Sunteți pe pagina 1din 68

L’atomo

4 In una situazione ideale, il progresso delle


conoscenze scientifiche dovrebbe essere
accompagnato da un progresso parallelo
e altrettanto importante dell’etica.
In mancanza di questo, la conoscenza
può essere sfruttata per scopi che si volgono
contro il benessere e la vita delle persone
o contro l’ambiente in cui viviamo.
Il progresso delle conoscenze sull’atomo
costituisce un esempio chiarissimo. Da una
parte, ci sono impieghi benevoli, come
l’impiego di radiazioni per la cura di alcuni
tumori. Dall’altra, il nome stesso di atomo ha
finito con l’associarsi all’immagine terrificante
del fungo prodotto dalla bomba atomica,
il piú terribile strumento di distruzione di
massa inventato finora.

In questo capitolo ci occuperemo dell’atomo. Questo capitolo ci riserva una sorpresa. Le par-
◗ Scopriremo quali studi, esperimenti, formula-
zioni di ipotesi hanno permesso di compren-
ticelle del «mondo microscopico», quelle che
costituiscono gli atomi, si comportano in modo
derne la struttura, e descriveremo il modello di diverso dai corpi del «mondo macroscopico»,
atomo che viene accettato attualmente. cioè dagli oggetti che noi possiamo vedere e
Conoscere la struttura dell’atomo è per noi toccare: per descrivere il loro comportamento
molto importante, perché la configurazione è stato addirittura necessario «inventare» una
della parte piú esterna dell’atomo di un ele- nuova fisica. Ciò che studieremo ora ci intro-
mento determina le proprietà chimiche di quel- durrà nel mondo affascinante delle cose picco-
l’elemento. In seguito, quando studieremo co- lissime, dove regole e leggi sono diverse, spari-
me gli atomi si uniscono fra loro per formare le sce il confine fra particelle e onde, sparisce il
molecole, dovremo sempre tenere presente la concetto stesso di «posizione», e la matematica
struttura della parte esterna degli atomi. crea i modelli degli oggetti.

Dopo aver completato il lavoro con questo capito- ◗ discutere gli aspetti principali del modello moderno
◗ lo, sarai in grado di: dell’atomo;
◗ spiegare come si è arrivati al modello moderno di ◗ scrivere la configurazione elettronica degli atomi dei
atomo; vari elementi.

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


136 4 L’atomo

4.1. Il problema dell’atomo


Come abbiamo anticipato nel capitolo precedente, l’ipotesi che l’atomo fosse una particella indivisi-
bile dovette essere abbandonata quando nuove scoperte mostrarono che è costituito da particelle
piú piccole.
Il cammino per arrivare alla moderna teoria atomica è stato lungo e complesso. Ogni nuova scoper-
ta faceva venire alla luce anche nuovi problemi, che dovevano essere affrontati e risolti. È stato ne-
cessario modificare profondamente l’impostazione tradizionale della fisica, «creare» di fatto una
nuova fisica, per poter costruire dei modelli del mondo microscopico che potessero interpretare in
modo soddisfacente i fenomeni osservati.
Il risultato finale di questo enorme lavoro teorico è quella conoscenza dell’atomo che ha fornito le
basi a una varietà di applicazioni tecnologiche, compreso lo sfruttamento delle sue enormi riserve di
energia, e che ha cambiato la storia stessa: da quando esiste la bomba atomica, l’uomo sa che mai
piú potrà permettersi una guerra mondiale.
Lo studio del mondo degli atomi non è ancora esaurito. Da una parte continua la ricerca teorica sul-
le numerose particelle piú piccole dell’atomo; dall’altra continua la ricerca teorica e tecnologica per
mettere a punto soluzioni che permettano di sfruttare l’energia dell’atomo senza i problemi associa-
ti alle centrali nucleari attuali.
Per comprendere meglio la moderna teoria dell’atomo è importante riconsiderare i vari stadi che
hanno portato alla sua formulazione, e capire attraverso quali scoperte, esperienze, ipotesi e propo-
ste di modelli si è arrivati alle attuali conoscenze. Per semplicità di esposizione seguiremo le tappe
piú significative dello sviluppo della teoria atomica quasi in forma schematica, ponendo l’accento
sui momenti fondamentali che hanno determinato mutamenti nelle ipotesi e nelle conoscenze.

4.2. Scoperta dell’esistenza di particelle piú piccole dell’atomo


Alcuni fenomeni, scoperti e studiati alla fine del secolo XIX, hanno reso evidente che esistono parti-
celle piú piccole dell’atomo e che, quindi, l’atomo non è indivisibile e non è la particella piú piccola
della materia, ma è a sua volta costituito da altre particelle: ha, cioè, una struttura complessa. I feno-
meni piú importanti furono quelli riguardanti le scariche elettriche attraverso gas e la radioattività.

4.2.1. La scarica nei gas


4.2.1.1. I raggi catodici
La capacità di condurre la corrente elettrica è una delle caratteristiche fisiche delle sostanze. Nella
figura I.2. abbiamo visto come si misura questa capacità per i solidi e per i liquidi. È possibile deter-
minarla anche per le sostanze che sono allo stato gassoso, e proprio alla fine dell’Ottocento gli scien-
ziati effettuarono molti esperimenti per studiare la conducibilità elettrica nei gas.
Per questi esperimenti si impiegava un tubo di vetro (fig. IV.1.) nel quale si faceva il vuoto, toglien-
do il piú possibile l’aria dal suo interno, e che poi veniva riempito con il gas in esame. Alle estremi-
tà del tubo erano posti due elettrodi, fra i quali si applicava una differenza di potenziale1 di circa
10000 volts. Poi, si abbassava gradualmente la pressione del gas all’interno del tubo. Quando la pres-
sione raggiungeva un valore sufficientemente basso, il gas cominciava a condurre corrente, e il tubo
diveniva luminoso.
Il valore di pressione a cui comincia la conduzione di corrente e il colore della luce variavano a

1. Vedi la voce Corrente elettrica in Appendice I.

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


Scoperta dell’esistenza di particelle piú piccole dell’atomo
4 137

alla pompa aspirante

catodo – + anodo

generatore di differenza
di potenziale

FIG. IV.1. Tubo impiegato per lo studio della scarica elettrica nei gas.
Il tubo viene collegato alla pompa aspirante quando si vuole creare il vuoto al suo interno (cioè estrarne l’aria), o quando
si vuole abbassare la pressione del gas che si sta studiando.
Alle due estremità del tubo sono inserite due piastre metalliche che hanno il ruolo di elettrodi. Gli elettrodi sono collegati
a un generatore di differenza di potenziale.
Ricordiamo che il catodo è l’elettrodo negativo e l’anodo è l’elettrodo positivo. La parte metallica del circuito è disegnata
in rosso.

seconda del gas presente nel tubo. Ad esempio, se il tubo era riempito di neon, quando la pressione
al suo interno era di circa 0,01 atm, il gas cominciava a condurre corrente e il tubo assumeva
l’aspetto di una normale lampada al neon di colore rossastro.
Quando la pressione del gas veniva ancora abbassata, compariva una zona scura intorno al catodo.
Questa zona scura diveniva sempre piú estesa man mano che la pressione del gas nel tubo continuava
ad abbassarsi. A una pressione di circa 10–6 atm, il gas rimasto nel tubo non emetteva piú luce; il tubo
appariva scuro, ma il vetro aveva una luminosità diffusa, di un colore verde chiaro, cioè presentava
fluorescenza. La fluorescenza era provocata da raggi emessi dal catodo, e che colpivano il vetro.
Tali raggi vennero chiamati raggi catodici, e gli scienziati effettuarono una serie di esperimenti per
identificarne la natura e studiarne le proprietà. Si scoprí cosí che i raggi catodici (fig. IV.2.):
• si propagano in linea retta.
Ciò fu messo in evidenza da un esperimento di W. Crookes. Se si mette una croce di Malta sulla
traiettoria dei raggi, sul vetro del tubo si staglia netta l’ombra della croce. Un’ombra netta si forma
solo con raggi che si propagano in linea retta (come, ad esempio, i raggi luminosi);
• sono costituiti da qualcosa dotato di massa.
Crookes mise sulla loro traiettoria un muli-
nello a pale, e vide che questo mulinello si
metteva a girare quando veniva colpito dai
raggi catodici. Tale azione meccanica indica
chiaramente che i raggi sono costituiti da
«entità» che possiedono una quantità di moto
e, quindi, una massa;
• sono costitutiti da qualcosa dotato di carica
elettrica2 negativa.
Se si pongono, sopra e sotto il fascio, due pia-
stre elettricamente cariche e di segno oppo-
sto, il fascio di raggi catodici devia dal suo
percorso, perché viene attratto dalla piastra
positiva e respinto da quella negativa. Questo
Le lampade al neon sono un tipico esempio di scarica nei gas.
fenomeno conferma anche che i raggi sono

2. Vedi la voce Carica elettrica in Appendice I.

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


138 4 L’atomo

_ + _ +

I raggi catodici proiettano l’ombra della croce. Quando i raggi catodici colpiscono un mulinello,
Questo dimostra che si propagano in linea retta. lo mettono in moto. Ciò dimostra che sono ca-
paci di esercitare un’azione meccanica.
piastra
negativa

I raggi catodici vengono deviati dall’azione di un


campo elettrico: sono attratti dalla piastra posi-
_ + tiva del campo e respinti da quella negativa. Ciò
dimostra che sono dotati di carica elettrica nega-
tiva.

piastra
positiva FIG. IV.2. Proprietà dei raggi catodici.

costituiti da particelle di materia, perché la carica elettrica è sempre associata a particelle di ma-
teria.
Le particelle che costituiscono i raggi catodici vennero chiamate elettroni. Esse risultarono identiche,
qualunque sia la natura del gas presente nel tubo e qualunque sia il metallo usato per costruire il catodo.

4.2.1.2. La carica e la massa dell’elettrone


L’obiettivo successivo, per gli scienziati, fu quello di mettere a punto esperimenti per determinare il
valore della massa e della carica degli elettroni. Alla fine del secolo scorso il fisico inglese J.J. Thom-
son riuscí a determinare il rapporto fra la carica (e) e la massa (me) dell’elettrone:
e coulomb
= 1,77 · 108
me grammi
Nel 1909 R. Millikan, con un esperimento particolarmente ingegnoso, stabilí che la carica dell’elet-
trone è di 1,60 · 10–19 coulomb (fig. IV.3.).
La conoscenza di questi due valori permise di ricavare quello della massa dell’elettrone:
e –19
me = 8 –1
= 1,60 · 108 C–1 = 9,04 · 10–28 grammi
1,77 · 10 C g 1,77 · 10 C g
Questa massa corrisponde a 1/1823 u.m.a. (cioè 0,000549 u.m.a.). L’elettrone è quindi una particel-
la leggerissima, molto piú leggera dell’atomo.
La carica dell’elettrone è la carica elementare, cioè è la minima quantità di carica elettrica esisten-
te. Per questo motivo la si sceglie spesso come unità di misura per la carica elettrica delle particelle
che costituiscono la materia. Ad esempio, dire che una particella ha carica +2e significa dire che
quella particella ha una carica elettrica di segno positivo, il cui valore assoluto è doppio del valore
assoluto della carica dell’elettrone. In molti casi la e viene omessa, e si indica soltanto il numero che
esprime la misura della carica in termini di e. Quando si usa questa convenzione, la carica elettrica
delle particelle viene espressa soltanto da un numero preceduto da un segno. Ad esempio, la carica
dell’elettrone viene espressa come –1.

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


Scoperta dell’esistenza di particelle piú piccole dell’atomo
4 139

a) La figura a lato mostra uno schema dell’appa-


recchio utilizzato.
olio Delle goccioline minutissime di olio vengono ne-
poste a una distanza d

nebulizzato bulizzate al di sopra della fessura della piastra


piastre metalliche

metallica superiore.
L’aria fra le due piastre viene sottoposta al-
raggi X l’azione dei raggi X. I raggi strappano uno o piú
elettroni a diverse molecole di aria, facendole di-
ventare positive (ioni positivi). Di conseguenza,
l’aria fra le due piastre contiene sia ioni positivi
che elettroni liberi.

b) Le goccioline di olio si muovono verso il basso per via della forza di gravità.
Si sceglie di osservare una gocciolina alla volta. Si determina la velocità (v1) con cui la goc-
ciolina cade. In base alla velocità, e tenendo conto anche della resistenza dell’aria, si calco-
la la massa (m) della gocciolina.

c) Quando le goccioline passano nella zona fra le due piastre,


qualcuno degli ioni positivi o degli elettroni liberi si attacca ad es-
se, rendendole elettricamente cariche.
Il valore della carica dipende dal numero di elettroni o di ioni che si
sono uniti alla gocciolina. Ad esempio, alla gocciolina evidenziata
nella figura a lato si uniscono tre elettroni; essa si trova quindi ad
avere una carica pari a tre volte la carica dell’elettrone.
Fino a che le piastre metalliche non sono cariche, le goccioline,
= molecole neutre di aria
pur avendo acquistato delle cariche elettriche, proseguono nel lo-
= ioni positivi
= elettroni liberi
ro moto verso il basso.

+ d) Si applica una differenza di potenziale elettrico (V) fra le due


piastre metalliche. La piastra superiore viene caricata positiva-
mente, e quella inferiore negativamente.
_ La gocciolina negativa, attratta dalla piastra superiore e respinta
(1)
da quella inferiore, smette di scendere verso il basso. Si può varia-
re la differenza di potenziale fino a che bilanci esattamente l’effet-
to della forza di gravità, e allora la gocciolina rimane ferma fra le
+ due piastre (1), oppure fare in modo che superi l’azione della for-
za di gravità, e allora la gocciolina sale verso l’alto con una veloci-
tà v2 (2). Questa velocità può essere misurata, e da essa si può ri-
_ salire al valore q della carica della gocciolina:
(2)
q =
d·m
V ( 1 + vv )
2
1

Millikan studiò in questo modo un numero enorme di goccioline, e determinò le loro cariche. Trovò
che la carica piú piccola era di 1,60 · 10–19 coulomb, e tutte le altre cariche erano multiple di questa
secondo numeri interi (cioè erano il doppio di questo valore, o il triplo, o il quadruplo, etc.). Conclu-
se che 1,60 · 10–19 coulomb era la carica di una gocciolina a cui si era unito un solo elettrone e, quin-
di, era la carica dell’elettrone.

FIG. IV.3. L’esperienza di Millikan per la determinazione della carica dell’elettrone.

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


140 4 L’atomo

La parte fondamentale del televisore è un tubo a raggi catodi- fascio di elettroni (raggi catodici). Gli impulsi che arrivano dal-
ci. Il tubo, ristretto nella parte iniziale (catodo), si allarga poi la stazione trasmittente (in forma di onde elettromagnetiche)
fino a comprendere tutto lo schermo. Lo schermo è rivestito vengono trasformati in segnali elettrici. Questi segnali fanno
all’interno di solfuro di zinco, una sostanza che dà un segnale muovere rapidamente il fascio di elettroni, che cosí colpisce i
luminoso quando viene colpita da un fascio di elettroni. diversi punti dello schermo in modo opportuno, dando origine
Quando si accende il televisore, il catodo emette appunto un alle immagini.

4.2.2. La radioattività
Esistono in natura alcuni elementi che emettono spontaneamente radiazioni e si trasformano in al-
tri elementi. Il fenomeno fu scoperto verso la fine del secolo XIX.
Nel 1897 il fisico H. Becquerel scoprí che i minerali di uranio erano capaci di impressionare una la-
stra fotografica: questo indicava che l’uranio emette radiazioni alle quali una lastra è sensibile3.
Qualche anno dopo i coniugi Pierre e Marie Curie isolarono da un minerale di uranio (la pechblen-
da) un nuovo elemento, che chiamarono radio, e che emetteva radiazioni molto piú intense di quel-
le dell’uranio.
Gli esperimenti mostrarono che le radiazioni emesse dalle sostanze radioattive sono di tre tipi. Nel
1899 E. Rutherford identificò due di esse, e poco dopo venne identificata anche la terza.
Distinguerle è facile: basta far passare un fascio di radiazioni attraverso un forte campo magnetico.
Il campo agisce in modo diverso sui diversi tipi di raggi. Due di essi vengono deviati dal campo, ma
in direzioni opposte, il che indica che sono costituiti da particelle dotate di carica elettrica opposta.
Il terzo tipo non subisce alcuna deviazione, e ciò indica che non è associato alla presenza di cariche
elettriche. Una cosa analoga avviene se si fa passare la radiazione attraverso due piastre cariche elet-
tricamente con segno opposto (fig. IV.4.).
I tre tipi di radiazione vennero indicati con le prime tre lettere dell’alfabeto greco, e sono:
• raggi α (alfa), costituiti da particelle aventi carica positiva +2 e massa di 4 u.m.a.;
• raggi β (beta), costituiti da particelle con carica negativa –1 e massa di 1/1823 u.m.a. Queste par-
ticelle sono elettroni, cioè sono le stesse particelle che costituiscono i raggi catodici;
• raggi γ (gamma), che sono onde elettromagnetiche, cioè onde della stessa natura della luce, ma hanno
lunghezza d’onda molto piú piccola e, quindi, frequenza ed energia molto piú alte di quelle della luce.

3. Le pellicole e le lastre fotografiche vengono «impressionate» dal- esposte alla luce subiscono dei processi per cui cambiano di aspet-
la luce o da radiazioni dello stesso tipo della luce: quando vengono to (si anneriscono, etc.).

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


I primi modelli atomici
4 141

schermo rivelatore
γ
β α
+ _ Per stabilire da che cosa è costituito un fascio di radiazioni, emesso da una
sostanza radioattiva, lo si fa passare fra due piastre elettricamente cariche.
Se è costituito da particelle α, devia verso la piastra negativa; se è costituito
da particelle β, devia verso la piastra positiva, mentre i raggi γ, che non han-
no carica elettrica, non vengono deviati.

FIG. IV.4. Comportamento dei tre tipi principali di radiazione emessi dalle sostan-
ze radioattive.

4.2.3. Le implicazioni di queste scoperte


Queste scoperte cambiarono radicalmente l’immagine dell’atomo, perché:
• il fatto che esistessero particelle piú piccole dell’atomo dimostrava che l’atomo non è il piú picco-
lo costituente della materia;
• il fatto che alcuni atomi potessero emettere particelle indicava molto chiaramente che gli atomi
contengono particelle piú piccole al loro interno e, quindi, hanno una struttura complessa;
• il fatto che le particelle emesse fossero dotate di carica elettrica indicava chiaramente che l’elet-
tricità è una caratteristica della materia, presente nei suoi costituenti piú piccoli.
Inoltre, siccome l’atomo è normalmente neutro, diventava evidente che, all’interno dell’atomo, le
cariche positive e quelle negative devono bilanciarsi, cioè il numero totale di cariche positive deve
essere uguale al numero totale di cariche negative.

4.3. I primi modelli atomici


Una volta stabilito che l’atomo è costituito da particelle piú piccole, si presentava subito un altro pro-
blema: quello di comprendere come queste particelle sono «organizzate» all’interno dell’atomo. All’ini-
zio del XX secolo furono proposti due modelli diversi, uno da J.J. Thomson e l’altro da E. Rutherford.

4.3.1. Il modello atomico di Thomson


Thomson ipotizzò che l’atomo avesse una struttura omogenea, con la massa e la carica positiva di-
stribuite omogeneamente in tutto lo spazio dell’atomo, e gli elettroni inseriti all’interno come parti-
celle individuali distribuite in modo uniforme (fig. IV.5.).
Il modello era compatibile con i calcoli teorici; per ritenerlo valido sarebbe stata però necessaria una
conferma sperimentale.

4.3.2. Il modello atomico di Rutherford


Secondo il modello di Rutherford, la massa e la carica positiva sono concentrate in una parte molto
piccola dell’atomo, chiamata nucleo, e gli elettroni si trovano nella zona periferica, a grande distan-
za del nucleo.
Questa ipotesi nasceva da un’importante esperienza, effettuata da due allievi di Rutherford. Essi

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


142 4 L’atomo

Secondo l’ipotesi di Thomson, l’atomo era una sfera omogenea avente densità
uniforme. La carica positiva era uniformemente distribuita in associazione alla
massa (cioè, non come particelle individuali dotate di carica positiva, ma come
una carica diffusa). La figura rappresenta questa distribuzione uniforme della
carica positiva tramite i segni +.
Gli elettroni erano inseriti all’interno di questa sfera come particelle individuali
dotate di carica negativa, in numero tale da bilanciare la carica positiva totale.
Sono rappresentati dai puntini rossi nella figura.

FIG. IV.5. Modello atomico di Thomson.

avevano bombardato una lamina sottilissima di metallo con particelle α veloci. Uno schermo rivelato-
re indicava i punti di arrivo delle particelle α, permettendo quindi di stabilirne la traiettoria dopo il
passaggio attraverso la lamina (fig. IV.6.).
Se fosse stato valido il modello di Thomson, cioè se l’atomo avesse avuto una struttura omogenea, le
particelle α avrebbero dovuto comportarsi tutte nello stesso modo, perché in qualunque punto aves-
sero colpito la lamina metallica avrebbero trovato situazioni equivalenti.
In realtà, le particelle α si comportarono in modo diverso. Per la maggior parte passarono senza su-
bire deviazioni, ma alcune vennero deviate secondo vari angoli, e alcune addirittura respinte (veni-
va deviata circa una particella su 8000). Questo comportamento spinse Rutherford a proporre il suo
modello, l’unico in grado di spiegarlo.
Le particelle che non venivano deviate erano quelle che passavano abbastanza distanti dai nuclei.
Quelle che si avvicinavano ai nuclei venivano deviate per effetto della repulsione elettrica, visto che
sia le particelle che i nuclei sono positivi; tanto piú si avvicinavano ai nuclei, tanto piú fortemente
venivano deviate. Quelle che «viaggiavano» direttamente verso i nuclei venivano respinte (fig. IV.7.).
Queste ultime erano poche, e ciò mostrava che la probabilità che una particella si dirigesse proprio
contro un nucleo era bassa. Ciò porta a concludere che il nucleo occupa una parte molto piccola ri-
spetto allo spazio complessivamente occupato da un atomo.

Il modello di Rutherford, nato dall’esperienza, si proponeva come quello valido: massa e carica posi-
tiva sono concentrate in una parte molto piccola dell’atomo; gli elettroni sono distribuiti tutt’intorno
e occupano tutto il resto dell’atomo.

raggi di particelle α deviate


schermo fluorescente che
permette di rilevare le
particelle α che arrivano

raggio di particelle α
non deviate

sostanza radioattiva usata


come sorgente di particelle
α (è racchiusa in un conte-
nitore di piombo, con un
foro che lascia uscire un fa- lamina di metallo,
scio di particelle) molto sottile

FIG. IV.6. Illustrazione schematica dell’esperienza di Rutherford.

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


Alcuni dati sugli atomi
4 143

Un fascio di particelle è costituito da tante


particelle che percorrono traiettorie paralle-
le molto vicine. Quando colpiscono la lami-
na, le particelle passano indisturbate se si
trovano a passare abbastanza lontano dai
nuclei. Se invece passano vicino ai nuclei,
vengono deviate. Quelle che si dirigono di-
rettamente verso i nuclei vengono respinte.

FIG. IV.7. Esperienza di Rutherford. Compor-


tamento delle particelle α quando attraversano
la lamina metallica.

Il rapporto fra le dimensioni del nucleo e quelle dell’atomo è di circa 1 : 100000. Questo significa che
se, ad esempio, decidessimo di rappresentare il nucleo con una sferetta di un millimetro di diame-
tro, il diametro dell’atomo dovrebbe essere di 100 metri per rispettare le proporzioni.

4.3.3. Il protone
Una volta appurato che la carica positiva è concentrata nel nucleo, restava da vedere se esistevano
particelle dotate di una carica positiva minima (cosí come l’elettrone è dotato di una carica negativa
minima).
L’atomo è neutro, perché contiene cariche positive e cariche negative in numero uguale. Però gli
elettroni, responsabili delle cariche negative, si trovano alla periferia dell’atomo, e possono esserne
strappati (ad esempio, a mezzo di radiazioni). Quando questo avviene, le cariche positive non sono
piú bilanciate esattamente da quelle negative; l’atomo allora non è piú elettricamente neutro, ma ha
carica positiva: si dice che è uno ione positivo4.
Gli scienziati determinarono sperimentalmente la massa e la carica di vari ioni positivi. Trovarono
che la carica positiva piú piccola è quella che ha lo stesso valore assoluto della carica dell’elettrone,
ma segno opposto: è cioè una carica +1, se si sceglie come unità la carica dell’elettrone.
Fra gli ioni con carica +1, quello avente massa piú piccola era quello ottenuto dall’atomo di idroge-
no, con massa di 1 u.m.a. (tab. IV.1.). Questo ione è quindi la piú piccola particella dotata di carica
positiva. Venne chiamato protone.

4.4. Alcuni dati sugli atomi


A questo punto siamo già in grado di fornire un primo schema della struttura fondamentale dell’ato-
mo, e di definire alcune grandezze che lo caratterizzano.

4.4.1. La struttura dell’atomo


L’atomo è costituito da un nucleo, nel quale sono concentrate la massa e la carica positiva, e dagli
elettroni, che si trovano intorno al nucleo e occupano la quasi totalità del volume dell’atomo.

4. La formazione degli ioni positivi degli atomi verrà spiegata dettagliatamente nel paragrafo 5.3.3.

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


144 4 L’atomo

atomo di partenza ioni positivi ottenibili


idrogeno ione con carica +1 e massa 1 u.m.a.
elio ione con carica +1 e massa 4 u.m.a.
ione con carica +2 e massa 4 u.m.a.
litio ione con carica +1 e massa 7 u.m.a.
ione con carica +2 e massa 7 u.m.a.
ione con carica +3 e massa 7 u.m.a.

