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Il mondo inanimato si presenta ai nostri occhi

con grande ricchezza di forme e di proprietà.


Fin dalle origini del pensiero filosofico e scientifico
l'uomo si è posto il problema di interpretarne la molteplicità,
riconducendo la varietà dei fenomeni osservati
ad alcuni principi fondamentali.
Da oltre due millenni, dunque, si è awiata
la ricerca dei "mattoni" che costituiscono
il mondo fisico così come esso ci appare
e delle leggi fondamentali per il cui tramite essi interagiscono,
in modo da poter interpretare l'architettura della materia
nei suoi tre stati di aggregazione
e le sue trasformazioni dall'uno all'altro.
Qui si tenta di dare una visione complessiva
dei fenomeni più significativi relativi all'immenso settore
della fisica che va sotto il titolo generale
di struttura .della materia, e di inquadrare le proprietà
macroscopiche entro gli schemi della fisica contemporanea.
Dedicato non solo ai tecnici, ma anche agli studenti
di liceo e, come lettura preliminare a corsi specifici,
agli studenti universitari, questo libro è articolato in due parti:
nella prima si esaminano le proprietà fisiche macroscopiche,
prescindendo in genere dalla descrizione a scala atomica;
nella seconda si delineano le strutture portanti dell'architettura
della materia, riportando all'unità la molteplicità dei fenomeni.

Roberto Fieschi, laureato in Fisica all'Università di Pavia,


ha conseguito il Ph.D. in Fisica all'Università di Leida
(Paesi Bassi). Ha tenuto corsi universitari
alle Università di Milano, Pavia, Pisa e Genova.
È professore ordinario di Struttura della materia
all'Istituto di Fisica dell'Università di Parma dal 1965.
BIBLIOTECA SCIENTIFICA / IO

Collana diretta da Carlo Bernardini

Comitato editoriale:
Francesco Amaldi, Carlo Bernardini,
Giorgio Di Maio, Renato Funiciello
I lettori che desiderano
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possono rivolgersi direttamente a:
La Nuova Italia Scientifica,
via Sardegna 50,
oor87 Roma,
telefono o6 l 487 07 45,
fax o6 l 474 79 31
Roberto Fieschi

Stati e trasformazioni
della materia

La Nuova Italia Scientifica


1• edizione, maggio 1993
© copyright 1993 by
La Nuova Italia Scientifica, Roma

Finito di stampare nel maggio 1993


per i tipi delle Arti Grafiche Editoriali srl, Urbino

Disegni di Barbara Gianquinto

Riproduzione vietata ai sensi di legge


(art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633)

Senza regolare autorizzazione,


è vietato riprodurre questo volume
anche parzialmente e con qualsiasi mezzo,
compresa la fotocopia,
neppure per uso interno
o didattico.
Indice

Premessa 9

I, Gli stati di aggregazione della materia II

I. I. Introduzione II
!.2. Gli stati di aggregazione 15
!.3. I cambiamenti di stato 16

2. Cenni di termodinamica 19

2.!. Generalità 19
2.2. Temperatura e zeresimo principio 21
2.3. Quantità di calore 21
2.4. Il primo principio 22
2.5. Il secondo e il terzo principio 24
2.6. Equazioni di stato 27
2.7. Sistemi ideali 28

3· Proprietà macroscopiche 31

3·!. Il gas ideale 31


3.I.Ì:. L'equazione di stato l 3.1.2. Energia interna l 3.1.3· Altre ca­
ratteristiche del gas ideale

3.2. I gas reali


3.2.1. Equazioni di stato l 3.2.2. Energia interna. L'effetto Joule-Kel­
vin (o Joule-Thomson)

3·3· I liquidi 42
3·3.1. Caratteristiche generali l 3·3.2. La tensione di vapore saturo l
3·3·3· La temperatura critica l 3·3·4· L'acqua

7
3·4· Le soluzioni liquide
3·5· L'elio liquido. Superfluidità
3.6. I solidi
3.6.1. Cenni sullo sviluppo storico

3·7· Proprietà fisiche dei solidi 70


3·7·1. Proprietà meccaniche l 3.7.2. Proprietà ottiche l 3·7·3· Pro·
prietà termiche l 3·7·4· Proprietà elettriche l 3·7·5· Proprietà magne·
tiche l 3.7.6. Superconduttività l 3·7·7· Ferroelettricità

3.8. I solidi amorfi 119


3·9· I cristalli liquidi 123
3-10. n plasma 125

4· La struttura microscopica della materia 129

4. 1 . Introduzione 129
4.1.1. l mattoni l 4.1.2. L e leggi

4-2. L'architettura 149


4.2.1. Alcuni modelli l 4.2.2._j)i costruisce su basi solide

4·3· I solidi ideali 160


4·3·1. Proprietà elettroniche. Teoria delle bande l 4·3-2· Gli isolanti l
4·3·3· I semiconduttori l 4·3·4· I metalli l 4·3·5· Proprietà ferroma­
gnetiche l 4.3.6. Dinamica reticolare. Modello unidimensionale

4·4· I solidi reali. Le imperfezioni reticolati 172


4·4·1. I posti vacanti l 4.4.2. Altre imperfezioni puntiformi
4·4·3· Imperfezioni lineari. Le dislocazioni

5· Transizioni di fase 179

5·1. Generalità 179


5.2. Transizioni di primo ordine 181
5·3· I fenomeni critici 188

Schede 195

Bibliografia 199

Indice analitico 201

8
Premessa

Questo libretto - e la collana di cui fa parte - si rivolge a persone di


cultura liceale, quindi con un certo livello di conoscenze di matemati­
ca, chimica e fisica. L'argomento è vasto, riguarda l'immenso settore
della fisica contemporanea che va sotto il titolo generale di struttura
della materia. Qui ho cercato di illustrarne alcuni aspetti significativi,
ma ho trascurato di necessità alcuni argomenti importanti.
Nei primi tre capitoli si esaminano le proprietà fisiche macrosco­
piche della materia, prescindendo in genere dalla descrizione dei fe­
nomeni a scala atomica. Nel quarto capitolo si tenta di fornire il qua­
dro concettuale che consente di interpretare, sulla base delle leggi
generali della fisica, la molteplicità dei fenomeni. Il quinto capitolo
riguarda le transizioni fra gli stati di aggregazione della materia e, più
in generale, le transizioni di fase. Poiché è impossibile, senza uno stu­
dio di alcuni anni, disporre degli strumenti matematici e fisici indi­
spensabili, mi sono dovuto limitare a delineare le strutture portanti
dell'architettura della materia. So che alcuni punti in quest'ultima
parte dell'esposizione non si prestano a una facile comprensione;
penso però che possano risultare utili a chi proseguirà gli studi scien­
tifici.
Desidero esprimere gratitudine a mia moglie Anna che mi ha
molto aiutato, al mio collega e amico Roberto De Renzi per gli utili
consigli e a Francesca Piergentili per l'accurata preparazione del te­
sto.

ROBERTO FIESCHI

9
I

Gli stati di aggregazione della materia

I,I
Introduzione

Nel loro tentativo razionale di trovare un ordine nelle cose, di indivi­


duare un principio generatore unico, i primi filosofi occidentali cono­
sciuti, i naturalisti della Scuola di Mileto, fissarono la loro attenzione
sugli stati di aggregazione della materia e sulle loro trasformazioni.
Non, quindi, su quelli che noi oggi chiamiamo elementi e sostan­
ze chimiche. Così Talete (624-546 a.C., ca. ) cercò la suprema unità
del cosmo nell'acqua, Anassimene (586-528 a.C., ca. ) nell'aria. Attra­
verso la rarefazione (riscaldamento) e la condensazione (raffredda­
mento) dell'aria avrebbero origine fuoco, nubi, acqua, terra, pietra.
Un poco più tardi altri filosofi si occuparono del problema; ad esem­
pio Eraclito (540-470 a.C., ca. ) vide nel fuoco 'il principio generatore;
Empedocle (490-430 a.C., ca. ) portò a quattro gli elementi fonda­
mentali, terra, acqua, aria, fuoco: dunque lo stato solido, quello liqui­
do e quello gassoso, oltre al fuoco, che non è certamente uno stato
della materia in senso termodinamico; Aristotele, un secolo dopo, ac­
cetterà la stessa classificazione e il suo prestigio influirà per quasi due
millenni.
Queste antiche speculazioni sull'unità della materia, alle quali una
tradizione consolidata associa la nascita ufficiale della filosofia e della
scienza, sembrano indicare che la marcata diversità fra gli stati della
materia era stata individuata, e così pure il ruolo del calore nell'in­
durre le trasformazioni. Queste, al tempo dei filosofi ionici, e anche
in seguito, includevano tutti i cambiamenti che si osservano sotto il
grande arco del cielo. Avanziamo un'ipotesi. Già allora si potevano
osservare due tipi di trasformazione di natura ben diversa: i cambia­
menti di stato veri e propri, come il condensarsi in pioggia dell'umi-

II
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

dità dell'aria, o il fenomeno inverso dell'ebollizione, o la fusione del


rame e del bronzo, ma anche le· reazioni chimiche, realizzate dai me­
tallurgisti per ricavare i metalli dai loro minerali. Nelle prime la so­
stanza 1 che subisce la trasformazione rimane la stessa ( trasformazio­
ne fisica), non così nelle seconde. Se questa distinzione fosse stata
chiara ai primi fùosofi, forse la ricerca dell'elemento - o degli ele­
menti - fondamentale sarebbe stata meno arbitraria. Rimane il fatto
che il grande merito dei sapienti del VI secolo fu proprio la convin­
zione che esistesse un principio unificatore, basata sulla fiducia che la
ragione fornisse uno strumento essenziale per individuare un ordine
nella natura delle cose. Sulla natura infatti (Physis) è spesso il titolo
di queste prime opere fùosofico-scientifiche, delle quali tuttavia non
abbiamo conoscenza diretta, ma attraverso gli scritti di Aristotele
(384-322 a.C.) o di altri autori posteriori. La ricerca dei mattoni fon­
damentali dell'universo ha accompagnato l'intero sviluppo della
scienza, dall'alchimia alla chimica, alla fisica. Negli ultimi due secoli
lo scenario è mutato più e più volte, oscillando fra ipotesi audace­
mente unificatrici - per William Prout (1785-185o) , all'inizio dell'Ot­
tocento, gli atomi di tutti gli elementi erano costituiti dall'unione di
atomi di idrogeno - e proliferazioni di entità fondamentali; negli anni
Cinquanta, ad esempio, si è assistito a una . crescita abnorme dei tipi
delle cosiddette particelle elementari; in seguito ci si è resi conto che
alcune particelle sono più elementari delle altre (ad esempio i famosi
quark) ed è stato possibile realizzare una nuova unificazione. Oggi
alcune partiCelle, di cui i fisici teorici garantiscono l'esistenza sulla
base di speculazioni ben più solide di quelle dei primi atomisti, Leu­
cippo e Democrito, mancano ancora all'appello; esse hanno nomi
esotici: bosone di Higgs, top quark, gravitone. Dunque la partita è
.lontano dall'essere chiusa; la ricerca dei mattoni fondamentali oggi

I. In chimica e in fisica si definisce elemento una sostanza semplice costi­


tuita da atomi con la stessa carica nucleare (il numero atomico Z) e con Io stesso
numero di elettroni; esistono 89 elementi naturali, dal più leggero, l'idrogeno
(Z=I), al più pesante, l'uranio (Z=92) , oltre a tre elementi intermedi, il tecnezio
(Z=43) , il promezio (Z=6I) e l'astato (Z = 85), e a una quindicina di elementi
pesanti, detti transuranici, preparati artificialmente, e instabili. La sostanza, o
composto chimico, è caratterizzata da molecole di struttura ben definita conte­
nenti più speci atomiche; ne esiste un numero molto grande di naturali e di
sintetiche. Nelle reazioni chimiche si hanno trasformazioni molecolari nelle quali
gli elementi in gioco restano gli stessi.

12
I. GLI STATI DI AGGREGAZIONE DELLA MATERIA

coincide con quella delle forze (interazioni) fondamentali presenti


nell'universo.
La natura della materia stabile, quella cioè che abbiamo sotto gli
occhi ogni giorno, di cui siamo fatti noi stessi, gli animali, le piante,
la terra (se trascuriamo le piccole quantità di nuclei radioattivi natu­
rali) è abbastanza ben capita. Essa ci appare nei suoi tre stati di ag­
gregazione fondamentali, lo stato solido, quello liquido e quello gas­
soso, ed è ad essa che dedicheremo qui la nostra attenzione. Vedre­
mo anche come le ricerche dell'ultimo secolo abbiano messo in luce
che sostanze o sistemi fisici particolari esistono anche in stati di ag­
gregazione diversi dai tre stati classici.
Quanto alle trasformazioni da uno stato all'altro - che sono dette
transizioni di fase 2 - oggi sappiamo che sono del tutto generali e che
sono determinate da due fattori, la temperatura e la pressione. Que­
sta generalità era tutt'altro che evidente al tempo dei filosofi naturali­
sti, e probabilmente non è evidente neanche oggi alla maggior parte
delle persone; quanti sanno, ad esempio, che possono esistere il va­
pore di rame, o il carbonio liquido, o l'aria solida? Eppure anche il
rame, come ogni altro elemento, esiste anche allo stato aeriforme,
perché alcuni atomi. sfuggono alla superficie; solo che, se la tempera­
tura non è molto alta, la densità del gas è così piccola da non essere
rilevabile senza strumenti particolari. L'esistenza di vapori metallici
può essere provata sperimentalmente se invece del rame, che evapora
solo in misura trascurabile a temperatura ambiente, scegliamo un al­
tro metallo, il mercurio; se in una camera ben chiusa, di 25 mq di
area e 4 m di altezza mettiamo 1 g di mercurio (Hg) , dopo un certo
tempo vedremo che le gocce del liquido scompaiono: il mercurio è
passato allo stato di vapore diffuso per tutta la stanza con una densi­
tà molto tenue (un centesimo di grammo per metro cubo) . Il carbo­
nio, nella sua struttura di grafite, liquefa, ma solo a pressioni superiori
ai 100 kg per centimetro quadrato (cento volte la pressione atmosfe­
rica) e a temperature superiori ai 4.ooo °K (FIG. 1 . 1 ) ; l'aria solidifica,
ma a temperature inferiori a circa 70 °K , ossia a circa 200 gradi al di
sotto dello zero della scala centigrada.
Nelle condizioni normali in cui viviamo, la pressione è quella at­
mosferica e la temperatura subisce oscillazioni di alcune decine di

2. Fase è una porzione fisicamente omogenea di un sistema, delimitata da


superfici di separazione definite; per esempio per l'acqua a o °C possono coesi­
stere la fase liquida, la fase solida e la fase vapore.

13
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

FIGURA 1 . 1
Diagramma d i fase del carbonio

,......
111
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CARBONIO
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...
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TEHPERHURII ('C.)

Le aree delimitate dalle tre curve indicano i valori (P, n ai quali sono stabili le due fasi solide e queUa
liquida; le transizioni dall'una all'altra fase hanno luogo per i valori (P, n corrispondenti alle tre curve.

gradi; con la combustione, con l'impiego di forni non troppo sofisti­


cati, come quelli realizzati già nell'antichità per la cottura della cera­
mica e per la fusione dei metalli, la temperatura può essere aumenta­
ta di diverse centinaia di gradi. In questi intervalli limitati di tempe­
ratura e limitatissimi di pressione, e senza ricorrere a strumenti parti­
colari, ben poche sostanze danno luogo a transizioni di fase osserva­
bili. A parte l'acqua, che si presenta in tutti e tre gli stati di aggrega­
zione, come ghiaccio, acqua liquida e vapore acqueo, tutt'al più si ha
esperienza diretta della fusione e della solidificazione del vetro e di
alcuni metalli e leghe, della solidificazione della lava dei vulcani, del­
l'evaporazione dei liquidi volatili come l'etere, l'alcool, l'acetone, del­
la sublimazione (transizione da solido a gas) della naftalina o dell'ani­
dride carbonica (C02). Dunque non deve stupire che i filosofi dai
quali siamo partiti non siano stati in grado di discriminare i cambia­
menti di stato di una stessa sostanza dalle trasformazioni di natura
chimica da una sostanza all'altra, e abbiano cercato il principio unifi­
catore in uno degli stati di aggregazione della materia, o in più d'u­
no.
Per valutare la difficoltà a compiere passi significativi, si pensi
che ancora nel xvn secolo Jean Baptiste van Helmont ( 1579-1644 ) ,
I. GLI STATI DI AGGREGAZIONE DELLA MATERIA

uno dei primi scienziati che cercò di superare la tradizione alchimisti­


ca e che per primo distinse i gas dell'aria, postulava come elemento
primario l'acqua. Spetta a Robert Boyle (I627-I69I) la critica radica­
le della teoria aristotelica dei quattro elementi.
Come scrisse Lucio Anneo Seneca già nel primo secolo dopo Cri­
sto, nella sua enciclopedia Quaestiones natura/es, «La scienza è in
continuo divenire; la verità è sempre in cammino e il fascino del mi­
stero ci mette sulla sua strada. Un giorno molti segreti saranno svelati
con gli studi accumulati nei secoli [ . . . ] . Verrà tempo in cui i nostri
posteri si stupiranno che noi abbiamo ignorato fatti così chiari».

1.2
Gli stati di aggregazione

Nello studio delle proprietà fisiche degli stati di aggregazione della


materia è utile distinguere fra descrizione macroscopica e microscopi­
ca. La prima prescinde dalla struttura a scala atomica, cioè su dimen­
sione di I - Io A (un angstrom - dal nome del fisico svedese Anders
Jonas Angstrom, vissuto tra il I8I4 e il I874 - equivale a Io -s cm ed
è l'unità di misura di lunghezza usata nella fisica atomica e molecola­
re) , e considera il sistema come un oggetto continuo, così come ap­
pare ai nostri sensi; la seconda parte dal fatto che il sistema è costi­
tuito da un gran numero di particelle che interagiscono più o meno
fortemente (atomi, molecole, ioni, elettroni) e cèrca di interpretare le
proprietà macroscopiche partendo da quelle degli elementi costituen-
ti.
Dal punto di vista macroscopico possiamo dire, ad esempio, che
un cristallo di quarzo è trasparente alla luce visibile e la rifrange,
mentre un cristallo di alluminio è opaco e riflettente; sappiamo anche
che il quarzo è un buon isolante elettrico, mentre l'alluminio è un
buon conduttore, e siamo in grado di descrivere le proprietà ottiche
ed elettriche con leggi fisiche rigorose. Dal punto di vista microscopi­
co sappiamo che questi due tipi di solido sono costituiti da distribu­
zioni regolari di atomi nello spazio (i reticoli çristallini) e siamo in
grado di interpretare in modo soddisfacente le proprietà fisiche par­
tendo dalle leggi fondamentali che regolano il comportamento delle
particelle che costituiscono il solido.
Dal punto di vista macroscopico si distinguono abbastanza chiara­
mente i tre stati di aggregazione, solido, liquido, gas, e oggi si sa che ·

tutti gli elementi e molti composti (sostanze) chimici possono assu-

I5
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

mere ciascuno dei tre stati; fanno eccezione quei composti che si de­
compongono a temperature inferiori a quella alla quale si ha la tran­
sizione da solido a liquido, cioè al punto di fusione.
Una definizione rigorosa e non ambigua dei tre stati di aggrega­
zione, dal punto di vista macroscopko, non è facile né molto signifi­
cativa. I solidi hanno un volume e una forma definiti, offrono resi­
stenza alla deformazione (sono cioè rigidi) e sono difficili da compri­
mere; anche i liquidi hanno un volume definito e una compressibilità
bassa, ma modificano facilmente la loro forma, così da adattarsi alla
forma del recipiente; i gas occupano completamente il volume dispo­
nibile e sono facilmente comprimibili, se la densità non è molto gran­
de; la viscosità, che qualitativamente misura la resistenza offerta al
cambiamento di forma, in un gas è molto inferiore che in un liquido.
In condizioni ordinarie la densità dei solidi e dei liquidi è molto più
elevata di quella dei gas, per un fattore di circa mille. Esistono tutta­
via situazioni che non si inquadrano in questo schema. Un vetro, ad
esempio, può essere considerato un solido, oppure un liquido con
viscosità molto alta; i ghiacci sono fatti di acqua allo stato solido,
eppure col tempo modificano lentamente la loro forma, e lo stesso
accade per alcuni metalli teneri come il piombo; l'elio liquido, se la
temperatura è inferiore a circa 2 °K, ha una viscosità inferiore a quel­
la di qualsiasi gas. Inoltre, nel caso dello stato solido, lo schema è
generico e poco significativo. È evidente, anche a un esame qualitati­
vo, che un cristallo di quarzo, un pezzo di ghisa, una ceramica, una
roccia e una materia plastica hanno caratteristiche strutturali profon­
damente diverse, anche a prescindere dalla loro struttura a scala ato­
mica. Inoltre una sostanza allo stato solido può assumere varie fasi,
caratterizzate da proprietà fisiche e da strutture differenti; il carbo­
nio, ad esempio, può presentarsi come grafite, come diamante, come
carbone di legna o in strutture scoperte solo recentemente, i fullere­
ni. La descrizione microscopica è più precisa e più ricca, e mette in
luce differenze che sfuggono alla descrizione macroscopica sopra ac­
cennata.

I.J
I cambiamenti di stato

Come si è detto, la sola sostanza chimica che in condizioni normali ci


si presenta in tre stati di aggregazione o fasi è l'acqua; è facile con­
statare che il calore provoca la liquefazione del ghiaccio e l'evapora-

16
I. GLI STATI DI AGGREGAZIONE DELLA MATERIA

zione dell'acqua liquida e che il freddo provoca la condensazione del


vapore d'acqua e la solidificazione dell'acqua liquida. Solo nel secolo
scorso ci si rese conto che questa situazione è generale; giocando sul­
la riduzione della temperatura e sull'aumento della pressione, gra­
dualmente si realizzò la liquefazione di molti gas e ·la loro solidifica­
zione (il processo inverso non è cosi generale, perché molte sostanze
solide, quando vengono riscaldate, sono chimicamente instabili) .
Un ruolo essenziale giocarono i progressi nelle tecniche per otte­
nere basse temperature. Mentre l'uomo già nella preistoria imparò,
con la scoperta del fuoco, che è facile ottenere temperature relativa­
mente alte, il problema del raffreddamento si presentò più difficile.
Una tecnica per abbassare in qualche misura la temperatura nelle
giornate torride e asciutte risale a qualche millennio avanti Cristo,
quando i popoli dell'Asia Minore usarono l'evaporazione dell'acqua
da vasi porosi. L'evaporazione è una delle tecniche utili, ma la corsa
alle basse temperature iniziò solo due secoli fa. Oggi in laboratori
specializzati si è in grado di ottenere temperature prossime allo zero
assoluto (circa un milionesimo di grado kelvin) . Intorno al 1790 si
osservò che l'anidride solforosa (S02 ) liquefa quando viene raffredda­
ta per mezzo di una miscela di ghiaccio e sale, e che l'ammoniaca
liquefa quando il gas viene compresso; la liquefazione dell'ammonia­
ca per raffreddamento fu realizzata nel 1799 e sei anni più tardi si
ottenne la liquefazione del cloro (Ct) , comprimendo il gas a 15 at­
mosfere. Nel 1823 M. Faraday ( 1791-1867) e H. Davy ( 1778-1829)
riuscirono a liquefare alcuni altri gas, ma le temperature allora rag­
giungibili non erano abbastanza basse per generalizzare il fenomeno.
Un passo importante fu realizzato nel 1834 da Thilorier, con la soli­
dificazione dell'anidride carbonica (C0 2 ) e la scoperta che si ottiene
una nuova, più efficace miscela frigorifera mescolando co2 solida
(detta comunemente ghiaccio secco, quel solido biancastro che spesso
si usa per mantenere freddo il gelato durante il trasporto) ed etere:
con questa miscela si poteva scendere fino a circa 8o gradi sotto ze­
ro. In seguito Faraday, riducendo la pressione di un gas pre-com­
presso, raggiunse i - I I O °C; lavorando a pressioni fino a 50 atmosfe­
re fece altri progressi, ma non riuscì a liquefare l'ossigeno (0 2 ) , l'azo­
to (N 2 ) , l'idrogeno (H 2 ) ed alcuni altri gas; questi gas ribelli furono
allora detti permanenti.
Il mistero fu diradato solo intorno al 1 86o, quando T. Andrews
(1813-1885) scoprì che per ogni sostanza esiste una temperatura ca­
ratteristica Te al di sopra della quale non si ha la transizione gas-
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

liquido, qualunque sia la pressione applicata; questa temperatura è


detta punto critico e per l'anidride carbonica Andrews trovò che è di
31 °C. Al punto critico la densità del liquido e del gas coincidono, e
così anche le altre proprietà fisiche, in altre parole la distinzione fra
liquido e gas scompare. L'esistenza del punto critico era già stata in­
dividuata anni prima da C. Cagniard de la Tour, che nel 1822 aveva
pubblicato il lavoro Exposé de quelques résultats obtenus par l'action
combinée de la chaleur e de la compression sur certains liquzdes, ma la
scoperta era passata inosservata. In seguito si realizzò la liquefazione
e la solidificazione di tutti gli altri gas; nel 1877 P. Cailletet e Raoul
Pierre Pictet (1833-1913) ottennero la liquefazione dell'aria, dell'azo­
to e dell'ossigeno, nel 1896 James Dewar (1842-1923), successore di
Faraday come professore nella Royal Institution di Londra, ottenne
quella dell'idrogeno; (Dewar è meglio noto come l'inventore del reci­
piente a doppia parete, con il vuoto nell'intercapedine, per conserva­
re la temperatura di un liquido; il vaso di Dewar è comunemente no­
to come thermos) . L'ultimo gas a cedere, dopo un assedio di una
dozzina di anni (1908), fu l'elio, che liquefa solo al di sotto di 5,2 °K
(4,2 °K alla pressione atmosferica) ; il merito fu di Heike Kamerling
Onnes (1853-1926) che, nel 1894, aveva creato a Leida il celebre la­
boratorio criogenico nel quale furono compiute fondamentali espe­
rienze sulle proprietà dei corpi alle basse temperature.
Lo sviluppo delle tecniche per ottenere le basse temperature ben
presto trovò applicazioni pratiche; intorno alla metà del secolo scorso
incominciò a svilupparsi l'industria del freddo e dopo il 1875 si dif­
fusero macchine frigorifere per il congelamento degli alimenti, basate
sull'espansione dell'ammoniaca. Oggi al posto dell'ammoniaca spesso
si usano come gas frigoriferi i clorofluorocarburi (CFC), ma il loro
impiego è criticato perché pare che, disperdendosi nell'alta atmosfe­
ra, contribuiscano a ridurre lo spessore della fascia di ozono (0 3 ) che
_
circonda la terra proteggendola dalle radiazioni ultraviolette del sole.
2

Cenni di termodinamica

2.1
Generalità

La termodinamica si occupa dei fenomeni riguardanti il calore, o più


in generale delle proprietà fisiche e chimico-fisiche di sistemi macro­
scopici, prescindendo dai modelli sulla struttura atomica o molecola­
re della materia. È una disciplina fenomenologica, nel senso che il
suo obiettivo è di stabilire relazioni generali fra variabili fisiche diret­
tamente misurate, come pressione, volume, temperatura e anche altre
variabili come energia interna, energia libera, entropia ecc., che non
si misurano direttamente. Si fonda su alcuni principi (leggi) fonda­
mentali, stabiliti come risultato della generalizzazione di un gran nu­
mero di osservazioni sperimentali. La termodinamica è caratterizzata
da grande generalità e semplicità; non è limitata a un particolare
gruppo di fenomeni, come è il caso dell'ottica, o della meccanica, o
dell'elettromagnetismo; può essere usata nello studio di ogni sistema
che contenga un numero sufficientemente grande di particelle, quindi
di gas, liquidi, solidi, plasmi, radiazione elettromagnetica, e perfino
nuclei atomici pesanti. Poiché i meccanismi a scala atomica che stan­
no alla base dei fenomeni macroscopici sono ignorati dalla termodi­
namica, questa disciplina non può dare un'interpretazione dei proces­
si fisici, e non si pone nemmeno questo obiettivo. Ad esempio la ter­
modinamica dice che in un gas ideale la differenza fra il calore speci­
fico molare a pressione costante e quello a volume costante è uguale
alla grandezza nota come costante dei gas (R = 8,310 joule per gra­
do) , ma nulla dice sul valore del calore specifico, né sulla sua dipen­
denza dalla temperatura; un secondo esempio : per il secondo princi­
pio della termodinamica il calore passa da un corpo più caldo a un
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

corpo più freddo, quando il sistema complessivo è isolato, ma non si


spiega perché il rame conduce il calore meglio del ferro.
La grande generalità della termodinamica ha dunque una contro­
partita negativa. Per andare più a fondo bisogna rivolgersi a un altro
ramo della fisica, la termodinamica statistica (o meccanica statistica) ,
il cui obiettivo può essere così formulato: partendo dalle leggi (classi­
che o quantistiche) che governano il comportamento delle particelle
che costituiscono un sistema macroscopico, e dalla struttura del siste­
ma stesso a scala atomica, derivare le leggi macroscopiche della ter­
modinamica. Poiché un sistema macroscopico contiene molte parti­
celle, la termodinamica statistica può legittimamente impiegare il con­
cetto di valore medio e i metodi del calcolo delle probabilità.
Un esempio semplice può forse essere utile per chiarire, per ana­
logia, il significato dei due diversi approcci. Supponiamo di avere un
mazzo di 40 carte da gioco, inizialmente ordinato, e di mescolarlo
più e più volte; il punto di vista termodinamico ci porta ad afferma­
re, sulla base di osservazioni ripetute, che il mazzo passa gradualmen­
te dalla situazione ordinata a quella disordinata; ciò corrisponde al
secondo principio della termodinamica, in base al quale un sistema
isolato evolve verso lo stato in cui l'entropia è massima (stato di equi­
librio termodinamico) . Il punto di vista statistico giustifica questo
principio e in più consente di calcolare la probabilità che, ad esem­
pio, dopo tutti i possibili mescolamenti le prime quattro carte del
mazzo siano i quattro assi; il numero che risulta è circa 10 - 5 ; in altre
parole ipotesi ragionevoli ci portano a concludere che la frequenza
empirica con cui questa particolare distribuzione si realizzerà, in un
numer9 grande di prove, sarà vicina a un caso ogni wo.ooo prove
(dal calcolo delle probabilità si ottiene 91.390) .
La termodinamica si occupa di sistemi che si trovano in stati di
equilibrio, nei quali cioè le variabili macroscopiche non cambiano nel
tempo; in sistemi con una sola fase esse in generale hanno lo stesso
valore in tutti i punti del sistema. Fenomeni come la conduzione del
calore e dell'elettricità sono trattati nell'ambito della termodinamica
dei processi irreversibili, che è un'estensione della termodinamica tra­
dizionale (o di equilibrio) ; negli ·esempi considerati, temperatura e
potenziale elettrico non sono uguali nei vari punti del sistema, cioè
esistono dei gradienti (cfr. Schede) .
Non è nostro compito esporre, sia pure schematicamente, i con­
cetti e le leggi della termodinamica; vale la pena però di richiamare

20
2. CENNI DI TERMODINAMICA

alcuni concetti generali, senza alcuna pretesa di .completezza e nem­


meno di rigore.

2.2
Temperatura e zeresimo principio

Ognuno sa cosa si intende per temperatura; la lettura di un termo­


metro, che misura appunto la temperatura, rientra nell'esperienza co­
mune. In quasi tutti i paesi del mondo si usa la scala centigrada o
Celsius; la temperatura del ghiaccio che fonde (a pressione atmosferi­
ca) è definita o °C, e 100 °C è quella dell'acqua che bolle. In fisica si
usa invece la scala assoluta, o di Kelvin; in questa scala l'unità di
misura, il grado, è la stessa, ma si assegna lo zero alla temperatura
più bassa raggiungibile, uguale per tutti i sistemi: o °K = - 273,16
°C; di conseguenza o oc = + 273,!6 °K; la temperatura assoluta si
indica normalmente col simbolo T. Se mettiamo in contatto due cor­
pi a temperatura diversa, dopo un tempo più o meno lungo si rag­
giunge l'equilibrio termico, cioè i due corpi hanno la stessa tempera­
tura; due corpi in equilibrio termico con un terzo sono in equilibrio
termico anche tra loro. Questo è lo zeresimo principio della termodi­
namica.

2. 3
Quantità di calore

Un qualsiasi oggetto, per esempio l'acqua contenuta in un recipiente,


quando viene riscaldato, cioè portato a una temperatura più alta, pos­
siede una maggiore quantità di calore. Ma corpi diversi, portati alla
stessa temperatura, possiedono quantità di calore differenti: ad esem­
pio è esperienza comune che se due recipienti uguali non contengono
la stessa quantità d'acqua, quello più pieno richiede una maggiore
quantità di calore per raggiungere l'ebollizione. L'unità di misura del
calore è la caloria, cioè la quantità di calore necessaria per aumentare
di un grado (da 14,5 °C a 15,5 °C) la temperatura di un grammo di
acqua, a pressione atmosferica; la precisazione in parentesi è necessa­
ria, perché il calore specifico dipende dalla temperatura. Ricordiamo
che il calore specifico di una sostanza è definito come la quantità di
calore necessaria per innalzare di un grado la temperatura dell'unità
di massa della sostanza stessa, o, più rigorosamente, come il rapporto
fra la quantità infinitesima di calore dQ assorbita da un grammo del-

2I
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

la sostanza e l'aumento infinitesimo di temperatura d T che ne conse­


gue:

[ 2 . 1] C = dQ!dT

La quantità di calore Q non è una variabile di stato; di conseguenza


anche l'incremento infinitesimo di Q non può essere espresso tramite
una funzione delle derivate delle variabili di stato. A rigore non si
dovrebbe usare il simbolo dQ, mentre è corretto scrivere dT, dV, dP
ecc. quando si tratta di incrementi infinitesimi di variabili di stato;
per semplicità, con questo avvertimento, continueremo a scrivere dQ.
Il calore specifico è diverso se il corpo viene riscaldato mantenen­
do costante il volume (Cv) o mantenendo costante la pressione (Cp),
o nei casi intermedi. Indicando con cm il calore specifico per mole,
ossia per una quantità di materia uguale al peso molecolare M, si ha
C = cm l M.
Se invece di acqua usiamo un uguale volume di un'altra sostanza,
per esempio ferro, è necessaria una diversa quantità di calore per au­
mentarne la temperatura, in questo caso minore. Lo si vede facilmen­
te con il processo inverso. Prendiamo due recipienti uguali, conte­
nenti la stessa quantità d'acqua, alla stessa temperatura, per esempio
o °C ; in uno di essi versiamo un chilogrammo di acqua bollente, nel­
l'altro immergiamo un chilogrammo di ferro portato anch'esso a 100
0( e attendiamo fino a che in ciascuno dei due recipienti la tempera­
tura sia stabilizzata (trascuriamo la perdita di calore durante il pro­
cesso) ; si trova che l'acqua del primo recipiente è più calda di quella
del secondo; ciò significa che l'acqua versata ha portato con sé una
quantità di calore maggiore del blocco di ferro, o, in altre parole, che
il ferro ha un calore specifico inferiore a quello dell'acqua.
Fino a quasi la metà del secolo scorso si credeva che il calore
fosse una specie di fluido indistruttibile, il fluido calorico; il processo
di riscaldamento era interpretato come il passaggio di questo fluido
da un corpo a un altro.

2.4
Il primo principio

Una formulazione limitata del principio di conservazione dell'energia


si deve a G. W. Leibniz ( 1646-qi6) , il quale dimostrò, nel 1693, che
per un punto materiale di massa m che si muova liberamente nel

22
2. CENNI DI TERMODINAMICA

campo gravitazionale terrestre si conserva la somma di energia cineti­


ca (rh m v2) ed energia potenziale (mgh) dove g è l'accelerazione di
gravità e h l'altezza del punto rispetto alla superficie terrestre. Il prin­
cipio fu gradualmente esteso includendo le nuove forme di energia
che via via si individuavano. Un passo essenziale fu compiuto quando
si riconobbe che il calore è una forma di energia. Una stufetta elettri­
ca, ad esempio, trasforma energia elettrica in calore nel passaggio di
corrente elettrica attraverso un filo avente una certa resistenza (effet­
to Joule) . È facile misurare il rapporto di conversione, per esempio
tenendo in funzione per un'ora una stufetta da un chilowatt e misu­
rando la quantità di calore ceduta all'ambiente; si trova che un chilo­
wattora (energia elettrica dissipata) corrisponde a 86o.ooo calorie
(86o chilocalorie) . L'equivalenza tra energia meccanica e calore fu
stabilita con buona approssimazione nel 1842 da Julius Robert von
Mayer (1814-1878) e qualche anno più tardi, con maggiore precisio­
ne, da James Prescott Joule (1818-1889) ; ma già nel 1778 Benjamin
Thomson, il conte Rumford ( 1753-1814), a quel tempo consulente
militare del principe di Baviera, osservando il forte riscaldamento dei
cannoni durante la trapanazione, aveva concluso che il calore non
può essere un fluido e che esiste una relazione fra il lavoro meccani­
co e la produzione di calore. Questo fu un grave colpo alla teoria
allora dominante del fluido calorico.
Poiché l'energia termica e quella meccanica avevano storie diffe­
renti, esse erano misurate in differenti unità, la prima in calorie, la
seconda in una unità che, in seguito, fu chiamata joule (equivalente
all'incirca al lavoro che si compie per sollevare di un metro un ogget­
to che pesa centogrammi) ; una caloria equivale a circa 4,18 J.
Il primo principio della termodinamica riassume queste e molte
altre osservazioni su fenomeni fisici e afferma che in ogni trasforma­
zione l'energia si conserva, se includiamo fra le varie forme di energia
anche l'energia termica (calore) . Molto tempo prima che la termodi­
namica ne sancisse formalmente l'impossibilità, il moto perpetuo (di
prima specie) veniva intuitivamente considerato irrealizzabile; fin dal
1755 l'Académie des Sciences di Parigi aveva stabilito di rifiutare le
proposte che le venivano continuamente avanzate su ingegnose mac­
chine che generavano energia meccanica senza ricorrere ad altre fonti
di energia. La formulazione del primo principio implica l'introduzio­
ne di una nuova variabile termodinamica, l'energia interna U, che,
insieme alle altre, è caratteristica dello stato del sistema (mentre il
calore Q non lo è) ; macroscopicamente non si valuta direttamente U,
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

ma la differenza .1 U nel passaggio da uno stato iniziale a uno finale,


dunque l'energia interna è definita a meno di una costante arbitraria,
che può essere calcolata nel quadro della termodinamica statistica.
Il principio è assolutamente generale ed è stato confermato in tut­
te le esperienze successive su scala macroscopica, molecolare, nuclea­
re e subnucleare; si può dimostrare che esso riposa sulle proprietà
generali di simmetria del mondo fisico rispetto a traslazioni temporali,
ossia sul fatto che le stesse leggi fisiche valgono ora, come in qualsiasi
altro momento del passato e del futuro. Per non accettarne la viola­
zione, nel 1930 Wolfgang Pauli ( 1900-1958) fu indotto a postulare
l'esistenza - in seguito confermata - di una nuova particella, il neutri­
no. Nel 1905 Albert Einstein ( 1 879-1955) estese il primo principio,
nel quadro della relatività ristretta, introducendo l'equivalenza tra
massa ed energia; la manifestazione più nota di questa equivalenza è
l'esplosione nucleare di Hiroshima: una massa di circa un grammo si
convertì in una quantità di energia equivalente a quella rilasciata nel­
l'esplosione di oltre diecimila tonnellate di tritolo, con risultati dram­
matici.

2.5
n secondo e il terzo principio

Le varie forme che assume l'energia, meccanica, elettrica, magnetica,


chimica, nucleare, termica, possono trasformarsi in molti modi l'una
nell'altra; nel caso del calore, però, vi è qualcosa di particolare ed è il
carattere di irreversibilità dei processi che lo coinvolgono. Si può tra­
sformare facilmente l'energia meccanica in calore, come avviene nel­
l'attrito, ma non si può ottenere energia meccanica semplicemente
sottraendo calore a un oggetto; se così fosse, l'umanità avrebbe risol­
to i suoi problemi di fonti di energia, perché gli oceani fornirebbero
una fonte praticamente inesauribile, e rinnovabile. C'è sempre una
parte di energia termica che non può essere convertita in energia
meccanica o elettrica. Lo stesso genere di irreversibilità si presenta
nel processo della conduzione del calore: come si è detto, il calore,
spontaneamente, passa da un corpo più caldo a uno più freddo, e
non viceversa. Il secondo principio della termodinamica indica la di­
rezione in cui evolvono i processi fisici reali, quindi riassume in sé
anche le osservazioni qualitative sopra riportate. La sua scoperta risa­
le a un giovane ingegnere militare francese, Sadi Carnot ( 1796-1832),
che nel 1824 pubblicò il suo famoso lavoro sul rendimento ideale di
2. CENNI DI TERMODINAMICA

una macchina termica, ossia di una macchina capace di trasformare il


calore in lavoro; Carnot, prima di formulare le sue considerazioni sul
rendimento delle macchine termiche, era partito da una collezione di
osservazioni su molte macchine a vapore e aveva constatato, nel suo
lavoro su La potenza motrice del calore, che fino ad allora «la loro
teoria ha compiuto scarsi progressi e i tentativi di migliorarle sono
ancora guidati quasi esclusivamente dal caso». A quel tempo il prin­
cipio di conservazione dell'energia non era ancora stato formulato e il
calore era un fluido invisibile. La formulazione precisa del secondo
principio si deve a Rudolf Clausius (1822-1888) che, partendo dallo
studio del lavoro di Carnot, nel 1865, introdusse una nuova funzione
di stato, l'entropia 5, grazie alla quale si esprime in modo quantitati­
vo la direzione in cui avvengono i processi fisici reali (irreversibili) e,
di conseguenza, le condizioni di equilibrio termodinamico di un siste­
ma. Anche 5, come U, è definita a meno di una costante arbitraria;
ciò che si misura, nella transizione da uno stato iniziale a uno finale,
è la variazione di entropia .15; se nella transizione reversibile è coin­
volto solo uno scambio di calore, il secondo principio dice che .15 =
.1 Q/T, dove .1 Q è la quantità di calore assorbita dal sistema e T la
sua temperatura.
Una formulazione alternativa del secondo principio è la seguente:
in un sistema isolato, che cioè non scambia energia con l'ambiente, lo
stato di equilibrio è quello nel quale l'entropia è massima. Di conse­
guenza, se inizialmente un sistema isolato non è in equilibrio (per
esempio se esistono gradienti di temperatura o di concentrazione) ,
l'evoluzione del sistema è tale che la sua entropia cresce; quando essa
ha raggiunto il valore massimo non si ha più alcun cambiamento, su
scala macroscopica. Secondo Clausius «l'entropia dell'Universo tende
a un massimo».
Alcuni anni più tardi Ludwig Boltzmann (1844-1906) collegò l'en­
tropia, che è una variabile macroscopica, alle proprietà di un sistema
a scala atomica: l'entropia di uno stato è una misura quantitativa del
grado di disordine di quello stato. Ad esempio, quando un cristallo
sublima, cioè passa allo stato di gas, l'entropia cresce; gli atomi di un
cristallo compiono piccole oscillazioni intorno a punti distribuiti nello
spazio in modo molto regolare a formare il reticolo cristallino, dun­
que si trovano in una situazione relativamente ordinata, a bassa en­
tropia; al contrario, nello stato gassoso gli atomi sono distribuiti qua­
si completamente a caso nel volume disponibile e si muovono disor­
dinatamente, quindi dopo la sublimazione l'entropia è maggiore.

25
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

Quando ci si avvicina allo zero assoluto l'agitazione termica degli


atomi diminuisce, fino ad annullarsi, così che ogni sistema viene a
trovarsi in uno stato completamente ordinato; l'entropia è allora nul­
la. Questa è la formulazione più stringente del terzo principio della
termodinamica (Walter Nernst, 1906).
Abbiamo detto che in un sistema isolato l'entropia cresce, ten­
dendo al valore massimo che corrisponde allo stato di equilibrio. In
molti casi i sistemi fisici con cui abbiamo a che fare non sono isolati,
ma in equilibrio termico con l'ambiente, a una temperatura T, ed è
importante sapere anche in questo caso come si comporta il sistema.
Si può dimostrare, partendo dal secondo principio, che lo stato di
equilibrio (trascurando le variazioni di volume) è quello in cui è mi­
nima la funzione

[2.2] F = U - TS

F è detta energia libera (di Helmholtz) e svolge nella termodinamica


un ruolo analogo a quello dell'energia potenziale nella meccanica.
La differenza fra l'energia totale di un sistema e la sua energia
libera misura il calore immagazzinato sotto una forma inutilizzabile
praticamente, ad esempio per produrre lavoro; la formula [2.2] mo­
stra che questa differenza è connessa all'entropia. Tutta l'energia
meccanica, elettrica, magnetica è energia libera, perché può essere
trasformata completamente in altre forme utilizzabili di energia; pos­
siamo ad esempio trasformare l'energia meccanica in elettrica (a parte
piccole perdite) con una dinamo e ritrasformare l'energia elettrica in
meccanica con un motore elettrico. Non è così per l'energia termica,
che solo in parte può essere trasformata. Ad esempio, da un sistema
composto da una parte calda e una parte fredda si può ottenere lavo­
ro, per mezzo di una macchina termica; ma se si lascia fluire sponta­
neamente il calore dal corpo caldo a quello freddo, fino a che le due
parti hanno raggiunto la stessa temperatura, non è più possibile con­
vertire il calore in energia meccanica, nonostante che l'energia totale
del sistema sia rimasta invariata.
L'energia libera è dunque maggiore quando le parti del sistema
sono a temperature diverse, che non quando si è raggiunto l' equili­
brio termico: nel processo di conduzione del calore la parte calda del
sistema ha perduto una quantità di energia libera maggiore di quella
acquistata dalla parte fredda.
2. CENNI DI TERMODINAMICA

2. 6
Equazioni di stato

Un processo termodinamico, cioè la trasformazione da uno stato a un


altro, è associato con una situazione di non-equilibrio del sistema. È
conveniente considerare trasformazioni sufficientemente lente da ren­
dere tale violazione insignificante, così che il processo possa essere
consid�rato una sequenza continua di stati di equilibrio; un processo
del genere, che è solo un caso limite dei processi fisici reali, è reversi­
bile e presenta il vantaggio che ad ogni stato possono essere applicate
le leggi della termodinamica (di equilibrio) . L'esempio più semplice
di un processo è la compressione di un gas contenuto in un recipien­
te con una parte mobile (pistone) : quando la variazione di volume è
sufficientemente lenta, ad ogni istante lo stato del gas è caratterizzato
da un unico valore della pressione (e della temperatura) e il processo
è reversibile; se il pistone è spostato rapidamente, si producono diso­
mogeneità all'interno del gas, il processo è irreversibile e gli stati in­
termedi non possono essere rappresentati da un unico valore di P.
In un sistema omogeneo contenente una data quantità di materia
le variabili termodinamiche che ne caratterizzano lo stato (nel caso
più semplice P, V e D non sono quantità indipendenti; esse sono
legate da una relazione, detta equazione di stato, la cui forma dipen­
de dalle proprietà della sostanza che costituisce il sistema. In generale
si scrive:

/(P, V, T) = o

e la relazione è tale che, assegnati i valori di due delle variabili, la


terza è determinata; in altre parole, lo stato del sistema è determinato
da due qualunque delle variabili P, V, T. In generale l'equazione di
stato di una sostanza è complicata; i dati sperimentali mostrano che
non può essere rappresentata da funzioni analiticamente semplici.
L'eccezione più importante è quella dei gas a pressioni sufficiente­
mente basse, per i quali è approssimativamente costante il rapporto
PV/T. Questa relazione serve anche per definire la scala della tempe­
ratura assoluta, perché T è semplicemente proporzionale al prodotto
PV; basta allora definire T per uno stato preciso di un sistema: que­
sto stato è il punto triplo dell'acqua, cioè lo stato in cui coesistono
ghiaccio, acqua e vapore; alla temperatura T del punto triplo è stato
assegnato il valore di 273,16 gradi assoluti, o gradi kelvin (273,16
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

°K); il numero è stato scelto in modo che l'unità di temperatura, il


grado kelvin, sia approssimativamente uguale al grado centigrado
( oC) .
I processi reversibili possono essere rappresentati graficamente da
una curva piana in un sistema di assi cartesiani ortogonali, dove i due
assi rappresentano una coppia di variabili termodinamiche; se sceglia­
mo come variabili, ad esempio, V e P, ogni curva del piano corri­
sponde a un valore di T differente. Il processo inverso di una trasfor­
mazione reversibile segue la stessa curva, ossia il sistema passa attra­
verso la stessa successione di stati di equilibrio, percorsa in senso in­
verso.

