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Scuola di Architettura e Società e di Architettura Civile – C.d.L.

in
Progettazione dell’Architettura

Corso di Fondamenti di tecnologia dell’architettura, Prof. Maria Pilar Vettori

VILLA FARNSWORTH
Ludwig Mies Van der Rohe, Plano
(USA), 1945-1951

pag. 1
INDICE

Introduzione pag. 3

Pensiero pag. 4

Opera pag. 7

Struttura pag. 9

Chiusura pag. 11

Partizioni interne ed esterne pag. 11

Impianti pag. 12

Attrezzature pag.12

Bibliografia pag. 13

Sitografia pag. 13

pag. 2
INTRODUZIONE

Con il progetto di Casa Farnsworth, opera dell’età matura, Mies si allontana dalla concezione neoplastica
che aveva caratterizzato le opere precedenti, e formula un ideale di purezza da alcuni definito come
moderno classicismo. La classicità si manifesta nella modularità, sottolineata dal posizionamento dei
pilastri, e il modernismo è espresso dalla struttura in acciaio, dall’evanescenza del vetro e dalla concezione
dello spazio.

Casa Farnsworth a Plano, nell'Illinois, è una “gabbia di cristallo trasparente” la cui intelaiatura in acciaio
verniciato di bianco costruisce le coordinate che rendono leggibile e caratterizzato lo spazio del paesaggio
naturale in cui si inserisce. Una successione di piani orizzontali, sostegni verticali isolati, superfici verticali
vetrate, un blocco pieno interno completamente staccato dal perimetro di vetro: questi, in sintesi, gli
elementi costitutivi necessari a definire un’architettura così essenziale. Pochi elementi inseriti in un
contesto naturale, che pur non cercando un inserimento mimetico con l’ambiente circostante, instaurano
con esso un rapporto di integrazione spaziale. Questa "gabbia di osservazione", calata entro il bosco,
montata su una piattaforma artificiale, è una costruzione intesa a captare un ordine astratto del paesaggio,
"un'impalcatura" che tende a "caratterizzare" il paesaggio stesso. Filtrata attraverso il mirino definito da
questa struttura di coordinate spaziali, la natura si rende comprensibile, logica, razionale, dominabile,
quindi ordinata.

Per Mies van der Rohe l'architettura è una lente, un filtro, attraverso il quale la lettura della realtà si fa
chiara, logicamente dominabile: uno strumento per astrarre dal caos della realtà elementi essenziali
d'ordine. L'architettura dona allo spazio naturale, attraverso questo processo di astrazione, una struttura
logico-matematica: lo misura secondo precise coordinate, introduce dei meridiani e dei paralleli che
rendono possibile "fare il punto" della situazione reale.

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"Dobbiamo avere un ordine, ponendo ciascuna cosa al suo giusto posto e dando a ciascuna ciò che le spetta,
secondo la sua natura. - continua Mies - E qui noi prenderemo posizione".
La "verità" dell'architettura sta nel saper scegliere un "giusto posto" e nello stabilirvi un "principio
d'ordine".

