Documente Academic
Documente Profesional
Documente Cultură
Guerre arabo-israeliane
1948 Guerra arabo-israeliana
1956 Crisi di Suez
1967 Guerra dei Sei Giorni
1973 Guerra dello Yom Kippur
Conflitto israelo-palestinese
1978 Operazione Litani
1982 Operazione Pace in Galilea
Dopo il ’56 (Crisi di Suez): superata la fase della formazione di Israele, il Medio Oriente
diventa uno scenario via via più rilevante e la Crisi di Suez segna un passaggio di
consegne in cui la presunzione imperiale della Gran Bretagna viene punita e gli Stati Uniti
si fanno carico del ruolo britannico in Medio Oriente (ogni azione politica autonoma
nell’area è ormai esclusivo appannaggio americano).
-> l’Unione Sovietica trova uno spazio di intervento la cui finalità perseguita per esempio
in Egitto non è tanto quella di avere una nazione comunista, ma piuttosto quella di avere
un rapporto amichevole e fondato sull’interesse egiziano a scongiurare l’isolamento, a
svolgere un ruolo di leadership (come volevano prima Nasser e poi Sadat).
La logica con cui si procede nel ’57 è inevitabilmente una logica di Guerra Fredda ->
prosecuzione della politica di containment: per gli americani l’intervento in Medio Oriente
significa l’impiego eventuale delle forze armate americane per assicurare e proteggere
l’integrità territoriale e l’indipendenza delle nazioni che richiedono tale aiuto contro
l’aggressione armata proveniente da qualsiasi nazione controllata dal comunismo
internazionale.
-> rientrano in questa teoria gli accordi (es. northern tier) con cui Dulles aveva sperato di
inanellare una sorta di rete che avrebbe garantito una stabile presenza americana nelle
aree strategicamente fondamentali del Medio Oriente: un anello che andava dall’Iran
(saldamente sotto il controllo occidentale, dalla deposizione di Mossadeq e il successivo
rientro dello Scià) verso l’Iraq (che dovrebbe essere un aggancio finché tiene il regime
politico), garantendo una presenza americana sempre più rilevante a fronte del rischio
comportato dalla presenza sovietica.
Interesse petrolifero
Gli americani tuttavia sono dei neofiti nella politica in Medio Oriente e sono gli inglesi gli
esperti formatisi in anni e anni di relazioni più o meno segreti. Gli americani, quando si
devono affidare a esperti di Medio Oriente, inizialmente possono solamente affidarsi a
coloro che negli Stati Uniti intrattengono rapporti economici con il Medio Oriente -> nella
fase iniziale il rapporto è viziato dal fatto che gli esperti di Medio Oriente per gli americani
siano i petrolieri: i rapporti economici con il Medio Oriente e con il mondo arabo sono
essenzialmente mediati da uomini condizionati dall’interesse economico americano nella
regione.
Gli Stati Uniti hanno delle fonti proprie e non sono, come spesso avviene per l’Europa,
quasi totalmente dipendenti dalle forniture di greggio del Medio Oriente ma in realtà è
chiaro che nel tempo, man mano che l’economia si lega sempre di più alle forniture di
petrolio, l’interesse americano è forte.
-> sempre più l’interesse petrolifero va a incidere, anche quando il greggio del mondo
arabo ricopre circa il 10% del fabbisogno americano.
Vincolo politico
Accanto all’interesse petrolifero, esiste anche il vincolo politico che lega gli Stati Uniti a
Israele: la lobby sionista al Congresso esiste e ha una capacità di condizionare la politica
americana.
La politica americana nei confronti del Medio Oriente non è comunque costantemente e
univocamente diretta al solo sostegno di Israele e sono molteplici i punti di vista che
vanno a formare le scelte americane (uno tra i quali è dettato dalle esigenze della Guerra
Fredda).
Panarabismo
Il discorso del panarabismo e il tentativo di unificare nasce dall’Egitto (Nasser in
particolare), con un elemento di coesione che non è quello religioso, ma il senso di
unità contro i principi della colonizzazione e contro Israele (esemplificazione dei una
nuova forma di neocolonialismo) -> l’antisionismo è uno degli elementi che fanno da
collante al panarabismo.
Il panarabismo nasce e cresce in una fase in cui ancora il percorso anti-coloniale non
è ancora definito: Nasser ha un ruolo importante nei movimenti di liberazioni, in
particolare in Algeria (ragione per cui venne detestato dai francesi, che si impegnarono
poi nell’impresa di Suez).