2. 7
Sistemi ideali

In fisica - ma anche negli altri campi delle scienze della natura - il


problema dell'interpretazione di una realtà inevitabilmente complessa
viene affrontato per gradi, partendo da situazioni idealizzate, schema­
tizzabili in termini di modelli che richiedono la conoscenza di un nu­
mero limitato di parametri. La validità dei modelli dipende da un
lato dalla loro capacità di inquadrare gli aspetti essenziali del campo
dei fenomeni che si intende studiare, dall'altro dalla possibilità di for­
nire uno schema semplice e formalizzabile, dal quale trarre conclusio­
ni quantitative, suscettibili di verifica sperimentale.
Questo processo di idealizzazione si ritrova, sia pure in misura
minore, nelle scienze umane e sociali. Così la storia è stata interpreta­
ta da Karl Marx (1818-1883) come storia della lotta di classe, l'eco­
nomia classica si basa su un modello di mercato, la psicanalisi sull'i­
potesi di un inconscio, e così via. Poiché i settori di indagine delle
scienze umane sono complessi, è difficile individuare modelli che ti­
specchino gli aspetti essenziali della realtà e che si impongano per la
loro forza interpretativa e predittiva all'intera comunità scientifica.
Nei fatti ognuno può constatare che in genere coesistono modelli di­
versi, senza che nessuno abbia la capacità di imporsi. Trascuriamo
qui per semplicità il fatto che nel caso delle scienze umane e sociali
l'impostazione dei singoli ricercatori e delle varie scuole di pensiero
risente, molto più che nel caso delle scienze della natura, di condizio­
namenti esterni, sociali e culturali.
In fisica la ricerca di un modello di sistema ideale costituisce un
primo passo essenziale e inevitabile per interpretare la ricca realtà del

28
2. CENNI DI TERMODINAMICA

mondo fisico. Ad esempio, sarebbe difficile cercare di capire il moto


di caduta di una piuma nell'aria, o la traiettoria di un proiettile, se
prima non si conoscesse la legge di caduta di un grave nel vuoto; per
interpretare le proprietà degli atomi dei vari elementi chimici è stato
essenziale essere in grado di capire il più semplice di essi, l'idrogeno,
costituito di due sole particelle, il nucleo (protone) e l'elettrone, e ciò
ha richiesto una grande rivoluzione nei concetti della fisica; la grande
ricchezza di proprietà dei corpi solidi - meccaniche, ottiche, elettri­
che, magnetiche ecc. - è risultata comprensibile solo dopo che si è
stati in grado di descrivere il comportamento di un elettrone in un
cristallo ideale, cioè costituito di atomi distribuiti regolarmente nello
spazio, come in un pavimento fatto di piastrelle identiche, e allo zero
assoluto, in modo da trascurare le complicazioni introdotte dall'agita­
zione termica.
Naturalmente il modello ideale di partenza è solo una prima ap­
prossimazione; è poi necessario ampliare lo schema, introducendo le
opportune perturbazioni. Ad esempio, nel caso di un solido sarà ne­
cessario considerare che gli atomi in un cristallo ideale non se ne
stanno fermi, ma sono dotati di agitazione termica, che non tutti i siti
di un reticolo cristallino sono occupati da atomi, ma che esistono ir­
regolarità di varia natura, e così via. Spesso il modello ideale da cui si
è partiti risulta idoneo a descrivere solo situazioni particolarmente
semplici, ma deve essere abbandonato in molti altri casi significativi.
Nei sistemi allo stato gassoso un modello semplice che si è impo­
sto per la sua efficacia nel descrivere le proprietà macroscopiche e
nel dare la connessione con le proprietà a scala atomica (o molecola­
re) è quello del gas ideale, o perfetto.
3

Proprietà macroscopiche

J .I
n gas ideale

3.1.1. L'equazione di stato

Le proprietà di un gas chimicamente omogeneo, quando la pressione


(e la densità) non è troppo elevata e la temperatura non è troppo
bassa sono descritte con ottima approssimazione da un modello mol­
to semplice, quello del gas ideale (o perfetto) . L'equazione di stato
del gas ideale, per una mole di materia (cioè per un numero di gram­
mi uguale al peso molecolare del gas) è

PV = RT

dove R è una costante universale, che cioè ha lo stesso valore per


tutti i gas:

[3.2] R = 8,31 · ro7 erg/grado · mole = 1,986 caVgrado · mole

Se il sistema contiene n grammomolecole, il secondo membro va


moltiplicato per n.
L'equazione di stato contiene le varie leggi dei gas scoperte a par­
tire dalla metà del Seicento. Robert Boyle (r627-169r) , proseguendo i
lavori di Otto von Guericke (r6o2-r686) sulla pressione dell'�ria,
scoprì, nel r66o, che i volumi e le pressioni di una determinata massa
d'aria, se la temperatura è costante, sono inversamente proporzionali;
tale scoperta venne rifatta indipendentemente da Edme Mariotte
(r62o-r684) sei anni più tardi; in seguito si trovò che tale legge vale

3I
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

con ottima .approssimazione per tutti i gas, nelle condizioni indicate


all'inizio del paragrafo. Se si rappresenta la legge di Boyle rispetto a
un sistema di assi cartesiani (V, P) si hanno, per le trasformazioni
isoterme, le ben note iperboli equilatere, che hanno gli assi V e P
come asintoti.
Joseph-Louis Gay-Lussac (1778-1850), proseguendo i lavori di
John Dalton sull'espansione dei gas per azione del riscaldamento, nel
1802 trovò che il coefficiente di dilatazione a pressione costante è
uguale per tutti i gas; osservazioni analoghe erano state fatte qualche
anno prima da Jacques Alexandre Cesar Charles (1746-1823 ) . In se­
guito fu possibile precisare che la densità è inversamente proporzio­
nale alla temperatura assoluta, in accordo con la [ 3 . 1 ] . Infine Ame­
deo Avogadro (1776-1856) nel 1811 formulò l'ipotesi che qualunque
tipo di gas, nelle stesse condizioni di temperatura e di pressione, ab­
bia una densità (rapporto fra la massa e il volume) proporzionale al
peso molecolare; ciò corrisponde ad affermare, tenendo conto della
struttura molecolare, che per un dato valore di P, di V e di T, una
quantità di ogni gas di peso uguale al suo peso molecolare contiene
lo stesso numero di molecole; questo numero, che si indica in genere
con il simbolo A, o con il simbolo N0 , è 6,02 · 10 2 3 molecole per
mole. La costante dei gas può essere allora scritta come R = N0k,
dove si è introdotta la costante di Boltzmann k = RIN0 = 1,38 · I0- 1 6
erg/0 K.
Una miscela di diversi gas segue leggi simili a quelle di un gas
chimicamente omogeneo. Un'aggiunta importante è la legge di Dal­
ton, che afferma che la pressione è uguale alla somma delle pressioni
che ogni componente della miscela eserciterebbe se occupasse da so­
lo il volume disponibile (pressione parziale) . Questa legge esprime il
fatto che le pressioni esercitate dai gas componenti sono proporzio­
nali al numero di molecole di ogni componente; nell'aria secca il
78,09% delle molecole è di azoto (N2 ) , il 20,95 % di ossigeno (02 ) ,
lo 0,93 % di argon (Ar) e lo o,o3 % di altri gas; l a massa molecolare
media è 28,97, dunque l'aria secca si comporta come un gas ideale di
massa molecolare di circa 29.
Deviazioni modeste dal modello di gas ideale si hanno nel caso di
atomi fortemente reattivi, come il potassio allo stato gassoso, e di
molecole dipolari, ma sono irrilevanti per i gas più comuni, come
l'ossigeno, l'azoto, l'anidride carbonica, e per i gas nobili, come l' ar­
gon.

32
3 · PROPRIETÀ MACROSCOPICHE

3 . 1 .2 . Energia interna

La seconda equazione che caratterizza il gas ideale risale all'esperien­


za condotta da Joule sull'espansione libera di un gas (in uno stato
che approssimi la situazione del gas ideale) : la temperatura non varia
quando il gas si espande, dal recipiente nel quale è inizialmente con­
tenuto, in un altro nel quale precedentemente è stato fatto il vuoto
(FIG. 3 . 1 ) . Poiché durante il processo non si ha scambio di energia
con. l'esterno, si può concludere che l'energia interna del gas ideale
non dipende dal volume, ma dipende solo dalla temperatura:

U = U(T)

Questa relazione rispecchia il fatto che nel gas ideale l'energia di in­
terazione &a le molecole è nulla (cfr. CAP. 5 ) , quindi l'energia è pura­
mente cinetica; se così non fosse, infatti, U dovrebbe dipendere an­
che dalla distanza fra le molecole, quindi dal volume.
Si può dimostrare termodinamicamente che la [ 3 . 3 ] , ricavata per
via sperimentale da Joule, è valida per una sostanza che ubbidisce
all'equazione di stato [3 . 1 ] , ossia per il gas ideale. Quanto più un gas
si discosta dal modello ideale, tanto più questa semplice legge è vio­
lata; è noto che nei gas reali l'espansione libera di un gas compresso
è accompagnata da raffreddamento e su questo "fatto si basano le
macchine frigorifere.

FIGURA 3 . 1
Esperimento d i J oule

T E R M O M ET R O T�

ACQ U A

A sinistra: inizialmente il gas occupa il volume V, ; a destra: dopo l'espansione i l g as occupa i l volume
v. > v;.

33
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

Dal risultato dell'esperienza di Joule e dal primo principio della


termodinamica si ricava una relazione semplice fra il calore specifico
molare a pressione costante e quello a volume costante:

C;' = C':; + R (per una mole)

Cp = Cv + R/M (per un grammo di gas di peso molecolare M)

È abbastanza difficile misurare direttamente i calori specifici dei gas,


poiché la massa di un gas, e quindi le quantità di calore coinvolte nel
processo, sono necessariamente modeste; inoltre Cv si determina con
maggiore difficoltà di Cp. Per ottenere il calore specifico a volume
costante è più agevole determinare il rapporto C/Cv con metodi in­
diretti, misurando le variazioni di temperatura in un'espansione adia­
batica - cioè quando il sistema è termicamente isolato - o misurando
la velocità delle onde sonore nel gas.
Per un gas ideale monoatomico si ha C;: = 3h R; per un gas
ideale biatomico, cioè costituito da molecole composte di due atomi,
si ha C: = 5/2 R, purché la temperatura del sistema non sia troppo
elevata. Ciò è in buon accordo con i risultati che si ottengono teori­
camente dalla meccanica statistica classica.

3. L 3. Altre caratteristiche del gas ideale

Trasformazioni adiabatiche

Abbiamo visto che l'equazione di stato dice che, per trasformazioni


isoterme, si ha una proporzionalità inversa fra pressione e volume
(legge di Boyle) . Se consideriamo invece una trasformazione reversi­
bile adiabatica, nella quale cioè il gas è isolato termicamente dall'am­
biente, si può dimostare, ricordando il primo principio, che la rela­
zione fra pressione e volume è:

PVY = costante

dove il parametro all'esponente è

Il diagramma PV mostra che la curva è più ripida di quella per una


trasformazione isoterma; il gas infatti durante l'espansione compie la-

34
3 · PROPRIETÀ MACROSCOPICHE

voro a spese dell'energia interna, di conseguenza diminuisce la tem­


peratura.
Onde sonore

Tutti i mezzi elastici possono trasmettere onde di velocità e frequen­


za definita; velocità v, frequenza v e lunghezza d'onda À sono legate
dalla relazione

ÀV = V

In un gas, e pm m generale in un fluido, si propagano solo onde


longitudinali, nelle quali cioè si alterna una successione di zone rare­
fatte e di zone compresse lungo la direzione di propagazione dell'on­
da. La velocità di propagazione dipende dalla densità del mezzo e dal
suo modulo di compressibilità definito, per un volume unitario, dal
rapporto fra la variazione di pressione e la variazione di volume, col
segno cambiato :

B = - V v (dP/dV)

per la velocità delle onde longitudinali, o, come comunemente si di­


ce, la velocità del suono, si ha:

v = �
Un gas è un cattivo conduttore di calore, di conseguenza mentre
l'onda si propaga, la quantità di calore scambiata fra le regioni ad
alta e a bassa densità è trascurabile; ciò equivale a dire che le varia­
zioni di pressione e di volume sono adiabatiche. Dalle [3.5] e [ 3 . 1 ] si
ottiene allora, per il gas ideale:

v = � = y'yRT/M
dove si è indicato con M il peso molecolare del gas. Per l'aria a o °C
e alla pressione atmosferica si ottiene v = 331 m/s in eccellente ac­
cordo con l'esperienza.
Quando si tiene conto della struttura molecolare dei gas, si vede
che questo risultato è prossimo a quello che si ottiene per la velocità
media delle molecole, alla stessa temperatura; ciò è comprensibile, se
si pensa che il suono attraverso un gas si propaga per effetto dell'ur­
to reciproco fra le molecole.

35
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

J. 2
I gas reali

3 . 2 . 1 . Equazioni di stato

La differenza più rilevante fra il gas ideale e i gas reali sta nel fatto
che il primo non può subire cambiamenti di stato, cioè dar luogo a
transizioni dallo stato gassoso a quello liquido e solido; secondo la
legge di Boyle, infatti, qualunque sia la temperatura, l'aumento di
pressione ha il solo effetto di ridurre il volume del gas. Al contrario
si è visto al PAR. 1 . 3 che ogni gas, per T < T0 liquefa, se la pressione
è sufficientemente elevata. Ma prescindendo dai cambiamenti di sta­
to, quando la densità è elevata si osservano deviazioni dall'equazione
di stato del gas ideale. Nella TAB. 3 . 1 vediamo, ad esempio, le devia­
zioni crescenti per l'azoto (N 2 ) , per T = o °C, al crescere della pres­
sione; nella prima colonna è riportata la pressione, in atmosfere, nella
seconda il prodotto PV che, se valesse la legge di Boyle, dovrebbe
rimanere costante. Si osserva che, per P > 200 atmosfere, il prodotto
cresce considerevolmente, dunque un gas reale, quando la densità è
elevata, offre una resistenza addizionale alla compressione, rispetto al
gas ideale. L'interpretazione di tali deviazioni risale al fatto che ad
alta densità diventano rilevanti le interazioni fra le molecole del gas,
ossia la repulsione che si esercita quando le molecole sono in contat­
to stretto e l'attrazione che è apprezzabile anche a distanze maggiori.
Non è possibile trovare per le equazioni di stato espressioni anali-

TABELLA 3 . 1
Deviazioni rispetto all'equazione di stato del gas ideale (seconda colonna) e all'e­
quazione di Van der Waals (terza colonna) per l'azoto gassoso, a pressioni cre­
scenti

(P + a/V') (V - b)
P( atmosfere) PV(atmosfere per litri)
(atmosfere per litri)

1,ooo 1,ooo
100 0,994 1,ooo
200 1,048 1,009
500 1,390 1,014
! . 000 2,069 0,893

Nel primo caso si hanno deviazioni a pressioni superiori alle200 atmosfere, mentre nel secondo l'accor­
do con i dati sperimentali è soddisfacente anche a pressioni elevate.
3· PROPRIETÀ MACROSCOPICHE

tiche semplici che descrivano correttamente i dati sperimentali. In ge­


nerale si può scrivere:

PV B( D C( D D( D
RT =
I
+ -v + ""V2 + � + . . .
ossia si può sviluppare il rapporto al primo membro in serie d i po­
tenze di I l V. È evidente che, quando la densità è bassa (V grande) ,
i termini al secondo membro successivi al primo termine diventano
trascurabili e il gas si comporta come ideale. I coefficienti B( D , C( D
. . . sono funzioni della temperatura e sono caratteristici del gas in esa­
me; essi vanno determinati empiricamente e nei casi più semplici
possono essere calcolati conoscendo le forze intermolecolari. B si
chiama secondo coefficiente del viriale, C è il terzo coefficiente del
viriale e così via. Per densità non troppo elevate la serie può essere
arrestata al secondo termine poiché è B > > C > > D ecc.
Una grande quantità di equazioni (almeno una sessantina) è stata
proposta per descrivere il comportamento dei gas reali. Una delle più
semplici e interessanti è quella di Johannes Diderik Van der Waals
( I 837-I923) , che introduce due termini correttivi nell'equazione di
stato del gas ideale:

(p + �) ( V - b) = RT
'
I parametri a e b si ricavano empiricamente e sono c aratteristici di
ogni dato gas. Nella TAB. 3 . 2 ne sono riportati i valori per alcuni gas.
Van der Waals dedusse la sua equazione da considerazioni sulla
struttura molecolare dei gas. Il termine b rappresenta l'effetto dovuto
alla dimensione finita delle molecole o, meglio, all'intensa forza re­
pulsiva che si esercita quando la distanza intermolecolare è piccola;
l'effetto si manifesta come una riduzione da V a ( V-b) del volume
vuoto disponibile. Il termine a/P è dovuto alle forze attrattive che si
esercitano fra le molecole e si manifesta come una pressione interna
di coesione, come se sul gas agisse una pressione superiore a quella
esercitata dalle pareti del recipiente che lo contiene. Van der Waals
formulò la sua equazione nel I873 e grazie ad essa nel I9IO ottenne
il premio Nobel.
I dati sperimentali sono descritti abbastanza bene dall'equazione
[3.12] per molti gas, per temperature superiori alla temperatura criti-

37
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

TABELLA 3 . 2
Costanti d i Va n der Waals per alcuni gas

Gas a (atmosfere · cm6) b (cm3)

He 0,034 23,7
Ne 0,21 17, 1
Ar 1,30 30,2
N2 1,3 5 3 8, 5
02 1,36 32,6
H20 5 >47 30, 5
Cl2 6,71 5 6,3

ca Tn come si vede, per il caso dell'azoto dalla terza colonna della


TAB. 3 . 1 . Nella FIG. 3 . 2 sono riportate alcune isoterme di Van der
Waals. Le tre curve superiori descrivono la relazione fra pressione e
volume del gas; per temperature sufficientemente alte le isoterme ap­
prossimano le iperboli equilatere del gas ideale. Si può vedere che
l'equazione per i gas reali si approssima alla [3 . r ] per il gas ideale se
il volume tende all'infinito riscrivendo la [3.12], in modo da mettere
in evidenza il prodotto PV:

PV [I + (;v) vJJ [I t] = RT
( -

infatti, poiché il prodotto PV è approssimativamente costante, per V


molto grande i secondi termini nelle due parentesi diventano trascu­
rabili rispetto all'unità. La curva tratteggiata, che presenta un flesso
con tangente orizzontale nel punto K, è l'isoterma critica: per T < Te
al crescere della pressione il gas passa gradualmente allo stato liquido
e le curve riportate non rappresentano stati reali del gas. Nel tratto
di curva fra il minimo e il massimo, infatti, al crescere del volume si
avrebbe un aumento di pressione, e ciò è contrario all'esperienza;
inoltre, per T < Te sperimentalmente si osserva che se si comprime
un gas fino a raggiungere la pressione di saturazione, in generale par­
te del gas. (vapore) condensa e la pressione non varia, si ha cioè la
transizione dallo stato gassoso allo stato liquido. Di ciò si tratterà nel
CAP. 5 ·
È interessante notare che l'equazione di Van der Waals può esse­
re scritta in una forma più generale, introducendo il legame fra i pa­
rametri a e b e i parametri critici della stessa sostanza, Pc e Vn cioè i
PROPRIETÀ MACROSCOPICHE

FIGURA 3.2
Isoterme di Van der Waals, per temperature crescenti a partire dalla curva infe­
riore

p
\ ', \\

TRAN S I Z I O N E

6A5 -

L I Q U IDO

v
La curva contrassegnata da Te è l'isoterma critica e presenta un punto di flesso a tangente orizzontale
(K). Le curve superiori a questa descrivono il gas reale. Le curve inferiori, sulla wna centrale, tra il
massimo e il minimo, non rappresentano stati reali, perché a un aumento del volume corrisponderebbe
un aumento della pressione. Il cambiamento di stato è indicato dalle linee punteggiate.

valori della pressione del volume che corrispondono, nell'isoterma T


= TC> al punto in cui la curva presenta un flesso con tangente oriz­
zontale (punto K nella FIG. 3 .2) ; lo stato corrispondente ai valori Te>
Ve> Pc è detto stato critico, o punto critico del sistema. Calcoli abba­
stanza semplici consentono di trovare le relazioni

8a
pc = Tc =
27Rb
Prendiamo ora come unità di volume, pressione e temperatura rispet-

39
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

tivamente Ve. Pc. Te. cioè introduciamo le nuove variabili, dette varia­
bili ridotte:

allora l'equazione [3.12] si può riscrivere nella forma

Questa espressione, ricavata da Van der Waals nel 188o, è detta


equazione ridotta, o equazione degli stati corrispondenti; essa ha una
generalità maggiore della equazione originaria, perché è la stessa per
tutte le sostanze; gli stati che corrispondono alla stessa tema di valori
di P*, V', 1 si chiamano stati corrispondenti.

3.2.2. Energia interna.


L'effetto Joule-Kelvin (o Joule-Thomson)

Nei gas reali l'energia interna non dipende solo dalla temperatura
(cfr. PAR. 3 . 3 ) , ma anche dal volume. A questo risultato giunsero, fra
il 1842 e il 1856, Joule e Lord Kelvin (William Thomson, 1824-1907)
studiando, in un tubo isolato termicamente, il flusso di un gas, attra­
verso un setto poroso fatto di cotone compresso, indotto da una dif­
ferenza di pressione mantenuta ai due lati del setto (FIG. 3 . 3 ) . Duran­
te il processo si osserva in generale che, nel lato del tubo dove la
pressione è inferiore, la temperatura è diversa da quella del gas nel
lato dove la pressione è superiore: ad esempio, se espandiamo l'aria

FIGURA 3 · 3
Spiegazione dell'effetto Joule-Thomson, con l'inserimento di un pistone immagi­
nario

-----jl l . l i/ 1 1---
3 · PROPRIETÀ MACROSCOPICHE

FIGURA 3 ·4
Curva di inversione per l'azoto . La pressione è in atmosfere, la temperatura in
OK
T

Z O N .\ R I SC.ALDA M E NTO
600
DI

400

ZO NA DI IIAFF R E D D .l. H EI"TO

200

o 200 400
p

attraverso un setto, partendo da una pressione di 200 atmosfere e da


una temperatura di 52 °C, e giungendo alla pressione di un' atmosfe­
ra, si osserva un raffreddamento di circa 29 °C. Al contrario, se
espandiamo l'elio partendo dalle stesse condizioni iniziali, si osserva
un riscaldamento di circa 12 °C; affinché l'elio espandendosi si raf­
freddi dobbiamo partire da una temperatura inferiore a circa 40 °K,
cioè occorre un preraffreddamento. I valori della temperatura al di
sotto dei quali durante l'espansione si ha raffreddamento dipendono
dalla pressione; la corrispondente curva (PV) è la curva di inversione
(FIG. 3 .4) : la regione all'interno della curva si chiama regione di raf­
freddamento, quella all'esterno regione di riscaldamento.
Fu proprio grazie allo studio dell'equazione di Van der Waals per
l'elio gassoso che Kamerling-Onnes individuò le condizioni in cui si

41
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

sarebbe· ottenuto il raffreddamento di Joule-Thomson e, alla fine, la


liquefazione.
n raffreddamento di un gas durante un'espansione è alla base del­
le tecniche impiegate per liquefare i gas e per ottenere basse tempe­
rature. Durante un'espansione libera un gas reale, diversa�ente dal
gas ideale, si raffredda, indipendentemente dalla temperatura di par­
tenza. Ciò è comprensibile, se si tiene conto del fatto che fra le mole­
cole di un gas reale agiscono forze attrattive che decrescono al decre­
scere della distanza fra le molecole stesse.
Nel 1895 il chimico tedesco Karl von Linde sfruttò l'effetto Joule­
Thomson per la liquefazione dei gas su grande scala. Il gas, preraf­
freddato e compresso, viene fatto espandere e, subendo un ulteriore
raffreddamento, liquefa in parte; il gas residuo viene riconvogliato al
compressore e di nuovo preraffreddato, e il ciclo si ripete, dando
luogo ad una ulteriore liquefazione.
Per ottenere temperature molto basse i processi basati sull'effetto
Joule-Kelvin non sono applicabili e si deve ricorrere ad altre tecni­
che.

3·3
I liquidi

3 · 3 · 1 . Caratteristiche generali

Degli stati di aggregazione della materia lo stato liquido è il più diffi­


cile da trattare. Spesso viene descritto sottolineando le analogie con
lo stato gassoso e con lo stato solido. L'analogia più rilevante fra li­
quido e gas sta nel fatto che in ambedue · i casi una sostanza è priva
di rigidità, non ha una forma definita ed è in grado di fluire attraver­
so un condotto o una fenditura. Per questa analogia il comportamen­
to meccanico delle due fasi - chiamate fasi fluide - viene trattato allo
stesso modo. A parte alcune eccezioni, un liquido, come un gas, è
isotropo, cioè le sue proprietà fisiche sono le stesse in ogni direzione;
al contrario, molti solidi cristallini presentano anisotropia. Alle alte
densità le differenze fra gas e liquido si attenuano, fino a sparire al
punto critico.
Per la maggior parte delle altre proprietà fisiche un liquido non è
molto diverso dal solido corrispondente. La compressibilità, la densi­
tà e il calore specifico, ad esempio, sono simili in un liquido e in un
solido; un metallo allo stato liquido è un conduttore di elettricità,

42
3 · PROPRIETÀ MACROSCOPICHE

come un metallo solido, e in ambedue gli stati un metallo è opaco


alla luce e la riflette; l'azoto liquido è invece trasparente alla luce,
assorbe la radiazione ultravioletta di breve lunghezza d'onda ed è un
buon isolante elettrico e termico, come l'azoto solido. Ancora mag­
giori sono le _analogie di comportamento fra un liquido e un solido
amorfo.
Alcune proprietà dei liquidi sono intermedie fra quelle dei gas e
quelle dei solidi. Una sostanza estranea, ad esempio, diffonde in un
liquido più lentamente che in un gas, ma più rapidamente che in un
solido.
Differenze e analogie fra le tre fasi sono meglio inquadrate dal
punto di vista della struttura su scala atomica, cioè della distribuzio­
ne spaziale degli atomi o delle molecole che le compongono, e della
dinamica, cioè del moto degli atomi o delle molecole.

3 · 3 · 2 . La tensione di vapore saturo

Supponiamo di avere un recipiente chiuso, parzialmente riempito con


acqua, a una temperatura T, di estrarne rapidamente l'aria contenuta
e di richiudere il recipiente (FIG. 3 .5 ). L'acqua incomincia a bollire e
ad evaporare, e il processo si interrompe solo quando il vapore ac­
queo nel recipiente ha raggiunto una pressione il cui valore dipende
dalla temperatura del liquido. Supponiamo per semplicità che la tem­
peratura del sistema venga mantenuta costante fornendo calore dal-

FIGURA 3 · 5
Recipiente con volume definito, che contiene acqua e vapore d'acqua. Il mano­
metro in alto a sinistra misura la pressione P del vapore

p
H .z O VA PORE

.
. ,,_ . . . :. . . . . ·. · .

43
FIGURA 3 . 6
Curva di vaporizzazione per l'acqua . Essa dà le condizioni sotto le quali coesisto­
no liquido e vapore saturo

LIQU I D O
� 600
-I'>
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"'
a. 5000

GA S

o iOO 200 300 400


T E M P E � AT U RA ( • c. )
A) Pressioni e temperature moderate; B) Pressioni e temperature elevate; il punto critico indica i valori
(P, 1) ai quali le due fasi fluide non sono più distinguibili.

44
3 · PROPRIETÀ MACROSCOPICHE

l'estetno; la quantità di calore fornita è proporzionale al calore laten­


te di vaporizzazione. L'equilibrio fra liquido e vapore si raggiunge
quando il numero di molecole che sfuggono dal liquido è bilanciato
dal numero di molecole che dal vapore ritornano nel liquido. La
pressione del vapore all'equilibrio si chiama tensione del vapore satu­
ro - Pv (n - e cresce rapidamente all'aumentare di T. A o °C (T =
273,16 °K) è Pv = 4,6 mm di Hg, a 100 °C è un'atmosfera (760 mm
di Hg) (FIG. 3.6), a 273 °C è quasi 6o atmosfere. Gli stati rappresen­
tati dai punti alla sinistra della curva corrispondono, all'equilibrio, al­
la sola fase liquida, quelli rappresentati dai punti alla destra corri­
spondono alla sola fase gassosa. I punti sulla curva corrispondono
agli stati di coesistenza del liquido e del suo vapore e rappresentano
anche i punti di ebollizione (PAR. 5 . 2 ) .
I l fenomeno descritto non riguarda soltanto l'acqua, m a è genera­
le di tutti i liquidi. A ogni valore Pv (n corrisponde una densità di
vapore acqueo ad esso proporzionale; ad esempio a o °C la densità è
di 4,84 g/mc, a 10 oc è di 9.4 g/mc, a 20 oc è di 17,2 g/mc, a 30 °C
è di 30,1 g/mc.
I valori di Pv e le densità di vapore corrispondenti non cambiano
(con buona approssimazione) se il recipiente contiene altri gas, ad
esempio aria. Pv( n ha allora il significato di pressione parziale e la
densità definisce l'umidità assoluta massima che si può avere, alla
temperatura considerata.
Si definisce invece umidità relativa il rapporto fra la quantità di
vapore contenuta in un dato volume e la quantità massima che lo
stesso volume può contenere e che corrisponde alla tensione del va­
pore saturo. Se l'aria è secca, ossia se l'umidità relativa è bassa, l' ac­
qua evapora rapidamente; l'evaporazione invece si arresta quando l'u­
midità relativa è uno, ossia quando la pressione del vapore acqueo
nell'aria è uguale alla tensione del vapore saturo. Questo spiega per­
ché nelle giornate calde e umide il sudore evapora molto lentamente
e la sensazione di caldo è opprimente.
È ben noto anche il processo inverso. Quando l'aria umida si raf­
fredda e il valore della tensione del vapore saturo, che dipende da T,
diventa inferiore alla pressione parziale del vapore acqueo presente,
si ha soprassaturazione; allora il vapore in eccesso può condensare. Il
processo è favorito dalla presenza nell'aria di impurezze (fumi ecc.)
che agiscono come centri di condensazione. La condensazione conti­
nua fino a che la pressione parziale del vapore rimanente non uguagli

45
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

· la tensione del vapore saturo alla temperatura considerata. Questo


spiega la formazione delle nubi e delle nebbie, l'appannamento di
una lastra di vetro fredda in una stanza calda e umida ecc.
Anche gli ioni, cioè gli atomi e le molecole che, in seguito a
un'opportuna azione fisica hanno perduto la neutralità elettrica, sono
centri di condensazione efficaci. Questa proprietà è stata sfruttata da
C. T. R. Wilson ( 1869-1959) , che nel 1907 inventò la " camera a neb­
bia", uno strumento di rivelazione di particelle ionizzanti al quale si
devono molte importanti scoperte nel campo della fisica nucleare e
subnucleare. Il volume della camera, un recipiente che contiene un
gas in condizioni prossime alla saturazione, viene rapidamente au­
mentato, per esempio spostando una parete verso l'esterno; in segui­
to all'espansione adiabatica la temperatura del gas scende e si realiz­
zano le condizioni di soprassaturazione, nelle quali il vapore non è
più in equilibrio con il liquido. In assenza di nuclei di condensazione
la soprassaturazione si mantiene per un pe�iodo di tempo relativa­
mente lungo, senza dar luogo a condensazione, si ha cioè uno stato
metastabile; se nella camera sono presenti ioni, viene favorita la tran­
sizione dallo stato metastabile allo stato di equilibrio; sugli ioni con­
densano goccioline di liquido, tipicamente di un centesimo di milli­
metro di raggio, che possono essere viste dall'esterno della camera di
Wilson. In questo modo si possono visualizzare le tracce delle traiet­
torie delle particelle ionizzanti emesse da sorgenti radioattive, o costi­
tuenti la radiazione cosmica, o da reazioni provocate da acceleratori
di particelle. Se la camera è posta in un campo magnetico, le tracce
sono curve circolari, e dal raggio di curvatura si può risalire al rap­
porto fra la quantità di moto della particella ionizzante e la sua carica
elettrica.

3 · 3 · 3 · La temperatura critica

La curva di coesistenza liquido-vapore saturo della FIG. 3.6 non si


estende indefinitamente al crescere della temperatura e della pressio­
·
ne, ma termina a un punto detto critico (FIG. 3 .6b) . Per l'acqua la
temperatura critica è Te = 374,15 °C e la corrispondente pressione
critica è Pc = 218,4 atmosfere; la densità è allora 0,326 g/cmc. Man
mano che ci si avvicina al punto critico la differenza di densità fra
liquido e vapore si riduce, e altrettanto si riduce il calore latente di
vaporizzazione, fino a che al punto critico ambedue si annullano. Al-
3 · PROPRIETÀ MACROSCOPICHE

FIGURA 3 ·7
Densità dd liquido e dd vapore, in funzione della temperatura

-�...
� DEH !> ITA' L I QU I D O
o

P U NT O C R I T I C: O

T� TEMPERATU RA

Per T = T, i due valori coincidono e si ha un'unica fase fluida.

lora si è in presenza di un'unica fase fluida, non più di una fase liqui­
da e una fase gassosa distinte da una superficie di separazione (FIG.
3 .7). Si deve a Van der Waals la dimostrazione che non vi è soluzio­
ne di continuità &a lo stato gassoso e lo stato liquido.
Questo comportamento, esemplificato nel caso dell'acqua, è gene­
rale. Ad esempio si ha, per l'anidride carbonica (C02 ) , Te = 3 1 , 1 o c
e Pc = 72,9 atm; per l'ossigeno (02 ) Te = -n9 °C e Pc = 50 atm;
per l'idrogeno (H2 ) Te = -240 °C e Pc = 13 atm; l'elio è la sostanza
con la più bassa temperatura critica: Te = -268 °C e Pc = 2,3 atm.
L'esistenza del punto critico indica che fra lo stato liquido e lo stato
gassoso non esiste una differenza di principio.
Da quanto sopra è evidente che, se T > Te, non è possibile rea­
lizzare la transizione gas-liquido, per quanto elevata sia la pressione
applicata (PAR. 1 . 3 ) ; è sempre possibile invece ottenere la transizione
fluido-solido, purché la pressione sia sufficientemente elevata.

3 · 3 ·4· L'acqua

È la sostanza chimica più abbondante sulla superficie della terra; le


sue proprietà chimiche e fisiche ne fanno un componente essenziale

47
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

per la vita delle piante e degli animali. Si valuta che ogni anno eva­
porino dalla superficie del nostro pianeta circa 50o.ooo kmc di ac­
qua, che poi ricondensano e ricadono sugli oceani e sulle terre emer­
se, e questo ciclo continuo contribuisce in modo essenziale al clima
terrestre. L'acqua è anche la sostanza chimica più abbondante negli
organismi viventi: il nostro corpo per il 6o% è costituito di acqua.
Per questa sua diffusa presenza e per il suo ruolo nella vita dell'uo­
mo, da Talete in poi molti filosofi classici considerarono l'acqua allo
stato liquido il principio primo (o uno dei principi primi) della mate­
ria dell'universo. Solo alla fine del Xviii secolo l'acqua fu decomposta
nei suoi elementi costituenti, idrogeno e ossigeno. L'idrogeno era sta­
to scoperto da Henry Cavendish (173 1 -18w) nel 1766, l'ossigeno da
Joseph Pristley ( 1733-1804) nel 1774; qualche anno dopo Cavendish
dimostrò che si ottiene acqua bruciando quantità definite dei due
gas, senza variazione di peso, e infine Antoine Laurent de Lavoisier
(1743-1794) realizzò il processo inverso, la decomposizione dell'acqua
in idrogeno e ossigeno.
L'acqua si comporta in modo marcatamente differente rispetto ad
altre sostanze chimiche ad essa simili come formula di struttura (FIG.
3 . 8 ) . L'alto punto di solidificazione indica la presenza di forze di coe­
sione interna relativamente grandi; all'entità di queste forze si deve
anche l'alto calore latente di fusione (79,6 caVg) , cioè la quantità di
energia che un grammo di ghiaccio a o °C assorbe per fondere in un
grammo di acqua liquida. Alle stesse forze si deve l'alto calore latente
di evaporazione, 539,5 caVg al punto di ebollizione; è esperienza co­
mune che l'evaporazione della traspirazione cutanea dia sensazione di
freschezza, proprio a causa della quantità di calore sottratta al corpo.
Il calore specifico dell'acqua, una caloria per grado e per grammo
in condizioni normali, è superiore a quello della maggioranza delle
altre sostanze; l'alta capacità termica dei mari e dei laghi agisce come
stabilizzatore della temperatura. Un'altra proprietà caratteristica del­
l'acqua è l'elevata tensione superficiale, anch'essa dovuta alla forte
coesione fra le molecole. Qualitativamente si può dire che un liquido
si comporta come se alla sua superficie esistesse un sottile strato ela­
stico che oppone resistenza alla rottura; maggiore è la resistenza,
maggiore è il valore della tensione superficiale. L'elevato valore per
l'acqua fa sì che oggetti leggeri galleggino, anche se il loro peso spe­
cifico è superiore a uno, che certi insetti possano camminare sull' ac­
qua e che le gocce d'acqua tendano ad assumere forma sferica.
3 · PROPRIETÀ MACROSCOPICHE

FIGURA 3.8
Temperature di fusione (0) e di ebollizione (�) di alcune sostanze analoghe al­
l'acqua, cioè composte di due atomi di idrogeno e di un atomo di elementi dello
stesso gruppo dell'ossigeno, nel sistema periodico

. , .-------,

100
9.l •
l \
l
l l
l l
l
l '
l
l
'
l l
l
l
o
l

l \ '
'
'

l /

l
l
l H .t Tt.
l
�- -
rr /
rebbe un punto di fusione di circa - 90 oc (D) anziché o oc e un punto di ebollizione di circa - 75
Se l'acqua si comportasse come queste, tenendo conto del suo peso molecolare inferiore, ci si aspette·

oc (!!! ) , anziché + 100 oc.

Anche la costante dielettrica ' dell'acqua è molto alta e aumenta col


decrescere della temperatura; questo comportamento segnala l'esi­
stenza, a livello molecolare, di un dipolo elettrico, dovuto al fatto che
il baricentro delle cariche positive legate agli ioni idrogeno non coin­
cide con quello delle cariche negative legate allo ione ossigeno. A
questo fatto si deve l'elevata solubilità dei composti ioni ci, come il

I. La costante dielettrica è un parametro fisico caratteristico delle sostanze


che non conducono l'elettricità (dielettrici) . Può essere definita attraverso la ca­
pacità di un condensatore: se lo spazio fra le due armature viene riempito da un
dielettrico, la capacità aumenta di un fattore t::, caratteristico di quel dielettrico; t::
è la costante dielettrica statica, ossia per campi elettrici costanti nel tempo.

49
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

sale da cucina, e la presenza di acqua di cristallizzazione in molti so­


lidi cresciuti da soluzione acquosa.
È noto che, con rarissime eccezioni, i liquidi e i solidi quando
vengono riscaldati si dilatano, ossia la loro densità diminuisce. L'ac­
qua fa eccezione; nell'intervallo di temperatura fra o oc e 4 °C la
densità dell'acqua aumenta di circa un decimillesimo. Inoltre, in con­
trasto con la stragrande maggioranza delle sostanze, l'acqua si espan­
de quando congela, ossia la densità del ghiaccio è inferiore a quella
dell'acqua, a o 0C. A questa proprietà si deve il fatto che il ghiaccio
galleggia sull'acqua e agisce da isolante termico per l'acqua che si
trova al di sotto, e che l'acqua sul fondo dei mari freddi tende ad
avere una temperatura di 4 °C, favorendo l'esistenza di forme di vita
·

anche nei mari delle zone polari.


È compito degli studi sulla struttura microscopica rendere conto
di queste - e di altre - proprietà singolari dell'acqua. Ed è un compi­
to arduo.

3 ·4
Le soluzioni liquide

Quando si mette il sale (NaCl) nell'acqua e si mescola per un certo


tempo, del sale non resta traccia (purché la quantità non sia troppo
grande) e l'acqua ha cambiato sapore. Non si ha lo stesso fenomeno
se all'acqua aggiungiamo, per esempio, sabbia; per quanto a lungo si
mescoli, la sabbia rimane, o almeno i cambiamenti sono così modesti
da non poter essere valutati con i normali mezzi di osservazione. Di­
ciamo allora che il sale - come lo zucchero e molte altre sostanze - è
solubile in acqua, mentre il quarzo e gli altri cristalli che costituisco­
no la sabbia non lo sono, se non in misura minima.
I sistemi come acqua-sale, nei quali sono presenti due componen­
ti, si dicono sistemi binari.
Altri esempi di soluzione sono quelli fra liquido e liquido. È noto
che l'alcool etilico si scioglie in acqua (vino, whisky) , e viceversa,
mentre l'olio rifiuta di sciogliersi.
Anche i gas si sciolgono nei liquidi, sebbene, in genere, in quanti­
tà limitata; in un litro di acqua fredda, ad esempio, si scioglie circa
un centigrammo di aria. È la presenza dell'ossigeno dell'aria sciolta in
acqua che consente ai pesci e ai molluschi di respirare. La quantità di
gas che si scioglie in un liquido dipende dalla pressione che si eserci­
ta. Per preparare le bevande gassate si forza l'anidride carbonica a

50
3 · PROPRIETÀ MACROSCOPICHE

sciogliersi nell'acqua esercitando una pressione superiore a quella at­


mosferica, ed è necessario un tappo a tenuta per evitare che, riducen­
dosi la pressione, una buona parte del gas disciolto se ne vada. Le
bollicine che si formano tumultuose quando si stappa lo spumante
riportano il sistema allo stato di equilibrio corrispondente al cambia­
mento di pressione. Se la tenuta del tappo non è buona, la perdita
del gas in eccesso awiene lentamente, senza la formazione di bolle.
I casi di embolia così temuti dai subacquei sono dovuti a processi
analoghi. Un subacqueo fornito di bombole che contengono aria
compressa (circa 200 atmosfere) respira aria a una pressione suffi­
ciente a bilanciare la pressione esterna dell'acqua, che cresce di
un'atmosfera ogni ro m di profondità; di conseguenza nel sangue e
nei tessuti si scioglie una maggiore quantità d'aria, per esempio, dopo
una lunga immersione a 20 m, qualche decigrammo. Un'emersione
rapida provoca la formazione di bollicine nel sangue, quindi il rischio
di embolia; per questo ai subacquei che si immergono con bombole
è prescritto un periodo di decompressione a profondità intermedie;
dopo un'immersione di un'ora a 20 m è consigliata una decompres­
sione di 8 minuti a 3 m di profondità. Per le immersioni in apnea il
problema non sussiste, tranne che in casi estremi (pescatori di perle
o di corallo) .
Esistono anche soluzioni solide, nelle quali gli atomi degli ele­
menti componenti sono mescolati in modo omogeneo. Le soluzioni
solide sono molto importanti nella metallurgia e nell'elettronica, per­
ché molte caratteristiche fisiche dei solidi variano fortemente con
l'aggiunta di piccole quantità di elementi estranei. Il carbonio aggiun­
to al ferro, ad esempio, dà la ghisa e gli acciai, il fosforo aggiunto al
silicio provoca un forte aumento della conducibilità elettrica, piccole
aggiunte di quantità di manganese al quarzo danno la gemma violetta
conosciuta come ametista, e così via.
In generale una soluzione è una miscela omogenea di due o più
componenti, è cioè costituita da una singola fase. Le proprietà fisiche
- temperatura di solidificazione e di ebollizione, conducibilità elettri­
ca ecc. - variano con continuità con le proporzioni dei componenti.
La temperatura di solidificazione di una soluzione acquosa di qualsia­
si sale, ad esempio, diminuisce al crescere della concentrazione del
saluto. L'acqua degli oceani solidifica a - 2 °C ; una soluzione satura
di NaCl solidifica a - 2 1 °C, ed è grazie a questo fenomeno che,
d'inverno, si sparge sale sulle strade per impedire il formarsi di uno
strato di ghiaccio. La tensione di vapore di una soluzione è inferiore

51
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

a quella del solvente puro, alla stessa temperatura. Questo fenomeno


viene sfruttato per essicare l'aria; ad esempio, facendo fluire aria
umida attraverso cloruro di calcio, si può abbassare la tensione del
vapore acqueo fino a 5,6 mm di Hg, che è il valore della tensione di
vapore della soluzione satura di questo sale.
Una soluzione è caratterizzata dalla concentrazione della sostanza
disciolta, espressa come rapporto fra il peso (o il numero di moli) del
saluto e quello del solvente. La concentrazione di un saluto in un
dato solvente non aumenta illimitatamente; quando si è raggiunto il
limite massimo si dice che la soluzione è satura e il valore della con­
centrazione corrispondente si chiama solubilità. La solubilità in gene­
rale cresce all'aumentare della temperatura (per i gas succede il con­
trario) ; per questa ragione quando si fa evaporare o si raffredda una
soluzione satura si ha precipitazione del soluto in eccesso.
L'acqua è un buon solvente per le sostanze a legame ionico, come
il sale comune, la cui solubilità tuttavia varia pochissimo al variare
della temperatura. L'acqua degli oceani contiene in media 3 5 g di sali
sciolti per ogni chilogrammo di acqua, e fra questi prevale il cloruro
di sodio ( 8o% ) ; in alcuni mari interni in zone calde (Mar Morto) si
raggiunge il limite di solubilità e il sale in eccesso è allo stato solido
sulle rive e sul fondo.
La solubilità di una sostanza in un · dato solvente si descrive con
diagrammi dove il peso massimo, in grammi, della sostanza che è
possibile sciogliere in 100 g di solvente è riportato in funzione della
temperatura. In FIG. 3 · 9 si hanno le curve di solubilità di tre diversi
sali in acqua. Nella zona del piano al di sotto di una curva di solubi­
lità si ha la soluzione non satura, al di sopra la soluzione è soprassa­
tura. La condizione di soprassaturazione può essere realizzata evapo­
rando una parte del solvente; non corrisponde a uno stato di equili­
brio, ma può essere mantenuta a lungo con alcune precauzioni, ad
esempio in assenza di centri di cristallizzazione (germi cristallini, irre­
golarità nella superficie del recipiente) e di shock meccanici (agitazio­
ne della soluzione) . L'esistenza delle soluzioni e di una solubilità limi­
te è connessa con il comportamento di una funzione termodinamica
G detta energia libera (di Gibbs) ; es � a consiste sostanzialmente di un
termine che misura l'energia interna e di un altro che misura l'entro­
pia:

G = U - TS + PV

52
3 · PROPRIETÀ MACROSCOPICHE

FIGURA 3 · 9
Solubilità d i tre diversi sali del sodio

..--
-<
::> 1 60
CJ
...
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o
o
...

ci
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SOLfATO Ili & OD I O

i: Il O
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C LO R U R O DI !>ODI O
"'
-.!)

50 15 �00
TE.M P E. RATO RA (•c)
L a solubilità del nitrato d i sodio aumenta con l a temperatura; l a solubilità del solfato d i sodio decresce;
quella del cloruro di sodio è praticamente indipendente.

il terzo termine è meno importante nel caso delle soluzioni.


La termodinamica dimostra che le condizioni di equilibrio, per
un sistema non isolato, sono quelle in cui è minimo il valore di G.
Perché si abbia una soluzione è necessario che sia:

[ 3 .1 8] G(soluzione) < G(componenti separati)

Se U (soluzione) :::; U (componenti separati) , la condizione [3. 18] si


realizza su ampi intervalli di concentrazione. In molti casi è U (solu­
zione) > U (componenti separati) , ossia si deve spendere energia per
sciogliere una sostanza in un solvente. Affinché la disuguaglianza
[3. 18] sia soddisfatta, è necessario che l'entropia della soluzione, su­
periore a quella degli elementi separati, sia tale che il prodotto T S
compensi l'aumento di energia; poiché l'entropia esprime una misura
del disordine del sistema, questa condizione in molti casi si realizza,
infatti lo stato di una soluzione è più disordinato di quello dei com­
ponenti separati (PAR. 2.5) . La solubilità è elevata quando l'energia

53
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

interna non varia molto, ossia quando le forze attrattive fra le mole­
cole del solvente e quelle del soluto sono prossime a quelle che si
esercitano nei due componenti separati; ciò accade, ad esempio, nel
caso degli idrocarburi, delle soluzioni acqua-alcool, di metalli chimi­
camente simili, come rame e oro, di sali chimicamente simili, come
NaCl e NaBr. Se invece U (soluzione) >> U (componenti separati) ,
l'aumento di entropia non è sufficiente per abbassare G, quindi la
soluzione non si forma, o la solubilità è molto piccola.

3·5
L'elio liquido. Superfluidità

È noto che liquidi diversi non fluiscono attraverso un tubo con la


stessa facilità. L'acqua fluisce meglio della glicerina e questa meglio
del miele o del bitume. La velocità del liquidi a contatto con le parti
del condotto è pressoché nulla, a causa della frizione fra liquido e
parete; la velocità cresce verso il centro del condotto, a causa della
frizione fra i vari strati del liquido (paralleli alla direzione del moto) .
Si dice che un liquido che fluisce facilmente ha bassa viscosità; la
viscosità può essere definita in modo rigoroso e misurata con preci­
slOne.
Anche il flusso dei gas presenta viscosità, sebbene minore di quel­
la dei liquidi. Alla viscosità si deve il· fatto che un corpo in caduta
nell'aria (gocce di pioggia) accresce la sua velocità fino a una velocità
limite, cioè la sua accelerazione decresce fino ad annullarsi. La visco­
sità dell'aria a 20 °C è solo due centesimi di quella dell'acqua alla
stessa temperatura, e inoltre nei gas la viscosità aumenta al crescere
della temperatura (in modo proporzionale alla radice quadrata della
temperatura assoluta) , mentre nei liquidi la viscosità diminuisce al
crescere della temperatura. Questa diversa dipendenza dalla tempera­
tura suggerisce che il meccanismo molecolare della viscosità sia diffe­
rente per i due stati di aggregazione della materia.
Esiste un liquido anomalo, il cui comportamento, a temperature
sufficientemente basse, differisce da quello di tutti gli altri liquidi:
l'elio liquido.
L'elio è il più leggero dei gas nobili. Occupa il secondo posto nel
Sistema periodico, dunque la sua carica nucleare è il doppio di quella
dell'idrogeno (Z = 2) ; la sua massa è circa quattro volte maggiore. È
presente in grande quantità nell'universo (quasi il w % ) , dove si è
formato pochi minuti dopo il " big-bang" , ma in piccole concentra-

54
3 · PROPRIETÀ MACROSCOPICHE

FIGURA 3 . 10
Diagramma di stato per lo He4

S O L I DO C R I 5TA LL I N O

r5

ELI O L I Q U I D O
50 N O R I'I A L E
( H& I )

25

2 3 4
TE: H PE RAT U P. "' (• !<.)

La cuiVa À segna la transizione fra il liquido normale e il liquido superfluido.

zioni nell'atmosfera terrestre (alcune parti per milione) ; prima ancora


di essere individuato sulla terra (Ramsay, 1895 ) , fu scoperto mediante
l'analisi spettroscopica della fotosfera solare a. N. Lo ckyer, I868) .
Esistono due isotopi stabili dell'elio, quello con il numero di massa
uguale a 4 (He4) , sovrabbondante, e l'isotopo leggero, con numero di
massa uguale a 3 (He3 ) . Le proprietà chimiche dei due isotopi natu­
ralmente sono le stesse, ma le proprietà fisiche alle basse temperature
differiscono radicalmente.
L'elio è la sostanza con la più bassa temperatura critica (4,3 °K)
ed è l'unica sostanza che non solidifica neanche in prossimità di o
°K, a meno che non sia sottoposto a una pressione superiore alle 2 5
atmosfere. Ma non sono queste le anomalie più significative.
Lo He4 allo stato liquido assume due forme diverse, dette elio I

55
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

ed elio II. A temperature superiori a 2,18 °K (punto À.) si ha il liqui­


do normale (He I) ; Kamerling Onnes osservò, nel 1908, che quando
si raffredda questo liquido al di sotto del punto À si ha una strana
trasformazione, che si annuncia con un picco molto marcato del calo­
re specifico, seguito dal fatto che le proprietà del liquido cambiano
drasticamente; per distinguerlo dal liquido normale lo si chiama He
II (FIG. 3 . 10) . La sua viscosità è talmente piccola da non essere più
misurabile, e per questo è detto elio superfluido. La superfluidità fu
scoperta nel 1937 da P. L. Kapitza. Inoltre la sua conducibilità termi­
ca è molto alta: nel passaggio attraverso la linea À cresce di un fattore
di circa 108; connesso con questa proprietà è il fenomeno detto se­
condo suono (19 44) : un impulso di temperatura si propaga come
un'onda di temperatura, diversamente da quanto accade in tutti gli
altri sistemi fluidi o solidi, nei quali la conduzione termica ha luogo
tramite il flusso di calore dai punti a temperatura maggiore a quelli a
temperatura minore, fino a che la differenza (gradiente) di T si an­
nulla. La transizione che si osserva attraverso la linea À (ossia al pun­
to À in funzione della pressione) è una transizione di fase, ma, diver­
samente da quanto accade nelle transizioni di stato (solido-liquido,
liquido-vapore) , funzioni termodinamiche come il volume o l'entropia
non variano in modo discontinuo. È perciò chiamata transizione di
fase del secondo ordine - mentre le prime sono le transizioni del
primo ordine (CAP. 5 ) .
Altri fenomeni suggestivi sono associati alla superfluidità.
L'elio superfluido ricopre di una sottile pellicola (-m - 6 cm) le
sostanze con cui viene a contatto. Se si immerge il fondo di un reci­
piente vuoto nell'elio superfluido, l'elio risale lentamente scorrendo
lungo la superficie esterna, quindi riempie il recipiente fino a rag­
giungere lo stesso livello del liquido esterno; quando si estrae il reci­
piente dal bagno si osserva il graduale svuotamento, mentre l'elio ri­
salendo dalle pareti interne gocciola di nuovo nel bagno (FIG. 3 . 1 1 ) .
Se abbiamo due recipienti connessi da un capillare, in condizioni
normali l'elio superfluido ha lo stesso livello; ma se si scalda uno solo
dei recipienti, l'elio fluisce dal più freddo al più caldo, alzandone il
livello; un aumento di temperatura di un millesimo di grado è suffi­
ciente per ottenere un effetto vistoso. Questo fenomeno è detto effet­
to fontana, perché in opportune condizioni può causare uno spruzzo
di elio dal recipiente più caldo (ricordiamo che caldo e freddo sono
relativi, perché il tutto deve svolgersi al di sotto del punto À, altri­
menti l'elio torna ad essere un fluido normale) .
3 · PROPRIETÀ MACROSCOPIC H E

FIGURA 3 . 1 1
Flusso gravitazionale dell'elio superfluido

(c)

( 6)

Quando il recipiente è immerso parzialmente nel bagno di elio superfluido ( T < À) uno strato sottile di
elio fluisce lungo le pareti fino a che il livello all'interno del recipiente uguaglia il livello del bagno
esterno (A e B ) ; se il recipiente viene sollevato al di sopra del livello del bagno, l'elio fluisce verso
l'esterno e gocciola (C).

