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LA NATURA DEI
FENOMENI,
LE INTUIZIONI,
LA FEDE:
DAL MONDO SUBATOMICO
AL
MISTICISMO ORIENTALE
Grazie a:
Grazie a Buddha.
2
CAPITOLO 1
Fede e realtà
1. La fede originaria
3
risposte degli insegnanti c’erano sempre contraddizioni, risposte
inventate o mezze verità. Il giudizio universale raccontatomi dalla
suora con cui facevo catechismo, mi terrorizzava. La visione che tutti i
morti si risvegliassero e fossero sottoposti al giudizio divino, mi
ricordava quel vecchio film di Romero “L’alba dei morti viventi” che
in quel periodo fu il mio peggiore incubo.
Con chiunque parlassi nella speranza di un conforto, laici o preti che
fossero, non solo mi confondevano, ma mettevano in dubbio il mio
sentire, che prima d’allora davo per scontato. La mia verità, era la
verità. La certezza di essere nata infinite volte prima del 1974, era una
sensazione che non lasciava adito per essere discussa o essere messa in
dubbio. Quando poi dissi alla maestra, durante la lezione di scienze,
che secondo me le sedie erano vive e anche loro pensavano perché
formate da molecole di atomi viventi, l’ insegnante chiamò mia madre
per congratularsi della mia fervida immaginazione; ma le disse anche
di rimproverarmi se fossi volata troppo in alto con la fantasia.
Quella che i “grandi” definivano fantasia, però, non era uguale al mio
concetto di fantasia. I concetti che discutevamo, ma che chiamavamo
con le stesse parole, erano diversi. Per me “fantasia” era sapere,
ricordare, intuire. Per loro era inventare. Inventare dal nulla.
Ero soltanto una bambina vivace, intelligente e spesso esuberante. Che
inventa storie e soffre le regole scolastiche.
La mia armonia col resto del mondo e dentro di me cominciò a
traballare e ad essere mescolata con le bugie di un mondo che vive al
buio del proprio sentire, che si indottrina di una sapere costruito dalle
istituzioni.
Cominciai ad assimilare per forza di cose, quei concetti che ritenevo
sbagliati, perché pensavo di essere l’unica al mondo a pensarla in quel
modo strampalato. O almeno credevo. La morte cominciò a farmi
paura. Prima di allora non mi era mai successo. Anzi. Avevo curiosità
di raggiungere la vecchiaia, per varcare questa dimensione e per
riscoprire quanto spettacolare fosse l’eterno fluire. Non avevo paura di
niente. Volevo vivere, e la morte mi incuriosiva.
Dopo il catechismo, la prima confessione, i dieci comandamenti a
memoria, o “il credo” o il “mea culpa”, tutto cominciò ad apparirmi
talmente innaturale e forzato che la mia vita perse quella originale
armonia con cui ero nata.
Ma venire al mondo in armonia non credo fu solamente una mia
esclusiva. Non ero una bambina speciale, né particolarmente dotata.
L’armonia di cui ricordo ancora oggi la sensazione, è in origine a tutte
le specie viventi, e oggi so che lo è anche per le “non viventi” o cose
inanimate. La meraviglia e la gioia di esistere che accompagna l’uomo
nei primi anni di vita è una realtà esperibile sotto gli occhi di tutti.
L’armonia che muove ogni cosa, dal cosmo ai più piccoli nucleoni che
compongono la materia, è oggi una realtà della fisica quantistica che in
pochi hanno il privilegio di studiare e di sapere.
Gli anni più “bui” della mia vita, furono quando mia madre mi
prendeva per mano e mi portava in chiesa, quando mi costrinsero alla
prima comunione e alla cresima. Quando ero ossessionata dal peccato
che la chiesa cattolica continuava a usare come arma su di me e su tutti
i fedeli per il suoi ‘retti’ scopi a me ignoti.
4
Quando confessavo al prete di turno i miei primi istinti, mi faceva
inginocchiare per venti minuti a recitare dieci “Padre nostro” e dieci
“Ave Maria”. Avevo perso la fede. Quella fede verso la mia armonia.
Quella fede che naturalmente possediamo tutti.
In pali (la lingua originaria dei testi buddisti) la parola tradotta con
FEDE, o fiducia, è saddha che letteralmente significa: “porre il cuore
su”. Avere fede è offrire e affidare il proprio cuore. Io avevo perso
quella cosa su cui riporre il mio cuore. Fede è la volontà di fare il
passo successivo in armonia col nostro sentire. Avere fiducia nella
propria vita.
Ma se il percorso personale ci viene imposto, si è costretti a percorrere
il viaggio della nostra vita su binari a noi sconosciuti e senza una vera
e propria meta, se non quella inculcataci dalla società occidentale;
studio, lavoro, famiglia, pensione. Se non crediamo alla meta, il
viaggio stesso sarà inutile, noioso e privo di insegnamenti. Avere fede
è il viaggio stesso, oltre che la meta o la missione, il nostro viaggio
personale, sorretto dalla volontà della propria verità.
Quando studiai L’Eneide capolavoro dell’età latina, scritto da Virgilio,
vissuto oltre duemila anni fa, mi appassionò fervidamente la figura
dell’eroe, il pio Enea, come spesso era aggettivato dall’autore.
Quando Enea, sconfitto, fugge dalla battaglia di Troia, è guidato
solamente dal senso della sua missione, dalla sua fede. Affronta
ripetutamente l’ignoto, non ha idea di che cosa lo aspetti. Le sue navi,
il suo equipaggio, vengono travolti dalla tempesta, attaccati, colpiti,
saccheggiati. Solo quando troverà il coraggio di inoltrarsi nell’oscurità,
gli si rivelerà la luce che lo guida verso il passo successivo.
Grazie ad Enea capii che brancolavo nel buio da troppo tempo, con
nessuna luce che mi apparisse in fondo alla via, con nessuna missione
da portare a termine.
Non ero io il condottiero della nave, e non ero neanche un marinaio,
non avevo un capitano né una rotta da seguire.
5
2. Il rapporto con la realtà: la fede è un’ invenzione?
Delle cose invisibili e delle cose visibili soltanto gli dèi hanno conoscenza
certa; gli uomini possono soltanto congetturare.
(Alcmeone)1
1
Alcmeone, De Natura
2
Rolf Breur, Jon Elster, Heinz von Foerster, Ernst von Glasersfeld, Rupert Riedl, David L. Rosenhan, Gabriel
Stolzenberg, Francisco J. Varela, Paul Watzlawick.
6
I passeggeri cominciano a prendere apertamente
posizione. La madre viene rimproverata ma respinge
qualunque interferenza. Le critiche vengono ribadite in
modo più aperto. Allora lei dice che ognuno farebbe
meglio a badare agli affari suoi. Le emozioni si fanno più
forti, e la scena diventa rumorosa e turbolenta. Il ragazzo
urla, la madre arrabbiatissima e rossa in viso, dichiara
che adesso mostrerà a tutti, qual era il problema, e
comincia (tra l’orrore generale), a strappare via la
fasciatura. Ciò che alla fine viene alla luce è un vaso da
notte di latta, che il piccolo Don Chisciotte si è calcato in
testa con tale forza da non riuscire più a toglierselo;
stanno andando a chiedere aiuto a un fabbro. I
passeggeri scendono da un tram molto imbarazzati.
Come potevano poche bende intorno alla testa del
ragazzino portare alla spontanea supposizione di un
incidente serio quando tutte le altre indicazioni erano
contrarie a tale ipotesi?
Noi, motiviamo la nostra tendenza, anche quando
brancoliamo nel buio più completo e pronostichiamo
cause e fini, nonostante spesso cadiamo in errore,
fraintendendo lo scopo e leggiamo le sequenze di causa
ed effetto alla rovescia3.
