimento.

Le finalità collaborative possono declinarsi in termini di attività cooperative: mettere l’accento sul
gruppo come strumento per costruire qualcosa di nuovo, significa infatti ottenere un valore aggiunto

7 Il collaborative learning è una modalità di apprendimento basata sulla valorizzazione della collaborazione all’interno di un
gruppo di allievi. Esso, secondo la definizione di A. Kaye si ha quando esiste una reale interdipendenza tra i membri del
gruppo nella realizzazione di un compito, un impegno nel mutuo aiuto, un senso di responsabilità verso il gruppo e i suoi
obiettivi. Questa modalità di apprendimento si basa su attività di reale comunicazione, sincrona o asincrona. Nei contesti
collaborativi è fondamentale la figura del tutor, quale mediazione tra il docente e gli studenti, il cui compito è di organizzare,
facilitare e monitorare lo svolgimento delle attività didattiche e il clima di collaborazione. Gli studi dimostrano che
l’apprendimento collaborativo favorisce lo sviluppo del pensiero critico attraverso la discussione, la chiarificazione delle idee
e la valutazione delle idee degli altri.
dalla collaborazione. Nell’apprendimento cooperativo8, infatti, gli studenti apprendono in piccoli gruppi,
aiutandosi reciprocamente e sentendosi corresponsabili del reciproco percorso. L’insegnante assume un
ruolo di facilitatore ed organizzatore delle attività, strutturando ambienti di apprendimento in cui gli
studenti, favoriti da un clima relazionale positivo, trasformano ogni attività di apprendimento in un
processo di problem solving di gruppo, conseguendo obiettivi la cui realizzazione richiede il contributo
personale di tutti. Nell’esperienza didattica realizzata, si è sempre cercato di assumere tale compito di
facilitazione e di promuovere la risoluzione condivisa dei problemi attraverso l’uso di metodologie di
problem posing.

La classe come comunità collaborativa e cooperativa, in quanto contesto di esperienza storicamente


determinato e luogo concreto di realizzazione delle dinamiche linguistiche, sociali e culturali che consentono lo sviluppo
umano, si declina come comunità di apprendimento, di pratica, di discorso e di ricerca …9, in virtù delle
caratteristiche, delle metodologie delle prerogative che la definiscono quale ambiente didattico.

Come sottolinea M. Santi10, tali comunità non devono essere intese come diverse comunità da
attuare in momenti distinti ma come possibili declinazioni dell’idea stessa di comunità: ogni accezione di
comunità può essere enfatizzata entro una particolare proposta didattica, mantenendo però compresenti le
diverse prerogative che le derivano dall’essere contesto condiviso di apprendimento e di sviluppo.

Il parallelismo fra le dinamica dei gruppi cooperativi create nei gruppi di ricerca e quelli che caratterizzano il
mondo della ricerca scientifica rende bene l’idea di quale potenziale cognitivo sia racchiuso in un tale potenziale cognitivo,
sociale ed organizzativo sia racchiuso in tale tipo di modello didattico11; troppi studenti, infatti, escono dal sistema
scolastico senza alcuna consapevolezza dei processi metacognitivi implicati nell’acquisizione della
conoscenza, cioè senza aver imparato a pensare, per cui diviene essenziale promuovere pratiche
funzionali in merito: la proposta di Y. Sharan e S. Sharan trova il fulcro di tali pratiche nel group
ivestigation, che giunge a domande significative attraverso la discussione, al fine della risoluzione dei
problemi di indagine12; nell’esperienza realizzata si è cerato di giungere a tali obiettivi attraverso la
pratica dell’indagine filosofica proposta da M. Lipman: in entrambi i casi, del resto, la matrice di
riferimento è certamente Dewey, il quale sottolinea costantemente la centralità della pratica,