PENSIERO

Mies van der Rohe nacque il 27 marzo del 1886 ad Aquisgrana, Germania. Completati gli studi primari, dal
1899 il giovane lavorò nella bottega paterna di taglia-pietra e scalpellino, imparando a conoscere i segreti
dei materiali lapidei. Successivamente si trasferì a Berlino, dove iniziò a lavorare come progettista di
mobili.
Nel 1907 entrò nello studio di Peter Behrens, dove rimase fino al 1912. Qui studiò l'architettura
neoclassica che influenzò decisamente le sue prime opere. La sua carriera professionale «cosciente»
incominciò nel 1910 circa; quando Jugendstil e Art Nouveau erano sorpassati. Gli edifici rappresentativi
subivano più o meno l’influsso di Palladio e di Schinkel. Erano tempi veramente confusi, e nessuno voleva
o poteva dire cosa fosse in realtà l’architettura. Tuttavia, egli si pose questo problema ed era deciso a
trovare una risposta.
«Quando ero giovane, iniziammo a chiedere a noi stessi: “Cosa è architettura?”. Lo chiedemmo a chiunque.
Essi dicevano: “Quello che noi costruiamo è architettura”. Ma non eravamo soddisfatti di questa risposta.
Finché capimmo che era una domanda inerente la verità: cercammo di scoprire che cosa realmente fosse la
verità. Rimanemmo incantati trovando una definizione di verità di Tommaso d’Aquino: “Adaequatio rei et
intellectus” (adeguazione dell’intelletto alla cosa). Non l’ho mai dimenticato».
Mies legge molto, fin da giovanissimo, per avere le idee chiare su quanto accade, sui caratteri del nostro
tempo e capire il significato di tutto. Il suo mestiere, il fare architettura, è il campo su cui mette in gioco le
questioni fondamentali: «Dobbiamo mirare al nocciolo della verità. Le domande relative all’essenza delle
cose sono le uniche domande importanti». In architettura, per Mies, la verità ha a che fare innanzitutto
con il tema della costruzione. L’architettura stessa è, nella sua definizione, «chiarezza costruttiva portata
alla sua espressione esatta». Che cosa intenda per «chiarezza costruttiva» si comprende bene quando
parla della cappella di Aquisgrana: «Ricordo che ad Aquisgrana, la mia città natale, c’era la cattedrale e la
cappella era un edificio ottagonale fatto costruire da Carlo Magno. Nei secoli questa cattedrale è stata
trasformata. In età barocca la intonacarono interamente e aggiunsero delle decorazioni. Quand’ero
ragazzo tolsero l’intonaco. Poi però non poterono andare avanti perché vennero a mancare i fondi e così si
potevano vedere le pietre originali. Guardando la costruzione antica priva di rivestimenti, osservando le
belle murature in pietra o in mattoni, una costruzione limpida, fatta da artigiani davvero bravi, sentivo che
avrei rinunciato a tutto per un simile edificio».
Nel campo del costruire la tecnica offriva nuovi materiali e metodi pratici di lavoro che spesso si trovavano
contro la nostra concezione tradizionale dell’architettura. Mies credeva perciò alla possibilità di sviluppare
un’architettura con questi nuovi mezzi. Ogni sua costruzione era una dimostrazione di questa idea e un
passo avanti nel processo della sua ricerca di chiarezza. Era sempre più convinto che questi nuovi sviluppi
tecnici e scientifici fossero le vere premesse di un’architettura del suo tempo. La vera architettura è
sempre oggettiva, ed è espressione dell’intima struttura dell’epoca nel cui contesto si sviluppa.
Mies collaborò con la rivista G, che nacque nel luglio 1923. Quando lavorò come direttore artistico del
progetto Weissenhof, diede il suo maggiore contributo alla filosofia architettonica.
Durante questo periodo disegnò numerosi edifici, tra i quali il Padiglione di Barcellona e la Villa Tugendhat.
Nella seconda metà degli anni '30 dovette lasciare il paese, amareggiato, per l'ascesa del potere nazista.
Arrivato negli Stati Uniti, la sua influenza come designer era già notevole, egli, infatti, aveva vinto