Oppure:
3
Paul Watzlawick, La realtà inventata, Feltrinelli, 1988, p. 66
4
Idem, p.67
7
blanda può spingere alla noia, nella forma più acuta alla
psicosi o al suicidio. Quindi se è in gioco una cosa così
importante, la spiegazione del mondo deve essere
incontestabile, non può lasciare nessuna questione in
sospeso. (…) La vita è come una lotta contro il nulla.5
5
Idem, p. 179
6
Idem, p. 9
7
Idem, p. 59
8
Idem, p. 184
9
Idem
8
in alcuni casi, perdere la capacità di tornare indietro e
metterla in discussione. Non accettarla e scegliere di
metterla in discussione può all’opposto portare a
riconoscere che essa e alcune delle sue conseguenze sono
in realtà inesatte.10
10
Idem, p. 225
11
Fritjof Capra, Il tao della Fisica, Adelphi, 1989, p. 31
9
L’ampia divergenza che vi è tra conoscenza e realtà, è ampiamente
affrontato e dipanato ma senza alcuna soluzione nel testo di
Watzlawick.
12
Paul Watzlawick, La realtà inventata, Feltrinelli, 1988, p. 24
13
Fritjof Capra, Il tao della Fisica, Adelphi, 1989, p. 18
10
Così, Fritjof Capra, nel libro Il tao della fisica non si limita
all’esposizione di una tesi che asserisce l’impercettibilità della realtà,
ma, attraverso lo studio dell’infinitamente piccolo, ossia della realtà
subatomica, apre un nuovo scenario fondato su nuovi concetti di realtà
e propone un modo per districarsi dalla gabbia della nostra mente.
Nonostante la sua esperienza si basi sull’osservazione scientifica, i
suoi campi d’interesse toccano e comprendono anche le religioni
orientali, riuscendo alla perfezione a creare un ingranaggio completo e
funzionante tra la fisica moderna e il misticismo orientale. Infatti, ciò
che da sempre ha permeato la cultura orientale e il suo misticismo, è di
liberarsi dalla confusione del nostro concetto approssimativo di realtà;
quello che interessa ai mistici orientali è la ricerca di un’esperienza
diretta della realtà che trascenda non solo il pensiero intellettuale, ma
anche la percezione sensoriale.
14
Idem, p. 33
15
Idem
11
I Veda, gli scritti sacri indiani, descrivono così la realtà contenuta in
tutti i fenomeni manifesti:
16
Raimon Panikkar, I Veda, vol. I, Bur, Milano, 2001, p. 450
12
3. Due strumenti per intuire la realtà; la fisica e il misticismo
orientale
I problemi del linguaggio sono qui veramente gravi. Noi desideriamo parlare
in qualche modo della struttura degli atomi…Ma non possiamo parlare degli
atomi servendoci del linguaggio ordinario.
(W. Heisemberg18)
17
D. T. Suzuki, La dottrina Zen del vuoto mentale, Ubaldini, Roma, 1968, p. 119
18
Fritjof Capra, Il tao della fisica, Adelphi, Milano, 1989, p. 53
19
Isaac Newton, Principi matematici della filosofia naturale, Utet, Torino, 1965, p. 102
13
Due sviluppi, quello della teoria della relatività e quello della fisica
atomica, misero in discussione i più importanti elementi della
concezione newtoniana del mondo: in primis la nozione di spazio e di
tempo assoluto, e quella delle particelle solide elementari che si era
capito non essere indistruttibili, fisse, ed eterne.
Agli inizi della fisica moderna si erge la straordinaria impresa
intellettuale di Albert Einstein [1879-1955].
La sua teoria della relatività fu rivoluzionaria.
Einstein era profondamente convinto dell’armonia della natura20 e lo
scopo che si propose nel corso di tutta la sua attività scientifica, fu
quello di trovare una fondazione unificata della fisica.
Secondo la teoria della relatività21, lo spazio non è tridimensionale e il
tempo non è una entità separata. Essi sono strettamente connessi e
formano un continuo quadridimensionale, lo spazio-tempo, perciò non
si può mai parlare dello spazio senza parlare del tempo e viceversa.
Sebbene ancora oggi la meccanica degli ingegneri si basa su quella di
Newton, sono stati abbandonati i concetti di spazio assoluto inteso
come scenario immutabile dei fenomeni fisici, e il concetto di tempo
assoluto.
Una simile rivoluzione della visione della natura ha portato a nuove
indagine e scoperte dell’infinitamente piccolo. In primo luogo la
scoperta dei raggi X, che permise di conoscere la struttura interna
degli atomi.
Si scoprì che le unità subatomiche della materia sono entità molto
astratte che presentano un carattere duale, e a seconda di come le
osserviamo, esse sembrano particelle oppure onde; questo carattere
duale è presente anche nella luce.
Questa proprietà è assai singolare; è impossibile per noi accettare che
una cosa sia allo stesso tempo una particella (un’entità confinata in un
volume molto piccolo) e un’ onda che si estende su un’ampia regione
dello spazio.
Queste contraddizioni, condussero alla fine alla teoria dei quanti, ossia
come li definì Einstein pacchetti di energia.
I quanti di luce, che ora vengono chiamati fotoni, hanno caratteristiche
assolutamente incomprensibili al nostro sistema logico, e si
comportano in modo improbabile.
20
Albert Einstein, Come io vedo il mondo, Newton Compton, 1975, p. 21
21
Albert Einstein , La teoria della relatività, Newton Compton, 1976, p. 74
22
Fritjof Capra, Il tao della fisica, Adelphi, Milano, p. 79
14
Non possiamo mai prevedere con certezza un evento atomico:
possiamo solo dire quanto è probabile che esso avvenga.
Facciamo un esempio: se spariamo un proiettile con un cannone, in
base a tutte le coordinate da noi predefinite, ossia direzione e velocità
ecc., possiamo prevedere la traiettoria del proiettile e dove esso
colpirà. Ma immaginiamo invece di scagliare con un cannone una
particella subatomica, essa si comporterà in maniera assolutamente
imprevedibile; come un onda nello spazio sarà dovunque in ogni
momento e ogni nostro tentativo di predisporla in un tempo o
confinata in uno dato spazio, risulterà inutile perché si comporta,
scendendo nel campo della logica, in modo illogico.
Ogni descrizione della realtà subatomica rimane imprecisa e
incompleta. La spiegazione di tale realtà rimane approssimativa e
paradossale.
23
Albert Einstein, Come io vedo il mondo, Newton Compoton, Bologna, 1975, p. 35
24
Fritjof Capra, Il tao della fisica, Adelphi, Milano, p. 57
25
Heisenberg, citato in Il tao della fisica, p. 59
15
Tutte le volte che la natura delle cose è analizzata dall’intelletto, essa
non può non apparire assurda e paradossale.
26
Wumenguan, I precetti segreti dei Koan Zen, Mondadori, Milano, 1993, p. 17
27
Nyogen Senzai e Paul Reps, 101 storie Zen, Adelphi, Milano, 1973, p. 36
28
Wumenguan, I precetti segreti dei Koan Zen, Mondadori, Milano, 1993, p. 34
29
Taisen Deshinamaru, Il vero Zen, Mondadori, 1997, p. 27
16
modello meccanicistico newtoniano dell’universo, il
quale, in modo molto simile al modello di Democrito
nell’antica Grecia, riduceva tutti i fenomeni al moto e
all’interazione di atomi duri e indistruttibili. Le proprietà
di questi atomi furono ricavate dalla nozione
macroscopica di palle da biliardo e quindi
dall’esperienza sensoriale diretta. Non ci si chiedeva se
questa nozione si potesse effettivamente applicare al
mondo atomico. In realtà, questo fatto, secoli fa, non
poteva essere indagato sperimentalmente.
