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Anatomia

Indice
Articolazioni, pag.2
Arto superiore, pag. 3
Arto inferiore, pag. 16
Cranio, pag. 30
Occhio, pag. 49
Orecchio, pag. 57
Sistema Endocrino, pag. 69
Mammella, pag. 90
Nervi cranici, pag. 92
Testicolo
Succlavia

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ARTICOLAZIONI
• Articolazioni fisse o sinartrosi: suture del cranio.

• Articolazioni semimobili o anfiartrosi: sinfisi pubica, articolazioni intervertebrali.


Interposizione di cuscinetti di cartilagini fibrose.

• Mobili o diartrosi: 2 capi. Elementi comuni delle articolazioni mobili: i capi articolari
in corrispondenza delle superfici che entrano in contatto sono rivestiti da cartilagine
articolare che serve a ridurre l’attrito tra i corpi. I capi articolari sono internamente
rivestiti da una capsula articolare che li avvolge a manicotto. All’interno della
capsula c’è uno spazio che contiene il liquido sinoviale, il quale serve a nutrire le
cartilagini articolari e a lubrificare. Il liquido sinoviale è prodotto dalle parti più
interne della capsula articolare, cioè le membrane sinoviali.

L’articolazione mobile è caratterizzata da legamenti di natura tendinea, che servono


a tenere saldi i capi articolari. In qualche caso ci sono menischi, strutture
fibrocartilaginee che favoriscono l’adesione delle cartilagini.

I capi articolari, a seconda della loro forma, determinano i tipi di movimento che
l’articolazione riesce a compiere.

Le articolazione mobili possono essere classificate in categorie:

• ENATROSI : articolazione SFEROIDALE, uno dei due capi ha la forma di una sfera
e si inserisce in un acetabolo. Ampia libertà di movimento. Spalla, anca.

• GINGLIMO ANGOLARE/TROCLEA: un capo articolare ha la forma di un cilindro


orientato perpendicolarmente all’asse dell’osso. Gomito. Movimenti di flessione ed
estensione.

• GINGLIMO ASSIALE o LATERALE/TROCOIDE: un capo articolare ha la forma di


un cilindro orientato parallelamente all’asse dell’osso. L’unico movimento che può
compiere è la rotazione intorno al proprio asse. Atlante-epistrofeo, radio-ulna.

• ARTRODIA: due superfici piane di ossa corte si articolano. Movimenti di


slittamento.

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ARTO SUPERIORE

Scheletro
• SPALLA -> scapola e clavicola (CINGOLO SCAPOLARE)

• BRACCIO -> omero

• AVAMBRACCIO -> radio e ulna (posizione laterale)

• MANO -> carpo, metacarpo, falangi

La posizione di riferimento dell’arto superiore è con i polsi rivolti in avanti.


È estremamente mobile perché non deve sopportare il peso del corpo. Questo è dovuto al
fatto che ci sono pochi legamenti, a differenza, ad esempio, del ginocchio. Al diminuire del
numero dei legamenti, aumenta però la possibilità di lussazioni.

Articolazione scapolo-omerale
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La scapola è un osso piatto di forma triangolare con l’apice rivolto in basso. Sulla parte
posteriore è presente una sporgenza ossea, la spina della scapola, che separa la fossa
sovraspinata dalla più ampia fossa sottospinata. La spina della scapola termina
lateralmente con un ingrossamento, il
processo acromiale (acromion).

In corrispondenza del margine


laterale è presente la cavità
glenoidea, che si articola con
l’omero.

La faccia anteriore della scapola


presenta un’ampia depressione, la
fossa sottoscapolare. Superiormente,
dal davanti, si osserva una
formazione ad uncino, il processo
coracoideo.

L’articolazione è una enartrosi. In prossimità della testa dell’omero ci sono due sporgenze
di quest’osso: la piccola tuberosità e la grande tuberosità, quest’ultima più laterale. Le
due tuberosità sono separate dal solco bicipitale.

Muscoli della spalla


DELTOIDE: contorna il cingolo scapolare. Si origina sulla parte laterale della spina della
scapola e della clavicola e sul processo acromiale e
si inserisce sulla tuberosità deltoidea dell’omero (“v
deltoidea”).

Con la contrazione si ha l’abduzione del braccio


fino a 90°.

Esportando deltoide e trapezio, appaiono altri


muscoli:

SOVRASPINATO: origina dalla fossa sopraspinata


e si inserisce lateralmente sull’estremità prossimale
dell’omero sul tubercolo maggiore.

SOTTOSPINATO: origina dalla fossa sottospinata


e si dirige lateralmente per inserirsi sull’estremità
prossimale dell’omero.
S O T TO S C A P O L A R E : o r i g i n a d a l l a f o s s a
sottoscapolare sulla faccia anteriore della scapola e
si inserisce all’estremità prossimale dell’omero sul
tubercolo minore

PICCOLO ROTONDO: origina dal margine laterale


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della scapola inferiormente al muscolo infraspinato e si inserisce all’estremità prossimale
dell’omero.
GRANDE ROTONDO: origina dal margine laterale della scapola, inferiormente, e si
inserisce al di sotto della testa dell’omero.

I primi 4 si inseriscono a cappuccio intorno alla testa dell’omero generando la formazione


della CUFFIA DEI ROTATORI, che contribuisce a dare stabilità all’articolazione della
spalla e si trova al di sotto del processo coracoideo e acromiale e del legamento coraco-
acromiale, i quali descrivono una specie di tettoia: ad ogni movimento la cuffia dei rotatori
“striscia” contro il legamento coraco-acromiale e contro i processi coracoideo e acromiale.
La cuffia dei rotatori, quindi, va incontro frequentemente a infiammazioni.

Articolazione del GOMITO


L’epifisi distale dell’omero si articola con l’epifisi prossimale del radio e dell’ulna, ma a loro
volta anche radio e ulna si articolano tra loro: abbiamo così 3 articolazioni, radio-ulnare
prossimale (ginglimo assiale), omero-radiale (condiloartrosi), omero-ulnare (ginglimo
angolare).

La superficie dell’omero che si articola con il radio presenta il condilo, che si articola con le
fossette del capitello radiale. La parte mediale dell’omero, che si articola con l’ulna, è
assottigliata al centro e slargata alle estremità, e prende il nome di troclea. Questa si
articola con un’incisura complementare sull’ulna (incisura semilunare).

L’ulna poi lateralmente presenta una incisura radiale che accoglie perfettamente il capitello
del radio.

N.B.: qualsiasi muscolo che si inserisce all’ulna può fare movimenti di supinazione;
qualsiasi muscolo che si inserisce al radio può compiere movimenti di pronazione. (L’arto
inferiore è invece stabilmente pronato).

MUSCOLI DEL BRACCIO

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L’arto superiore, come avviene per l’arto inferiore, all’interno presenta una fascia che
avvolge intimamente i muscoli, e prende il nome di FASCIA BRACHIALE, in
corrispondenza del braccio. A livello dell’avambraccio c’è invece la FASCIA
ANTIBRACHIALE. Le due sono in realtà un’unica fascia che si continua a livello della
mano e dei muscoli del torace. In corrispondenza del braccio, la fascia brachiale dà due
setti che dividono il braccio in un compartimento anteriore e compartimento
posteriore.

• MUSCOLI ANTERIORI (nervo muscolo-cutaneo)

- Bicipite brachiale: ha due ventri che si inseriscono distalmente con un


unico tendine. Il capo breve
origina dal processo
coracoideo, il capo lungo da
sopra la cavità glenoidea,
passando per il solco bicipitale.
Se il muscolo viene usato
molto, il tendine può scorrere in
un solco osseo e si può
usurare, arrivando alla rottura e
quindi alla formazione di una
massa muscolare che scende,
chiamata “braccio di Popeye”

Il bicipite si inserisce in
corrispondenza della parte
prossimale del radio (a livello
della tuberosità del radio) e
flette il braccio e l’avambraccio.
È un potente supinatore.

- Muscolo coraco-brachiale:
origina dal processo coracoideo e si inserisce all’omero. È un flessore del
braccio.

- Muscolo brachiale: è un muscolo profondo che origina dalla diafisi


dell’omero e si inserisce sulla parte prossimale dell’ulna. È un flessore
dell’avambraccio sul braccio.

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• MUSCOLI POSTERIORI (nervo radiale)

- Tricipite brachiale: ha tre capi -> lungo, mediale, laterale. I capi mediale e
laterale originano dalla diafisi dell’omero, mentre il capo lungo origina al di
sotto della cavità glenoidea. Terminano con un unico tendine in
corrispondenza dell’olecrano dell’ulna (processo osseo che prolunga
l’estremità superiore dell’ulna a livello della spalla). Azione di adduttore ed
estensore dell’avambraccio sul braccio.

- Anconeo: in continuità con la parte mediale del tricipite brachiale, si origina


dall’epicondilo mediale dell’omero e si inserisce sulla parte prossimale
dell’ulna.

MANO
Il carpo corrisponde alla regione del polso. È fatto da 8 ossa brevi disposte su due file. Si
articola con il radio, formando l’articolazione radio-carpica. L’ulna non partecipa
direttamente all’articolazione.

Metacarpo: il primo osso metacarpale corrisponde al pollice, poi di seguito il secondo,


terzo, quarto e quinto. Seguono le falangi, 3 per ogni dito (prima falange o falange,
seconda falange o falangina, terza falange o falangetta), ad esclusione del pollice che ne
contiene solo 2 (distale e prossimale). Le articolazioni tra le falangi sono ginglimi angolari.

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I movimenti imposti a queste ossa sono
impartiti dai muscoli della mano e anche
dell’avambraccio. I muscoli
dell’avambraccio, infatti, hanno la parte
carnosa nell’avambraccio e il tendine sul
carpo, sul metacarpo e sulle falangi (sia
sul versante anteriore, e quindi destinati
al palmo della mano, sia su quello
posteriore destinati al dorso).

La fascia antibrachiale dà dei setti che,


insieme alla membrana intraossea tesa
tra ulna e radio, suddividono
l’avambraccio in 3 logge. Muscoli
anteriori, laterali e posteriori:

- gli anteriori sono tutti


flessori e/o pronatori
(flessori dell’avambraccio,
della mano e delle dita).
Originano tutti dall’epitroclea dell’omero, e prendono perciò il nome di
muscoli epitrocleari. Sono 4 strati:

I strato: pronatore rotondo, flessore radiale del carpo, palmare lungo,


flessore ulnare del carpo

II strato: muscolo flessore superficiale delle dita

III strato: muscolo flessore profondo delle dita e muscolo flessore profondo
del pollice

IV strato: muscolo pronatore quadrato.

- i posteriori sono estensori e/o supinatori (estensori dell’avambraccio, della


mano e delle dita). Originano tutti dall’epicondilo laterale dell’omero, e
prendono perciò il nome di muscoli epicondiloidei.

Piano superficiale (in senso lateromediale): muscolo estensore comune delle


dita, muscolo estensore proprio del mignolo, muscolo estensore ulnare del
carpo.

Strato profondo: muscolo supinatore, adduttore lungo del pollice, estensore


breve del pollice, estensore dell’indice, estensore lungo del pollice.

- i laterali sono flessori dell’avambraccio (muscolo brachio-radiale) ed


estensori della mano. Dall’omero al radio, in senso anteroposteriore sono:

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muscolo brachioradiale, muscolo estensore radiale lungo del carpo, muscolo
estensore radiale breve del carpo.

I muscoli del compartimento anteriore sono innervati dal nervo mediano e/o ulnare:
muscolo flessore del carpo e metà del muscolo flessore delle dita.

Quasi tutti gli altri sono innervati dal nervo radiale.

I muscoli propri della mano vengono distinti in muscoli dell’eminenza tenar, destinati al
pollice, e in muscoli dell’eminenza ipotenar, in corrispondenza del mignolo.

Muscoli palmari: 2° 3° 4° dito. Nervo ulnare.

Tra le ossa della mano ci sono muscoli intraossei e muscoli lombricali.

CAVO ASCELLARE

È una regione che si trova in corrispondenza della radice dell’arto superiore. Ha la forma
di una piramide ad apice tronco in cui individuiamo quattro pareti, un apice e una base. Le
pareti sono delimitate da muscoli e da fasce muscolari.

Sezione sagittale a livello dell’ascella:

• parete mediale: parete laterale della gabbia toracica, rivestita dal muscolo dentato
anteriore

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• parete anteriore: muscoli grande e piccolo pettorale e in parte muscolo succlavio. Il
muscolo grande pettorale è rivestito dalla fascia pettorale, che si continua
inferiormente con la fascia ascellare, la quale è la base della piramide. Dalla fascia
ascellare parte una dipendenza che avvolge il piccolo pettorale e il succlavio, e
prende il nome di fascia clavipettorale. La parte che dalla fascia ascellare va al
piccolo pettorale è nota come legamento .sospensore dell’ascella.

• parete posteriore: muscolo sottoscapolare, muscolo grande dorsale, muscolo


grande rotondo.

• parete laterale: margine mediale del braccio -> capo breve del bicipite e muscolo
coracobrachiale.

• apice: punto in cui lo spazio incontra la clavicola. Mette in comunicazione la cavità


ascellare con il collo. È lo spazio compreso tra clavicola, prima costa e base del
processo coracoideo. Qui ci sono i vasi succlavi e i nervi del plesso brachiale.

La forma della cavità ascellare dipende dalla posizione dell’arto superiore. Se questo
viene abdotto, la parete è ristretta.

Contenuto del cavo ascellare:

- ARTERIA ASCELLARE: diretta continuazione dell’arteria succlavia

- RAMI COLLATERALI DELL’ARTERIA ASCELLARE:

1) arteria toracica suprema -> dentato anteriore, pettorali, cute della regione
pettorale;

2) arteria toraco-acromiale-> pettorali, deltoide, cute del torace, mammella


(attraversa la fascia clavipettorale);

3) arteria toracica laterale-> linfonodi ascellari, ghiandola mammaria, muscolo


dentato anteriore e muscoli intercostali;

4) arteria sottoscapolare-> muscoli sottoscapolare e grande dorsale, muscolo


grande rotondo, sopra e sottospinoso;

5) arteria circonflessa posteriore dell’omero-> muscolo sottoscapolare, grande


rotondo, tricipite, articolazione scapolo-omerale (passa nel quadrilatero di
Velpau);

6) arteria circonflessa anteriore dell’omero-> muscolo coracobrachiale, tricipite,


testa dell’omero.

- VENA ASCELLARE e suoi affluenti (vena cefalica)

- PLESSO BRACHIALE: disposto tutto intorno ad abbracciare l’arteria ascellare

- LINFONODI ASCELLARI: stazione molto importante, come i linfonodi inguinali.


Raggruppati in 5 gruppi, uno centrale e gli altri quattro disposti come i vertici di un
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tetraedro. Il centrale riceve tre gruppi, ricevendo la linfa drenata da regioni diverse,
e la manda al gruppo apicale.

Il gruppo laterale drena la linfa dall’arto superiore (linfonodi BRACHIALI), il


posteriore dalla parte posteriore del torace (linfonodi SOTTOSCAPOLARI),
l’anteriore dalla regione pettorale (linfonodi PETTORALI. Questi ultimi drenano la
linfa anche da tre quarti della mammella, escluso il quarto supero-mediale, drenato
dai linfonodi sternali. In caso di carcinoma della mammella, i linfonodi sono
ingrossati e quindi palpabili -> linfonodi sentinella).

VASCOLARIZZAZIONE

L’ARTERIA ASCELLARE è la continuazione dell’arteria succlavia. Comincia dove inizia


l’ascella, cioè in corrispondenza del margine laterale della prima costa. Finisce quando
esce dall’ascella e continua nell’ARTERIA BRACHIALE. Quest’ultima decorre
medialmente al muscolo bicipite e, raggiunto il gomito, si divide in arteria ulnare e
radiale. Queste due arterie raggiungono la regione della mano e si anastomizzano a dare
3 arcate. Una di queste arcate è dorsale e due sono palmari: di quelle palmari, una è
superficiale e l’altra profonda. Dalle arcate palmari nascono rami che decorrono tra le ossa
metacarpali e si dividono in due per decorrere ai lati delle dita. Le anastomosi sono

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importanti per la pressione. Alcuni vasi, quando ho in mano un oggetto, si comprimono,
ma la presenza delle tre arcate assicura comunque l’afflusso di sangue.

Rami delle arterie succlavia, ascellare e brachiale contribuiscono a formare il circolo


anastomotico della spalla (come nell’arto inferiore c’è il circolo anastomotico dell’anca).

N.B.: naturalmente l’arteria brachiale dà rami collaterali per le regioni che sta
attraversando -> arteria profonda del braccio, che aggira l’omero e si distribuisce al
compartimento posteriore (tricipite e cute). Partecipa alla formazione della rete
anastomotica della spalla anastomizzandosi con l’arteria circonflessa anteriore dell’omero.

Sistema venoso
Ci sono un sistema superficiale (che vedo attraverso cute e sottocute) e uno profondo,
a seconda che si trovi sopra o sotto la fascia. I due sistemi sono anastomizzati poiché
collegati da rami perforanti (come avviene anche nell’arto inferiore). Nell’arto superiore il
flusso del sangue va dalla profondità alla superficie, dato che i rami perforanti hanno
valvole che obbligano il passaggio verso la superficie (nell’arto inferiore succede
esattamente il contrario, perché è importante ai fini della risalita del sangue verso il cuore.
Le vene profonde nell’arto inferiore sono dotate di valvole e
vengono “spremute” dalla contrazione muscolare, in modo da
pompare il sangue verso il cuore. Questo sistema non è
efficiente nel caso di vene varicose).

• Sistema profondo: da arcate venose che si originano


dalla mano nascono vene radiali e ulnari (le vene quasi
sempre sono in numero doppio rispetto alle arterie). Queste
confluiscono nelle vene brachiali, che si uniscono a formare
la vena ascellare, la quale si continua nella vena succlavia.

• Sistema superficiale: da arcate venose della mano, in


particolare dorsali, nascono le vene BASILICA (decorre
medialmente, perfora la fascia brachiale diventando profonda
e confluisce in una delle due vene brachiali) e CEFALICA
(risale lateralmente, in corrispondenza della spalla segue il
margine anteriore del deltoide e poi perfora la fascia
diventando profonda. Confluisce infine nella vena ascellare).
Queste due vene, ruotando, si fanno anteriori e decorrono
fino al punto dove si scambiano una importante anastomosi:
vena CUBITALE, dalla quale si fanno i prelievi.

N.B.: la maggior parte del sangue è raccolto da vene

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superficiali, anche perché qui confluisce il sangue del circolo profondo tramite rami
perforanti.

INNERVAZIONE
L'innervazione dell'arto superiore deriva dal plesso brachiale che è formato da una rete di
strutture nervose derivanti dalle ultime 4 radici spinali cervicali e dalla prima toracica
(quindi, da C5 a T1). Le 5 radici spinali formano tre tronchi che emergono, con l'arteria
succlavia, tra i muscoli scaleno medio e scaleno anteriore, e cioè nella loggia degli scaleni.
Le strutture nervose poi passano dietro la clavicola (spazio costoclavicolare) ed entrano
nell'ascella dove si anastomizzano fra di loro in due
punti formando i 3 tronchi principali e più
distalmente i 3 tronchi secondari da cui si
originano dietro al muscolo piccolo pettorale 5
branche nervose terminali: 3 più anteriori (nervi
muscolocutaneo, mediano ed ulnare che
forniscono l'innervazione ai muscoli flessori del
braccio, avambraccio e mano e alla cute sopra il
compartimento dei flessori); 2 più posteriori (nervi
ascellare e radiale che forniscono l'innervazione ai
muscoli estensori della spalla, braccio e
avambraccio e alla cute della faccia posteriore
dell'arto superiore). I tronchi secondari (posteriore,
laterale e mediale) da cui nascono questi nervi sono
disposti intorno all’arteria ascellare. Nel cavo
ascellare tra le branche nervose anteriori e quelle
posteriori ritroviamo l'arteria ascellare. A livello più
periferico alcuni di questi nervi contraggono un
rapporto con strutture ossee: il nervo ascellare con il
collo dell'omero; il nervo radiale con il corpo del terzo
mediale dell'omero; il nervo ulnare con l'epicondilo
mediale dell'omero; e il nervo radiale, con il suo
ramo interosseo posteriore, con il collo del radio.
Ovviamente un danno a queste strutture ossee può
danneggiare l'adiacente nervo periferico.

Dai tre tronchi secondari nascono i rami per l’arto superiore:

• Nervo cutaneo: C5-C7. Origina dal tronco secondario laterale. Porta rami motori a
tutti i muscoli anteriori del braccio perforando il muscolo coracobrachiale. Si trova
tra questo e il bicipite e, scendendo, dà rami per questi muscoli. Raggiunta la
regione del gomito dà rami sensitivi per la cute della parte laterale dell’avambraccio.
Infatti, il più importante ramo è il nervo cutaneo laterale dell’avambraccio.

• Nervo mediano: C5-T1. Origina in parte dal tronco secondario laterale e in parte
dal tronco secondario mediale. Decorre insieme all’arteria brachiale, oltrepassa il
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gomito e si porta all’avambraccio. Supera il polso e lo troviamo nella mano. Non dà
rami nel braccio, ma innerva tutti i muscoli anteriori dell’avambraccio, tranne il
muscolo flessore ulnare del carpo e la metà mediale del muscolo flessore profondo
delle dita. Innerva i muscoli dell’eminenza tenar (muscoli opponente del pollice,
abduttore breve del pollice e flessore del pollice) e i primi due muscoli lombricali. Dà
rami sensitivi per l’articolazione del gomito e per la parte laterale del palmo della
mano fino alla metà del quarto dito e per una piccola parte dorsale delle stesse dita.
Il punto critico del nervo mediano è il punto in corrispondenza del carpo, dato che le
ossa del carpo fanno sì che di generi una doccia chiusa da un legamento trasverso
del carpo, dando origine al tunnel carpale. L’osso pisiforme, l’uncino dell’osso
uncinato, il tubercolo dello scafoide e il tubercolo del trapezio generano la doccia
del tunnel carpale, nel quale passano i tendini dei flessori profondi e dei muscoli
profondi dell’avambraccio. Qui passa anche il nervo mediano. Quando si
infiammano questi tendini, il nervo viene compresso e si ha la sindrome del tunnel
carpale: il soggetto non riesce a contrarre le prime tre dita (“mano benedicente”) e
ha difficoltà a tenere tra le dita anche un foglio di carta, poiché ha problemi al
muscolo opponente del pollice.

• Nervo ulnare: C7-T1. Nasce dal tronco secondario mediale. Inizialmente decorre
lungo il margine mediale del braccio insieme all’arteria brachiale. Passa poi per la
regione del gomito, esattamente tra l’olecrano e l’epitroclea o epicondilo mediale, e
si fa così posteriore. Questo è il punto critico. Decorre poi mantenendosi in
posizione mediale nell’avambraccio, poi oltrepassa il polso sul legamento trasverso
del carpo e raggiunge la mano. Nel braccio non dà rami. Innerva i muscoli anteriori
dell’avambraccio non innervati dal nervo mediano: flessore ulnare del carpo e metà
mediale del muscolo profondo delle dita. A livello della mano innerva tutti i muscoli
non innervati dal mediano. Per quanto riguarda la sensibilità, raccoglie la parte
mediale della mano, in particolare dal quinto dito e dalla metà del quarto dito, sia
sul palmo che sul dorso. Dà rami sensitivi anche per l’articolazione del gomito. Nel
punto di passaggio al gomito è facile generare una parestesia al quinto e al quarto
dito. In caso di lesione, il soggetto non flette le ultime dita (“mano ad artiglio”).

• Nervo radiale: C5-T1. Deriva dal tronco secondario posteriore. Fuoriesce


dall’ascella facendosi posteriore nel braccio; decorre posteriormente insieme
all’arteria profonda del braccio, contraendo rapporto intimo con l’omero, tanto che
c’è un solco radiale dell’omero. Qui innerva il muscolo tricipite brachiale. Oltrepassa
poi il gomito, si porta nell’avambraccio tornando ad essere anteriore e dà un ramo
profondo quasi esclusivamente motorio che innerva i muscoli laterali e posteriori
dell’avambraccio (estensori) ed un ramo superficiale prevalentemente sensitivo che
innerva la parte più laterale del dorso della mano e la regione posteriore del braccio
e dell’avambraccio. Punti critici: solco radiale dell’omero ->
frattura dell’omero che lì può ledere il nervo; compressione a livello ascellare che si
fa risentire sul nervo (stampella ascellare). Con una lesione, si perde il tono degli
estensori, prevalendo così il tono dei flessori a livello della mano (polso cadente),
dell’avambraccio e del braccio.

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• Nervo ascellare: C5-C6. Deriva dal tronco secondario posteriore. Si fa posteriore
attraversando il quadrilatero di Velpeau, delimitato in alto dal piccolo rotondo, in
basso dal grande rotondo, medialmente dal capo lungo del tricipite e lateralmente
dall’omero. Innerva il piccolo rotondo e il deltoide. Dà rami per l’articolazione della
spalla e raccoglie la sensibilità che corrisponde alla cute della zona del deltoide.
Con una lesione, se faccio posizionare il soggetto con l’arto completamente
abdotto, il braccio gli cede da 90° in giù.

• Nervo cutaneo mediale del braccio: nasce dal tronco secondario mediale. Esce
dalla cavità ascellare insieme al nervo ulnare e al nervo cutaneo mediale
dell’avambraccio. Giunto nel braccio perfora la fascia brachiale e, diventato così
sottocutaneo, scende lungo la superficie mediale del braccio fino all’epitroclea.

• Nervo cutaneo mediale dell’avambraccio: nasce dal tronco secondario mediale.


Nella parte media del braccio è satellite della vena basilica. Percorre a ritroso il
decorso di questa e si trova nel sottocute, nella regione mediale del braccio.
Scendendo, dà rami sensitivi per la cute della regione mediale dell’avambraccio.

Questi tronchi danno anche rami per la spalla. Il plesso brachiale entra nella cavità
ascellare dall’apice e ne esce per portarsi nell’arto superiore.

