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SEMINARI
E CONVEGNI
A three day international conference
Pisa, Scuola Normale Superiore
7-9 November 2013
Staging
Ajax’s suicide
edited by
Glenn W. Most and
Leyla Ozbek
© 2015 Scuola Normale Superiore Pisa
isbn 978-88-7642-567-7
Table of Contents
Introduction
Glenn W. Most 7
Some Premises
General Considerations
Aiace e la spada
Maria Chiara Martinelli 211
The Corpse
Other Cases
Appendix
Bibliography 297
Indexes
1
Cf. Seale 1982; Segal 1980.
2
Terms for vision recur conspicuously in the opening lines: δέδορκα (1), ὁρῶ (3),
ἴδῃς (6), ἄποπτος (15), ἄσκοπον (21), τρανές (23), ὀπτὴρ … εἰσιδών (29), κἀδήλωσεν
(31).
3
See Taplin in this volume.
4
The chorus’ final anapaests return to the theme of sight: ἰδοῦσιν (1418), ἰδεῖν
(1419). The authenticity of these lines is defended against doubters by Finglass
2011a, pp. 524-5 ad 1418-20.
8 Glenn W. Most
Pl. Phlb., 48a; Grg., 502b-c; R., 3,394bff.; Lg., 2,658cff., 7,817b-c.
5
have been studied in schoolrooms more often than they were produced
on stage, contain numerous references to actors and staging (though
their evidentiary value is uncertain)7. In the Renaissance, the general
rebirth of secular drama as a performance art gave new impetus to the
question of how tragedies were and could be staged and what might be
the effects of such staging upon the audience8. But it did not become a
central issue in Classical scholarship until the 19th century, perhaps not
least under the impression of the highly influential theory of tragedy
of August Wilhelm Schlegel9 and of the composition of great German
tragedies by Goethe and Schiller and their followers. Thereafter a
number of steps can easily be identified in the course of which the
question of performance gradually moved into the center of Classical
studies: the polemic between Karl Otfried Müller and Gottfried
Hermann regarding Aeschylus’ Eumenides10; Wilamowitz’ inclusion of
an apparatus indicating «Actio» in his edition of Aeschylus11; Eduard
Fraenkel’s attention to questions of staging in his monumental edition
of Aeschylus’ Agamemnon12; and then, deriving important stimuli
from Fraenkel’s own teaching, further highly productive scholarly tra-
ditions, especially in England13 and Italy14.
The tragic texts are already difficult enough on their own. But far
greater difficulties are posed by the attempt to understand how they
were staged. The following kinds of evidence are available to try to
resolve these difficulties; each of them is incomplete and variously
uncertain on its own, and combining different kinds of evidence often
only compounds their uncertainties. Some of the evidence is textual:
• internal evidence from the tragic texts themselves, which make various
kinds of immanent stage directions (but these are fewer than we would
wish and not all are unambiguous);
• passages in other, contemporary texts, especially in Old Comedy, which
refer to performance far more explicitly than tragedies do (but these are
7
Falkner 2002; Easterling 2006 and Easterling 2015.
8
See most recently Bloemendal, Eversmann, Strietman 2013.
9
Most 1993.
10
Most 1998.
11
Wilamowitz 1914.
12
Fraenkel 1950.
13
For example, Taplin 1977; Taplin 1978.
14
For example, Di Benedetto, Medda 1997.
10 Glenn W. Most
• our own experience in the theater, and our own imaginations, can
suggest to us what might be dramatically possible and dramatically ef-
fective (but this evidence, though indispensable, is manifestly of limited
value, given the difference in conditions between ancient Athens and
our own time);
• comparison with theatrical performances in other societies and periods
(but any similarities are likely to be specious, and such comparative
studies serve perhaps best in denaturalizing our own expectations and
opening up other imaginative possibilities).
Glenn W. Most
Pisa, February 2015
Uno spazio per morire: riflessioni
sceniche sul suicidio di Aiace
1
Cf. Di Benedetto, Medda 1997, pp. 103-5; quasi in contemporanea usciva an-
che il saggio introduttivo alla traduzione dell’Aiace di M.P. Pattoni, nel quale affron-
tavo la questione delle strategie organizzative dello spazio drammatico in relazione
alla costruzione del personaggio di Aiace (Medda 1997 = Medda 2013, pp. 25-51).