TAB. IV.1. Alcuni degli ioni positivi piú leggeri.


La carica degli ioni è espressa considerando come unità di carica la carica dell’elettrone.
Come si vede, lo ione ottenuto dall’atomo di idrogeno è quello che ha massa minore. La sua carica ha lo stesso valore di quel-
la dell’elettrone, ma segno opposto. È la piú piccola particella dotata di carica positiva fra quelle che costituiscono l’atomo5.

Il nucleo è a sua volta costituito da particelle piú piccole: i protoni, con carica positiva +1 e massa di
1 u.m.a., e i neutroni6, elettricamente neutri (cioè non dotati di carica) e aventi massa di 1 u.m.a.
(tab. IV.2.).
Protoni, neutroni ed elettroni sono stati a lungo considerati particelle elementari, cioè particelle indivi-
sibili e semplici (non costituite a loro volta da altre particelle). Piú recentemente i fisici hanno scoperto
che neutroni e protoni sono a loro volta costituiti da quarks, particelle elementari che non possono mai
essere isolate singolarmente. Per quanto riguarda le caratteristiche dell’atomo che interessano il chimi-
co, non è comunque necessario prendere in considerazione questa loro struttura complessa.

4.4.2. Il numero atomico


4.4.2.1. La definizione
Il numero atomico è il numero di protoni presenti nel nucleo di un atomo.
Viene generalmente indicato con la lettera Z.
Nell’atomo neutro, il numero di cariche negative presenti è uguale al numero di cariche positive.
Quindi il numero di elettroni è uguale al numero di protoni.

particelle carica massa


in unità di e in u.m.a.
protoni +1 1
nucleo ( )
neutroni 0 1
atomo
elettroni ( ) –1 1/1823

TAB. IV.2. Struttura dell’atomo. Lo schema fondamentale.

5. Esistono particelle piú piccole dotate di carica positiva +1 (ad non sono fra i costituenti dell’atomo.
esempio, il positrone), ma si generano in condizioni particolari, 6. Il neutrone fu scoperto dal fisico inglese J. Chadwick nel 1932.

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


Alcuni dati sugli atomi
4 145

4.4.2.2. La carica nucleare


La carica nucleare è la carica elettrica complessiva del nucleo dell’atomo. È dovuta ai protoni.
Poiché ogni protone ha carica +1, la carica del nucleo è +Z. Questi valori di carica sono ovviamente
riferiti alla carica elementare e. Quindi la carica di un nucleo ha il valore +Ze.

La carica nucleare può essere misurata con esperimenti analoghi a quello di Rutherford.
La deviazione che le particelle α subiscono, quando attraversano la lamina metallica, dipende in-
fatti anche dalla carica dei nuclei degli atomi che costituiscono la lamina: maggiore è la carica del
nucleo, maggiore è la forza con cui il nucleo respinge le particelle α e, quindi, maggiore è la devia-
zione subita dalle particelle stesse. L’esame dell’entità delle deviazioni permette di risalire alla ca-
rica del nucleo.

4.4.2.3. La caratterizzazione degli elementi


Il numero di protoni presenti nel nucleo è ciò che rende gli elementi diversi l’uno dall’altro. Il nu-
mero atomico, quindi, è caratteristico per ogni elemento.
La tabella IV.3. riporta un semplice elenco degli elementi in ordine di numero atomico crescente.
Nel capitolo 5 vedremo un’organizzazione razionale degli elementi, sempre in ordine di numero ato-
mico crescente, ma molto piú significativa e informativa per il chimico.

Quando si vuole indicare il numero atomico di un elemento, è uso scriverlo in basso a sinistra del
simbolo dell’elemento:
1H 11Na 20Ca 47Ag

4.4.3. Il numero di massa


Il numero di massa è la somma del numero di protoni e del numero di neutroni.
Come si deduce facilmente dai valori della massa delle particelle, protoni e neutroni sono i prin-
cipali responsabili della massa di un atomo (al loro confronto, la massa degli elettroni è pratica-
mente trascurabile). Per questo motivo, il numero che esprime la loro somma è associato al con-
cetto di massa.

Quando si conoscono il numero atomico e il numero di massa di un elemento, è facile calcolare il


numero di protoni, neutroni ed elettroni presenti nell’atomo di quell’elemento. Infatti:
numero di protoni = numero atomico
numero di neutroni = numero di massa – numero atomico
numero di elettroni = numero atomico (se l’atomo è neutro)

Quanti protoni, neutroni ed elettroni sono presenti nell’atomo di sodio (Z = 11, numero di massa = 23)?
numero di protoni = 11
numero di neutroni = 23 – 11 = 12
numero di elettroni = 11

Quando si vuole indicare il numero di massa di un elemento, è uso scriverlo in alto a sinistra ri-
spetto al simbolo dell’elemento. Cosí, ad esempio, la scrittura 23Na ci informa che il numero di
23Na ci informa che il numero atomico del sodio è 11 e il suo nu-
massa del sodio è 23, la scrittura 11
mero di massa è 23.

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


146 4 L’atomo

numero atomico simbolo nome dell’elemento numero atomico simbolo nome dell’elemento
1 H idrogeno 55 Cs cesio
2 He elio 56 Ba bario
3 Li litio 57 La lantanio
4 Be berillio 58 Ce cerio
5 B boro 59 Pr praseodimio
6 C carbonio 60 Nd neodimio
7 N azoto 61 Pm prometio
8 O ossigeno 62 Sm samario
9 F fluoro 63 Eu europio
10 Ne neon 64 Gd gadolinio
11 Na sodio 65 Tb terbio
12 Mg magnesio 66 Dy disprosio
13 Al alluminio 67 Ho olmio
14 Si silicio 68 Er erbio
15 P fosforo 69 Tm tullio
16 S zolfo 70 Yb itterbio
17 Cl cloro 71 Lu lutezio
18 Ar argon 72 Hf afnio
19 K potassio 73 Ta tantalio
20 Ca calcio 74 W wolframio
21 Sc scandio 75 Re renio
22 Ti titanio 76 Os osmio
23 V vanadio 77 Ir iridio
24 Cr cromo 78 Pt platino
25 Mn manganese 79 Au oro
26 Fe ferro 80 Hg mercurio
27 Co cobalto 81 Tl tallio
28 Ni nichel 82 Pb piombo
29 Cu rame 83 Bi bismuto
30 Zn zinco 84 Po polonio
31 Ga gallio 85 At astato
32 Ge germanio 86 Rn radon
33 As arsenico 87 Fr francio
34 Se selenio 88 Ra radio
35 Br bromo 89 Ac attinio
36 Kr kripton 90 Th torio
37 Rb rubidio 91 Pa protoattinio
38 Sr stronzio 92 U uranio
39 Y ittrio 93 Np nettunio
40 Zr zirconio 94 Pu plutonio
41 Nb niobio 95 Am americio
42 Mo molibdeno 96 Cm curio
43 Tc tecnezio 97 Bk berchelio
44 Ru rutenio 98 Cf californio
45 Rh rodio 99 Es einsteinio
46 Pd palladio 100 Fm fermio
47 Ag argento 101 Md mendelevio
48 Cd cadmio 102 No nobelio
49 In indio 103 Lr laurenzio
50 Sn stagno 104 Ku kurciatovio
51 Sb antimonio 105 Ha hahnio
52 Te tellurio
53 I iodio TAB. IV.3. Gli elementi in ordine di numero atomico
54 Xe xenon crescente.

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


Alcuni dati sugli atomi
4 147

4.4.4. Gli isotopi


4.4.4.1. Isotopi di un elemento
Esistono atomi che hanno lo stesso numero di protoni e diverso numero di neutroni. Avendo lo stes-
so numero di protoni, sono atomi di uno stesso elemento e hanno lo stesso numero atomico.
Il diverso numero di neutroni fa sí che sia diverso il numero di massa. Atomi di questo tipo vengono
chiamati isotopi del dato elemento.
Gli isotopi di uno stesso elemento hanno le stesse proprietà chimiche.
Alcuni elementi, come il berillio, il fluoro, il sodio, non presentano varietà di isotopi in natura, e i lo-
ro atomi hanno tutti la stessa massa. Altri elementi presentano invece due o piú isotopi naturali.
Inoltre, molti isotopi sono stati creati artificialmente in laboratorio.
L’idrogeno, ad esempio, ha tre isotopi (fig. IV.8.):
• idrogeno (H), con 1 protone nel nucleo e nessun neutrone (Z = 1, numero di massa = 1);
• deuterio (D), con 1 protone e 1 neutrone nel nucleo (Z = 1, numero di massa = 2);
• tritio (T), con 1 protone e 2 neutroni nel nucleo (Z = 1, numero di massa = 3).

Quando esistono due o piú isotopi naturali di un dato elemento, quell’elemento è sempre presente
come miscela dei suoi isotopi. La composizione della miscela è costante in natura, cioè le percen-
tuali dei vari isotopi che la costituiscono sono sempre le stesse.
Per alcuni elementi, la percentuale di uno degli isotopi è molto alta, e le percentuali degli altri sono
molto basse. Nel caso dell’idrogeno, ad esempio, il primo isotopo (H) è di gran lunga il piú diffuso,
costituendo il 99,9844% di tutto l’idrogeno esistente; il deuterio è presente soltanto per lo 0,0156%;
il tritio non è praticamente presente in natura, ma è stato creato artificialmente in laboratorio, ed è
radioattivo. (Sembra che sulla Terra esista un solo atomo di tritio su ogni 1017 atomi di idrogeno,
mentre la percentuale è piú alta nelle stelle).
Per altri elementi due o piú isotopi sono presenti in percentuali considerevoli, come nel caso del
cloro, dove l’isotopo con numero di massa 35 è presente per il 75,4% e l’isotopo con numero di
massa 37 per il 24,6%.

4.4.4.2. Isotopi e massa atomica di un elemento


Quando si determina sperimentalmente la massa atomica di un elemento, non si separano i vari
isotopi. Il valore che si ottiene nasce quindi dal contributo di tutti gli isotopi di quell’elemento

Nell’isotopo piú comune Nel deuterio (D) il nucleo è Nel tritio (T) il nucleo è costi-
(H) il nucleo è costituito costituito da un protone ( ) tuito da un protone e due neu-
da un solo protone ( ). e un neutrone ( ). troni.
La massa atomica di que- La massa atomica di questo La massa atomica di questo
sto isotopo è 1 u.m.a. isotopo è 2 u.m.a. isotopo è 3 u.m.a.

FIG. IV.8. Modelli schematici degli atomi dei tre isotopi dell’idrogeno.
Il puntino nero (•) rappresenta l’elettrone.

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


148 4 L’atomo

presenti in natura: è cioè un valore medio a cui ogni isotopo contribuisce a seconda della percentuale
con cui è presente (maggiore è la percentuale, maggiore è il contributo dell’isotopo corrispondente).

Se si conoscono le masse e le percentuali degli isotopi naturali di un dato elemento, è possibile cal-
colare la massa atomica media di quell’elemento mediante l’equazione della media pesata. Questo è
un tipo di media7 che tiene conto del fatto che i singoli contributi non hanno tutti la stessa impor-
tanza. Per calcolarla, si moltiplica il numero di massa di ciascun isotopo per il corrispondente valo-
re di percentuale, si sommano tutti i termini cosí ottenuti e si divide la somma per 100. In tal modo,
il contributo di un isotopo presente in percentuale maggiore ha piú «peso» del contributo di un iso-
topo presente in percentuale minore.
Consideriamo come esempio il caso del cloro, con i suoi due isotopi 35Cl e 37Cl, aventi rispettiva-
mente massa atomica 34,9689 u.m.a. e 36,9670 u.m.a., e presenti rispettivamente per il 75,77% e il
24,23%. L’espressione per il calcolo della media pesata è la seguente:

massa
atomica =
(dell’isotopo
massa
35
×
percentuale
dell’isotopo 35 ) + (dell’isotopo
massa
37
×
percentuale
dell’isotopo 37 )
media 100
Sostituendo i valori numerici si ottiene:
massa
atomica = (34,9689 u.m.a) . 75,77 + (36,9670 u.m.a.) . 24,23
= 35,453 u.m.a
media 100

Questo è lo stesso valore che si ottiene quando si determina sperimentalmente la massa atomica del
cloro.
Per determinare le masse atomiche dei singoli isotopi di un elemento si usa uno strumento chiama-
to spettrometro di massa; lo descriveremo nel paragrafo 7.9.

4.5. L’atomo di Bohr


4.5.1. Problemi posti dal modello atomico di Rutherford
Dalla «fioritura» dell’interesse per le scienze che scaturisce dal Rinascimento e fino al momento in
cui Rutherford propose il suo modello di atomo, la fisica si era sviluppata senza incontrare grosse
crisi. Galileo e Newton avevano posto le basi della meccanica, descrivendo il moto dei corpi e le leg-
gi che lo governano. Altri fisici avevano studiato i fenomeni elettrici e magnetici e formulato le leggi
che li descrivono. Nel suo complesso, la fisica si presentava come un insieme di conoscenze che gli
esperimenti continuavano a confermare.
Tali leggi sono tuttora considerate valide per la descrizione dei fenomeni e degli oggetti del «mondo
macroscopico». A questa parte della fisica si dà oggi il nome di fisica classica.
Il comportamento delle particelle del mondo microscopico (l’atomo e i suoi costituenti) non risulta-
va però in accordo con le leggi della fisica classica.
Secondo queste leggi l’atomo, cosí come lo aveva ipotizzato Rutherford, non sarebbe potuto esistere.
Infatti, il nucleo e gli elettroni hanno carica di segno opposto, e particelle con carica di segno opposto
si attirano. L’attrazione dovrebbe portare le particelle a muoversi l’una verso l’altra fino a incontrarsi.
Se una delle due particelle ruota intorno all’altra, come fa l’elettrone intorno al nucleo, l’effetto

7. Vedi la voce Media in Appendice I.

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


L’atomo di Bohr
4 149

combinato del moto e dell’attrazione elettrica le farebbe descrivere una traiettoria a spirale con cui
si avvicinerebbe sempre piú all’altra particella, fino a cadervi sopra. Man mano che la particella si av-
vicina a quella intorno a cui ruota, la sua energia diminuisce8 e, quindi, la particella dovrebbe emet-
tere energia9 in modo continuo per tutta la durata del suo moto verso l’altra (fig. IV.9.).
In altre parole, secondo le leggi della fisica classica, gli elettroni dovrebbero andare tutti a cadere sul nu-
cleo. Questo però non avviene: gli atomi esistono, con i loro elettroni ben distinti e distanti dal nucleo.
Restava soltanto da concludere che per descrivere il comportamento degli elettroni era necessario
costruire un nuovo modello, una nuova fisica.

4.5.2. Il problema degli spettri


In particolari condizioni, gli atomi possono emettere energia sotto forma di radiazione elettroma-
gnetica10.
Atomi di elementi diversi emettono radiazioni diverse, cioè radiazioni aventi diversi valori di lun-
ghezza d’onda, frequenza, energia.
L’insieme delle radiazioni emesse dagli atomi di un elemento viene chiamato spettro di emissione di
quell’elemento. La figura IV.10. mostra la tecnica con cui si ottengono gli spettri atomici di emissio-
ne (spesso chiamati semplicemente spettri atomici).
Gli spettri atomici hanno una caratteristica particolare: essi non sono continui, ma discreti, cioè
non presentano un passaggio graduale attraverso i vari valori di energia (o di frequenza), ma delle ri-
ghe nette, corrispondenti a ben definiti valori di energia (fig. IV.11.). Ciò significa che un atomo può
emettere soltanto radiazioni con valori di energia specifici e suoi caratteristici.
Anche questo era un fenomeno che non poteva essere spiegato in base alle leggi della fisica classica,
che prevedono soltanto spettri continui (perché prevedono che l’energia venga emessa o assorbita sen-
za «preferenze» per certi valori piuttosto che altri e senza «salti» nell’ambito dei valori possibili). La na-
tura degli spettri atomici veniva quindi ad essere un altro problema che richiedeva l’elaborazione di
modelli nuovi. Era evidente che gli spettri contenessero indicazioni sulla situazione energetica degli
atomi da cui si originavano, ma risultava difficile interpretare tali indicazioni.

Due particelle con carica di segno opposto si Se una delle due particelle ruota intorno al-
attirano e, quindi, si avvicinano l’una all’altra l’altra, descrive una traiettoria a spirale con
fino a incontrarsi. raggio sempre piú piccolo, fino a cadere sul-
l’altra. Durante questo moto, emette conti-
nuamente energia.

FIG. IV.9. Comportamento di particelle aventi carica elettrica di segno opposto, secondo la fisica classica.

8. L’energia dell’attrazione fra due particelle di carica opposta in qualche modo.


ha segno negativo, perché dipende dal prodotto delle cariche, 10. Si tratta di onde costituite da un campo elettrico e un campo
e il prodotto di due numeri di segno opposto è negativo. Quan- magnetico che «viaggiano» associati. Le studieremo dettagliata-
do la distanza fra le due particelle diminuisce, il valore assolu- mente nel paragrafo 7.2. Come tutte le onde, sono caratterizzate
to dell’energia aumenta, ma la presenza del segno negativo fa da una lunghezza d’onda e da una frequenza. Queste grandezze
sí che il valore dell’energia diventi minore. vengono utilizzate come criterio per la classificazione delle ra-
9. Ricordiamo che l’energia si conserva. Se l’energia di un siste- diazioni: onde radio, radiazioni infrarosse, luminose (la luce visi-
ma diminuisce, quella in piú viene emessa, cioè lascia il sistema bile), ultraviolette, raggi X, raggi γ (tab. VII.1.).

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


150 4 L’atomo

(a)
(d)

(c)
(b)

FIG. IV.10. Come si ottengono gli spettri atomici.


L’elemento di cui si vuole ottenere lo spettro viene portato allo stato gassoso, e poi si fa passare attraverso di esso una
scarica elettrica. Per effetto della scarica, alcuni atomi passano a una situazione in cui hanno energia piú alta del solito.
Subito dopo, questi atomi ritornano alla loro situazione normale, ed emettono l’energia in eccesso sotto forma di radia-
zione elettromagnetica. La radiazione emessa è in genere costituita da due o piú radiazioni di frequenza diversa, mesco-
late insieme. Per separarle, si fa passare la radiazione attraverso una fessura (b), in modo da isolarne un fascio sottile. Il
fascio, a sua volta, viene fatto passare attraverso un prisma (c), che devia radiazioni di diversa frequenza con angoli di-
versi. Dal prisma, quindi, escono diversi raggi, distinti l’uno dall’altro e con direzioni di propagazione diverse. Sul loro
cammino viene messa una lastra sensibile (d). I diversi raggi colpiscono la lastra in posizioni diverse, dando cosí origine
alle varie righe dello spettro.

a)

Quando la luce bianca viene fatta passare attraverso un prisma di vetro, essa si divide nei sette colori
che la costituiscono: rosso, arancio, giallo, verde, azzurro, indaco, violetto. L’insieme di questi colori co-
stituisce lo spettro della luce bianca. Questo è uno spettro continuo: il passaggio dall’uno all’altro
dei colori è graduale, senza interruzioni.
(Anche l’arcobaleno nasce da un fenomeno analogo: le gocce di pioggia fanno da prisma per la luce
solare e la scompongono nei suoi colori).

b) spettro dell’idrogeno

c) spettro del sodio

Gli spettri della radiazione emessa dagli atomi sono discreti (cioè, non sono continui). Sono costitui-
ti da righe separate, e l’insieme di righe è caratteristico di ogni elemento. Questo significa che l’atomo
può emettere soltanto radiazioni aventi i valori di energia corrispondenti a quelle righe.

FIG. IV.11. Confronto fra uno spettro continuo e spettri discreti (a righe).

Gli spettri avevano un’utilità immediata in quanto, essendo caratteristici di ogni elemento,
fornivano un modo per riconoscere la presenza di quell’elemento in un campione; in altre parole,
fornivano un prezioso strumento all’analisi chimica11. Fisici e chimici lavorarono intensamente
per determinare tutte le righe dello spettro dei vari elementi. Gli spettri di molti elementi hanno
righe o serie di righe in regioni di frequenze notevolmente distanti le une dalle altre. Ad esempio,

11. Studieremo questo aspetto piú in dettaglio nel paragrafo 7.4.

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


L’atomo di Bohr
4 151

lo spettro dell’atomo di idrogeno (che fu lo spettro studiato piú a fondo) comprende cinque serie
di righe, che vengono indicate con i nomi degli scienziati che le hanno scoperte: la serie di Lyman
nella regione dell’ultravioletto, la serie di Balmer nella regione del visibile, la serie di Paschen nel-
la regione dell’infrarosso, e le serie di Brackett e di Pfund in una zona di infrarosso con frequenze
minori. Le prime tre di queste serie sono presentate nella figura IV.12.
Oltre a individuare la serie di righe degli spettri dei vari elementi, i fisici cercarono di individuare
possibili regolarità e trovare relazioni matematiche che le esprimessero. Rydberg trovò una relazio-
ne che permetteva di calcolare il numero d’onda
delle righe dello spettro dell’atomo di idrogeno.
Il numero d’onda (¯ν̄) è il reciproco della lun- serie valore valori che può
ghezza d’onda12 (λ) cioè ¯ν̄ = 1/λ. L’equazione di di n2 assumere n1
Rydberg ha la forma Lyman 1 2, 3, 4, 5, ...
¯ν̄ = RH
(
1
n22
– 2
1
n1 ) [4.1] Balmer
Paschen
2
3
3, 4, 5, 6, ...
4, 5, 6, 7, ...
dove n2 e n1 sono dei numeri interi e positivi e Brackett 4 5, 6, 7, 8, ...
RH è una costante, chiamata costante di Ryd-
Pfund 5 6, 7, 8, 9, ...
berg e avente il valore di 109678 cm–1. Ogni
serie corrisponde a un unico valore di n2, men- TAB. IV.4. Valori dei numeri n2 e n1, presenti nel-
tre n1 può assumere valori a partire da quello l’equazione di Rydberg, per le varie serie dello
immediatamente successivo al valore di n2 spettro dell’atomo di idrogeno.
(cioè n1 = n2 + 1, n2 + 2, n2 + 3, ...; tab. IV.4.).
L’equazione di Rydberg era un’equazione empirica, cioè collegava dati sperimentali, senza che per il
momento ne esistesse una spiegazione teorica; la spiegazione teorica sarebbe potuta venire solo da
un nuovo modello di atomo.

4.5.3. Il modello atomico di Bohr


4.5.3.1. Le ipotesi del modello
Un nuovo modello di atomo, che per certi aspetti andava oltre i confini della fisica classica, fu pro-
posto da Niels Bohr nel 1913.
Alcuni anni prima Max Planck aveva introdotto un concetto che non faceva parte della fisica classica,

ULTRAVIOLETTO VISIBILE INFRAROSSO

ν (cm-1) 100000 80000 60000 40000 20000

serie di Lyman serie di serie di


Balmer Paschen
FIG. IV.12. Le prime tre serie dello spettro dell’atomo di idrogeno.
Ogni serie è costituita da diverse linee. Man mano che ci si sposta verso valori di frequenza piú alti (cioè da destra
verso sinistra nella figura) le linee di una serie si fanno sempre piú vicine, finché non è piú possibile distinguerle l’una
dall’altra.

12. Vedi la voce Onde in Appendice I.

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


152 4 L’atomo

quello di quantizzazione. La quantizzazione implica restrizioni nei valori possibili per una grandezza:
se una grandezza è quantizzata, può assumere soltanto certi valori (valori permessi13), ma non può
assumere valori intermedi fra quelli permessi.
Planck era ricorso alla quantizzazione per spiegare un altro fenomeno che aveva costituito un rompi-
capo per i fisici: la radiazione del corpo nero14. Bohr pensò che una ipotesi analoga potesse per-
mettere di spiegare i fenomeni che riguardano gli atomi.
Il modello di Bohr comprende alcune ipotesi fondamentali. Conviene considerarle in dettaglio.
Prima ipotesi: nell’atomo gli elettroni ruotano intorno al nucleo in orbite circolari.
Seconda ipotesi: il momento angolare15 degli elettroni è quantizzato. Esso può assumere soltanto i
valori dati dalla relazione
me v r = n h [4.2]

dove: me è la massa dell’elettrone
v è la velocità dell’elettrone
r è il raggio dell’orbita su cui si muove l’elettrone
m v r è il momento angolare dell’elettrone
h è una costante universale, chiamata costante di Planck. Vale 6,624 · 10–34 J s–1
n è un numero naturale, cioè è un numero intero positivo. Viene chiamato numero quantico.
L’equazione [4.2] ci mostra la natura matematica della quantizzazione. La quantizzazione nasce dal
fatto che a destra compare un numero naturale. Infatti, i numeri naturali (e, piú in generale, i nu-
meri interi) sono discreti per loro natura. Per vederlo, basta rappresentarli su una semiretta; si ot-
tengono dei punti separati l’uno dall’altro, e non è possibile inserire altri numeri naturali in posizio-
ni intermedie:
0 1 2 3 4 5 6

Il fatto che i valori del momento angolare dipendano dal numero naturale n fa sí che soltanto certi
valori risultino possibili e, quindi, dà origine alla quantizzazione.
Terza ipotesi: finché un elettrone rimane nella sua orbita, non emette e non assorbe energia.

4.5.3.2. Il raggio delle orbite


Dopo avere introdotto queste ipotesi, Bohr studia la situazione dell’elettrone utilizzando le leggi del-
la fisica classica. L’elettrone è soggetto alla forza di attrazione elettrostatica del nucleo. Questa forza
fa sí che l’elettrone resti intorno al nucleo e, pertanto, svolge il ruolo di forza centripeta. È quindi
possibile scrivere un’uguaglianza fra l’espressione della forza di attrazione elettrostatica e quella del-
la forza centripeta.