Dermatomeri dell’arto superiore: indipendentemente dal nervo che raccoglie la sensibilità,


è possibile disegnare sull’arto le strisce di competenza delle radici posteriori. Da C5 si va a
rotazione verso dietro fino a T1 (nell’arto inferiore assumono una posizione a spirale
perché è stabilmente pronato).

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ARTO INFERIORE
L’arto inferiore, come l’arto superiore, è diviso in 4 parti che, in senso prossimo-distale
sono: l’anca (ileo, ischio e pube), la coscia (femore), la gamba (tibia e fibula o perone) e il
piede (tarso, metatarso e falangi). L’anca è connessa con il tronco e distalmente, dà
attacco alla coscia che, insieme alla gamba e al piede costituisce la parte libera dell’arto
inferiore

L’arto inferiore è stabilmente pronato.

Nel punto in cui ileo, ischio e pube si incontrano c’è l’acetabolo dell’anca (articolazione
COXO-FEMORALE), la quale è enartrosi. Permette la flessione, l’estensione, l’abduzione,
l’adduzione e la rotazione interna ed esterna. Questa ha legamenti (più sono i legamenti e
minore è la libertà di movimento, ma maggiore è la stabilità). In corrispondenza dell’epifisi
prossimale del femore ci sono il piccolo trocantere, medialmente, e il grande trocantere,
lateralmente.

MUSCOLI DELLA REGIONE GLUTEA

GLUTEI: grande gluteo, gluteo medio e piccolo gluteo. Parte posteriore della regione della
natica, dall’esterno all’interno grande, medio, piccolo. Ci sono tre linee glutee sull’osso
dell’anca (Distinguiamo una linea glutea inferiore, a concavità inferiore, posta al di sopra
dell'acetabolo, una linea glutea anteriore, a convessità anteriore, decorre nel mezzo della
superficie glutea, ed una linea glutea posteriore, anch'essa a concavità anteriore, decorre
presso il margine posteriore dell'osso iliaco. Da wikipedia).

• Il grande gluteo va dalla cresta iliaca ai bordi del sacro, terminando con l’inserzione
distale sulla linea aspra del femore e sul grande trocantere.
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Permette l’estensione della coscia sul bacino e la rotazione laterale.

• Il gluteo medio va dalla linea glutea al grande trocantere del femore. Abduzione.

• Il piccolo gluteo va dalla linea glutea inferiore al grande trocantere del femore.
Abduzione.

Nell’anca ci sono 6 piccoli muscoli profondamente rispetto ai glutei e sono tutti rotatori
laterali del femore: MUSCOLI ROTATORI LATERALI PROFONDI. Uno è piriforme, due
ottoratori (interno ed esterno), due gemelli (superiori ed inferiore) e il muscolo quadrato del
femore. Tutti questi, dalla regione posteriore della pelvi, si inseriscono sul grande
trocantere.

GINOCCHIO
L’articolazione del ginocchio si trova tra l’epifisi distale del femore e quella prossimale della
tibia. Il femore termina con due condili convessi, mediale e laterale, mentre la tibia è piana
(piatto tibiale): per questo abbiamo due menischi e molti legamenti, per cui il ginocchio è
funzionalmente un ginglimo angolare/troclea, che permette solo la flesso-estensione.

FASCE
Ci sono delle fasce che rivestono tutti i muscoli dell’arto inferiore. In realtà è un’unica
fascia che presenta nomi diversi a seconda della regione -> fascia glutea, fascia lata
(coscia), fascia crurale (gamba). Dalla fascia partono setti che vanno a dividere lo spazio
interno in 3 logge muscolari. Nella coscia ci sono muscoli del compartimento anteriore,
mediale e posteriore.

• COMPARTIMENTO ANTERIORE

1. -muscolo tensore della fascia lata: si trova in posizione laterale. Origina nella
regione della spina iliaca anteriore superiore, e si inserisce sul condilo laterale della
tibia e su tutta la fascia lata. Oltre ad addurre la coscia, tende quindi la fascia lata
(questo ha forti implicazioni sulla circolazione e rende più efficienti i muscoli)

2. -muscolo sartorio: è nastriforme e a forma di S. Origina dalla spina iliaca anteriore


superiore e si inserisce al condilo mediale della tibia insieme ai tendini del muscolo
gracile e del muscolo semitendinoso, che costituiscono la cosiddetta “zampa d’oca”.
Il sartorio, interessando due articolazioni, è un flessore della coscia sul bacino e
della gamba sulla coscia; in più, fa ruotare lateralmente il femore ed è un abduttore.

3. -muscolo quadricipite femorale: è fatto di 4 ventri che hanno inserzione prossimale


distinta, mentre terminano con un unico tendine sulla tuberosità tibiale, dopo aver
inglobato la rotula. I quattro ventri sono il retto del femore, il vasto mediale, il vasto
laterale e profondamente il vasto intermedio. I vasti hanno origine prossimale a
livello del grande trocantere del femore, mentre il retto del femore origina dalla
spina iliaca anteriore inferiore (ha quindi a che fare con l’articolazione

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coxofemorale). Il retto del femore flette la coscia sul bacino ed è un potente
estensore della gamba sulla coscia.

• COMPARTIMENTO POSTERIORE: ci sono tre muscoli che hanno origine


prossimale in corrispondenza della tuberosità ischiatica e terminano distalmente
sulla tuberosità della tibia. I muscoli ischiocrurali sono lateralmente il bicipite
femorale (costituito da due ventri), medialmente il muscolo semitendinoso e il
muscolo semimembranoso. Questi due terminano sulla parte mediale della gamba
e coinvolgono due articolazioni. Estensione della coscia sul bacino e flessione della
gamba sulla coscia.

• COMPARTIMENTO MEDIALE: piani sovrapposti. Sono adduttori della coscia e


dell’osso dell’anca, e si dirigono più o meno a ventaglio sulla parte mediale del
femore. Sono il muscolo gracile, il muscolo pettineo, i muscoli adduttori breve,
lungo e grande adduttore. Complessivamente sono molto potenti.

GAMBA
Scheletro della gamba: tibia e perone. Il perone è laterale. Tra queste due ossa sono tesa
la membrana intraossea e la fascia crurale.

Anche qui abbiamo tre comparti: anteriore, laterale, posteriore. I muscoli della gamba
sono implicati nel ginocchio e nel piede e i loro tendini arrivano alle varie parti del piede.
Quelli del compartimento anteriore si continuano e terminano sul dorso del piede (vedi
dopo).

In corrispondenza del legamento inguinale, le fasce dei muscoli diventano un tutt’uno,


formando un ispessimento che prende il nome di benderella ileopettinea. Questa separa lo
spazio sotto al legamento inguinale in lacuna dei muscoli e lacuna dei vasi. Nella lacuna
dei muscoli passano anche i nervi. Nella lacuna dei vasi possiamo avere ernie femorali in
cui sfociano anse dell’ileo.

Il più grosso muscolo posteriore della gamba è il tricipite della sura. Due ventri sono i
muscoli gemelli mediale e laterale che nel complesso prendono il nome di gastrocnemio o
polpaccio. Questi si originano ciascuno dal corrispondente condilo del femore e si
inseriscono sul tendine di Achille, il quale si inserisce sulla tuberosità del calcagno. Sono
flessori plantari del piede e flessori della gamba sulla coscia. Profondamente ai muscoli
gemelli c’è l’altro ventre, il soleo. Il soleo si inserisce alla parte posteriore della tibia. È un
flessore plantare del piede.
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Profondamente ai gemelli e al soleo
ci sono, oltre al tricipite della sura, il
muscolo plantare, il muscolo tibiale
posteriore, i due flessori lunghi di
alluce e dita.

L’inserzione dei muscoli ischiocrurali


e gemelli descrive una losanga. Gli
ischiocrurali vanno sui condili della
tibia, i gemelli sui condili del femore.
Questa losanga prende il nome di
FOSSA POPLITEA. Nella fossa
poplitea decorrono la vena poplitea
e la vena tibiale e il nervo peroneo
comune.

PIEDE
Lo scheletro del piede si divide in:

• Tarso-> fila prossimale costituita da astragalo e calcagno; fila distale da navicolare,


3 cuneiformi e cuboide. Si articola con tibia e perone tramite l’astragalo;

• Metatarso-> ha 5 ossa;

• Falange.

MUSCOLI ANTERIORI: muscolo tibiale anteriore (mediale), muscoli estensori lunghi di


alluce e dita (terminano sul dorso del piede), muscoli flessori dorsali del piede. Innervati
dal nervo peroniero profondo.

MUSCOLI LATERALI: muscoli peroniero lungo e breve, abduttori e rotatori esterni del
piede. Innervati dal nervo peroniero superficiale.

Il piede può compiere flessione dorsale (punta del piede in alto) e plantare (estensione),
nonché inversione (supinazione) ed eversione (pronazione). In più punti del piede ci sono i
retinacoli, (dispositivi legamentosi di contenzione dei tendini) che fanno da guida per i
tendini. Ne abbiamo due davanti che sono i retinacoli degli estensori. Lateralmente ci sono
due retinacoli dei peronieri e medialmente c’è un retinacolo dei flessori (flessione
plantare). Nei retinacoli passano anche vasi e nervi (nervo tibiale).

FASCE DELLA COSCIA


Fascia superficiale: sotto il derma, con tessuto connettivo lasso. Vi passano nervi cutanei
e vasi (vene grande e piccola safena)

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Fascia profonda: è detta fascia lata, con tessuto connettivo denso. Avvolge come una
calzamaglia i muscoli della coscia. Inizia alla radice della coscia ed è molto spessa
lateralmente dove forma il tratto ileotibiale che finisce nel condilo laterale della tibia.
Questo tratto include il muscolo tensore della fascia lata. In alto presenta un’ apertura,
detta fossa ovale, dove la grande vena safena passa nella vena femorale. Il margine
mediale di questa apertura è liscio e smusso, mentre i bordi superiore laterale e inferiore
sono un margine a falce (margine falciforme). Questo margine è unito a quello mediale da
un tessuto fibroadiposo detto fascia cribiforme.

TRIANGOLO FEMORALE DI SCARPA


Appare come una depressione nel terzo medio della coscia al di sotto del legamento
inguinale quando la coscia è flessa attivamente sull'anca. Contiene i vasi femorali (arteria
e vena) ed il nervo femorale con le sue
branche. E' delimitato: medialmente dal
muscolo adduttore lungo; superiormente dal
legamento inguinale; lateralmente dal m.
sartorio; posteriormente dai muscoli adduttore
lungo,pettineo e ileopsoas. E' coperto
superiormente dalla fascia lata che include la
fascia cribrosa. I vasi femorali ed il nervo
femorale arrivano nel triangolo femorale
attraverso due vie distinte: la lacuna dei
muscoli (che contiene il nervo femorale) e la
lacuna dei vasi (che contiene i vasi femorali).
La lacuna dei muscoli non è nient’altro che il
muscolo iliaco con la sua fascia (iliaca) sotto la
quale si trova il nervo femorale. La lacuna dei
vasi è lo spazio più anteromediale rispetto alla
lacuna dei muscoli e comprende la guaina
femorale nel cui interno troviamo i vasi femorali.

Riassumendo: regione che ha come base il legamento inguinale e come lati il muscolo
sartorio (lateralmente) e il muscolo adduttore lungo (medialmente). Nella profondità del
triangolo femorale ci sono lateralmente il muscolo ileopsoas e medialmente il muscolo
pettineo. Questi due formano uno spazio tetraedrico. La parte anteriore deriva dalla fascia
lata.

GUAINA FEMORALE
Le parti prossimali dei vasi femorali vengono fasciate da una fascia a forma di imbuto
detta guaina femorale (che NON include il nervo femorale). Questa guaina è un
prolungamento inferiore delle fasce dell'addome (la fascia trasversale anteriormente e
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quella iliaca posteriormente) ed è coperta superiormente dalla fascia lata. La guaina
femorale presenta due setti che la suddividono in tre compartimenti: laterale, con l'arteria
femorale; intermedio, con la vena femorale; mediale, uno spazio con qualche linfonodo
detto canale femorale. Il canale femorale ha una sua apertura addominale detta anello
femorale ed una più distale a livello dello sbocco della safena. L'anello femorale è largo
circa 1 cm ed è chiuso da grasso extraperitoneale. [E' un'area di debolezza della parete
addominale anteriore: parti di piccolo intestino possono entrare all'interno provocando una
ernia femorale].

CANALE DEGLI ADDUTTORI DI HUNTER


E' un tunnel fasciale che provvede un passaggio intermuscolare attraverso cui i vasi
femorali passano nella fossa poplitea diventando vasi poplitei. Inizia dove il muscolo
sartorio passa sopra al muscolo adduttore lungo e finisce come iato adduttorio nel tendine
del muscolo grande adduttore. E' delimitato anteriormente dal muscolo sartorio,
posteromedialmente dai muscoli adduttore lungo e grande e lateralmente dal muscolo
vasto mediale. Contiene i vasi femorali ed il nervo safeno.

VASCOLARIZZAZIONE

VISIONE GENERALE

Le arterie glutee superiori ed inferiori (rami della iliaca interna) vascolarizzano la regione
glutea. Un altro ramo della arteria iliaca interna, arteria otturatoria, contribuisce a
vascolarizzare il compartimento mediale della coscia. Il principale vaso arterioso che
vascolarizza tutto l'arto inferiore è, però, una continuazione dell'arteria iliaca esterna:
l’arteria femorale. Poco dopo il triangolo femorale, l'arteria femorale dà un grosso ramo
collaterale, l’arteria femorale profonda, che con i suoi rami perforanti si porta nel
compartimento posteriore della coscia. L'arteria femorale attraversa il canale di Hunter e
vascolarizza tutto il compartimento anteriore e mediale della coscia per poi passare
posteriormente dietro il ginocchio nella fossa poplitea, dove diventa arteria poplitea.
Abbandonata questa fossa si divide in una arteria tibiale anteriore (che passa nel
compartimento anteriore della gamba e continua sul dorso del piede come arteria pedidea)
ed in una arteria tibiale posteriore (che attraversa il compartimento posteriore della gamba
per poi dividersi nelle arterie plantari mediali e laterali che vascolarizzano la zona
plantare). L'arteria tibiale posteriore dà un ramo, arteria peroneale, che si occupa della
vascolarizzazione del compartimento laterale della gamba. Abbiamo delle importanti reti
anastomotiche a livello del collo del femore, del ginocchio, della caviglia e tra il
compartimento dorsale e plantare del piede. Esistono due sistemi venosi anastomizzati tra
di loro: un sistema superficiale (vena grande e piccola safena) ed uno profondo che segue
il decorso delle arterie. Il sistema superficiale confluisce nel sistema profondo. La vena
femorale si continua come vena iliaca esterna. Le vene glutee accompagnano
accompagnano le arterie e confluiscono nella vena iliaca interna.

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Sistema arterioso
Arteria otturatoria : è un ramo dell'arteria iliaca interna. Attraversa il canale otturatorio
dividendosi in un ramo anteriore ed uno posteriore. Il ramo anteriore contribuisce alla
vascolarizzazione dei muscoli adduttori.

Arteria femorale: è la continuazione


dell’arteria iliaca esterna. Passa nella
coscia sotto il legamento inguinale
attraverso la lacuna dei vasi e si ritrova nel
triangolo femorale dove è laterale alla vena
femorale. Al di sotto del ligamento inguinale
dà i seguenti rami: arteria epigastrica
superficiale, mediale, si anastomizza con i
rami dell'arteria epigastrica inferiore (uno
dei due rami dell’iliaca esterna); arteria
circonflessa superficiale, laterale, si
anastomizza attorno all’articolazione
coxofemorale con la circonflessa iliaca
profonda (l’altro ramo dell’iliaca esterna);
arterie pudende esterne: mediali, si
anastomizzano con l'arteria pudenda
interna (ramo dell’iliaca interna). Nel
triangolo femorale l'arteria femorale dà
origine nella sua parte laterale all’arteria
femorale profonda, che è la principale
arteria della coscia. Quest'ultima corre
lateralmente alla arteria femorale, poi passa posteriormente discendendo dietro al
muscolo adduttore lungo. E' il più importante affluente ai muscoli adduttori, estensori e
flessori. Dà i seguenti rami: arteria circonflessa laterale, arteria circonflessa mediale (che
si anastomizzano tra di loro e con il ramo anastomotico dell’arteria glutea inferiore per
irrorare testa e collo del femore e articolazione coxo-femorale); arterie perforanti (sono tre
e perforano l'inserzione del grande adduttore per raggiungere la regione posteriore della
coscia). L'arteria femorale prima di passare posteriormente attraverso il canale e lo iato
degli adduttori e diventare arteria poplitea, lascia un ramo che rimane anteriore: l'arteria
discendente (o suprema) del ginocchio, che successivamente si divide in un ramo
articolare ed uno safeno.

Arteria poplitea: percorre la fossa poplitea per poi dividersi in un ramo che passa
anteriormente (arteria tibiale anteriore) ed uno che rimane posteriore (arteria tibiale
posteriore). Nella fossa poplitea dà degli importanti rami che formano un plesso
anastomotico attorno al ginocchio. I rami principali sono: arterie articolare superiore
laterale e mediale (girano sopra i condili articolari del femore e si portano anteriormente
dove si anastomizzano). L'arteria mediale si anastomizza anche con l'arteria discendente
del ginocchio; arterie articolare inferiore laterale e mediale (come quelle superiori si

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portano anteriormente dopo aver girato attorno ai condili della tibia). Si anastomizza inoltre
con l'arteria ricorrente tibiale anteriore e l'arteria discendente del ginocchio.

Arteria tibiale anteriore: origina dall'arteria poplitea al margine inferiore del cavo popliteo,
attraversa la parte alta della membrana interossea tra tibia e fibula e si porta
anteriormente. Scende giù nella gamba prima davanti alla membrana interossea per poi
spostarsi più medialmente sopra la tibia nella parte inferiore della gamba. Si continua
sopra il dorso del piede come arteria dorsale del piede o pedidea. I suoi rami principali
sono: arteria ricorrente tibiale posteriore e anteriore che originano prima (la posteriore) o
dopo (l'anteriore) del passaggio dell'arteria tibiale anteriore attraverso la membrana
interossea. Come indicato dal nome entrambe risalgono anastomizzandosi con la rete
vascolare attorno al ginocchio; arteria malleolare anteriore mediale e laterale che
originano a livello della caviglia distribuendosi attorno all'articolazione ed
anastomizzandosi con i rami della arteria tibiale posteriore. Si forma così un plesso attorno
alla caviglia.

Arteria pedidea: segue il lato tibiale del dorso del piede e si dirige nel primo spazio
intermetatarsale dove termina come arteria metatarsale dorsale. I suoi rami principali
sono: arteria tarsale mediale e laterale (il ramo laterale si anastomizza con l'arteria
arcuata); arteria arcuata (si dirige lateralmente sopra le ossa metatarsali formando un arco
da cui nascono le altre arterie metatarsali dorsali (2°,3° e 4°). Ciascuna di queste arterie
ha dei rami perforanti che si dirigono verso la pianta del piede; arteria plantare profonda
(origina più distalmente dall’arteria arcuata). E' un ramo perforante che si dirige nella
pianta del piede.

Arteria tibiale posteriore: è la diretta continuazione dell'arteria poplitea. Scende


posteriormente nella gamba e si porta dietro il malleolo mediale dando origine alle arierie
plantari mediale e laterale. Il suo ramo principale è 1' arteria peroneale (o peroniera).
Questo ramo origina più in basso della fossa poplitea e si dirige obliquamente verso la
fibula e scende nella gamba. A livello della caviglia dà rami malleolari laterali. L'arteria
peroneale è il principale vaso del compartimento laterale della gamba.I suoi rami terminali
sono le arterie plantari mediale e laterale situate nella pianta del piede. Quella laterale dà
una arcata plantare che a sua volta dà origine ad arterie metatarsali plantari. Esistono
importanti rami perforanti che mettono in comunicazione l'arco dorsale con quello plantare.

Sistema Venoso
Le vene dell'arto inferiore sono divise in due gruppi: superficiali e profonde. E' importante
ricordare che i due gruppi sono in comunicazione tra di loro attraverso dei rami perforanti.
Le valvole all'interno di questi rami perforanti sono disposte in modo che il sangue refluo
possa andare dalla superficie in profondità e NON viceversa. In particolare: quando i
muscoli si contraggono le valvole impediscono al sangue di andare in superficie ma solo
verso l'alto; quando i muscoli si rilassano si produce una vera aspirazione di sangue dalle
vene superficiali a quelle profonde. Questo fenomeno riguarda tutto l'arto inferiore con
l'esclusione del piede dove il flusso è diretto in senso contrario (dalla profondità in
superficie). [Il cattivo funzionamento di queste valvole venose porta ad un afflusso di

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sangue dalla profondità in superficie con ingrossamento della rete superficiale (vene
varicose)].

Rete profonda: le vene profonde sono satelliti delle


omonime arterie e ne seguono il decorso.

Rete superficiale: è formata dalle vene grande e piccola


safena che si trovano sopra la fascia profonda (lata). La
vena grande safena origina dall’arcata venosa dorsale,
passa al davanti del malleolo mediale (ricorda che
posteriormente a questo malleolo mediale passa invece
l'arteria tibiale posteriore!) e poi sale in alto,
posteromedialmente al condilo mediale della tibia e del
femore, nella superficie mediale della coscia fino ad
arrivare sul tetto del triangolo femorale che buca per
gettarsi nella vena femorale. La vena piccola safena inizia
dietro il malleolo laterale e poi sale nella regione
posteriore della gamba. Arrivata sul tetto della fossa
poplitea, lo perfora e si getta nella sottostante vena
poplitea a 3-5 cm. sopra l'articolazione del ginocchio. Ha
rami anastomotici con la vena grande safena.

VASI LINFATICI

La linfa drenata dall’arto inferiore transita attraverso un numero variabile di stazioni


linfonodali di cui fanno parte alcuni linfonodi isolati, intercalati sul decorso dei vasi profondi
della gamba, linfonodi poplitei e i più importanti, i linfonodi inguinali. I linfonodi isolati
versano la loro linfa ai linfonodi poplitei, da 4 a 6, situati nel cavo popliteo, immersi a varia
profondità nel tessuto adiposo circostante all’arteria e alla vena. Questi ultimi si gettano
nei linfonodi inguinali. Questi ultimi si dividono in:
- Linfonodi inguinali superficiali: (circa 20), situati nel sottocutaneo del triangolo
femorale, attorno allo sbocco della vena grande safena nella femorale. Ricevono
linfa sostanzialmente dall’arto inferiore, dai genitali esterni e dal perineo.

- Linfonodi inguinali profondi: da 1 a 3, risiedono sempre nel triangolo femorale, ma


sotto la fascia cribrosa, medialmente alla vena femorale. Il superiore, linfonodo di
Clouqet corrisponde all’anello femorale. Ricevono linfa dai linfonodi superficiali e
dall’arto inferiore. Si continuano nei linfonodi iliaci esterni, tributari dei linfonodi iliaci
comuni, a loro volta tributari dei linfonodi para-aortici, ai lati dell’aorta addominale.

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INNERVAZIONE

PLESSO LOMBARE L1-L4

• NERVO ILEOIPOGASTRICO: nasce da L1. Si dirige obliquamente in basso e in


fuori davanti al muscolo quadrato dei lombi, poi si impegna tra il muscolo trasverso
dell’addome e il muscolo obliquo interno. Arrivato al legamento inguinale si divide:
un ramo percorre il canale inguinale e si distribuisce alla cute dei genitali esterni; un
ramo procede verso il retto dell’addome e innerva la cute della regine ipogastrica.

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Rami muscolari: obliquo esterno, obliquo interno, muscolo trasverso dell’addome e
muscolo retto dell’addome.

Rami sensitivi: cute della natica.

• NERVO ILEOINGUINALE: nasce da L1. Decorre sotto il nervo ileogastrico e ne


ripete il tragitto. Arrivato alla spina iliaca anteriore superiore si divide: un ramo
percorre il canale inguinale ed esce dall’anello sottocutaneo, distribuendosi alla
parte mediale della coscia e allo scroto/grandi labbra. Un ramo innerva la cute della
regione ipogastrica.

Rami muscolari: stessi muscoli del nervo ileoipogastrico

Rami sensitivi: cute della natica che riveste la spina iliaca anteriore superiore.

• NERVO GENITOFEMORALE: nasce da L2. Scende in basso e in avanti,


perforando il muscolo grande psoas, continua verso il basso passando sotto la
fascia dello stesso muscolo a livello del legamento inguinale, dove si divide: un
ramo attraversa il canale inguinale per distribuirsi alla cute dello scroto e delle
grandi labbra. Dà anche rami muscolari per il muscolo trasverso dell’addome, per
l’obliquo interno e per il muscolo cremastere. Un ramo femorale esce dal bacino
con l’arteria iliaca esterne e, arrivato nel triangolo di Scarpa, innerva la regione
anteroposteriore della coscia.

• NERVO CUTANEO LATERALE DEL FEMORE: nasce da L2. Si dirige


obliquamente in basso e in fuori, emergendo dalla faccia laterale del muscolo
grande psoas, e passa nella fossa iliaca sotto la fascia del muscolo iliaco. Passa tra
la spina iliaca anteriore superiore e anteriore inferiore e si distribuisce alla regione
laterale della coscia.

• NERVO OTTURATORIO: nasce da L2 L3 L4. Scende verso il basso nello spessore


del muscolo grande psoas, passa sopra l’articolazione sacro-iliaca e, superato lo
stretto superiore della pelvi, si applica alla parete laterale della piccola pelvi,
decorrendo sotto e parallelamente alla linea arcuata. Raggiunge così il foro
otturatorio, da cui esce insieme ai vasi omonimi.
Rami muscolari: otturatorio esterno, gracile, adduttore lungo, adduttore breve e
grande adduttore. Rami sensitivi: regione infero-mediale della coscia

• NERVO FEMORALE: nasce da L2 L3 L4. Emerge dal lato esterno del muscolo
grande psoas e procede verso il basso, accolto tra questo e il muscolo iliaco.
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Decorre sotto la fascia iliaca. Giunto al legamento inguinale, scende nella lacuna
dei muscoli insieme al muscolo ileopsoas e nel triangolo di Scarpa si divide nei suoi
rami terminali. Rami muscolari: ileopsoas, pettineo, sartorio, quadricipite femorale
Rami sensitivi: faccia anteriore e mediale della coscia

• NERVO SAFENO INTERNO: esclusivamente sensitivo, è la diretta continuazione


del nervo femorale. Segue l’arteria femorale e giunge nel canale degli adduttori, da
dove esce perforando la membrana vasto-adduttoria. Circonda posteriormente il
condilo mediale del femore e perfora la fascia passando nel sottocutaneo, dove
contrae rapporto con la vena grande safena, di cui segue a ritroso il decorso.
Innerva la cute della faccia mediale della gamba, del malleolo mediale e del
margine mediale del piede.