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numerosi e importanti concorsi per la progettazione di opere architettoniche.
Mies cercò di creare spazi contemplativi, neutrali, attraverso un'architettura basata su un'onestà
materiale e integrità strutturale, con uno studio esemplare del particolare architettonico. Negli ultimi
vent'anni di vita, Mies van der Rohe giunse alla visione di un'architettura monumentale. I suoi ultimi lavori
offrono la visione di una vita dedicata all'idea di un'architettura universale semplificata ed essenziale.
Mies van der Rohe si stabilì a Chicago, dove divenne il preside della scuola di architettura al Chicago's
Armour Institute of Technology (più tardi rinominato Illinois Institute of Technology - IIT). La sua
condizione, accettando il posto, fu che gli fosse concesso di ridisegnare il campus. Alcuni dei suoi più
famosi edifici si trovano ancora qui, come la Crown Hall, la sede dell'istituto.
Dal 1946 al 1950, Mies van der Rohe costruì la Farnsworth House per Edith Farnsworth, un ricco medico di
Chicago. Fu la prima casa costruita da Mies van der Rohe negli Usa. Nel 1958, costruì quella che è
considerata l'espressione massima dell'International Style dell'architettura, il Seagram Building, a New
York. È un grande edificio di vetro, ma nonostante tutto Mies van der Rohe scelse di inserire una grande
piazza con fontana davanti alla struttura, creando uno spazio aperto a Park Avenue. Negli anni successivi
gli fu conferito dal presidente degli Stati Uniti, la medaglia presidenziale della libertà. Mies van der Rohe
muore il 17 agosto 1969 a Chicago.
La premessa teorica dell’opera di Mies è la volontà di costruire un’architettura moderna, liberata dalla
sovrastruttura dell’architettura ottocentesca. Un’architettura espressiva dei valori del proprio tempo, così
come lo sono gli edifici antichi: le cattedrali romaniche e gotiche, gli acquedotti romani e i moderni ponti
sospesi, architetture dalla cui forza Mies rimane impressionato. «Tutti gli stili, i grandi stili, erano passati,
ma essi erano ancora lì».
«L’architettura è sempre legata al proprio tempo. Il nostro tempo non è per noi una strada estranea su cui
corriamo. Ci è stato affidato come un compito che dobbiamo assolvere. Da quando l’ho capito, ho deciso
che non avrei mai considerato con favore le mode in architettura e che dovevo cercare principi più profondi.
L’essenza dell’epoca è l’unica cosa che possiamo esprimere davvero».

Ma quali sono i valori di un’epoca e come si riconoscono? «Capire un’epoca – scrive – significa capire la sua
essenza e non ogni cosa ci venga innanzi agli occhi». Per Mies il ‘900 è l’epoca dell’economia, della scienza,
della tecnologia: «Niente più avviene che non sia osservabile. Dominiamo noi stessi e il mondo in cui ci
troviamo. La forza guida del nostro tempo è l’economia».
Qual è allora il ruolo dell’architetto in un tempo così descritto? «Dobbiamo accettarlo – afferma – anche se
le sue forze ci appaiono così minacciose. Dobbiamo diventare padroni delle forze incontrollate e disporle in
un nuovo ordine, ossia un ordine che dia libero spazio al dispiegamento della vita. Sì, però un ordine che si
riferisca agli uomini». Non si tratta di ritirarsi dal proprio tempo né di rimpiangere epoche passate. Al
contrario, «per quanto gigantesco possa essere l’apparato economico, per quanto potente la tecnica, tutto
ciò è soltanto materiale grezzo se confrontato con la vita. Non abbiamo bisogno di meno tecnica, bensì di
più tecnica. Non abbiamo bisogno di meno scienza, ma di una scienza più spirituale; non di minori energie
economiche, bensì di energie più mature».
Mies dà al Movimento Moderno una declinazione che potremmo definire umana. Egli si pone come
missione di “umanizzare” il moderno, cogliendo quanto potessero essere pericolose quelle posizioni
ideologiche che identificavano la modernità con il mito del progresso e della tecnica.

Orientare la tecnica al servizio dell’uomo, e darle forma, sarà il lavoro di una vita.

Tutto il lavoro di Mies e della sua scuola si fonda su due pilastri fondamentali: ordine e razionalità. Per Mies
l’ordine non è qualcosa che si impone ma qualcosa che va cercato e trovato, il risultato di un processo di

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conoscenza della natura delle cose. L’architettura, allora, non è altro che una forma di conoscenza della
realtà, la ricerca della forma che più risponde alla natura delle cose.

La forma è il risultato di un percorso razionale, che non ha nulla a che vedere col fantasioso o l’arbitrario,
ma che procede di scelta in scelta, dalla complessità all’essenzialità, fino al punto in cui nulla può essere
aggiunto e nulla tolto. La misura esatta, l’esatta proporzione, il giusto uso del materiale. Si può allora
comprendere la sua frase più famosa – “Less is more” – al di là del banale minimalismo e razionalismo cui
spesso viene ridotta: la semplificazione non è fine a se stessa, non è uno stile né un linguaggio, ma la
riduzione della complessità dei fenomeni della realtà alla loro qualità essenziale. Ciò che porta Mies a
realizzare architetture classiche e al contempo moderne. Senza tempo.

