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In questo capitolo ci occuperemo dell’atomo. Questo capitolo ci riserva una sorpresa. Le par-
◗ Scopriremo quali studi, esperimenti, formula-
zioni di ipotesi hanno permesso di compren-
ticelle del «mondo microscopico», quelle che
costituiscono gli atomi, si comportano in modo
derne la struttura, e descriveremo il modello di diverso dai corpi del «mondo macroscopico»,
atomo che viene accettato attualmente. cioè dagli oggetti che noi possiamo vedere e
Conoscere la struttura dell’atomo è per noi toccare: per descrivere il loro comportamento
molto importante, perché la configurazione è stato addirittura necessario «inventare» una
della parte piú esterna dell’atomo di un ele- nuova fisica. Ciò che studieremo ora ci intro-
mento determina le proprietà chimiche di quel- durrà nel mondo affascinante delle cose picco-
l’elemento. In seguito, quando studieremo co- lissime, dove regole e leggi sono diverse, spari-
me gli atomi si uniscono fra loro per formare le sce il confine fra particelle e onde, sparisce il
molecole, dovremo sempre tenere presente la concetto stesso di «posizione», e la matematica
struttura della parte esterna degli atomi. crea i modelli degli oggetti.
Dopo aver completato il lavoro con questo capito- ◗ discutere gli aspetti principali del modello moderno
◗ lo, sarai in grado di: dell’atomo;
◗ spiegare come si è arrivati al modello moderno di ◗ scrivere la configurazione elettronica degli atomi dei
atomo; vari elementi.
catodo – + anodo
generatore di differenza
di potenziale
FIG. IV.1. Tubo impiegato per lo studio della scarica elettrica nei gas.
Il tubo viene collegato alla pompa aspirante quando si vuole creare il vuoto al suo interno (cioè estrarne l’aria), o quando
si vuole abbassare la pressione del gas che si sta studiando.
Alle due estremità del tubo sono inserite due piastre metalliche che hanno il ruolo di elettrodi. Gli elettrodi sono collegati
a un generatore di differenza di potenziale.
Ricordiamo che il catodo è l’elettrodo negativo e l’anodo è l’elettrodo positivo. La parte metallica del circuito è disegnata
in rosso.
seconda del gas presente nel tubo. Ad esempio, se il tubo era riempito di neon, quando la pressione
al suo interno era di circa 0,01 atm, il gas cominciava a condurre corrente e il tubo assumeva
l’aspetto di una normale lampada al neon di colore rossastro.
Quando la pressione del gas veniva ancora abbassata, compariva una zona scura intorno al catodo.
Questa zona scura diveniva sempre piú estesa man mano che la pressione del gas nel tubo continuava
ad abbassarsi. A una pressione di circa 10–6 atm, il gas rimasto nel tubo non emetteva piú luce; il tubo
appariva scuro, ma il vetro aveva una luminosità diffusa, di un colore verde chiaro, cioè presentava
fluorescenza. La fluorescenza era provocata da raggi emessi dal catodo, e che colpivano il vetro.
Tali raggi vennero chiamati raggi catodici, e gli scienziati effettuarono una serie di esperimenti per
identificarne la natura e studiarne le proprietà. Si scoprí cosí che i raggi catodici (fig. IV.2.):
• si propagano in linea retta.
Ciò fu messo in evidenza da un esperimento di W. Crookes. Se si mette una croce di Malta sulla
traiettoria dei raggi, sul vetro del tubo si staglia netta l’ombra della croce. Un’ombra netta si forma
solo con raggi che si propagano in linea retta (come, ad esempio, i raggi luminosi);
• sono costituiti da qualcosa dotato di massa.
Crookes mise sulla loro traiettoria un muli-
nello a pale, e vide che questo mulinello si
metteva a girare quando veniva colpito dai
raggi catodici. Tale azione meccanica indica
chiaramente che i raggi sono costituiti da
«entità» che possiedono una quantità di moto
e, quindi, una massa;
• sono costitutiti da qualcosa dotato di carica
elettrica2 negativa.
Se si pongono, sopra e sotto il fascio, due pia-
stre elettricamente cariche e di segno oppo-
sto, il fascio di raggi catodici devia dal suo
percorso, perché viene attratto dalla piastra
positiva e respinto da quella negativa. Questo
Le lampade al neon sono un tipico esempio di scarica nei gas.
fenomeno conferma anche che i raggi sono
_ + _ +
I raggi catodici proiettano l’ombra della croce. Quando i raggi catodici colpiscono un mulinello,
Questo dimostra che si propagano in linea retta. lo mettono in moto. Ciò dimostra che sono ca-
paci di esercitare un’azione meccanica.
piastra
negativa
piastra
positiva FIG. IV.2. Proprietà dei raggi catodici.
costituiti da particelle di materia, perché la carica elettrica è sempre associata a particelle di ma-
teria.
Le particelle che costituiscono i raggi catodici vennero chiamate elettroni. Esse risultarono identiche,
qualunque sia la natura del gas presente nel tubo e qualunque sia il metallo usato per costruire il catodo.
metallica superiore.
L’aria fra le due piastre viene sottoposta al-
raggi X l’azione dei raggi X. I raggi strappano uno o piú
elettroni a diverse molecole di aria, facendole di-
ventare positive (ioni positivi). Di conseguenza,
l’aria fra le due piastre contiene sia ioni positivi
che elettroni liberi.
b) Le goccioline di olio si muovono verso il basso per via della forza di gravità.
Si sceglie di osservare una gocciolina alla volta. Si determina la velocità (v1) con cui la goc-
ciolina cade. In base alla velocità, e tenendo conto anche della resistenza dell’aria, si calco-
la la massa (m) della gocciolina.
Millikan studiò in questo modo un numero enorme di goccioline, e determinò le loro cariche. Trovò
che la carica piú piccola era di 1,60 · 10–19 coulomb, e tutte le altre cariche erano multiple di questa
secondo numeri interi (cioè erano il doppio di questo valore, o il triplo, o il quadruplo, etc.). Conclu-
se che 1,60 · 10–19 coulomb era la carica di una gocciolina a cui si era unito un solo elettrone e, quin-
di, era la carica dell’elettrone.
La parte fondamentale del televisore è un tubo a raggi catodi- fascio di elettroni (raggi catodici). Gli impulsi che arrivano dal-
ci. Il tubo, ristretto nella parte iniziale (catodo), si allarga poi la stazione trasmittente (in forma di onde elettromagnetiche)
fino a comprendere tutto lo schermo. Lo schermo è rivestito vengono trasformati in segnali elettrici. Questi segnali fanno
all’interno di solfuro di zinco, una sostanza che dà un segnale muovere rapidamente il fascio di elettroni, che cosí colpisce i
luminoso quando viene colpita da un fascio di elettroni. diversi punti dello schermo in modo opportuno, dando origine
Quando si accende il televisore, il catodo emette appunto un alle immagini.
4.2.2. La radioattività
Esistono in natura alcuni elementi che emettono spontaneamente radiazioni e si trasformano in al-
tri elementi. Il fenomeno fu scoperto verso la fine del secolo XIX.
Nel 1897 il fisico H. Becquerel scoprí che i minerali di uranio erano capaci di impressionare una la-
stra fotografica: questo indicava che l’uranio emette radiazioni alle quali una lastra è sensibile3.
Qualche anno dopo i coniugi Pierre e Marie Curie isolarono da un minerale di uranio (la pechblen-
da) un nuovo elemento, che chiamarono radio, e che emetteva radiazioni molto piú intense di quel-
le dell’uranio.
Gli esperimenti mostrarono che le radiazioni emesse dalle sostanze radioattive sono di tre tipi. Nel
1899 E. Rutherford identificò due di esse, e poco dopo venne identificata anche la terza.
Distinguerle è facile: basta far passare un fascio di radiazioni attraverso un forte campo magnetico.
Il campo agisce in modo diverso sui diversi tipi di raggi. Due di essi vengono deviati dal campo, ma
in direzioni opposte, il che indica che sono costituiti da particelle dotate di carica elettrica opposta.
Il terzo tipo non subisce alcuna deviazione, e ciò indica che non è associato alla presenza di cariche
elettriche. Una cosa analoga avviene se si fa passare la radiazione attraverso due piastre cariche elet-
tricamente con segno opposto (fig. IV.4.).
I tre tipi di radiazione vennero indicati con le prime tre lettere dell’alfabeto greco, e sono:
• raggi α (alfa), costituiti da particelle aventi carica positiva +2 e massa di 4 u.m.a.;
• raggi β (beta), costituiti da particelle con carica negativa –1 e massa di 1/1823 u.m.a. Queste par-
ticelle sono elettroni, cioè sono le stesse particelle che costituiscono i raggi catodici;
• raggi γ (gamma), che sono onde elettromagnetiche, cioè onde della stessa natura della luce, ma hanno
lunghezza d’onda molto piú piccola e, quindi, frequenza ed energia molto piú alte di quelle della luce.
3. Le pellicole e le lastre fotografiche vengono «impressionate» dal- esposte alla luce subiscono dei processi per cui cambiano di aspet-
la luce o da radiazioni dello stesso tipo della luce: quando vengono to (si anneriscono, etc.).
schermo rivelatore
γ
β α
+ _ Per stabilire da che cosa è costituito un fascio di radiazioni, emesso da una
sostanza radioattiva, lo si fa passare fra due piastre elettricamente cariche.
Se è costituito da particelle α, devia verso la piastra negativa; se è costituito
da particelle β, devia verso la piastra positiva, mentre i raggi γ, che non han-
no carica elettrica, non vengono deviati.
FIG. IV.4. Comportamento dei tre tipi principali di radiazione emessi dalle sostan-
ze radioattive.
Secondo l’ipotesi di Thomson, l’atomo era una sfera omogenea avente densità
uniforme. La carica positiva era uniformemente distribuita in associazione alla
massa (cioè, non come particelle individuali dotate di carica positiva, ma come
una carica diffusa). La figura rappresenta questa distribuzione uniforme della
carica positiva tramite i segni +.
Gli elettroni erano inseriti all’interno di questa sfera come particelle individuali
dotate di carica negativa, in numero tale da bilanciare la carica positiva totale.
Sono rappresentati dai puntini rossi nella figura.
avevano bombardato una lamina sottilissima di metallo con particelle α veloci. Uno schermo rivelato-
re indicava i punti di arrivo delle particelle α, permettendo quindi di stabilirne la traiettoria dopo il
passaggio attraverso la lamina (fig. IV.6.).
Se fosse stato valido il modello di Thomson, cioè se l’atomo avesse avuto una struttura omogenea, le
particelle α avrebbero dovuto comportarsi tutte nello stesso modo, perché in qualunque punto aves-
sero colpito la lamina metallica avrebbero trovato situazioni equivalenti.
In realtà, le particelle α si comportarono in modo diverso. Per la maggior parte passarono senza su-
bire deviazioni, ma alcune vennero deviate secondo vari angoli, e alcune addirittura respinte (veni-
va deviata circa una particella su 8000). Questo comportamento spinse Rutherford a proporre il suo
modello, l’unico in grado di spiegarlo.
Le particelle che non venivano deviate erano quelle che passavano abbastanza distanti dai nuclei.
Quelle che si avvicinavano ai nuclei venivano deviate per effetto della repulsione elettrica, visto che
sia le particelle che i nuclei sono positivi; tanto piú si avvicinavano ai nuclei, tanto piú fortemente
venivano deviate. Quelle che «viaggiavano» direttamente verso i nuclei venivano respinte (fig. IV.7.).
Queste ultime erano poche, e ciò mostrava che la probabilità che una particella si dirigesse proprio
contro un nucleo era bassa. Ciò porta a concludere che il nucleo occupa una parte molto piccola ri-
spetto allo spazio complessivamente occupato da un atomo.
Il modello di Rutherford, nato dall’esperienza, si proponeva come quello valido: massa e carica posi-
tiva sono concentrate in una parte molto piccola dell’atomo; gli elettroni sono distribuiti tutt’intorno
e occupano tutto il resto dell’atomo.
raggio di particelle α
non deviate
Il rapporto fra le dimensioni del nucleo e quelle dell’atomo è di circa 1 : 100000. Questo significa che
se, ad esempio, decidessimo di rappresentare il nucleo con una sferetta di un millimetro di diame-
tro, il diametro dell’atomo dovrebbe essere di 100 metri per rispettare le proporzioni.
4.3.3. Il protone
Una volta appurato che la carica positiva è concentrata nel nucleo, restava da vedere se esistevano
particelle dotate di una carica positiva minima (cosí come l’elettrone è dotato di una carica negativa
minima).
L’atomo è neutro, perché contiene cariche positive e cariche negative in numero uguale. Però gli
elettroni, responsabili delle cariche negative, si trovano alla periferia dell’atomo, e possono esserne
strappati (ad esempio, a mezzo di radiazioni). Quando questo avviene, le cariche positive non sono
piú bilanciate esattamente da quelle negative; l’atomo allora non è piú elettricamente neutro, ma ha
carica positiva: si dice che è uno ione positivo4.
Gli scienziati determinarono sperimentalmente la massa e la carica di vari ioni positivi. Trovarono
che la carica positiva piú piccola è quella che ha lo stesso valore assoluto della carica dell’elettrone,
ma segno opposto: è cioè una carica +1, se si sceglie come unità la carica dell’elettrone.