13. Spesso appare difficile accettare che per una grandezza esi- corrispondenti che non pensiamo di analizzarle in questi termi-
stano valori permessi e valori non permessi, impossibili. Eppure, ni. Consideriamo, ad esempio, la distanza rispetto al suolo di una
anche nel mondo macroscopico si possono trovare esempi di va- persona che stia in piedi, a piedi uniti, su una scala. Questa di-
lori non permessi; soltanto, siamo cosí abituati alle situazioni stanza può assumere soltanto i valori corrispondenti alle situa-
zioni per cui la persona poggia i due piedi su un gradino. Non so-
posizioni «permesse» posizioni «non permesse»
su una scala e corrispondenti su una scala e corrispondenti no possibili le posizioni intermedie e, quindi, non sono possibili
distanze «permesse» distanze «non permesse» le distanze intermedie dal suolo.
14. Il corpo nero è un oggetto capace di assorbire o di emettere
qualsiasi radiazione senza preferenze. Per molto tempo i fisici
non erano riusciti a trovare delle relazioni matematiche che spie-
gassero i dati sperimentali riguardanti la radiazione emessa dal
corpo nero. Il problema fu risolto da Planck appunto con l’ipotesi
di quantizzazione dell’energia.
15. Il momento angolare di un oggetto che ruota è il prodotto del-
la sua massa per la velocità e per la distanza dell’oggetto dal cen-
tro di rotazione. Il momento angolare dell’elettrone nell’atomo è
quindi il prodotto della massa dell’elettrone (me) per la velocità
(v) per il raggio (r) dell’orbita su cui ruota.

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


L’atomo di Bohr
4 153

Semplici passaggi matematici, che coinvolgono anche l’equazione [4.2], permettono di trovare
un’espressione per il raggio delle orbite su cui ruotano gli elettroni:
n2
r = a0 [4.3]
Z
dove: r è il raggio dell’orbita
n è il numero quantico, e caratterizza l’orbita stessa
Z è il numero atomico dell’elemento considerato
a0 è una costante che vale 5,292 · 10–11 m, e viene chiamata raggio di Bohr.
Il fatto che in questa espressione compaia il nu-
n=5
mero quantico n significa che anche i raggi delle
orbite possono assumere soltanto certi valori, e
non valori intermedi fra quelli permessi. n=4

Il valore del raggio aumenta al crescere di n. n=3


L’orbita piú vicina al nucleo è quella corrispon-
dente al minimo valore di n, cioè a n = 1. Piú al- n=2
n=1
to è il valore di n, piú l’orbita corrispondente è
distante dal nucleo.
L’elettrone non può avvicinarsi al nucleo oltre la
distanza corrispondente a n=1 e, quindi, non
può andare a cadere sul nucleo.
La figura IV.13. mostra, in scala, le orbite corri-
spondenti ai primi cinque valori di n per il caso
dell’atomo di idrogeno. La tabella IV.5. riporta i FIG. IV.13. Le prime cinque orbite dell’atomo di
valori dei raggi. Per questo atomo, il raggio del- idrogeno, secondo il modello proposto da Bohr.
l’orbita piú vicina al nucleo vale a0.

4.5.3.3. L’energia dell’elettrone


Gli elettroni nell’atomo possiedono una certa quantità di energia. Essi infatti sono in moto e, quin-
di, hanno energia cinetica. Inoltre hanno energia potenziale dovuta all’attrazione elettrostatica fra
elettrone e nucleo. Quando è presente piú di un elettrone, si aggiunge l’energia della repulsione
elettrostatica fra un elettrone e l’altro. L’energia totale di un elettrone è data dalla somma di tutti
questi contributi.

n r = n2a0 = ... (in Å) energia (in joules) Come si vede sia dai valori dei raggi sia dalla figura IV.13., la
distanza fra un’orbita e quella che la precede non è costan-
1 r = a0 = 0,529 E1 = – 2,1799 · 10–18 te, ma aumenta man mano che ci si allontana dal nucleo.
2 r = 22a0 = 2,116 E2 = – 5,4450 · 10–19 Il piú basso valore dell’energia è quello corrispondente al-
l’orbita con n = 1. Al crescere di n i valori dell’energia au-
3 r = 32a0 = 4,761 E3 = – 2,4221 · 10–19 mentano. Vediamo però che, man mano che n aumenta,
la differenza fra l’energia di un’orbita e quella della suc-
4 r = 42a0 = 8,464 E4 = – 1,3624 · 10–19 cessiva diminuisce. Ad esempio, l’energia della seconda
5 r = 52a0 = 13,225 E5 = – 8,7196 · 10–20 orbita è 4 volte piú alta di quella della prima, mentre
l’energia della quarta orbita è soltanto 1,77 volte quella
6 r = 62a0 = 19,044 E6 = – 6,0553 · 10–20 della terza16.
Ciò è evidenziato chiaramente nel secondo diagramma
7 r = 72a0 = 25,925 E7 = – 4,4488 · 10–20 della figura IV.15.

TAB. IV.5. Raggi delle prime sette orbite dell’atomo di idrogeno, e corrispondenti valori di energia, secondo
il modello di Bohr.

16. Per comprendere chiaramente il confronto fra i valori di energia, tenere presente la nota 17.

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


154 4 L’atomo

Anche l’energia è quantizzata, cioè può assumere solo certi valori. Questi valori permessi dell’energia
vengono chiamati livelli energetici. Essi dipendono dal numero quantico n tramite la relazione
Z2 e2
E = – [4.4]
2n2a0
dove Z, n e a0 hanno il significato che già conosciamo, e è la carica dell’elettrone, ed E è l’energia to-
tale dell’elettrone.
Ad ogni orbita corrisponde un dato valore di energia. Il valore piú basso è quello dell’orbita piú vi-
cina al nucleo (n = 1). Man mano che il valore di n aumenta, e quindi aumenta il raggio dell’orbita
(cioè man mano che ci si allontana dal nucleo), aumenta anche il corrispondente valore di ener-
gia17 (tab. IV.5.).

4.5.3.4. L’origine degli spettri atomici


Il modello di Bohr forniva una spiegazione soddisfacente del perché gli spettri degli atomi sono di-
screti. Per comprenderla, teniamo presente la terza ipotesi del modello: finché l’elettrone rimane
nella stessa orbita, la sua energia non cambia.
Per passare da un’orbita con energia minore a un’orbita con energia maggiore (cioè da un’orbita piú in-
terna a un’orbita piú esterna), l’elettrone deve ricevere dall’esterno una quantità di energia corrispon-
dente alla differenza di energia fra le due orbite. Se invece passa da un’orbita con energia maggiore a
un’orbita con energia minore (cioè da un’orbita piú esterna a un’orbita piú interna), l’elettrone
emette una quantità di energia pari alla differenza di energia fra le due orbite (fig. IV.14.).
Indichiamo la differenza di energia come E2 – E1, dove E2 è l’energia dell’orbita piú esterna ed E1
l’energia dell’orbita piú interna.
L’energia viene emessa o assorbita sotto forma di radiazione elettromagnetica. L’energia di una radia-
zione elettromagnetica è uguale al prodotto della costante di Planck per la frequenza (ν) della

Per passare da un livello energetico inferiore a Quando l’elettrone passa da un livello energe-
un livello superiore l’elettrone deve acquistare tico superiore a un livello inferiore emette ener-
energia. gia.
FIG. IV.14. Come l’elettrone passa da un livello energetico a un altro.
Ad ogni orbita corrisponde un valore di energia, che viene chiamato livello energetico. Spesso il passaggio di un elettro-
ne da un’orbita a un’altra viene descritto direttamente in termini di energia, come passaggio da un valore di energia a un
altro, cioè da un livello energetico a un altro.

17. Si devono tenere presenti le implicazioni della presenza di un gativi è maggiore quello con valore assoluto minore, il valore del-
segno negativo nel membro di destra dell’equazione [4.4]. Al cre- l’energia aumenta. (Il segno negativo è legato all’attrazione fra
scere di n il valore assoluto dell’espressione di destra diminuisce nucleo ed elettrone, che sono particelle di carica opposta).
(perché n compare a denominatore); ma siccome fra numeri ne-

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


Scoperte successive al modello atomico di Bohr
4 155

radiazione (E = h ν). L’energia della radiazione emessa o assorbita dell’elettrone è pertanto uguale alla
differenza di energia delle due orbite interessate, cioè
h ν = E2 – E1 [4.5]
Questa equazione ci permette di risalire alla differenza di energia fra le due orbite in base alla fre-
quenza della radiazione emessa o assorbita dall’atomo.
L’ipotesi di Bohr sulla struttura dell’atomo spiega quindi perché gli spettri di emissione degli atomi
sono discreti: ogni riga corrisponde a un valore specifico di energia, che a sua volta corrisponde alla
differenza di energia fra due orbite.
Se dall’esterno arriva all’atomo energia sufficiente perché un elettrone possa passare da un’orbita piú in-
terna a un’orbita piú esterna, l’elettrone assorbe questa energia ed effettua il «salto». Poi ritorna all’orbi-
ta di partenza ed emette l’energia che aveva assorbito. Tale emissione è responsabile di una riga nello
spettro. L’insieme dei possibili passaggi da un’orbita a un’altra genera l’insieme delle righe dello spettro.
Lo spettro dell’atomo di idrogeno trovava una spiegazione completa. Ciascuna delle serie spettrali
corrisponde al passaggio dell’elettrone da orbite piú esterne alla stessa orbita «di arrivo». Quest’ulti-
ma è l’orbita con n = 1 per la serie di Lyman, l’orbita con n = 2 per la serie di Balmer, l’orbita con
n = 3 per la serie di Paschen e cosí via (fig. IV.15.). Anche l’equazione di Rydberg [4.1] trovava la sua
spiegazione teorica: il numero n1 corrisponde al numero quantico dell’orbita da cui «parte» l’elet-
trone, il numero n2 a quello dell’orbita a cui l’elettrone arriva.

4.5.3.5. L’importanza del modello


Con l’introduzione del concetto di quantizzazione nella descrizione dell’atomo, il modello di Bohr era
stato un enorme passo avanti. Dava una risposta ai problemi che la fisica classica non era riuscita a
spiegare, e le sue previsioni erano in accordo con i dati sperimentali, soprattutto per quanto riguarda
l’atomo di idrogeno. Ma il futuro riservava ai fisici nuove sorprese, perché la natura e il comportamen-
to dell’elettrone si sarebbero rivelati molto piú complessi di quelli delineati dal modello di Bohr.

4.6. Scoperte successive al modello atomico di Bohr


Alcuni anni dopo che Bohr aveva proposto il suo modello, i fisici fecero due scoperte destinate a
cambiare la nostra visione dell’atomo. La prima era una scoperta di tipo teorico: nasceva da consi-
derazioni matematiche sulle proprietà di certe grandezze, e poneva dei limiti alla precisione con cui
è possibile valutare certe coppie di grandezze. La seconda era allo stesso tempo teorica e speri-
mentale, e metteva in evidenza che l’elettrone e le altre particelle elementari non rientrano in nes-
suna delle categorie note alla fisica classica.
Ora descriveremo dettagliatamente queste due scoperte, e vedremo quali conseguenze hanno avuto
per la costruzione del modello dell’atomo.

4.6.1. Il principio di indeterminazione di Heisenberg


4.6.1.1. La formulazione del principio
Quando si fa una misura non si trova mai un valore esatto, ma un valore approssimato. L’approssi-
mazione può essere piú o meno grande18. Ciò è vero sia per le misure che riguardano il mondo ma-
croscopico, sia per la determinazione di grandezze relative alle particelle che costituiscono il mon-
do microscopico. Ad ogni misura è quindi associata una indeterminazione (cioè un certo grado di
incertezza) che può essere espressa quantitativamente.

18. Vedi anche la voce Misura in Appendice I.

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


156 4 L’atomo

hen
Pasc Consideriamo le orbite dell’elettrone
Bra
ck nell’atomo di idrogeno, e i possibili pas-
et
t saggi (transizioni) da un’orbita a un’al-
tra. Consideriamo il caso dello spettro
di emissione e, quindi, i passaggi da or-
r
me

bite piú esterne a orbite piú interne


Bal

(che, come evidenziato chiaramente dal

n=5
secondo diagramma della fig. IV.14.,

n=4
sono accompagnati da emissione di

n=3
energia). Una serie spettrale corrispon-
n=2
n=1

de all’insieme dei passaggi che vanno


«a finire» su una stessa orbita, e preci-
samente:
serie di Lyman
da orbite piú esterne all’orbita con n = 1
serie di Balmer
da orbite piú esterne all’orbita con n = 2
serie di Paschen
an
m

Ly da orbite piú esterne all’orbita con n = 3


serie di Brackett
da orbite piú esterne all’orbita con n = 4
serie di Pfund
da orbite piú esterne all’orbita con n = 5

serie di serie di serie di serie di


Lyman Balmer Paschen Brackett
n=∞
n=6
n=5
n=4
-19
- 2,4221 . 10 n=3
ENERGIA

- 5,4450 . 10
-19
n=2
Se riportiamo in un diagramma i
valori di energia delle varie orbite,
cioè i livelli energetici, possiamo
rappresentare i passaggi dell’elet-
trone da un’orbita all’altra diret-
tamente come passaggi da un li-
vello energetico a un altro.
(Notare l’avvicinamento dei livelli
man mano che n aumenta, già
-18
spiegato nella didascalia della tab.
- 2,1799 . 10 n=1 IV.5.).

FIG. IV.15. Lo spettro dell’atomo di idrogeno spiegato in base al modello atomico di Bohr.

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


Scoperte successive al modello atomico di Bohr
4 157

Il principio di indeterminazione di Heisenberg riguarda appunto l’indeterminazione associata alla


misura di alcune coppie di grandezze e pone restrizioni alla precisione con cui è possibile conoscer-
le. Una di tali coppie è costituita da due grandezze molto importanti per la descrizione dello stato
dell’elettrone all’interno di un atomo: la posizione e la quantità di moto19.
Il principio di indeterminazione viene espresso attraverso una relazione matematica di facile com-
prensione. Per scriverla indichiamo con x la posizione dell’elettrone, con p la sua quantità di moto,
con ∆x l’indeterminazione associata alla posizione, e con ∆p l’indeterminazione associata alla quan-
tità di moto. Allora
∆x · ∆p ! h [4.6]

dove h è la costante di Planck.
Questa relazione ci informa che il prodotto delle due indeterminazioni non può essere inferiore a un
certo valore (h/4π). Di conseguenza le due indeterminazioni non possono mai essere entrambe mol-
to piccole nello stesso momento: maggiore è la precisione nella determinazione di una delle due
grandezze, piú grande è l’incertezza nella determinazione dell’altra.
p2
La quantità di moto è una grandezza legata all’energia cinetica Ec tramite la relazione Ec = .
2m
Quindi un’incertezza nella determinazione della quantità di moto implica un’incertezza anche nella
determinazione dell’energia della particella.

4.6.1.2. Conseguenze per la descrizione dell’atomo


In base al principio di indeterminazione, non è possibile determinare contemporaneamente e con
precisione illimitata sia la posizione che la quantità di moto dell’elettrone. Di conseguenza non è
nemmeno possibile determinare contemporaneamente e con precisione illimitata la posizione e
l’energia dell’elettrone. In definitiva non è possibile descrivere la situazione dell’elettrone nell’atomo
in modo analogo a come si descrive quella di un oggetto in moto nel mondo macroscopico.
Per comprendere meglio il significato di questa conclusione, confrontiamo la situazione dell’elettro-
ne con quella di un esempio appartenente al mondo macroscopico. Se un’automobile sta viaggiando
su una certa strada, siamo sempre in grado di determinare la sua posizione e la sua velocità in un da-
to istante, e dalla velocità possiamo risalire alla quantità di moto e all’energia cinetica. Posizione ed
energia dell’automobile possono essere conosciute senza restrizioni al grado di precisione, eccetto
quelle che nascono dalla raffinatezza dei nostri strumenti di misura. L’insieme delle posizioni dà la
traiettoria. Per l’elettrone non è possibile una cosa analoga. È necessario fare una scelta, decidere se
ci interessa maggiormente conoscere con grande precisione la sua posizione o la sua energia.
Per una miglior comprensione dei fenomeni nel mondo microscopico, è importante conoscere
l’energia delle particelle. Pertanto, si cerca di determinarla con il massimo grado di precisione. Que-
sto lascia la posizione ampiamente indeterminata, e costringe ad abbandonare il concetto di orbita
per la descrizione dell’elettrone nell’atomo. L’orbita è infatti una traiettoria. Ma è possibile conosce-
re la traiettoria di un oggetto in moto soltanto se è possibile determinarne la posizione ad ogni istan-
te. Siccome il principio di indeterminazione non consente una precisione soddisfacente nella deter-
minazione della posizione, se si vuole determinare l’energia dell’elettrone con la massima precisione,
diviene impossibile identificare una traiettoria per l’elettrone.
La descrizione dell’elettrone che tiene conto del principio di indeterminazione sostituisce al con-
cetto di orbita quello di orbitale, visualizzabile come una regione dello spazio all’interno della quale
si può trovare l’elettrone. In questo modo non si parla piú della posizione dell’elettrone, ma soltanto
della probabilità di trovarlo in una certa zona (fig. IV.16.). Approfondiremo questo concetto nei
prossimi paragrafi.

19. La quantità di moto (p) di un oggetto è il prodotto della mas- ce Quantità di moto in Appendice I.
sa dell’oggetto per la sua velocità, cioè p = mv. Vedi anche la vo-

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


158 4 L’atomo

elettrone

Un’orbita fissa (come quelle del modello di Bohr) Un orbitale può essere visualizzato come un’inte-
è una traiettoria. Ma per poter identificare la ra regione di spazio intorno al nucleo, con una
traiettoria di un oggetto in moto bisogna essere in sua forma (quello della figura, ad esempio, ha
grado di determinarne la posizione ad ogni istan- forma sferica). Sappiamo che la probabilità che
te, di seguirne il percorso. Siccome ci interessa co- l’elettrone si trovi al suo interno è molto alta, ma
noscere l’energia dell’elettrone con la massima non siamo in grado di indicare la posizione del-
precisione, non siamo in grado (per il principio di l’elettrone in un dato istante. Di conseguenza
indeterminazione) di determinarne la posizione e, l’indeterminazione sulla posizione è alta. Ciò
quindi, di seguirne il percorso nel tempo. Di con- consente di valutare con un buon grado di preci-
seguenza, non siamo in grado di avere le informa- sione l’energia dell’elettrone che si trova nel dato
zioni necessarie per definire una traiettoria. orbitale.
FIG. IV.16. Differenza fra orbita e orbitale.
Il principio di indeterminazione di Heisenberg ha costretto i fisici ad abbandonare il modello atomico di Bohr, e a sosti-
tuire il concetto di orbitale a quello di orbita.

4.6.1.3. Natura teorica del principio di indeterminazione


Le restrizioni che il principio di indeterminazione pone alla precisione con cui possiamo determi-
nare i valori di certe grandezze sono limitazioni di natura teorica e, quindi, non dipendono dalla
precisione dei nostri strumenti. Non sarebbe pertanto corretto pensare che in futuro, col progresso
tecnologico e strumenti piú potenti e raffinati, questi limiti possano essere superati. Essi nascono
dalla natura stessa della materia e delle particelle che la costituiscono.

Notiamo infine che il principio di indeterminazione permette di capire meglio, o anche di prevede-
re, certi comportamenti della materia. Ad esempio, alla domanda se le particelle sono del tutto fer-
me alla temperatura dello zero assoluto, possiamo dare risposta negativa proprio in base al principio
di indeterminazione. Infatti, se le particelle fossero ferme, la loro velocità e la loro quantità di moto
avrebbero valore zero, e potremmo determinarne esattamente anche la posizione. Ciò sarebbe in
contrasto col principio di indeterminazione. Quindi, concludiamo che le particelle del mondo mi-
croscopico non sono mai ferme, nemmeno alla temperatura di 0 K.

4.6.2. La doppia natura dell’elettrone


4.6.2.1. Particelle e onde nella fisica classica
Per la fisica classica particelle e onde20 sono enti ben distinti. Una particella è costituita da materia, ha
una massa, occupa una porzione definita e limitata di spazio. Un’onda è una perturbazione che viaggia.
Un oggetto fisico può essere o particella o onda, ma non entrambe le cose contemporaneamente; e
questo è sempre vero nel mondo macroscopico.

20. Vedi la voce Onde in Appendice I.

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


Scoperte successive al modello atomico di Bohr
4 159

Il comportamento delle particelle e quello delle onde sono molto diversi. Ricordiamo le principali
differenze (fig. IV.17.).
Possiamo sempre identificare una posizione per le particelle. Se una particella è in moto, possiamo
identificare una traiettoria e utilizzarla nella descrizione del moto. Le particelle, messe insieme, si
sommano come unità numerabili: «una particella + una particella = due particelle». Se una particel-
la incontra un ostacolo che presenta delle fenditure, può passare (o non passare) attraverso una del-
le fenditure, ma non passerà mai contemporaneamente attraverso due o tre fenditure.
Per un’onda, non è possibile parlare né di posizione né di traiettoria. Due onde che si incontrano
interferiscono: «un’onda + un’onda» provoca un’accentuazione dell’onda in certi punti, e una scom-
parsa dell’onda in altri punti21. Inoltre, se un’onda incontra un ostacolo che presenta delle fenditu-
re, passa contemporaneamente attraverso tutte le fenditure. Le onde sono anche capaci di aggirare
ostacoli di piccole dimensioni, mentre le particelle vi urtano contro.

4.6.2.2. I fenomeni nel mondo microscopico


Sia nei modelli di Thomson e di Rutherford sia in quello di Bohr l’elettrone era stato considerato una
particella avente tutte le caratteristiche di un punto materiale.
Teorie ed esperimenti successivi mostrarono però che nel mondo microscopico la differenza fra par-
ticelle e onde non è piú cosí netta: piú una particella è piccola, piú è capace di mostrare anche i
comportamenti tipici delle onde. Ad esempio, l’elettrone presenta anche fenomeni propri delle on-
de, come l’interferenza e la diffrazione. Per costruire un modello compatibile con questi fatti, i fisici
introdussero il concetto di doppia natura nella descrizione delle particelle del mondo microscopico.
Dire che «l’elettrone ha doppia natura» significa dire che può comportarsi sia come particella che
come onda.

Figura di diffrazione dei raggi X Figura di diffrazione degli elettroni.


(un tipo di onde elettromagnetiche).

Come si vede, le due figure presentano molte analogie. La capacità dell’elettrone di dare figure di diffrazione
costituisce una prova importante del fatto che ha anche natura di onda.

21. Basta pensare a come si incontrano e interferiscono le onde raneamente e a una certa distanza l’uno dall’altro.
circolari provocate da due sassi gettati in uno stagno contempo-

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


160 4 L’atomo

z
P
z

0 x x x
y

y
y

Una particella ha una posizione, identificabile Non è possibile parlare di posizione di un’onda,
mediante le tre coordinate x, y e z. o di coordinate di un’onda.

Quando una particella è in moto, è possibile Non è possibile parlare di traiettoria per un’on-
identificare una traiettoria, cioè una linea imma- da.
ginaria che ne rappresenta il percorso.

+ =

Le particelle si sommano come unità numera- Due onde che si incontrano interferiscono (nel-
bili (nell’esempio della figura: 2 particelle + 3 la parte inferiore della figura sono indicati in
particelle = 5 particelle). rosso i punti in cui si ha accentuazione massi-
ma del fenomeno ondoso, in verde i punti in cui
le due onde si annullano a vicenda).

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


Scoperte successive al modello atomico di Bohr
4 161

Una particella può passare attraverso una sola Un’onda passa contemporaneamente attraver-
fenditura in un ostacolo, oppure non passare so tutte le fenditure disponibili.
affatto.

Una particella urta contro un ostacolo e ne vie- Un’onda può aggirare un ostacolo di piccole
ne respinta. Non può passare alla zona dietro dimensioni.
l’ostacolo.
FIG. IV.17. Differenza di comportamento fra particelle e onde.

Ciò costituí un motivo in piú per abbandonare il concetto di orbite per la descrizione del moto degli
elettroni nell’atomo: non si definisce la traiettoria per un’onda.
Si può parlare della traiettoria di un fascio di elettroni che percorre una certa distanza nello spazio,
al di fuori degli atomi, come avviene, ad esempio, nel tubo a raggi catodici, perché in questo caso il
comportamento degli elettroni è fondamentalmente quello di particelle. Ma quando l’elettrone è nel-
l’atomo, il suo comportamento è molto vicino a quello di un’onda, e si deve tenerne conto nella de-
scrizione.

4.6.2.3. L’equazione di de Broglie


Nel 1924 L. de Broglie avanzò l’ipotesi che ad ogni particella in movimento sia associata un’onda la
cui lunghezza λ dipende dalla massa (m) e dalla velocità (v) della particella (e, quindi, dalla sua
quantità di moto) tramite la costante di Planck:
λ = h [4.7]
mv

Tali onde vengono chiamate onde di de Broglie. È importante notare che esse non hanno la stessa

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


162 4 L’atomo

Il microscopio ottico (a sinistra) sfrutta le proprietà di onda della luce; il microscopio elettronico (a destra) sfrutta le proprietà
di onda dell’elettrone.

natura delle onde luminose o delle altre radiazioni elettromagnetiche, ma sono associate alla proba-
bilità di trovare la particella in un dato punto.
Ricordiamo infine che l’equazione [4.7] ha validità generale: ad ogni corpo in moto è associata
un’onda di de Broglie. Nel mondo macroscopico, però, la presenza di tali onde non influenza il com-
portamento dei corpi in moto né il nostro modo di descriverlo (fig. IV.18.).

e-

(a) (b)

L’equazione di de Broglie ha validità generale: tutti i corpi in movimento hanno un’onda associata.
Ma tale onda acquista un significato soltanto per le particelle del mondo microscopico.
L’onda associata a un elettrone (a), che si muove a una velocità di 106 m s–1, ha una lunghezza di cir-
ca 10–10 m. Può quindi essere rivelata dai nostri strumenti. Inoltre questo valore è dello stesso ordine
di grandezza delle dimensioni dell’atomo e, quindi, la presenza dell’onda ha influenza sul comporta-
mento dell’elettrone all’interno dell’atomo.
Un pallone da calcio (b) in moto su un campo da gioco ha associata un’onda di lunghezza dell’ordi-
ne di 10–32 m. Essa non può essere percepita né dal nostro occhio né dai nostri strumenti piú perfet-
ti, che sono in grado di rivelare onde con lunghezza non inferiore a 10–14 m. Il suo valore è cosí picco-
lo rispetto alle dimensioni del pallone, che la presenza dell’onda non esercita nessuna influenza sul
comportamento del pallone stesso, o sulla descrizione che noi possiamo darne.