Egitto rinforzato
Il mondo arabo ha la capacità di digerire le sconfitte militare, che non si traducono
necessariamente in sconfitte politiche: il nasserismo esce rafforzato dalla Crisi di Suez.
L’Egitto nel ’56 si era visto sopraffare da forze coloniali (per quanto l’intervento anglo-
francese fosse di stampo vetero-coloniale a fronte del legittimo diritto egiziano di
nazionalizzare il canale) ma successivamente il controllo del canale passa agli egiziani e la
nazionalizzazione del canale è un principio che viene riconosciuto -> l’Egitto (e Nasser)
riesce ad affermare un ruolo rilevante di leadership che si accompagna alla leadership nel
Movimento dei Non Allineati.
Il Movimento dei Non Allineati chiarisce la logica di principio (il valore politico sarà relativo)
che vuole far presente l’impossibilità di allinearsi ideologicamente al blocco dei paesi
comunisti e la contestazione nei confronti degli Stati Uniti, considerati sempre di più come
portatori degli interessi occidentali (grande nemico dell’Egitto insieme al sionismo).
-> si arriva a una forma di panarabismo declinato secondo i criteri dei regimi ba'thisti (in
Iraq e in Siria) in cui via via si troverà una figura di leader dominante (Saddam in Iraq e
Assad in Siria), istituendo un regime totalmente dittatoriale. Anche al regime egiziano di
Sadat si rimprovera di aver sempre più orientato il sistema del paese verso un autocrazia
totale piuttosto che verso un processo di democratizzazione (il contrario rispetto a quella
che avrebbe potuto essere una naturale evoluzione).
Nel frattempo però la situazione dopo la crisi di Suez non può che essere totalmente
provvisoria perché in realtà c’è da parte dell’Egitto e del mondo arabo la volontà di
riuscire ad assestare finalmente un colpo militarmente efficace a Israele e tutta la
propaganda sul fronte interno evidenzia come l’obiettivo di vincere una guerra con Israele
sia un obiettivo fondamentale -> crescendo di tensione che determina la Guerra dei Sei
Giorni del (1967), conflitto arabo-israeliano successivo alla Crisi di Suez.
La Guerra dei Sei Giorni nasce come un’offensiva israeliana su 3 fronti:
- Sinai: contro l'Egitto
- Cisgiordania: contro la Giordania
- Alture del Golan: contro l’Egitto
Nasser chiede a U Thant (Segretario Generale delle Nazioni Unite) di ritirare dal Sinai
contingenti della Nazioni Uniti e questo accorderà il permesso senza passare attraverso
particolari procedure, peraltro in una fase in cui Israele sente sempre più quanto pesino
all’interno dell’Assemblea Generale delle Nazioni Uniti le posizioni terzomondiste. Il
Movimento dei Non-Allineati ha da questo punto di vista una sua efficacia proprio perché
diventa anche il portatore degli interessi e del riscatto del Terzo Mondo (nell’Assemblea
Generale questi rappresentano dei voti).
Ruolo Sovietico
I sovietici non vogliono garantire una pacificazione in Medio Oriente in questa fase, e anzi
alimentano la tensione tra i due avvisando l’un l’altro che dall’altra parte si sta preparando
qualcosa.
Attacco israeliano
Arrivando informazioni di varia entità, Israele vuole attuare un attacco preventivo che lo
metta al sicuro, pur rischiando di perdere qualche consenso perché si presenterebbe per
la prima volta sulla scena come stato aggressore (mentre nel ’56 poteva essere utilizzato il
pretesto dello Stretto di Tiran, che pure era stato chiuso di nuovo nonostante l’esplicito
divieto che era seguito alla Crisi di Suez senza che ci fosse un’azione internazionale
precedente alla guerra).
Con la Guerra dei Sei Giorni Israele si estende in tutto il Sinai comprendendo la Striscia di
Gaza, prende tutta la Cisgiordania e le Alture del Golan, e riesce finalmente a prendere
possesso delle parte orientale di Gerusalemme (relativamente alla quale la situazione
rimane impregiudicata).
-> Israele si estende con l’intento di ottenere una sicurezza assoluta, ma col
sopraggiungere del realismo si va a mettere in una situazione sempre più ingestibile.
Il colpo del ’67 è stato un colpo terribile per l’Egitto che con la drammatica perdita del
Sinai si trova senza gli introiti del Canale di Suez (che rimarrà fuori uso per 7 anni). La
Giordania si trova senza tutta la Cisgiordania (perdita territoriale anche in questo caso non
indifferente).