Questi straordinari fenomeni sono stati interpretati fenomenologica­


mente col modello dei due fluidi, secondo il quale si immagina che
l'He II sia in realtà un miscuglio di due liquidi, uno normale, con la
normale viscosità, l'altro perfettamente superfluido e privo di energia
interna; al punto À tutto l'elio è normale; diminuendo la temperatura
una frazione via via crescente si trasforma in elio superfluido; a 1 o K
il 99% dell'elio è superfluido. I due liquidi fluiscono l'uno nell'altro
senza attrito. Il modello a due fluidi non dà un'interpretazione della
natura della superfluidità, ma inquadra in modo soddisfacente le va­
rie proprietà dell'He II. Ad esempio, è stato in grado di prevedere il
fenomeno del " secondo suono " : un impulso di temperatura produce
una trasformazione locale di elio superfluido in elio normale; la mag­
giore concentrazione di liquido normale, la maggiore temperatura ad
essa associata, si propagano senza attrito come un'onda di temperatu­
ra attraverso l'He II.
L'interpretazione microscopica della superfluidità è più complessa

57
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

e richiede il ricorso ai concetti della meccanica quantistica e della


meccanica statistica.
La superfluidità è uno dei rari fenomeni fisici nei quali gli effetti
quantistici si manifestano su scala macroscopica.
L'isotopo leggero dell'elio (He3 ) è superfluido solo a temperature
mille volte inferiori al punto À, ma la superfluidità è di natura diversa
da quella dell'He4; altrimenti si comporta come un liquido normale
con una temperatura di liquefazione molto bassa. L'He3 è raro in
natura, solo una parte per milione rispetto all'He4; per averne quanti­
tà utili per condurre esperimenti fu necessario attendere la fine degli
anni Quaranta, quando divenne possibile ricavarlo dal decadimento
radiattivo del trizio (H3 ) , creato con reazioni nucleari. La superfluidi­
tà dell'He3 fu scoperta nel 1971 .

J .6
I solidi

Diversamente da quanto accade nei fluidi, che all'equilibrio si presen­


tano come sistemi omogenei, cioè con proprietà e caratteristiche
identiche nelle varie parti del sistema, i solidi spesso, in natura e nei
manufatti, sono eterogenei. Pensiamo alla roccia della crosta terre­
stre, al legno, alle ceramiche, al cemento. Anche i metalli, gli acciai e
molte altre leghe metalliche, esaminati con un microscopio, mostrano
una struttura eterogenea, contengono irregolarità di vario tipo, picco­
li cristalli regolari (grani) separati da zone disordinate e piccoli cri­
stalli di diversa composizione (precipitati) (FIG. 3 . 12) ; a un ingrandi­
mento maggiore, quale quello che si può ottenere con un microsco­
pio elettronico, anche i solidi più regolari mostrano irregolarità signi­
ficative nell'arrangiamento spaziale degli atomi di cui sono formati
(dislocazioni) .
In natura però esistono molti esempi di solidi omogenei e regolari
anche nel loro aspetto esteriore, cioè poliedri con superfici perfetta­
mente lisce, spigoli dritti, angoli diedri ben definiti. Pensiamo ai cri­
stalli di quarzo, di calcite, di pirite, di salgemma, insomma ai cristalli
che fanno bella mostra in un museo di mineralogia. Nell'ultimo mez­
zo secolo anche l'uomo ha imparato il modo di ottenere cristalli re­
golari di molte sostanze, spesso di dimensioni ragguardevoli ( chilo­
grammi o decine di chilogrammi) , sia allo scopo di conoscere più a
fondo le proprietà dei solidi, sia a quello di sfruttare queste proprietà
a fini pratici. Questi solidi tutti di un pezzo si chiamano monocristalli.
3 · PROPRIETÀ MACROSCOPICHE

FIGURA 3 . 1 2
L a microstruttura dell'acciaio secondo Réaumur

R. A. Réaumur (r683 · 1 757 ), uno dei primi scienziati che studiò la struttura delle leghe del ferro, così
descrive la microstruttura dell'acciaio, composta di grani, a loro volta formati da molecole; egli immagi·
na che fra i grani esistano spazi vuoti (V) nei quali possono diffondere particelle che conferiscono all' ac·
ciaio proprietà caratteristiche.

La regolarità della forma esterna di molti cristalli naturali o cresciuti


in laboratorio suggerisce che i solidi cristallini siano formati dalla ri­
petizione nello spazio di unità costitutive identiche; chiameremo
ognuno di questi poliedri cella unitaria. Una cella unitaria è definita
da tre vettori non complanari, che indichiamo come an a 2 , a 3 ' Si può
dimostrare che esistono 14 tipi di poliedri che, ripetuti nello spazio,
lo riempiono completamente, cioè si può dimostrare che esistono 14
tipi di cella unitaria; la ripetizione periodica di ognuna di esse genera
i 14 reticoli noti come reticoli di Bravais. Alcune celle unitarie sono
molto simmetriche; ad esempio le celle cubiche hanno tutti gli spigo­
li, le facce e gli angoli uguali, ossia an a 2 , a3 sono uguali in modulo e
ortogonali. Le celle tetragonali sono un po' meno simmetriche, essen­
do parallelepipedi retti con uno spigolo diverso dagli altri due; le cel­
le ortorombiche sono ancora parallelepipedi retti, ma gli spigoli sono
tutti differenti. La cella meno simmetrica si chiama triclina; in essa
gli spigoli sono tutti differenti, e così pure gli angoli. Nel 1912 M.
von Laue e i suoi allievi W. Friedrich e P. Knipping dimostrarono,
con esperienze di diffrazione di raggi X, che questa immagine geome-

59
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

trica della struttura dei solidi cristallini corrisponde alla realtà. Anche
i monocristalli, come vedremo, hanno le loro irregolarità, ma si tratta
di irregolarità piccole, su scala atomica.
La forma naturale di un cristallo mostra che esso è diverso nelle
diverse direzioni, e questa differenza non si manifesta solo nella for­
ma, ma anche rispetto alle sue proprietà fisiche. Così la resistenza
elettrica, la conducibilità termica, le proprietà meccaniche e quelle
ottiche possono presentare caratteristiche diverse nelle diverse dire­
zioni. Questa caratteristica dei cristalli è detta anisotropia. In alcuni
casi l'anisotropia è molto marcata; la mica, ad esempio, si sfalda facil­
mente lungo un certo piano, ma resiste alla sfaldatura lungo tutti gli
altri piani; la grafite ha una conducibilità elettrica minima lungo una
certa direzione detta asse C, e una resistività 4.ooo volte superiore
lungo i piani perpendicolari (a 20 °C) .
I solidi formati di molti grani cristallini adiacenti si dicono poli­
cristalli; a causa dell'orientazione casuale dei grani i policristalli, ri­
spetto alle proprietà macroscopiche, in genere non sono anisotropi,
ma isotropi, cioè presentano le stesse caratteristiche fisiche in ogni
direzione. Trattamenti particolari possono provocare un'orientazione
preferenziale dei grani, quindi riportare in una certa misura l' aniso­
tropia.
I fluidi sono invece isotropi. Esistono anche solidi isotropi, i vetri,
o più in generale i solidi amorfi; l'isotropia rispecchia la mancanza di
ordine su scala atomica. I solidi amorfi stanno al confine fra i liquidi
e i solidi cristallini e per certi aspetti possono essere considerati dei
liquidi dotati di altissima rigidità, cioè con una forte tendenza a man­
tenere la propria forma (PAR. 3.8) .
È l'anisotropia delle proprietà fisiche che permette di distinguere
un solido cristallino da uno amorfo apparentemente uguale; un disco
di quarzo amorfo, ad esempio, non si distingue ad occhio da un di­
sco di quarzo cristallino, ma se i due oggetti vengono esaminati con
luce polarizzata si osservano differenze notevoli. Un cristallo a sim­
metria cubica è però isotropo rispetto alle proprietà fisiche macrosco­
piche.
Non deve stupire che la maggior parte dei solidi abbia una strut­
tura policristallina; infatti durante la solidificazione per raffredda­
mento di una sostanza allo stato liquido, se non si usano precauzioni
particolari, la cristallizzazione incomincia contemporaneamente in
molti punti della massa fusa (nucleazione) e ogni microcristallo cresce
in modo indipendente, fino a incontrare le superfici dei grani adia-

6o
3 · PROPRIETÀ MACROSCOPICHE

FIGURA 3 - 1 3
Metodo d i Czochralsky per crescere monocristalli

!>EME C R I STA L L I N O
RAFF R EDDATO
UJ
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1-

_
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MAS5-,..
- _
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-- = F 05A - -:::=....
-----==--- --

E L E M E N TO
R I SCALDA N T E

La massa fusa contenuta nel crogiolo è riscaldata dall'esterno; la temperatura è misurata con una !ermo­
coppia e controllata dall'esterno. Un seme cristallino raffreddato dall'alto viene portato in contatto con
la superficie del fuso, quindi lentamente sollevato, mentre nuovi strati cristallini si depositano sul seme,
formando gradualmente un grosso monocristallo.

centi ma con orientazioni diverse. Per ottenere un monocristallo - e


ciò è necessario anche per molte applicazioni tecnologiche - si deve
fare in modo che la cristallizzazione abbia origine in un solo punto e
che il processo evolva lentamente e in modo molto controllato, così
da evitare altri punti di nucleazione.
Le tecniche per ottenere monocristalli di buone dimensioni e di
purezza controllata hanno avuto grande sviluppo negli ultimi decen­
ni. Lo schema di uno dei metodi più usati per ottenere buoni mano­
cristalli è mostrato nella FIG. 3 . 1 3 : un piccolo monocristallo (seme)
viene immesso appena al di sotto della superficie della massa fusa
contenuta nel crogiolo; il raffreddamento avviene attraverso il seme
stesso, mentre il liquido viene mantenuto appena al di sopra della
temperatura di fusione, così che la formazione di nuovi strati cristalli-
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

ni ha luogo solo alla superficie di contatto solido-liquido. Man rriano


eh � la cristallizzazione procede, il seme viene lentamente sollevato,
mantenendo il contatto con la massa fusa; per ottenere un cristallo
regolare il seme viene lentamente ruotato rispetto al crogiolo. Questo
metodo di crescita è detto Czochralsky. Apparecchi di questo genere,
per crescere ad esempio monocristalli di silicio o di arseniuro di gal­
lio (Ga As) su scala industriale costano alcuni miliardi.
Per capire le proprietà dei solidi è conveniente partire dai mano­
cristalli, e possibilmente da monocristalli contenenti pochissime im­
purezze (atomi o molecole di sostanze estranee) e pochissime irrego­
larità. Le proprietà fisiche dei monocristalli sono le più facili da in­
terpretare. Policristalli, leghe, solidi eterogenei, solidi amorfi saranno
il passo successivo. Questo punto di partenza è così importante che
spesso, quando si parla di stato solido, si intende quasi esclusivamen­
te lo stato rappresentato dai monocristalli.
Una caratteristica dello stato solido è la possibilità che una data
sostanza assuma, cambiando la temperatura e la pressione, forme cri­
stalline differenti, ossia differenti fasi solide. Si è già visto che il car­
bonio può presentarsi come grafite o come diamante, ma il fenomeno
è più generale; lo stagno esiste come stagno bianco e come stagno
grigio; il ferro puro presenta tre fasi solide; del ghiaccio sono note
almeno 7 strutture cristalline.
Fasi differenti della stessa sostanza differiscono non solo nella
struttura cristallina, ma anche nelle proprietà fisiche. Il ghiaccio nor­
male (ghiaccio I), ad esempio, è meno denso dell'acqua liquida, men­
tre le altre fasi del ghiaccio hanno densità superiori a uno; il ghiaccio
II e il ghiaccio III si formano aumentando la pressione a temperature
prossime a o °C; il ghiaccio VII si forma comprimendo l'acqua bol­
lente a zo.ooo atmosfere, dunque è un ghiaccio caldo. Il fenomeno è
noto come polimorfismo, e ciò significa appunto che un solido può
assumere diverse forme cristalline. Le differenti forme (fasi) sono sta­
bili in dati intervalli di temperatura e di pressione, e i parametri ter­
modinamici che corrispondono ai punti di transizione dall'una all'al­
tra fase si rappresentano in un diagramma di fase, come per le transi­
zioni di stato (cfr. FIG. 1 . 1 e CAP. 5 ) .
L'esistenza di fasi solide differenti e , più i n generale, l a natura di
una struttura cristallina sono dimostrate con esperienze di diffrazio­
ne; il metodo impiegato più comunemente è la diffrazione dei raggi
X.

62
3 · PROPRIETÀ MACROSCOPIC HE

3 . 6 . 1 . Cenni sullo sviluppo storico

I corpi solidi offrono un'incredibile ricchezza di proprietà fisiche, che


oggi vengono studiate per mezzo di un gran numero di tecniche,
sempre più raffinate. Esistono solidi trasparenti, colorati, opachi e ri­
flettenti (proprietà ottiche) , solidi buoni conduttori di elettricità e so­
lidi isolanti (proprietà elettriche) , solidi deformabili elasticamente,
malleabili, duri, fragili (proprietà meccaniche) , solidi dotati di magne­
tizzazione permanente o non (proprietà magnetiche) . E all'interno di
ognuno di questi capitoli la fenomenologia è ampia, perché ogni pro­
prietà dipende in qualche misura da parametri esterni, come tempe­
ratura, pressione, campi elettrici e magnetici. Molte di queste pro­
prietà sono condivise anche dallo stato liquido, ma non dallo stato
gassoso.
Per tutta la preistoria e buona parte della storia dell' umanità,
ben prima che si sviluppasse la scienza come noi l'intendiamo oggi, i
corpi solidi furono studiati artigianalmente e soprattutto impiegati a
fini pratici per le loro proprietà meccaniche, durezza, fragilità, possi­
bilità di controllarne la forma. L'importanza, per i materiali solidi, di
dare forma voluta a oggetti di uso pratico e, in seguito, di modificar­
ne le proprietà meccaniche, fu tale che la preistoria e le prime ere
storiche vennero suddivise, dal danese C. J. Thomsen ( r 836), secon­
do il materiale impiegato nei manufatti, in età della pietra, del bron­
zo, del ferro. A tale classificazione, mantenuta ancor oggi, dovremmo
sovrapporre, per l'importanza che ebbe già in epoca neolitica, un'età
della ceramica.
La conquista del controllo della forma fu lenta e faticosa. Si pensi
che occorse un centinaio di migliaia di anni per passare da una deci­
na di diversi strumenti di pietra scheggiata, nel Paleolitico inferiore
(periodo Chellano) , al centinaio del Paleolitico superiore. Un grande
balzo si ottenne con l'invenzione della ceramica, intorno al VI millen­
nio a.C . ; i manufatti di ceramica infatti possono essere modellati fa­
cilmente lavorando l'impasto di argilla prima della cottura. Le cera­
miche tradizionali però presentano ben noti limiti pratici che solo la
tecnologia contemporanea è riuscita in parte a superare, limiti dovuti
alla fragilità del materiale.
Un secondo grande progresso pratico fu realizzato intorno al IV
millennio a.C., quando l'uomo scoprì che si possono ottenere alcuni
metalli dai minerali naturali, inventò la metallurgia del rame e del
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

bronzo e, in seguito, con difficoltà molto maggiori, del ferro (Ittiti,


xv-xn secolo a.C . ) .
A parte l e proprietà meccaniche, il cui interesse pratico è eviden­
te, ben poche altre proprietà nell'antichità sono state osservate, e per
lo più occasionalmente. Si racconta che Talete di Mileto nel VI secolo
a.C. conoscesse le proprietà magnetiche della calamita naturale e so­
stenesse che essa ha un'anima, poiché attira il ferro; ma solo molto
più tardi, a partire dall'xi secolo d.C., le proprietà dei magneti ven­
nero riprese e sfruttate; risalgono ai cinesi le prime descrizioni dell'u­
so della sbarretta magnetica per orientarsi durante la navigazione,
mentre in Europa la bussola comparve nel secolo successivo. Nel XIII
secolo Petrus Peregrinus de Maricourt, servendosi di una bussola,
descrisse la distribuzione del campo intorno a un minerale magnetico
e chiamò poli i due punti i quali emanano le linee del campo.
Le prime osservazioni sistematiche sulle proprietà dei magneti
permanenti risalgono a William Gilbert (1540-1603) , medico della re­
gina Elisabetta, ma le prime misure significative sulle diverse caratte­
ristiche magnetiche dei solidi (dia-, para-, ferro-magnetismo, cfr. PAR.
3 -7-5) le dobbiamo a Faraday.
Alla fine del secolo, Pierre Curie (1859-1906) mise in evidenza la
diversa dipendenza dalla temperatura del diamagnetismo e del para­
magnetismo e scoprì che le proprietà magnetiche del ferro cambiano
drasticamente ad una certa temperatura, da allora nota come tempe­
ratura di Curie.
L'importanza dei materiali magnetici in generale, non solo dei
magneti permanenti, crebbe solo nel secolo scorso, con le prime ap­
plicazioni dell'elettricità, ma l'interpretazione delle proprietà magneti­
che della materia si ha solo a partire dagli anni Trenta di questo se­
colo.
Ancora a Talete si fanno risalire le prime osservazioni sulle pro­
prietà elettrostatiche di un materiale isolante naturale, l'ambra, e an­
cora Gilbert distingue i corpi che si elettrizzano per strofinio da
quelli che non si elettrizzano. Oggi si sa che la caratteristica degli
isolanti di acquistare e mantenere una carica elettrica statica è molto
generale; i solidi dotati di questa proprietà sono detti elettreti e han­
no diversi impieghi pratici (altoparlanti, filtri elettrostatici) .

Per un lungo periodo, sostanzialmente fino al basso Medio Evo, non


vi furono progressi significativi nello studio - sia pure empirico e ar­
tigianale - delle proprietà fisiche dei solidi. Un passo importante fu
3 · PROPRIETÀ MACROSCOPICHE

compiuto, &a il XII e il XIII secolo, con la fusione completa della


ghisa, una lega di ferro-carbonio; questo processo non era stato com­
pletamente realizzato nell'antichità, perché i forni allora disponibili
non consentivano di raggiungere la temperatura minima di fusione
( 1 . 26o °C) . Le esigenze della siderurgia - ossia della metallurgia delle
leghe del ferro - portarono allo sviluppo di forni ad alta tèmperatura,
di mantici più potenti, di mulini idraulici per azionarli, di grandi in­
vestimenti nelle mani dei banchieri. I risultati tuttavia non furono
brillanti, perché le leghe che si ottenevano erano fragili; si dovette
attendere fino alla fine del XVIII secolo per realizzare, sempre sulla
base di sviluppi empirici, leghe con proprietà meccaniche accettabili,
quindi per entrare in quella che è stata chiamata II età del ferro. Nel­
lo stesso secolo la rnicrostruttura degli acciai incominciò ad essere
capita, grazie allo sviluppo di tecniche di preparazione delle superfici
(pulitura e attacco chimico) per mettere in evidenza i grani cristallini
e la segregazione di precipitati di fasi differenti (cfr. FIG. 3 . 12) : il
·microscopio, che tanti progressi aveva consentito nello studio della
materia biologica, aprì una nuova frontiera n�llo studio della struttu­
ra dei solidi.
Un evento singolarmente importante nella storia della metallurgia
si ebbe nel 1909, con la scoperta quasi casuale dell'indurimento do­
vuto a invecchiamento prolungato alla temperatura ambiente. Presso
il " Centro per gli studi scientifici e tecnici" istituito in Germania dal­
l'industria degli armamenti si stava allora studiando una lega di allu­
minio e magnesio. Ci si rese conto che la durezza della lega cresceva
considerevolmente, col semplice trascorrere del tempo, dopo un trat­
tamento termico. Il materiale che così si otteneva fu chiamato dural­
luminio e il processo così scoperto, detto indurimento per invecchia­
mento, ebbe in seguito molte altre applicazioni. Divenne così eviden­
te che una delle cause dell'indurimento delle leghe solide è la presen­
za di microprecipitati di una fase differente, che si oppongono allo
scorrimento dei piani cristallini, dunque alla deformazione plastica; la
formazione di una nuova fase è dovuta alla limitata solubilità delle
impurezze presenti nell'alluminio.
Un progresso sostanziale nello studio della microstruttura delle le­
ghe metalliche doveva attendere ancora qualche decennio, fino allo
sviluppo della diffrazione dei raggi X (1912-13) e della microscopia
elettronica (1932), che avrebbero aumentato il potere risolutivo di
parecchi ordini di grandezza; solo nel 1937 Guinier e Preston misero
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

FIGURA 3 . 14
Schemi di tre differenti microstrutture di un acciaio che contiene 1' 1 % di C e il
.:;% di Mn

c.

Le aree tratteggiate rappresentano particelle di martensite segregate nella matrice di ferro (area bianca).
La struttura A corrisponde a una lega più facilmente deformabile delle strutture B e C, che si ottengono
con trattamenti termici differenti.

in evidenza, attraverso la diffrazione X, l'esistenza di microprecipitati


in leghe AI-Cu invecchiate, e il loro ruolo sull'indurimento. Queste
osservazioni, insieme a molte altre successive e agli studi sulle pro­
prietà ottiche dei cristalli ionici, aprirono la strada a un capitolo es­
senziale alla comprensione delle proprietà dei solidi reali, il capitolo
delle imperfezioni cristalline e delle proprietà fisiche sensibili alla
struttura. Ritroviamo nella metallurgia moderna un aspetto riposto
del controllo della forma che impegnò a lungo - come abbiamo visto
- gli artigiani della preistoria. Alcune leghe metalliche, tipicamente
gli acciai, devono infatti le loro proprietà meccaniche non solo alla
co-presenza di più fasi, ma al tipo di microstruttura, cioè alle dimen­
sioni e alla forma dei microcristalli di una fase segregata nella matri­
ce; dimensioni e forma sono determinati dal trattamento termico del­
la lega. Nella FIG. 3 . 14 sono dimostrati schematicamente tre tipi di
microstrutture di un acciaio; le zone tratteggiate rappresentano mi­
crocristalli di martensite, una fase tetragonale instabile dura e fragile,

66
3 · PROPRIETÀ MACROSCOPICHE

la zona bianca rappresenta la matrice di ferrite (ferro quasi puro, cu­


bico a corpo centrato) , duttile e relativamente soffice; la lega con la
microstruttura A è più duttile di quelle con microstrutture B e C .
La microstruttura dunque determina le proprietà meccaniche di
molte leghe; essa dipende dalle trasformazioni fra le fasi solide. Le
trasformazioni di fase a loro volta sono determinate non solo dalle
condizioni di equilibrio (come le trasformazioni solido-liquido sono
caratterizzate da una temperatura di transizione) , ma anche da una
cinetica, cioè da una velocità di trasformazione, a sua volta dipenden­
te dalla temperatura e dal contenuto di impurèzze caratteristiche.
L'intersecarsi di questi fattori ha fatto sì che la tecnologia delle leghe
per molto tempo - e in parte ancor oggi - mantenesse le caratteristi­
che di una scienza empirica, più che di una scienza basata su solidi
principi generali.
In questo secolo, grazie anche allo sviluppo della teoria delle di­
slocazioni e all'impiego di nuovi strumenti di analisi strutturale, nel
campo delle leghe sono stati compiuti grandi progressi: leghe che
sopportano grandi sforzi meccanici, leghe amorfe ottenute per raf­
freddamento ultrarapido, leghe superplastiche o superleggere, tratta­
menti delle superfici con intensi impulsi di energia, e così via.
Lo studio di alcune proprietà ottiche dei solidi, sviluppatosi so­
prattutto nel XVII secolo, ebbe grande importanza nello sviluppo del­
la scienza non tanto per la comprensiqne delle proprietà dello stato
solido, ma perché consentì la costruzione di strumenti ottici come il
cannocchiale, il microscopio e il telescopio a riflessione e perché i
solidi furono impiegati per capire la natura della luce attraverso la
dispersione, la polarizzazione ecc. Le proprietà riflettenti dei metalli
e la trasparenza dei vetri erano note fin dall'antichità e sfruttate in
oggetti di uso comune, come specchi metallici, vasi di vetro colorati,
monili e, più tardi, lastre di vetro per finestre. I bellissimi colori delle
grandi finestre delle cattedrali gotiche suscitano ancora ammirazione;
l'arte vetraria, fiorita soprattutto a Venezia in una grande scuola di
abili artigiani, creò, nel xv secolo, veri capolavori.
La base sperimentale sulla quale si sviluppò attraverso i secoli la
tecnica della colorazione del vetro fu la constatazione che colori spe­
cifici si ottengono con piccole aggiunte di metalli o di composti di
metalli ai vari tipi di impasto del vetro comune: gli ioni trivalenti del
ferro danno la colorazione verdastra tipica delle bottiglie, il rame co­
lora di blu i vetri sadico-calcici e invece di verde i borosilicati; il
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

cobalto colora di rosa i borosilicati e di blu i sadico-calcici, e così


via; il fenomeno ha la stessa causa del colore delle gemme naturali: il
colore rosso scuro del rubino è dovuto alla presenza di qualche parte
per mille di cromo in un cristallo di ossido di alluminio (Al20 J Il
colore blu dello zaffiro è dovuto alla presenza di titanio; l'ossido di
alluminio puro è invece trasparente come il vetro. L'interpretazione
del fenomeno richede l'intervento di concetti fisici sviluppati a parti­
re dagli anni Trenta del nostro secolo. Lo stesso si può dire dei feno­
meni di fosforescenza (emissione di luce da un solido isolante prece­
dentemente irraggiato) , noti da molto tempo. Lo studio sperimentale
quantitativo delle proprietà ottiche dei solidi (riflessione, assorbimen­
to, luminescenza) è stato possibile solo a partire dalla metà del secolo
scorso, quando si resero disponibili i primi strumenti in grado di da­
re radiazioni elettromagnetiche di lunghezza _ d'onda nota, progenitori
degli attuali spettrofotometri. Le novità più importanti dal punto di
vista scientifico vennero dalle tecniche di lavorazione degli oggetti di
vetro. Già nell'xr secolo l'arabo Ibn al-Haitham (detto Alhazen) si
era servito di lenti di vetro, ma le operazioni di taglio e lavorazione si
svilupparono a un livello soddisfacente, per opera di abili artigiani,
solo all'inizio del Seicento. Grazie alla proprietà del vetro di rifrange­
re un raggio luminoso fu così possibile costruire quegli strumenti ot­
tici che, con le scoperte di Galileo Galilei (1564-1642), aprirono la
strada alla scienza moderna. Nel xvu secolo molti scienziati impara­
rono a lavorare il vetro; la perfezione delle lenti preparate da Evan­
gelista Torricelli (r6o8-1647) rimase per secoli insuperata; con un
prisma di vetro Isaac Newton (1642-1727) approfondì gli studi sulla
dispersione della luce, già osservata da Cartesio (René Descartes,
1596-1650) . Oggi, grazie alle conquiste della fisica e della chimica e
sotto la pressione delle esigenze dell'industria di disporre di materiali
con caratteristiche particolari, si fabbricano migliaia di qualità di ve­
tro. Fra gli sviluppi recenti più interessanti ricordiamo le fibre ottiche
di grande trasparenza, grazie alle quali la trasmissione di segnali per
via ottica sta soppiantando la trasmissione di segnali elettrici via cavo.
Nell'ultimo secolo le proprietà ottiche dei materiali hanno fornito
uno strumento insostituibile per la comprensione delle proprietà fisi­
che dei solidi.
Le proprietà termiche dei solidi incominciarono ad essere studiate
in modo sistematico all'inizio dell'Ottocento, dopo i primi sviluppi
della calorimetria, anche se è certo che ben prima di allora fosse nota

68
3 · PROPRIETÀ MACROSCOPICHE

la differenza fra buoni conduttori di calore (i metalli) e isolanti termi­


ci. Jean-Baptiste Biot ( 1747-1862) e soprattutto Joseph Fourier ( q68-
183o) studiarono la propagazione del calore per conduzione; Pierre­
Louis Dulong (1785-1838) e Alexis Petit ( 1791-182o) misurarono la
dilatazione dei corpi e i calori specifici, giungendo alla legge che por­
ta il loro nome (1819) e la cui interpretazione, in seguito, costituì
uno dei successi della meccanica statistica classica: gli atomi di tutti i
corpi semplici hanno la stessa capacità termica, ossia il prodotto del
peso atomico per il calore specifico ha lo stesso valore per tutte le
sostanze semplici. La fenomenologia delle proprietà termiche dei soli­
di si arricchì gradualmente grazie all'impiego di strumenti più accura­
ti e soprattutto grazie allo sviluppo delle tecniche per ottenere le bas­
se temperature. Si scoprì allora, ad esempio, che i calori specifici non
seguono le leggi di Dulong e Petit, ma decrescono fino ad annullarsi
a o °K, e che la conducibilità termica cresce marcatamente, tanto che
a temperature basse la conducibilità di alcuni monocristalli " isolanti"
è superiore a quella dei metalli.
Lo studio sistematico delle proprietà elettriche dei solidi si svilup­
pò solo nel XIX secolo dopo che si rese disponibile, grazie all'inven­
zione di Alessandro Volta (1745-1827) , una sorgente continua di elet­
tricità; la distinzione fra isolanti e conduttori (metalli) di elettricità
però era già nota all'inizio del secolo precedente. Henry Cavendish
aveva misurato la conducibilità elettrica dei metalli e la costante die­
lettrica degli isolanti, ma non aveva pubblicato i suoi risultati. La no­
zione di resistenza elettrica di un conduttore fu individuata da Geor­
ge Simon Ohm (1787-1854) e la legge che prende il suo nome sulla
proporzionalità fra tensione applicata e corrente fu formulata nel
1825. Il fatto che la resistenza dipendesse marcatamente dalla com­
posizione del metallo e dal tipo di trattamento a cui è stato sottopo­
sto venne messo in evidenza nel 1865, attraverso le misure fatte su
campioni di rame di diversa provenienza, in preparazione del primo
cavo attraverso l'Atlantico (August Matthiessen), che entrò in funzio­
ne l'anno seguente.
A Faraday si deve invece la prima osservazione accurata di un
fenomeno che avrebbe acquistato un'importanza enorme cent'anni
dopo; intorno al 1833 egli scoprì che la resistenza elettrica di certe
sostanze non metalliche diminuisce al crescere della temperatura; nei
metalli, come è noto, succede l'inverso. Faraday aveva dunque sco­
perto una proprietà fondamentale dei semiconduttori, i materiali alla
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

base dell'elettronica contemporanea. Ai tempi di Faraday, e per molti


anni ancora, le misure si facevano su sostanze naturali, spesso policri­
stalline e contenenti quantità incontrollabili di impurezze di varia na­
tura; solo dopo gli anni Trenta si incominciò a sperimentare su mo­
nocristalli con caratteristiche più controllate e riproducibili.

3·7
Proprietà fisiche dei solidi

3·7·1. Proprietà meccaniche

Tali proprietà riguardano la risposta di un materiale a una forza ad


esso applicata; descrivono dunque il modo in cui un materiale si
comporta quando lo si tira o lo si comprime, lo si piega o lo si torce,
o quando gli si assesta un colpo netto. Dall'esperienza comune sap­
piamo che si hanno risposte di vario genere. Ad esempio, se lasciamo
cadere su un pavimento duro una pallina di gomma o di acciaio, os­
serviamo un rimbalzo: all'impatto la pallina modifica la sua forma,
ma la riprende nel rimbalzo (risposta elastica) ; una pallina di piombo
invece si schiaccia leggermente intorno al punto di impatto, rimane
deformata e non rimbalza (risposta plastica) ; un pezzo di vetro co­
mune cadendo va in frantumi (frattura) . Gli artigiani, e più tardi gli
ingegneri, per potersi servire dei materiali nel modo migliore impara­
rono a descrivere con precisione le proprietà meccaniche di vari tipi
di solido, cioè a misurarle. Nacquero così, suggerite dall'esperienza,
le prime leggi della fisica (o, come si diceva una volta, della filosofia
naturale) per i corpi solidi.
Si deve al fisico inglese Robert Hooke (1635-1702) la prima for­
mulazione precisa della legge dell'elasticità, che in seguito prese il
suo nome; nella pubblicazione De potentia restitutiva, or o/ a spring
( 1679) Hooke scrive: «ut tensio, sic vis», ossia «tale l'allungamento,
tale la forza». In realtà la legge di Hooke è un'approssimazione (det­
ta lineare o armonica) che vale per deformazioni sufficientemente
piccole. Un corpo si dice elastico se, quando la forza applicata si an­
nulla, anche la deformazione si annulla in modo reversibile; la molla
di un orologio da polso dei vecchi tempi può comportarsi elastica­
mente per oltre un miliardo di cicli, un cristallo di quarzo di un oro­
logio elettronico per un numero di cicli ben superiore, praticamente
infinito.
3 · PROPRIETÀ MACROSCOPICHE

Per una sbarretta di lunghezza L e sezione A, sottoposta a una


forza F in trazione o in compressione, la legge di Hooke si scrive:

F L
E
A l

dove l è la variazione di lunghezza e il parametro E, caratteristico di


ogni materiale, è detto modulo di Y oung, o modulo elastico. Esiste
una connessione fra il modulo di Young e la temperatura di fusione;
ciò è dovuto al fatto che un materiale con forti legami atomici richie­
de sforzi notevoli per essere deformato e ha bisogno di alte tempera­
ture affinché l'agitazione termica sia sufficiente a distruggere l'edificio
cristallino, provocando la fusione. Questa correlazione è abbastanza
stretta nel caso dei metalli, meno chiara per altri tipi di materiale,
come i ceramici e i polimeri. Il rapporto F/A si chiama sforzo e il
rapporto LIl deformazione; il modulo di Y oung è dunque il rapporto
fra sforzo e deformazione e si chiama anche rigidità (TAB. 3 . 3 ) .

TABELLA 3 · 3
Valori approssimati del modulo d i Young, i n k g per mm 2

Gomma 0,7
Legno ! . 400
Cemento ! . 700
Osso 2 . 000
Vetro comune 7.000
Piombo 1 . 6oo
Alluminio 7-400
Rame 1 2 . 000
Acciaio 20.000
Tungsteno 40 .000
Diamante 120 .000

Se la forza applicata non è semplicemente una trazione (o una com­


pressione), e quando il materiale non è isotropo, ma un monocristallo
anisotropo, la legge ha una forma un po' più complicata, ma la so­
stanza è la stessa. Se un solido è sottoposto a una pressione idrostati-

7I
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

FIGURA 3 . 15 •

Diagramma sforzo-deformazione

B
l
l
l
l
<5y l
l
o
N l
"'
o l
...
"l l
l
l
l
l
l o·

o D E I'O R H A Z I O N E

OA deformazione elastica; ABR = deformazione plastica; R = sforzo massimo d i trazione; F =


punto di frattura duttile; S = punto di frattura fragile: la curva si interrompe prima che inizi la defor·
=

mazione plastica.

ca P la variazione percentuale di volume ( - � VIV) è proporzionale


alla pressione applicata e il rapporto si dice compressibilità:
- .1 V
v
p
= {3

Anche {3, come E, è un parametro caratteristico di ogni materiale, ed


è positivo, poiché tutti i materiali diminuiscono di volume quando
sono soggetti a un aumento della pressione esterna.
Per descrivere le proprietà elastiche di un monocristallo non ba­
stano pochi parametri, come E e {3, perché la deformazione dipende
dalla direzione in cui lo sforzo è applicato; il numero di parametri
necessari è tanto più alto quanto maggiore è l'anisotropia; le costanti
elastiche indipendenti, ad esempio, sono tre in un cristallo cubico co­
me il cloruro di sodio, cinque in uno esagonale come la grafite, e ben
nove in un cristallo ortorombico, come lo iodio o il gallio. I valori
delle costanti elastiche in genere decrescono al crescere della tempe­
ratura.
Per visualizzare più in generale la relazione fra sforzo e deforma-
3 · PROPRIETÀ MACROSCOPICHE

zione e avere un quadro più ampio delle proprietà meccaniche dei


solidi è necessario estendere l'indagine al di là dei limiti di validità
della deformazione elastica. Consideriamo un diagramma tipico, per
esempio ancora nel caso di sforzi in trazione (tensione uniassiale) ; in
ordinata sono riportati i conseguenti allungamenti (FIG. 3 · 15 ) . La
porzione OA della curva rappresenta la deformazione elastica, rever­
sibile; la pendenza è tanto maggiore quanto più il materiale è rigido.
Se il materiale è duttile, la deformazione elastica procede fino a un
punto Y, detto limite elastico, oltre il quale la pendenza della curva
diminuisce e ha inizio la deformazione plastica, irreversibile: ripor­
tando a zero lo sforzo, (tratto BO', approssimativamente parallelo al
tratto AO) il materiale conserva una certa deformazione; il segmento
00' rappresenta l'allungamento plastico. Lo sforzo ay corrispondente
al punto Y è detto sforzo di snervamento, o sforzo critico. Se il mate­
riale è fragile non si raggiunge il punto Y, ma il materiale si spezza in
un punto 5 nell'intervallo della deformazione elastica e la curva si
interrompe.
Il materiale, dopo aver subito una deformazione plastica, diventa
meno duttile, ossia cresce il valore dello sforzo critico (incrudimento
da lavoro) . È esperienza comune che un filo di ferro, piegato oltre il
limite elastico, si deforma plasticamente, ma ripetendo il processo più
volte la resistenza alla deformazione cresce e si formano nel filo dei
piccoli gomiti rigidi. Il punto R rappresenta lo sforzo massimo di tra­
zione, oltre il quale il materiale cede e subisce la frattura duttile
(punto F) . Riportiamo nella TAB. 3 ·4 i valori della forza massima che
una barra può sopportare prima di spezzarsi, per alcuni materiali di
impiego pratico.
I metalli puri sono più duttili dei metalli contenenti impurezze e
delle leghe. Questo fatto fu scoperto empiricamente nella preistoria,
quando si passò dal rame al bronzo (composto di rame e stagno, o di
rame e arsenico) . Se al rame viene aggiunto lo zinco, la lega di ottone
che così si forma è più dura, ma più fragile; così pure il ferro puro è
molto più duttile dei vari tipi di leghe che si ottengono con aggiunte
di carbonio (ghise, acciai) .
In molti casi le leghe non sono omogenee, ma sono costituite da
una mescolanza di diverse fasi, e la loro microstruttura dipende forte­
mente dal trattamento termico subito, per esempio dalla temperatura
alla quale vengono riscaldate e dalla velocità di raffreddamento. È
questo tipicamente il caso degli acciai (FIG. 3 · 14) . Le proprietà mec-

73
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

TABELLA 3 - 4
Valori medi della resistenza alla trazione, in kg per mm 2

Legno IO
Mattone 0, 5
Calcestruzzo di cemento 0, 5
Osso 14·20
Filo di ragnatela 25
Piombo 1,2
Alluminio 9
Rame 23
Ghisa 7·30
Acciaio comune 3 5 -60
Acciaio ad alta resistenza 200

caniche dipendono marcatamente sia dalle fasi presenti, sia dalla mi­
crostruttura, quindi dai trattamenti termici; si è già ricordato, a que­
sto proposito, il caso del duralluminio.
Sotto la spinta di esigenze pratiche sono state sviluppate, negli
ultimi decenni, molti tipi di leghe metalliche con proprietà meccani­
che avanzate. Ricordiamo ad esempio le superleghe a base di nickel,
con aggiunte di alluminio e di titanio, per le parti rotanti dei motori
a reazione, soggette ad alta velocità, alte temperature e all'azione di
gas corrosivi; le leghe a base di cobalto, resistenti alle alte temperatu­
re, per le camere di combustione dei turboreattori; le leghe a base di
titanio, apprezzabili per la bassa densità, ma inadatte alle temperatu­
re molto elevate; le leghe superplastiche a base di nickel a grani mol­
to fini, che sopportano grandi deformazioni senza rompersi, come il
vecchio stucco usato per chiudere le fessure nelle finestre.
La comprensione di questi fenomeni, dell'incrudimento e della
ricca fenomenologia associata ai trattamenti termici delle leghe metal­
liche, si rese possibile solo a partire dagli anni Trenta, con lo svilup­
po della teoria delle dislocazioni (PAR. 4-4-3)-

3-7-2- Proprietà ottiche

I corpi solidi (e i liquidi) assorbono, riflettono e diffondono la luce


visibile, ossia la radiazione elettromagnetica alla quale l'occhio umano

74
3 · PROPRIETÀ MACROSCOPICHE

è sensibile, la cui lunghezza d'onda è compresa nell'intervallo fra cir­


ca 4.000 angstrom (luce violetta) e circa 7-000 angstrom (luce rossa) .
Fenomeni di assorbimento e di riflessione si hanno anche per ra­
diazioni elettromagnetiche di lunghezza d'onda maggiore, ossia nel
campo infrarosso, delle microonde, delle radioonde, e di lunghezza
d'onda minore, ossia nel campo ultravioletto e dei raggi X. Inoltre un
solido che abbia precedentemente assorbito energia, in genere sotto
forma di radiazione, può restituire una parte dell'energia assorbita
emettendo radiazione elettromagnetica, in un tempo più o meno bre­
ve. Questo fenomeno è detto luminescenza, o più specificamente
fluorescenza quando l'emissione ha luogo in un tempo medio 2 infe­
riore a circa 10-4 secondi, fosforescenza quando il tempo è maggiore.
Le prime misure ragionevolmente accurate della vita media nel pro­
cesso di luminescenza risalgono a E. Bequerel (1820-1891) , che nel
1867 studiò le proprietà ottiche del rubino.
Assorbimento, riflessione, diffusione e luminescenza sono i feno­
meni ottici più studiati e sono importanti perché danno informazioni
quantitative essenziali alla comprensione delle proprietà fisiche dei
solidi.
Consideriamo ad esempio il fenomeno dell'assorbimento, che oggi
viene studiato con strumenti automatizzati e maneggevoli detti spet­
trofotometri. Schematicamente si tratta di misurare il rapporto fra
l'intensità della radiazione incidente su un campione e quella della
radiazione trasmessa, in funzione della lunghezza d'onda. In generale
conviene usare radiazioni monocromatiche, ossia di lunghezza d'onda
(di frequenza) il più possibile definita, e un campione in forma di
lamina con facce piane e parallele, disposte perpendicolarmente al
raggio incidente; un rivelatore di radiazione, posto a valle del cam­
pione, misura l'intensità della radiazione trasmessa e la confronta con
l'intensità della radiazione incidente (FIG. 3 . 16) .
Nell'attraversare uno strato di spessore molto piccolo Dx la dimi­
nuzione DI dell'intensità è proporzionale all'intensità incidente I e al­
lo spessore Dx:

o!( v) = - {t( v) oxl( v)

2. L'intensità della radiazione emessa varia con il tempo t : I(t) = I0 e-'1';


Io è l'intensità iniziale, a partire dall'istante in cui termina l'eccitazione (t = o) ; T
è detto vita media.

75
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

FIGURA 3 . 16
Disposizione sperimentale per misurare il coefficiente di assorbimento

r. ( v) I l v)
t-'----+1- - - - - - - - ---+---.-!

-
x

S = sorgente di radiazione; M = monocromatore, per ottenere un fascio di radiazione monocromatica;


R = rivelatore per misurare l'intensità della luce trasmessa dal campione, di spessore x, in funzione di v
o dd..

passando al limite per bx � o e risolvendo l'equazione si ha, per


l'intensità I( v) trasmessa da uno spessore finito x:

[3.22] I( v) = Io (v) e - ft(v)x

dove I0( V) è l'intensità incidente sul campione (se si trascurano le


perdite dovute alla riflessione da parte della superficie) ; !J(V) , il coef­
ficiente di assorbimento, è un parametro caratteristico della sostanza
esaminata e ha le dimensioni fisiche dell'inverso di una lunghezza. La
[3.22] è nota come legge di Lambert.
Quando !J( v) è uguale a zero si ha trasparenza per la radiazione
di frequenza v ; un materiale è tanto più assorbente quanto maggiore
è il coefficiente di assorbimento. Il varia tra o e circa 106 cm- • . Na-
3 · PROPRIETÀ MACROSCOPICHE

turalmente uno stesso materiale può essere trasparente per certi valo­
ri di v, assorbente per altri.
Il prodotto Jl( v)x è detto densità ottica. Sono facilmente misurabi­
li densità ottiche nell'intervallo 0,01-4; di conseguenza misure di tra­
smissione su materiali fortemente assorbenti possono essere eseguite
solo usando campioni molto sottili (10-4 - 10-6 cm) , in modo da
mantenere il prodotto JlX entro · i limiti indicati. Il diagramma di Jl in
funzione della frequenza rappresenta lo spettro di assorbimento, che
è caratteristico di ogni sostanza; nei solidi non metallici lo spettro di
assorbimento dipende anche dalle imperfezioni del cristallo.
La FIG. 3 · 17 mostra gli spettri di assorbimento di tre tipi di soli­
do: cristalli ionici, semiconduttori, metalli. La variazione del coeffi­
ciente di assorbimento è riportata in funzione della frequenza v; si
usano anche diagrammi di f.l in funzione della lungheZZfl d'onda À., o
del numero d'onda 1/À.. Ricordiamo che frequenza e lunghezza d'on­
da sono legate alla velocità della luce c dalla relazione

À.V = C

Si osserva che gli isolanti sono trasparenti alla luce visibile e assorbo­
no fortemente la radiazione ultravioletta (FIG. 3 · 17a) . È esperienza
comune che solidi isolanti come il diamante, il quarzo, il sale da cuci­
na si presentano come cristalli trasparenti. La zona spettrale dove si
ha la crescita ripida di f.l si chiama spigolo di assorbimento. Nei soli­
di con proprietà elettriche intermedie fra quelle degli isolanti e quelle
dei semiconduttori lo spigolo di assorbimento cade all'interno dello
spettro visibile; di conseguenza il solido assorbe la luce bianca verso
le frequenze maggiori e si presenta colorato alla nostra vista. È que­
sto, ad esempio, il caso del solfuro di cadmio (CdS) , che, quando è
puro, è giallo. Se l'isolante è un cristallo ionico, se cioè, con buona
approssimazione, è costituito da ioni po 'tivi e da ioni negativi, si os­

serva anche un forte assorbimento nell' frarosso. Vedremo più oltre
che il primg tipo di assorbimento è dov to agli elettroni del solido, il
secondo è dovuto alle oscillazioni degli ioni · (PARR. 4.4. 1 e 4·4·2) .
Nei solidi semiconduttori lo spigolo di assorbimento cade nell'in­
frarosso (FIG. 3 . qb), di conseguenza i semiconduttori assorbono la
luce visibile. Per questo i pannelli di celle solari al silicio appaiono
neri.
Un alto coefficiente di assorbimento è associato a un'alta riflettivi­
tà. I metalli assorbono e riflettono su tutto lo spettro, anche nel lon-

77
FIGURA 3 · 1 7
Spettri d i assorbimento tipici d i u n fil m sottile d i cristallo ionico (A) , semicon­
duttore (B) e un metallo (C)

4 3 0.01 q05 0.0!1 O.� ENERwiA


(IN e.V)
D

l i
6 5 4 2
l i
1
l E:NéR61A
')
(IN t. V )
D

c)

10 2 E.NE.R61A
(IN O. V )

In ordinata la densità ottica, proporzionale al coefficiente di assorbimento; in ascissa l'energia dei fotoni
della radiazione. I massimi delle cuiVe corrispondono a valori di Il dell'ordine di 1o'-w6 per centimetro.
3 · PROPRIETÀ MACROSCOPICHE

tano infrarosso, ossia il loro spettro non presenta uno spigolo di as­
sorbimento. La colorazione tipica di alcuni metalli, come l'oro e il
rame, indica un'alta riflettività negli intervalli spettrali corrispondenti
al giallo o al giallo-rosso. Gli isolanti sono fortemente riflettenti nel­
l'ultravioletto, dove l'assorbimento è intenso.
Queste differenze nelle proprietà ottiche fra i vari tipi di solido
suggeriscono che ci deve essere una relazione fra le proprietà elettri­
che e quelle ottiche.
Negli isolanti (e nei semiconduttori alle basse temperature) lo
spettro di assorbimento cambia in modo significativo quando il cam­
pione viene sottoposto a particolari trattamenti, come l'irraggiamento
con radiazioni ionizzanti (raggi X, fasci di elettroni veloci), o quando
al cristallo puro vengono aggiunti specifici elementi estranei (impu­
rezze) , o quando in cristalli composti, come i sali, uno degli elementi
componenti è in leggero eccesso sugli altri. Succede allora che un
cristallo, normalmente trasparente, acquista una colorazione caratteri­
stica (centri di colore) .
I trattamenti fisici o chimici che influiscono sull'assorbimento de­
gli isolanti hanno un'influenza determinante anche sulle proprietà di
luminescenza. Accade spesso che un cristallo puro, illuminato con
una radiazione di frequenza opportuna, presenti una luminescenza
debolissima; impurezze specifiche esaltano invece il fenomeno, che
può venire sfruttato a fini pratici (tubi e schermi fluorescenti) . La
radiazione emessa dipende dalla sostanza in esame e dal tipo di im­
purezza aggiunta. Anche la luminescenza viene studiata quantitativa­
mente misurando lo spettro di emissione, ossia l'intensità della radia­
zione emessa, in funzione della sua frequenza. Uno spettro di emis­
sione dipende in genere anche dalla frequenza della radiazione inci­
dente.
Si sono esaminati finora gli effetti più evidenti e noti dell'intera­
zione dei solidi con la radiazione visibile, o prossima al visibile. Co­
me si è detto, anche le radiazioni di frequenza molto maggiore o
molto minore interagiscono, e dallo studio di queste interazioni si
traggono informazioni preziose sulle proprietà fisiche dei solidi (e
non solo dei solidi) . Le tecniche sviluppate per studiare in laborato­
rio i vari intervalli spettrali differiscono sensibilmente dalle tecniche
ottiche tradizionali, illustrate all'inizio di questo paragrafo. Ad esem­
pio, per studiare l'assorbimento nella zona delle microonde si è svi­
luppata la tecnica della risonanza paramagnetica elettronica (EPR), e

79
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

FIGURA 3 . 1 8
lnterazione della radiazione elettromagnetica con u n solido

L'intensità del fascio riflesso è inferio­

R I FL E SS I O N E
re a quella del fascio incidente nelle
sostanze trasparenti. La frequenza è
l a stessa.

L'intensità del fascio trasmesso è infe­

A�SORI!. I M E NT O
riore a quella del fascio incidente nel-
le sostanze assorbenti. La frequenza è
la stessa. In seguito all'assorbimento
un cristallo isolante diventa debol-
mente conduttore (fotoconduttività).

Le frequenze v' della radiazione


emessa sono in genere inferiori a v.
L'emissione ha luogo in tutte le dire- LU 11 1 N E sc.E N Z.A
zioni, con un tempo medio di ritardo.
Le fasi sono casuali.

Se v è sufficientemente elevato (l'e·


nergia di soglia dipende dal materia­
le) , il campione emette elettroni in E FFETTO v
F OTO ELETTRICO 1' //

� "" u
molte direzioni. La loro energia mas­
sima cresce con v.

La radiazione diffusa, di debole in­


tensità, consiste in una parte di fre­ :o
quenza invariata (diffusione elastica o v
DI FFU !> I O N E
Rayleigh) e in una parte di frequenza
v' = v ± 6; 6 non dipende da v, ma
I N E L A ST I C A �
dalla sostanza studiata (effetto Ra · v·
man) .

In situazioni opportune, l'intensità del


E M I SS I O N E
fascio incidente viene amplificata,
mantenendo la stessa fase. Il fascio ST I M O L ATA
uscente è fortemente collimato (laser
e maser) .

Quando la frequenza cade nella zona


di raggi X, i fasci diffusi elasticamen·
DI FFRAZ. I O N E X
te hanno direzioni ben determinate,
caratteristiche della struttura del cri­
stallo in esame.

8o
3 · PROPRIETÀ MACROSCOPICHE

per la zona delle radioonde la tecnica della risonanza magnetica nu­


cleare (NMR) .
Negli ultimi cinquant'anni lo studio delle proprietà ottiche dei so­
lidi poté svilupparsi fortemente grazie agli sviluppi strumentali nel
campo delle sorgenti e dei rivelatori di radiazione e dell'analisi dei
segnali. L'invenzione del laser, in particolare, ha fornito ai laboratori
di ottica uno strumento di grande importanza e ha consentito, fra
l'altro, grandi progressi nello studio della diffusione della luce. Nella
FIG. 3 . 18, sono schematizzati i più importanti fenomeni che hanno
luogo nell'interazione della radiazione elettromagnetica con la mate­
ria.