Fra gli ioni con carica +1, quello avente massa piú piccola era quello ottenuto dall’atomo di idroge-
no, con massa di 1 u.m.a. (tab. IV.1.). Questo ione è quindi la piú piccola particella dotata di carica
positiva. Venne chiamato protone.
4. La formazione degli ioni positivi degli atomi verrà spiegata dettagliatamente nel paragrafo 5.3.3.
Il nucleo è a sua volta costituito da particelle piú piccole: i protoni, con carica positiva +1 e massa di
1 u.m.a., e i neutroni6, elettricamente neutri (cioè non dotati di carica) e aventi massa di 1 u.m.a.
(tab. IV.2.).
Protoni, neutroni ed elettroni sono stati a lungo considerati particelle elementari, cioè particelle indivi-
sibili e semplici (non costituite a loro volta da altre particelle). Piú recentemente i fisici hanno scoperto
che neutroni e protoni sono a loro volta costituiti da quarks, particelle elementari che non possono mai
essere isolate singolarmente. Per quanto riguarda le caratteristiche dell’atomo che interessano il chimi-
co, non è comunque necessario prendere in considerazione questa loro struttura complessa.
5. Esistono particelle piú piccole dotate di carica positiva +1 (ad non sono fra i costituenti dell’atomo.
esempio, il positrone), ma si generano in condizioni particolari, 6. Il neutrone fu scoperto dal fisico inglese J. Chadwick nel 1932.
La carica nucleare può essere misurata con esperimenti analoghi a quello di Rutherford.
La deviazione che le particelle α subiscono, quando attraversano la lamina metallica, dipende in-
fatti anche dalla carica dei nuclei degli atomi che costituiscono la lamina: maggiore è la carica del
nucleo, maggiore è la forza con cui il nucleo respinge le particelle α e, quindi, maggiore è la devia-
zione subita dalle particelle stesse. L’esame dell’entità delle deviazioni permette di risalire alla ca-
rica del nucleo.
Quando si vuole indicare il numero atomico di un elemento, è uso scriverlo in basso a sinistra del
simbolo dell’elemento:
1H 11Na 20Ca 47Ag
Quanti protoni, neutroni ed elettroni sono presenti nell’atomo di sodio (Z = 11, numero di massa = 23)?
numero di protoni = 11
numero di neutroni = 23 – 11 = 12
numero di elettroni = 11
Quando si vuole indicare il numero di massa di un elemento, è uso scriverlo in alto a sinistra ri-
spetto al simbolo dell’elemento. Cosí, ad esempio, la scrittura 23Na ci informa che il numero di
23Na ci informa che il numero atomico del sodio è 11 e il suo nu-
massa del sodio è 23, la scrittura 11
mero di massa è 23.
numero atomico simbolo nome dell’elemento numero atomico simbolo nome dell’elemento
1 H idrogeno 55 Cs cesio
2 He elio 56 Ba bario
3 Li litio 57 La lantanio
4 Be berillio 58 Ce cerio
5 B boro 59 Pr praseodimio
6 C carbonio 60 Nd neodimio
7 N azoto 61 Pm prometio
8 O ossigeno 62 Sm samario
9 F fluoro 63 Eu europio
10 Ne neon 64 Gd gadolinio
11 Na sodio 65 Tb terbio
12 Mg magnesio 66 Dy disprosio
13 Al alluminio 67 Ho olmio
14 Si silicio 68 Er erbio
15 P fosforo 69 Tm tullio
16 S zolfo 70 Yb itterbio
17 Cl cloro 71 Lu lutezio
18 Ar argon 72 Hf afnio
19 K potassio 73 Ta tantalio
20 Ca calcio 74 W wolframio
21 Sc scandio 75 Re renio
22 Ti titanio 76 Os osmio
23 V vanadio 77 Ir iridio
24 Cr cromo 78 Pt platino
25 Mn manganese 79 Au oro
26 Fe ferro 80 Hg mercurio
27 Co cobalto 81 Tl tallio
28 Ni nichel 82 Pb piombo
29 Cu rame 83 Bi bismuto
30 Zn zinco 84 Po polonio
31 Ga gallio 85 At astato
32 Ge germanio 86 Rn radon
33 As arsenico 87 Fr francio
34 Se selenio 88 Ra radio
35 Br bromo 89 Ac attinio
36 Kr kripton 90 Th torio
37 Rb rubidio 91 Pa protoattinio
38 Sr stronzio 92 U uranio
39 Y ittrio 93 Np nettunio
40 Zr zirconio 94 Pu plutonio
41 Nb niobio 95 Am americio
42 Mo molibdeno 96 Cm curio
43 Tc tecnezio 97 Bk berchelio
44 Ru rutenio 98 Cf californio
45 Rh rodio 99 Es einsteinio
46 Pd palladio 100 Fm fermio
47 Ag argento 101 Md mendelevio
48 Cd cadmio 102 No nobelio
49 In indio 103 Lr laurenzio
50 Sn stagno 104 Ku kurciatovio
51 Sb antimonio 105 Ha hahnio
52 Te tellurio
53 I iodio TAB. IV.3. Gli elementi in ordine di numero atomico
54 Xe xenon crescente.
Quando esistono due o piú isotopi naturali di un dato elemento, quell’elemento è sempre presente
come miscela dei suoi isotopi. La composizione della miscela è costante in natura, cioè le percen-
tuali dei vari isotopi che la costituiscono sono sempre le stesse.
Per alcuni elementi, la percentuale di uno degli isotopi è molto alta, e le percentuali degli altri sono
molto basse. Nel caso dell’idrogeno, ad esempio, il primo isotopo (H) è di gran lunga il piú diffuso,
costituendo il 99,9844% di tutto l’idrogeno esistente; il deuterio è presente soltanto per lo 0,0156%;
il tritio non è praticamente presente in natura, ma è stato creato artificialmente in laboratorio, ed è
radioattivo. (Sembra che sulla Terra esista un solo atomo di tritio su ogni 1017 atomi di idrogeno,
mentre la percentuale è piú alta nelle stelle).
Per altri elementi due o piú isotopi sono presenti in percentuali considerevoli, come nel caso del
cloro, dove l’isotopo con numero di massa 35 è presente per il 75,4% e l’isotopo con numero di
massa 37 per il 24,6%.
Nell’isotopo piú comune Nel deuterio (D) il nucleo è Nel tritio (T) il nucleo è costi-
(H) il nucleo è costituito costituito da un protone ( ) tuito da un protone e due neu-
da un solo protone ( ). e un neutrone ( ). troni.
La massa atomica di que- La massa atomica di questo La massa atomica di questo
sto isotopo è 1 u.m.a. isotopo è 2 u.m.a. isotopo è 3 u.m.a.
FIG. IV.8. Modelli schematici degli atomi dei tre isotopi dell’idrogeno.
Il puntino nero (•) rappresenta l’elettrone.
presenti in natura: è cioè un valore medio a cui ogni isotopo contribuisce a seconda della percentuale
con cui è presente (maggiore è la percentuale, maggiore è il contributo dell’isotopo corrispondente).
Se si conoscono le masse e le percentuali degli isotopi naturali di un dato elemento, è possibile cal-
colare la massa atomica media di quell’elemento mediante l’equazione della media pesata. Questo è
un tipo di media7 che tiene conto del fatto che i singoli contributi non hanno tutti la stessa impor-
tanza. Per calcolarla, si moltiplica il numero di massa di ciascun isotopo per il corrispondente valo-
re di percentuale, si sommano tutti i termini cosí ottenuti e si divide la somma per 100. In tal modo,
il contributo di un isotopo presente in percentuale maggiore ha piú «peso» del contributo di un iso-
topo presente in percentuale minore.
Consideriamo come esempio il caso del cloro, con i suoi due isotopi 35Cl e 37Cl, aventi rispettiva-
mente massa atomica 34,9689 u.m.a. e 36,9670 u.m.a., e presenti rispettivamente per il 75,77% e il
24,23%. L’espressione per il calcolo della media pesata è la seguente:
massa
atomica =
(dell’isotopo
massa
35
×
percentuale
dell’isotopo 35 ) + (dell’isotopo
massa
37
×
percentuale
dell’isotopo 37 )
media 100
Sostituendo i valori numerici si ottiene:
massa
atomica = (34,9689 u.m.a) . 75,77 + (36,9670 u.m.a.) . 24,23
= 35,453 u.m.a
media 100
Questo è lo stesso valore che si ottiene quando si determina sperimentalmente la massa atomica del
cloro.
Per determinare le masse atomiche dei singoli isotopi di un elemento si usa uno strumento chiama-
to spettrometro di massa; lo descriveremo nel paragrafo 7.9.
combinato del moto e dell’attrazione elettrica le farebbe descrivere una traiettoria a spirale con cui
si avvicinerebbe sempre piú all’altra particella, fino a cadervi sopra. Man mano che la particella si av-
vicina a quella intorno a cui ruota, la sua energia diminuisce8 e, quindi, la particella dovrebbe emet-
tere energia9 in modo continuo per tutta la durata del suo moto verso l’altra (fig. IV.9.).
In altre parole, secondo le leggi della fisica classica, gli elettroni dovrebbero andare tutti a cadere sul nu-
cleo. Questo però non avviene: gli atomi esistono, con i loro elettroni ben distinti e distanti dal nucleo.
Restava soltanto da concludere che per descrivere il comportamento degli elettroni era necessario
costruire un nuovo modello, una nuova fisica.
Due particelle con carica di segno opposto si Se una delle due particelle ruota intorno al-
attirano e, quindi, si avvicinano l’una all’altra l’altra, descrive una traiettoria a spirale con
fino a incontrarsi. raggio sempre piú piccolo, fino a cadere sul-
l’altra. Durante questo moto, emette conti-
nuamente energia.
FIG. IV.9. Comportamento di particelle aventi carica elettrica di segno opposto, secondo la fisica classica.
(a)
(d)
(c)
(b)
a)
Quando la luce bianca viene fatta passare attraverso un prisma di vetro, essa si divide nei sette colori
che la costituiscono: rosso, arancio, giallo, verde, azzurro, indaco, violetto. L’insieme di questi colori co-
stituisce lo spettro della luce bianca. Questo è uno spettro continuo: il passaggio dall’uno all’altro
dei colori è graduale, senza interruzioni.
(Anche l’arcobaleno nasce da un fenomeno analogo: le gocce di pioggia fanno da prisma per la luce
solare e la scompongono nei suoi colori).
b) spettro dell’idrogeno
Gli spettri della radiazione emessa dagli atomi sono discreti (cioè, non sono continui). Sono costitui-
ti da righe separate, e l’insieme di righe è caratteristico di ogni elemento. Questo significa che l’atomo
può emettere soltanto radiazioni aventi i valori di energia corrispondenti a quelle righe.
FIG. IV.11. Confronto fra uno spettro continuo e spettri discreti (a righe).
Gli spettri avevano un’utilità immediata in quanto, essendo caratteristici di ogni elemento,
fornivano un modo per riconoscere la presenza di quell’elemento in un campione; in altre parole,
fornivano un prezioso strumento all’analisi chimica11. Fisici e chimici lavorarono intensamente
per determinare tutte le righe dello spettro dei vari elementi. Gli spettri di molti elementi hanno
righe o serie di righe in regioni di frequenze notevolmente distanti le une dalle altre. Ad esempio,
lo spettro dell’atomo di idrogeno (che fu lo spettro studiato piú a fondo) comprende cinque serie
di righe, che vengono indicate con i nomi degli scienziati che le hanno scoperte: la serie di Lyman
nella regione dell’ultravioletto, la serie di Balmer nella regione del visibile, la serie di Paschen nel-
la regione dell’infrarosso, e le serie di Brackett e di Pfund in una zona di infrarosso con frequenze
minori. Le prime tre di queste serie sono presentate nella figura IV.12.
Oltre a individuare la serie di righe degli spettri dei vari elementi, i fisici cercarono di individuare
possibili regolarità e trovare relazioni matematiche che le esprimessero. Rydberg trovò una relazio-
ne che permetteva di calcolare il numero d’onda
delle righe dello spettro dell’atomo di idrogeno.
Il numero d’onda (¯ν̄) è il reciproco della lun- serie valore valori che può
ghezza d’onda12 (λ) cioè ¯ν̄ = 1/λ. L’equazione di di n2 assumere n1
Rydberg ha la forma Lyman 1 2, 3, 4, 5, ...
¯ν̄ = RH
(
1
n22
– 2
1
n1 ) [4.1] Balmer
Paschen
2
3
3, 4, 5, 6, ...
4, 5, 6, 7, ...
dove n2 e n1 sono dei numeri interi e positivi e Brackett 4 5, 6, 7, 8, ...
RH è una costante, chiamata costante di Ryd-
Pfund 5 6, 7, 8, 9, ...
berg e avente il valore di 109678 cm–1. Ogni
serie corrisponde a un unico valore di n2, men- TAB. IV.4. Valori dei numeri n2 e n1, presenti nel-
tre n1 può assumere valori a partire da quello l’equazione di Rydberg, per le varie serie dello
immediatamente successivo al valore di n2 spettro dell’atomo di idrogeno.
(cioè n1 = n2 + 1, n2 + 2, n2 + 3, ...; tab. IV.4.).
