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APPUNTI DI COMBUSTIONE

Prof. CAVALIERE
Questi appunti sono stati scritti con l’obiettivo di aggregare il materiale necessario ai fini del superamento
dell’esame. È possibile, quindi, trovare tutti gli argomenti indispensabili ricavati dalle domande fornite dal
professore.

Le fonti di questi appunti sono il libro (scaricabile dal sito Combustion Institute) e gli appunti forniti dal
professore (presenti sul sito docenti dello stesso e su quello dell’ingegnere Ragucci).

È per noi importante segnalare che possono essere presenti dei piccoli errori negli appunti e per cui per uno
studio completo si raccomanda l’utilizzo di tutto il materiale disponibile e di fare riferimento a questi come
strumento utile per una rapida ripetizione.

Buono studio,

Annamaria, Armando, Elio, Leonardo, Nicolo, Mariano.


INDICE
1. Equazioni di bilancio; Flussi diffusivi
2. Velocità quadratica media
3. Cammino libero medio molecolare; Legame diffusività, pressione, temperatura
4. Equazione di Maxwell-Boltzmann monomolecolare;
5. Equazione di Maxwell.Boltzmann bimolecolare e trimolecolare
6. Legge di azione di massa; Significato, ordine di grandezza e unità di misura del fattore pre-
esponenziale
7. Interpretazione gas-cinetica
8. Reazioni Unimolecolari, Bimolecolari e Termolecolari
10. Combustibili gassosi
12. Temperatura adiabatica di fiamma; Combustione sostanziale omogenea
13. Sistema H2/02
14. Diagramma di espodibilità
15. Sistema CO2/O; Deidrogenazione della formaldeide
16. Processi di combustione con propagazione, curva di Rankine - Hugoniot e retta di Raylegh
18. Condizioni di Chapman-Jouguet
19. Valutazione grandezze termofluidodinamiche in uscita in condizioni di detonazione
20. Descrizione qualitativa del meccanismo di innesco della detonazione
21. Descrizione qualitativa del meccanismo di detonazione di SWACER
22. Processo di combustione con propagazione; Modello di Mallard-Le Chatelier
23. Velocità di propagazione laminare di fiamma
24. Dipendenza della vf dalla temperatura To, Tad, pressione ambiente e influenza del rapporto
aria/combustibile
27. Combustione turbolenta
31. Frazione di miscelamento
33. Tracciate; Interfaccia
34. Superficie materiale ed intermateriale
35. Modello a fiamma infinitamente sottile ed equilibro chimico
37. Autocombustione stratificata
40. Strato diffusivo instazionario; Strato diffusivo convettivo stazionario
41. Strato diffusivo convettivo instazionario; Fattore di stiramento
43. Doppio strato diffusivo
46. Processo di fiamma tripla
48. Ignidiffusione
52. Atomizzazione di un combustibile liquido; Tensione Superficiale
53. Oscillazioni Ondose
54. Effetto della viscosità; Numeri di Weber e Onhesorge
56. Processo di Break up secondario; Meccanismi di frammentazione
57. Funzione di distribuzione delle dimensioni
58. Classificazione degli atomizzatori
60. Vaporizzazione della singola goccia
63. Combustione della singola goccia
65. Aerodinamica della combustione; Numero di Swirl
66. Caratteristiche dei flussi riversi; Getto sommerso
67. Getto con sudden-expansion; Getto ad impatto
68. Parametro del flusso riverso X e relazione con σ
69. Rottura di un getto swirlato
70. Flussi confinati a singolo ostacolo, doppio ostacolo e a deflusso centrale
71. Flussi ciclonici; Classificazione in base al profilo di velocità tangenziale
72. Utilizzo dei flussi ciclonici
73. Flussi di cavità; Processo di stabilizzazione nel TVC
74. Getti cofluenti concentrici; Getti cofluenti paralleli
75. Getti incrociati
76. Caldaie
77. Fornaci
78. Combustione nei motori ad accensione comandata e per compressione
80. Componenti di una biomassa
82. Processo di pirolisi di una biomassa
83. Diagnostica ottica; Scattering elastico
84. Scattering di Rayleigh
85. Scattering Anelastico
87. Vincoli per la progettazione di un turbogas; Meccanismi di combustione tipici dei turbogas
88. Architetture di combustori negli impianti turbogas
89. Premiscelazione in un impianto turbogas
91. Inceneritori
EQUAZIONI DI BILANCIO
Una generica equazione di bilancio di una grandezza estensiva, per unità di volume, è costituita da un termine
instazionario, di accumulo all’interno del volume di controllo scelto, da un termine di flusso scomposto nella sua parte
diffusiva e convettiva e da un termine di produzione. Le seguenti equazioni si basano sull’equilibrio termodinamico
locale, sull’ipotesi del continuo e dell’omogeneità della fase.

Nell’equazione di conservazione della


massa si è tenuto conto che i flussi
diffusivi e il termine di produzione
sono entrambi nulli. Nell’equazione di
bilancio di quantità di moto si sono
ritenuti trascurabili gli effetti
gravitazionali, mentre nell’equazione
relativa all’entalpia sensibile si sono
trascurati gli effetti di comprimibilità
locale, la viscosità del mezzo, il
termine radiativo del flusso di entalpia
sensibile ed i flussi diffusivi di entalpia
associati al trasporto diffusivo di
massa delle singole specie

FLUSSI DIFFUSIVI
I flussi diffusivi sono quantità che hanno le dimensioni della grandezza cui si riferiscono pe unità di superficie ed unità
di tempo. Si possono ottenere secondo la legge termodinamica per la quale essi sono combinazione lineare dei
gradenti delle grandezze specifiche, associate alle primitive, dello stesso ordine tensoriale. Trascurando gli effetti
incrociati, ovvero la dipendenza di un flusso diffusivo di una grandezza da un altro, tali relazioni sono esprimibili nel
seguente modo:

Le costanti ν,Dim ,α sono rispettivamente la diffusività cinematica, di massa e termica ed


hanno le dimensioni di una lunghezza al quadrato per unità di tempo. Per i gas
bimolecolari e relativamente poco densi tali costanti sono circa uguali tra di loro e sono
dell’ordine di 10-5 m2s-1 Da ciò discende che i numeri adimensionali di Prandtl, Schmdt e
Lewis sono all’incirca unitari.

La diffusività cinematica e termica di mezzi multicomponenti gassosi sono ben approssimate da formule basate sulla
media pesata del tipo:

Per quanto riguarda invece la diffusività di massa di un’unica specie i-ma in una miscela di diverse specie, essa dipende
dagli effetti delle singole specie. Risulta comunque abbastanza realistica la seguente formula basata sulla media
armonica pesata sulle frazioni molari delle singole specie, quando i coefficienti binari Di,j sono dello stesso ordine di
grandezza:

1
VELOCITA’ QUADRATICA MEDIA
Si consideri un recipiente chiuso contenente un elevato numero di particelle 10^19. Si vuole valutare il valore della
pressione che viene esercitata su una delle parti del recipiente.
Le ipotesi di tale modello sono:

1) Dimensione contenuta delle molecole (più piccola della


distanza percorsa tra due urti successivi)
2) Moto caotico (radnomico)
3) Urti perfettamente elastici
4) Particelle con ugual massa

Utilizzando il teorema dell’impulso, la sola componente della velocità rilevante sarà ux (ortogonale alla parete) e per
l’ipotesi 3) la velocità finale (dopo l’urto) sarà –ux, da cui si ha:

, da cui consegue che:

che per l’ipotesi 4)

da cui si definisce la media quadratica della velocità delle particelle

Con N = numero di particelle del sistema. Quindi la forza applicata sulla parete sarà

e di conseguenza la pressione: cioè

la quale per l’ipotesi 2) si può scrivere come

Sapendo che N = nNo (n numero di moli, No numero di Avogadro) e M peso molecolare

E mettendo sistema con l’equazione di stato dei gas ideali

si ottiene la velocità quadratica media: con .

2
CAMMINO LIBERO MEDIO MOLECOLARE
Il cammino libero medio molecolare è definito come lo spazio che la particella percorre tra due urti successivi. Indicato
con d il diametro delle particelle, il volume spazzolato di una singola particella nell’unità di tempo sarà:

per cui la particella incontrerà tutte le molecole contenute in un cilindro di raggio d:

il quale moltiplicato per la densità molecolare N* (numero di particelle per unità di volume) fornisce il numero di
particelle incontrate nell’unità di tempo: . L’intervallo di tempo tra due urti consecutivi sarà:

per cui il cammino libero medio molecolare si può scrivere

Si nota come λ dipenda dalla pressione poiché a parità di T ρ è funzione della pressione e sarà linearmente
proporzionale all’inverso della pressione. Viceversa a pressione costante λ sarà proporzionale alla temperatura.
L’espressione ottenuta è approssimata, quella rigorosa frutto di una analisi della distribuzione statistica della velocità
sarà:

Questo discorso ci consente di interpretare la diffusività di massa, di quantità di moto e termica come:

LEGAME DIFFUSIVITA’, PRESSIONE, TEMPERATURA


Il flusso diffusivo da un punto di vista empirico e termodinamico è proporzionale al gradiente della grandezza primitiva
associata e dunque l’esistenza di un gradiente di essa implica la presenza di un flusso diffusivo in direzione opposta.
Se tutte le particelle che attraversano la superficie avessero stessa velocità, si
troverebbero all’interno di un parallelogramma di altezza pari alla velocità media uguale
per tutte, libere di muoversi nelle 3 direzioni in 6 sensi.

Il flusso particellare di molecole per unità di tempo sarà pari a Jn = 1/6cN*, dove questa
è una espressione approssimata che tiene conto dell’ipotesi che le particelle abbiano
stessa velocità mentre se si tiene conto del preciso
valore di distribuzione statistica delle particelle si ha che: Jn = 1/4cN*.

Per definire il flusso della quantità di moto, si considera un volume elementare


avente lato lungo qualche micron così da restare nell’ipotesi del continuo. Si
considerano due superfici una interna e l’altra esterna al volume scelto, poste
entrambe ad una distanza lambda dalla superficie superiore e si considera un
certo profilo delle velocità, ad esempio lungo y. Ammesso che la particella rilasci
quantità di moto sulla superficie per stimare tale flusso si opera come segue:

Tenendo conto della legge di Newton per cui (τxy) Jν = - μdv/dy = -ρνdv/dt dove con μ si indica la viscosità dinamica.
Eguagliando tale equazione e quella di sopra si ottiene: ν = 1/2cλ, con ν viscosità cinematica. Da tali considerazioni è
possibile comprendere la ragione per cui diffusività di massa, cinematica e termica assumono lo stesso valore, infatti,
ci sono sempre particelle che attraverseranno la superficie con conseguente rilascio di massa, quantità di moto ed
entalpia rispettivamente. Dipendenza
della diffusività da pressione e
temperatura:

3
L'EQUAZIONE DI MAXWELL-BOLTZMANN UNIDIMENSIONALE
Nel modello della cinetica dei gas è necessaria la conoscenza della distribuzione delle velocità attraverso la probability
density function (pdf)
Detta ux la velocità delle particelle lungo l’unico asse di riferimento x, la funzione pdf è per definizione:

dove, Nux rappresenta il numero di particelle avente velocità ux e N il numero totale di particelle

La relazione di Maxwell-Boltzmann nel caso monodimensionale è espressa dalla gaussiana:


Il termine pre-esponenziale A si ricava integrando la funzione pdf su tutto il campo di
velocità e osservando che tale integrale non può che essere unitario, per definizione di pdf.

Conoscendo quindi la temperatura T-k,costante di Boltmann, è nota ed è pari a R0/N0=1,3 10-23J/K -la massa di una
particella m pari al rapporto tra la sua massa molare e il numero di Avogadro, la costante A è ben posta. L’andamento
della funzione pdf è quello rappresentato nel seguente grafico: trattasi di una funzione pari, con simmetria rispetto
all’asse verticale, che assume il valore massimo in corrispondenza della velocità nulla.

L'EQUAZIONE DI MAXWELL-BOLTZMANN BIDIMENSIONALE E TRIDIMENSIONALE


Per il principio di equidistribuzione dell’energia, poiché non esiste una direzione preferenziale dello spazio, il discorso
può essere ripetuto nel caso di velocità c che presenti due o tre componenti. La funzione pdf, in generale, deve essere,
per l’isotropia dello spazio, funzione del solo modulo della velocità che indichiamo con c (funzione radiale). Inoltre,
considerando che le probabilità che la particella abbia componenti lungo tre direzioni mutuamente ortogonali pari a
ux, uy e uz sono indipendenti tra di loro, la funzione pdf(c) si scriverà come prodotto delle singole probabilità.

Nel caso bidimensionale:

Cambiando le variabili,c2=ux2+uy2 pdfII(c)=

4
Si nota quindi, che quest’ultima funzione può essere vista come prodotto di una funzione lineare e una gaussiana.
Nel caso tridimensionale, ragionando analogamente e sostituendo le variabili si ha che la pdfIII(c) è data dal prodotto
di una parabola per una gaussiana. L’andamento è prima crescente, dove prevale la parabola (o la retta nel caso
bidimensionale) poi decrescente dove prevale l’esponenziale. Il punto di massimo di tale distribuzione rappresenta il
valore della velocità più probabile cmod , che si ottiene annullando la derivata parziale dellla pdf rispetto al modulo
della velocità c.

pdfIII(c) =

Proprietà della funzione pdf


Il valor medio cm (dei moduli della velocità), e il valore
quadratico medio cm2 si ottengono dai seguenti
integrali (detti momenti della distribuzione):

= 3RT

5
LEGGE DI AZIONE DI MASSA
Considerata una reazione del tipo: A + B -> C + D, la legge di azione di massa afferma che la velocità di produzione o
distruzione, a seconda che si parli di prodotti o reagenti, è una quantità proporzionale alla concentrazione dei reagenti:

Dove sono le concentrazioni molari delle specie in esame.

Poiché le concentrazioni molari delle singole specie sono proporzionali alle pressioni parziali, le quali, a loro volta sono
proporzionali alle frazioni molari moltiplicate per la pressione totale, la dC/dt di ogni specie della reazione considerata
dipende dalla pressione totale al quadrato (P^2 ). Si può vedere che per le reazioni monomolecolari la velocità di
reazione dipende dalla pressione totale, mentre per le reazioni termolecolari la stessa dipende dalla pressione totale
al cubo.

SIGNIFICATO, ORDINE DI GRANDEZZA E UNITA’ DI MISURA DEL FATTORE PRE-ESPONENZIALE


Affinché possa innescarsi una reazione tra due diverse specie chimiche l’urto tra le particelle deve avvenire con
sufficiente velocità, cioè superiore ad un certo valore C*. Conoscendo la distribuzione delle molecole con le velocità,

dataci dalla Maxwell-Boltzman:

Per calcolare la frazione di molecole con velocità maggiori di C* si svolge l’integrale (corrispondente all’area segnata

del grafico):

Da cui risulta possibile scrivere mediante la correlazione tra


variazione del numero di particelle per unità di volume e la
concentrazione che:

Mentre dalla legge di azione di massa si ha:

Per cui uguagliando si ottiene che il fattore pre-esponenziale A = V* No sarà il volume spazzolato da un numero di
Avogadro di molecole. Dovendo, inoltre, essere i termini esponenziali paragonabili:

Per cui l’energia di attivazione E, indicato con M il peso molecolare sarà:


essa ha come significato quello di un’energia cinetica di un numero di Avogadro di molecole aventi velocità pari a C*.
Il termine V* ּ No ּ Ca ּ Cb da una misura di quanti urti avvengono mentre il termine esponenziale da una misura
dell’efficacia di tali urti. Dalla legge di azione di massa il termine di Arrhenius è un esponenziale che, al tendere di T ad
infinito, tende ad 1 e, di conseguenza, la velocità di reazione dCa/dt tende ad A ּ Ca ּ Cb che è la massima velocità con
cui può avvenire la reazione, la quale è detta gas-cineticamente limitata. Stimando numericamente A si ha:

6
I numeri caratteristici di queste reazioni sono A ed E ; A deve assumere i valori suddetti. Per quanto riguarda E si può
dire che il rapporto E/R non è altro che una temperatura di attivazione del processo, quindi nell’esponenziale il
rapporto tra e T deve essere un numero non troppo grande altrimenti l’esponenziale è nullo. Ci sono alcune reazioni
in cui , cioè le reazioni sono talmente veloci dall’essere limitate solo gas-cineticamente.

INTERPRETAZIONE GAS-CINETICA
Considerando una reazione termolecolare del tipo A + B + C -> P, dalla legge di azione di massa e quella empirica di

Arrhenius si ha: con kIII costante di velocità di reazione. Si


tratta di concentrazioni molari, espresse in mol/V.
Parlando di gas-cinetica, si preferisce parlare di concentrazioni molecolari (espresse in molecole/V), ovvero parlare di
molecole in luogo delle moli; per passare dalla concentrazione molare a quella molecolare occorre dividere per il
Numero di Avogadro No. Sono possibili tre tipi di interpretazioni cinetiche:

I)

Da cui semplificando si ottiene:

II) La seconda interpretazione è legata alla meccanica statica e consente di scrivere:


dove Zabc è il fattore di frequenza d’urto (proporzionale al numero di urti che coinvolge A, B e C) mentre
il fattore esponenziale rappresenta l’efficacia degli urti. Il fattore di frequenza d’urto può essere scritto
come Za(bc), ovvero frequenza con cui A impatta sul complesso attivato costituito da BC caratterizzato da
un tempo di vita pari a Tbc:

dove V* è il volume spazzato dalla molecola A (ovvero della molecola B) nell’unità di tempo.

Dunque si ottiene che:

III) La terza interpretazione prende in considerazione una reazione termolecolare con lo schema tipo:
A + B -> (AB)
(AB) + C -> P
Da cui applicando la legge di azione di massa alle due reazioni e scrivendo la seconda equazione tenendo
conto dell’ipotesi di stazionarietà si ha:

Con k2 e k_2 costanti di velocità di


reazione diretta e inversa della seconda
reazione.
Ricavando [(AB)] dalla seconda e sostituendola nella prima è possibile ottenere quanto segue:

7
LEZIONE 6 – Reazioni Unimolecolari, Bimolecolari e Termolecolari
Le concentrazioni molari delle singole specie sono proporzionali alle pressioni parziali che a loro volta sono
proporzionali alle frazioni molari moltiplicate per la pressione totale; verificabile, nel caso in cui si tratti di specie
gassose, dall’equazione di stato dei gas . Ogni tipo di reazione, in virtù della legge di azione di massa, sarà dunque
UNIMOLECOLARE, se la dipendenza dalla pressione è lineare; BIMOLECOLARE, se la dipendenza è quadratica e infine
TERMOLECOLARE se la dipendenza è cubica. Il modello di riferimento per tali reazione è quello di Linedmann, il quale
si fonda su due ipotesi:

1) Quando due reagenti della stessa specie A si combinano danno luogo , per mezzo della reazione (1), ad una
specie eccitata A* e una specie A che, seppur sia turbata energeticamente, non si considera ai fini della reazione;
la specie A* essendo molto instabile può cedere energia vibrazionale e ritornare al livello iniziale, per mezzo della
reazione (–1), oppure formare irreversibilmente un prodotto secondo la reazione (2)

𝐴 + 𝐴 𝐴∗ + 𝐴
𝐴∗ → 𝑃
2) Dalla legge dell’azione di massa , indicando come pedice della costante la reazione di riferimento, risulta:

𝑑𝐶𝑃
= 𝑘2 𝐶𝐴∗
𝑑𝑡
Scrivendo ora la velocità di formazione della specie A*, si ha:

𝑑𝐶𝐴∗
= −𝑘2 𝐶𝐴∗ − 𝑘−1 𝐶𝐴∗ 𝐶𝐴 +𝑘1 𝐶 𝐴 𝐶𝐴 =0
𝑑𝑡
Quest’ultima derivata assume valore nullo in virtù della seconda ipotesi di Lindemann, secondo la quale la
concentrazione della specie eccitata A* è in condizione di quasi stazionarietà.

Sostituendo la concentrazione della specie A* nella legge dell'azione di massa relativa alla reazione (2) si ha:

𝑑𝐶𝑃 𝑘1 𝐶𝐴 2
= 𝑘2
𝑑𝑡 𝑘−1 𝐶𝐴 + 𝑘1

Tale legge è funzione della pressione in particolare per 𝑝


→ ∞, 𝐶𝐴 → ∞ quindi notiamo una dipendenza lineare
dalla pressione conseguentemente la reazione si comporta come unimolecolare ;per 𝑝 → 0, si nota
una dipendenza quadratica con la pressione e di conseguenza la reazione è bimoleclare.

Per quanto riguarda le reazioni termolecolari, nel caso della trattazione di Lindemannm, si ha una ricombinazione del
tipo:

𝐴 + 𝐵 (𝐴𝐵)
Le due specie A e B combinano per dare luogo , grazie alla reazione (1), il complesso attivato AB, il quale ha un elevato
tasso energetico; pertanto esso può ricedere la sue energia e dare luogo alle specie di partenza, reazione (-1) oppure,
incontrando una specie C, si stabilizza e irreversibilmente forma un prodotto P per mezzo della seguente reazione(2)
:

(𝐴𝐵) + 𝐶 → 𝑃
8
Con le ipotesi del modello scriviamo la legge di azione di massa:

𝑑𝐶𝑃
= 𝑘2 𝐶𝐴𝐵 𝐶𝐶
𝑑𝑡
𝑑𝐶𝐴𝐵
= −𝑘2 𝐶𝐴𝐵 𝐶𝐶 − 𝑘−1 𝐶𝐴𝐵 +𝑘1 𝐶 𝐴 𝐶𝐵 =0
𝑑𝑡
Implementando quindi le due formule risulta:

𝑑𝐶𝑃 𝑘1 𝐶𝐴 𝐶𝐵 𝐶𝐶
= 𝑘2
𝑑𝑡 𝑘−1 +𝑘2 𝐶𝐶

Dunque per 𝑝 → ∞, si nota una dipendenza quadratica dalla pressione e la reazione sarà bimolecolare; dualmente,
per 𝑝 → 0, si ha una dipendenza cubica dalla pressione e la reazione sarà termolecolare.
Per definire la costante pre-esponenziale delle reazioni termolecolari, facciamo uso dell’interpretazione gas-cinetica;
una classica reazione termolecolare è del tipo:

𝐴+𝐵+𝐶 →𝑃
In virtù della legge di azione di massa abbiamo:

𝑑𝐶𝑃
= 𝑘 𝐶𝐴 𝐶𝐵 𝐶𝐶
𝑑𝑡
Esprimiamo la costante 𝑘 con la legge di Arrenhius e trasformiamo le concentrazioni molare in concentrazioni
molecolari quindi risulta:

1 𝑑𝑁𝑃∗ 𝐴 𝐸
(1) = 3 𝑇𝛽 exp(− ) 𝑁𝐴∗ 𝑁𝐵∗ 𝑁𝐶∗
𝑁𝑂 𝑑𝑡 𝑁𝑂 𝑅𝑇

Notiamo che abbiamo utilizzato un ulteriore scrittura della formulazione di Arrenhius aggiungendo il fattore 𝑇𝛽 con
β≈ 1/2. Il modello gas-cinetico afferma che:

𝑑𝑁𝑃∗ ∗ °
(2) = 𝑍𝐴𝐵→𝐶 = 𝑉𝐴° 𝑁𝐴∗ 𝑁𝐵𝐶 = 𝑉𝐴° 𝑉𝐵𝐶 𝑁𝐴∗ 𝑁𝐵∗ 𝑁𝐶∗ 𝜏
𝑑𝑡
Avendo indicato con 𝜏 un tempo caratteristico. Eguagliando la (1)e la (2), in condizioni di energia di attivazione nulla,
ed effettuando le dovute sostituzioni, risulta:

𝐴 = 𝑉°2 𝜏 𝑁𝑂2
𝑚6
la cui unità di misura è .
𝑚𝑜𝑙 2 𝑠

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LEZIONE 7 – Combustibili Gassosi

I combustibili gassosi sono caratterizzati da un elevate efficienza di combustione, una stabilità di fiamma con
conseguente bassa velocità di propagazione, facilità di trasporto e hanno un basso contenuto di elementi inorganici
inquinanti. Sono derivati dalla distillazione del petrolio e/o dalla raffinazione di prodotti petroliferi. I combustibili
gassosi fossili sono essenzialmente costituiti da una catena che va da 1 a 4 atomi di carbonio, metano, etano,
propano e butano rispettivamente. Questi sono i costituenti del gas naturale e del GPL (gas petrolio liquefatto).
Tuttavia esistono altri combustibili gassosi quali gas da carbone, torba, legno, biomasse caratterizzati da un basso
potere calorifico. I combustibili di maggiore interesse sono gli idrocarburi, cioè composti di solo idrogeno e carbonio.
Essi si distinguono in aromatici, a catena chiusa quindi derivanti dal benzene e in alifatici, a catena aperta che si
dividono in saturi caratterizzati da legami singoli (alcani) e insaturi caratterizzati da legami doppi (alcheni) e tripli
(alchini). Uno dei combustibili, seppur non gassoso in condizioni standard, più utilizzati al livello industriale è il
PROPANO, caratterizzato da un potere calorifico superiore pari a 46200 kJ/kg e da un rapporto stechiometrico
ponderale di circa 00623. Nel caso di una reazione di combustione in presenza di aria e azoto, il rapporto
stechiometrico molare può essere valutato generalizzando la reazione, che sarà scritta nella forma:

𝛼+𝛽 𝛾 𝛽 𝛽 𝛾
𝐶𝛼 𝐻𝛽 𝑂𝛾 + ( − ) (𝑂2 + 3.76𝑁2 ) → 𝛼𝐶𝑂2 + ( )𝐻2 𝑂 + 3.76(𝛼 + − )𝑁2
4 2 2 4 2
Da cui il rapporto tra le moli di aria stechiometrica e quelle di combustibile:

𝑛𝑎𝑠 𝛼+𝛽 𝛾
= 4.76( − )
𝑛𝑓 4 2
Indichiamo con il rapporto combustibile aria in condizione stechiometriche e sfruttando la relazione per la quale la
massa di una generica specie 𝑚 è data dal prodotto del numero di moli 𝑛 per il peso molecolare 𝑀 , si ha:

𝑚𝑓 𝑀𝑓 𝑛𝑓 𝑀𝑓
𝑓𝑠 = = =
𝑚𝑎𝑠 𝑀𝑎 𝑛𝑎𝑠 𝛼+𝛽 𝛾
29.0 ∗ 4.76( − )
4 2
Da cui segue:

100(𝑚𝑎 − 𝑚𝑎𝑠 ) 100(𝑚𝑎 − 𝑚𝑎𝑠 ) 100(𝑛𝑎 − 𝑛𝑎𝑠 ) 100(𝑛𝑂2 − 𝑛𝑂2 (𝑠) )


%𝑒𝑐𝑐𝑒𝑠𝑠𝑜 𝑑 ′ 𝑎𝑟𝑖𝑎 = = = =
𝑚𝑎𝑠 𝑚𝑎𝑠 𝑛𝑎𝑠 𝑛𝑂2(𝑠)

Che è possibile scrivere in funzione del rapporto di equivalenza

𝑓 100(1−𝐹)
𝐹= ⇒ %𝑒𝑐𝑐𝑒𝑠𝑠𝑜 𝑑 ′ 𝑎𝑟𝑖𝑎 =
𝑓𝑠 𝐹

10
Nel caso in cui ci troviamo in eccesso
d’aria, quindi con un rapporto di Combustione magra
150
equivalenza basso, si ha una
combustione magra; in caso contrario,
quindi lavorando in difetto d’aria con 100

%eccesso d’aria
elevati valori del rapporto di
equivalenza la combustione sarà ricca. Combustione
50
Avremo una combustione stechiometrica
stechiometrica quando sia F che
l’eccesso d’aria assumeranno valori 0
Combustione ricca
unitari.