FIG. IV.18. Onde di de Broglie associate ai corpi in moto.

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


La teoria atomica moderna. L’equazione di Schrödinger
4 163

4.7. La teoria atomica moderna.


L’equazione di Schrödinger
4.7.1. Un nuovo modo di affrontare il problema dell’atomo
Il principio di indeterminazione di Heisenberg e la scoperta della doppia natura dell’elettrone indicava-
no chiaramente una cosa: non era piú possibile trattare l’elettrone come una particella classica, cioè co-
me una particella che avesse le caratteristiche e il comportamento previsti dalla fisica classica.
Già l’introduzione dell’ipotesi della quantizzazione, nel modello di Bohr, aveva segnato uno stacco
con i modelli della fisica classica. Ma, per il resto, Bohr aveva trattato l’elettrone come una particel-
la classica, che si muove su orbite ben determinate, il cui raggio può essere calcolato in base a sem-
plici considerazioni meccaniche sulle forze in gioco. Le nuove scoperte, però, segnalavano la neces-
sità di un modo completamente diverso di affrontare il problema. Ciò portò all’elaborazione di una
nuova fisica, la meccanica quantistica.
Non possiamo qui considerare lo sviluppo matematico della meccanica quantistica. Cercheremo pe-
rò di vedere gli aspetti fondamentali della trattazione da un punto di vista qualitativo, in modo da
capire come si originano i vari aspetti del modello attuale dell’atomo.

4.7.2. L’equazione di Schrödinger


L’equazione di Schrödinger22 è il fulcro della meccanica quantistica, e conviene quindi conoscerla un po’
da vicino. Ciò ci aiuterà sia a capire meglio le differenze fra la meccanica classica e la meccanica quanti-
stica, sia a conoscere gli aspetti fondamentali della moderna descrizione del mondo microscopico.

4.7.2.1. La descrizione degli oggetti


Quando si descrive un oggetto nell’ambito della meccanica classica si utilizzano direttamente i sim-
boli delle grandezze per scrivere le equazioni. Ad esempio, se si vuole descrivere il moto di un
oggetto che si muova con moto rettilineo uniforme, si fornisce l’equazione che collega lo spazio per-
corso (x) al tempo (t) impiegato a percorrerlo, cioè x = v · t. In questa equazione, ogni simbolo rap-
presenta una grandezza, e si può usare l’equazione per calcolare il valore di una qualsiasi delle gran-
dezze che vi compaiono, se si conoscono le altre due. Per una descrizione completa della situazione
di un oggetto, si analizzano le forze in gioco.
In meccanica quantistica ad ogni grandezza misurabile viene associato un operatore, cioè un qual-
cosa che indica delle operazioni da eseguire23. Questo è il «trucco» matematico che permette di te-
ner conto automaticamente del principio di indeterminazione.
Quando si vuole descrivere un oggetto nell’ambito della meccanica quantistica, lo si analizza in ter-
mini dell’energia. Sulla base di tale analisi si imposta l’equazione di Schrödinger. Risolvendo questa
equazione si ottiene la descrizione completa del sistema.

4.7.2.2. La forma matematica dell’equazione di Schrödinger


L’equazione di Schrödinger è diversa dalle equazioni che già conoscete. Voi conoscete le equazioni che
hanno per soluzione dei numeri: quando si risolve l’equazione, si trovano dei numeri che, sostituiti al

22. Dal nome dello scienziato che l’ha proposta. ca quale operazione si deve eseguire su quanto è scritto sotto di
23. Operatore è tutto ciò che può «operare» su una data funzione esso. Un operatore è quindi un’operazione indicata, oppure una
o espressione algebrica. Anche i segni delle 4 operazioni fonda- sequenza di operazioni indicate. Le operazioni indicate dagli ope-
mentali (+, –, ×, :) possono essere considerati operatori; cosí pure ratori della meccanica quantistica sono spesso di tipo piú com-
è un operatore il simbolo di estrazione di radice, "#, perché indi- plesso delle operazioni aritmetiche che voi conoscete.

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


164 4 L’atomo

posto dell’incognita, verificano l’uguaglianza fra i due membri dell’equazione. Quando si risolve
l’equazione di Schrödinger, invece, si trovano delle funzioni24, comunemente indicate con la lettera
greca ψ (psi). La forma generica dell’equazione di Schrödinger è
Hψ = Eψ [4.8]
Vediamo subito il significato dei simboli che vi compaiono25.
H è un operatore, e precisamente l’operatore dell’energia. Viene chiamato operatore hamilto-
niano ed è costituito da termini che esprimono i vari contributi all’energia del sistema consi-
derato;
ψ è una funzione e viene chiamata funzione d’onda (il termine ricorda che le particelle del mon-
do microscopico hanno anche natura di onda);
E è il valore dell’energia del sistema considerato.
Quando si vuole studiare un sistema nell’ambito della meccanica quantistica, bisogna innanzitutto in-
dividuare tutti i fattori che contribuiscono alla sua energia. Ciascuno di essi viene espresso in una for-
ma matematica che indica un’operazione da effettuare. La somma di tutti questi termini costituisce
l’operatore hamiltoniano. Una volta «costruito» l’operatore hamiltoniano, si risolve l’equazione di
Schrödinger per trovare sia la forma matematica delle funzioni ψ sia i corrispondenti valori dell’ener-
gia, E. La funzione ψ fornisce tutte le informazioni che corrispondono alla descrizione del sistema.

4.7.3. Lo studio dell’atomo


Quando si studia un atomo, i termini dell’operatore hamiltoniano esprimono i contributi all’energia
dei suoi elettroni.
Non possiamo qui scrivere la forma matematica dell’operatore hamiltoniano, né tanto meno possia-
mo risolvere l’equazione di Schrödinger, perché ciò richiederebbe conoscenze matematiche avanza-
te. Possiamo però vedere la linea di ragionamento che porta alla costruzione dell’operatore hamilto-
niano perché questo ci aiuterà ad avere un’immagine piú completa dell’atomo. Possiamo inoltre
descrivere il quadro complessivo che nasce dalla risoluzione dell’equazione di Schrödinger, cioè il
modello moderno dell’atomo.

4.7.3.1. L’atomo come sistema fisico


Per poter scrivere l’equazione di Schrödinger, dobbiamo studiare l’atomo dal punto di vista del-
l’energia delle particelle che lo costituiscono.
Ogni volta che si studia un sistema fisico in cui sono presenti oggetti in moto, bisogna scegliere un
sistema di riferimento per poterne descrivere il moto26. Siccome il nucleo ha massa molto maggiore
dell’elettrone, conviene scegliere un sistema di riferimento che abbia il suo centro sul nucleo
(fig. IV.19); questo ci permette di non prendere in considerazione il moto del nucleo, o dell’atomo
nel suo insieme, ma soltanto il moto degli elettroni.
Siccome l’atomo è un oggetto a tre dimensioni, scegliamo un sistema di riferimento cartesiano nello
spazio27, costituito dai tre assi perpendicolari x, y, z.
Nell’esaminare l’atomo come sistema fisico non facciamo nessuna ipotesi «a priori», né sulle sue di-
mensioni, né sulla distanza dell’elettrone dal nucleo, o sulle caratteristiche del suo moto, o sul valo-
re di energia che può avere. Ci limitiamo a determinare i vari contributi all’energia dell’elettrone; la
soluzione dell’equazione di Schrödinger ci fornirà poi la descrizione del sistema.

24. Vedi la voce Funzione in Appendice I. prodotto del valore E per la stessa funzione Ψ.
25. In termini matematici, la funzione ψ viene chiamata autofun- 26. Vedi la voce Moto in Appendice I.
zione, il valore E autovalore e l’intera equazione è un’equazione 27. Vedi la voce Diagrammi cartesiani (Coordinate cartesiane
ad autovalori. La «lettura matematica» dell’equazione [4.8] è im- nello spazio) in Appendice I.
mediata: quando l’operatore H opera sulla funzione Ψ, si ottiene il

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


La teoria atomica moderna. L’equazione di Schrödinger
4 165

L’atomo è un sistema fisico costituito da un nu-


cleo positivo ( ) e da un certo numero di elet-
troni negativi ( ).
La massa del nucleo è molto maggiore della mas-
sa degli elettroni. Conviene pertanto scegliere un
x sistema di riferimento che abbia il suo centro nel
nucleo, e considerare il moto degli elettroni ri-
spetto ad esso.

y FIG. IV.19. L’atomo come sistema fisico.

4.7.3.2. I contributi all’energia degli elettroni nell’atomo


Un elettrone nell’atomo possiede due tipi di energia: energia cinetica, dovuta al fatto che è in movi-
mento, ed energia potenziale, dovuta alle interazioni di tipo elettrostatico fra elettrone e nucleo (at-
trazione) e fra un elettrone e l’altro (repulsione, perché sono particelle con carica dello stesso se-
gno).
L’energia cinetica è legata alla velocità (Ec = 1 m v2). Sappiamo già che il moto nello spazio
2
può essere scomposto in tre componenti, lungo i tre assi cartesiani, e cosí pure la velocità. Ognu-
na delle tre componenti della velocità (vx, vy, vz) dà il suo contributo all’energia cinetica. Quindi per
ogni elettrone presente in un atomo si avranno nell’hamiltoniano tre termini di energia cinetica.
Per quanto riguarda l’energia potenziale, il numero dei contributi varia da caso a caso, perché di-
pende dal numero totale di elettroni presenti nell’atomo.
Per chiarire meglio quanto abbiamo detto, consideriamo alcuni esempi concreti: prendiamo in esame
alcuni atomi, e vediamo quali e quanti sono i contributi all’energia dei loro elettroni.
a) Atomo di idrogeno. Nell’atomo c’è un solo elettrone, e quindi i contributi all’energia
cinetica sono tre. Per l’energia potenziale c’è un solo contributo, quello dovuto al-
l’attrazione fra l’elettrone e il nucleo. L’hamiltoniano per l’atomo di idrogeno viene
cosí ad avere solo quattro termini.
L’equazione di Schrödinger è in questo caso abbastanza semplice, e può essere ri-
solta in modo esatto.
b) Atomo di elio. Nell’atomo di elio ci sono due elettroni; quindi i termini di energia cinetica sono
sei (tre per ogni elettrone).
I contributi all’energia potenziale sono tre: due dovuti all’attrazione fra il nucleo e ciascuno dei
due elettroni, uno dovuto alla repulsione fra i due elettroni (fig. IV.20.).
c) Atomo di boro. Nell’atomo di boro ci sono cinque elettroni; quindi i termini di energia cinetica
sono quindici (tre per ogni elettrone).
Per quanto riguarda l’energia potenziale, ci sono cinque termini dovuti all’attrazione fra il nucleo e
ciascuno degli elettroni, e dieci termini dovuti alla repulsione fra un elettrone e l’altro (fig. IV.21.).
In modo analogo si studiano tutti gli altri atomi.

Dopo aver scritto l’hamiltoniano in base ai contributi di energia propri dell’atomo considerato, si
procede alla risoluzione dell’equazione di Schrödinger. Risolverla non è però facile. È possibile risol-
verla esattamente soltanto per l’atomo di idrogeno. Già per l’atomo di elio, e ancor piú per gli altri

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


166 4 L’atomo

attrazione repulsione

FIG. IV.20. Contributi all’energia potenziale nell’atomo di elio.

attrazione repulsione

FIG. IV.21. Contributi all’energia potenziale nell’atomo di boro.

atomi, la forma di alcuni dei termini impedisce di trovare soluzioni esatte. Si ricorre allora a metodi
di approssimazione, cioè a procedimenti matematici che permettono di trovare soluzioni vicine a
quella che sarebbe la soluzione esatta, semplificando però il procedimento di calcolo.

4.7.4. La descrizione dell’atomo


4.7.4.1. Gli orbitali
Quando si risolve l’equazione di Schrödinger per un certo atomo, si trova l’espressione matematica
delle funzioni ψ di quell’atomo e i valori di energia corrispondenti a ciascuna ψ. Ogni funzione ψ de-
scrive uno degli stati possibili per l’elettrone nell’atomo.
Abbiamo già visto che la funzione ψ viene chiamata funzione d’onda. Il nome piú abitualmente usa-
to per le funzioni ψ dell’atomo è però quello di orbitale.

4.7.4.2. La quantizzazione
Nell’impostare lo studio dell’atomo non avevamo introdotto nessuna ipotesi sui valori delle grandez-
ze che lo caratterizzano, nemmeno l’ipotesi della quantizzazione. La quantizzazione però salta fuo-
ri attraverso la risoluzione dell’equazione di Schrödinger: il fatto che l’energia sia quantizzata è uno
degli aspetti della descrizione del sistema che l’equazione di Schrödinger ci fornisce.
Dal punto di vista matematico, la quantizzazione viene espressa attraverso la dipendenza da nume-
ri interi, che vengono chiamati numeri quantici.
Le funzioni ψ dipendono da tre numeri quantici, che vengono indicati con le lettere n, l, ml. Questi
numeri sono presenti nell’espressione matematica delle ψ. A seconda dei valori assunti da questi tre
numeri, le funzioni ψ hanno forma matematica diversa e, di conseguenza, grafici diversi. Nel prossi-
mo paragrafo vedremo le funzioni ψ corrispondenti ad alcuni «terzetti» di numeri quantici.

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


La teoria atomica moderna. Gli orbitali atomici
4 167

L’energia in genere dipende solo da due numeri quantici, i numeri n ed l; può quindi assumere solo
i valori corrispondenti a ben precise coppie di questi numeri. Discuteremo anche questo aspetto in
dettaglio nel paragrafo 4.8.

4.7.4.3. La densità di probabilità


Secondo l’interpretazione di Max Born, il quadrato della funzione ψ è una densità di probabilità.
Questo significa che se si considera un certo volume nello spazio, e si moltiplica il quadrato di ψ per
quel volume, si ottiene la probabilità di trovare l’elettrone in quel volume28.
La funzione ψ assume valori diversi nei diversi punti dello spazio. Il valore che essa assume in un
punto dipende dalla distanza di quel punto dal nucleo e, per molte ψ, anche dall’orientazione del
punto rispetto agli assi x, y, z. Anche il valore di ψ2 è quindi diverso in punti diversi e, di conse-
guenza, la probabilità di trovare l’elettrone è diversa in punti diversi.
È interessante studiare come varia questa probabilità per le varie funzioni ψ di un dato atomo. Un
modo comodo di rappresentare l’andamento della probabilità è quello utilizzato nelle figure IV.22.,
b, d e IV.25., perché permette di visualizzare l’andamento stesso in maniera immediata: dove i pun-
tini sono piú fitti, la probabilità di trovare l’elettrone è maggiore.
Questi grafici mostrano anche chiaramente che la regione intorno al nucleo nella quale è possibile
trovare l’elettrone (la regione che spesso chiamiamo orbitale) non ha confini netti e definiti. D’altra
parte, per la discussione di molti degli aspetti che interessano il chimico è sufficiente conoscere sol-
tanto la forma degli orbitali, e non i dettagli dell’andamento della probabilità al loro interno. Allora
segniamo una linea che delimita l’orbitale, cioè segniamo un contorno. Tale contorno viene scelto in
modo da racchiudere la zona di spazio in cui la probabilità di trovare l’elettrone è molto alta; esiste
però una probabilità (sia pure bassa) di trovare l’elettrone anche al di fuori di questi «confini».

4.7.4.4. L’approssimazione per gli atomi con tanti elettroni


Ogni atomo ha un suo sistema di orbitali atomici. Per conoscerlo, bisogna scrivere e risolvere
l’equazione di Schrödinger per quell’atomo.
Si è constatato, però, che gli orbitali atomici dei vari atomi presentano una serie di analogie, sia per la
loro forma matematica, sia per l’«ordine» secondo cui cresce l’energia al crescere del numero quantico
n e, per un dato n, del numero quantico l. In base a questa constatazione, si può ricorrere all’approssi-
mazione di utilizzare le soluzioni trovate per l’atomo di idrogeno anche nella discussione degli atomi
degli altri elementi. In questo modo, si considera uno «schema» di orbitali atomici valido per tutti gli
atomi. Tale schema verrà descritto dettagliatamente nel paragrafo seguente. Esso consente di discute-
re e interpretare in maniera soddisfacente molti comportamenti degli atomi, compresa la formazione
dei legami fra un atomo e l’altro.

4.8. La teoria atomica moderna. Gli orbitali atomici


4.8.1. Orbitali atomici e numeri quantici
Il termine orbitale indica ciascuna delle funzioni che descrivono lo stato dell’elettrone nell’atomo (le
funzioni si ottengono come soluzione dell’equazione di Schrödinger). Ad ogni orbitale atomico cor-
risponde un valore di energia, che è l’energia dell’elettrone che si trova in quell’orbitale.

28. Tutti conoscono la densità riferita alla massa, cioè la densità con un significato analogo: se si moltiplica la «densità di una
di una sostanza: se si moltiplica la densità per il volume si ottiene grandezza» per il volume considerato, si ottiene il valore di quel-
la massa della porzione di sostanza che si sta considerando. È la grandezza in quel volume. La densità di probabilità permette
possibile definire la densità anche per altre grandezze fisiche, di ottenere la probabilità in questo modo.

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


168 4 L’atomo

a) Supponiamo di voler conoscere la probabilità di tro-


vare l’elettrone in una certa regione dello spazio intor-
no al nucleo, ad esempio nel volumetto disegnato in
figura. Si deve innanzitutto calcolare il valore che il
quadrato della funzione ψ assume in quel volumetto.
La funzione ψ, e quindi anche il suo quadrato, assumo-
r no valori diversi in diversi punti dello spazio. Se però il
volumetto considerato è piccolo, si può calcolare il valo-
re che la ψ assume al centro del volumetto e fare l’ap-
prossimazione che questo valore sia valido per tutto il
volumetto. Moltiplicando il valore di ψ2 per la misura
del volumetto si ottiene la probabilità di trovare l’elet-
trone nel volumetto stesso.

b) È possibile calcolare la probabilità di trovare l’elet-


z
trone nei vari punti (o in vari volumetti) di una regione
piuttosto vasta intorno al nucleo, e vedere cosí quale è
l’andamento di questa probabilità.
L’andamento della probabilità di trovare l’elettrone è
diverso per diversi tipi di funzioni ψ (perché dipende dal-
l’espressione matematica della funzione ψ). Per la ψ cor-
rispondente al piú basso valore di energia (la ψ con
x numeri quantici n = 1, l = 0, ml = 0), l’andamento è quel-
lo rappresentato nelle figure a lato: i puntini sono piú
fitti dove la probabilità di trovare l’elettrone è piú alta.
Risulta evidente dalla figura che in questo caso zone con
y la stessa distanza dal nucleo hanno lo stesso valore della
probabilità, indipendentemente dalla loro orientazione
b rispetto agli assi x, y e z; si dice allora che questo orbita-
le ha simmetria sferica.

L’orbitale con n = 1, l = 0, ml = 0, (orbitale 1s) presen-


ta questo tipo di andamento della probabilità in tutti
gli atomi. La distanza dal nucleo per cui si ha la zona di
massima probabilità è però diversa per atomi diversi, e
x diviene minore al crescere del numero atomico. Le figu-
re b e b' mostrano questo orbitale in due casi diversi: b'
corrisponde a un atomo con numero atomico maggio-
re, b a un atomo con un numero atomico minore.
y
b'

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


La teoria atomica moderna. Gli orbitali atomici
4 169

z
c) In genere quando si disegnano gli orbitali atomi-
ci si disegna soltanto la «forma» dell’orbitale. La
forma è comunque basata sull’andamento della
probabilità di trovare l’elettrone.
Ad esempio, per l’orbitale considerato nelle figure
precedenti disegneremo una forma sferica, come è
chiaramente indicato dalle figure precedenti. Resta
molto il problema di scegliere il raggio di questa sfera. Esso
alta x viene scelto in modo tale che il «contorno» che deli-
mita la sfera racchiuda la zona di spazio in cui la
probabilità di trovare l’elettrone è molto alta. Di
conseguenza la probabilità che esso si trovi all’ester-
molto no della sfera è molto bassa. Figure di questo tipo
bassa non forniscono però nessuna indicazione su come la
y
probabilità varia all’interno della sfera.

d) Per molti orbitali la probabilità di trovare l’elet-


z trone in un certo punto non dipende soltanto dalla
distanza di quel punto dal nucleo, ma anche dalla
sua orientazione rispetto agli assi x, y e z. Allora gli
A orbitali non hanno simmetria sferica, ma altri tipi di
simmetrie. Questo accade tutte le volte che il nume-
B ro quantico l è diverso da zero.
Un esempio è il caso rappresentato nella figura a
x lato, quello cioè dell’orbitale corrispondente ai
numeri quantici n = 2, l = 1, ml = 0 (orbitale 2p): la
probabilità è distribuita in due regioni a forma di
lobo intorno all’asse z.
y
Per comprendere meglio il discorso, consideriamo
che, ad esempio, i punti A e B hanno la stessa
distanza dal nucleo, ma diversa orientazione rispet-
to agli assi. La probabilità di trovare l’elettrone nel
punto A è alta, la probabilità di trovarlo nel punto
z
B è praticamente nulla.

e) Se si vuole disegnare la «forma» dell’orbitale di-


molto scusso al punto (d), si ottiene la figura a lato. Le
alta
dimensioni della figura sono sempre scelte in modo
tale che il contorno delimita la regione di spazio
all’interno della quale la probabilità di trovare l’elet-
x trone è molto alta (si parla di «dimensioni» riferen-
dosi a una scala compatibile con le dimensioni del-
l’atomo, naturalmente).
molto
alta
y

FIG. IV.22. Probabilità di trovare gli elettroni e orbitali atomici.

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


170 4 L’atomo

È pratica comune visualizzare gli orbitali come regioni dello spazio intorno al nucleo, nelle quali
è alta la probabilità di trovare l’elettrone. Nel seguito, utilizzeremo regolarmente tale visualizza-
zione.
Come abbiamo già visto, nell’espressione matematica degli orbitali atomici compaiono tre numeri
interi (numeri quantici), che vengono denotati rispettivamente con i simboli n, l e ml. Tali nume-
ri caratterizzano l’orbitale. Per identificare un orbitale è quindi sufficiente indicare il «terzetto» di
numeri quantici che lo caratterizza.
L’energia degli elettroni negli atomi è quantizzata. I numeri quantici n ed l compaiono nell’espres-
sione dell’energia corrispondente ai vari orbitali, per cui l’energia dipende dai loro valori.

I tre numeri quantici hanno ruoli diversi nella descrizione dell’atomo. Ciascuno di essi può assume-
re valori in un ambito specifico. Consideriamoli in dettaglio:
• il numero quantico principale n. Questo numero può assumere valori interi positivi da 1 in poi.
Ha il ruolo piú importante nel determinare l’energia di un orbitale. Per tale motivo, i livelli ener-
getici vengono definiti in termini di n. Diciamo che degli orbitali appartengono a uno stesso livel-
lo energetico se hanno lo stesso numero quantico principale. In altre parole, un livello energetico
è un insieme di orbitali aventi lo stesso numero quantico principale n;
• il numero quantico di momento angolare l. È un numero associato al momento angolare che
l’elettrone ha nel suo moto intorno al nucleo. Può assumere come valori i numeri interi da 0 a n–1.
Insieme al numero quantico n, contribuisce a determinare l’energia di un orbitale. All’interno di
uno stesso livello energetico (cioè per orbitali che hanno lo stesso valore di n), hanno energia mag-
giore gli orbitali con un valore piú alto di l. Il numero l determina anche la «forma» degli orbitali,
come vedremo piú in dettaglio nel paragrafo 4.8.2;
• il numero quantico magnetico ml. È un numero che determina l’orientazione del vettore momen-
to angolare dell’elettrone (fig. IV.23.). Può assumere come valori i numeri interi che sono compre-
si fra – l e + l.
Determina l’orientazione degli orbitali nello spazio, come vedremo piú in dettaglio nel paragrafo
4.8.2. Non ha invece nessun ruolo nel determinare il valore dell’energia per l’atomo isola-
to: orbitali che hanno lo stesso valore di n e di l, ma diversi valori di ml, hanno tutti la stessa
energia.

z z L’elettrone è in moto intorno al nucleo, cioè rimane nella


regione di spazio che ha il nucleo al suo centro e si muove
in essa. Ha pertanto un momento angolare. Lo abbiamo
ml = +2 già incontrato nel modello di Bohr.
ml = +1
Il momento angolare è una grandezza vettoriale. Lo rap-
presentiamo quindi con un vettore (a). Come tutte le gran-
ml = 0 dezze vettoriali, è caratterizzato da un valore che ne espri-
ml = –1
me la misura (rappresentato dalla lunghezza del vettore),
da una direzione e da un verso.
ml = –2 Il momento angolare dell’elettrone nell’atomo è quantizza-
to, cioè può assumere soltanto certi valori. Tali valori sono
determinati dal numero quantico l. L’orientazione del vet-
(a) (b) tore è anch’essa quantizzata, ed è determinata dal numero
quantico ml. Questo significa che ad ogni valore di ml corrisponde un’orientazione possibile, mentre
altre orientazioni non sono permesse.
La figura (b) illustra il caso in cui l = 2. Allora ml può assumere i valori –2, –1, 0, +1, +2, e il vettore
momento angolare può assumere le cinque orientazioni mostrate.

