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17.12.

18 Storia delle Relazioni Internazionali

Guerre arabo-israeliane
1948 Guerra arabo-israeliana
1956 Crisi di Suez
1967 Guerra dei Sei Giorni
1973 Guerra dello Yom Kippur
Conflitto israelo-palestinese
1978 Operazione Litani
1982 Operazione Pace in Galilea

1979 Accordi di Camp David

RUOLO AMERICANO IN MEDIO ORIENTE

Dopo il ’56 (Crisi di Suez): superata la fase della formazione di Israele, il Medio Oriente
diventa uno scenario via via più rilevante e la Crisi di Suez segna un passaggio di
consegne in cui la presunzione imperiale della Gran Bretagna viene punita e gli Stati Uniti
si fanno carico del ruolo britannico in Medio Oriente (ogni azione politica autonoma
nell’area è ormai esclusivo appannaggio americano).

Sostegno a Israele come arma a doppio taglio


L’immagine degli Stati Uniti perennemente volti a sostenere Israele è sommaria e
dall’inizio, per esempio, quando si tratta di riconoscere lo stato di Israele nel ‘48, gli Stati
Uniti esitano e sarà Truman il convinto sostenitore della nascita dello stato ebraico mentre
al Dipartimento di Stato già si valuta lo spettro della politica estera americana: un
sostegno pieno ad Israele è un’arma a doppio taglio perché può significare inimicarsi il
mondo arabo e quindi:
- compromettere le forniture di petrolio (come emergerà con particolare rilevanza nel
conflitto dello Yom Kippur.
- in una logica di Guerra Fredda, lasciare uno spazio ampio di ingerenza all’Unione
Sovietica che sempre più, tra la fine degli anni ’50 e e i primi anni ’60, si orienterà verso
una politica terzomondista, volta a esercitare ruoli di primo piano dove la posizione
americana è resa difficile dal rapporto vincolante con gli alleati occidentali (es. in
occasione della Crisi di Suez lo schieramento occidentale appare diviso, dovendo gli Stati
Uniti sconfessare l’opzione anglo-francese per allontanare da sé l’immagine di paese neo-
coloniale).

-> l’Unione Sovietica trova uno spazio di intervento la cui finalità perseguita per esempio
in Egitto non è tanto quella di avere una nazione comunista, ma piuttosto quella di avere
un rapporto amichevole e fondato sull’interesse egiziano a scongiurare l’isolamento, a
svolgere un ruolo di leadership (come volevano prima Nasser e poi Sadat).

Middle East Resolution di Eisenhower (1957)


Dopo la Crisi di Suez, nel Gennaio 1957 c’è la Middle East Resolution di Eisenhower che
dichiara apertamente quello che deve essere il ruolo americano in Medio Oriente:
sostenendo che l’attuale vuoto, creatosi in Medio Oriente dopo il ’56 viene dalle perdite di
posizione e di credibilità della Gran Bretagna, deve essere riempito dagli Stati Uniti prima
che lo faccia l’Unione Sovietica.

La logica con cui si procede nel ’57 è inevitabilmente una logica di Guerra Fredda ->
prosecuzione della politica di containment: per gli americani l’intervento in Medio Oriente
significa l’impiego eventuale delle forze armate americane per assicurare e proteggere
l’integrità territoriale e l’indipendenza delle nazioni che richiedono tale aiuto contro
l’aggressione armata proveniente da qualsiasi nazione controllata dal comunismo
internazionale.
-> rientrano in questa teoria gli accordi (es. northern tier) con cui Dulles aveva sperato di
inanellare una sorta di rete che avrebbe garantito una stabile presenza americana nelle
aree strategicamente fondamentali del Medio Oriente: un anello che andava dall’Iran
(saldamente sotto il controllo occidentale, dalla deposizione di Mossadeq e il successivo
rientro dello Scià) verso l’Iraq (che dovrebbe essere un aggancio finché tiene il regime
politico), garantendo una presenza americana sempre più rilevante a fronte del rischio
comportato dalla presenza sovietica.

Instabilità e interesse sovietico


Vuoti di potere caratterizzano i regimi dei paesi delineati già dagli Accordi Sykes-Picot
(1916):
- il Libano è preda di un’instabilità perenne a causa dell’intrinseca difficoltà dovuta alla
varietà di religioni e etnie
- le frontiere dell'Iraq sono nate con Accordi Sykes-Picot e il paese, che era stato
affidato agli Hashemiti, è instabile politicamente e deve fronteggiare la questione
curda e una maggioranza sciita (a fronte di una dirigenza sunnita)
- lo Yemen era un paese estremamente diviso in cui il processo di decolonizzazione
incontrava delle difficoltà
- in Arabia aveva sempre conosciuto logiche tribali e si assisterà allo scontro tra gli
Hashemiti, in cui gli inglesi avevano posto tante speranze, e i Saud che prenderanno il
dominio dell’Arabia Saudita
- in Siria, prima dell’avvento del Baath (che proponeva un modello di governo ibrido
con un socialismo volto al panarabismo), c’è un’instabilità perenne che porta in alcuni
momenti addirittura a 3 colpi di stato in un anno