Nel novecento, tuttavia, i fisici furono in grado di
affrontare sperimentalmente il problema della natura
intima della materia. Con l’aiuto di una tecnologia, essi
riuscirono ad esplorare la natura sempre più in
profondità, scoprendo una dopo l’altro i vari strati della
materia, alla ricerca dei suoi ‘mattoni’ elementari. (…)
Oggi, con l’aiuto delle moderne apparecchiature, siamo
dunque in grado di ‘osservare’ le proprietà degli atomi e
dei loro costituenti, e quindi, sia pure limitatamente di
esperire il mondo sub atomico.
Non si tratta, tuttavia, di un’esperienza ordinaria,
confrontabile con quella del nostro ambiente quotidiano.
A questo livello, la conoscenza della materia non è più
ricavabile dall’esperienza sensoriale diretta, e perciò il
nostro linguaggio ordinario, che trae le sue immagini dal
mondo dei sensi, non è più adeguato a descrivere i
fenomeni osservati. A mano a mano che penetriamo più
profondamente nella natura, siamo costretti via via ad
abbandonare le immagini e i concetti del linguaggio
ordinario. (…) Come i mistici, i fisici ora avevano a che
fare con un’esperienza non sensoriale della realtà, e
come quelli dovevano affrontare gli aspetti paradossali di
questa esperienza. Da quel momento in avanti, quindi i
modelli e le immagini della fisica moderna divennero
simili a quelli della filosofia orientale.30
Einstein scrisse:
E Heisemberg:
30
Fritjof Capra, Il tao della fisica, Adelphi, Milano, p. 59
31
Albert Einstein scienziato e filosofo, Boringhieri, Torino, 1958, p. 25
17
conto che questa volta hanno cominciato a cedere i
fondamenti stessi della fisica: e che questo movimento ha
prodotto la sensazione che sarebbe stata tagliata la base
su cui poggiava la scienza.32
Quindi:
32
Citato in Il Tao della Fisica, Adelphi, Milano, p. 62
33
Fritjof Capra, Il Tao della Fisica, Adelphi, Milano, p. 58
34
Citato in Il Tao della Fisica, Adelphi, Milano, p. 53
35
Wumenguan, I precetti segreti dei Koan Zen, Mondadori, Milano, 1993, p. 131
18
CAPITOLO 2
Il misticismo orientale
36
Alan W. Watts Lo Zen, Bompiani, Torino, 1958, p. 82
37
Idem, p. 73
38
Idem, p. 72
39
Idem, p. 81
40
Idem, p. 74
19
Il Koan, affinché porti all’illuminazione, non ammette una soluzione
intellettuale; la soluzione non ha nessun rapporto logico con la
domanda, e la domanda è tale da mettere nel più totale imbarazzo
l’intelletto.
Agli occidentali, i Koan, sembrano sciocchezze e assurdità, ma in
realtà, ognuno di essi contiene il grande koan della vita, attraverso il
linguaggio dei simboli e delle analogie.
Per esempio, nel racconto dell’oca citato sopra, scopriamo che l’oca
rappresenta l’uomo, e la bottiglia le circostanze della sua vita; l’uomo
deve o abbandonare il mondo per liberarsene, oppure lasciarsene
schiacciare. Ma entrambe queste alternative sono forme di suicidio. A
che scopo abbandonare il mondo e che cosa otteniamo lasciandocene
schiacciare? Il discepolo zen, deve trovare la via d’uscita.
Un maestro ha paragonato il discepolo che cerca di risolvere il koan, a
una zanzara che cerca di mordere un blocco di ferro41 .
Nel momento in cui il discepolo trova la via d’uscita, il satori lo
colpisce come un lampo e :
Ma il mattone che apre la porta non può essere preso con le mani. Il
discepolo, si ritrova con qualcosa che non può essere subito afferrato o
ucciso con la definizione e l’analisi:
41
Idem, p. 78
42
Idem, p. 74
43
Idem, p. 75
44
Idem, p. 79
20
Vi sono vari gradi di Satori, e per giungere al più alto è necessario
lavorare su molti koan attraverso una meditazione costante. Nei primi
stadi della pratica Zen, il lampo di luce dell’illuminazione durerà solo
pochi secondi, mentre col passare del tempo diventerà più durevole:
Si dice che per coloro che non sanno nulla dello zen le
montagne sono soltanto le montagne, gli alberi sono
soltanto gli alberi, gli uomini sono soltanto gli uomini.
Dopo aver studiato lo zen per qualche tempo, uno giunge
a percepire la vanità e la fugacità di tutte le forme, e le
montagne non sono più montagne, gli alberi non sono più
alberi, gli uomini non sono più uomini;
mentre l’ignorante crede nella realtà oggettiva delle
cose, chi è parzialmente illuminato vede che esse sono
soltanto apparenze, che non hanno nessuna durevole
realtà e trascorrono come nuvole in fuga. Ma per colui
che ha compreso pienamente lo zen le montagne sono di
nuove montagne, gli alberi sono alberi, e gli uomini sono
uomini.47
45
Idem, p. 80
46
Idem, p. 83
47
Idem, p. 84
21
2. Chi è Buddha
Questo è il mio pensiero costante: come posso far sì che tutti gli esseri
viventi accedano alla via suprema e acquisiscano rapidamente il
corpo di Budda?
(Il sutra del loto48)
48
Daisaku Ikeda, Il Sutra del Loto-I capitoli Hoben e Jurio, Esperia, Milano, 1996, p. 211
49
Fritjof Capra, Il tao della fisica, Adelphi, Milano, 1989 p. 225
22
I mistici orientali hanno la visione del mondo come un unico sistema
in continuo divenire, come una rete inestricabile le cui
interconnessioni sono dinamiche e non statiche; esattamente come
appare il mondo degli atomi a un osservatore:
50
Idem, p. 47
23
Molti anni or sono, in un bel giorno di primavera nacque
il figlio di Brahamadatta, il sovrano di Benares. I maghi
di corte gli predissero un grande avvenire.
“Maestà, questo bimbo compirà imprese illustri, grazie a
cinque strumenti.” Per questo il principe fu chiamato
‘cinque strumenti’. Egli ricevette un’istruzione completa
nelle arti e nelle scienze, ed ebbe un bravo maestro che
gli svelò i segreti del cuore. Da grande il giovane viaggiò
molto, ma alla fine decise di ritornare a Benares. Sulla
strada di casa c’era una grande foresta, assoggettata al
dominio di un mostro. La creatura aveva un aspetto
disgustoso, e la pelle ricoperta da una fitta peluria. Gli
abitanti della zona si preoccuparono di avvertire il
principe.
“Maestà, non andate nella foresta. Il mostro vi farà a
pezzi!” Ma il giovane non ci fece caso. Pensò infatti che
fosse il momento di mettere in pratica gli insegnamenti
ricevuti. Senza il minimo timore, entrò nella foresta. Ma
il mostro si accorse del suo arrivo e cominciò a gridare:
“Avvicinati, sarai un buon boccone!”
Per tutta risposta il principe gli tirò una freccia
avvelenata, il primo dei cinque strumenti. Ma il dardo si
conficcò nella peluria del mostro.
“Cosa pensi di farmi? Non capisci che sono invincibile?”
Il principe non si perse d’animo e ricorse al secondo
strumento, una lancia molto aguzza. Ma neanche in
questo caso la creatura ripugnante fu protetta dalla
peluria,e la lancia andò a conficcarsi in una specie di
corazza.