-50
0 0.5 1 1.5 2

11
TEMPERATURA ADIABATICA DI FIAMMA
La temperatura adiabatica di fiamma è quella temperatura che si raggiunge in un processo di combustione se il sistema
è chiuso, o più in particolare è adiabatico. Si suppone quindi che tutto il calore che viene generato dalla reazione
chimica non venga scambiato con l’esterno ΔH=Q=0. Dall’ipotesi di gas ideale, in particolare dalla scrittura della
variazione di entalpia di reazione ΔHr come funzioe della temperatura, è possibile ricavare tale temperatura fissata la
temperatura ambiente T0=300K.

Tale variazione di entalpia è chiaramente negatva in quanto la


combustione è un processo esotermico. νp, νr, ΔHf,p ΔHf,r indicano
rispettivamente i coefficienti stechiometrici dei prodotti e dei
reagenti e delle entalpie di formazione dei prodotti e dei reagenti.

<Cp > rappresenta un calore specifico medio molare, e Ntot


il numero di moli totali in gioco. Infine Tad= ΔTad + T0. La
temperatura adiabatica di fiamma per gli idrocarburi risulta
essere pari a circa 2300K. Il Cp dei gas combust che dipende dalla composizione della miscela ed è funzione crescente
della temperatura, è dell’ordine di 1kJ/KgK.

COMBUSTIONE OMOGENEA SOSTANZIALE


Un prcesso di combustione è omogeneo se è riferito ad un sistema in cui c’è uniformità spaziale, cioè tale
che le derivate parziali di una qualsiasi grandezza primitiva all’interno del sistema siano nulle. I gradienti
delle grandezze primitive sono non nulli sono sulla frontiera del volue di controllo. Le equazioni di bilancio,
ad esempio dell’entalpia sensibile e di una generica specia, in forma integrale, sono:

Dividendo queste due equazioni per il volume e ponendo:

Le due equazioni possono essere così riformulate:


dove si è introdotto la portata
volumetrica , la frazione di massa
Yi,0,l’entalpia sensibile all’ingresso
del volume di controllo hs0, la
superficie totale del sistema Sw, i
coefficienti globali di scambio convettivo globale Ky e KT . Introducendo inoltre il tempo di residenza medio
della miscela gassosa all’interno del reattore τ e con La una lunghezza caratteristica del reattore le equazioni
si riscrivano nella seguente forma:
Nel caso più particolare di combustione
omogena sostanziale i flussi sono tutti nulli, e la
sola produzione delle due grandezze determina
la variazione nel tempo di esse.

12
SISTEMA H2/02
La trattazione sullo schema cinetico H2/O2 si focalizza, in condizioni stechiometriche sulla sola vera e propria
esplosione del processo di combustione omogena sostanziale: verranno trascurati il tempo di induzione
dell’esplosione cioè l’autoignizione e la post combustione (con le loro relative reazioni di decomposizione e
ricombinazione). Le ipotesi esemplificative sono le seguenti: le specie coinvolte sono composte al massimo
da due atomi di idrogeno e ossigeno H,O, H2, O2, OH, H2O, H2O2, HO2 . L’acqua può comparire solo come
prodotto di reazione. Nelle reazioni di scambio bimolecolari possono reagire solo H2 con tutti i
radicali(ossidanti) eccetto, ovviamente H, e O2 con H (ciò è dovuto al fatto che le reazioni di scambio più
favorite sono quelle tra un radicale ed una molecola). Quindi, la lista delle possibili reazioni è:

Le reazioni di decomposizione uni/bimolecolari sono praticamente assenti nello schema riguardante la vera
parte esplosiva dell’intero processo. L’unica eccezione è quella di decomposizione dell’idroperossido, in cui
compare come inerte una specie indicata con M

Le reazioni di ricombinazione bi/termolecolari sono la ricombinazione dell’idrogeno in presenza di parete e


quella del radicale idroperossidrilico con l’idrogeno atomico. La prima di queste due reazioni è favorite dalle
basse pressioni, la seconda dalle alte in quanto è una classica reazione termolecolare.

Le sette reazioni fin qui elencate possono essere combinate in un diagramma di flusso schematizzato nella
figura seguente tenendo conto lo schema può essere iniziato con qualsiasi reazione: i radicali che compaiono
come prodotti sono a loro volta dei reagenti che vanno a consumare molecole di idrogeno e ossigeno.

13
DIAGRAMMA ESPLODIBILITÀ
Supponendo di conoscere tutti i dati cinetici e di aver risolto le equazioni della combustione omogenea è
possibile costruire un diagramma di stato che prende il nome di diagramma di esplodibilità in cui siano
definiti i campi di temperatura e pressione. A destra della curva si hanno le condizioni per cui avviene
l’esplosione, a sinistra della stessa quelle per cui tale processo non evolve. La curva è delimitata tra due
temperature relativamente vicine cioè 400 e 600°C. Fissata una temperatura interna a questo intervallo si
studiano quelli che vengono detti “limiti di esplodibilità”. Nella parte bassa del diagramma la molteplicità
delle curve esemplifica la dipendenza del diagramma dalle caratteristiche geometriche e chimico-fisiche
dalle parete Per un fissato serbatoio, reattore dove c’è la miscela, la curva è unica. Ciò costituisce il primo
limite di esplodibilità. Supponendo di aver fissato il serbatoio e di essere a destra della curva, avviene
l’esplosione radicalica, in particolare alle basse pressioni è favorita la strada 2) del diagramma di flusso. Per
pressioni più elevate, intorno ai 500mbar il sistema non esplode perché in questo caso la reazione favorita è
quella termolecolare 3), 3a (secondo limite di esplodibilità). Per pressioni ancor più elevate, dell’ordine dei
bar, il sistema potrebbe ri-esplodere a causa della tendenza dell’idroperossido, ad elevate concentrazioni, di
dissociarsi in due ioni ossidrile (terzo limite di esplodibilità).

14
MECCANISMI DI ESPLOSIONE E DIAGRAMMA DI ESPLODIBILITA’ DI UN SISTEMA CO/O 2
I meccanismi proposti per spiegare il comportamento esplosivo di tale sistema si basano su tre reazioni elementari. La
reazione 2 è particolarmente lenta come reazione elementare
ed è irrilevante nel determinare le condizioni di esplodibilità,
mentre la 1 e la 3 danno luogo a ramificazioni, infatti: la reazione
1a è favorita alle alte pressioni, la 1b da luogo all’anidride
carbonica in uno stato eccitato che tende a dissociare
facilmente l’ossigeno molecolare quando si addiziona ad esso.
Le reazioni 3a e 3b sono anch’esse in competizione e il
discriminante tra i due percorsi è la pressione che influenza
l’andamento molecolare delle reazioni.

L’identificazione di tali processi ha permesso di determinare un limite di esplodibilità che dipende solo dalla
composizione della miscela. Tale diagramma da un’indicazione semi-quantitativa di tali limiti, in quanto i risultati
sperimentali non sono in stretto accordo con esso e tale
indeterminazione è dovuta al fatto che minime impurità influenzano
sensibilmente il meccanismo di reazione. Basti pensare che
sperimentalmente si è verificato che con la sola aggiunta dell’1% di
idrogeno nel sistema CO/O2 (aggiunto ad esempio tramite tracce di
vapor d’acqua) porta i limiti di esplodibilità a coincidere con quelli del
sistema H2/O2.

Gli schemi cinetici di questi sistemi si intrecciano attraverso quattro


reazioni:

 CO + OH <========> CO2 + H
 H + H2O <========> OH + H2

Le quali sommate membro a membro portano all’equilibrio dei prodotti di combustione presenti nella gran parte dei
processi di ossidazione degli idrocarburi:

 CO + H20 <========> CO2 + H2

Tali reazioni, aldilà della loro rilevanza nelle esplosioni, rappresentano l’evoluzione finale di un qualsiasi sistema di
combustione nella parte di POST-COMBUSTIONE. I prodotti di combustione permangono nelle camere di combustione
per un tempo sufficientemente lungo affinché possa instaurarsi un equilibrio tra tali specie, il che implica che per una
fissata temperatura saranno tra loro in un fissato rapporto di concentrazione.

DEIDROGENAZIONE DELLA FORMALDEIDE


La formaldeide (CH2O) è importante come specie intermedia nell’ossidazione di molti composti organici ed è utile
analizzare il suo comportamento alle alte temperature (dove di presentano processi di combustione) perché
costituisce insieme ai sistemi H2O2 E CO/O2 una parte rilevante degli schemi cinetici di molti idrocarburi più complessi
e la sua evoluzione è legata all’ossidazione del monossido di carbonio. Infatti, la formaldeide in ambiente ossidativo,
ad alta temperatura subisce una doppia deidrogenazione, la quale porta alla formazione di CO. Lo schema sarà:

CH20 -----------> CHO -------------> CO Queste due reazioni avvengono o per via termica, favorita in condizioni ricche
e con temperature superiori ai 600° C, o per estrazione di un atomo di idrogeno da parte di un radicale, favorita da
condizioni stechiometriche o povere e a bassa temperatura. La prima deidrogenazione si svolge attraverso l’impiego
di un radicale quale H, OH, HO2 che porta alla formazione di H2, H2O, H202, per cui il comportamento esplosivo della
formaldeide è legato essenzialmente ai sistemi H2/O2 e CO/O2 attraverso la formazione dii H, H2, H2O2. E’ importante
inoltre osservare che la deidrogenazione avviene sempre sul legame C-H a causa della sua minore energia di legame
rispetto al legame OH.

15
PROCESSI DI COMBUSTIONE CON PROPAGAZIONE, CURVA DI RANKINE - HUGONIOT E RETTA DI RAYLEGH
I processi di combustione con propagazione vengono analizzati facendo l’ipotesi di configurazione unidimensionale
stazionaria. Si considera, pertanto, un tubo adiabatico, impermeabile e a sezione costante all’interno del quale fluisce
una miscela gassosa di combustibile. Le condizioni di ingresso e di uscita dal tubo sono fissate ad una distanza tale dal
punto in cui ha luogo il processo di combustione che tutti i fluissi
diffusivi delle grandezze primitive e i relativi gradienti sono nulli (e
quindi le derivate parziali). Indicato col pedice 1 le condizioni in
ingresso e con 2 quelle di uscita si scrivono le equazioni di
conservazione della massa totale, della quantità di moto e
dell’entalpia totale, le quali semplificate nelle ipotesi di cui sopra
permettono di ricavare la costanza della portata massica M, dell’impulso I e dell’entalpia totale htot. Dove si è indicato
la densità, ρ, la pressione, p , l'entalpia sensibile, hs , l'entalpia di formazione, ho , e
la componente di velocità, u.

Dalla combinazione delle prime due equazioni si ottiene

la quale può essere riscritta come relazione di Rayleigh: da cui si evince che le
variazioni di pressioni (p2 – p1) hanno segno opposto della variazione
dei volumi specifici (1/ ρ2 – 1/ ρ1) e quindi stesso segno delle variazioni
di densità. Dalla costanza dell’impulso è possibile, inoltre, ricavare la
dipendenza lineare della pressione (p2) dal volume specifico (1/ ρ2)
con coefficiente angolare –M2 negativo. Nella figura sono riportati
due segmenti tratteggiati rappresentativi delle relazioni di Rayleigh per
due portate massiche. Ovviamente essi si sviluppano nei riquadri non
ombreggiati in quanto le rette di Rayleigh hanno sempre pendenza
negativa ed avranno pendenza maggiore tanto più alta è la portata
massica a cui si riferiscono.

Si definisce detonazione un processo di combustione premiscelata con propagazione in cui lo stato finale è a pressione
più alta di quella iniziale. In virtù della relazione di Rayleigh ne consegue che i gas combusti dovranno essere anche a
densità più alta da cui segue che, per la conservazione della massa, le velocità dei gas combusti dovranno essere più
basse delle velocità iniziali.

Si definisce deflagrazione un processo di combustione premiscelata con propagazione in cui lo stato finale sia a
pressione più bassa di quella iniziale. In questo caso anche la densità sarà più bassa, mentre la velocità finale sarà più
alta di quella relativa ai gas non combusti.

In genere le deflagrazioni sono relative a portate massiche relativamente più basse di quelle relative alle detonazioni.
Pertanto, le rette di Rayleigh relative alla deflagrazione sono meno inclinate rispetto a quelle della detonazione.

Utilizzando l’equazione di conservazione dell’energia totale, dove ∆h0 = h10 – h20 si ottiene:
e mettendo in evidenza la quantità si ha:

Dove sostituendo alla differenza dei volumi specifici al quadrato il prodotto tra
somma e differenza e ricordando la relazione di Rayleigh si può scrivere l’equazione
di Rankine-Hugoniot:

16
Nel caso in cui si adotti il modello dei gas perfetti e si utilizzi un rapporto costante tra i calori specifici a pressione e
volume costante sia l’equazione universale dei gas si può scrivere:

E sostituendo nell’equazione di sopra ricavando il rapporto tra le pressioni si ha:

Lo studio di tale funzione permette di concludere che esistono due asintoti:

- Il primo si realizza in corrispondenza del valore per il quale la pressione in uscita P2 tende
all’infinito
- Il secondo si ha quando il volume specifico 1/ ρ2 tende all’infinito e in questo caso la pressione finale tende al

valore

La curva con andamento iperbolico tracciata in figura rappresenta l’andamento della pressione in uscita in funzione
del volume specifico secondo la relazione di Rankine – Hugoniot. Essa può intersecare la retta di Rayleigh in al più due
punti che rappresentano le possibili soluzioni
(debole e forte a seconda del discostamento
dalla pressione iniziale) delle equazioni di
conservazione di massa, quantità di moto ed
entalpia totale. In tal caso le zone in cui non
è possibile alcuna soluzione sono più estese
rispetto a quelle determinare dalla relazione
di Rayleigh e affinché le due curve possano
intersecarsi occorre che la portata massica
superi un determinato valore, per il quale la
retta di Rayleigh sia tangente alla curva di
Rankine – Hugoniot.

17
Condizioni di Chapman-Jouguet
Le relazioni di Rayleigh e Rankine-Hugoniot rappresentano gli andamenti della pressione finale in funzione
della densità finale per un fenomeno detonativo. Affinché le due curve si possano intersecare occorre che la
portata massica di comburente e combustibile
superi un determinato valore, per il quale la retta
di Rayleigh sia tangente alla curva di Rankine-
Hugoniot. Proprio questo unico punto di tangenza
rappresenta le cosiddette condizioni di Chapman-
Jouguet, ovvero le condizioni di minima portata (e
quindi di pressione e di densità ad essa associata)
affinché si manifesti la detonazione. Esiste una
vasta casistica la quale dimostra che lo stato
stazionario detonativo viene raggiunto solo in
queste condizioni, nonché un supporto teorico il
quale dimostra che l’entropia, calcolata lungo la
curva di Rankine-Hugoniot, attinge un massimo
nelle condizioni di Chapman-Jouguet tale per cui
queste condizioni vengono considerate come uno
stato di equilibrio stabile.
E’ opportuno osservare che proprio in base alle condizioni di Chapman-Jouguet, nonché alle condizioni limite
di deflagrazione è possibile distinguere sei regimi di combustione stazionaria con propagazione:

Riprendendo il discorso sulle condizioni di C-J e considerando la prima delle due relazioni equivalenti di
Rankine-Hugoniot per il caso dei gas perfetti

e derivando ambo i membri rispetto al volume specifico relativo alle condizioni finali (indicate col pedice “2”)

.
Valgono ancora le relazioni:

18
Per cui, sostituendo la pendenza della curva di Rankine-Hugoniot con quella relativa alla curva di Rayleigh,
mettendo in evidenza la portata massica ed applicando la conservazione della portata massica (derivante a
sua volta dall’equazione di conservazione della massa totale) si perviene alla seguente espressione

la quale dimostra che la velocità di uscita dei gas combusti nelle condizioni di Chapman-Jouguet è uguale alla
velocità del suono dei gas combusti nelle condizioni di pressione, densità e temperatura finali.
Riscrivendo l’equazione di Rayleigh e tenendo conto delle conclusioni precedenti si ricava la seguente
relazione tra le densità relative alle condizioni finali ed iniziali la detonazione

.
N.B. il grafico è qualitativo, non so dove effettivamente avviene la tangenza.

Valutazione semi-quantitativa delle grandezze termofluidodinamiche in uscita, nelle condizioni di


detonazione
Per una detonazione, il rapporto delle pressioni è compreso tra 0 ed 1 per cui il rapporto delle densità sarà
compreso tra

Per quanto riguarda può essere preso, con buona approssimazione per una miscela di gas detonanti,
uguale all’incirca ad 1. Pertanto il rapporto delle densità sarà al massimo 2. Per ottenere una stima del
rapporto di compressione bisogna avere anche una stima del rapporto delle temperature, infatti risulta

Una stima delle temperature dei gas combusti può essere fatta considerando la reazione che porta a
completa ossidazione la miscela comburente ovvero, nel caso in cui i prodotti della reazione siano tutti CO2
e H2 O, il calore rilasciato è pari al potere calorifico teorico del combustibile. In tale ipotesi e per gran parte
dei combustibili a base paraffinica, la temperatura adiabatica di fiamma di una miscela con l’aria è all’incirca
di 2500 K. In queste condizioni e nelle ipotesi di rapporto delle densità pari a 2 il rapporto di compressione è
circa uguale a 20 (precisamente 18.3 considerando T1 = 273.15 K), viceversa nelle ipotesi di rapporto delle
densità pari ad 1 il rapporto di compressione è comunque dell’ordine della decina. Tutto ciò induce a ritenere
trascurabile il rapporto di compressione nella relazione che lega le densità nelle condizioni di Chapman-
Jouguet

Infine è possibile ottenere una stima approssimata delle velocità d’ingresso ed uscita, infatti ritenendo il
rapporto delle temperature nell’ordine della decina e ricordando che la velocità del suono è proporzionale

19
alla radice della temperatura del mezzo, si ottiene che la velocità del suono dei gas combusti è circa √10
volte quella del mezzo in condizioni di temperatura ambiente (valutabile circa 300 m/s), pertanto

α2 |CJ
= √10 →
u1 (Tamb )

ed ancora dall’equazione di continuità (costanza della portata massica) si ha che

quest’ultima velocità viene detta velocità di detonazione di Chapman-Jouguet. In conclusione, i rapporti di


densità, temperatura, pressione e velocità attraverso una detonazione nelle condizioni di Chapman-Jouguet
sono all’incirca 2, 10, 20, 0.5.

Descrizione qualitativa del meccanismo attraverso cui, a partire da un'onda d'urto, si innesca il
fenomeno della detonazione
Il meccanismo più semplice di formazione delle onde di detonazione è quello che prevede l’innesco a partire
da un’onda d’urto forte. In questo caso la compressione (dovuta proprio all’onda d’urto) comporta anche un
innalzamento della temperatura la quale se sufficientemente elevata può generare l’auto ignizione della
miscela. Inoltre, se la cinetica dell’ossidazione è sufficientemente veloce ne risulta che l’espansione dei gas
può creare un treno di onde di compressione che alimenta la prima onda d’urto. Al contrario, se la cinetica
di auto ignizione comporta un tempo di ossidazione molto lungo, il rilascio di calore è disaccoppiato dall’onda
d’urto e non alimenta la sua trasformazione in onda detonativa. E’ bene sottolineare che in questo
meccanismo di formazione di onde di detonazione descritto è più rilevante il tempo di ossidazione rispetto
al tempo di induzione. Infatti, anche se il rilascio di calore è relativamente lontano dal fronte dell’onda d’urto,
esso può essere così veloce da generare onde che riescono ad accoppiarsi alla prima a causa delle diverse
velocità di avanzamento o dei diversi percorsi delle onde stesse.

Descrizione qualitativa del meccanismo di esplosione/detonazione


Altro meccanismo di formazione di onde di detonazione è quello che prevede la formazione di un’onda di
compressione a partire da un’esplosione localizzata in un punto caldo (esempio, punto caldo su una parete,
oppure una piccola quantità di materia a temperatura più alta). L’espansione associata all’esplosione induce
una compressione nella zona esterna ad essa. Può accadere che l’esplosione sia così violenta che l’onda
d’urto generata sia, a sua volta, così intensa da portare la miscela in condizioni di auto ignizione. Ciò è
ovviamente agevolato nelle condizioni di incipiente auto ignizione, ovvero quelle condizioni in cui la miscela
risulta ad una tale temperatura per cui è necessario solo un minimo riscaldamento per portarla in condizioni
di auto ignizione.

20
Nel caso in cui l’ambiente su cui si estende la miscela è confinato può accadere che le onde d’urto generate
dalla prima esplosione-detonazione possano riflettersi o fondersi in modo tale da creare le condizioni per
una seconda esplosione-detonazione. Un esempio è il cosiddetto “knocking” (battere in testa) all’interno dei
motori alternativi a c. i. ad accensione comandata.

Descrizione qualitativa del meccanismo di innesco della detonazione di SWACER


Con l’acronimo SWACER (shock wave amplification by coherent energy release) si indica quel meccanismo di
innesco della detonazione il quale consiste in una sequenza di auto ignizioni che si succedono con opportuni
ritardi che, a loro volta, permettono di amplificare deboli onde di compressione sia che queste siano generate
dalle stesse auto ignizioni sia che si realizzino indipendentemente da esse. Tale sequenza può dipendere da
una stratificazione di carica, da una stratificazione della temperatura oppure dalla stratificazione delle
concentrazioni dei radicali di innesco. Nel primo caso si realizza un gradiente spaziale di rapporti
combustibile/comburente a cui sono associati diversi ritardi di auto ignizione. Supponendo un andamento di
tali grandezze del tipo indicato in figura

l’auto ignizione avrà luogo in un intervallo spaziale ed in una successione tale che il fenomeno apparirà come
una propagazione di fiamma apparente che può esprimersi secondo la seguente formula

21
LEZIONE 11

1)Definire il processo di combustione con propagazione che va sotto il nome di deflagrazione,


evidenziando ciò che lo differenzia dalla detonazione.