L’equazione di Rydberg era un’equazione empirica, cioè collegava dati sperimentali, senza che per il
momento ne esistesse una spiegazione teorica; la spiegazione teorica sarebbe potuta venire solo da
un nuovo modello di atomo.
quello di quantizzazione. La quantizzazione implica restrizioni nei valori possibili per una grandezza:
se una grandezza è quantizzata, può assumere soltanto certi valori (valori permessi13), ma non può
assumere valori intermedi fra quelli permessi.
Planck era ricorso alla quantizzazione per spiegare un altro fenomeno che aveva costituito un rompi-
capo per i fisici: la radiazione del corpo nero14. Bohr pensò che una ipotesi analoga potesse per-
mettere di spiegare i fenomeni che riguardano gli atomi.
Il modello di Bohr comprende alcune ipotesi fondamentali. Conviene considerarle in dettaglio.
Prima ipotesi: nell’atomo gli elettroni ruotano intorno al nucleo in orbite circolari.
Seconda ipotesi: il momento angolare15 degli elettroni è quantizzato. Esso può assumere soltanto i
valori dati dalla relazione
me v r = n h [4.2]
2π
dove: me è la massa dell’elettrone
v è la velocità dell’elettrone
r è il raggio dell’orbita su cui si muove l’elettrone
m v r è il momento angolare dell’elettrone
h è una costante universale, chiamata costante di Planck. Vale 6,624 · 10–34 J s–1
n è un numero naturale, cioè è un numero intero positivo. Viene chiamato numero quantico.
L’equazione [4.2] ci mostra la natura matematica della quantizzazione. La quantizzazione nasce dal
fatto che a destra compare un numero naturale. Infatti, i numeri naturali (e, piú in generale, i nu-
meri interi) sono discreti per loro natura. Per vederlo, basta rappresentarli su una semiretta; si ot-
tengono dei punti separati l’uno dall’altro, e non è possibile inserire altri numeri naturali in posizio-
ni intermedie:
0 1 2 3 4 5 6
Il fatto che i valori del momento angolare dipendano dal numero naturale n fa sí che soltanto certi
valori risultino possibili e, quindi, dà origine alla quantizzazione.
Terza ipotesi: finché un elettrone rimane nella sua orbita, non emette e non assorbe energia.
13. Spesso appare difficile accettare che per una grandezza esi- corrispondenti che non pensiamo di analizzarle in questi termi-
stano valori permessi e valori non permessi, impossibili. Eppure, ni. Consideriamo, ad esempio, la distanza rispetto al suolo di una
anche nel mondo macroscopico si possono trovare esempi di va- persona che stia in piedi, a piedi uniti, su una scala. Questa di-
lori non permessi; soltanto, siamo cosí abituati alle situazioni stanza può assumere soltanto i valori corrispondenti alle situa-
zioni per cui la persona poggia i due piedi su un gradino. Non so-
posizioni «permesse» posizioni «non permesse»
su una scala e corrispondenti su una scala e corrispondenti no possibili le posizioni intermedie e, quindi, non sono possibili
distanze «permesse» distanze «non permesse» le distanze intermedie dal suolo.
14. Il corpo nero è un oggetto capace di assorbire o di emettere
qualsiasi radiazione senza preferenze. Per molto tempo i fisici
non erano riusciti a trovare delle relazioni matematiche che spie-
gassero i dati sperimentali riguardanti la radiazione emessa dal
corpo nero. Il problema fu risolto da Planck appunto con l’ipotesi
di quantizzazione dell’energia.
15. Il momento angolare di un oggetto che ruota è il prodotto del-
la sua massa per la velocità e per la distanza dell’oggetto dal cen-
tro di rotazione. Il momento angolare dell’elettrone nell’atomo è
quindi il prodotto della massa dell’elettrone (me) per la velocità
(v) per il raggio (r) dell’orbita su cui ruota.
Semplici passaggi matematici, che coinvolgono anche l’equazione [4.2], permettono di trovare
un’espressione per il raggio delle orbite su cui ruotano gli elettroni:
n2
r = a0 [4.3]
Z
dove: r è il raggio dell’orbita
n è il numero quantico, e caratterizza l’orbita stessa
Z è il numero atomico dell’elemento considerato
a0 è una costante che vale 5,292 · 10–11 m, e viene chiamata raggio di Bohr.
Il fatto che in questa espressione compaia il nu-
n=5
mero quantico n significa che anche i raggi delle
orbite possono assumere soltanto certi valori, e
non valori intermedi fra quelli permessi. n=4
n r = n2a0 = ... (in Å) energia (in joules) Come si vede sia dai valori dei raggi sia dalla figura IV.13., la
distanza fra un’orbita e quella che la precede non è costan-
1 r = a0 = 0,529 E1 = – 2,1799 · 10–18 te, ma aumenta man mano che ci si allontana dal nucleo.
2 r = 22a0 = 2,116 E2 = – 5,4450 · 10–19 Il piú basso valore dell’energia è quello corrispondente al-
l’orbita con n = 1. Al crescere di n i valori dell’energia au-
3 r = 32a0 = 4,761 E3 = – 2,4221 · 10–19 mentano. Vediamo però che, man mano che n aumenta,
la differenza fra l’energia di un’orbita e quella della suc-
4 r = 42a0 = 8,464 E4 = – 1,3624 · 10–19 cessiva diminuisce. Ad esempio, l’energia della seconda
5 r = 52a0 = 13,225 E5 = – 8,7196 · 10–20 orbita è 4 volte piú alta di quella della prima, mentre
l’energia della quarta orbita è soltanto 1,77 volte quella
6 r = 62a0 = 19,044 E6 = – 6,0553 · 10–20 della terza16.
Ciò è evidenziato chiaramente nel secondo diagramma
7 r = 72a0 = 25,925 E7 = – 4,4488 · 10–20 della figura IV.15.
TAB. IV.5. Raggi delle prime sette orbite dell’atomo di idrogeno, e corrispondenti valori di energia, secondo
il modello di Bohr.
16. Per comprendere chiaramente il confronto fra i valori di energia, tenere presente la nota 17.
Anche l’energia è quantizzata, cioè può assumere solo certi valori. Questi valori permessi dell’energia
vengono chiamati livelli energetici. Essi dipendono dal numero quantico n tramite la relazione
Z2 e2
E = – [4.4]
2n2a0
dove Z, n e a0 hanno il significato che già conosciamo, e è la carica dell’elettrone, ed E è l’energia to-
tale dell’elettrone.
Ad ogni orbita corrisponde un dato valore di energia. Il valore piú basso è quello dell’orbita piú vi-
cina al nucleo (n = 1). Man mano che il valore di n aumenta, e quindi aumenta il raggio dell’orbita
(cioè man mano che ci si allontana dal nucleo), aumenta anche il corrispondente valore di ener-
gia17 (tab. IV.5.).
hν
Per passare da un livello energetico inferiore a Quando l’elettrone passa da un livello energe-
un livello superiore l’elettrone deve acquistare tico superiore a un livello inferiore emette ener-
energia. gia.
FIG. IV.14. Come l’elettrone passa da un livello energetico a un altro.
Ad ogni orbita corrisponde un valore di energia, che viene chiamato livello energetico. Spesso il passaggio di un elettro-
ne da un’orbita a un’altra viene descritto direttamente in termini di energia, come passaggio da un valore di energia a un
altro, cioè da un livello energetico a un altro.
17. Si devono tenere presenti le implicazioni della presenza di un gativi è maggiore quello con valore assoluto minore, il valore del-
segno negativo nel membro di destra dell’equazione [4.4]. Al cre- l’energia aumenta. (Il segno negativo è legato all’attrazione fra
scere di n il valore assoluto dell’espressione di destra diminuisce nucleo ed elettrone, che sono particelle di carica opposta).
(perché n compare a denominatore); ma siccome fra numeri ne-
radiazione (E = h ν). L’energia della radiazione emessa o assorbita dell’elettrone è pertanto uguale alla
differenza di energia delle due orbite interessate, cioè
h ν = E2 – E1 [4.5]
Questa equazione ci permette di risalire alla differenza di energia fra le due orbite in base alla fre-
quenza della radiazione emessa o assorbita dall’atomo.
L’ipotesi di Bohr sulla struttura dell’atomo spiega quindi perché gli spettri di emissione degli atomi
sono discreti: ogni riga corrisponde a un valore specifico di energia, che a sua volta corrisponde alla
differenza di energia fra due orbite.
Se dall’esterno arriva all’atomo energia sufficiente perché un elettrone possa passare da un’orbita piú in-
terna a un’orbita piú esterna, l’elettrone assorbe questa energia ed effettua il «salto». Poi ritorna all’orbi-
ta di partenza ed emette l’energia che aveva assorbito. Tale emissione è responsabile di una riga nello
spettro. L’insieme dei possibili passaggi da un’orbita a un’altra genera l’insieme delle righe dello spettro.
Lo spettro dell’atomo di idrogeno trovava una spiegazione completa. Ciascuna delle serie spettrali
corrisponde al passaggio dell’elettrone da orbite piú esterne alla stessa orbita «di arrivo». Quest’ulti-
ma è l’orbita con n = 1 per la serie di Lyman, l’orbita con n = 2 per la serie di Balmer, l’orbita con
n = 3 per la serie di Paschen e cosí via (fig. IV.15.). Anche l’equazione di Rydberg [4.1] trovava la sua
spiegazione teorica: il numero n1 corrisponde al numero quantico dell’orbita da cui «parte» l’elet-
trone, il numero n2 a quello dell’orbita a cui l’elettrone arriva.
hen
Pasc Consideriamo le orbite dell’elettrone
Bra
ck nell’atomo di idrogeno, e i possibili pas-
et
t saggi (transizioni) da un’orbita a un’al-
tra. Consideriamo il caso dello spettro
di emissione e, quindi, i passaggi da or-
r
me
n=5
secondo diagramma della fig. IV.14.,
n=4
sono accompagnati da emissione di
n=3
energia). Una serie spettrale corrispon-
n=2
n=1
- 5,4450 . 10
-19
n=2
Se riportiamo in un diagramma i
valori di energia delle varie orbite,
cioè i livelli energetici, possiamo
rappresentare i passaggi dell’elet-
trone da un’orbita all’altra diret-
tamente come passaggi da un li-
vello energetico a un altro.
(Notare l’avvicinamento dei livelli
man mano che n aumenta, già
-18
spiegato nella didascalia della tab.
- 2,1799 . 10 n=1 IV.5.).
FIG. IV.15. Lo spettro dell’atomo di idrogeno spiegato in base al modello atomico di Bohr.
19. La quantità di moto (p) di un oggetto è il prodotto della mas- ce Quantità di moto in Appendice I.
sa dell’oggetto per la sua velocità, cioè p = mv. Vedi anche la vo-
elettrone
Un’orbita fissa (come quelle del modello di Bohr) Un orbitale può essere visualizzato come un’inte-
è una traiettoria. Ma per poter identificare la ra regione di spazio intorno al nucleo, con una
traiettoria di un oggetto in moto bisogna essere in sua forma (quello della figura, ad esempio, ha
grado di determinarne la posizione ad ogni istan- forma sferica). Sappiamo che la probabilità che
te, di seguirne il percorso. Siccome ci interessa co- l’elettrone si trovi al suo interno è molto alta, ma
noscere l’energia dell’elettrone con la massima non siamo in grado di indicare la posizione del-
precisione, non siamo in grado (per il principio di l’elettrone in un dato istante. Di conseguenza
indeterminazione) di determinarne la posizione e, l’indeterminazione sulla posizione è alta. Ciò
quindi, di seguirne il percorso nel tempo. Di con- consente di valutare con un buon grado di preci-
seguenza, non siamo in grado di avere le informa- sione l’energia dell’elettrone che si trova nel dato
zioni necessarie per definire una traiettoria. orbitale.
FIG. IV.16. Differenza fra orbita e orbitale.
Il principio di indeterminazione di Heisenberg ha costretto i fisici ad abbandonare il modello atomico di Bohr, e a sosti-
tuire il concetto di orbitale a quello di orbita.
Notiamo infine che il principio di indeterminazione permette di capire meglio, o anche di prevede-
re, certi comportamenti della materia. Ad esempio, alla domanda se le particelle sono del tutto fer-
me alla temperatura dello zero assoluto, possiamo dare risposta negativa proprio in base al principio
di indeterminazione. Infatti, se le particelle fossero ferme, la loro velocità e la loro quantità di moto
avrebbero valore zero, e potremmo determinarne esattamente anche la posizione. Ciò sarebbe in
contrasto col principio di indeterminazione. Quindi, concludiamo che le particelle del mondo mi-
croscopico non sono mai ferme, nemmeno alla temperatura di 0 K.
Il comportamento delle particelle e quello delle onde sono molto diversi. Ricordiamo le principali
differenze (fig. IV.17.).
Possiamo sempre identificare una posizione per le particelle. Se una particella è in moto, possiamo
identificare una traiettoria e utilizzarla nella descrizione del moto. Le particelle, messe insieme, si
sommano come unità numerabili: «una particella + una particella = due particelle». Se una particel-
la incontra un ostacolo che presenta delle fenditure, può passare (o non passare) attraverso una del-
le fenditure, ma non passerà mai contemporaneamente attraverso due o tre fenditure.