FIG. IV.23. Il momento angolare dell’elettrone e i numeri quantici l ed ml.

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


La teoria atomica moderna. Gli orbitali atomici
4 171

Il numero ml viene chiamato magnetico perché è collegato al modo con cui un atomo interagisce
con un campo magnetico. Se un atomo viene posto in un campo magnetico, orbitali con diversi va-
lori di ml e uguali valori di l e n vengono ad avere energia diversa (mentre nell’atomo fuori dal
campo avevano la stessa energia).

4.8.2. Forma e simboli degli orbitali atomici


Come abbiamo detto, la «forma» degli orbitali atomici è determinata dal numero quantico l. Orbita-
li con lo stesso valore di l hanno la stessa forma29, anche se si protendono piú o meno distanti dal
nucleo a seconda del valore di n. Per convenzione, li si denota con una stessa lettera.
Conviene considerare insieme la forma degli orbitali atomici corrispondente ai vari valori di l e la
lettera con cui li si denota, per imparare ad associare immediatamente una certa forma a una certa
lettera-simbolo.
Quando l = 0, l’orbitale ha forma sferica. Viene indicato con la lettera s.
Quando l = 1, ciascun orbitale ha la forma di due lobi opposti l’uno all’altro rispetto al punto in cui
si trova il nucleo. Ciascuno dei tre orbitali è diretto lungo una delle tre direzioni dello spazio. Orbi-
tali con l = 1 vengono indicati con la lettera p. Quando è importante specificarne l’orientazione nel-
lo spazio, si aggiunge la specificazione dell’asse e li si indica rispettivamente come px, py e pz.
Quando l = 2, la forma è diversa a seconda dei diversi valori di ml . L’orbitale con ml = 0 (orbitale dz2)
ha la forma di due lobi diretti lungo l’asse z, opposti l’uno all’altro rispetto al nucleo, piú un anello
che ha il nucleo al suo centro. Gli altri orbitali sono costituiti da quattro lobi, opposti due a due e
con orientazioni diverse per orbitali diversi. Orbitali con l = 2 vengono indicati con la lettera d.
Quando l = 3, la forma degli orbitali è piuttosto complessa. Orbitali con l = 3 vengono indicati con la
lettera f.
La figura IV.24. mostra la forma degli orbitali di tipo s, p e d, la figura IV.25. illustra l’andamento
delle probabilità di trovare l’elettrone al loro interno.

Le «dimensioni» degli orbitali dipendono dal numero quantico principale. Piú alto è il numero quan-
tico principale, piú l’orbitale si protende lontano dal nucleo. Cosí, ad esempio, gli orbitali s hanno
tutti forma sferica, ma l’orbitale s con n = 2 ha raggio maggiore dell’orbitale s con n = 1; l’orbitale s
con n = 3 ha raggio maggiore dell’orbitale s con n = 2, e cosí via (fig. IV.25.). Un discorso analogo si
può fare per gli altri tipi di orbitali.

Gli orbitali si denotano scrivendo il numero quantico principale (che indica il livello energetico a cui
l’orbitale appartiene) seguito dalla lettera che indica il valore del numero quantico l. Cosí 2s signifi-
ca «orbitale di tipo s (cioè con l = 0) del secondo livello energetico (n = 2)»; 3d significa «orbitale di
tipo d del terzo livello energetico (n = 3)»; e cosí via.
Ricordiamo anche che i singoli livelli energetici vengono a volte denotati con lettere maiuscole, a
partire dalla lettera K (che denota il primo livello), e poi L, M, N, etc.

4.8.3. I sottolivelli
Abbiamo visto che, nell’atomo isolato, il valore dell’energia corrispondente a un orbitale dipende dai
numeri quantici n ed l che caratterizzano quell’orbitale. Siccome per un dato valore di n sono pos-
sibili diversi valori di l, all’interno di uno stesso livello energetico sono possibili diversi valori di
energia, in corrispondenza dei diversi valori di l. Ciascuno di questi valori di energia viene a costi-
tuire un sottolivello. Spesso un sottolivello viene indicato con la stessa lettera che si usa per il cor-
rispondente valore di l: si parla quindi di sottolivello p, sottolivello d, etc.

29. Questo è in effetti un discorso semplificato, ma si tratta chimici» abituali.


di un’approssimazione accettabile nell’ambito dei «discorsi

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


La teoria atomica moderna. Gli orbitali atomici
4 173

z z z

x x x
y y y

orbitale 1s orbitale 2s orbitale 3s

z z z

x x x
y y y

orbitale 2px orbitale 2py orbitale 2pz

z z

x x
y y

orbitale 3dx2 –y2 orbitale 3dz2

z z z

x x x
y y y

orbitale 3dxy orbitale 3dxz orbitale 3dyz

FIG. IV.25. Andamento della densità di probabilità in alcuni orbitali atomici.

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


174 4 L’atomo

Inoltre, nell’atomo isolato l’energia di un orbitale non dipende dal numero quantico ml. Orbitali con
valori uguali di n e di l e diverso valore di ml hanno forma e orientazione diversa (sono descritti da
funzioni matematiche diverse), ma hanno la stessa energia. Si dice che questi orbitali sono degeneri.
Per ogni valore di l si ha quindi un certo numero di orbitali aventi la stessa energia. Il loro numero è
determinato dal numero di valori possibili per il numero quantico ml.
Quando l = 0, il numero quantico ml può assumere soltanto il valore 0; quindi ci sarà un solo orbi-
tale di tipo s per ogni livello energetico.
Quando l = 1, il numero quantico ml può assumere tre valori: –1, 0 e +1. Gli orbitali di tipo p sono
quindi presenti tre alla volta.
Quando l = 2, il numero quantico ml può assumere cinque valori: –2, –1, 0, +1, +2. Gli orbitali di ti-
po d sono quindi presenti cinque alla volta.
Quando l = 3, il numero quantico ml può assumere sette valori: –3, –2, –1, 0, +1, +2, +3. Gli orbi-
tali di tipo f sono quindi presenti sette alla volta.

All’interno di uno stesso livello energetico hanno energia maggiore gli orbitali corrispondenti a un
valore piú alto del numero l. Quindi all’interno di uno stesso livello energetico gli orbitali di tipo p
hanno energia maggiore degli orbitali di tipo s, gli orbitali di tipo d hanno energia maggiore degli or-
bitali di tipo p, gli orbitali di tipo f hanno energia maggiore degli orbitali di tipo d.

4.8.4. Gli orbitali atomici in ordine di energia crescente


A questo punto, abbiamo tutte le informazioni che ci servono per poter descrivere l’insieme degli or-
bitali in un atomo. Per maggiore chiarezza, passeremo inizialmente in rassegna gli orbitali livello per
livello, cominciando dal livello energetico piú basso (quello con n = 1), e considerando i possibili va-
lori di l e di ml per ogni livello:
primo livello energetico: n = 1
In questo caso il numero quantico l può assumere soltanto il valore 0. Si ha quindi un solo orbitale,
di tipo s, che indichiamo con 1s.
secondo livello energetico: n = 2
In questo caso il numero quantico l può assumere i valori 0 e 1. A l = 0 corrisponde l’orbitale 2s; a
l = 1 corrispondono i tre orbitali 2p.
terzo livello energetico: n = 3
In questo caso il numero quantico l può assumere i valori 0, 1, 2. A l = 0 corrisponde l’orbitale 3s; a
l = 1 corrispondono i tre orbitali 3p; a l = 2 corrispondono i cinque orbitali 3d.
quarto livello energetico: n = 4
Il numero quantico l può assumere i valori 0, 1, 2, 3.
A l = 0 corrisponde l’orbitale 4s; a l = 1 corrispondono i tre orbitali 4p; a l = 2 corrispondono i cin-
que orbitali 4d; a l = 3 corrispondono i sette orbitali 4f.
Si procede in modo analogo per gli altri livelli energetici. Possiamo riassumere schematicamente le
informazioni precedenti in una specie di tabella:
n = 1 l = 0 ml = 0 orbitale 1s
n = 2 l = 0 ml = 0 orbitale 2s
l = 1 ml = –1, 0, +1 orbitali 2p
n = 3 l = 0 ml = 0 orbitale 3s
l = 1 ml = –1, 0, +1 orbitali 3p
l = 2 ml = –2, –1, 0, +1, +2 orbitali 3d
n = 4 l = 0 ml = 0 orbitale 4s

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


La teoria atomica moderna. Gli orbitali atomici
4 175

l = 1 ml = –1, 0, +1 orbitali 4p
l = 2 ml = –2, –1, 0, +1, +2 orbitali 4d
l = 3 ml = –3, –2, –1, 0, +1, +2, +3 orbitali 4f
n = 5 l = 0 ml = 0 orbitale 5s
l = 1 ml = –1, 0, +1 orbitali 5p
l = 2 ml = –2, –1, 0, +1, +2 orbitali 5d
l = 3 ml = –3, –2, –1, 0, +1, +2, +3 orbitali 5f
....... .............................................. ...................
Risulta evidente da questa tabella che gli orbitali di tipo s sono presenti in tutti i livelli energetici; gli
orbitali di tipo p sono presenti a partire dal secondo livello; quelli di tipo d a partire dal terzo livello;
quelli di tipo f a partire dal quarto. La tabella IV.6. offre un quadro riassuntivo delle informazioni ri-
guardo ai tipi di orbitali e riguardo ai livelli in cui compare ciascun tipo30.

La figura IV.26. presenta un diagramma che considera gli orbitali atomici in ordine di energia cre-
scente. Questo diagramma evidenzia alcuni aspetti importanti per quanto riguarda il confronto del-
l’energia dei vari sottolivelli, e precisamente:
• gli orbitali di tipo d hanno energia leggermente piú alta dell’orbitale s del livello con il numero
quantico n immediatamente successivo. Cosí gli orbitali 3d hanno energia piú alta dell’orbitale 4s;
gli orbitali 4d hanno energia piú alta dell’orbitale 5s; e cosí via;
• gli orbitali di tipo f hanno energia leggermente piú alta dell’orbitale di tipo s con numero quantico
principale maggiore di due unità rispetto a quello dell’orbitale f stesso. Cosí gli orbitali 4f hanno
energia piú alta dell’orbitale 6s e gli orbitali 5f hanno energia piú alta dell’orbitale 7s.

Non è facile visualizzare la struttura dell’atomo in un’unica immagine che tenga conto dei vari orbi-
tali. La figura IV.27. presenta un tentativo in tal senso. Immagini di questo tipo sono comunque
estremamente semplificate rispetto alla complessità della situazione reale.

4.8.5. Orbitali atomici e densità di probabilità


La densità di probabilità ci dà indicazioni sulla probabilità di trovare l’elettrone in una data zona di
spazio. Essa ha andamento diverso per orbitali atomici diversi. In uno stesso orbitale, varia a seconda
della distanza dal nucleo e, per gli orbitali con l ≠ 0, anche a seconda dell’orientazione nello spazio.
Questo significa che in uno stesso orbitale ci sono una o piú zone in cui la densità di probabilità ha

valore del numero simbolo con cui si numero di orbitali livello energetico
quantico l denotano gli orbitali degeneri nel sottolivello a cui iniziano ad
corrispondenti essere presenti
0 s 1 n=1
1 p 3 n=2
2 d 5 n=3
3 f 7 n=4

TAB. IV.6. Orbitali atomici e numero quantico l. Schema riassuntivo.

30. Gli orbitali che presentiamo qui sono quelli piú importanti dono orbitali denotati come g. Tali orbitali non sono però occu-
per la descrizione degli atomi. In effetti, esistono altri orbitali per pati da elettroni negli stati piú comuni degli atomi e, quindi, non
valori del numero l maggiori di 3. Ad esempio, ad l = 4 corrispon- li consideriamo.

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


176 4 L’atomo

7p
6d 7p
5f 6d
7s 5f
7s

6p
5d 6p
4f 5d
6s
4f
6s

5p
4d 5p
5s
4d
5s
energia crescente

4p
3d 4p
4s 3d
4s

3p
3p
3s
3s

2p
2p
2s
2s

1s
1s

FIG. IV.26. Orbitali atomici in ordine di energia crescente.


Ogni orbitale è rappresentato simbolicamente da una sferetta. Si è usato lo stesso colore per tutti gli orbitali apparte-
nenti a uno stesso livello energetico. I rettangoli colorati sulla destra permettono un confronto rapido dell’energia dei va-
ri sottolivelli. I corrispondenti simboli, letti dal basso verso l’alto, danno l’ordine di riempimento degli orbitali atomici.

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


La teoria atomica moderna. Gli orbitali atomici
4 177

valori alti (raggiunge un massimo) e zone in cui ha valori piú bassi. Quando la distanza dal nucleo au-
menta considerevolmente, la densità di probabilità diminuisce fino a diventare molto vicina allo zero.
La figura IV.25. illustra l’andamento della densità di probabilità per alcuni orbitali atomici, in modo
pittorico: dove i puntini sono piú fitti, la densità di probabilità è maggiore, e quindi è maggiore la pro-
babilità di trovare l’elettrone; dove i puntini sono meno fitti, la densità di probabilità è minore.

Per approfondire il discorso, scegliamo un esempio concreto, quello degli orbitali di tipo s dei primi
tre livelli energetici, cioè gli orbitali 1s, 2s e 3s. Oltre alle prime tre immagini della figura IV.25. (che
riguardano appunto questi tre orbitali), consideriamo anche i grafici della figura IV.28., che mostra-
no l’andamento della densità di probabilità in funzione della distanza dal nucleo.

z
1s
2s
2p
3s
3p

FIG. IV.27. Visualizzazione dell’atomo in termini di orbitali atomici.


La figura mostra gli orbitali 1s, 2s, 3s, 2p e 3p. Orbitali diversi sono rappresentati con puntini di colore diverso. Per sem-
plicità di schematizzazione, non si sono disegnati gli orbitali 2py e 3py, i cui lobi dovrebbero trovarsi sopra e sotto il pia-
no del foglio.

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


178 4 L’atomo

Per quanto riguarda l’orbitale 1s, il grafico mostra un massimo della densità di probabilità a una cer-
ta distanza dal nucleo, corrispondente alla zona con i puntini piú fitti nell’immagine della figura
IV.25. Poi, la densità di probabilità di trovare l’elettrone diminuisce man mano che aumenta la di-
stanza dal nucleo.
Il grafico relativo all’orbitale 2s presenta due massimi di densità di probabilità, uno vicino al nucleo,
uno (molto piú accentuato) un po’ piú distante. A questi due massimi corrispondono le due zone con
i puntini piú fitti nell’immagine della figura IV.25.
Il grafico relativo all’orbitale 3s presenta tre massimi, a tre diverse distanze dal nucleo. Nella corri-
spondente immagine della figura IV.25. si hanno tre zone concentriche con i puntini piú fitti.
Questo esempio ci mostra chiaramente che per orbitali dello stesso tipo, e, quindi, con la stessa
«forma» (come gli orbitali 1s, 2s, 3s), ma con numero quantico principale diverso, l’andamento del-
la probabilità di trovare l’elettrone al loro interno è diverso.

Il dover parlare in termini di probabilità di trovare l’elettrone in un dato punto o in una data zona si le-
ga alla doppia natura dell’elettrone, come particella e come onda. Quanto abbiamo spiegato finora ren-
de evidente come sia difficile costruire un’immagine visualizzabile degli atomi che tenga conto di tutti
gli aspetti importanti della loro descrizione. Gli aspetti piú difficili da visualizzare sono appunto quelli
densità di probabilità

densità di probabilità

densità di probabilità

r r r
orbitale 1s orbitale 2s orbitale 3s
probabilità

probabilità

probabilità

r r r
orbitale 1s orbitale 2s orbitale 3s

FIG. IV.28. Andamento della densità di probabilità e della probabilità di trovare l’elettrone in funzione della
distanza (r) dal nucleo, per gli orbitali 1s, 2s e 3s.
I due andamenti sono molto simili, eccetto che per la regione nelle immediate vicinanze del nucleo (quando il valore di r
è molto vicino a zero), dove la densità di probabilità ha un valore maggiore di zero, mentre la probabilità è molto piú pic-
cola e diviene zero quando r = 0 (ricordiamo che la probabilità si ottiene moltiplicando la densità di probabilità per il vo-
lume considerato; quando r = 0, anche il volume è 0).

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


La teoria atomica moderna. Gli orbitali atomici
4 179

che si legano alla doppia natura dell’elettrone. Non fa parte dell’esperienza comune l’idea di una parti-
cella piccolissima, della quale non si può dire esattamente dove si trovi, e che, comportandosi anche co-
me onda, riesce in qualche modo a «riempire» uno spazio enorme rispetto alle sue dimensioni31 (non di-
mentichiamo che il volume di un atomo è praticamente il volume della sua nube elettronica32, perché
il nucleo occupa una parte di spazio estremamente piccola in confronto al volume dell’atomo).
Nel seguito del testo tratteremo l’elettrone come una particella. Questa è una semplificazione per-
fettamente accettabile per gli scopi che ci interessano, cioè per lo studio delle proprietà chimiche
dei vari elementi. È però importante essersi resi conto che la situazione è in realtà molto piú
complessa.

4.8.6. Il numero quantico di spin


Abbiamo visto che l’elettrone possiede un momento angolare, dovuto al suo moto all’interno del-
l’atomo e al fatto che questo moto non è rettilineo, ma si svolge intorno al nucleo. Viene spesso chia-
mato momento angolare orbitale, nome che ricorda il moto su orbite previsto da Bohr. Questo mo-
mento è quantizzato: il suo valore assoluto dipende dal numero quantico l, le possibili orientazioni
del vettore che lo rappresenta dipendono dal numero quantico ml (fig. IV.23.).
Oltre a questo, l’elettrone possiede pure un momento angolare proprio o intrinseco, a cui si è dato il
nome di spin. Anche il momento angolare intrinseco è quantizzato: i suoi valori dipendono dal
numero quantico di spin (ms), che può assumere soltanto i due33 valori opposti + 1 e – 1 .
2 2
Lo spin determina le proprietà magnetiche proprie dell’elettrone.
Lo spin è un altro degli aspetti del mondo microscopico che non siamo in grado di visualizzare o
illustrare con un’immagine. Anche l’immagine proposta in passato che lo spin sia collegato a una
rotazione dell’elettrone su se stesso (un po’ come la Terra gira intorno al suo asse) è suggestiva, ma
non corrisponde alla situazione reale (per rendersene conto, basta ricordare che l’elettrone, nel-
l’atomo, si comporta prevalentemente come onda, e un’onda non è certo qualcosa che possa ruota-
re su se stessa). L’unica cosa corretta che si può dire è che lo spin è una proprietà dell’elettrone:
come l’elettrone ha una massa e una carica, cosí ha anche uno spin34.
Quando si vuole tener conto dello spin, si rappresenta l’elettrone con una piccola freccia. Quando due
o piú elettroni hanno lo stesso numero quantico di spin, si dice che hanno spin paralleli; li si rappre-
senta con due frecce parallele orientate nello stesso modo. Quando due elettroni hanno numero
quantico di spin opposto, si dice che hanno spin opposti o spin antiparalleli; li si rappresenta con
due frecce parallele aventi orientazione opposta:

spin paralleli spin antiparalleli


Lo stato di un elettrone nell’atomo è caratterizzato da quattro numeri quantici: n, l, ml, ms. I primi
tre numeri sono legati all’orbitale nel quale si trova l’elettrone, il quarto è legato alle proprietà in-
trinseche dell’elettrone stesso.

31. A rigore, si può parlare di «dimensioni» dell’elettrone («di- corrispondente a l è svolto dal numero quantico di spin s, il cui
mensioni» nel senso di volume occupato) soltanto quando esso unico valore possibile per l’elettrone è –. Il numero ms può assu-
si comporta come particella. All’interno dell’atomo, dove il mere i valori di ± s. Nella descrizione della situazione degli elet-
comportamento di onda è prevalente, non ha senso parlare di troni nell’atomo, ci interessa di piú ms, per cui facciamo abitual-
dimensioni dell’elettrone, perché non è possibile parlare di di- mente riferimento ai suoi valori come valori dello spin.
mensioni di un’onda. 34. L’elettrone non è l’unica particella dotata di spin. Tutte le
32. Spesso si usa il termine nube elettronica o nuvola elettronica particelle elementari hanno un loro spin. Si distinguono in due
per indicare l’effetto della presenza degli elettroni nell’atomo, grandi categorie: quelle per cui lo spin assume valori seminteri
cioè il fatto che ci sia uno spazio «riempito» in qualche modo da (cioè espressi da frazioni con denominatore 2) e quelle per cui lo
una carica elettrica negativa. spin assume valori interi. Le prime vengono chiamate fermioni,
33. In effetti, ms ha per lo spin il ruolo che ml ha per il momento le seconde bosoni.
angolare orbitale (come illustrato in fig. IV.23.), mentre il ruolo

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


180 4 L’atomo

4.9. La configurazione elettronica degli elementi


4.9.1. Come gli elettroni occupano gli orbitali
Gli orbitali sono stati possibili per gli elettroni in un atomo. Quando un elettrone è in uno di questi
stati, diciamo che «occupa» il dato orbitale.
In un atomo, gli elettroni non occupano gli orbitali in modo casuale, ma secondo criteri che possia-
mo esprimere attraverso le seguenti regole:
1) ordine di energia crescente: gli elettroni occupano gli orbitali a partire da quello con energia piú
bassa e proseguendo con gli altri orbitali in ordine di energia crescente.
Questo significa che un orbitale non viene occupato se prima non sono stati occupati tutti quelli
con energia minore. L’ordine di energia crescente è quello che possiamo leggere dal basso verso
l’alto nella colonna di destra della figura IV.26.;
2) principio di esclusione di Pauli: secondo questo principio, in un atomo non possono esserci due
elettroni che abbiano tutti e quattro i numeri quantici uguali.
Gli elettroni che si trovano su uno stesso orbitale hanno valori uguali per i numeri quantici n, l, ml;
devono quindi avere valori diversi del numero quantico di spin, ms. Siccome questo numero può
( )
assumere soltanto due valori diversi + 1 e – 1 , ne segue che in un orbitale non possono esserci
2 2
piú di due elettroni, e questi devono avere spin opposto;
3) regola di Hund: secondo questa regola, quando sono disponibili orbitali con lo stesso valore di
energia, gli elettroni tendono a occuparne il maggior numero possibile. Gli elettroni che sono da
soli in due o piú orbitali hanno spin parallelo.
Orbitali con la stessa energia (orbitali degeneri) sono gli orbitali di uno stesso sottolivello. Ad
esempio, se in un atomo ci sono tre elettroni che devono occupare gli orbitali di tipo p di uno
stesso livello energetico, questi elettroni si distribuiscono uno per orbitale; cioè si avrà la situa-
zione , e non la situazione (dove ogni trattino indica un
orbitale).

In base a queste regole, è facile conoscere il numero massimo di elettroni che possono occupare un
sottolivello:
• in un sottolivello di tipo s possono esserci al massimo due elettroni (perché tale sottolivello è co-
stituito da un solo orbitale);
• in un sottolivello di tipo p possono esserci al massimo sei elettroni (due per ciascuno dei tre orbi-
tali del sottolivello);
• in un sottolivello di tipo d possono esserci al massimo dieci elettroni (due per ciascuno dei cinque
orbitali d);
• in un sottolivello di tipo f possono esserci al massimo quattordici elettroni (due per ciascuno dei
sette orbitali f).

4.9.2. La configurazione elettronica


La configurazione elettronica di un elemento è il modo con cui gli elettroni occupano gli orbitali
nell’atomo di quell’elemento.
Conoscerla è facile. Il numero atomico dell’elemento ci dice qual è il numero di elettroni presenti. I
criteri che abbiamo visto ci permettono di stabilire quali orbitali sono occupati.
Per rappresentare la configurazione elettronica di un atomo, si scrivono i simboli di tutti i sottoli-
velli occupati, in ordine di energia crescente, e in alto a destra di ciascun simbolo si scrive il nume-
ro di elettroni presenti in quel sottolivello.

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


La configurazione elettronica degli elementi
4 181

Vedremo ora alcuni esempi di configurazione elettronica. Per maggior chiarezza ci serviremo anche
di disegni, rappresentando gli orbitali con dei trattini orizzontali.

■ Configurazione elettronica del calcio (Z = 20).


Il numero atomico ci informa che nell’atomo di calcio ci sono 20 elet- 4s
troni. Se consideriamo gli orbitali atomici in ordine di energia crescente
e teniamo presente che non possono esserci piú di due elettroni per or-
3p
bitale, otteniamo la situazione rappresentata dal diagramma sulla destra
(nel diagramma sono rappresentati soltanto gli orbitali occupati). 3s
Quindi la configurazione elettronica del calcio è
2p
1s2 2s2 2p6 3s2 3p6 4s2
2s
Come si vede, i primi tre livelli energetici sono completamente occupati;
nel livello piú esterno (il quarto) ci sono solo due elettroni.
1s
■ Configurazione elettronica dell’arsenico (Z = 33).
Il numero atomico ci informa che nell’atomo di arsenico ci sono 33 elettroni. Gli orbitali occupati sono rap-
presentati nel seguente diagramma:

4p
3d
4s

3p
3s

2p
2s

1s
e quindi la configurazione elettronica dell’arsenico è 1s2 2s2 2p6 3s2 3p6 4s2 3d10 4p3.