“Non importa! Mi rimangono altre armi. Non mi fai
paura!”
Il principe sferrò al mostro un violento pugno. Ma il
mostro rimase ancora in piedi. Per il quarto strumento, i
piedi, fu la stessa cosa: nonostante due energici calci, la
creatura manteneva la sua postura minacciosa. Allora il
giovane tentò il tutto per tutto, con l’ultimo strumento
disponibile; a testa bassa si scagliò contro il mostro per
infliggergli il corpo mortale. Ma neanche stavolta riuscì
ad abbatterlo. Ora il giovane era disarmato. Non per
questo però cessò di combattere. Allora il mostro lo
guardò con ammirazione dicendogli:
“Apprezzo il tuo coraggio, vedo che sebbene disarmato,
continui a lottare. Ma come puoi sperare di sottrarti alle
mie grinfie?”
“Non ti temo creatura repellente! E non sono disarmato,
mi resta ancora uno strumento il cui uso non ho dovuto
apprendere!”
Il mostro incuriosito allentò la presa.
“Nel mio corpo c’è una spada di diamante. E’ lei a darmi
sicurezza incitandomi a combattere. Perciò ti avverto: se
24
tenterai di divorarmi, la sua lama ti andrà di traverso
spezzandoti la gola!”
Il principe ricorreva a una metafora: in realtà, la spada
era la sua capacità di comprensione. Egli sapeva di poter
trionfare solo con il non-attaccamento, non curandosi
dell’esito della lotta.
Il mostro cominciò a riflettere: “questo giovane combatte
con foga, e mi avrebbe certamente vinto se non fosse per
i peli! Probabilmente dice il vero. Come potrei digerire
una spada nascosta nel suo corpo?”
Per paura delle conseguenze il mostro decise di
risparmiare il principe, liberandolo dalla stretta mortale
e disse:
“Mi rendo conto che c’è qualcosa in te più forte delle
armi. Non ti curi della mia potenza, né di quanto potrei
farti. Ecco perché ti restituisco la libertà, permettendoti
di tornare il patria.”
Il principe notò che il carattere del mostro stava
mutando. Allora decise di restargli vicino per istruirlo sul
‘non-attaccamento’ e sui fondamenti del buddismo. E in
breve tempo la creatura cambiò indole, divenendo uno di
quei geni che guidano gli uomini tra i pericoli dei boschi.
Grazie a questa parabola i discepoli riuscirono a capire
il valore del non attaccamento, pilastro dell’etica
buddista51.
51
Leonardo Vittorio Arena, La via buddista dell’illuminazione, Mondadori, Milano, 1997, p. 96
25
Il nero del corvo e il bianco dell’airone sono macchie
indelebili lasciate dal karma di esistenze precedenti.52
Oppure:
52
Burton Watson (a cura di), Il Sutra del Loto, Esperia, Firenze, p. 223
53
Tenzin Gyatso, Samsara, la vita, la morte, la rinascita, Mondadori, Milano, 1997, p. 144
54
Asvagosha, Il risveglio della fede Mahayana, Sansoni, Firenze, 1959 p. 19
26
Lo Zen è una delle scuole principali sviluppatasi in seno al buddismo.
Più di qualsiasi altra scuola del misticismo orientale, lo Zen è convinto
che le parole non possono mai esprimere la verità ultima.
Esso ha probabilmente ereditato questa convinzione dal taoismo che
aveva lo stesso insegnamento intransigente:
Oppure:
55
Chuang-Tzu, citato in Il tao della fisica, p. 139
56
Lao tzu, Tao-te-ching, Demetra,1994, frammento I
57
Nyogen Senzaki e Paul Reeps , 101 storie zen, Adelphi, 1973, p. 104
27
Una poesia zen dice:
58
A. Watts, Zenrin Kushu, citato in Il tao della Fisica, p. 143
59
Lao tzu, Tao-te-ching, Demetra, Milano, 1994, p. 9
60
Idem, p. 7
28
La natura dei fenomeni è, per i taoisti, un vicendevole compenetrarsi
degli opposti.
Lao-Tzu scrive:
E ogni volta che si vuol tenere una cosa, bisogna accettare che in essa
ci sia qualcosa del suo opposto:
61
Idem, frammento XXXVI
62
Idem, frammento XXII
29
Compare, poi, la differenziazione: Yin, il maschile, l’oscurità, e Yang,
il femminile, la luce; appaiono quindi il Cielo e la Terra. L’interazione
dinamica e trasformativa di Cielo e Terra da origine a tutti i fenomeni:
63
Chuang-tzu, citato in Fritjof Capra, Il tao della Fisica, Adelphi, Milano, 1989, p. 134
30
3. L’illusione della forma
64
Lao tzu, Tao-te-ching, Demetra, Milano, 1994, frammento XI
65
Fritjof Capra, Il tao della fisica, Adelphi, Milano, 1989, p. 245
31
La tradizione, comunque, sostiene concordemente che fu originario del
Vidarbha (l’attuale Berar), nel Deccar centrale.
Nel suo Madhyamaka Karika affronta una visione della natura, che ha
una straordinaria similitudine con la realtà-vuoto del mondo
subatomico:
66
Nagarjuna, Madhyamaka Karika, Boringhieri, Torino, 1961, p. 35
67
Lao-tzu, Tao te ching, frammento VI
68
Raimon Panikkar, I Veda, vol. II, Bur, Milano, 2001, p. 890
32
4. L’utilizzo dei Mantra per trascendere la forma
69
Raimon Panikkar, Gli inni cosmici dei Veda, Bur, Milano, p. 76
70
Choa K. Sui, Om Mani Padme Um. La perla blu nel loto d’oro, Elfis, 2005, p. 101
33
gli eventi che ci circondano non sono altro che differenti
manifestazioni di un'unica realtà che soggiace alle cose71.
Illusione non significa che tutto il mondo è illusione, l’illusione sta nel
nostro punto di vista se pensiamo che le strutture e le forme e gli
eventi intorno a noi, siano la realtà della natura, invece di comprendere
che sono concetti della nostra mente la quale misura e classifica. Maya
è l’illusione che deriva dallo scambiare questi concetti per realtà, dal
confondere la mappa con il territorio.
71
Idem, p. 115
72
Fritjof Capra, Il tao della fisica, Adelphi, Milano, 1989, p. 106
73
Hermann Hesse, Siddharta, Adelphi, Milano, 1973, p. 76
34
La Creazione consiste di vibrazioni di varia frequenza e ampiezza che
danno luogo ai fenomeni del mondo. Le vibrazioni più pure, sono le
Var.na, scritture imperscrutabili, a noi rivelate, imperfette sia nella
forma che nel suono. Le Var.na sono gli atomi del suono. Gli atomi del
suono, così come quelli della materia e della luce, sono particelle e allo
stesso tempo onde, di per se vuoti ma vibranti di energia sonora74.
L’OM è questa energia sonora che soggiace a tutte le cose visibili e
invisibili ed è perfettamente paragonabile a quella stessa energia di cui
ogni atomo è composto.
74
Choa K. Sui, Om Mani Padme Um. La perla blu nel loto d’oro, Elfis, 2005, p. 199
75
Fritjof Capra, Il tao della fisica, Adelphi, Milano, 1989, p. 81
35
La meditazione profonda consente la possibilità di
abolire il tempo, di vedere in contemporaneità tutto ciò
che è stato, ciò che è e ciò che sarà, e allora tutto è bene,
tutto è perfetto, tutto è Brahman.76
OM:
76
Hermann Hesse, Siddharta, Adelphi, Milano, 1973, p. 188
77
Raimon Panikkar, I Veda, Vol. II, Bur, Milano 2001, p. 1057
78
Choa K. Sui, Om Mani Padme Um. La perla blu nel loto d’oro, Elfis, 2005, p. 113
36
NAM MYOHO RENGE KYO:
SO’ HAM:
Hare Krsna83, Hare Krsna, Krsna Krsna, Hare Hare, Hare Rama,
Hare Rama, Rama Rama, Hare Hare :
79
Daisaku Ikeda, La saggezza del Sutra del Loto, Esperia, Firenze, 2000, p. 78
80
Nei Veda simboleggia la madre di tutte le cose.