8 Gli elementi che rendono efficace la cooperazione sono: l’interdipendenza positiva, per cui gli studenti si impegnano per
migliorare il rendimento di ciascun membro del gruppo, non essendo possibile il successo individuale senza il successo
collettivo; la responsabilità individuale e di gruppo, poiché il gruppo è responsabile del raggiungimento dei suoi obiettivi ed ogni
membro è responsabile del suo contributo; l’interazione costruttiva e diretta, che promuova e sostenga gli sforzi di ciascuno;
l’attuazione delle abilità sociali necessarie ai rapporti interpersonali all’interno del gruppo, che porta alla creazione di un
clima di collaborazione e di fiducia reciproca; la valutazione di gruppo, che comprende l’individuazione di obiettivi di
miglioramento. Per un approfondimento in merito al cooperative learning: R. D. Di Nubila, Dal gruppo al gruppo di lavoro, op. cit.,
pp. 163-173.
9 M. Santi, Costruire comunità di integrazione in classe, op. cit. pp. 65-66.
10 Ibidem.
11 Y. Sharan e S. Sharan, Gli alunni fanno ricerca, Erickson, Trento 1998, p. 11.
12 Ivi, p. 12.
dell’esperienza e del fare. Ci è sembrato che tale centralità possa essere esperibile proprio a cominciare
dal trasformare la classe in comunità, nelle sue varie accezioni.

2.1.1 COMUNITA’ DI APPRENDIMENTO

L. Brown, richiamandosi alla concezione deweyana dell’apprendimento per scoperta ed al


concetto di zona di sviluppo prossimo di Vygotskij ha realizzato la comunità di allievi, un’organizzazione
della classe basata sulla condivisione della conoscenza tramite esperienze collaborative di apprendimento 13. La classe-
comuniittà è un contesto ricco di risorse multiple e dislocate messe a disposizione di tutti, alle quali ciascun allievo può
accedere in base ai suoi bisogni di apprendere14, per cui in essa trovano legittimazione le differenze individuali.

Le potenzialità di questa expertise distribuita si intrecciano in azioni socialmente orientate come la


consultazione reciproca, la richiesta di aiuto, lo scambio di informazioni e saperi, il porre questioni o
l’avanzare domande. Tali azioni trasformano l’esecuzione individuale di un lavoro scolastico nella
gestione complice e solidale di un compito di apprendimento

Trasformare la classe in comunità di apprendimento significa valorizzare il potenziale cognitivo


dell’interazione sociale; come sottolinea M. Santi15, si tratta di rendere operativa la triplice alleanza tra
cognizione, metacognizione e motivazione, che consente ad un apprendimento di essere significativo,
ovvero efficace, consapevole e gratificante. In una comunità di apprendimento i discenti condividono il
carico del pensare e se ne assumono la responsabilità, mentre il docente ha il ruolo di guida esperta nei
processi cognitivi. Responsabilità e guida si esprimono grazie alla mediazione reciproca tra i membri
della comunità, che assumono l’uno per l’altro quello che J. Bruner ha chiamato scaffolding – impalcatura
– traducendo il concetto di zona di sviluppo prossimo in senso più operativo e didattico: nella comunità
di apprendimento, infatti, ciascuno è supposto dell’altro, ma non come sostegno stabile e rigido, bensì
come struttura mobile e flessibile, dinamica, attraverso cui promuovere potenzialità cognitive di livello
superiore in contesti situati e partecipativi, tali da realizzare vero e proprio reciprocal teaching.

L’acquisizione del sapere diviene perciò atto di responsabilità congiunta in cui ciascuno si fa carico di
una parte di expertise che condivide con gli altri. Tuttavia, la comunità di allievi è pur sempre una
comunità di apprendisti, per cui il ruolo dell’insegnante è centrale, in quanto esperto che presenta agli

13 L. Cisotto, Psicopedagogia e didattica, Carocci, Roma 2005, p. 84. In merito anche B. M. Varisco, Costruttivismo socio-culturale,
Carocci, Roma 2002.
14 Ibidem.
15 M. Santi, Costruire comunità di integrazione in classe, op. cit. p. 70.
allievi un modello efficace di intervento sul compito, affinché tramite l’osservazione e la pratica collaborativa, essi se ne
possano impadronire ed essere introdotti a modalità esperte di lavoro16.

2.1.2 COMUNITA’ DI PRATICA

Trasformare la classe in comunità di pratica vuol dire renderla contesto di esperienza condivisa e
mediata. E’ il luogo in cui le opportunità di apprendimento diventano occasioni di apprendistato cognitivo17,
reso possibile dalla relazione intenzionale e reciproca che si stabilisce tra i membri della comunità in
virtù dell’asimmetria e eterogeneità di competenze e conoscenze che si trovano al suo interno. I
processi di insegnamento-apprendimento sono distribuiti tra i partecipanti e dipendono dai diversi
livelli di abilità e di familiarità con l’oggetto, il campo e il linguaggio implicati nelle operazioni di problem
solving che di volta in volta sono attivati. Qui l’imitazione si arricchisce di intenzionalità e diventa
modellamento dell’esperto verso il principiante, in una relazione dinamica che si ristruttura
continuamente a seconda della situazione, in una sorta di fluttuazione legittimata delle competenze dal
centro alla periferia e viceversa.

