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UNITÀ GRAMMATICALI
Le unità grammaticali gli elementi che costituiscono un discorso e hanno varia complessità. L’unità
più semplice è il morfema, cioè un’unità minima dotata di significato, può essere sia una parola ma
anche un “affisso”. Più complesso del morfema è il sintagma, unità formata da una parola (head)
accompagnata da uno o più modificatori. Il sintagma può essere definito come un gruppo di parole
equivalente a una singola parola. Può essere formato con la preposizione (sintagma preposizionale),
con un aggettivo (sintagma aggettivale), con un nome (sintagma nominale) o con un participio
(sintagma participiale). Ciò che è molto importante, il sintagma non ha una composizione soggetto-
predicato. A un livello più complesso abbiamo la proposizione, cioè un enunciato in cui viene
effettuato un commento su un tema. Il tema viene detto anche “soggetto”, il commento viene
definito come “predicato”. La proposizione è, pertanto, la combinazione sintattica tra un soggetto
e un predicato. Quando l’enunciato contiene due temi distinti, ognuno con il suo commento, ci
troviamo dinanzi al periodo. Questa è un’unità più ampia rispetto alle precedenti e può essere.
Quando ci troviamo difronte a una sequenza di periodi abbiamo un discorso.
FUNZIONE ACCUSATIVA
Quando un nome modifica un verbo è in funzione accusativa. Abbiamo tre casi da distinguere: 1)
accusativo dell’oggetto; 2) accusativo avverbiale; 3) doppio accusativo.
Il primo indica l’oggetto diretto del verbo, cioè ciò su cui il verbo si concentra, agisce o interessa e
può avere varie sfumature. Possiamo avere un oggetto diretto “Dio prese Adamo”, qui “Adamo” è
l’oggetto diretto, ma può essere anche suffisso “Adamo la mangiò (la mela)”. Possiamo avere un
oggetto preposizionale (se è una preposizione a precederlo), con un verbo niphal, con l’oggetto
interno al verbo come “seminò un seme” oppure con un oggetto al dativo “essi gridarono a te”.
L’accusativo avverbiale indica una determinazione del predicato verbale. In alcune categorie
dell’accusativo indiretto, quella di tempo (determinato o continuato) e luogo (stato, moto) in
particolare. A queste si aggiungono alcune sfumature, quando indica il modo, abbiamo un
accusativo di modo (senza articolo) o di limitazione (es. Egli era malato (limitatamente) ai suoi piedi).
Alcune volte la relazione sintattica è resa più esplicita dall’uso di una preposizione appropriata o di
un nome con una vocale paragogica. Di particolare interesse risulta l’accusativo predicativo di stato,
che si può riferire sia al soggetto, “io partii piena” si riferisce allo stato del soggetto, oppure
all’oggetto: “Mosè ascolto il popolo piangente”, qui vediamo che ci viene indicato lo stato
dell’oggetto dell’ascolto di Mosè.
Abbiamo infine, il terzo, il doppio accusativo. Se, in una proposizione avente un soggetto, un oggetto
e un verbo transitivo con un verbo semplice significato, cambiamo il verbo in un causativo, cioè in
un hiphil, vediamo che il soggetto diventa un secondo oggetto. Con l’esempio si chiarisce il concetto,
se abbiamo la frase: “abbiamo visto la sua gloria” dove “noi” è il soggetto, “la sua gloria” è l’oggetto,
se questa frase la cambiamo in “fu mostrata a noi la sua gloria” vediamo che “noi” diventiamo un
secondo oggetto. Così abbiamo vari casi:
1) OGGETTO “DATIVO” + OGGETTO DIRETTO = il re diede al popolo (OGGETTO “DATIVO”) una
dura risposta (OGGETTO DIRETTO)
2) OGGETTO DIRETTO + OGGETTO MATERIALE = Yhwh Dio creò l’uomo (OGGETTO DIRETTO)
di polvere (MATERIALE)
3) OGGETTO DIRETTO + TITOLO/INCARICO = Egli fece i suoi figli (OGGETTO DIRETTO) giudici
(TITOLO/INCARICO)
4) OGGETTO DIRETTO + MEZZO = Dio ti ha unto (OGGETTO DIRETTO) + con olio (MEZZO).