In questi e in altri erano paesi, mai governatisi autonomamente e che avevano


ritagliato tutti gli spazi di autonomia secondo logiche tribali, c’è un’instabilità perenne
in cui anche la ricchezza derivante dal petrolio non consentiva di arrivare alla
diffusione del benessere -> avranno bisogno di un aiuto economico (es. quando
l’Egitto si sposta nuovamente verso gli Stati Uniti lo farà anche perché mosso da
precise necessità economiche: non è più in grado di tenere in piedi un costosissimo
conflitto costante con Israele, ha bisogno di riprendere i pozzi rimasti nel Sinai
occupato e gli introiti che vengono dal Canale di Suez).

-> l’instabilità è effettiva ovunque in Medio Oriente e i sovietici sono interessati a


favorirla (per un certo periodo ai sovietici non interessa che si giunga a un accordo di
pace tra Israele e il mondo arabo, che dovrebbe essere il nucleo fondamentale della
stabilità in Medio Oriente) perché per loro questa significa una minaccia diretta alle
posizioni americane e l’affaccio sul Mediterraneo dalle basi in Egitto è un punto
strategico fondamentale per i sovietici.

Il Medio Oriente ha la sfortuna di aver vissuto prima le politiche colonizzatrici


dell’Europa e poi la Guerra Fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica.

Interesse petrolifero
Gli americani tuttavia sono dei neofiti nella politica in Medio Oriente e sono gli inglesi gli
esperti formatisi in anni e anni di relazioni più o meno segreti. Gli americani, quando si
devono affidare a esperti di Medio Oriente, inizialmente possono solamente affidarsi a
coloro che negli Stati Uniti intrattengono rapporti economici con il Medio Oriente -> nella
fase iniziale il rapporto è viziato dal fatto che gli esperti di Medio Oriente per gli americani
siano i petrolieri: i rapporti economici con il Medio Oriente e con il mondo arabo sono
essenzialmente mediati da uomini condizionati dall’interesse economico americano nella
regione.

Gli Stati Uniti hanno delle fonti proprie e non sono, come spesso avviene per l’Europa,
quasi totalmente dipendenti dalle forniture di greggio del Medio Oriente ma in realtà è
chiaro che nel tempo, man mano che l’economia si lega sempre di più alle forniture di
petrolio, l’interesse americano è forte.
-> sempre più l’interesse petrolifero va a incidere, anche quando il greggio del mondo
arabo ricopre circa il 10% del fabbisogno americano.

Vincolo politico
Accanto all’interesse petrolifero, esiste anche il vincolo politico che lega gli Stati Uniti a
Israele: la lobby sionista al Congresso esiste e ha una capacità di condizionare la politica
americana.

La politica americana nei confronti del Medio Oriente non è comunque costantemente e
univocamente diretta al solo sostegno di Israele e sono molteplici i punti di vista che
vanno a formare le scelte americane (uno tra i quali è dettato dalle esigenze della Guerra
Fredda).

IL MONDO ARABO DOPO LA CRISI DI SUEZ

Panarabismo
Il discorso del panarabismo e il tentativo di unificare nasce dall’Egitto (Nasser in
particolare), con un elemento di coesione che non è quello religioso, ma il senso di
unità contro i principi della colonizzazione e contro Israele (esemplificazione dei una
nuova forma di neocolonialismo) -> l’antisionismo è uno degli elementi che fanno da
collante al panarabismo.

Il panarabismo nasce e cresce in una fase in cui ancora il percorso anti-coloniale non
è ancora definito: Nasser ha un ruolo importante nei movimenti di liberazioni, in
particolare in Algeria (ragione per cui venne detestato dai francesi, che si impegnarono
poi nell’impresa di Suez).

Egitto rinforzato
Il mondo arabo ha la capacità di digerire le sconfitte militare, che non si traducono
necessariamente in sconfitte politiche: il nasserismo esce rafforzato dalla Crisi di Suez.
L’Egitto nel ’56 si era visto sopraffare da forze coloniali (per quanto l’intervento anglo-
francese fosse di stampo vetero-coloniale a fronte del legittimo diritto egiziano di
nazionalizzare il canale) ma successivamente il controllo del canale passa agli egiziani e la
nazionalizzazione del canale è un principio che viene riconosciuto -> l’Egitto (e Nasser)
riesce ad affermare un ruolo rilevante di leadership che si accompagna alla leadership nel
Movimento dei Non Allineati.

Il Movimento dei Non Allineati chiarisce la logica di principio (il valore politico sarà relativo)
che vuole far presente l’impossibilità di allinearsi ideologicamente al blocco dei paesi
comunisti e la contestazione nei confronti degli Stati Uniti, considerati sempre di più come
portatori degli interessi occidentali (grande nemico dell’Egitto insieme al sionismo).