81
Raimon Panikkar, Gli inni cosmici dei Veda, Bur, Milano, 2004, p. 21
82
Muktananda, Il gioco delle coscienze, Mediterranee, 1987, p. 77
83
Krishna è una delle divinità indù.
84
Bhaktivedanta Swami Prabhupada, Bhagavad -Gita così com’è -, Adelphi, Milano, 1983, p. 199
37
5. Tre mantra: Om mani padme hum, il Rosario, Nam myoho
renghe kyo
85
Gisella Melluso, Mantra, il ritmo sacro della preghiera, Demetra, Firenze, 2000, p. 3
86
Raimon Panikkar , I Veda, vol. I, Bur, Milano, 2001, p. 120
87
Idem, p. 122
38
Per illustrare la funzione dei mantra è spesso usato questo esempio:
39
quell'insieme di saggezza e nobiltà che
contraddistinguono la vera compassione.
In questa forma era ancora più splendente e più forte per
poter aiutare tutti gli esseri. La sua compassione si
sviluppò ancora più intensamente ripetendo questo voto
davanti ai Buddha: " Non potrò uscire dal Samsara sino
a quando tutti gli esseri senzienti non avranno raggiunto
l'illuminazione". Si dice che per il dispiacere ed il dolore
del Samsara dai suoi occhi sgorgarono due lacrime,e con
la benedizione dei Buddha si trasformarono in due Tara.
Una Tara nella forma verde che rappresenta la forza
attiva della compassione e l'altra Tara nella forma
bianca che rappresenta l'aspetto materno della
compassione. Tara significa "Colei che libera - Colei che
ci accompagna attraverso l'oceano del Samsara".
Nel Mahayana Sutra vi è scritto che Avaloketeshvara ha
donato il suo Mantra al Buddha e Buddha, a sua volta,
gli ha assegnato il suo speciale e nobile incarico di
aiutare tutti gli esseri dell'universo a raggiungere
l'illuminazione. In quel momento su di loro discesero
fiori, la terra tremò e nell'aria echeggiò il Mantra "OM
MANI PADME HUM. 89
40
quando le vede immerse nell’oceano del samsara.
Quando le vede patire mali incurabili, quando le vede
spoglie di ogni desiderio di fare il bene, quando le vede
oramai fuori dalla retta via del Dharma o dalla legge
universale di tutti i Buddha.91
唵 嘛 呢 叭 咪 吽
Questi sono i sei ideogrammi del mantra tibetano Om mani padme
hum del Bodhisattva Avalokiteshvara; detto anche ‘precettore dei
suoni’ e ‘Buddha della compassione’. Questo mantra è associato oltre
che al suono, anche alla forma con molte braccia del mito di
Avalokiteshvara, che è considerata la divinità tutelare del Tibet e
viene anche chiamato ‘Il portatore del loto bianco’.92
91
Idem, p. 192
92
Tenzin Gyatso, Samsara, la vita la morte, la rinascita, Mondadori, Milano 1997, p. 139
41
illuminazione, in cui non esistono manchevolezze fisiche e mentali e
vi è la perfezione di tutte le qualità positive.
Secondo il buddismo tibetano, se si recitata questo mantra durante il
bardo, cioè durante la fase successiva alla morte e precedente alla
reincarnazione, si evita di ricadere nel ciclo di rinascite del Samsara.
La reincarnazione, secondo i buddisti tibetani, è la credenza che una
parte dell’essere umano (l’anima per alcuni, la coscienza o il
complesso immateriale dell’individuo secondo altri) sopravviva alla
morte, per albergare poi in altri individui contribuendo all’ evoluzione
progressiva dell’essere:
"Om" chiude la porta della rinascita fra gli dei, "Ma" quella fra le
Asura, divinità gelose, "ni" quella fra gli uomini, "Pad" quella fra gli
animali, "me" quello fra i preta, spiriti insaziabili, e "Hum" quella
negli inferi. L’invocazione è diretta principalmente al Budda della
compassione Avaloketeshvara.
Uno degli aspetti principali di questo mantra è il suono, che ne
rappresenta l'essenza più intima ed è il vero segreto della potenza.
Secondo la tradizione vedica, un mantra è efficace solo se intonato
nella maniera giusta perchè la sua forza risiede prima ancora che nel
suo significato verbale o concettuale, proprio nel suono, nella
risonanza, nella vibrazione acustica. In ogni tradizione religiosa la
sacralità del canto è, infatti, direttamente collegata alla sua sonorità, in
virtù della quale, nel corso dei secoli, gli stessi edifici religiosi sono
stati costruiti e le stesse cerimonie sono state create; il valore rituale
del suono, è inteso come "ponte sacro", come mezzo di collegamento
fra la sfera umana e quella divina, ed è testimoniato dall'insegnamento
spirituale di molte tradizioni, ed anche in quella cristiana. Come
afferma il prologo di Giovanni:
93
Il Vangelo secondo Giovanni, Bur, 1997, pg.25
42
In ogni caso, è certo che è all'inizio del XII secolo che si diffonde in
Occidente la litanica ripetizione del Pater nostrum per 150 volte, e
quella dell'Ave Maria94.
E ancora:
94
Anne Winston Allen, Storie della rosa. La formazione del rosario nel medioevo, Sismondi,Torino, 1931, p. 132
95
Stefano De Fiores, Il Rosario, Piemme, Alessandria, 2004, p. 24
96
Idem, p. 43
43
Eppure amo una sorta di luce e voce e odore e cibo e
amplesso nell’amare il mio Dio: la luce, la voce, l’odore,
il cibo, l’amplesso dell’uomo interiore che è in me, ove
splende alla mia anima una luce non avvolta dallo
spazio, ove risuona una voce non travolta dal tempo, ove
olezza un profumo non disperso dal vento, ov’è colto un
sapore non attenuato dalla voracità, ove si annoda una
stretta non interrotta dalla sazietà. Ciò amo quando amo
il mio Dio.97
97
S. Agostino, Le Confessioni, Garzanti, 1998, p. 288
98
D. T. Suzuki, Il buddismo Mahayana, Sonsoni, Firenze, 1959, p. 177
99
Anselm Grum, Dimensioni della fede, Messaggero, Padova, 2005, p. 65.
44
Infatti, nel Vangelo secondo Giovanni si legge:
100
Dal vangelo secondo Giovanni frammento XVII
101
Dal Vangelo secondo Luca frammento XI
102
Anonimo, Racconti di un pellegrino russo, Paoline, Torino, 2003
45
Camminai per circa cinque giorni lungo la strada
maestra, finché una sera incontrai un monaco che viveva
in un eremo poco lontano. Era uno starets (= un maestro
spirituale). Mentre lo accompagnavo gli esposi il mio
problema. Allora mi invitò nella sua cella e mi disse:
«Per "preghiera continua" non si intende altro che la
cosiddetta "Preghiera di Gesù" o "preghiera del cuore",
che consiste nella continua ed incessante ripetizione del
Nome di Gesù con le labbra, con la mente e con il cuore,
durante ogni occupazione, in ogni luogo e tempo, anche
nel sonno. La Preghiera si compone di queste parole: "
Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me,
peccatore!". Chi si abituerà a questa invocazione proverà
una tale consolazione e un tal bisogno di pronunciarla di
continuo, che non potrà più vivere senza di essa, ed essa
fluirà spontaneamente dentro di lui.”103
Il Gohonzon
103
Idem, p. 25
104
Tratto dalla rivista mensile “Buddismo e società” n. 98 , p. 30
46
Il primo a pronunciare questo mantra fu Nichiren Daishonin, monaco
buddista giapponese e profondo conoscitore del Sutra del loto, vissuto
a metà del 1200. E’ stato Nichiren a iscrivere il Gohonzon.