Per un’onda, non è possibile parlare né di posizione né di traiettoria. Due onde che si incontrano
interferiscono: «un’onda + un’onda» provoca un’accentuazione dell’onda in certi punti, e una scom-
parsa dell’onda in altri punti21. Inoltre, se un’onda incontra un ostacolo che presenta delle fenditu-
re, passa contemporaneamente attraverso tutte le fenditure. Le onde sono anche capaci di aggirare
ostacoli di piccole dimensioni, mentre le particelle vi urtano contro.
Come si vede, le due figure presentano molte analogie. La capacità dell’elettrone di dare figure di diffrazione
costituisce una prova importante del fatto che ha anche natura di onda.
21. Basta pensare a come si incontrano e interferiscono le onde raneamente e a una certa distanza l’uno dall’altro.
circolari provocate da due sassi gettati in uno stagno contempo-
z
P
z
0 x x x
y
y
y
Una particella ha una posizione, identificabile Non è possibile parlare di posizione di un’onda,
mediante le tre coordinate x, y e z. o di coordinate di un’onda.
Quando una particella è in moto, è possibile Non è possibile parlare di traiettoria per un’on-
identificare una traiettoria, cioè una linea imma- da.
ginaria che ne rappresenta il percorso.
+ =
Le particelle si sommano come unità numera- Due onde che si incontrano interferiscono (nel-
bili (nell’esempio della figura: 2 particelle + 3 la parte inferiore della figura sono indicati in
particelle = 5 particelle). rosso i punti in cui si ha accentuazione massi-
ma del fenomeno ondoso, in verde i punti in cui
le due onde si annullano a vicenda).
Una particella può passare attraverso una sola Un’onda passa contemporaneamente attraver-
fenditura in un ostacolo, oppure non passare so tutte le fenditure disponibili.
affatto.
Una particella urta contro un ostacolo e ne vie- Un’onda può aggirare un ostacolo di piccole
ne respinta. Non può passare alla zona dietro dimensioni.
l’ostacolo.
FIG. IV.17. Differenza di comportamento fra particelle e onde.
Ciò costituí un motivo in piú per abbandonare il concetto di orbite per la descrizione del moto degli
elettroni nell’atomo: non si definisce la traiettoria per un’onda.
Si può parlare della traiettoria di un fascio di elettroni che percorre una certa distanza nello spazio,
al di fuori degli atomi, come avviene, ad esempio, nel tubo a raggi catodici, perché in questo caso il
comportamento degli elettroni è fondamentalmente quello di particelle. Ma quando l’elettrone è nel-
l’atomo, il suo comportamento è molto vicino a quello di un’onda, e si deve tenerne conto nella de-
scrizione.
Tali onde vengono chiamate onde di de Broglie. È importante notare che esse non hanno la stessa
Il microscopio ottico (a sinistra) sfrutta le proprietà di onda della luce; il microscopio elettronico (a destra) sfrutta le proprietà
di onda dell’elettrone.
natura delle onde luminose o delle altre radiazioni elettromagnetiche, ma sono associate alla proba-
bilità di trovare la particella in un dato punto.
Ricordiamo infine che l’equazione [4.7] ha validità generale: ad ogni corpo in moto è associata
un’onda di de Broglie. Nel mondo macroscopico, però, la presenza di tali onde non influenza il com-
portamento dei corpi in moto né il nostro modo di descriverlo (fig. IV.18.).
e-
(a) (b)
L’equazione di de Broglie ha validità generale: tutti i corpi in movimento hanno un’onda associata.
Ma tale onda acquista un significato soltanto per le particelle del mondo microscopico.
L’onda associata a un elettrone (a), che si muove a una velocità di 106 m s–1, ha una lunghezza di cir-
ca 10–10 m. Può quindi essere rivelata dai nostri strumenti. Inoltre questo valore è dello stesso ordine
di grandezza delle dimensioni dell’atomo e, quindi, la presenza dell’onda ha influenza sul comporta-
mento dell’elettrone all’interno dell’atomo.
Un pallone da calcio (b) in moto su un campo da gioco ha associata un’onda di lunghezza dell’ordi-
ne di 10–32 m. Essa non può essere percepita né dal nostro occhio né dai nostri strumenti piú perfet-
ti, che sono in grado di rivelare onde con lunghezza non inferiore a 10–14 m. Il suo valore è cosí picco-
lo rispetto alle dimensioni del pallone, che la presenza dell’onda non esercita nessuna influenza sul
comportamento del pallone stesso, o sulla descrizione che noi possiamo darne.
22. Dal nome dello scienziato che l’ha proposta. ca quale operazione si deve eseguire su quanto è scritto sotto di
23. Operatore è tutto ciò che può «operare» su una data funzione esso. Un operatore è quindi un’operazione indicata, oppure una
o espressione algebrica. Anche i segni delle 4 operazioni fonda- sequenza di operazioni indicate. Le operazioni indicate dagli ope-
mentali (+, –, ×, :) possono essere considerati operatori; cosí pure ratori della meccanica quantistica sono spesso di tipo piú com-
è un operatore il simbolo di estrazione di radice, "#, perché indi- plesso delle operazioni aritmetiche che voi conoscete.
posto dell’incognita, verificano l’uguaglianza fra i due membri dell’equazione. Quando si risolve
l’equazione di Schrödinger, invece, si trovano delle funzioni24, comunemente indicate con la lettera
greca ψ (psi). La forma generica dell’equazione di Schrödinger è
Hψ = Eψ [4.8]
Vediamo subito il significato dei simboli che vi compaiono25.
H è un operatore, e precisamente l’operatore dell’energia. Viene chiamato operatore hamilto-
niano ed è costituito da termini che esprimono i vari contributi all’energia del sistema consi-
derato;
ψ è una funzione e viene chiamata funzione d’onda (il termine ricorda che le particelle del mon-
do microscopico hanno anche natura di onda);
E è il valore dell’energia del sistema considerato.
Quando si vuole studiare un sistema nell’ambito della meccanica quantistica, bisogna innanzitutto in-
dividuare tutti i fattori che contribuiscono alla sua energia. Ciascuno di essi viene espresso in una for-
ma matematica che indica un’operazione da effettuare. La somma di tutti questi termini costituisce
l’operatore hamiltoniano. Una volta «costruito» l’operatore hamiltoniano, si risolve l’equazione di
Schrödinger per trovare sia la forma matematica delle funzioni ψ sia i corrispondenti valori dell’ener-
gia, E. La funzione ψ fornisce tutte le informazioni che corrispondono alla descrizione del sistema.
24. Vedi la voce Funzione in Appendice I. prodotto del valore E per la stessa funzione Ψ.
25. In termini matematici, la funzione ψ viene chiamata autofun- 26. Vedi la voce Moto in Appendice I.
zione, il valore E autovalore e l’intera equazione è un’equazione 27. Vedi la voce Diagrammi cartesiani (Coordinate cartesiane
ad autovalori. La «lettura matematica» dell’equazione [4.8] è im- nello spazio) in Appendice I.
mediata: quando l’operatore H opera sulla funzione Ψ, si ottiene il
Dopo aver scritto l’hamiltoniano in base ai contributi di energia propri dell’atomo considerato, si
procede alla risoluzione dell’equazione di Schrödinger. Risolverla non è però facile. È possibile risol-
verla esattamente soltanto per l’atomo di idrogeno. Già per l’atomo di elio, e ancor piú per gli altri
attrazione repulsione
attrazione repulsione
atomi, la forma di alcuni dei termini impedisce di trovare soluzioni esatte. Si ricorre allora a metodi
di approssimazione, cioè a procedimenti matematici che permettono di trovare soluzioni vicine a
quella che sarebbe la soluzione esatta, semplificando però il procedimento di calcolo.
4.7.4.2. La quantizzazione
Nell’impostare lo studio dell’atomo non avevamo introdotto nessuna ipotesi sui valori delle grandez-
ze che lo caratterizzano, nemmeno l’ipotesi della quantizzazione. La quantizzazione però salta fuo-
ri attraverso la risoluzione dell’equazione di Schrödinger: il fatto che l’energia sia quantizzata è uno
degli aspetti della descrizione del sistema che l’equazione di Schrödinger ci fornisce.
Dal punto di vista matematico, la quantizzazione viene espressa attraverso la dipendenza da nume-
ri interi, che vengono chiamati numeri quantici.
Le funzioni ψ dipendono da tre numeri quantici, che vengono indicati con le lettere n, l, ml. Questi
numeri sono presenti nell’espressione matematica delle ψ. A seconda dei valori assunti da questi tre
numeri, le funzioni ψ hanno forma matematica diversa e, di conseguenza, grafici diversi. Nel prossi-
mo paragrafo vedremo le funzioni ψ corrispondenti ad alcuni «terzetti» di numeri quantici.
L’energia in genere dipende solo da due numeri quantici, i numeri n ed l; può quindi assumere solo
i valori corrispondenti a ben precise coppie di questi numeri. Discuteremo anche questo aspetto in
dettaglio nel paragrafo 4.8.
28. Tutti conoscono la densità riferita alla massa, cioè la densità con un significato analogo: se si moltiplica la «densità di una
di una sostanza: se si moltiplica la densità per il volume si ottiene grandezza» per il volume considerato, si ottiene il valore di quel-
la massa della porzione di sostanza che si sta considerando. È la grandezza in quel volume. La densità di probabilità permette
possibile definire la densità anche per altre grandezze fisiche, di ottenere la probabilità in questo modo.
z
c) In genere quando si disegnano gli orbitali atomi-
ci si disegna soltanto la «forma» dell’orbitale. La
forma è comunque basata sull’andamento della
probabilità di trovare l’elettrone.
Ad esempio, per l’orbitale considerato nelle figure
precedenti disegneremo una forma sferica, come è
chiaramente indicato dalle figure precedenti. Resta
molto il problema di scegliere il raggio di questa sfera. Esso
alta x viene scelto in modo tale che il «contorno» che deli-
mita la sfera racchiuda la zona di spazio in cui la
probabilità di trovare l’elettrone è molto alta. Di
conseguenza la probabilità che esso si trovi all’ester-
molto no della sfera è molto bassa. Figure di questo tipo
bassa non forniscono però nessuna indicazione su come la
y
probabilità varia all’interno della sfera.
È pratica comune visualizzare gli orbitali come regioni dello spazio intorno al nucleo, nelle quali
è alta la probabilità di trovare l’elettrone. Nel seguito, utilizzeremo regolarmente tale visualizza-
zione.
Come abbiamo già visto, nell’espressione matematica degli orbitali atomici compaiono tre numeri
interi (numeri quantici), che vengono denotati rispettivamente con i simboli n, l e ml. Tali nume-
ri caratterizzano l’orbitale. Per identificare un orbitale è quindi sufficiente indicare il «terzetto» di
numeri quantici che lo caratterizza.
L’energia degli elettroni negli atomi è quantizzata. I numeri quantici n ed l compaiono nell’espres-
sione dell’energia corrispondente ai vari orbitali, per cui l’energia dipende dai loro valori.
I tre numeri quantici hanno ruoli diversi nella descrizione dell’atomo. Ciascuno di essi può assume-
re valori in un ambito specifico. Consideriamoli in dettaglio:
• il numero quantico principale n. Questo numero può assumere valori interi positivi da 1 in poi.
Ha il ruolo piú importante nel determinare l’energia di un orbitale. Per tale motivo, i livelli ener-
getici vengono definiti in termini di n. Diciamo che degli orbitali appartengono a uno stesso livel-
lo energetico se hanno lo stesso numero quantico principale. In altre parole, un livello energetico
è un insieme di orbitali aventi lo stesso numero quantico principale n;
• il numero quantico di momento angolare l. È un numero associato al momento angolare che
l’elettrone ha nel suo moto intorno al nucleo. Può assumere come valori i numeri interi da 0 a n–1.
Insieme al numero quantico n, contribuisce a determinare l’energia di un orbitale. All’interno di
uno stesso livello energetico (cioè per orbitali che hanno lo stesso valore di n), hanno energia mag-
giore gli orbitali con un valore piú alto di l. Il numero l determina anche la «forma» degli orbitali,
come vedremo piú in dettaglio nel paragrafo 4.8.2;
• il numero quantico magnetico ml. È un numero che determina l’orientazione del vettore momen-
to angolare dell’elettrone (fig. IV.23.). Può assumere come valori i numeri interi che sono compre-
si fra – l e + l.
Determina l’orientazione degli orbitali nello spazio, come vedremo piú in dettaglio nel paragrafo
4.8.2. Non ha invece nessun ruolo nel determinare il valore dell’energia per l’atomo isola-
to: orbitali che hanno lo stesso valore di n e di l, ma diversi valori di ml, hanno tutti la stessa
energia.
Il numero ml viene chiamato magnetico perché è collegato al modo con cui un atomo interagisce
con un campo magnetico. Se un atomo viene posto in un campo magnetico, orbitali con diversi va-
lori di ml e uguali valori di l e n vengono ad avere energia diversa (mentre nell’atomo fuori dal
campo avevano la stessa energia).
Le «dimensioni» degli orbitali dipendono dal numero quantico principale. Piú alto è il numero quan-
tico principale, piú l’orbitale si protende lontano dal nucleo. Cosí, ad esempio, gli orbitali s hanno
tutti forma sferica, ma l’orbitale s con n = 2 ha raggio maggiore dell’orbitale s con n = 1; l’orbitale s
con n = 3 ha raggio maggiore dell’orbitale s con n = 2, e cosí via (fig. IV.25.). Un discorso analogo si
può fare per gli altri tipi di orbitali.