FUNZIONI NOMINALI
L’ebraico presenta 3 casi:
1) Nominativo: nomi che governano verbi (o che compaiono in proposizioni nominali)
2) Accusativo: nomi governati da verbi
3) Genitivo: nomi governati da altri nomi o da preposizioni
CASO GENITIVO
Anche un pronome può occupare la posizione del genitivo all’interno di una frase. Nell’ordine di una
catena costrutta, abbiamo al primo posto il nome in stato costrutto (se ce ne sono di più sono tutti
in stato costrutto) eccetto l’ultimo nome che è in forma assoluta, così abbiamo:
= קְ דוֹשׁ יִ ְשׂ ָראֵ לil primo nome è in stato costrutto il secondo in stato assoluto, “il Santo d’Israele”.
Abbiamo due elementi, al primo posto il costrutto/head/modified elem. Regens e all’ultimo il
genitivo/dependent/modifier/rectum.
Quando abbiamo due costrutti la struttura può essere un po’ diversa, infatti, il genitivo viene posto
nel mezzo della struttura:
ותּהִ נָּתוֹ
ְ �“ ְתּפִ לַּת ﬠַבְ ְדּla preghiera del tuo servo e la sua supplica” vediamo qui che il genitivo viene
posto in mezzo (in rosso) e poi abbiamo il secondo costrutto che è accompagnato da un pronome
suffisso di terza maschile (in rosso)
Quando ci sono più genitivi, il costrutto può essere ripetuto insieme a ogni genitivo:
“ אֱ�הֵ י הַ שָּׁ מַ יִ ם וֵא�הֵ י הָ אָ ֶרץDio dei cieli e della Terra” vediamo che il costrutto (in rosso) in questo
caso viene ripetuto due volte.
Altre volte invece si può mettere il costrutto all’inizio seguito poi dai nomi in stato assoluto:
“ אֱ�הֵ י הַ שָּׁ מַ יִ ם והָ אָ ֶרץDio dei cieli e della terra”. Qui non abbiamo la ripetizione del costrutto, il
significato è lo stesso.
Alcune volte ci possiamo trovare dinanzi a una catena di genitivi, così tutti i nomi sono in stato
costrutto eccetto l’ultimo, come in questo caso:
“ לֵב ָראשֵׁ י ﬠַם־הָ אָ ֶרץil cuore dei capi del popolo della terra”. Vediamo che sono tutti in stato
costrutto eccetto l’ultimo (in rosso). Tuttavia, notiamo anche come eccetto il primo costrutto, quelli
che seguono (in verde) sono a loro volta anche genitivi di quello che segue.
Quando abbiamo un costrutto seguito da un sintagma preposizionale ciò sta a indicare un
collegamento concettuale più stretto:
= יֹ ְשׁבֵ י בְּ אֶ ֶרץsi traduce: “gli abitanti della terra”. Abbiamo il costrutto, in questo caso un participio
qatal del verbo “ ישׁבrisiedere”, accompagnato dal sintagma preposizionale ב ְּ + אֶ ֶרץ.
A volte abbiamo il costrutto che è seguito da una proposizione con funzione genitiva, ad esempio:
CONCORDANZA
La concordanza dell’aggettivo è quasi del tutto regolare, ci sono poche eccezioni. Queste sono: 1)
nomi duali, concordanza ad sensum con nomi collettivi, in frasi comparative, poi c’è il fenomeno de
genus potius, cioè tra un maschile e un femminile, prevale il maschile, infine abbiamo il plurale
maiestatis.
La concordanza del pronome personale è meno regolare. Il pronome personale concorda quasi
sempre in numero e solitamente in genere con il nome che rappresenta. Ci sono molte eccezioni,
specialmente con i nomi suffissi. Anche qui, spesso abbiamo il fenomeno del genus potius e della
concordanza ad sensum con i nomi collettivi.