Una traduzione letterale di Nam miho renge kyo potrebbe essere:
dedico la mia vita alla mistica legge del sutra del loto.
Ma nonostante la chiarezza della traduzione, è difficile capire il vero e
profondo significato di questa frase.
105
Nichiren Daishonin, Gli scritti di Nichiren Daishonin, vol. IV, A.I.N.S. , Firenze, 1992, p. 144
47
Per spiegare questo concetto Nichiren utilizza l’esempio della parola
Giappone:
T’ien T’ai, storico e filosofo cinese, classificò e studiò per tutta la sua
vita i sutra di Siddharta, in base a uno schema di cinque periodi della
vita del Buddha.
Il primo è Il Sutra della Ghirlanda, che risale ai tempi
immediatamente successivi all’illuminazione, il secondo è Il Sutra del
Canone Pali, contenenti le discipline del Buddha, il terzo è Il Sutra
Mahayana, risalente al periodo in cui Siddharta volle raccontare la sua
illuminazione attraverso dei racconti, il quarto è Il sutra della
perfezione, in cui il Buddha spiegò la legge mistica attraverso il
concetto di ‘vuoto’, e l’ultimo è Il Sutra del loto, quando Siddharta
rivela la verità ultima dell’esistenza.
T’ien T’ai dedicò tutta la prima parte della sua opera maggiore (Il
significato profondo del sutra del loto) a spiegare il significato dei
cinque caratteri, ed è per ovvie ragioni che in questa sede ci
limiteremo a spiegarne soltanto il significato più esplicito. In parte ciò
è dovuto al fatto che la scrittura cinese, come discusso prima, è
estremamente concisa, e che ogni suo singolo carattere può contenere
varie e diverse sfumature di significato. Ma non si tratta solo di questo.
Così come i simboli della formula di Einstein, ognuno dei cinque
caratteri di Nam mioho renge kyo è considerato, singolarmente,
l’espressione di un profondo e complesso aspetto della vita.
Tutti insieme essi esprimono una relazione ancora più universale della
teoria di Einstein: la relazione tra la vita e l’intero universo.
Così, come il fisico tedesco, Nichiren non ha creato niente dal nulla;
ha concretizzato in sillabe la legge della vita già preesistente.
48
Nam significa “dedicare”, “offrire” la propria vita, “congiungerla” con
il ritmico e armonioso flusso di energia vitale universale. Due dei
significati di Myo sono “aprire” e “rivitalizzare”.
Ho è ciò che si trasforma, il fenomeno visibile; “myo” è la forza
invisibile che sta alla base e genera la trasformazione. Contraendosi in
“Myoho” rappresenta il ciclo di vita e morte, l’eterno e ritmico
alternarsi della fase visibile e invisibile, manifesta e latente di ogni
fenomeno.
Il ritmo del mutamento continuo di tutte le cose e della loro
impermanenza, il ciclo dove niente si distrugge ma tutto si trasforma,
la legge della conservazione dell’energia, il primo principio della
termodinamica. Einstein scrive:
∆U=Q+W
E Nichiren:
108
Albert Einstein, La teoria della relatività, Newton Compton, Bologna, 1976, p. 165
109
Nichiren Daishonin, Gli scritti di Nichiren Daishonin, vol. IV, A.I.N.S. , Firenze, 1992, p. 72
49
Renge rappresenta la simultaneità della causa e dell’effetto. Il fatto
che quel che siamo o quel che ci accade è sempre riconducibile a una
causa che sta dentro di noi e che, proprio per questo, possiamo
cambiare in meglio. La vita è nelle nostre mani. Il destino è di nostra
creazione, perché poniamo continuamente cause che prima o poi
tornano sotto forma di effetti.
Kyo principalmente il suono, la vibrazione, la sinfonia della vita
universale. La musica impalpabile che genera emozioni.
110
Burton Watson (a cura di), Il sutra del loto, Esperia, Firenze, p. 122
50
CAPITOLO 3
L’unità del tutto
111
Nichiren Daishonin, Gli scritti di N. Daishonin, Esperia, Firenze, 1987, p.55
51
L’uomo bianco non comprende il nostro modo di
pensare. Per lui un pezzo di terra vale l’altro. (…)
La terra non è per lui come un fratello, ma come un
nemico, e una volta che l’ha conquistata
l’abbandona.(…) Tratta sua madre la terra e suo fratello
il cielo come cose che si comprano, si saccheggiano, si
vendono (…). La sua voracità divorerà la terra, lascerà
dietro di se solo il deserto.(…)
Ho visto un migliaio di bufali in putrefazione nella
prateria, lasciati dall’uomo bianco che li aveva abbattuti
sparando da un treno in corsa. Che cos’è l’essere umano
senza le bestie? Se esse sparissero, le persone
morirebbero per una grande solitudine dello spirito.
Poiché tutto ciò che accade agli animali, ben presto
capita anche agli uomini. Tutte le cose sono collegate tra
loro. Se gli uomini sputano per terra, sputano sopra se
stessi. (…) Non fu l’essere umano a tessere la trama della
vita; egli non è che un filo di questa trama. Tutto ciò che
egli fa alla terra, lo fa a se stesso. (…) Anche i bianchi
passeranno, forse più in fretta delle altre tribù.
Continuate ad insudiciare il vostro letto e una notte
morirete soffocati dalla vostra stessa immondizia.112
112
Dalla rivista mensile Duemilauno, buddismo per la pace, la cultura e l’educazione, n.50, p. 58.
52
I pionieri delle teorie dei sistemi, cercarono di fare luce sui complessi
sistemi degli organismi viventi. Questo modo di pensare, che mette in
rilievo le influenze reciproche tra i fenomeni, non è limitato solo alla
biologia, ma ha trovato applicazione in diversi ambiti come il
management, la sociologia, l’ingegneria ambientale, l’ingegneria
meccanica e l’ecologia.
113
Fritjof Capra, La rete della vita, Bur-Rizzoli, 1997, p. 44
114
Bechtel William, Filosofia della scienza e scienza cognitiva, La Terza, Roma, 1995, p. 47
115
Daisaku Ikeda, La vita mistero prezioso, Sonzogno, Milano, 1981, p. 176
116
Fritjof Capra, Il tao della fisica, Adelphi, Milano, 1989, p. 157
53
Questo è anche il tipo di esperienza che i mistici orientali hanno del
mondo, ed è straordinario notare come alcuni di essi hanno espresso
tale esperienza con parole che sono quasi identiche a quelle usate dai
fisici atomici:
Oppure:
117
S. Aurobindo, La sintesi dello Yoga, Ubaldini, Roma, 1967, p. 278.
118
Nagaryuna, citato in T.R.V. Murti, La filosofia centrale del Buddismo, Ubaldini, Roma, 1983, p. 138
119
Fritjof Capra, Il Tao della fisica, Adelphi, Milano, 1989, p. 158
120
Idem
54
2. La rete della vita
Sospesa sopra la reggia del dio Indra, simbolo delle forze naturali che
nutrono e proteggono la vita, vi è una vastissima rete. A ognuno dei suoi
nodi vi è legato un gioiello. Ogni gioiello riflette in sé l’immagine di tutti gli
altri, rendendo la rete meravigliosamente luminosa.