La filosofia progettuale di Mies è guidata dalla tecnologia dell’era moderna. Egli credeva che l’individuo
potesse e dovesse esistere in armonia con la cultura del suo tempo. La sua carriera è stata una lunga e
paziente ricerca per un’architettura che fosse il vero prodotto della sua epoca, oltre che una chiara
manifestazione sul posto dell’individuo nella sua era, quella caratterizzata dal rapido sviluppo tecnologico e
dalla produzione industriale di massa. Con la sua architettura, Mies ha voluto creare uno strumento di
riconciliazione tra l’individuo e la nuova società. Progetta in modo che il suo edificio sia flessibile e che non
ostacoli lo sviluppo dell’individuo, pur con l’anonimato che contraddistingue la cultura moderna. I materiali
dei suoi edifici, come l’acciaio e le lastre di vetro, sono la diretta espressione dell’era moderna, ma bisogna
considerare anche i materiali nobili usati, come il travertino e i legni esotici, che ne rappresentano il lusso.

Ricollegare l’uomo alla natura è la più grande sfida di una società urbanizzata. “Dovremmo cercare di
portare la natura, le case e l’essere umano a una superiore unità” diceva Mies. I muri di vetro e gli spazi
interni aperti creano un’intensa connessione con l’ambiente esterno, mentre la struttura esterna con i vetri
opachi riduce l’impatto dell’edificio al minimo. L’attenzione per il sito di progetto e l’integrazione con
l’ambiente esterno, rappresenta l’impegno per sposare l’architettura con l’ambiente. In questo senso
l'architettura diviene un tutto unico con la natura che la circonda: non certo per mimetismo, ma per essere
il "prisma" attraverso il quale il mondo è percepito. In tal senso, la Natura non è mai "toccata o guardata",
ma "percepita" ovvero fatta propria dall'osservatore. "Non è il cosa che è importante, ma soltanto il come"
- aveva sentenziato Mies. Il fine dell'architettura è di essere un "medium" attraverso il quale si possa
attingere la "verità" delle cose.
Nella casa Farnsworth, non è tanto importante l'immagine che la casa mostra di sé all’interno del bosco,
quanto lo è l'immagine che la casa aiuta a estrapolare del paesaggio che le sta intorno.

Il pensiero di Mies, la sua azione, il suo linguaggio erano sempre un «costruire». Egli non improvvisava, ma
dopo un’attenta analisi e molti schizzi di dettaglio, esaminava le possibilità e i limiti di ogni elemento, fino
a che questo si lasciava inserire nell’insieme. Il risultato dello sviluppo non veniva fissato solo nel disegno,
ma contemporaneamente nel modello. Disegno e modello stavano così in stretta sintonia. Al laboratorio
Mies attribuiva la massima importanza, in quanto qui creava i plastici. Quando il ritmo di una struttura
d’acciaio, per esempio, non risultava chiaramente dalla rappresentazione grafica, bisognava eseguire il
modello.
Mies costruì o progettò edifici caratterizzati da una netta separazione tra gli elementi strutturali portanti e
la libera articolazione degli spazi interni attraverso pareti divisorie non portanti. Il tetto poggia su muri di
mattoni o su una serie di pilastri regolarmente distribuiti. Questa disposizione libera la pianta e permette gli
accorgimenti necessari a soddisfare il bisogno di aria, luce e verde. Ciò spiega anche come lo spazio vuoto
diventa per Mies il materiale vero della conformazione architettonica, in una concezione fortemente
anticipatrice di tendenze contemporanee.

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Dopo la casa Tugendhat del 1930, Mies si concentrò soprattutto sugli studi teorici di una casa a corte. Era
il discorso in parte già iniziato nel 1923 con la villa in mattoni e poi magistralmente interpretato nel
padiglione di Barcellona: ma da una forma dinamicamente articolata e integrata nell’ambiente, Mies passò
a un tipo edilizio chiuso su se stesso, circondato dai muri di mattoni e comunicante con l’esterno
attraverso piccole aperture.