La concordanza del verbo è piuttosto irregolare:
1) Nelle 2° pers. Plur. Il femminile è spesso sostituito dal maschile
2) Alla 3° pers. Il maschile è normalmente preferito al femminile, soprattutto se il verbo
precede
3) Alla 3° pers. Il singolare è normalmente preferito al plurale, soprattutto in poesia e se il verbo
precede (prepositivo)
4) Con una costruzione costrutto-genitivo, il verbo normalmente concorda con il costrutto (o
nomen regens); tuttavia, talvolta può concordare con il genitivo (o nomen rectum)
5) Con un soggetto formato da due o più nomi (soggetto composto)
a. Se il verbo è prepositivo, prima del soggetto, concorda in numero e genere con il
proprio nome
b. Se il verbo è postpositivo (dopo il soggetto) è solitamente in plurale
6) Con un nome duale il verbo è solitamente al plurale
7) Con un nome collettivo il verbo può essere usato alla forma singolare oppure plurale (l’ultima
diventa più frequente nei libri tardivi, soprattutto Cronache, e molto comune nell’ebraico di
Qumran.
L’AGGETTIVO
La lingua ebraica non ha un grande uso di aggettivi, tuttavia, ha queste altre strutture:
a. Comparativo
1) ( ִמןcomparativo) + aggettivo
2) ( ִמןcomparativo) + verbo stativo
3) ( ִמןcomparativo) + verbo, nel senso ESCLUSIONE (ami il male piuttosto del bene)
4) ( ִמןcomparativo) + aggettivo o verbo stativo = “TROPPO… PER”
5) ( ִמןcomparativo) + infinito costrutto = “TROPPO… PER”
6) ( טוֹב לִ יse nel contesto è presente o implicita un’ALTERNATIVA) = “meglio per me”
b. Superlativo assoluto
1) ֶ( טוֹב ְמאֹ דcon ְמאֹ דo )ﬠַד ְמאֹ ד
2) Appellativi Divini יהוה, אֱ�הִ ים, אֵ לche intensificano POSITIVAMENTE
3) Con parole come מָ וֶת, מוּת, שֶׁ אֹ לche intensificano negativamente.
c. Superlativo relativo
1) Aggettivo determinato da un articolo ()בִּ ִתּי הַ גְּ דוֹלָה
2) Aggettivo determinato da un pronome suffisso () ִמגְּ דוֹלָם וְ ﬠַד־קְ טַ נָּם
3) Aggettivo determinato: costrutto di un genitivo determinato ()קְ טֹ ן בָ נָיו
4) Aggettivo determinato + sintagma con בoppure ִמכֹּ ל
d. Costrutto + Genitivo
1) Se il genitivo è indeterminato = SUPERLATIVO ASSOLUTO
2) Se il genitivo è determinato = SUPERLATIVO RELATIVO
PROPOSIZIONE NOMINALE
La categoria delle proposizioni nominali include ogni proposizione in cui il predicato è un nome o un
equivalente del nome, come ad esempio un participio, una preposizione con un nome o un
pronome; oppure, negativamente, ogni proposizione in cui il predicato non è un verbo, 8 ad
eccezione di )הָ יָהnel senso di “essere”, nella proposizione nominale. La proposizione nominale in
ebraico, come del resto nelle altre lingue semitiche è molto utilizzata.
Le predicazioni nominali sono costruzioni al limite che occupano un grigio nella scala dei colori tra
le proposizioni verbali e le proposizioni nominali. Come le proposizioni verbali esprimono una
predicazione (sebbene le predicazioni senza verbo differiscono da quelle verbali nel fatto che non
indicano il tempo, l’aspetto, o la modalità); come le frasi nominali, sono composte da elementi
nominali.
Composizione: sono formate da due componenti nominali, uno svolge il ruolo di SOGGETTO (S) e
uno di PREDICATO (P). Il soggetto si può chiamare anche TOPIC o TEMA; il predicato, invece, si
può chiamare anche COMMENTO o REMA.
Sia S che P possono essere composti da più di una parola. Nel secondo caso si parla di “sintagma
nominale” con funzione di S o con funzione di P.
Il S può essere composto da un pronome personale o dimostrativo, da un nome o da un infinito
costrutto, infinito assoluto, o sintagma preposizionale (preposizione + nome); il predicato, da un
nome determinato o indeterminato, da un aggettivo o sintagma aggettivale, da un participio, da un
sintagma preposizionale o più raramente da un numerale, un pronome o un avverbio.