PLESSO SACRALE L4 – S4

È appiattito e di forma triangolare. La base corrisponde all’osso sacro e l’apice al


contorno inferiore del grande forame ischiatico.

È situato nella piccola pelvi, applicato al muscolo piriforme e rivestito dalla fascia
pelvica. Le radici del plesso si riuniscono davanti al grande forame ischiatico, da cui
derivano collaterali e il nervo ischiatico, che è il ramo terminale. Le collaterali sono 8
nervi per i muscoli gemelli, per il quadrato del femore, per l’otturatorio interno e per il
muscolo piriforme.

• NERVO GLUTEO SUPERIORE: esce dal canale sovrapiriforme (Il muscolo


piriforme suddivide il grande forame ischiatico in due tragitti sovrapposti, i canali
sovrapiriforme e sottopiriforme) insieme all’arteria glutea superiore ed innerva i
muscoli medio e piccolo gluteo e il muscolo tensore della fascia lata.

• NERVO GLUTEO INFERIORE: esce dal canale sottopiriforme e si distribuisce al


muscolo grande gluteo.

• NERVO CUTANEO POSTERIORE DEL FEMORE: da S1 S2 S3. È esclusivamente


sensitivo. Si colloca dietro il nervo ischiatico e con questo esce dal canale
sottopiriforme per andare nel bacino, dove è coperto inizialmente dal muscolo
grande gluteo. Termina nella regione poplitea.

• NERVO ISCHIATICO: nasce da tutto il plesso sacrale. Esce dal bacino passando
sotto il muscolo piriforme. Attraversa la regione della natica insieme all’arteria

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ischiatica decorrendo dietro i muscoli otturatorio interno e quadrato del femore
coperto dal grande gluteo. Percorre verticalmente la regione posteriore della coscia,
medialmente al capo breve del bicipite. Arrivato nella fossa poplitea, perde ogni
rapporto muscolare e diviene superficiale. A questo punto si divide nei suoi 2 rami
terminali, nervo tibiale e nervo peroniero comune. Rami muscolari: muscolo
semitendinoso, semimembranoso, bicipite femorale e grande adduttore.

1. NERVO TIBIALE: scende nella fossa poplitea insieme ai vasi poplitei. Si


approfonda tra i muscoli gemelli della gamba e passa sotto l’anello tendineo
del muscolo soleo. Si dirige medialmente verso il malleolo mediale e in
questo tratto è compreso tra il muscolo tibiale posteriore e il muscolo
flessore lungo delle dita. Passa poi nel retinacolo dei muscoli flessori e si
divide nei suoi rami terminali: nervo plantare laterale (metà del quarto e
quinto dito) e nervo plantare mediale (parte plantare di primo, secondo, terzo
e metà del quarto dito)

Rami muscolari: tutti i muscoli posteriori della gamba e plantari del piede.

Rami sensitivi: cute della parte mediale del calcagno

2. NERVO PERONIERO COMUNE: origina nell’angolo superiore della fossa


poplitea. Si dirige in basso e lateralmente lungo il margine interno del bicipite
femorale. Lascia la cavità poplitea incrociando il gemello esterno, circonda il
collo della fibula (fibula=perone) e, giunto sulla faccia esterna della gamba, si
divide nei suoi rami terminali (nervo peroniero superficiale e profondo. Cfr.
dopo)

Rami motori: muscolo tibiale anteriore

Rami sentitivi: nervo cutaneo laterale della sura -> regione laterale alta della
gamba.

• NERVO CUTANEO MEDIALE DELLA SURA/SAFENO ESTERNO: origina dal


nervo tibiale nella regione poplitea e “si unisce” alla vena piccola safena, con la
quale discende verticalmente nella regione posteriore della gamba (nel sottocute).
Scende fino al malleolo laterale. Raccoglie la sensibilità della regione
posterolaterale della gamba e di malleolo e calcagno laterali.

• NERVO PERONIERO SUPERFICIALE: ramo laterale. Scende verticalmente


coperto dal muscolo peroniero lungo e poi tra questo e il muscolo estensore lungo
delle dita.

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Rami muscolari: peroniero breve e lungo
Rami sensitivi: regione antero-laterale della gamba; superficie dorsale del piede.

• NERVO PERONIERO PROFONDO: ramo laterale. Dalla faccia esterna del collo
della fibula si porta nella regione anteriore della gamba. Da qui scende con l’arteria
tibiale anteriore tra il muscolo tibiale anteriore e il muscolo estensore lungo delle
dita. Attraversa il dorso del piede passando sotto il retinacolo dei muscoli esterni.
Rami muscolari: tibiale anteriore, estensore lungo dell’alluce, estensore lungo delle
dita, peroniero anteriore ed estensore breve delle dita. Rami sensitivi: piccola parte
della cute del dorso delle prime due dita.

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Cranio

Lo scheletro è costituito dal cranio in cui si distinguono due parti in rapporto di continuità
tra loro: il neurocranio o scatola cranica e lo splancnocranio o scheletro della faccia.
Il neurocranio è formato in gran parte da ossa piatte che delimitano la cavità cranica nella
quale è accolto l’encefalo. Anche le ossa dello splancnocranio delimitano cavità che
accolgono visceri (come le cavità orbitarie) o che sono rivestite da mucose come le cavità
nasali e la cavità orale.

Ossa del neurocranio


Osso occipitale
L’osso occipitale,impari e mediano, delimita la scatola cranica posteriormente ed
inferiormente, entrando così nella costituzione della base e della volta. È l’osso che mette
in comunicazione il cranio con la colonna vertebrale, articolandosi con l’atlante; è
attraversato dal grande foro occipitale tramite il quale la cavità craniale comunica con il
canale vertebrale.
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Vi si possono considerare una squama, due parti laterali e una parte basilare, che si
trovano rispettivamente dietro, lateralmente e anteriormente al foro occipitale. Nella
superficie interna della squama, un rilievo a forma di croce, l’eminenza crociata, individua
quattro depressioni poco profonde, di cui le due superiori sono le fosse cerebrali ed
accolgono i poli occipitali dei due
emisferi telencefalici, le due inferiori
sono le fosse cerebellari e accolgono
gli emisferi cerebellari: il braccio
orizzontale e quello verticale
dell’eminenza crociata si incontrano in
un rilievo che si trova al centro della
squama, la protuberanza occipitale
interna. Il braccio sagittale della croce
presenta un solco, chiamato solco
sagittale, che è l'impronta del seno
sagittale superiore. La parte basilare,
che si va restringendo dal dietro in
avanti, presenta una doccia, denominata clivo, che continua con il dorso della sella
dell’osso sfenoide ed è in rapporto con la faccia ventrale del bulbo e del ponte. La faccia
esterna delle parti laterali presenta i condili occipitali, che si articolano con le masse
apofisarie dell’atlante. Dietro l'estremità posteriore dei condili si apre, con il suo orifizio
esterno il canale condiloideo, mentre il canale dell'ipoglosso sbocca lateralmente alla
parte anteriore dei condili stessi. La faccia esterna della parte basilare presenta al centro il
tubercolo faringeo, posteriormente al quale si trova una porzione rugosa che dà attacco
ai muscoli.
L’angolo superiore dell’occipitale si pone fra le due ossa parietali, gli angoli laterali fra le
ossa parietali e le parti mastoidee delle due ossa temporali, mentre la parte inferiore
rappresenta la sincondrosi (o sinostosi) tra la parte basilare dell’occipitale e il corpo dello
sfenoide. I margini inferiori, detti margini mastoidei, sono divisi a metà dal processo
giugulare. La loro metà anteriore si articola con la porzione petrosa dell’osso temporale
mentre la metà posteriore si unisce alla parte mastoidea dello stesso osso. Davanti al
processo giugulare i margini presentano l’incisura giugulare divisa in due dal processo
intragiugulare. L’affrontarsi di questa incisura e di una analoga della parte petrosa
dell’osso temporale delimitano il foro giugulare o foro lacero posteriore che dà passaggio
ai nervi glossofaringeo, vago e accessorio, e alla vena giugulare interna.

Osso sfenoide
L’osso sfenoide è un osso impari e mediano che prende parte alla costituzione della base
cranica e della parete delle cavità nasali ed orbitarie; vi si individuano un corpo, due
piccole ali, due grandi ali e due processi pterigoidei.
Il corpo si trova in posizione mediana, tra la parte basilare dell'occipitale posteriormente e
l’etmoide anteriormente, ossa con le quali si articola (articolazione sfeno-occipitale con
l’occipitale). Forma la parte posteriore della volta delle cavità nasali e la parte posteriore
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della parete mediale delle cavità orbitarie. L’interno del corpo è occupato da due cavità
separate da un setto, i seni sfenoidali, che sono dei seni paranasali, cavità che
comunicano anteriormente, tramite
due orifizi, con le cavità nasali.
La faccia superiore del corpo è
concava e prende il nome di sella
turcica: nel fondo della sella si
trova la fossetta ipofisaria, dove
è accolta l'ipofisi; la sella turcica è
delimitata posteriormente da un
rilievo quadrangolare, la lamina
quadrilatera o dorso della sella,
la cui superficie dorsale insieme
alla parte basale dell’occipitale
forma il clivo. La sella turcica è
delimitata anteriormente da un
rilievo arrotondato denominato tubercolo della sella; al davanti di questo si trova un solco
trasversale, il solco del chiasma ottico (che accoglie il chiasma dei nervi ottici) che
continua da ambo i lati sino ai fori ottici, che immettono nelle cavità orbitarie e danno
passaggio al nervo ottico ed all’arteria oftalmica. Anteriormente al solco del chiasma, la
parte superiore del corpo presenta due depressioni, le docce olfattive, dove decorrono i
tratti olfattivi. La parte libera delle facce laterali del corpo dello sfenoide, situata
superiormente alla radice delle grandi ali, presenta il solco carotico per l'arteria carotide
interna: tale solco è spesso delimitato lateralmente da una piccola cresta ossea, la lingula
sfenoidale. La faccia anteriore del corpo presenta sulla linea mediana un rilievo verticale,
la cresta sfenoidale che si prolunga in basso nel rostro sfenoidale. La cresta si articola
con il margine posteriore della lamina perpendicolare dell'etmoide e così prende parte alla
formazione del setto nasale. A ciascun lato della cresta sfenoidale si trova una doccia che
si prolunga in alto e in avanti sulla faccia inferiore della lamina cribosa dell'etmoide. In
queste docce si trovano gli orifizi di accesso ai seni sfenoidali. Lateralmente alle docce è
presente una superficie articolare per le masse laterali dell'etmoide in alto, mentre in
basso per il processo orbitario dell'osso palatino. Il margine superiore si articola quindi con
il margine dorsale della lamina cribosa dell'etmoide e laterlamente con l'osso frontale.
La faccia inferiore del corpo, che forma la parte posteriore della volta delle cavità nasali,
presenta lungo la linea mediana un piccolo rilievo sagittale che, unendosi in avanti con la
cresta sfenoidale, dà luogo alla formazione del rostro; tale rilievo si articola a incastro, per
schindilesi, con il margine superiore del vomere, che è sdoppiato nelle ali del vomere.
Lateralmente al rilievo sagittale mediano la faccia inferiore si solleva in due lamine ossee,
dette conche sfenoidali che contribuiscono a delimitare gli orifizi dei seni sfenoidali. La
faccia posteriore del corpo dello sfenoide si articola con la parte basilare dell'osso
occipitale (sinostosi sfeno-occipitale).
Le piccole ali dello sfenoide si distaccano dalla parte anterosuperiore delle facce laterali
del corpo mediante due radici tra le quali è compreso il foro ottico; hanno l’aspetto di
lamine appiattite triangolari a base mediale e apice laterale. La faccia superiore, liscia,
continua in avanti con la faccia endocranica della parte orbitaria dell’osso frontale ed
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insieme a questa costituisce il pavimento della fossa cranica anteriore. Situata
superiormente alla grande ala, la piccola ala forma il contorno superiore della fessura
orbitaria superiore, ampio tramite tra la fossa cranica media e la cavità orbitaria,
attraverso il quale passano le vene oftalmiche e vari nervi per l’innervazione motoria e
sensitiva del contenuto della cavità orbitaria (nervi oculomotore, trocleare, abducente e
oftalmico) (a eccezione del nervo ottico e dell’arteria oftalmica, tutte le strutture che vanno
e che vengono dall’orbita passano per la fessura orbitaria superiore); il margine anteriore
della piccola ala si articola con l’osso frontale, mentre il margine posteriore è libero e
presenta un grosso rilievo detto processo clinoideo anteriore. La fessura orbitaria
superiore, poiché si costituisce poiché è costituita dalle due ali dello sfenoide è anche
detta fessura sfenosfenoidale.
Le grandi ali dello sfenoide originano mediante una estesa radice che occupa tutta la
parte inferiore delle facce laterali del corpo e da qui si portano in avanti ed in fuori,
incurvandosi verso l’alto; vi si considerano una faccia endocranica ed una esocranica,
un margine mediale convesso e uno laterale concavo; i due margini convergono fra loro
in 2 estremità che unendosi formano la spina angolare dello sfenoide.
Il margine mediale si divide in 4 porzioni: la prima va dall'estremità posteroinferiore della
grande ala, dove lo sfenoide si articola con la parte petrosa dell'osso temporale
(sincondrosi sfenopetrosa) sino alla faccia laterale del corpo dello sfenoide. Delimita
anteriormente il foro lacero anteriore. La seconda porzione corrisponde alla linea di unione
con il corpo dello sfenoide. La terza porzione forma il contorno inferiore della cavità
orbitaria superiore. La quarta porzione si articola con l'osso frontale chiudendo
lateralmente la fessura orbitaria stessa. In prossimità del margine convesso, la faccia
endocranica presenta tre fori in successione anteroposteriore: il foro rotondo, situato al
davanti della radice della grande ala che dà passaggio al nervo mascellare, il foro ovale,
che dà passaggio al nervo mandibolare e all’arteria piccola meningea, il foro spinoso,
posto a lato dell’ovale, che dà passaggio all’arteria meningea media e al nervo spinoso del
trigemino.
Il margine concavo della grande ala si articola con la parte squamosa dell'osso temporale,
l'estremità anterosuperiore della grande ala si articola con l'osso frontale, quella
posteroinferiore si pone fra la parte petrosa e la squama del temporale. La faccia
esocranica della grande ala è divisa in una parte mediale e una laterale dal margine
zigomatico, che si articola con l'osso zigomatico. La parte mediale è la faccia orbitaria in
quanto contribuisce a formare la parete laterale della cavità orbitaria. La parte laterale
della faccia esocranica è detta faccia temporale, che viene divisa in una parte verticale
ed una orizzontale dalla cresta infratemporale, che permette di distinguere quindi una
parte superiore detta faccia temporale propriamente detta, e una inferiore detta faccia
infratemporale. La faccia infratemporale forma la volta della fossa infratemporale e sul
limite posteriore della faccia infratemporale si trovano i fori ovale e spinoso che mettono in
comunicazione la fossa cranica media con la fossa infratemporale. I processi pterigoidei
si distaccano dalla faccia esocranica dello sfenoide e si dirigono verticalmente in basso,
ponendosi dorsalmente alle ossa mascellari e palatine: vi si considerano una base, due
lamine o ali, distinte in laterali e mediali, ed una fossa pterigoidea tra queste compresa;
la fossa pterigoidea è un’ampia depressione compresa tra le due lamine ed aperta
indietro; nella parte superiore della faccia laterale della lamina mediale si trova la fossetta
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scafoidea, dove si inserisce il muscolo tensore del velo del palato. Il margine libero della
lamina mediale presenta l'uncino pterigoideo.
Le due lamine del processo pterigoideo sono unite fra loro in alto e in avanti, dove,
insieme alle ossa del mascellare e del palatino, delimitano lo spazio pterigo-palatino.

Osso frontale
L’osso frontale è impari e mediano e delimita anteriormente la cavità cranica; entra nella
costituzione della volta del cranio e della base in corrispondenza della fossa cranica
anteriore; forma inoltre gran parte del tetto delle cavità orbitarie. Vi si distinguono una
porzione verticale ed una orizzontale; la parte verticale o squama si trova innanzi alle
ossa parietali, la parte orizzontale si trova davanti allo sfenoide e si mette in rapporto
anche con l’etmoide, con il processo frontale dell'osso mascellare e con le ossa nasali
Nella squama inoltre si distinguono una faccia esocranica e una endocranica. La
superficie esocranica della squama è liscia, convessa anteriormente e presenta nella metà
della sua altezza le due bozze frontali, variamente sporgenti; al di sotto delle bozze
frontali, due rilievi trasversali formano le arcate sopraccigliari, tra le quali è compresa
una superficie leggermente rilevata, la glabella. Il margine sovraorbitario forma il
contorno superiore dell’orbita, e il suo terzo mediale è arrotondato, mentre i 2/3 laterali
hanno profilo tagliente e all’unione di queste due parti si nota l’incisura sovraorbitaria in
cui passano l'arteria ed il nervo omonimi; medialmente a questa incisura se ne può
individuare un’altra, meno accentuata, l’incisura frontale; la parte laterale del margine
sovraorbitario continua nel processo zigomatico che si articola con l’osso zigomatico. La
linea temporale individua, nella faccia esocranica della squama, una piccola area volta
lateralmente che prende il nome di faccia temporale, ed entra a far parte della fossa
temporale. Nella faccia endocranica si trova una cresta frontale che termina, a livello
dell’incisura etmoidale, un’incisura a concavità posteriore che accoglie la lamina cribrosa
dell’etmoide, nel foro cieco, un foro da cui si diparte il seno sagittale superiore: questo
seno nasce infatti sul frontale dal foro cieco, all'inizio crea un solco (solco sagittale) e poi
una leggera cresta e poi lascia un’impronta che continua sui parietali e sull’occipitale.
Più lateralmente si osservano semicellette che completano quelle etmoidali e quindi
un’apertura che immette nel seno frontale e che, quando il frontale si articola con
l’etmoide, prosegue in basso nell’infundibulo, fino a sboccare nel meato medio. Le facce
orbitarie, anteriormente e lateralmente, presentano una depressione, la fossa per la
ghiandola lacrimale, mentre anteriormente e medialmente si individua la fossetta
trocleare, dove si attacca la puleggia fibrosa su cui si riflette il tendine del muscolo obliquo
superiore del bulbo oculare. La faccia endocranica della parte orizzontale presenta ai lati
dell'incisura etmoidale le bozze orbitarie, su cui poggia la faccia inferiore dei lobi frontali
dell'encefalo.

Osso etmoide
L’osso etmoide è posto davanti allo sfenoide e al di sotto e in dietro al frontale, e delimita
le cavità orbitarie e nasali. È formato da una lamina sagittale mediana incrociata

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perpendicolarmente , in vicinanza delle sue estremità superiore, da una lamina
orizzontale, e da due masse laterali.
La lamina orizzontale è denominata lamina cribrosa in quanto attraversata da numerosi
forellini per i quali passano i filamenti del nervo olfattivo; la lamina cribrosa è sormontata
sagittalmente da una apofisi denominata crista galli, che rappresenta la parte superiore
della lamina sagittale dell’etmoide. La crista galli dà attacco all’apice della grande falce
encefalica: anteriormente si mette in rapporto con l’osso frontale mediante 2 espansioni
dette processi alari che completano il foro cieco dell'osso frontale stesso; la parte della
lamina sagittale che si trova al di sotto della lamina cribrosa prende il nome di lamina
perpendicolare ed entra nella costituzione del setto che divide le due cavità nasali di cui
forma la parte superiore, essendo la parte inferiore di tale setto divisore formata dal
vomere. Le masse laterali si trovano davanti allo sfenoide, dietro al processo frontale
dell'osso mascellare e all'osso lacrimale. Sono denominate anche labirinti etmoidali e
risultano interposte fra le cavità nasali e quelle orbitarie; hanno la forma di due
parallelepipedi con il maggior asse sagittale ed hanno una costituzione assai fragile in
quanto sono formate da lamine sottili che circoscrivono complessi sistemi di piccole cavità,
le cellule etmoidali, delle cavità paranasali che comunicano con le cavità nasali. Le cavità
paranasali citate possono essere grandi ed essere quindi chiamate seni (di cui abbiamo
già visto il frontale e l’etmoidale e vedremo poi il mascellare che è il più grosso) o essere
piccole come quelle nelle masse laterali dell’etmoide che sono invece dette cellule o
emicellule o cellette o emicellette. Emicellette in quanto queste possono poi combinarsi
con il frontale. L’importante è comunque notare che queste masse sono tutte scavate da
delle cavità che si chiamano cellette etmoidali e che sono cavità paranasali in quanto tutte
comunicano con la cavità nasale principale, proprio per questo motivo queste masse sono
molto delicate e fragili (setti di osso molto sottili).
La faccia superiore, prolungamento laterale della lamina cribrosa, si articola con la faccia
nasale dell’osso frontale che ne completa le semicellette. Presenta inoltra due docce a
direzione trasversale che, per l'articolazione con l'osso frontale, diventano i canali
etmoidali anteriore e posteriore, che lateralmente sboccano nelle cavità orbitarie, e
medialmente si aprono nella fossa cranica anteriore. La faccia laterale è quadrangolare e
liscia: forma la maggior parte della parete mediale dell’orbita e si presenta come una
lamina assottigliata che, per trasparenza, lascia vedere le cellule etmoidali: prende perciò
il nome di lamina papiracea. In corrispondenza della sutura della faccia laterale con l'osso
frontale si trovano i fori etmoidali anteriore e posteriore che rappresentano lo sbocco dei
suddetti canali. La faccia mediale delle masse laterali forma gran parte delle pareti laterali
delle cavità nasali; da esse si staccano due lamine ossee che si ripiegano su se stesse
dirigendosi medialmente e in basso: sono i cornetti superiori e medi anche detti conche
che, insieme con la parete mediale del labirinto da cui si dipartono, delimitano i meati
superiore e medio. Il meato superiore è assai ridotto e riceve lo sbocco delle cellule
etmoidali posteriori e dei seni sfenoidali. Il meato medio è ben più ampio e risulta evidente
dopo l’asportazione del cornetto medio. Nel fondo del meato medio si osserva il processo
uncinato, il quale si articola con il processo etmoidale del cornetto inferiore, restringendo
lo sbocco del seno mascellare nel meato medio. Dietro al processo uncinato si trova la
bolla etmoidale. Tra la bolla etmoidale e il processo uncinato si trova la doccia
semilunare, che risale il margine posteriore del processo uncinato e continua poi
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nell'infundibolo etmoidale. Nel meato medio quindi sboccano il seno mascellare, il seno
frontale (tramite l'infundibolo) e le cellule etmoidali superiori.

Cavità nasale
È divisa a destra e sinistra da un setto, formato in alto dalla lamina perpendicolare
dell’etmoide e in basso da un osso indipendente, il vomere. Il tetto è fatto dalla lamina
cribrosa dell’etmoide. Il pavimento è formato dal palato osseo. La parete laterale è
formata in alto dall’etmoide e in basso dal mascellare da cui sporgono all’interno della
cavità nasale 3 cornetti. I due più in alto cioè il superiore e il medio sono processi
dell’etmoide e il terzo cioè il cornetto inferiore è un osso indipendente. Questi tre cornetti
delimitano degli spazi detti meati. Abbiamo quindi un meato superiore, uno medio e uno
inferiore (N.B. il nome è dato dal cornetto che si trova al di sopra della cavità). In questa
zona sboccano le varie cavità paranasali e altre formazioni come il canale nasolacrimale.
Notiamo inoltre che l’orbita è formata da un tetto fatto dal frontale, una parete laterale fatta
da una parte della grande ala dello sfenoide mentre la parete mediale è fatta in parte dalla
faccia laterale (faccia orbitaria) delle masse laterali dell’etmoide. Questi cornetti sono
rivestiti da mucosa, e creano così un primo mezzo di difesa nei confronti di corpi estranei.
Nell’aria che si respira si hanno, infatti, frammenti di varia natura che formano pulviscolo
atmosferico e che sono di origine animale (frammenti di cute desquamata, di peli,
acari) ,vegetale (polline) e minerale (particelle trasportate dal vento) ma soprattutto residui
carboniosi. In qualunque ambiente infatti ci sono delle particelle da combustione che
entrano con l’aria che viene respirata e che passano nell’apparato respiratorio: un primo
sistema per bloccarlo è la mucosa nasale ma alcune però essendo molto piccole passano
e vengono fermate da altri meccanismi di difesa ma possono pure arrivare al polmone e
diffondersi negli alveoli polmonari dando così la colorazione nerastra tipica della persone
adulte. Questo primo sistema di difesa ricorda un po’ un filtro, un insieme di lamine
pieghettate umide, perché ricoperte da mucosa, che intrappolano una parte di queste
particelle.

Osso temporale
L’osso temporale è un osso pari che prende parte alla formazione della base cranica e
delle pareti laterali della volta; è situato anteriormente all’osso occipitale, posteriormente
alla grande ala dello sfenoide e inferiormente al parietale. Alla sua costituzione
partecipano 5 abbozzi ossei che poi si fondono per formare le seguenti parti dell'osso
definitivo: la parte petromastoidea, la parte squamosa, la parte timpanica e la parte
stiloidea.
La parte petromastoidea si compone di una parte interna detta rocca petrosa o piramide
del temporale, e di una parte esterna detta mastoidea, applicata alla base della piramide
ed espansa posteriormente.
La parte squamosa partecipa alla formazione della parete laterale della volta cranica.
La parte timpanica si abbozza a forma di anello incompleto in lato, posto esternamente al
di sotto della squama, lateralmente alla piramide e anteriormente alla parte mastoidea.