Repubblica Araba Unita (1958)


La spinta del panarabismo verso l’unificazione: l’Egitto porta avanti l’idea che sia
necessaria un’unificazione vera.
Nasce la Repubblica Araba Unita (1958), che dovrebbe vedere una prima coesione di
Egitto e Siria, ma non durerà tantissimo. Nel 1961, con il primo colpo di stato in Siria, c’è
la rottura di quest’unione e dei rapporti con l’Egitto: in realtà Nasser aveva sempre
pensato di unificare il mondo arabo, ma rigorosamente sotto la propria leadership -> il
peso del controllo e del dominio egiziano era troppo gravoso perché questo modello di
unificazione potesse funzionare.

Rivoluzioni e regimi autocratici in Siria, Iraq ed Egitto


Nei primi anni ’60 la Siria conosce un periodo di grande instabilità e in tutto il Medio
Oriente c’è un processo politico in divenire che cerca anche un’identità propria (oltre alla
necessità di creare un fronte comune contro Israele). In Iraq e in Sira avvengono le rivolte
dei liberi ufficiali: com’era accaduto in Egitto (dove Nasser era andato al potere ribaltando
Fārūq e costituendo un regime autocratico che aveva un’aspirazione politica interna ed
estera di grande respiro), in Iraq nel 1958 il colpo di mano dei liberi ufficiali elimina la
monarchia di Nuri al-Said.
Queste monarchie non erano mai riuscite ad attuare ciò che avrebbe potuto realmente
garantire una stabilità.

-> si arriva a una forma di panarabismo declinato secondo i criteri dei regimi ba'thisti (in
Iraq e in Siria) in cui via via si troverà una figura di leader dominante (Saddam in Iraq e
Assad in Siria), istituendo un regime totalmente dittatoriale. Anche al regime egiziano di
Sadat si rimprovera di aver sempre più orientato il sistema del paese verso un autocrazia
totale piuttosto che verso un processo di democratizzazione (il contrario rispetto a quella
che avrebbe potuto essere una naturale evoluzione).

Errore di fondo nella logica americana di Guerra Fredda


Gli americani capiscono nei primi anni ‘60 che il pericolo vero in Medio Oriente per i loro
interessi non è il comunismo (non funzionano le logiche della Guerra Fredda) e la forza
principale trainante è l'insorgente nazionalismo del mondo arabo, che non ha nulla a che
vedere con il comunismo e non vuole declinare in questa chiave i regimi del mondo arabo
(es. i leader del partito comunista in Egitto vengono fatti arrestare).
-> a penetrazione che viene dalla Guerra Fredda, corollario della Dottrina Eisenhower, non
fa che peggiorare le cose (non c’è una minaccia comunista).

Problema del non-riconoscimento


Sempre di più il problema della stabilità del Medio Oriente si collega al conflitto arabo-
israeliano (non c’è ancora in questa fase un conflitto Israele-Palestina e sono gli arabi che
si prendono in carico, con un dei messaggi fondamentali del panarabismo, il compito di
liberare la Palestina da una presenza considerata illegittima e coloniale).
Il dato del non-riconoscimento è fondamentale: nel mondo arabo nessuno riconosce a
Israele il diritto di esistere e agli ebrei di avere uno stato in Palestina (la cacciata degli
ebrei è considerata l’unica opzione).
-> gli spazi negoziali sono inesistenti.

Organizzazione per la Liberazione della Palestina


Nel 1964 nasce l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) nella quale
confluiscono una serie di movimenti (a partire da Al-fatah di Yasser Arafat) che non hanno
fino a ora fatto altro che organizzare una guerriglia che sfocia in atti di terrorismo (conflitto
asimmetrico).
L’OLP nasce sotto l’egida egiziana, per iniziativa dello stesso Nasser che in occasione
della Conferenza del Cairo vuole creare questa organizzazione che raduni tutta la
dissidenza palestinese proprio sotto patrocinio egiziano e siriano.

GUERRA DEI SEI GIORNI (1967)

Nel frattempo però la situazione dopo la crisi di Suez non può che essere totalmente
provvisoria perché in realtà c’è da parte dell’Egitto e del mondo arabo la volontà di
riuscire ad assestare finalmente un colpo militarmente efficace a Israele e tutta la
propaganda sul fronte interno evidenzia come l’obiettivo di vincere una guerra con Israele
sia un obiettivo fondamentale -> crescendo di tensione che determina la Guerra dei Sei
Giorni del (1967), conflitto arabo-israeliano successivo alla Crisi di Suez.
La Guerra dei Sei Giorni nasce come un’offensiva israeliana su 3 fronti:
- Sinai: contro l'Egitto
- Cisgiordania: contro la Giordania
- Alture del Golan: contro l’Egitto

Antefatti: guerra dell’acqua


Israele agisce perché da un mese ci si attende un attacco concentrico da parte di Egitto,
Siria e Giordania, di cui erano stati dati ampi segnali: una serie di incidenti legati alla
“guerra dell’acqua”.
Le Alture del Golan sono a Nord e, dal punto di vista strategico, il fatto che queste siano
controllate dai siriani costituisce un problema per gli israeliani perché vuol dire che dalle lì
possono essere tenuti nel mirino dai siriani.