OPERA

È il 1945 quando Edith Farnworth, 42enne medico specialista di Chicago, incontra a un dinner party
l’architetto tedesco, naturalizzato americano, Ludwig Mies van der Rohe e gli parla della propria intenzione
di costruire una casa per il fine settimana nel terreno di sua
proprietà, adiacente al Fox River. Mies è interessato e dopo
alcuni sopralluoghi accetta di redigere il progetto. La
committenza è chiara: si tratta di un edificio per una donna
sola da usare per il week-end. Il progetto prende forma nel
1946 e si configura in una versione matura nel 1947, anno
in cui è esposto al Museo di Arte Moderna di New York. La
costruzione della casa venne terminata nel 1951.

Il terreno scelto è a Plano, a un centinaio di chilometri a


sud-ovest di Chicago, soggetto al rischio delle piene periodiche del Fox River. L’architetto per questo
motivo, decide di sospendere l’edificio da terra di circa 1,6 m, conferendo alla costruzione quella lievità poi
accentuata dalla struttura leggera in acciaio e dalle “pareti” vetrate che la avvolgono.

La casa è considerata la più completa e raffinata espressione del genio di Mies, l’essenza della sua
architettura è caratterizzata da ciò che viene definito “almost nothing”: la purezza dei dettagli e il limitato
uso degli elementi che la compongono, che sembra stiano insieme grazie una forza magnetica.

Già nel 1954 la casa era stata sommersa


dall’acqua, ma è nel 1996 ci fu una piena
eccezionale, che arrivò persino a sommergere
la casa a 1,5 m sopra il livello del pavimento,
seguita da un’altra piena l’anno successivo.
Queste piene provocarono ingenti danni a tutta
la struttura mettendo in evidenza il cambio di
condizioni del sito e l’esigenza urgente di
adottare dei provvedimenti. Per le modifiche,
sono stati proposti diversi progetti: alcuni
prevedevano lo spostamento dell’edificio in un
punto più protetto, altri l’introduzione di un
sistema pneumatico per alzarlo da terra. Le soluzioni sono attualmente al vaglio del National Trust for
Historic Preservation, che oggi gestisce la proprietà.

Piani orizzontali opachi, superfici verticali trasparenti: in estrema sintesi sono queste le caratteristiche di
casa Farnsworth. Può sembrare una valutazione riduttiva, ma non lo è. Si tratta, in effetti, di un'architettura

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semplice, obiettivo difficile da raggiungere, che rende protagonista la natura circostante, la valorizza e
instaura con essa un rapporto inscindibile.

Gli aspetti da evidenziare in quest'opera sono, dunque, il classicismo dell'impianto, il sistema costruttivo,
che lo trasforma in “tempio” in acciaio, e la trasparenza dell'involucro, che scandisce nella fruizione
spaziale un susseguirsi di momenti di contemplazione della natura.
La particolarità di questo “tempio” è, però, data dal fatto che è realizzato con un sistema costruttivo che
caratterizza fortemente l'architettura americana del XX secolo: la struttura in acciaio.
La scelta non ha valenza soltanto tecnica, ma diventa anche espressiva, in quanto contrappone alla logica
del cemento armato, che cristallizza la forma finale in un unico monolite, quella della composizione di
elementi in ferro, che rimangono riconoscibili come singole parole all'interno di una frase o di un racconto,
organizzato secondo regole grammaticali e sintattiche.
Sono invece importanti i particolari costruttivi, lo studio dei dettagli, aspetti fondamentali per la
comprensione dell'opera di Mies: il dettaglio per l'architetto tedesco non è soltanto il mezzo per risolvere
un problema esecutivo ma diventa momento di controllo per dar forma corretta ai materiali.

Un'opera della maturità, dunque, in cui le prime influenze neoplastiche lasciano il posto a un'impostazione in
cui la classicità si manifesta nella modularità, sottolineata dal posizionamento dei pilastri.

"La casa Farnsworth - diceva Mies in un'intervista concessa nel 1959 - credo non sia mai stata veramente
capita. Io personalmente sono stato in quella casa dalla mattina alla sera. Fino a quel momento non avevo
saputo quanto la Natura possa essere piena di colori. Si deve avere l'attenzione di usare toni neutri negli
spazi d'interno, proprio perché all'esterno si trova ogni sorta di colore. Questi colori cambiano
continuamente e completamente e vorrei dire che questo è semplicemente glorioso".
E l'anno precedente, il 1958 - in un'altra intervista - Mies sottolineava ancora più chiaramente: "La natura
dovrebbe anche avere una vita di per sé. Noi dovremmo evitare di disturbarla con l'eccessivo colore delle
nostre case e dei nostri arredi. In verità, dovremmo sforzarci di portare la Natura, le case e la gente assieme
verso un'unità più alta. Quando uno guarda la Natura attraverso le pareti vetrate della casa Farnsworth
essa assume un significato più profondo di quando uno se ne sta all'esterno. Quanta più parte della Natura
viene espressa così tanto più essa diviene parte di un più vasto insieme".