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La parte stiloidea si presenta
come un processo appuntito volto
in basso e in avanti, il processo
stiloideo: esso, a differenza delle
altre parti del temporale,
appartiene allo splancnocranio.
Nell’osso temporale si descrivono
una parte esocranica e una
endocranica.
La faccia esocranica è estesa in
lato e in avanti in una superficie
liscia, lievemente convessa, a
contorno semicircolare, che
rappresenta la parte squamosa: è
ricoperta dal muscolo temporale,
in avanti si articola con la grande
ala dello sfenoide, in alto e
indietro con il parietale. Dalla
superficie esocranica della squama si distacca un processo orizzontale, il processo
zigomatico, che con il suo apice dentellato si articola con il processo temporale
dell’osso zigomatico per formare l’arcata zigomatica. La base del processo zigomatico si
costituisce per la convergenza di due radici, una orizzontale ed una trasversale: la
radice orizzontale prosegue indietro la direzione del processo stesso, portandosi al di
sopra del meato acustico esterno, e continuando nella linea temporale del parietale.
Subito innanzi al meato acustico esterno , da tale radice si distacca un rilievo diretto in
basso, detto tubercolo postarticolare. La radice trasversa è particolarmente pronunciata
e prende il nome di tubercolo articolare e fa parte dell’articolazione temporo-
mandibolare: la sua porzione più laterale, sporgente, è detta tubercolo zigomatico. Fra il
tubercolo articolare e quello postarticolare è situata un’ampia depressione, la fossa
mandibolare, per l’articolazione con il condilo della mandibola. Nella regione posteriore
della fossa mandibolare si trova la fessura petrotimpanica (di Glaser) che comunica con
il cavo del timpano e dà passaggio all’arteria timpanica e a un nervo, la corda del timpano.
Dietro al tubercolo postarticolare si trova un ampio canale, il meato acustico esterno, che
si apre nel cavo del timpano; nel vivente tale comunicazione è chiusa dalla membrana del
timpano; alla costituzione del meato partecipano l’abbozzo timpanico e, per il contorno
superiore, l’abbozzo squamoso. Sul contorno superiore del meato si nota una cresta detta
spina supra meatum, mentre il contorno posteriore del meato acustico esterno presenta
la fessura timpano-mastoidea, che segna il limite fra parte timpanica e parte mastoidea.
Procedendo in direzione posteriore si osserva sulla faccia esocranica del temporale il
processo mastoideo, un rilievo tozzo di forma conica tronca; medialmente al processo
mastoideo decorrono due solchi paralleli: quello laterale, più profondo, è detto solco
digastrico in quanto dà inserzione al ventre posteriore del digastrico, quello mediale,
meno profondo, è il solco dell’arteria occipitale. La superficie del processo mastoideo si
presenta rugosa in quanto dà attacco a vari muscoli, fra cui lo sternocleidomastoideo. Nel
suo interno il processo mastoideo è scavato in numerose concamerazioni, le cellule
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mastoidee, in comunicazione fra loro e con il cavo del timpano. La faccia esocranica si
completa con la faccia inferiore della piramide: questa superficie è irregolare e piena di
caratteristiche morfologiche. Al davanti dell’incisura digastrica si trova il foro
stilomastoideo che rappresenta lo sbocco esterno del canale facciale e, al davanti di
questo, il processo stiloideo, che dà inserzione ad alcuni muscoli che, divergendo in
basso, raggiungono la faringe (muscolo stilofaringeo), la lingua (muscolo stiloglosso) e
l’osso ioide (muscolo stiloioideo) e a due legamenti che terminano sulla mandibola e
sull’osso ioide (legamenti stilomandibolare e stiloioideo).
Medialmente al processo stiloideo si trova un’ampia depressione, la fossa giugulare, che
accoglie il bulbo superiore della vena giugulare interna; al davanti della fossa si trova il
foro carotico esterno, inizio del canale carotico, per l’arteria carotide interna: il canale si
apre poi all’interno del cranio con il foro carotico interno. Tra la fossa giugulare, il foro
carotico esterno e la fossetta del canalicolo della chiocciola, si trova la fossetta petrosa,
piccola depressione che accoglie il ganglio petroso del nervo glossofaringeo. La faccia
inferiore della piramide dà inserzione al muscolo elevatore del velo del palato. La faccia
endocranica del temporale è formata dalle parti squamosa e petromastoidea. La faccia
endocranica della squama presenta impressioni e rilievi dovuti al rapporto con l’emisfero
telencefalico e inoltre solchi vascolari per rami dell’arteria meningea media. La piramide
del temporale presenta nell’insieme quattro facce: sono endocraniche la faccia superiore
ed anterosuperiore e la posteriore, esocraniche l’inferiore e la laterale. Inoltre presenta 4
margini, una base e un apice. La faccia laterale della piramide forma la parte mediale del
cavo del timpano e del condotto muscolo-tubarico. La faccia superiore della piramide
continua lateralmente nella squama a livello della fessura petrosquamosa, che
proseguendo diventa incisura petrosquamosa e accoglie l'estremità posteroinferiore
della grande ala dello sfenoide; nella sua porzione laterale è formata da una sottile lamina
ossea, il tegmen tympani, che chiude superiormente la cavità del timpano. Nella parte
media della faccia un rilievo, l’eminenza arcuata, rappresenta la sporgenza del
sottostante canale semicircolare superiore. Al davanti dell’eminenza arcuata si trova un
foro che prosegue con un solco, lo hiatus del canale facciale; nello hiatus si impegna un
ramo del nervo facciale, il nervo grande petroso superficiale. Lateralmente ad esso si trova
un altro foro con relativo canale per il nervo piccolo petroso superficiale (ramo del nervo
timpanico). La faccia superiore della piramide presenta una depressione detta impronta
del trigemino che accoglie il ganglio semilunare (di Gasser). La faccia posteriore della
piramide, all’unione del suo terzo medio con il terzo mediale, presenta il meato acustico
interno, un ampio canale il cui fondo è chiuso da una lamina ossea; il fondo del meato
viene suddiviso in quattro aree: anterosuperiore (detta area facciale che presenta il foro
d’inizio per il canale facciale dell’omonimo nervo: il canale faciale decorre all'interno della
piramide con tragitto tortuoso, per poi sfociare all'esterno del cranio nel foro
stilomastoideo), posterosuperiore, anteroinferiore (detta area cocleare e presenta una
serie di piccoli fori disposti in un disegno a spirale, il tractus spiralis foraminosus) e
posteroinferiore; le due aree posteriori prendono il nome di aree vestibolari superiore e
inferiore e presentano alcuni fori per rami del nervo vestibolare; uno di questi rami si
impegna in un foro isolato che si trova dietro l’area vestibolare inferiore, il foramen
singulare. L'apice tronco della piramide del temporale presenta il foro carotico interno, e,
insieme al corpo dello sfenoide e al primo tratto del margine convesso della grande ala
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dello sfenoide, delimita il foro lacero anteriore. Il margine posteriore della piramide si
articola con il margine petroso dell’occipitale. Presenta l’incisura giugulare che con
l’analoga incisura dell’occipitale delimita il foro giugulare. La parte intermedia dell’incisura
si solleva nella spina giugulare che suddivide il forame in due parti, una anteriore per il
passaggio dei nervi vago, glossofaringeo ed accessorio, ed una posteriore per il tratto di
origine della vena giugulare interna.

Osso parietale
L’osso parietale è un osso pari, quadrangolare, che forma la maggior parte della volta
cranica: i due parietali si uniscono fra loro nella linea mediana, mentre si articolano in
avanti con il frontale, in dietro con l’occipitale, lateralmente con la squama e la parte
mastoidea del temporale e con la grande ala dello sfenoide. L’osso parietale presenta una
faccia endocranica ed una esocranica, 4 margini e 4 angoli di cui due anteriori e due
posteriori.
La faccia esocranica presenta una convessità in cui al centro si trova la tuberosità
parietale. È percorsa dalle due linee temporali, in cui nella regione da esse delimitata
prende attacco il muscolo temporale. La faccia endocranica è concava e presenta
impressioni sulla superficie encefalica e solchi per i vasi meningei medi; lungo il margine
superiore si trova una depressione che costituisce il solco sagittale, costellata di piccole
fossette dove sono accolte le granulazioni aracnoidali (di Pacchioni); il margine superiore
è dentellato e si ingrana con quello del lato opposto nella sutura sagittale.

Ossa del massiccio facciale


Osso mascellare
L’osso mascellare è un voluminoso osso
pari che contribuisce alla formazione delle
cavità orbitarie, nasali e buccale,
entrando anche nella componente della
fossa infratemporale. Le due ossa
mascellari si uniscono anteriormente, al di
sotto l'apertura delle cavità nasali. L'osso
mascellare si trova sotto il frontale, il
lacrimale e il labirinto etmoidale,
medialmente all'osso zigomatico,
lateralmente all'osso palatino, e al
cornetto inferiore, anteriormente al
processo pterigoideo dello sfenoide. In
tale osso si considerano un corpo e 4
processi detti frontale, zigomatico,
palatino e alveolare.
Il corpo è voluminoso ed è costituito da
una capsula ossea che circoscrive

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un’ampia cavità, il seno mascellare; questo, attraverso lo hiatus mascellare, sbocca nel
meato medio della cavità nasale dello stesso lato. Tale corpo ha forma di una piramide
triangolare ed ha quindi 4 facce: quella mediale è orientata sagittalmente e volge verso la
cavità nasale, quella anteriore si proietta sulla faccia anteriore visibile del massiccio
facciale, quella superiore forma il pavimento della cavità orbitaria, quella posteriore entra
nella costituzione della fossa infratemporale e pterigopalatina. L'apice di questa piramide è
il processo zigomatico dell’osso. La faccia anteriore prosegue in alto nella superficie
laterale del processo frontale e lateralmente nel processo zigomatico. Presenta al centro
la fossa canina al di sopra della quale si trova il foro infraobitario, punto di sbocco
dell'omonimo canale: attraverso questo canale sbocca il nervo infraorbitario, ramo nel
nervo mascellare. La faccia anteriore è delimitata da 3 margini: anteriore, superiore e
laterale. Quello anteriore presenta l'incisura nasale, che insieme a quella opposta
controlaterale delimita l'apertura piriforme delle cavità nasali. Tale incisura termina
appuntita inferiormente nella spina nasale anteriore. Il margine superiore presenta una
concavità rivolta verso l'alto. Il margine laterale si trova fra la faccia anteriore e quella
infratemporale. La faccia mediale confina inferiormente col processo palatino,
superiormente e anteriormente con la faccia mediale del processo frontale. Forma gran
parte della parete laterale delle cavità nasali.
Davanti il contorno anteriore dello hiatus mascellare si trova il solco lacrimale, su cui si
applicano in alto l'osso lacrimale e in basso il cornetto inferiore. In tale modo il solco si
trasforma nel canale nasolacrimale che sbocca sotto il cornetto inferiore, cioè nel meato
inferiore della cavità nasale.
La faccia nasale è delimitata dai margini anteriore, posteriore e superomediale. Il
margine posteriore si articola in alto con il processo orbitario e in basso con il processo
piramidale del palatino. La sua parte media corrisponde alla parete anteriore della fossa
pterigopalatina. Il margine superomediale si articola con la lamina papiracea dell'etmoide e
con l'osso lacrimale. Nel suo tratto anteriore si trova l'incisura lacrimale, mentre il tratto
posteriore si articola con il processo orbitario dell'osso palatino.
La faccia superiore del mascellare prosegue nel processo zigomatico. Nella parte
posteriore presenta il solco infraobitario, che continua nel canale infraorbitario, fino allo
sbocco nel foro omonimo della faccia anteriore. Dal tratto anteriore del canale
infraorbitario si distaccano i canali alveolari anteriori che decorrono nello spessore
dell'osso fino a raggiungere gli alevoli in cui si articolano i denti incisivi e il canino
superiore. Vi decorrono i vasi e i nervi alveolari anteriore (rami del nervo mascellare).
La faccia infratemporale dell'osso mascellare prosegue in fuori nel processo zigomatico e
in basso con la parte posteriore del processo alveolare. Appare convesso e sollevato al
centro nella tuberosità mascellare. Nella parte inferiore presenta alcuni forami alveolari
che immettono nei canali alveolari posteriori, in cui cui passano i vasi e i nervi alveolari
posteriori. Il processo frontale si trova fra l'osso nasale anteriormente e l'osso lacrimale
posteriormente. Ha una faccia esterna, una interna, un margine anteriore, uno
posteriore. La faccia interna presenta la cresta lacrimale anteriore, la quale prosegue
nel margine infraorbitario. Dietro tale cresta si trova una depressione, che, insieme con
la faccia esterna dell'osso lacrimale, delimita la fossa del sacco lacrimale, che prosegue
in basso nel canale nasolacrimale.

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Il processo palatino ha origine dalla parte inferiore della faccia nasale del corpo e, sotto
forma di una lamina quadrilatera, si porta medialmente per incontrarsi con il processo
controlaterale, formando in tal modo la maggior parte del palato duro.
Il processo alveolare si presenta come un rilievo arcuato, diretto in basso e, insieme con
quello del lato opposto, forma l’arcata alveolare superiore.

Osso nasale
L’osso nasale è un osso pari, a forma di lamina trapezoidale ristretta nella parte superiore
e slargata in quella inferiore. Le due ossa nasali sono articolate fra loro sulla linea
mediana e si trovano tra i processi frontali dei due mascellari, al di sotto dell’osso frontale.
Si considerano in ciascun osso nasale due facce e quattro margini.
La faccia posteriore completa anteriormente il tetto della cavità nasale; il margine
superiore si articola con l’osso frontale; il margine inferiore forma il contorno superiore
dell’apertura piriforme; il margine laterale si articola con il processo frontale dell’osso
mascellare; il margine mediale si congiunge a quello del lato opposto e si solleva in dietro
in una cresta che si articola con la spina nasale del frontale e con il margine
anterosuperiore della lamina perpendicolare dell’etmoide.

Osso lacrimale

L’osso lacrimale è un osso pari, lamellare di forma irregolarmente quadrilatera che si trova
al di sotto dell’osso frontale, al davanti del labirinto etmoidale, al di sopra del margine
superomediale del corpo dell’osso mascellare e dietro il processo frontale di quest’ultimo.
La faccia laterale è divisa in due parti dalla cresta lacrimale posteriore che decorre
verticalmente; insieme con il solco che si trova nella faccia esterna del processo frontale
dell’osso mascellare forma la fossa del sacco lacrimale. Si articola con l’osso frontale, con
il processo frontale del mascellare, con la lamina papiracea dell’etmoide: delimita il canale
nasolacrimale.

Osso palatino
L’osso palatino è un osso pari di forma irregolare; lo si può considerare costituito da due
lamine che si incontrano ad angolo retto, una verticale che si applica medialmente
all’osso mascellare e indietro al processo pterigoideo dello sfenoide, e una orizzontale
che completa in dietro il palato duro. La lamina verticale, denominata parte
perpendicolare dell’osso presenta una faccia mediale che completa indietro la parete
laterale delle cavità nasali e una faccia laterale che si articola anteriormente con la faccia
nasale del mascellare: dietro questa superficie articolare la faccia laterale forma il fondo
della fossa pterigopalatina, le cui pareti sono delimitate anteriormente dall'osso mascellare
e posteriormente dal processo pterigoideo dello sfenoide. Il margine superiore si solleva in
due processi di cui l’anteriore è il processo orbitario, il posteriore è il processo
sfenoidale. Tra di essi viene delimitata l'incisura sfenopalatina, che, ponendosi in rapporto
con il corpo dello sfenoide, si trasforma nel foro sfenopalatino, attraverso il quale la fossa
petrigopalatina comunica con la cavità nasale.

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La parte orizzontale del palatino fa seguito al processo palatino del mascellare: ha una
faccia superiore (nasale) che corrisponde al pavimento della cavità nasale e una faccia
inferiore (buccale) che forma il terzo posteriore del palato duro. Il margine anteriore della
parte orizzontale del palatino si mette in rapporto con il processo palatino del mascellare
nella sutura palatina trasversa.
Dal punto d’incontro delle parti verticale ed orizzontale dell’osso palatino ha origine il
voluminoso processo piramidale, che si pone tra l'osso mascellare e il processo
pterigoideo dello sfenoide. La comunicazione tra fossa pterigopalatina e il palato è data
dal canale pterigopalatino, canali palatini e fori palatini.

Cornetto inferiore
Il cornetto inferiore è un osso pari, a forma di lamina ricurva, che si distacca dalla parete
laterale della cavità nasale e si porta in basso verso il pavimento; si articola con l’osso
lacrimale (chiude così il canale nasolacrimale) e con l’etmoide attraverso il processo
uncinato dell'etmoide (divide così in due lo hiatus mascellare).

Vomere
Il vomere è una lamina impari e mediana disposta sagittalmente nella compagine del setto
nasale; si articola con l’etmoide, lo sfenoide, le ossa palatine e le ossa mascellari. Il
margine superiore si sdoppia nelle ali del vomere per accogliere il rostro sfenoidale.

Osso zigomatico
L’osso zigomatico è un osso pari di forma quadrangolare che si trova lateralmente al
mascellare, al di sotto dell’osso frontale, al davanti del temporale e della grande ala dello
sfenoide. Riunendosi con il processo zigomatico dell’osso temporale forma l’arcata
zigomatica che rappresenta un ponte di connessione tra scatola cranica e massiccio
facciale; entra a far parte della parete laterale dell’orbita. L'osso è attraversato da un
canale a forma di Y in cui decorre il nervo zigomatico: inizia nel foro zigomaticoorbitario,
poi si biforca e trova due sbocchi nel foro zigomaticofaciale e nel foro
zigomaticotemporale.

Generalità sul cranio


Volta del cranio
È formata dall'osso frontale in avanti, dai due parietali nella parte intermedia e dall'osso
occipitale in dietro. Il frontale è connesso alle due parietali nella sutura coronale, i due
parietali nella sagittale, i due parietali e l'occipitale nella lambdoidea.

Regioni laterali del cranio

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Sono comprese tra le due linee temporali superiori e l'angolo della mandibola. Nella
superficie laterale si descrivono la fossa temporale, e in profondità la fossa infratemporale
e la fossa pterigopalatina.
- Fossa temporale: la fossa temporale è delimitata in basso dall'arcata zigomatica,
in alto dalla linea temporale superiore e dal processo frontale dell'osso
zigomatico.La base della fossa corrisponde allo spazio compreso tra l'arcata
zigomatica e la cresta infratemporale della grande ala dello sfenoide. Attraverso
questo spazio si attua la comunicazione tra fossa temporale e fossa infratemporale.
- Fossa infratemporale: è uno spazio situato dietro all'osso mascellare e all'interno
del ramo della mandibola. Comunica superiormente con la fossa temporale.
Medialmente e in alto il tetto risulta costituito dalla parte della grande ala dello
sfenoide che si trova sotto alla cresta infratemporale (faccia infratemporale). Questa
superficie è attraversata dai fori ovale e spinoso che mettono in comunicazione la
fossa cranica media con la fossa infratemporale. La faccia infratemporale della
grande ala dello sfenoide continua inferiormente nella superficie laterale del
processo pterigoideo e quindi ancor più basso e in avanti nel processo piramidale
dell'osso palatino. La parete anteriore della fossa infratemporale è data dalla
tuberosità mascellare. La parete laterale è data dalla faccia temporale dello
zigomatico, dall'arcata zigomatica e dalla faccia mediale del ramo della mandibola.
Posteriormente e inferiormente la fossa è aperta. Tra le pareti anteriore e mediale si
trova la fessura pterigomascellare o pterigopalatina che pone in comunicazione la
fossa infratemporale con la fossa pterigopalatina. L'estremità superiore della
fessura pterigomascellare continua con l'estremità posteriore della fessura orbitaria
inferiore (si ha così una comunicazione fra fossa infratemporale e cavità orbitaria).

- Fossa pterigopalatina: spazio molto piccolo situato sotto l'apice della cavità
orbitaria. È limitata medialmente dalla parte perpendicolare dell'osso palatino, in
avanti dalla tuberosità mascellare, in dietro dalla faccia sfenomascellare del
processo pterigoideo. La fossa pterigopalatina comunica con la fossa
infratemporale attraverso la fessura pterigomascellare, con la cavità nasale
attraverso il foro sfenopalatino e il canale faringeo, con la cavità orbitaria tramite
l'estremità mediale della fessura orbitaria inferiore. Nella parte posteriore della
fossa si aprono il canale pterigoideo o vidiano, attraverso il quale esce l’arteria
vidiana e il nervo vidiano e il foro rotondo, attraverso il quale fuoriesce dal cranio il
nervo mascellare.

Base del cranio


Viene divisa in regione anteriore, media e posteriore.

- La regione anteriore o palatina è formata dai processi palatini del mascellare e dalla
parte orizzontale delle ossa palatine, unite fra loro dalla sutura palatina mediana e
dalla sutura palatina trasversa, che insieme costituiscono la sutura cruciforme.
Nel palato osseo si vedono la fossa incisiva dove sbocca il canale incisivo,
posteriormente e lateralmente i fori palatini maggiori e minori che rappresentano lo
sbocco rispettivamente dei canali pterigopalatini e dei canali palatini.
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- La regione media presenta: le coane, aperture posteriori delle cavità nasali,
separate fra loro dal margine posteriore del vomere; le fosse pterigoidee, formate
dai processi pterigoidei dello sfenoide e completate inferiormente dai processi
piramidali delle ossa palatine; le fossette scafoidee che si trovano a lato delle
coane, superiormente e medialmente rispetto alle fosse pterigoidee.

- La regione posteriore è formata dal piano nucale e dalle parti laterali e basilare
dell'osso occipitale, dalla faccia inferiore delle due piramidi temporali e da una
piccola porzione della faccia inferiore del corpo dello sfenoide. Ai limiti delle diverse
ossa che formano la regione posteriore si trovano la sutura occipito-mastoidea, la
sincondrosi petro-occipitale che risulta essere interrotta dal foro lacero
posteriore, e la sincondrosi sfeno-petrosa cui corrisponde il solco per la tuba
uditiva. Tra l'apice della piramide del temporale e l'angolo che si forma tra sfenoide
e occipitale si trova il foro lacero anteriore, e a livello di quest'ultimo lo sbocco del
canale carotico.

Regione anteriore (facciale)


È formata dalle ossa nasali, mascellari, zigomatiche e della mandibola. Presenta le
aperture anteriori delle cavità orbitarie, delle cavità nasali e della cavità buccale.

Cavità orbitarie
La base è delimitata dall'orifizio di ingresso all'orbita, il lato superiore, margine
sovraorbitario, è dato dal frontale, i lati interno e inferiore che formano il margine
infraorbitario sono dati dal mascellare e dello zigomatico, il lato esterno è dato dallo
zigomatico.
La parete superiore risulta costituita dalla superficie orbitaria del frontale e dalla faccia
inferiore della piccola ala dello sfenoide, si osservano in tale parete la sutura
sfenofrontale in dietro, in avanti e lateralmente la fossa lacrimale.
La parete inferiore rappresenta la volta del seno mascellare, è formata dalla faccia
superiore del corpo del mascellare, dalla faccia superiore del processo orbitario dello
zigomatico, e dal processo orbitario del palatino. Presenta la doccia infraorbitaria che
prosegue nel canale infraorbitario, quest'ultimo sbocca nel foro infraorbitario.
La parete mediale è formata dal processo frontale del mascellare, dall'osso lacrimale, dalla
lamina papiracea del'etmoide, e dalla faccia laterale del corpo dello sfenoide. Presenta la
fossa del sacco lacrimale che si trova dietro al processo frontale del mascellare.
La parete laterale corrisponde alla fossa temporale, è formata dalla parte più esterna della
parete orbitaria del frontale, dal processo orbitario dello zigomatico e dalla faccia anteriore
della grande ala dello sfenoide. Presenta lo sbocco del condotto zigomatico-orbitario.

Superficie interna del cranio


Vi si considerano un volta e una base.

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Volta

È formata dalle ossa frontale, parietale e occipitale cui si affiancano lateralmente le due
squame dei temporali e le grandi ali dello sfenoide. Tali ossa sono unite dalle suture
coronale, sagittale, lambdoidea, squamosa, sfenoparietale e sfenofrontale.
Presenta la cresta frontale che dà attacco alla grande falce cerebrale, e il solco sagittale
che accoglie il seno sagittale superiore della dura madre. A ciascun lato del solco sagittale
si trovano il foro parietale e le granulazioni aracnoidali. Lateralmente si trovano le fosse
frontali, le fosse parietali e le fosse occipitali.

Base

Si divide in fossa cranica anteriore, media e posteriore.

- Fossa cranica anteriore: si trova tra il margine anteriore del frontale davanti e in
dietro dal solco del chiasma ottico e poco più lateralmente dalle grandi ali dello
sfenoide. È formata sulla linea mediana dalla faccia posteriore del frontale, dalla
lamina cribosa dell'etmoide, e da una parte della faccia superiore del corpo dello
sfenoide. Sui lati dalle bozze orbitarie del frontale e dalle piccole ali dello sfenoide.
Nella parte media si osservano il tratto inferiore della cresta frontale, il foro cieco, la
crista galli, il solco del chiasma ottico alle estremità del quale si trova il foro ottico. A
lato di queste zone si trovano le docce olfattive, la sutura frontoetmoidale e le bozze
orbitarie. I fori etmoidali anteriore e posteriore si aprono lungo la sutura
sfenoparietale che mette in giunzione la parte orbitaria del frontale con le piccole ali
dello sfenoide.