Gli israeliani continuano nella loro attività di insediamento (cercando di razionalizzare


sempre di più il territorio che controllano) -> esiste un problema idrico e uno dei tanti
elementi di conflitto in Israele è il problema dell’acqua: nel momento in cui gli arabi
capiscono quanto le risorse d’acqua siano fondamentali agli ebrei (es. per irrigare il
Negev) cercano di deviare ile acque del Giordano, facendo mancare a Israele delle fonti
d’acqua primarie.
-> nella fase immediatamente antecedente alla Guerra dei Sei Giorni ci sono una serie di
incidenti militari perché ci sono dei lavori arabi per deviare le acque e dei puntuali attacchi
israeliani per impedire che questi lavori proseguano.

Vulnerabilità geografica di Israele


L’assetto fisico di Israele è percepito dagli stessi israeliani come vulnerabile a causa del
corridoio che si restringe nella parte Nord del paese, costituendo un punto di debolezza in
caso di attacco concentrico (e gli arabi puntano proprio a un attacco che circondi
completamente Israele).
L’intervento israeliano nella Crisi di Suez era teso a sbloccare una situazione ritenuta
insostenibile che vedeva Israele circondato e strozzato con la chiusura dello Stretto di
Tiran, che viene chiuso nuovamente a ridosso della Guerra dei Sei Giorni.

Nasser chiede a U Thant (Segretario Generale delle Nazioni Unite) di ritirare dal Sinai
contingenti della Nazioni Uniti e questo accorderà il permesso senza passare attraverso
particolari procedure, peraltro in una fase in cui Israele sente sempre più quanto pesino
all’interno dell’Assemblea Generale delle Nazioni Uniti le posizioni terzomondiste. Il
Movimento dei Non-Allineati ha da questo punto di vista una sua efficacia proprio perché
diventa anche il portatore degli interessi e del riscatto del Terzo Mondo (nell’Assemblea
Generale questi rappresentano dei voti).

Debolezza e sconfitta degli arabi


Il coordinamento politico-militare manca all’interno della Lega Araba, che è più un luogo
di identità politica più di principio che pratica, mentre l’esperimento che Nasser voleva
attuare era un’unione pratica.
-> gli arabi perdono la Guerra dei Sei Giorni perché manca un coordinamento militare e
non funziona lo Stato Maggiore congiunto tra Egitto e Siria (ognuno procede per conto
proprio in modo non coordinato): il punto debole di Israele è quello di essere
completamente circondato, ma le forze che lo circondavano non sono mai riuscite a
coordinate efficacemente dal punto di vista militare.
Gli israeliani riusciranno a portare a termine la guerra in soli sei giorni, e con la prima
azione militare distruggono quasi per intero l’aviazione egiziana senza che questa riesca
ad alzarsi in volo.
Prima della guerra in Israele c’era un panico crescente e gli israeliani erano convinti che
avrebbero subito un attacco militare che avrebbe potuto compromettere la loro esistenza.

Nazioni Unite e Stati Uniti


In questa fase Israele si sente particolarmente isolato:
- le Nazioni Uniti acconsentendo la richiesta di Nasser favoriscono moltissimo l’ingresso
degli egiziani (appena sono ritirati i contingenti, gli egiziani hanno il via libera per entrare
dal Sinai vero Israele)
- gli americani si stanno impegnando in Vietnam e il Medio Oriente è diventato uno
scenario secondario -> gli israeliani sentono anche di non poter contare con estrema
certezza sull’appoggio americano. Johnson peraltro aveva chiarito agli israeliani che non
sarebbero stati soltanto qualora non avessero agito da soli (l’aiuto americano non era
garantito in caso di iniziative avventate). In ogni caso, nel momento in cui Israele si trova
in una fase emergenziale si mettono in moto le lobby al Congresso e una serie di aiuti su
cui Israele può contare.

Ruolo Sovietico
I sovietici non vogliono garantire una pacificazione in Medio Oriente in questa fase, e anzi
alimentano la tensione tra i due avvisando l’un l’altro che dall’altra parte si sta preparando
qualcosa.

Attacco israeliano
Arrivando informazioni di varia entità, Israele vuole attuare un attacco preventivo che lo
metta al sicuro, pur rischiando di perdere qualche consenso perché si presenterebbe per
la prima volta sulla scena come stato aggressore (mentre nel ’56 poteva essere utilizzato il
pretesto dello Stretto di Tiran, che pure era stato chiuso di nuovo nonostante l’esplicito
divieto che era seguito alla Crisi di Suez senza che ci fosse un’azione internazionale
precedente alla guerra).