Si definisce deflagrazione un processo di combustione premiscelata con propagazione in cui lo stato finale
sia a pressione più bassa di quella iniziale. In questo caso anche la densità sarà più bassa, mentre la velocità
finale sarà più alta di quella relativa ai gas non combusti. In genere le deflagrazioni sono relative a portate
massiche relativamente più basse rispetto a quelle delle detonazioni.
L'abbassamento della pressione è quasi sempre una frazione trascurabile della pressione media rilevabile in
tutta la regione interessata al processo di combustione. Pertanto il processo viene considerato quasi
isobarico, nel senso che le variazioni di pressione rilevabili su tutto il campo sono trascurabili rispetto a
qualsiasi variazione dell'energia cinetica o dell'entalpia sensibile.
Le caratteristiche, su menzionate, cioè la diminuzione della pressione e della densità, nonché l'aumento
della velocità sono tipiche della deflagrazione e sono esattamente l'opposto di quanto si verifica nella
propagazione per detonazione (aumento di pressione e densità, diminuzione della velocità).
La regione dello spazio in cui avviene la propagazione del processo di combustione in regime di
deflagrazione è usualmente definita come "fronte di fiamma" o "onda di combustione" e la distribuzione
spaziale del campo termico, fluidodinamico e chimico viene generalmente chiamata struttura di fiamma.
I termini "deflagrazione" e "fiamma premiscelata laminare" vengono usati in pratica nella stessa accezione
scientifica, sebbene al secondo (fiamma) vengono generalmente associati fenomeni di emissione di luce
che ne estendono il significato nell'uso comune.

2)Descrivere il modello di Mallard - Le Chatelier, rappresentando graficamente le evoluzioni spaziali della


temperatura e dell'entalpia di formazione di una fiamma premiscelata unidimensionale.

Ipotesi di campo unidimensionale e stazionario. L'analisi viene inoltre condotta seguendo l'evoluzione della
temperatura T e dell'entalpia di formazione di tutta la miscela reagente ho, in quanto rappresentano,
insieme alla velocità, il processo di combustione nel suo insieme e sono meno sensibili alla natura chimica
del combustibile.

22
Il diagramma serve per evidenziare la presenza di tre diverse regioni:
1) Nella prima la temperatura sale esponenzialmente e l'entalpia di formazione rimane uguale al
valore della miscela nelle condizioni iniziali. Ciò significa che in questa zona il combustibile non è
ignito, ovviamente possono avvenire reazioni di medio-bassa temperatura. Però per ciò che
concerne la temperatura, o meglio l'entalpia sensibile hs, questa zona deve considerarsi come
controllata solo dalla diffusione e dalla convezione. Lo spessore di questa zona verrà denominato
come "lo spessore di fiamma controllato dalla diffusione" e verrà indicato con lDF .
2) La seconda zona è caratterizzata da un aumento lineare della temperatura e dell'entalpia di
formazione in un intervallo spaziale più ristretto, che chiameremo spessore di fiamma e verrà
indicato con lF . Si assume che in questa zona il trasporto per diffusione sia trascurabile e
prevalgano solo la convezione e la generazione.
In questa regione si ha la formazione di H2O, CO ed H2 e solo una frazione minore del combustibile
si trasforma in CO2. Il combustibile alla fine della regione è completamente scomparso nella sua
composizione chimica iniziale ed ha subito una parziale ossidazione.
3) Infine nella terza regione la temperatura e l'entalpia di formazione salgono più lentamente fino alla
temperatura adiabatica di fiamma e ad un valore dell'entalpia di formazione pari,
approssimativamente, al calore di combustione. In questa zona l'ossido di carbonio si ossida
lentamente ad anidride carbonica, ed i radicali si ricombinano per formare, ancora più lentamente,
specie stabili. L'intera zona verrà denominata, come zona di post-combustione (anche se la
combustione continua ad avvenire) ed il suo spessore verrà designato con lPF .

3)Valutare la velocità di propagazione laminare di fiamma.

4)Scrivere la relazione della velocità di propagazione laminare di fiamma e descrivere come essa varia al
variare della temperatura della miscela 𝑇0 e della temperatura adiabatica di fiamma.

5)Scrivere la relazione della velocità di propagazione laminare di fiamma e descrivere come essa varia al
variare del rapporto aria/combustibile e della pressione ambiente.

Ricapitolando, il modello proposto prevede un aumento di temperatura dal valore iniziale (To ) a
quello di ignizione (Ti ) dovuto alla diffusione (in bilancio con la convezione), quindi un ulteriore
aumento lineare fino alla temperatura, detta di fiamma (TF ) dovuto al rilascio "veloce" di calore (in
bilancio con la convezione) ed infine un graduale aumento fino alla temperatura adiabatica
(Tad = TF) dovuto al rilascio di calore "più lento". Effettuando i bilanci di entalpia sensibile e di entalpia di
formazione, sotto l'ipotesi di unidimensionalità e stazionarietà, ricaviamo la 3.29) per descrivere la zona di
fiamma controllata solo dalla diffusione e dalla convezione, e la 3.30) per descrivere la zona controllata
dalla generazione e dalla convezione:

,la 3.29 sotto l'ipotesi di cp (T) = cost può essere scritta come:

Integrando tra la condizione indisturbata (pedice o) e la


condizione di ignizione (pedice i),considerando inoltre che il flusso convettivo di massa (u) è una costante
si ottiene:

23
Posto: e se si valuta il flusso convettivo (u) nel punto dove avviene l'ignizione, si ha:

,se infine si definisce la velocità di propagazione laminare di fiamma ui = vF, calcolata come la velocità del
gas nella posizione dove avviene l'ignizione, si ottiene:

Inoltre, dalla (3.30) integrando tra xi ed xF, si ottiene ( (u) è sempre calcolato nel punto di ignizione i):

La quantità all'interno della parentesi quadra è la "quantità di calore" rilasciata dal mezzo reattivo
nello spessore di fiamma. Questa quantità è stimabile intorno al 60-80% dell'entalpia di combustione hc.
L'integrale a destra è più difficilmente quantificabile perché rappresenta la velocità con cui evolvono le
reazioni di ossidazione.
Se si vogliono conoscere le dipendenze funzionali dell'integrale e di conseguenza di ui (che verrà posto
uguale anche in questo caso a vF ) è opportuno, introdurre una velocità di reazione media nello spessore di
fiamma, così definita:

allora, è possibile ricavare dall’equazione su:

Utilizzando la 3.34 e sostituendo, si può ricavare vF come:

E' chiara da questa ultima relazione la dipendenza di vF dai parametri che caratterizzano una
fiamma.
a) dipendenza di vf dalla temperatura della miscela To :
• la diffusività αi non dipende dalla temperatura To poiché è calcolata sempre alla
temperatura di ignizione, Ti , che dipende dalla composizione della miscela e non da To.
• dipende dalla temperatura in modo esponenziale ed è quindi sensibile ad un aumento
della temperatura della miscela perché la temperatura nella zona dello spessore di fiamma si innalza
proporzionalmente.
• vi è infine una dipendenza crescente esplicita da To.

24
Complessivamente, considerando la velocità di
combustione, definita come:

Si ottiene per tre diversi combustibili l’andamento


rappresentato di fianco.

b) dipendenza dalla temperatura adiabatica di


fiamma:
• questa temperatura è proporzionale a Tf per cui
la velocità di propagazione verrà influenzata
dall'aumento di temperatura all'interno della zona
compresa tra l'ignizione e la fine della
combustione. L'influenza della Tf sarà
particolarmente sentita perché influenza
direttamente la velocità di reazione. La variazione
di Tf è ottenuta facendo variare la composizione
della miscela con aggiunta di inerte.

c) influenza del rapporto aria/combustibile:


• la dipendenza dalla temperatura adiabatica di fiamma chiarisce anche la dipendenza qualitativa della
velocità di fiamma dal rapporto aria/combustibile. Infatti in corrispondenza del rapporto stechiometrico la
temperatura adiabatica di fiamma sarà massima, per cui in corrispondenza di tale rapporto si realizzerà la
velocità massima.
In figura sono riportate le velocità di fiamma
uo in funzione della percentuale di
combustibile nella miscela per diversi
combustibili. E' immediato osservare la
configurazione a campana delle curve.
Nella figura è anche interessante notare che
le curve sono spezzate in corrispondenza di
due valori della percentuale per cui le
fiamme non si propagano affatto. Questi
valori limiti definiscono un campo di
"infiammabilità" della miscela all'esterno dei
quali non c'è propagazione di fiamma.

d) dipendenza dalla pressione ambiente

• La diffusività ha una dipendenza dalla pressione come quella della densità:


• la velocità di reazione media dipende dalla pressione con una legge del tipo p^(n−1)

25
, pertanto la uo o la vF dipendono dalla pressione come:
Si osserva sperimentalmente che uo non dipende dalla pressione per molti combustibili, per
cui si può ipotizzare che l'ordine complessivo della reazione è circa 2.

26
LEZIONE 12 – Combustione Turbolenta
Un campo di moto turbolento viene identificato in maniera intuitiva come un moto non stazionario,
irregolare ed apparentemente caotico; inoltre appare fortemente dissipativo, cioè parte dell’energia
cinetica viene trasformata in energia interna. La caratteristica che più influisce sull’evoluzione di una
reazione chimica è l’elevata diffusività che incrementa i termini di scambio (massa, quantità di moto,
entalpia) e favorisce il mescolamento tra le specie. A causa dell’elevata variabilità spaziale delle grandezze
che caratterizzano il moto, un approccio operativo per dare una definizione di campo di moto turbolento
può essere quello di fissare una posizione nello spazio ed effettuare la misura della velocità del mezzo
continuo su una delle componenti supponendo per semplicità che le altre due non varino. Una qualsiasi
varabile è somma di un valore medio definito come:

Un valore fluttuante , per cui risulta: .

Lo stesso concetto può essere espressi in termini di coefficienti di correlazione, definito come il rapporto
tra la covarianza, la media temporale del prodotto di due qualsiasi componenti fluttuanti, e la deviazione
standard, cioè la radice media quadratica di due componenti fluttuanti . sono cosi definiti un coefficiente di
autocorrelazione spaziale e temporale:

Due funzioni sono tra loro correlate se il valor medio del loro prodotto è diverso da zero. Un campo di moto
è definito turbolento in senso euleriano (punto per punto localmente) quando tutti i coefficienti di
autocorrelazione delle componenti hanno un comportamento decrescente da 1 a 0. In tale intervallo ci
saranno scorrelazioni tra i valori perché presentano irregolarità, la turbolenza pertanto rappresenta il
collegamento tra grado di correlazione e grado di scorrelazione.
Nello studio della turbolenza si definiscono delle scale spaziali che caratterizzano l’evoluzione delle
particelle in un intervallo spaziale molto piccolo, anche dell’ordine dei micron, ovviamente sempre più
grandi del cammino libero medio ( ) per non ledere l’ipotesi del continuo. un campo di moto,
dunque, è coerente se viene descritto in un intervallo compreso tra una scala minima dell’ordine di ,
,detta scala interna, al di sotto della quale due particelle non alterano la loro distanza relativa nel tempo,
e una scala massima dell’ordine di , detta scala integrale o di turbolenza e indicata con , al di sopra
della quale le particelle non saranno correlate. Poiché le scale interne sono le piu complesse da misurare,
Kolmogorov immagina il campo di moto come un vortice di particelle verso le direzioni da più alta a più
bassa velocità. Se il vortice è grande se ne generano altri finché il numero di Reynolds non raggiunge valori
per i quali si entra in campo laminare e si dissipano. Il modello di Kolmogorov si basa su due ipotesi: 1) la
dissipazione di energia cinetica avviene su scale piccole ma è prodotta da quelle grandi; 2) scale isotrope,
nel senso che passano attraverso un volume fissato con orientamento completamente casuale.

27
La rilevanza della turbolenza nei sistemi reattivi ed in particolare nella combustione, consiste nella
proprietà di migliorare il mescolamento sia nei sistemi premiscelati che di quelli a diffusione. Se nei primi
viene favorito lo scambio di massa e calore tra prodotti e reagenti , dovuta all’estensione geometrica delle
zone dove la reattività è alta; nei sistemi a diffusione, lo scambio avviene tra due fasi reagenti, legato
all’incremento dei gradienti delle grandezze intensive e quindi dei flussi ad esse associati sulle superfici ad
alta reattività. I due effetti sono legati da una quantità definita stiramento (K), intesa come l’incremento
temporale della superficie per unità di superficie iniziale:

Nell’ipotesi che la velocità laminare della fiamma premiscelata non sia alterata della curvatura del fronte di
fiamma, è possibile stimale la quantità di miscela consumata dall’avanzamento della
fiamma nell’unità di tempo :

Dove e rappresentano la densità della miscela in condizioni indisturbate e di ignizione; e la


velocità di combustione e quella di propagazione laminare rispettivamente. è l’area del fronte di
fiamma e nel caso in cui quest’ultimo sia corrugato si considera un avanzamento medio rispetto alla
sezione del condotto in cui si propaga la fiamma . Scrivendo rispetto ad si ottiene:

In cui è proprio l’avanzamento medio di tutto il fronte di fiamma, e viene generalmente definito come
la velocità di fiamma turbolenta; implementando tale definizione si ottiene:

Effettuando semplici passaggi analitici otteniamo:

La propagazione turbolenta è vista come un incremento della velocità laminare di fiamma proporzionale
all’aumento percentuale di superficie del fronte di fiamma. Lo stiramento K può essere espresso anche in
funzione della velocità euleriana di propagazione complessiva del fronte di fiamma e della proiezione
della velocità sul piano tangente :

La velocità tangenziale può essere calcolata come:

28
Il cui modulo sarà

mentre il prodotto vettoriale ha una componente perpendicolare al piano definito dai vettori e ;
mentre appartiene a tale piano; moltiplicando vettorialmente e per un vettore unitario disposto
normalmente sia a che a X per ottenere proprio . Dalla definizione di segue:

Tenendo conto che

E che

possiamo scrivere lo stiramento come:

Il primo termine , rappresenta l’influenza dello stiramento aerodinamico sullo stiramento complessivo di
fiamma, ovvero un effetto di trazione su tutti i lati della superficie coinvolta; il termine definisce invece
lo stiramento dovuto al trasporto aerodinamico normale alla superficie ; infine è analogo a
dove al trasporto aerodinamico si sostituisce la propagazione di fiamma .

Nell’ipotesi in cui le scale spaziale e


temporale delle perturbazioni delle
perturbazioni fluidodinamiche siano più
grandi delle scale deflagrative, e che il
rilascio di calore non influenzi il campo
fluidodinamico, lo spettro di scale
evolverà tra la scala minima di
Kolmogorov e la scala massima, detta di
turbolenza. Su un diagramma spettrale
di turbolenza, cioè un grafico in scala
logaritmica che relaziona i vortici di

29
diverse dimensioni con le velocità periferiche. Fissati una velocità e uno spessore di fiamma laminare, e
una retta a numero di Reynolds costante, è possibile definire tre linee di turbolenza a), b) e c). Nel caso a) le
velocità su tutte le scale sono sempre più alte di e il campo di scale comprende ; nel caso c) invece le
velocità sono tutte più piccole della e tutte le scale spaziali sono più alte di La linea intermedia b)
rappresenta invece un modello di turbolenza isotropa con equilibrio locale, per il quale lo spettro delle
scale di turbolenza segue una legge del tipo .

Per identificare i diversi regimi di interazione vi sono dei criteri, il primo dei quali si basa sulle scale di
turbolenza esterne riportate nel diagramma spettrale di turbolenza applicato alla deflagrazione, che prende
il nome di diagramma di Borghi. In
questo si notano delle rette a
numero di Karlovitz ( , ovvero il
prodotto di un tempo
caratteristico per la velocità di
stiramento, il suo reciproco, il
numero di Damköler ( ), e il
numero di Reynolds , unitari. Le
scale di turbolenza esterne che si
trovano nella parte tratteggiata
generano delle scale dissipative
che porta all’estinzione della
fiamma.

Secondo il criterio di Kilmov/Williams, estensione


del modello di Borghi, all’aumentare del , si ha
una regione superiore in cui le fiamme sono
estinguenti, una inferiore in cui si nota
un’ondulazione del fronte di fiamma, e una
centrale, delimitata dal doppio tratteggio, in cui si
nota la presenza di fiamme sottili.

30
DEFINIRE LA FRAZIONE DI MISCELAMENTO , ILLUSTRARE LE SUE PROPRIETA’ E SCRIVERE L’EQUAZIONE DI
BILANCIO DELLA STESSA

La grandezza "frazione di miscelamento", Z o ξ, è un indice di quanto il processo di combustione è andato


o potrebbe essere andato avanti, è definita come:

dove β è una qualsiasi variabile "conservativa" ed i pedici 1 e 2 si riferiscono rispettivamente al valore di β


nel getto che trasporta prevalentemente il combustibile e l'ossidante. Z o ξ è un numero adimensionale
compreso tra 0 e 1.

Esempi di variabili "conservative" sono la frazione di massa di una o più specie atomiche e l'entalpia totale.
Variabili del primo tipo sono le frazioni di massa Y (C,H) e Y (O) così definite:

I pedici C, H, e O messi tra parentesi sono letti come carbonio, idrogeno ed ossigeno atomico legati o non a
tutte le specie chimiche presenti in una prefissata massa di controllo, per cui Y (C,H) è la frazione di massa
di tutto il carbonio ed idrogeno atomico presente in tutte le specie molecolari associate ad un volume di
controllo di densità ρ . Mentre aC,i, aH,i, aO,i sono il numero di atomi di C, H ed O nella specie i-ma. Y
(C,H) è in pratica la frazione di massa del combustibile "reagito e non", per cui Y (C,H) potrebbe essere
scritto come: Y comb.

Le frazioni di miscelamento riferite a Y (C,H) ed Y (O) divengono:

E’ interessante evidenziare che Zf e Zo sono uguali sotto l'ipotesi di equidiffusione. Verificheremo questa
affermazione sotto l'ipotesi che nei due getti vi siano anche diluenti. In questo caso nel getto identificato
col pedice 1 oltre alla frazione di massa del combustibile Y (C,H)1 vi sarà un diluente con frazione di massa

l'espressione a destra dell'uguaglianza indica che la frazione di massa del diluente sul getto 1 è una

frazione della frazione di massa del combustibile. Analogamente, sotto

31
l'ipotesi di equidiffusione, in un punto qualsiasi del campo alla frazione di massa del combustibile Y (C,H)
sarà associata una frazione di massa di diluente:

Lo stesso ragionamento può essere applicato alla frazione di massa dell'ossidante Y (O) a cui sarà associata
una frazione di diluente.

Pertanto, in considerazione del fatto che la somma di tutte le frazioni di massa deve essere uguale a uno.

Per cui rimane dimostrato che:

cioè : Zf = Zo.

Un'altra relazione importante per ciò che si dirà in seguito è legata alla frazione di miscelamento in
corrispondenza del rapporto stechiometrico ν s . Le frazioni di miscelamento saranno affette dal pedice

“st” là dove è valida che prende la forma di:

L'equazione del bilancio di una generica specie, che serve a determinare il luogo dei punti per cui la

frazione di miscelamento assume il suo valore stechiometrico, può essere espressa, come: ,
dove C è l'operatore di "conservazione".

Moltiplicando su ambo i lati dell’equazione di bilancio della specie i-ma per e operando la
sommatoria estesa a tutte le specie, l'equazione di bilancio si riduce ad un'equazione di conservazione per

32
Tracciante
Definiamo tracciante di un flusso gassoso una sostanza inerte, dispersa uniformemente in una parte del
flusso, con caratteristiche tali e concentrazione talmente bassa da non alterare l’evoluzione termica,
dinamica e fluidodinamica del flusso stesso. Il tracciante dovrà avere anche la proprietà di non diffondere
ma di essere trasportato alla velocità media del campo. In tal modo la sua frazione di massa Yt sarà
costante nel tempo ovverosia la derivata materiale di Yt sarà identicamente nulla e cioè DYt/Dt =0.

E’ difficile realizzare sperimentalmente un tale tracciante in un flusso gassoso perché esso non può essere
un gas, in quanto quest’ultimo per definizione diffonde, il tracciante non può essere una particella solida
di dimensioni eccessivamente grandi e tali da non rispondere istantaneamente alle accelerazioni del flusso
medio. In pratica l’unico tracciante, con proprietà sufficientemente simili a quelle date nella definizione, è
una particella per cui il numero di Stokes sia inferiore all’unità e per cui il numero di Schmidt sia superiore
a 1000. E’ infine necessario specificare che l’iniezione di un tracciante in un campo di moto noto è
concettualmente molto semplice perché ogni particella del tracciante segue la traiettoria di un punto senza
massa. Ovviamente l’integrazione della DYt/Dt nel tempo può presentare problemi di integrabilità associati
al possibile andamento caotico delle traiettorie. Ciò è vero anche quando il campo di moto è ben definito
come nei campi laminari. Si è in presenza in questo caso della cosiddetta turbolenza lagrangiana.

Interfaccia
Quando in una porzione di un flusso è immesso un tracciante, questo si disperderà e definirà per un fissato
istante un’interfaccia. Questa è la superficie del campo di moto su cui la concentrazione del tracciante è
discontinua, passando da zero ad un valore finito su una superficie di spessore infinitesimo. In altre parole
un’interfaccia è il luogo dei punti dello spazio in cui il ∇Yt è infinito. La concentrazione delle particelle è
misurata per mezzo di una tecnica di diffusione elastica della luce. Al nero corrisponde una zona in cui la
concentrazione del tracciante è zero. Al bianco corrisponde una zona in cui la concentrazione del tracciante
è uguale a quella dello stesso durante l’immissione. E’ interessante notare che la concentrazione del
tracciante non può variare nel tempo per definizione. Ovviamente, se la risoluzione con cui viene
osservata la dispersione spaziale del tracciante è limitata, può essere dato il caso in cui, in un volume di
controllo, vi possono essere più interfacce non risolvibili. In questo caso la concentrazione appare cambiare
anche all’interno dell’interfaccia. Infine può anche succedere che, nella pratica, la concentrazione del

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tracciante è talmente bassa da creare delle difficoltà per il suo rilevamento. Ciò avviene quando esso è
trasportato in strutture filamentose così sottili che la distribuzione continua dello stesso viene a mancare.
Malgrado questi inconvenienti di tipo sperimentale, l’interfaccia è una caratteristica della dispersione di un
gas in un altro facilmente misurabile, perché ha un chiaro carattere euleriano.

DEFINIZIONE DI SUPERFICIE MATERIALE E INTERMATERIALE.

Una superficie viene detta materiale quando è costituita da punti identificati con un tracciante. In altre
parole una superficie è materiale quando evolve materialmente ovverosia quando segue l’evoluzione
materiale (o sostanziale) dei punti che la compongono. Per esemplificare, si consideri una superficie al
tempo t0 come quella ottenuta dalla sua traccia nella prima immagine a destra della figura precedente.
Ogni punto della superficie segue una definita traiettoria. Al generico tempo t l’insieme dei punti comporrà
una nuova superficie che oltre a traslare e ruotare si estenderà o si contrarrà. Nella figura suddetta
vengono schizzate superfici materiali a partire da una superficie fissata arbitrariamente al punto t0. In
teoria una superficie materiale non può presentare soluzioni di continuità anche se in pratica può essere
soggetta ai limiti di rilevabilità prima discussi in relazione all’interfaccia. Una superficie materiale può, oltre
che traslare e ruotare anche piegarsi, arrotolarsi nonché, come detto prima, stirarsi. Lo stiramento di una
superficie è definito come l’andamento temporale dell’area di una superficie. Il rapporto di stiramento SR
(tale sigla sta per stretch ratio) è il rapporto dell’area della superficie materiale al tempo t rispetto all’area

al tempo to , pertanto

La velocità di stiramento K è la derivata logaritmica e viceversa

Una superficie intermateriale è una superficie materiale definita al tempo to su un’interfaccia.


Generalmente le superfici intermateriali di interesse pratico sono quelle che sono limitate in parte dal
punto (o linea) di primo contatto. Per punto (o linea) di primo contatto si intende il punto (o linea) della
interfaccia attraverso cui passa il tracciante con il più piccolo tempo di residenza. Ad esempio in un getto, la
linea di primo contatto è il bordo dell’orifizio di uscita del getto. Infatti tutte le possibili interfacce, ottenute
tracciando il getto, passano lambendo il bordo con tempo di permanenza praticamente zero. Nei getti
contrapposti il punto di primo contatto è il punto di ristagno.