L’occasione mi porta a rivolgere un pensiero affettuoso a Vincenzo, nel ricordo dei
mesi passati assieme discutendo di questa come di molte altre questioni di messa in
scena tragica.
160 Enrico Medda
2
La novità del procedimento è notata dallo Schol. 815a (p. 185 Christodoulou):
μετακινεῖται ἡ σκηνὴ ἐπὶ
ἐρήμου τινὸς χωρίου, ἔνθα ὁ Αἴας εὐτρεπίσας τὸ ξίφος ῥῆσίν
τινα πρὸ τοῦ θανάτου προφέρεται· ἐπεὶ γελοῖον ἦν κωφὸν εἰσελθόντα περιπεσεῖν
τῷ
ξίφει. ἔστι δὲ τὰ τοιαῦτα παρὰ τοῖς παλαιοῖς σπάνια· εἰώθασι
γὰρ τὰ πεπραγμένα δι’
ἀγγέλων ἀπαγγέλλειν. τί οὖν τὸ αἴτιον; φθάνει Αἰσχύλος ἐν Θρῄσσαις (cf. TrGF III,
pp. 205-6) τὴν ἀναίρεσιν Αἴαντος δι’ ἀγγέλου ἀπαγγείλας. ἴσως οὖν καινοτομεῖν
βουλόμενος καὶ μὴ κατακολουθεῖν τοῖς ἑτέρου <…>, ὑπ’ ὄψιν ἔθηκε τὸ δρώμενον ἢ
μᾶλλον ἐκπλῆξαι βουλόμενος. εἰκῇ γὰρ κατηγορεῖν ἀνδρὸς παλαιοῦ οὐχ ὅσιον οὐδὲ
δίκαιον. πήξας δὲ τὸ ξίφος ταῦτά φησιν. σφαγέα δὲ λέγει ἢ τὸν καιρὸν τοῦ ἀποθανεῖν ἢ
τὸν διὰ τῆς σφαγῆς θάνατον ἢ τὸ
ξίφος. Le due motivazioni individuate dallo scoliaste
per una scelta così audace (desiderio del poeta di discostarsi dal trattamento della mor-
te dell’eroe dato da Eschilo nelle Θρῆσσαι e ricerca di ἔκπληξις) non necessariamente
colgono nel segno (cf. in proposito le osservazioni di Easterling 2015, che ritiene la
seconda più credibile), ma è indubbio che l’antico lettore, che certo conosceva assai
più tragedie di noi, era in grado di rendersi pienamente conto della singolarità del caso
in questione.
3
Il solo precedente certo di un cambio di scena associato a μετάστασις del Coro
si ha nelle Eumenidi di Eschilo, una tragedia caratterizzata da un trattamento molto
libero dello spazio scenico. Più difficile da valutare, anche per la destinazione della
rappresentazione a un contesto non ateniese, è il caso delle Etnee, che secondo la te-
stimonianza di P.Oxy. 2257, fr. 1,5 ss., avrebbero avuto una sequenza di ben cinque
cambi di scena. La scena sarebbe stata ambientata prima a Etna, poi a Xouthia, ancora
a Etna, a Leontini, a Siracusa, e infine nel Temenite: cf. TrGF III, pp. 126-7, e, per una
discussione dei problemi connessi a questa testimonianza, Taplin 1977, pp. 416-8.
Euripide presenta casi di μετάστασις del coro, non collegata però al cambio di scena,
nell’Alcesti e nell’Elena (lo stesso accade anche nel Reso pseudoeuripideo).
161 Uno spazio per morire: riflessioni sceniche sul suicidio di Aiace
4
Si tratta dunque di uno scarto importante rispetto alla tendenza degli autori tra-
gici, individuata a suo tempo da Schadewaldt 1926, a non considerare la solitudine
come una condizione necessaria per la Selbstaüsserung dei loro personaggi. A p. 20 di
quel libro, Schadewaldt riconosce la specificità del caso del Todesmonolog dell’Aiace.
Merita di essere notato che gli altri discorsi monologici o para-monologici di Aiace
(vv. 430-80, 646-92) e le sezioni tendenzialmente monologiche del dialogo lirico col
Coro (vv. 379-427) sono tutti pronunciati in presenza di altri personaggi. Per com-
prendere meglio la specificità del monologo del suicidio è utile paragonarlo da una
parte al discorso pronunciato da Oreste solo in scena in Aesch. Eu., 235-43 (una sem-
plice preghiera ad Atena, cui segue subito l’arrivo del Coro), dall’altra al monologo di
Menelao che segue l’allontanamento del Coro in Eurip. Hel., 386-436, cui Euripide
intenzionalmente attribuisce i tratti di una rhēsis prologica, dai tratti emozionali poco
marcati.