ESITO DELLA GUERRA DEI SEI GIORNI

Opzione delle terre contro sicurezza


Dopo l’offensiva israeliana nel Giugno del 1967 la situazione geopolitica si configura come
il fondamento dei problemi che perdurano tutt’oggi: la situazione dei territori occupati si è
creata nel 1967 quando, con una vittoria militare assoluta, gli israeliani sono riusciti a
prendersi e a occupare la Cisgiordania, le Alture del Golan e la Striscia di Gaza.
Nonostante le occupazioni dei territori, Israele non annette niente e la sua opzione politica
dichiarata dopo la Guerra dei Sei Giorni è l’idea di terre contro sicurezza: posti in una
situazione negoziale ottimale grazie all’occupazione dei territori, gli israeliani possono
negoziare da una posizione di forza (le alture del Golan e la Cisgiordania rappresentano
per Israele un accrescimento incredibile della propria sicurezza perché mettono una
distanza ottimale tra Israele e i propri nemici).

La posizione araba si riassume a partire dal ’67 nei “Tre NO di Khartum”: no al


riconoscimento, no alla pace, no al negoziato -> il mondo arabo ha fatto ormai della
visione di Israele come baluardo del neocolonialismo un elemento imprescindibile del
panarabismo (trattando con Israele tradirebbe il fondamento della politica estera del
panarabismo e del riscatto del mondo arabo).
-> le possibilità di negoziato sono pari a zero perché le posizioni arabe vengono anche
dalla rilevanza che la questione israeliana ha preso nel tempo, al punto da diventare la
questione centrale per tutti i possibili equilibri del Medio Oriente.

Con la Guerra dei Sei Giorni Israele si estende in tutto il Sinai comprendendo la Striscia di
Gaza, prende tutta la Cisgiordania e le Alture del Golan, e riesce finalmente a prendere
possesso delle parte orientale di Gerusalemme (relativamente alla quale la situazione
rimane impregiudicata).
-> Israele si estende con l’intento di ottenere una sicurezza assoluta, ma col
sopraggiungere del realismo si va a mettere in una situazione sempre più ingestibile.

Territori guadagnati con la Guerra dei Sei Giorni


Lo scambio di territori riguarda il Sinai:
- difficilmente gli israeliani possono pensare di ritirarsi dalle Alture del Golan (prendendo le
Alture del Golan la distanza tra Damasco e il confine israeliano diventa minima e dunque
la minaccia su Damasco consente a Israele di avere il deterrente necessario a garantirsi la
sicurezza contro la Siria, uno dei propri nemici)
- tenendo la Cisgiordania e la Striscia di Gaza (le più densamente popolate di villaggi
arabi), Israele va a occupare delle zone piene di palestinesi (arabi palestinesi) e, nel
momento in cui l’intenzione è quella di scambiare territori per riconoscimento e pace,
Israele considera questa situazione del tutto provvisoria e lascia i palestinesi in questa
situazione di stallo.

Il colpo del ’67 è stato un colpo terribile per l’Egitto che con la drammatica perdita del
Sinai si trova senza gli introiti del Canale di Suez (che rimarrà fuori uso per 7 anni). La
Giordania si trova senza tutta la Cisgiordania (perdita territoriale anche in questo caso non
indifferente).

Politica degli insediamenti


Sono i laburisti (e non le forze di destra come Likud che hanno sempre immaginato a una
contrapposizione netta con il mondo arabo) a iniziare la politica degli insediamenti
territoriali nei territori occupati.
-> il primo problema è che comincia a esserci un flusso di coloni ebrei che vanno a
collocarsi in territori che dovrebbero essere un domani oggetto di un possibile negoziato.

Il fatto che questi territori non siano annessi significa che lo status degli arabi palestinesi
non prevede la cittadinanza (che invece era stata concessa agli arabi palestinesi che
vivevano nelle zone assegnate a Israele in precedenza).
-> in questa fase i laburisti (secondo un’idea di Peres e Rabin) si apprestano a favorire
una qualche forma di autonomia: con delle elezioni municipali si pensa di consentire una
sorta di autogoverno municipale, sempre sotto autorità israeliana.

Risoluzione 242
La risoluzione delle Nazioni Unite che segue la Guerra dei Sei Giorni è la 242 che prevede
che ci sia un ritiro israeliano dai territori occupati e un riconoscimento reciproco con
reciproca garanzia alle frontiere.

Ci sono tuttavia delle ambiguità costruttive dovute al fatto che c’è una versione francese e
una versione inglese: una recita “ritiro da territori occupati”, l’altra “ritiro dai territori
occupati”: una risoluzione sembra indicare che può esserci un ritiro parziale, l’altra invece
che deve esserci un ritiro da tutti i territori occupati.
-> sul piano negoziale ci si muove su un terreno fragile e nemmeno per le forze che non
sono direttamente coinvolte è facile lavorare sulla materia.

IDENTITÀ POLITICA PALESTINESE E RAPPORTI CON GLI ARABI

Cacciata dei palestinesi dalla Giordania


L’OLP è nata nel 1964 ma sempre di più i palestinesi cercano di darsi un’identità propria,
che sia anche politica: molti profughi palestinesi si dirigono verso la Giordania,
costituendo una sorta di enclave che nel Settembre 1970, dopo che la monarchia
Hashemita si accorge che ci sono stati dei tentativi palestinesi di uccidere il re, diventa
oggetto di un’azione militare giordana -> i palestinesi vengono cacciati dalla Giordania
(Settembre Nero).