34
DEFINIRE IL MODELLO DI BURKE-SHUMANN PER UNA FIAMMA CON VELOCITA’DI REAZIONE INFINITA E
SUCCESSIVAMENTE ILLUSTRARE I DIAGRAMMI(T,Z) E (Y,Z) SIA NEL CASO DI FIAMMA INFINITAMENTE
SOTTILE CHE NEL CASO DI MODELLO CON L’IPOTESI DI EQUILIBRIO TERMODINAMICO.

Con la dicitura fiamma con velocità di reazione infinita si intendono fare le seguenti ipotesi:

dove stanno per le frazioni di massa degli atomi C, H ed O legati a specie molecolari che
non hanno ancora reagito nel processo di ossidazione esotermica. Dalla I) si deduce che tutto il calore di
combustione è rilasciato sulla superficie Z =Zst , per cui la temperatura in quel punto corrisponde alla

temperatura adiabatica di fiamma di Zst, sono pertanto fissati i valori di T, per Z =0,

Z =1 e Z = Zst.

Va sottolineato che Zst è riportato in un campo spostato verso valori bassi di Z , per rappresentare ,
esemplificativamente, lo sproporzionamento esistente nei rapporti aria combustibile per gran parte dei
combustibili fossili. Le temperature in Z =0 e Z =1 sono quelle iniziali dei getti prima che entrino in contatto,
per cui sono fissate come se fossero quelle in condizioni normali (T=15 °C). Infine è da notare che mentre

per a Z =1 si è assunto un valore pari a uno considerando il combustibile non diluito, per
a Z =0 si è assunto un valore intorno a 0,2 considerando l'ossigeno di una miscela d'aria. Una miscela
reagente di gas ideali è caratterizzata da un unico stato di equilibrio chimico, in cui tutte le reazioni
elementari sono a loro volta in equilibrio. La composizione dei prodotti finali di equilibrio possono essere
calcolati per mezzo di procedure basate sulla minimizzazione dell'energia libera o su formulazioni basate
sulle costanti di equilibrio.

Contemporaneamente è necessario calcolare la temperatura adiabatica del mezzo reagente esotermico


per mezzo di un'equazione di conservazione dell'energia totale. L'assunto di base di questo secondo
approccio è che la composizione del mezzo sia quella di equilibrio in un intorno della frazione di
miscelamento stechiometrico. In altre parole la temperatura e la composizione chimica dipendono,

35
unicamente dalla frazione di miscelamento Z per . L'ipotesi si basa sulla
considerazione che nel campo delle frazioni di miscelamento, nel quale le reazioni di ossidazione hanno
luogo, queste procedono così velocemente che la produzione dei prodotti di combustione è unicamente
controllata dalla diffusione. Le differenze sostanziali rispetto all'approccio descritto in precedenza sono sia
che nell'intorno della frazione di miscelamento Zst la temperatura non presenta discontinuità sia che è
possibile prevedere la presenza di più specie chimiche, che comprendono anche prodotti di dissociazione.

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LEZIONE 14 – Autocombustione stratificata
L’autocombustione stratificata è un processo di combustione sostanziale adiabatica quasi-omogenea,
quest’ultima caratteristica è legata al fatto che i gradienti delle variabili primitive influenzano l’evoluzione
della reazione. Tale processo evolve secondo due sottoprocessi, il primo è un miscelamento in condizioni
inerti in cui vi è trasporto diffusivo delle specie, e il secondo è un processo regolato punto per punto dalla
sola combustione omogenea, quindi evolve indipendentemente dal trasporto diffusivo. In virtù di queste
caratterizzazioni, il bilancio di una qualsiasi variabile estensiva φ presenterà i soli termini di accumulo e di
produzione che si eguagliano:

L’evoluzione ossidativa della miscela evolve in tempi caratteristici molto brevi rispetto a quelli associati
all’evoluzione chimica. L’analisi dei tempi di esplosione si effettua mediante diversi criteri di
categorizzazione. Un primo dei quali è possibile ricavarlo dal diagramma in figura, in cui è riportata la
dipendenza della temperatura in funzione del tempo per la
combustione del metano a pressione ambiente; si nota che la
zona relativa all’autoignizione ha un tempo relativamente
lungo ed è caratterizzata da un valore di temperatura
pressoché costante nell’intervallo temporale dell’esplosione
abbiamo una brusca impennata della funzione per poi tendere
asintoticamente nella zona di esaurimento, alla temperatura
adiabatica di fiamma.

Il secondo criterio di categorizzazione si basa sull’andamento della


derivata seconda della temperatura in funzione del tempo: scelto
arbitrariamente un valore molto piccolo, è possibile dividere
l’intero processo in cinque fasi denominate di innesco, ignizione,
esplosione, esaurimento e terminazione. In questo caso il tempo
di esplosione, cosi come il tempo di ignizione, è pressoché uguale
a quello determinato col criterio precedente. Attraverso questo
modello, dunque, è possibile caratterizzare meglio dal punto di
pista cinetico le fasi.

37
In un processo di autocombustione, una temperatura caratteristica è la TEMPERATURA DI MISCELAMENTO
CONGELATO, ovvero la temperatura che il sistema raggiunge quando combustibile e comburente sono
miscelati senza scambio di calore, rappresenta così la temperatura minima ammissibile. Altra temperatura
protagonista del processo è la TEMPERATURA MASSIMA DEL PROCESSO che una miscela può raggiugere
senza vincoli sulla reattività. Infine per un determinato campo di pressione, temperatura e composizione è
univocamente fissata la TEMPERATURA
DI EQUILIBRIO TERMODINAMICO. Sul
diagramma dell’evoluzione della
temperatura in funzione della frazione
di miscelamento, è interessante notare
per un sistema di combustione, ovvero
per quel sistema in cui sono definite le
caratteristiche dei reagenti,
l’andamento della temperatura di
autoignizione in funzione del tempo di
residenza all’interno del reattore. In
particolare notiamo che la temperatura
è proporzionale alla diluizione; per un
tempo di residenza fissato, la temperatura è approssimativamente costante fino a valori di Z circa 0.5, a
diluizioni più alte la temperatura cresce gradualmente. Tanto più breve è il tempo di residenza all’interno
del reattore, quanto più alta deve essere la temperatura di autoignizione affinché il processo possa avvenire.
Come criterio generale bisogna aspettarsi che i processi di autoignizione controllati da reazioni unimolecolari
sono con buona approssimazione indipendenti dalle concentrazioni e sono funzioni della sola temperatura;
nelle reazioni termolecolari, invece, il tempo di autoignizione è inversamente proporzionale alle
concentrazioni.

L’esplosione ad orologeria
differisce da un evoluzione
lenta quando i tempi di
esplosione sono più brevi dei
tempi di autoignizione; in
particolare, il criterio di
separazione tra i due regimi è
fissato dal rapporto tra il
tempo di autoignizione e
quello di esplosione:
parleremo di esplosione ad
orologeria (Clockwork
Explosion) quando detto
rapporto è maggiore dell’unità, altrimenti, quando il rapporto è minore di 1 l’autocombustione evolve con
continuità. In figura sono rappresentati i campi di esplodibilità ad orologeria con curva tratteggiata. Il limite
inferiore, detto di esplosione immediata (Prompt Explosion), è approssimativamente invariante rispetto alla
frazione di miscelamento perché è definito su valori molto bassi di quest’ultima. Il limite superiore, detto di
esplosione “addolcita” (Mildened Explosion), corrispondono a frazioni di miscelamento più piccole al
diminuire del tempo di residenza in quanto per tempi molto brevi non si riescono ad innescare le reazioni a
catena ramificata che caratterizzano l’esplosione.

38
Per esplosione MILD si intende un processo
di esplosione in uno dei due reagenti o è
fortemente diluito o è fortemente
preriscaldato. È possibile definire quattro
regimi di combustione a partire da tre ΔT
caratteristici, cioè , che rappresenta la
differenza tra la
massima temperatura e quella di ignizione;
, la differenza tra la
temperatura di ingresso e quella di
ignizione. Si può inoltre identificare il come
differenza tra la temperatura di
autoignizione e quella standard. Parleremo
dunque di esplosione MILD quando un sistema alimentato in condizione di forte diluizione ed elevato
preriscaldamento soddisfa la doppia condizione:

39
STRATO DIFFUSIVO INSTAZIONARIO, SPESSORE DELLO STATO DI MISCELAMENTO, ANDAMENTO DELLA
ERROR FUNCTION IN FUNZIONE DELLA VARIABILE DI BOLTZMANN

Uno strato diffusivo instazionario unidimensionale è descritto dall’equazione: , la quale è


una equazione di conservazione della frazione di miscelamento Z in condizioni non reattive ed a densità costante.
L’evoluzione di Z si può ottenere dall’integrazione in Z secondo una procedura consistente nell’impiego della variabile
di Boltzmann , combinazione di x e t.

In tal modo imponendo le condizioni ai limiti si ottiene la soluzione:

Nella quale si è definito lo spessore dello strato diffusivo di miscelamento

e la funzione errore

Una espressione approssimata dello spessore dello strato diffusivo incompressibile è data dal valore di x
per cui Z = 0.05 o Z = 0.95. Essa sarà che è proprio la quantità con cui si adimensionalizza la x nella

combinazioni di variabili di Boltzmann , la quale vale 0 al centro dello strato diffusivo ed


all’incirca 1 nella zona periferica. Tale spessore cresce nel tempo con una velocità che seguirà la legge:

Si riportano gli andamenti di Z(x) e erf(ξ).

N.B.: erf(ξ) è zero per ξ = 0 e sale linearmente per valori inferiori ad 1 per poi tendere asintoticamente ad 1. Per
ξ < 0.9, è possibile fare l’approssimazione erf(ξ) = ξ.

STRATO DIFFUSIVO CONVETTIVO STAZIONARIO, DIPENDENZA DI Tmax E Z DA χ


Uno strato diffusivo stazionario può essere realizzato solo si vi è un trasporto convettivo che impedisce la naturale
crescita dello spessore dello strato. La condizione fluidodinamica descritta dall’equazione unidimensionale convettiva

diffusiva stazionaria è solo parzialmente soddisfatta sull’asse (o


piano) di simmetria di due getti contrapposti (immagine alla pagina seguente). Il campo

di moto è descritto dall’equazioni il quale può essere approssimato

da un flusso potenziale in cui le componenti delle velocità siano dipendenti dal solo

parametro “a”, ovvero: e quindi l’equazione di prima

può essere riscritta

40
La descrizione del campo dipende parametricamente solo da “a”, gradiente di velocità, da cui a sua volta dipende lo
spessore di miscelamento . Ulteriore parametro da definire è la velocita di dissipazione della frazione di

miscelamento , ottenuta dall’integrazione dell’equazione di bilancio dell’entalpia sensibile ed ha le


dimensioni dell’inverso del tempo. Tale parametro determina la velocità di reazione e controlla il flusso delle specie
chimiche e dell’entalpia sensibile che alimenta la zona di reazione.

Una notevole semplificazione sarebbe possibile ottenerla conoscendo l’andamento della temperatura adiabatica di
fiamma e della frazione di mescolamento in funzione di tale velocità di dissipazione χ. Le ipotesi più significative del
modello sono:

 Fiamma infinitamente sottile per Z = Zst;


 Equilibrio chimico;
 Singola reazione con velocità di reazione finita con alta energia di attivazione, a cui sono associati i modelli
cosiddetti asintotici.

Per mezzo della teoria asintotica si dimostra che nella fiamma a diffusione stazionaria e unidimensionale risulta che:

dove a è il gradiente di velocita assiale che caratterizza il campo di moto ed è costante.


Dunque χst è funzione solo di Zst ed inoltre i modelli numerici predicono
che all’aumentare della velocità di dissipazione χ la Tmax assume valori
che decrescono lentamente ed esiste il valore χq è detto di “quenching”,
ovvero valore al di sotto del quale si ha un’estinzione della fiamma. Al
lato il diagramma di Tmax in funzione di χ-1.

Per valutare la frazione di miscelamento Z in funzione di χ è possibile dimostrare la seguente relazione:

Per cui, prendendo d’esempio il metano, l’andamento dello spessore di


fiamma da cui dipende strettamente il fattore di miscelamento sarà di
questo genere:

STRATO DIFFUSIVO CONVETTIVO INSTAZIONARIO, FATTORE DI STIRAMENTO


Si considera una terna di assi ortogonali xn, xt1, xt2 con origine nel punto materiale P. Si ipotizza che le linee (o
isosuperfici) a Z = cost siano sempre parallele alla linea intermateriale e che la curvatura della linea stessa nell’intorno
di P sia sufficientemente piccola da poterle
considerare “quasi piatte”.

In questo caso l’equazione di conservazione della


frazione di massa sarà un’equazione unidimensionale:

41
Sviluppando un in serie di Taylor lungo la xn, trascurando i termini di ordine superiore al primo e approssimando

alla velocità di stiramento della superficie K, l’equazione diventa:

e rappresenta lo strato diffusivo convettivo instazionario sotto l’ipotesi di linearizzabilità del campo di moto (ovvero
u=-Kx) ed p uno strato diffusivo analogo a quello del caso stazionario in cui le condizione di immissione dei getti variano
nel tempo. La frazione di miscelamento Z viene ottenuta integrando l’equazione e sarà descritta nuovamente dalla

funzione errore: dove in questo caso risulta e quindi lo spessore


dello strato diffusivo δm differisce da quello non stirato per un fattore di stiramento ϒ. Lo spessore dello strato
diffusivo anche nel caso non stirato tende ad aumentare per effetto della sola diffusione mentre a
questo ispessimento si oppone lo stiramento (quantificato dal fattore ϒ) della isosuperficie intorno alla superficie
intermateriale che induce uno schiacciamento dello spessore di strato diffusivo (e questo inficia la possibilità reale di
miscelazione dei fluidi).

42
Schematizzare un doppio strato diffusivo e descrivere come varia nel tempo e nello spazio la
distribuzione della frazione di miscelamento nel processo. Determinare l'espressione dei flussi
diffusivi per il caso di "strato isolato" e per il caso di "doppio strato".

La distribuzione della frazione di miscelamento del processo, Z, può essere pensata come la differenza di
due distribuzioni Z1 e Z2, a loro volta intese come funzioni errore determinate sulle variabili adimensionali
ξ1 e ξ2 (quest’ultima dipendente anche da Δn che rappresenta la distanza tra le due superfici
intermateriali). Otteniamo quindi la funzione nel tempo e nello spazio:

Di tale espressione è possibile tracciare un grafico relativo alla distribuzione temporale il quale, da un punto
di vista qualitativo, si presenta nella maniera seguente:

I profili delle Z riportati interferiscono solo dopo un certo intervallo di tempo, in modo che la Z non assume
più valori unitari, ma decresce progressivamente.

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Nel caso in cui , per cui Z si distribuisce come nel caso dello strato diffusivo

isolato (vedi distribuzione Z1 nella prima immagine mostrata), il flusso diffusivo attraverso una
superficie posizionata ad x=0 ed unitaria nel tempo t=0 può essere ottenuto attraverso la seguente
relazione

Infatti per la legge di Fick nel caso non stirato il flusso diffusivo è il quale deve essere moltiplicato
per il rapporto di stiramento SR al fine di ottenere il flusso attraverso la superficie che vale 1 al tempo zero
ed SR al tempo t. Ricordando le formule di derivazione della funzione errore si ottiene:

per cui il flusso diffusivo, nel caso stirato isolato, può essere espresso

Nel caso stirato si ottengono due effetti principali: oltre all’ aumento della superficie materiale attraverso
cui avviene lo scambio e valutabile per mezzo di SR, si ha anche uno schiacciamento dello spessore di strato
diffusivo in quanto

essendo il fattore di schiacciamento generalmente minore di 1, si ottiene che lo strato diffusivo stirato è
più piccolo di quello che si otterrebbe in condizioni isolate.

Il flusso diffusivo nel caso di doppio strato si ottiene sostituendo nell’espressione del flusso isolato la
derivata della Z ottenuta nel caso di doppio strato

44
nell’ipotesi che

Per cui ricordando quanto vale si ottiene

dove Csat è compreso tra 0 ed 1 e vale 1 nel caso in cui . Csat costituisce un fattore di
saturazione che tiene conto, nel caso di doppio strato, della presenza di uno strato diffusivo adiacente ad
un altro strato diffusivo (supposto isolato). Qui di seguito se ne riporta il grafico in funzione del rapporto
adimensionalizzato tra la distanza dei due strati (distanza tra le due interfacce) e lo spessore dello strato:

Si può osservare come per un valore di uguale a 2, Csat vale circa 1 (precisamente 0.86) e per

circa 1, Csat vale 0.63, per cui si può apprezzare che, fino a quando Δn è maggiore o uguale a due volte ,

lo strato diffusivo si comporta come se fosse isolato. Invece, per valori di minori di 0.1 lo strato
diffusivo è stato quasi completamente saturato dal secondo, mentre per valori intermedi i due strati
diffusivi interagiscono tra loro.

45
Descrivere il processo di fiamma tripla

La fiamma tripla è una struttura di combustione in cui si sviluppa un processo di fiammadiffusione che ha
caratteristiche sia della fiamma premiscelata sia di quella a diffusione. Uno schema bidimensionale, dal
punto di vista qualitativo, può presentarsi nella seguente forma:

Le linee sottili rappresentano le isosuperfici a diversi valori di frazione di miscelamento Z. La linea


tratteggiata è l’isosuperficie relativa ad una Z stechiometrica. Su tale distribuzione si instaura una fiamma
che è rappresentata dalla zona nero-scura a forma di freccia. In questa avviene il rilascio di calore per
ossidazione del combustibile. Nel punto triplo situato all’apice della fiamma, sulla isosuperficie
stechiometrica, la combustione si propaga con una fiamma premiscelata. Il fronte di fiamma si incurva nelle
zone più ricche e più povere di combustibile, perché in queste condizioni la velocità di propagazione
laminare di fiamma è sempre più bassa di quella che si ottiene lungo Z=Zst. Questa fiamma premiscelata
curva lascia alle sue spalle al suo passaggio due regioni in cui vi sarà un residuo di combustibile o di
ossidante, rispettivamente nella zona ricca e povera. Pertanto lungo l’isosuperficie stechiometrica si
instaura una fiamma a diffusione che completa l’ossidazione del combustibile o comburente in esubero
rispetto allo stechiometrico.
Distinguiamo quattro schemi di fiamma tripla. Il primo, rappresentato in basso a sinistra della immagine in
alto, presenta il ramo relativo alla fiamma premiscelata relativamente piatto: questa condizione si realizza
quando la miscela è quasi omogenea per cui le isosuperfici sono molto distanziate tra loro. All’estrema
destra, invece, è rappresentato il caso in cui il ramo premiscelato è molto curvo, praticamente parallelo al
ramo diffusivo: si tratta della condizione in cui i gradienti Z intorno alla Zst sono molto forti. Per giustificare
il diverso grado di curvatura del ramo premiscelato dobbiamo introdurre il parametro di stratificazione B,
definito come

Ovvero è il rapporto tra lo spessore della fiamma premiscelata (in condizioni stechiometriche e non

stirate) e lo spessore dello strato reattivo . La prima grandezza dipende solo dalla composizione e dallo
stato termodinamico della miscela ed è una misura della velocità di reazione media

46
mentre la seconda grandezza dipende dall’evoluzione fluidodinamica della miscela e dà conto della sua
stratificazione

Per un valore del parametro stratificazione B uguale a zero si ottiene la struttura con ramo premiscelato
piatto e la velocità di propagazione di fiamma è uguale a quella del caso deflagrativo “classico”. Per B circa
uguale ad 1 la curvatura e la zona coinvolta nella fiamma a diffusione son, approssimativamente, dello
stesso ordine di grandezza (secondo schema di sinistra nella figura). All’aumentare di B si ottengono due
valori notevoli: Bo in corrispondenza del quale la velocità di propagazione della fiamma diventa negativa, e
e Bq in corrispondenza del quale si ha l’estinzione della fiamma tripla.
La fiamma tripla si propaga verso i gas incombusti o combusti se lungo la isosuperficie stechiometrica la

velocità di dissipazione (o equivalentemente B) varia in modo tale che ottenga valori


superiori a quelli associati all’estinzione.

47
1) Descrivere un processo autopoietico, riferendosi ad un esempio.

Un processo elementare di combustione descritto da una fissata soluzione di equazioni è di tipo


“autopoietico” quando una variazione delle condizioni al contorno non influenza “significativamente” la
soluzione stessa per cui le perturbazioni indotte dall'ambiente (le condizioni al contorno) non alterano
significativamente l’organizzazione interna della struttura. Per esempio due processi di fiamma-diffusione
alimentati con reagenti a differenti temperature attingeranno temperature adiabatiche di fiamma differenti
(in prima approssimazione le variazioni saranno lineari con le variazioni delle temperature dei reagenti).
Tuttavia non si registreranno variazioni fuori da questa proporzionalità e soprattutto le altre caratteristiche
del processo saranno conservate. Infatti i massimi di temperatura e del rilascio del calore saranno localizzati
nell’intorno delle condizioni stechiometriche e i reagenti non si misceleranno significativamente al di fuori
della zona di reazione.

2)/5) Definire il processo di ignidiffusione, evidenziando, mediante la scrittura delle equazioni di


bilancio, le differenze con il processo di diffusione.

L’ignidiffusione può essere definito come il processo elementare di combustione diffusiva in cui la soluzione
delle equazioni descrittive preveda che il massimo di rilascio di calore non sia correlato strettamente al
massimo delle massime conversioni chimiche possibili. Le equazioni descrittive sono riferite ad una
condizione asintotica che bene schematizza la minore rilevanza del rilascio di calore nell’evoluzione del
processo.

La formulazione in forma chiusa del modello che regge i processi elementari di Igni-diffusione (in senso
stretto) in condizioni unidimensionali “stirate” comprende le equazioni di bilancio dell’entalpia sensibile,
delle masse delle singole specie chimiche, della quantità di moto e della conservazione della massa così
come riportati nelle seguenti equazioni:

Queste equazioni sono uguali a quelle che reggono i processi elementari di fiamma-diffusione. K= è
la velocità di stiramento della superficie perpendicolare alla variabile spaziale principale. Il sistema di
equazioni è qui riportato nella formulazione materiale, in cui i primi due termini di ogni equazione
rappresentano, per l’appunto, una derivata materiale (o sostanziale).

L’ignidiffusione quando degenera in una struttura stazionaria è retta dalle stesse equazioni delle fiamme a
diffusione. Le differenze più rilevanti tra i due processi sono:

• la distribuzione del rilascio di calore in un campo più ampio che nel caso della fiamme a diffusione
“classiche”.

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• l’occorrenza del massimo di rilascio di calore in campi delle frazioni di miscelamentolontani dalle
condizioni stechiometriche.

La prima caratteristica è associata al “temperamento” delle temperature massime associato all’evoluzione


delle reazioni chimiche in generale, mentre la seconda caratteristica è dovuta alle temperature più alte che
si realizzano fuori dalle condizioni stechiometriche. Le caratteristiche termochimiche delle fiamme a
diffusione classiche sono distribuite sul campo delle frazioni di miscelamento secondo funzioni quasi
invarianti rispetto alla fluidodinamica. Una variazione delle condizioni al contorno può portare ad un
aggiustamento delle condizioni termo- chimiche-fluidodinamiche in modo quasi continuo e proporzionale.
Ciò comporta che una fiamma a diffusione instazionaria può essere più facilmente schematizzata come
successione di condizioni stazionarie ovverosia si comporta tendenzialmenete in modo quasi stazionario. Al
contrario non è stato ancora dimostrata la quasi stazionarietà dei processi di ignidiffusione in stazionari.

3) Descrivere lo strato di miscelamento in ignizione. Domanda molto generica, risposta molto


dubbia (mi sono riferito all'ignidiffusione in strato diffusivo quiescente), da verificare!