- Fossa cranica media: posteriormente termina con una linea passante per il
margine superiore della lamina quadrilatera dello sfenoide e per il margine
superiore delle piramidi delle ossa temporali. È formata dal corpo e dalle grandi ali
dello sfenoide, dalla squama e dalla faccia anterosuperiore della piramide dell'osso
temporale. Sulla linea mediana si trova la sella turcica con la fossetta ipofisaria. Ai
lati della sella si trovano le fosse sfenotemporali che accolgono le estremità
anteriori dei lobi temporali telencefalici. L'impronta del ganglio semilunare (di
Gasser) del trigemino si trova nella parte più mediale della faccia anteriore della
rocca petrosa. Nella fossa cranica media si individuano diversi orifizi: fessura
orbitaria superiore che fa comunicare la fossa cranica media con l'orbita e dà
passaggio ai nervi oculomotore comune, trocleare, abducente e al ramo oftalmico
del trigemino, alla vena oftalmica e ai rami dell'arteria meningea media; foro rotondo
che fa capo alla fossa pterigopalatina e dà passaggio al ramo mascellare del
trigemino; foro ovale che è attraversato dal ramo mandibolare del trigemino e
dall'arteria piccola meningea (collaterale dell'arteria mascellare); foro spinoso che è
attraversato dall'arteria meningea media e dal nervo spinoso, ramo ricorrente del
trigemino; foro lacero anteriore che è situato medialmente al foro ovale, tra l’apice
della piramide e il margine interno della grande ala dello sfenoide, è obliterato da

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una membrana, e dà passaggio al nervo vidiano; orifizio interno del canale carotico
che si apre nell'apice della piramide del temporale e dà passaggio all'arteria
carotide interna.

- Fossa cranica posteriore: è formata in avanti dalla faccia posteriore della lamina
quadrilatera dello sfenoide che continua sul clivo dell'occipitale, dalla faccia
posteriore delle piramidi del temporale e dalle superficie interna della parte inferiore
della squama dell'occipitale. Presenta il grande foro occipitale, la cresta occipitale
interna che divide le due fosse cerebellari e la protuberanza occipitale interna.
Attraverso il foro occipitale passano il bulbo, le arterie vertebrali e spinali, il nervo
accessorio spinale che così entra nel cranio (parte dell'11° paio di nervi encefalici),
e le radici ascendenti dell'ipoglosso. Inoltre presenta: solco del seno petroso
superiore sul margine superiore della piramide; acquedotto del vestibolo che
accoglie il sacco endolinfatico; canale dell'ipoglosso sul contorno del foro occipitale;
foro condiloideo; solco del seno trasverso che continua nel solco sigmoideo; foro
mastoideo che si apre nel solco sigmoideo; foro giugulare o foro lacero posteriore
che è delimitato dal margine anteriore dell'occipitale e dal margine posteriore della
piramide che lo dividono così in due parti.

Articolazioni del cranio


Le ossa che formano la scatola cranica e il massiccio facciale sono tra loro unite per
mezzo di articolazioni del tipo delle sinartrosi. Nella maggior parte dei casi si tratta di
suture, che possono essere di tipo dentato, squamoso, armonico o a incastro; più
raramente si articolano per mezzo di sincondrosi (per esempio tra la base dell’occipitale e
lo sfenoide), che nell’adulto tendono a diventare sinostosi. Eccezione fa l’articolazione
temporomandibolare (ATM), la quale si presenta come una diartrosi condiloidea doppia
che si stabilisce fra i due condili della mandibola e le fosse mandibolari delle due ossa
temporali; l’articolazione viene considerata doppia in quanto fra i due capi ossei si
interpone un disco completo, o menisco, a causa della non concordanza fra le due
superfici articolari, che suddivide la cavità articolare in due parti non comunicanti fra loro. I
mezzi di unione sono dati dalla capsula articolare (con uno strato fibroso e uno sinoviale, è
ispessito da un legamento di rinforzo, il legamento temporomandibolare) e da legamenti a
distanza, cioè il legamento sfenomandibolare, il legamento stilomandibolare e il legamento
pterigomandibolare.
Le due articolazioni temporomandibolari operano simultaneamente e permettono un certo
grado di libertà per essenzialmente tre tipi di movimento, cioè abbassamento ed
elevazione, proiezione anteriore e posteriore e lateralità.

Muscoli del cranio


Alla testa fanno capo vari tipi di muscoli che, a seconda dei loro punti di inserzione,
possono essere distinti in intrinseci ed estrinseci. I muscoli intrinseci sono costituiti da
muscoli pellicciai e muscoli scheletrici, i muscoli masticatori; i muscoli pellicciai sono
anche denominati muscoli mimici e sono perlopiù formati da esili fascetti, spesso privi di

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aponeurosi; prendono inserzione con almeno uno dei due capi sulla faccia profonda della
cute e sono determinanti dell’espressione facciale.
I muscoli scheletrici sono rappresentati dai muscoli masticatori che collegano la scatola
cranica alla mandibola e ne determinano il movimento. Oltre ai muscoli mimici e a quelli
masticatori, nella testa si trovano altri muscoli intrinseci, come quelli del padiglione
auricolare, del globo oculare e dell’orecchio medio, della lingua, del palato molle e della
muscolatura faringea.
I muscoli estrinseci prendono invece inserzione in parti diverse della testa, per esempio
collo e tronco.
I muscoli mimici sono il muscolo epicranico (muscolo occipitale, frontale, galea capitis), i
muscoli estrinseci del padiglione auricolare (muscolo auricolare anterosuperiore e
posteriore), i muscoli delle palpebre (muscolo orbicolare dell'occhio e corrugatore del
sopracciglio), i muscoli del naso (muscolo nasale e dilatatore delle narici) e i muscoli delle
labbra (tra cui il muscolo buccinatore che contraendosi sposta la commessura labiale
indietro e fa aderire guance e labbra alle arcate alveolodentali, favorendo la masticazione).
I muscoli masticatori, che presentano una comune innervazione da parte della branca
mandibolare del trigemino, sono:

- Muscolo temporale: ha origine dalla linea temporale inferiore, dalla parete


mediale della fossa temporale, dai 2/3 superiori della faccia profonda della fascia
temporale e dalla faccia mediale dell’arcata zigomatica per inserirsi sul processo

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coronoideo della mandibola; è ricoperto da una consistente fascia temporale, e con
la sua azione eleva la mandibola e la sposta posteriormente;

- Muscolo massetere: è formato da una parte superficiale ed una profonda che ben
si distinguono superiormente ed inferiormente. La parte superficiale prende origine
dai 2/3 anteriori del margine inferiore dell’arcata zigomatica e si inserisce alla faccia
esterna dell’angolo della mandibola, al margine inferiore e alla parte inferiore della
faccia esterna del ramo mandibolare; la parte profonda origina dai 2/3 posteriori del
margine inferiore dell’arcata zigomatica e dalla faccia mediale della stessa arcata
per inserirsi sulla faccia laterale del ramo della mandibola. Il muscolo è rivestito
esternamente dalla fascia masseterina e con la sua azione eleva la mandibola;

- Muscolo pterigoideo interno: origina con un capo superiore ed uno inferiore e si


distacca dalla tuberosità mascellare per inserirsi alla fossa pterigoidea del collo del
condilo della mandibola; sposta la mandibola in avanti e verso il lato opposto;

- Muscolo pterigoideo esterno: ha origine dalla fossa pterigoidea, dal processo


piramidale del palatino e dalla tuberosità mascellare e termina sull’angolo
mandibolare; eleva la mandibola.

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Occhio

Macroscopica
E’ una sfera di 23-24 cm di diametro che al suo polo anteriore presenta una curvatura
maggiore, mentre all’estremità opposta vede l’emergenza del II nervo cranico, avvolto per
tutto il tragitto infraorbitario dalle meningi.
E’ formato da tre strati concentrici:
Tonaca fibrosa, fatta da sclera posteriormente e cornea anteriormente. E’ l’involucro più
esterno di connettivo ed è avascolare (il bianco dell’occhio prende il nome di congiuntiva
bulbare). Al polo anteriore, con curvatura maggiore, si dà il nome di cornea (convessa),
in continuità con la sclera tramite il limbus sclerocorneale, e rappresenta l’elemento
diottrico più importante. E’ priva di vasi ed è una specializzazione della sclera ma a
differenza di questa risulta trasparente. La sua superficie anteriore è coperta proprio
dalla congiuntiva bulbare. La sclera avvolge la seconda membrana che è l’uvea.
Tonaca vascolare o Uvea. Questo strato è ricchissimo di vasi ed è a sua volta formato
da tre elementi:
A. Coroide
B. Corpo ciliare
C. Iride
Tutti i vasi di questa regione derivano dall’arteria oftalmica. L’estremo anteriore dell’uvea
ha una colorazione diversa e questa rappresenta l’iride (una sorta di lente a contatto con
un buco in mezzo disposta dietro la cornea). C’è una linea di demarcazione fra l’iride e il
coroide. Il foro pupillare è il buco delimitato dall’iride. Non c’è una precisa organizzazione
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vascolare ma mentre i vasi arteriosi sono rami dell’arteria oftalmica, le vene si riuniscono
in 4 vasi a livello dell’emisfero posteriore che prendono il nome di vene vorticose, perchè
alla loro origine si organizzano a formare una sorta di vortice. Queste vanno a perforare la
sclera per poi riunirsi a formare la vena oftalmica. Facendo una sezione trasversa tra la
fine dell’iride e l’inizio della coroide vediamo il corpo ciliare, una struttura anelliforme che
sporge verso il dentro. Dietro l’iride troviamo invece il cristallino, elemento diottrico, lente
biconvessa mantenuta in sito da una seria di strutture ligamentose disposte come i raggi
del sole, che vanno ad inserirsi all’estrema periferia del cristallino e al corpo ciliare. Questo
sistema di fibre tese tra il cristallino e il copro ciliare prende il nome di zonula ciliare di
Zinn.

La cornea non è a contatto con l’iride e quest’ultima con il cristallino, ma ci sono


frapposte la camera anteriore e posteriore dell’occhio in comunicazione tramite
l’orifizio pupillare. Questi spazi contengono un liquido, umor acqueo, con la stessa
composizione del liquido interstiziale, che garantisce nutrimento alla cornea e al cristallino.
Infatti se il nutrimento avvenisse tramite vasi sanguigni si perderebbe la trasparenza.
Come il liquido interstiziale di ogni tessuto l’umor acqueo viene costantemente rinnovato e
inoltre esercita una certa pressione sulla cornea, l’iride e il cristallino. In un soggetto
normale c’è una certa pressione: se questa aumenta oltre un certo limite si ha una
deformazione della cornea che porta a difetto di rifrazione (non si vede più in maniera
ottimale). Questa pressione si riflette a 360°: una ipertensione dell’umor acqueo porta ad
un glaucoma.

Tonaca nervosa o retina. E’ la tonaca più interna e qui si trova l’impalcatura neuronale
fotosensibile e capace di tradurre un impulso luminoso in un evento elettrico e dinamico.
La retina è 5/7 di una sfera (manca dei 2/7 anteriori) e il punto in cui termina viene
chiamato ora serrata, di forma circolare. Tutto lo spazio compreso tra cristallino, zona
ciliare, corpo ciliare e retina dietro è riempito da sostanza gelatinosa, corpo vitreo,
trasparente e formato fondamentalmente da acqua. La sua unica funzione è quella
riempitiva. L’emergenza del nervo ottico non si trova esattamente al polo geometrico
posteriore ma medialmente a questo: questa regione è assolutamente priva di cellule
retiniche (fotorecettori) ed è il luogo in cui tutti gli assoni dei neuroni retinici convergono
per diventare nervo ottico. Questo punto viene chiamato punto cieco della retina o
papilla ottica (4 mm) ed è convesso verso l’esterno e concavo verso l’interno. Se il
soggetto ha ipertensione endocranica, la pressione si esercita sul neurocranio e sulla
pia che viene schiacciata contro l’aracnoide e lo spazio subaracnoideo si assottiglia da
una parte. Uno dei luoghi su cui si riflette la pressione è proprio lo spazio
subaracnoideo del nervo ottico, per poi scaricarsi anche alla papilla ottica che
diventerà convessa verso l’interno (lo si può vedere in oftalmoscopia). A livello del polo
geometrico posteriore dell’occhio si riscontra una fossetta a livello della retina, la fovea
centralis della macula lutea. In questo punto la retina è molto sottile ma presenta la
massima densità di coni, elementi recettoriali in grado di trasformare energia luminosa
in potenziali elettrici (lo stesso vale per i bastoncelli). I coni in particolare sono adibiti alla
visione diurna, puntiforme e sono gli elementi che permettono l’acuità visiva massima.
Passiamo tutto la nostra vita da svegli a fare in modo che l’immagine riflessa cada
esattamente nella fovea centralis al fine di vedere meglio. Il resto della retina è
popolato da bastoncelli responsabili della visione crepuscolare che non permettono
buona acuità visiva e visione distinta dei colori. Il nervo ottico è un cilindro pieno
attraversato dall’arteria centrale della retina ed è accompagnata dall’omonima vena. La
retina ha dunque un vaso tutto per sé derivante dall’arteria oftalmica (NON è irrorata
dalla tonaca vascolare). Quest’arteria raggiunta la papilla ottica si sfiocca ad ombrello
per irrorare la retina. L’ipertensione endocranica allora non solo si scaricherà sul nervo
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ottico compromettendo la visione ma andrà anche a comprimere vasi in esso contenuti
portando a morte dei nervi retinici per mancanza di nutrienti. Anche qui per vedere i
vasi si utilizza la oftalmoscopia.

La cornea e l’iride disegnano un angolo, iridocorneale, che rappresenta il crocevia tra


cornea e sclera, tra iride e corpo ciliare, tra corpo ciliare e cornea (NB. nell’occhio tutto è
anelliforme). E’ proprio nell’angolo iridocorneale che si trova il sistema di drenaggio
dell’umor acqueo. Questo viene prodotto dal corpo ciliare il quale presenta una serie di
rilievi chiamati processi ciliari, disposti radialmente e separati da solchi chiamati
vallecule, che contribuiscono a dare attacco alla zona ciliare. I processi ciliari contengono
all’interno del loro asse una serie di capillari da cui trasuda umore acqueo. Questo poi
passa anche nella camera anteriore tramite la pupilla. Sono presenti nell’asse anche fasci
di muscolatura liscia che formano il muscolo ciliare, dalla cui contrazione, sotto l’azione
del ganglio ciliare a sua volta controllato da fibre pregangliari provenienti dal nucleo di
Edinger-Westphal, si ha collasso delle fibre con conseguente ampliamento del diametro
anteroposteriore del cristallino (accomodazione del cristallino). Le fibre si dispongono in
tre strati (longitudinale - circolare - obliquo) al fine di regolare nel modo più preciso
possibile il cristallino.
Guardando dall’interno l’occhio, verso l’avanti, si nota che i processi ciliari si dispongono a
formare la corona ciliare (raggi di una ruota di bicicletta).

A percorrere il confine tra cornea e sclera è presenta una vena, canale di Schlemm, al cui
interno si scarica l’umor acqueo con la stessa velocità con la quale viene prodotto. Ma
l’angolo iridocorneale è pieno di strutture fibrose che formano una rete tridimensionale
(come i sinusoidi epatici), legamento pettinato, il quale ha la funzione di evitare uno
svuotamento troppo rapido dell’umor acqueo nel canale di Schlemm.

Microscopica
Iride
E’ fatta da cinque strati, uno dietro l’altro.

Strato interno, è la superficie posteriore dell’iride, fatta di epitelio pigmentoso. Questo


strato all’altezza del foro pupillare si ribalta ed è dunque uguale allo strato più esterno.
Strato muscolare, dove si trovano il muscolo costrittore e dilatatore della pupilla. Il
primo è il più interno fatto di fibre circolari, il secondo è più esterno e disposto a raggiera.
Strato vascolare, dove si trovano vasi.
Iride blu, fatto di fibre connettivali che se isolate danno una colorazione azzurrina.
Strato esterno, uguale all’interno.

La quantità di melanina che dà il colore allo strato interno e allo strato esterno è
responsabile del colore degli occhi (se è molta il colore degli occhi è nero). Se la melanina
è poca gli occhi sono azzurri proprio perchè lascia vedere l’iride blu. Se la quantità è
intermedia avremo occhi verdi. Negli albini gli occhi sono di colore rosso perchè si vede
lo strato vascolare a causa della totale assenza di melanina. La luce oltre a passare nel
foro pupillare passa anche un po’ nell’iride: gli albini sono condannati a portare occhiali
scuri per evitare che i raggi UV danneggino la retina.

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Cristallino
E’ fatto di vari strati ed ognuno di questi è formato da cellule allungate (filiformi), fibre del
cristallino, che si dispongono a parabola per inserirsi ai poli anteriore e posteriore del
cristallino in modo da localizzare tutti i nuclei nel piano dell’equatore. Il cristallino però non
è opaco perchè i nuclei pur sovrapponendosi sullo stesso piano non ostacolano il
passaggio della luce in quanto circondati da citoplasma trasparente. Il cristallino può
opacizzarsi in seguito a formazione di precipitati di calcio (con l’invecchiamento):
cataratta. Si vede in modo nebuloso e l’oculista deve incidere l’angolo sclerocorneale, poi
tramite il foro pupillare, dà un collirio che paralizza il costrittore, incide la capsula del
cristallino e aspira la cataratta.

Retina
E’ un multistrato di cellule fatto di 4 strati di neuroni (disposti a cipolla) cui si accompagna
una cellula gliale che percorre tutto lo spessore. La
retina è composta da 4 tipi di neuroni:
1. Coni e bastoncelli, neuroni bipolari, vicini a veri e
propri melanociti con i quali prendono un certo
rapporto.
2. Neuroni bipolari, disposti radialmente,
contraggono sinapsi con coni, bastoncelli e cellule
orizzontali.
3. Cellule orizzontali, interneuroni inibitori che
stabiliscono sinapsi sempre con coni e bastoncelli,
ma anche tra di loro attraverso gli apici dei
dendriti. Il loro neurotrasmettitore è il GABA.
4. Cellule gangliari, sono neuroni multipolari,
contraggono sinapsi con cellule bipolari e il loro
assone lasciano il globo oculare, a livello della
papilla ottica, per diventare nervo ottico. Sono di fatto gli ultimi a ricevere lo stimolo.

Parallelamente a questi neuroni abbiano una cellula gliale chiamata cellula di Muller, un
astrocita che si dispone lungo lo spessore. Avvolge e separa i fotorecettori e le altre cellule
nervose ma non nelle zone sinaptiche. La sua funzione è quella di mantenere l’omeostasi
del microambiente extracellulare retinico, regolando lo scambio ionico, l’isolamento
elettrico dei recettori, supporto meccanico della retina e assorbimento dei
neurotrasmettitori.

Affinchè sia possibile la visione è necessario che la luce colpisca coni e bastoncelli: da qui
ovviamente la luce deve attraversare tutto lo spessore della retina. Nella retina è presenta
anche uno strato pigmentato le cui cellule svolgono una doppia funzione:
- assorbono la luce (essendo nere)
- la parte rivolta verso la retina presenta dei microvilli che entrano in contatto con la zona
più esterna dei recettori. Qui avviene un meccanismo simile alla fagocitosi attraverso
cui le membrane dei dischi più esterni vengono metabolizzate per permettere un
continuo rinnovo delle porzioni recettoriali esaurite, rimpiazzate per gemmazione
interna.

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Cornea
La superficie anteriore presenta:
Epitelio corneale, pavimentoso pluristratificato che poggia su una membrana basale
dotata di piccole digitazione per trattenere il liquido lacrimale.
Membrana limitante anteriore o membrana di Bowman, fatta di fibre collagene
disposte casualmente.
Stroma corneale, fatto di collagene, rappresenta il 90% dell’intero spessore. Le lamelle
collagene sono parallele nella stessa lamella e ortogonali alla direzione delle fibre
contigue. Hanno la proprietà di fissare una grande quantità d’acqua e rendere così
possibile la diffusione delle sostanze nutritive.
Membrana limitante posteriore o membrana di Descemet, fatta anch’essa di fibre
collagene, che perifericamente si unisce al limbus sclerocorneale.
Endotelio, unico strato di cellule piatte tenute insieme in modo discontinuo da zonulae
occludentes: questa discontinuità serve a favorire il nutrimento.

La superficie posteriore delimita la camera anteriore dell’occhio ed è bagnata e nutrita


da umor acqueo.

Sistema lacrimale
Nell’angolo supero-esterno dell’orbita, sotto la palpebra superiore, c’è la ghiandola
lacrimale, che quando piangiamo, a causa di un maggior arrivo di sangue, si gonfia. La
ghiandola ha la stessa struttura della parotide ed è in funzione 24h al giorno. Il liquido
lacrimale ha la funzione di mantenere umida la congiuntiva e la cornea in quanto una
disidratazione di queste strutture porta a fessurazioni e infezioni.
Questo liquido deve essere costantemente rinnovato e infatti all’estremo mediale delle
palpebre abbiamo i punti lacrimali, due piccolo protuberanze attraverso le quali il liquido
va in un sacco lacrimale, il quale si continua in un condotto lacrimale che si svuota a livello
delle mucose nasali. Durante il pianto questo sistema di drenaggio non è sufficiente a
causa dell’eccessiva produzione di liquido e si ha il fenomeno della lacrimazione.

Organizzazione
vascolare dell’occhio
Sono tutti rami dell’arteria
oftalmica, che giunge insieme al
nervo ottico tramite il foro
orbitario.

Arteria centrale della retina.


Irrora principalmente la retina.
Arterie ciliari posteriori brevi.
Perforano la sclera tutto intorno
al nervo ottico e si ramificano
nella coroide.
Arterie ciliari posteriori
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lunghe. Perforano la sclera al lato delle brevi e a livello del margine ciliare dell’iride. Si
anastomizzano con i rami delle arterie ciliari anteriori formando il grande cerchio
arterioso dell’iride.
Arterie ciliari anteriori. Drenano dai rami muscolari dell’oftalmica e perforano la sclera
in prossimità dei muscoli retti.

Le vene, si riuniscono ai lati dell’occhio, posteriormente all’equatore, nelle quattro vene


vorticose che unendosi originano la vena oftalmica, che attraversa la fessura orbitaria
insieme ai nervi cranici II, III, IV e VI.

I vasi linfatici sono pressoché assenti.

Cavo orbitario
Cavità ossea pari, situata nel massiccio facciale, lateralmente alla radice del naso. Ha la
forma di una piramide quadrangolare la cui base anteriore corrisponde all’apertura
dell’orbita e il cui apice posteriore corrisponde al foro ottico. Gli assi delle due orbite
divergono dall’indietro in avanti così che i due apici si trovano tra loro vicini rispetto alle
basi.

Base
Il margine superiore è l’osso frontale. Qui è presente il foro sovraorbitario dove
passano nervo e arteria sovraorbitaria.
Il margine mediale è l’osso mascellare (cresta lacrimale anteriore).
Il margine laterale è l’osso zigomatico.
Il margine inferiore è il mascellare medialmente e lo zigomatico lateralmente.

Tetto
Fatto dall’osso frontale per i 2/3 anteriori e dalla piccola ala dello sfenoide per il terzo
posteriore. Anteriormente e lateralmente è presente una piccola fossa per la ghiandola
lacrimale.

Faccia laterale
Formata dalla faccia orbitaria dell’osso zigomatico per il terzo anteriore, nei 2/3 posteriori è
invece fatta dalla faccia orbitaria della grande ala dello sfenoide.

Faccia mediale
Fatta soprattutto da osso lacrimale (anteriormente) e dalla lamina papiracea dell’etmoide
(posteriormente). Sul davanti presenta una depressione che accoglie il sacco lacrimale,
fossa del sacco lacrimale. Questa comunica per mezzo del canale nasolacrimale con il
meato nasale inferiore.

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Pavimento
Formato dalla faccia orbitaria del mascellare e posteriormente dal processo orbitario
dell’osso palatino. Posteriormente e lateralmente è delimitato dalla fessura orbitaria
inferiore che continua anteriormente e medialmente con una doccia che si trasforma poi
in canale, canale infraorbitario. Questo passando sotto al margine inferiore dell’apertura
orbitaria si apre sulla faccia anteriore del mascellare con il foro infraorbitario. Il canale è
percorso dalla branca mascellare del trigemino e da un ramo dell’arteria mascellare.

Apice
L’apice del cavo orbitario è il foro ottico che dà passaggio all’arteria oftalmica e al nervo
ottico. Sotto al foro ottico, tra la piccola e la grande ala dello sfenoide, c’è la fessura
orbitaria superiore, che dà passaggio al III, IV, VI nervo cranico e alla branca oftalmica
del trigemino.

Corpo adiposo dell’orbita


Tessuto adiposo che riempie gli spazi della cavità orbitaria tra periostio (che ne riveste la
superficie interna) e gli organi in essa contenuti (muscoli dell’occhio, nervo ottico, fascia
del bulbo). Ha funzione di sostegno per il bulbo oculare che tramite la fascia del bulbo
riposa sulla sua parte anteriore. La sua massa tende a rimanere costante anche in caso di
forti dimagrimenti e digiuno prolungato.

La fascia del bulbo o capsula di Tenone è una lamina di connettivo diretta


continuazione della guaina durale (continuazione delle meningi) del nervo ottico, che
aderisce all’occhio fino all’angolo sclerocorneale. Dà passaggio ai tendini dei muscoli
oculari e prolungandosi indietro termina proprio nella lacuna dei muscoli stessi. La capsula
non è direttamente adesa alla sclera ma separata da questa dallo spazio episclerale. La
fascia ha la funzione di determinare una loggia in cui può allocarsi l’occhio.
Questa a livello del contorno dell’orbita si distacca dalla superficie ossea, dirigendosi verso
l’orlo sclerocorneale e assumendo in questo tragitto il nome di tendine di arresto. Giunta
al limbus sclerocorneale (che dà inserzione ai muscolari oculari estrinseci) va a rivestire i
muscoli retti e prosegue sulla superficie del bulbo fino a connettersi con la guaina durale
del nervo ottico. Il tendine di arresto è fatto di fasci legamentosi che moderano la trazione
esercitata dai muscoli oculari sul bulbo, impedendo un eccessivo accorciamento.

Muscoli estrinseci dell’occhio


Retto mediale, sposta l’occhio medialmente.
Retto laterale, sposta l’occhio lateralmente.
Retto superiore, sposta l’occhio verso l’alto.
Retto inferiore, sposta l’occhio verso il basso.