I palestinesi cominciano a diventare un grosso problema da gestire anche per il mondo


arabo perché cercano di trovare una propria struttura militare e, nel momento in cui
questo avviene all’interno di un altro paese, tutti gli attacchi rivolti a comandi palestinesi
avvengono su territori di un altro paese -> la Giordania si libera delle basi militari
palestinesi perché altrimenti diventa troppo vulnerabile rispetto agli attacchi israeliani (i
palestinesi potrebbero decidere come e quando la Giordania entra in guerra con Israele).

-> la Giordania, il cui territorio è immediatamente limitrofo, è il paese che maggiormente


ha fatto fronte all’emergenza dei rifugiati palestinesi ma poi subito reagito per prima con
grandissima violenza.

Palestinesi in Libano
I palestinesi cacciati dalla Giordania tenderanno a spargersi, ma la maggior parte dei loro
insediamenti sarà in Libano: un’altra situazione fortemente instabile si presta alla
costituzione di un’ulteriore enclave, dove è lasciato un margine di manovra maggiore alla
struttura politica e militare palestinese.

Relazioni del mondo arabo con i palestinesi


Il fatto di lasciare i palestinesi in una condizione di instabilità e di esuli perenni ha giovato
allo stesso mondo arabo (l’unico paese che dà la cittadinanza ai palestinesi è la
Giordania): dare la cittadinanza può significare un’accettazione dello stato di fatto di una
popolazione che non riuscirà più ad avere il proprio territorio.
-> la necessità identitaria palestinese nasce nel momento in cui gli arabi di Palestina si
trovano scacciati.

I palestinesi vengono tenuti in una condizione di perenne instabilità perché questo


consente di avere uno strumento di manovra e perché gli arabi hanno difficoltà a farsi
direttamente carico di una presenza che nel tempo rischia di farsi politicamente
ingombrante (gli israeliani intervengono in Libano nel 1982 con l’Operazione Pace in
Galilea proprio perché vogliono andare a cancellare la minaccia palestinese che viene dal
Libano).
-> ogni stato all’interno del quale i palestinesi vanno a insediarsi come struttura politico-
militare è a rischio di instabilità e di attacco israeliano.

I profughi come tali vengono accolti quasi ovunque, ma diverso sarebbe dare loro la
cittadinanza (che significherebbe stabilizzare la situazione).

Anche all’interno del mondo arabo comincia a crearsi una situazione sempre più
complessa.

Terrorismo internazionale
La situazione di grande rafforzamento strategico per Israele è comunque di instabilità e
potrebbe avere un esito solo se si avviasse una trattativa, ma non ci sono interlocutori per
questa trattativa.
Per i palestinesi l’unica arma è il terrorismo, che all’inizio degli anni ’70 viene sempre più
declinato in chiave internazionale (attentato alle Olimpiadi di Monaco del 1972;
dirottamenti), da cui Arafat prenderà le distanze soltanto nel ’73-’74, quando si rende
conto che lo strumento del terrorismo internazionale (che coinvolge l’Occidente) rischia di
essere un fattore controproducente che può non giovare alla lotta del movimento
palestinese.

Connotazione laica del movimento di liberazione


Il movimento di liberazione della Palestina non ha in questa fase una caratterizzazione
islamica: non è ancora l’elemento islamista che ha preso il controllo della lotta e lo
diventerà negli anni ’80 soprattutto dopo le operazioni israeliane in Libano, quando
saranno i movimenti di estremismo religioso che riusciranno a prendere il controllo della
lotta di resistenza dei palestinesi (a fonte anche del fallimento dell’OLP)
-> la connotazione dell’OLP non è necessariamente islamista o fondamentalista (Arafat
sposerà una cristiana e Habash, leader di uno dei movimenti dell’OLP, era cristiano) e il
legame tra movimenti di liberazione e islamismo è un passaggio successivo.

Successivo è anche l’ondata di islamismo che prende piede in Egitto nel momento in cui
si registra via via il fallimento politico delle autorità laiche (OLP; politica interna di Sadat in
Egitto, che prima cerca la convivenza con i Fratelli Musulmani ma poi si trova contro tutto
l’estremismo islamico).

GUERRA DELLO YOM KIPPUR (1973)

Attacco egiziano e sfondamento della linea Bar-Lev


La situazione non può che portare a nuovi conflitti, e nell’Ottobre del 1973 c’è la Guerra
dello Yom Kippur: tentativo egiziano di cogliere di sorpresa gli israeliani nel giorno della
loro festa più importante.
L’attacco riesce perché di fatto gli egiziani riescono ad attraversare il Canale di Suez e a
sfondare la Linea Bar-Lev, che veniva considerata la linea difensiva invalicabile dello stato
di Israele -> gli israeliani assistono all’immediato avanzamento e si pensa che questi
possano inizialmente cedere.