Gli orbitali si denotano scrivendo il numero quantico principale (che indica il livello energetico a cui
l’orbitale appartiene) seguito dalla lettera che indica il valore del numero quantico l. Cosí 2s signifi-
ca «orbitale di tipo s (cioè con l = 0) del secondo livello energetico (n = 2)»; 3d significa «orbitale di
tipo d del terzo livello energetico (n = 3)»; e cosí via.
Ricordiamo anche che i singoli livelli energetici vengono a volte denotati con lettere maiuscole, a
partire dalla lettera K (che denota il primo livello), e poi L, M, N, etc.
4.8.3. I sottolivelli
Abbiamo visto che, nell’atomo isolato, il valore dell’energia corrispondente a un orbitale dipende dai
numeri quantici n ed l che caratterizzano quell’orbitale. Siccome per un dato valore di n sono pos-
sibili diversi valori di l, all’interno di uno stesso livello energetico sono possibili diversi valori di
energia, in corrispondenza dei diversi valori di l. Ciascuno di questi valori di energia viene a costi-
tuire un sottolivello. Spesso un sottolivello viene indicato con la stessa lettera che si usa per il cor-
rispondente valore di l: si parla quindi di sottolivello p, sottolivello d, etc.
z z z
x x x
y y y
z z z
x x x
y y y
z z
x x
y y
z z z
x x x
y y y
Inoltre, nell’atomo isolato l’energia di un orbitale non dipende dal numero quantico ml. Orbitali con
valori uguali di n e di l e diverso valore di ml hanno forma e orientazione diversa (sono descritti da
funzioni matematiche diverse), ma hanno la stessa energia. Si dice che questi orbitali sono degeneri.
Per ogni valore di l si ha quindi un certo numero di orbitali aventi la stessa energia. Il loro numero è
determinato dal numero di valori possibili per il numero quantico ml.
Quando l = 0, il numero quantico ml può assumere soltanto il valore 0; quindi ci sarà un solo orbi-
tale di tipo s per ogni livello energetico.
Quando l = 1, il numero quantico ml può assumere tre valori: –1, 0 e +1. Gli orbitali di tipo p sono
quindi presenti tre alla volta.
Quando l = 2, il numero quantico ml può assumere cinque valori: –2, –1, 0, +1, +2. Gli orbitali di ti-
po d sono quindi presenti cinque alla volta.
Quando l = 3, il numero quantico ml può assumere sette valori: –3, –2, –1, 0, +1, +2, +3. Gli orbi-
tali di tipo f sono quindi presenti sette alla volta.
All’interno di uno stesso livello energetico hanno energia maggiore gli orbitali corrispondenti a un
valore piú alto del numero l. Quindi all’interno di uno stesso livello energetico gli orbitali di tipo p
hanno energia maggiore degli orbitali di tipo s, gli orbitali di tipo d hanno energia maggiore degli or-
bitali di tipo p, gli orbitali di tipo f hanno energia maggiore degli orbitali di tipo d.
l = 1 ml = –1, 0, +1 orbitali 4p
l = 2 ml = –2, –1, 0, +1, +2 orbitali 4d
l = 3 ml = –3, –2, –1, 0, +1, +2, +3 orbitali 4f
n = 5 l = 0 ml = 0 orbitale 5s
l = 1 ml = –1, 0, +1 orbitali 5p
l = 2 ml = –2, –1, 0, +1, +2 orbitali 5d
l = 3 ml = –3, –2, –1, 0, +1, +2, +3 orbitali 5f
....... .............................................. ...................
Risulta evidente da questa tabella che gli orbitali di tipo s sono presenti in tutti i livelli energetici; gli
orbitali di tipo p sono presenti a partire dal secondo livello; quelli di tipo d a partire dal terzo livello;
quelli di tipo f a partire dal quarto. La tabella IV.6. offre un quadro riassuntivo delle informazioni ri-
guardo ai tipi di orbitali e riguardo ai livelli in cui compare ciascun tipo30.
La figura IV.26. presenta un diagramma che considera gli orbitali atomici in ordine di energia cre-
scente. Questo diagramma evidenzia alcuni aspetti importanti per quanto riguarda il confronto del-
l’energia dei vari sottolivelli, e precisamente:
• gli orbitali di tipo d hanno energia leggermente piú alta dell’orbitale s del livello con il numero
quantico n immediatamente successivo. Cosí gli orbitali 3d hanno energia piú alta dell’orbitale 4s;
gli orbitali 4d hanno energia piú alta dell’orbitale 5s; e cosí via;
• gli orbitali di tipo f hanno energia leggermente piú alta dell’orbitale di tipo s con numero quantico
principale maggiore di due unità rispetto a quello dell’orbitale f stesso. Cosí gli orbitali 4f hanno
energia piú alta dell’orbitale 6s e gli orbitali 5f hanno energia piú alta dell’orbitale 7s.
Non è facile visualizzare la struttura dell’atomo in un’unica immagine che tenga conto dei vari orbi-
tali. La figura IV.27. presenta un tentativo in tal senso. Immagini di questo tipo sono comunque
estremamente semplificate rispetto alla complessità della situazione reale.
valore del numero simbolo con cui si numero di orbitali livello energetico
quantico l denotano gli orbitali degeneri nel sottolivello a cui iniziano ad
corrispondenti essere presenti
0 s 1 n=1
1 p 3 n=2
2 d 5 n=3
3 f 7 n=4
30. Gli orbitali che presentiamo qui sono quelli piú importanti dono orbitali denotati come g. Tali orbitali non sono però occu-
per la descrizione degli atomi. In effetti, esistono altri orbitali per pati da elettroni negli stati piú comuni degli atomi e, quindi, non
valori del numero l maggiori di 3. Ad esempio, ad l = 4 corrispon- li consideriamo.
7p
6d 7p
5f 6d
7s 5f
7s
6p
5d 6p
4f 5d
6s
4f
6s
5p
4d 5p
5s
4d
5s
energia crescente
4p
3d 4p
4s 3d
4s
3p
3p
3s
3s
2p
2p
2s
2s
1s
1s
valori alti (raggiunge un massimo) e zone in cui ha valori piú bassi. Quando la distanza dal nucleo au-
menta considerevolmente, la densità di probabilità diminuisce fino a diventare molto vicina allo zero.
La figura IV.25. illustra l’andamento della densità di probabilità per alcuni orbitali atomici, in modo
pittorico: dove i puntini sono piú fitti, la densità di probabilità è maggiore, e quindi è maggiore la pro-
babilità di trovare l’elettrone; dove i puntini sono meno fitti, la densità di probabilità è minore.
Per approfondire il discorso, scegliamo un esempio concreto, quello degli orbitali di tipo s dei primi
tre livelli energetici, cioè gli orbitali 1s, 2s e 3s. Oltre alle prime tre immagini della figura IV.25. (che
riguardano appunto questi tre orbitali), consideriamo anche i grafici della figura IV.28., che mostra-
no l’andamento della densità di probabilità in funzione della distanza dal nucleo.
z
1s
2s
2p
3s
3p
Per quanto riguarda l’orbitale 1s, il grafico mostra un massimo della densità di probabilità a una cer-
ta distanza dal nucleo, corrispondente alla zona con i puntini piú fitti nell’immagine della figura
IV.25. Poi, la densità di probabilità di trovare l’elettrone diminuisce man mano che aumenta la di-
stanza dal nucleo.
Il grafico relativo all’orbitale 2s presenta due massimi di densità di probabilità, uno vicino al nucleo,
uno (molto piú accentuato) un po’ piú distante. A questi due massimi corrispondono le due zone con
i puntini piú fitti nell’immagine della figura IV.25.
Il grafico relativo all’orbitale 3s presenta tre massimi, a tre diverse distanze dal nucleo. Nella corri-
spondente immagine della figura IV.25. si hanno tre zone concentriche con i puntini piú fitti.
Questo esempio ci mostra chiaramente che per orbitali dello stesso tipo, e, quindi, con la stessa
«forma» (come gli orbitali 1s, 2s, 3s), ma con numero quantico principale diverso, l’andamento del-
la probabilità di trovare l’elettrone al loro interno è diverso.
Il dover parlare in termini di probabilità di trovare l’elettrone in un dato punto o in una data zona si le-
ga alla doppia natura dell’elettrone, come particella e come onda. Quanto abbiamo spiegato finora ren-
de evidente come sia difficile costruire un’immagine visualizzabile degli atomi che tenga conto di tutti
gli aspetti importanti della loro descrizione. Gli aspetti piú difficili da visualizzare sono appunto quelli
densità di probabilità
densità di probabilità
densità di probabilità
r r r
orbitale 1s orbitale 2s orbitale 3s
probabilità
probabilità
probabilità
r r r
orbitale 1s orbitale 2s orbitale 3s
FIG. IV.28. Andamento della densità di probabilità e della probabilità di trovare l’elettrone in funzione della
distanza (r) dal nucleo, per gli orbitali 1s, 2s e 3s.
I due andamenti sono molto simili, eccetto che per la regione nelle immediate vicinanze del nucleo (quando il valore di r
è molto vicino a zero), dove la densità di probabilità ha un valore maggiore di zero, mentre la probabilità è molto piú pic-
cola e diviene zero quando r = 0 (ricordiamo che la probabilità si ottiene moltiplicando la densità di probabilità per il vo-
lume considerato; quando r = 0, anche il volume è 0).
che si legano alla doppia natura dell’elettrone. Non fa parte dell’esperienza comune l’idea di una parti-
cella piccolissima, della quale non si può dire esattamente dove si trovi, e che, comportandosi anche co-
me onda, riesce in qualche modo a «riempire» uno spazio enorme rispetto alle sue dimensioni31 (non di-
mentichiamo che il volume di un atomo è praticamente il volume della sua nube elettronica32, perché
il nucleo occupa una parte di spazio estremamente piccola in confronto al volume dell’atomo).
Nel seguito del testo tratteremo l’elettrone come una particella. Questa è una semplificazione per-
fettamente accettabile per gli scopi che ci interessano, cioè per lo studio delle proprietà chimiche
dei vari elementi. È però importante essersi resi conto che la situazione è in realtà molto piú
complessa.
31. A rigore, si può parlare di «dimensioni» dell’elettrone («di- corrispondente a l è svolto dal numero quantico di spin s, il cui
mensioni» nel senso di volume occupato) soltanto quando esso unico valore possibile per l’elettrone è –. Il numero ms può assu-
si comporta come particella. All’interno dell’atomo, dove il mere i valori di ± s. Nella descrizione della situazione degli elet-
comportamento di onda è prevalente, non ha senso parlare di troni nell’atomo, ci interessa di piú ms, per cui facciamo abitual-
dimensioni dell’elettrone, perché non è possibile parlare di di- mente riferimento ai suoi valori come valori dello spin.
mensioni di un’onda. 34. L’elettrone non è l’unica particella dotata di spin. Tutte le
32. Spesso si usa il termine nube elettronica o nuvola elettronica particelle elementari hanno un loro spin. Si distinguono in due
per indicare l’effetto della presenza degli elettroni nell’atomo, grandi categorie: quelle per cui lo spin assume valori seminteri
cioè il fatto che ci sia uno spazio «riempito» in qualche modo da (cioè espressi da frazioni con denominatore 2) e quelle per cui lo
una carica elettrica negativa. spin assume valori interi. Le prime vengono chiamate fermioni,
33. In effetti, ms ha per lo spin il ruolo che ml ha per il momento le seconde bosoni.
angolare orbitale (come illustrato in fig. IV.23.), mentre il ruolo
In base a queste regole, è facile conoscere il numero massimo di elettroni che possono occupare un
sottolivello:
• in un sottolivello di tipo s possono esserci al massimo due elettroni (perché tale sottolivello è co-
stituito da un solo orbitale);
• in un sottolivello di tipo p possono esserci al massimo sei elettroni (due per ciascuno dei tre orbi-
tali del sottolivello);
• in un sottolivello di tipo d possono esserci al massimo dieci elettroni (due per ciascuno dei cinque
orbitali d);
• in un sottolivello di tipo f possono esserci al massimo quattordici elettroni (due per ciascuno dei
sette orbitali f).
Vedremo ora alcuni esempi di configurazione elettronica. Per maggior chiarezza ci serviremo anche
di disegni, rappresentando gli orbitali con dei trattini orizzontali.
4p
3d
4s
3p
3s
2p
2s
1s
e quindi la configurazione elettronica dell’arsenico è 1s2 2s2 2p6 3s2 3p6 4s2 3d10 4p3.
Ovviamente, non è necessario disegnare ogni volta il diagramma degli orbitali atomici occupati. È
sufficiente tenere presente la sequenza degli orbitali atomici in ordine di energia crescente:
1s 2s 2p 3s 3p 4s 3d 4p 5s 4d 5p 6s 4f 5d 6p 7s 5f 6d 7p
e il numero di elettroni che ogni sottolivello può contenere, e «riempire» i sottolivelli, a partire dal pri-
mo, fino a che il numero di elettroni considerati è uguale al numero atomico dell’atomo che interessa.