5
Joerden 1971, p. 409 definisce diversamente il significato delle eisodoi. Per lui l’u-
scita di sinistra, da cui arriva Odisseo, conduce al campo greco, mentre quella di destra
dà accesso al campo dei compagni di Aiace; cf. anche Ley 1988, p. 89, secondo il quale,
per fluidità di realizzazione, sarebbe meglio che il Coro entrasse dalla parte opposta
rispetto a quella da cui sono usciti Atena e Odisseo. In realtà, però, l’allusione che i
marinai fanno nei vv. 148-53 alle voci messe in giro da Odisseo indica che essi le hanno
potute udire, e dunque che provengono più probabilmente dalla stessa direzione in cui
si è allontanato il loro nemico (cf. Stelluto 1990, p. 40). Non c’è alcun elemento nel
testo che definisca l’eisodos di destra nel modo proposto da Joerden.
162 Enrico Medda
che si sente ormai sciolto dallo spazio sociale del campo e sente invece
come affini gli spazi della natura troiana, e l’esercito, al cui interno
l’eroe non può più rientrare senza rinnegare se stesso6.
3. La gestione degli ingressi e delle uscite che avvengono per le due
eisodoi corrisponde a questa ideazione peculiare dello spazio dramma-
tico. L’eisodos che va verso il campo dell’esercito acheo gioca un ruolo
prevalente nella prima parte del dramma, ed è utilizzata da Odisseo
nel prologo, dal Coro nella parodo, dal Messaggero nel terzo episodio.
Quanto ad Aiace, qualsiasi suo spostamento in quella direzione è bloc-
cato dal fallimento della sua allucinata spedizione notturna, narrata
da Tecmessa ai vv. 285-91. Quel frustrato tentativo di vendetta chiude
del tutto i rapporti di Aiace con l’esercito, e nessun altro spostamento
è più ipotizzabile per lui in quella direzione. Inoltre, è importante rile-
vare che i due personaggi che prima della morte di Aiace arrivano in
scena dal campo acheo, e cioè Odisseo nel prologo e il Messaggero al
v. 719, non instaurano alcuna forma di dialogo con il protagonista7.
In questo modo diviene anche scenicamente chiaro che l’eroe non
può né vuole avere nulla a che fare la via di salvezza che il Messaggero
propone: per lui la parola ‘salvezza’ ha tutt’altro significato, e a questo
punto richiede uno spazio diverso, quello che Aiace stesso identifica
nei prati vicini al mare dove potrà purificarsi, e in un un luogo non
6
Nel corso della discussione Scott Scullion ha obiettato che a suo giudizio il te-
sto non offre indicazioni relative agli spazi extrascenici sufficienti per sostenere l’e-
sistenza di questo forte legame di Aiace con gli spazi non antropizzati della natura
troiana. Ma nelle sezioni para-monologiche che Aiace pronuncia nel corso del dialogo
lirico-epirrematico dei vv. 348-427 gli interlocutori immaginari cui l’eroe si rivolge
nell’impossibilità di un dialogo concreto con i personaggi in scena, che non possono
comprenderlo sino in fondo, sono gli elementi naturali della costa troiana (cf. vv. 412-
3 ἰὼ πόροι ἁλίρροθοι | πάραλα τ’ ἄντρα καὶ νέμος ἐπάκτιον, 418-20 ὦ Σκαμάνδριοι |
γείτονες ῥοαὶ | εὔφρονες Ἀργείοις); e a quel paesaggio, nel quale così a lungo ha do-
vuto vivere, egli annuncia in modo neppur troppo velato le sue intenzioni suicide (cf.
vv. 414-7 πολὺν πολύν με δαρόν τε δὴ | κατείχετ’ ἀμφὶ Τροίαν χρόνον· | ἀλλ’ οὐκέτι
μ’, οὐκέτ’ ἀμπνοὰς | ἔχοντα). Sulla natura di questo dialogo/monologo mi permetto di
rimandare all’analisi che ne diedi in Medda 1983, pp. 85-91.