3·7·3· Proprietà termiche

Si è già detto del calore specifico (PAR. 2.3) e del calore specifico dei
solidi (PAR. 3.6) . Ricordiamone la definizione; il calore specifico è il
rapporto fra l'incremento infinitesimo di calore e il corrispondente
incremento di temperatura per grammo di materia, o per mole: C =
dQ!dT. Nei solidi il calore specifico a volume costante differisce di
poco da quello a pressione costante. Con lo sviluppo delle tecniche
per raggiungere temperature prossime a o °K fu possibile constatare
che la dipendenza dalla temperatura segue con buona approssimazio­
ne una legge generale, valida per ogni sostanza: in prossimità di o °K
il calore specifico si annulla; al crescere di T inizialmente cresce co­
me 'P; nei metalli, a temperature molto basse, è evidenziabile anche
un piccolo contributo proporzionale a T. Alle alte temperature il ca­
lore specifico atomico segue la legge di Dulong e Petit, ossia tende
asintoticamente al valore 3 R ( -6 calorie per grado) . Il calore specifi­
co si approssima al valore asintotico a temperature relativamente bas­
se nel caso di solidi poco rigidi, come il potassio, mentre nel caso di
solidi molto rigidi, come il diamante, ancora alla temperatura am­
biente ( -300 °K) il calore specifico è sensibilmente inferiore a 3 R.
Nelle sostanze poliatomiche il calore specifico molare Cvm ha lo
stesso comportamento, ma bisogna tener conto di un fattore moltipli­
cativo uguale al numero di atomi che formano la molecola; di conse­
guenza il limite alle alte temperature per NaCl è 6 R, e quello per il
seleniuro di nickel (Ni Se2 ) è 9 R. La generalità è ancora maggiore; è
possibile trovare empiricamente un parametro 8, caratteristico per
ogni sostanza, tale che, se riportiamo in un diagramma C in funzione
T/8, tutte le curve si sovrappongono (FIG. 3 . 19 ) . Il parametro 8 è

81
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

FIGURA 3.19
Calori specifici in funzione di T/8 (in calorie/mole · °K)

O 0.� O. Z O. � IU 0. 5 0. 6 0.1 0.8 0. 9 of . O �- � U � . !> �- 4 H

X alluminio; O
= = rame; D = argento; + = piombo; la curva continua dà il risultato dd modello di
Debye.

noto come temperatura di Debye, dal nome del fisico olandese che
nel 1912 fu in grado di interpretare il fenomeno, dimostrandone la
connessione con le onde elastiche che si propagano in un solido
(PAR. 4.2) .
n calore specifico è legato a un altro fenomeno caratteristico dei
solidi, l'espansione termica. È ben noto che, con pochissime eccezio­
ni, un solido si dilata quando viene riscaldato; le rotaie di una ferro­
via, i blocchi di un viadotto sono separati da un piccolo tratto vuoto
perché è necessario lasciare spazio alla dilatazione nella stagione cal­
da. Il rapporto fra la variazione di temperatura e la variazione di vo­
lume che ne consegue (per volume unitario) definisce il coefficiente
di espansione di volume; il coefficiente di espansione lineare:
I d/
a = - ·
dT
-

l
è un terzo di quello di espansione di volume, e questi coefficienti,
3 · PROPRIETÀ MACROSCOPICHE

TABELLA 3·5
Coefficienti di espansione termica lineare
Metallo a (alla temperatura ambiente)

Mo 5,2 x I0- 6 l oc
Fe 1 1 ,7 x 10- 6 l oc
Cu 17,0 x I0- 6 l oc
Al 24,6 x I0- 6 l oc
Pb 28,8 x 10- 6 l oc
Na 71,0 x 10- 6 l oc

TABELLA 3 6.

Coefficienti di espansione termica lineare di alcune sostanze


Sostanza a (alla temperatura ambiente)

Diamante 1 2 10- 6I°C


x
Vetro __: 3 ·9 x
I0- 61oc
Ghiaccio 51 x ro- 61°C
K Cl roo x ro- 61°C
Teflon 120 x 10- 6I°C
Gomma 10o-5oo x ro- 61°C

molto piccoli alle basse temperature, crescono allontanandosi dallo


zero assoluto. Si è trovato empiricamente che, con buona approssi­
mazione, il coefficiente di espansione termica è direttamente propor­
zionale al calore specifico e inversamente proporzionale al modulo di
compressibilità (relazione di Griineisen) .
La TAB. 3-5 mostra i coefficienti di espansione lineare di alcuni
metalli intorno alla temperatura ambiente; la TAB. 3 . 6 riguarda alcuni
materiali non metallici. Nel caso di sostanze anisotrope a dipende
dalla direzione; nel caso del quarzo, ad esempio, l'espansione nella
direzione z è, diversa da quella in direzione perpendicolare a z. Per
alcune applicazioni, in particolare alla strumentazione scientifica e al­
la metrologia, è opportuno disporre di materiali con bassa espansione
termica; il diamante ha tale proprietà (TAB. 3 .6), ma è raro e ha pic­
cole dimensioni. Una risposta a questa esigenza giunse alla fine del
secolo scorso. Nel 1897 Charles-Edouard Guillaume scopri che una
lega ferro-nickel di composizione prossima a Fe6,Ni3, ha un'espansio­
ne termica molto piccola (un decimo di quella dell'acciaio) e presso-
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

ché costante in un ampio intervallo di temperatura intorno alla tem­


peratura ambiente; nel 1920 per questa scoperta a Guillaume fu con­
ferito il premio Nobel per la fisica. La lega Fe65 Ni3 5 fu chiamata In­
var; in seguito furono create altre leghe con la stessa proprietà, ad
esempio una lega Fe Ni Cr (Elinvar) , una lega Fe Ni Co (Super In­
var) e una lega Fe Co Cr (Inv'ar inossidabile) , che hanno molte im­
portanti applicazioni pratiche. Le leghe tipo Invar hanno anche inte­
ressanti proprietà magnetiche. Molti sforzi furono dedicati all'inter­
pretazione di questo fenomeno e almeno 20 modelli furono proposti,
nessuno dei quali a tutt'oggi interamente soddisfacente.
La dilatazione termica, come l'elasticità, è un fenomeno particola­
re inquadrato, come nel caso dei gas, nell'equazione di stato, ossia
nella relazione che collega pressione, volume e temperatura. Nel caso
di un solido cristallino il problema è complicato dal fatto che si può
esercitare su di esso non solo una pressione idrostatica, ma anche
una pressione in una direzione particolare rispetto agli assi del cri­
stallo. Limitandosi alla pressione idrostatica, anche per un solido l'e­
quazione di stato può essere rappresentata da curve isoterme in un
diagramma P-V, o da isobare in un diagramma T- V ecc.
La compressibilità dei solidi è relativamente piccola, di conse­
guenza per ampliare i dati sperimentali sull'equazione di stato si è
reso necessario studiare il comportamento dei solidi alle alte e altissi­
me pressioni (un milione di atmosfere) . Alcuni solidi modificano pro­
fondamente le loro proprietà fisiche quando sono sottoposti a pres­
sioni molto elevate; lo iodio, ad esempio, che normalmente è un iso­
lante, diventa un metallo al di sopra di 20o.ooo atmosfere. Probabil­
mente anche l'idrogeno solido, che è isolante, diventa conduttore di
elettricità alla pressione di 106 atmosfere. Le tecniche per ottenere
alte pressioni e per studiare le proprietà fisiche di un materiale sotto­
posto ad alta pressione sono molto impegnative. Non è però possibile
trovare un'equazione di stato semplice, come quella dei gas ideali,
valida per un modello idealizzato di solido, dalla quale partire per
introdurre correzioni in grado di descrivere i solidi reali.
I fenomeni termici sopra descritti sono detti fenomeni di equili­
brio, ossia riguardano sistemi in equilibrio termodinamico, nei quali
sono dunque assenti gradienti delle variabili di stato (ad esempio
pressione e temperatura sono le stesse in tutti i punti) e i flussi (di
energia, di materia, di carica elettrica) sono nulli. Il più noto dei fe­
nomeni di non-equilibrio è la conducibilità termica: in presenza di un
3 · PROPRIETÀ MACROSCOPICHE

gradiente di temperatura si ha un flusso di energia termica, ossia di


calore, dalle zone più calde a quella più fredde (n principio della
termodinamica) . Se consideriamo una lamina di spessore infinitesimo
dx e di superficie A, con una differenza di temperatura dT fra le due
superfici che la delimitano, la quantità di calore Q che passa attraver­
so la lamina nell'unità di tempo è proporzionale alla differenza di
temperatura e alla superficie, e inversamente proporzionale allo spes­
sore. In altre parole il fenomeno è governato all'equazione

KA . dT
Q
dx

oppure

dQ KA . dT
dt dx

il coefficiente di proporzionalità K è detto conducibilità termica, è


caratteristico del materiale e dipende dalle variabili di stato P e T e
da altri eventuali parametri fisici e chimici (purezza e perfezione del
campione, campi elettrici e magnetici) . Il segno - è dovuto al fatto
che il flusso di calore avviene dalla zona più calda a quella più fred­
da; K è allora positivo; il flusso di calore si misura di solito in watt
(joule al secondo) o in calorie al secondo; una caloria al secondo è
uguale a 4,186 watt. L'inverso della conducibilità si chiama resistività.
Nel caso di solidi anisotropi (a parte quelli a simmetria cubica) la
relazione scalare [3.25] è insufficiente; il flusso di calore, rappresen­
tato da un vettore ]q, può aver luogo in direzioni diverse dal gradien­
te di temperatura; la conducibilità termica è allora un tensore (del
second'ordine) , ossia è descritta da diversi parametri indipendenti
che danno la relazione fra il flusso in una data direzione e i gradienti
di temperatura rispetto ai tre assi cartesiani (oT/ox, oT/{jy, oT/oz)
(cfr. Schede) .
Le sostanze e i materiali con bassi valori di K si dicono isolanti
termici; i metalli in generale sono buoni conduttori di calore e la loro
conducibilità termica diminuisce con l'aggiunta di elementi estranei;
le leghe sono meno conduttrici dei metalli puri; i sistemi disordinati
(vetri) conducono meno dei sistemi ordinati (cristallini) . K varia di
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

TABELLA 3·7
Conducibilità termica di alcune sostanze e di alcuni materiali (alla temperatura
ambiente)
Sostanza K (watt/cm · °K)

Ag 4,3
Cu 4,0
Al 2,4
Ottone (70% Cu-30% Zn) 1,2
Fe o,8
Acciaio -o,5
Al203 0,2
Vetro -0,007-0,009
Ghiaccio o,oo6
Polietilene 0,0034
Lana di vetro -o,ooo4
Sughero -o,ooo4
Aria 0,00026

un fattore mille da un buon isolante a un buon conduttore; buoni


materiali isolanti per impiego pratico si ottengono in strutture non
omogenee che racchiudono piccole sacche d'aria, poiché i gas sono
ottimi isolanti (TAB. 3 .7) ; il polistirolo espanso è un ottimo isolante; i
doppi vetri sono discreti isolanti grazie all'intercapedine d'aria, nella
quale però si hanno fenomeni di convezione che peggiorano le pre­
stazioni.
Negli elementi e nelle sostanze cristalline pure la conducibilità
termica aumenta al diminuire della temperatura, fino a raggiungere
un massimo oltre il quale, raffreddando ulteriormente, diminuisce; il
calo alle basse temperature è dovuto alla presenza di impurezze e
imperfezioni, mai del tutto eliminabili, che ostacolano il flusso di
energia termica attraverso il solido; a temperature ancora inferiori, in
un cristallo puro, la diminuzione di K è dovuta alle dimensioni stesse
del cristallo. La conducibilità termica dell'allumina (Al2 0 3 ) a 40 °K è
molto più alta di quella dell'argento a temperatura ambiente: 6o con­
tro 4,2 watt per centimetro e per grado; in un certo intervallo di
temperatura la conducibilità del metallo è inferiore a quella del non­
metallo. La variazione di conducibilità in cristalli di cloruro di potas­
sio puri e contenenti differenti concentrazioni di impurezze, per
esempio sotto forma di ioni molecolari, è marcata; la diminuzione

86
3 · PROPRIETÀ MACROSCOPICHE

FIGURA 3 . 20
Conducibilità termica del quarzo cristallino (Si02) , lungo l'asse c (curva superio­
re) e del quarzo amorfo, o vetroso (curva inferiore)

t'\
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l
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..
l
10 _ ,
0,1 10 100
.
TEMPERI\TUR" ( K)

causata dalla presenza di impurezze, alle basse temperature, può su­


perare due ordini di grandezza. La FIG. 3 . 20 mostra la diminuzione
di conducibilità quando si passa da una struttura cristallina, ordinata,
a una struttura amorfa, disordinata: anche il disordine, come le im­
purezze, oppone resistenza al flusso di calore.

3 · 7-4- Proprietà elettriche

Conducibilità

Se ai capi di un filo metallico abbiamo una differenza di potenziale


V, nel filo scorre una corrente elettrica di intensità I, proporzionale a
V e alla sezione A del filo, e inversamente proporzionale alla lun-
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

TABELLA 3 . 8
Resistività elettrica di alcuni metalli puri a 20 °C
Metallo Q (in ohm · cm)

Argento 1,6 . I0- 6


Rame 1,7 . I0- 6
Oro 2,2 · 10- 6
Alluminio 2,7 · 10- 6
Sodio 4,8 · 10- 6
Tungsteno 5,6 . I0- 6
Nichel 6,8 . I0- 6
Ferro 9,8 · 10- 6
Piombo 20 . I0- 6
Mercurio 96 . I0- 6
Lega Nichel-Cromo 100 . I0- 6

ghezza l; il coefficiente di proporzionalità si chiama conducibilità


elettrica:

A
[J.27] I = a - V
l

a è un parametro caratteristico del materiale e dipende dalla tempe­


ratura e da altre condizioni fisiche (pressione, campo magnetico
esterno ecc.). L'inverso della conducibilità è la resistività (!, che si
misura in ohm · cm:

[J .28]

R è la resistenza elettrica del campione in esame. Questa è la ben


nota legge scoperta dal fisico tedesco Ohm. La maggior parte dei
metalli segue la legge di Ohm almeno fino a tensioni di 106 VIcm. La
TAB. 3 . 8 mostra la resistività di alcuni metalli; argento, rame, oro e
alluminio sono buoni conduttori. Per ragioni pratiche i fili e i cavi
impiegati per il trasporto di corrente in generale sono fatti di rame o,
per le linee ad alta tensione, di alluminio; il ferro, che sarebbe conve­
niente per il basso costo e per le proprietà di resistenza meccanica,
presenta una resistività troppo elevata, quindi provoca una dissipazio­
ne termica (effetto Joule) eccessiva. Se ci si limita a considerare i me­
talli, le differenze fra le conducibilità sono contenute entro due ordi-

88
3 · PROPRIETÀ MACROSCOPICHE

ni di grandezza. Nei monocristalli con simmetria diversa da quella


cubica bisogna tener conto della direzione cristallografica in cui è ap­
plicata la differenza di potenziale, di conseguenza il fenomeno non
può essere descritto da un solo valore di a; la grafite, ad esempio,
che cristallizza nel sistema esagonale, lungo l'asse dell'esagono ha una
conducibilità inferiore a quella lungo le direzioni perpendicolari al­
l'asse.
Un metallo buon conduttore di elettricità è in genere anche un
buon conduttore di calore. Wiedemann e Franz nel 1853 trovarono
la relazione empirica e in seguito H. A. Lorentz la precisò e ne diede
una spiegazione teorica elementare. La legge di Wiedemann-Franz,
valida a temperature non troppo basse, è

la costante di proporzionalità L0 , detta numero di Lorentz, non di­


pende dal metallo. Questa legge è interessante perché suggerisce che
nei metalli, su scala atomica, gli stessi enti responsabili della conduci­
bilità elettrica controllano (almeno in buona parte) anche il processo
di conduzione del calore; vedremo in seguito che si tratta degli elet­
troni. Alle basse temperature Lo tende a diminuire.
Intorno alla temperatura ambiente la resistività elettrica dei metal­
li aumenta, al crescere di T, in modo approssimativamente lineare; il
coefficiente è dell'ordine di qualche per mille, ossia (! aumenta di
qualche millesimo (circa 4 per Ag, Cu, Al) quando la temperatura
aumenta di un grado. Particolarmente interessante è la dipendenza di
(! dalla temperatura alle basse temperature. Si può scrivere in genera­
le:

dove (!0 è la resistività residua a T = o K. Abbiamo visto che, per T


lontano da o K, .1(!(D è proporzionale a T; il contributo di (!0 è
trascurabile. Al decrescere della temperatura (! decresce più rapida­
mente; in molti casi significativi approssimativamente come P (FIG.
3-21).
C i s i è limitati finora a considerare l a risposta d i u n metallo al­
l'applicazione di un campo elettrico costante nel tempo. Se si impie­
ga invece un campo che varia periodicamente, la conducibilità in ge­
nerale dipende dalla frequenza v, specialmente alle frequenze delle
microonde o maggiori. Importante è la relazione fra a e l'assorbimen-
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

FIGURA 3 . 2 1
Resistività elettrica di un metallo puro in funzione della temperatura (teoria)

<X T

o T

to della radiazione elettromagnetica, ma qui, per non complicare il


discorso, non la esaminiamo.
Alle basse temperature (!0 dipende dalla purezza e dallo stato di
perfezione del cristallo; una sostanza policristallina ha una resistività
residua più elevata di quella di un monocristallo; la resistività di un
cristallo deformato plasticamente cresce coll'aumento della deforma­
zione (FIG. 3 .22), perché la deformazione plastica riduce l'ordine nel­
la distribuzione degli atomi dell'edificio cristallino. Una concentrazio­
ne di impurezze di una parte per milione accresce (!0 approssimativa­
mente di un centesimo di ohm · cm.
Anche le sostanze e i materiali non metallici in qualche misura
conducono l'elettricità, ma la loro a è piccola o piccolissima. In que­
st'ultimo caso si dicono isolanti (elettrici) . Fra la conducibilità di un
buon conduttore e quella di un buon isolante c'è un rapporto enor­
me, di 26 ordini di grandezza (TAB. 3 .9) . Gli isolanti elettrici hanno
in comune anche due altre proprietà (cfr. PARR. 3 .7.2 e 3 ·7·3) : sono
isolanti termici (a temperature non troppo basse) e sono trasparenti
alla radiazione elettromagnetica in un intervallo più o meno ampio
dello spettro. È stato uno dei grandi successi della fisica contempora-
3 · PROPRIETÀ MACROSCOPICHE

FIGURA 3 .22
Variazione della resistività residua del rame (a 4,2 °K), in funzione dello sforzo
applicato per ottenere la deformazione plastica

2. A

2. 1

2. 0

�.8


-
14

H

l: 1.0
x
o
0. 8
eu
<l 0.6

0. 4

02

o 2 � A � 6 1 8
S FO R Z O T R I. S V E R !>ALE

TABELLA 3 · 9
Resistività elettrica di alcuni isolanti
Sostanza Q (in ohm · cm)

0
1 02
1 0 '7
Politetrafluoretilene
6
I 0 1 - I 0 17
Zolfo

10'4
Ambra

....... 1 0 1 2
Diamante
Vetro comune

91
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

nea l'aver spiegato le differenze fondamentali fra metalli e non-metal­


li.

I semiconduttori La conducibilità elettrica di alcuni tipi di solido


mostra una dipendenza dalla temperatura ben diversa da quella dei
metalli: oltre a essere assai più piccola, essa cresce, anziché diminui­
re, all'aumentare di T, e cresce rapidamente, secondo una legge espo­
nenziale:

a ( D = ao exp ( - c!D

a inoltre dipende fortemente dalla concentrazione di certe impurezze


caratteristiche. Il coefficiente c all'esponente dipende dal tipo di soli­
do e anche, in determinati intervalli di temperatura, dalle impurezze
presenti (FIG. 3 .23) . La [ 3 . 3 1 ] può essere riscritta uguagliando il lo­
garitmo del primo membro al logaritmo del secondo membro, e ri­
cordando che il logaritmo naturale di e 3 è uguale a uno:

lna( D = lna0 - c ( 1/D

Di conseguenza, il diagramma di lna in funzione dell'inverso della


temperatura assoluta è una retta, nell'intervallo di temperatura in cui
non entra in gioco il contributo delle impurezze; questo intervallo è
detto regione intrinseca ed è tanto più ampio, verso le basse tempe­
rature, quanto più il semiconduttore è puro.
Nel caso in cui il cristallo semiconduttore contenga un tipo di
impurezze in grado di modificare le proprietà elettriche, la conduci­
bilita è descritta da una somma di due esponenziali; il coefficiente
dell'esponenziale connesso con il contributo delle impurezze è pro­
porzionale alla concentrazione di impurezze. L'intervallo di tempera­
tura nel quale domina il contributo delle impurezze si chiama " regio-
ne estrinseca" (FIG. 3 .24) .
Si è già detto che le prime osservazioni sulle proprietà elettriche
dei semiconduttori risalgono a Faraday; intorno al 1833, dopo aver
eseguito misure sul solfuro di zinco egli scrisse che «il potere condut­
tore cresce con il calore». Molte altre scoperte furono fatte nei de-

3· Spesso per fini pratici si usano i logaritmi decimali, cioè in base ro. Si
chiamano invece logaritmi naturali quelli in base e, dove e è un numero trascen·
dente definito come il limite a cui tende l'espressione ( r + r/nt, per n che tende
all'infinito; un valore approssimato di e è 2,7172.

92
3 · PROPRIETÀ MACROSCOPICHE

FIGURA 3 . 2 3
Conducibilità del silicio e del germanio puri in funzione dell'inverso della tempe­
ratura assoluta

5i G e.

"'
' O, i

!
1:
:&
o

-<
!::
__,
cii
ij
";)
Q
z
o
\) o, os

cenni seguenti, ma la natura del fenomeno rimase misteriosa per un


centinaio d'anni. Fra le tappe da ricordare vi è la scoperta della foto­
conduttività, ossia l'aumento di conducibilità elettrica di un materiale
isolante o semiconduttore colpito da radiazione elettromagnetica di
frequenza opportuna; il fenomeno fu osservato nel selenio da W.
Smith nel 1 873. In seguito furono sviluppate applicazioni, come gli
esposimetri per la fotografia e le fotocelle per la rivelazione di radia­
zione infrarossa. L'anno seguente F. Braun scoprì il fenomeno della
rettificazione (o raddrizzamento) della corrente: attraverso il contatto
fra una punta metallica (detta baffo di gatto) e un cristallo naturale di
solfuro di piombo (galena) la corrente passa con facilità in una dire­
zione, ma viene bloccata nella direzione opposta. La scoperta di

93
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

FIGURA 3 . 24
Conducibilità di un semiconduttore che contiene impurezze elettricamente attive

RE G I O N E
INTRI N S ECA

'
--
�/ REGI O N E
ESTR I NSECA

?- - -
-
-

- ---

�/T
La cmva tratteggiata corrisponde a un campione che contiene una concentrazione di impurezze più
elevata. Nella regione intrinseca (alle temperature più elevate) la presenza di impurezze non influisce
apprezzabilmente su a.

Braun ebbe in seguito una notevole importanza per le applicazioni


nei primi ricevitori per le telecomunicazioni; telegrafo senza fili, si di­
ceva un tempo, e alcuni sessantenni ancora ricorderanno di essersi
costruiti la radio a galena, nella quale, aggiustando la posizione del
baffo di gatto sulla superficie del cristallo di PbS, si potevano ascol­
tare, con una cuffia, le trasmissioni di un'emittente radio prossima.
Altri tipi di raddrizzatori vennero realizzati con l'ossido di rame e col
selenio.
Il progresso nello studio delle proprietà fisiche dei semiconduttori

94
3 · PROPRIETÀ MACROSCOPICHE

fu lento perché mancava una teoria moderna dei solidi - che si svi­
luppò solo a partire dalla fine degli anni Trenta - e perché gli esperi­
menti erano condotti spesso su cristalli naturali, il cui contenuto di
impurezze non era controllabile. Solo intorno al 1940 si fu in grado
di produrre artificialmente cristalli buoni, anche di solidi esistenti in
natura solo come sostanze composte (come il germanio e il silicio) e
di controllarne il contenuto di imperfezioni. Da allora lo sviluppo
della fisica dei semiconduttori proseguì impetuoso, e ben presto si
giunse alla costruzione di dispositivi, le cui applicazioni hanno rivolu­
zionato tutta la tecnologia contemporanea.
Una forte spinta allo studio dei semiconduttori venne dalle esi­
genze belliche, durante la Seconda guerra mondiale, in connessione
con lo sviluppo del radar, che necessita di rivelatori ad alta frequen­
za. Nell'immediato dopoguerra le scoperte fondamentali e le inter­
pretazioni teoriche vennero dai Laboratori Bell; ricordiamo, nel 1948,
l'invenzione del transistor, destinato in breve tempo a sostituire le
valvole termoioniche.
Riassumendo schematicamente si può dire che le proprietà che
caratterizzano i semiconduttori sono le seguenti:
a) sono sostanze non metalliche, approssimativamente di resistività
nell'intervallo 1o- 3 - w6 ohrn/cm; a temperature sufficientemente
basse sono buoni isolanti;
b) la conducibilità elettrica cresce rapidamente con la temperatura;
c) le proprietà elettriche sono molto sensibili al contenuto di impu­
rezze caratteristiche;
d) sono fotoconduttori;
e) consentono la realizzazione di dispositivi rettificanti e di dispositi­
vi più complessi, con applicazioni nel campo dell'elettronica.

E/letti galvanomagnetici

La resistività dipende anche dalla presenza di campi magnetici ester­


ni; in generale essa cresce all'aumentare del campo magnetico. Il fe­
nomeno è detto magnetoresistenza ed è più marcato nel caso di cam­
pi longitudinali (H parallelo a I) che nel caso di campi trasversali (H
perpendicolare a I) . La magnetoresistenza in generale è piccola; è
molto grande nel bismuto alle basse temperature.
La presenza di un campo magnetico influisce in vario modo sulle
proprietà di trasporto di elettricità (effetti galvanomagnetici) e di ca-

95
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

FIGURA 3 . 25
Schema di appatato per misurare il potenziale di Hall

CA M PO H A .6 N ET I C O

POH. N Z I A L 6:
DI HALL

lore (effetti termomagnetici) . L'effetto più studiato è l'effetto Hall,


scoperto nel 1897 da un giovane fisico americano, Edwin Herbert
Hall (1855-1938) ; esso si rivelò in seguito molto importante per la
comprensione delle proprietà fisiche dei solidi, e in particolare dei
semiconduttori. Lo schema sperimentale è mostrato nella FIG. 3 .25 : il
campione di spessore d (metallo o semiconduttore) è percorso dalla
corrente di densità J e immerso in un campo magnetico uniforme H,
perpendicolare a J; si sviluppa allora una differenza di potenziale nel­
la direzione perpendicolare sia a J che ad H:

L! V = R ]H
d
R si chiama coefficiente di Hall e dipende dalla sostanza, dal conte­
nuto di impurezze, dalla temperatura e dal segno delle cariche elettri­
che in moto nel campione (portatorz) . L'effetto è dovuto al fatto che
il campo magnetico incurva le traiettorie delle particelle cariche il cui
flusso costituisce la corrente elettrica. È noto infatti che su una parti­
cella di carica elettrica e che si muove con velocità v in un campo
magnetico H si esercita una forza (detta di Lorentz) perpendicolare
3 · PROPRIETÀ MACROSCOPICHE

al piano definito da v e da H e di verso che dipende dal segno della


canea e:

-e
FL = - v 1\ H
c

dove c è la velocità della luce e il simbolo 1\ indica il prodotto vetto­


riale. Nella maggior parte dei metalli la corrente elettrica è dovuta al
moto degli elettroni (di carica negativa) , R risulta negativa e si parla
di effetto Hall normale; in alcuni metalli e in semiconduttori oppor­
tunamente drogati (si usa questo temine per indicare l'aggiunta di
impurezze che fanno aumentare la conducibilità elettrica) R ha segno
opposto, come se la corrente fosse dovuta a un flusso di cariche posi­
tive (effetto Hall anomalo) . Queste osservazioni risultavano incom­
prensibili, poiché si sa che nei solidi studiati non esistono portatori
positivi dotati di mobilità. La spiegazione corretta si ottenne con lo
sviluppo della moderna teoria dei solidi, negli anni Trenta. L'effetto
Hall da allora divenne uno strumento essenziale nello studio dei se­
miconduttori (e più in generale delle proprietà elettroniche dei soli­
di) , in quanto consente di determinare la concentrazione e la carica
dei portatori e, se associato a misure di a, anche la loro mobilità 11 ( Il
è la velocità dei portatori, in centimetri al secondo, sotto l'azione di
un campo elettrico di un volt per centimetro) .
L a [3.33] mostra che il coefficiente di Hall varia con continuità al
variare del campo magnetico H e della differenza di potenziale appli­
cata, e questo fatto è confermato da una innumerevole serie di misu­
re nell'arco di cent'anni.
Più recentemente, grazie agli enormi progressi conseguiti nella
tecnologia dei semiconduttori, si rese possibile disporre di campioni
in cui lo spessore nel quale sono confinate le cariche in moto è estre­
mamente piccolo, tanto da poter considerare che il moto dei portato­
ri sotto l'influenza del potenziale e del campo magnetico applicati av­
venga in un piano, anziché in tre dimensioni; si dice in questo caso
che si tratta di un gas bidimensionale di elettroni. In questa nuova
situazione nel 1980 il fisico tedesco K. von Klitzing osservò che a
temperature molto basse e con campi magnetici intensi R varia in
modo discontinuo; più precisamente, 1/R varia per multipli interi
dell'unità fondamentale e2/h, dove e è la carica dell'elettrone e h la
costante di Planck (che fu introdotta nel 1900 per spiegare l'emissio­
me di radiazione di un corpo caldo, e che è alla base di tutte le teo-

97
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

rie della fisica contemporanea) . Il nuovo fenomeno prese il nome di


effetto Hall quantizzato e per questa scoperta cinque anni più tardi a
von Klitzing fu assegnato il premio Nobel. L'interpretazione non pre­
sentò grosse difficoltà, trattandosi di valutare l'effetto di un campo
magnetico intenso sull'energia di portatori vincolati a un piano. Ma
nel 1982 si scoprì che, con campi magnetici particolarmente intensi e
in campioni così perfetti da consentite ai portatori una mobilità altis­
sima, le discontinuità di r/R hanno luogo secondo multipli di frazio­
ni semplici di e21h; l'interpretazione di questo effetto Hall frazionario
presentò difficoltà piuttosto serie.

Conducibilità ionica

È noto che una soluzione salina (elettrolita) è un discreto conduttore


di elettricità. Se vi immergiamo due elettrodi metallici e applichiamo
una differenza di potenziale si ha passaggio di corrente attraverso il
solvente. Gli ioni del saluto dissociati nel solvente giocano un ruolo
analogo a quello degli elettroni nei metalli, con la differenza che sot­
to l'azione del campo elettrico si spostano (in verso opposto) sia gli
ioni negativi che quelli positivi. Nella conducibilità elettrolitica, diver­
samente da quella metallica, insieme al trasporto di carica si ha anche
trasporto di materia, che dà luogo a reazioni chimiche o viene rila­
sciata agli elettrodi. Le leggi che governano il fenomeno dell'elettroli­
si, ossia della separazione degli ioni agli elettrodi in seguito al passag­
gio di corrente nella soluzione, furono date da Faraday, che introdus­
se anche il termine di anodo per l'elettrodo con carica positiva e di
catodo per quello con carica negativa.
Anche in alcuni tipi di solido, buoni isolanti dal punto di vista
del trasporto elettronico, si ha una conducibilità di tipo elettrolitico,
ossia, applicando un campo elettrico, si ha un trasporto di corrente
dovuto al moto di ioni verso gli elettrodi. Si tratta di solidi costituiti
da ioni positivi e negativi, che sono detti per questo cristalli ionici; i
rappresentanti più tipici di questa classe sono gli alogenuri alcalini
(NaCl, il comune sale da cucina, KBr ecc.) e gli alogenuri d'argento
(AgBr ecc.), importanti nel processo fotografico. Questo tipo di con­
ducibilità si chiama conducibilità ionica ed ha caratteristiche diverse
da quella metallica e simile invece, per la dipendenza da T, a quella
dei semiconduttori: a è molto piccola a temperatura ambiente e cre­
sce al crescere della temperatura secondo una legge esponenziale
3 · PROPRIETÀ MACROSCOPICHE

( [3 . 3 1 ] , [3.32] ) ; si noti che a temperatura ambiente a è solo


- 8 -
I 0 1 - I o 4 ohm-1 cm- 1 ; inoltre è sensibile al contenuto di impu­
rezze specifiche e dipende dalla storia del campione, nel senso che in
genere aumenta dopo un riscaldamento seguito da un raffreddamento
rapido (tempra) . Verso la temperatura di fusione a assume valori rile­
vanti e cresce bruscamente nello stato di sale fuso. Anche per la con­
ducibilità ionica sono rispettate le leggi di Faraday, in particolare la
quantità di materia che si deposita a uno degli elettrodi è proporzio­
nale all'intensità della corrente e al tempo, ossia alla carica elettrica
totale fluita tra i due elettrodi. I conduttori ionici non presentano
l'effetto Hall, e anche questo mostra che la natura dei portatori di
carica e il tipo di moto sono diversi rispetto al caso dei metalli.
Le prime misure quantitative del fenomeno risalgono agli anni
Venti, e nei decenni successivi i lavori sulla conducibilità ionica, asso­
ciati a quelli sulla diffusione di materia, fornirono molte informazioni
utili alla comprensione delle proprietà dei solidi reali, in particolare
delle imperfezioni del reticolo cristallino, e alla comprensione dei
meccanismi fisici alla base del processo fotografico.
In tempi più recenti si è scoperto che si possono realizzare solidi
con conducibilità ionica eccezionalmente elevata; per essi fu coniato
il nome di conduttori supen·onici. Si tratta di cristalli ionici nei quali
la distribuzione spaziale degli ioni positivi è disordinata e nei quali
questi ioni, che hanno piccole dimensioni, possono muoversi abba­
stanza liberamente attraverso il volume nel solido, come in un liquido
o in un sale fuso. Ciò accade ad esempio per gli ioni di argento nel­
l'Agi a temperature elevate e in un composto noto come beta-allumi­
na, che ha la composizione prossima a n Al20 3 : 1,3 Na20. Le mole­
cole di allumina (Al2 0 3 ) si dispongono in strati, e fra uno strato e
l'altro c'è spazio per consentire agli ioni di sodio una mobilità eleva­
ta. I conduttori superionici sono interessanti sia dal punto di vista
speculativo che da quello pratico. Quanto al primo, rientrano nella
categoria dei sistemi disordinati o parzialmente disordinati, e la fisica
dello stato solido contemporanea, risolto almeno in linea di principio
il problema dell'interpretazione delle proprietà dei cristalli ordinati, si
cimenta con questo più complesso problema. Dal punto di vista ap­
plicativo i conduttori superionici offrono interessanti prospettive per
la realizzazione di nuovi tipi di accumulatori elettrici, essendo, come
si è detto, affini alle soluzioni elettrolitiche che stanno alla base degli
accumulatori tradizionali.

99
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

3·7·5· Proprietà magnetiche

La più nota ed evidente proprietà magnetica dei solidi è la magnetiz­


zazione spontanea che presentano alcune sostanze, come le leghe del
ferro e altre sostanze non metalliche note come ferriti. L'ago della
bussola, le calamite, le guarnizioni che tengono chiusi i frigoriferi so­
no esempi comuni di magneti permanenti (nell'ultimo esempio polve­
ri magnetiche sono incorporate nella materia plastica) . La magnetiz­
zazione M è defmita come il momento magnetico per unità di volu­
me e, nelle sostanze sopra indicate, ha un valore non nullo anche in
assenza di un campo magnetico esterno. Ma le proprietà magnetiche
della materia sono molto più ricche e per descriverle si introduce un
parametro, la suscettività magnetica, definita come il rapporto fra il
momento magnetico indotto dal campo H, in cui è immerso il cam­
pione, e il campo stesso (per brevità non discutiamo qui la differenza
&a il campo magnetico H e l'induzione magnetica B)

M
x = -
H

H si misura in Oersted o, impropriamente, in Gauss; per avere un


riferimento, si ricordi che il campo magnetico terrestre è circa o,6
Gaus� alle nostre latitudini.
I sistemi fisici vengono suddivisi in tre gruppi, caratterizzati dalla
risposta magnetica a un campo magnetico esterno, ossia dal valore e
dal segno di x; per due di essi, i diamagnetici e i paramagneti, la
magnetizzazione è data effettivamente dalla [3.35], ossia è nulla. per
H = o. Si dicono diamagnetiche le sostanze con x piccolo e negativo,
ossia quelle che vengono debolmente respinte da un campo magneti­
co esterno, perché il momento indotto ha verso opposto ad H. Tutte
le sostanze, in qualunque stato di aggregazione, solido, liquido o gas,
presentano diamagnetismo, che può essere mascherato da effetti ma­
gnetici più rilevanti; x è dell'ordine di 10 -6 - 10 -5 negli stati aggre­
gati, e non dipende né dal campo applicato né dalla temperatura. I
superconduttori (PAR. 3 .7.6) sono un caso particolare: la magnetizza­
zione indotta è tale da schermare completamente il campo esterno,
dunque il campo all'interno del campione è sempre nullo (diamagne­
tismo perfetto) .
Quando X è piccolo e positivo il sistema viene debolmente attrat-

100
3 · PROPRIETÀ MACROSCOPICHE

to dal campo esterno e si dice paramagnetico. x in genere dipende


marcatamente dalla temperatura:

c
X = T (Legge di Curie)

dunque può assumere valori rilevanti a temperature prossime a o K.


Alla temperatura ambiente tuttavia è all'ordine di 10- 4 - Io- 2 ; in
molti metalli X è molto piccolo e quasi indipendente da T (parama­
gnetismo di Pauli) . Sono solidi paramagnetici, ad esempio, alcuni sali
che contengono elementi di transizione (Fe, Co, Ni) o terre rare (Sm,
Eu, Gd ecc. ) . Alle basse temperature la magnetizzazione indotta in
questi sali non cresce indefinitamente al crescere di H, ma tende a un
valore di saturazione, in altre parole X diminuisce a campi molto in­
tensi e la legge di Curie non è più valida.
Il paramagnetismo, come il diamagnetismo, ha scarso interesse
pratico; fa eccezione l'impiego di sali paramagnetici nella tecnica per
raggiungere temperature molto basse, inferiori a 0,3 °K (smagnetizza­
zione adiabatica) .
Il terzo gruppo è particolarmente importante. Comprende le so­
stanze che, al di sotto di una temperatura Te, detta temperatura criti­
ca, o temperatura di Curie, presentano una magnetizzazione sponta­
nea, in genere intensa, cioè un momento magnetico anche in assenza
di un campo esterno. In questa situazione per T < Te la [3 . 35] non
ha un significato preciso, nel senso che non definisce più una costan­
te indipendente dal campo H. X tende all'infinito quando T, decre­
scendo, si approssima a Te; per T < Te la magnetizzazione spontanea
dipende dalla temperatura, e passa dal valore nullo (T = Te) a un
massimo che si raggiunge per T = o K (FIG. 3 . 26) . I magneti perma­
nenti ricordati all'inizio del paragrafo rientrano in questi gruppo, che
comprende i metalli di transizione (Fe, Co, Ni) e loro leghe, e alcuni
altri metalli meno comuni (Gd, Dy, Ho, Er) ; questi materiali sono
detti ferromagnetici.
Rientrano nello stesso gruppo anche materiali ceramici non metal­
lici, come la magnetite (Fe3 04 ) , le cui proprietà magnetiche erano già
state osservate nell'antichità; il loro comportamento macroscopico è
simile a quello dei ferromagneti, le differenze stanno nel diverso ordi­
ne magnetico su scala atomica. Essi sono detti /errimagneti. I piccoli
magneti scuri a forma di disco che si usano per fissare i fogli a una

IOI
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

FIGURA J . 26
Magnetizzazione spontanea di un materiale ferro- o ferri-magnetico, in funzione
della temperatura . M si annulla quando T tende a Te. la temperatura di Curie

lavagna magnetica sono fatti con un tipo di ferrite, materiale ferrima­


gnetico (PAR. 4.3) . Spesso il termine ferromagnetismo compendia sia
le sostanze ferromagnetiche che quelle ferrimagnetiche, perché il loro
comportamento macroscopico è simile.
Esistono infine sostanze, come l'ossido di magnesio (MgO) , che,
al di sotto di una temperatura critica (detta temperatura di Néel) ,
presentano un ordine magnetico spontaneo su scala atomica, ma non
una magnetizzazione permanente su scala macroscopica. Sono detti
anti/erromagneti, e rientrano in questo terzo gruppo perché i mecca­
nismi. fisici fondamentali alla base del loro comportamento sono gli
stessi di quelli che governano le proprietà dei ferromagneti e dei fer­
rimagn�ti. Recentemente si è scoperto che alcune leghe metalliche di­
luite (CuMn, AuFe) e alcuni composti isolanti (EuSrS, CdMnTe)
hanno, per T < T0 un ordine magnetico permanente diverso da
quello ferro o antiferromagnetico; esso è legato su scala atomica a
una distribuzione metastabile parzialmente disordinata della magne­
tizzazione. A causa dell'assenza di un ordine a lungo raggio questo
stato di magnetizzazione è detto vetro di spin (spin è il termine che
indica il momento della quantità di moto intrinseco dell'elettrone,
che può essere immaginato come una piccola trottola) .
Tutti questi tipi di materiali, che presentano un ordine magnetico
spontaneo su scala atomica, al di sopra della temperatura critica si

102
3 · PROPRIETÀ MACROSCOPICHE

FIGURA 3 .27
Dipendenza della suscettività magnetica dalla temperatura nei tre casi tipici

fERRO - E:
P,t. R.A M A c> N E T I !I M O FER. R. I - M AC'> Ii Ei 1 5 M O

x x

e
z
"'
� Sl
,.. , '
� 'j
... ...
' l
z: x
0 0
V \)

o T o Te T ·9 o TN T

X = e/T X = C f ( T · Te ) X = c / (P e)
(PEA. T > Te. ) (PER T ) TN)

Nel caso dell' antiferromagnetismo la curva superiore (per T < T.) corrisponde ad H perpendicolare
all'orientazione degli ,spin, la curva inferiore corrisponde ad H parallelo.

comportano come le sostanze paramagnetiche, seguendo una legge di


Curie modificata (FIG. 3 . 27) :

c
X = T- T c
(Legge di Curie-Weiss, per i ferro e ferrimagneti)

c
X = T- 8
(per gli antiferromagneti)

Il ferromagnetismo ha anche grande importanza per le applicazioni;


ora esamineremo il comportamento macroscopico di questo gruppo
di materiali.
Si è detto dell'esistenza di magnetizzazione spontanea su scala
macroscopica, per T inferiore alla temperatura critica; d'ora in avanti
si considererà solo questa situazione. In realtà le cose sono un po'
più complicate. Un campione di materiale ferromagnetico non pre­
senta una magnetizzazione uniforme, ma il suo volume è suddiviso in
molti elementi, detti domini, all'interno dei quali la magnetizzazione è
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

FIGURA 3.28
Domini ferromagnetici

B)

DIREZIONE
D E l M O M ENTI
M�C:.NETI C I

A) All' interno di ogni dominio la magnetizzazione, indicata dalle frecce,


è uniforme; la magnetizzazione
risultante dal campione è nulla. B) Direzione della magnetizzazione nella parete di Bloch che separa
due domini adiacenti.

uniforme. In un campione che non è stato precedentemente sottopo­


sto a un campo magnetico esterno i domini ferromagnetici sono pic­
coli (o,I-I mm) e l'orientazione della magnetizzazione dei vari domini
è casuale, così che la magnetizzazione complessiva è prossima a zero.
Ogni dominio è separato da quelli adiacenti da uno strato sottile
( - w - 4 mm) nel quale si ha il raccordo fra le direzioni della magne­
tizzazione dei domini adiacenti (FIG. 3.28) . Lo strato di separazione
fra domini adiacenti si chiama parete di Bloch. L'evidenza sperimen­
tale diretta dell'esistenza dei domini si ottenne nel 193 1 , grazie all'u-

104
3 · PROPRIETÀ MACROSCOPICHE

so di polvere magnetica molto fine per individuare le inomogeneità


di H; F. B. Bitter scoprì che una sospensione di polvere fine di
Fe20 3 (10- 4 cm) distribuita su una superficie liscia del materiale ma­
gnetico in esame dà luogo a un addensamento di polvere ai contorni
dei domini, cioè alle linee dove la superficie taglia le pareti di Bloch,
sedi di inomogeneità del campo; le linee di addensamento sono chia­
ramente visibili al microscopio. Più tardi con lo stesso metodo si sco­
prì anche che le pareti di Bloch si spostano se al campione si applica
un campo esterno: aumenta la dimensione dei domini la cui magne­
tizzazione è nella direzione e nel verso di H, a spese degli altri domi­
ni, che rimpiccioliscono; H provoca anche la rotazione di M all'inter­
no dei domini. Applicando campi sufficientemente intensi, il campio­
ne in esame arriva a contenere un solo dominio e la magnetizzazione
macroscopica raggiunge il valore di saturazione (FIG. 3 .29) .
Le proprietà di un materiale magnetico dipendono principalmen­
te da tre fattori: la magnetizzazione all'interno di un dominio, la tem­
peratura di Curie e la risposta dei domini all'azione esercitata da un
campo esterno. Il controllo di questi parametri ha portato allo svilup­
po di un gruppo molto grande di materiali magnetici. L'interpretazio­
ne dell'esistenza della magnetizzazione permanente entro un singolo
dominio e della transizione di fase dallo stato ferromagnetico a quello
paramagnetico, quando T � Te, costituisce uno dei capitoli impor­
tanti della fisica dello stato solido e della meccanica statistica (PARR.
4·3 e 5 . 3 ) .

Movimento dei domini in u n campo magnetico.


Cicli di isteresi

Partiamo da un campione che abbia una magnetizzazione macrosco­


pica nulla (naturalmente per T < Te), nel quale cioè i momenti ma­
gnetici dei vari domini, orientati a caso, diano una risultante nulla.
Applicando un campo esterno di intensità via via crescente si osserva
che la magnetizzazione cresce fino a un valore di saturazione (FIG.
3 .29, curva 1-2-3 ) . Nel primo tratto (1-2) la crescita di M in genere è
dovuta alla crescita dei domini orientati nel verso di H (o almeno
con una componente positiva) , a spese degli altri domini; lo sposta­
mento delle pareti di Bloch ha luogo sotto l'azione della forza eserci­
tata da H e, per bassi campi, è reversibile. Nel secondo tratto (2-3) si
ha la rotazione dei domini, fino a che M è parallelo ad H. Quando
H viene riportato a zero la magnetizzazione macroscopica non si an-

105
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

FIGURA 3 . 2 9
Ciclo di isteresi ferromagnetica

MA6NETI Z2AZIONE
M
3

/ _, ..-
/
l
l
2/
l
l
l
l
l
l
l
/
5 1 /
CAMPO
MAGNET I C O
H

6�
v

6
==>

nulla ma scende a un valore residuo M, perché i domini non tornano


alla distribuzione casuale, ma conservano in parte l' orientazione pre­
ferenziale acquistata in precedenza (3-4) ; questa magnetizzazione resi­
dua è la proprietà caratteristica di un magnete permanente. Per ri­
portare a zero M è necessario invertire il verso di H, fino al valore
-Hc, detto campo coercitivo (3-4) . La FIG. 3 . 29 mostra l'intero ciclo
di magnetizzazione che è detto ciclo di isteresi ferromagnetica. L'area
racchiusa dal ciclo è proporzionale al lavoro fatto dal campo H in un
ciclo, lavoro che per il principio di conservazione dell'energia si con­
verte in calore.

I06
3 · PROPRIETÀ MACROSCOPICHE

Spesso i cicli di isteresi vengono rappresentati in un diagramma la


cui ordinata, anziché la magnetizzazione M, è l'induzione magnetica
B:

B = H + 4 nM = (I + 4Jl"X) H = l-'H

il fattore 4.1r dipende dal sistema di unità di misura, in questo caso il


cgs; Il è la permeabilità magnetica del mezzo in esame.
La cmva di magnetizzaziome I-2-3 descritta è tipica di un mate­
riale policristallino, le cui proprietà macroscopiche sono isotrope a
causa dell'orientazione casuale dei grani da cui è costituito. Se si ha
invece un monocristallo, è necessario considerare l'esistenza dell'ani­
sotropia magnetica: in generale un monocristallo si magnetizza più
facilmente quando H è orientato secondo una data direzione cristal­
lografica. Ad esempio un cristallo di nichel, che cristallizza nel siste­
ma cubico, si magnetizza più facilmente se H è parallelo alla diago­
nale del cubo (indicata col simbolo [ I n ] ) , più difficilmente se H è
parallelo allo spigolo ( [Ioo] ) ; la [ I n ] è detta direzione di facile ma­
gnetizzazione. Nei monocristalli di Fe la direzione di facile magnetiz­
zazione è la [100] . La magnetizzazione spontanea in un dominio è
orientata secondo una delle direzioni di facile magnetizzazione.
La forma di un ciclo d'isteresi varia molto da un materiale all'al­
tro e dipende dalla perfezione e dalla purezza del materiale. Esigenze
tecnologiche diverse hanno spinto alla ricerca di materiali con cicli
d'isteresi appropriati. In un magnete permanente si richiedono alti
valori di M, e di Hc, quindi un ciclo di grande area. Al contrario un
trasformatore richiede alta magnetizzazione di saturazione, quindi al­
ta permeabilità, ma un campo coercitivo piccolo, in modo da avere
piccole perdite durante il ciclo indotto dalla corrente alternata (FIG.
3 .30) . Inoltre è opportuno che anche la conducibilità elettrica sia
bassa, per minimizzare le correnti parassite indotte dalla variazione
del campo elettrico; si valuta che le perdite mondiali annue dovute
all'uso dei trasformatori siano circa 3 · 10 1 0 kWh, dello stesso ordine
·

del consumo annuo di tutte le famiglie italiane. Si chiamano magneti


duri i materiali del primo tipo, dolci quelli del secondo.
La temperatura di Curie varia molto da una sostanza all'altra, da
una lega all'altra: è I6 °C per il gadolinio, 358 °C per il nichel, 770
°C per il ferro, 113I °C per il cobalto. È evidente che nelle applica­
zioni pratiche è necessario impiegare un materiale la cui Te sia sensi­
bilmente superiore alla temperatura ambiente ( - 300 °K ) , per evitare
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

FIGURA J . J O
Ciclo di isteresi per materiali magnetici duri (ciclo ampio) e dolci (ciclo stretto,
ombreggiato)

che un aumento della temperatura porti alla perdita delle proprietà


ferromagnetiche. La temperatura di Curie è un indice dell'intensità
delle forze che, all'interno di un dominio, mantengono allineati i ma­
gneti elementari . che esistono su scala atomica, opponendosi all' azio­
ne disgregatrice dell'agitazione termica; l'individuazione della natura
di tali forze costituì per molti anni una sfida per i fisici, sfida che -
come molte altre - poté essere vinta solo dopo l'awento della mecca­
nica quantistica.