Per Mies, il problema non è tanto quello di riunire uomo e natura attraverso una compenetrazione fisica
dell'artificiale e del naturale, dell'interno e dell'esterno - come a volte si è intesa la sua opera,
riconducendola a categorie wrightiane - poiché anzi architettura e natura giocano ciascuna un proprio
autonomo ruolo nel paesaggio (urbano o extraurbano che sia): piuttosto il problema è di operare questa
riunificazione introducendo, attraverso l'intervento artificiale dell'architettura, una chiave di lettura
razionale della realtà esterna, determinando cioè un'appropriazione intellettuale della Natura da parte
dell'osservatore.

Mies van der Rohe è stato il padre di un’architettura “pelle e ossa” caratterizzata da onestà materiale e
integrità strutturale, da quei dettagli che, nelle sue opere, non erano mai equivalenti a fronzoli o orpelli
stereotipati, ma essenza allo stato puro. Anime nude che rendevano evidente l’equazione: semplicità =
bellezza. Credere in una frase come “less is more” – il meno è il più – significa credere in vuoti che sanno
riempire di significato i pieni.

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STRUTTURA

Nei termini della struttura statica, Casa Farnsworth è l’ultima espressione del minimalismo, rappresentato
dall’utilizzo solo del minimo necessario per assicurare stabilità alla casa.

Casa Farnsworth si sviluppa su due piattaforme rettangolari sfalsate e di diverse dimensioni: la più piccola,
sostenuta da sei pilastri a doppia T, funge da terrazza ed è collegata al terreno da una rampa di quattro
gradini. Altri cinque gradini la collegano alla piattaforma sovrastante, sostenuta da otto pilastri, anch'essi a
doppia T, che diventa il piano d'appoggio di un atrio e dell'abitazione ed è interamente coperta da un solaio
orizzontale. A parte l’acciaio e il vetro, sono pochi altri i materiali utilizzati: travertino per i pavimenti (in
lastre da 60,0 x 84,0 cm), legno “primavera” per il blocco centrale e teak per il guardaroba, oltre
all’intonaco dei soffitti. Ludwing Mies van der Rohe scelse questi materiali per i vantaggi che ne
comportano, le strutture in acciaio correttamente progettate presentano la proprietà della duttilità, che è
una caratteristica importante che permette di resistere a carichi impulsivi, quali esplosioni o terremoti.
Inoltre, il vetro presenta un costo molto basso, facilità di costruzione e permette di sfruttare la luce
naturale per l’illuminazione.

Lo spazio compreso tra la piattaforma di appoggio e la copertura


è, infatti, parzialmente chiuso da una superficie verticale vetrata
che delimita lo spazio dell'abitazione.
La struttura architettonica dell'edificio si può, dunque, definire
come una successione di lastre orizzontali, costituite dalle due
piattaforme e dal solaio di copertura, e di sostegni verticali in
ferro posizionati soltanto lungo i lati maggiori delle piattaforme.
All'interno dello scheletro metallico, un sottile diaframma,
costituito dalla successione di superfici vetrate estese in altezza
dal pavimento al soffitto, separa l'abitazione dall'esterno. Non si tratta di un muro interrotto da bucature,
ma è il muro stesso che perde la consistenza materica della pietra per diventare un elemento completamente