7
In entrambi i casi il mancato contatto dialogico è sottolineato sul piano scenico:
nel primo con la terribile scena in cui Atena impedisce che Aiace folle veda il turbato
Odisseo che si tiene a distanza; nel secondo facendo allontanare Aiace dalla tenda pro-
prio immediatamente prima che entri in scena il Messaggero che riferisce la profezia
di Calcante.
163 Uno spazio per morire: riflessioni sceniche sul suicidio di Aiace
toccato da piede umano dove «nasconderà la spada» (cf. vv. 654-9 ἀλλ’
εἶμι πρός τε λουτρὰ καὶ παρακτίους | λειμῶνας, ὡς ἂν λύμαθ’ ἁγνίσας
ἐμὰ | μῆνιν βαρεῖαν ἐξαλύξωμαι θεᾶς· | μολών τε χῶρον ἔνθ’ ἂν ἀστιβῆ
κίχω | κρύψω τόδ’ ἔγχος τοὐμόν, ἔχθιστον βελῶν, | γαίας ὀρύξας ἔνθα
μή τις ὄψεται). L’eisodos che porta verso il mare, così, si attiva soltanto
e specificamente per l’uscita di scena di Aiace al v. 692; nessuno la
percorre prima di quel verso, e solo dopo che egli se n’è andato si pre-
cipitano in quella direzione una metà del Coro e Tecmessa8, quando
le parole del Messaggero hanno reso chiaro l’equivoco terribile di cui
sono stati vittime.
8
È molto probabile che Tecmessa esca dall’uscita opposta a quella del Messaggero,
che torna verso il campo greco (cf. Seale 1982, p. 162); l’uscita in quella direzione
rende ancor più evidente la ripresa da parte di Tecmessa dell’intenzione espressa da
Aiace (cf. v. 654 ἀλλ’ εἶμι … e v. 810 ἀλλ’ εἶμι κἀγὼ …).
9
Tra cui la più articolata e ingegnosa è certamente quella di Scullion 1994, pp.
82-126, ripresa da Mazzoldi, Ciani 1999, pp. 190-1 e da Heath, OKell 2007. L’idea
che il boschetto fosse parzialmente visibile ai margini della skēnē, e che non vi fosse
dunque alcun bisogno di alterare i tratti fisici della skēnē era stata avanzata già da
Purgold 1802, p. 45.
10
Cf. Finglass 2011a, pp. 14-9. Finglass ha certamente ragione, in particolare, di
rigettare l’argomento di Scullion basato sul fatto che il grido di Tecmessa al v. 892 è
definito πάραυλος, e cioè «vicino alla tenda» (lo stesso argomento era usato già da
Pickard-Cambridge 1946, p. 49, per sostenere la sua ipotesi della collocazione di
alcuni segnali atti a individuare la nuova scena al margine della skēnē, che dopo il cam-
bio di scena verrebbe semplicemente ignorata, mentre l’azione si sposta su un lato).
164 Enrico Medda
Il luogo dove si trova Eurisace non può essere visibile in scena, pena
una spiacevole confusione visiva e una contraddizione intollerabile
rispetto alle poche ma chiare indicazioni che riguardano i movimenti
extrascenici di Tecmessa e del bambino14. Condivido dunque piena-
mente le obiezioni mosse a questa ipotesi da Finglass e Sommerstein15,
cui credo si possa aggiungere anche l’argomento relativo al poco
opportuno decentramento del punto focale dell’azione che si avrebbe
se il cadavere fosse collocato su un lato dello spazio scenico, che si pro-
trarrebbe per una parte rilevante della tragedia (poco meno di metà)
e finirebbe col privilegiare troppo a lungo una parte degli spettatori
rispetto all’altra.
Il punto decisivo è che il luogo dove giace il cadavere, simbolo della
contrapposizione irrimediabile di Aiace al mondo che trova la sua
espressione nel campo greco, diviene la scena della meschina disputa
sulle esequie: è questa una delle scelte sceniche più efficaci di Sofocle,
che costringe Menelao e Agamennone a esporre le loro grette consi-
derazioni nello spazio che appartiene ad Aiace, alla straziante presenza
del suo cadavere. Il nuovo spazio creato dal cambio di scena si sottrae
ai rapporti di subordinazione e di potere vigenti nell’ambito del campo
acheo, e permette a Teucro di resistere alle pressioni dei suoi avversari,
come non avrebbe potuto fare all’interno dell’accampamento.