Materiali ferromagnetici

Contengono sempre elementi del gruppo dei metalli di transizione, o


delle terre rare, o degli attinidi. La casistica dei materiali ferromagne­
tici è ampia e si arricchisce di anno in anno; ci limiteremo qui a
esempi significativi.
I metalli puri (Fe, Ni, Co) non sono adatti per le applicazioni,

108
3 · PROPRIETÀ MACROSCOPICHE

perché la conducibilità elettrica è relativamente elevata e perché i do­


mini si riorientano facilmente (Hc piccolo). Si ricorre piuttosto a le­
ghe o a composti di varia natura.
Una lega di ferro-nichel, il Permalloy, ha permeabilità elevata ed
è impiegata nei trasformatori e, nel passato, per immagazzinare l'in­
formazione (memorie) nei dischi per gli elaboratori elettronici. Nelle
applicazioni elettriche (motori, generatori) si impiega una lega di fer­
ro con qualche percento di silicio, opportunamente trattata; essa si
magnetizza facilmente, ha un basso campo coercitivo, quindi un ciclo
d'isteresi piccolo, quindi piccole perdite per riscaldamento; inoltre ha
una conducibilità elettrica bassa, e anche questo fatto, lavorando in
· corrente alternata, riduce le perdite dovute alle correnti parassite in­
dotte; per ridurre ulteriormente tali correnti il Fe-Si si impiega sotto
forma di strati laminati, isolati elettricamente l'uno dall'altro. La per­
meabilità magnetica del ferro dolce (Fe puro) è dell'ordine di 10 3 ;
nel Fe-Si si ottengono valori di 1,5 · 104 e nel Permalloy di 105 • Più
recentemente per le applicazioni elettriche si è introdotto l'uso dei
vetri metallici, prodotti in strati molto sottili (PAR. 3 .8) ; vetri di leghe
di ferro-boro o ferro-nichel-boro sono buoni magneti dolci con alta
permeabilità. I nastri magnetici per applicazioni audio, video e floppy
disk sono fatti con polveri fini di ferrite come Fe2 0 3 incorporate in
uno strato polimerico; le particelle di ferrite contengono un solo do­
minio che ruota facilmente in risposta al campo magnetico. Una den­
sità di informazione ancora maggiore si ottiene con un film di leghe
cobalto-cromo.
Per molti anni la lega metallica dominante nei magneti permanen­
ti è stato l'Alnico (Al-Co-Ni) ; in seguito hanno acquistato importanza
le leghe del cobalto con le terre rare, la più tipica delle quali è il
Co5 Sm; nell'ultimo decennio è stata realizzata una nuova lega Nd-Fe­
B con proprietà ancora migliori. Nel campo dei magneti ceramici do­
minano le ferriti di bario, a struttura piuttosto complessa (Ferrox
dur) .
La fisica e la tecnologia dei materiali magnetici costituiscono tut­
t' oggi capitoli in pieno sviluppo, anche se i principi fisici alla base
del magnetismo sono ben assodati e i mezzi d'indagine della struttura
microscopica (diffusione elastica e inelastica di neutroni polarizzati e
non, effetto Mossbauer, effetto fotoelettrico, risonanza magnetica nu­
cleare ecc.) hanno fornito e forniscono conferme e indicazioni prezio­
se.
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

Magnetostrizione

La magnetizzazione è accompagnata da una variazione delle dimen­


sioni e della forma del campione. Il nichel, ad esempio, sottoposto a
un campo di qualche centinaio di Oersted, si contrae di circa lo
o,oo4 per cento; altri materiali presentano una magnetostrizione più
modesta, o anche di segno opposto (Co) . Esiste anche il fenomeno
inverso, detto magnetoelastico: trazione e compressione modificano la
magnetizzazione. A causa della magnetostrizione la dilatazione termi­
ca dei ferromagneti è diversa da quella degli altri solidi; al contributo
della magnetostrizione si deve la bassa dilatazione termica dell'Invar,
di cui si è parlato nel PAR . 3 -7-3 ·

3 -7-6. Superconduttività

Si è visto che la resistenza elettrica di un metallo diminuisce al dimi­


nuire della temperatura e che, verso o °K, tende a un valore limite
tanto più piccolo quanto più il metallo è puro. Intorno al r9ro Ka­
merlingh Onnes nel suo laboratorio di Leida studiava appunto la re­
sistenza residua dei metalli alle basse temperature e la sua dipenden­
za dalle impurezze. Poteva scendere a temperature di pochi gradi
Kelvin perché qualche anno prima era riuscito a liquefare l'elio (4,2
°K) . Studiando la resistività del mercurio, il metallo più puro di cui
disponeva, scoprì (r9r r ) che per T = 4, 15 °K la resistività si annulla­
va bruscamente; due anni dopo, per la scoperta della supercondutti­
vità, a Kamerlingh Onnes fu assegnato il premio Nobel e in seguito il
laboratorio di Leida prese il suo nome.
Kamerlingh Onnes dimostrò poi che se si induce la corrente in
un anello superconduttore (e si mantiene T inferiore a una tempera­
tura critica Te) la corrente continua a circolare con la stessa intensità
in assenza di campo elettrico ancora dopo un anno; in un metallo
normale invece la corrente diminuisce appena si toglie il campo elet­
trico e si annulla rapidamente. È opportuno insistere sul fatto che la
transizione dallo stato normale allo stato superconduttore avviene
bruscamente a una temperatura Te definita rigorosamente; si tratta
dunque di una transizione di fase, come le transizioni magnetiche
(paramagnetismo-ferromagnetismo) e le transizioni di struttura nei
solidi cristallini.
Gradualmente si scoprì che una ventina di altri metalli hanno la

IIO
3 · PROPRIETÀ MACROSCOPICHE

stessa proprietà di subire una brusca transizione allo stato di super­


conduttore a una. temperatura critica Tn sempre dell'ordine di alcuni
gradi Kelvin (7 oK per il piombo, 18 oK per il niobio) e si studiarono
le proprietà di molte leghe, alla ricerca dei materiali con temperatura
critica elevata; i risultati non furono confortanti, si riuscì solo a rag­
giungere, nel 1970, la temperatura critica di 23,2 °K, nel composto
Nb 3 Ge. Si trovò anche che alcuni materiali organici diventano super­
conduttori, ma con Te molto bassa.
La situazione fu rivoluzionata nel 1986 dalla scoperta di Georg
Bednorz e Alex Miiller (ai quali l'anno seguente fu assegnato il pre­
mio Nobel) che un ossido complesso di lantanio, bario e rame è su­
perconduttore al di sotto di 35 °K. In seguito furono trovati altri os­
sidi complessi dello stesso tipo con Te ancora maggiore; il limite fino­
ra raggiunto è Te = 120 °K. I materiali di questa nuova classe sono
noti come superconduttori ad alta temperatura critica. Le ricerche di
materiali con alta Te sono motivate anche dalle importanti prospettive
di applicazioni che essi offrono; in pochi anni sulla superconduttività
di questi nuovi materiali sono stati pubblicati quasi 3o.ooo articoli
scientifici.
Una recente scoperta che sembra promettente è che una struttura
recentemente realizzata del carbonio, il fullerene, diventa supercondut­
trice, con Te fino a 40 °K, se si introducono impurezze di metalli alcalini
(K, Rh, Cs) . Il fullerene è una molecola quasi sferica che contiene 6o
atomi di carbonio; esso è stato scoperto solo nel 1985 ; la struttura è
simile a quella di un pallone da football, con gli atomi di carbonio ai
vertici delle tessere esagonali e pentagonali che ne compongono la
superficie, e il diametro è 7 A . Fino ad allora si pensava che il carbonio
solido esistesse in due forme cristalline, diamante (struttura manometri­
ca) e grafite (struttura esagonale) , o come un solido amorfo ; il solido
fatto di molecole di fullerene si chiama fullerite. Il nome viene da quello
dell'architetto Fuller, che progettò cupole con simmetria icosaedrica,
come appunto quella del C60 . Oggi si è in grado di produrre anche
molecole di fullereni diverse dal C60 (C70 ecc.) .
L a teoria microscopica della superconduttività fu formulata solo
nel 1957 da John Bardeen (lo stesso che sette anni prima aveva in­
ventato il transistor) , Leon Cooper e Robert Schriffer, ed è nota co­
me teoria BCS ; ai tre fisici americani nel 1972 fu assegnato il premio
Nobel. L'annullarsi della resistività per T < Te è l'aspetto più noto
della superconduttività; il fenomeno è accompagnato da altri effetti,

III
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

di importanza essenziale, sia dal punto di vista conoscttlvo che da


quello pratico. Vediamo i più semplici e significativi.

Impurezze magnetiche e campo magnetico

La presenza di impurezze paramagnetiche altera le proprietà di un


superconduttore, abbass·ando drasticamente la temperatura critica; ad
esempio il lantanio quando è puro è superconduttore fino a 5,6 °K,
ma se contiene 1' 1 % di gadolinio (un'altra terra rara, paramagnetica)
Te si abbassa fino a o,6 °K. In generale le impurezze magnetiche di­
struggono la superconduttività.

Anche un campo magnetico sufficientemente forte sopprime la super­


conduttività. Il valore di soglia si chiama campo critico e dipende
dalla temperatura, oltreché, naturalmente, dal materiale; HJT) è mas­
simo in prossimità di o °K e decresce con la temperatura, fino ad
annullarsi: HJTJ = o. In molti superconduttori Hc è solo di alcune
decine di Gauss, nel piombo è circa 8oo Gauss. In altri materiali,
detti superconduttori del secondo tipo, la situazione è più complessa
e verrà descritta più avanti.

L'esistenza del campo critico comporta una seria limitazione sull'e­


ventuale impiego pratico di cavi superconduttori, in quanto limita il
valore della corrente che in essi può fluire senza dissipazione per ri­
scaldamento; ricordiamo infatti che una corrente che passa in un
conduttore normale dissipa per effetto Joule una potenza proporzio­
nale alla resistenza elettrica del conduttore. È noto che una corrente
elettrica genera un campo magnetico, e se la corrente è tanto intensa
da generare un campo che supera Hc, il cavo superconduttore passa
allo stato normale. Questo fatto è stato osservato da Kamerlingh On­
nes già nel 1913 . I superconduttori sono anche usati, in forma di
solenoide, per generare campi magnetici statici di grande intensità; il
limite raggiungibile è condizionato dal valore massimo della corrente
che può fluire senza distruggere lo stato superconduttore, dunque dal
valore del campo critico.

Effetto Meissner

Nel 1933 W. Meissner e R. Ochsenfeld osservarono che quando un


superconduttore viene raffreddato in presenza di un campo magneti-

II2
3 · PROPRIETÀ MACROSCOPICHE

co H (<He) , al di sotto di Te il campo magnetico viene espulso dal


suo interno; il superconduttore si comporta cioè come un diamagnete
perfetto:

M I
x =- = (B = o)
H

Questo fenomeno è detto effetto Meissner ed è una caratteristica es­


senziale dello stato superconduttore. Se il campo magnetico è appli­
cato quando il campione già si trova nello stato superconduttore ( T
< Te) , il flusso di induzione magnetica all'interno è nullo. L'assenza
di resistività e il diamagnetismo perfetto sono proprietà solo in parte
correlate; con un modello molto semplice, possiamo immaginare che
è necessaria una corrente elettrica persistente per mantenere l'esclu­
sione del flusso magnetico quando si applica un campo esterno, di
conseguenza ci deve essere una nuova relazione fra il campo magneti­
co e la corrente superconduttrice; ciò non spiega però l'espulsione di
B che si osserva quando il campione viene raffreddato in presenza di
H. Si trova che B penetra in uno strato sottile della superficie del
superconduttore, generando la corrente che lo scherma, e si definisce
una profondità di penetrazione À.; un valore tipico di À. è 500 A . Un
superconduttore che si comporta come descritto nella [3 .40] è detto
del primo tipo: la magnetizzazione indotta da H scherma completa­
mente il campo esterno, dunque cresce linearmente con H, fino ad
He, ed ha verso opposto; per H > He cade praticamente a zero. In
altri materiali (superconduttori del secondo tipo) la dipendenza di M
da H è più complessa.
Questo effetto si dimostra facilmente con un esperimento sugge­
stivo e semplice, purché si disponga della possibilità di scendere a T
< Te, cosa relativamente facile oggi, con i nuovi superconduttori. Se
appoggiamo un campione superconduttore sulla superficie di un ma­
gnete permanente e abbassiamo la temperatura, osserviamo che per T
< Te il campione si solleva, a causa della magnetizzazione in esso
indotta per effetto del campo generato dal magnete; si raggiunge la
posizione di equilibrio quando la repulsione magnetica bilancia il pe­
so del campione; naturalmente il ruolo del superconduttore e quello
del magnete possono essere scambiati. Questo effetto, detto levitazio­
ne magnetica, può trovare applicazioni pratiche.

113
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

Effetto isotopico

Nel 1950 fu osservato un fenomeno meno drammatico dei preceden­


ti, ma significativo per la comprensione del meccanismo responsabile
della superconduttività: la dipendenza della temperatura critica dalla
massa dell'isotopo dell'elemento superconduttore. È noto che ogni
elemento chimico è caratterizzato dalla carica elettrica del nucleo ato­
mico; nuclei con la stessa carica possono però differire per la massa,
si hanno cioè, per ogni elemento, vari isotopi. Ad esempio il nucleo
di deuterio (idrogeno pesante) ha massa circa doppia di quella dell'i­
drogeno normale; il nucleo dell'uranio 238 ha massa di quasi un cen­
tesimo superiore a quella dell'uranio 235 (quello usato nelle reazioni
a catena dei reattori e delle bombe nucleari) . Le proprietà chimiche
di due isotopi sono le stesse, mentre alcune proprietà fisiche sono
leggermente influenzate dalla differenza di massa, ad esempio la fre­
quenza di oscillazione degli atomi nelle molecole e nei cristalli: un
isotopo pesante in un cristallo oscilla con frequenze un po' inferiori a
quelle di un isotopo leggero. Nei superconduttori la temperatura cri­
tica diminuisce al crescere della massa dell'isotopo; in molti casi si
trova

Nel caso del mercurio, ad esempio, passando dall'isotopo leggero a


quello pesante si osserva che Te scende da 4,19 a 4,15 °K. Questa
piccola differenza suggerisce che le vibrazioni degli atomi del cristallo
giocano un ruolo importante nella superconduttività, anche se non
possono essere direttamente responsabili della corrente elettrica, do­
vuta invece al moto degli elettroni. Nei metalli che sono buoni con­
duttori di elettricità l'interazione fra gli elettroni di conduzione e le
vibrazioni atomiche è debole; ciò spiega qualitativamente perché i
buoni conduttori, come il rame e l'argento, non diventano supercon­
duttori, neanche a temperature prossime a o °K; al contrario, diven­
tano superconduttori metalli come il mercurio, il piombo, il niobio, o
leghe come Nb 3 Sn, Nb 3 Ge, che nello stato normale hanno resistività
relativamente elevata.

Effetto ]osephson

Quando due elettrodi metallici sono separati da uno strato vuoto o


da un isolante si ha un normale condensatore, le cui proprietà elettri-
3 · PROPRIETÀ MACROSCOPICHE

che sono descritte dall'elettromagnetismo classico; nel caso più sem­


plice, si ha la nota relazione che lega la differenza di potenziale V fra
le armature del condensatore alla carica elettrica Q sulle stesse:
Q/V = C, dove C è la capacità. Se la distanza fra gli elettrodi è del­
l' ordine di un centinaio di angstrom, o inferiore, si ha un effetto non
classico (quantistico) chiamato effetto tunnel: lo strato isolante è at­
traversato da una corrente elettrica la cui intensità cresce molto rapi­
damente al decrescere di V e al diminuire dello spessore dello strato.
La spettroscopia ad effetto tunnel, che consente di esplorare la strut­
tura di una superficie ad altissima risoluzione spaziale, impiegando
una sottile punta metallica portata a piccola distanza dall'oggetto esa­
minato, è basata su questo effetto. Questa nuova microscopia è stata
messa a punto negli ultimi anni.
Nel r962 Brian D. Josephson, un giovane fisico di Cambridge,
sulla base della teoria BCS predisse che, se invece di due elettrodi di
metallo nello stato normale, si hanno due elettrodi nello stato super­
conduttore, si deve avere passaggio di corrente per effetto tunnel an­
che nel caso in cui la differenza di potenziale sia nulla. La previsione
fu confermata l'anno successivo e a Josephson fu conferito il premio
Nobel. Si trovò anche che applicando piccole differenze di potenziale
la corrente oscilla con una frequenza rigorosamente proporzionale a
V (484 · ro9 Hertz per millivolt) ; questo effetto consente di costruire
dispositivi in grado di misurare differenze di potenziale o correnti
con precisioni molto elevate; per le correnti alternate si raggiunge la
sensibilità di ro -r4 ampere.
Oggi l'effetto Josephson è impiegato in rivelatori molto sensibili
di campo magnetico detti SQUID (variazioni fino a ro- ro Gauss) , in
circuiti elettronici veloci e in altri dispositivi. La sensibilità è suffi­
ciente a misurare le variazioni di campo magnetico associate all'attivi­
tà del cuore e del cervello (magnetocardiografia e magnetoencefalo­
grafia, FIG. 3 · 3 1 ) .

I superconduttori del secondo tipo

I superconduttori di cui si sono esaminate le proprietà in questo pa­


ragrafo sono caratterizzati dal diamagnetismo perfetto e dalla linearità
fra la magnetizzazione e campo magnetico applicato [3 -40] . Sono
detti del primo tipo, o anche molli, perché il loro campo critico Hc è
piccolo; anche la temperatura critica è piuttosto bassa.
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

FIGURA 3 . 3 1
Valori tipici d i campo magnetico

RUMORE CAMPO
MAGNET I C O TE RII.E�TRE
HEG MCG U II.B.'It-.10 MED I O

MEG: magnetoencefalografia; MCG: magnetocardiografia.

Esistono altri materiali, in genere metalli di transizione o leghe con


alta resistività elettrica nello stato normale, che diventano supercon­
duttori a bassa temperatura, e sono caratterizzati da una curva di ma­
gnetizzazione più complessa (FIG. 3.32). La linearità fra M e H si
interrompe a un primo valore di H (Hc1 ) ; per H crescente la magne­
tizzazione M diminuisce, fino ad annullarsi per H = HC2 ; per H >
Hc2 il materiale ritorna allo stato normale; HC2 è detto campo critico
superiore, e in alcuni materiali raggiunge valori molto elevati. I su­
perconduttori che presentano queste proprietà sono detti del secondo
tipo, o duri. Un tipico superconduttore duro è la lega Nb 3 Sn; anche i
materiali ad alta temperatura critica, scoperti nel 1986, appartengono
a questa classe.
Un superconduttore del secondo tipo sopporta correnti intense
senza passare allo stato normale, dunque consente di realizzare elet­
tromagneti che generano campi statici molto intensi (superiori a
2oo.ooo gauss, ossia 20 tesla) e hanno promettenti applicazioni negli
alternatori per l'industria elettrica.
Nei superconduttori duri, per Hcx < H < HC2 (stato misto) B
penetra parzialmente nel campione, che di conseguenza non si com­
porta più come un diamagnete perfetto; solo per H 2: HC2 il campo
penetra completamente e il campione ritorna allo stato normale. L'e­
sistenza di zone in cui penetra il campo magnetico, nello stato misto,
può essere messa in evidenza direttamente con tecniche di decorazio­
ne magnetica, analoghe a quelle impiegate per individuare le pareti di
Bloch nei ferromagneti.

n6
3 · PROPRIETÀ MACROSCOPICHE

FIGURA 3 . 3 2
Magnetizzazione di un superconduttore del secondo tipo

· 4 "!T M i
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l NORMALE

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3-7-7· Ferroelettricità

Un isolante posto in un campo elettrico statico si polarizza, ossia si


formano al suo interno dipoli il cui momento elettrico per unità di
volume definisce la polarizzazione P. Il rapporto fra il campo appli­
cato E e P normalmente (per campi non troppo elevati) è costante e
si chiama suscettività dielettrica (X) ; nel caso di un sistema isotropo o
ad alta simmetria x non dipende dalla direzione di E ; essa è collegata
alla costante dielettrica E dell'isolante da una relazione semplice:

X= E - I

Nei cristalli le relazioni possono essere più complicate, perché biso­


gna tener conto della direzione in cui E è applicato; in altre parole X
ed E sono tensori (del secondo ordine) anziché scalari. In ogni caso,
in assenza di campo, la polarizzazione è nulla.
In molti isolanti crìstallini E ha anche l'effetto di indurre una de­
formazione (elettrostrizione) ; inversamente, deformando elasticamen­
te il cristallo si induce una polarizzazione che è proporzionale alla
forza applicata, quindi alla deformazione. I cristalli che hanno questa
proprietà si chiamano piezoelettrici e hanno varie applicazioni, dagli
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

oscillatori elettronici degli orologi, ai pick-up, ai microfoni, agli ac­


cendini per il gas domestico. Il quarzo (Si02 ) è il cristallo pieioelet­
trico più noto, ma anche molti polimeri sono piezoelettrici. Uno dei
composti più efficaci è una lega di piombo, zirconio e titanio (PZT) ;
sottoposto alla pressione che si può ottenere con una martellata si
polarizza tanto da sviluppare una differenza di potenziale di 1 . 500
volt. La piezoelettricità fu scoperta dai Curie nel 188o.
Esistono anche solidi nei quali, al di sotto di una temperatura T0
detta ancora una volta temperatura critica di Curie, la polarizzazione
è diversa da zero anche in assenza di un campo esterno. Sono i cri­
stalli ferroelettrici.
La ferroelettricità ha alcuni aspetti in comune col ferromagneti­
smo:
a) per T < Te esistono i domini, ossia zone del cristallo caratterizza­
te da una polarizzazione spontanea omogenea; la zona di separazione
fra domini adiacenti, che in molti casi hanno polarizzazioni parallele
ma di verso opposto, è detta parete, e in genere ha uno spessore
molto piccolo (alcuni À) ;
b) la dipendenza della polarizzazione da E è descritta da un ciclo di
isteresi, caratterizzato da una polarizzazione di saturazione, da una
polarizzazione residua P, = P(E=o) e da un campo coercitivo Ee
[P(E = -Ee) = o] ; l'aumento della polarizzazione macroscopica al
crescere del campo elettrico è dovuto alla crescita dei domini orienta­
ti favorevolmente rispetto ad E , a spese degli altri, fino a che, per P
= Pn il cristallo contiene un solo dominio;
c) la ferroelettricità scompare bruscamente al di sopra di una tempe­
ratura Te rigorosamente definita; per T > Te il cristallo è paraelettri­
co, cioè ha una polarizzazione direttamente proporzionale a E e in­
versamente a T.
La polarizzazione spontanea di un dominio è elevata e in molti
ferroelettrici ha valori tali che in un isolante non ferroelettrico richie­
8
derebbero campi di 107 - 10 volt/cm per essere raggiunti. L'esisten­
za dei domini ferroelettrici può essere messa in evidenza con luce
polarizzata (come ad esempio quella che si ottiene con una lamina di
polaroid) , perché attraversando un dominio cambia l'orientazione del
piano di polarizzazione della luce.
La ferroelettricità fu scoperta nel 1920 in un composto comples­
so, il sale di Rochelle; esso ha, oltre alla normale temperatura di Cu­
rie a 24 °C, anche una temperatura di Curie inferiore ( - 18 °C) al di

118
3 · PROPRIETÀ MACROSCOPICHE

sotto della quale il sale torna ad essere paraelettrico. Oggi si conosco­


no alcune centinaia di materiali ferroelettrici. Un ferroelettrico molto
noto è il titanato di bario (BaTi0 3 ) , la cui temperatura di Curie è
120 °C; la sua polarizzazione spontanea, misurata dalla carica elettri­
ca per unità di superficie, è alta (26 micro coulomb per cm 2 ) . A T =
Te cambia anche la struttura del cristallo; al di sotto di Te la struttura
stabile ha una simmetria inferiore (tetragonale anziché cubica) .
I cristalli ferroelettrici sono an �he piezoelettrici. L'alto valore del­
la loro costante dielettrica li rende adatti per impieghi nei capacitori,
per condensatori ad alta capacità, e nei trasduttori, per convertire un
segnale meccanico in un segnale elettrico, e viceversa.
Molti ferroelettrici sono anche piroelettrici, cioè si elettrizzano per
riscaldamento o per raffreddamento; l'effetto è una conseguenza se­
condaria della ferroelettricità, perché è dovuto alla variazione della
polarizzazione dei domini al variare della temperatura e al desorbi­
mento degli ioni che neutralizzano le cariche di superficie del cam­
pione, per effetto del riscaldamento. La piroelettricità è stata osserva­
ta già nel XVII secolo in cristalli naturali di tormalina.

J .8
I solidi amorfi

Per la maggior parte dei materiali la transizione dallo stato liquido


allo stato solido (e viceversa) ha luogo a una temperatura ben defini­
ta, la temperatura di fusione Tm (m da melting che vuol dire appunto
fusione) . Il solido che così si forma ha struttura cristallina, cioè è
caratterizzato da una distribuzione regolare di atomi nello spazio, il
reticolo di Bravais, di cui si è fatto cenno al PAR. 3.6. Alla temperatu­
ra di fusione si ha una discontinuità di tutte le proprietà fisiche del
sistema. Il volume, ad esempio (tranne che in pochi casi) , mostra una
brusca diminuzione passando dal liquido al solido. Sono noti tuttavia
dalla preistoria materiali, i vetri, nei quali la transizione non è discon­
tinua, ma graduale (FIG. 3·33), e si allontana tanto più dalla transizio­
ne liquido - solido cristallino quanto più rapido è il processo di raf­
freddamento. Nella transizione non si ha sviluppo di calore latente. Il
solido che ne risulta è caratterizzato da una distribuzione irregolare
di atomi nello spazio, dunque si perde la periodicità caratteristica dei
reticoli cristallini e le proprietà fisiche sono isotrope, come nei liqui­
di. La mobilità degli atomi è però minore e la rigidità molto maggio-
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

FIGURA 3 · 3 3
Volume specifico (inverso della densità) in funzione della temperatura, nell'intor­
no della temperatura di solidificazione del liquido

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a: transizione cristallina; b: transizione vetrosa.

re; la viscosità aumenta gradualmente durante il raffreddamento. Un


solido con queste caratteristiche si dice amor/o (senza forma) o anche
vetro; il termine ha dunque un significato più ampio di quello riser­
vatogli nel linguaggio comune.

Un vetro può essere considerato un liquido la cui viscosità è estrema­


mente elevata. Lo stato amorfo (o vetroso) non è uno stato di equili­
brio, ma è metastabile; tende dunque a riportarsi allo stato di equili­
brio, che è cristallino, in un tempo i più o meno lungo; i è tanto più
lungo quanto più bassa è la temperatura. Alla temperatura ambiente,
per i vetri comunemente noti i è praticamente infinito, e infatti gli
antichi oggetti di vetro mantengono ancor oggi la loro struttura
amorfa. Se la temperatura è sufficientemente alta si ha il graduale
passaggio allo stato cristallino di equilibrio, cioè la devetrificazione
(processo di rinvenimento) ; il vetro, se originariamente è trasparente,

120
3 · PROPRIETÀ MACROSCOPICHE

acquista allora un aspetto traslucido dovuto alla diffusione della luce


sulle superfici dei piccoli cristalli che si formano al suo interno.

L'ossido di silicio ( Si0 2 ) è una sostanza che presenta la transizione


vetrosa. Il suo puntq di fusione è di circa 1.700 ac. Se viene raffred­
dato molto lentamente si ha la normale discontinuità per T = Tm e il
cristallo che si forma si chiama cristobalite. Se il raffreddamento è
più rapido si forma un solido amorfo, detto quarzo fuso. Se all'ossido
di silicio si aggiungono altri ossidi metallici, si abbassa notevolmente
il punto di fusione e il solido amorfo che ne risulta è uno dei molti
tipi di vetro comunemente usato. Ad esempio una miscela di Si0 2
(75 % ) e Na2 0 (25 % ) ha Tm = 8oo 0C. Dal punto di vista pratico un
secondo vantaggio del vetro comune sul quarzo fuso è l'abbassamen­
to della viscosità, che rende più facile lavorare gli oggetti nella forma
voluta. Le lastre di vetro ordinarie (finestre ecc.) contengono circa il
15 % di ossido di sodio, ed altre aggiunte (CaO) ; il vetro pyrex, più
resistente agli attacchi chimici, e con un basso coefficiente di dilata­
zione termica, contiene aggiunte di B 2 0 3 ; vetri per strumenti ottici
(lenti, prismi), con valori appropriati dell'indice di rifrazione, conten­
gono aggiunte di altri ossidi metallici (Pb, Ba, K, Zn) . Esistono molte
migliaia di tipi di vetro.
Anche molti polimeri solidificano in strutture amorfe, seguendo
una curva del tipo di quella caratteristica dei vetri (FIG. 3 · 3 3 ) .
Uno sviluppo relativamente recente è nel campo delle fibre d i tra­
sparenza elevata per radiazioni di lunghezza d'onda opportuna: le fi­
bre ottiche, impiegate come guide d'onda per trasmettere informazio­
ni (segnali) anche su lunghe distanze. Il sistema di trasmissione di
segnali ottici presenta numerosi vantaggi rispetto a quello convenzio­
nale di trasmissione di segnali elettrici lungo cavi conduttori. Uno dei
problemi da risolvere è quello della trasparenza.
Un buon vetro da finestra ci appare trasparente; se però sovrap­
poniamo molte lastre, anche trascurando le perdite per riflessione, ci
rendiamo conto che la luce, attraversando uno spessore di qualche
decimetro, viene fortemente attenuata; in altre parole, anche per un
vetro ritenuto comunemente trasparente il coefficiente di assorbimen­
to f.l ha un valore piccolo ma non trascurabile (cfr. [3.22] ) . L'assorbi­
mento residuo è dovuto a piccole quantità di impurezze; la riduzione
a livelli molto bassi delle impurezze ha consentito di realizzare fibre
di quarzo fuso o di altro materiale, tipicamente con diametro di una
decina di micron, nelle quali l'attenuazione dell'intensità della radia-

121
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

zione di lunghezza d'onda intorno al micron è dell'ordine del 50 per


cento su percorsi di oltre una decina di chilometri. Fibre di questo
genere realizzate recentemente sono impiegate nelle trasmissioni.
Anche certi semiconduttori possono essere ottenuti nello stato
amorfo. Il caso più interessante è quello del silicio, con il quale si
realizzano strati sottili utilizzati, ad esempio, nelle celle solari deÌ cal­
colatori tascabili; un vantaggio del silicio amorfo sta nel basso costo
di produzione, rispetto ai film cristallini, così che si prospetta un im­
piego più ampio nelle celle solari di grandi dimensioni.
Fino al r96o si credeva che i metalli solidificassero necessaria­
mente in forma cristallina o policristallina. Con lo sviluppo di tecno­
logie di raffreddamento rapido, dell'ordine di un milione di gradi al
secondo, il metallurgista Poi Duwez fu in grado per primo di evitare
.
la nucleazione di microcristalli, ottenendo così strati sottili amorfi di
leghe metalliche (vetri metallici) . La tecnica del raffreddamento rapi­
do si è in seguito perfezionata ed è stata estesa a molte leghe metalli­
che. Oggi è possibile ottenere nastri sottili di vetri metallici alla velo­
cità di due chilometri al minuto schizzando il · metallo fuso su un ci­
lindro metallico freddo in rapida rotazione. Leghe amorfe tipiche si
ottengono da miscele di un metallo di transizione o di un metallo
nobile con un metalloide leggero (AuSi, PdSi, FeB) o da miscele di
due metalli di transizione con altre impurezze (FeNiB, NiNb), o da
miscele più complicate (FePBAI, PdAuSi) . Alcune di esse hanno pro­
prietà interessanti: resistenza meccanica, resistenza alla corrosione, e
proprietà magnetiche, che consentono di ridurre le perdite per istere­
si o vantaggiosi impieghi nelle memorie magnetiche.
Nel r984 si scoprì che alcune leghe metalliche, ottenute per raf­
freddamento rapido dal fuso, possono solidificare in uno stato meta­
stabile intermedio fra lo stato cristallino e quello amorfo; lo stato che
si realizza è detto quasicristallo ed è caratterizzato da legami atomici a
simmetria pentagonale ma da assenza dell'ordine a lungo raggio tipi­
co dei reticoli di Bravais.
La comprensione delle proprietà della materia negli stati disordi­
nati o parzialmente disordinati presenta difficoltà molto superiori ri­
spetto alla comprensione delle proprietà dello stato cristallino. Men­
tre le basi per la comprensione delle proprietà dei cristalli sono state
gettate a cavallo degli anni Trenta, lo studio dello stato amorfo, come
quello dello stato liquido, ha trovato convincenti basi teoriche solo in
anni più recenti e molte difficoltà sono ancora da superare.

I22
3 · PROPRIETÀ MACROSCOPICHE

3 ·9
I cristalli liquidi

Solidi e liquidi non esauriscono le possibilità degli stati (fasi) di equi­


librio della materia condensata. Altre fasi possono presentarsi, nel ca­
so in cui si abbia a che fare con molecole organiche di forma allun­
gata, nelle quali l'ordine spaziale e orientazionale delle molecole co­
stituenti il sistema è intermedio fra quello dei cristalli (reticoli di Bra­
vais, quindi simmetria traslazionale in ogni direzione) e quello dei li­
quidi isotropi (assenza di ordine a lungo raggio) . Stati di questo tipo
si chiamano mesofasi, o cristalli liquidi; l'apparente contraddizione
fra i due ultimi termini esprime il fatto che nello stato di cristallo
liquido un sistema ha bassa rigidità, quindi come un liquido assume
la forma del recipiente, mentre mantiene un qualche tipo di ordine a
lungo raggio su scala microscopica, ordine che si riflette su molte
proprietà macroscopiche.
I display degli orologi da polso e dei calcolatori tascabili sono
fatti con cristalli liquidi, come pure i termometri che segnalano la
variazione della temperatura della superficie corporea cambiando di
colore. Ma anche i colori brillanti di alcuni coleotteri sono dovuti a
cristalli liquidi. Le mesofasi sono abbastanza comuni in natura; la
membrana cellulare, ad esempio, consiste in un doppio strato di mo­
lecole lipidiche ordinate in una struttura liquido-cristallina e il trenta
per cento del nostro cervello (esclusa la componente acquosa) si tro­
va in una mesofase. Alcune malattie sono correlate a cambiamenti
nella fase di cristallo liquido; ciò accade ad esempio nell' arterioscle­
rosi e nell'anemia falciforme.
L'esistenza di fasi liquido-cristalline fu scoperta da Friedrich Rei­
nitzer già nel 1888; studiando il benzoato di colesterile, una molecola
organica la cui lunghezza è circa 8 volte maggiore della larghezza,
egli osservò che, quando a T = 145 °C la fase solida fonde, si ottiene
un liquido blu e torbido; colore e torbidità scompaiono bruscamente
a 179 °C, per dar luogo a un liquido trasparente. Reinitzer osservò
anche che il fenomeno è reversibile. Più tardi Otto Lehmann, stu­
diando il sistema con luce polarizzata, giunse alla conclusione che la
torbidità della fase intermedia è connessa con l'ordine nella orienta­
zione spaziale delle molecole elongate e coniò il nome di cristallo li­
quido per questa fase. La luce polarizzata è utile nello studio delle
mesofasi perché le molecole orientate provocano la rotazione del pia-

123
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

no di polarizzazione, così come awiene nei cristalli birifrangenti (spa­


to d'Islanda) .
Non deve stupire che il grado d'ordine di un sistema di molecole
lunghe non sia descritto solo dai due casi estremi del cristallo e del
liquido isotropo. Oltre alla posizione del baricentro delle molecole
infatti deve essere considerata anche la loro orientazione relativa; il
cristallo corrisponde al caso in cui i' baricentri costituiscono i punti di
un reticolo cristallino e le orientazioni sono tutte parallele; ma si pos­
sono avere anche casi in cui le orientazioni sono meno ordinate, o
casi in cui c'è un ordine nelle orientazioni ma un disordine nella po­
sizione spaziale di baricentri. Ritroviamo queste diverse possibili
strutture parzialmente ordinate nelle mesofasi.
Le tre fasi più comuni di un cristallo liquido sono la nematica, la
smectica e la colesterica. Nella prima l'orientazione delle molecole
elongate è la stessa (approssimativamente, perché esistono oscillazioni
termiche) , mentre le posizioni dei baricentri sono casuali come in un
liquido normale; un'analogia suggestiva colla fase nematica è rappre­
sentata da uno sciame di pesci che nuotano tutti in una stessa dire­
zione. La viscosità in questa fase è simile a quella del liquido ordina­
do, mentre le proprietà ottiche, elettriche o magnetiche mostrano
anisotropia.
I nematici sono in genere impiegati nei display, in forma di strati
sottili (-2 micron) fra due lamine parallele di vetro; l'applicazione di
un debole campo e�ettrico modifica la direzione di allineamento delle
molecole, modificando l'interazione con la luce incidente, se questa è
preventivamente polarizzata; si ottengono così le tipiche variazioni
chiaro-scuro usate per scrivere su uno schermo cifre e lettere. Il van­
taggio dei cristalli liquidi, rispetto ad esempio ai display basati sull'e­
lettroluminescenza, sta nella bassa potenza necessaria per modificare
il segnale; grazie a ciò, ad esempio, le pile di un orologio da polso
funzionano a lungo prima di esaurirsi.
Nella fase smectica le molecole sono raccolte a strati che formano
piani paralleli equispaziati; all'interno di ogni piano l'orientazione
delle molecole è perpendicolare al piano stesso, mentre la posizione
di baricentri è più o meno disordinata. Una immagine della fase
smectica è data da bottiglie disposte su una serie di scaffali equidi­
stanti. Esistono però vari tipi di fase smectica.
La fase colesterica può essere immaginata pensando a bottiglie
sdraiate orizzontalmente sugli scaffali, in modo che su ogni piano l'o­
rientazione sia la stessa, ma ruoti gradualmente passando da un piano
3 · PROPRIETÀ MACROSCOPICHE

a quello adiacente. I colesterici presentano vistose variazioni di colore


al cambiare della temperatura e della pressione, a causa degli effetti
di interferenza con la radiazione visibile; questo effetto, che consentì
a Reinitzer di scoprire le mesofasi, oggi viene sfruttato per misure
approssimate di variazioni della temperatura corporea e per screening
di tumori non profondi.
Una delle applicazioni più interessanti dei cristalli liquidi è la rea­
lizzazione di schermi televisivi; si possono costruire schermi piatti,
funzionanti con potenze molto basse, non essendo più necessario il
tubo a raggi catodici, costituente indispensabile dei normali cinesco­
pi. La difficoltà sta nel fatto che, mentre l'immagine televisiva deve
cambiare rapidamente, i tempi necessari per il riarrangiamento dell'o­
rientazione molecolare in una mesofase sono relativamente lunghi.
Una strada promettente sembra sia offerta dall'impiego dei cristalli
liquidi con proprietà ferroelettriche, scoperti negli anni Ottanta.

J . IO
Il plasma

Un gas a temperature non troppo elevate e in condizioni di equilibrio


è costituito di atomi o di molecole elettricamente neutri, perché il
numero degli elettroni di ogni atomo o molecola è tale che la carica
elettrica negativa complessiva uguaglia la carica positiva dei nuclei
atomici. Atomi e molecole però, sotto l'azione di vari agenti fisici (al­
ta temperatura, urto con particelle veloci, radiazione elettromagneti­
ca) , possono perdere uno o più elettroni, trasformandosi in ioni posi­
tivi.
Un plasma è sostanzialmente un gas ionizzato, ossia una miscela
di ioni e di elettroni, e di atomi neutri. La ionizzazione può essere
parziale o completa.
Molte delle proprietà fisiche di un plasma sono diverse da quelle
di un gas non ionizzato, di un liquido e di un solido, e per questo il
plasma è stato chiamato il quarto stato della materia. Per lungo tem­
po le scarse conoscenze sui plasmi si limitarono agli studi della scari­
ca elettrica nei gas, dove il plasma si forma per urto del fascio di
elettroni accelerato con le molecole del gas a bassa densità. In segui­
to lo studio delle trasmissioni a radioonde rivelò che nell'alta atmo­
sfera, (60-500 km) il gas residuo è in uno stato di plasma (ionosfera) ,
le cui caratteristiche sono influenzate dall'attività solare.
L'importanza della ionosfera per le comunicazioni radio è ben

125
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

nota: la maggior parte della ionosfera agisce come specchio riflettente


(a questo fatto si deve il successo allora inspiegabile delle esperienze
di Marconi di trasmissione sulle lunghe distanze), mentre gli strati
inferiori sono parzialmente assorbenti. In caso di grande attività sola­
re questi strati si rafforzano temporaneamente, causando l'affievoli­
mento (fading) dei segnali. Oggi si sa che il plasma è lo stato della
materia più diffuso nel cosmo; non solo la calda materia stellare è in
massima parte un plasma denso, ma anche il freddo spazio interstel­
lare contiene un tenuissimo plasma, le code delle comete sono plasmi
e le nebulose sono parzialmente in uno stato di plasma. In astrofisica
si entra nel regno in cui i tre stati convenzionali della materia sono
l'eccezione e lo stato di plasma è la regola.
Lo studio dei plasmi ha assunto grande importanza negli ultimi
decenni, in relazione ai progetti per realizzare la fusione nucleare
controllata. È noto infatti che per realizzare la fusione di due nuclei
leggeri è necessario che i nuclei siano molto prossimi; ciò si può otte­
nere se la temperatura del sistema è elevata, dell'ordine delle decine
di milioni di gradi, perché bisogna vincere la repulsione coulombia­
na. A queste temperature la materia si trova nello stato di plasma,
perché l'agitazione termica provoca la ionizzazione degli atomi, strap­
pando ad essi l'elettrone meno legato.
La FIG. 3 · 34 mostra come cresce la percentuale degli atomi ioniz­
zati all'aumentare della temperatura. Sull'asse delle ascisse è riportata
la temperatura assoluta, su quello delle ordinate la percentuale degli
atomi ionizzati. La curva alla sinistra riguarda un gas di atomi di ce­
sio; un buon grado di ionizzazione si ha già a qualche migliaio di
gradi, perché l'elettrone è debolmente legato all'atomo e non è neces­
saria una grande agitazione termica per provocarne il distacco; nell'i­
drogeno (curva alla destra) l'unìco elettrone è fortemente legato, dun­
que è necessario riscaldare il gas a temperature più elevate per otte­
nere il plasma; a IO.ooo gradi meno del 10% degli atomi di idrogeno
si ionizza. Dunque la transizione dal gas al plasma è graduale e conti­
nua, non esiste una temperatura critica, diversamente da quanto ac­
cade per le vere e proprie transizioni di fase (CAP. 5 ) . Per ottenere la
fusione nucleare sono necessarie temperature ben superiori, qualche
decina di milioni di gradi (interno delle stelle come il sole) , o molte
decine di milioni (negli impianti per studiare la fusione termonuclea­
re) . Naturalmente non è possibile contenere in un recipiente un pla­
sma così caldo; un buon materiale refrattario può resistere a 3.ooo-
4·ooo °K, ma per le temperature dei plasmi per fusione termonuclea-

126
3 · PROPRIETÀ MACROSCOPICHE

FIGURA 3 · 34
Percentuale degli atomi ionizzati in funzione della temperatura, per un gas di
cesio e di idrogeno

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TEMPERATURA (• c. )

re s i devono impiegare altri metodi di contenimento, che tengano il


plasma lontano dalle pareti, metodi che in questa sede non è possibi­
le esaminare.
In un plasma ottenuto per mezzo di una scarica elettrica in un
gas non si può definire una sola temperatura, ma dobbiamo distin­
guere fra una temperatura Te degli elettroni, una temperatura T; degli
ioni e una T0 degli atomi neutri. In genere Te è molto maggiore di T;
e di T0 , perché la sorgente esterna che genera e mantiene la scarica
trasmette energia direttamente agli elettroni del plasma; gli elettroni a
loro volta urtano gli ioni, ma, essendo molto più leggeri, in ogni urto
trasmettono agli ioni solo una frazione piccola della loro energia. In
un normale tubo a scarica per insegne luminose o per lampade fluo­
rescenti Te è dell'ordine delle decine di migliaia di gradi, mentre T; e
T0 sono inferiori di oltre un ordine di grandezza. Queste differenze
non contraddicono lo zeresimo principio della termodinamica, peréhé
in una scarica il sistema non si trova in uno stato di equilibrio termi­
co.
Un plasma è un buon conduttore di elettricità. L'interazione di

127
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

un plasma con i campi elettrici e magnetici, statici o variabili nel


tempo, è interpretabile in linea di principio nel quadro delle leggi
dell'elettromagnetismo, ma in pratica la trattazione è piuttosto com­
plessa. Nei plasmi si possono generare e propagare diversi tipi di
molti oscillatori.

128
4

La struttura microscopica della materia

4· 1
Introduzione

Le principali proprietà macroscopiche della materia nei suoi tre stati


di aggregazione, esaminate finora, ci forniscono un quadro molto ricco
ed eterogeneo. Il livello fenomenologico della descrizione ci ha per­
messo al massimo di raggruppare i sistemi fisici e le loro proprietà
individuando lè caratteristiche principali o più evidenti, come la densi­
tà, la simmetria, le proprietà meccaniche, elettriche, ottiche ecc. Tal­
volta gli stessi confini di questa categorizzazione di farga massima sono
risultati non rigorosamente definiti e, inoltre, le relazioni quantitative
fra le variabili misurabili (le leggi fisiche fenomenologiche) sono state
presentate come leggi empiriche la cui validità è limitata a un gruppo
di sistemi, in condizioni fisiche ben definite: legge di Hooke, di Ohm,
di Lambert, di Dulong e Petit ecc.; infine, nell'ambito di una determi­
nata legge, i parametri che compaiono ( coefficenti di elasticità, di as­
sorbimento ottico, conducibilità ecc.) dipendono dalla sostanza in esa­
me, senza che se ne possa dare una giustificazione (perché la conduci­
bilità in certi casi è piccola, in altri grande? ecc . ) .
Questo primo livello d i descrizione macroscopica, che prescinde
cioè dalla conoscenza della struttura della materia a scala atomica,
ancorché insoddisfacente sia dal lato concettuale che da quello pratico,
è però indispensabile per poter passare al secondo livello, al quale i
sistemi fisici non sono più descritti semplicemente come oggetti conti­
nui che occupano un certo volume nello spazio, ma si tiene conto delle
particelle che li costituiscono e delle loro proprietà e interazioni fonda­
mentali: è indispensabile cioè passare alla descrizione microscopica.
Già tre secoli fa Isaac Newton adombrava la necessità di spiegare
la coesione dei solidi sulla base delle proprietà dei costituenti ele-

129
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

mentari. Così infatti egli scrisse nel suo trattato Opticks: «Le parti dei
corpi omogeneamente duri, in contatto fra di loro, sono legate molto
fortemente. L'esperienza di una forte coesione suggerisce che le par­
ticelle costituenti i solidi si attraggano reciprocamente con una forza
che è molto intensa quando le particelle sono in contatto immediato
[ . . ] . Ci sono quindi in natura agenti capaci di legare insieme le parti­
.

celle dei corpi per mezzo di attrazioni molto intense. È compito della
Filosofia sperimentale trovare tali forze».
E nel 1776 Immanuel Kant (1724-I8o4) aggiungeva: «Esistono
due forze fondamentali, solo due forze fondamentali, che rendono
conto di tutte le proprietà della materia: una forza attrattiva e una
forza repulsiva».
È dunque necessario, per realizzare l'architettura in grado di in­
terpretare le proprietà della materia, disporre dei mattoni (i costi­
tuenti elementari) e conoscere come si legano gli uni agli altri, come
interagiscono (leggi fondamentali) . La fisica e la chimica nei secoli
passati, ma soprattutto la fisica nei primi decenni di questo secolo, ci
hanno fornito ambedue gli ingredienti, così che le strutture che gli
scienziati sono venuti costruendo presentano un aspetto soddisfacen­
te; agli occhi di un fisico di oggi la ricchezza delle proprietà della
materia nei suoi stati di aggregazione non si presenta più come un
quadro eterogeneo, casuale e disordinato, ma la molteplicità dei feno­
meni empirici è vista come la manifestazione di un numero limitato
di fatti fondamentali. Scopo di questo capitolo è mostrare il processo
di riduzione dell'eterogeneità all'unità, ossia di spiegare le proprietà
della materia nei suoi stati di aggregazione, dunque della materia sta­
bile, quella che è oggetto normalmente dei nostri sensi; esula quindi
dal nostro obiettivo il campo della fisica che si occupa di particelle
elementari e anche quello che si occupa di nuclei atomici, che pure
in parte sono stabili. Preliminare a questo tentativo sarebbe la cono­
scenza delle leggi fondamentali della fisica, o almeno di alcune di es­
se, ma di necessità, dati i limiti di questa esposizione, di queste leggi,
come delle proprietà dei costituenti fondamentali, si può dare qui so­
lo un cenno schematico, qualitativo e incompleto.