L’ignidiffusione in strato diffusivo quiescente (IML) è lo strato che si sviluppa a partire da condizioni
diffusive quiescenti. Il combustibile e la corrente ossidante sono, inizialmente, non miscelati, come
mostrato in fig. (linea spessa). In questa situazione, le proprietà termochimiche iniziali hanno un
andamento di funzione a gradino. Esse sono uguali a quelle del combustibile da un lato, per x<0 e
dell’ossidante dall’altro, per x>0.
A causa del forte gradiente della frazione di miscelamento all’interfaccia, la velocità di dissipazione di
questo scalare è molto alta, negli istanti iniziali del suo sviluppo, soprattutto al centro dello strato. Ciò
comporta che anche laddove siano raggiunte temperature di autoignizione, gli alti valori dei flussi diffusivi
tendono a raffreddare le zone di incipiente ignizione, con conseguente effetto inibente dell’ignizione
stessa.
Durante il processo di miscelamento, al crescere del tempo, la velocità di dissipazione dello scalare
diminuisce, come è rilevabile in fig. In essa sono riportati tre profili della frazione di miscelamento, a tempi
crescenti passando da t 1 a t 3 , che sono sempre più uniformemente distribuiti nello spazio, fino a
raggiungere la totale uniformità dopo un tempo infinito. Pertanto gli effetti di raffreddamento, legati ai
forti gradienti, si vanno sempre più attenuando e l’ignizione può avere luogo. Ovviamente nello strato di
miscelazione ignitiva semplice, qui descritto, il gradiente della frazione di miscelamento non è influenzato

49
dal campo di moto nella prima fase di innesco o ignizione del sistema perché l’espansione dei gas combusti
è praticamente nulla. Solo nella seconda parte del processo associato all’evoluzione esplosiva, l’espansione
può giocare un ruolo di addolcimento dei gradienti di tutti gli scalari. Pertanto sia la naturale tendenza
all’addolcimento dei gradienti iniziali in condizioni quiescenti iniziali, sia l’effetto di addolcimento indotto
dall’espansione inducono un’alterazione solo parziale dell’evoluzione del sistema di autoignizione
stratificata.
6)Evidenziare le principali differenze tra l’Ignidiffusione in strato diffusivo quiescente (IML) e
quello in controdiffusione (ICF).
Entrambi i processi sono retti dallo stesso set di equazioni di trasporto 4.65 (vedi su), caratteristico dei
processi di ignidiffusione. Le principali differenze tra i due processi, risiedono nelle condizioni al contorno,
che sono rispettivamente, per fiamme a IML:

,dove u, 𝐻 𝑠 , 𝑌𝑖 , e x rappresentano rispettivamente la velocità, l’entalpia, la frazione molare e la distanza ed


i pedici sono riferiti alla composizione iniziale del combustibile (comb) e dell’ossidante (ox),
rispettivamente.
Mentre, per una fiamma ICF sono:

,dove i pedici sono riferiti alla composizione iniziale del combustibile (comb) e dell’ossidante (ox),
rispettivamente. Le condizioni iniziali della fiamma corrispondono al miscelamento congelato (frozen) di
ossidante e combustibile, .

4) Descrivere il processo di controdiffusione ignitiva.


I processi di ignidiffusione in strato a controflusso ( Igniting Counterdiffusion Flame /ICF), sono descritti dal
set di equazioni di trasporto 4.65 ,dove u, h, x, e t rappresentano la velocità, l’entalpia totale, la distanza e il
tempo.
Le condizioni al contorno per una fiamma ad ignizione controdiffusiva sono invece le 4.69

7) Differenza tra la frazione di miscelamento “più reattiva” (Zmr) e quella stechiometrica (Zst).
Zst rappresenta la frazione di miscelamento in corrispondenza del rapporto stechiometrico 𝜈𝑠 , con

. Essa può essere espressa come:

50
,dove i pedici 1 e 2 si riferiscono rispettivamente al getto che trasporta prevalentemente il combustibile e
l'ossidante.
Mentre Zmr, frazione di miscelamento “più reattiva”, rappresenta la frazione di miscelamento per la quale
la temperatura attuale del sistema cresce per la prima volta a partire dalla distribuzione delle temperature
di miscelamento congelato.

7) Definizione e peculiarità dell’HDDI


8) Definizione dell’HCDI.

51
ATOMIZZAZIONE DI UN COMBUSTIBILE LIQUIDO
In un processo di combustione la necessità di atomizzare un liquido nasce dalla opportunità di aumentare la
superficie dell’interfaccia liquido-gas al fine di migliorare l’efficienza dello scambio di calore, materia e
quantità di moto tra le due fasi. L’atomizzazione quindi consiste nella frammentazione di strutture liquide
quali getti, lamine, gocce convertendo energia meccanica (in particolare, energia in cinetica) in energia
superficiale. La rottura di una struttura liquida avviene all’interfaccia tra liquido e gas di oscillazioni ondose
che, in particolari condizioni, possono amplificarsi fino a portare alla disgregazione della struttura stessa, o
comunque, favoriscono il distacco di porzioni di liquido d essa. Tali oscillazioni, a loro volta, sono favorite
dalle forze capillari, legate alla tensione superficiale, dalle forze inerziali legate alla velocità relativa delle due
fasi. La viscosità, invece, agisce in maniera da ridurre le instabilità della struttura liquida ritardandone la sua
disgregazione e incrementando le dimensioni delle strutture formate. I parametri, del liquido, che
intervengono quindi in tale processo sono la tensione superficiale σ la viscosità μ la densità ϱ.

Il processo di trasferimento di energia (meccanica o di altra natura) in energia superficiale durante il processo
di atomizzazione è ovviamente non completo. Una parte dell’energia fornita per l’atomizzazione rimane
sotto forma di energia cinetica delle strutture liquide formate durante l’atomizzazione. D’altra parte in molti
processi di combustione si vuole che il liquido atomizzato abbia una certa energia cinetica al fine di favorire
fenomeni di ulteriore atomizzazione e promuovere gli scambi di calore ed il miscelamento con l’aria del
combustibile. Infatti, la distribuzione dello spray nello spazio e il suo accoppiamento con i flussi gassosi di
comburente giocano un ruolo determinante nella ottimizzazione del processo globale di combustione.

TENSIONE SUPERFICIALE E PRESSIONE CAPILLARE


Le forze di attrazione reciproca delle molecole (forze capillari) possono essere considerate la causa
dell’insorgere della tensione superficiale. Consideriamo un liquido in un recipiente aperto: una molecola del
liquido lontana dalla superficie di discontinuità (interfaccia) è attirata da tutte le molecole nel suo intorno. Il
risultante delle forze agenti su di essa è nulla, a differenza di una molecola sulla superficie di discontinuità
che viene attratta solo dalle molecole all’interno del liquido, per cui la forza risultante è perpendicolare alla
superficie rivolta verso il liquido. Le molecole
tendono quindi ad “affondare” nel liquido e
conseguentemente la superficie di discontinuità
tende a ridursi. La superficie può essere pensata
come una membrana elastica in cui si esercita
una tensione NON proporzionale all’estensione
della superficie (tensione superficiale). In modo
più rigoroso, la tensione superficiale è la forza
per unità di lunghezza che si esercita nel piano tangente alla superficie di discontinuità liquido gas su un
arbitrario segmento della superficie.
Un semplice sistema sperimentale che permette di illustrare l’effetto della presenza della tensione
superficiale è costituito da una struttura rettangolare filiforme in cui un lato è scorrevole. Dopo l’immersione
della struttura in un liquido al suo interno si forma una lamina che tende a ritirarsi. Se al lato scorrevole viene
applicata una forza F che si oppone alla riduzione della lamina e la stabilizza, si può dimostrare che,
all’equilibrio F è direttamente proporzionale alla lunghezza del lato scorrevole l e la costante di
proporzionalità pari al doppio della tensione superficiale (“doppio” perché la forza agisce
sulle due facce della lamina) .

52
È possibile interpretare anche la tensione superficiale in termini di energia superficiale, considerando il
lavoro compiuto dalla forza F, che incrementa di Δh un lato
di un rettangolo: la tensione superficiale non è altro che la
densità di energia libera di Gibbs associata alla superficie
(rapporto tra lavoro compiuto dalla forza F e l’incremento di
area)

Questa relazione mostra come il lavoro di frammentazione di una


struttura liquida, comportando un incremento della superficie globale, richiede la trasformazione di energia
in energia superficiale in misura tanto più grande quanto maggiore è la tensione superficiale del liquido. La
reazione della tensione superficiale ad una perturbazione applicata ad una interfaccia si manifesta attraverso
l’insorgere di una pressione (detta capillare) che si oppone all’azione della perturbazione. La relazione che
lega tale pressione alle caratteristiche geometriche dell’interfaccia ed al valore della tensione superficiale è
detta equazione di Laplace. Essa consente di calcolare la forza dovuta alla tensione superficiale. Ad esempio
per una sfera di raggio R l’energia superficiale è pari a σ4πR2 : considerando una riduzione dR dovuto
all’azione della tensione superficiale la variazione di energia associata sarà di 8 πR σdR. Quest’ultima sarà
bilanciata da una variazione di pressione ΔP all’interfaccia, a cui corrisponde un lavoro ΔP4πR2dR=8πRσ, da
cui ΔP=2σ/R. Tale relazione è l’equazione di Laplace per una interfaccia sferica e rappresenta la pressione
capillare che si genera a causa della tensione superficiale all’interfaccia di una goccia sferica 1 . Nel caso di
un cilindro infinito di raggio R l’equazione di Laplace sarà: ∆P R = σ e, più in generale, la pressione capillare
per una arbitraria superficie sarà data dal rapporto della tensione superficiale e del raggio di curvatura locale
della superficie. Per tale motivo gli effetti della tensione superficiale saranno tanto maggiori quanto più
piccole sono le dimensioni caratteristiche delle strutture liquide considerate.

OSCILLAZIONI ONDOSE
Il meccanismo di rottura di una goccia, di un getto o di una lamina liquida è legato all’instaurarsi di
perturbazioni oscillatorie (onde superficiali) all’interfaccia liquido gas. La loro velocità, essendo di piccola
ampiezza, dipende dalla loro lunghezza d’onda. È possibile ricavare delle caratteristiche delle oscillazioni
ondose da una semplice analisi dell’ordine di grandezza delle varie forze in gioco. Esse, per unità di volume
si dividono in forze capillari, legate alla tensione superficiale Fc=σ/L, forze gravitazionali Fg=ϱg, forze viscose
Fv α μv/L e forze d’inerzia FI α ϱV2/L
In tali espressioni, L rappresenta una dimensione caratteristica della struttura liquida considerata ( a meno
di 2π rappresenta la lunghezza d’onda ) e V la velocità con cui si muove l’oscillazione ondosa. Dal
confronto di forze gravitazionali e forze capillari, ove possibile, è possibile ricavare una lunghezza
caratteristica detta lunghezza capillare, al di sopra della quale prevalgono le forze gravitazionali (onde
lunghe) e al di sotto della quale prevalgono quelle capillari.

53
EFFETTO DELLA VISCOSITÀ
La viscosità, a differenza della forze gravitazionali e di capillarità, ritarda il processo di atomizzazione
smorzando le oscillazioni ondose. Con l’ipotesi di regime stazionario e di trascurabilità delle forze
aerodinamiche (proporzionali alla pressione dinamica, quindi alla velocità relativa liquido-gas che si ipotizza
nulla) si vuole valutare l’effetto della viscosità sia per le onde gravitazionali che quelle capillari. Per la prima
ipotesi, supponendo una presenza di onde gravitazionali dovrà essere:

In tal caso le forze viscose saranno trascurabili se Da cui, sostituendo il valore di V calcolato
precedentemente, si ricava che onde gravitazionali non smorzate dalla viscosità possono
esistere solo se:
dove LDG è detta lunghezza di dissipazione delle onde gravitazionali

Analogamente, per le onde capillari si ricava che, affinchè le forze viscose siano trascurabili deve verificarsi
che la lunghezza L deve essere molto maggiore della lunghezza di dissipazione delle onde capillari LDC.

In definitiva, le onde capillari saranno possibili sotto la condizione ,cioè

NUMERI DI WEBER ED OHNESORGE


Quando la velocità relativa tra liquido e gas non è trascurabile, non si possono considerare esclusivamente
le sole forze interne al liquido (appena analizzate). Anzi, per velocità relativamente elevate, le forze
aerodinamiche diventano le forze dominanti dei processi di atomizzazione. Intese come sforzi, agiscono pg
perpendicolarmente all’interfaccia e va a contrastare la pressione capillare generata dalla tensione
superficiale e la τg che, tangenzialmente alla superficie, aiuta la rimozione di particelle di liquido da essa.
Ambedue sono proporzionali alla pressione dinamica del gas calcolata come ½ ϱv2, dove v è la velocità
relativa gas-liquido. Una misura dell’importanza relativa alla pressione dinamica rispetto a quella capillare
è data dal numero di Weber, indice della possibilità di atomizzare un liquido.

[Talvolta, soprattutto nel caso dei fenomeni di rottura di un getto liquido, si fa riferimento ad un numero di
Weber riferito alla colonna liquida, in cui compare quindi la densità del liquido e non quella del gas.
Indichiamo tale numero come:
Tale numero dà una misura del rapporto tra le forze di inerzia del getto e le forze capillari]

Le forze viscose si oppongono all’atomizzazione. Il numero adimensionale che dà una misura della possibilità
di atomizzazione è il numero di Ohnesorge. Esso può essere considerato,

54
dimensionalmente, come √𝑊𝑒 Re. Tutte le quantità presenti in tale numero sono riferite al liquido.

Ritornando al numero di Weber, esiste un valore critico al di sotto del quale la rottura della goccia non è
osservabile su tempi significativi per le applicazioni pratiche. Esso può essere ricavato imponendo l’equilibrio
tra forze aerodinamiche e capillari.

Per valori del numero di Weber inferiori a quello critico, Wegc , la rottura delle gocce non è impossibile ma,
se si verifica, non è dovuta all’azione diretta della corrente d’aria bensì a fenomeni di instabilità della goccia
eventualmente indotti dall’interazione con l’aria. La determinazione del valore di Wegc è stata oggetto di
numerosi lavori sperimentali. In linea generale il valore di Wegc c è funzione delle caratteristiche del flusso
gassoso e delle proprietà dei mezzi. In linea di massima per velocità nell’ordine delle decine di metri al
secondo e mezzi poco viscosi il valore di Wegc è un numero tra 10 e20. Esiste una relazione sperimentale che
lega il Wegc il numero Oh. Il numero di Weber critico, come risulta dal diagramma, è circa 12 per numeri di
Ohnesorge inferiori a 0.1. Per Z maggiori il numero di weber cresce in maniera molto rapida. In altre parole
se Z è alto, ovvero se la viscosità assume valori sempre più grandi, la rottura della goccia diviene sempre più
difficile ed infine è praticamente impossibile.

55
LEZIONE 19

DESCRIVERE IL PROCESSO DI BREK UP SECONDARIO

Il fenomeno della frammentazione secondaria di gocce liquide rappresenta il punto centrale di un modello a
cascata della frammentazione nel quale le rotture delle gocce, che avvengono attraverso pochi meccanismi
elementari, si susseguono fino ad arrivare a dimensioni finali dei frammenti liquidi caratterizzate da un We
inferiore ad un determinato valore critico. Il valore critico del numero di Weber è intorno a 12 nel caso di
viscosità bassa o trascurabili, altrimenti per valori di viscosità maggiori tale valore va corretto da una
correlazione del tipo:

Meccanismi di frammentazione di gocce

La classificazione dei fenomeni di frammentazione delle gocce viene in funzione del numero di We, elaborata
da Pilch e Erdman. In tale schema si individuano:

• rotture a sacchetto
• rotture ad ombrello
• rottura per strappamento
• rotture catastrofiche

Tale classificazione non va accettata in maniera acritica in quanto la successione dei regimi è fortemente
dipendente dalle proprietà del liquido e, in particolare, dalla viscosità. E’ necessario creare un accurato
sottomodello nel processo di atomizzazione, ad esso viene data la responsabilità di ricostruire una
distribuzione finale della funzione di distribuzione delle dimensioni e delle velocità delle gocce accurata. I
processi attivi nel processo di preparazione della miscela ingibile dal sistema di iniezione possono avere
dipendenze funzionali dalle dimensioni delle gocce anche significativamente differenti. Dato che le forze
aerodinamiche che agiscono su una particella liquida dipendono dal quadrato delle dimensioni delle gocce
mentre la massa delle gocce dipende dal cubo della dimensione, la interazione tra dinamica delle gocce e
loro velocità di vaporizzazione cambia in dipendenza dalle dimensioni delle gocce.

Coalescenza

Affinchè si abbia un fenomeno di coalescenza è necessario che si abbia un impatto fisico tra due gocce con
opportune velocità relativa, diametro relativo e angolo di impatto.

Nella pratica la collisione è sicuramente un fenomeno che è favorito nelle regioni molto dense di uno spray e
che, per questo motivo, la disponibilità di dati sperimentali è alquanto incerta.

In definitiva nella maggior parte dei sistemi pratici di combustione di liquidi il fenomeno di coalescenza viene
trascurato o tenuto in conto con fattori correttivi empirici.

56
Funzione di distribuzione delle dimensioni

.Le dimensioni delle gocce sono individuate per mezzo di una funzione densità di probabilità delle
dimensioni o dalla sua funzione di distribuzione delle probabilità P(D) che sono legate dalla relazione:

Il processo di disintegrazione di un getto liquido è un processo stocastico che da luogo ad un insieme di gocce
che hanno dimensioni che variano in un intervallo che può essere più o meno largo in dipendenza
dell’atomizzatore utilizzato.

Molto spesso vengono utilizzati dei diametri medi, che corrispondono a momenti statistici della p(D), che
consentono di caratterizzare in maniera sintetica la distribuzione delle dimensioni o di altre quantità quali
area superficiale, volume o rapporti tra queste quantità.

In generale si definiscono i diametri medi Di,j come:

Ci sono esempi di tali diametri medi quali:

• D1,0 che è il valore medio statistico delle dimensioni di tutte le gocce dello spray

• D2,0 è il diametro di una goccia la cui area superficiale se moltiplicata per il numero di gocce dello
spray da il valore dell’area superficiale totale dello spray

• D3,0 è il diametro di una goccia il cui volume se moltiplicato per il numero di gocce dello spray da il
valore del volume totale dello spray

Il momento D3,2, denominato diametro medio di Sauter (SMD), è il diametro di una goccia per la quale il
rapporto tra volume e area superficiale sia lo stesso di quello relativo all’intero spray.

La funzione di distribuzione delle dimensioni di uno spray è una funzione arbitraria e fortemente dipendente
dal tipo di atomizzatore impiegato e dal suo regime di funzionamento. La completa conoscenza dello stato di
uno spray implica il poter disporre della funzione di distribuzione congiunta delle dimensioni e delle velocità
delle gocce in ogni punto dello spray.

Dunque l’atomizzazione è un processo complesso di trasferimento di energia al liquido sia in termini di


energia superficiale che cinetica dei frammenti liquidi prodotti, l’efficienza del trasferimento in energia
superficiale è molto bassa.

La rilevante componente di energia cinetica residuale può comunque essere vantaggiosamente utilizzata per
favorire la dispersione del liquido nella corrente gassosa.

57
Classificazione degli atomizzatori

Una maniera semplice di classificare i molteplici sistemi di atomizzazione commercialmente disponibili è


basata sul meccanismo di trasferimento dell’energia al liquido:

• ugelli in cui l’energia cinetica viene trasferita direttamente al liquido per mezzo di un salto di
pressione che avviene in corrispondenza della sezione di uscita dell’ugello

• ugelli nei quali l’energia cinetica di rottura viene trasferita al liquido per mezzo dell’interazione con
un flusso gassoso (aria o vapore)

Esistono, infine, altre classi di atomizzatori che non rientrano in questa classificazione generale e che
sfruttano sistemi acustici, piezoelettrici o ultrasonici per indurre oscillazioni controllate al liquido. In tal modo
essi possono garantire un più efficace controllo del processo e delle dimensioni e velocità finali delle gocce.

Atomizzatori a pressione: plain nozzles

I plain nozzles sono gli ugelli più semplici possibili. Essi sono essenzialmente costituiti da un orifizio circolare
attraverso cui viene fatto fluire il liquido. Il buon funzionamento di tali ugelli si ha in corrispondenza di
piccole sezioni di uscita e alti salti di pressione. La velocità di uscita è proporzionale alla radice quadrata del
salto di pressione.

Atomizzatori a pressione: simplex nozzles

Negli ugelli “simplex” vengono impresse al liquido componenti di velocità radiale e/o tangenziale (swirl),
inettandolo per mezzo di condotti opportunamente inclinati e/o facendolo fluire lungo una superficie conica
al fine di disperdere maggiormente il liquido (i coni di apertura di tali spray vanno da 30° fino a circa 180°).

Anche in tal caso la velocità di uscita è proporzionale alla radice quadrata del salto di pressione. Ciò limita il
campo di impiego di tali ugelli, nel quale la qualità dell’atomizzazione è soddisfacente, ad un intervallo di
portate di circa 10:1.

Si distinguono simple nozzle a cono vuoto (hollow) o pieno (solid).

Atomizzatori a pressione: fan spray nozzles

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Una categoria molto usata in processi industriali (rivestimenti, verniciatura etc.) di ugelli è costituita dai “fan
nozzles”.

In essi attraverso una apposita sagomatura dell’apertura di uscita e dei condotti di adduzione del liquido si
generano degli spray sostanzialmente piatti (a forma di lamina liquida).

Atomizzatori assistiti ad aria

Con tali ugelli si possono ottenere spray molto fini anche a partire da liquidi con alta viscosità.

Si distingue tra ugelli assistiti ad aria (“air-assisted“) e a corrente d’aria (“air-blast“).

Nei primi una piccola portata d’aria ad alta velocità (>100 m/s) viene fatta interagire con il flusso liquido o
prima dell’ugello di uscita dell’atomizatore (“internal mixing”) o dopo un ugello di uscita del liquido
(“external mixing”).

Nei secondi una grande portata di aria a più bassa velocità (<100 m/s) viene fatta interagire con un getto
(“plain jet airblast”) o una lamina (“prefilming airblast”) di liquido.

Atomizzatori assistiti ad aria

Gli atomizzatori assistiti ad aria danno buone qualità di atomizzazione in un ampio campo di portate ma oltre
ad una maggiore complessità presentano alcuni inconvenienti.Richiedono una fonte supplementare di aria
ad alta pressione che può, in certe applicazioni, non essere disponibile. Nel caso di configurazioni
“internal mixing” e “plain jet airblast” è necessario avere cura che non si abbiano ritorni di aria nel condotto
di liquido e viceversa.

59
LEZIONE 20- Vaporizzazione singola goccia
A causa della forte aleatorietà del processo di disintegrazione di un liquido, si utilizzano delle ipotesi di
fondo per lo studio del processo:
- si considera la semplice vaporizzazione, senza reazioni chimiche, di una goccia isolata;
- quasi-stazionarietà;
- il flusso diffusivo del combustibile, che fuoriesce dalla superficie del liquido, bilancia il trasporto
convettivo della parte rimanente della miscela;
- l’ossidante non si diffonde nel liquido, pertanto il flusso diffusivo compensa esattamente il flusso
convettivo;
- il calore entrante nella goccia viene in parte assorbito dal combustibile nel suo passaggio di stato ed
in parte diffonde all’interno della goccia;
- si suppone nulla la velocità relativa tra goccia e gas ;
- si trascurano le forze di massa, per cui il sistema liquido-gas presenta una simmetria sferica;
- si considerano trascurabili i meccanismi di trasposto di calore per irraggiamento.
In condizioni subcritiche la vaporizzazione della singola goccia è ben rappresentata dalla legge:

in cui D rappresenta il diametro delle particelle all’istante t, Do il diametro iniziale e βv è la velocità di


vaporizzazione. Quest’ultima dipende dalle proprietà del combustibile utilizzato e dalle condizioni al
contorno associate al processo. La particolare condizione in cui il diametro della goccia D è funzione del
tempo, ma in cui la sua legge di variazione può essere pensata come una successione di processi stazionari,
viene detta "approssimazione quasi-stazionaria". La ragione di questo comportamento risiede nel fatto che
i flussi convettivi e diffusivi della fase gassosa, sono di
ordini di grandezza più grandi dei termini
instazionari. Sperimentalmente si è visto che la legge
sperimentale di evaporazione segue un profilo come
quello rappresentato in figura: dopo un primo
intervallo di tempo, in cui la dimensione della goccia
è approssimativamente costante, il diametro
diminuisce seguendo un profilo che tende alla legge:

Con l’ulteriore ipotesi di indipendenza delle proprietà termodinamiche di trasporto dalla temperatura, le
equazioni di conservazione della frazione di massa (combustibile e ossidante) e dell’entalpia (stato liquido e
gassoso) possono essere integrate e forniscono le seguenti espressioni della portata massica :

avendo indicato con il pedice il relativo stato di aggregazione. Il termine B, detto coefficiente di

60
trasferimento, contiene tutte le informazioni associate alle condizioni al contorno e vale:

Per determinare B bisogna conoscere la temperatura e il campo delle frazioni di massa del combustibile e
dell’ossidante sulla superficie rispettivamente pari a TS, YF-S, YOx-S; in quanto la determinazione delle altre
grandezze deriva dalle ipotesi fatte.

Il raggruppamento ρgαg, ovvero il valore della diffusività termica dei gas, ha una dipendenza dalla
temperatura dettata dalla legge di Arrenhius, in particolare ρgαg . Si riscontra, invece, una
dipendenza inversa dalla pressione: un aumento di p significa maggior numero di molecole in fase gas (a
parità di volume e temperatura), quindi la fase è più “affollata” determinando un effetto frenante sul moto
in quanto aumenta la frequenza degli urti.