Sofocle non fornisce particolari circa l’arrivo in scena di Menelao e
Agamennone, che provengono verosimilmente dal campo. È difficile
perciò dire se anche nella seconda parte della tragedia si crei una pola-
rizzazione marcata fra le eisodoi, con una delle due riservata ai φίλοι
di Aiace e una ai suoi nemici. Ai vv. 1164-7, dopo l’uscita di scena di
Menelao, il Coro invita in modo pressante Teucro ad andare a prepa-
rare una fossa per seppellire Aiace, e, proprio mentre sta per uscire,
Teucro vede arrivare Tecmessa ed Eurisace dalla tenda: da un punto
di vista registico funzionerebbe bene un’entrata in scena dei due dalla
direzione opposta a quella da cui si è appena allontanato Menelao, con
un’eisodos che collega il luogo scenico con la tenda di Aiace e l’altra
continuo a ritenere che la forma originaria dell’orchestra sia quella rotonda, e non
credo che la forma di edifici come quelli di Torico e Trakhones sia argomento decisivo
a favore dell’altra tesi (cf. in sintesi Di Benedetto, Medda 1997, p. 27).
14
L’argomento era già formulato con chiarezza da Lobeck 1866, p. 299: «Neque
Eurysaces v. 983. dici potuit μόνος παρὰ σκηναῖσι, si chorus, qui hoc dicit, ipse omne-
sque qui adsunt, apud tentoria versantur, ubi antea fuerant».
15
Cf. Finglass 2011a, p. 18, Sommerstein 2010b, p. 46.
166 Enrico Medda
con il resto del campo. Tuttavia, non essendo definita esattamente nel
testo la posizione del boschetto rispetto al campo, non è possibile esse-
re certi che questa sia l’articolazione dello spazio extrascenico voluta
da Sofocle (il boschetto si trova certamente al di là dell’estremità est
del campo, da cui è partito Aiace; dunque la tenda e il resto del campo
potrebbero trovarsi nella stessa direzione). Teucro poi esce al v. 1184,
e il suo ritorno in scena, al v. 1223, risulta scenicamente assai efficace
se egli arriva da una parte e quasi contemporaneamente vede arrivare
Agamennone dall’altra. Ma ai vv. 1223-4 egli dice di essersi affrettato
proprio perché ha visto arrivare Agamennone, e questo può far pen-
sare che i due provengano dalla stessa direzione.
Al di là di questo problema, resta il fatto che tutta la seconda parte del
dramma si svolge nel nuovo spazio disegnato da Sofocle per la morte di
Aiace. Là il richiamo al principio di subordinazione all’autorità cui si
appellano Agamennone e Menelao rivela tutta la sua inadeguatezza a
inquadrare la vicenda del protagonista, e la sostanziale incompren-
sione da parte degli Atridi della dimensione esistenziale dell’eroe.
Esaurite le loro inutili argomentazioni, i due comandanti si allontana-
no nella stessa direzione da cui sono venuti, senza che sia intervenuta
alcuna conciliazione. Neppure Odisseo, che pure riconosce e onora il
valore del morto, e ne compiange la sorte in nome della comune con-
dizione umana, riesce a introdursi efficacemente nello spazio di Aiace.
Teucro ne apprezza l’atteggiamento, ma non lo ammette alla parte più
intima del rito, quella che comporta il contatto con il cadavere, per
non rischiare di far cosa sgradita al morto (cf. vv. 1393-5 σὲ δ’ … |
τάφου μὲν ὀκνῶ τοῦδ’ ἐπιψαύειν ἐᾶν, | μὴ τῷ θανόντι τοῦτο δυσχερὲς
ποῶ). Così, anche Odisseo alla fine si avvia a uscire in direzione del
campo, dalla quale è anche verosimilmente entrato al v. 1315, lascian-
do sulla scena il quadro della preparazione delle esequie di Aiace, triste
ma denso di affetti sinceri16.
16
Non posso dunque condividere il giudizio di Scullion 1994, p. 128, secondo il
quale «[i]t is fitting that the aftermath of the suicide – the wrangling for power, Teu-
kros’s attempt to fill his brother’s shoes, Odysseus’s ultimate reconciliation – take place
where Aias once ruled, not in some unknown field». Risulta invece congeniale alla mia
lettura dello spazio drammatico dell’Aiace il suggerimento di Oliver Taplin (in questo
volume), che pensa per la conclusione del dramma a una processione funebre che si
avvii a trasportare il cadavere di Aiace ancora più lontano dal campo degli Achei, in
direzione est, verso la zona della costa di Reteo dove alcune fonti tarde collocavano il
sepolcro dell’eroe (cf. in particolare Euph. frr. 45 e 46 P., Str. 13,1,30, Paus. 1,35,4-5).