Una delle caratteristiche fondamentali della comunità di pratica è la diversità tra i membri del
gruppo e, quindi l’eterogeneità delle conoscenze, che permette lo scambio di competenze e di expertise,
attraverso cui è possibile realizzare un apprendimento che parte dalle caratteristiche di un contesto in
cui gli alunni possono comprendere gli scopi e gli usi delle conoscenze, proponendone un loro attivo
impiego in situazioni problematiche e motivanti, nonché cooperative. In tal modo, è possibile realizzare
esperienze concrete di peer tutoring, sviluppando un modello interno delle difficoltà altrui18.

2.1.3 COMUNITA’ DI DISCORSO

La classe come comunità di discorso è l’ambiente simbolico i cui i linguaggi rivestono


prioritariamente la loro funzione di mediatori di segni e significati culturali. In essa, infatti, il linguaggio
opera come strumento comunicativo, retorico, argomentativo, epistemico ed ermeneutico, entro una dimensione pubblica e
condivisa. I partecipanti di una comunità di discorso sono soprattutto intesi come soggetti parlanti e ascoltatori, dentro una

16 Cisotto, Psicopedagogia e didattica, Carocci, Roma 2005, p. 87.


17 A. Brown definisce apprendistato cognitivo quella particolare interazione tra insegnante esperto e studente intorno ad un
compito di apprendimento, in cui l’allievo-apprendista impara osservando il maestro. Esso muove dall’assunzione che lo
sviluppo di funzioni cognitive complesse dipenda inizialmente da una loro pratica collaborativa con soggetti esperti, in
analogia con quanto avveniva in passato in contesti estranei all’istruzione scolastica. In merito: L. Cisotto, Psicopedagogia e
didattica, op. cit., p. 87-90; M. Santi, Costruire comunità di integrazione in classe, op. cit. p. 75.
18 In merito: B. M. Varisco, Costruttivismo socio-culturale, Carocci, Roma 2002.
relazione dialogica in cui si originano e si condividono i significati, a propria volta continuamente ridefiniti dall’uso nel
linguaggio quotidiano e scientifico19. Nelle comunità di discorso il dialogo e le discussione sono pertanto gli
strumenti principali di avanzamento cognitivo e metacognitivo, poiché lo scambio discorsivo in gruppo è
rivolto sia alla condivisione della conoscenza che ai processi della sua acquisizione20.

Nella comunità di discorso il linguaggio è espressione di intenzionalità comunicativa, forma


tipicamente umana di socializzazione del sapere che si realizza attraverso la mediazione semiotica.
Pertanto, il discorso si fa luogo del pensare21: comunità di discorso, quindi che è comunità di conoscenza e
coscienza, che sia realizza in azioni epistemiche ed etiche.

La sua attività più propria è certamente il dialogo, nelle sue forme di conversazione ed
argomentazione, realizzate nella pratica della discussione guidata e, pertanto, essa si delinea come uno dei
mezzi privilegiati per favorire lo sviluppo intellettuale superiore, grazie al progressivo appropriarsi delle
tecniche argomentative esperte da parte degli allievi. Infatti nella discussione si aprono zone di sviluppo
prossimo generate dal confronto e dallo scambio tra gli interlocutori; l’eteroregolazione del dialogo da parte del facilitatore
viene distribuita ed interiorizzata da ognuno, così che si passa a forme dialogiche autoregolate dai singoli membri …22.
Tali finalità sono state certamente perseguite nel corso dell’esperienza didattica, soprattutto attraverso la
predisposizione di specifiche attività di argomentazione filosofica.

2.1.4 COMUNITA’ DI RICERCA

La classe come comunità di ricerca è lo spazio della valorizzazione del dubbio, della domanda, del
problema. In essa l’apprendimento è inteso come processo di scoperta che si attiva grazie alla possibilità
offerta agli alunni di esplorare direttamente e motivatamente i vari campi di conoscenza, che in questo
modo divengono veri e propri campi di indagine. Nella comunità di ricerca i membri sono tenuti
insieme dalla condivisione dei problemi e delle procedure utilizzate per risolverli e prendere decisioni,
ma anche dal riconoscersi reciprocamente come giudici indipendenti e allo stesso tempo come compagni di
avventura.