È molto importante saper risalire alla configurazione elettronica degli elementi, perché le proprietà
chimiche di un elemento dipendono dal numero di elettroni presenti nel livello energetico piú ester-
no, come vedremo dettagliatamente nei prossimi capitoli.
2p 2p
2s
energia crescente
energia crescente
2p
1s
2s
1s 2s
4.10.1. La radioattività
4.10.1.1. La stabilità dei nuclei
Come abbiamo già detto, il nucleo degli atomi è costituito da protoni e neutroni (par. 4.4.). Fra tutte
queste particelle agisce una forza di attrazione di grande intensità, chiamata forza forte (una delle for-
ze nucleari). Fra i protoni, elettricamente carichi, agisce anche la forza di repulsione elettrostatica.
La forza forte ha intensità circa cento volte maggiore della forza elettrostatica, ma agisce soltanto a
distanze brevissime. Un nucleo è stabile se l’effetto complessivo della forza forte supera l’effetto
complessivo della forza di repulsione fra i protoni.
La presenza dei neutroni (elettricamente neutri) ha un ruolo determinante nell’attenuare l’effetto
della repulsione fra protoni. Eccetto che nel caso dell’idrogeno (dove il nucleo consiste soltanto di
un protone), il numero di neutroni nel nucleo è uguale o maggiore del numero di protoni. Per i nu-
clei piú leggeri, è sufficiente (ai fini della stabilità) che il numero di neutroni sia uguale al numero di
protoni. Quando il nucleo contiene piú di 20 protoni, il numero di neutroni deve essere maggiore del
numero di protoni perché il nucleo sia stabile.
Si è visto che c’è una fascia di valori del rapporto fra numero di neutroni e numero di protoni per cui
i nuclei sono stabili. Per valori al di fuori di questa fascia, i nuclei non sono stabili. Nessun nucleo
contenente piú di 83 protoni è stabile.
I nuclei instabili emettono particelle e si trasformano in altri nuclei, fino a raggiungere una situazio-
ne stabile. Si dice che decadono, e il fenomeno dell’emissione di particelle viene chiamato decadi-
mento del nucleo. Le particelle emesse (e anche l’energia, quando viene emessa) costituiscono delle
radiazioni o raggi; i nuclei che le emettono vengono chiamati radioattivi (par. 4.2.2.). La trasfor-
mazione avviene in modi diversi, a seconda della causa che genera instabilità nel nucleo. Li consi-
dereremo separatamente nei prossimi paragrafi.
Quando si considerano i nuclei e i fenomeni che li riguardano, è importante specificare il numero di
protoni e di neutroni presenti36. Si indicano quindi sempre il numero atomico e il numero di massa
accanto al simbolo dell’elemento. Una notazione analoga si usa per le particelle elementari: in que-
sto caso, in alto a sinistra si indica la massa e in basso a sinistra la carica della particella. La massa
dell’elettrone viene approssimata a zero:
1p = protone 1n = neutrone 0
1 0 –1e = elettrone
Le trasformazioni nucleari (reazioni nucleari) vengono rappresentate mediante equazioni analoghe
alle equazioni chimiche: a sinistra della freccia si scrive il simbolo del nucleo di partenza, a destra
quello del nucleo che si origina dalla reazione e quello delle particelle emesse.
4.10.1.2. Il decadimento β
Quando l’instabilità è dovuta al fatto che il rapporto fra il numero di neutroni e il numero di protoni è
troppo alto (cioè se nel nucleo il numero di neutroni è piú alto rispetto a quella che potrebbe essere
una situazione stabile), il nucleo emette una particella β, cioè un elettrone. Si può pensare che un neu-
trone si scinda in un protone e un elettrone; l’elettrone viene emesso e il protone rimane nel nucleo. In
questo modo il numero di massa non cambia (non cambia la somma dei protoni e dei neutroni); però
vengono ad esserci un neutrone in meno (quello che si è trasformato) e un protone in piú rispetto al
nucleo di partenza. Il numero atomico è quindi aumentato di una unità, e l’elemento di partenza si è
trasformato nell’elemento con numero atomico maggiore di una unità.
Un esempio è il decadimento dell’isotopo radioattivo del carbonio37, il carbonio-14.
36. Una specie atomica con un numero atomico e un numero di presente in natura; nel suo nucleo ci sono 6 protoni e 6 neutroni;
massa specificati viene chiamata nuclide. è un isotopo stabile, cioè non è radioattivo. Nell’isotopo con mas-
37. Come abbiamo già visto, quasi tutti gli elementi comprendo- sa atomica 14, il nucleo contiene 6 protoni e 8 neutroni: il nume-
no diversi isotopi, alcuni naturali, altri artificiali. Alcuni di questi ro di neutroni è troppo alto rispetto alla situazione stabile: l’iso-
isotopi sono radioattivi. Nel caso del carbonio, l’isotopo piú diffu- topo 14C è quindi radioattivo.
so è il carbonio 12, che costituisce il 98,9% di tutto il carbonio
Il nucleo del 14C è costituito da 6 protoni e 8 neutroni. Emettendo un elettrone, viene ad avere 7
protoni e 7 neutroni, cioè diviene un nucleo di azoto38:
14 C
6 ⎯⎯→ 14 N
7
0e
+ –1
4.10.1.3. La cattura K
Quando il rapporto fra il numero di neutroni e il numero di protoni è troppo basso perché il nucleo
sia stabile, il nucleo cattura uno degli elettroni che lo circondano nell’atomo. In genere cattura un
elettrone dal livello energetico piú basso e, siccome questo livello è denotato con la lettera K, il
fenomeno viene chiamato cattura K. Uno degli elettroni dei livelli piú esterni va poi a occupare
il «posto» lasciato libero dall’elettrone catturato dal nucleo e, in questo processo, viene emessa ener-
gia sotto forma di raggi X39. L’elettrone catturato dal nucleo si associa a un protone dando origine a
un neutrone. Nel nucleo vengono quindi ad esserci un neutrone in piú e un protone in meno rispet-
to alla situazione di partenza. L’atomo si è cosí trasformato in un atomo dell’elemento con numero
atomico minore di una unità. Il numero di massa rimane invariato, perché non è cambiato il totale
della somma del numero di protoni piú il numero di neutroni.
In questo caso, il fenomeno non viene chiamato decadimento perché non vengono emesse particel-
le, ma soltanto energia.
Come esempio possiamo considerare l’isotopo 37 dell’argon. Il nucleo di questo isotopo è costituito
da 18 protoni e 19 neutroni. Con la cattura K si trova ad avere 17 protoni e 20 neutroni, cioè si tra-
sforma nell’isotopo 37 del cloro:
cattura K
37Ar
18 ⎯⎯⎯→ 37Cl
17
4.10.1.4. Il decadimento α
Per i nuclei con numero atomico da 84 in poi
(cioè per i nuclei che contengono piú di 83 proto-
ni) l’instabilità è dovuta al fatto che in essi ci sono
troppi protoni perché le forze nucleari riescano a
tenerli insieme in modo stabile. In questo caso, il
nucleo emette particelle α (cioè nuclei di elio,
4 He, costituiti da 2 protoni e 2 neutroni) e, quin-
2
di, cambiano sia il numero di protoni sia il nume-
ro di massa.
A volte è sufficiente l’emissione di una sola par-
ticella α perché il nucleo diventi stabile; è que-
sto, ad esempio, il caso del polonio, che emet-
L’età dei reperti archeologici viene stabilita in base al tempo di
tendo una particella α si trasforma in piombo: dimezzamento del carbonio-14, isotopo radioattivo del car-
212Po
84 ⎯⎯→ 208Pb
82 + 4 He
2
bonio. Si determina la percentuale di carbonio radioattivo an-
cora presente nel reperto, e la si confronta con la percentuale
Altre volte, invece, prima di arrivare a una situa- che è normale in natura. La percentuale del reperto è sempre
zione stabile sono necessari diversi stadi e l’emis- minore di quella naturale. Si calcola poi, in base al tempo di
sione sia di particelle α sia di particelle β. È il dimezzamento, quanto tempo è stato necessario per produrre
la diminuzione constatata della percentuale di carbonio ra-
caso dell’uranio. Il processo complessivo del de- dioattivo; questo tempo è l’età dell’oggetto.
cadimento radioattivo dell’uranio è presentato
schematicamente nella figura IV.30.40.
38. L’azoto è l’elemento con numero atomico 7. l’elemento che le emette. I raggi γ sono onde elettromagnetiche
39. I raggi X sono radiazioni elettromagnetiche ad alta energia ad altissima energia. Vengono emesse dai nuclei che si trovano
(vedi anche par. 4.2.2.). in uno stato energetico eccitato. Spesso accompagnano anche
40. In questo paragrafo non abbiamo parlato di radiazioni γ per- l’emissione di raggi β.
ché esse non fanno variare né la massa né il numero atomico del-
235
92
U
231
90
Th
231
91
Pa
227
89
Ac
può venire emessa prima una
particella α e poi una particella
223
87
Fr 227
90
Th β (percorso di sinistra), oppure
prima una particella β e poi una
particella α (percorso di destra)
223
88
Ra
219
86
Rn
215
84
Po
211
82
Pb
211
83
Bi
può venire emessa prima una
particella α e poi una particella
207
81
Tl 211
84
Po β (percorso di sinistra), oppure
prima una particella β e poi una
particella α (percorso di destra)
207
82
Pb il piombo 207 è stabile
2 4
2 1H 2
He
FIG. IV.31. Illustrazione di uno dei meccanismi con cui avviene
la fusione di due nuclei di deuterio per dare un nucleo di elio.
Questa somma è maggiore della massa del nucleo di elio. La differenza fra le due è pari a
(4,03190 u.m.a.) – (4,00150 u.m.a.) = 0,03040 u.m.a.
e viene chiamata difetto di massa del nucleo di elio.
Che cosa è successo alla massa che manca? La risposta ci viene da una delle conseguenze della teo-
ria della relatività di Einstein: massa ed energia possono trasformarsi l’una nell’altra e sono legate
dalla relazione (chiamata equazione di Einstein)
E = m c2 [4.9]
dove c è la velocità della luce (3,00 · 108 m s–1).
La massa «scomparsa» è la fonte dell’energia che si libera quando si forma un nucleo di elio a parti-
re da due protoni e due neutroni, cioè quando avviene il processo
2 11p + 2 10n ⎯⎯→ 2 He
4
Dato che il processo libera energia, il nucleo di elio è piú stabile del sistema costituito da due proto-
ni e due neutroni separati.
Per far avvenire il processo inverso, cioè per scindere il nucleo di elio separando le particelle che lo
costituiscono
4H ⎯⎯→ 2 1 p + 2 1 n
2 1 0
si deve spendere una quantità di energia pari a quella liberata nel processo di formazione del nucleo.
Questa quantità di energia viene chiamata energia di legame del nucleo41.
41. Le definizioni che abbiamo visto ora sono del tutto generali. bile. Ad esempio, la combustione di una mole di carbonio, cioè la
L’energia di legame di un nucleo è l’energia necessaria per separa- reazione C + O2 → CO2, sviluppa una quantità di energia pari a
re i singoli protoni e neutroni che lo costituiscono. Il difetto di 393 500 J. La massa che «scompare» in questo processo è
massa di un nucleo è la differenza fra la massa del nucleo e la som- m = E/c2 = (–393 500 J) / (3,00 · 108 m s–1)2 = –4,37 · 10–12 kg.
ma delle masse dei protoni e dei neutroni che lo costituiscono. Piú Si tratta di una quantità troppo piccola, che nessuna bilancia
alti sono i valori di queste due grandezze, piú un nucleo è stabile. analitica può determinare. Questa quantità corrisponderebbe al-
42. Anche l’energia in gioco nelle reazioni chimiche potrebbe es- la differenza fra la massa totale dei prodotti e la massa totale dei
sere riportata alla trasformazione massa-energia e viceversa: ma reagenti, ma, proprio perché è cosí piccola, le nostre bilance con-
la variazione di massa sarebbe troppo piccola per essere misura- tinueranno a confermare la legge di Lavoisier.
A questo punto, è chiaro il significato di reazione a catena: l’evento (2) produce delle specie (i neu-
troni liberi) che sono in grado di produrre l’evento (1); questo, a sua volta, genera le specie che subi-
scono l’evento (2). I due eventi, quindi, si generano reciprocamente, l’uno di seguito all’altro (fig.
IV.33.).
Con il procedere della reazione, il numero di neutroni liberi in grado di colpire atomi di uranio di-
viene rapidamente molto elevato.
La specie a cui si fa subire la fissione viene chiamata materiale fissile.
Se il materiale fissile è concentrato in poco spazio, la reazione a catena si propaga con rapidità estre-
ma, fino a dare luogo a un’esplosione molto violenta. È quello che si verifica nella bomba atomica.