167 Uno spazio per morire: riflessioni sceniche sul suicidio di Aiace
17
L’apostrofe ὦ τῶν ἁπάντων δὴ θεαμάτων ἐμοὶ | ἄλγιστον ὧν προσεῖδον
ὀφθαλμοῖς ἐγώ (vv. 992-3) potrebbe presupporre già la visibilità del corpo, ma non si
può escludere che si tratti solo di una espressione di emozione violenta: cf. Stelluto
1990, p. 58.
18
L’utilizzazione di un quarto attore per parti piuttosto estese come quelle presenti
nelle scene della disputa sembra difficile, e la trasformazione di Tecmessa in personag-
gio muto è un forte indizio in direzione dell’utilizzo di tre soli attori.
168 Enrico Medda
19
Il solo resto che alcuni archeologi hanno ritenuto di poter attribuire al V secolo
a.C. è il cosiddetto muro H-H della pianta di Dörpfeld, realizzato in breccia e dotato
di fori che potrebbero aver alloggiato pali di sostegno. La breccia, materiale povero,
cominciò ad essere usata quando le condizioni economiche di Atene peggiorarono a
seguito della guerra con Sparta: gli studiosi però divergono circa la possibilità che essa
sia stata utilizzata prima della fine del V secolo a.C.
20
Cf. anche Pl. Lg., 817c μὴ δὴ δόξητε ἡμᾶς ῥᾳδίως γε
οὕτως ὑμᾶς ποτε παρ’ ἡμῖν
ἐάσειν σκηνάς τε πήξαντας κατ’
ἀγορὰν καὶ καλλιφώνους ὑποκριτὰς εἰσαγαγομένους
κτλ., che sembra far riferimento all’attrezzatura di una compagnia itinerante, che mon-
ta le σκηναί piantando di volta in volta i sostegni necessari nell’agora della città di turno.
21
Per una discussione in proposito rinvio a Di Benedetto, Medda 1997, pp. 26-
31 (con indicazioni bibliografiche).
169 Uno spazio per morire: riflessioni sceniche sul suicidio di Aiace
22
Cf. Wilamowitz 1886 =Wilamowitz 1935, pp. 148-72.
23
Cf. Taplin 1977, pp. 452-9.
24
Cf. in proposito Garvie 2009, pp. xlvi-xlvii.
25
Librán Moreno 2002.
26
Vitr. De arch., 7 praef. § 11 = TrGF III T 85 R parla di una collaborazione di
Eschilo con il pittore Agatarco di Samo, che avrebbe «costruito la scena»: una notizia
purtroppo molto scarna su un tema di cui vorremmo sapere di più.
170 Enrico Medda
27
Cf. Finglass 2011a, pp. 13-4.
28
Scullion 1994, p. 80 e n. 33.
29
Cf. Rehm 1988, pp. 290-301.
30
Di Benedetto 1987 = Di Benedetto 2007, pp. 1081-98.
172 Enrico Medda
31
Cf. in questo volume Ferrari. Non è detto che, come sostiene Ferrari, gli inser-
vienti dovessero anche disporre dei cespugli in scena; i materiali raffiguranti il bo-
schetto potevano già essere stati preparati nello spazio immediatamente retrostante
la facciata della skēnē nel tempo intercorrente fra la chiusura della tenda (v. 595) e il
momento del cambio di scena, per diventare operativi non appena era rimossa una
parte della facciata della skēnē.
173 Uno spazio per morire: riflessioni sceniche sul suicidio di Aiace
32
Così pensano ad esempio Stanford 1963, pp. 165-6 e Seale 1982, p. 163.
33
Cf. Garvie 1998, p. 202. Nel testo presentato per il workshop, Garvie afferma di
avere oggi qualche dubbio su quella soluzione, ma di ritenerla ancora possibile: cf. il
suo contributo in questo volume.
34
Cf. Garvie 1998, p. 103.
174 Enrico Medda
35
Su questo punto si vedano le opportune osservazioni di Mills 1980-1981, p. 130
e n. 5; e opportunamente mantiene aperte le porte della skēnē la ricostruzione proposta
da Christine Mauduit in questo volume.