DISTINGUERE TRA SOGGETTO E PREDICATO
La prima cosa da fare è distinguere all’interno della proposizione il soggetto e il predicato.
Funzione: Il soggetto è il tema di cui si parla, mentre il predicato è il commento che si fa sul soggetto.
Informazione: il soggetto è l’elemento già menzionato nel contesto, l’informazione già data o
presupposta, ha legami co-referenziali con un elemento che appare nelle proposizioni precedenti;
il predicato mette a fuoco un nuovo aspetto, è l’informazione “nuova” non ancora data all’interno
del contesto.
Determinazione: se nella proposizione c’è una componente determinata e una indeterminata. Il
soggetto è determinato, il predicato è indeterminato.
CAPIRE SE SI TRATTA DI UNA PROPOSIZIONE DI IDENTIFICAZIONE O DI CLASSIFICAZIONE
Le proposizioni nominali possono essere di identificazione e di classificazione (dette anche di
qualificazione).
RELAZIONE TRA SOGGETTO E PREDICATO
C’è una diversa relazione tra identificazione e classificazione/qualificazione.
Mentre nella PROPOSIZIONE DI IDENTIFICAZIONE IL PREDICATO è
EQUIVALENTE/SOVRAPPONIBILE AL SOGGETTO, NELLA PROPOSIZIONE DI
CLASSIFICAZIONE/QUALIFICAZIONE, IL PREDICATO QUALIFICA IL SOGGETTO.
RISPONDONO A DOMANDE DIVERSE
La proposizione d’identificazione risponde alla domanda: “Chi è S? Risposta: P”, mentre la
proposizione di classificazione risponde alla domanda: “com’è S? A quale classe appartiene S?
Risposta: P.
DETERMINAZIONE/INDETERMINAZIONE
Nella proposizione di identificazione Soggetto e Predicato sono entrambi determinati. Nella
proposizione di classificazione il Soggetto è determinato, ma il Predicato è indeterminato.
ORDINE DEI COMPONENTI
È un tema dibattuto, non c’è accordo, nell’AT 2 volte su 3 l’ordine è S-P, una volta su 3 è P-S. Ci sono
teorie che fanno risalire l’ordine al tipo di proposizione nominale. Secondo altri studiosi, la variabilità
dell’ordine dipenderebbe piuttosto da altri fattori come le caratteristiche morfologiche delle
componenti, la macro-scrittura del periodo e i fenomeni di focalizzazione delle informazioni (Juoun
Muraoka tra questi).
Un’ultima questione è quella relativa la distribuzione e la funzione delle proposizioni senza verbo a
un livello testo-linguistico, specialmente rispetto alla narrativa, al discorso diretto e alla divisione
macro-strutturale. Possono anzitutto dare informazioni di background cioè, informazioni che non
sono parte dell’ordine lineare degli eventi nella story line. Eventi sincronici e informazioni
circostanziali possono essere espressi dalle proposizioni senza verbo. Caratterizzazione dei
partecipanti nella narrativa si può comprendere più pienamente riconoscendo l’uso delle
proposizioni senza verbo per introdurre i nuovi partecipanti e per dare importanti informazioni
riguardo i partecipanti più centrali. Discorso diretto può similmente mostrare particolari
distribuzioni delle proposizioni senza verbo. Inoltre, il discorso diretto ci permette per le
proposizioni senza verbo ridotte nel quale sia il soggetto o predicato eliso. Funzionano a livello di
macro-struttura ai confini dei paragrafi o delle sezioni e all’8inizio o alla fine delle narrativ,
genealogie e liste.
PROPOSIZIONI ESISTENZIALI
Abbiamo anche un altro tipo di proposizioni, le PROPOSIZIONI ESISTENZIALI con diverse sfumature.
A esiste (in B); c’è A in B. Quello che si esprime è l’esistenza, di solito per tradurle si usano queste
espressioni: “c’è; ci sono; there is; there are; hay”.
In ebraico abbiamo delle particelle specifiche che ci fanno capire di essere in presenza di
proposizioni esistenziali: ( יֶשׁc’è); ( אֵ יןnon c’è); ( הָ יָהc’è); ( ל ֹא הָ יָהnon c’è).