(parabola buddista121)
121
Dalla rivista mensile Buddismo e società n. 106 p. 63
122
Fritjof Capra, La rete della vita, Bur-Rizzoli, 1997
123
Idem, p. 96
124
Mario Menichella, Viaggi interstellari - L'avventura dell'uomo nel cosmo tra realtà e fantascienza, Cuen, Napoli,
1999
55
soggiacente le cose, (come nella parabola buddista “la rete di Indra”
citata sopra) una rete energetica, di cui la materia è solo una
proiezione, un’ombra.
125
Fritjof Capra, La rete della vita, Bur-Rizzoli, Milano, 1997, p. 157
56
Un frattale
57
sistemico. La coscienza ecologica in fin dei conti
sorpassa la scienza e si rispecchia, si afferma, nella
coscienza spirituale o mistica. Vedo qui un legame molto
importante: la coscienza delle interconnessioni e delle
interdipendenze fondamentali di tutti i fenomeni, la
coscienza dell'integrazione in sistemi più ampi, è nello
stesso tempo coscienza ecologica e coscienza spirituale.
In questo modo le due si uniscono. Le idee di
orientamento spirituale hanno così rapporto profondo
con le idee scientifiche. La formulazione scientifica è
differente, più specialistica, più ristretta, ma può inserirsi
in modo armonioso in questa coscienza spirituale o
mistica.”
Nei Veda, si descrive l’unità del tutto come ‘l’uno che è ospite negli
uomini’128:
126
Idem, p. 51
127
Fritjof Capra, Il Tao della fisica, Bur, Milano, 1989, p. 338
128
Raimon Panikkar, I Veda, vol. II, Bur, Milano, 2001, p. 900
129
Idem, p. 901
58
CAPITOLO 4
Una sola fede e una sola realtà
1.Perché la preghiera
130
A. De Mello, Istruzioni di volo per aquile e polli, Piemme, 1996, p. 7
131
Alan W. Watts, Lo Zen, Bompiani, 1958, p. 86
59
Nel libro Istruzioni di volo, racconta così, cosa la preghiera non è:
132
Idem
133
Idem, p. 66
134
Raimon Pannikar, I Veda, vol. 1, Bur, 1977, Milano, p. 453
60
La gloria dell’uomo, nei testi sacri induisti, non è un riflesso della
gloria di Dio, ma una condivisione dello splendore divino tramite la
piena realizzazione della funzione umana nell’avventura universale
della realtà:
(…)
135
Idem
136
Idem, p. 455
137
Idem, p. 461
61
Probabilmente ci è molto difficile comprendere un’esperienza intima e
personale di una generazione vissuta migliaia di secoli fa come quella
induista. Tuttavia, l’esperienza spirituale, è sempre pronta per essere
esperita, vissuta e realmente compresa, perché, come detto prima, la
buddità, l’essenza divina, è parte dell’anima di ciascun uomo, è
sempre presente dentro di noi, aspetta solo di essere utilizzata.
Il buddismo paragona la buddità a un diamante, sepolto e dimenticato
nel nostro essere, che aspetta solo di essere ripulito e lucidato per
ritornare a brillare. Ed è solo attraverso la preghiera che possiamo far
di nuovo risplendere quel tesoro che ognuno ha, inconsapevolmente,
dentro.
La religione senza pratica quotidiana, cioè senza la preghiera, rimane
una filosofia, un modo di vivere e di pensare che non ha niente a che
vedere con la vera esperienza mistica. Pregare è alla portata di
qualsiasi uomo, qualunque sia il suo patrimonio genetico, la sua
cultura, la sua tradizione ...
La preghiera è parola. ‘Semplicemente’ parola.
Pochi testi, come quelli vedici, esprimono un’intuizione più profonda
del mistero cosmico della parola.
La parola è il mistero centrale che si colloca nel cuore della realtà:
Anche nel Dio cristiano c’è il verbo eterno, attraverso il quale è stato
creato il mondo, il fondamento di tutto l’essere:
138
Idem, p 132
139
La sacra Bibbia, La genesi, primo libro di Mosè, Reverdito, 1995, p. 7
140
Il vangelo secondo Giovanni, Frammento 1
141
Raimon Panikkar, I Veda, vol. 1, Bur, p.143
62
Il capitolo XX (Vagvisarda), dei Veda, si apre così:
142
Idem, p. 145
143
Nichiren Daishonin, Gli scritti di Nichiren Daishonin, A.I.N.S., 1997, vol. IV, p. 181
144
Il vangelo secondo Marco, Frammento XI
63
Così:
145
Anselm Grun, Dimensioni della fede, Messaggero, Padova, 2005, p. 56
64
2. Perché le religioni
Tutte le religioni del mondo hanno avuto origine dalla stessa volontà;
la volontà di comprendere qual è il posto dell’essere umano
nell’universo, di affrontare i misteri della vita e della morte, e dal
desiderio di sperimentare gioia e dare significato all’inevitabilità della
sofferenza e della perdita.
La religione esiste per servire l’umanità; l’umanità non esiste per
servire le religioni.
E’ proprio con questo fine, quello di servire l’umanità, che le religioni
possono contrastare le tendenze umane più basse; per esempio il
fondamentalismo e l’autoritarismo, fornendo un fertile terreno su cui
possa crescere una vera cultura dell’amore e della pace.
In pali, la parola pace, si traduce ‘santi’ (sanscr. shanti) , che si
riferisce a quella che noi chiamiamo pace interiore e a quella che nel
buddismo viene identificato col Nirvana, Satori o illuminazione.
Il contributo più significativo del buddismo alla non-violenza, sono le
‘tecniche’ escogitate per contrastare le tre radici malvagie dell’azione:
odio (dosa), brama (lobha), e illusione (moha), che sono i semi della
violenza.
Il buddismo insegna che ognuno di questi sentimenti ha il suo
antidoto: la benevolenza (metta) per contrastare la collera, la
generosità (dana) per contrastare l’avidità, e la saggezza ( panna) per
contrastare la stupidità.147
La meditazione è il mezzo attraverso il quale manifestare buddità, e
coltivare sentimenti positivi nei confronti di se stessi e degli altri.
La comprensione della realtà assoluta, non è fine a se stessa,
l’intuizione, l’illuminazione, è vana se non è messa in pratica nel
nostro quotidiano vivere attraverso le azioni.
Il razzismo, il pregiudizio, l’egoismo e il potere, sono insiti
all’umanità da sempre. La nostra storia, ha sempre viaggiato nel buio
delle conoscenze spirituali, trovando solo squarci di spiragli di luce in
singoli uomini isolati nei secoli, e mai in un intero popolo.
Le guerre sono sempre state lo scenario della nostra storia e i messaggi
di amore e pace, come unica salvezza, non sono stati mai veramente
compresi e attuati.
146
A. De Mello, Istruzioni di volo per aquile e polli, Piemme, 1996, p. 22
147
D.Ikeda, Per il bene della pace. Sette sentieri per l’armonia globale: una prospettiva buddista, Esperia, 2003, p. 80
65
‘Religione’, deriva dal latino religare, una forma rafforzativa di ligare,
che vuol dire ‘legare’. Legarsi col divino in molti casi, o legarsi con la
legge universale del Buddha, secondo l’insegnamento buddista. Ma
anche legarsi con gli altri esseri umani. Di sicuro non vuol dire
dividere, spezzare, frantumare.
E invece, in molti angoli del mondo, si combatte per le religioni spesso
servite nella storia come puro e illogico pretesto per dividere un
popolo da un altro.