Nei reattori nucleari usati per la produzione di energia, la reazione si svolge in condizioni controlla-
te. Il materiale fissile è mescolato a materiali moderatori (acqua pesante o grafite) che assorbono
parte dell’energia dei neutroni e li rallentano. Inoltre, nel reattore possono essere introdotte piú o
meno profondamente alcune sbarre di cadmio che, essendo in grado di assorbire neutroni, permet-
tono di controllare la velocità dell’intero processo.
anche dal filosofo greco Epicuro e poi divulgate dal te costituite da particelle elementari che sono simili
poeta latino Lucrezio nel poema La natura delle fra loro, ma la cui figura è sconosciuta.
cose. Il poema ha una funzione didascalica, cioè si È però ottimista per il futuro e si rende conto che una
pone l’obiettivo di insegnare (nel caso specifico, di in- chiave fondamentale per la soluzione del problema
segnare la teoria atomistica). Lucrezio spiega le ragio- sta nella matematica:
ni che portano a concludere che la materia è costitui-
ta da atomi, discute le possibili obiezioni e propone La posterità, con l’aiuto di calcoli, potrà schiudere
spiegazioni, in termini di atomi, per molti dei feno- questo nuovo campo della conoscenza e appurare
meni allora conosciuti. con considerevole precisione le figure delle particelle
Le teorie atomistiche, però, non incontrarono molti degli elementi.
consensi perché nei secoli successivi e nella filosofia Particelle descritte dalla matematica. Nel 1758 Bo-
cristiana Aristotele fu considerato la massima autori- scovich propone un modello nuovo di particelle. Le
tà, ed egli aveva energicamente respinto l’atomismo. sue particelle sono punti fisici, analoghi a punti mate-
matici e tutti uguali fra di loro. Diverse disposizioni
La riscoperta del poema. Durante il Medio Evo, molte spaziali dei punti danno origine a sostanze o cose di-
conoscenze dell’antichità furono trascurate o dimenti- verse. I punti sono in moto continuo, per cui la loro
cate. Con il fiorire dell’Umanesimo, un nuovo interes- disposizione reciproca cambia nel tempo.
se spinse gli studiosi a cercare di recuperare le opere Boscovich studia le possibili interazioni fra i punti
antiche e apprendere le conoscenze che esse racchiu- con un approccio matematico (lo vedremo breve-
devano. Nel 1417 l’umanista Poggio Bracciolini scoprí mente dopo il cap. 6). Il suo modello è interessante
in un monastero un manoscritto completo del poema proprio per il ruolo che assegna alla matematica nella
di Lucrezio. L’idea della natura corpuscolare della ma- descrizione del mondo microscopico.
teria ritorna ad essere discussa da filosofi e scienziati.
I chimici la usano spontaneamente come ipotesi scon-
tata che unica è in grado di consentire un’interpreta-
zione dei fenomeni che osservano nei loro laboratori. La determinazione
Sono dei chimici a proclamarla e sostenerla anche di
fronte all’opposizione di alcune autorità religiose.
delle masse atomiche
La forma delle particelle. L’idea che le proprietà delle
sostanze siano determinate da quelle delle particelle M asse atomiche dai rapporti di combinazione. Dopo
che Dalton attribuí importanza principale al peso 43
che le costituiscono spinge alla ricerca di ipotesi sulla
natura del collegamento. Si ritiene che la proprietà degli atomi, nasceva inevitabilmente il compito di deter-
principale delle particelle sia la loro forma, e si cerca di minare il peso degli atomi dei singoli elementi. Le de-
indovinare quali «forme» possano essere responsabili terminazioni sperimentali dell’epoca di Dalton si basa-
di ciascuna delle proprietà osservate. Le proposte sono vano sui rapporti in peso secondo i quali gli elementi si
varie. Ad esempio, possiamo leggere di atomi tondeg- combinano nei composti. Come termine di riferimento
gianti come responsabili del sapore dolce di certe venne scelto l’atomo dell’idrogeno, alla cui massa fu at-
sostanze, o di atomi appuntiti come costituenti delle tribuito il valore 1. Rimanevano però molte incertezze
sostanze acide. Per capire le ragioni di queste ipotesi, nella determinazione, soprattutto perché in parecchi
dobbiamo tenere presente che allora non si conosceva casi non era chiaro quanti atomi di ogni elemento fos-
l’esistenza della carica elettrica e, quindi, si riteneva sero presenti nella molecola di un dato composto.
che tutti i fenomeni dovessero avere spiegazioni di tipo Ad esempio, Dalton pensava che la molecola di acqua
meccanico. Si sapeva che gli acidi hanno sapore pun- fosse costituita da un atomo di idrogeno e un atomo di
gente e possono attaccare i metalli, e sembrava ragio- ossigeno. Siccome nell’acqua il rapporto fra la quantità
nevole pensare che questi effetti dovessero essere cau- di idrogeno e la quantità di ossigeno è di 1:8, ne con-
sati da particelle dotate di punte aguzze. cluse che l’atomo di ossigeno avesse massa 8. In segui-
Con l’aumentare delle conoscenze e l’estendersi del to si scoprí che nella molecola di acqua ci sono due
metodo scientifico, spiegazioni di questo tipo comin- atomi di idrogeno e un atomo di ossigeno e, quindi, la
ciarono ad apparire inadeguate, perché non dimo- massa dell’atomo di ossigeno risultò pari a 16.
strabili. Nella seconda metà del XVIII secolo i chimici
non formulano piú ipotesi sulle particelle, ma si con- La legge di Dulong e Petit. Nel 1818 il chimi-
centrano sulla raccolta di dati sperimentali. La consa- co francese Pierre-Louis Dulong e il fisico francese
pevolezza delle limitazioni imposte dalla mancanza Alexis-Thérese Petit scoprirono che il prodotto della
di strumenti teorici e pratici adeguati è espressa da massa atomica di un elemento per il suo calore speci-
Buffon (1765): fico vale approssimativamente 6,3.
Questa legge è valida soltanto per i solidi – e nemmeno
Siamo ignoranti riguardo alle figure delle particelle per tutti –, ma permetteva di avere un’idea approssi-
che costituiscono i corpi. L’acqua, l’aria, la terra, i me- mativa dei valori dei pesi atomici, e ciò fu di grande
talli, e tutte le sostanze omogenee sono indubbiamen- aiuto nella loro determinazione.
43. Allora si parlava piú frequentemente di «pesi atomici», senza molta attenzione alla distinzione fra massa e peso.
idrogeno cloro
FIG. IV.34. Esempio di utilizzazione del principio di Avogadro per la determinazione delle masse atomiche.
Consideriamo due volumi uguali di idrogeno e di cloro, nelle stesse condizioni di pressione e temperatura. Sappiamo
quindi che essi contengono lo stesso numero di molecole. Determinazioni di altro tipo informano che sia l’idrogeno che
il cloro sono costituiti da molecole biatomiche.
Se pesiamo i due gas, troviamo che il peso del cloro è 35,5 volte quello dell’idrogeno. Possiamo allora concludere che la
massa di un atomo di cloro è 35,5 volte la massa di un atomo di idrogeno.
Per comprenderne meglio il ruolo, consideriamo un del secolo XX dal chimico americano Theodore Wil-
esempio concreto. Supponiamo che per un elemento liam Richards.
X la legge di Dulong e Petit preveda una massa atomi-
ca di circa 107. Dallo studio di un composto di X, nella Il termine di riferimento. Abbiamo già discusso (par.
molecola del quale si suppone inizialmente che sia pre- 1.2.6.) la necessità di scegliere, per esprimere il valore
sente un solo atomo di X, si ricava invece una massa delle masse atomiche, un termine di riferimento con-
atomica di circa 216. Dal confronto dei due valori si è veniente. A questo scopo, si assegna valore arbitrario
costretti a concludere che nel composto considerato alla massa dell’atomo scelto come riferimento, e con
sono presenti due atomi di X e non uno (perché 216 è essa si confrontano le masse degli altri atomi.
circa doppio di 107). Quindi 216 è la massa di due ato- La scelta del termine di riferimento ha conosciuto al-
mi di X, e la massa atomica di X è 216/2 = 108. cuni cambiamenti. All’idrogeno (la scelta iniziale)
venne sostituito l’ossigeno, al cui atomo fu attribuita
Determinazioni sistematiche. Il lavoro piú importan- massa 16. Nel 1961 il carbonio fu scelto come riferi-
te fu quello del chimico svedese Jöns Jakob Berzelius. mento e l’unità di massa atomica venne definita come
Utilizzando sia la legge di Dulong e Petit sia quella di un dodicesimo della massa di un atomo di carbonio.
Gay-Lussac, Berzelius rideterminò sperimentalmente
la composizione quantitativa di molti composti, per
avere dati piú precisi su cui basare il calcolo delle
masse atomiche. Nel 1828 pubblicò una tabella di
masse atomiche che, a parte poche eccezioni, riporta
valori molto vicini a quelli attuali.
L’ipotesi di Avogadro avrebbe potuto costituire un va-
lido aiuto per la determinazione delle masse atomi-
che (fig. IV.34.), ma per vari anni le polemiche ne
ostacolarono l’utilizzazione. Solo nel 1858 il chimico
italiano Stanislao Cannizzaro ne metterà pienamente
in luce l’importanza e le applicazioni.
Negli anni successivi, molti altri chimici si occuparo-
no della determinazione delle masse atomiche. Le de-
terminazioni piú accurate furono effettuate all’inizio
Studiando e riflettendo
si parla di «molecole di aria». Come interpreteresti que-
Dall’atomo indivisibile all’atomo dotato
sto termine?
di struttura
d) Perché la carica dell’elettrone viene considerata la
carica elementare?
1 La parola atomo viene dalla lingua greca e signi-
7 a) Quando si dice che una sostanza è radioatti-
fica «indivisibile». Il significato etimologico della pa-
va?
rola si adatta al modello atomico di Dalton? E al no-
b) Elenca i tipi di radiazione emessi da una sostanza
stro?
radioattiva.
2 a) Perché nelle ipotesi atomistiche dall’antichità c) Sai che una certa sostanza è radioattiva, ma non sai
a quella di Dalton (compresa) l’atomo era considerato quale tipo di radiazione emette. Come procederesti
indivisibile? per scoprirlo?
b) Che cosa spinse fisici e chimici a riconsiderare que- d) Quali sono le differenze fondamentali:
sta ipotesi? ! fra i raggi α e i raggi β
" fra i raggi α e β da una parte, e i raggi γ dall’altra?
3 Elenca i fenomeni che hanno fatto capire che
esistevano particelle piú piccole dell’atomo. e) ! Qual è l’unità di misura della carica elettrica nel
Sistema Internazionale?
4 a) Che cosa si intende per scarica nei gas? " Che cosa significa dire che «la carica elettrica delle
b) Descrivi l’apparecchio utilizzato per gli esperimenti particelle α è +2»?
sulla conducibilità elettrica dei gas. # Qual è il valore di questa carica nell’unità di misura
c) Supponi di voler studiare la conducibilità elettrica del Sistema Internazionale?
del neon. Come procederesti? 8 a) Ordina le seguenti particelle in ordine di mas-
d) Descrivi i fenomeni osservati dagli scienziati che
sa crescente:
per primi studiarono la scarica nei gas. ! elettrone
e) Spiega che cosa sono i raggi catodici. " neutrone
f) Gli esperimenti con i tubi di Crookes (fig. IV.2.) per- # particella α
misero di identificare alcune proprietà fondamentali $ protone.
dei raggi catodici. Descrivi individualmente questi
b) Ordina le stesse particelle in ordine di carica elettri-
esperimenti e spiega le informazioni ottenute da cia-
ca crescente.
scuno di essi.
g) Come si chiamano le particelle che costituiscono i
raggi catodici?
I primi modelli atomici
5 a) Che cosa si intende per particelle elementari?
b) Quali sono le proprietà fondamentali delle particel- 9 Una volta stabilito che l’atomo è costituito da
le elementari? particelle piú piccole:
c) Quale unità di misura si usa abitualmente per espri- a) quale problema si poneva per l’elaborazione del mo-
mere la massa delle particelle elementari? dello?
6 a) Descrivi l’esperienza di Millikan. b) Come era possibile cercare risposte:
! a livello teorico
b) Spiega perché era importante che l’elettrone aderisse
" a livello sperimentale?
a una particella «grossa», come una gocciolina di olio.
c) Nella descrizione dell’esperienza di Millikan (fig. IV.3.) 10 Descrivi il modello atomico di Thomson.
nuova, che era appena comparsa nella fisica. Come si 45 Confronta il concetto di orbita (considerando
chiama questa ipotesi? come esempio le orbite circolari del modello di Bohr) e
34 Che cosa significa dire che una certa grandezza è quello di orbitale, considerando i seguenti aspetti:
quantizzata? a) le dimensioni disponibili per il moto dell’elettrone;
35 Descrivi il modello atomico di Bohr. b) la possibilità di conoscere esattamente la distanza
dell’elettrone dal nucleo in un dato istante;
36 Spiega il significato dei seguenti termini o con- c) la possibilità per l’elettrone di «riempire» il volume
cetti nel modello atomico di Bohr: dell’atomo.
a) quantizzazione del momento angolare dell’elettrone 46 Particelle e onde sono due enti ben diversi per la
b) numero quantico fisica classica. Una particella è costituita da materia,
c) livello energetico ha una massa, occupa una porzione ben definita e li-
d) raggio di Bohr. mitata di spazio. Si può dire lo stesso per un’onda?
37 Il modello atomico di Bohr dà conto del fatto che Spiega e, se puoi, fai qualche esempio.
l’elettrone non va a finire sul nucleo, anche se ne è at- 47 Che cosa intendiamo dicendo che l’elettrone ha
tratto. Sapresti spiegare perché? doppia natura?