L’anello tendineo comune di Zinn è un tendine anelliforme che si inserisce al fondo


dell’orbita circoscrivendo il foro ottico e l’estremità mediale della fessura orbitaria
superiore, prendendo rapporto con la guaina durale del nervo ottico. Da esso si dipartono i
tendini di origine dei 4 muscoli retti, che si inseriscono alla sclera a livello dell’orlo
sclerocorneale.
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Obliquo superiore, si origina dal contorno mediale del foro ottico per inserirsi poi alla
troclea, un piccolo anello fibrocartilagineo che si trova nella parte mediale del tetto
dell’osso frontale. Ruota l’occhio in basso e lateralmente.
Obliquo inferiore, si origina dall’osso mascellare, al di sotto della fossa del sacco
lacrimale per inserirsi alla sclera. Ruota l’occhio in alto e lateralmente.

Elevatore della palpebra superiore, si inserisce al tarso della palpebra superiore dopo
aver preso inserzione al margine superiore del foro ottico e all’anello tendineo.
Determina il sollevamento della palpebra superiore ed è innervato dall’oculomotore.

Sono innervati tutti dal III nervo cranico (oculomotore) ad eccezione del retto laterale,
innervato dal VI nervo cranico (abducente), e dell’obliquo superiore, innervato dal IV nervo
cranico.

I movimenti dei due bulbi oculari, al fine di garantire una corretta visione, devono
essere solidali e perfettamente sincroni. Se manca sincronia si ha una visione doppia
degli oggetti: diplopia.

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ORECCHIO

Generalità

L'apparato dell'udito è costituito da organi in gran parte contenuti nello spessore dell'osso
temporale. La funzione di questi organi è quella di assicurare la percezione di due tipi di
stimoli, quelli sonori, quelli gravitari e di accelerazione. Conseguentemente, nell'orecchio
sono accolti due tipi diversi di recettori: i recettori acustici per la sensibilità uditiva
(raccolta dal nervo cocleare) e recettori statocinetici per la sensibilità gravitazionale e di
accelerazione (raccolta dal nervo vestibolare). L'apparato dell'udito viene
topograficamente suddiviso in tre parti che si susseguono in senso latero-mediale:
orecchio esterno, orecchio medio e orecchio interno. Orecchio esterno e medio sono di
esclusiva pertinenza della sensibilità uditiva; orecchio interno presenta sia recettori
acustici che recettori statocinetici.

Orecchio esterno
Raccoglie e convoglia le onde
sonore verso la membrana del
timpano. Comprende il Padiglione
auricolare e il meato acustico
esterno

Padiglione auricolare

Ha forma di lamina irregolare,
costituito da uno scheletro
fibrocartilagineo rivestito da cute con
annessi cutanei (peli, gh. Sebacee e rare sudoripare) situato nella parte laterale della
testa, anteriormente alla regione mastoidea ed in rapporto con la regione temporale,
l'articolazione temporomandibolare e la regione parotidea. Lo scheletro cartilagineo è
connesso al cranio tramite legamenti estrinseci. Ha Forma ovale con asse maggiore
verticale di 60 mm, leggermente obliquo in basso ed avanti, asse minore di 30 mm,
approssimativamente orizzontale. Raggiunge le dimensioni definitive a circa sette anni. Si
considerano due facce, mediale e laterale, che presentano numerosi rilievi (tra cui sono
tesi dei legamenti intrinseci) e depressioni di cui la maggiore è la conca che è posta al
centro e si continua con il meato acustico esterno. L'elice è il rilievo più periferico del
padiglione e con la sua radice suddivide la conca in superiore ed inferiore. In avanti, in
alto ed indietro costituisce il contorno della metà superiore, si prolunga in basso con la sua
coda fino a raggiungere il lobulo. L'antelice è un secondo rilievo situato tra conca ed
elice; è separato dall'elice dal solco dell'elice e nasce in alto dalle due branche che
delimitano la fossa triangolare. Al davanti della conca e al di sotto della radice dell'elice è
presente il trago, una sporgenza laminare di forma triangolare; l'antitrago è un rilievo che
delimita la parte posteriore della conca situato dietro al trago e separato dall'incisura
Intertragica. Il lobulo dell'orecchio è una plica cutanea priva di scheletro cartilagineo. La
faccia mediale del padiglione auricolare è libera posteriormente e adesa alla superficie

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laterale della testa anteriormente. Un solco cefaloauricolare divide la parte laterale testa
dalla parte libera del padiglione. Le arterie del padiglione sono rami delle arterie
auricolare posteriore e temporale superficiale, rami della carotide esterna. Le viene
del padiglione confluiscono in avanti nella vena temporale superficiale e indietro nelle
vene auricolari posteriori tributarie della giugulare esterna.
I vasi linfatici sono tributari di linfonodi: pretragici, parotidei (sottofasciali e inferiori) e
mastoidei.
I nervi motori destinati a muscoli intrinseci (in totale 6, di scarsa rilevanza) ed estrinseci
(m. auricolari anteriore, superiore e posteriore) sono rami del N. facciale. La sensibilità
è assicurata dal trigemino e dal plesso cervicale.


Meato acustico esterno

È un condotto fornito di uno scheletro fibrocartilagineo nel terzo laterale (unito alla
cartilagine del padiglione, a forma di doccia concava superiormente) e di uno scheletro
osseo nei due terzi mediali (composto da: osso timpanico anch'esso scavato a doccia,
doccia timpanica, e squama del temporale. Da quest'ultima si solleva la spina
suprameatum, che contribuisce a fissare la parte cartilaginea).
Si estende dalla conca all'orecchio medio, termina a livello della membrana del timpano.
Presenta un decorso ad S sul piano orizzonatale, la lunghezza è di circa 25 mm, con asse
complessivo da dietro in avanti, formando con il piano sagittale una angolo rivolto indietro
di 80°. Ha sezione ellittica variabile (massima all'inizio, → 7,8mm; minima al termine → 6,3
mm). Nel punto di passaggio tra la parte cartilaginea e la parte ossea presenta un
restringimento denominato istmo. È in rapporto anteriormente con l'articolazione temporo-
mandibolare, posteriormente con le celle mastoidee, superiormente con la fossa cranica
media (separati dalla squama del temporale), inferiormente con la parotide. Le arterie
della parte fibrocartilaginea sono rami dell'arteria auricolare posteriore, temporale
superficiale e parotidee, tutte rami della carotide esterna; quelle della parte ossea sono
rami delle arterie timpanica anteriore e auricolare profonda, rami della mascellare
interna. Le vene sono affluenti della temporale superficiale, del plesso venoso
periarticolare temporomandibolare e delle vene auricolari posteriori. I nervi, sensitivi, sono
rami del n. auricolotemporale, n. grande auricolare e il ramo auricolare del vago. Tra gli
annessi cutanei sono presenti peli, ghiandole sebacee e ceruminose, quest'ultime sono
ghiandole sudoripare apocrine, tubulari semplici di tipo glomerulare, che si aprono sulla
superficie cutanea del meato secernendo cerume per proteggere la cute del meato


Orecchio medio
Cavo del timpano

È una cavità ossea contenuta nella rocca
petrosa del temporale (Piramide), posta
tra orecchio esterno ed interno. Accoglie
la catena degli ossicini e comunica
attraverso la tuba uditiva con il faringe, e
mediante l'aditus ad antrum con
l'apparato mastoideo. Ha la forma di una

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lente biconcava e vi si considerano due pareti (laterale e mediale) ed una circonferenza
che può essere suddivisa in quattro pareti, anteriore, posteriore, superiore ed inferiore.
- La parete laterale è costituita per 3/5 dalla membrana del timpano e per 2/5 da una
cornicetta ossea che circonda la membrana, che diviene assai ampia superiormente
dove prende il nome di muro della loggetta; quest'ultima costituisce la parete laterale
del recesso epitimpanico (parte più alta cavo del t.).
- La parete mediale o labirintica presenta nella sua parte centrale un rilievo denominato
promontorio determinato dalla parte iniziale del giro basale della chiocciola. Al di dietro
del promontorio si trova la finestra rotonda che comunica con l'estremità inferiore della
scala timpanica della chiocciola ed è chiusa dalla membrana secondaria del timpano.
Al di sopra della finestra rotonda è presente la finestra ovale, di forma ellittica, in cui si
fissa, con il legamento anulare, la base della staffa. Tra le due finestre si trova una
depressione, seno del timpano, in rapporto medialmente con la parte ampollare del
canale semicircolare posteriore. Al di sopra e di dietro alla finestra ovale vi è una
sporgenza data dal secondo tratto del canale del n. facciale, che continuandosi in basso
verticalmente, dietro al seno del timpano, si solleva in un rilievo conico, eminenza
piramidale, nella cui cavità è contenuto il muscolo stapedio. Al di sopra e al davanti
della finestra ovale si trova l'orifizio del canale del muscolo tensore del timpano. 

La parete labirintica (mediale) separa il cavo del timpano da parti del labirinto osseo,
infatti, la finestra ovale comunica medialmente con il vestibolo nel quale sono disposti il
sacculo e l'utricolo. Il promontorio corrisponde alla parte iniziale del giro basale della
chiocciola ossea, nella quale è contenuta la parte corrispondente della chiocciola
membranosa o condotto cocleare.
- La parete anteriore o carotidea presenta nel terzo superiore l' ostio timpanico della
tuba uditiva (inizio della tuba), nella restante parte vi è una lamina ossea che la separa
dal tratto ascendente del canale carotico nel quale decorre l'arteria carotide interna. Al
di sopra dell'orifizio tubarico, il canale del m. tensore del t.
- La parete posteriore o mastoidea è occupata superiormente dall'aditus ad antrum un
ampio orifizio che conduce all'antro timpanico; nella parte inferiore si trova la fossa
dell'incudine e, lateralmente all'eminenza piramidale, si trova il foro di ingresso della
corda del timpano. La parete superiore è formata dal tegmen tympani, una lamina
ossea che separa il cavo del timpano dalla fossa cranica media nella base del cranio (il
tegmen tympani, letteralmente tetto del timpano, è una lamina ossea molto sottile e per
questo motivo, un'infezione dell'orecchio medio può trasmettersi in via retrograda alle
meningi della fossa cranica media andando a causare meningite).
- La parete inferiore o giugulare ha la forma di doccia, recesso ipotimpanico, il cui
fondo si presenta cribrato: vi si trova l'orifizio di sbocco del canale timpanico che dà
passaggio al nervo timpanico di Jacobson (ramo del glossofaringeo) che provvede
all'innervazione sensitiva, e all'arteria timpanica inferiore.

Diverse arterie concorrono alla formazione della rete arteriosa: rami della carotide interna
(a. caroticotimpanica), della meningea media (a. timpanica superiore), della faringea
ascendente (a. timpanica inf.), della mascellare interna stessa (a. timpanica ant.) e
dell'auricolare posteriore (a. stilomastoidea). Il sistema venoso immette: superiormente
nelle vene meningee medie e nel seno petroso superiore, Inferiormente nel bulbo della
vena giugulare interna e nei plessi pterigoideo, faringeo e carotideo interno.

Membrana del timpano



La membrana del timpano chiude il fondo del meato acustico esterno e divide il cavo del
timpano. Giace su un piano con la faccia laterale volta in basso ed in avanti, ha forma
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ellittica con l'asse maggiore obliquo dall'alto in basso e da davanti all'indietro. È foggiata
ad imbuto, la faccia laterale è concava e la faccia mediale è convessa, il punto più
infossato si chiama ombelico o umbo. La superficie laterale, rivolta verso il meato acustico
esterno, fa trasparire il manico del martello come una linea chiara detta stria malleolare;
la superficie mediale, rivolta verso il cavo del timpano (formandone gran parte della parete
laterale), aderisce al manico del martello e prende rapporto con la corda del timpano →
ramo del nervo facciale. Nella membrana del timpano si distinguono una parte estesa
mobile, pars tensa, e una parte piccola e superiore, pars flaccida; tra le due parti vi sono
due fascetti fibrosi, legamenti timpano-malleolari, anteriore e posteriore, che formano
due pieghe sulla faccia laterale della membrana del timpano.
Ð La pars tensa è formata da 3 strati (cutaneo esterno, fibroso medio, mucoso
interno). Lo strato fibroso è caratterizzato da fibre con vario andamento (radiate, circolari,
paraboliche, semilunari). Nella pars tensa è incluso il manico del martello, terminante
nell'umbo, il cui asse incrocia ortogonalmente il diametro della membrana, suddividendo la
membrana in 4 quadranti. Nel quadrante anteroinferiore, all'otoscopio, si riconosce il
triangolo luminoso di Politzer, dato dall'introflessione dell'umbo.
Ð La pars flaccida, compresa tra i 2 legamenti e la parete sup. del meato a. esterno
(squama del temporale) è in rapporto con la faccia mediale, con il processo laterale del
martello.

Catena degli ossicini



La catena degli ossicini dell'udito è formata da martello, incudine e staffa, tre piccole ossa
articolate per diartrosi e mantenute da un apparato legamentoso che da un punto di vista
funzionale rappresenta un sistema molto efficiente per la trasmissione dei suoni
dall'orecchio esterno all'orecchio interno. La catena è contenuta nel cavo del timpano che
stabilisce un collegamento tra la membrana e la finestra ovale.
Ð Il martello, il più laterale degli ossicini, è formato da testa, collo e manico. La testa
è situata nel recesso epitimpanico, ha forma ovoidale e nella parte posteriore si articola
con l'incudine. Il collo collega la testa al manico e corrisponde alla pars flaccida della
membrana del timpano. Il manico è contenuto nella membrana del timpano e si dirige
verso l'umbo, in basso, indietro e in dentro. Presenta 2 processi (breve/laterale rivolto in
fuori alla p.flaccida, e lungo/anteriore rivolto in avanti alla fessura retrotimpanica).
Ð L'incudine ha forma simile ad un molare e vi si distinguono un corpo e due
processi. Il corpo è accolto nel recesso epitimpanico e si articola con la testa del martello
che si trova anteriormente a questo. Il processo breve o superiore si dirige verso la
parte posteriore del cavo del timpano, andandosi a fissare alla fossa dell'incudine. Il
processo lungo o inferiore si porta in basso e termina con il processo lenticolare per
mezzo del quale si articola con la staffa.
Ð La staffa è situata medialmente all'incudine ed è composta da una testa, due archi
ed una base. La testa si articola con il processo lenticolare dell'incudine e dà inserzione al
muscolo stapedio. I due archi, anteriore e posteriore, terminano sulla base (platina) che
occupa la finestra ovale,e a questa è connessa tramite il legamento anulare. La catena
degli ossicini dell'udito è mantenuto in situ dalle connessioni del manico del martello con la
membrana timpanica, dal legamento anulare della staffa, dal legamento del martello e dal
legamento dell'incudine.

I muscoli della catena degli ossicini sono il muscolo tensore del timpano o del martello,
e il muscolo stapedio o della staffa. Il muscolo tensore è accolto in un canale osseo situato
al di sopra della tuba uditiva, nella parte anteriore della parete mediale del cavo del
timpano. Il suo tendine si inserisce, attraversando il cavo, alla radice del manico del
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martello. Con la sua contrazione provoca uno spostamento in senso mediale del manico
del martello: questo determina un aumento della tensione della membrana del timpano e
uno spostamento mediale dell'incudine e della staffa, la cui base penetra più a fondo nella
finestra ovale.
Il muscolo stapedio origina ed è contenuto nell'eminenza piramidale, piccolo rilievo
osseo situato nella parte posteriore della parete mediale del cavo del timpano e si
inserisce con un tendine nella parte posteriore della testa della staffa. Contraendosi tira
indietro la testa della staffa determinando un leggero spostamento della sua base verso il
cavo del timpano e di conseguenza una diminuzione della tensione della membrana del
timpano. I due muscoli agiscono sinergicamente ed automaticamente in base alle
richieste funzionali, si contraggono fortemente in risposta stimolazioni sonore molto
intense così da irrigidire la catena degli ossicini e smorzare la trasmissione delle
vibrazioni.  In caso di suoni acuti prevale il muscolo tensore del timpano che ne facilita la
trasmissione, in caso di suoni gravi prevale il muscolo stapedio che ne facilita la
trasmissione. Un malfunzionamento della catena degli ossicini dell'udito determina una
grave ipoacusia ma non abolisce del tutto la percezione dei suoni, infatti le onde sonore
possono propagarsi all'orecchio interno sia per vibrazione dell'aria contenuta nel cavo del
timpano, sia per vibrazione in toto delle formazioni ossee dell'orecchio. (La paralisi dello
stapedio permette oscillazioni più ampie da parte della staffa, provocando reazioni di
aumento della percezione delle onde sonore. Questa condizione, nota come iperacusia,
provoca nei soggetti che ne soffrono una percezione dei rumori normali di tutti i giorni
come se fossero intollerabilmente alti).

Cavità mastoidee

Sono alcune cavità comunicanti con il cavo del timpano e contenenti aria. Sono
principalmente accolte nell'apofisi mastoidea dell'osso temporale, questo è, infatti, un osso
spugnoso che presenta numerose cavità dette cellule mastoidee la più grande delle quali
raggiunge circa 1 cm di diametro ed è denominata antro timpanico (comunica con il
recesso epitimpanico della cavità timpanica attraverso l'aditus ad antrum).


Tuba uditiva

È un condotto di 35-45 mm che collega la cavità timpanica al rinofaringe. Si divide in parte
ossea, 10 mm, scavata nell'osso temporale, e parte fibrocartilaginea, 25-35 mm, facente
seguito alla parte ossea. La tuba uditiva è diretta in avanti, medialmente e in basso: nella
parte centrale presenta un restringimento, denominato istmo, che separa le due parti. La
parte ossea inizia con l'ostio timpanico della tuba uditiva, termina all'istmo continuando
con la parte fibrocartilaginea: questa possiede uno scheletro cartilagineo a forma di doccia
ristretta aperta in basso, che viene trasformata in un canale da una lamina fibrosa. Sul
margine infero-laterale prende inserzione il muscolo tensore del palato, sul margine
infero-mediale prende inserzione il muscolo elevatore del palato. Grazie a questi due
muscoli i movimenti del palato molle sono in grado di determinare la pervietà della tuba
uditiva (allontanando tra loro le pareti della tuba). In particolare la tuba si allarga e quindi
risulta pervia quando i muscoli si contraggono ossia durante la deglutizione. L'orifizio
faringeo della tuba uditiva si apre nel rinofaringe, ha forma triangolare con base
inferiore, ed è delimitato dal versante faringeo dal torus tubarius. Da un punto di vista
funzionale, la tuba uditiva ha il compito di drenare nella faringe le secrezioni del cavo del
timpano e di permettere la penetrazione dell'aria dalla faringe, nel cavo del timpano e nelle
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cavità mastoidee. Questa seconda funzione permette alla membrana del timpano di
vibrare in condizioni ottimali: Infatti, l'aria che dalla faringe penetra, per mezzo della tuba,
nel cavo del timpano, equilibra, sulla faccia mediale della membrana timpanica, la
pressione che l'aria contenuta nel meato acustico esterno esercita sulla faccia laterale
della stessa. Un'alterazione della pervietà tubarica provoca perciò alterazioni della
pressione normalmente esistente nel cavo timpano, con conseguente compromissione del
sistema di trasmissione delle onde sonore.

Orecchio interno
L'orecchio interno è costituito dal labirinto osseo, un complesso sistema di cavità scavate
nella piramide del temporale, e dal labirinto membranoso, un insieme di vescicole e
condotti membranosi, delimitati da pareti connettivali, rivestiti internamente da epitelio e
contenuti nelle cavità del labirinto osseo. A separare il labirinto osseo da quello
membranoso si interpone lo spazio perilinfatico, formato da un complesso di fessure fra
loro comunicanti nelle quali è contenuto un liquido, la perilinfa.

Labirinto osseo

il labirinto osseo, collocato nella piramide del temporale, risulta costituito da una parte
posteriore o vestibolare e da una parte anteriore o acustica. Il labirinto posteriore
comprende il vestibolo, i canali semicircolari ossei e l'acquedotto del vestibolo. Il labirinto
anteriore è costituito dalla chiocciola o coclea ossea e dall'acquedotto della chiocciola o
coclea.
Medialmente al labirinto osseo, il meato acustico interno, anch'esso scavato nella
piramide del t.


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• VESTIBOLO:
Si presenta come una piccola cavità di forma ovoidale, posta fra il cavo del timpano e il
meato acustico interno, qui si aprono i canali semicircolari ossei, la finestra ovale, la
chiocciola ossea e l'acquedotto del vestibolo. Nella parete laterale, verso il cavo del
timpano, si apre la finestra ovale. Nella parete superiore si aprono quattro orifizi, quelli
dei canali semicircolari. Nella parete mediale si osservano in alto il recesso ellittico il
cui fondo è la macula cribrosa utricolare (cribrosa perché ha numerosi forellini per il
passaggio delle fibre del nervo utricolare), in basso il recesso sferico il cui fondo è la
macula cribrosa sacculare (anch'essa cribrosa per il passaggio delle fibre del nervo
sacculare); Tra i due recessi vi è la cresta del vestibolo. In prossimità del pavimento si
trova il recesso cocleare che accoglie il cieco vestibolare, la parte iniziale della
chiocciola membranosa e l'orifizio interno dell'acquedotto del vestibolo. La parete
anteriore è occupata da un foro ellittico, orifizio vestibolare della chiocciola. La parete
inferiore o pavimento è percorsa longitudinalmente dalla fessura vestibolotimpanica
che conduce in basso nella cavità sottovestibolare e che si continua in avanti con la
scala timpanica della chiocciola.


• CANALI SEMICIRCOLARI OSSEI:


in numero di 3, laterale, anteriore e posteriore, con forma di condotti ricurvi schiacciati
trasversalmente nei quali si distinguono un braccio semplice ed uno ampollare; il
secondo è cosiddetto perché presenta all'estremità una dilatazione chiamata ampolla
ossea. I bracci semplici del canale semicircolare anteriore e posteriore si fondono a
formare il braccio comune, i bracci ampollari si aprono isolatamente nel vestibolo. I 3
canali sono orientati nei tre piani dello spazio, questo sistema è adatto alla rilevazione da
parte dei recettori ampollari, di accelerazioni angolari date dalla rotazione della testa. I
canali semicircolari anteriore e posteriore sono disposti verticalmente, ortogonali tra loro,
deviati rispetto al piano sagittale di 56° l'anteriore, di 41° il posteriore. Sono perpendicolari
al canale laterale, disposto orizzontalmente su un piano inclinato di 30° in alto e in avanti.

• ACQUEDOTTO DEL VESTIBOLO:



Uno stretto canale che mette in comunicazione le cavità vestibolare con cranica. Ha inizio
nella parte mediale del vestibolo sbocca livello della fossetta ungueale nella faccia postero
mediale della piramide del temporale.

• CHIOCCIOLA OSSEA:
Deve il nome alla sua caratteristica forma, è costituita da un canale osseo, canale spirale,
avvolto attorno ad un asse centrale di forma conica con base verso il fondo del meato a.
interno, detto Modiolo o columella. Medialmente la chiocciola corrisponde al fondo del
meato acustico interno; lateralmente corrisponde alla parete mediale del cavo del timpano.
Il modiolo forma il nucleo centrale della chiocciola; il canale spirale compie attorno ad esso
un giro (decrescente) basale, un giro medio e un giro apicale (incompleto), terminando a
fondo cieco. Il canale spirale viene suddiviso in scala timpanica e scala vestibolare per
la presenza della lamina spirale ossea: questa segue l'andamento del canale aderendo
con un margine al modiolo e terminando libera con l'hamulus; l'intervallo fra il margine
libero della lamina spirale e la superficie interna del canale cocleare è colmato dalla
membrana basilare della chiocciola membranosa, così da dividere completamente la
scala vestibolare e timpanica. Le due scale però comunicano per mezzo di un foro, detto
elicotrema, che precede immediatamente il fondo cieco terminale della chiocciola.
L'elicotrema stabilisce la comunicazione fra la perilinfa della scala vestibolare e la perilinfa
della scala timpanica.
Nello spessore della lamina spirale ossea, lungo il margine che aderisce al modiolo, è
scavato un piccolo canale (canale spirale del modiolo) che segue perfettamente il
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decorso del canale spirale e accoglie il ganglio del nervo cocleare, detto ganglio spirale
di Corti. La base del modiolo si presenta perforata da numerosi orifizi che danno
passaggio ai ramuscoli del nervo cocleare e costituiscono il tractus spiralis
foraminosus. A questi fuori seguono numerosi canali longitudinali scavati nel modiolo che
risultano in continuità con numerosi piccoli condotti che si vanno ad aprire sul margine
libero della lamina spirale ossea, nei cosiddetti foramina nervina. L'insieme di questi
canali contiene i filamenti del nervo cocleare e il relativo ganglio.

ACQUEDOTTO DELLA CHIOCCIOLA:



un esile canale osseo che mette in comunicazione lo spazio perilinfatico della chiocciola
con lo spazio subaracnoidale della fossa cerebellare permettendo il deflusso della
perilinfa. Prende origine dalla parte iniziale della scala timpanica, si dirige in basso e
medialmente, termina a livello della faccia inferiore della piramide del temporale nella
fossetta piramidale.

• MEATO ACUSTICO INTERNO:


è un canale osseo che dalla faccia posteriore della parte petrosa del temporale si dirige in
avanti e lateralmente verso l'orecchio interno e il cui fondo corrisponde alla base della
chiocciola. Contiene il nervo facciale (VII), il nervo vestibolo-cocleare o statoacustico (VIII)
e l'arteria del labirinto (ramo dell'arteria basilare).

Labirinto membranoso

È formato dai tre canali semicircolari membranosi, dall'utricolo, dal sacculo, dal condotto
endolinfatico e cocleare. Si presenta come un insieme di organi cavi comunicanti e
contenenti liquido, endolinfa. Il labirinto membranoso. È contenuto all'interno del labirinto
osseo e separato da questo mediante lo spazio perilinfatico, occupato dalla perilinfa.
Funzionalmente il labirinto membranoso viene distinto in posteriore (comprende i canali
semicircolari membranosi, l'utricolo, il sacculo e il condotto endolinfatico), che opera
nell'informazione propriocettiva statocinetica, e anteriore (il condotto cocleare), che
presiede alla ricezione e alla trasmissione degli stimoli sonori.