Ovviamente, non è necessario disegnare ogni volta il diagramma degli orbitali atomici occupati. È
sufficiente tenere presente la sequenza degli orbitali atomici in ordine di energia crescente:
1s 2s 2p 3s 3p 4s 3d 4p 5s 4d 5p 6s 4f 5d 6p 7s 5f 6d 7p
e il numero di elettroni che ogni sottolivello può contenere, e «riempire» i sottolivelli, a partire dal pri-
mo, fino a che il numero di elettroni considerati è uguale al numero atomico dell’atomo che interessa.
È molto importante saper risalire alla configurazione elettronica degli elementi, perché le proprietà
chimiche di un elemento dipendono dal numero di elettroni presenti nel livello energetico piú ester-
no, come vedremo dettagliatamente nei prossimi capitoli.

4.9.3. Il sistema di livelli energetici di ogni atomo


Abbiamo già anticipato che ogni atomo possiede un suo sistema di livelli energetici e di orbitali. Ve-
diamo ora il significato di questo discorso, pur rimanendo nell’ambito dell’approssimazione spiegata
nel paragrafo 4.7.4.4.
La successione degli orbitali atomici in ordine di energia crescente è quella presentata nella figura
IV.26. Uno stesso orbitale, però, può avere energia diversa in atomi diversi (fig. IV.29.). Inoltre, in
atomi diversi può essere diversa la differenza di energia fra due dati orbitali (fig. IV.29.,b).

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


182 4 L’atomo

2p 2p

2s
energia crescente

energia crescente
2p

1s
2s

1s 2s

atomo di atomo di atomo di atomo di


litio idrogeno carbonio ossigeno
(a) (b)
FIG. IV.29. Confronto fra i valori di energia di uno stesso orbitale in atomi diversi.
La figura (a) mostra che l’orbitale 1s dell’atomo di idrogeno ha energia maggiore dell’orbitale 1s dell’atomo di litio.
La figura (b) mostra che gli orbitali 2s e 2p dell’atomo di ossigeno hanno energia minore degli orbitali 2s e 2p del-
l’atomo di carbonio. Inoltre, la differenza di energia fra l’orbitale 2s e gli orbitali 2p è maggiore nell’atomo di ossigeno
e minore nell’atomo di carbonio.

4.9.4. Stato fondamentale e stati eccitati


Quando gli elettroni occupano gli orbitali in ordine di energia crescente, senza eccezioni, la configura-
zione elettronica risultante è quella che consente all’atomo di avere la situazione energetica piú favore-
vole, cioè l’energia totale piú bassa possibile35. Si dice allora che l’atomo è nel suo stato fondamentale.
Se l’atomo riceve dall’esterno energia in quantità sufficiente, uno o piú elettroni possono passare a
orbitali con energia piú alta di quelli che abitualmente occupano nello stato fondamentale. L’energia
totale dell’atomo viene ad essere maggiore di quella che ha nello stato fondamentale. Si dice allora
che l’atomo è in uno stato eccitato.
Gli elettroni che erano passati a orbitali con energia piú alta tendono poi a tornare agli orbitali con
energia piú bassa. Quando lo fanno, emettono energia sotto forma di radiazione elettromagnetica.
Sono le radiazioni che possono essere identificate negli spettri degli atomi (par. 4.5.2).
Quando non si specifica altrimenti, si considera lo stato fondamentale degli atomi.

4.10. La teoria atomica moderna. Il nucleo


Come abbiamo già detto, il comportamento chimico degli elementi è determinato dalla loro configu-
razione elettronica e, soprattutto, dalla situazione nel livello energetico esterno. Pertanto, la discus-
sione dei fenomeni che interessano il chimico è soprattutto una discussione in termini di elettroni,
come potremo vedere nel seguito del corso.
Per avere, però, un quadro completo della struttura dell’atomo, è importante conoscere anche i fe-
nomeni che riguardano il nucleo. È ciò di cui ci occuperemo in questo paragrafo. In tal modo, po-
tremo anche completare il discorso iniziato con la discussione della radioattività e il ruolo che la sua
scoperta ha avuto nel far progredire le conoscenze sull’atomo.
35. È una regola generale che un sistema fisico tenda ad assume- energia (corrispondente al massimo di stabilità).
re quella situazione che gli permette di avere il valore minimo di

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


La teoria atomica moderna. Il nucleo
4 183

4.10.1. La radioattività
4.10.1.1. La stabilità dei nuclei
Come abbiamo già detto, il nucleo degli atomi è costituito da protoni e neutroni (par. 4.4.). Fra tutte
queste particelle agisce una forza di attrazione di grande intensità, chiamata forza forte (una delle for-
ze nucleari). Fra i protoni, elettricamente carichi, agisce anche la forza di repulsione elettrostatica.
La forza forte ha intensità circa cento volte maggiore della forza elettrostatica, ma agisce soltanto a
distanze brevissime. Un nucleo è stabile se l’effetto complessivo della forza forte supera l’effetto
complessivo della forza di repulsione fra i protoni.
La presenza dei neutroni (elettricamente neutri) ha un ruolo determinante nell’attenuare l’effetto
della repulsione fra protoni. Eccetto che nel caso dell’idrogeno (dove il nucleo consiste soltanto di
un protone), il numero di neutroni nel nucleo è uguale o maggiore del numero di protoni. Per i nu-
clei piú leggeri, è sufficiente (ai fini della stabilità) che il numero di neutroni sia uguale al numero di
protoni. Quando il nucleo contiene piú di 20 protoni, il numero di neutroni deve essere maggiore del
numero di protoni perché il nucleo sia stabile.
Si è visto che c’è una fascia di valori del rapporto fra numero di neutroni e numero di protoni per cui
i nuclei sono stabili. Per valori al di fuori di questa fascia, i nuclei non sono stabili. Nessun nucleo
contenente piú di 83 protoni è stabile.
I nuclei instabili emettono particelle e si trasformano in altri nuclei, fino a raggiungere una situazio-
ne stabile. Si dice che decadono, e il fenomeno dell’emissione di particelle viene chiamato decadi-
mento del nucleo. Le particelle emesse (e anche l’energia, quando viene emessa) costituiscono delle
radiazioni o raggi; i nuclei che le emettono vengono chiamati radioattivi (par. 4.2.2.). La trasfor-
mazione avviene in modi diversi, a seconda della causa che genera instabilità nel nucleo. Li consi-
dereremo separatamente nei prossimi paragrafi.
Quando si considerano i nuclei e i fenomeni che li riguardano, è importante specificare il numero di
protoni e di neutroni presenti36. Si indicano quindi sempre il numero atomico e il numero di massa
accanto al simbolo dell’elemento. Una notazione analoga si usa per le particelle elementari: in que-
sto caso, in alto a sinistra si indica la massa e in basso a sinistra la carica della particella. La massa
dell’elettrone viene approssimata a zero:
1p = protone 1n = neutrone 0
1 0 –1e = elettrone
Le trasformazioni nucleari (reazioni nucleari) vengono rappresentate mediante equazioni analoghe
alle equazioni chimiche: a sinistra della freccia si scrive il simbolo del nucleo di partenza, a destra
quello del nucleo che si origina dalla reazione e quello delle particelle emesse.

4.10.1.2. Il decadimento β
Quando l’instabilità è dovuta al fatto che il rapporto fra il numero di neutroni e il numero di protoni è
troppo alto (cioè se nel nucleo il numero di neutroni è piú alto rispetto a quella che potrebbe essere
una situazione stabile), il nucleo emette una particella β, cioè un elettrone. Si può pensare che un neu-
trone si scinda in un protone e un elettrone; l’elettrone viene emesso e il protone rimane nel nucleo. In
questo modo il numero di massa non cambia (non cambia la somma dei protoni e dei neutroni); però
vengono ad esserci un neutrone in meno (quello che si è trasformato) e un protone in piú rispetto al
nucleo di partenza. Il numero atomico è quindi aumentato di una unità, e l’elemento di partenza si è
trasformato nell’elemento con numero atomico maggiore di una unità.
Un esempio è il decadimento dell’isotopo radioattivo del carbonio37, il carbonio-14.

36. Una specie atomica con un numero atomico e un numero di presente in natura; nel suo nucleo ci sono 6 protoni e 6 neutroni;
massa specificati viene chiamata nuclide. è un isotopo stabile, cioè non è radioattivo. Nell’isotopo con mas-
37. Come abbiamo già visto, quasi tutti gli elementi comprendo- sa atomica 14, il nucleo contiene 6 protoni e 8 neutroni: il nume-
no diversi isotopi, alcuni naturali, altri artificiali. Alcuni di questi ro di neutroni è troppo alto rispetto alla situazione stabile: l’iso-
isotopi sono radioattivi. Nel caso del carbonio, l’isotopo piú diffu- topo 14C è quindi radioattivo.
so è il carbonio 12, che costituisce il 98,9% di tutto il carbonio

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


184 4 L’atomo

Il nucleo del 14C è costituito da 6 protoni e 8 neutroni. Emettendo un elettrone, viene ad avere 7
protoni e 7 neutroni, cioè diviene un nucleo di azoto38:
14 C
6 ⎯⎯→ 14 N
7
0e
+ –1

4.10.1.3. La cattura K
Quando il rapporto fra il numero di neutroni e il numero di protoni è troppo basso perché il nucleo
sia stabile, il nucleo cattura uno degli elettroni che lo circondano nell’atomo. In genere cattura un
elettrone dal livello energetico piú basso e, siccome questo livello è denotato con la lettera K, il
fenomeno viene chiamato cattura K. Uno degli elettroni dei livelli piú esterni va poi a occupare
il «posto» lasciato libero dall’elettrone catturato dal nucleo e, in questo processo, viene emessa ener-
gia sotto forma di raggi X39. L’elettrone catturato dal nucleo si associa a un protone dando origine a
un neutrone. Nel nucleo vengono quindi ad esserci un neutrone in piú e un protone in meno rispet-
to alla situazione di partenza. L’atomo si è cosí trasformato in un atomo dell’elemento con numero
atomico minore di una unità. Il numero di massa rimane invariato, perché non è cambiato il totale
della somma del numero di protoni piú il numero di neutroni.
In questo caso, il fenomeno non viene chiamato decadimento perché non vengono emesse particel-
le, ma soltanto energia.
Come esempio possiamo considerare l’isotopo 37 dell’argon. Il nucleo di questo isotopo è costituito
da 18 protoni e 19 neutroni. Con la cattura K si trova ad avere 17 protoni e 20 neutroni, cioè si tra-
sforma nell’isotopo 37 del cloro:
cattura K
37Ar
18 ⎯⎯⎯→ 37Cl
17

4.10.1.4. Il decadimento α
Per i nuclei con numero atomico da 84 in poi
(cioè per i nuclei che contengono piú di 83 proto-
ni) l’instabilità è dovuta al fatto che in essi ci sono
troppi protoni perché le forze nucleari riescano a
tenerli insieme in modo stabile. In questo caso, il
nucleo emette particelle α (cioè nuclei di elio,
4 He, costituiti da 2 protoni e 2 neutroni) e, quin-
2
di, cambiano sia il numero di protoni sia il nume-
ro di massa.
A volte è sufficiente l’emissione di una sola par-
ticella α perché il nucleo diventi stabile; è que-
sto, ad esempio, il caso del polonio, che emet-
L’età dei reperti archeologici viene stabilita in base al tempo di
tendo una particella α si trasforma in piombo: dimezzamento del carbonio-14, isotopo radioattivo del car-
212Po
84 ⎯⎯→ 208Pb
82 + 4 He
2
bonio. Si determina la percentuale di carbonio radioattivo an-
cora presente nel reperto, e la si confronta con la percentuale
Altre volte, invece, prima di arrivare a una situa- che è normale in natura. La percentuale del reperto è sempre
zione stabile sono necessari diversi stadi e l’emis- minore di quella naturale. Si calcola poi, in base al tempo di
sione sia di particelle α sia di particelle β. È il dimezzamento, quanto tempo è stato necessario per produrre
la diminuzione constatata della percentuale di carbonio ra-
caso dell’uranio. Il processo complessivo del de- dioattivo; questo tempo è l’età dell’oggetto.
cadimento radioattivo dell’uranio è presentato
schematicamente nella figura IV.30.40.

38. L’azoto è l’elemento con numero atomico 7. l’elemento che le emette. I raggi γ sono onde elettromagnetiche
39. I raggi X sono radiazioni elettromagnetiche ad alta energia ad altissima energia. Vengono emesse dai nuclei che si trovano
(vedi anche par. 4.2.2.). in uno stato energetico eccitato. Spesso accompagnano anche
40. In questo paragrafo non abbiamo parlato di radiazioni γ per- l’emissione di raggi β.
ché esse non fanno variare né la massa né il numero atomico del-

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


La teoria atomica moderna. Il nucleo
4 185

235
92
U

emissione di una particella α

231
90
Th

emissione di una particella β

231
91
Pa

emissione di una particella α

227
89
Ac
può venire emessa prima una
particella α e poi una particella
223
87
Fr 227
90
Th β (percorso di sinistra), oppure
prima una particella β e poi una
particella α (percorso di destra)
223
88
Ra

emissione di una particella α

219
86
Rn

emissione di una particella α

215
84
Po

emissione di una particella α

211
82
Pb

emissione di una particella β

211
83
Bi
può venire emessa prima una
particella α e poi una particella
207
81
Tl 211
84
Po β (percorso di sinistra), oppure
prima una particella β e poi una
particella α (percorso di destra)
207
82
Pb il piombo 207 è stabile

FIG. IV.30. Schema del decadimento radioattivo dell’isotopo 235 dell’uranio.

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


186 4 L’atomo

4.10.1.5. Il tempo di dimezzamento


L’emissione di radiazioni, e la conseguente trasformazione di un elemento in un altro, non avvengo-
no con la stessa velocità per tutti i nuclei. Per confrontare la velocità nei vari casi si considera il tem-
po di dimezzamento, cioè il tempo necessario perché si trasformi metà della quantità iniziale del-
l’elemento radioattivo.
Ogni isotopo radioattivo ha un suo tempo di dimezzamento caratteristico, che rimane costante qua-
lunque sia la quantità di partenza. Ad esempio, il tempo di dimezzamento del 14C è di 5730 anni; se
si parte da un grammo di 14C, dopo 5730 anni ne rimane mezzo grammo, e il resto si è trasformato;
se si parte da 10 grammi di 14C, dopo 5730 anni ne rimangono 5 grammi; e cosí via.
Esistono elementi radioattivi con tempi di dimezzamento molto lunghi, come l’isotopo 235 dell’ura-
nio (4,5 miliardi di anni). Altri hanno tempi di dimezzamento dell’ordine delle migliaia di anni, co-
me il 14C. Altri ancora lo hanno di pochi giorni o di poche ore (l’isotopo 24 del sodio ha un tempo di
dimezzamento di 15 ore). Altri, infine, hanno un tempo di dimezzamento di piccolissime frazioni
di secondo, come il polonio, che ha un tempo di dimezzamento di 3 · 10–7 secondi (cioè tre decimi-
lionesimi di secondo).

4.10.2. La fusione nucleare


La fusione nucleare è un processo per cui due nuclei si uniscono insieme a formare un unico nucleo.
Questo processo può avvenire soltanto a temperature altissime, come quelle che si hanno nelle stel-
le (milioni di gradi). In tali condizioni, la materia è allo stato di plasma (par. 2.10.4.). In questo stato
non esistono piú singoli atomi, ognuno con i propri elettroni. Gli elettroni non appartengono piú ai
singoli atomi, ma nuclei ed elettroni sono mescolati insieme e si muovono tutti a velocità altissima.
L’enorme energia cinetica dei nuclei permette loro di urtarsi e di poter reagire (se avessero energia
cinetica minore, non potrebbero arrivare a urtarsi, perché la repulsione elettrica sarebbe prevalen-
te e impedirebbe loro di avvicinarsi oltre un certo limite).
La fusione nucleare produce quantità enormi di energia.
L’energia emessa dalle stelle (compresa l’energia che riceviamo dal Sole) è prodotta in massima
parte da una reazione di fusione nucleare: la fusione di due nuclei di idrogeno per dare un nucleo
di elio. La figura IV.31. illustra uno dei meccanismi con cui avviene questa reazione. Oltre a quel-
la dell’idrogeno, nelle stelle avvengono altre fusioni nucleari che producono nuclei di vari ele-
menti.

4.10.3. L’energia dei fenomeni nucleari


Tutti sappiamo che alcune reazioni nucleari vengono utilizzate per la produzione di energia e che la
convenienza economica (determinata dall’enorme quantità di energia che si può ottenere da picco-
le quantità di materiale) ha spinto alla costruzione di centrali nucleari. Vogliamo ora vedere da che
cosa si origina una tale quantità di energia. Per capirlo, dobbiamo prima considerare gli aspetti ener-
getici riguardanti i nuclei.

4.10.3.1. L’energia di legame del nucleo


I nuclei sono costituiti da protoni e da neutroni. Si è constatato un fatto a prima vista sorprendente:
la massa di un nucleo è sempre minore della somma delle masse delle particelle che lo costituiscono.
Consideriamo come esempio il caso dell’elio. La massa di un nucleo di elio è 4,00150 u.m.a. La mas-
sa di un protone isolato è 1,00728 u.m.a. La massa di un neutrone isolato è 1,00867 u.m.a. Nel nu-
cleo di elio ci sono due protoni e due neutroni. La somma della massa di due protoni e della massa
di due neutroni isolati è
(2 · 1,00728 u.m.a.) + (2 · 1,00867 u.m.a.) = 4,03190 u.m.a.

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


La teoria atomica moderna. Il nucleo
4 187

Il deuterio è un isotopo dell’idrogeno. Il suo


+ + nucleo è costituito da un protone ( ) e da
un neutrone ( ).
deuterio deuterio tritio idrogeno
A temperature altissime (milioni di gradi) due
2
H +
2
H
3
H +
1
H nuclei di deuterio possono reagire per dare
1 1 1 1
luogo a un nucleo di tritio (l’altro isotopo del-
l’idrogeno) e un nucleo di idrogeno.

Il nucleo di tritio, a sua volta, si unisce con un altro nucleo


+
di deuterio per dare un nucleo costituito da due protoni e
tre neutroni, cioè un nucleo di un isotopo dell’elio con
massa atomica 5. (Nella figura i due protoni e i tre neutro-
3
H +
2
H
5
He ni sono stati posti l’uno accanto all’altro per semplicità di
1 1 2
schematizzazione. In effetti, dobbiamo immaginarli come
raggruppati a costituire una forma sferica).

+ Il nucleo 52He è instabile. Appena si forma, emette imme-


diatamente un neutrone per trasformarsi in un nucleo di
elio-4 (42He), che è stabile.
5 4 1
He He + n
2 2 0

REAZIONE GLOBALE Se consideriamo il processo nel suo insieme, vediamo che si


sono consumati due nuclei di deuterio e si è ottenuto un nu-
cleo di elio (il protone liberato nel primo stadio può unirsi al
neutrone liberato nel terzo stadio per dare un altro nucleo di
deuterio, che compensa quello utilizzato nel secondo stadio).

2 4
2 1H 2
He
FIG. IV.31. Illustrazione di uno dei meccanismi con cui avviene
la fusione di due nuclei di deuterio per dare un nucleo di elio.

Questa somma è maggiore della massa del nucleo di elio. La differenza fra le due è pari a
(4,03190 u.m.a.) – (4,00150 u.m.a.) = 0,03040 u.m.a.
e viene chiamata difetto di massa del nucleo di elio.
Che cosa è successo alla massa che manca? La risposta ci viene da una delle conseguenze della teo-
ria della relatività di Einstein: massa ed energia possono trasformarsi l’una nell’altra e sono legate
dalla relazione (chiamata equazione di Einstein)
E = m c2 [4.9]
dove c è la velocità della luce (3,00 · 108 m s–1).
La massa «scomparsa» è la fonte dell’energia che si libera quando si forma un nucleo di elio a parti-
re da due protoni e due neutroni, cioè quando avviene il processo
2 11p + 2 10n ⎯⎯→ 2 He
4
Dato che il processo libera energia, il nucleo di elio è piú stabile del sistema costituito da due proto-
ni e due neutroni separati.
Per far avvenire il processo inverso, cioè per scindere il nucleo di elio separando le particelle che lo
costituiscono
4H ⎯⎯→ 2 1 p + 2 1 n
2 1 0

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


188 4 L’atomo

si deve spendere una quantità di energia pari a quella liberata nel processo di formazione del nucleo.
Questa quantità di energia viene chiamata energia di legame del nucleo41.

4.10.3.2. L’energia liberata dalla fusione nucleare


Come abbiamo già detto, la fusione nucleare libera quantità enormi di energia.
Consideriamo di nuovo come esempio la reazione di fusione nucleare di due nuclei di deuterio per
dare un nucleo di elio (fig. IV.31.):
2 21H ⎯⎯→ 42He
La massa del nucleo di deuterio è 2,01345 u.m.a. La massa di due nuclei di deuterio è quindi
2 · 2,01345 u.m.a. = 4,02690 u.m.a. La massa del nucleo di elio è 4,00150 u.m.a.
La fusione dei due nuclei di deuterio comporta quindi la «scomparsa» di una quantità di massa pari
a 4,02690 u.m.a. – 4,00150 u.m.a. = 0,02540 u.m.a.
Quando si forma una mole di nuclei di elio, la massa totale che «scompare» è di 0,02540 g, o
2,540 · 10–5 kg. Usiamo l’equazione di Einstein per calcolare l’energia che si sviluppa da questa massa:
E = m c2 = (2,50 · 10–5 kg) (3,00 · 108 m s–1)2 = 2,29 · 1012 J
Questo valore corrisponde a una quantità enorme di energia. Per farcene un’idea, ricordiamo che, ad
esempio, dalla combustione di una mole di metano si ottengono «soltanto» 890 000 J di energia42.

4.10.3.3. L’energia liberata dal decadimento radioattivo


Il decadimento radioattivo dei nuclei instabili è accompagnato da emissione di energia. L’energia si
origina dalla trasformazione di massa in energia. Possiamo quindi calcolarla considerando la massa
dei singoli nuclei in gioco e utilizzando l’equazione di Einstein.
Consideriamo come esempio il primo stadio del decadimento radioattivo dell’uranio-235 (fig.
IV.30.). Il processo è rappresentato dall’equazione
235U ⎯⎯→ 231Th + 4 He
92 90 2
La massa di un nucleo di 235U è 234,9934 u.m.a., la massa di un nucleo di 231Th è 230,9869 u.m.a.,
e quella di un nucleo di elio è 4,0015 u.m.a. La somma degli ultimi due valori (che insieme costi-
tuiscono la massa totale dei prodotti della reazione) è: 230,9869 u.m.a. + 4,0015 u.m.a. =
= 234,9884 u.m.a. Questo valore è minore della massa di un nucleo di 235U e, quindi, il processo è
stato accompagnato da una diminuzione di massa pari a
(234,9934 u.m.a.) – (234,9884 u.m.a.) = 0,0050 u.m.a.
Quando una mole di 235 231 –6
92U decade a 90Th, la diminuzione di massa è 0,0050 g cioè 5,0 · 10 kg, e
produce una quantità di energia pari a
(5,0 · 10–6 kg) (3,00 · 108 m s–1)2 = 4,5 · 1011 J

4.10.4. Reazioni nucleari provocate dall’uomo


Le reazioni nucleari che abbiamo considerato finora sono reazioni che avvengono in natura. La sco-
perta delle reazioni che coinvolgono il nucleo ha messo in evidenza due possibilità importanti:

41. Le definizioni che abbiamo visto ora sono del tutto generali. bile. Ad esempio, la combustione di una mole di carbonio, cioè la
L’energia di legame di un nucleo è l’energia necessaria per separa- reazione C + O2 → CO2, sviluppa una quantità di energia pari a
re i singoli protoni e neutroni che lo costituiscono. Il difetto di 393 500 J. La massa che «scompare» in questo processo è
massa di un nucleo è la differenza fra la massa del nucleo e la som- m = E/c2 = (–393 500 J) / (3,00 · 108 m s–1)2 = –4,37 · 10–12 kg.
ma delle masse dei protoni e dei neutroni che lo costituiscono. Piú Si tratta di una quantità troppo piccola, che nessuna bilancia
alti sono i valori di queste due grandezze, piú un nucleo è stabile. analitica può determinare. Questa quantità corrisponderebbe al-
42. Anche l’energia in gioco nelle reazioni chimiche potrebbe es- la differenza fra la massa totale dei prodotti e la massa totale dei
sere riportata alla trasformazione massa-energia e viceversa: ma reagenti, ma, proprio perché è cosí piccola, le nostre bilance con-
la variazione di massa sarebbe troppo piccola per essere misura- tinueranno a confermare la legge di Lavoisier.

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


La teoria atomica moderna. Il nucleo
4 189

• la possibilità che alcuni elementi si trasformino in altri;


• la possibilità di ottenere quantità di energia enormemente maggiori di quelle ottenibili con al-
tri mezzi.
È ovvio che gli scienziati abbiano cercato di mettere a punto procedimenti per sfruttare tali possibi-
lità, con reazioni provocate dall’uomo. Considereremo i due campi di applicazione piú importanti, e
precisamente:
• la «creazione» di elementi e isotopi che non esistono in natura;
• le reazioni utilizzate nelle centrali nucleari.

4.10.4.1. La produzione di nuovi elementi


In natura non sono stati identificati elementi con numero atomico maggiore di 92 (il numero atomi-
co dell’uranio).
Nel 1940 gli scienziati, bombardando con neutroni veloci l’isotopo 238 dell’uranio, produssero il pri-
mo elemento nuovo, il nettunio. Quando il nucleo di 238U viene colpito dai neutroni veloci, acquista
un neutrone diventando 239U. Questo nucleo è instabile e decade con emissione β, dando luogo a un
elemento con numero atomico 93, il nettunio:
239U
92 ⎯⎯→ 239Np
93 + e–
A sua volta anche il nettunio decade con emissione β, e dà luogo a un elemento con numero atomi-
co 94, il plutonio:
239Np ⎯⎯→ 239Pu + e–
93 94
Con procedimenti analoghi sono stati prodotti in laboratorio diversi elementi nuovi e parecchi iso-
topi nuovi degli elementi già conosciuti. Si tratta di specie instabili, che, una volta prodotte, deca-
dono spontaneamente. Molte di loro, però, incontrano applicazioni tecnologiche.