36
L’ipotesi dell’ekkyklēma, avanzata da Bethe 1896, pp. 128-9 e ripresa da Rein-
hardt 1947, p. 248 e Webster 1970b, pp. 17-8, è accolta, con diverse funzioni attri-
buite all’uso del macchinario da Arnott 1962, pp. 132-3, Mills 1980-1981, p. 131,
Ley 1988, p. 92, Seale 1982, p. 166, Pöhlmann 1986, p. 31, Wiles 1997, pp. 163-5,
Rehm 2002, p. 131.
37
Per le fonti sulla macchina cf. Pickard-Cambridge 1946, pp. 100-22; per la di-
scussione delle possibili utilizzazione nelle tragedie del V secolo si vedano gli equilibrati
contributi di Belardinelli 2000 e Newiger 1989. Per la problematica della termino-
logia scoliastica, si può ricordare che nello Schol. Soph. Aj., 346a (p. 98 Christodoulou),
l’espressione ἐκκύκλημα τι γίνεται ἵνα φανῇ ἐν μέσοις ὁ Αἴας ποιμνίοις si riferisce cer-
tamente all’apertura della tenda e alla visibilità di Aiace in mezzo alle bestie uccise, ma
se ἐκκύκλημα significa «la macchina chiamata ἐκκύκλημα», l’espressione ἐκκύκλημα τι
γίνεται risulta singolarmente strana per dire «qui viene azionata la macchina». La frase
così com’è significa semplicemente «qui si ha una rivelazione dell’interno».
38
Cf. Finglass 2011a, p. 378.
175 Uno spazio per morire: riflessioni sceniche sul suicidio di Aiace
39
Naturalmente, se si accoglie l’ipotesi di una skēnē parzialmente smontabile, l’uso
del macchinario non è richiesto neanche nel primo caso, in quanto la rimozione di un
pannello poteva garantire la visibilità dell’interno.
40
Cf. Gardiner 1979, p. 12 e Finglass 2011a, p. 12.
41
Cf. Dale 1956 = Dale 1969, pp. 119-29.
176 Enrico Medda
42
Un eventuale ingresso di Tecmessa da una delle eisodoi, presso la quale si trove-
rebbe secondo alcuni il corpo di Aiace, è reso improbabile dal fatto che sarebbe poco
credibile che ella abbia potuto vedere il corpo di Aiace e il Coro, che era passato nello
stesso punto poco prima, no. Sugli ingressi di Aiace e di Tecmessa dopo il cambio di
scena cf. Seale 1982, p. 163, Stelluto 1990, pp. 51-2.
177 Uno spazio per morire: riflessioni sceniche sul suicidio di Aiace
43
Ai loro contributi rimando per la discussione dei passi in cui un oggetto o una
persona possono essere menzionati in alcuni punti con il deittico, in altri senza. L’af-
finità fra l’uso dei deittici per la spada nel Todesmonolog e quelli usati da Tecmessa ai
vv. 898 e 907-8 è notata anche da Demont 2008, p. 611.
44
Merita attenzione in questa prospettiva il suggerimento di Demont 2008, pp.
607-9, che la familiarità del pubblico ateniese con l’iconografia della morte di Aiace,
riccamente documentata nella ceramografia attica antecedente alla rappresentazione,
potesse giocare un ruolo nella percezione della scena. Degli spettatori che conosce-
vano dalla tradizione ceramografica le modalità con cui l’eroe prepara il suo suicidio
piantando la spada avrebbero potuto far interagire queste conoscenze con i dati sceni-
ci, riuscendo a integrare facilmente i particolari non visibili: «[i]l n’est pas nécessaire
que le spectateur ait l’épée sous les yeux, sur scène, pour se représenter la scène de
l’épée» (p. 608).
178 Enrico Medda
45
Su questo punto cf. Scullion 1994, pp. 96-7 e Sommerstein 2010b, pp. 33-45.
46
Così pensavamo in Di Benedetto, Medda 1997, pp. 104-5; cf. ora Finglass
2011a, p. 376.
47
Cf. Gardiner 1979, p. 10 e in questo volume Battezzato.
179 Uno spazio per morire: riflessioni sceniche sul suicidio di Aiace
Enrico Medda
Finito di stampare nel mese di novembre 2015
presso le Industrie Grafiche della Pacini Editore S.p.A.
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