Il fatto che questi territori non siano annessi significa che lo status degli arabi palestinesi
non prevede la cittadinanza (che invece era stata concessa agli arabi palestinesi che
vivevano nelle zone assegnate a Israele in precedenza).
-> in questa fase i laburisti (secondo un’idea di Peres e Rabin) si apprestano a favorire
una qualche forma di autonomia: con delle elezioni municipali si pensa di consentire una
sorta di autogoverno municipale, sempre sotto autorità israeliana.
Risoluzione 242
La risoluzione delle Nazioni Unite che segue la Guerra dei Sei Giorni è la 242 che prevede
che ci sia un ritiro israeliano dai territori occupati e un riconoscimento reciproco con
reciproca garanzia alle frontiere.
Ci sono tuttavia delle ambiguità costruttive dovute al fatto che c’è una versione francese e
una versione inglese: una recita “ritiro da territori occupati”, l’altra “ritiro dai territori
occupati”: una risoluzione sembra indicare che può esserci un ritiro parziale, l’altra invece
che deve esserci un ritiro da tutti i territori occupati.
-> sul piano negoziale ci si muove su un terreno fragile e nemmeno per le forze che non
sono direttamente coinvolte è facile lavorare sulla materia.
Palestinesi in Libano
I palestinesi cacciati dalla Giordania tenderanno a spargersi, ma la maggior parte dei loro
insediamenti sarà in Libano: un’altra situazione fortemente instabile si presta alla
costituzione di un’ulteriore enclave, dove è lasciato un margine di manovra maggiore alla
struttura politica e militare palestinese.
I profughi come tali vengono accolti quasi ovunque, ma diverso sarebbe dare loro la
cittadinanza (che significherebbe stabilizzare la situazione).
Anche all’interno del mondo arabo comincia a crearsi una situazione sempre più
complessa.
Terrorismo internazionale
La situazione di grande rafforzamento strategico per Israele è comunque di instabilità e
potrebbe avere un esito solo se si avviasse una trattativa, ma non ci sono interlocutori per
questa trattativa.
Per i palestinesi l’unica arma è il terrorismo, che all’inizio degli anni ’70 viene sempre più
declinato in chiave internazionale (attentato alle Olimpiadi di Monaco del 1972;
dirottamenti), da cui Arafat prenderà le distanze soltanto nel ’73-’74, quando si rende
conto che lo strumento del terrorismo internazionale (che coinvolge l’Occidente) rischia di
essere un fattore controproducente che può non giovare alla lotta del movimento
palestinese.
Successivo è anche l’ondata di islamismo che prende piede in Egitto nel momento in cui
si registra via via il fallimento politico delle autorità laiche (OLP; politica interna di Sadat in
Egitto, che prima cerca la convivenza con i Fratelli Musulmani ma poi si trova contro tutto
l’estremismo islamico).
Kissinger, che ha un’idea piuttosto chiara di quella che dorrebbe essere la politica
americana in Medio Oriente, benché sia lui stesso ebreo, non è convinto che Israele
debba infliggere una sconfitta schiacciante all’Egitto: Kissinger sa che la politica
americana deve sostenere e tenere in vita Israele, ma anche che è necessario arrivare a
una trattativa per la quale è necessario che l’Egitto non abbia subito un’umiliazione che gli
impedirebbe di trovare spazi di trattativa.
Kissinger è convinto anche che questa sia la politica che può portare gli Stati Uniti a
ritrovare un ruolo dominante in Medio Oriente (scalzando l’Unione Sovietica) -> riportare
l’Egitto al tavolo delle trattative può significare che il ruolo americano nei confronti del
mondo arabo possa modificarsi riguadagnano nei confronti dei paesi arabi le proprie
posizioni, ripristinando un miglior rapporto con l’Egitto e così scalzando definitivamente i
sovietici.
-> il piano di Kissinger si realizza: nel momento in cui gli americani riescono a ritrovare un
minimo di equilibrio in Medio Oriente e a portare gli egiziani al tavolo delle trattative con
Israele, riescono anche a riguadagnare delle posizioni.
Gli Stati Uniti sono dipendenti dal petrolio arabo solo per una minima parte del loro
fabbisogno, ma gli europei e il Giappone lo sono per oltre il 50% -> un aumento del
prezzo del greggio ha un effetto non solo come risorsa energetica ma anche su tutti i costi
di produzione (e su tutti i prezzi), causando il rischio di arrivare a processi che incidano
pesantemente sul mercato monetario globale.