Le forze che tendono a disimmetrizzare l'aerodinamica esterna delle gocce sono legate alla presenza di
campi gravitazionali e alla velocità relativa tra goccia ed aria. In entrambi i casi, la goccia è avvolta da uno
strato di vapore che si assottiglia da un lato e tende ad ispessirsi dal lato opposto generando una scia. Lo
scambio di entalpia, massa e quantità di moto viene favorito dai più forti gradienti delle grandezze
all'interfaccia. Le forze gravitazionali sono generalmente trascurabili durante la vaporizzazione e la
combustione di gocce piccole (D<100µm); mentre le forze di trascinamento possono esercitarsi per tempi
paragonabili a quelli di vaporizzazione. Il tempo di frenamento di una goccia di diametro D segue la legge di
Stokes:

ed è paragonabile al tempo di riscaldamento

per tener conto delle variazioni di velocità e di perdita della massa passando dalla condizione di simmetria
sferica (mSS) a quella con scorrimento del gas sulla superficie è espressa da una relazione sperimentale del
tipo:

Il numero di Prandtl (Pr) è generalmente dell’ordine dell’unità mentre il numero di Reynolds al massimo
può essere di 1000, per cui la correzione massima da apportare per correggere il modello consiste di un
fattore di 10

61
Il modo più semplice per impostare il problema è quello di considerare la semplice vaporizzazione, senza
reazione chimica in fase gassosa e liquida. In realtà i combustibili sono costituiti da miscele con molti
componenti, per cui occorre apportare delle modifiche al modello. Per cui la loro vaporizzazione a basso
numero di Reynolds in condizioni non stazionarie è descritto dal sistema di equazioni:

dove Yi e Di sono le frazioni di massa e la diffusività del componente i-esimo della miscela. Queste
espressioni con le opportune condizioni al contorno possono essere risolte numericamente e determinare
l'evoluzione nel tempo della portata dei vapori e della loro composizione. Sperimentalmente si è visto che
la gocciolina più grande evaporerà mantenendo una composizione costante, mentre per quella più piccola
il componente più volatile viene rilasciato molto prima di quello più pesante. Questo esempio mostra
chiaramente che possono esserci due regimi estremi a seconda che il tempo caratteristico della diffusione
sia molto minore o molto maggiore del tempo di vaporizzazione.

La vaporizzazione di una gocciolina di liquido in condizioni subcritiche può essere facilmente modellata
sotto l'ipotesi di quasi-stazionarietà. Poiché i tempi caratteristici dei processi che avvengono in fase gassosa
sono inferiori ai tempi caratteristici del fenomeno di regressione della superficie, è possibile trascurare i
termini di accumulo nelle equazioni di bilancio di materia e di energia. In questo modo il problema si riduce
allo studio di una goccia di dimensioni fissate che evapora, mentre il combustibile è alimentato alla sua
superficie. Per una goccia monocomponente ed isolata, sotto l'ipotesi di simmetria sferica, si perviene alla
nota legge D2 . Affinché una goccia introdotta in un ambiente a temperatura e pressione superiori alla
temperatura e pressione critiche del combustibile raggiunga le condizioni critiche, è necessario che la
temperatura superficiale della goccia raggiunga il valore critico. Quando le condizioni ambientali superano
la Tc e la Pc del combustibile, la quasi-stazionarietà nel trasporto di materia non è più condizione necessaria
e sufficiente affinché sia verificata la quasi-stazionarietà nel trasporto di energia.

La velocità di evaporazione βv è legata alla diffusività termica del gas ρgαg, alle densità del gas ρg e del
liquido ρl per mezzo della relazione rappresentata dalla equazione:

Questa dipendenza fa sì che βv non dipenda dalla pressione, poiché αg è proporzionale a 1/P e ρg è
proporzionale a P (La dipendenza della velocità di evaporazione dalla temperatura è inclusa nel coefficiente
di trasferimento B. La legge del D2 è supportata da numerosi studi sperimentali, anche nel caso in cui la
goccia è in regime di combustione. I dati sperimentali mostrano che vi è un transitorio iniziale di
riscaldamento dopo il quale la goccia di combustibile raggiunge una temperatura stazionaria (indicata come
temperatura di pseudo-bulbo umido, Twb ) leggermente inferiore a quella relativa al punto di ebollizione
del liquido. In tali condizioni tutta l'energia trasferita alla superficie delle gocce è utilizzata per la
vaporizzazione del liquido.

62
Combustione singola goccia
Per analizzare il processo di combustione della singola goccia facciamo riferimento a due ipotesi di base:
- Presenza di soli tre elementi: combustibile, ossidante e prodotto;
- Condizioni stechiometriche
In virtù di queste assunzioni, la reazione risulta:

avendo indicato con F il comburente, OX l’ossidante, P i prodotti, s il rapporto ponderale


stechiometrico e ΔHc il calore di reazione. I termini di generazione sono legati tra loro dalle seguenti
reazioni:

con opportuna combinazione delle variabili, è possibile ricavare delle variabili conservative, una per il
combustibile e una per l’ossidante:

con l’ulteriore ipotesi di Yox, = 1, in quanto all’infinito si ha la sola presenza dell’ossidante; e Yox,o=0
poiché, sotto l’ipotesi di stechiometria, durante la reazione viene consumato tutto l’ossidante;
considerando inoltre la temperatura di saturazione uguale alla temperatura di ebollizione alla pressione
ambiente risulta:

63
La combustione, sotto queste particolari ipotesi, è difficile che avvenga in quanto esiste un intervallo di
tempo tra l’immissione della particella di combustibile in ambiente ossidativo ad alta temperatura e
l’ignizione, detto appunto ritardo all’ignizione. Nel
diagramma di Sang Chun Rah (in figura), il quale
relaziona il ritardo all’ignizione con la concentrazione
dell’ossidante, si nota che al diminuire della temperatura
ambiente, aumenta tale ritardo.
In campo convettivo, le linee di flusso, disposta su una
retta passante per il centro della particella, subiscono
una deviazione all’interfaccia liquido-gas e le fiamme si
stabilizzano solo nel caso in cui il tempo caratteristico di
ignizione è minore del tempo di permanenza della
miscela; viceversa, si spostano a valle dove i tempi di permanenza crescono. All’aumentare della
velocita, i primi nuclei di ignizione si spostano sulla scia della goccia e la combustione diventa quasi
premiscelata; la velocità in cui avviene tale fenomeno è detta velocità di estensione. Per valori elevati
di tale velocità la fiamma si allontana dalla goccia (fiamma a scia); mentre per bassi valori di velocità la
fiamma ristagna nell’intorno della goccia (fiamma ad inviluppo).

64
AERODINAMICA DELLA COMBUSTIONE, STABILIZZAZIONE DELLA FIAMMA
L’aerodinamica detta la geometria della fiamma e dunque la localizzazione del rilascio del calore. I campi di moto che
si realizzano in un reattore dovranno garantire:

1. Opportune strategie di miscelazione tra reagenti e prodotti


2. Performance della combustione
3. Stabilizzazione della fiamma

Quest’ultimo parametro è il più importante al fine dell’innesco dell’intero processo di combustione.

La stabilizzazione può avvenire tramite tre diversi meccanismi:

1. Fronte di fiamma (ignizione dei reagenti), il quale (in condizioni premiscelate) risale il campo di moto
all’interno del reattore con una certa velocità che nel caso laminare sarà v = 2÷3 m/s e in quello turbolento v
= 6÷7 m/s. Tale meccanismo si basa sul fatto che in qualche punto del reattore la velocità fluidodinamica è
uguale a quella di propagazione di fiamma. Il problema nasce, però, nel caso di basse velocità di propagazione
per cui il meccanismo diventa instabile.
2. Fiamma pilota (ignizione pilotata), In tal caso l’aerodinamica è finalizzata a far lambire ai reagenti i punti pilota,
realizzando un’apposita aggiunta di fattori energetici in punti strategici in modo da poter alimentare
l’avanzamento della fiamma.
3. Feedback, ovvero ricircolazione interna. Attraverso tale meccanismo la gran parte dei prodotti rifluisce
all’indietro mescolandosi ai nuovi reagenti apportando calore e radicali attivi alla radice della fiamma, per cui
la cosa migliore è realizzare una camera di combustione quanto più adiabatica possibile in maniera tale da
limitare le dispersioni di calore in questo ritorno dei prodotti.

SWIRL
Il ricircolo dei gas, ovvero la formazione di un flusso inverso, si effettua tramite la formazione di vortici ad opera o
dello swirl o dell’impiego di corpi tozzi, sudden expansion.

Lo swirl è così definito:

La depressione centrale viene creata attraverso la centrifugazione del getto


impartendo un moto tangenziale all’aria, per cui tale getto tende ad allargarsi;
se la componente tangenziale è sufficientemente alta (dello stesso ordine di
quella assiale) avviene tale ricircolo, il nswirl rappresenta proprio una misura
della tangenzialità del flusso:

- nswirl > 0.5 -> Ricircolazione interna dei gas


- nswirl 1.5 ÷ 2 -> Formazione di cicloni
Nell’ambito della combustione si vuole ottenere 0.5 < nswirl < 1.

Un certo getto swirlato si può realizzare attraverso:

 Generatori di swirl assiali, ovvero deviatori di flusso che prevedono la presenza lungo l’asse
del condotto delle palette fisse (non aerodinamiche in quanto le perdite di carico sono
trascurabili) caratterizzate da una certa inclinazione che permettono di realizzare lo swirl;

 Generatori di swirl radiali, dove lo swirl viene dimensionato assegnando un dest, dint e le
caratteristiche degli angoli di ingresso e di uscita;

 Generatori di swirl a getti mediante l’impego di distributori cilindrici.

65
CARATTERISTICHE DEI FLUSSI RIVERSI
Ogni flusso riverso è composto da una parte che fluisce “in avanti” e una che si riverte in senso opposto. Le
caratteristiche di tali flussi possono essere classificate in due categorie associate a loro volta a caratteristiche
lagrangiane ed euleriane.

Le caratteristiche lagrangiane possono essere descritte in termini di traiettorie, definite sul campo delle velocità
medie, e flussi, ovvero l’insieme delle linee materiali di scia che seguono la linea guida della traiettoria. I flussi riversi
possono essere:

 A ripiegamento (folding), se le traiettorie subiscono una seconda inversione verso l’esterno dopo la prima;
 Ad intermittenza (shedding), se le traiettorie subiscono continue inversioni verso l’interno della superficie di
scia;
 Ad anello (looping), se le traiettorie si chiudono ad anello in condizioni stazionarie.

Le caratteristiche euleriane sono:

 Estensione, intesa come estensione spaziale delle zone di ricircolo, fornita come misura relativa rapportata
alle dimensioni geometriche del getto generante;
 Intensità, la cui misura può essere fornita dalla circuitazione sulla periferia della zona di ricircolo ed
∮ 𝑣 ∙𝑑𝑙
adimensionalizzata rispetto alla lunghezza totale del percorso: 𝐿
, di conseguenza più è elevata la velocità
e maggiore sarà l’intensità del ricircolo;
 Stabilità, che determina la variazione delle condizioni del flusso a seconda che sia in condizione stazionaria o
instazionaria con comportamenti statistici ripetibili (se i flussi sono stabili);
 Consistenza, la quale permette di calcolare la quantità di massa che effettivamente ricircola:
 Scambio, che quantifica la misura in cui il getto risulta attivo o passivo in termini di scambio di quantità di
moto. In altri termini la ricircolazione potrebbe anche essere un “vortice morto” il quale girando sempre su se
stesso non produce effetti utili. Si utilizza, dunque, un parametro chiamato “ingolfo” che è collegato al
trascinamento e alla spinta dinamica del getto di ricircolo:

(x = 0, posizione iniziale del getto)

GETTO SOMMERSO
Un getto sommerso è generato dalla fuoriuscita di un fluido da un
ugello in un ambiente inconfinato. Se il getto è turbolento e l’ugello è
circolare il suo campo di moto sarà bidimensionale, assiale e
stazionario. Si possono distinguere tre regioni a valle dell’ugello:

1. Cuore, zona in cui la velocità e la concentrazione del fluido


sull’asse restano uguali a quelle in corrispondenza dell’ugello.
La larghezza di tale zona Lc può arrivare a 5 volta il diametro
dell’ugello Dj. Tale lunghezza è invariante con la portata del getto, infatti la velocità di formazione ciclica dei
vortici dipende solo dalla velocità di immissione.
2. Zona turbolenta, rappresenta una zona di raccordo tra quella con fluido a velocità ambiente (condizioni in
quiete) e quella del cuore. Tale zona è caratterizzata da elevati gradienti di velocità che generano vortici che
permettono lo scambio di quantità di moto fra getto e fluido circostante.

66
3. Zona sviluppata, dove il getto è completamente sviluppato ovvero caratterizzato da un profilo di velocità
gaussiano.

GETTO CON SUDDEN-EXPANSION


Il getto con sudden-expansion (ad espansione) è un getto assiale centrato e confinato. Il metodo più immediato per
creare una ricircolazione consiste nel limitare l’ambiente per mezzo di pareti che bloccano il cammino del getto. Il
moto di ricircolazione avviene se: Nella regione

esterna il getto perde la portata di massa, ma conserva la


quantità di moto aumentando la pressione nella direzione
assiale, mentre nella zona di transizione si ha ricircolazione se

Generalmente, la quantità di ricircolo che si riesce a generare è dettata dalla quantità di “ingolfo” che si riesce a
realizzare e bisogna tenere conto che quest’ultima quantità è strettamente influenzata dalla dimensione dei vortici,
dipendete a sua volta dalla dimensione delle pareti. Il problema della sudden-espansion è che le paretri introdotte
possono spingere più avanti o più indietro di una quantità difficilmente rilevabile le zone di ricircolo, le quali non
risulteranno ben identificate.

GETTO AD IMPATTO
Tale getto realizza un flusso riverso attraverso l’impego di una parete (o anche detta piastra) che genera una forte
ricircolazione interna, ma affinché questa possa risultare efficace i prodotti della combustione devono essere
ovviamente presenti prima dell’impatto con la suddetta parete.

La piastra viene posta a Lc = 4d, con “d” diametro del condotto nel quale si propaga il getto. I vantaggi di tale
meccanismo di ricircolo sono la configurazione economica, autoripulente da scorie della combustione e con stabilità
elevata data l’elevata velocita del getto ricircolato (≈10 m/s) che produce un vortice intenso, di contro l’aumento di
superficie di scambio termico è svantaggioso dal punto di vista del rilascio di calore. Questa configurazione permette

di realizzare a differenza dei metodi con swirl, dove tale valore arriva circa al 30%.

67
Parametro di flusso riverso χ e relazione con σ.

Il parametro di flusso riverso χ (backflow parameter) rappresenta una misura dell’intensità e della direzionalità del
ricircolo per il meccanismo di stabilizzazione della fiamma con feedback ed è definito come il rapporto tra la differenza
e la somma della velocità media delle zone centrali del campo di moto Vc e di quella periferica Vp

Questo parametro di flusso, associato con il parametro di densità

definisce un campo di esistenza di diversi regimi riportati nella seguente figura

Nella parte centrale, laddove il parametro di flusso riverso è compreso tra -1 ed 1, il flusso è generalmente stabile e le
instabilità indotte dall’esterno vengono trasportate convettivamente a valle. Una volta rimosso il disturbo il campo di
moto si riporta nelle condizioni di stabilità iniziali. Quando il parametro di flusso riverso è maggiore di 1 si creano, per
rapporti di densità minori di 1, delle instabilità cosiddette assolute in cui anche quando si rimuove il disturbo
l’instabilità resta ed influenza anche le zone a monte della
zona di inserimento del disturbo stesso. Il passaggio dalla
zona di instabilità convettiva a quella di instabilità assoluta
determina l’insediamento nei getti o nelle scie di flussi
riversi instazionari di tipo antisimmetrico (sinusoidali) o
simmetrico (associabili al tipo varicose).

68
Rottura nel getto swirlato e realizzazione di un getto swirlato

In questa tipologia di flussi il cuore del getto si apre a sezione anulare; ipotizzando la costanza della portata
massica lungo la direzione assiale, l’apertura comporta la diminuzione della pressione dinamica del getto,
che perde forza nel suo avanzamento. Pertanto esso diventa
sensibile ai richiami delle zone depressive che si estendono e
si intensificano man mano che il getto si apre. Per una fissata
condizione, associata al numero di swirl, il getto anulare si
rompe bruscamente (swirl breakdown), in un settore del
getto anulare. Le linee di flusso si separano incoerentemente
ed, avendo perso parte della loro energia cinetica, si
rivertono durante il loro movimento di rivoluzione. In figura è
riportato un esempio qualitativo di getto swirlato con
“rottura a spirale” in cui è messa in evidenza la zona di
breakdown, rappresentata in questo caso con il tratteggio.
L’insieme delle linee di flusso si avvitano intorno al cuore
della struttura vorticosa (indicato in figura con la sigla CV –
vortex core). Nel loro avanzamento le linee vorticose
riemergono all’altezza della sezione di breakdown in un
settore che esclude tale zona.
Per realizzare un certo numero di swirl (e quindi ottenere il relativo getto swirlato) esistono diverse
metodologie tecniche:
1) deviatori di flusso (generatore di swirl assiali): esso è costituito da un breve condotto lungo il cui asse si
montano delle palette fisse (parte
statorica) e da un alberino posto al
centro - di tale condotto - sul
quale si calettano una serie di
palette sfalsate (parte rotorica). Il
flusso incontra le palette (zona
statore e zona rotore) ed è deviato
da queste ultime. Le deviazioni
delle linee di corrente generano
così la componente tangenziale
voluta. Per questo tipo di
deviatore di flusso, il parametro
che realizza il desiderato numero di swirl è l’angolo di inclinazione delle palette. Vantaggio: è un generatore
di swirl “veloce”; svantaggio: problema tecnico nel realizzare una lancia al centro del condotto per
l’adduzione del combustibile.

2) getti su un distributore cilindrico (generatore di swirl a getti): considerato un tubo


con un’estremità chiusa e l’altra aperta, si immettono dei getti tangenziali all’interno
di esso dal lato chiuso in modo da creare un vortice; ovviamente, la portata per poter
uscire non può che andare verso l’estremità aperta.

3) deviatori di flusso radiali (generatori di swirl radiali): si utilizza una coclea ed una palettatura fissa, in
particolare la portata è obbligata a passare prima nella coclea poi attraverso le palette.

69
Flussi confinati con ostruzione a singolo ostacolo, a doppio ostacolo e a deflusso centrale

A singolo ostacolo: una tale configurazione si ottiene collocando un corpo tozzo a


valle di un getto che fuoriesce in un ambiente limitato da pareti laterali, così
facendo il getto produrrà, a valle di tale ostacolo, dei vortici diretti verso l’interno.
In particolare, quanto più è tozzo il corpo, tanto maggiore sarà il numero di vortici
generati a valle dello stesso. L’estensione del fenomeno è dell’ordine del diametro
dell’ostacolo, presenta bassa intensità e moderata consistenza.

A doppio ostacolo: una tale configurazione si ottiene collocando, a valle del getto, due
corpi tozzi, disposti in serie tra loro ed a breve distanza. In tale maniera si generano due
cavità in cui si creano due zone di ricircolo, dirette verso l’interno, ben definite.
Aumentando la velocità del getto si passa da una situazione di ricircolo confusa (più
vortici mal definiti), ad una situazione più ordinata costituita da un unico vortice ben
definito. In tal senso, maggiore è il diametro del secondo corpo rispetto al primo, tanto
più il vortice sarà ben definito (la velocità del flusso è funzione dei diametri).

N.B. i flussi confinati sia a singolo ostacolo che a doppio ostacolo rientrano nella categoria di ricircolazione
pilotata dall’entrainment del getto.

A deflusso centrale: si pone un impattatore trasversale a valle del getto e dei confinamenti che, deviando
opportunamente i flussi verso l’asse centrale, facciano sì che questi si “scontrino”,
almeno in parte, tra loro dando origine al vero e proprio ricircolo interno. Ancora, si
possono introdurre un elemento centrale e degli elementi cilindrici, a valle
dell’ostacolo, (indicati rispettivamente in verde e rosso) la cui funzione è quella di
rendere ancora più simmetrici i vortici rispetto all’asse di simmetria e stabilizzarli
ulteriormente, definendo meglio le traiettorie delle singole particelle.

In base al punto in cui viene iniettato il combustibile si avranno effetti diversi sulla combustione:
a) se si inietta il combustibile nella sezione di fuoriuscita del getto di comburente i
due fluidi si miscelano tra loro, in questa maniera il combustibile arriverà nella
zona di ricircolo ad alta temperatura ed inerte, per cui ci sarà l’accensione della
miscela in condizioni particolarmente magre (lean). Ciò avviene per via
dell’aliquota del getto iniziale di combustibile che dopo essersi ossidata
ricircolerà all’indietro sotto forma di prodotto della combustione, riscaldando
tale zona e diluendola.

b) se si inietta il combustibile per mezzo degli elementi cilindrici (questi, quindi, devono essere cavi)
possono presentarsi diverse situazioni, per esempio se in tale zona (quella, appunto, in cui sono
collocati gli elementi cilindrici) non vi è ossigeno si può operare, al più, un
reforming del combustibile (il reforming è un processo di reazione di sintesi di
idrocarburi per la quale si ottiene, da più alcani a basso peso molecolare, un
alcano a peso molecolare maggiore), quindi l’aria comburente incontrerà il
combustibile sono nella zona di ricircolo, realizzando in tale zona una
combustione ad alta temperatura di combustibile diluito ed aria fredda.

Per entrambe le tipologie descritte è possibile ottenere gradi di combustione diversi (dal premiscelato
totale allo stratificato e così via) a seconda dei tempi e dei luoghi di iniezione del combustibile rispetto al
comburente.

70
Lezione 23 Aerodinamica /Flussi Confinati

1. Definizione di flusso ciclonico e Caratteristiche dei flussi ciclonici?


I flusso ciclonico sono flusso confinati, in cui il moto vorticoso è ottenuto grazie all’introduzione del flusso
stesso in maniera tangenziale in una camera con una o più uscite.

Essi sono caratterizzato da un campo centripeto (indotto dal moto a spirale attorno al proprio centro di
rotazione) nel piano r-θ (radiale-azimutale) il quale è dominante ed influenza notevolmente l’evoluzione del
flusso nel piano r-z (radiale-assiale). La pressione statica evolve in maniera da bilanciare la forza centrifuga.
Le principali caratteristiche di tali flussi sono:
 numero di Swirl compreso tra 2 e 20.
 ampie zone di ricircolazione toroidale che forniscono tempi di permanenza molto
lunghi che possono essere modulati in base al numero di Swirl ed al raggio della camera.
 elevata stabilità riconducibile ai multipli meccanismi di stabilizzazione che caratterizzano tali flussi
3D.
 evoluzione tridimensionale caratterizzata da strutture elicoidali multiple le quali in dipendenza
della configurazione, dei parametri geometrici (altezza e larghezza della camera) e delle condizioni
in ingresso (portate, velocità) possono evolvere come flussi quasi bidimensionali.
 zone di ricircolazione con tempi diversi rispetto ai tempi di residenza e sono caratterizzati per
presentare almeno tre zone di ricircolazione con diametro massimo pari a quello della camera.
 forte interazione dei flussi con le pareti, che può essere usata per realizzare regimi catalitici e tale
caratteristica viene talvolta utilizzata per confinare la zona di combustione (confinamento
aerodinamico) nella regione centrale della camera, per proteggere le superfici dalle alte
temperature.

2. Classificazione dei flussi ciclonici in base al profilo di velocità tangenziale


I flussi ciclonici sono classificati in base al profilo della velocità tangenziale come:
- A vortice forzato: il flusso risulta rotazionale (vorticità non nulla, pari a 2Ω, ovvero al doppio della
velocità angolare), il fluido ruota come un corpo solido. La velocità tangenziale v è pari a :
,dove r è la distanza dall’asse di rotazione. Infine la pressione è proporzionale al quadrato di r.
- A vortice libero con profilo in attenuazione del tipo iperbolico:il flusso risulta irrotazionale (vorticità
nulla).La velocità tangenziale varia inversamente
rispetto alla distanza dal centro di
rotazione, in modo che il momento angolare si

mantenga costante: , con C=cost.


Se il flusso ha viscosità nulla, il moto di un dato
elemento fluido non è influenzato dagli elementi
vicini a raggi più piccoli e più grandi. Tale vortice è
chiamato un vortice libero o privo di attrito.

- A vortice combinato con profilo alla Rankine:


modello più utilizzato, è una combinazione del vortice forzato in prossimità del nucleo e del vortice

71
libero fuori dal nucleo; infatti, nei flussi swirlati
o ciclonici reali c'è sempre un nucleo centrale
che circonda l'asse di rotazione in cui la velocità
delle particelle diminuisce a zero quando il
raggio va a zero e la vorticità diventa non nulla,
con direzione all'incirca parallela all'asse del
vortice. La velocità tangenziale v è pari a :

, con n e K costanti del modello di


Rankine.