4.L I . I mattoni

Sembra sia stato Democrito, il filosofo di Abdera (�460-�370 a.C . ) ,


il primo pensatore che mise i n discussione il punto d i vista macrosco­
pico: i corpi sono continui solo in apparenza, ma in realtà sono far-
4· LA STRUTTURA MICROSCOPICA DELLA MATERIA

mati da particelle diverse da un corpo all'altro per la forma e tanto


piccole da non poter essere osservate. Come spiegare altrimenti il fat­
to che l'acqua riscaldata si dissolve in un vapore invisibile, o che sen­
tiamo l'odore dei fiori a distanza? Questi mattoni elementari di cui
tutta la materia deve essere costituita furono chiamati atomi, che si­
gnifica indivisibili. La coraggiosa ipotesi di Democrito (ma qualche
merito pare spetti anche al suo maestro Leucippo), ripresa qualche
secolo dopo in forma poetico-didascalica da Tito Lucrezio Caro, fu
quasi dimenticata per due millenni, sepolta sotto il peso dell'autorità
di Aristotele.
Alla metà del secolo xvn l'abate francese Pierre Gassendi ( I592-
I655) riprese le teorie degli antichi atomisti e spiegò che, come con
mattoni, assi e travi si possono costruire molti tipi di edifici, così con
pochi tipi di atomi si può formare un gran numero di corpi diversi;
Gassendi introdusse anche il concetto di molecola, l'unità formata da
alcuni atomi legati fra loro. Solo nel secolo scorso gradualmente il
concetto di atomo trovò le sue basi sperimentali, ma ancora cent'anni
fa alcuni scienziati ritenevano che l'ipotesi atomica mancasse di basi
solide; fra questi Ernst Mach (I838-I9I6) , al quale pure dobbiamo
importanti contributi sui fondamenti della meccanica e della relatività.
In prima approssimazione si può dire che gli atomi degli elementi
chimici (cfr. nota I al PAR. LI) sono i mattoni fondamentali della
materia. Gli atomi hanno dimensioni dell'ordine dell'angstrom e mas­
se che vanno da I,67 · IO - 24 g per il più leggero, l'idrogeno, a 395 ·
I O - 24 g per l'uranio, il più pesante degli elementi naturali (l'unità di
peso atomico è I,66 · I0- 24 g) ; dunque un grammo di materia è co­
stituito da un numero di atomi dell'ordine del numero di Avogadro
(No = 6,02 · I0 2 3 ) se si tratta di idrogeno, o di qualche ordine di
grandezza inferiore, passando a elementi più pesanti.
A rigore si può parlare di atomi solo quando si ha a che fare con
gli atomi isolati, che allora hanno simmetria sferica. Nella maggior
parte dei casi gli atomi interagiscono formando molecole, con atomi
uguali (H2 , OJ o diversi (H 20), o formando gli stati aggregati della
materia, e in questi casi essi perdono in parte la loro individualità.
Per capirne qualcosa è necessario conoscere la struttura interna del­
l' atomo, che non è affatto indivisibile, cioè individuarne i costituenti
elementari e le leggi secondo le quali interagiscono.
Ernest Rutherford (I87I-I937) scoprì, nel I9II, che l'atomo è co­
stituito da un nucleo centrale piccolo (w- r 3 - w- 12 cm) e da elettroni
distribuiti nello spazio atomico, intorno al nucleo. L'elettrone, sco-
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

perto alla fine del secolo scorso da ]. ]. Thomson (1856-1940) , è una


particella di massa 1 . 8oo volte inferiore a quella dell'atomo di idroge­
no e di carica elettrica (per convenzione negativa) uguale a 1,6
10 - r 9 coulomb . L'elettrone è inoltre caratterizzato da un momento
meccanico, detto spin (come se fosse una minuscola trottola) , e da un
momento magnetico 11 (come se fosse una piccola calamita) ; il valore
dello spin è Il2(hhn), dove h è la costante di Planck (PAR. 4 . 1 . 2 ) , e
si dice comunemente che l'elettrone ha spin 1/2 . Lo stesso simbolo e
si usa per indicare sia la particella che la sua carica (e- ) , che è detta
unità di carica elementare.
I nuclei degli atomi sono particelle composite, ma per quanto ci
interessa ora possiamo trascurare la loro struttura interna e conside­
rarli come palline, eventualmente un po' allungate. Le dimensioni li­
neari di queste palline sono circa centomila volte inferiori a quelle
dell'atomo; la massa del nucleo è appena inferiore a quella dell'ato­
mo, poiché la massa dell'elettrone è molto piccola; nuclei di uno stes­
so elemento possono avere masse differenti (isotopi) . La carica del
nucleo è il vero parametro che caratterizza gli elementi; essa ha segno
opposto a quello della carica dell'elettrone e varia secondo multipli
interi della carica elementare e: il nucleo dell'idrogeno (protone) ha
carica + e, quello dell'elio + ze, quello del litio + 3e . . . quello del
carbonio +6e . . . quello del ferro + 26 e . . . fino a quello dell'uranio
+ 9ze; l'elemento che occupa la Z-esima posizione nel sistema perio­
dico degli elementi (Tavola di Mendeleev) ha carica nucleare +Ze. Z
è detto il numero atomico, e ha un valore intero caratteristico per
ogni elemento chimico; il numero atomico dell'idrogeno è uno, quel­
lo del ferro è 26 ecc.
Anche il nucleo atomico può avere uno spin e un momento ma­
gnetico, ma questi parametri sono relativamente ininfluenti.
Un atomo è neutro elettricamente perché la carica nucleare +Ze
è esattamente compensata da quella degli elettroni; l'atomo di un ele­
mento di numero atomico Z contiene dunque Z elettroni. La forza
che determina la struttura e le proprietà fisiche e chimiche degli ato­
mi è la forza elettrostatica, o di Coulomb; essa è attrattiva fra il nu­
cleo e ciascun elettrone, e dipende direttamente dal prodotto delle
cariche e inversamente dal quadrato della distanza r elettrone-nucleo :

Ze · ( - e) Ze 2
F (attrattiva) +
r r
4· LA STRUTTURA M ICROSCOPICA DELLA MATERIA

è invece repulsiva fra le varie coppie di elettroni che formano l' ato­
mo:

e>
Fii (repulsiva) = - r
ZJ

dove rif è la distanza fra due elettroni caratterizzati dagli indici i e j,


che indicano due qualsiasi degli Z elettroni dell'atomo; il numero del­
le coppie è Z(Z- r)h. Le forze sono dirette secondo le linee che con­
giungono le coppie di particelle e si sommano vettorialmente. Le for­
ze di attrazione gravitazionali, così importanti nell'universo, all'inter­
no della materia sono debolissime, perché piccola è la massa delle
particelle, quindi trascurabili.
Quando due o più atomi si legano chimicamente a formare una
molecola o un solido, alcuni degli elettroni - i meno legati, ossia i più
lontani dal nucleo chiamati elettroni di valenza - interagiscono anche
con gli altri nuclei, così che non appartengono più solo all'atomo origi­
nario; allora l'individualità dell'atomo si perde, almeno in una certa
misura. Da una parte si ha il cosiddetto nocciolo ionico ossia il nucleo,
circondato dagli elettroni più interni, che mantengono pressoché immu­
tate le caratteristiche atomiche; dall'altra gli elettroni esterni responsa­
bili di buona parte delle proprietà fisiche della materia.
Abbiamo così individuato, negli elettroni e nei nuclei - oppure
negli elettroni di valenza e nei noccioli ionici - i mattoni del nostro
edificio. Le forze elettriche che si esercitano fra questi mattoni sono i
responsabili ultimi delle proprietà della materia, dalle interazioni at­
trattive e repulsive fra gli atomi e le molecole, alla coesione dei solidi
e dei liquidi, all'attrito, alle proprietà elastiche, ottiche, magnetiche,
di trasporto, e così via.
Nel caso dei gas il problema si semplifica. Se la densità non è
molto elevata, la distanza media fra le coppie di atomi (o di moleco­
le) è molto superiore alle dimensioni di un atomo (o di una moleco­
la) ; in queste condizioni non è più necessario considerare l'interazio­
ne di ogni elettrone e di ogni nucleo con tutti gli altri nuclei e tutti
gli altri elettroni del sistema; in altre parole, come si è detto in prece­
denza, atomi e molecole mantengono la loro individualità, modifican­
dola solo un poco quando, per effetto dell'agitazione termica, si ap­
prossimano gli uni agli altri. Per questa ragione la trattazione teorica
delle proprietà dei gas è diversa da quella della materia densa.
Anche per studiare le proprietà di alcuni solidi e liquidi (quelli

133
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

fatti di atomi di gas nobili - Ne, Ar ecc. - e i cristalli ionici) spesso


si usa la descrizione approssimata in cui atomi o ioni mantengono la
loro individualità. Lo stesso approccio atomistico viene impiegato per
descrivere alcuni fenomeni come la diffusione, la conducibilità ionica
nei solidi e nei liquidi e le imperfezioni nei cristalli, al fine di evitare
le insuperabili complicazioni insite nella trattazione globale. Non de­
ve dunque stupire se si usa spesso il concetto di atomo per descrivere
le proprietà degli stati aggregati della materia: è un concetto impreci­
so, ma utile, o addirittura indispensabile; per proseguire l'analogia
dei mattoni e dell'edificio, si può dire che l'edificio può essere co­
struito anche collegando elementi prefabbricati (gli atomi) , ciascuno
dei quali è a sua volta composto da più parti (elettroni e nuclei) .

4. 1 . 2 . Le leggi

Qui il discorso si fa più difficile, perché non sempre è agevole ricor­


rere a modelli intuitivi, né d'altra parte possiamo qui esprimere le
leggi fondamentali nella loro formulazione matematica, l'unica corret­
ta, rigorosa ed esauriente. Ci si deve dunque limitare a un'esposizio­
ne schematica dei concetti essenziali, ben coscienti della difficoltà di
evitare imprecisioni. D'altra parte esistono innumerevoli libri dove il
comportamento della materia a scala atomica è discusso in modo ap­
profondito e abbordabile anche da un lettore che non abbia affronta­
to corsi universitari specifici.

Meccanica classica

Legge del moto

F = ma

dove F è la forza complessiva che agisce su un corpo di massa m, a è


l'accelerazione. In un sistema costituito da molte particelle, se sono
note le forze agenti, le masse, le cariche e le condizioni iniziali, cioè
le posizioni P;(r;) e la velocità v; di ogni particella a un dato istante,
la [4.3] consente, in linea di principio, di calcolare l'evoluzione del si­
stema, ossia le posizioni e le velocità di ogni particella ad ogni altro
istante (determinismo classico). La conoscenza di tutte le posizioni e
di tutte le velocità definisce lo stato (classico) del sistema. Nel caso
di un sistema di N particelle puntiformi lo stato è dato da 6 · N

134
4· LA STRUTTURA MICROSCOPICA DELLA MATERIA

numeri, 3 per le coordinate di ogni particella, 3 per le componenti


della velocità di ogni particella. Chiamiamo microstato questa descri­
zione completa di un sistema meccanico di molte particelle, per di­
stinguerlo dal macrostato, definito da un numero limitato di variabili
termodinamiche. In genere ci riferiremo per semplicità a un sistema
di N particelle puntiformi, o a simmetria sferica; nel caso diverso (ad
esempio un gas di molecole) occorrono altre coordinate per descrive­
re l'orientazione delle particelle e i gradi di libertà interni (vibrazio­
ni) ; il numero di coordinate necessario per descrivere lo stato di una
particella si chiama grado di libertà.
L'unità di forza (nel sistema di unità di misura Metro-Chilogram­
mo-Secondo, o MKS) è detta newton, ed è la forza che imprime l'ac­
celerazione di 1 rn/s 2 alla massa di un chilogrammo. L'unità di misu­
ra del lavoro, o dell'energia, è il joule, il lavoro di una forza di un
newton per uno spostamento di un metro, nella stessa direzione. Le
forze che entrano in gioco sono di varia natura: meccanica, elettrica
per le particelle con carica, magnetica per le particelle con momento
magnetico e per quelle in moto, se dotate di carica elettrica; le forze
gravitazionali, che si esercitano per il fatto che le particelle hanno
una massa, sono trascurabili nella struttura della materia.
Spesso in fisica si usano formulazioni alternative della legge del
moto; in esse compare una funzione H che si chiama hamiltoniana e
che non è altro che l'energia totale del sistema; essa è la somma del­
l' energia cinetica di tutte le particelle, che dipende dalle loro velocità,
e dell'energia potenziale, che dipende dall'interazione fra le particelle,
quindi dalle loro mutue distanze; l'energia cinetica in generale si
esprime, anziché attraverso la velocità v;, usando come variabile la
quantità di moto, o momento, p;; nel caso di particelle puntiformi è
p; = m; v;.
Le leggi della meccanica classica implicano che per un sistema di
particelle interagenti, isolato, non sottoposto a forze esterne, l'energia
totale, la quantità di moto (momento) totale e il momento della
quantità di moto (momento angolare) totale del sistema si conservi­
no. Queste tre importanti leggi di conservazione hanno validità gene­
rale e hanno la loro radice nella simmetria delle leggi fisiche, che non
cambiano traslando il tempo, o per traslazioni e rotazioni nello spazio
(isotropia dello spazio) . Il momento angolare è il vettore proporzio­
nale alla massa che ruota intorno a un asse, alla sua velocità tangen­
ziale e alla sua distanza dall'asse. Le quantità che si conservano sono

1 35
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

la somma (vettoriale) delle quantità di moto e quella dei momenti


angolari di tutte le particelle del sistema; l'energia totale invece non
si può esprimere come somma delle energie delle singole particelle,
perché ognuna di esse interagisce con tutte le altre.
La meccanica classica newtoniana perde la sua validità quando
entrano in gioco velocità prossime alla velocità della luce; allora deve
essere sostituita dalla meccanica relativistica (relatività ristretta) , in­
trodotta da Einstein nel 1905. Essa è essenziale nel campo della fisica
nucleare, delle particelle elementari, dell'astrofisica, ma è poco im­
portante nello studio della struttura della materia e può essere qui
ignorata.
A scala atomica le leggi della meccanica classica non sono più
applicabili; esse conservano la loro utilità nei casi in cui i fenomeni
quantistici (cfr. in/ra) sono trascurabili, come nei gas, o, in generale,
nel limite in cui gli stati della materia possono essere approssimati
come una collezione di atomi che mantengono la loro individualità.

Elettromagnetismo

Nel 1873 James Clerk Maxwell (1831-1879) unificò in una grandiosa


sintesi la trattazione dei fenomeni elettrici, magnetici e ottici. Il siste­
ma di equazioni di Maxwell contiene le leggi fenomenologiche trova­
te da altri fisici nella prima metà dell'Ottocento e prevede l'esistenza
delle onde elettromagnetiche (confermata sperimentalmente nel 1887
da Heinrich Hertz); Maxwell suggerì anche che la luce è un'onda
elettromagnetica, che si propaga nel vuoto con velocità c ( = 3 ·
I0 10cm/s) .
In particolare, per quanto riguarda l'interpretazione delle proprie­
tà della materia, ricordiamo che le equazioni di Maxwell implicano la
legge di Coulomb e l'esistenza di una forza esercitata da un campo
magnetico su una carica elettrica in moto (PAR. 3·7·4) . L'energia po­
tenziale dovuta all'interazione coulombiana fra due particelle punti­
formi di carica e1 ed e2 , poste alla distanza Y12 è U(r12 ) = e1 e/r12 ;

essa è dunque positiva se le cariche hanno lo stesso segno, negativa


se hanno segno opposto; le [4.1 ] e la [4.2] danno le forze coulombia­
ne che ne risultano , nel caso di atomi.
Secondo l'elettromagnetismo classico l'energia associata alla radia­
zione elettromagnetica di una data frequenza può assumere qualun­
que valore, ossia varia in modo continuo. A partire dal 1900, quando
4· LA STRUTTURA MICROSCOPICA DELLA MATERIA

Max Planck (r858-r947) interpretò con un'ipotesi ardita lo spettro di


emissione del corpo nero, questo dato entrò in crisi: l'energia di una
radiazione può assumere solo valori discreti, uguali a multipli interi
della frequenza moltiplicata per una costante, nota come la costante
di Planck e designata col simbolo h (il quanto d'azione) : h = 6,6 ·
r o- 34 J · s = 4,r · ro-' 5 eV · s.
L'elettrone volt (eV) è l'unità di energia tipica dei fenomeni ato­
mici; essa equivale a r , 6 · r o- '9 J eçl è l'energia che acquista un elet­
trone accelerato attraverso la differenza di potenziale di un volt.
Con l'interpretazione data da Albert Einstein cinque anni dopo
dell'effetto fotoelettrico, fu chiaro che la radiazione elettromagnetica
è costituita da un flusso di corpuscoli (detti fotoni o quanti di radia­
zione) di energia uguale a hv. Per la radiazione visibile, hv, l'energia
del fotone, varia tra r,8 eV (luce rossa) e 3,3 eV luce violetta; i foto­
ni della radiazione ultravioletta e X hanno energia maggiore; quelli
della radiazione infrarossa e delle micro - e radio - onde hanno
energia minore.
I fotoni, oltre ad avere un'energia definita, hanno anche uno spin
e una quantità di moto, che è uguale a h v/c; per i fotoni della radia­
zione visibile questa quantità è piccola, molto inferiore alla quantità
di moto media di un atomo in un gas o di un elettrone in un solido.
La natura corpuscolare della radiazione elettromagnetica non con­
traddice la sua natura ondulatoria, dimostrata nel secolo xix dalle
esperienze di interferenza e di diffrazione, ma è complementare ad
essa: l'intensità della radiazione è proporzionale al flusso di fotoni
(che nel vuoto viaggiano con velocità c = 3 · ro 10 cm/s) e il quadrato
dell'intensità del campo elettromagnetico che si propaga è proporzio­
nale, in ogni punto, al numero di fotoni presenti. Alla distanza di un
metro da una sorgente luminosa da un watt ci sono circa r .ooo foto­
ni per centimetro cubo, ossia una superficie di un centimetro quadra­
to è attraversata, in un secondo, da un flusso di circa 3 · r o' 3 fotoni.
Il discorso corretto è più sottile; in realtà il quadrato dell'intensità
del campo non dà una misura del numero di fotoni, ma della proba­
bilità di presenza dei fotoni.
La natura corpuscolare della radiazione è essenziale nell'interpre­
tazione dell'interazione con la materia (processi di assorbimento, di
emissione, di diffusione) .
Il capitolo della fisica che tratta la natura corpuscolare della ra­
diazione elettromagnetica si chiama elettrodinamica quantistica.

137
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

Meccanica quantistica
Dopo la scoperta di Rutherford sulla struttura dell'atomo fu chiaro
che le proprietà fisiche degli atomi non potevano essere spiegate ap­
plicando le leggi classiche, ad esempio perché gli elettroni in moto
intorno al nucleo dovrebbero perdere energia con continuità, per ir­
raggiamento. I fisici si impegnarono allora a sviluppare una nuova
teoria. Ciò richiese un vero stravolgimento dei concetti della mecca­
nica newtoniana, che aveva dominato per oltre due secoli.
Dopo i primi modelli ad hoc (Niels Bohr, I9I 3 ; Arnold Sommer­
feld, I9I5), in poco più di un decennio fu sistemata una teoria soddi­
sfacente, le cui diverse formulazioni rientrano nel termine generale di
meccanica quantistica.
A scala atomica e subatomica lo stato di un sistema di particelle
(e anche quello di una sola particella) non è più definito da tutte le
coordinate di posizione e di velocità. Il principio di indeterminazio­
ne, enunciato nel I925 da Werner Heisenberg (I90I-I976), dice che
non è possibile, neanche in linea di principio, conoscere simultanea­
mente con precisione sia la posizione che la velocità di una particella;
il grado di indeterminazione è irrilevante per gli oggetti macroscopici,
ma importante su scala atomica. Anche il concetto classico di traiet­
toria delle particelle, così intuitivo, deve essere abbandonato, perché
implica la conoscenza simultanea, istante per istante, di posizione e
velocità. È necessario trattare i fenomeni a scala atomica nel quadro
di nuovi concetti e di nuove leggi.
Lo stato è descritto da una funzione matematica complessa (nel
senso che non è una funzione reale, ma contiene il numero comples­
so i, il cui quadrato è uguale a - I), le cui variabili indipendenti
sono le coordinate di posizione di tutte le N particelle del sistema, e
il tempo; questa funzione, indicata di solito con il simbolo IJI (r1 , r2
. . . rN; t), è chiamata funzione di Schrodinger; essa non è diretta­
mente misurabile, anche se contiene tutti i dati fisici relativi al siste­
ma che descrive; un esempio semplice di IJI è quella per l'elettrone
dell'atomo di idrogeno, in assenza di eccitazioni o, come si dice, nel­
lo stato fondamentale; in questo caso la funzione è reale e non dipen­
de dal tempo (usiamo 1jJ minuscola per lo stato di una sola particel­
la) :

� (ao) - Y• 12 e - rla
I
1jJ (r) -- a
4· LA STRUTTURA M ICROSCOPICA DELLA MATERIA

dove a0 è un parametro, chiamato raggio di Bohr, del valore di circa


mezzo angstrom; esso è espresso tramite la carica e la massa dell'elet­
trone, e la costante h di Planck, già incontrata nella descrizione della
natura corpuscolare della radiazione; r è la distanza dal nucleo. Il
quadrato della tJI ha un significato fisico diretto; il suo valore è pro­
porzionale alla probabilità di trovare le N particelle nell'intorno delle
posizioni r, r2 rN; nel caso semplice di una sola particella consi­
• • •

derato sopra, la probabilità di trovare l'elettrone dell'idrogeno nella


posizione r è data da:

- a - 3 e - ula
1
1 1/1 (r) 12 lr o
a

Questa funzione ha la forma di una campana, col massimo per r = o.


Dunque l'atomo non è descritto da un microscopico sistema pla­
netario, nel quale l'elettrone percorre orbite ellittiche intorno al nu­
cleo, verso il quale è attratto dalla forza elettrostatica coulombiana;
l'elettrone può trovarsi in tutti i punti dello spazio intorno al nucleo,
con probabilità decrescenti man mano che si allontana da esso; alla
distanza di pochi angstrom la probabilità di trovare l'elettrone diven­
ta trascurabile.
Anche la legge del moto deve essere modificata; la tJI si ricava, in
linea di principio, risolvendo un'equazione che ha preso il nome dal
fisico austriaco Etwin Schrodinger (1887-196I) che la introdusse nel
1926; l'equazione di Schrodinger è più complicata di quella di Newton,
e non la scriviamo; se il sistema è isolato si può scrivere l'equazione di
Schrodinger che non dipende dal tempo, ossia l'equazione degli stati
stazionari; lo stato del sistema è dunque rappresentato da una delle
possibili soluzioni W; dell'equazione di Schrodinger (autostato) ; a ogni
autostato corrisponde un valore E; ben preciso dell'energia del sistema,
detto autovalore dell'energia. In generale solo alcuni autovalori sono
permessi, mentre tutti gli altri sono proibiti; si dice allora che l'energia
degli stati elettronici presenta uno spettro discreto.
Ad esempio, nel caso dell'atomo di idrogeno, la [4.4] è la soluzio­
ne per lo stato fondamentale e l'auto�alore corrispondente è -13,6
eV, ossia bisogna spendere un'energia di 13,6 eV per allontanare l'e­
lettrone dal nucleo; tutti i valori dell'energia inferiori a - 13,6 eV so­
no proibiti, ossia non esistono atomi di idrogeno il cui elettrone sia
legato al nucleo da un'energia superiore. L'elettrone può essere meno
legato (stati eccitati) ; i primi 8 stati eccitati che si incontrano hanno

139
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

un'energia di legame di - 3,39 eV, i successivi 18 stati hanno un'e­


nergia di -1,51 eV, e così via; la risoluzione dell'equazione di Schro­
dinger per l'atomo di idrogeno ci dice che non esistono autostati la
cui energia sia compresa fra - 13,6 e - 3,39 eV, o fra - 3,39 e - 1 ,51
eV, e così via. Quando uno stesso autovalore E; corrisponde a g; stati
(g; > 1) si dice che si ha degenerazione; g; è il grado di degenerazio­
ne.
Se risolviamo l'equazione di Schrodinger per un oscillatore armo­
nico, per esempio una corda elastica capace di oscillare con una fre­
quenza v, troviamo, per lo stato fondamentale, un'energia uguale a
1h hv; gli stati eccitati hanno energie uguali a quella dello stato fon­
damentale, aumentata di un numero intero di hv; anche qui ritrovia­
mo uno spettro discreto di autovalori dell'energia, mentre, se trattia­
mo il problema classicamente, troviamo che l'energia della corda ela­
stica può assumere con continuità un valore qualsiasi.
Per una particella libera (non soggetta a forze) di massa m tutti
gli autovalori positivi dell'energia sono permessi; le soluzioni sono
onde piane di lunghezza d'onda data dalla relazione postulata nel
1924 da Louis de Broglie ( 1892-1987) :

h
À vn = ­
mv

dunque una particella si comporta come un'onda la cui lunghezza è


tanto più piccola quanto maggiore è la sua velocità v. Poiché le onde
sonore ed elettromagnetiche danno il fenomeno della diffrazione, ci
si deve aspettare che lo stesso fenomeno abbia luogo anche per i fa­
sci di particelle che incidono su un reticolo opportuno, nel quale la
distanza fra i centri che diffondono le particelle sia dell'ordine di
Àvn ; la diffrazione fu effettivamente osservata nel 1927 da G. P.
Thompson e, indipendentemente, da C. J. Davisson e L. Germer; fa­
cendo incidere un fascio di elettroni veloci sulla superficie di un cri­
stallo di nickel, essi osservarono che gli elettroni vengono riflessi sol­
tanto secondo certe direzioni, le stesse secondo le quali si diffrango­
no i raggi X di lunghezza d'onda uguale a quella degli elettroni del
fascio.
Ritroviamo dunque, per le particelle materiali, il dualismo onda­
corpuscolo già incontrato per la radiazione elettromagnetica. Questo
dualismo, che ha avuto innumerevoli conferme sperimentali, è com­
pletamente contenuto nella equazione di Schrodinger; di esso sono
4· LA STRUTTURA M ICROSCOPICA DELLA MATERIA

state date tante interpretazioni qualitative, ma alla fine è meglio am­


mettere onestamente che è controintuitivo, forse perché i nostri mo­
delli della realtà fisica si sono formati sull'osservazione di onde che
sono solo onde e di oggetti materiali che hanno posizione, velocità e
traiettoria ben determinate; la microfisica ci dice invece che non è
giustificato estendere questo quadro anche a oggetti la cui massa è
Io2 7 volte minore di quella di un proiettile.
Quando lo spettro dell'energia di un sistema è discreto, quando
cioè solo alcuni autovalori E; sono permessi, e tutti gli altri valori di
E sono proibiti, il sistema può passare da uno stato di energia E; ad
un altro di energia E1 solo se gli si fornisce (o gli si sottrae) in un
colpo solo la differenza di energia E1 - E;. Nel caso in cui questa
transizione, detta salto quantico, avviene per interazione con i fotoni
della radiazione elettromagnetica, il principio di conservazione dell'e­
nergia impone che sia
E,-
v =
h
per l'assorbimento di radiazione, oppure

v =

per l'emissione di radiazione. Dunque un sistema con uno spettro di­


screto di energia, ad esempio un atomo, può assorbire o emettere
solo radiazioni di frequenza in accordo con le [4.7] e [4.8] ; questo
era ben noto agli spettroscopisti fin dal secolo scorso, e la spiegazio­
ne del fatto che gli spettri atomici di emissione e di assorbimento
non sono continui, ma discreti (spettri a righe), costituisce uno dei
successi della meccanica quantistica. Per completezza bisogna aggiun­
gere che se la radiazione è molto intensa, come la si può ottenere con
sorgenti laser potenti, la transizione può avvenire con l'assorbimento
simultaneo di più di un fotone, purché la conservazione dell'energia
sia rispettata; anche l'assorbimento di più fotoni osservato per la pri­
ma volta nel 1961 è interpretato dalla meccanica quantistica.
La teoria sviluppata da Schrodinger, di cui qui si è dato un cenno
incompleto, e tuttavia di non facile lettura, si è chiamata meccanica
ondulatoria; essa ha avuto altre formulazioni equivalenti o più com­
plete, che vanno sotto il nome di teorie quantistiche. Di uno degli
ampliamenti della teoria è indispensabile parlare, per l'importanza
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

che esso ha nell'interpretazione della struttura della materia. Si è det­


to che l'elettrone ha anche uno spin e un momento magnetico asso­
ciato, dunque è necessario che l'equazione che descrive lo stato di un
sistema di elettroni consideri anche le possibili orientazioni dello
spin, oltre alle variabili di posizione r;. Nel r927 Wolfgang Pauli ge­
neralizzò l'equazione di Schrodinger introducendo una variabile che
descrive le possibili orientazioni dello spin nello spazio; si sa che le
orientazioni possibili, per un elettrone, sono solo due, " in su" oppure
" in giù" ; la funzione che descrive completamente lo stato di un elet­
trone è allora il prodotto della parte che dipende dalle coordinate r
per una parte che dipende dalla coordinata �:

la X ( �) ha solo due valori, uno per lo spin in su, l'altro per lo spin in
giù.
Questa generalizzazione consente di formulare correttamente il
principio di esclusione, o di Pauli (r924) : nel caso di un sistema a
più elettroni, tale che a ognuno di essi possa essere assegnato uno
stato quantico, non è possibile trovare più di un elettrone nello stesso
stato; se consideriamo solo la parte spaziale, il principio di Pauli dice
che non più di due elettroni possono trovarsi nello stesso stato, uno
di essi con spin in su, l'altro con spin in giù. Questo principio vale
solo per le particelle identiche che, secondo la meccanica quantistica,
sono fisicamente indistinguibili e che hanno spin rh, come gli elet­
troni (o multipli dispari di rh, ossia spin semi-intero) .
ll principio di Pauli gioca un ruolo essenziale nell'interpretazione
delle proprietà della materia; ad esso si deve fra l'altro il fatto che fra
gli atomi si esercitano a corto raggio forze repulsive molto intense.
L'esistenza dello spin fu giustificata in modo soddisfacente qual­
che anno più tardi, quando P. A. M. Dirac (r902-r984) formulò le
leggi della meccanica quantistica in modo che fossero soddisfatte le
condizioni relativistiche.

Meccanica statistica

Un sistema macroscopico è formato da un numero elevato di parti­


celle, dell'ordine di ro 19 molecole per centimetro cubo (gas in condi­
zioni normali), o di ro2 3 - ro 25 elettroni e nuclei per centimetro cubo
(liquido o solido) . Si è detto che le leggi della fisica consentono, in
4· LA STRUTTURA MICROSCOPICA DELLA MATERIA

linea di principio, di conoscere rigorosamente il comportamento di


un sistema, una volta noto lo stato iniziale (ricordiamo che nel caso
quantistico le pr�visioni sono comunque probabilistiche) . In pratica
questo è vero solo per i sistemi semplici, anzi semplicissimi, come il
moto di un proiettile o di un satellite nel vuoto, l'oscillazione senza
attrito di un'onda, l'atomo di idrogeno, una particella confinata in
una scatola, e poco di più. Appena la situazione si complica un poco
è necessario cercare soluzioni approssimate, ma quando si ha a che
fare con un sistema di molte (N) particelle anche questa strada è im­
possibile e, oltre a tutto, improduttiva. Impossibile perché, anche se
si fosse in grado di conoscere lo stato iniziale del sistema (microsta­
to) , i calcoli, necessariamente numerici, sarebbero troppo lunghi an­
che per il più potente dei calcolatori elettronici; a calcoli numerici si
ricorre solo nel caso di sistemi modello, dove N è al massimo dell'or­
dine di 103. Inutile, perché, qualora si fosse in grado di giungere al
risultato, i dati sarebbero illeggibili e il dettaglio eccessivo; non inte­
ressa infatti, in un gas, conoscere esattamente il microstato, cioè la
posizione e la velocità di ogni singola molecola, e il cambiamento
della sua velocità quando urta un'altra molecola o le pareti, ma inter­
pretare le regolarità che caratterizzano il gas nel suo complesso, de­
scritto da un piccolo numero di variabili termodinamiche.
In un certo senso la situazione è analoga a quella che si presenta
nel gioco della roulette. Le leggi della fueccanica, le proprietà elasti­
che, l'attrito della pallina e della roulette e le condizioni iniziali per­
mettono in linea di principio di calcolare dove andrà a fermarsi la
pallina, ma questo modo di procedere sarebbe troppo complicato. Il
calcolo delle probabilità ci dice che, a lungo andare, ogni numero
uscirà con la stessa frequenza, che la probabilità che esca il nero è
uguale a quella che esca il rosso ed è uguale a 0,486486 . . . ecc. ; le
previsioni del calcolo delle probabilità sono praticamente sicure se si
ha a che fare con un numero grandissimo di eventi, perché il margi­
ne di errore diminuisce come la radice quadrata del numero stesso.
Per questo i casinò sono aziende in attivo.
L'obiettivo della meccanica statistica (o termodinamica statistica)
è dedurre le leggi che governano il comportamento macroscopico
( termodinamico) partendo dalle leggi microscopiche e da concetti ge­
nerali di teoria delle probabilità. Il successo della meccanica statistica
per i sistemi in equilibrio termodinamico è di fornire il ponte fra la
meccanica (classica o quantistica) e la termodinamica.
La formulazione più soddisfacente è stata data all'inizio del secolo

143
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

da Josiah Willard Gibbs (I839-I903) , ma essenziale è stato an­


che il contributo di Maxwell e di Ludwig Eduard Boltzmann.
Indichiamo sinteticamente il microstato con (rz, p1) , dove si inten­
de che l'indice i va da I a N. Il concetto centrale della meccanica
statistica classica è la funzione di distribuzione (J, che dipende da tut­
te le coordinate r1 e da tutti i momenti p1 (i = I, 2 . . . N) ; (J (rz, p1)
è propozionale alla probabilità di trovare le particelle del sistema in
prossimità dei punti r1 e dei momenti p1. Per un sistema in equilibrio
termico alla temperatura T si ha che (J dipende solo dall'energia tota­
le del sistema E (rz, p,) e da T; la funzione di distribuzione di Gibbs
ha la seguente espressione:
- E( r, p )lk T
(J (r;, p;) = C (N! ) -r e

dove k è la costante di Boltzmann; la costante C è il fattore di nor­


malizzazione, che tiene conto del fatto che la somma di tutte le pro­
babilità deve essere uguale a uno; il termine (N! ) - ' tiene conto del
fatto che un microstato non cambia se si scambiano le coordinate di
due particelle identiche; N! (N fattoriale) è il numero delle permuta­
zioni di N oggetti e sta per N(N-I) (N-2) . . . 3 . 2 . 1 . Nota la funzione
di distribuzione, è possibile calcolare i valori medi delle variabili di­
namiche che dipendono dalle r1 e dalle p1; qui non si introducono
concetti nuovi, si ricorre solo al significato di valor medio, che è la
somma dei valori possibili moltiplicati per la probabilità che ciascuno
di essi ha di realizzarsi.
Per esempio il valore medio <E> dell'energia si ottiene som­
mando (o integrando) su tutti gli stati (r;, p;) ogni valore possibile
E(r1, p1) , moltiplicato per la probabilità corrispondente:

< E( n > = C(N! ) -' J E(r1, p,) e -E(r,, p,JikT dr1 dp1

Il valor medio dell'energia espresso dalla [4. n ] corrisponde alla va­


riabile termodinamica U, l'energia interna del sistema (PAR. 2 -4) ; ab­
biamo così una prima importante relazione fra la meccanica e la ter­
modinamica.
La meccanica statistica consente anche di calcolare come l'energia
fluttua intorno al suo valore medio <E> = U in un sistema che,
essendo in equilibrio con un termostato, non ha un'energia rigorosa­
mente costante (come avviene invece se il sistema è isolato) . Risulta
che le fluttuazioni sono estremamente piccole.
Ad esempio, se isoliamo, all'interno di un gas, una regione che
4 · LA STRUTTURA MICROSCOPICA DELLA MATERIA

contiene un centesimo di mole, lo scarto quadratico medio, rispetto


al valore medio [ < (E- <E> ) 2 > ] 1/2/<E> , è dell'ordine di 1o- u . Al­
trettanto piccole, lontano dalle transizioni di fase, sono le fluttuazioni
delle altre variabili termodinamiche.
La meccanica statistica dunque, rinunciando alla conoscenza com­
pleta dello stato microscopico di un sistema, ha un significato proba­
bilistico, nel senso che permette di calcolare i valori medi delle varia­
bili termodinamiche e le loro fluttuazioni, non i valori esatti, istante
per istante; d'altra parte questo è proprio ciò che conta nella descri­
zione di un sistema macroscopico. Il fatto che normalmente, per i
sistemi macroscopici in equilibrio, le fluttuazioni siano molto piccole
dà ai risultati della meccanica statistica un valore praticamente deter­
ministico.
Di importanza fondamentale è anche l'espressione statistica del­
l'entropia. Si è già detto (PAR. 2.5) che l'entropia 5 misura il grado di
disordine su scala atomica di uno stato macroscopico. Uno stato ter­
modinamico, o macrostato, definito da determinati valori delle varia­
bili termodinamiche corrisponde a un numero molto elevato di mi­
crostati, ciascuno definito dai valori delle posizioni e dalle velocità di
tutte le particelle; chiamiamo W questo numero che è detto anche
probabilità termodinamica o peso statistico ed è tanto più grande
quanto più il sistema è disordinato. Boltzmann ha espresso in forma
quantitativa il legame fra l'entropia 5 definita dalla termodinamica e
il grado di disordine su scala microscopica:

5 = k ln W

dove il simbolo ln indica il logaritmo naturale (in base e) . Si può


dimostrare che con questa definizione statistica dell'entropia si ha
proprio una funzione che ha le proprietà dell'entropia termodinami­
ca, espresse dal secondo e dal terzo principio.
La [4. 10] e la [4. 12] costituiscono la base della meccanica statisti­
ca; attraverso di esse si trovano le espressioni delle altre funzioni ter­
modinamiche, così come si è visto per l'energia interna U. Per calco­
lare però esplicitamente le proprietà di un sistema è necessario cono­
scere la sua energia E(r;, p;) che appare nella [4. 10] , o il suo peso
statistico W; la difficoltà sta nel fatto che per un sistema di molte
particelle interagenti queste funzioni sono così complicate da essere
intrattabili. Si ricorre allora a semplificazioni e a modelli che in alcu­
ni casi significativi consentono di fare i calcoli e di ottenere risultati

145
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

che giustificano le leggi fenomenologiche e che quindi sono in accor­


do con i dati sperimentali.
Nel caso del gas ideale, ad esempio, il problema si semplifica per­
ché l'energia totale si riduce alla somma delle energie E; di tutte le
particelle e la funzione di distribuzione relativa all'intero sistema di N
particelle [4. 10] si riduce al prodotto di N funzioni di distribuzione, ·

ciascuna relativa alla probabilità di trovare una particella in un intor­


no di r e di p; la funzione di distribuzione per una particella dipen­
de dall'energia E (r, p) della particella stessa e risulta essere ancora
della stessa forma:
(! (r, p) = ce - E(r, p)/kT = ce - E( p)lkT = (! ( p)

le ultime due uguaglianze tengono conto che in un gas ideale l' ener­
gia potenziale è nulla, dunque l'energia della particella dipende solo
da p, cioè è puramente energia cinetica. La statistica di un gas ideale
classico si chiama statistica di Maxwell-Boltzmann o, più brevemente,
di Boltzmann.
La meccanica statistica si è sviluppa� a nel secolo scorso, quindi ha
preso in considerazione sistemi classici, visto che la meccanica quan­
tistica si è sviluppata molto più tardi. Nonostante molti innegabili .
successi già all'inizio di questo secolo è risultato chiaro che in alcuni
casi i risultati a cui conduceva erano in netto disaccordo con i risulta­
ti sperimentali, ad esempio nel calcolo dell'intensità dello spettro del­
le radiazioni emesse da un corpo caldo (problema del corpo nero) e
nel calcolo del calore specifico dei solidi alle basse temperature. È
risultato dunque evidente che era necessario passare alla descrizione
quantistica.
La relazione fondamentale [4. 10] mantiene la sua validità, ove si
tenga conto che a uno stato quantico corrispondono autovalori dell'e­
nergia E; del sistema non più esprimibili in funzione delle r; e delle
p;. Si scrive allora, per le probabilità che un sistema abbia un'energia
E;:

dove C è ancora il fattore di normalizzazione; g; è i1 numero di stati


che corrispondono allo stesso autovalore E;, ossia il grado di degene­
razione. Gli integrali che esprimono i valori medi, come nella [4. I I ] ,
vanno sostituiti d a somme quando lo spettro degli autovalori E; è di­
screto.

146
4· LA STRUTTURA MICROSCOPICA DELLA MATERIA

FIGURA 4 . 1
Probabilità d i occupazione d i uno stato quantico, i n funzione della sua energia

Le curve corrispondono alla distribuzione statistica di Fermi-Dirac, per due diverse temperature. Si è
qui trascurata la debole dipendenza dalla temperatura del livello di Fermi 1-'F·

Anche nel caso quantistico la difficoltà sta nel trovare i possibili au­
tovalori dell'energia per un sistema complesso, e anche in questo ca­
so si deve ricorrere a semplificazioni e a modelli.
La statistica di un gas ideale quantistico di particelle identiche e
indistinguibili è molto diversa da quella di Maxwell-Boltzmann. Per
particelle a spin semi-intero, come gli elettroni, bisogna tener conto
infatti del principio di esclusione di Pauli; poiché non è possibile che
un dato stato quantistico ospiti più di una particella, la funzione di
distribuzione [4. 1 3 ] non vale e deve essere sostituita, per un sistema
di N particelle, dalla

/; è la probabilità che si trovi una particella nello stato (o in uno


degli stati, nel caso ci sia degenerazione) di energia E;; f.lp, detto livel­
lo di Fermi, è un parametro che dipende dalla temperatura e che si
ottiene dalla condizione di normalizzazione, ossia imponendo che la
somma su tutti gli stati della probabilità /; sia uguale a N. Questa è la
statistica di Fermi-Dirac (1926) e le particelle che le obbediscono si
dicono fermioni; la [4. 15] dice che, se la temperatura non è estrema­
mente alta, la probabilità di occupazione di uno stato dipende da e
come è mostrato nella FIG. 4.1, ed è dunque ben diversa da quella

147
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

descritta dalla statlsttca di Boltzmann; per T � o °K tutti gli stati


con E < !-lF sono occupati, tutti quelli con E > !-lF sono vuoti; l'ener­
gia media non si annulla, ma ha un valore dell'ordine di {lp; la distri­
buzione quantistica si approssima a quella classica per E > > 1-lF· Na­
turalmente /(E;) ha significato fisico solo per gli autovalori permessi
dell'energia; per i valori proibiti, che non corrispondono ad autovalo- ·

ri dell'equazione di Schrodinger, non ci sono né stati né particelle.


Le particelle a spin intero (come i fotoni) o nullo obbediscono
invece alla statistica di Bose-Einstein, la cui funzione di distribuzione
si ottiene dalla [4. I 5] cambiando nella parentesi il + I in -I ; esse
sono dette bosoni. Poiché non esiste il vincolo imposto dal principio
di esclusione, la probabilità di occupazione di uno stato può essere
superiore a uno, come nella statistica di Boltzmann.
È necessario ricordare che le statistiche di Bose-Einstein e di Fer­
mi-Dirac derivano dalla più generale statistica di Gibbs, nel caso di
gas ideali quantistici.
Il fatto che gli elettroni seguano la statistica di Fermi-Dirac e non
la statistica di Boltzmann ha una profonda influenza sulle proprietà
fisiche della materia.

Teoria cinetica

A differenza della meccanica statistica, che studia gli stati di equili­


brio dei macrosistemi, le teorie cinetiche hanno per oggetto gli stati e
i processi di non-equilibrio, e in particolare i processi di passaggio
verso lo stato di equilibrio di sistemi in cui sono presenti gradienti di
temperatura, di densità, di concentrazione, di potenziale ecc.
Obiettivo della cinetica è la giustificazione delle equazioni feno­
menologiche macroscopiche e il calcolo dei coefficienti cinetici che in
esse compaiono: coefficiente di viscosità, di diffusione, di conducibi-
-
lità elettrica e termica ecc.
I principali concetti e metodi della meccanica statistica conserva­
no la loro validità, ma mentre all'equilibrio le proprietà non dipendo­
no direttamente dal meccanismo delle interazioni microscopiche, per­
ché è sufficiente conoscere lo spettro energetico del sistema, nei pro­
cessi cinetici il meccanismo d'interazione gioca un ruolo essenziale.
Per questa ragione la cinetica è più complicata della meccanica stati­
stica, così che non esiste un'unica teoria, ma diversi metodi di ap­
prossimazione; con l'aumento della potenza dei mezzi di calcolo, si è
4· LA STRUTTURA M ICROSCOPICA DELLA MATERIA

diffuso il ricorso al calcolo numerico nello studio della evoluzione


temporale di un sistema fuori dall'equilibrio termodinamico.

4· 2
L'architettura

Come si è detto, se è vero che in linea di principio la conoscenza dei


costituenti elementari della materia, delle loro proprietà e delle leggi
fondamentali che ne governano l'interazione e il moto consente di
interpretare le proprietà della materia, è altrettanto vero che per
giungere a questo risultato occorrono modelli e approssimazioni. Il
lavoro concreto del fisico consiste nell'inventare, sulla base dei prin­
cipi generali e delle informazioni sperimentali disponibili, modelli
sensati e nel trovare gli strumenti teorici che consentono di inquadra­
re la ricca fenomenologia esistente e di prevedere fenomeni nuovi: in
altre parole di individuare gli elementi portanti dell'architettura del
complesso sistema rappresentato dalla struttura della materia.
Come è noto, i fisici non si sono trovati a disporre di punto in
bianco degli strumenti fondamentali (costituenti elementari e leggi
fondamentali) per disegnare l'architettura della materia; in mancanza
degli elementi costruttivi ottimali, inizialmente ci si è dovuti arrangia­
re con strutture provvisorie e rimediare alla parziale ignoranza con il
bricolage. Il processo è stato lento e laborioso, per alcuni decenni,
dalla fine dell'Ottocento fino a circa il 1930, ci si dovette accontenta­
re di modelli classici e di approssimazioni ad hoc nelle quali si inco­
minciavano a introdurre i nuovi concetti quantistici. D'altra parte è
fuorviante immaginare che il fisico si trovi di fronte a un ricco qua­
dro fenomenologico già consolidato e si ponga il pròblema dell'inter­
pretazione dal punto di vista microscopico. Lo stesso quadro speri­
mentale è in continua evoluzione, le tecniche di indagine si raffinano,
nuovi fenomeni fanno la loro apparizione. Il lavoro di costruzione
dell'architettura teorica non è quindi disgiunto dallo sviluppo speri­
mentale, anzi, fatti salvi i principi generali, si arricchisce attraverso la
fertile interazione con nuovi dati e nuovi fenomeni.
Un utile punto di partenza è la constatazione che i tre stati di
aggregazione fondamentali hanno proprietà fisiche differenti, quindi è
conveniente, anzi praticamente indispensabile, partire da modelli dif­
ferenti. I dati sperimentali sulla struttura spaziale dei tre stati di ag­
gregazione, ottenuti da esperienze di diffrazione di raggi X, di neu­
troni o di altre particelle, suggeriscono i modelli opportuni.

149
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

Struttura molecolare dei gas

Gas, liquidi e solidi non sono trattati come un aggregato di N nuclei


e di Z · N elettroni, racchiusi in un volume V e in equilibrio a una
temperatura T; per questa strada non si arriverebbe lontano. L'evi­
denza sperimentale dice che in un gas, in condizioni non estreme di
densità, atomi e molecole mantengono la loro individualità, dunque il
punto di partenza sono gli atomi e le molecole costituenti che si
muovono quasi liberamente nello spazio, e le forze attrattive e repul­
sive che fra essi si esercitano. L'esistenza di queste forze, che dipen­
dono dalla sostanza in esame, fa sì che in un gas, sistema tipicamente
disordinato, il disordine non sia completo, ma esista un certo ordine
a corto raggio, ossia una correlazione fra la posizione di una moleco­
la e la posizione media delle altre molecole che la circondano; questa
correlazione può essere calcolata e misurata con esperienze di diffra­
zione. Semplificando ancora, si può assumere che le forze siano tra­
scurabili (ossia che l'energia potenziale del sistema sia nulla) e consi­
derare il gas come un insieme di particelle dotate solo di energia ci­
netica; questo modello, in cui anche l'ordine a corto raggio scompare
(gas ideale), è stato alla base, nel secolo scorso, dei primi sviluppi
della meccanica statistica. Storicamente questa strada fu seguita, ben
prima che fosse nota l'esistenza degli elettroni e dei nuclei atomici.

Il plasma

Se invece la temperatura è sufficientemente alta, alcuni degli atomi


perdono un elettrone per ionizzazione termica, e allora il modello de­
ve essere radicalmente modificato (PAR. 3 . ro) ; si ha infatti un sistema
(plasma) composto in parte di particelle cariche, ioni ed elettroni; a
causa del lungo raggio d'azione delle forze coulombiane bisogna te­
nere conto dell'esistenza di moti collettivi, nei quali cioè il moto di
una particella è fortemente correlato a quello delle altre particelle del
sistema.

I solidi cristallini

Nel caso dei solidi i movimenti di traslazione dei nuclei e degli elet­
troni ad essi più legati (noccioli ionici) spariscono quasi del tutto;
rimangono dei moti oscillatori intorno a posizioni distribuite con re-

I 50
4 · LA STRUTTURA M ICROSCOPICA DELLA MATERIA

golarità periodica nello spazio (reticolo e struttura cristallina) . Dalle


esperienze di diffrazione X (W. H. Bragg e W. L. Bragg, 1913) si
risale alla struttura cristallina dei vari composti, e questo è il punto di
partenza dello studio delle proprietà di solidi ideali.

4.2 . 1 . Alcuni modelli

Vediamo ora qualche esempio di architettura provvisoria, nella quale,


in carenza di un quadro di riferimento assestato, si ricorre ad adatta­
menti delle strutture preesistenti o all'inserzione provvisoria di nuovi
elementi.
Del 1900 è il primo modello puramente classico della conduzione
elettrica e delle proprietà ottiche dei metalli (Paul Drude, 1 863-
1906) ; in esso - era appena stato scoperto l'elettrone - si assume che
in un metallo esista un gas classico denso di elettroni liberi, che si
muovono a zig-zag, che sentono l'influenza dei campi elettrici e ma­
gnetici esterni e che oscillano in risposta alla sollecitazione di una
radiazione elettromagnetica. Il modello, perfezionato da H. A. Lo­
renz, spiegava alcuni fenomeni, ma era largamente insoddisfacente ri­
spetto ad altri, come il fatto che il calore specifico dei metalli fosse
poco diverso da quello degli isolanti; in ogni casQ, inoltre, nessuna
spiegazione era data della differenza fra metalli e isolanti.
Intorno al 1910, per merito principalmente di E. Madelung e di
Max Born, furono gettate le basi della teoria classica dei cristalli ioni­
ci, con un modello molto semplice: una distribuzione ordinata nello
spazio di ioni metallici positivi e di ioni negativi (alogeni ecc. ) ; gli
ioni, a simmetria sferica, interagiscono attraverso forze elettrostatiche
a lungo raggio e attraverso forze repulsive a breve raggio. Esulava da
questo modello, fra l'altro, la comprensione delle proprietà ottiche.
Nel 1907 Peter Weiss ( 1 865-1940) formulò una teoria del ferro­
magnetismo introducendo il concetto di dominio ferromagnetico
(PAR. 3-7-5) e quello di campo molecolare, un concetto che per molti
anni dimostrerà la sua fertilità nell'interpretazione delle transizioni
ordine-disordine (PAR. 5 . 3 ) ; il campo molecolare, interno. al solido, ha
sui momenti magnetici elementari un'azione ordinatrice che contrasta
l'azione opposta all'agitazione termica e che deriva dal contributo di
tutti gli altri momenti magnetici elementari. La natura reale di questo
campo fu chiarita solo vent'anni dopo da Heisenberg, che ne indivi­
duò la natura quantistica.

15 1
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

I concetti quantistici fecero la loro comparsa nel 1906 nella spie­


gazione del comportamento alle basse temperature del calore specifi­
co dei solidi, ancora per merito di Einstein. La meccanica statistica
classica, assimilando un solido a un insieme di N oscillatori armonici
tridimensionali (tanti quanti sono gli atomi costituenti) , giustificava la
legge di Dulong e Petit; un calcolo semplice mostra infatti che l' ener�
gia media [4. r r ] è direttamente proporzionale al numero di oscilla­
tori e alla temperatura, dunque il calore specifico è indipendente da
T (e uguale a 3R per mole) . Ma andando verso le basse temperatu­
re il calore specifico diminuisce marcatamente, tendendo a zero per
T � o (PAR. 3,7.3 e FIG. 3 . 19) .
Einstein risolse parzialmente questa contraddizione; assunse un
modello un po' brutale, assimilando un solido a un sistema di N ato­
mi che oscillano tutti con la stessa frequenza v, e, come già aveva
fatto Planck per la radiazione elettromagnetica, introdusse l'idea che
l'energia di ogni oscillatore può variare solo di multipli interi di hv.
Sotto queste ipotesi risulta che l'energia media e il calore specifico
del solido tendono a zero per T � o °K, in discreto accordo con i
dati sperimentali tranne che in prossimità di o 0 K. lntuitivamente si
può così interpretare il risultato di Einstein: se si parte da una tem­
peratura prossima a o °K e si innalza di un poco la temperatura, l'e- ·

nergia termica media disponibile, dell'ordine di k T, è molto minore


del valore hv necessario per portare gli oscillatori dallo stato fonda­
mentale al primo stato eccitato; a r °K ad esempio l'energia termica
media è circa ro-4 eV, mentre hv è tipicamente o,2-o,o4 eV. Di con­
seguenza solo una piccola frazione degli N oscillatori assorbe energia
mentre il cristallo si riscalda, e, poiché globalmente la quantità di
energia assorbita da tutto il solido è molto piccola, anche il calore
specifico (alle basse temperature) è molto piccolo. Alle alte tempera­
ture (kT > hv) il modello prevede che il calore specifico molare ten­
da al valore classico 3R, in accordo con i dati sperimentali.
li limite principale del modello di Einstein è l'ipotesi che tutti gli
atomi oscillino con una stessa frequenza, e questo portava ancora a
una discrepanza con gli esperimenti in prossimità di o 0 K. Anche
questa difficoltà fu superata qualche anno più tardi da Peter Debye
( r884-1966), il quale tenne conto, ancora con un modello molto
semplice ma più realistico, dell'esistenza in un solido di oscillazioni
elastiche che coprono uno spettro di frequenze molto più ampio,
che va da zero a una frequenza massima; il modello di Debye è
4· LA STRUTTURA MICROSCOPICA DELLA MATERIA

in buon accordo con i dati sperimentali (cfr. FIG. 3 . 1 9 ) . In seguito


furono sviluppati modelli più realistici, che tenevano conto dettaglia­
tamente della struttura dei vari tipi di solido a scala atomica; essi
rientrano nel campo più ampio della dinamica reticolare.
Altri modelli ad hoc furono proposti, nel primo ventennio del se­
colo, per introdurre concetti quantistici nell'edificio classico preesi­
stente. Ad esempio Kamerlingh Onnes nel 19II cercò di interpretare
la diminuzione della conducibilità elettrica dei metalli alle basse tem­
perature attraverso l'interazione fra il moto classico degli elettroni di
conduzione e gli oscillatori di Einstein, ma con scarso successo. Il
tentativo più noto fu il modello proposto nel 1913 da Niels Bohr
( 1885-1962) per interpretare le proprietà dell'atomo di idrogeno. Ma
era ormai necessaria, come disse Nernst al primo Congresso Solvay,
«un'ampia ristrutturazione dei punti di vista fondamentali che abbia­
mo mantenuto saldi fino ad oggi»; non si poteva continuare, come
disse Sommerfeld in seguito, a risolvere i problemi «non con la testa
ma con la parte opposta del corpo». Ed era necessaria una base spe­
rimentale sulla struttura interna dei solidi, base che fu fornita nel
1912 da Max Von Laue ( 1 879-1960), allora libero docente (senza sti­
pendio) nell'Istituto di Monaco diretto da Arnold Sommerfeld ( 1 868-
195 1 ) , e dai suoi allievi Friedrich e Knipping; partendo da un pre­
supposto sbagliato o irrilevante (che gli atomi in un solido colpito da
raggi X emettessero radiazione per fluorescenza) , Laue scoprì che un
fascio di raggi X, attraversando un cristallo, non dava, su una lastra
fotografica posta a valle, solo una macchia diffusa, ma anche una fi­
gura regolare di punti luminosi (in realtà punti anneriti) collocati al
di fuori della direzione del fascio incidente. L'esperienza, per la quale
due anni dopo Laue ebbe il premio Nobel, dimostrava la natura on­
dulatoria dei raggi X, rispetto ai quali il reticolo ordinato degli atomi
del cristallo si comporta come un reticolo di diffrazione; era così di­
sponibile una " sonda" per studiare la struttura interna dei solidi.
Sommerfeld disse in seguito: «Le conseguenze di questa scoperta
per la comprensione della radia�ione X, della struttura atomica e del­
la struttura cristallina sono incalcolabili». Da allora la struttura reti­
colare di ogni tipo di solido cristallino, ottenuta sperimentalmente da
esperienze di diffrazione, è stata presa come punto di partenza per lo
sviluppo della teoria, perché la derivazione da principi primi sarebbe
troppo laboriosa. La distanza interatomica nei solidi è dell'ordine
dell'angstrom.