Per gli Stati Uniti c’è una duplice minaccia: il fabbisogno per la produzione ma anche la
risposta alla crisi monetaria in cui si verrebbe a trovare l’Europa (con effetti
necessariamente anche sugli Stati Uniti).
All’interno del Dipartimento di Stato si predica prudenza rispetto a una politica di grande
sostegno a Israele (in Iraq vengono nazionalizzate la Exxon e la Shell).
-> in questa fase le politiche si giocano sulla capacità araba di incidere direttamente sulle
politiche monetarie occidentali. Anche gli americani sentono a questo punto che gli arabi
hanno uno strumento di pressione che prima non era così ben coordinato.
Sadat, che si era trovato in un vicolo cieco, per arrivare a delle trattative era riuscito a
muovere le cose attraverso un intervento militare -> la Risoluzione 338 delle Nazioni Uniti
riconferma la 242, richiamando i belligeranti alla necessità di arrivare a un negoziato.
Nel 1974 Arafat si pronuncia contro il terrorismo internazionale e in Ottobre l’OLP viene
riconosciuta (non da Israele) come un organo rappresentativo dei palestinesi e viene
ammessa alle Nazioni Unite come osservatore.
OLP e israeliani sono ancora lontani da una trattativa: le delegazioni israeliane non sono
presenti dove sono presenti delegazioni dell’OLP.
-> c’è via via una crescente considerazione politica nei confronti dell’OLP ma ancora non
un dialogo con Israele.
Nel 1977 la politica condotta fino a quel momento da Israele conosce una fase di
indebolimento: i laburisti perdono le elezioni e va al potere Likud di Menachem Begin (che
era stato capo dell’Irgun). Likud è un partito conservatore legato a una visione più rigida
dei rapporti tra arabi e israeliani.
Sarà comunque proprio Menachem Begin il protagonista della trattativa con l’Egitto
(Sadat chiede di recarsi a Gerusalemme e parla di fronte al Knesset).
Jimmy Carter, che aveva dovuto assorbire i colpi derivanti dalla fine della distensione e
gestire lo sgretolamento delle posizioni americane soprattutto in riferimento alla crisi
iraniana, è il presidente che si prende in carico il difficilissimo negoziato di pace tra Egitto
e Israele.
A Camp David inizia il lunghissimo negoziato in cui la presidenza degli Stati Uniti si sforza
il più possibile di essere super partes (meno filo-israeliana della precedente presidenza
Ford, benché Camp David abbia una certa continuità dal momento che ad adoperarsi per
il negoziato tra arabi e israeliani è proprio Kissinger).
Nel 1979, nella fase declinante della distensione, i sovietici vengono scalzati dal Medio
Oriente attraverso gli Accordi di Camp David (rimangono solo i baluardi della Siria e dello
Yemen).
Conseguenze nei rapporti tra Egitto e arabi
Non viene comunque risolto il problema fondamentale: quando l’Egitto firma la pace con
Israele, viene recepito dai palestinesi come il paese che firma una pace per sé (per avere il
Sinai) ma che in realtà non riesce a trovare nessun accordo sulle questioni che riguardano
principalmente i palestinesi: Cisgiordania, Gaza, Gerusalemme -> i punti fondamentali
della questione tra palestinesi e israeliani vengono rimandati a ulteriori trattati.
L’Egitto viene cacciato dalla Lega Araba dopo Camp David e Sadat diventa un “traditore”
della causa dell’anti-sionismo nel mondo arabo (Sadat verrà ucciso in un attentato, anche
a causa dell’ostilità che aveva suscitato negli integralisti sul fronte interno).
-> Camp David risolve una posizione americana in Medio Oriente e la potenziale minaccia
egiziana per Israele (che riesce ad assestarsi in una situazione meno emergenziale), ma di
fatto mentre Begin tratta con Sadat continuano gli insediamenti e la contraddittoria
politica israeliana nei confronti dei territori occupati.
GUERRE ISRAELE-LIBANO
Negli anni ’80 con l’Operazione Pace in Galilea si evidenziano i problemi che vengono
dalla necessità di Israele di far fronte a una minaccia che sempre più si caratterizza
nell'OLP strettamente palestinese -> non si parla più di conflitto arabo-israeliano ma di
conflitto tra israeliani e palestinesi.
Se Israele vede all’inizio la pacificazione libanese attraverso la pax siriana come una
possibilità, successivamente la ritiene una minaccia -> interviene con l’Operazione Pace
in Galilea.