-A vortice multiplo:
il comportamento delle distribuzioni di velocità per vortici multipli può essere
modellato dalla combinazione di diversi vortici semplici. Tale vortice
composito si assume che contenga due aree che non si intersecano. Il campo
di velocità (sia tangenziale che assiale) risultante è determinato come somma
dei contributi delle due vorticità a causa della relazione lineare tra la vorticità
e la velocità.

3. Come vengono utilizzati i flussi ciclonici?


I flussi ciclonici vengono utilizzati in alcune applicazioni quali ad esempio:
 Separatore Ciclonico: sistemi di abbattimento che, senza utilizzo di organi in movimento e
sfruttando ingressi opportunamente sagomati, permettono la purificazione dell'aria (o
un gas in generale) dalle polveri sfruttando il principio della forza centrifuga.

 Camera a vortice per razzi: il comburente è


ossigeno puro sicché si raggiungono
temperature altissime. Questo comporta
evidenti problematiche da un punto di vista
tecnologico. Una soluzione adottata nella
configurazione di razzo illustrata in figura è
quella di iniettare O2 in controflusso in
modo da ottenere un duplice effetto
benefico :
1. L' O 2 scherma le pareti dei razzo “
proteggendole ” dalle elevate temperature;
2. L' O 2 impatta sulla parete superiore del
razzo generando un vortice esterno che
stabilizza la fiamma.

72
4. Stabilità dei Flussi Ciclonici
• Accoppiamento consecutivo di stirring e mixing tra flussi convoluti
•Una zona di forte ricircolazione centrale dovuta alla configurazione ed alla tangenzialità del flusso swirlato
permette di migliorare la stabilità del flusso ciclonico e dell’eventuale processo di combustione.
• I tempi medi di ogni zona di ricircolazione sono più lunghi del tempo-spazio medio del sistema.
•Configurazione con H/d < 1 possono aiutare nell’assicurare un vortice ciclonico stabile all’interno del
sistema (struttura quasi 2D), d’altronde una configurazione con H/d > 1 e bassi livelli di confinamento
possono promuovere la formazione di vortici instabili
•I processi di mixing rilevanti sono quelli tra i flussi in ingresso e quelli tra il flusso in ingresso e quello
ricircolato.
•Il numero di Reynolds può aiutare a migliorare il mixing ed i livelli di entrainment tra i flussi.
•Intensità e tipologia di vortice risultano essere funzione del rapporto H/d, Reinlet, numero di Swirl e dal
livello di confinamento.

5. Flussi di cavità / TrappedVortex


Configurazione adottata dalla General Electric in cui si creano dei vani rispetto al getto assiale. E' una
soluzione molto economica che permette ricircolo e riaccensione, inoltre garantisce un’elevata flessibilità
del combustibile.

La TVC (Trapped Vortex Combustion) è utilizzata molto per le applicazioni di turbine a gas di tipo IGCC
(Integrated gasification combined cycle) con ottima efficienza, basse emissioni, una maggiore stabilità di
fiamma, flessibilità del combustibile, e riduzione dei costi.

6. Processo di stabilizzazione nel TVC


A differenza dei sistemi convenzionali di combustione che si
basano sulla stabilizzazione tramite swirl, la TVC impiega cavità
per stabilizzare la fiamma. Le cavità sono state studiate anche
come mezzo di raffreddamento o per incenerimento dei rifiuti.
Nel concetto TVC, il ricircolo dei prodotti caldi nella miscela
aria-combustibile principale si ottiene incorporando due
caratteristiche:
1) Una zona di ricircolazione stabile deve essere generata adiacente al flusso di aria e combustibile
principale.
2) La seconda caratteristica riguarda il trasporto ed il mescolamento di calore dal vortice, o cavità, alla
regione.
Inoltre:
• L’aggiunta di una seconda cavità aumenta l’efficienza di combustione, in quanto il secondo vortice
stabilizza il primo.
• Un vortice può esistere solo se sono presenti gradienti di pressione e velocità.
• Geometrie a singola cavità si possono usare quando si utilizzano combustibili con cinetiche veloci oppure
quando la fluidodinamica del primo vortice è molto stabile. In tali sistemi è necessario minimizzare le
perdite di carico all’interno della cavità per ottenere un vortice stabile con caratteristiche tali da avere
stabilità per l’intero sistema.

73
GETTI COFLUENTI CONCENTRICI
Le classi di getti cofluenti di rilievo nella combustione sono almeno di quattro tipi:
1. Utilizzo per uso specifico
2. Parzializzazione di comburente
3. Guida dalle condizioni di instabilità a fluidodinamica verso
configurazioni stabili.
4. Intensificazione scambio materia/entalpia.
Negli ultimi due casi è possibile fare riferimento a delle situazioni generali tenendo conto che i getti cofluenti
possono essere assiali e/o swirlati. La stabilizzazione piua significativa nel campo dei getti coassiali ea quella
relativa
l’immissione di un getto assiale al centro di un getto swirlato. Cioa aiuta, in qualche modo, anche a tenere
protetta la zona centrale dove, in genere, viene immesso il combustibile. Una coppia gettoassiale (centrale)/
getto swirlato periferico realizza una zona di ricircolo a sezione anulare nella cui parte centrale fluisce il getto
assiale mentre il flusso swirlato rimane confinato al suo
esterno. In letteratura sono descritte le condizioni
delle pressioni dinamiche e statiche per le quali è
possibile penetrare col getto centrale nel campo di
flusso
riverso fino ad annullarlo completamente sull’asse. Al
contrario nel caso di pressione dinamiche “basse” del
getto assiale ea possibile che si crei comunque un
flusso riverso nella zona centrale ma in questo caso la
sua estensione è confinata a valle dell’orifizio di uscita.
Ricordando, i flussi convettivi e diffusivi
aumentano con il gradiente della
grandezza in esame, è possibile
realizzare gradienti elevati con getti
assiali, alternando getti anulari con
differenti velocità medie, e con getti
swirlati sfruttando sensi di rotazione
opposti (figura in basso). Si riesce in tal
modo a dissipare parte o tutta la
quantità di moto tangenziale
conservando un flusso swirlato residuo
con o senza ricircolazione.

GETTI COFLUENTI PARALLELI


Per getti cofluenti paralleli si intende un insieme di getti fluenti nella stessa direzione e senso con assi non
coincidenti paralleli tra loro. Essi possono essere classificati in base alla portata:
a) portate uguali
In questa categoria rientrano le schiere di getti che vengono usate per l’immissione in parallelo di portate di
reagenti. Vengono realizzate in questo modo le schiere di fiamme a diffusione nei bruciatori per
riscaldamento domestico. In questa categoria rientrano i getti dei reagenti che vengono immessi a coppie
nelle camere di combustione per razzo. In quest’ultimo caso i due reagenti possono formare delle coppie di
getti coassiali o di getti incrociati, ma ogni coppia può essere assimilato come ad un getto assiale. Getti
di uguale portata vengono anche immessi in schiere da pareti di camere di combustione di turbine.
b) portate sproporzionate
In questa categoria rientrano le configurazioni che non necessitano di di ricircolazione dei prodotti di
combustione intensa e consistenze. Infatti vengono impiegati in gran parte delle fornaci che operano ad

74
un’alta temperatura distribuita in modo omogeneo. Ciò comporta che i singoli getti trascinano una quantità
di prodotti di combustione che permette loro di essere riscaldati fino a condizioni di ignidiffusione.
I getti si comportano in questo caso come se fossero singolarmente isolati ma vengono considerati insiemi
di getti sproporzionati (nella portata massica), perchè quello a portata maggiore determina la maggiore
quantità di trascinamento del gas circostante e di conseguenza trascina dentro di se sia i gas combusti che i
getti di bassa portata. Al contrario i getti di minore portata vengono iniettati in zone a prevalente
composizione di gas combusti che comunque possono inglobare una certa quantità di ossigeno sia come
residuo di eccesso d’aria, che come minima ricircolazione interna di questa massa.

GETTI INCROCIATI
Nel caso di energie cinetiche comparabili, due getti si dicono incrociati se sono perpendicolari tra loro o
comunque “molto inclinati”. Un campo di moto siffatto è schematizzabile in due casistiche:
1. Iniezione di getto in flusso traverso
2. Iniezione di getto su getto

Per quanto riguarda il primo tipo, sono distinguibili alcune strutture coerenti e tra
queste, in particolare, dei vortici controrotanti nel getto principale, di cui c’è traccia
nelle sezioni a diverse altezze. Inoltre sono stati identificati delle schiere di vortici che
si chiudono a ferro di cavallo con la convessità rivolta verso il flusso indisturbato.
Questa configurazione è particolarmente usata nei casi in cui si vogliono miscelare due
flussi gassosi in modo completo. In questo caso si iniettano un numero elevato di getti
alla parete di piastre divisorie o di tubi di adduzione.

La seconda categoria di getto su getto è invece maggiormente utilizzata allorquando è rilevante realizzare
un miscelamento parziale ma di immediata efficacia. Tale meccanismo è utilizzato, ad esempio, nelle centrali
termoelettriche: all’interno della camera di combustione i bruciatori sono disposti ad angolo in modo che
ognuno di essi sia puntato verso gli altri bruciatori. Così, schematizzando ad esempio la camera come un
quadrato, ponendo un bruciatore in ogni vertice e realizzando la fiamma che rasenta uno dei lati, si avranno
quattro bruciatori in cui, partendo dal primo, ognuno potrà con il proprio getto accendere il bruciatore
successivo. Le fiamme, dunque, si alimenteranno vicendevolmente, creando così un anello di stabilizzazione.
In questo caso l’impatto di una fiamma sull’altra si configura come un’interazione di un getto “complesso”
(generalmente più getti coassiali che formano un getto complesso) su un altro della stessa specie. La
Stabilizzazione Incrociata può essere anche impiegata per rendere piu efficace l’ingurgitamento
(“engulfment”) di un getto sull’altro.

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LEZIONE 26- Caldaie
La caldaia è un reattore che rilascia e scambia calore sulle pareti. Si compone schematicamente di due
parti, la prima dove avviene il processo della combustione, e la seconda dove i gas prodotti cedono calore al
cosiddetto fluido termovettore, cioè uno scambiatore di calore. La funzione di una caldaia è quella di
incrementare il tasso di entalpia del fluido termovettore. Esse possono essere divise in due tipologie in
base al numero di bruciatori, ovvero quel componente delle caldaie in cui avviene la combustione:
monobruciatori e multibruciatori. Conseguenza di questa distinzione è che tanto minore è il numero di
bruciatori, quanto più rilevante sarà lo scambio termico tra bruciatore e caldaia.
I monobruciatori trovano grande applicazione nell’uso domestico, in cui il fluido termovettore è l’acqua
liquida a scopo sanitario e di riscaldamento. In queste caldaie è nata l’esigenza di modulare la quantità di
combustibile a causa della variabilità della richiesta termica. Il processo di regolazione avviene variando la
portata d’aria che influisce sullo sviluppo della fiamma: poiché al variare del Re i getti turbolenti hanno la
stessa lunghezza indisturbata, se raddoppia la portata, detta lunghezza resta quindi invariata, ciò fa si che al
variare della portata, dove si ha il rilascio di calore, la fiamma non esca dal combustore.
Classificazioni secondarie di caldaie sono o in base al livello di emissione degli NOx , o e al tipo di
combustibile. In base al tipo d’immissione del comburente, è possibile distinguere caldaie soffiate, nelle
quali è presente un ventilatore che fornisce una certa prevalenza d’aria; e caldaie a convenzione naturale,
in cui l’aria viene aspirata sfruttando il tiraggio dei fumi caldi del camino. Quest’ultimo tipo di caldaia
presenta dei bruciatori a diffusione nei quali la combustione si realizza con una serie di fiamme a diffusione
messe ad una distanza tale, dell’ordine dei decimi di mm, da non entrare in contatto tra loro. Se i getti non
sono sufficientemente lontani, sapendo che il rilascio di calore per una fiamma a diffusione avviene nella
zona stechiometrica, due isosuperfici di frazione di miscelamento vengono in contatto e l’ossigeno diventa
insufficiente peggiorando cosi la combustione.
La temperatura minima alla quale le caldaie possono scaricare i gas nell’ambiente esterno è imposta da
vincoli di impatto ambientale e si aggira tra i 100-120 °C. Nelle caldaie a recupero si scende al di sotto di tali
temperature avendo vantaggi in termini di efficienza di scambio termico e riducendo le perdite al camino.
Si riesce a scendere al di sotto di tali limiti termici perché si realizza un sistema in grado si condensare
tutto il condensato quindi anche le componenti acide che risultano dei mezzi di pulitura del sistema ed
inoltre si riesce a realizzare una condensazione omogenea abbattendo le nanoparticelle, quali acino nitrico
e solforico, dannosi per il sistema. A parità di potenza termica scambiata, riducendo il ΔT tra i gas di scarico
e l’ambiente, è possibile avere portate maggiori. Potendo, quindi, avere maggiori eccessi d’aria per la
combustione, si realizza un processo superlean e si possono ridurre così notevolmente gli NOx.
Il principio costrittivo delle caldaie mutlibruciatori si basa su singoli bruciatori che si montano sulle pareti
della caldaia, in modo che ognuno sia indipendente. Tali bruciatori devono essere multicombustibile. Se
durante la combustione sono presenti polverini (particella dell’ordine dei 50-200 µm) o di carbone o di
biomassa, si monta un bruciatore dedicato nella parte finale della zona di combustione con la funzione di
esaurire il combustibile che brucia con maggiore difficoltà. Con la scelta del bruciatore multicombustibile, in
primo luogo si ottimizzano le condizioni di funzionamento della caldaia in termini di continuità, garantendo
quindi una migliore stabilità di fiamma; inoltre, si possono avere delle interazioni positive tra i combustibili,
per esempio si può abbattere il contenuto di cenere.

76
FORNACI
Una fornace può essere definita come un reattore in cui lo scambio di calore non è omogeneamente distribuito, la cui
funzione è quella di distribuire il calore su particolari superfici disposte in modo diverso, le quali poi cederanno calore
al pezzo da riscaldare. Essa è caratterizzata da una parte isolata ed una addetta allo scambio. Si distinguono due
categorie:

 Fornaci a scambio convettivo diretto, in cui viene sfruttata la convezione della massa di aria calda;
 Fornaci a scambio radiativo indiretto, in cui il calore della combustione viene ceduto prima ad una parete la
quale reirradia verso il materiale da trattare.

In tutte le fornaci per il trattamento dei metalli le bramme del materiale da trattare passando nella fornace prendono
calore per il 10-20% per irraggiamento diretto dalla fiamma, il restante per reirraggiamento delle pareti. Dal punto di
vista della combustione, il problema principale è quello di distribuire uniformemente il calore sul pezzo da riscaldare
e quindi di orientare in modo opportuno le parete della fornace. Per il trattamento dei metalli si usano tunnel larghi
7-8 m e lunghi circa 100 m, i bruciatori vengono messi sulle pareti laterali in modo da realizzare una gabbia interna.
Dovendo il calore essere rilasciato anche a 10 m di distanza i bruciatori dovranno avere una forma allungata ed essendo
aria e combustibile due getti separati non può avvenire lo swirl. La stabilizzazione di tali getti avviene grazie alla
ricircolazione dei gas di scarico che danno origine a vortici alla base del getto di combustibile che realizza un
trascinamento dell’aria circostante. Questa tecnica da sola non basta per la stabilizzazione della fiamma e dunque di
provvede effettuando il preriscaldamento dell’aria, a spese dei gas di scarico in uscita. Nella pratica vengono utilizzati
degli scambiatori di calore rigenerativi, nei quali il calore dei gas è ceduto alle pareti interne dello scambiatore (nella
pratica dei silos) dove successivamente al raggiungimento della massima temperatura ottenibile viene fatta circolare
l’aria. Quanto più si riesce a tenere alta la temperatura d’ingresso dell’aria, tanto più è alta l’efficienza e ci si avvicina
alle condizioni di mild combustion (con i relativi vantaggi di basse emissioni di NOX, assenza di fuliggine, stabilità della
fiamma). All’interno dei bruciatori moderni viene realizzato un getto d’aria centrale ad altissima velocità e piccoli getti
laterali di combustibile, ognuno dei quali crea una zona di ricircolazione e localmente la situazione è tale che il getto
d’aria si diluisce con i prodotti della combustione.

Si possono classificare due tipologie fondamentali di fornaci:

1. Fornaci a fuoco fisso e materiale mobile (Es. Forno a canale)


2. Fornaci a fuoco mobile e materiale fisso (Es. Fornace Hoffmann)

In entrambi i casi i fumi caldi preriscaldano il materiale da cuocere (cuocere perché si effettua generalmente la cottura
dei laterizi, materiale da edilizia, con queste fornaci), mentre quello cotto preriscalda l’aria di combustione.

I primi, forni a canale (o a tunnel), sono costituiti da una galleria rettilinea percorsa da rotaie sulle
quali si muovono dei carrelli carichi di materiale da cuocere. I carrelli sono costituiti da piattaforme
metalliche montate su ruote e sono parzialmente sovrapposte le une alle altre cosi da dividere il
forno in due parti: la superiore, dove avviene la combustione e circolano i gas di scarico e il materiale
caldo; l’inferiore, relativamente fredda, dove sono situate le rotaie e la parte metallica dei carrelli.

La fornace Hoffmann è costituita da una galleria a pianta ellittica o rettangolare con raccordi
semicircolari ed è divisa in una serie di camere (da 12 a 24), ciascuna delle quali è munita di tre porte,
due delle quali la mettono in comunicazione con le camere adiacenti e la terza con l’esterno. Nel processo di cottura
due porte sono adibite al carico e allo scarico dei mattoni (es. la 9 e la 8 rispettivamente) e permettono l’ingresso
dell’aria, la quale percorre in senso crescente le camere in cui
sono presenti i mattoni cotti in via di raffreddamento che
quindi preriscaldano l’aria (es. da 10 a 14), prima che arrivi
nella camera adibita al processo di combustione (es. 1). I
prodotti di combustione, successivamente aver lasciato la
camera d’origine, attraversano le restanti camere dove è
presente il materiale crudo da riscaldare (es. da 2 a 7).

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COMBUSTIONE NEI MOTORI AD ACCENSIONE COMANDATA E PER COMPRESSIONE
L’alimentazione dei motori ad accensione comandata avviene tramite il carburatore (ormai superato) o sistemi di
iniezione diretti o indiretti, i quali provvedono alla formazione della miscela che poi viene immessa nei cilindri per
l’accensione. Alla testa dei cilindri viene posto un dispositivo di accensione, ovvero la candela, che provvede a
realizzare l’accensione della miscela. All’interno delle camere di combustione di tali motori si verifica una propagazione
laminare di fiamma e in tali condizioni la velocità di avanzamento del fronte della fiamma è di circa 1 m/s. Se questo
avanzamento si verifica in una camera di combustione di 5 cm il tempo di avanzamento sarà di 5 centesimi di secondo,
ma per motori che lavorano con un numero di giri al minuto dell’ordine dei 2000-3000 questo tempo impiegato dal
fronte di fiamma per percorrere la CC risulta troppo elevato. Si necessita, infatti, una velocità di propagazione del
fronte di fiamma almeno pari a 20-30 m/s e per ottenerla bisogna realizzare una turbolenza, ovvero si fa in modo che
ovunque all’interno della camera di combustione la fiamma di propaghi attraverso una geometria di natura più
complessa in maniera da provocare uno sturamento delle fiamme ed una diffusione del fronte di propagazione in
minor tempo. Quanto più risulta essere veloce la fase di combustione tanto più risulta essere piccolo l’angolo di
manovella dedicato a tale fase e questo implicherà un aumento del rendimento, infatti al limite del ciclo Otto ideale
la combustione dovrebbe avvenire in moto istantaneo al punto morto superiore perché realizzare la combustione
molto prima del PMS comporta una perdita di lavoro perché l’esplosione di oppone alla compressione del pistone, se
si verifica dopo si abbassa il rendimento in quanto le trasformazioni avverranno a pressione più bassa. Per aumentare
la turbolenza in camera di combustione si utilizzano tre modi:

1. Fare il passaggio sulle valvole più stretto possibile. Durante l’aspirazione la valvola resta aperta per un certo
periodo di tempo dipendente dalle fase del motore, la portata massica del fluido è costante e quindi riducendo
la sezione d’ingresso aumenterà la velocità, ma ciò comporterà anche un aumento del lavoro di compressione
perché tale riduzione della sezione d’ingresso della carica comporta un aumento delle perdite di carico.
L’aumento di velocità massima provocherà la presenza di gradienti di velocità in CC e dunque il vantaggio di
questa tecnica è limitato perché gradienti di velocità troppo elevati comportano una riduzione dello spessore
del fronte di fiamma fino allo spegnimento. In conclusione, la sezione d’ingresso della carica viene ridotta fino
al punto in cui questo comporta un aumento di potenza;
2. Inserimento di elementi devianti (Swirlatori). Tali elementi fanno sì da introdurre delle componenti tangenziali
della velocità e possono essere immaginati come alette che deviano il flusso creando vortici e dunque
turbolenza.
3. Inserimento di ostacoli (Turbolatori). L’inserimento di ostacoli provoca la formazione di microvortici che
possono autoalimentarsi e quindi turbolenza. I turbolatori incrementano la velocità perché la loro presenza
restringe la sezione di passaggio del flusso. Ci sono alcune camere di combustione che sono parte non solo del
cilindro ma vengono in parte ricavate come cavità sulla testa del pistone all’interno della quale il fluido sarà
dotato di una turbolenza ancora maggiore per la conservazione del momento angolare della quantità di moto.

La determinazione del campo di


moto del fluido all’interno del
cilindro permette di effettuare in
maniera più opportuna il
posizionamento della candela che
provoca la scintilla che per ovvie
ragioni deve essere posta nella zona
a turbolenza maggiore.

Nei motori ad accensione per compressione, l’ignizione del combustiobile non avviene per mezzo di una scintilla
generata da una candela, ma grazie alle elevatissime pressioni che si raggiungono nel cilindro durante la fase di
compressione. Il problema di tale motore è che se la combustione avviene proprio in prossimità del PMS, essendo
molto violenta, può provocare sia danneggiamenti di tipo meccanico (es. lo spostamento del pistone rispetto all’asse
del cilindro) sia lacerazioni del film lubrificante interno al cilindro. Per risolvere tale problema si cerca di far avvenire il
processo di combustione in maniera più controllata attraverso l’aggiunta di un diluente nella miscela oppure inserendo
aria realizzando una miscela super diluita.

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La prima tecnica viene indicata con l’acronimo HCCI, ovvero carica omogenea con ignizione per compressione. Mentre
nel motore ad accensione comandata il fronte di fiamma viaggia in camera di combustione a velocità relativamente
limitata, nel processo di combustione HCCI la combustione interessa tutta la miscela omogena e si innesca quando la
temperatura di quest’ultima ha superato la temperatura di autoaccensione a causa della compressione. Quindi, nel
primo caso si ha una combustione progressiva, mentre nel secondo tutto il combustibile avvia la combustione
contemporaneamente.

L’altra tecnica prevede la formazione di una carica stratificata, cioè il combustibile viene iniettato attraverso
un’elettrovalvola o uno spillo 10° di manovella prima del PMS e il miscelamento comburente-combustibile avviene
solo quanto ci sono elevate velocità in gioco.

Una notevole innovazione nel campo motoristico è stata l’introduzione del Common Rail. Grazie ad esso all’interno
del motore è possibile raggiungere elevatissime pressioni (anche 2000 bar), e unitamente alla presenza di fori di
iniezione estremamente ridotti che consentono al combustibile di entrare in camera a velocità enormi, si ottengono
migliori combustioni. I fori hanno diametri dell’ordine di 100 μm e presentavano il problema (poi risolto dalla Bosch
mediante l’impiego di elettrovalvole per la chiusura) di non poter essere occlusi mediante i tradizionali spilli. Lo studio
più importante è, quindi, quello di capire dove poter praticare i fori di iniezione e questo viene realizzato mediante
simulazioni fluidodinamiche.

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Principali componenti di una biomassa

Con il termine biomassa viene indicata, in generale, la materia organica non fossile di origine vegetale e
animale che può essere impiegata per la produzione di energia. L’energia prodotta dalla biomassa
(bioenergia) è contenuta all’interno dei legami chimici delle molecole di origine vegetale e animale
(cellulosa, amido, proteine, ecc) e deriva direttamente dall’energia solare che i vegetali catturano con la
fotosintesi e gli organismi utilizzano nel loro metabolismo:

Tra le principali biomasse usate a scopo energetico ricordiamo quella vegetale (sia spontanea che coltivata
dall’uomo, sia terrestre che marina).
Si riporta la struttura della biomassa di origine ligneocellulosica: si può notare come la lignina (filamenti in
arancio) riempie lo spazio tra cellulosa (strutture cilindriche in azzurro) ed emicellulosa (filamenti in verde).