4.10.4.2. La fissione nucleare


La fissione nucleare è la rottura di un nucleo in-
stabile provocata bombardando quel nucleo con
neutroni: si ottengono due nuclei aventi masse
abbastanza simili, e alcuni neutroni che posso-
no, a loro volta, bombardare altri nuclei. Si dice
che la reazione procede a catena. Questo termi-
ne significa che fra i prodotti della reazione ci
sono specie in grado di far continuare la reazio-
ne stessa. Per comprendere meglio come avvie-
ne il processo, consideriamo un caso concreto,
quello dell’uranio-235 (fig. IV.32.). È possibile
individuare due tipi di «eventi» nel processo:
1) un neutrone colpisce un atomo di 235U ed en-
tra nel suo nucleo; si forma cosí l’isotopo
236U;

2) il nucleo di 236U è instabile, e si scinde rapi-


damente in due nuclei piú piccoli. Questi, in
totale, contengono tutti i 92 protoni del nu-
cleo di partenza, e quasi tutti i neutroni. Però
alcuni neutroni (da 1 a 3, a seconda dei pro-
dotti che si sono formati dalla scissione) ven-
gono emessi come neutroni liberi, che posso-
no colpire altri atomi di uranio e provocarne
Centrale elettronucleare di Dompierre nella Loiret.
la rottura.

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


190 4 L’atomo

Un neutrone colpisce un nucleo di 235U e si unisce ad esso (un nu-


cleo di uranio-235 contiene 92 protoni e 143 neutroni).

Si ottiene cosí un nucleo di 236U.

Il nucleo di 236U è instabile e si scinde in due nuclei piú piccoli.

Zr Da questa scissione si ottengono un nucleo di 137


52Te, un nucleo di
Te 97Zr e 2 neutroni.
40

FIG. IV.32. Schema del processo di fissione nucleare dell’235U.


Si considera il caso in cui dalla fissione si ottengono tellurio e zirconio.
Un nucleo di 235U contiene 92 protoni e 143 neutroni; un nucleo di 137Te contiene 52 protoni e 85 neutroni; un nucleo di
97Zr contiene 40 protoni e 57 neutroni. La somma dei protoni dei due nuclei ottenuti (52 + 40) è uguale a 92, cioè al
numero di protoni presenti nel nucleo dell’235U. La somma dei neutroni dei due nuclei ottenuti piú i 2 neutroni liberi
(85 + 57 + 2) è uguale alla somma dei neutroni presenti nell’235U piú il neutrone utilizzato per bombardarlo (143 + 1).

A questo punto, è chiaro il significato di reazione a catena: l’evento (2) produce delle specie (i neu-
troni liberi) che sono in grado di produrre l’evento (1); questo, a sua volta, genera le specie che subi-
scono l’evento (2). I due eventi, quindi, si generano reciprocamente, l’uno di seguito all’altro (fig.
IV.33.).
Con il procedere della reazione, il numero di neutroni liberi in grado di colpire atomi di uranio di-
viene rapidamente molto elevato.
La specie a cui si fa subire la fissione viene chiamata materiale fissile.
Se il materiale fissile è concentrato in poco spazio, la reazione a catena si propaga con rapidità estre-
ma, fino a dare luogo a un’esplosione molto violenta. È quello che si verifica nella bomba atomica.
Nei reattori nucleari usati per la produzione di energia, la reazione si svolge in condizioni controlla-
te. Il materiale fissile è mescolato a materiali moderatori (acqua pesante o grafite) che assorbono
parte dell’energia dei neutroni e li rallentano. Inoltre, nel reattore possono essere introdotte piú o
meno profondamente alcune sbarre di cadmio che, essendo in grado di assorbire neutroni, permet-
tono di controllare la velocità dell’intero processo.

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


La storia
4 191

FIG. IV.33. Propagazione della catena in una


reazione di fissione nucleare.
Si considera la reazione schematizzata nella figura
IV.32. Le sferette azzurre rappresentano i nuclei di
uranio, le sferette piccole rosse rappresentano i
neutroni. Non si sono indicati i nuclei degli ele-
menti che si formano dalla fissione dell’uranio.

4 La storia. L’atomo, da ipotesi teorica a oggetto di studio


N el capitolo 3 abbiamo visto la teoria atomistica di
Dalton (proposta all’inizio del XIX secolo) e il suo ruo-
tamente un oggetto in parti sempre piú piccole, oppu-
re esiste un limite a questo processo. Il filosofo Leu-
cippo (V sec. a.C.) affermò che c’è un limite e che, di
lo nella spiegazione delle leggi delle reazioni chimi- conseguenza, esistono particelle di materia che non
che. In questo capitolo abbiamo studiato le moderne possono essere suddivise.
conoscenze sull’atomo. Per poterle capire chiaramen- Il suo discepolo Democrito chiamò queste particelle
te, abbiamo ripercorso la storia che ha portato all’ela- atomi, che in greco significa appunto «indivisibili».
borazione del modello attuale di atomo, partendo dal Democrito ipotizzò che gli atomi di elementi diversi
finire del secolo XIX, quando nuove scoperte posero ai differiscono per forma e dimensioni, e che le sostanze
fisici il problema della struttura dell’atomo. sono costituite da atomi di elementi diversi, che si ag-
L’idea che la materia sia costituita da atomi risale pe- gregano in qualche modo.
rò a tempi molto piú antichi. È interessante rivedere Gli atomi sono sempre in moto per loro natura. Quan-
le idee principali, dall’antichità a prima di Dalton, per- do si incontrano, possono unirsi l’uno all’altro, dando
ché costituirono parte integrante dello sviluppo della origine alle varie sostanze. Sostanze diverse differisco-
chimica. Descriveremo inoltre alcuni procedimenti no per il tipo e il numero di atomi che le costituiscono,
usati dai chimici per determinare le masse atomiche. ma possono anche differire semplicemente per la di-
sposizione reciproca degli atomi. Una sostanza si può
trasformare in un’altra se cambia il tipo di atomi che la
Le teorie atomistiche della materia costituiscono, o il modo in cui si aggregano. Tutte le
proprietà delle sostanze sono determinate dal tipo di

G li antichi atomisti greci. Già alcuni fra i primi fi-


losofi si erano chiesti se è possibile dividere indefini-
atomi e dal modo in cui si associano.

Il poema di Lucrezio. Queste teorie furono riprese

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


192 4 L’atomo

anche dal filosofo greco Epicuro e poi divulgate dal te costituite da particelle elementari che sono simili
poeta latino Lucrezio nel poema La natura delle fra loro, ma la cui figura è sconosciuta.
cose. Il poema ha una funzione didascalica, cioè si È però ottimista per il futuro e si rende conto che una
pone l’obiettivo di insegnare (nel caso specifico, di in- chiave fondamentale per la soluzione del problema
segnare la teoria atomistica). Lucrezio spiega le ragio- sta nella matematica:
ni che portano a concludere che la materia è costitui-
ta da atomi, discute le possibili obiezioni e propone La posterità, con l’aiuto di calcoli, potrà schiudere
spiegazioni, in termini di atomi, per molti dei feno- questo nuovo campo della conoscenza e appurare
meni allora conosciuti. con considerevole precisione le figure delle particelle
Le teorie atomistiche, però, non incontrarono molti degli elementi.
consensi perché nei secoli successivi e nella filosofia Particelle descritte dalla matematica. Nel 1758 Bo-
cristiana Aristotele fu considerato la massima autori- scovich propone un modello nuovo di particelle. Le
tà, ed egli aveva energicamente respinto l’atomismo. sue particelle sono punti fisici, analoghi a punti mate-
matici e tutti uguali fra di loro. Diverse disposizioni
La riscoperta del poema. Durante il Medio Evo, molte spaziali dei punti danno origine a sostanze o cose di-
conoscenze dell’antichità furono trascurate o dimenti- verse. I punti sono in moto continuo, per cui la loro
cate. Con il fiorire dell’Umanesimo, un nuovo interes- disposizione reciproca cambia nel tempo.
se spinse gli studiosi a cercare di recuperare le opere Boscovich studia le possibili interazioni fra i punti
antiche e apprendere le conoscenze che esse racchiu- con un approccio matematico (lo vedremo breve-
devano. Nel 1417 l’umanista Poggio Bracciolini scoprí mente dopo il cap. 6). Il suo modello è interessante
in un monastero un manoscritto completo del poema proprio per il ruolo che assegna alla matematica nella
di Lucrezio. L’idea della natura corpuscolare della ma- descrizione del mondo microscopico.
teria ritorna ad essere discussa da filosofi e scienziati.
I chimici la usano spontaneamente come ipotesi scon-
tata che unica è in grado di consentire un’interpreta-
zione dei fenomeni che osservano nei loro laboratori. La determinazione
Sono dei chimici a proclamarla e sostenerla anche di
fronte all’opposizione di alcune autorità religiose.
delle masse atomiche
La forma delle particelle. L’idea che le proprietà delle
sostanze siano determinate da quelle delle particelle M asse atomiche dai rapporti di combinazione. Dopo
che Dalton attribuí importanza principale al peso 43
che le costituiscono spinge alla ricerca di ipotesi sulla
natura del collegamento. Si ritiene che la proprietà degli atomi, nasceva inevitabilmente il compito di deter-
principale delle particelle sia la loro forma, e si cerca di minare il peso degli atomi dei singoli elementi. Le de-
indovinare quali «forme» possano essere responsabili terminazioni sperimentali dell’epoca di Dalton si basa-
di ciascuna delle proprietà osservate. Le proposte sono vano sui rapporti in peso secondo i quali gli elementi si
varie. Ad esempio, possiamo leggere di atomi tondeg- combinano nei composti. Come termine di riferimento
gianti come responsabili del sapore dolce di certe venne scelto l’atomo dell’idrogeno, alla cui massa fu at-
sostanze, o di atomi appuntiti come costituenti delle tribuito il valore 1. Rimanevano però molte incertezze
sostanze acide. Per capire le ragioni di queste ipotesi, nella determinazione, soprattutto perché in parecchi
dobbiamo tenere presente che allora non si conosceva casi non era chiaro quanti atomi di ogni elemento fos-
l’esistenza della carica elettrica e, quindi, si riteneva sero presenti nella molecola di un dato composto.
che tutti i fenomeni dovessero avere spiegazioni di tipo Ad esempio, Dalton pensava che la molecola di acqua
meccanico. Si sapeva che gli acidi hanno sapore pun- fosse costituita da un atomo di idrogeno e un atomo di
gente e possono attaccare i metalli, e sembrava ragio- ossigeno. Siccome nell’acqua il rapporto fra la quantità
nevole pensare che questi effetti dovessero essere cau- di idrogeno e la quantità di ossigeno è di 1:8, ne con-
sati da particelle dotate di punte aguzze. cluse che l’atomo di ossigeno avesse massa 8. In segui-
Con l’aumentare delle conoscenze e l’estendersi del to si scoprí che nella molecola di acqua ci sono due
metodo scientifico, spiegazioni di questo tipo comin- atomi di idrogeno e un atomo di ossigeno e, quindi, la
ciarono ad apparire inadeguate, perché non dimo- massa dell’atomo di ossigeno risultò pari a 16.
strabili. Nella seconda metà del XVIII secolo i chimici
non formulano piú ipotesi sulle particelle, ma si con- La legge di Dulong e Petit. Nel 1818 il chimi-
centrano sulla raccolta di dati sperimentali. La consa- co francese Pierre-Louis Dulong e il fisico francese
pevolezza delle limitazioni imposte dalla mancanza Alexis-Thérese Petit scoprirono che il prodotto della
di strumenti teorici e pratici adeguati è espressa da massa atomica di un elemento per il suo calore speci-
Buffon (1765): fico vale approssimativamente 6,3.
Questa legge è valida soltanto per i solidi – e nemmeno
Siamo ignoranti riguardo alle figure delle particelle per tutti –, ma permetteva di avere un’idea approssi-
che costituiscono i corpi. L’acqua, l’aria, la terra, i me- mativa dei valori dei pesi atomici, e ciò fu di grande
talli, e tutte le sostanze omogenee sono indubbiamen- aiuto nella loro determinazione.

43. Allora si parlava piú frequentemente di «pesi atomici», senza molta attenzione alla distinzione fra massa e peso.

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


La storia
4 193

idrogeno cloro
FIG. IV.34. Esempio di utilizzazione del principio di Avogadro per la determinazione delle masse atomiche.
Consideriamo due volumi uguali di idrogeno e di cloro, nelle stesse condizioni di pressione e temperatura. Sappiamo
quindi che essi contengono lo stesso numero di molecole. Determinazioni di altro tipo informano che sia l’idrogeno che
il cloro sono costituiti da molecole biatomiche.
Se pesiamo i due gas, troviamo che il peso del cloro è 35,5 volte quello dell’idrogeno. Possiamo allora concludere che la
massa di un atomo di cloro è 35,5 volte la massa di un atomo di idrogeno.

Per comprenderne meglio il ruolo, consideriamo un del secolo XX dal chimico americano Theodore Wil-
esempio concreto. Supponiamo che per un elemento liam Richards.
X la legge di Dulong e Petit preveda una massa atomi-
ca di circa 107. Dallo studio di un composto di X, nella Il termine di riferimento. Abbiamo già discusso (par.
molecola del quale si suppone inizialmente che sia pre- 1.2.6.) la necessità di scegliere, per esprimere il valore
sente un solo atomo di X, si ricava invece una massa delle masse atomiche, un termine di riferimento con-
atomica di circa 216. Dal confronto dei due valori si è veniente. A questo scopo, si assegna valore arbitrario
costretti a concludere che nel composto considerato alla massa dell’atomo scelto come riferimento, e con
sono presenti due atomi di X e non uno (perché 216 è essa si confrontano le masse degli altri atomi.
circa doppio di 107). Quindi 216 è la massa di due ato- La scelta del termine di riferimento ha conosciuto al-
mi di X, e la massa atomica di X è 216/2 = 108. cuni cambiamenti. All’idrogeno (la scelta iniziale)
venne sostituito l’ossigeno, al cui atomo fu attribuita
Determinazioni sistematiche. Il lavoro piú importan- massa 16. Nel 1961 il carbonio fu scelto come riferi-
te fu quello del chimico svedese Jöns Jakob Berzelius. mento e l’unità di massa atomica venne definita come
Utilizzando sia la legge di Dulong e Petit sia quella di un dodicesimo della massa di un atomo di carbonio.
Gay-Lussac, Berzelius rideterminò sperimentalmente
la composizione quantitativa di molti composti, per
avere dati piú precisi su cui basare il calcolo delle
masse atomiche. Nel 1828 pubblicò una tabella di
masse atomiche che, a parte poche eccezioni, riporta
valori molto vicini a quelli attuali.
L’ipotesi di Avogadro avrebbe potuto costituire un va-
lido aiuto per la determinazione delle masse atomi-
che (fig. IV.34.), ma per vari anni le polemiche ne
ostacolarono l’utilizzazione. Solo nel 1858 il chimico
italiano Stanislao Cannizzaro ne metterà pienamente
in luce l’importanza e le applicazioni.
Negli anni successivi, molti altri chimici si occuparo-
no della determinazione delle masse atomiche. Le de-
terminazioni piú accurate furono effettuate all’inizio

Jöns Jakob Berzelius medico e chimico svedese. Effettuò l’analisi quantitativa di


oltre duemila composti inorganici e utilizzò i dati per risalire ai valori delle masse
atomiche degli elementi. Mise a punto diversi apparecchi e procedimenti tuttora
usati nel laboratorio chimico.

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


194 4
Verifica le tue competenze
L’atomo
In una situazione ideale, il progresso delle conoscenze scientifiche
dovrebbe essere accompagnato da un progresso parallelo e altrettanto
importante dell’etica. In mancanza di questo, la conoscenza può essere
sfruttata per scopi che si volgono contro il benessere e la vita delle
persone o contro l’ambiente in cui viviamo.
Il progresso delle conoscenze sull’atomo costituisce un esempio
chiarissimo. Da una parte, ci sono impieghi benevoli, come l’impiego di
radiazioni per la cura dei tumori. Dall’altra, il nome stesso di atomo ha
finito con l’associarsi all’immagine terrificante del fungo prodotto dalla
bomba atomica, il piú terribile strumento di distruzione inventato finora.

Studiando e riflettendo
si parla di «molecole di aria». Come interpreteresti que-
Dall’atomo indivisibile all’atomo dotato
sto termine?
di struttura
d) Perché la carica dell’elettrone viene considerata la
carica elementare?
1 La parola atomo viene dalla lingua greca e signi-
7 a) Quando si dice che una sostanza è radioatti-
fica «indivisibile». Il significato etimologico della pa-
va?
rola si adatta al modello atomico di Dalton? E al no-
b) Elenca i tipi di radiazione emessi da una sostanza
stro?
radioattiva.
2 a) Perché nelle ipotesi atomistiche dall’antichità c) Sai che una certa sostanza è radioattiva, ma non sai
a quella di Dalton (compresa) l’atomo era considerato quale tipo di radiazione emette. Come procederesti
indivisibile? per scoprirlo?
b) Che cosa spinse fisici e chimici a riconsiderare que- d) Quali sono le differenze fondamentali:
sta ipotesi? ! fra i raggi α e i raggi β
" fra i raggi α e β da una parte, e i raggi γ dall’altra?
3 Elenca i fenomeni che hanno fatto capire che
esistevano particelle piú piccole dell’atomo. e) ! Qual è l’unità di misura della carica elettrica nel
Sistema Internazionale?
4 a) Che cosa si intende per scarica nei gas? " Che cosa significa dire che «la carica elettrica delle
b) Descrivi l’apparecchio utilizzato per gli esperimenti particelle α è +2»?
sulla conducibilità elettrica dei gas. # Qual è il valore di questa carica nell’unità di misura
c) Supponi di voler studiare la conducibilità elettrica del Sistema Internazionale?
del neon. Come procederesti? 8 a) Ordina le seguenti particelle in ordine di mas-
d) Descrivi i fenomeni osservati dagli scienziati che
sa crescente:
per primi studiarono la scarica nei gas. ! elettrone
e) Spiega che cosa sono i raggi catodici. " neutrone
f) Gli esperimenti con i tubi di Crookes (fig. IV.2.) per- # particella α
misero di identificare alcune proprietà fondamentali $ protone.
dei raggi catodici. Descrivi individualmente questi
b) Ordina le stesse particelle in ordine di carica elettri-
esperimenti e spiega le informazioni ottenute da cia-
ca crescente.
scuno di essi.
g) Come si chiamano le particelle che costituiscono i
raggi catodici?
I primi modelli atomici
5 a) Che cosa si intende per particelle elementari?
b) Quali sono le proprietà fondamentali delle particel- 9 Una volta stabilito che l’atomo è costituito da
le elementari? particelle piú piccole:
c) Quale unità di misura si usa abitualmente per espri- a) quale problema si poneva per l’elaborazione del mo-
mere la massa delle particelle elementari? dello?
6 a) Descrivi l’esperienza di Millikan. b) Come era possibile cercare risposte:
! a livello teorico
b) Spiega perché era importante che l’elettrone aderisse
" a livello sperimentale?
a una particella «grossa», come una gocciolina di olio.
c) Nella descrizione dell’esperienza di Millikan (fig. IV.3.) 10 Descrivi il modello atomico di Thomson.

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


Verifica le tue competenze
4 195

11 Descrivi l’esperienza di Rutherford. a) Numero atomico


b) numero di massa
12 Qualcuno ha paragonato l’idea centrale dell’espe- c) numero di protoni
rienza di Rutherford alle tecniche usate da certe guar- d) numero di neutroni
die di un tempo per scoprire se nelle balle di cotone o e) numero di elettroni.
di fieno (o comunque di materiali soffici), trasportate
26 Nell’elenco che segue, la lettera X sta al posto del
attraverso le dogane, fossero nascosti oggetti da con-
trabbandare. Le guardie semplicemente sparavano al- simbolo di un elemento. L’elenco comprende gli isoto-
cuni colpi contro le malcapitate balle. Se l’interno fosse pi di sette elementi diversi.
a) 126 X 37X
e) 17 39X
i) 18 m) 168X
stato «omogeneo», cioè non vi fossero stati oggetti du-
ri nascosti, tutti i proiettili sarebbero usciti allo stesso 35
b) 17 X f) 5X
11 j) 47X
109 n) 188X
modo. Altrimenti... Sapresti spiegare bene tutte le ana- 40X 25X 32X
logie fra il modo di ragionare delle guardie e quello di
c) 18 g) 12 k) 16 47X
o) 107
d) 5X
10 h) 6X
14 26
l) 12 X 24
p) 12 X
Rutherford?
13 Spiega perché l’esperienza di Rutherford dimostra: ! Raggruppa insieme gli isotopi di uno stesso elemento.
" Quando hai raggruppato tutti gli isotopi dei sette
a) che nell’atomo la massa e la carica positiva sono
concentrate nella parte centrale; elementi, cerca a quale elemento corrisponde X in cia-
b) che questa parte centrale ha dimensioni enorme- scuno dei casi.
mente piú piccole di quelle dell’atomo.
14 Spiega come si arrivò a stabilire che esiste una Gli spettri degli elementi
particella positiva dotata di carica elettrica con lo stes-
so valore assoluto di quella dell’elettrone.
27 a) Che cosa è lo spettro di un elemento?
b) Come si ottengono sperimentalmente gli spettri?
La struttura dell’atomo c) Qual è la caratteristica principale dell’aspetto degli
spettri degli elementi?
15 a) Elenca le particelle che costituiscono l’atomo. 28 Spiega perché il fatto che gli spettri degli elemen-
b) Descrivi la struttura fondamentale dell’atomo. ti sono discontinui non era in accordo con le leggi del-
16 Che cosa è il numero atomico? la fisica classica.
29 Gli spettri si ottengono quando atomi che hanno
17 Che cosa rende un elemento diverso da un altro?
ricevuto energia dall’esterno la riemettono sotto forma
18 Che cosa è il numero di massa? di radiazione elettromagnetica. In certi casi, parte di
19 Quali sono le particelle che determinano la mas- questa radiazione «cade nel visibile», è cioè costituita
sa di un atomo? Perché? da onde che hanno una delle lunghezze d’onda che il
nostro occhio può percepire (radiazioni di questo tipo
20 a) Spiega quali, fra le seguenti grandezze, hanno vengono chiamate onde luminose o luce). È però co-
sempre valori espressi da numeri interi (supponi di stituita solo da uno dei colori che normalmente com-
usare per la massa e per la carica le unità atomiche, e pongono la luce bianca, cioè da uno dei colori dell’ar-
non quelle del Sistema Internazionale): cobaleno.
! numero atomico
Nel capitolo 1 abbiamo visto che molti metalli imparti-
" numero di massa
scono una particolare colorazione alla fiamma. Ricor-
# massa atomica
diamo che la fiamma fornisce energia. Sapresti trovare
$ carica elettrica di una particella.
un collegamento tra due fenomeni come la formazione
b) Prova a dare una giustificazione alle risposte prece- degli spettri e la colorazione della fiamma? Tieni pre-
denti. sente che, ad esempio, la riga piú importante nello
21 Se conosci il numero atomico di un elemento, spettro del sodio è una riga gialla molto marcata, e il
puoi conoscere: sodio colora la fiamma di un giallo intenso.
a) il numero di protoni
b) il numero di neutroni
c) il numero di elettroni Il modello atomico di Bohr
d) la massa atomica.
22 Perché il numero atomico ha un ruolo fonda- 30 Che cosa si intende per fisica classica?
mentale nella descrizione dell’atomo? 31 Il modello di atomo proposto da Rutherford non
23 Che cosa sono gli isotopi? era in accordo con le leggi della fisica classica. Perché?
24 Gli isotopi sono forme diverse di uno stesso ele- 32 Le difficoltà legate al modello atomico di Ruther-
mento, e non elementi diversi. Perché? ford finirono col provocare, alla fine del XIX secolo,
25 Quali, fra le seguenti caratteristiche, sono uguali quella che venne chiamata «crisi della fisica». Sapresti
spiegare il motivo fondamentale della «crisi»?
per tutti gli isotopi di uno stesso elemento, e quali so-
no diverse? 33 Bohr introdusse nel modello dell’atomo un’ipotesi

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


196 4 L’atomo

nuova, che era appena comparsa nella fisica. Come si 45 Confronta il concetto di orbita (considerando
chiama questa ipotesi? come esempio le orbite circolari del modello di Bohr) e
34 Che cosa significa dire che una certa grandezza è quello di orbitale, considerando i seguenti aspetti:
quantizzata? a) le dimensioni disponibili per il moto dell’elettrone;
35 Descrivi il modello atomico di Bohr. b) la possibilità di conoscere esattamente la distanza
dell’elettrone dal nucleo in un dato istante;
36 Spiega il significato dei seguenti termini o con- c) la possibilità per l’elettrone di «riempire» il volume
cetti nel modello atomico di Bohr: dell’atomo.
a) quantizzazione del momento angolare dell’elettrone 46 Particelle e onde sono due enti ben diversi per la
b) numero quantico fisica classica. Una particella è costituita da materia,
c) livello energetico ha una massa, occupa una porzione ben definita e li-
d) raggio di Bohr. mitata di spazio. Si può dire lo stesso per un’onda?
37 Il modello atomico di Bohr dà conto del fatto che Spiega e, se puoi, fai qualche esempio.
l’elettrone non va a finire sul nucleo, anche se ne è at- 47 Che cosa intendiamo dicendo che l’elettrone ha
tratto. Sapresti spiegare perché? doppia natura?
38 a) I valori di energia dell’elettrone nell’atomo so- 48 Quali fenomeni dimostrano che l’elettrone si
no positivi o negativi? Sapresti spiegare perché? comporta come una particella? E quali dimostrano
b) L’energia dell’elettrone aumenta oppure diminuisce che si comporta come un’onda?
quando la distanza dal nucleo aumenta? Sapresti spie-
gare perché? 49 Che cosa dice l’ipotesi di de Broglie?
39 Considera l’atomo di idrogeno e supponi di di- 50 Quando si descrive il moto di un oggetto in fisica
scuterlo nell’ambito del modello di Bohr. Spiega quali classica, se ne indicano la traiettoria e la velocità, e si
fra le seguenti affermazioni sono corrette e quali no. studiano le forze in gioco. Se riesamini il procedimen-
a) L’elettrone è attratto dal nucleo. to seguito da Bohr nell’elaborare il suo modello, lo tro-
b) L’energia dell’elettrone può assumere qualsiasi valore. vi in accordo con l’impostazione «classica», salvo che
c) L’elettrone può trovarsi a qualsiasi distanza dal nu- per l’ipotesi della quantizzazione? Spiega.
cleo.
d) L’elettrone può trovarsi solo a certe distanze dal nu-
cleo (valori permessi). Lo studio quantomeccanico dell’atomo
e) L’elettrone può avvicinarsi al nucleo fino a raggiun-
gerlo. 51 a) Che cosa si intende per meccanica quantisti-
f) L’elettrone non può avvicinarsi al nucleo oltre una ca?
certa distanza minima. b) In particolare, a che cosa si riferisce l’aggettivo
g) Siamo in grado di conoscere la posizione dell’elet- quantistica?
trone a un dato istante. 52 Il modello moderno di atomo è un prodotto della
h) Quando l’elettrone passa da un’orbita con n = 3 a
meccanica quantistica. Ciò significa che l’elettrone
un’orbita con n = 5, emette energia.
non viene considerato come una particella nel senso
i) Quando l’elettrone passa da un’orbita con n = 3 a
dato a questo termine dalla meccanica classica. Sapre-
un’orbita con n = 5, assorbe energia.
sti spiegare (non piú di 100 parole) perché i fisici sono
40 Considera la tua risposta alla domanda 32 e le arrivati a concludere che l’elettrone va considerato e
innovazioni apportate dal modello di Bohr. Utilizzale descritto in modo diverso?
per discutere un importante aspetto del metodo 53 Sai scrivere la forma generale dell’equazione di
scientifico.
Schrödinger e spiegare il significato dei termini che vi
41 Il modello atomico di Bohr è in accordo col fatto compaiono?
che gli spettri atomici sono discontinui. Spiega perché. 54 Quali tipi di energia possiede un elettrone all’in-
42 a) Descrivi lo spettro dell’atomo di idrogeno. terno dell’atomo?
b) Discutilo in base al modello atomico di Bohr. 55 a) Considera un atomo di litio (Z = 3). Rappre-
senta la sua struttura con un disegno. Utilizza il dise-
gno per elencare i contributi all’energia dell’atomo.
La natura e il comportamento b) Fai lo stesso considerando un atomo di azoto (Z = 7).
delle particelle elementari c) Discuti l’aumento del numero di contributi all’ener-
gia totale quando aumenta il numero di elettroni (per
43 Che cosa dice il principio di indeterminazione di rendere la discussione piú completa, puoi includere
Heisenberg? anche gli esempi presentati nelle figg. IV.20. e IV.21.
44 Nel nostro modello di atomo determiniamo l’ener- del testo).
gia dell’elettrone con la massima precisione possibile. 56 Supponi di voler studiare l’atomo di litio secondo
Che cosa possiamo dire riguardo alla posizione dell’elet- l’impostazione della meccanica quantistica. Descrivi
trone? (in forma schematica) come procederesti.