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trasparente, scandito soltanto dalla presenza dei telai dell'infisso. Se si considera il contesto in cui è inserito
l'edificio, si può capire come alla leggerezza materica dell'involucro corrisponda una forte carica espressiva:
è proprio la sua “inconsistenza” uno degli elementi di forza di questa architettura. Pochi elementi inseriti in
un contesto naturale che, pur non cercando un inserimento di tipo mimetico con l'ambiente circostante,
instaurano con esso un forte rapporto di integrazione spaziale. Lo scheletro strutturale verniciato di bianco,
le superfici orizzontali di calpestio in travertino, la pelle trasparente hanno come obiettivo quello di rendere
protagonista non tanto l'edificio, per quanto questo si manifesti con tutta la sua carica espressiva, quanto la
natura in cui esso è inserito. Questa non deve essere filtrata in alcun modo, deve entrare, almeno
visivamente, all'interno dell'edificio; le sue forme, i suoi colori devono continuare a essere protagonisti
anche all'interno della casa. La continuità dei piani orizzontali deve soltanto aggiungere forza alla percezione
della natura dall'interno dell'abitazione

La relazione, quindi, tra la pelle di vetro e la struttura architettonica sono molto forti, in quanto il
posizionamento dei montanti verticali dei telai segue scrupolosamente le regole proporzionali che
sottendono l'edificio. Le superfici orizzontali seguono, infatti, una rigida modularità basata su un elemento
rettangolare, corrispondente ad una lastra di travertino, dalle dimensioni di 2' per 2'-9', equivalenti nel
sistema metrico decimale ad un modulo di cm 60.96 per cm 83.82. Il dimensionamento di questa lastra
sembra avere un rapporto tra i due lati di 2:3, con un dimensionamento di cm 60 per cm 90, in realtà non è
così. Se così fosse, infatti, non sarebbe possibile rispettare le misure complessive dell'impianto
planimetrico.
Un'approssimazione del genere risulta in questo caso assolutamente fuorviante, considerando l'importanza
che la misura effettiva riveste nella scansione modulare e quindi nella determinazione delle misure
complessive dell'edificio. In realtà, le dimensioni nascono da una scelta proporzionale che trova il suo
fondamento nel sistema di misurazione anglosassone, per cui ad una misura di 2' del lato maggiore
corrisponde la misura 2' e 9", cioè di 2' e 3/4. La lastra della pavimentazione si può considerare l'elemento
base dell'intera modularità, ma non è possibile prenderlo come riferimento proporzionale per il
dimensionamento planimetrico. La piattaforma tra il
giardino e il piano principale è scandita da una griglia
ottenuta dall'accostamento di venti lastre lungo la
dimensione longitudinale e di undici lastre lungo quella
trasversale e si trova a 60,0 cm da terra e misura 16,75 ×
6,70 m (112 mq). Nella piattaforma superiore sono invece
presenti ventotto lastre poste lungo la dimensione
longitudinale e quattordici lastre poste lungo quella
trasversale. Le misure complessive delle piattaforme,
prendendo in considerazione anche le travi C che ne
chiudono il perimetro, sono di m 23.54 per m 8.74 e di m
16.84 per m 6.92. I pilastri, posizionati perimetralmente
all'esterno dei solai, sono posti a una distanza di m 6.70
l’uno dall’altro, e sono collocati in corrispondenza dei
giunti di connessione delle lastre della pavimentazione.

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CHIUSURA
Tutti i muri esterni sono di vetro. I giunti degli infissi
in ferro e in vetro che definiscono la sottile pelle
dell'abitazione sono posizionati in corrispondenza
dei pilastri esterni, sugli assi di mezzeria tra un
pilastro e un altro in corrispondenza degli angoli. Gli
infissi lungo i lati corti, pur avendo un
dimensionamento diverso sui due fronti, sono
posizionati lungo l'asse di simmetria della
piattaforma di base. La parete vetrata non è
continua, ma vi sono delle parti mobili che si aprono
grazie a un perno centrale, in questo modo si ottiene una maggiore apertura per una superiore
permeabilità. Se si osserva una sezione si nota che i portavetro sono stati molto studiati soprattutto nelle
giunzioni con la struttura portante, giunzioni che si ottengono grazie alla giustapposizione di diversi profilati
che ancora non vengono nascosti. In questo senso si può parlare sicuramente di cura del dettaglio di Mies.

PARTIZIONI INTERNE ED ESTERNE

La zona adibita ad abitazione ricopre parzialmente la seconda piattaforma, che diventa, dunque, un
elemento unico a doppia funzione: in parte funge da atrio, coperto superiormente dal solaio di copertura
ma aperto su tre lati, in parte diventa il piano su cui si sviluppa la parte interna della casa.