Ancora, si riportano le strutture delle tre principali componenti della biomassa vegetale:

Cellulosa (C6 H10 O5)n – è costituita da un gran numero di molecole di


glucosio (da circa 300 a 3.000 unità) unite tra loro da un legame
glicosidico. Le catene sono disposte parallelamente le une alle altre e si
legano fra loro per mezzo di legami ad idrogeno molto forti, formando
fibrille, catene molto lunghe, difficili da dissolvere.

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Emicellulosa - è un
saccaride a basso peso
molecolare di
composizione irregolare.
In contrapposizione alla
cellulosa, la cui molecola
lineare è formata da
unità di solo glucosio, le
emicellulose sono invece costituite da zuccheri differenti, inoltre hanno una struttura ramificata e non
fibrosa.

Lignina - è un pesante e complesso polimero organico la cui struttura (polimerica) è costituita da unità
fenilpropaniche le quali, accoppiandosi casualmente, danno origine ad un sistema tridimensionale amorfo
(privo di struttura cristallina).

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Evoluzione del processo di pirolisi di una biomassa (ed utilizzo dei prodotti?)
Per quanto riguarda la pirolisi, costituisce un processo di trasformazione energetica per mezzo del quale la
biomassa viene portata ad alta temperatura (200 °C – 1000 °C a seconda del prodotto desiderato) in
assenza di ossigeno. In queste condizioni la biomassa si decompone producendo essenzialmente vapori
condensabili, gas (CO, CO2, CH4, H2) e lasciando un residuo solido ricco in carbonio (char). In seguito ad un
processo di raffreddamento e condensazione, i condensabili volatili formano una fase liquida scura (bio-
olio) che ha un potere calorifico circa pari alla metà di quello dei combustibili convenzionali (di fatto, questa
fase liquida costituisce il prodotto più importante dell’intero processo).
In generale, il grado di decomposizione raggiunto dalla biomassa dipende da alcuni parametri caratteristici,
i più importanti dei quali sono: la velocità di riscaldamento della biomassa, la temperatura finale di
reazione, il tempo di residenza. L’aumento di temperatura produce un incremento della fase gassosa per
effetto soprattutto delle reazioni di devolatilizzazione che tendono a prevalere rispetto a quelle di charring
(carbonizzazione), maggiormente presenti ai bassi regimi termici. La parte liquida, invece, presenta un
massimo di produzione intorno ai 500 °C e comunque quando i tempi di raffreddamento sono compresi tra
i 0,5 e 2 secondi. Maggiore è la permanenza minore sarà la resa in frazione liquida mentre superiore
risulterà, a seconda del regime termico adottato, la resa in specie gassose e char. Una elevata velocità di
riscaldamento (da un minimo di 10 °C/s fino a 200 °C/s) aumenta la produzione della fase liquida a scapito
degli altri prodotti.
In base alle diverse regolazioni dei parametri avremo diverse tipologie di pirolisi:
- pirolisi lenta
a) temperature di reazione basse, comprese tra 200 °C e 350 °C;
b) limitate velocità di riscaldamento, tra 0,1 °C/s e 2 °C/s;
c) lunghi tempi di permanenza in assenza di ossigeno (quantificabili in ore);
d) produzione di elevate quantità di solidi carbonizzati, circa il 35% in peso.
- pirolisi convenzionale
a) temperature di reazione inferiori ai 650 °C;
b) velocità di riscaldamento comprese tra 2 °C/s e 20 °C/s;
c) pochi minuti di permanenza;
d) quantità pressoché comparabili delle tre frazioni.
- pirolisi veloce
a) temperature di reazione maggiori di 450 °C;
b) velocità di riscaldamento comprese tra 100 °C/s e 1000 °C/s;
c) tempi di residenza di pochi secondi;
d) massimizzazione della frazione liquida che può in questo caso raggiungere anche l’80% in peso.

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Lezione 29 Diagnostica Ottica (Scattering Elastico, Imaging e PIV)

1)Come è costituito un apparato per la diagnostica ottica?


Gli elementi di un sistema di diagnostica ottica sono:
• Sistema di illuminazione; in passato basati su lampade ad incandescenza o ad arco sono. A partire dagli
anni 60 la disponibilità di sorgenti monocromatiche coerenti (Laser) ha consentito una indagine più mirata.
• Sensore di raccolta; nel corso degli anni si è passati da sensori di tipo puntuale, basati sulle tecnologie dei
tubi a vuoto, a sensori a stato solido, poco sensibili e quindi un pò lenti, ma capaci di misure simultanee su
più punti (imaging). La scelta degli uni o degli altri è dettata dall’esigenza di trovare il migliore
compromesso tra la sensibilità e la velocità del sensore e la richiesta di risoluzione spaziale del sistema
sotto esame.
• Sistema di processamento dei segnali ottici; filtri ed altre componenti ottiche passive, che permettano di
selezionare solo le lunghezze d’onda di interesse o lo stato di polarizzazione della luce desiderato. In tempi
più recenti si è andata anche affermando la possibilità di utilizzare elementi ottici attivi per realizzare delle
elaborazioni direttamente sul segnale luminoso con velocità e risoluzione irraggiungibili con un sistema di
post-processamento.
• Modelli e sistemi di processamento dei dati della misura; il punto focale di ogni diagnostica sta nel
modello di interpretazione dei dati che si adotta :
 modello del comportamento degli elementi otticamente attivi nel volume di misura.
 tecniche di analisi di serie temporali di misure e di distribuzione spaziale di tali elementi
permettono di estrarre numerose informazioni quantitative dai risultati delle misure.

2)Scattering elastico/ 5)Definizione dello scattering Elastico, Regimi di Scattering Elastico


Uno dei fenomeni più importanti della luce è lo “scattering”, cioè fasi condensate o gas presenti nel
volume di misura possono diffondere la luce. Nello scattering la lunghezza d’onda è legata all’energia
mediante una relazione di questo tipo: E = hλ.

Nello “scattering elastico” si ha: ,la lunghezza d’onda della radiazione incidente è la stessa della
lunghezza d’onda della radiazione riemessa.
Al fine di caratterizzare i regimi di scattering, è opportuno introdurre il parametro adimensionale di taglia
α, che è una misura della dimensione caratteristica dell’oggetto che stiamo considerando riguardo alla

dimensione della lunghezza d’onda:


In pratica se noi abbiamo una radiazione con una grande lunghezza d’onda ed un oggetto, la cui dimensione
caratteristica è particolarmente piccola, la nostra radiazione vedrà l’oggetto come un oggetto non distinto

83
(black box), perché esso rientra nelle sue dimensioni e non vediamo perché è al di sotto della sua capacità
di risolverlo.
Nel caso in cui l’oggetto è molto più grande della lunghezza d’onda, allora tale radiazione è come se
potesse misurare l’oggetto in più punti e quindi può essere più specifica nell’individuarlo.
Nel caso dello scattering elastico è possibile individuare due categorie in base alle dimensioni degli
elementi diffondenti:
1. ed in tal caso abbiamo lo scattering di Rayleigh.
2. ed in tal caso abbiamo lo scattering di Mie.
Nel caso di scattering da molecole, poiché la luce è visibile da 400 a 700 nm e la dimensione delle
molecole è dell’ordine dell’Angostrong, ci troviamo in tal caso sempre nello scattering di Rayleigh.
Ecco perché di solito si dice che lo scattering di Rayleigh è caratteristico delle molecole.

6)Scattering di Rayleigh – Intensità di Scattering


Si ha scattering di Rayleigh, quando , esso è caratteristico delle molecole; infatti la luce è visibile da
400 a 700 nm e la dimensione delle molecole è dell’ordine dell’Angostrong, per cui, in tal caso il parametro
adimensionale di taglia α, assumerà valori molto più piccoli dell'unità.
Si definisce piano di scattering, il piano in cui si ha l'intersezione tra l’asse della luce che illumina e l’asse di
raccolta, ed indichiamo le componenti del campo elettrico, entrambe ortogonali all'asse di propagazione,
rispettivamente con:
1. 𝐸𝑃 componente nel piano di scattering (si trattadella componente parallela).
2. 𝐸𝑟 componente perpendicolare.
Infine si definisce angolo di scattering l’angolo formato tra il raggio incidente e l’asse di raccolta misurato a
partire dal proseguimento del raggio incidente.

Supponiamo di avere un fascio di luce incidente, per cui abbiamo le due componenti ed .
Data una particella di raggio r, con indice di rifrazione n, se con λ indichiamo la lunghezza d’onda e con d la
distanza dell’osservatore dall’elemento “scatterante”, l’intensità raccolta di luce (intesità di scattering) è
data dalle seguenti espressioni (una incompleta la seconda mancante):

,è importante osservare che la parte parallela è uguale alla parte perpendicolare


per .
Il fatto che l’intensità di scattering dipende così fortemente dal raggio, è proporz. ad vuol dire che
quando andiamo su particelle molto piccole i segnali di scattering diminuiscono molto rapidamente.
Inoltre il fatto che l’intensità dipende da significa che, se sono nel regime di Rayleigh, le lunghezze
d’onda più piccole saranno diffuse con intensità maggiore rispetto alle lunghezze d’onda più grandi.

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Se dobbiamo studiare particelle piccole, è vantaggioso andare a lavorare con lunghezze d’onda piccole
(infrarosso).
Ritornando alle due componenti, la è praticamente costante per ogni angolo di scattering, invece la
componente orizzontale ha un minimo in corrispondenza di 90°. Nel diagramma viene riportata una scala
logaritmica.

La misurazione viene effettuata spesso a 90°, perché in tal caso la risoluzione è maggiore.

3)Scattering anelastico
Per avere scattering anelastico bisogna avere un processo di assorbimento e di rilascio di un fotone: viene
assorbito un fotone ad una certa lunghezza d’onda, si ha l’interazione del fotone con la molecola (il fotone
modifica la struttura energetica della molecola), ed infine viene emesso un fotone ad un’altra lunghezza
d’onda con uno scambio di energia.
I più tipici esempi di scattering anelastico sono:
1. Fluorescenza: una radiazione incidente eccita gli atomi della sostanza fluorescente, promuovendo
un elettrone a un livello energetico più "esterno". Entro poche decine di nanosecondi, l'elettrone
eccitato torna al livello precedente in due o più fasi, passando cioè per uno o più stati eccitati a energia
intermedia. Tutti i decadimenti tranne uno sono, di solito, non radiativi, mentre l'ultimo emette luce a
lunghezza d'onda maggiore rispetto alla radiazione incidente (non necessariamente nello spettro
visibile): questa luce è detta "fluorescenza".
2. Emissione Raman
A seguire ci sono dei concetti non necessari alla risposta, ma che potrebbero essere utili:
l’energia interna delle molecole è quantizzata, ciò vuol dire che essa può assumere un numero discreto di
valori che differiscono tutti della costante di Planck.
Facendo riferimento alla struttura energetica di una molecola, possiamo dire che tre sono i principali
contributi alla energia interna di una molecola:
1. Energia elettronica (legata agli orbitali in cui si trovano gli elettroni)
2. Energia vibrazionale (moto di un atomo rispetto all’altro)
3. Energia rotazionale (moto dell'intera molecola)
Per ognuna delle tre classi di energia esiste un numero finito di livelli di energia ammessi (detti livelli
energetici), dalla combinazione dei quali si ha la definizione dello stato energetico generale della molecola.
Un altro punto importante per la diagnostica ottica è che le transazioni da un livello energetico ad un altro
corrispondono a fenomeni di emissione (o assorbimento) di fotoni alle lunghezze d’onda corrispondenti al
salto di energia tra i due livelli tra i quali ha luogo la transizione. Però non tutte le transizioni sono
ammesse. Esistono delle cosiddette “regole di selezione” che individuano i salti energetici realmente
possibili tra tutti quelli teoricamente individuabili.

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4)Tecniche di imaging/ 7)Tecniche di Imaging e requisiti del tracciante
8)Caratteristiche principali di un sistema di Imaging per la visualizzazione dei flussi convettivi
9)Principali requisiti e componenti di un sistema PIV efficace per la misura del campo di velocità

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QUALI SONO I VINCOLI PER LA PROGETTAZIONE DI UNA TURBOGAS

La combustione viene fatta avvenire all’interno della camera di combustione, l’obiettivo principale è quello
di aumentare la temperatura dei gas e di conseguenza il loro volume specifico. Il progettista per poter
eseguire al meglio il componente deve rispettare le seguenti cose:

a) innalzare la temperatura il più possibile, compatibilmente con la resistenza meccanica dei


materiali del combustore stesso e dei primi stadi della turbina (maggiore è la temperatura
di ingresso in turbina, maggiore è l'efficienza dell'impianto);
Si può parlare di limitazione di temperatura massima del ciclo a quella per cui i materiali, oggi utilizzati,
fondono. Gli acciai ad esempio arrivano a T=1000-1200°C, oppure ci sono leghe che arrivano a
T=13001400°C.

b) Fare in modo che in uscita dal combustore non vi siano forti gradienti di temperatura o punti a
temperatura troppo elevata; La massima temperatura di cui parliamo è la massima temperatura
ammissibile ( ATT: non la T media che è possibile misurare con una termocoppia allo scarico della camera di
combustione ). Cioè se considerassimo l’andamento della funzione temperatura nella camera di
combustione si noterebbero dei picchi, quindi la T max raggiungibile sarà proprio quella misurata al picco
massimo. Se dicessi, inoltre, che la temperatura massima è di 1400°C , intendo intrinsecamente che il
materiale costituente l’apparato meccanico fonde a temperature maggiori; o meglio ancora non è garantito
il buon funzionamento della macchina a temperature superiori;

c) ridurre il più possibile la formazione di inquinanti o sostanze tossiche;

d) avere una alta affidabilità in tutti i regimi di carico ed i transitori (evitare spegnimenti improvvisi e
malfunzionamenti pericolosi; es. flash-back);

e) limitare il più possibile le fluttuazioni di pressione e quindi le vibrazioni ed i rumori; è


importante ridurre le vibrazioni perchè queste possono entrare in risonanza con le frequenza naturali
dei condotti causandone la rottura.

f) avere un sistema di combustione quanto più adiabatico possibile. Perdere all’uscita della camera di
combustione del calore a quelle temperature significa perdere non solo dell’energia utile all’ottenimento
di lavoro specifico, ma significa che si è spesa dell’energia di compressione ed energia dovuta alla
combustione. La temperatura massima di fiamma deve essere, dunque, quella massima utile; cioè è
impossibile pensare di abbassarla buttando fuori calore dalla camera di combustione. Questo significa
abbassare intrinsecamente la temperatura con del diluente, o per il combustibile o per l’ossidante. Dire
diluente per il combustibile significa dire basso potere calorifico.

QUALI SONO I MECCANISMI DI COMBUSTIONE TIPICI DEI TURBOGAS

La miscela omogeneizzata arriva all'interno della CC; qui è necessario l'immissione di energia termica
dall'esterno per far sì che si abbia l'attivazione del processo di ossidazione. Nei motori ad
accensione comandata tale energia esterna è fornita mediante la candela; tale emissione di
energia avviene in modo intermittente ed innesca la combustione di una miscela quiescente. Nel
caso della TG dobbiamo avere invece una fonte di calore continua e che inneschi il processo di ossidazione
di una miscela in flusso. Eistono varie soluzioni tecniche per innescare la combustione.
La soluzione di gran lunga più utilizzata è quella che prevede la presenza di alcune fiammelle, dette
fiamme Pilot , che bruciando rilasciano alla miscela il calore necessario per l'innesco
dell'ossidazione. Generalmente le fiamme Pilot sono disposte circonferenzialmente nella zona più esterna
della CC; il fronte di fiamma pertanto avanzerà verso il centro della CC ed il processo terminerà
quando questo fronte difiamma sarà arrivato a bruciare la zona centrale del getto. In genere tale processo
ha una durata dell'ordine del millisecondo; se consideriamo che la velocità media della corrente all'interno

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della CC è di circa 100 m/s capiamo che tutto il processo avviene nello spazio di 10 cm. Un'altra soluzione
per fornire alla miscela l'energia di attivazione necessaria per il processo della combustione è quella di
fare in modo che la miscela scambi calore con i gas combusti per rendere il processo autosufficiente. Tale
scambio di calore avviene in genere attraverso il ricircolo dei gas combusti all'interno della CC stessa. In
questa sede è però bene sottolineare che il ricircolo interno comporta maggiori rischi di innesco del
fenomeno del falsh-back ed inoltre acutizza i gradienti di velocità nella zona che vede l'inizio del processo di
ossidazione, pertanto è maggiore anche il rischio del fenomeno del blow-off (spegnimento della fiamma).

La temperatura massima di fiamma deve essere, dunque, quella massima utile; cioè è impossibile pensare
di abbassarla buttando fuori calore dalla camera di combustione. Questo significa abbassare
intrinsecamente la temperatura con del diluente, o per il combustibile o per l’ossidante. Dire diluente per il
combustibile significa dire basso potere calorifico.

Sta di fatto che la maggior parte delle turbine a gas vengono fatte, sbagliando, con la diluizione con aria; in
quanto sarebbe meglio avere un inerte a bassa temperature ( tipo azoto, anidride carbonica). Ad esempio
sarebbe utile avere 1kg di combustibile che diluito con questo ossidante avene 10% di ossigeno e 90% di
inerte .

QUALI SONO LE ARCHITETTURE DI COMBUSTORI IN UN IMPIANTO TURBOGAS

I combustori con fiamma non miscelate sono i primi ad essere stati sviluppati ed utilizzati pertanto,
risultano più affidabili ma meno performanti. All'interno del combustore si fanno incontrare
due flussi paralleli di combustibile ed ossidante i quali, diffondendo l'uno nell'altro, danno luogo ad una
zona con una concentrazione prossima a quella stechiometrica e proprio in tale zona si ha
il processo di ossidazione.

Facendo riferimento ad una turbina aeronautica è possibile dire che, in un primo momento, si attua una
combustione con aria insufflata in una zona detta primaria in condizioni stechiometriche, per arrivare a
temperature alte (2300-2500°C). Dopodiché si aggiunge ancora dell’aria nella zona detta secondaria, ed
eventualmente una zona terziaria, di raffreddamento per arrivare, a fine processo, ad una temperatura
voluta calcolata in precedenza tramite media pesata delle varie temperature . Nel momento in cui avviene
la combustione si raffredda la parete con aria a bassa temperatura in maniera da contenere la fiamma. Poi,
mano a mano, dalla zona secondaria si aggiunge ancora aria, per miscelare quanto più omogeneamente
possibile ed avere temperatura voluta. Bisogna porre molta attenzione alla diluizione dell’aria sulle pareti.
Nella zona primaria si mantiene contenuta la temperatura del contenitore; ovverosia, deve essere
eliminato calore e insufflata aria per evitare di far arrivare la fiamma sulle pareti (pericolo fusione
contenitore). Per assolvere a tale onere si progetterà la camera di combustione in modo da avere una serie
di veri e propri fori che distribuiranno aria in maniera prestabilita.

Nella prima zona della parte secondaria verrà addotta aria per avere, il cosiddetto “Perspiration” (inteso
come trasudamento d’aria) e quindi rendere il processo quanto più uniforme possibile. Nella
seconda parte, sempre della zona secondaria, sarà introdotta ancora aria attraverso le fessure disposte
nella cannula, ma questa volta posizionate l’una di fronte all’altra per generare turbolenza , quindi vortici,
quindi miscelamento efficiente. . Se volessimo fare una progettazione di massima del combustore, una
volta fissata la portata d’aria da insufflare e quanto spendere per iniettarla in termini di DP ( v iniezione >
10m/s utile ai fini di una buona turbolenza); sarà fissata l’area totale dei fori:

portata = ρgas * v * Afori

Sarà possibile, quindi, decidere come giocarsi quest’area ( Afori ), ad esempio quanti fori fare e come
posizionarli.

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Fiamme di questo tipo sono state denominate fiamme a diffusione. In particolare questo processo ricorda
la combustione nel caso di doppio strato diffusivo. Così come saranno comparate le TG lean
premixed con motori alternativi ad accensione comandata, similarmente si possono
accumunare ora tali combustori con i motori ad accensione per compressione. Infatti così come avviene
nella seconda fase del processo di combustione nel motore diesel ( la prima riguarda l'autoignizione),
anche in questo caso nel combustore il fenomeno predominante è la diffusione di un flusso di
combustibile all'interno di un flusso ossidante. Il limite principale di questo tipo di combustori è che,
nonostante la concentrazione media sia lontana dalla zona stechiometrica, il processo di ossidazione
avviene, come già accennato prima, in una zona con miscela stechiometrica o leggermente
ricca. Pertanto in questa zona si avrà un problema di stabilizzazione della fiamma; la temperatura
aumenta notevolmente per poi diminuire sensibilmente durante la diffusione dei gas
combusti all'interno della corrente di comburente ad una temperatura più bassa. Fare una fiamma
stabile significa intrinsecamente farla più riaccendibile possibile.

COME SI REALIZZA LA PREMISCLEAZIONE IN UN IMPIANTO TURBOGAS

La Lean Premixed Combustion è, come si evince dal nome, una combustione che avviene in
condizioni “lean” (rapporto aria-combustibile elevato); inoltre è detta “premixed” perchè
combustibile e comburente sono miscelati e poi fatti ignire. Da considerare che si miscela con più aria
possibile, sempre con il limite superiore di infiammabilità. Troppo lean può causare la non propagazione
della fiamma. Si ha, dunque, il limite d’infiammabilità definito come il limite al di la del quale non si ha più
propagazione laminare di fiamma . L’eccesso d’aria non supererà il 60% . Nelle TG la combustione avviene
in genere sempre con forti eccessi di aria. Infatti se consideriamo che il fluido evolvente fuoriesce dal
compressore ad una temperatura abbastanza elevata (circa 400°C) e durante una combustione
stechiometrica il calore rilasciato fa sì che ci sia un aumento della temperatura di circa 2000°C, si capisce
che se non fossimo in condizioni lean si avrebbero temperature di circa 2400°C e quindi temperature non
compatibili con la resistenza termica dei materiali costituenti l'impianto. La diluizione è altresì
importante perchè il processo di ossidazione avviene meno violentemente riducendo così i rischi di
fluttuazioni e locali aumenti di pressione, cause di vibrazioni (Combustion driver Oscillation). Questo tipo di

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combustore si differenzia dagli altri perchè combustibile e comburente entrano nella camera di
combustione completamente miscelati , così come si è visto nel funzionamento dei motori alternativi ad
accensione comandata. In tali motori esistono due scelte differenti:

1) utilizzo di un componente apposito per la miscelazione (carburatore) o iniezione indiretta;

2) iniezione diretta. Se si effettua la prima scelta durante la fase di compressione il fluido evolvente è
già una miscela di combustibile e comburente; se si effetua la seconda scelta invece la
miscelazione avviene successivamente alla compressione e direttamente nella camera di combustione.

Equivalentemente esistono due tipi di TG lean premixed:

1) il combustibile viene iniettato a monte del compressore;

2) l'iniezione del combustibile viene effettuata all'interno della camera di combustione.

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INCENERITORI
L’inceneritore è un sistema di smaltimento dei rifiuti. Un rifiuto è anch’esso fonte di energia, poiché
formatosi da materiale organico ed inorganico. L’incenerimento è un problema di “Cleanable-Combustion”,
cioè negli inceneritori vengono separati materiali organici dagli inorganici. Un rifiuto solido organico ha un
certo potere calorifico, in particolare se è superiore a 15000 kJ/kg è detto CDR (combustibile da rifiuto). Ciò
che contribuisce maggiormente come potere calorifico sono plastica e carta.
Gli inceneritori si dividono in:
 Per rifiuto “tal quale” se il suo potere calorifico è inferiore a 1000 kJ/kg
 Per CDR se il suo potere calorifico è superiore a 15000 kJ/kg
I rifiuti si presenteranno in fluff (miscela di materiali plastici ottenuti in inceneritori “tal quale”), in
addensato (rifiuti pressati con poca acqua) e in bolle.
I processi di trattamento dei rifiuti sono:
 PIROLISI: attraverso la quale si convoglia una corrente a 600 °C sul il rifiuto per ottenere il chor,
componente inorganico privo di acqua;
 GASIFICAZIONE: processo con una bassa percentuale di ossigeno che avviene a temperature di circa
1000 °C e dà luogo ad un gas di sintesi costituito da CO.
L’inceneritore viene alimentato dall’alto dai rifiuti che scendono per gravità, l’aria viene insufflata dal basso
attraverso una griglia che può essere a cilindri o a barre. I cilindri (usati per i CDR) consentono un efficace
raffreddamento; le barre invece, sono costituite da piastre scorrevoli su cui viene trasportato il materiale.
L’aria viene utilizzata sia per riscaldare che per bruciare. Con l’avanzamento il materiale pirolizza e ne resta
solo una parte destinata ai cestini di raccolta.

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