38 a) I valori di energia dell’elettrone nell’atomo so- 48 Quali fenomeni dimostrano che l’elettrone si
no positivi o negativi? Sapresti spiegare perché? comporta come una particella? E quali dimostrano
b) L’energia dell’elettrone aumenta oppure diminuisce che si comporta come un’onda?
quando la distanza dal nucleo aumenta? Sapresti spie-
gare perché? 49 Che cosa dice l’ipotesi di de Broglie?
39 Considera l’atomo di idrogeno e supponi di di- 50 Quando si descrive il moto di un oggetto in fisica
scuterlo nell’ambito del modello di Bohr. Spiega quali classica, se ne indicano la traiettoria e la velocità, e si
fra le seguenti affermazioni sono corrette e quali no. studiano le forze in gioco. Se riesamini il procedimen-
a) L’elettrone è attratto dal nucleo. to seguito da Bohr nell’elaborare il suo modello, lo tro-
b) L’energia dell’elettrone può assumere qualsiasi valore. vi in accordo con l’impostazione «classica», salvo che
c) L’elettrone può trovarsi a qualsiasi distanza dal nu- per l’ipotesi della quantizzazione? Spiega.
cleo.
d) L’elettrone può trovarsi solo a certe distanze dal nu-
cleo (valori permessi). Lo studio quantomeccanico dell’atomo
e) L’elettrone può avvicinarsi al nucleo fino a raggiun-
gerlo. 51 a) Che cosa si intende per meccanica quantisti-
f) L’elettrone non può avvicinarsi al nucleo oltre una ca?
certa distanza minima. b) In particolare, a che cosa si riferisce l’aggettivo
g) Siamo in grado di conoscere la posizione dell’elet- quantistica?
trone a un dato istante. 52 Il modello moderno di atomo è un prodotto della
h) Quando l’elettrone passa da un’orbita con n = 3 a
meccanica quantistica. Ciò significa che l’elettrone
un’orbita con n = 5, emette energia.
non viene considerato come una particella nel senso
i) Quando l’elettrone passa da un’orbita con n = 3 a
dato a questo termine dalla meccanica classica. Sapre-
un’orbita con n = 5, assorbe energia.
sti spiegare (non piú di 100 parole) perché i fisici sono
40 Considera la tua risposta alla domanda 32 e le arrivati a concludere che l’elettrone va considerato e
innovazioni apportate dal modello di Bohr. Utilizzale descritto in modo diverso?
per discutere un importante aspetto del metodo 53 Sai scrivere la forma generale dell’equazione di
scientifico.
Schrödinger e spiegare il significato dei termini che vi
41 Il modello atomico di Bohr è in accordo col fatto compaiono?
che gli spettri atomici sono discontinui. Spiega perché. 54 Quali tipi di energia possiede un elettrone all’in-
42 a) Descrivi lo spettro dell’atomo di idrogeno. terno dell’atomo?
b) Discutilo in base al modello atomico di Bohr. 55 a) Considera un atomo di litio (Z = 3). Rappre-
senta la sua struttura con un disegno. Utilizza il dise-
gno per elencare i contributi all’energia dell’atomo.
La natura e il comportamento b) Fai lo stesso considerando un atomo di azoto (Z = 7).
delle particelle elementari c) Discuti l’aumento del numero di contributi all’ener-
gia totale quando aumenta il numero di elettroni (per
43 Che cosa dice il principio di indeterminazione di rendere la discussione piú completa, puoi includere
Heisenberg? anche gli esempi presentati nelle figg. IV.20. e IV.21.
44 Nel nostro modello di atomo determiniamo l’ener- del testo).
gia dell’elettrone con la massima precisione possibile. 56 Supponi di voler studiare l’atomo di litio secondo
Che cosa possiamo dire riguardo alla posizione dell’elet- l’impostazione della meccanica quantistica. Descrivi
trone? (in forma schematica) come procederesti.
o) In uno stesso livello energetico, orbitali con valore di reazioni di fusione nucleare si concentra soprattut-
piú alto di l hanno energia piú ……… to sull’idrogeno. Sapresti spiegare perché?
p) Un orbitale di tipo s ha forma ……… 88 Parla dell’instabilità dei nuclei. (Non piú di 200
q) Una particella elementare ha tre proprietà: la parole).
………., la ……….. e lo ……….
r) Secondo il …………….. di …………., in uno stesso 89 Considera il decadimento α:
orbitale non possono esserci piú di due elettroni, ed a) spiega in quali casi si verifica
hanno ………. opposto. b) descrivine il meccanismo
s) Elettroni che si trovano da soli in orbitali degeneri c) descrivi le caratteristiche delle particelle α
hanno spin ……… d) presenta e spiega un esempio.
81 Quali fra le seguenti affermazioni sono corrette e 90 Considera il decadimento β:
quali no? Nel caso di affermazioni errate, giustifica le a) spiega in quali casi si verifica
tue risposte con un numero minimo di parole (non piú b) descrivine il meccanismo
di 30 parole ciascuna). c) descrivi le caratteristiche delle particelle β
a) L’orbitale 1s ha simmetria sferica. d) presenta e spiega un esempio.
b) Un orbitale di tipo s ha numero quantico principale 91 Considera la cattura K:
pari a 0. a) spiega in quali casi si verifica
c) Un orbitale di tipo p ha numero quantico di mo- b) descrivine il meccanismo
mento angolare pari a 1. c) descrivi le caratteristiche della radiazione emessa
d) Gli orbitali di tipo d compaiono a partire dal quarto d) presenta e spiega un esempio.
livello energetico.
92 Che cosa è il tempo di dimezzamento di un ele-
e) Quando n = 2, ml può assumere i valori – 2, – 1, 0,
+ 1, + 2. mento radioattivo?
f) Due elettroni in uno stesso orbitale hanno lo stesso 93 Che cosa è la fissione nucleare?
spin. 94 a) Che cosa si intende per materiale fissile?
g) Due elettroni occupanti singolarmente due orbitali b) Quali sostanze sono usate piú comunemente come
con la stessa energia (ad esempio, un elettrone in un materiale fissile?
orbitale 2px e un elettrone in un orbitale 2py) hanno lo
stesso spin. 95 Descrivi in dettaglio il decadimento radioattivo
dell’uranio-235.
96 Discuti le differenze fra decadimento radioattivo
Il nucleo e le reazioni nucleari e fissione nucleare.
97 Confronta le reazioni chimiche e le reazioni nu-
82 Che cosa è l’energia di legame di un nucleo? cleari per quanto riguarda i seguenti aspetti:
83 Scrivi l’equazione di Einstein e spiegane il significato. a) parte dell’atomo interessata a cambiamenti;
b) permanenza delle specie atomiche coinvolte nella
84 Spiega:
reazione;
a) che cosa è il difetto di massa di un nucleo c) energia coinvolta;
b) a che cosa è dovuto. d) relazioni fra massa ed energia;
85 Le reazioni naturali che riguardano i nuclei degli e) conservazione della massa durante la reazione;
atomi si dividono in due grandi categorie. f) varietà di possibili reazioni diverse;
a) Come si chiamano le due categorie? g) diffusione sul nostro pianeta;
b) Per che cosa differiscono? h) facilità di sfruttamento da parte dell’uomo. In que-
c) Sono accompagnate da emissione o da assorbimen- sto caso, considera:
to di energia? ! gli scopi per cui vengono utilizzate le reazioni;
d) In quali situazioni avvengono in natura? " i problemi di sicurezza associati alla costruzione de-
e) Discuti l’entità dell’energia che accompagna le rea- gli impianti;
zioni nucleari, e spiegane il motivo. # il problema dello smaltimento dei rifiuti.
86 Descrivi dettagliatamente il meccanismo della
fusione nucleare dell’idrogeno (considerando nuclei di
deuterio come nuclei di partenza). Uno sguardo d’insieme
87 a) Quali sarebbero i vantaggi delle centrali a fu-
98 Discuti le differenze fra numero di massa e mas-
sione nucleare?
b) Qual è la principale difficoltà che ha finora impedi- sa atomica.
to di mettere a punto una tecnologia per lo sfrutta- 99 Fornisci un esempio di tua scelta per ciascuna
mento su vasta scala dell’energia prodotta da reazioni delle seguenti voci:
di fusione nucleare? a) serie spettrale;
c) L’idrogeno non è l’unico elemento capace di dare b) spettro continuo;
una reazione di fusione nucleare. Eppure, la ricerca c) modello atomico;
mirante a sviluppare una tecnologia per lo sfruttamento d) coppia di isotopi;
107 È difficile capire la teoria moderna dell’atomo ria, come minimo a partire dall’inizio del XIX
senza prendere in considerazione come si è secolo (teoria di Dalton). Scegli e discuti
arrivati a formularla. Per questo motivo, vie- qualche aspetto che sarebbe particolarmente
ne di solito presentata attraverso la sua sto- difficile da capire senza conoscerne la storia.
• Selezione di termini significativi incontrati in questo capitolo e convenienti per riflessioni e ricerche nel-
l’ambito di piú discipline: attrazione, continuo, discreto, classico, struttura, configurazione, energia.
• Tema: Teorie corpuscolari della materia prima di Dalton.
• Tema: La tendenza al minimo di energia: una tendenza generale in natura.
Esercizi
La struttura dell’atomo
1 Trova il numero di protoni, neutroni ed elettroni presenti negli atomi dei seguenti elementi:
calcio: Z = 20 numero di massa = 40
alluminio: Z = 13 numero di massa = 27
argon: Z = 18 numero di massa = 40
argento: Z = 47 numero di massa = 107
mercurio: Z = 80 numero di massa = 200
piombo: Z = 82 numero di massa = 207
2 Trova il numero di protoni, neutroni ed elettroni presenti in ciascuno dei sette isotopi naturali del mercurio:
196Hg 198Hg 199Hg 200Hg 201Hg 202Hg 204Hg
80 80 80 80 80 80 80
3 Completa la seguente tabella. Se i dati disponibili sono insufficienti per riempire qualcuno degli spazi bianchi,
spiega di quale altro dato avresti bisogno.
4 Il rame ha due isotopi naturali, uno con massa atomica 62,9296 u.m.a., presente per il 69,2%, l’altro con
massa atomica 64,9278 u.m.a., presente per il 30,8%.
Trova la massa atomica media del rame.
5 Il magnesio ha tre isotopi naturali: 24Mg, avente massa atomica 23,98504 u.m.a. e presente per il 78,60%,
25Mg, avente massa atomica 24,98684 u.m.a. e presente per il 10,11%, e 26Mg, avente massa atomica
25,98259 u.m.a. e presente per il 10,29 %. Trova la massa atomica media del magnesio.
6 Il boro ha due isotopi naturali, 10B e 11B, con massa atomica rispettivamente di 10,013 u.m.a. e 11,009 u.m.a.
La massa atomica media del boro è 10,81 u.m.a. Trova le percentuali dei due isotopi in natura.
8 I piú raffinati strumenti sono in grado di rivelare onde con lunghezza d’onda di 10–14 m; onde aventi lunghez-
za d’onda minore non possono essere percepite né da noi né dai nostri strumenti.
Calcola la lunghezza delle onde associate agli oggetti in moto elencati qui sotto, usando l’equazione di de Bro-
glie. Spiega in quali casi l’onda può essere rilevata dai nostri strumenti e in quali no.
a) Un pallone avente massa 0,8 kg, che si muove alla velocità di 0,01 m s–1;
b) una pallottola avente massa 40 g, che si muove alla velocità di 800 m s–1;
c) un atomo di idrogeno (massa 1,6736 · 10–27 kg) che si muove alla velocità di 2500 m s–1;
d) un elettrone che si muove alla velocità di 1,8 · 106 m s–1.
9 Elenca i numeri quantici che caratterizzano i seguenti orbitali (per il numero quantico ml indica tutti i valori
che può assumere nel caso considerato):
a) 3s c) 4d e) 5p g) 7s i) 2p
b) 3p d) 5f f) 4s h) 4f l) 6d
11 Completa la seguente tabella. In alcuni casi, è possibile piú di una risposta: allora, dai tutte le risposte che so-
no compatibili con i valori forniti.
13 Completa le seguenti configurazioni elettroniche, per le quali si indicano gli orbitali a piú alta energia occupa-
ti da elettroni.
a) …….. 3s1 c) …….. 4d7 e) …….. 6p5
b) …….. 3p 3 d) …….. 4f9 f) …….. 5d3
15 Quando una mole di idrogeno brucia a 25 °C per dare acqua liquida, la quantità di calore che si sviluppa è
285,83 kJ. Sapresti calcolare la variazione di massa che accompagna questa reazione?
Supponi di lavorare con la massima accuratezza: saresti in grado di rilevare questa variazione di massa con le
normali apparecchiature di un laboratorio chimico? (Una buona bilancia analitica arriva a determinare una
massa di 10–4 g).
16 Considera le seguenti reazioni nucleari. In esse vengono indicati i reagenti e i prodotti. Una delle sostanze ri-
mane però incognita: devi identificarla in base ai numeri atomici e ai numeri di massa delle altre sostanze.
92U + 0n ⎯
a) 235 → 142
1 1
56Ba + X + 3 0n
b) 94Be + 11H ⎯→ X + 4 He
2
c) 147 N + 4 He
2 ⎯→ 17 O
8 + X