153
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

4.2.2. Si costruisce su basi solide

Intorno al I930 si consolidò la convinzione che, grazie all'avvento


della meccanica quantistica, tutti i problemi fondamentali della strut­
tura della materia avrebbero potuto essere risolti. I liquidi sono siste­
mi complicati e qui non li discuteremo. I solidi cristallini, grazie alla
simmetria nella distribuzione spaziale degli atomi (il concetto di ato­
mo viene usato per comodità di descrizione, anche se, come si è sot­
tolineato, in un solido gli atomi perdono in misura maggiore o mino­
re le loro caratteristiche principali) , possono essere trattati più age­
volmente. Anche assumendo come punto di partenza la struttura cri­
stallina, il problema è formidabile, perché si ha a che fare con un
enorme insieme di nuclei e di elettroni.
Dal punto di vista matematico la difficoltà è la seguente. Lo stato
del sistema (PAR. 4.I) è descritto da una funzione lJI, soluzione dell'e­
quazione di Schrodinger per gli stati stazionari. lJI è funzione delle
coordinate R1 degli N nuclei e delle coordinate r1 degli Z · N elettro­
ni che formano il solido (trascuriamo la coordinata di spin, o assu­
miamo che r1 includa anche quella). L'equazione di Schrodinger può
essere scritta facilmente, una volta nota la funzione hamiltoniana H,
che richiede solo la conoscenza dell'espressione dell'energia cinetica e
potenziale coulombiana degli elettroni e dei nuclei:

dove j = I, 2 . . N e i = I, 2 . . ZN; a è un insieme di numeri (i


. .

famosi numeri quantici) che indica uno degli stati fisicamente possi­
bili, quelli appunto che corrispondono a soluzioni dell'equazione di
Schrodinger. Un'equazione di questo genere, per un sistema che
comprenda più di una particella, non è risolubile, dunque non si può
conoscere la lJI esatta.

L'approssimazione adiabatica

Il primo passo fondamentale per avvicinarsi alla possibilità di ottene­


re una soluzione consiste nel separare l'equazione di Schrodinger
completa in due equazioni più semplici, una per lo stato dei nuclei,
l'altra per quello degli elettroni. Il metodo approssimato per ottenere
questa separazione fu proposto nel I927 da Max Born e da Robert
Oppenheimer ( I904-I967) , il fisico che in seguito diresse il Progetto

I 54
4· LA STRUTTURA M ICROSCOPICA DELLA MATERIA

Manhattan per costruire la bomba atomica. Intuitivamente si può


pensare che, in condizioni ordinarie, gli elettroni si muovono molto
più rapidamente dei nuclei, che sono più pesanti, così che gli stati
del sistema elettronico e lo spettro dei livelli energetici permessi pos­
sono essere calcolati assumendo che i nuclei occupino posizioni fisse
dalle quali esercitano la loro forza elettrostatica; i nuclei a loro volta
compiono le loro più lente oscillazioni intorno alle posizioni di equi­
librio del reticolo cristallino sotto l'azione delle forze repulsive inter­
nucleari e delle forze attrattive dovute agli elettroni. In realtà questa
approssimazione, detta adiabatica, fu formulata nello studio delle mo­
lecole, ma è anche il pilastro sul quale si basa la teoria dei solidi;
grazie ad essa l'equazione di Schrodinger completa si separa in due
equazioni, una per gli stati elettronici, l'altra per gli stati nucleari.
Il problema viene ulteriormente semplificato se si tiene conto che
gli elettroni più legati al nucleo (elettroni interni) si comportano co­
me gli elettroni atomici e hanno scarsa influenza sulle proprietà dei
solidi; essi possono essere trattati come parte del nucleo, del quale
schermano in parte il potenziale coulombiano, come in uno ione libe­
ro; è sufficiente allora tener conto dell'interazione di questi noccioli
ionici con gli elettroni residui (elettroni di valenza) , riducendo così
considerevolmente il numero delle variabili in gioco.
L'interazione fra stati elettronici e stati di oscillazione nucleari,
trascurata in questa prima fase, entra in gioco come correzione in
una seconda fase; l'agitazione termica dei noccioli ionici è considera­
ta come una perturbazione che non influisce sullo spettro energetico
degli elettroni, ma solo sulla distribuzione degli elettroni fra gli stati
permessi. Ad essa si deve, ad esempio, l'esistenza di una resistività
elettrica non nulla nei metalli, e la sua dipendenza dalla temperatura.

Le quasi-particelle

Ottenuta, tramite l'approssimazione adiabatica, la separazione fra sta­


ti elettronici e stati nucleari (o dei noccioli ionici) , si deve ancora
affrontare il problema di risolvere equazioni che coinvolgono l'intera­
zione fra molte particelle, e ancora una volta è necessario introdurre
approssimazioni, in modo da ridursi ad equazioni più semplici. I vari
modelli sviluppati a questo proposito tendono a ricondurre il proble­
ma relativo al sistema di molte particelle interagenti a un sistema di
oggetti che non sono più in mutua interazione.
Questi nuovi oggetti spesso si chiamano quasi-particelle, perché

155
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

delle particelle reali non conservano tutte le proprietà ma · nelle inte­


razioni reagiscono con una energia e una quantità di moto loro pro­
pria; in certi modelli essi hanno un significato intuitivo, perché sono
simili alle particelle reali delle quali vogliono descrivere le proprietà
fisiche; in altri casi il significato intuitivo si perde almeno in parte.
Gli atomi in un gas forniscono un esempio intuitivo (ma impreci:
so) di quasi-particella; invece di trattare l'interazione complicata fra
tutti i nuclei e tutti gli elettroni, si passa a un sistema ove ogni nu­
cleo lega Z elettroni a formare un atomo neutro (che dunque non è
in realtà una particella) e si tiene poi conto dell'interazione fra gli
atomi.
Nel caso di un sistema di n elettroni di valenza che interagiscono
fra di loro e con un reticolo cristallino di N noccioli ionici (n = N
per un solido formato da atomi monovalenti), il problema si semplifi­
ca sostituendo l'interazione reale con l'interazione di ogni elettrone
con un campo medio (o campo efficace) ; l'equazione complessiva si
può così spezzare in tante equazioni, in ciascuna delle quali l'auto­
funzione dipende direttamente solo dalle coordinate di un elettrone;
ogni elettrone ha quindi una sua autofunzione, alla quale corrisponde
un livello energetico; il campo elettrico statico al quale è soggetto ha
la simmetria del reticolo. Questo metodo si dice approssimazione a
elettroni indipendenti e, nel caso degli atomi, è stato introdotto da
D. Hartree nel 1928. Naturalmente rimane il problema di determina­
re il campo efficace, e questo si fa con modelli semplici o con metodi
numerici approssimati (campo auto-consistente) ; per gli elettroni in
un solido il campo efficace in ogni caso ha la struttura periodica del
reticolo cristallino.

Gli elettroni liberi

Il modello più semplice di approssimazione a elettroni indipendenti


fu sviluppato da Sommerfeld tra il 1927 e il 1930 per spiegare alcune
proprietà dei metalli. Egli assunse, senza darne alcuna giustificazione,
che un metallo costituito da N atomi monovalenti (per esempio un
metallo alcalino, come il sodio) consistesse di N noccioli ionici e di N
elettroni di valenza (detti anche di conduzione, perché responsabili
delle proprietà elettriche) , che il campo medio su ogni elettrone al­
l'interno del metallo fosse nullo e che ogni elettrone fosse confinato
nello spazio fisico occupato dal metallo. Dunque il potenziale attratti­
vo esercitato dagli ioni del reticolo su ogni elettrone per Sommerfeld
4· LA STRUTTURA M ICROSCOPICA DELLA MATERIA

è esattamente bilanciato dalla repulsione media di tutti gli altri elet­


troni, così che ogni elettrone si può considerare come una particella
libera entro il volume del metallo che obbedisce alle leggi della mec­
canica quantistica. Questa approssimazione è nota come teoria degli
elettroni liberi; gli elettroni si comportano come un gas ideale quanti­
stico, che segue la statistica di Fermi-Dirac; ogni stato quantico dun­
que non può ospitare più di un elettrone. Ideale significa che l'intera­
zione mutua è nulla.
Naturalmente non è vero che il gas di elettroni è un gas ideale;
da un lato è necessario tener conto del fatto che esiste l'interazione
con il reticolo di ioni, dall'altro che la repulsione elettrostatica a lun­
go raggio fra gli elettroni può dar luogo a effetti cooperativi, ad
esempio oscillazioni collettive che coinvolgono il gas nel suo comples­
so.
Del primo fatto si tiene conto nella teoria delle bande, che spiega
finalmente in modo soddisfacente le proprietà dei solidi ideali, for­
mati cioè da un reticolo perfetto, senza irregolarità, quindi dotato di
simmetria traslazionale; del secondo nella teoria delle oscillazioni di
plasma nei metalli, sviluppata da D. Bohm e D. Pines e nella teoria
di Landau del liquido di Fermi (anni Cinquanta) e in genere nelle
teorie degli effetti collettivi, o dei molticorpi, che richiedono un' ela­
borazione matematica complessa. Le eccitazioni delle oscillazioni del
plasma elettronico nei metalli, trattate con la meccanica quantistica,
sono un esempio di quasi-particelle e sono note come plasmoni.

La dinamica reticolare

L'equazione per gli stati nucleari (o dei noccioli ionici o, per sempli­
cità, degli atomi del solido), ottenuta grazie all'approssimazione adia­
batica, è anch'essa complessa, perché coinvolge particelle in forte in­
terazione. Essa descrive lo stato dinamico degli atomi che oscillano
intorno ai nodi del reticolo cristallino, e queste oscillazioni sono for­
temente accoppiate, diversamente da quanto ha assunto Einstein nel
suo primo modello. La trattazione si semplifica enormemente se si
assume che le forze interatomiche siano puramente elastiche, cioè di­
rettamente proporzionali alla variazione della distanza che separa nel
solido le varie coppie di atomi. Questa approssimazione, pienamente
giustificabile nel caso in cui le oscillazioni non siano troppo ampie,
quindi nella maggior parte dei casi fisici reali, si chiama armonica. La
meccanica classica ci insegna che un sistema di N particelle accoppia-

157
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

te elasticamente è energicamente equivalente a un sistema di 3 N


oscillatori lineari armonici, e dà il modo per calcolare le varie fre­
quenze di oscillazione (spettro delle frequenze) ; la simmetria del cri­
stallo consente di semplificare il calcolo dello spettro delle frequenze.
In altre parole, lo stato di oscillazione di N particelle accoppiate ar­
monicamente è descritto dalla sovrapposizione di 3 N onde sinusoi­
dali nel cristallo, ciascuna onda caratterizzata da una sua frequenza v
e lunghezza d'onda A; queste onde hanno una distribuzione di fre­
quenze che va da zero (limite delle onde lunghe elastiche) a un valo­
re massimo tale che la A corrispondente è dell'ordine della distanza
interatomica. La funzione hamiltoniana globale del solido cristallino
si spezza in una somma di 3 N hamiltoniane, ognuna delle quali con­
tiene solo le coordinate di uno degli oscillatori, di conseguenza l'e­
quazione di Schrodinger si separa in 3 N equazioni, di cui si conosce
la soluzione esatta. Abbiamo visto che un oscillatore quantistico di
frequenza v può acquistare o perdere energia solo per quantità finite
uguali a multipli interi dell'eccitazione elementare h v; lo stato dina­
mico di un cristallo è allora descritto da un gas ideale di queste ecci­
tazioni elementari, che sono le quasi-particelle del sistema. Esse han­
no spin intero, e la statistica di Base-Einstein ci dice come queste
quasi-particelle, dette fononi, a una temperatura T sono distribuite
fra i vari oscillatori. Alle basse temperature sono eccitati quasi esclu­
sivamente gli oscillatori di bassa frequenza, che corrispondono alle
onde elastiche di lunghezza d'onda molto maggiore della distanza in­
teratomica (passo reticolare) ; questo fatto giustifica la bontà del mo­
dello di Debye nello spiegare la dipendenza dalla temperatura del ca­
lore specifico per T � o 0K.
I risultati della dinamica reticolare hanno trovato ottime conferme
sperimentali grazie alla tecnica di diffusione inelastica dei neutroni.
Un neutrone che incide su un solido, interagendo con le oscillazioni
del reticolo, può perdere o guadagnare una quantità di energia hv,
creando un fonone, o assorbendolo; la variazione di energia può es­
sere misurata agevolmente se l'energia del neutrone è dell'ordine di
grandezza dell'energia del fonone ( ro - 2 - I O - r eV) , che corrisponde a
quella di un fascio di neutroni lenti (termici) ; misurando le variazioni
di energia di un fascio di neutroni incidente su un solido e da esso
diffuso, si ottengono le informazioni sulla densità di oscillatori armo­
nici nel solido, in funzione della frequenza.
Si è dato finora un cenno della dinamica reticolare in approssima­
zione armonica; se questa fosse rigorosamente esatta, non si spieghe-
4· LA STRUTTURA M ICROSCOPICA DELLA MATERIA

rebbero alcuni fenomeni importanti, come la dilatazione termica dei


solidi e la resistività termica degli isolanti. Il passo successivo è l'in­
troduzione delle correzioni portate dai termini anarmonici, ossia dai
contributi (piccoli) alla forza di interazione che dipendono da poten­
ze della distanza interatomica superiori alla prima. L'esistenza dell'a­
narmonicità fa sì che il gas di fononi non sia rigorosamente un gas
ideale, ma che si abbia un'interazione fonone-fonone.

L'interazione fra le quasi-particelle

Si è accennato in qualche occasione al fatto che nei solidi l'interazio­


ne fra le quasi-particelle gioca un ruolo essenziale nei processi cineti­
ci: l'interazione elettrone-fonone è responsabile della resistività eletc
trica e termica nei metalli, l'interazione fonone-fonone è responsabile
della resistività termica degli isolanti. È opportuno aggiungere che
l'interazione fra le quasi-particelle rende possibile stati eccitati di tipo
interamente nuovo. Si è già detto dell'interazione elettrostatica nel
gas di elettroni liberi, che dà luogo alle oscillazioni di plasma e a stati
eccitati collettivi quantizzati, le cui eccitazioni elementari prendono il
nome di plasmoni. Molto importante è un tipo di interazione elettro­
ne-elettrone mediata dai fononi; essa conduce, in certi metalli e in
certe leghe, alla formazione alle basse temperature di stati legati di
coppie di elettroni, a spin antiparalleli, le coppie di Cooper. Intuitiva­
mente la formazione di una coppia di Cooper può essere immaginata
nel modo seguente: un elettrone che si muove in prossimità degli ioni
positivi esercita un'attrazione elettrostatica che ne disturba le oscilla­
zioni e provoca una deformazione locale del reticolo; un secondo
elettrone che si muove a una certa distanza dal primo è sensibile a
questa deformazione, così che ne risulta un'interazione attrattiva che
vince la repulsione coulombiana fra gli elettroni; quindi in pratica i
due elettroni interagiscono per mezzo della deformazione reticolare
(o campo fononico) . All'esistenza di queste coppie si deve l'appari­
zione della fase superconduttrice; che l'interazione sia mediata dalle
vibrazioni reticolati è suggerito dall'effetto isotopico (PAR. 3-7-6) .

Le imperfezioni reticolari

Abbiamo fin qui tratteggiato a grandi linee le basi essenziali dell'ar­


chitettura che permette di inquadrare le proprietà fisiche (intrinseche)
dei solidi ideali, dei solidi cioè formati da una distribuzione nello

159
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

spazio di atomi che formano un reticolo dotato di simmetria trasla­


zionale perfetta. Nella realtà i reticoli cristallini contengono, in misu­
ra maggiore o minore, impurezze (atomi estranei) e irregolarità di va­
rio genere, responsabili di proprietà fisiche importanti (proprietà
estrinseche), come il colore e la luminescenza di alcuni cristalli, la
conducibilità elettrica di alcuni semiconduttori, le proprietà meccani­
che dei metalli.
L'esistenza di queste imperfezioni in alcuni casi può essere deri­
vata dalle leggi generali sopra richiamate; ad esempio la meccanica
statistica ci dice che in ogni solido in equilibrio termodinamico alcuni
dei nodi del reticolo non sono occupati da atomi ma sono vuoti (po­
sti vacantz) . In altri casi è un dato di fatto che dipende da come è
stato ottenuto e da come è stato trattato uno specifico campione di
solido; ad esempio la presenza, in un solido di un tipo, di atomi di
un altro elemento chimico dipende dalla purezza del materiale di
partenza, dai metodi di crescita o da un'aggiunta intenzionale (dro­
gaggio) .
A questo punto si tratta di scendere dal generale al particolare,
ossia di mostrare come le molte proprietà macroscopiche della mate­
ria illustrate nel CAP. 3 rientrano nell'architettura microscopica ora
delineata. L� spazio ancora disponibile non ci consente tuttavia una
discussione esauriente, dunque dobbiamo accontentarci di qualche
esempio significativo.

4·3
I solidi ideali

Sulla base dell'approssimazione adiabatica, dell'approssimazione a


elettroni indipendenti, dell'approssimazione armonica e della cono­
scenza della struttura reticolare dei vari tipi di solido siamo in grado
di interpretare le proprietà fisiche Jntrinseche dei solidi; queste sono
le proprietà dei solidi ideali, ossia di quel modello di solido nel quali
sono assenti le imperfezioni reticolati.

4·3 · 1 . Proprietà elettroniche. Teoria delle bande

La soluzione dell'equazione di Schrodinger per un elettrone nel po­


tenziale periodico del reticolo fu data per la prima volta da Felix
Bloch nel 1927, usando un modello unidimensionale; in seguito furo­
no sviluppati vari metodi per affrontare il problema in tre dimensioni

r6o
4· LA STRUTTURA MICROSCOPICA DELLA MATERIA

nei vari tipi di solido. Le funzioni d'onda monoelettroniche dei vari


stati quantici in un solido risultano essere un compromesso fra quelle
dell'elettrone libero (onda piana, caratterizzata da una lunghezza
d'onda À di de Broglie e da un momento p = (hhn)k, dove /k/ =
2n/À) e quelle degli elettroni atomici, localizzate in prossimità dei nu­
clei del reticolo (FIG. 4.2) ; 1/Jk(r) è dunque il prodotto di un'onda
piana, caratterizzata dal suo k, per una funzione che ha la periodicità
del reticolo, ed è detta funzione di Bloch. La probabilità di trovare
l'elettrone in un punto è distribuita su tutto il reticolo, con addensa­
menti in prossimità degli ioni. Gli autovalori (livelli) dell'energia cor­
rispondenti e(k) sono anch'essi un compromesso fra quelli di un ato­
mo isolato (solo certi livelli Ei sono permessi, tutti gli altri valori sono
proibiti) e quelli di un elettrone libero, che ricoprono tutto lo spettro
in modo continuo, senza limitazioni. In un solido cristallino i livelli
sono distribuiti in modo quasi continuo entro certi intervalli, detti
bande di energia permesse, mentre in altri intervalli non si hanno li­
velli permessi (gap proibito) ; si può pensare a una corrispondenza fra
i livelli atomici e le bande di energia che hanno origine quando N
atomi vengono awicinati fino a formare un solido.

FIGURA 4.2
Funzione d'onda di un elettrone in un potenziale periodico

Le sfere ombreggiate indicano i noccioli ionici che octupano i nodi del reticolo; la linea sinusoidale
tratteggiata rappresenta l'onda piana che entra nella funzione di Bloch.

In ogni banda permessa gli stati quantici sono distribuiti con una
densità g(e) che varia con e; la somma (o l'integrale) di g(e) su una
banda dà il numero totale di stati che appartengono a quella banda;
tale numero è uguale a N moltiplicato per un numero uguale a quello
degli stati atomici che corrispondono al livello di energia dell'atomo
da cui la banda ha origine, ossia al grado di degenerazione del livello
atomico (PAR. 4.1.2) ; ad esempio, per gli elettroni di valenza dei me-
FIGURA 4·3
Bande di energia e densità degli stati nei solidi cristallini

6AP PftO I &ITO

&. li l>,t., DI
CONDU Z I O N E

� .. �-'- · E,

c } { (t)

�Nt>A DI VALEIIZA &ANDA DI COI"Il>U Z I O H E:


COMPLETA MENTE COMPL(TAI'I ENTE
OCCU P..TA VUOTA

€. or }J. , E. ,

162
4· LA STRUTTURA MICROSCOPICA DELLA MATERIA

FIGURA 4-3 (segue)

o) 8 (t:)

é.< }'. , é.

E) né l

- � T : O" K
l
l

T,

i< F E

A) Due bande permesse separate da un gap proibito; in ordinata la densità degli stati in funzione di E;

Dirac in un isolante; D) Cristallo metallico: la banda di conduzione è occupata solo parzialmente; E)


B) Cristallo isolante: tutti gli stati della banda di valenza sono occupati; C) Distribuzione di Fermi­

Distribuzione di Fermi-Dirac in un metallo.

talli alcalini la banda contiene 2 N stati, per gli elettroni di valenza di


un sale alogenuro alcalino la banda contiene 6 N stati. Per il princi­
pio di Pauli la banda di valenza di un metallo alcalino può ospitare
al massimo 2 N elettroni, quella di un alogenuro alcalino può ospitar­
ne al massimo 6 N. La FIG. 4· 3 illustra in modo schematico due ban­
de permesse, il gap proibito e la densità degli stati. L'ampiezza delle
bande è tipicamente dell'ordine di alcuni eV; il gap di energia Eg va­
ria da circa IO eV per alcuni isolanti a quasi zero per alcuni semicon-
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

duttori; in alcuni casi le bande permesse si sovrappongono il gap


scompare (Ca, Sr, Ba ecc.) e si ha un comportamento metallico.

4-3.2. Gli isolanti

La distinzione fra metalli e isolanti si basa sul grado di occupazione


degli stati della banda di valenza da parte degli elettroni disponibili.
Un solido è isolante se la banda di valenza è piena, ossia se il nume­
ro di elettroni è uguale al numero di stati disponibili, e se la banda
successiva, detta di conduzione, è vuota (FIG. 4.3b) . In questo caso
un campo elettrico esterno non può creare una ridistribuzione degli
elettroni fra gli stati, aumentando il numero di quelli che si muovono
in un verso a spese di quelli che si muovono in verso opposto, dun­
que non si ha una corrente elettrica macroscopica; ciò non significa
che gli elettroni nel solido siano fermi, ma solo che il numero di
quelli che si muovono in versi opposti si bilancia esattamente, così
che la corrente netta è nulla. Questa è una diretta conseguenza del
principio di Pauli.
Un discorso analogo vale nel caso che esista nell'isolante un gra­
diente di temperatura: anche in questo caso la distribuzione degli
elettroni non può cambiare, dunque negli isolanti elettrici gli elettro­
ni non contribuiscono alla conducibilità termica, che è affidata solo
alle vibrazioni reticolati.
La situazione cambia se si eccitano con qualche mezzo fisico gli
elettroni dalla banda di valenza alla banda di conduzione, fornendo
loro un'energia 2: Eg ; in questo caso infatti la banda è quasi comple­
tamente vuota e l'elettrone eccitato può cambiare energia e velocità
sotto l'azione di un campo esterno. Per un isolante con un gap tipico
di alcuni eV l'eccitazione si potrebbe ottenere applicando campi elet­
trici dell'ordine del milione di volt per centimetro, ma il sistema non
sopporta campi tanto elevati e si ha, prima di raggiungerli, una scari­
ca (rottura del dielettrico) . Se invece un fotone di energia hv 2: Eg
incide sull'isolante, si ha l'assorbimento del fotone e l'eccitazione di
un elettrone dalla banda di valenza alla banda di conduzione; in pre­
senza di un campo esterno si ha allora un debole passaggio di cor­
rente (fotoconduttività) , alla quale questa volta contribuiscono anche
gli elettroni della banda di valenza, che non è più completamente
occupata; nella FIG. 4.3b è mostrato il fotoelettrone in banda di con­
duzione e lo stato lasciato vuoto in banda di valenza, che prende il
nome di lacuna o buca.
4· LA STRUTTURA MICROSCOPICA DELLA MATERIA

Un fotone con energia hv < Eg non è assorbito da un isolante,


perché il fotoelettrone dovrebbe essere eccitato a un valore di e che
cade nel gap proibito, al quale dunque non corrisponde uno stato
quantico; questa condizione spiega perché lo spettro di assorbimento
ottico degli isolanti presenta trasparenza nel visibile (FIG. 3 . 17a) ; il
limite della trasparenza, verso le altre frequenze, è tanto più esteso
quanto maggiore è Eg · Per una trattazione più accurata è necessario
tener conto della possibilità che si formino stati legati elettrone-buca,
che possono abbassare la soglia della trasparenza; tali stati prendono
il nome di eccitoni e sono un altro esempio di quasi-particella.
Dalla teoria delle bande si ottiene anche un altro risultato, appa­
rentemente controintuitivo: sotto l'azione di una forza esterna, dovuta
per esempio a un campo elettrico E , l'elettrone in una banda di ener­
gia non si comporta come una particella libera di massa me, ma come
se avesse una massa efficace m * che in generale è diversa da me:

Festerna = - eE = m�a

m * può essere maggiore o minore di me, o anche di segno negativo.


Dalla [4. 17] si vede che in quest'ultimo caso, sotto l'azione di uri.a
forza esterna, l'elettrone decelera anziché accelerare, ossia reagisce
come se avesse carica elettrica opposta a quella dell'elettrone libero;
tale comportamento è tipico degli elettroni che hanno energia prossi­
ma al limite superiore di una banda, e che per questo vengono de­
scritti come buche positive, di massa positiva mh * = - me* e di carica
+ e; lo stato lasciato vuoto nella banda di valenza in seguito a fo­
toeccitazione (FIG. 4-3b) si comporta come una buca positiva; a que­
sto tipo di comportamento si deve l'effetto Hall anomalo, osservato ·
in alcuni metalli e nei semiconduttori (PAR. 3 -7-4) e interpretato da
Rudolf Peierls nel · 1929.
Il concetto di massa efficace origina dall'interazione dell'elettrone
col potenziale periodico del reticolo; la [4. 17] non è la normale legge
della dinamica, perché la forza che compare al primo membro è solo
la forza applicata al cristallo dall'esterno e ignora le forze esercitate
sull'elettrone dal reticolo; l'azione di queste ultime è tale da modifi­
care la risposta dell'elettrone alla Fest > dunque in realtà la me* non
descrive la particella elettrone, ma la quasi-particella elettrone in inte­
razione con il potenziale periodico, che si comporta per il resto come
libera; la resistività elettrica infatti non ha origine dall'interazione con
il potenziale periodico, ma con le deviazioni da esso, dovute alle
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

oscillazioni del reticolo. Il cambiamento dal comportamento tipo elet­


tronico (m� > o) a quello di tipo buca positiva (m� < o) è appunto
dovuto al fatto che, quando la lunghezza d'onda associata alla IJik si
avvicina al passo reticolare, entrano in gioco effetti di interferenza,
provocando una decelerazione della particella che invece dovrebbe
essere accelerata dal campo esterno. Il valore della massa efficace nei
vari tipi di solido si calcola nel quadro della teoria delle bande.
(Questa esposizione è formalmente semplificata perché in realtà m'�
non è uno scalare ma un tensore del second'ordine - cfr. Sch ede -,
ma la sostanza fisica del ragionamento mantiene la sua validità.)

4·3 · 3 · I semiconduttori

Nel considerare piena, per un isolante, la banda di valenza, e vuota


la banda di conduzione, si è implicitamente applicata la statistica di
Fermi-Dirac al gas ideale di quasi-particelle. Dalle condizioni di nor­
malizzazione infatti risulta che f-lF cade nel mezzo del gap, così che
per T = o oK la probabilità di occupazione degli stati nella banda di
valenza è uno e la banda è piena (il numero di particelle è uguale al
numero degli stati disponibili), mentre la probabilità di occupazione
degli stati della banda di conduzione è nulla e la banda è vuota. An­
che a T -=/:- o la situazione non cambia, perché, quando Eg è dell'ordi­
ne di alcuni eV, /(e) è ancora praticamente uno per E :::::; Ev e pratica­
mente zero per e � Ec (FIG. 4.3c) ; occorrerebbero temperature estre­
mamente elevate, che il solido non sopporta, per modificare in misu­
ra significativa questa distribuzione. Ciò significa che in un buon iso­
lante l'agitazione termica non è sufficiente per fornire a un elettrone
di vahmza l'energia sufficiente (> Eg ) per portarlo alla banda di con­
duzione.
Diversa è la situazione nei solidi semiconduttori, nei quali Eg è
relativamente piccolo, dell'ordine di I eV o inferiore. Per T = o °K
la distribuzione degli elettroni nelle due bande è come in un isolante,
ma se la temperatura è sufficientemente elevata (in buona parte dei
casi già alla temperatura ambiente) le code della distribuzione di Fer­
mi-Dirac penetrano nelle due bande permesse. In questo caso si han­
no alcuni stati non occupati nella banda di valenza, che si comporta­
no come buche positive, e un ugual numero di stati occupati nella
banda di conduzione, che si comportano come elettroni, con massa
efficace appropriata: ambedue le bande contribuiscono alla conduci­
bilità. Quando kT << Eg (alla temperatura ambiente kT è dell'ordine

166
4 · LA STRUTTURA MICROSCOPICA DELLA MATERIA

del centesimo di eV) , la distribuzione di Fermi-Dirac può essere ap­


prossimata da quella di Boltzmann, perché la densità degli elettroni
nella banda di conduzione è bassa (il gas di elettroni è non degene­
re) : la densità di elettroni e buche è allora, con buona approssimazio­
ne:

Poiché la densità di corrente elettrica è proporzionale al numero di


portatori, si spiega così la forte dipendenza dalla temperatura della
conducibilità elettrica in un semiconduttore (FIGG. 3.23 e 3 . 24) ; nel
silicio, ad esempio, la conducibilità a 1 . 200 °C è 100 volte più alta di
quella a 450 o c . Qui si sono esaminate le proprietà dei semicondutto­
ri puri (intrinseci) ; vedremo in seguito il ruolo determinante di impu­
rezze specifiche.

4·3+ I metalli

Quando il numero di stati in una banda è maggiore del numero di


elettroni disponibili, il solido è un metallo. Il livello di Fermi viene a
cadere all'interno della banda e per T = o oK tutti gli stati a cui
corrispondono livelli E :5 f.lF sono occupati, mentre tutti gli stati con
E > f.lF sono vuoti (FIGG. 4.3d, 4.3e) ; metà degli elettroni ha spin in
un verso, l'altra metà nel verso opposto. In questa situazione di ban­
da solo parzialmente occupata il gap d'energia è assente (gli eventuali
gap alle energie inferiori sono inefficaci), allora un campo elettrico
esterno ridistribuisce gli elettroni fra gli stati in prossimità di f.lF e si
ha conduzione di elettricità; anche un gradiente termico produce lo
stesso effetto, e per questo gli elettroni di conduzione in un metallo
contribuiscono alla conducibilità termica, che è più elevata di quella
di un isolante.
La prossimità dei livelli energetici degli stati occupati e di quelli
vuoti spiega anche le altre proprietà fisiche dei metalli. Un fotone
che incide su un metallo viene assorbito, anche quando la sua fre­
quenza (e la sua energia) è piccola, e per questo i metalli presentano
assorbimento ottico (sono opachi alla radiazione) su tutto lo spettro.
Innalzando la temperatura, l'energia termica media disponibile,
dell'ordine di k T, fa sì che gli elettroni con energia in prossimità di
f.lF vengano eccitati ai livelli immediatamente al di sopra di f.lF, perché
trovano stati permessi e vuoti; gli elettroni più legati, al contrario,
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

non risentono della variazione di temperatura, perché non trovano


stati disponibili, ossia per il principio di esclusione di Pauli. Poiché
per tutte le temperature a cui il metallo può essere portato è k T < <
IJp, solo una frazione piccola degli elettroni di conduzione del metallo
partecipa a questo processo; le FIGG. 4.3d, 4.3e mostrano la variazio­
ne della probabilità di occupazione degli stati in prossimità di IJF alla
temperatura di T, > o 0 K. La statistica classica, basandosi sul model­
lo di un gas classico di elettroni liberi, ciascuno dei quali varia la sua
energia cinetica media al variare della temperatura, prevede che il
sistema degli elettroni di conduzione dia un grosso contributo (3/ 2
Rn all'energia interna e al calore specifico (3h R) di un metallo, e
ciò contrasta con i dati sperimentali. Calcoli semplici mostrano inve­
ce che l'energia media del gas degenere di elettroni sia proporzionale
a P e alla densità degli stati al livello di Fermi (g(IJp)) e che il calore
specifico elettronico dei metalli sia piccolo e proporzionale a g(IJp) T,
in accordo con i dati sperimentali.
Anche il debole paramagnetismo dei metalli (paramagnetismo di
Pauli) è ben interpretato in questo schema: solo una frazione degli
elettroni di conduzione, quelli con energia prossima al livello di Fer­
mi, varia l'orientazione del proprio spin e del proprio momento ma­
gnetico in presenza di un campo magnetico esterno; la maggioranza
di essi è bloccata negli stati lontani da IJF, così che il numero di quel­
li con spin in un verso è bilanciato quasi completamente dal numero
di quelli con spin orientato nel verso opposto.

4·3·5· Proprietà ferromagnetiche

Si è visto che alcuni solidi presentano una magnetizzazione spontanea


(in assenza di un campo magnetico esterno H) alle temperature infe­
riori a una temperatura critica Te (PAR. 3 ·7·5 ) . Devono dunque esiste­
re, nel reticolo cristallino, atomi o ioni dotati di un momento magne­
tico non nullo e una forte interazione in grado di allineare tali mo­
menti magnetici, contrastando l'azione disordinatrice dell'agitazione
termica (campo locale, o campo medio) . La teoria classica non è stata
in grado di spiegare l'origine dell'interazione; un'interazione pura­
mente magnetica fra i momenti magnetici atomici dovrebbe dare
campi dell'ordine dei milioni di gauss e questo è impossibile, perché
uno ione dotato di momento magnetico genera un campo di soli
r .ooo gauss su un posto reticolare vicino, e il campo decresce come

r68
4· LA STRUTTURA M ICROSCOPICA DELLA MATERIA

l'inverso del cubo della distanza. Si deve a Werner Heisenberg


( 1927) la prima spiegazione quantomeccanica dell'interazione respon­
sabile dell'ordine magnetico spontaneo; il meccanismo di allineamen­
to degli spin non ha natura magnetica ma dipende, in un modo un
po' difficile da spiegare, dal fatto che l'energia di repulsione coulom­
biana di elettroni con spin paralleli è diversa da quella di elettroni
con spin antiparalleli. Lo sviluppo della teoria sulla strada aperta da
Heisenberg spiega l'esistenza dei vari tipi di ordine magnetico a cui
l'interazione quantomeccanica dà origine (FIG. 4-4) . Esperienze di
diffusione di neutroni polarizzati, di risonanza magnetica nucleare e
di effetto Mossbauer ne hanno confermato l'esistenza.

FIGURA 4 · 4
Ordine magnetico

FERROMA10Nii.T1 5MO F O: R R I M A 6 l'I E.T I S M O A � T I FE. R R O 1'\ }\ 6 N ET 1 5M0

Le frecce indicano l 'orientazione dei momenti magnetici atomici in u n reticolo schematizzato come uni·
dimensionale, per T < < Tn nei tre casi più significativi.

4.3.6. Dinamica reticolare. Modello unidimensionale

Si è visto che la meccanica classica consente di calcolare lo spettro di


frequenze di un sistema di N particelle accoppiate elasticamente (ap­
prossimazione armonica), quindi di passare da un'unica equazione
quantistica che descrive la dinamica dell'intero sistema a 3N equazio­
ni disaccoppiate, una per ognuno dei modi vibrazionali dei 3N oscil­
latori lineari a cui il sistema equivale energicamente. Anche tenendo
conto delle grandi semplificazioni dovute al fatto che si ha a che fare
con un reticolo periodico, la soluzione del problema è complicata; è
istruttivo allora ricorrere a un modello di cristallo unidimensionale
che, nonostante la sua artificiosità, contiene alcuni aspetti significativi
della dinamica di un cristallo reale (tridimensionale) .
Supponiamo di avere una catena lineare infinita biatomica com­
posta cioè di due tipi di atomi, di massa M1 e M2 , posti a una distan-
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

za a, e che ognuno di essi sia accoppiato elasticamente ai due atomi


prossimi con una forza proporzionale alla distanza (FIG. 4.5 ) . Quan­
do gli atomi sono a riposo nei nodi del reticolo la forza risultante
dalle interazioni con i due. atomi vicini è nulla. Quando la catena
oscilla (consideriamo per comodità le oscillazioni trasversali), la forza
è proporzionale alla variazione della distanza rispetto agli atomi vici­
ni; gli atomi possono oscillare in fase o contro-fase (FIGG. 4.5b, 4.5c) .
È facile scrivere le equazioni classiche del moto per ciascun atomo
della catena, uguagliando la somma delle forze esercitate dai due ato­
mi vicini al prodotto della massa per l'accelerazione; le soluzioni del­
le equazioni del moto sono onde piane di frequenza v e di lunghezza
d'onda À . Si trova infine che per ogni valore di À esistono due oscil­
lazioni di tipo diverso, con due diversi valori della frequenza e si tro­
vano le due relazioni fra v e À (FIG. 4.5d) , dette relazioni di disper­
sione.
La figura mostra che nella catena lineare biatomica si hanno vi­
brazioni solo per certi intervalli di frequenze, da zero a una prima
frequenza massima, quindi un intervallo proibito, quindi ancora un
intervallo di frequenza permesso; il ramo inferiore della curva v ( À ) si
chiama branca acustica e, per À grande, descrive le oscillazioni nelle
quali i due tipi di atomi si muovono in fase (FIG. 4.5b ) ; il ramo supe­
riore, detto branca ottica, descrive le oscillazioni controfase (FIG.
4.5c) . Il reticolo discreto introduce quindi nello spettro di frequenze
delle oscillazioni un gap proibito, analogamente a quanto si è visto
per lo spettro di energia degli elettroni. Nella branca acustica, per À
> > a, v varia linearmente rispetto a À - r , ossia la velocità di propaga­
zione dell'onda (v = À.v) è costante, come in una corda elastica conti­
nua; al diminuire della lunghezza d'onda la velocità di propagazione
decresce, fino a che si annulla quando À è uguale al doppio del passo
reticolare ( À= �) ; questa è anche la più piccola lunghezza d'onda
che si può avere nella catena: il reticolo periodico riflette l'onda ela­
stica come, nelle analoghe condizioni di Bragg, riflette i raggi X; si
ha allora un'onda stazionaria, che non si propaga.
Tenendo conto del fatto che la catena lineare non è infinita, ma è
costituita da un numero N finito di atomi, dalla relazione di disper­
sione si ottiene la funzione di distribuzione g( v) per le frequenze de­
gli oscillatori. Poiché la distribuzione statistica di Base-Einstein ci dà
il numero medio di fononi (quanti di eccitazione di energia h v;) che
stanno su un oscillatore di frequenza V;, in funzione della temperatu­
ra, la conoscenza di g( v) consente di calcolare le funzioni termodina-

170
4· LA STRUTTURA M ICROSCOPICA DELLA MATERIA

FIGURA 4-5
Dinamica di una catena lineare biatomica

B)

c)

6RA N C A OTT I C A

D)

A) Catena a riposo; gli atomi sono accoppiati elasticamente; il passo reticolare è uguale al doppio della
distanza a fra primi vicini; B) Oscillazione trasversale in fase (modo vibrazionale acustico); C) Oscilla­
zione controfase (modo ottico); D) Curve di dispersione per la branca acustica e per la branca ottica.
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

miche. Naturalmente il caso realistico implica l'estensione dei calcoli


da una a tre dimensioni; la trattazione corretta della dinamica di un
reticolo cristallino fornisce allora anche la giustificazione del modello
approssimato di Debye.
Il modello unidimensionale ora esaminato rappresenta, entro certi
limiti, la dinamica di un cristallo ionico (tipo NaCl) formato da due
tipi di ione di massa e di carica differenti. In un cristallo ionico
quando gli ioni oscillano controfase (branca ottica) creano nel solido
dipoli elettrici oscillanti, che interagiscono con una radiazione elettro­
magnetica della stessa frequenza assorbendola e riflettendola; nel pro­
cesso di assorbimento il fotone incidente crea un fonone colla stessa
frequenza e la stessa quantità di moto. L'assorbimento dovuto alla
dinamica reticolare cade nell'infrarosso, nell'intervallo spettrale fra À
uguale ad alcuni micron, per i sali di ioni leggeri (Li F) e À uguale ad
alcune decine di micron, per i sali di ioni pesanti (Cs l) (FIG. 3 . 17a) .

4·4
I solidi reali. Le imperfezioni reticolati

4-4-r . I posti vacanti

La presenza in un solido di certi tipi di imperfezioni reticolati è ben


interpretata dalla meccanica statistica. Un cristallo è nello stato di
equilibrio termodinamico alla temperatura T quando è minima l'ener­
gia libera. Consideriamo un tipico difetto puntiforme, il posto vacan­
te, dovuto semplicemente al fatto che un nodo del reticolo, normal­
mente occupato da un atomo, è invece vuoto (FIG. 4.6) e calcoliamo
la variazione di energia libera L1F quando si passa da un reticolo per­
fetto, costituito da N atomi nelle posizioni regolari, a un reticolo im­
perfetto, nel quale esistono anche n posti vacanti (e supponiamo che
sia n < < N) ; dalla relazione [2.2] si ha:
L1F(n) = L1 U(n) - TL1S(n)
Per creare un posto vacante, spostando un atomo dalla sua posizione
regolare nel reticolo alla superficie del cristallo, si spende un'energia
4Jv, dell'ordine dell'energia di legame dell'atomo nel cristallo; in molti
casi significativi 4>v è dell'ordine dell'eV; per creare n posti vacanti si
spende un'energia n4Jv, dunque il termine L1 U(n) innalza l'energia li­
bera e allontana dalle condizioni di equilibrio. Un ruolo opposto, sta­
bilizzante, gioca il contributo entropico - TL1S(n), e dalla differenza
4· LA STRUTTURA MICROSCOPICA DELLA MATERIA

FIGURA 4.6
Imperfezioni puntiformi, illustrate schematicamente sul piano di un reticolo cu­
bico semplice

l
��

,.....,
P05 TI VACANT l


f-
l

]� '-

l• L

ATOMI I N T E: R 5T I Z I A L I

I M PU R E Z Z E 505T I TUZ I ONAU


>t<•

_'i'
-y-
ì

� ...
r--

I M PUR EllE INTERST / Z I ALI

.,

Le distorsioni sono fortemente accentuate.

fra i due termini si risale alle condizioni di equilibrio. Il calcolo della


variazione di entropia dovuto alla presenza di n posti vacanti richiede
la conoscenza del peso statistico W(n), ossia del numero di configu-
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

razioni microscopiche corrispondenti alla presenza di n posti vacanti,


e questo si ottiene facilmente applicando il calcolo combinatorio: un
solo posto vacante può essere distribuito su N + I posizioni reticola­
ti in (N + I) modi; due posti vacanti su N + 2 posizioni reticolati in
(N + 2) ( N + I )h modi (si ha 2 al denominatore perché ovviamente
non differiscono due microstati ottenuti scambiando fra loro i posti
vacanti) ; per un n generico si ha:

W( n ) =
(N + n) !
N! n !

Si trova la condizione di minimo per la variazione dell'energia libera


cercando la condizione che annulla la derivata prima Dt1F(n)/Dn; il
calcolo è semplice se si approssimano i fattoriali con la formula di
Stirling (ln x ! = x In x - x) e si ottiene il numero di posti vacanti
in equilibrio alla temperatura T:

n ( T) =
N e -<l>jkT

Per cJ>v = I eV la concentrazione di posti vacanti è molto piccola alla


temperatura ambiente, ma cresce rapidamente al crescere di T; a
r .ooo °K è n/N = Io-'.
La presenza di posti vacanti ha un'influenza importante su alcune
proprietà dei solidi, ad esempio sulla diffusione e sulla conducibilità
ionica nei cristalli ionici. In questi ultimi la condizione energicamente
più favorevole è la creazione di posti vacanti da ione positivo e da
ione negativo in concentrazioni approssimativamente uguali, così che
sia garantita la neutralità elettrica a scala locale. Nei cristalli ionici i
posti vacanti interagiscono elettrostaticamente con gli elettroni even­
tualmente disponibili (ad esempio fotoelettroni), formando imperfe­
zioni dette centri di calore per la loro proprietà di interagire con la
radiazione elettromagnetica; un cristallo che contenga centri di calore
presenta bande di assorbimento caratteristiche e può essere fotolumi­
nescente.

4.4.2. Altre imperfezioni puntiformi

Per descrivere la morfologia delle imperfezioni reticolati è convenien­


te partire dalla loro immagine atomica, accantonando in una fase pre­
liminare la formulazione generale quantomeccanica. Da questo punto
di vista le imperfezioni si distinguono in puntiformi, quando riguar-

174
4· LA STRUTTURA MICROSCOPICA DELLA MATERIA

dano uno o pochi atomi e posizioni reticolati; lineari, quando le de­


viazioni dall'ordine reticolare si estendono a una fila di atomi e ai
loro vicini prossimi; di superficie, quando le deviazioni interessano
un'intera area maçroscopica.
I casi più semplici e significativi di imperfezioni puntiformi sono
illustrati nella FIG. 4.6. Oltre ai posti vacanti prima discussi si hanno
gli atomi in posizione interstiziale, ossia in posizioni che in un cristal­
lo ideale sono vuote, e gli atomi estranei, o impurezze; queste, a loro
volta, possono collocarsi al posto di uno degli atomi normali del soli­
do (impurezze sostituzionali) o, più raramente, in una posizione in­
terstiziale.
Rompendo la simmetria traslazionale del reticolo, le impurezze ne
alterano anche gli stati elettronici e vibrazionali; in particolare, negli
isolanti e nei semiconduttori alcuni tipi di impurezza introducono
funzioni d'onda di tipo atomico in prossimità dell'impurezza stessa e
livelli d'energia che cadono all'interno del gap proibito. Ben noto è il
ruolo determinante giocato dalle impurezze sostituzionali sulle pro­
prietà elettroniche dei semiconduttori.
Consideriamo ad esempio un'impurezza di fosforo in un cristallo
di silicio. Il fosforo (P) è un elemento pentavalente, mentre il silicio
è tetravalente; quattro degli elettroni esterni del fosforo entrano nel­
la banda di valenza del cristallo, il quinto elettrone sente l'attrazione
della carica positiva dello ione fosforo; si hanno così per l'elettrone
intorno allo ione p+ stati di tipo idrogenoide che danno origine, nel
gap, a livelli d'energia il più profondo dei quali si trova a circa o,r
eV al di sotto della banda di conduzione. A temperature molto bas­
se l'elettrone è localizzato in questo stato, con energia di legame Ed
=
o,r eV; al crescere della temperatura la probabilità che l'impu­
rezza si ionizzi, ossia che l'elettrone venga eccitato termicamente,
passando alla banda di conduzione del silicio, cresce come e - edhk T,
e nello stesso modo varia la conducibilità elettrica del silicio che
contiene impurezze di P. Il fosforo è un'impurezza donare, perché
fornisce elettroni alla banda di conduzione; impurezze trivalenti co­
me l'alluminio sono invece accettori, perché possono ospitare un
elettrone eccitato termicamente dalla banda di valenza !asciandovi
buche positive, che anch'esse accrescono la conducibilità del semi­
conduttore.
La conducibilità dovuta ai donori e agli accettori si dice estrinse­
ca e domina nella regione delle basse temperature (FIG. 3 . 24) ; quan­
do, al crescere di T, quasi tutte le impurezze sono ionizzate, si entra

175
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

nella regione intrinseca, dove il numero dei portatori è dato dalla


[4. 18] .
In un cristallo di germanio puro (Eg = 0,75 eV) alla temperatura
ambiente la concentrazione dei portatori è -I0 1 3 cm- 3 ; nel Ge dro­
gato può raggiungere i I0 1 8 - I0 1 9 cm - 3 ; in un metallo la concentra­
zione degli elettroni di conduzione è circa I022 cm- 3 .
Sulle proprietà dei semiconduttori drogati con concentrazioni
controllate di opportune impurezze si basano molti dei dispositivi
elettronici a stato solido che oggi dominano nell'elettronica di consu­
mo e nei calcolatori.