Lo spazio interno ha un'estensione superficiale perfettamente regolare i cui lati misurano 28' per 55'. Il lato
maggiore ha la stessa dimensione di quello della terrazza sottostante: un rapporto modulare lega i due
elementi architettonici, che mostrano una natura comune anche nella definizione materica dei loro
componenti: acciaio per il sistema strutturale e lastre di travertino per la pavimentazione.
All'interno lo spazio è unico, privo di
separazioni che definiscono i vani, non vi
sono stanze e le varie zone della casa sono
schermate da pochissimi mobili. L'unico
elemento che si oppone ad una fruizione
totalmente libera dello spazio è costituito un
volume centrale rivestito di legno staccato
dal soffitto, che contiene i servizi: i due bagni,
la caldaia e, con un gioco di pieni e vuoti, il
grande camino e, dall’altra parte, la cucina. I
servizi, dunque non hanno aperture lungo le
pareti laterali, aperture che sono state
posizionate sul tetto.

La villa è orientata perfettamente rispetto ai punti cardinali, il soggiorno è stato disposto nella zona sud; la
camera da letto a est; i bagni e la cucina a nord; sala da pranzo a ovest e ingresso a sud. E’ stata data una
particolare attenzione all’ingresso, creando una zona di passaggio dove è presente la copertura, ma non
ancora le pareti vetrate.
La separazione della casa dal terreno, sul quale sono posizionati i pilastri, è stata associata all’idea di purità,
nella tradizione dell’architettura giapponese. L’assoluta predominanza del vetro allude all’idea di
connessione tra l’interno e l’esterno, tra il pubblico e il privato, tra l’individuo e la natura.

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IMPIANTI
La tecnologia di Mies spesso si dimostrò inadeguata, all’interno delle sue costruzioni. All’interno di casa
Farnsworth si presentarono numerosi problemi dal punto di vista del riscaldamento interno, perché non
vennero sviluppati gli impianti nella maniera corretta. L'ambiente interno è riscaldato da un sistema
radiante installato nel pavimento, ma durante l’inverno, le grandi vetrate tendevano ad accumulare
condensa, a causa di uno squilibrio nel sistema di riscaldamento. In estate, nonostante la protezione offerta
da un albero di acero da zucchero appena fuori dalla parete sud, il sole scaldava molto l’interno. La
ventilazione trasversale creata dall’apertura delle pareti a vetro era inutile, inoltre la casa si riempiva di
insetti, provenienti dalla natura circostante. In questa abitazione è stato sviluppato un sistema differente
per lo smaltimento delle acque piovane. La struttura presente al di sopra dei bagni accoglie le acque
piovane, che non sono smaltite con un sistema di grondaie, ma fatte convogliare nel nucleo e incanalate
direttamente nelle fognature.

ATTREZZATURE

Non sono presenti attrezzature esterne di alcun genere, perché la casa si trova completamente isolata nel
verde.

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BIBLIOGRAFIA
De Rubertis Roberto,
1994, Il disegno dell’architettura, NIS, Roma.

De Rubertis Roberto, Soletti Adriana, Ugo Vittorio (a cura di),


1992, Temi e codici del disegno dell’acrhitettura, Officina Edizioni, Roma.

De Simone Margheria,
1990, Disegno, rilievo, progetto, NIS, Roma

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SITOGRAFIA
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https://www.unirc.it/documentazione/materiale_didattico/597_2012_322_14689.

www.itgdelai.it/archivio/Ricerche/2006-07/MIES%20VAN%20DER%20ROHE

https://www.google.it/#q=living.corriere.it%2Fcase%2Fautore%2Fcasa-farnsworth-di-mies-van-der-rohe

http://rice.iuav.it/39/2/arg_3_-_percezioni_sottili_del_paesaggio

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http://www.houzz.com/ideabooks/8528783/list/must-know-modern-homes-edith-farnsworth-house

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http://www.architravel.com/architravel/building/farnsworth-house/

http://www.universalmind.com/blog/farnsworth-house-a-ux-reflection-2/

Per i siti sopra indicati, l’ultima data di consultazione è 30.06.16

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