• Canali semicircolari membranosi:


sono in numero di tre, posteriore, superiore e laterale. Si trovano nella cavità dei
corrispondenti canali semicircolari ossei, dei quali riprendono la forma e occupano 1/6
della parete eccentrica del labirinto osseo. Le estremità dei canali si aprono nella cavità
dell'utricolo mediante cinque orifizi. (il posteriore e il superiore si fondono dando un orifizio
comune)

• Utricolo e sacculo:
l'utricolo è un organo vescicolare, di forma o ovoidale, lungo 3-4 mm, situato nella parete
superiore del vestibolo a contatto con il recesso ellittico. Riceve i cinque sbocchi dei canali
semicircolari membranosi e presenta medialmente l'orifizio di imbocco del ramo utricolare
del dotto endolinfatico. I recettori neurosensoriali si trovano nella macula dell'utricolo,
zona discoidale situata nella parete mediale dell'organo, in cui l'epitelio di rivestimento si
differenzia in cellule recettrici e di sostegno.
Il sacculo è più piccolo del utricolo situato sotto di questo, a contatto con il recesso sferico.
Presenta medialmente l'orifizio di imbocco del ramo sacculare del condotto
endolinfatico e inferiormente l'orifizio del canale reuniente che lo collega al condotto
cocleare. Sulla superficie interna del sacculo vi è la macula sacculare in cui l'epitelio di
rivestimento si differenzia in cellule recettrici e di sostegno.

• Condotto endolinfatico:
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il ramo sacculare del condotto endolinfatico continua direttamente nel dotto, il cui ramo
utricolare è più sottile e nella parte iniziale presenta la valvola utricoloendolinfatica.
Questa consiste in una piega epiteliale provvista di un'esile impalcatura connettivale. Ha la
funzione di escludere recettori utricolari dall'effetto delle vibrazioni endolinfatiche. Il
condotto endolinfatico è molto sottile e percorre l'acquedotto del vestibolo per terminare
nel sacco endolinfatico situato nella fossetta ungueale sulla faccia posteromediale della
rocca petrosa. Il sacco endolinfatico è un prolungamento intracranico del labirinto
membranoso, è contenuto in una gabbia connettivale molto vascolarizzata e circondata
dalla dura madre. Questo serve a riassorbire l'endolinfa che viene prodotta dalla stria
vascolare della chiocciola membranosa

• Condotto cocleare:
un canale delimitato da pareti connettivali e contenuto nella scala vestibolare del canale
spirale della chiocciola. Soltanto la sua parte iniziale, chiusa a fondo cieco è contenuta nel
vestibolo in cui occupa la fessura vestibolotimpanica. Nel canale spirale occupa una
posizione eccentrica interponendosi fra il margine libero della lamina spirale ossea e la
parete laterale del canale spinale, concorrendo alla separazione di scala timpanica e
vestibolare. Delle due scale la vestibolare comunica con la cavità del vestibolo e con gli
spazi perilinfatici vestibolari, la timpanica comunica con la cavità sottovestibolare. Il
condotto cocleare membranoso ha la forma di prisma triangolare, decorre nella cavità
della scala vestibolare.

Ultrastruttura del labirinto membranoso



La struttura comune a tutto il labirinto membranoso è formata da una tonaca connettivale
esterna e uno strato epiteliale interno. L'epitelio di rivestimento, pavimentoso semplice,
assume in alcune sedi le caratteristiche di un apparato recettoriale per la raccolta di
stimolazioni cinetiche. Nella superficie interna di ciascuna ampolla dei canali semicircolari
interni, epiteli si solleva in alcune formazioni disposte perpendicolarmente all'asse del
canale chiamate creste ampollari, in cui si trovano le terminazioni del nervo vestibolare.

La cresta ampollare è costituita da due tipi cellulari:
• cellule di sostegno: alte e prismatiche, si interpongono tra il secondo tipo cellulare
• cellule cigliate, morfologicamente si distinguono due tipologie: cellule ciliate di tipo
1, aventi la forma di ampolla, invaginate per la maggior parte del loro volume nelle
terminazioni afferenti a forma di calice, le quali sono raggiunte da terminazioni sinaptiche
di natura efferente; E le cellule ciliate di tipo 2, di forma cilindrica, con elementi sensoriali
di dimensioni minori, stabiliscono terminazioni sinaptiche a livello del polo basilare sia
efferenti sia afferenti.
Entrambe le tipologie presentano nell'estremità distale un pelo acustico, costituite da
stereociglia e chinociglio, che presenta la tipica organizzazione delle ciglia vibratili, una
coppia di microtubuli centrali e nove coppie periferiche. Il pelo acustico penetra in una
formazione gelatinosa, cupola ampollare, che sovrasta il lume dei canali semicircolari. La
maggior parte delle cellule cigliate riceve innervazione efferente da neuroni del tronco, i
cui assoni formano bottoni sinaptici estesi sulla superficie delle cellule di tipo 1. Per quanto
riguarda utricolo e sacculo, essi sono costituiti da un epitelio semplice di cellule piatte, che
si differenzia a livello delle macule. Esse hanno struttura analoga alle creste ampollari, la
zona sensitiva di ciascuna macula è coperta dalla membrana otolitica, una lamina
gelatinosa che accoglie gli elementi sensoriali delle cellule ciliate (i peli acustici) e in
superficie presenta otoconi, piccoli aggregati di Carbonato di calcio. La massa degli otoliti
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viene comunemente messa in movimento da accelerazioni lineari o dalla forza di gravità:
ciò determina una modificazione della posizione reciproca della membrana otolitica e delle
ciglia in essa immerse che subiscono pertanto una deflessione in grado di generare una
risposta elettrica nelle cellule ciliate.

Il canale spirale osseo è suddiviso nelle due scale, vestibolare e timpanica, da un setto
osteomembranoso, formato dall'unione della lamina spirale con la membrana basilare, la
quale forma la maggior parte della parete timpanica della chiocciola membranosa. Le due
parti hanno varia estensione nei diversi giri della chiocciola; dal giro basale a quello
apicale, dall'esterno verso l'interno, la membrana basilare si ispessisce a discapito della
lamina spirale. Le pareti che delimitano il labirinto osseo sono rivestite internamente da
uno strato di periostio, il quale si ispessisce in diversi punti. In corrispondenza del condotto
cocleare, va a costituire la sua parete esterna prendendo il nome di legamento spirale.

Quest'ultimo alle due estremità si solleva formare due creste, una cresta di inserzione
per la membrana basilare e l'altra cresta di inserzione per la membrana vestibolare o di
Reissner. Tra le due, esternamente si fa sporgente una porzione di periostio che prende il
nome di prominenza spirale, al quale, internamente, corrisponde, in posizione più bassa,
una depressione chiamata solco spirale esterno. Il canale cocleare membranoso, di
forma complessivamente triangolare, è costituito da una parete esterna (periostio) in
corrispondenza della quale, internamente, si trova la stria vascolare, una zona della
parete fortemente vascolarizzata; da una parete anteriore, tappezzata internamente dalla
membrana vestibolare, e da una parete timpanica, costituita in gran parte da membrana
basilare.

- La parete esterna: in corrispondenza del solco spirale esterno, abbiamo un epitelio


isoprismatico semplice; in corrispondenza della stria vascolare, un epitelio stratificato, le
cui cellule superficiali hanno forma cilindrica, l'irrorazione è garantita dall'arteria cocleare.

- La parete anteriore/vestibolare, con la sua membrana, costituita da una sottile lamina di


connettivo e un epitelio monostratificato pavimentoso.

- La parete timpanica: il lembo spirale è rivestito da cellule epiteliali alte che, nel solco
spirale, diventano cubiche; la membrana basilare è costituita da una serie di strati
connettivali: strato limitante (lamina basale), strato intermedio (comprendenti le corde
acustiche, fibre connettivali) e lo strato timpanico (connettivo lasso).

La lunghezza delle corde acustiche aumenta verso l'interno. Un altro ispessimento del
periostio si osserva in corrispondenza del setto osteomembranoso, sulla faccia della
lamina spirale ossea. Tale ispessimento, lembo spirale, che si riduce progressivamente in
direzione della cupola, presenta numerosi solchi e sporgenze sulla superficie superiore,
denominati denti acustici. Lateralmente ad essi, si trova il solco spirale interno, una
doccia regolare e concava, costituito da un labbro superiore vestibolare e uno inferiore
timpanico. Il labbro superiore presenta, medialmente, i denti acustici e lateralmente una
formazione cuticolare, membrana tectoria. Il labbro timpanico continua con la membrana
basilare, dando passaggio ai rami periferici del ganglio cocleare diretti all'organo del Corti
(foramina nervina). La membrana tectoria, costituita da una serie di fibrille tenute insieme
da mucopolisaccaridi, ha la funzione di proteggere l'organo del Corti; con esso viene
messa in movimento dalla vibrazione della membrana basilare, in risposta ad uno stimolo
sonoro. L'endolinfa contenuta negli spazi sottostanti alla membrana (spazi di Nuel,
galleria del Corti, solco spirale interno) ha una composizione ionica differente rispetto a
quella degli altri compartimenti del labirinto. Quest'ultima è costituita prevalentemente da
potassio, mentre la prima da sodio; composizione che risulta funzionale per la
depolarizzazione del nervo cocleare con il quale ha stretto rapporto.

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Organo del Corti


Esso risulta dalla differenziazione dell'epitelio di rivestimento del canale cocleare che
sovrasta la membrana basilare e la sua funzione è quella di analizzare i suoni, i quali al
livello della chioccola vengono trasformati in vibrazioni dalla perilinfa ed endolinfa.

Risulta formato da due tipologie di cellule:

1) Cellule di sostegno, che formano l'impalcatura dell'organo:

• I pilastri del Corti: cellule alte, rigide, dove si distingue un piede, che insiste sulla
membrana basilare, un corpo di forma allungata e una testa. Essi sono orientati in modo
da avere un contatto nell'estremità , restando distanziate alla base. Questa particolare
posizione è funzionale alla creazione della galleria del Corti;
• Le cellule di Deiters: sono cellule aventi un corpo prismatico, che, salendo verso il
lume apicale, si assottiglia, per terminare con una espansione detta falange. Fra le falangi
si creano degli spazi, nei quali si inseriscono le porzioni terminali delle cellule acustiche.
Fra i pilastri e le cellule di Deiters, esistono spazi intercellulari, spazi di Nuel, attraversati
da fibre nervose. Essi non raggiungono la superficie apicale, grazie alla particolare forma
delle cellule si crea una membrana reticolare, che favorisce il contatto fra le stereociglia
e la membrana tectoria;
• le cellule di Hensen: elementi di sostegno, successivi alle cellule di Deiters, di
altezza rapidamente decrescente;
• le cellule di Claudius: esternamente alle cellule di Hensen, costituiscono un
epitelio monostratificato Isoprismatico.

2) Cellule sensoriali, la cui parte apicale risulta immerso in un liquido separato dagli altri
grazie a giunzioni serrate. Le cellule sensoriali vengono distinte in:
• cellule acustiche interne: in posizione mediale rispetto alla galleria del Corti,
hanno un aspetto cilindrico, con stereociglia nella porzione apicale disposte a formare una
V o una U.
• cellule acustiche esterne: molto più numerose, disposte lateralmente alla galleria,
presentano molte più stereociglia (nè le interne nè l'esterne presentano chinociglio )


La membrana baso-laterale delle cellule acustiche presenta numerose terminazioni pre-


sinaptiche, sia con significato afferente che efferente. La tipologia varia in base alla cellula
raggiunta; le cellule interne ricevono per la maggior parte fibre afferenti, cellule gangliari
del I tipo (neurone bipolare), provenienti dal ganglio di Corti; da quest'ultimo si dipartono
anche poche fibre che raggiungono le cellule esterne e che sono costituiti da cellule
gangliari di tipo II (neurone pseudounipolare). L'innervazione efferente appare
complementare a questa, le interne ricevono un'innervazione modesta al contrario delle
esterne.


Vascolarizzazione

La vascolarizzazione arteriosa del labirinto membranoso è data dall'arteria uditiva
interna, ramo del tronco basilare, che percorre il meato acustico interno e si suddivide in
arteria vestibolare, arteria vestibolo-cocleare e arteria cocleare. Il sangue venoso del
labirinto membranoso segue tre vie di deflusso, attraverso la vena uditiva interna, la
vena dell'acquedotto della chiocciola, e le vene dell'acquedotto del vestibolo.

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Funzionamento dell’orecchio

L'orecchio interno è costituito da tre cavità che formano un unico complesso che prende il
nome di labirinto. Le proporzioni del labirinto sono il vestibolo, i canali semicircolari e la
chiocciola. All'interno del labirinto c'è una sostanza liquida, perilinfa, ricca di ioni sodio;
sospeso nel labirinto c'è il labirinto membranoso contenente un altro fluido, endolinfa, un
liquido più denso della perilinfa ad elevata concentrazione di ioni potassio. Il Vestibolo si
estende fra i canali semicircolari e la coclea, composta da tre canali (scala vestibolare,
condotto cocleare e scala timpanica) divisi da due membrane che si estendono
longitudinalmente: la membrana basilare e la membrana vestibolare.

Il canale mediano è il condotto cocleare pieno di endolinfa, ai suoi lati ci sono il canale
vestibolare e il canale timpanico pieno di perilinfa. Sulla membrana basilare (la membrana
che contribuisce a separare le due scale estendendosi dal margine libero della lamina
spirale ossea alla parete interna fatta di periostio del canale spirale osseo) si estende il
vero proprio organo uditivo: l'organo del Corti che possiede una grande varietà cellulare
fra cui delle particolari cellule cigliate che posseggono tra 100-200 stereociglia ed un unico
chinociglio, che entrano in comunicazione sinaptica con le fibre dell'VIII nervo cranico, il
nervo acustico.  Sulla membrana di queste cellule vi sono dei canali per il Na+ chiusi in
condizione di riposo. Le onde sonore vengono convogliate attraverso il padiglione
auricolare al canale uditivo che funge da risonatore acustico. Attraverso il canale uditivo il
suono raggiunge la membrana timpanica che per effetto delle onde sonore vibra; a questo
punto tale energia meccanica viene propagata attraverso i tre ossicini dell'orecchio medio,
incudine, martello e staffa, alla finestra ovale che si apre nell'orecchio interno. Il timpano
ha un'estensione di superficie 17 volte maggiore di quella della finestra ovale quindi la
pressione che agisce a livello della finestra ovale dovrebbe essere 17 volte più elevata di
quella che agisce sulla membrana del timpano. In realtà l'incremento è ancora maggiore a
causa di una leva angolare realizzata dal martello e dall'incudine: l'amplificazione
raggiunge infatti un valore 22 volte più alto rispetto alla pressione iniziale. Il gradiente
pressorio che si forma induce la vibrazione della membrana basale (dopo che la staffa
penetra nella finestra ovale e fa spostare la perilinfa) che fa oscillare le ciglia delle cellule
dell'organo del Corti. Lo stimolo meccanico induce l'apertura dei canali per il Na+ → le
cellule del Corti sono bagnate dalla cortilinfa, un particolare il liquido che come
composizione si avvicina alla perilinfa (e quindi ricco di ioni sodio), quindi per gradiente
chimico il sodio entra nelle cellule generando la depolarizzazione che induce un cambio di
carica intracellulare che apre canali per il Ca++;  questo viene liberato nel citoplasma
inducendo l'apertura delle vescicole contenenti neurotrasmettitori che vengono riversate
per esocitosi all'esterno. Le cellule sono in comunicazione sinaptica con l'VIII paio di nervi
cranici. L'impulso giunge così al sistema nervoso centrale.

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Il sistema endocrino
Oltre a tutte le ghiandole endocrine (organi anatomicamente ben definiti) ci sono una serie
di cellule endocrine che sono sparse in tutto l’organismo: nella via aerea (superiore e
inferiore) e nel tratto digerente (da stomaco in giù).

Ipofisi
Un tempo era definita come la “regina delle ghiandole endocrine”. Sebbene sia vero che è
la ghiandola che sta a capo di tutte le altre, ciò non vuol dire che sfugga a qualunque tipo
controllo. L’ipofisi è difatti
controllata dall’ipotalamo, ma
anche dalle altre ghiandole
tramite meccanismi a feedback
(informazioni di ritorno). L’ipofisi
quindi raccoglie i feedback (sia
positivi che negativi) in modo da
accentuare o frenare la sua
attività (a seconda delle
necessità).
Ha una forma
approssimativamente sferica
con 9-10 mm di diametro ed è
localizzata nella sella turcica: una fossa scavata nella faccia superiore del corpo dello
sfenoide.
La sella turcica è chiusa superiormente da una dipendenza delle meningi: il diaframma
della sella. Il diaframma della sella però presenta un foro dal quale passa il peduncolo
ipofisario; questa struttura è in parte costituita da parenchima ipofisario, in altra parte da
vasi che sono rami delle arterie ipofisarie (provengono dalla carotide interna o dal ramo
comunicante posteriore, in parte dalla coroidea anteriore). Questi vasi diventano parte
stessa del peduncolo. L’ipofisi è distinta in due porzioni: adenoipofisi, anteriore e
neuroipofisi, posteriore. La colorazione con la base periodica di Shiff (PAS) colora con
una gradazione dal blu al rosso intenso la parte anteriore della ipofisi (adenoipofisi). La
neuroipofisi invece è meno colorata.

Neuroipofisi
Dal punto di vista del parenchima, il peduncolo è fatto di assoni i cui pirenofori si trovano
nell’ipotalamo (nucleo sopraottico e il nucleo paraventricolare).
Dall’ipotalamo partono assoni che si raggruppano a formare un unico fascio (che diventa
parte integrante del peduncolo stesso) e alla fine si ramifica diventando parte integrante
della neuroipofisi. I fasci di fibre provenienti dall’ipotalamo, oltre che a contribuire a
formare la neuroipofisi stessa, fanno sinapsi con dei capillari.

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Questo avviene perché le fibre non sono altro che assoni facenti capo a cellule nervose
neurosecretorie. Le cellule neurosecretorie non inviano impulsi elettrici ma, al contrario,
lungo i loro assoni vengono trasportati granuli di secrezione che, al bisogno, sono
immessi nel circolo della neuroipofisi (nei capillari).
Gli ormoni secreti dalla neuroipofisi sono l’ADH (o vasopressina) e l’ossitocina (sono
ormoni prodotti dall’ipotalamo ma rilasciati nel torrente circolatorio dalla neuroipofisi).
La neuroipofisi non è solo fatta di assoni e capillari, ma anche di un tipo particolare di
cellule della glia che si chiamano pituiciti. Il pituicita non è altro che un astrocita e svolge
le stesse funzioni tipiche di questa tipologia cellulare.

Adenoipofisi
E’ fatta di cellule di natura entodermica (derivano dalla primitiva tasca faringea).
L’adenoipofisi è un pezzo di epitelio faringeo che, invece di tappezzare il tetto del faringe,
è stato preso dal corpo dello sfenoide e trasformato in questa struttura.
Gli interventi alla adenoipofisi si fanno attraverso il naso, accedendo tramite la cavità
nasale. In alcune malformazioni accade che c’è comunicazione tra la sella turcica (ipofisi)
e il tetto del faringe stesso. E’ chiaro però che l’adenoipofisi non è mucosa del faringe: le
cellule qui presenti sono altamente specializzate e differenziate. Le cellule dell’adenoipofisi
possono essere distinte in due categorie fondamentali:

- Cellule cromofile: quelle affini al colorante (PAS ad esempio); elaborano e


stoccano gli ormoni.
- Cellule cromofobe: quelle che non si colorano, appaiono chiare (si colora solo il
nucleo); NON producono ormoni.
Le cellule cromofile sono quelle attive dal punto di vista endocrino: quelle che elaborano e
stoccano, sotto forma di granuli di secrezione, ormoni di natura proteica (sono TUTTI di
natura proteica).
Al contrario, per quanto riguarda le cellule cromofobe, alcune sono cellule funzionalmente
a riposo (fase di quiescenza), altre sono cellule follicolo-stellate (somigliano molto agli
astrociti e si ritiene abbiano analoga funzione di supporto e trofica). Quindi NON
producono ormoni.
Le cellule cromofile che si colorano in blu, in genere elaborano ormoni proteici con carica
complessiva positiva (basici); mentre le cellule che si colorano dal versante rosso/violetto
(e poi anche giallo) sintetizzano ormoni glicoproteici con carica complessiva negativa
(acidi). Non è assolutamente vero che una cellula si specializzi nella produzione di un
unico secreto: in realtà ne possono produrre due come anche 3. In questa ottica tutte le
classificazioni sulle cellule cromofile fatte in passato, vengono a decadere.
E’ importantissimo però, sapere quali sono gli ormoni prodotti da queste cellule cromofile
dell’adenoipofisi. Questi ormoni non solo agiscono sulle altre ghiandole, ma alcuni
agiscono direttamente su cellule diffuse nell’organismo:

- Ormone della crescita (GH) o somatotropo (STH): il bersaglio del GH è


fondamentalmente l’epatocita del fegato (che può essere anche considerato come
una ghiandola endocrina). Sotto stimolazione da parte dell’ormone somatotropo,
l’epatocita sintetizza tra l’altro, quei fattori di crescita che sono chiamate
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somatomedine (IGF1-IGF2). Sono fattori indispensabili per permettere
l’allungamento delle ossa lunghe da cui poi dipende l’altezza del soggetto. Il GH è
quindi indirettamente importantissimo per l’accrescimento osseo. In aggiunta le
somatomedine hanno come bersaglio anche le fibre muscolari: sono fattori
necessari un po’ per la formazione del muscolo stesso, ma soprattutto per la
ipertrofia muscolare (aumento di massa, e quindi volume, della singola miofibra).
[Negli anziani c’è una condizione chiamata sarcopenia che si traduce in una
diminuzione della massa muscolare, debolezza motoria e predisposizione alla
stanchezza. Questo perché c’è sia una minore attività dei fattori di crescita sia le
cellule staminali muscolari rispondono di meno agli stimoli. Alcuni atleti fanno uso di
GH per aumentare la forza muscolare. Tuttavia un eccesso di questo ormone può
causare il cancro del fegato. Uno degli effetti delle somatomedine è quello di
stimolare la proliferazione cellulare: dovendo infatti creare una grande fibra
muscolare è necessario fondere moltissimi mioblasti. Però, prima di fondersi, questi
ultimi si devono moltiplicare svariate volte, al fine di raggiungere il numero
necessario. L’attività di moltiplicazione cellulare è stimolata proprio dalle IGF. Una
grossa presenza di somatomedine in circolo innesca una proliferazione
incontrollata. Allora, nel caso in cui fosse presente una cellula staminale con natura
tumorale, essa si replicherebbe in maniera incontrollata, dando vita al cancro. Un
eccesso endogeno di GH nell’età dell’accrescimento può portare ad eccessiva
altezza (allungamento che riguarda non solo ossa lunghe, ma anche ossa corte e
piatte come quelle delle mani e del massiccio facciale) sindrome nota come
acromegalìa (letteralmente testa grande). Al contrario, un deficit di ormone della
crescita, durante l’infanzia e l’adolescenza, produce il nanismo armonico (miniatura
di un maschio o di una femmina). Il soggetto matura sessualmente, ma rimane alto
1 metro o 1,10 metri al massimo. C’è minore effetto dell’ormone sia a livello osseo
che a livello muscolare. E’ detto armonico perché l’individuo risulta abbastanza
proporzionato e perché esiste anche il nanismo disarmonico: il soggetto appare con
gambe storte ed un volto con forme caratteristiche (si somigliano tutti un po’ come
nella sindrome di down). L’individuo risulta tozzo e basso non perché gli arti siano
corti, ma perché c’è stato un difetto di ossificazione (che non dipende da GH, ma
dagli ormoni tiroidei). Questo vuol dire che è durato troppo a lungo il periodo
cartilagineo (a scapito della ossificazione); la cartilagine sopporta poco il peso e
tende ad incurvarsi, quindi a seguito dell’ossificazione le ossa risultano storte].

- Ormone tireotropo (TSH): ormone stimolante la tiroide.


- Ormone adrenocorticotropo (ACTH) : ormone che stimola la corticale del
surrene.
- MSH (della stessa famiglia dell’ACTH): ormone che stimola i melanociti (in realtà
nell’uomo non ci sono molte cellule che producono questa tipologia di ormone).
Queste cellule hanno come bersaglio i melanociti i quali si trovano nel derma
dell’organismo. Nella vitiligine o vitiligo c’è un problema di produzione di melanina.
- Ormone follicolo-stimolante (FSH): ha a che fare con la sfera sessuale in senso
lato. Il follicolo-stimolante si chiama così in quanto, nella femmina, permette la

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maturazione del follicolo. Anche l’uomo produce FSH, ma la funzione ovviamente
non è la stessa in quanto non ci sono follicoli.
- Ormone luteinizzante (LH): presente nella femmina; l’analogo maschile è
chiamato ICSH (Ormone che stimola le cellule interstiziali di Leydig del testicolo).
- Prolattina (LTH): indispensabile per la produzione di latte dopo il parto. Una cosa è
la produzione, un’altra è la secrezione: le due funzioni sono regolate da ormoni
diversi (produzione: prolattina ; secrezione: ossitocina). Sebbene sia inutile, la
prolattina è presente anche nell’uomo.