4+3· Imperfezioni lineari. Le dislocazioni

Se un cristallo fosse perfetto, o contenesse solo imperfezioni punti­


formi, esso si deformerebbe in modo puramente elastico anche se
sottoposto a sforzi molto intensi; l'esperienza mostra invece che in
molti solidi uno sforzo relativamente modesto (sforzo critico) provoca
la deformazione plastica (PAR. 3 .7. 1 ) . Per risolvere questa contraddi­
zione nel 1934 fu avanzata l'ipotesi che esistesse nei solidi un tipo di
imperfezione lineare, chiamata dislocazione, in grado di spostarsi con
relativa facilità nel reticolo sotto l'azione di uno sforzo esterno. Il
modello più semplice di dislocazione, detta a spigolo, consiste nel­
l'immaginare che fra i piani cristallini venga introdotto un semipiano;
esso è illustrato nella FIG. 4-7, nella quale si vede anche schematica­
mente come uno sforzo applicato trasversalmente provochi lo sposta­
mento della dislocazione e, alla fine, la deformazione plastica.
Nevill Mott, al quale si devono tanti importanti contributi nel
campo della struttura della materia, nel 1939 spiegò con un'immagine
suggestiva la ragione per cui una dislocazione si muove con relativa
facilità : «Il parallelo con una piega in un tappeto è molto utile. Ci
sono due modi per spostare un tappeto in una stanza. Si può affer­
rarlo e tirarlo, oppure si può creare una piega su un lato e spingere
la piega fino all'altro lato. Quando si ha a che fare con un tappeto
grande e pesante, il secondo metodo richiede uno sforzo minore. Lo
stesso risultato si ottiene quando una dislocazione si muove da un
lato del cristallo all'altro, rispetto al caso in cui una metà del cristallo
scorre in blocco sull'altra metà».
Diversamente dai posti vacanti e dagli interstiziali, le dislocazioni
non sono difetti di equilibrio, ma dipendono dalla storia di un cam­
pione cristallino; oggi, con particolare cura, si possono realizzare cri-
4 · LA STRUTTURA MICROSCOPICA DELLA MATERIA

FIGURA 4·7
Moto di una dislocazione a spigolo

La dislocazione è indicata dal simbolo l. Sotto uno sforzo trasversale la dislocazione si sposta, generan·
do una deformazione plastica.

stalli semiconduttori quasi esenti da dislocazioni, mentre un cristallo


metallico lavorato a freddo può arrivare a contenerne Ion-10 1 2 per
centimetro quadrato.
Molte proprietà meccaniche dei solidi si spiegano con la teoria
delle dislocazioni. Per ridurre la plasticità, ad esempio, è necessario
bloccare il moto delle dislocazioni, e questo si può realizzare in di­
versi modi.
Le impurezze possono accumularsi intorno alla dislocazione, in­
nalzando l'energia necessaria per spostarla, e per questo i metalli
impuri sono meno duttili di quelli puri; un'alta densità di disloca­
zioni fa sì che esse si leghino l'una all'altra, bloccandosi a vicenda,

177
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

come accade in un metallo lavorato a freddo; piccoli precipitati di


una fase estranea ostacolano il moto delle dislocazioni, e questo acca­
de in certe leghe del ferro e nel duralluminio.
La reale esistenza delle dislocazioni fu provata sperimentalmente
solo nei primi anni Cinquanta; oggi esistono accurati metodi per stu­
diare le dislocazioni, il loro moto, la loro interazione mutua e con le
impurezze.
5

Transizioni di fase

5 ·1
Generalità

Abbiamo chiamato fase una parte fisicamente omogenea di un siste­


ma, con proprietà fisiche specifiche e diverse da quelle di altre fasi;
se due o più fasi coesistono, esse sono separate da superfici di confi­
ne ben definite nello spazio. Lo stato liquido e quello gassoso sono
esempi di fasi; lo stato solido può presentarsi in fasi diverse, in rela­
zione alle diverse simmetrie della struttura cristallina (cubica, esago­
nale, tetraedrica ecc.). Gli stati di aggregazione della materia sono
soltanto alcuni esempi di fase. Altre possibili transizioni di fase sono
le seguenti:
fase ferromagnetica-paramagnetica;
fase ferroelettrica-paraelettrica;
fase ordinata di una lega-fase disordinata;
fase superconduttrice-normale;
fase superfluida-fluida;
fase omogenea di una miscela liquida o solida di due sostanze­
due fasi omogenee delle sostanze separate.
Ogni fase ha proprietà macroscopiche radicalmente differenti da
quelle di altre fasi.
Per molti valori delle variabili termodinamiche lo stato di equili­
brio termico è rappresentato da un solo stato di aggregazione, omo­
geneo. Per valori della temperatura e della pressione sufficientemente
bassi, ad esempio, una sostanza è nella fase (stato) solida; per altri
valori è nella fase liquida, o in quella gassosa. Per alcune coppie di
valori ben definite delle variabili termodinamiche, all'equilibrio termi­
co il sistema non è più in una sola fase omogenea, ma consiste di due
fasi separate di caratteristiche fisiche differenti; ciò è particolarmente
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

evidente quando la fase solida coesiste con quella liquida, o la fase


liquida con quella gassosa. Per una sola coppia di valori (punto tri­
plo) le tre fasi coesistono.
Altri tipi di transizione di fase (ferromagnetica-paramagnetica
ecc.) hanno luogo bruscamente a una temperatura ben definita T0
detta temperatura critica. In prossimità di Te si manifestano su scala
microscopica fenomeni vistosi che preannunciano la transizione.
Lo studio del comportamento di un sistema nella regione prossi­
ma al punto di transizione è uno dei campi più interessanti della fisi­
ca statistica e i progressi conseguiti negli ultimi decenni ne rappre­
sentano un importante successo.
Il punto di partenza della termodinamica e della statistica delle
transizioni di fase riguarda la proprietà di una funzione termodinami­
ca, il potenziale chimico {l; se un sistema contiene molecole di vario
tipo (N1 , N2 • • • Ni . . . ), il potenziale chimico della specie i-esima è
definito come la derivata dell'energia interna rispetto a N;, mantenen­
do costanti entropia, volume e numero di molecole delle altre specie
(si può ragionevolmente supporre che Ni sia una variabile continua) :

Il i = (1�)
i S,V,N1
(j=l=t)

La stessa relazione vale se l'indice i rappresenta le diverse fasi del


sistema; nel caso della transizione ferromagnetismo-paramagnetismo,
ad esempio, avremo un potenziale chimico Ili per la fase ferromagne­
tica e un potenziale chimico 11p per quella paramagnetica.
La termodinamica richiede che, quando si ha equilibrio fra due
- fasi, il potenziale chimico dell'una sia uguale a quello dell'altra:
[5.2]
Inoltre, naturalmente, devono essere rispettate le condizioni TI = r2
e P1 = P2 • Più in generale, deve essere minima un'altra funzione ter­
modinamica, l'energia libera di Gibbs, introdotta nel PAR. 3 -4:
G = U + PV - TS = �i Ili Ni
questa condizione di minimo vale per tutti i sistemi all'equilibrio
quando T e P sono costanti. All'equilibrio fra due fasi si ha, di con­
seguenza:

180
5 · TRANSIZIONI DI FASE

poiché il numero totale di molecole non cambia (N1 + N2 è costante)


deve essere dNr =
- dN2 , quindi la condizione [5 -4] corrisponde alla
[5.2] . Come per l'equilibrio di due fasi, l'equilibrio di tre fasi si de­
termina dalle condizioni

La condizione di minimo per l'energia libera di Gibbs dell'intero si­


stema equivale all'uguaglianza dell'energia libera di Gibbs per mole­
cola di ognuna delle due fasi:

[5.6]

La g; è dunque una funzione continua al punto della transizione; pos­


sono però essere discontinue la sua derivata prima rispetto a tempe­
ratura, pressione ecc., o le derivate successive. Il comportamento del­
le derivate della g; alla transizione determina il comportamento del
sistema, per esempio l'esistenza o meno di un calore latente.
I modi in cui la materia cambia da una fase all'altra possono veni­
re raggruppati in due classi. Nella prima stanno le transizioni che
presentano un calore latente, come la fusione di un solido o la vapo­
rizzazione di un liquido; in questi casi è discontinua la derivata prima
della G e le transizioni si chiamano del primo ordine. Nella seconda
stanno le altre, che hanno luogo senza calore latente, e nelle quali sia
G che le sue derivate prime sono continue; queste sono dette del
secondo ordine o, più propriamente, fenomeni critici.

5·2
Transizioni di primo ordine

Le transizioni fra i tre stati di aggregazione della materia (FIG. 5 . 1 ) ,


come s i è visto in precedenza, sono indotte variando l a pressione P,
la temperatura T o il volume V del sistema in esame. Queste tre fun­
zioni termodinamiche non sono indipendenti, ma sono legate dall'e­
quazione di stato. Ogni sistema fisico ha la sua equazione di stato,
che in generale è complicata; essa assume una forma semplice e gene­
rale solo per il caso di un gas a bassa densità (cfr. PAR. 3 . 1 . 1 ) .
È conveniente rappresentare in u n diagramma (P, T) i n due di­
mensioni, detto diagramma di fase, i valori di pressione e temperatura
per i quali una sola delle tre fasi rappresenta lo stato di equilibrio del

181
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

FIGURA 5 . 1
Rappresentazione schematica delle transizioni fra gli stati d i aggregazione della
materia

o
o
o o o
o o
o o o
o
o
o o
o o o GAS o
o o o
l. "' '
-<�' ;..
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!._� �. �
.�

CRI STALLO VET�O

In basso a destra è indicato anche lo stato vetroso (amorfo) , che non è uno stato di equilibrio.

sistema e quelli per i quali due o più fasi coesistono. Il piano (P, D
risulta così suddiviso in tre regioni (FIG. 5.2), separate da tre curve
che rappresentano le condizioni alle quali ha luogo la transizione di
fase; le coppie di valori P e T lungo le curve rappresentano gli stati
ai quali due fasi sono fra loro in equilibrio, ossia possono coesistere.
Il primo tratto di curva, partendo dalla regione di basse temperature
e pressioni, corrisponde ai valori ai quali coesistono lo stato solido e
lo stato gassoso (vapore) ; esso termina in un punto T, il punto tri­
plo, che rappresenta l'unica coppia di valori P1 e di T1 ai quali tutti e
5 · TRANSIZIONI DI FASE

FIGURA 5 . 2
Diagramma d i fase d i una generica sostanza

SOL I DO

'
"
LIQUI DO
ì
\
c

l
l
l
/
/
/
5 ./

GAS

L'area sulla sinistra rappresenta le coppie di valori (P, n ai quali la fase solida è l'unica fase stabile;
l'area inferiore rappresenta la fase gassosa e quella in alto sulla destra la fase liquida. I tre rami della
curva rappresentano i valori (P, n ai quali due fasi coesistono; T, è l'unico punto di coesistenza delle
tre fasi. C è il punto critico: per valori superiori di P e di T la fase gassosa non è distinta da quella
liquida.

tre gli stati di aggregazione coesistono. Per temperature T < T1 non


si ha, all'equilibrio, la fase liquida, anche se con particolari cautele si
può ottenere un liquido sottoraffreddato, metastabile.
Il punto C, dove termina la curva di vaporizzazione, è il punto
critico. Il tratto di curva tra T, e C rappresenta i valori (P, T) ai quali
coesistono la fase liquida e quella gassosa; esso corrisponde, per l'ac­
qua, alla curva di vaporizzazione della FIG. 3.6b . Nella TAB. 5 . 1 sono ·

mostrati i valori delle variabili critiche per alcune sostanze. Per valori
(P, T) più elevati di quelli corrispondenti a C non si ha più la transi­
zione gas-liquido, ma un unico stato fluido ad alta densità (cfr. PAR.
3 · 3 · 3 e FIG. 3 .7) . La nozione di punto crltico è stata introdotta nel
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

TABELLA 5 . 1
Costanti critiche d i alcune sostanze
Temperatura Volume
Pressione
Sostanza critica, critico,
in atmosfere
critica,
in centigradi in cm3/g

H2 0 374,15 2 ! 8 ,4 3,1
co 2 31,1 72,9 2,15
02 - n9 50 2,33
Ar - !22 48 1 ,88
N2 - 147 3 3 ,5 3,21
Ne - 229 27 2,07
H2 - 240 13 3,23
He - 268 2,3 14>5

186o da D. Mendeleev (18 3 4-1907) , lo stesso che scoprì il sistema


periodico degli elementi.
La terza curva, a partire da T, rappresenta i valori ai quali coesi­
stono la fase solida e quella liquida (curva di fusione) ; è ripida, e ciò
indica che per aumentare anche di poco la temperatura di fusione Tm
è necessario applicare pressioni elevate; per il ghiaccio, ad esempio,
occorrono I 3 0 atmosfere perché Tm vari di un grado; ricordiamo an­
che che nel caso dell'acqua la pendenza della curva di fusione è ne­
gativa e non positiva come nella FIG. 5.2, ossia che nella solidificazio­
ne la densità diminuisce anziché crescere. La transizione tra un solido
amorfo (stato metastabile) e il suo liquido non è descritta da una
transizione brusca a T e P precise e definite rigorosamente dalla cur­
va di fusione, ma avviene in modo continuo, per graduale rammolli­
mento del solido (cfr. PAR. 3 .8).
Supponiamo di avere un sistema nello stato solido, nelle condizio­
ni indicate dal punto I della FIG. 5.2, e innalziamo la temperatura
fornendo calore e mantenendo invariata la pressione, seguendo cioè
la linea tratteggiata I-2; questo tipo di trasformazione si dice isobara.
Quando la linea incrocia la curva di sublimazione, si ha la transizione
allo stato gassoso e durante il processo viene assorbita energia (calore
latente di sublimazione) ; la temperatura corrispondente all'intersezio­
ne, detta di sublimazione, non varia, fino a quando tutto il sistema è
passato alla fase gassosa.
Tutti i solidi sublimano, in qualche misura. Per alcune sostanze,
come il C02 , il processo è rapido; è esperienza comune che l'anidri-
5 · TRANSIZIONI DI FASE

de carbonica solida (ghiaccio secco) passa direttamente dalla fase, so­


lida a quella gassosa senza attraversare la fase liquida: il suo punto
triplo infatti è a una pressione maggiore di quella atmosferica ( T1 =
- 56,6 °C; P, = 5 , 1 1 atm). La temperatura di sublimazione per il
C02 alla pressione atmosferica è 78 oc. Per la maggior parte dei
-

solidi alla temperatura ambiente la tensione del vapore saturo è così


bassa che la sublimazione è insignificante e non può essere facilmente
evidenziata. Innalzando ancora la temperatura, e allontanandosi dalla
curva di sublimazione, il gas segue l'equazione di stato (isobara) del
gas ideale, ossia il suo volume aumenta linearmente al crescere della
temperatura assoluta. Il tratto 1 - 2 può essere percorso in senso
inverso, e in questo caso all'intersezione si ha la solidificazione del
vapore con rilascio di energia (calore) , che deve essere sottratto al
sistema perché il processo continui.
Consideriamo ora la trasformazione isoterma indicata dalla linea
tratteggiata 3 - 4 · Aumentando la pressione (riducendo il volume) il
gas si allontana dallo stato ideale (PV = costante) fino a che, all'in­
tersezione con la curva di liquefazione ( T, - C) , la pressione ha il
valore della tensione di vapore saturo (per quella temperatura) ;
un'ulteriore riduzione di volume provoca la condensazione del gas,
ossia la transizione allo stato liquido, senza aumento di pressione e
con rilascio del calore latente di evaporazione; se si sottrae dal siste­
ma il calore latente, la transizione prosegue fino a quando tutto il
vapore è liquefatto. Un ulteriore aumento della pressione comprime
il liquido, fino a che, alla pressione corrispondente al ramo superiore
della curva, si ha la transizione liquido-solido, con rilascio del calore
latente di fusione. Il processo, se dal sistema si sottrae il calore laten­
te, continua fino alla completa solidificazione del liquido (TAB. 5 . 2 ) .
U n ulteriore aumento della pressione riduce i l volume del solido; ri­
cordiamo però che solidi e liquidi sono poco comprimibili, ossia la
loro variazione di volume è modesta, anche a pressioni elevate; la
riduzione di volume dell'acqua, ad esempio, è solo del 20% a una
pressione di 12 .000 atmosfere.
Se consideriamo una trasformazione isoterma ad una temperatura
superiore a quella critica si ha, per pressioni molto elevate, solo la
transizione fluido dens.o -solido; nell'argon, ad esempio, Te =
150,9 °K; per una isoterma a T = 200 °K la transizione ha luogo alla
pressione di 6.ooo atmosfere.
Una trasformazione del tipo indicato dal percorso 5 - 6, che aggi­
ra il punto critico, mostra che si può passare dallo stato gassoso a
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

TABELLA 5 . 2
Calori latenti d i fusione e d i evaporazione (in K joule per mole, alla pressione
atmosferica)
Elemento o Calore latente Calore latente
composto di fusione di evaporazione

Argon 1,18 6,52


Cloro 6,41 20,4
Germanio 31,8 334
Oro 12,4 324
Ferro 15,4 351
Mercurio 2,30 59,!
. Sodio 2,6o 89,0
Acqua 5,98 47,2
NaCl 30,2 765
Benzene 9,82 34,7

quello liquido, e viceversa, in modo continuo, senza intersecare la


curva di vaporizzazione, cioè evitando una transizione di fase ben de­
finita. Ciò indica che esiste una similarità fra i due stati.
Al contrario, come si è visto, per passare dallo stato solido a
quello liquido, o dallo stato solido a quello gassoso, ogni sistema de­
ve attraversare una transizione di fase. Questo diverso comportamen­
to rispetto al caso precedente suggerisce che la differenza fra lo stato
solido e ognuno dei due stati fluidi è più fondamentale di quella fra i
due stati fluidi stessi. Questa differenza va cercata nella diversa sim­
metria spaziale. Infatti la fase (o le fasi) solida è caratterizzata da un
rigoroso ordine spaziale degli atomi, mentre nei fluidi (liquidi o gas)
la distribuzione spaziale è disordinata; in termini più precisi si dice
che un fluido è invariante rispetto a qualunque traslazione o rotazio­
ne nello spazio, mentre un solido cristallino è invariante solo rispetto
a quelle traslazioni e a quelle rotazioni che caratterizzano la sua strut­
tura. (Per spiegarci con un esempio semplice, assimiliamo un fluido a
un foglio di carta uniformemente grigio, e un solido cristallino a un
foglio quadrettato, e supponiamo i fogli di estensione infinita. Il fo­
glio grigio è isotropo, ossia le sue caratteristiche sono le stesse in
ogni direzione, mentre il foglio quadrettato è anisotropo, perché in
una data direzione incontreremo righe e incroci diversi rispetto a
un'altra direzione generica; inoltre se trasliamo (spostiamo) il foglio
grigio di un segmento qualsiasi, lo spostamento non dà effetti rileva­
bili (invarianza traslazionale) ; al contrario, un foglio quadrettato è in-

!86
5 · TRANSIZIONI DI FASE

variante solo per traslazioni di un numero intero di quadretti, lungo


le direzioni della quadrettatura. )
Nel diagramma di stato riportato in FIG. 5 . 2 la fase solida, per
semplicità, è indicata come una regione unica. In realtà per molte
sostanze questa regione risulta suddivisa in molte parti (cfr. FIG. 1 . 1
per il carbonio) , ognuna delle quali corrisponde a una fase solida che
si distingue dalle altre per la diversa struttura cristallina (polimorfi­
smo) e per le diverse proprietà fisiche. La trasformazione da una fase
cristallina ad un'altra ha luogo, come la transizione solido-liquido, al­
le coppie di valori (P, T) che giacciono lungo le linee di coesistenza
fra le due fasi; la transizione è accompagnata da una variazione di­
scontinua del volume e dall'evoluzione o dall'assorbimento di calore
latente; si è già detto (PAR. 3 .6) delle diverse fasi solide del carbonio,
del ferro, dello stagno e del ghiaccio. Spesso due fasi solide differenti
coesistono anche in condizioni diverse da quelle prescritte dalle linee
di separazione del diagramma di fase; diamante e grafite, ad esempio,
coesistono alla temperatura ambiente e alla pressione atmosferica,
mentre la sola fase stabile è la grafite; il diamante quindi non è in
uno stato di equilibrio stabile, e infatti può essere trasformato in gra­
fite, mentre il processo inverso richiede alte pressioni e alte tempera­
ture; ciò è dovuto al fatto che, a differenza dei cambiamenti di stato,
le transizioni polimorfiche sono lente, perché la mobilità degli atomi
nei solidi è inferiore a quella nei liquidi.
Lo stagno ha due fasi, dette stagno bianco, quello che si usa per
le saldature, e stagno grigio, friabile; alla pressione atmosferica la
temperatura di transizione è 13 °C, ma anche a temperature inferiori
lo stagno bianco, stabile a T 2: 13 °C, regge, in uno stato metastabi­
le; se però la temperatura scende parecchio al di sotto di o °C, si ha
la rapida trasformazione in stagno grigio. La spedizione di Scott al
Polo Sud (1912) trasportava il combustibile liquido in recipienti me­
tallici saldati a stagno, il freddo intenso trasformò le saldature in pol­
vere grigia e il combustibile andò perduto; questo incidente contribuì
·

al fallimento della missione.


Come si è detto, le transizioni fra i tre stati di aggregazione della
materia sono caratterizzate non solo dal fatto che hanno luogo per
coppie di valori ben definiti di P e di T (quelle corrispondenti alle
curve del diagramma di fase) , ma anche dal fatto che fusione e subli­
mazione sono accompagnate dall'assorbimento di una certa quantità
di energia, il calore latente di transizione; i processi inversi sono ac­
compagnati dal rilascio della stessa quantità di energia. Transizioni di
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

questo tipo, come si è detto, si chiamano transizioni di fase del primo


ordine. L'esistenza del calore latente dice che l'energia interna U va­
ria in modo discontinuo nella transizione; anche l'entropia, per il se­
condo principio (dS = dQ/1) varia in modo discontinuo, e così pure
altre proprietà fisiche, come la densità.
Dalla relazione [5.3] che lega l'energia libera di Gibbs G all'ener­
gia interna U e all'entropia 5 si ottiene la relazione fra la variazione di
entropia durante la transizione e il calore latente; poiché la variazione
G deve essere nulla, e la variazione di U è il calore latente, si ottiene
che L15 è uguale al rapporto fra il calore latente e T. L'entropia dun­
que cresce bruscamente nella transizione solido-liquido, e ciò indica
che il grado di disordine nella fase liquida è maggiore che nella fase
solida. Il calore latente di vaporizzazione è molto maggiore di quello
di fusione, quindi anche l'aumento dell'entropia nella transizione li­
quido-vapore è maggiore; ciò indica che il disordine introdotto dall'e­
vaporazione è maggiore di quello introdotto dalla fusione. Il calore
specifico a pressione costante Cp = (dQ/dT)p alla transizione di fase è
infinito, perché fornendo una quantità di calore dQ quando due fasi
sono in equilibrio si accresce una fase a spese dell'altra, senza varia­
zione di temperatura: d T = o, Cp = oo . Più in generale, come si è
detto, le transizioni di fase del prim'ordine sono caratterizzate dalla
discontinuità della derivata prima dell'energia libera di Gibbs.

5·3
I fenomeni critici

La transizione che avviene al punto critico tra liquido e vapore è un


esempio della classe di transizioni di ordine superiore al primo, o,
più propriamente, di transizione ordine-disordine, o, ancora, di feno­
meno critico. Non si ha quella brusca variazione dello stato del siste­
ma che si è discussa nel paragrafo precedente: discontinuità di 5, U e
densità alla temperatura critica, calore latente, calore specifico infini­
to.
In prossimità del punto critico C il carattere della transizione
cambia, le discontinuità gradualmente diminuiscono fino a diventare
trascurabili per T = Te e P = Pc (si veda ad esempio la FIG. 3 - 7 per
la densità) . Si ha invece un comportamento singolare per altre funzio­
ni termodinamiche esprimibili attraverso derivate seconde dell'energia
libera di Gibbs, come il calore specifico e la compressibilità: esse,
avvicinandosi al punto critico, divergono, ossia tendono all'infinito; il

188
5 · TRANSIZIONI DI FASE

comportamento singolare del calore specifico in prossimità del punto


critico è descritto da una relazione semplice:

sperimentalmente, con misure molto delicate, si osserva che a è pros­


simo a uno. Anche il comportamento singolare della compressibilità
K, per T � Te, è descritto da una relazione semplice:

r _ 2._ (DV) ( T- Tc ) - r
ex
K =

V DP T Te
dove l'esponente y è circa 1,2. a e y si chiamano esponenti cnttCl;
vedremo in seguito che gli stessi esponenti compaiono nel comporta­
mento di altri fenomeni critici, di natura molto diversa.
La misura accurata degli esponenti critici è difficile, di conse­
guenza i valori disponibili possono non essere sufficientementè accu­
rati.
Questo comportamento è connesso col fatto che nella zona critica
(in prossimità di Te e di Pc) il sistema deve scegliere fra due fasi che
differiscono di pochissimo e diventa in un certo senso instabile. Le
divergenze sono associate a fluttuazioni locali della densità, fluttua­
zioni che gradualmente assumono dimensioni macroscopiche; ad esse
si deve il fenomeno dell' opalescenza critica, ossia il fatto che il siste­
ma, normalmente trasparente, assume un aspetto lattiginoso a causa
della forte diffusione della luce; tre anni dopo l'osservazione dell'opa­
lescenza critica nel C0 2 fatta da Andrews (1869) , Van der Waals nel­
la sua tesi di dottorato fu in grado di fornire un'interpretazione sod­
disfacente. L'opalescenza critica si osserva anche nelle soluzioni liqui­
de binarie trasparenti, formate da due sostanze liquide diverse e mu­
tualmente solubili, quando, riscaldando, ci si approssima alla tempe­
ratura critica, al di sopra della quale i due liquidi si separano; già
all'inizio del secolo A. Einstein e R. Smoluchowski dettero una prima
spiegazione del fenomeno, attribuendolo appunto alle fluttuazioni lo­
cali della densità del fluido.
Per trattare i fenomeni critici si è trovato conveniente introdurre
un nuovo parametro macroscopico che sia significativo nella descri­
zione della transizione; esso si dice parametro d'ordine e si indica
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

con 'Y/ ( n . Per le transizioni liquido-gas è la differenza fra la densità


del liquido o quella del gas dalla densità critica; per T � Te, 'Y/ è
descritto da una relazione analoga a quelle che descrivono C e K:

( T ::; TJ

dove f3 è circa 0,34; è evidente che 'Y/(T > Te) =


o.
Il parametro d'ordine consente una descrizione unificata dei feno­
meni critici in sistemi molto diversi fra i quali a prima vista sembra
molto difficile stabilire una connessione. In generale la fase stabile
alle basse temperature, più ordinata, ha una simmetria inferiore a
quella della fase meno ordinata, che è stabile alle alte temperature.
L'ordinamento si presenta dunque come una riduzione delle opera­
zioni di simmetria (rotazioni, traslazioni) che lasciano invariato il si­
stema; per questo si dice che nella transizione si ha rottura della sim­
metria.
· Esaminiamo una transizione fra le più interessanti e fra le più stu­
diate, quella fra la fase paramagnetica e quella ferromagnetica, adot­
tando un modello un po' semplificato.
Consideriamo un sistema ferromagnetico (PAR. 3·7·5 ) . Anch'esso
presenta un punto critico. Per T > Te (temperatura di Curie) è stabi­
le la fase paramagnetica, disordinata, nella quale i dipoli magnetici
degli atomi costituenti sono orientati a caso (per H =
o) ; rispetto
all'orientazione dei dipoli il sistema è altamente simmetrico perché
non cambia per una rotazione rispetto a un qualunque asse (invarian­
za rotazionale) . Per T < Te i momenti magnetici (in un singolo domi­
nio) incominciano a ordinarsi verso una direzione privilegiata (asse di
facile magnetizzazione) e appare una magnetizzazione spontanea M:
si ha dunque una rottura della simmetria. Per T o °K tutti i mo­
=

menti magnetici atomici hanno la stessa orientazione e la magnetizza­


zione del dominio ferromagnetico è massima (FIG. 3 .26) .
Al punto critico non solo G, ma anche U ed S sono funzioni con­
tinue, e la transizione non è accompagnata da calore latente; la ma­
gnetizzazione, la suscettività magnetica e il calore specifico presenta­
no singolarità. Si hanno dunque, come nella transizione gas-liquido,
per T =
T0 le caratteristiche tipiche del fenomeno critico.
L'analogia è più profonda di quanto possa apparire da queste pri­
me considerazioni. Per semplicità supponiamo che esista una sola di-
5 · TRANSIZIONI DI FASE

rezione di facile magnetizzazione (l'asse z) e che i momenti magnetici


atomici possano orientarsi parallelamente all'asse z, o in verso contra­
rio. La magnetizzazione M(T) è dovuta alla differenza &a il numero
di momenti atomici orientati come z e il numero di quelli orientati in
verso opposto, o, meglio, fra i contributi dei microdomini con ma­
gnetizzazione locale opposta; essa descrive dunque il grado d'ordine
del sistema (massimo per T =
o °K, nullo per T > Te) ed è assunta
come parametro d'ordine della transizione. Nell'esempio considerato
si ha che la dipendenza di M dalla temperatura, per T � Te, è de­
scritta dalla stessa relazione [5.9] che vale per la densità, con lo stes­
so esponente {J. La similarità nella dipendenza dei due parametri
d'ordine dalla temperatura risulta anche, qualitativamente, dal con­
fronto fra la FIG. 3·7 e la FIG. 3.26, ove si tenga conto che M può
assumere due opposte orientazioni. Per la singolarità del calore speci­
fico vale la relazione [5 . 7] , ancora con lo stesso esponente critico a.
La funzione termodinamica che, per le transizioni magnetiche,
corrisponde alla compressibilità è la suscettività magnetica isoterma
XT =
( <5M l <5H) r: come la compressibilità è la risposta del sistema
fluido alla variazione di pressione, così X è la risposta del sistema
magnetico alla variazione del campo magnetico. Anche la singolarità
di XT per T � Te è descritta dalla [5.8], con lo stesso esponente
critico y.
Un discorso analogo si può fare per un sistema ferroelettrico, te­
nuto conto delle ovvie corrispondenze fra i parametri fisici: momento
magnetico � polarizzazione elettrica, suscettività magnetica � su­
scettività dielettrica.
Un quarto esempio di fenomeno critico è rappresentato dalle
transizioni ordine-disordine nelle leghe. Consideriamo una lega me­
tallica come l'ottone, formata da rame e da zinco, e supponiamo che
i due metalli componenti siano presenti nella stessa proporzione ato­
mica, 50% Cu e 50% Zn. Per temperature superiori a 739 °K (tem­
peratura critica) la lega è disordinata, ossia le celle del reticolo cri­
stallino sono occupate indifferentemente da atomi di rame o da atomi
di zinco (FIG. 5 . 3b) . Abbassando la temperatura, immediatamente al
di sotto di Te incomincia a presentarsi un certo grado d'ordine, ossia
un atomo di Cu si circonda preferenzialmente di atomi di Zn, e reci­
procamente. Raffreddando ulteriormente il grado d'ordine cresce, fi­
no a che, in prossimità di o °K, ogni atomo di Cu è circondato solo
da atomi di Zn (otto sono i primi vicini, per un reticolo cubico a
corpo centrato) e ogni atomo di Zn è circondato solo da atomi di
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

FIGURA 5 · 3
Rappresentazione schematica d i transizione ordine-disordine per una lega binaria

@ o � � o o o o
� 0 o o • ., o •
o o • Il o o o o
o o @ @ @ g 8 G
o � o o o o o o
o o o o 18 @ 8 $
o Q o l'i o o o o
o o o • <a 9 @l �
o 9 o o o o o o
o o o � e � ®» o
• o • et o o o o
c o o o � • • @
o o o o o o o o

8 c

O = atomi di rame; e = atomi di zinco. A: cella del reticolo cubico a corpo centrato, per la fase
ordinata, con lo zinco al centro del cubo; B: fase disordinata, stabile per T > 739 °K; C: fase ordinata,
stabile per T < 739 °K.

Cu; si forma cioè una superstruttura, nella quale tutti gli atomi di Cu
si collocano in un sottoreticolo cubico semplice e altrettanto fanno
tutti gli atomi di Zn (FIG. 5 .3c) ; i due sottoreticoli compenetrati for­
mano il reticolo cubico a corpo centrato (FIG. 5 . 3a) . È evidente che
nella fase disordinata esiste un grado di simmetria più elevato di
quello della fase ordinata: nel primo caso il sistema è invariante per
traslazioni uguali ai vettori che congiungono il centro della cella cubi­
ca con i vertici; nel secondo caso il sistema è invariante solo per tra­
slazioni uguali ai vettori che congiungono i vertici del cubo; queste
ultime sono un sottoinsieme delle prime.
In generale chiamiamo N1 (I) il numero di atomi di rame nei siti
del primo sottoreticolo e N1 (2) il numero di quelli nei siti del secon­
do; se N è il numero totale di atomi di Cu si ha N N1 ( I ) + N1 (2) . =
5 · TRANSIZIONI DI FASE

Per descrivere la transizione ordine - disordine si definisce come pa­


rametro d'ordine la grandezza
NI (I) N I (2)
[5. 10] TJ (D =

NI (I) + N I (2)
Per T =
o si ha N1 (I) =
N, N r (2) o, dunque TJ(T
=
o °K)
=
I. =

Aumentando la temperatura, gradualmente il sistema s i disordina


perché una parte degli atomi di Cu va ad occupare il secondo sotto­
reticolo, scambiando di posizione con gli atomi di Zn; di conseguen­
za il parametro d'ordine diminuisce, e la diminuzione si accentua per
T � Te. Al di sopra di Te in media è N1 ( I ) =: N 1 (2), dunque TJ (T 2:
Te) =
o. La funzione TJ(D è descritta da una curva simile a quella
che dà la magnetizzazione (cfr. FIG. 3 .26) . Le altre funzioni termodi­
namiche si comportano in modo simile a quello già visto : U ed S
sono continue per T � Te, ma non le loro derivate, e il calore speci­
fico mostra una singolarità.
Una miscela liquida binaria offre un altro esempio di sistema cri­
tico: al diminuire di T, quando si raggiunge la temperatura critica la
miscela omogenea si separa in due fasi, ciascuna costituita prevalente­
mente da molecole di un solo tipo.
Altri fenomeni critici, come la transizione 1ra la fase supercondut­
trice e la fase normale, e la transizione fra la fase superfluida e la fase
fluida, non possono essere trattati con modelli semplici; basti ricorda­
re che anch'essi rientrano nel comportamento generale dei fenomeni
critici sopra esaminati.
La grande generalità di comportamento dei parametri macrosco­
pici, opportunamente scelti, nei fenomeni critici in sistemi fisici tanto
differenti, ha suggerito che tali fenomeni abbiano in comune qualcosa
di profondamente significativo. Abbiamo già individuato un elemento
essenziale che accomuna le transizioni di diversa natura, il parametro
d'ordine e la sua variazione al variare della temperatura. Ma il para­
metro d'ordine è una grandezza macroscopica definita come valore
medio su tutto il sistema, e per avere una descrizione soddisfacente è
necessario spingere oltre l'analisi. È necessario considerare le fluttua­
zioni r del parametro d'ordine, ossia le deviazioni locali di TJ rispetto

1. Un parametro termodinamico ha il significato di valor medio, su un in­


tervallo di tempo abbastanza lungo. In un sistema in equilibrio con un termosta­
to, ad esempio, l'energia interna U non è fissata rigorosamente ma oscilla intorno
al valor medio < U> . Si definisce fluttuazione la differenza �U = U - < U>

193
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

al suo valor medio. Forze di varia natura, nei vari sistemi fisici in cui
si hanno fenomeni critici, tendono a stabilizzare la fase ordinata,
mentre l'agitazione termica le contrasta efficacemente. Ma anche
quando, per T > Te, TJ è nullo, all'approssimarsi della temperatura
critica le forze ordinatrici provocano la formazione temporanea, in
regioni spazialmente limitate del sistema, di un ordine esteso, ossia le
fluttuazioni diventano significative.
Ad esempio, nel caso di sistemi magnetici, regioni ordinate ma­
gneticamente, ma disposte a caso, in modo che la magnetizzazione di
tutto il sistema risulti nulla; nel caso della transizione gas-liquido, esi­
steranno zone più dense e zone meno dense, pur rimanendo costante
la densità media del fluido.
L'opalescenza critica, come si è detto, è una manifestazione di
queste fluttuazioni di densità; si ha aumento della diffusione quando
la lunghezza di coerenza delle fluttuazioni della densità del mezzo
diventa dell'ordine della lunghezza d'onda della luce incidente.
Tali regioni non sono stabili nel tempo, ma si disfano e si forma­
no continuamente; la loro estensione spaziale e la loro durata tempo­
rale sono tanto più rilevanti quanto più ci si approssima al punto
critico, al di sotto del quale lo stato più ordinato diventa termodina­
micamente stabile (TJ > o) .
Defmiamo un parametro d'ordine TJ(r) , che misura il grado
d'ordine del sistema nell'intorno del punto r; T/ è il valor medio di
TJ(r) su tutto il sistema, ma localmente TJ(r) fluttua, ossia si discosta
dal valor medio. L'estensione delle regioni in cui TJ(r) non cambia
il suo valore si chiama lunghezza di coerenza, e può essere misurata
con tecniche sperimentali di vario tipo; la lungh ezza di coerenza è
il parametro essenziale nell'interpretazione dei fenomeni critici; essa
tende all'infinito per T � Te, quando tutto il sistema diventa ordi­
nato.
Lo studio delle fluttuazioni spontanee in prossimità del punto cri­
tico ha portato in tempi recenti a porre le basi per l'interpretazione
soddisfacente dei fenomeni critici; un contributo essenziale è venuto
da K. G. Wilson, il quale introdusse un metodo di calcolo noto come
gruppo di rinormalizzazione; a Wilson nel 1983 è stato conferito il
premio Nobel.

fra il valore istantaneo e il valor medio. Nei sistemi macroscopici, lontano dal
punto critico, le fluttuazioni sono piccole; per valutarne l'entità si calcola il valor
medio del quadrato della fluttuazione = < ( A U)2>.

194
Schede

Derivata e gradiente

Consideriamo una funzione /(x) della variabile x. Se incrementiamo la varia­


bile di una quantità .d x la funzione assume il valore /(x+ .dx), ossia subisce
un incremento .d/ = /(x+ .dx:) - /(x) . Il rapporto incrementale .d/(x)/.dx di­
pende da x e da .dx; quando .dx � o anche L1/(x) tende a zero. Si chiama
derivata prima di /(x) nel punto x il limite, se esiste, del rapporto incremen­
tale per .dx � o , e si scrive:

d/(x) M( x )
lim
d(x) Llx->o
.d x

Il concetto può essere facilmente esteso al caso in cui / sia funzione di più

La derivata è dunque ancora una funzione della variabile {)x e indica la


variabili; si parla allora di derivate parziali e si usa il simbolo anziché d.

rapidità con cui varia, in ogni punto, la funzione /(x) . Nelle scienze naturali,
e in particolare nella fisica, l'operazione di derivazione stabilisce il legame
fra coppie di variabili che descrivono le proprietà di un sistema. La tempera­
tura assoluta, ad esempio, è la derivata dell'energia interna U rispetto all'en­
tropia 5, se il volume del sistema non cambia ( PAR. 2.5) .
Consideriamo una funzione /(x, y, z) dove le variabili indicano le coordi­
nate cartesiane di ogni punto P(x, y, z) del sistema fisico considerato; f può
essere la temperatura, o il potenziale elettrico, o la densità, o un altro para­
metro fisico il cui valore numerico (scalare) dipende da P. Il gradiente di f è
il vettore:

{)j i + {)j . + {)j k


f>x
"V/ =
by J f>z

dove i, j, k sono i versori (vettori unitari) orientati come gli assi cartesiani e i
fattori che li moltiplicano sono le derivate prime di / lungo le direzioni x, y,

195
STATI E TRASFORMAZIONI DELLA MATERIA

z. Il gradiente è un vettore, definito in ogni punto, che descrive la variazione


di f nello spazio; una funzione che ha lo stesso valore in tutti i punti del
sistema ha ovunque gradiente nullo; un gradiente grande indica che la fun­
zione, nell'intorno di quel punto, varia rapidamente.
Ad esempio, la forza F è uguale al gradiente dell'energia potenziale, cam­
biata di segno.

Prodotto scalare

Prodotto scalare di due vettori v(vx, Vy, Vz) e w(wx, Wy, Wz) :

o anche, se {) è l'angolo fra i due vettori:

v · w = v w cosfJ

Esso è dunque un numero.


Il lavoro ::i che si compie spostando una forza F per un tratto Dr è dato
dal prodotto scalare:

::i = F · br = F D r cosfJ

esso è nullo se F è perpendicolare allo spostamento br, perché allora cosfJ è


nullo ({} = :n:h ) .

Prodotto vettoriale

Dati i due vettori v e u, definiti attraverso le loro componenti cartesiane

V = Vxi + Vyj + Vzk,


u = u) + uyj + Uzk,

il loro prodotto vettoriale w è un vettore così definito:

w è un vettore di direzione perpendicolare al piano individuato da u e da v ,


di modulo pari al prodotto u · v sin {) e verso tale che la freccia di w vede
·

ruotare u su v in senso antiorario; {) è l'angolo fra u e v . Se u è parallelo a v


il prodotto vettoriale è nullo.
SCHEDE

Scalari, vettori, tensori

Grandezza scalare caratterizzata da un numero. Es. : densità, temperatura,


tempo, massa.

Grandezza vettoriale caratterizzata da un numero, una direzione, un verso


(come una freccia); un vettore v è caratterizzato dalle tre componenti carte­
siane vx, vy, v., ossia dalle tre proiezioni secondo gli assi x, y e z, e si scrive
v (vx, vy, Vz) . Un vettore è detto anche tensore del prim'ordine. Es. : velocità,
accelerazione, forza, spostamento, corrente elettrica. Il gradiente di uno sca­
lare è un vettore.

Grandezza tensoriale caratterizzata da nove componenti (tensore del secon­


d'ordine), da r8 componenti (tensore del terz'ordine) . . . da 3n componenti
per un tensore di ordine n. In molti casi alcune delle componenti sono nul­
le, altre sono uguali fra loro.

La relazione lineare fra due vettori è espressa tramite un tensore del secon­
d'ordine. Ad esempio le legge di Ohm si scrive per mezzo del prodotto sca­
lare del tensore conducibilità e del campo elettrico

i = a· E

OSSia

t� = axx Ex + axy Ey + axz Ez, più le relazioni analoghe per iy e iz.

Es. : conducibilità elettrica e termica in un mezzo anisotropo (tensore del


second'ordine) ; costanti elastiche (tensore del quart'ordine) .

197
Bibliografia

BORN M . , Fisica atomica, Boringhieri, Torino 1976.


BRAGG w., Concerning the Nature o/ Things, Dover, New York 1948.
CARERI G . , Ordine e disordine nella materia, Laterza, Bari 1982.
FLOWERS B. H., MENDOZA E., Properties o/ Matter, Wiley, New York 1989.
GUINIER A., JULLIEN R., The Solid State, Oxford University Press, Oxford
1989.
HOLDEN A. , The Nature o/ Solids, Columbia University Press, New York
1965 .
KASTLER A., Questa strana materia, EST Mondadori, Milano 1977.
KITTEL c . , Introduzione alla fisica dello stato solido, Boringhieri, Torino
1971 .
LANDAU L., KITAIGORODSKIJ A., La fisica per tutti, Editori Riuniti, Roma
1980.
PEIERLS R. E., Le leggi della natura, Boringhieri, Torino 1960.

199
Indice analitico

Accettore, 175 Bednorz G., I I I


acciaio, 5 1 , 65-6 Biot J.-B., 69
acqua, 14, r6, 43, 47 Bitter F. B., ro5
diagramma di fase adiabatica, ap- Bloch F., r6r
prossimazione, 155 funzione di, r6r
adiabatiche, trasformazioni, 34 parete di, 104
Alnico, 109 Bohm D., 157
alogenuri Bohr N., 138, 153
alcalini, 98 Boltzmann L., 25, 144
d'argento, 98 costante di, 32
ammoniaca, 17 Born M., 151, 155
amorfo, 6o, I I 9 Bo se-Einstein, statistica di, 148, r 58,
conducibilità termica dell', 87 !70
Anassimene, I I bosoni, 148
Andrews T . , 17, r89 Boyle R. , 15, 31
Angstrom A. ]., r 5 Bragg W. H. e L. W., 151
anidride carbonica, r 5 Braun F., 93
anisotropia, 6o Broglie L. de, 140
antiferromagnetismo, 102, r69 lunghezza d'onda di, 140
aria, 1 3
Aristotele, I I - 2
assorbimento ottico, 75, 8r Cailletet P., r8
coefficiente di, 76 calore
spettro di, n-8 latente, r8r, r84, r 86
atomo, 12, 131 specifico, 19, 21, 34, 8o, 82, 146,
Avogadro A., 32 !52
numero di, 32, 131 caloria, 21
campo auto-consistente, 156
carbonio, 13
bande, teoria delle, r6r Carnot S., 24
Bardeen J., I I I Cartesio, 68
Becquerel E., 75 Cavendish H., 48, 69

20!
STRUTTURA DELLA MATERIA

cella unitaria, 59 eccitoni, 165


celle solari, 122 Einstein A., 24, 136-7, 152, 189
centri di colore, 79, 174 elasticità, 70
Charles J. A. C., 32 elemento, r2
Clausius R. , 25 elettrete, 64
compressibilità, 84 elettriche, proprietà, 69
conducibilità elettromagnetismo, 136
elettrica, 87 elettrone volt, 137
ionica, 98 elettrostrizione, n7
termica, 85-7, 159 elio, r8
Cooper L., I I I liquido, r6, 54
coppie di, 159 embolia, 5 1
costante dei gas, 19, 31 Empedocle, I I
dielettrica, 49 energia
Coulomb, forza di, 131, 136 fluttuazioni, 145
cristalli interna, 23, 33, 40, 144
ionici, 151 libera (di Helmholtz) , 26, 173
liquidi, 12 3 libera (di Gibbs), 52, r8o
critici, fenomeni, r8r, r88 valor medio, 144
Curie P., 64, I I 8 entropia, 20, 25, 53, 145, r88
temperatura di, 64, r o r , 107, 190 equazione di stato, 27, 181
dei gas reali, 36
del gas ideale, 3 1
Dalton ]., 32 Eraclito, I I
legge di, 32 espansione termica, 82-3, 159
Davisson C. ]., 140
Davy H., 17
Debye P., 152, 157 Faraday M., 17, 64, 69, 92, 98
temperatura di, 82 fase, 13, 179
deformazione plastica, 72, 90, 176 diagramma di, r8r
degenerazione, 140 transizione di, 13
Democrito, 12, 131 Fermi, livello di, 147
densità ottica, 77 Fermi-Dirac, statistica di, 147, 157
Dewar J., r8 fermioni, 147
diamagnetismo, 100 ferrimagnetismo, ror, 169
diamante, r6 ferroelettricità, 117, 191
diffrazione elettronica, 140 ferromagnetismo, ror, 151, 169, 190
Dirac P. A. M., 142 cicli di isteresi, ro6
donare, 175 domini, 104
Drude P., 151 fibre ottiche, 68, 121
Dulong L., 69 fluorescenza, 75
Dulong e Petit, legge di, 8r, 152 fluttuazioni, 145, 189, 194
duralluminio, 65 fononi, 158, 170
Duvez P., 122 fontana, effetto, 56

202
INDICE ANALITICO

fosforescenza, 75 Invar, 84, no


fotoconduttività, 93, 164 isolanti, 77, 90, 162-3
fotoelettrico, effetto, 81 termici, 85
fotone, I37 isoterme, trasformazioni, 32
Fourier J., 69 isotopi, n4, 132
fullereni, 16, I n
funzione di distribuzione, 144
Josephson B. D., I I5
fusione nucleare, 126
effetto, n 5
Joule ]. P., 23, 40
Galilei G., 68 esperienza di, 3 3
galvanomagnetici, effetti, 95 Joule-Thomson, effetto, 40
gas, 16
reali, 36
struttura molecolare, 150 Kamerling Onnes H., 18, 42, no,
Gassendi P., 131 II2, 153
Gay-Lussac ]. -L., 32 Kant I., 130
germanio, 93, 176 Kapitza P. L., 56
Germer L., 140 Klitzing K. von, 97
Gibbs J. W., 144
ghisa, 5 1 , 65
lacuna (buca) elettronica, 163
Gilbert W., 64
Lambert, legge di, 76
grafite, 13, 16, 6o
Landon, teoria di, 157
Griineisen, relazione di, 83
laser, So
gruppo di rinormalizzazione, 194
Lane M. von, 59, 153
Guericke O. von, 31
Lavoisier A. L., 48
Guillaume C.-E., 83
leggi di conservazione, 135
leghe, 67, 73, 192
Hall E. H., 96 Lehman 0., 123
effetto, 96, 165 Leibniz G. W., 22
effetto quantizzato, 98 Leucippo, 12, 131
hamiltoniana, 135 levitazione magnetica, I I 3
Hartree D., 156 Linde K. von, 42
Heisenberg W., 138, 152, 168 liquido, 16, 42
principio di indeterminazione, 138 Lorentz H. A., 151
Helmont ]. B. von, 14 luminescenza, 75 , 79, 81
Higgs, bosone di, 12
Hooke R., 70
legge di, 71 Mach E., 131
Madelung E., 151
magnetismo, 64
idrogeno, atomo di, 139 magnetiche, proprietà, 100
imperfezioni cristalline, 66, 160, 174 magnetocardiografia, n6
impurezze, 92, 174, 177 magnetoencefalografia, 1 16

203
STRUTTURA DELLA MATERIA

magnetoresistenza, 95 Peierls R., 165


magnetostrizione, 110 Permalloy, 109
Mariotte E . , 3 1 permeabilità magnetica, 107
martensite, 66 peso statistico, 145, 173
massa efficace, 165 Petit A., 69
Maxwell J. C., 136, 144 Petrus Peregrinus, 64
meccanica Pictet R. P., 18
classica, 134 piezoelettricità, 118
quantistica, 138 Pines D., 157
relativistica, 136 piroelettricità, 119
statistica, 20, 143 Planck M . , 137
meccaniche, proprietà, 70, 177 costante di, 97, 132, 137
Meissner W., 112 plasma, 125, 150
effetto, 113 plasmoni, 157
Mendeleev D., 184 policristallo, 58
tavola di, 132 polimorfismo, 62, 187
metalli, 77, 151, 167 potenziale chimico, 180
modello degli elettroni liberi, 157 pressione critica, 46
microscopia elettronica, 65 Pristley ]., 48
mobilità, 97 Prout W., 12
monocristallo, 58 punto
metodi di crescita, 61 critico, 18, 39, 46, 183
Mott N., 176 À, 56
Miiller A., 1 1 1 triplo, 182

Néel, temperatura di, 102 quasicristalli, 122


Nerst W., 26 quasi-particelle, 156
Newton L, 68, 129
radar, 95
Ohm G. S., 69 Réaumur R. A., 59
legge di, 88 Reinitzer F., 123
onde sonore, 34 resistività elettrica, 88, 91
opalescenza critica, 189 reticolo cristallino, 151
Oppenheimer R. , 155 risonanza
oscillatore armonico, 140 magnetica nucleare, 8o
ossido di silicio, 121 paramagnetica elettronica, 79
ottiche, proprietà, 67, 74 Rutheford E., 132

paramagnetismo, 101 Schriffer R., 111


di Pauli, 101, 168 Schrodinger E . , 139
parametro d'ordine, 189 equazione di, 139, 154
Pauli W., 24, 142 semiconduttori, 69, 77, 92, 166

204
INDICE ANALITICO

bande di energia, I64 secondo principio, 24


conducibilità, 93-4 terzo principio, 26
Seneca L. A., I5 zeresimo principio, 2I
silicio, 93, 175 Thomson B., conte Rumford, 23
simmetria, rottura, I90 Thomson G. P., I40
smagnetizzazione adiabatica, IOI Thomson ]. J., I32
Smoluchowski R. , I89 Thomson W., lord Kelvin, 40
Smith W., 93 Torricelli E., 68
solido, I6, 58 transizioni di fase, 56
solubilità, 52 del primo ordine, I8I
soluzioni, 50 transizioni ordine-disordine, I88,
Sommerfeld A., I38, I53 -4, I56 I9I, I93
soprassaturazione, 52
spin, I32, I42
SQUID, 115 umidità, 45
stati corrispondenti, 40
sublimazione, I84
superconduttività, no Van der Waals ]. D., 37, 47, I89
campo, 112 equazione di, 37
effetto isotopico, 114 vapore, tensione di, 45
effetto tunnel, I I 5 vaporizzazione, 44
teoria BCS, I I I vetri, I6, 67, 119
superconduttori di spin, I02
ad alta temperatura critica, I I I metallici, I09, I22
del primo tipo, I I5 viscosità, I6, 54, I20
del secondo tipo, n6 vita media, 75
transizioni di fase, . I92 Volta A., 69
superfluidità, 54, I92
dell'He3, 58
superionici, conduttori, 99
superleghe, 74 Weiss P., I5I
suscettività Wiedemann-Franz, legge di, 89
elettrica, II7 Wilson C. T. R. , 46
magnetica, IOO, I9I camera a nebbia, 46
Wilson K. G., I94
Talete, I I , 64
temperatura, 2I
critica, 46, I8o X, diffrazione, 59, 65, 8I, I53
termiche, proprietà, 68, 8o
termodinamica, 10
primo principio, 2 3 Young, modulo di, 7I

205
La Nuova Italia Scientifica

Collana " B i b l i oteca Scientifica " :

DAL CALORE ALL'ENTROPIA


Una introduzione alla termodinamica
d i Matilde Vicent i n i M issoni

IL SISTEMA I M M U N ITARIO
Selezione, specificità e memoria
d i Paola Ricciard i-Castagnoli

l RITMI q EL MARE
Sedimenti e dinamica delle acque
di Franco Ricci Lucchi

LA FISICA DEl MEDICI


d i Cesare Bacc i , Claudio Furetta

L'INGEGN ERIA DELLE MOLECOLE


Le reazioni nella chimica organica
di Fulvio Di Furia, Umberto Tonellato

l MATERIALI I NORGANICI
d i G i u l iano Morett i , Piero Porta

L'ENERGIA DEl VIVENTI


Fotosintesi e Bioenergetica
di Bruno Andrea Melandri
I L PIANETA MAGN ETICO
Introduzione al geomagnetismo
d i Antonio Meloni

STRUTTURA E FUNZIONE
DELLE PROTEINE
d i Giuseppe Rotil i o

In preparazione:

LE MEMBRANE
d i G i u l io Alberti , Enrico Drioli

SPAZIO E TEMPO
N ELLA SCIENZA CONTEMPORANEA
di Enrico Bellone

PRINCIPI E M ECCANISM I
DELLO SVI LUPPO EMBRIONALE
d i Edoardo Boncinelli

MACROMOLECOLE BIOLOGICHE
di Pasquale D e Santis, M aria Savino

DINAMICA DEL SISTEMA SOLARE


d i Paolo Farinella

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