Obiettivo americano di recuperare posizioni in Medio Oriente


Gli americani vengono posti ancora una volta di fronte alla necessità di scegliere cosa
fare: l’Unione Sovietica ha preso posizione aiutando militarmente le forze arabe con
grande efficacia, ma gli americani esistano a farsi coinvolgere militarmente in maniera
diretta (invio immediato di armi, strumentazioni e risorse di cui Israele ha assoluto bisogno
nel lungo periodo).

Kissinger, che ha un’idea piuttosto chiara di quella che dorrebbe essere la politica
americana in Medio Oriente, benché sia lui stesso ebreo, non è convinto che Israele
debba infliggere una sconfitta schiacciante all’Egitto: Kissinger sa che la politica
americana deve sostenere e tenere in vita Israele, ma anche che è necessario arrivare a
una trattativa per la quale è necessario che l’Egitto non abbia subito un’umiliazione che gli
impedirebbe di trovare spazi di trattativa.

Kissinger è convinto anche che questa sia la politica che può portare gli Stati Uniti a
ritrovare un ruolo dominante in Medio Oriente (scalzando l’Unione Sovietica) -> riportare
l’Egitto al tavolo delle trattative può significare che il ruolo americano nei confronti del
mondo arabo possa modificarsi riguadagnano nei confronti dei paesi arabi le proprie
posizioni, ripristinando un miglior rapporto con l’Egitto e così scalzando definitivamente i
sovietici.
-> il piano di Kissinger si realizza: nel momento in cui gli americani riescono a ritrovare un
minimo di equilibrio in Medio Oriente e a portare gli egiziani al tavolo delle trattative con
Israele, riescono anche a riguadagnare delle posizioni.

Forza del petrolio


In questa fase tuttavia l'azione americana non è scontata perché gli arabi si rendono
conto per la prima volta nel 1973 che possono usare la potente arma del petrolio.
All’interno del cartello dei paesi produttori di petrolio (OPEC) si sta discutendo già da
qualche tempo di arrivare a un rialzo dei prezzi del greggio: una politica di cartello è
estremamente efficace perché il mercato si deve necessariamente adeguare.

Gli Stati Uniti sono dipendenti dal petrolio arabo solo per una minima parte del loro
fabbisogno, ma gli europei e il Giappone lo sono per oltre il 50% -> un aumento del
prezzo del greggio ha un effetto non solo come risorsa energetica ma anche su tutti i costi
di produzione (e su tutti i prezzi), causando il rischio di arrivare a processi che incidano
pesantemente sul mercato monetario globale.

Per gli Stati Uniti c’è una duplice minaccia: il fabbisogno per la produzione ma anche la
risposta alla crisi monetaria in cui si verrebbe a trovare l’Europa (con effetti
necessariamente anche sugli Stati Uniti).
All’interno del Dipartimento di Stato si predica prudenza rispetto a una politica di grande
sostegno a Israele (in Iraq vengono nazionalizzate la Exxon e la Shell).

-> in questa fase le politiche si giocano sulla capacità araba di incidere direttamente sulle
politiche monetarie occidentali. Anche gli americani sentono a questo punto che gli arabi
hanno uno strumento di pressione che prima non era così ben coordinato.

Vittoria militare israeliana e successo politico egiziano (Risoluzione 338)


Kissinger alla fine riesce a vincere le resistenze del Pentagono e del Dipartimento di Stato
e organizza il ponte aereo verso Israele (forniture di materie prime e di armi) che consente
agli israeliani ancora una volta di riportare una vittoria militare sull’Egitto.
L’Egitto di Sadat continua comunque a questo punto ad avere un ruolo di leadership
all’interno del mondo arabo, costruito sullo sfondamento inflitto agli israeliani a Bar-Lev ->
la sconfitta militare diventa in parte successo politico.

Sadat, che si era trovato in un vicolo cieco, per arrivare a delle trattative era riuscito a
muovere le cose attraverso un intervento militare -> la Risoluzione 338 delle Nazioni Uniti
riconferma la 242, richiamando i belligeranti alla necessità di arrivare a un negoziato.

Si apre un lungo periodo in cui Kissinger è il protagonista fondamentale di una politica


che vede gli Stati Uniti coinvolti in maniera massiccia, con l’idea che il Medio Oriente
costituisca un'emergenza e che bisogni arrivare a un processo di pace.
OLP E ISRAELE DOPO LA GUERRA

Crescente considerazione politica dell'OLP


L’OLP rivede nel 1973 le proprie posizioni circa la lotta armata internazionale e si scioglie
l’organizzazione Settembre Nero che aveva organizzato l’uccisione degli atleti israeliani a
Monaco.

Nel 1974 Arafat si pronuncia contro il terrorismo internazionale e in Ottobre l’OLP viene
riconosciuta (non da Israele) come un organo rappresentativo dei palestinesi e viene
ammessa alle Nazioni Unite come osservatore.
OLP e israeliani sono ancora lontani da una trattativa: le delegazioni israeliane non sono
presenti dove sono presenti delegazioni dell’OLP.

-> c’è via via una crescente considerazione politica nei confronti dell’OLP ma ancora non
un dialogo con Israele.