Una comunità che si raccoglie intorno al desiderio e al bisogno di ricerca trova la sua identità e
stabilità entro il disequilibrio necessario per fare un passo avanti, grazie alla ponderazione condivisa del
rischio e al sostegno reciproco nello sforzo cognitivo ed emotivo che la ricerca comporta.

19 M. Santi, Costruire comunità di integrazione in classe, op. cit. p. 81.


20 L. Cisotto, Psicopedagogia e didattica, op. cit., p. 85.
21 M. Santi, Costruire comunità di integrazione in classe, op. cit., p. 82.
22 Ivi, p. 84
La concezione di comunità di ricerca si può far risalire a Peirce, per il quale la ricerca corrisponde
allo sforzo – the struggle – che va dal dubbio alla credenza. Come sottolineato nel primo capitolo23, il
metodo della ricerca è in grado di dare delle basi forti, perché realmente critiche, alle nostre credenze.
Secondo M. Santi24, si tratta di un’idea simile a ciò che Dewey chiama pensiero scientifico ed al metodo della
scoperta elaborato da Popper. L’idea deweyana di pensiero scientifico è prossima al concetto di ricerca
peirceano, che parte dal dubbio; per Dewey, infatti, l’attitudine scientifica trova divertimento nel dubbio
ed il metodo scientifico consente un uso produttivo del dubbio, convertendolo in operazioni di ricerca.
Aggiunge però che chi non ama pensare non va intellettualmente lontano e che nessuno ama pensare se
non ha interesse verso i problemi. In tal modo, nel corso dell’azione didattica realizzata, si è cercato
non solo di sviluppare in classe la forma della comunità di ricerca, ma di potenziare contestualmente
anche l’aspetto dialogico che la caratterizza, integrando la ricerca di tipo scientifico con quella di
carattere argomentativo centrate sulla condivisione.

Il fatto che la ricerca tenda alla problematizzazione, alla critica, la rende infatti un’attività
essenzialmente sociale, rivolta alla costruzione e condivisione di conoscenza in una comunità di
pensanti, uniti nel medium della mente, che è un fenomeno sociale che si sviluppa attraverso la ricerca:
come ha acutamente osservato G. H. Mead, non conosco altri modi in cui l’intelligenza o la mente potrebbero
sorgere o essere sorte se non attraverso l’interiorizzazione da parte dell’individuo dei processi sociali dell’esperienza e del
comportamento25.

Non tutte le comunità, però, sono in ricerca: perché di una comunità possa predicarsi la ricerca,
essa dev’essere tenuta insieme proprio dalla pratica auto-correttiva che caratterizza il suo procedere critico e riflessivo26.
Nello specifico, una comunità di ricerca è sempre orientata, procede cioè in vista di un prodotto; ha
sempre una direzione, per cui non è dedita alla mera conversazione ma al dialogo, strutturato secondo
un modello argomentativo e disciplinato da specifiche regole procedurali; esso, nella pratica didattica, si
traduce nell’attività di discussione in classe, che alimenta anche esiti valoriali all’interno di un pensare
complesso di carattere cooperativo. Nello specifico dell’esperienza realizzata, la pratica argomentativa
ha assunto la declinazione della discussione con procedura di carattere filosofico. La comunità di
ricerca, infatti, consente di individuare il concreto ambiente di apprendimento all’interno del quale può
essere possibile attivare processi di ricerca di carattere scientifico sostenuti però dal contributo della
ricerca discorsiva e della discussione in classe: come vedremo, chi scrive ha ritenuto che i due momenti
fossero coessenziali ai fini di una ricerca autentica e, pertanto, ha individuato una proposta didattica che
ne ha promosso lo sviluppo congiunto.

23 § 1.8.3 e 1.8.4.
24 M. Santi, Costruire comunità di integrazione in classe, op. cit., p. 101.
25 G. H. Mead, Mente, Sé e Società, Giunti, Firenze 1972, p. 203.
26 M. Santi, Costruire comunità di integrazione in classe, op. cit., p. 103.

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