Hyh può essere copula o proposizione esistenziale, così con היה ci potrebbe essere una certa
ambiguità nella scelta della traduzione.
Nelle esistenziali abbiamo A detto PIVOT cioè gira attorno ad esso e abbiamo una CODA che esprime
il contesto, ad esempio: c’è speranza (pivot) nella regione (coda, che indica il contesto).
יֶשׁsi trova dopo certe particelle “ ”אוּלַיforse; all’interno di domande “ ” ֲהיֶּשׁdopo la particella
interrogativa “ה
ֲ ”; dopo “ ” ִאםcondizionale. Un’altra particella è “( ”כֵּןaffinché non).
Funzione possessiva: Per esprimere il possesso l’italiano usa il verbo “avere” l’ebraico la
preposizione. La cosa importante è il לdativo. Abbiamo tre possibilità: 1) ל+ ; יֶשׁ2) ל+ ;היה3) ל.
Funzione copulativa: Passaggio da esistenziale a copula, questo di solito iesh è accompagnato dal
participio. Di יֶשׁci sono poche attestazioni; אֵ ין: 1) esistenza negativa; 2) negazione del participio;
3) negazione semplice.
PROPOSIZIONI TEMPORALI
Riguardano frasi dipendenti da una principale e hanno una capacità di esprimere il tempo (JM 166
– W-O 38.7.
B. Particelle
Un altro modo per esprimere le temporali è quello di usare le particelle:
1) “ ”כִּ יo “ = ”כְ אֲשֶׁ רquando, mentre; “chi”+ qatal (quando ebbe finito di bere)
2) “ וַיּהִ י+ ב/ כ+ infinito costrutto
3) “ וַיּהִ י+ Sintagma preposizionale ad esempio: “E quando finirono i giorni”
4) “ וַיּהִ י+ כִּ י/ ַכאֲשֶׁ ר+ qatal per indicare il passato.
Se invece ci troviamo nella sfera del futuro, avremo le stesse costruzioni, con la differenza che al
posto di “ ”וַיּהִ יavremo “”וְ הָ יָה.
a. לְ בִ לְ ִתּי+ yiqtol/infinito
b. לְ מַ ﬠַן+ ל ֹא
c. לְ מַ ﬠַן+ אֲשֶׁ ר+ ל ֹא
d. ַאֲשֶׁ ר ל ֹא
e. פֶּן+ yiqtol
Prendiamo la parola קוֹל. Nella lingua non cananaica era qal (con a lunga). Con il cananite schift è
diventata quella che conosciamo, la “a” è diventata “o”.
Se la “a” diventa “o”. La “i” lunga invece rimane pressoché invariata così come la “u” lunga.
Abbiamo invece dei cambiamenti in due dittonghi: ay diventa “e” lunga e “aw” diventa “o” lunga.
1) Allungamento in sillaba aperta pretonica. Cioè la vocale breve in una sillaba aperta Ca non
accentata, prima dell’accento si è allungata, quindi da patach abbiamo un qamets. Così
spieghiamo la prima parte ָד.
2) Allungamento in sillaba chiusa tonica. La sillaba chiusa CaC accentata è stata allungata,
così ָ דè frutto dell’allungamento della sillaba aperta pretonica, mentre בָ רè frutto
dell’allungamento della sillaba chiusa tonica. Ecco il risultato דָ בָ ר.
Queste due regole sono fondamentali per capire la fonetica ebraica ecco allora il risultato dei
cambiamenti:
Allungamento in sillaba aperta pretonica: Ca Cā Ci Cē Cu Cɚ
Allungamento in sillaba chiusa tonica: Cac CāC Cic Cēc Cuc Cōc
קֹ דֶ שׁLa “o” è lunga, perché prima c’era la “u”, ma serviva l’appoggio ed è apparso il segol. Con la
“a” abbiamo la parola �ֶ מֶ לche all’inizio era malku, cadde la “u” e rimase “malk” allora apparve il
segol, quindi “malek”, tuttavia per assimilazione, la “a” si assimilò al segol producendo il risultato
attuale. Ciò avviene grazie alla regola dell’assimilazione.