Necessità egiziana di trattare e Likud al potere


A questo punto a trattare con Israele può essere l’Egitto, che ha necessità di mettere fine
all’onere derivante dal non riuscire a riappropriarsi dei territori perduti del Sinai e all’onere
politico che deriva dalla situazione -> Sadat prende l’iniziativa.

Nel 1977 la politica condotta fino a quel momento da Israele conosce una fase di
indebolimento: i laburisti perdono le elezioni e va al potere Likud di Menachem Begin (che
era stato capo dell’Irgun). Likud è un partito conservatore legato a una visione più rigida
dei rapporti tra arabi e israeliani.

Sarà comunque proprio Menachem Begin il protagonista della trattativa con l’Egitto
(Sadat chiede di recarsi a Gerusalemme e parla di fronte al Knesset).

ACCORDI DI CAMP DAVID (1979)

Jimmy Carter, che aveva dovuto assorbire i colpi derivanti dalla fine della distensione e
gestire lo sgretolamento delle posizioni americane soprattutto in riferimento alla crisi
iraniana, è il presidente che si prende in carico il difficilissimo negoziato di pace tra Egitto
e Israele.
A Camp David inizia il lunghissimo negoziato in cui la presidenza degli Stati Uniti si sforza
il più possibile di essere super partes (meno filo-israeliana della precedente presidenza
Ford, benché Camp David abbia una certa continuità dal momento che ad adoperarsi per
il negoziato tra arabi e israeliani è proprio Kissinger).

Riavvicinamento americano all’Egitto e esclusione dei sovietici dal Medio Oriente


A Camp David, nella pace tra Egitto e Israele, si dovrebbe registrare un punto di equilibrio:
la pace restituisce il Sinai all’Egitto, che ritrova anche una certa stabilità sul fronte interno
grazie a un flusso di finanziamenti che partono dagli Stati Uniti.
-> l’Egitto si avvia a diventare di nuovo un baluardo delle posizioni americane in Medio
Oriente.

Nel 1979, nella fase declinante della distensione, i sovietici vengono scalzati dal Medio
Oriente attraverso gli Accordi di Camp David (rimangono solo i baluardi della Siria e dello
Yemen).
Conseguenze nei rapporti tra Egitto e arabi
Non viene comunque risolto il problema fondamentale: quando l’Egitto firma la pace con
Israele, viene recepito dai palestinesi come il paese che firma una pace per sé (per avere il
Sinai) ma che in realtà non riesce a trovare nessun accordo sulle questioni che riguardano
principalmente i palestinesi: Cisgiordania, Gaza, Gerusalemme -> i punti fondamentali
della questione tra palestinesi e israeliani vengono rimandati a ulteriori trattati.

L’Egitto viene cacciato dalla Lega Araba dopo Camp David e Sadat diventa un “traditore”
della causa dell’anti-sionismo nel mondo arabo (Sadat verrà ucciso in un attentato, anche
a causa dell’ostilità che aveva suscitato negli integralisti sul fronte interno).

-> Camp David risolve una posizione americana in Medio Oriente e la potenziale minaccia
egiziana per Israele (che riesce ad assestarsi in una situazione meno emergenziale), ma di
fatto mentre Begin tratta con Sadat continuano gli insediamenti e la contraddittoria
politica israeliana nei confronti dei territori occupati.

GUERRE ISRAELE-LIBANO

Negli anni ’80 con l’Operazione Pace in Galilea si evidenziano i problemi che vengono
dalla necessità di Israele di far fronte a una minaccia che sempre più si caratterizza
nell'OLP strettamente palestinese -> non si parla più di conflitto arabo-israeliano ma di
conflitto tra israeliani e palestinesi.

Operazione Litani (1978) e Operazione Pace in Galilea (1982)


Gli israeliani entrano in Libano perché vogliono eliminare le postazioni militari dalle quali i
palestinesi attaccavano la parte Nord di Israele, creando una parte tranquilla nel Sud del
Libano.
Alcuni ritengono che Israele volesse tornare alla vecchia rivendicazione che lo vedeva
arrivare fino al fiume Litani (Operazione Litani), per portare il confine fino alla zona a
maggioranza cristiana maronita del Libano, che era interpretata dalla dirigenza israeliana
come potenziale alleato, e in quella fase aveva il comune interesse a scansare le posizioni
della Siria (che fino a quel momento aveva costituito la pax libanese).

Se Israele vede all’inizio la pacificazione libanese attraverso la pax siriana come una
possibilità, successivamente la ritiene una minaccia -> interviene con l’Operazione Pace
in Galilea.

L’operazione diventa un problema per Israele perché si trova coinvolta in complesse


operazioni militari: l’assedio di Beirut dura 70 giorni e il Massacro di Sabra e Shatila avvia
in Israele un processo contro Sharon per capire quali fossero le responsabilità israeliane
nel massacro perpetuato dai frangiati libanesi.
-> comincia a venir meno l’immagine di Israele costantemente nella parte del giusto (e
questo causa anche una crisi interna con le proteste che seguiranno il Massacro di Sabra
a Shatila).

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