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


Verifica le tue competenze
4 197

57 Quando si scrive l’equazione di Schrödinger per 70 Che cosa è lo spin di un elettrone?


gli atomi, si prendono in considerazione tutti i contri- 71 Quali valori può assumere il numero quantico di
buti all’energia nel dato atomo. Si fanno anche ipotesi spin?
sui valori delle grandezze, o su altre caratteristiche
dell’atomo? 72 Quando diciamo che due elettroni hanno spin
parallelo? E quando diciamo che lo hanno antiparallelo?
58 Nel modello di Bohr l’ipotesi della quantizzazio-
ne viene introdotta come premessa iniziale. E nel mo- 73 Che cosa dice il principio di esclusione di Pauli?
dello della meccanica quantistica? 74 Una conseguenza del principio di esclusione di
59 Quando si risolve l’equazione di Schrödinger, Pauli è che in un orbitale non possono esserci piú di due
che cosa si ottiene? elettroni. Perché?
75 Che cosa dice la regola di Hund?
Gli orbitali atomici e la configurazione 76 Considera le due frasi seguenti. Scegli quella che
elettronica ti sembra corretta, e spiega le ragioni della tua scelta:
a) gli orbitali atomici vengono occupati in ordine di li-
60 a) Spiega che cosa è un orbitale atomico: vello energetico crescente;
! dal punto di vista fisico-matematico; b) gli orbitali atomici vengono occupati in ordine di
" dal punto di vista di una nostra visualizzazione, energia crescente.
conveniente ai fini pratici; 77 Confronta le seguenti espressioni e individua le
b) Come si collegano i due punti di vista? differenze o l’identità di significato:
61 Quanti numeri quantici caratterizzano un orbi- a) orbitale occupato
tale? Elencali (nome e simbolo). b) orbitale singolarmente occupato
62 Spiega quello che sai sul ruolo: c) orbitale doppiamente occupato
a) del numero quantico principale d) orbitale completamente occupato.
b) del numero quantico di momento angolare 78 Che cosa intendiamo per configurazione elettro-
c) del numero quantico magnetico. nica di un elemento?
63 È possibile che esista un orbitale avente n = 2, 79 Che cosa è lo stato fondamentale di un atomo?
l = 2, ml = 1? Perché? 80 Completa le seguenti frasi, inserendo una o piú
64 Perché gli orbitali d sono sempre in numero di parole, a seconda dei casi.
cinque? a) I raggi catodici sono costituiti da …….. dotate di ca-
65 Per che cosa differiscono un orbitale di tipo s e rica elettrica ………
un orbitale di tipo p? b) ……… determinò il rapporto fra la carica e la massa
dell’elettrone, ……… determinò la carica dell’elettrone.
66 Il simbolo di un orbitale è costituito da un nume- c) La radiazione γ è costituita da ………
ro e da una lettera. Spiega come li utilizzi per risalire d) Il modello atomico di Thomson prevede per l’atomo
alle seguenti informazioni (puoi anche illustrare la tua una struttura ……..
spiegazione con degli esempi): e) L’esistenza del nucleo dell’atomo fu dimostrata
a) il livello energetico a cui appartiene l’orbitale; dall’……..
b) la forma dell’orbitale; f) Lo ione positivo piú leggero è quello dell’……. ed è
c) il numero di orbitali con la stessa energia corrispon- costituito da un solo ………..
denti a quel simbolo. g) La massa atomica di un elemento è uguale alla
67 Spiega il significato dei seguenti termini: .............. delle masse atomiche dei suoi isotopi natu-
a) livello energetico rali.
b) sottolivello h) Bohr introdusse il concetto di ………… nella descri-
c) orbitali degeneri. zione dell’atomo.
i) Secondo il modello atomico di Bohr, quando un
68 Vuoi conoscere la probabilità di trovare l’elettro-
elettrone passa da un’orbita con energia ……….. a
ne in un certo piccolo volume di spazio. un’orbita con energia ……….. emette energia.
a) Prova a suggerire un esperimento immaginato j) Non è possibile determinare contemporaneamente
(cioè, un esperimento che non siamo in grado di fare con grande precisione la ………. e l’………. di una par-
effettivamente, ma che siamo in grado di pensare, e ticella elementare.
per il quale possiamo prevedere e discutere i risultati). k) L’elettrone ha contemporaneamente natura di ……..
Questo ti servirà ad avere un’idea operativa del signifi- e natura di ………
cato di «probabilità di trovare l’elettrone». l) Quando si studia un atomo con piú elettroni, si deve
b) Spiega come troveresti la risposta in base a ciò che considerare l’energia ……… di ciascun elettrone, l’ener-
sai delle funzioni d’onda. gia di ……… fra ciascun elettrone e il nucleo e l’energia
69 Considera l’orbitale 2s. Al suo interno, la proba- di ……… fra ciascun elettrone e tutti gli altri …………
bilità di trovare l’elettrone è la stessa in ogni punto? Se m) Il quadrato della funzione d’onda dà la ……………
la tua risposta è negativa, descrivi come varia questa n) L’energia di un orbitale è determinata dal numero
probabilità. quantico ........... e anche dal numero quantico ...........

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


198 4 L’atomo

o) In uno stesso livello energetico, orbitali con valore di reazioni di fusione nucleare si concentra soprattut-
piú alto di l hanno energia piú ……… to sull’idrogeno. Sapresti spiegare perché?
p) Un orbitale di tipo s ha forma ……… 88 Parla dell’instabilità dei nuclei. (Non piú di 200
q) Una particella elementare ha tre proprietà: la parole).
………., la ……….. e lo ……….
r) Secondo il …………….. di …………., in uno stesso 89 Considera il decadimento α:
orbitale non possono esserci piú di due elettroni, ed a) spiega in quali casi si verifica
hanno ………. opposto. b) descrivine il meccanismo
s) Elettroni che si trovano da soli in orbitali degeneri c) descrivi le caratteristiche delle particelle α
hanno spin ……… d) presenta e spiega un esempio.
81 Quali fra le seguenti affermazioni sono corrette e 90 Considera il decadimento β:
quali no? Nel caso di affermazioni errate, giustifica le a) spiega in quali casi si verifica
tue risposte con un numero minimo di parole (non piú b) descrivine il meccanismo
di 30 parole ciascuna). c) descrivi le caratteristiche delle particelle β
a) L’orbitale 1s ha simmetria sferica. d) presenta e spiega un esempio.
b) Un orbitale di tipo s ha numero quantico principale 91 Considera la cattura K:
pari a 0. a) spiega in quali casi si verifica
c) Un orbitale di tipo p ha numero quantico di mo- b) descrivine il meccanismo
mento angolare pari a 1. c) descrivi le caratteristiche della radiazione emessa
d) Gli orbitali di tipo d compaiono a partire dal quarto d) presenta e spiega un esempio.
livello energetico.
92 Che cosa è il tempo di dimezzamento di un ele-
e) Quando n = 2, ml può assumere i valori – 2, – 1, 0,
+ 1, + 2. mento radioattivo?
f) Due elettroni in uno stesso orbitale hanno lo stesso 93 Che cosa è la fissione nucleare?
spin. 94 a) Che cosa si intende per materiale fissile?
g) Due elettroni occupanti singolarmente due orbitali b) Quali sostanze sono usate piú comunemente come
con la stessa energia (ad esempio, un elettrone in un materiale fissile?
orbitale 2px e un elettrone in un orbitale 2py) hanno lo
stesso spin. 95 Descrivi in dettaglio il decadimento radioattivo
dell’uranio-235.
96 Discuti le differenze fra decadimento radioattivo
Il nucleo e le reazioni nucleari e fissione nucleare.
97 Confronta le reazioni chimiche e le reazioni nu-
82 Che cosa è l’energia di legame di un nucleo? cleari per quanto riguarda i seguenti aspetti:
83 Scrivi l’equazione di Einstein e spiegane il significato. a) parte dell’atomo interessata a cambiamenti;
b) permanenza delle specie atomiche coinvolte nella
84 Spiega:
reazione;
a) che cosa è il difetto di massa di un nucleo c) energia coinvolta;
b) a che cosa è dovuto. d) relazioni fra massa ed energia;
85 Le reazioni naturali che riguardano i nuclei degli e) conservazione della massa durante la reazione;
atomi si dividono in due grandi categorie. f) varietà di possibili reazioni diverse;
a) Come si chiamano le due categorie? g) diffusione sul nostro pianeta;
b) Per che cosa differiscono? h) facilità di sfruttamento da parte dell’uomo. In que-
c) Sono accompagnate da emissione o da assorbimen- sto caso, considera:
to di energia? ! gli scopi per cui vengono utilizzate le reazioni;
d) In quali situazioni avvengono in natura? " i problemi di sicurezza associati alla costruzione de-
e) Discuti l’entità dell’energia che accompagna le rea- gli impianti;
zioni nucleari, e spiegane il motivo. # il problema dello smaltimento dei rifiuti.
86 Descrivi dettagliatamente il meccanismo della
fusione nucleare dell’idrogeno (considerando nuclei di
deuterio come nuclei di partenza). Uno sguardo d’insieme
87 a) Quali sarebbero i vantaggi delle centrali a fu-
98 Discuti le differenze fra numero di massa e mas-
sione nucleare?
b) Qual è la principale difficoltà che ha finora impedi- sa atomica.
to di mettere a punto una tecnologia per lo sfrutta- 99 Fornisci un esempio di tua scelta per ciascuna
mento su vasta scala dell’energia prodotta da reazioni delle seguenti voci:
di fusione nucleare? a) serie spettrale;
c) L’idrogeno non è l’unico elemento capace di dare b) spettro continuo;
una reazione di fusione nucleare. Eppure, la ricerca c) modello atomico;
mirante a sviluppare una tecnologia per lo sfruttamento d) coppia di isotopi;

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


Verifica le tue competenze
4 199

e) grandezza quantizzata; l) orbitali degeneri;


f) emissione di energia; m) livello energetico;
g) attrazione fra particelle cariche; n) sottolivello;
h) orbitale atomico; o) configurazione elettronica dello stato fondamentale;
i) orbitale con numero quantico principale pari a 3; p) configurazione elettronica di uno stato eccitato;
j) orbitale con numero quantico di momento angolare q) elettroni con spin antiparallelo;
pari a 2; r) elettroni con spin parallelo.
k) orbitale con numero quantico magnetico pari a 2;

Caccia agli errori


100 Le seguenti frasi contengono uno o piú erro- h) n = 6 l = 3 ml = – 5 ms = – 1
ri. Scoprili, spiega la loro natura, e proponi 2
formulazioni corrette.
a) Il numero di massa dell’acqua (H2O) è 103 Le configurazioni elettroniche riportate qui
18 u.m.a. sotto contengono uno o piú errori. Individuali
b) Se il modello di Thomson fosse stato cor- per ciascuno dei casi e spiegane la natura.
retto, nell’esperienza di Rutherford tutte le a) 1s2 2s2 2p7
particelle α avrebbero dovuto attraversare la b) 1s2 2s2 2p4 3s2
lamina senza essere deviate. c) 1s2 2s2 2p6 3s2 3p6 3d4
c) Per gli atomi con piú di un elettrone, non è d) 1s2 2s3 2p6 3s2 3p8
possibile risolvere l’equazione di Schrödinger e) 1s2 2s2 2p6 3s2 3p6 4s2 3d6 4p6 5s2
correttamente. f) 1s2 2s2 2p6 3s2 3p6 4s2 3d10 4p6 5s2 4d14
d) Gli orbitali di tipo s hanno forma circolare. g) 1s2 2s2 2p6 3s2 3p6 4s2 3d10 4p6 4d10 4f10
e) Gli orbitali di tipo d sono sempre in nu-
mero di 5 perché possono contenere 10
elettroni.
f) Gli elettroni che occupano gli orbitali p di La storia
uno stesso sottolivello sono degeneri.
104 Secondo la teoria del filosofo greco Democrito:
101 Qui sotto sono riportati i simboli di alcuni or- a) la materia è fatta di atomi;
bitali atomici. Alcuni simboli sono corretti, b) gli atomi di elementi diversi hanno forma
mentre altri indicano orbitali che non posso- e dimensioni diverse;
no esistere. Individua i simboli non corretti, e c) gli atomi sono sempre in movimento;
spiega in che cosa consiste l’errore. d) una o piú sostanze possono trasformarsi
a) 6s e) 2d i) 1s in altre se cambia:
b) 1p f) 5f l) 4f ! il tipo di atomi che le costituiscono;
c) 3p g) 3f m) 3d " il modo in cui questi atomi sono aggregati
d) 4d h) 5p n) 2f l’uno all’altro.
102 Lo stato di un elettrone in un atomo è carat- Prova a confrontare tali ipotesi con il nostro
terizzato da quattro numeri quantici, n, l, ml modo di descrivere gli atomi e le reazioni
e ms. I «quartetti» di numeri quantici ripor- chimiche.
tati qui sotto non sono corretti. Individua 105 L’ipotesi alternativa al modello atomistico era
l’errore (o gli errori) in ciascuno dei casi e quella (sostenuta da Aristotile) che vedeva la
spiegane la natura. materia come continua. Uno dei fenomeni
a) n = 2 l = 0 ml = – 1 ms = 1 che non potevano essere spiegati nell’ambito
2 di questa ipotesi era la formazione delle mi-
b) n = 3 l = 3 ml = 3 ms = 1 scele omogenee (soluzioni), cioè quelle misce-
le in cui non distinguiamo piú i componenti
c) n = 2 l = 4 ml = 1 ms = – 1 che le hanno formate. Prova a discutere per-
2
ché l’ipotesi atomistica si presta bene a spie-
d) n = – 3 l = 2 ml = 2 ms = 1 gare il processo di miscela, mentre quella che
2 la materia sia continua non è adeguata.
e) n = 2 l = – 1 ml = 1 ms = – 1 106 Dopo la riscoperta del poema di Lucrezio
2 Sulla natura delle cose, il concetto di atomo
f) n = 0 l = 0 ml = 0 ms = 0 tornò a far parte dei modelli sulla materia. I chi-
mici furono fra i sostenitori piú convinti del-
g) n = 5 l = 4 ml = 5 ms = 5 l’ipotesi atomistica. Sapresti spiegare perché?
2

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


200 4 L’atomo

107 È difficile capire la teoria moderna dell’atomo ria, come minimo a partire dall’inizio del XIX
senza prendere in considerazione come si è secolo (teoria di Dalton). Scegli e discuti
arrivati a formularla. Per questo motivo, vie- qualche aspetto che sarebbe particolarmente
ne di solito presentata attraverso la sua sto- difficile da capire senza conoscerne la storia.

Esplorazioni fra linguaggio, concetti e informazioni

• Selezione di termini significativi incontrati in questo capitolo e convenienti per riflessioni e ricerche nel-
l’ambito di piú discipline: attrazione, continuo, discreto, classico, struttura, configurazione, energia.
• Tema: Teorie corpuscolari della materia prima di Dalton.
• Tema: La tendenza al minimo di energia: una tendenza generale in natura.

Esercizi

La struttura dell’atomo
1 Trova il numero di protoni, neutroni ed elettroni presenti negli atomi dei seguenti elementi:
calcio: Z = 20 numero di massa = 40
alluminio: Z = 13 numero di massa = 27
argon: Z = 18 numero di massa = 40
argento: Z = 47 numero di massa = 107
mercurio: Z = 80 numero di massa = 200
piombo: Z = 82 numero di massa = 207

2 Trova il numero di protoni, neutroni ed elettroni presenti in ciascuno dei sette isotopi naturali del mercurio:
196Hg 198Hg 199Hg 200Hg 201Hg 202Hg 204Hg
80 80 80 80 80 80 80

3 Completa la seguente tabella. Se i dati disponibili sono insufficienti per riempire qualcuno degli spazi bianchi,
spiega di quale altro dato avresti bisogno.

numero numero numero numero numero


atomico di massa di protoni di neutroni di elettroni
11 12
35 17
59 32
53 53
112 78

4 Il rame ha due isotopi naturali, uno con massa atomica 62,9296 u.m.a., presente per il 69,2%, l’altro con
massa atomica 64,9278 u.m.a., presente per il 30,8%.
Trova la massa atomica media del rame.

5 Il magnesio ha tre isotopi naturali: 24Mg, avente massa atomica 23,98504 u.m.a. e presente per il 78,60%,
25Mg, avente massa atomica 24,98684 u.m.a. e presente per il 10,11%, e 26Mg, avente massa atomica
25,98259 u.m.a. e presente per il 10,29 %. Trova la massa atomica media del magnesio.

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


Verifica le tue competenze
4 201

6 Il boro ha due isotopi naturali, 10B e 11B, con massa atomica rispettivamente di 10,013 u.m.a. e 11,009 u.m.a.
La massa atomica media del boro è 10,81 u.m.a. Trova le percentuali dei due isotopi in natura.

Il modello quantomeccanico dell’atomo


7 Si vuole stabilire la posizione di un elettrone e si riesce a farlo con un’incertezza di 2 · 10–10 m. Usa la relazio-
ne del principio di indeterminazione per calcolare l’incertezza (∆v) nella determinazione della velocità di quel-
l’elettrone.
(Suggerimento: nell’espressione del principio di indeterminazione di Heisenberg (equazione 4.6) compare ∆p,
l’incertezza nella determinazione della quantità di moto p. Sappiamo che quest’ultima è il prodotto della mas-
sa dell’elettrone per la sua velocità: p = mv. Siccome si può assumere che non ci sia incertezza nella determi-
nazione della massa dell’elettrone, l’incertezza nella determinazione della quantità di moto è dovuta per intero
all’incertezza nella determinazione della velocità. Di conseguenza, al posto di ∆p si può scrivere m∆v. A questo
punto è facile calcolare ∆v).

8 I piú raffinati strumenti sono in grado di rivelare onde con lunghezza d’onda di 10–14 m; onde aventi lunghez-
za d’onda minore non possono essere percepite né da noi né dai nostri strumenti.
Calcola la lunghezza delle onde associate agli oggetti in moto elencati qui sotto, usando l’equazione di de Bro-
glie. Spiega in quali casi l’onda può essere rilevata dai nostri strumenti e in quali no.
a) Un pallone avente massa 0,8 kg, che si muove alla velocità di 0,01 m s–1;
b) una pallottola avente massa 40 g, che si muove alla velocità di 800 m s–1;
c) un atomo di idrogeno (massa 1,6736 · 10–27 kg) che si muove alla velocità di 2500 m s–1;
d) un elettrone che si muove alla velocità di 1,8 · 106 m s–1.

9 Elenca i numeri quantici che caratterizzano i seguenti orbitali (per il numero quantico ml indica tutti i valori
che può assumere nel caso considerato):
a) 3s c) 4d e) 5p g) 7s i) 2p
b) 3p d) 5f f) 4s h) 4f l) 6d

10 Quali orbitali corrispondono ai seguenti insiemi di numeri quantici?


a) n = 3 l=2 ml = –2 d) n = 4 l=3 ml = 2
b) n = 4 l=0 ml = 0 e) n = 5 l=1 ml = 1
c) n = 4 l=3 ml = 0 f) n = 5 l=2 ml = –1

11 Completa la seguente tabella. In alcuni casi, è possibile piú di una risposta: allora, dai tutte le risposte che so-
no compatibili con i valori forniti.

simbolo valore di n valore di l valore (o valori


dell’orbitale possibili) di ml
2s
3 2
4 –3
5 0
2 2
–3, –2, –1, 0, +1, +2, +3

12 Scrivi la configurazione elettronica dei seguenti elementi:


ossigeno (Z = 8) cloro (Z = 17) manganese (Z = 25) bromo (Z = 35)
platino (Z = 78) uranio (Z = 92) sodio (Z = 11) bario (Z = 56)
antimonio (Z = 51) ferro (Z = 26) argento (Z = 47) erbio (Z = 68)

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione


202 4 L’atomo

13 Completa le seguenti configurazioni elettroniche, per le quali si indicano gli orbitali a piú alta energia occupa-
ti da elettroni.
a) …….. 3s1 c) …….. 4d7 e) …….. 6p5
b) …….. 3p 3 d) …….. 4f9 f) …….. 5d3

Il nucleo e le reazioni nucleari


14 a) Un nucleo di carbonio 12 ha massa 11,9967 u.m.a., un nucleo di piombo 207 ha massa 206,9309 u.m.a.
Sapresti calcolare il difetto di massa del nucleo di carbonio 12 e del nucleo di piombo 207?
b) Calcola l’energia di legame del nucleo di carbonio e di quello di piombo.

15 Quando una mole di idrogeno brucia a 25 °C per dare acqua liquida, la quantità di calore che si sviluppa è
285,83 kJ. Sapresti calcolare la variazione di massa che accompagna questa reazione?
Supponi di lavorare con la massima accuratezza: saresti in grado di rilevare questa variazione di massa con le
normali apparecchiature di un laboratorio chimico? (Una buona bilancia analitica arriva a determinare una
massa di 10–4 g).

16 Considera le seguenti reazioni nucleari. In esse vengono indicati i reagenti e i prodotti. Una delle sostanze ri-
mane però incognita: devi identificarla in base ai numeri atomici e ai numeri di massa delle altre sostanze.
92U + 0n ⎯
a) 235 → 142
1 1
56Ba + X + 3 0n
b) 94Be + 11H ⎯→ X + 4 He
2
c) 147 N + 4 He
2 ⎯→ 17 O
8 + X

17 Il torio 234 decade a protoattinio 234 con emissione β:


234Th ⎯ → 234 –
90 91Pa + e
Sapendo che la massa di un nucleo di 234Th è 233,9942 u.m.a., quella di un nucleo 234 91Pa è 233,9931 u.m.a.
e quella di un elettrone è 0,000549 u.m.a., sapresti calcolare la quantità di energia che accompagna questo
processo? L’energia viene emessa o assorbita?

18 Il tempo di dimezzamento del carbonio–14 è di 5730 anni.


a) Quanto tempo occorre perché il numero di atomi di carbonio–14 presenti in un campione divenga un quar-
to del numero iniziale?
b) E perché divenga 1 del numero iniziale?
128

© Casa editrice G. D'Anna. Vietate la riproduzione e la diffusione

S-ar putea să vă placă și