Nella leggenda della vita del Buddha, un saggio predisse che il
giovane principe Siddharta Gautama sarebbe diventato ‘colui che gira
la ruota’ nella tradizione vedica dei principi ariani.
Per i contemporanei del Buddha, che vivevano ai piedi dell’Himalaya
nel nord est dell’ India nel VI sec. a.C. , il simbolismo del cakra
(ruota) ricordava il disco del sole del dio indù del cielo Vishnu e le
ruote del carro di un conquistatore universale o di colui che gira la
ruota. Si diceva che Indra, signore degli dei, conquistasse l’universo
con il suo carro da guerra.
Nel Sutta Nipata, una delle prime raccolte degli insegnamenti buddisti,
il Buddha risponde:
Sotto ciascun leone della colonna c’è la famosa Ruota della pace, che
indicava la politica di ‘conquista con la rettitudine’, che era propria ad
Ashoka.
Infatti, Ashoka, dopo anni di campagne sanguinose attraverso l’India,
cominciò a soffrire di un profondo rimorso per tutte le morti che aveva
148
Citato in Duemilauno, buddismo per la pace, la cultura e l’educazione n. 82, p. 12
66
provocato. In seguito si convertì al buddismo , e proclamò una nuova
era. In uno dei suoi editti scolpiti su pietra scrisse:
149
Richard McKeon, L’editto di Ashoka, citato in Duemilauno, buddismo per la pace, la cultura e l’educazione, n. 82
p. 13
67
Fede, pratica e azioni positive sono la chiave per intraprendere un
percorso in tal senso, indubbiamente arduo.
Mantenere la fede o una pratica costante, non è semplice, e
indietreggiare durante il proprio percorso è altrettanto facile.
Ho iniziato a praticare il buddismo Mahayana e a recitare Nam mioho
renghe kyo otto anni fa; quando persi quella fede originaria, quando
venivo trascinata da eventi a cui non sentivo di appartenere, quando
l’impotenza e la paura mi avevano messo in trappola, quando il
capitano della nave su cui viaggiavo era impazzito e decise di
trascinare me con tutto il suo equipaggio su mare aperto, al centro
dell’uragano. Ed allora, mi resi conto che era arrivato il momento di
recuperare me stessa, la mia meta, i miei obbiettivi, per capire
profondamente chi ero e dove stavo andando. Ed essere parte attiva e
benefica nel mio ambiente.
Decisi che era arrivato il momento di prendere il timone in mano e di
guidare io la nave.
Inizialmente fu solo un atto di coraggio; mi spinse soltanto la voglia di
toccare terra e di vedere la luce oltre la tempesta.
E così, cominciai a mettere in pratica quelle conoscenze teoriche che
fino a quel momento erano servite soltanto ad avere sporadiche e
gradevoli conversazioni intellettuali; e a nient’altro.
Improvvisamente, mi fu chiaro come tutto il mio malessere derivasse
dalla paura e quindi dalla mancanza di coraggio.
La parola ‘coraggio’, in inglese courage, ha la stessa radice
etimologica del francese coeur ( e dal latino ‘cor’), che significa
‘cuore’.
‘Avere coraggio’ i latini lo traducevano anche con habere cor, cioè
avere cuore.
Avere coraggio è avere fede, e significa quindi avere un grande cuore.
Senza un grande cuore, così come senza una grande fede, non si può
agire per il bene degli altri, e se non si agisce per il bene degli altri la
nostra vita sarà stata vissuta inutilmente e andata sprecata; e il mondo
continuerà ad essere sempre lo stesso palcoscenico dove il male trionfa
sempre.
Tempo fa, lessi un libro dove si parlava di un esercizio per ridurre lo
stress. Queste righe, che riporto di seguito, mi condussero ad una
comprensione circa lo stato d’essere quando è preda della paura:
68
Poi Jon sollevò il gesso e con ampi gesti veloci, che si
estendevano ben oltre il perimetro del piccolo quadrato,
fece esattamente ciò che ci aveva chiesto di fare. Ognuno
di noi aveva dato per scontato che per riuscire dovevamo
rimanere all’interno dell’aria circoscritta formata dai
nove punti. Jon non aveva mai detto che dovevamo
limitarci a quel piccolo spazio, ma tutti avevamo
concluso che era l’unica area nella quale potevamo
muoverci, entro la quale potevamo scegliere. Nessuno di
noi riusciva a vedere oltre i nostri preconcetti.150
150
Sharon Salzberg, Fede, confidare nelle proprie esperienze più profonde. Ubaldini, Roma, 2003, p. 74
69
diecimila connessioni (sinapsi) con gli altri neuroni, creando una rete
di inconcepibile ampiezza. Il potenziale del nostro cervello umano, è
dunque, teoricamente infinito.
Il concetto buddista di ‘istante’ implica una durata
inimmaginabilmente breve, così la durata della nostra vita è un
accumulo di miriadi di istanti infinitesimi, che fluiscono senza
interruzione dal passato al futuro attraverso il presente. Dal momento
che l’eternità è una serie ininterrotta di istanti, e che ogni istante è la
condensazione di un’intera vita, la cosa più importante è il nostro
stato di vita di momento in momento perchè determina il corso
complessivo della nostra esistenza.
Gibran scrisse:
70
La fede non si ferma alle intenzioni, ma porta a una reale
trasformazione del nostro ambiente, poiché, come specificato prima,
per il principio di origine dipendente, ogni nostra piccola
compassionevole azione modifica o ferma una qualche azione
dall’altra parte del mondo, essendo tutti anelli della stessa rete.
Questo modello di ‘causa ed effetto’ viene chiamato nel mondo della
scienza ‘effetto farfalla’ a causa dell’affermazione secondo cui l’aria
mossa dal volo di una farfalla a Pechino oggi, può causare una
tempesta a New-York fra una mese153.
Il primo luogo dove realizzare la pace è anzitutto dentro la nostra vita.
Soltanto diventando, tutti indistintamente, persone felici potremmo
essere in grado di seminare la pace nel cuore di ogni essere umano, e
con la rivoluzione del nostro modo di pensare e di agire
individualmente, si potranno porre le basi per una società pacifica,
come quella descritta dal Buddha nel Sutra del Loto:
153
James Gleick, Caos, Rizzoli, Milano, 1989 p. 15
154
Burton Watson (a cura di), Il Sutra del Loto, Esperia, Milano, p. 303
155
Carlos Castaneda, A scuola dallo stregone, Astrolabio, Roma, 1970, p. 346
71
La chiave che poi ci spalanca al resto è ‘avere coraggio’.
E’ solo con la fede e la pratica costante della preghiera che saremo in
grado di vincere la paura e realizzare in pieno ogni nostro volere.
156
Tutte le poesie di Goethe, Mondadori, 1997, vol. III , p. 909
72
Conclusioni
157
Claudio Micheli (a cura di), Gli scritti di Nichiren Daishonin, vol. IV, A.I.N.S., p. 245
73
BIBLIOGRAFIA
74
Choa K. Sui, Om Mani Padme Um. La perla blu nel loto
d’oro, Elfis, 2005
75
I Vangeli: Matteo, Marco, Luca e Giovanni, Demetra, 1997
76
T.R.V. Murti, La filosofia centrale del Buddismo, Ubaldini,
Roma, 1983
77
INDICE
1. FEDE E REALTA’
1. La fede originaria
2. Il rapporto con la realtà: la fede è un’ invenzione?
3. Due strumenti per intuire la realtà; la fisica e il misticismo orientale
2. IL MISTICISMO ORIENTALE
1. Perché la preghiera
2. Perché le religioni
CONCLUSIONI
BIBLIOGRAFIA
INDICE
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