Tiroide
E’ una ghiandola endocrina la cui secrezione è regolata dal TSH, ormone tireotropo
tireostimolante. Appare con un colorito roseo e una consistenza morbida dal momento che
è un organo parenchimatoso, ricco di cellule di origine epiteliale ed è molto vascolarizzato.
La tiroide è circondata da una capsula connettivale sottile che manda internamente dei
sepimenti i quali dovrebbero in qualche modo dividerla in
lobuli con morfologia varia; la struttura è difatti definibile
lobulare ma non è di tipo rigorosamente modulare. I setti
connettivali rappresentano il veicolo di vasi e nervi.
In sezione, usando ematossilina-eosina, è costituita da
spazi vuoti circondati da cellule. Utilizzando invece la base
periodica di Shiff, che colora glicoproteine, si osserva che
gli spazi sono in realtà riempiti da una sostanza amorfa
circondata da un monostrato di cellule epiteliali chiamate
cellule follicolari o tireociti.
In sezioni seriate le dimensioni del buco possono
diminuire, fino a scomparire; questo fa intendere che
ognuno di questi spazi è la sezione trasversa di un ovoide
che prende il nome di follicolo tiroideo. Per quanto detto
la tiroide è una ghiandola follicolare. L'unità anatomofunzionale di questa ghiandola è il
follicolo: una struttura tridimensionale ovoidale la cui parete è fatta da un monostrato di
tireociti o cellule follicolari; l’epitelio va a contenere la colloide (sostanza amorfa).
Non è corretto dire che un follicolo confina con un altro (si applica lo stesso concetto
precedentemente usato per definire il lobulo epatico); ogni follicolo è infatti circondato da
un sottile strato connettivale che unisce e separa follicoli adiacenti e, allo stesso tempo ha
la funzione di veicolare vasi. La colloide è un ammasso di tireoglobulina, una delle
proteine più grosse sintetizzate (pesa intorno ai 450 kDalton); prodotta esclusivamente dai
tireociti e anche segregata: non entra MAI nel sangue (se entrasse in circolo il sistema
immunitario la identificherebbe come non-self). La tireoglobulina è sintetizzata dai tireociti
ed è immessa dagli stessi nello spazio delimitato dalla parete del follicolo. La quantità di
colloide, per follicoli in sezione di dimensioni paragonabili, non risulta costante e varia
durante le 24h.
La stessa morfologia delle cellule follicolari non è costante: variano infatti in altezza; da un
epitelio quasi cilindrico si arriva ad uno piatto (ciò dipende dalla quantità di colloide
contenuta nel follicolo). Quando vi è poca colloide l’epitelio è cilindrico, quando ve ne è
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molta appare piatto. Facendo più di un prelievo di tiroide in un soggetto che dorme di notte
ed è sveglio di giorno, ad orari differenti, si registra che il massimo di lunghezza del
tireocita e quindi la minima quantità di colloide si ha durante la sera; viceversa la massima
quantità di colloide ed il minore spessore del tireocita si ha poco prima del risveglio al
mattino. Si potrebbe quindi ipotizzare che durante lo stato di veglia o si produce meno
colloide o la si consuma ad esaurimento; viceversa durante il sonno i follicoli si ricaricano
di colloide e l’epitelio si appiattisce. La quantità di colloide visibile in ogni follicolo è la
somma algebrica di due eventi: è il bilancio tra biosintesi (produzione) di tiroglobulina e
smaltimento della stessa.
I tireociti hanno un enorme reticolo endoplasmatico rugoso e uno sviluppato apparato di
Golgi: ciò testimonia una grande produzione proteica ed un’intensa attività di glicosilazione
proteica (difatti la tireoglobulina è glicosilata, tanto da colorarsi con la base periodica di
Shiff). Attraverso il sangue arriva TSH che agisce attraverso recettori di superficie (posti a
livello della membrana abluminale o baso-laterale); questi trasducono segnali tali per cui il
tireocita comincia a sintetizzare tireoglobulina. Ciò significa che i recettori per l’ormone
tireotropo apportano modificazioni a livello del nucleo innescando cascate di fosforilazione.

Il TSH ordina quindi al tireocita la produzione di tireoglobulina la quale, attraverso diversi


passaggi arriva al Golgi dove viene glicosilata. Mentre da un lato il tireocita provvede alla
glicosilazione della tireoglobulina, sempre sotto l’azione della tireotropina, ingloba inoltre lo
ioduro sciolto nel sangue, sostanza volatile che viene introdotta con la dieta sotto forma di
iodio (l’aria in prossimità del mare ne è ricca). Delle perossidasi, enzimi fortemente
ossidativi, ossidano gli ioduri assunti dai tireociti in iodio molecolare.
Enzimi appropriati applicano agli anelli benzenici di due molecole di tirosina (amminoacidi
della tireoglobulina) contigue, l’una speculare rispetto all’altra, uno o due atomi di iodio
formando rispettivamente monoiodiotirosina o diiodiotirosina. Non succede mai, o
comunque è inutile da un punto di vista funzionale, che vi siano due molecole di
monoiodiotirosina contigue: si presentano infatti due diiodiotirosine oppure una
monoiodiotirosina ed una diiodiotirosina. [Il tireocita ingloba il 99% di iodio introdotto
dall’organismo; questo ha importanza nella diagnosi. Iniettando in un soggetto dello iodio
radioattivo, lo iodio 131 (con un tempo di dimezzamento di 8gg), si effettua la scintigrafia
della tiroide che permette di visualizzare la tiroide e il suo stato di attività. Mettendo inoltre
a punto un sistema di pseudocolori con una scala dal rosso al blu, (il rosso indica un’alta
attività, il blu una bassa attività) si ha una mappatura della tiroide con una distribuzione del
colore rosso nella parte centrale e del blu in periferia. Qualsiasi distorsione di questa
condizione è indice di malfunzionamento (ipotiroidismo, ipertiroidismo, noduli caldi o noduli
freddi)].
I tireociti vanno a legare poi lo ioduro alla stessa tireoglobulina: ciò spiega il fine della loro
intensa attività di ricaptazione di questa sostanza dal flusso ematico. La colloide è quindi
costituita da tireoglobulina iodata e glicosilata. Il tireocita quindi fabbrica la tireoglobulina e
la glicosila mentre assume contemporaneamente ioduro; lo ioduro viene perossidato a
iodio organico (I2) all’interno cellula e, tramite alcuni enzimi, viene poi legato alla
tireoglobulina in maniera specifica. Lo iodio NON viene legato a tutte le tirosine della
tireoglobulina, ma soltanto ad alcune di esse.

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Interviene inoltre un enzima di condensazione che unisce i due anelli benzenici per mezzo
di un legame covalente. A questo punto la tireoglobulina iodata è pronta per essere
asportata e, tramite il Golgi viene immessa nel lume del follicolo; per questo motivo nel
follicolo si trova tireoglobulina iodata.
Lo stesso TSH che ha indotto i tireociti alla produzione di tireoglobulina, alla sua
glicosilazione e alla iodazione, porta la cellula ad assumere, per pinocitosi, goccioline di
colloide a livello luminale; la sostanza pinocitata incontra un lisosoma (organulo ricco di
enzimi litici, in particolare proteasi) con il quale si fonde, formando il cosiddetto
fagolisosoma. La colloide viene quindi a contatto con enzimi litici; la tireoglobulina quindi
viene scissa in amminoacidi (4'000 ca. per molecola) i quali vengono per la gran parte
riciclati. Il contatto fra la tireoglobulina iodata e gli enzimi lisosomiali inoltre, causa la
scissione di una delle catene laterali dell’anello benzenico; in questo modo si forma un
nuovo composto chimico, la tironina, costituita da una catena laterale e due anelli
benzenici comprendenti tre o quattro molecole di iodio: rispettivamente si ha una
triiodiotironina (T-3) o una tetraiodiotironina (T-4). La triiodiotironina è l’ormone
biologicamente più attivo fra i due. T-3 e T-4 vengono poi immessi nel sangue o nei
capillari linfatici e rappresentano i due ormoni tiroidei.
Questi ormoni viaggiano nel sangue, in genere legati ad albumina (in questo modo la loro
emivita, ossia il tempo necessario affinchè la loro quantità si dimezzi durante
l’eliminazione, è notevolmente allungata), e sono diretti a tutte le cellule (alcune assumono
più ormone tiroideo); i recettori per queste molecole sono citoplasmatici e non di
membrana (analogamente agli ormoni cortisonici). La quantità di tireoglobulina presente
nel follicolo è quindi la somma algebrica di due eventi: la biosintesi e la sua ricaptazione
per pinocitosi (per formare T3 e T4); il tutto regolato dal TSH e dal simpatico. Nella tiroide
può succedere che vi siano zone con follicoli con molta colloide e follicoli con poca
colloide.

Funzione degli ormoni tiroidei


Questi ormoni hanno funzioni diverse a seconda che si stia parlando di un feto, di un
neonato, di un bambino o di un adolescente; oppure che si stia parlando di un adulto. Nel
primo caso, specialmente in feti infanti ed adolescenti, gli ormoni hanno tre funzioni:

- Permettono la corretta maturazione del SNC: soggetti nati senza tiroide o con
ipotiroidismo congenito o con disturbi di tiroide, sviluppano un disturbo della
maturazione del SNC, in particolare della massa encefalica, portando a cretinismo
da ipotiroidismo.
- Contribuiscono al corretto accrescimento staturale: mentre un difetto di GH porta
ad un nanismo di tipo armonico, in questo caso si arriva a difetto di osteogenesi
(permane cartilagine più a lungo in zone di accrescimento osseo) e si ha gambe
storte, arti lunghi, nanismo (dovuto in gran parte al fatto che le ossa lunghe sono
arcuate), una faccia allungata, uno splancnocranio ampio e delle mani molto grandi.
- Nel caso di ipotiroidismo in adulti, si ha una continua sensazione di freddo e
sonnolenza, lentezza cognitiva con tendenza ad aumentare di peso; questo perché
T3 e T4 agiscono anche a livello dei mitocondri attuando la dissociazione della

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fosforilazione ossidativa: gli ormoni tiroidei sono agenti dissocianti. Questo significa
che l’energia, invece di essere immagazzinata sotto forma di ATP, viene in gran
parte utilizzata per produrre calore (causa quindi una minor produzione di ATP). In
un ipotiroideo quindi vi è meno produzione di calore; viceversa un ipertiroideo
produce un eccesso di calore ma un difetto di ATP (condizione problematica perché
l’organismo necessita molta quantità di energia per autosostentarsi, a partire dalla
pompa elettromeccanica del cuore). In condizioni di quiete una quota parte di
energia è trasformata in ATP ed utilizzata per sostenere il metabolismo basale (900
Kcal); la restante parte viene trasformata in calore. Gli ormoni tiroidei allora, sotto lo
stimolo del TSH, assicurano il metabolismo di base (ovvero il consumo di 900Kcal).
N.B: L’ipotiroidismo influenza il metabolismo in toto. Per questo motivo va fra le
altre cose, a causare sonnolenza e fiacchezza nel paziente. Dormendo si accumula
colloide, stando svegli la si consuma.

Oltre alla regolazione di TSH vi è quella del sistema simpatico: i tireociti hanno una ricca
innervazione simpatica. La stimolazione del simpatico cervicale avviene sotto l'azione
dell’ipotalamo attraverso il fascicolo longitudinale dorsale, della sostanza reticolare o del
fascio ipotalamo-spinale. Il simpatico prevale durante la veglia causando, tra l’altro, un
aumento della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa. Il consumo di colloide,
durante il giorno, supera la biosintesi della stessa. Nel caso di basse temperature ad
esempio, i recettori cutanei del freddo mandano l’informazione all’ipotalamo tramite la via
spinoreticolare o spinomesencefalica; questo attiva ancora di più il simpatico il quale a sua
volta riduce l’irrorazione cutanea, in maniera da diminuire la quantità di sangue più
esposta alla superficie, ed agisce sulla tiroide aumentando il ritmo di pinocitosi, favorendo
così la riduzione della colloide e la produzione di T3 e T4 (in modo da aumentare la
dissociazione della fosforilazione ossidativa). I follicoli tiroidei subiscono quindi una doppia
azione: quella del TSH e quella del sistema simpatico; il primo agisce nelle 24h a diversa
intensità mentre, il sistema simpatico è iperstimolato al bisogno. Il TSH influenza la
biosintesi e la demolizione della colloide (stimolando i tireociti a riassorbire tireoglobulina
dal follicolo), il simpatico invece stimola solo e soltanto la pinocitosi e la degradazione
della tireoglobulina, in
modo da far immettere
in circolo più T3 e T4.
In tutte le condizioni in
cui prevale il simpatico
si ha aumento di
liberazione di T3 e T4
con conseguente
aumento del
“carburante” utilizzato
per produrre calore.
Tra le altre cose la
tiroide è importante ai
fini del mantenimento
della temperatura
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corporea. Nell’ipotiroidismo dell’adulto il soggetto sente freddo, tende alla sonnolenza e vi
è accumulo di matrice extracellulare e riserve di grasso. Nell’ipertiroidismo viceversa, vi è
intenso consumo di grasso e proteine nobili dei muscoli scheletrici (con conseguente
diminuzione della massa magra oltre che della massa grassa). L’ipertiroideo ha sempre
caldo e può sviluppare cardiomiopatia tireotossica che se non curata porta a morte. Un
eccesso di ormoni tiroidei porta ad un’eccessiva produzione di calore a scapito dell’ATP,
molecola necessaria alla contrazione muscolare e quindi anche alla sistole cardiaca.
Durante il sonno prolungato si accumula colloide perché la biosintesi prevale sulla
demolizione. Dopo circa due o tre ore di sonno, proprio perché il simpatico è spento, c'è
meno stimolo per il tireocita a demolire la colloide; vi è soltanto lo stimolo di base
innescato dal TSH ma manca la stimolazione simpatica aggiuntiva. Demolendo meno
colloide si immette in circolo meno T3 e T4 che agiscono anche in via di feedback a livello
dell’ipotalamo. In particolare gli ormoni tiroidei hanno come bersaglio quei nuclei
ipotalamici da cui dipende la liberazione di fattori di rilascio che agiscono sull’adenoipofisi,
specificatamente sulle cellule da cui dipende la liberazione di TSH.

A livello dell’ipofisi si ha un secondo esempio di circolo portale: il sistema portale


ipotalamo-ipofisario; le arterie ipofisarie superiori irrorano il peduncolo ipofisario
(quindi anche l’ipotalamo) e si capillarizzano. In questi capillari ipotalamici vengono
immessi fattori dal bassissimo peso molecolare (tripeptidi o tetrapeptidi) i quali finiscono
poi in venule; queste venule infine scendono, sfruttando il peduncolo ipofisario, nella
adenoipofisi e si ricapillarizzano. Una quota parte dei capillari che si trovano
nell’adenoipofisi deriva da arterie ipofisarie inferiori (servono per il nutrimento); un’altra
parte deriva invece da quelle venule che provengono dai capillari che erano nell’ipotalamo.
Questi fattori di rilascio prodotti dall’ipotalamo, arrivati in adenoipofisi diffondono
passivamente ed agiscono su cellule per regolarne la secrezione; la liberazione di questi
fattori da parte dell’ipotalamo NON è costitutiva, ma è regolata dalle necessità. Durante il
sonno ad esempio, si spegne il simpatico quindi si riduce la pinocitosi e il tasso ematico di
T3 – T4 risulta notevolmente calato: difatti durante il sonno bisogna coprirsi. L’ipotalamo
legge questa diminuzione ematica di ormoni tiroidei come una carenza di produzione degli
stessi; di conseguenza immette nel circolo ipotalamo-ipofisario il fattore di rilascio per il
TSH che, in adenoipofisi, agisce sulle cellule a tireotropina stimolandole a secernere.
Durante il sonno quindi, sebbene si abbia un basso livello ematico di T3 – T4, si ha
un’elevata quantità di TSH circolante. Il TSH agisce sui tireociti stimolandoli sia a produrre
più colloide che a demolirla. Dal momento che la tireotropina, per quanto riguarda la
pinocitosi, ha un’azione decisamente meno rilevante del simpatico (che è spento durante
la notte), la somma algebrica degli eventi si traduce in un accumulo di colloide nel follicolo.
Il TSH inoltre, non riesce ad aumentare significativamente il livello ematico di T3 – T4 per
cui, durante la notte, l’ipotalamo riceve un costante messaggio che innesca, alla fine, il
rilascio dell’ormone tireotropo. Durante la giornata all’azione demolitrice del TSH si somma
quella del simpatico, con conseguente diminuzione della colloide.

La tiroide è una doppia ghiandola endocrina: vi è una seconda cellula tiroidea, che non è il
tireocita, chiamata cellula parafollicolare (non partecipa alla costituzione del follicolo).
Questo citotipo si trova a ridosso del follicolo, vicino ai capillari sanguigni e secerne un

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altro tipo di ormone: la calcitonina; polipeptide che ha come bersaglio il tessuto osseo. La
calcitonina è la responsabile dell’organificazione dell’osso: ovvero della produzione di
matrice ossea che è costituita da proteine associate ad idrossiapatite (un sale di fosfato
associato a calcio, cristallizato con acqua). In assenza di calcitonina non vi è
l’organificazione dell’osso. L'unico organo capace di produrre e secernere questo ormone
è la tiroide. Le cellule parafollicolari sono stimolate dalla calcemia: quando la calcemia è
elevata le cellule interpretano l’evento come una carenza di calcio nelle ossa e quindi,
immettendo in circolo calcitonina, si permette il passaggio di calcio dal circolo ematico alle
ossa, per organificarle. Ha un’azione simile a quella dell’insulina con la glicemia alta. Così
come per l’insulina vi è il glucagone, per la calcitonina c’è il paratormone.
Azione antagonista a quella della calcitonina è svolta infatti dal paratormone (PTH) secreto
dalle paratiroidi. La secrezione di quest’ormone avviene quando la calcemia è bassa. Le
cellule delle paratiroidi sentono il livello ematico di calcio basso, immettendo PTH il quale
agisce sul tubulo contorto distale, a livello intestinale e sul tessuto osseo (favorendo il
rilascio del calcio stoccato), in particolare agisce indirettamente sugli osteoclasti. La
calcemia è quindi il bilancio fra ormoni che favoriscono la demolizione del tessuto osseo
ed ormoni che ne favoriscono il recupero e l’organificazione.
[Mentre non ci sono patologie da deficit di calcitonina, vi sono patologie da eccesso di
secrezione di paratormone (tumori benigni delle paratiroidi) e sono asintomatici. In caso di
iperparatiroidismo si ha un’intensa attività di demolizione dell’osso causando esposizione
a fratture patologiche che possono interessare anche i corpi vertebrali (portando alla
compressione del midollo spinale). Una spia dell’iperparatiroidismo è la stessa calcemia.
L’ipoparatiroidismo è in genere iatrogeno (procurato dal medico), causato
dall’asportazione delle paratiroidi; questa condizione è associata ad un’elevata calcemia e
genera conseguenze sulla conduzione dell’impulso nervoso].

La ghiandola surrenale
Come la tiroide ha una sottile capsula superficiale di natura connettivale, che manda dei
sepimenti molto sottili; tuttavia NON si può parlare di un’organizzazione lobulare nel
surrene: il connettivo presente è quello necessario e sufficiente a veicolare vasi che
irrorano questa ghiandola.
Il surrene è irrorato da tre vasi:

- Arteria surrenale superiore: ramo dell’arteria frenica inferiore;


- Arteria surrenale media: deriva direttamente dall’aorta addominale;
- Arteria surrenale inferiore: ramo dell’arteria renale;

Sebbene le due ghiandole surrenali siano vitali, è possibile vivere soltanto con una. Dalle
due ghiandole fuoriesce un’unica vena che ha destino diverso a destra e a sinistra: la vena
surrenale di destra sbocca nella cava inferiore, la vena di sinistra sbocca nella vena renale
di sinistra.
Il surrene in verità è composto da due ghiandole endocrine in una:

- Corticale del surrene (o corteccia): ghiandola più periferica che costituisce gran
parte dello spessore; ha origine mesodermica.
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- Midollare del surrene: parte centrale, è completamente circondata dalla corteccia;
ha origine neuroectodermica. Oltre ad essere due ghiandole endocrine con origine
embriogenetica diversa, producono anche una tipologia di ormoni differente, di
conseguenza presentano una diversa citologia. Le due ghiandole nei mammiferi
sono strettamente vicine perché la funzione della midollare dipende strettamente
dalla corticale.

Corticale del surrene


È composta da cellule globose, quasi sferiche, (questo citotipo è anche presente
nell’ovaio, come cellule della teca e della granulosa, e nell’interstizio del testicolo, come
cellule interstiziali di Leydig), non particolarmente grandi, con scarsissimo ergastoplasma
rugoso (RER) e molti mitocondri con le creste a bacchetta di tamburo.
I mitocondri hanno un ruolo molto importante dal momento che qui avviene la biosintesi
del colesterolo e dei
corticosteroidi: ormoni steroidei,
quindi di natura lipidica, che
derivano dal colesterolo (in realtà
derivano dal
ciclopentanoperidofenantrene).
Nell’ovaio invece, questi ormoni
steroidei sono gli estrogeni ed i
progestinici; mentre nel testicolo è il
testosterone. La corteccia del
surrene può essere divisa in tre
strati o zone (dall’esterno verso
l’interno): strato (o zona)
glomerulare; strato (o zona)
fascicolato; strato (o zona)
reticolato.

Zona glomerulare

Le cellule globose qui si associano tra di loro a formare una sorta di gomitolo
multicellulare. Questo strato rappresenta il 10% dello spessore della corticale: sebbene sia
la percentuale minore, è la parte più periferica quindi nelle tre dimensioni il numero di
cellule che compone questa zona è di gran lunga maggiore del 10%. Queste cellule
producono un tipo di ormone corticosteroideo che appartiene alla classe dei
mineralcorticoidi, fra i quali, il rappresentante principale è l’aldosterone.

Zona fascicolata
Le cellule qui si dispongono a formare dei cordoni paralleli tra di loro. La funzione è
secernere e produrre glucocorticoidi fra i quali, il rappresentante principale è il cortisolo. Il
cortisolo si usa anche in farmacologia col nome di cortisone (un suo derivato). È usato
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come antinfiammatorio perché esso causa apoptosi di linfociti e riduce la risposta
infiammatoria (ad esempio nelle malattie autoimmuni, malattie infiammatorie croniche); è
molto probabile che agisca bloccando una fosfolipasi che è indispensabile per produrre poi
prostaglandine ed altri mediatori dell’infiammazione. Il cortisone si usa anche come
antiedemigeno per ridurre la formazione di edema di natura infiammatoria.

Zona reticolata
Le cellule qui formano dei fasci, delle colonne corte che si dispongono obliquamente e si
intrecciano tra di loro a formare una rete. Produce e secerne ormoni steroidi androgeni.
Le tre zone insieme ricordano la lettera greca λ.

IL CORTISOLO

Esso stimola la gluconeogenesi. La glicogenolisi, sotto l’azione di glucagone ed


enteroglucagone, agisce a livello dell’epatocita e dei muscoli scheletrici per demolire la
riserva di glicogeno e immettere glucosio nel sangue; la glicogenosintesi viceversa, è ad
opera dell’insulina. Letteralmente gluconeogenesi significa formazione di glucosio ex novo.
E’ possibile utilizzare alcuni specifici amminoacidi gluconeogenetici, a scopo energetico. In
genere gli amminoacidi vengono utilizzati per fabbricare proteine o derivati (la serotonina
deriva dal triptofano) per fare dei mediatori chimici. Tramite i glucocorticoidi (ormoni della
fascicolata) è possibile trasformare gli amminoacidi in glucosio. Durante la notte la
corteccia del surrene, in particolare la zona fascicolata, immette in circolo una
relativamente grande quantità di glucocorticoidi, in particolare cortisolo, il quale arriva a
livello dei muscoli (dove vi è un elevato livello di amminoacidi e proteine). Arrivato ai
muscoli, il cortisolo demolisce proteine muscolari per ricavarne amminoacidi; questi
entrano poi in una via metabolica per formare energia sia sotto forma di ATP che di calore.
Alle 4 o 5 del mattino si ha il picco ematico di cortisolo perché c’è una condizione di
digiuno prolungato (da 7 ore in su si parla di digiuno). Durante la notte, dal momento che
una buona parte delle riserve di glicogeno è stata utilizzata per il metabolismo basale (900
kcal), si entra in ‘riserva energetica’; in questa condizione la zona fascicolata immette nel
sangue il cortisolo che agisce sulla muscolatura scheletrica per demolire proteine
strutturali e ricavare una certa quantità di amminoacidi gluconeogenetici. Questa
situazione accade costantemente in condizione di digiuno prolungato (il digiuno in caso di
veglia anticipa questo processo). Il cortisolo (funzione catabolizzante) è vitale perché
assicura la sopravvivenza in caso di stress energetico. Il freno a questa attività è dato
dagli androgeni, ormoni anabolizzanti (favoriscono cioè l’anabolismo, ossia la costruzione
proteica) secreti dalla zona reticolata. Gli androgeni ricostituiscono il corredo di proteine
muscolari demolite dal cortisolo. In caso di digiuno eccessivamente prolungato aumenta il
tempo in cui il cortisolo è elevato nel sangue e gli androgeni non riescono a ricostituire
interamente le proteine demolite: si va così incontro alla diminuzione della massa magra
(un intervallo di tempo di 6 ore di digiuno è accettabile, oltre si attiva questo evento che è
di tipo protettivo). Mentre il cortisolo ha una funzione catabolizzante nei contronti delle
proteine, gli androgeni hanno viceversa una funzione anabolizzante. Il digiuno prolungato
con lo scopo di dimagrire porta a perdita sia di grasso che di massa magra; con il
catabolismo delle proteine aumenta la produzione di urea e acido urico (prodotto del
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catabolismo degli acidi nucleici), e si può arrivare alla demolizione di una miofibra intera.
Questa condizione porta un sovraccarico dei reni. Le iniezioni di cortisone sono volte a
sostenere il metabolismo energetico; questa sostanza, per la sua azione gluconeogenetica
demolisce le proteine del muscolo. L’uso del farmaco risponde al principio del costo-
beneficio (è usato nel caso di un’artrite reumatoide, sclerosi multipla, malattia
autoimmune); allora bisogna usare accorgimenti anche di tipo nutrizionistico per cercare di
bilanciare, fare una terapia cortisonica per cicli ed integrare con altri ormoni per bilanciare.
A chi viene somministrato cortisone è necessario controllare la glicemia; infatti, dal
momento che il cortisone ha un’azione gluconeogenetica, chi fa terapia in maniera cronica
tende a diventare diabetico.

ANDROGENI

La zona reticolata produce androgeni (anche un po’ di estrogeni) che non sono ormoni
sessuali, ma hanno il compito di favorire l’anabolismo proteico.
Un eccesso di androgeni ha un’azione mascolinizzante: tendono cioè ad accentuare i
caratteri sessuali secondari o farli apparire nelle femmine. In un maschio con
ipersecrezione (o assunzione) di androgeni aumenta la massa muscolare, (azione
ipertrofizzante) cadono i capelli ed aumenta il numero di peli sul corpo. In una femmina
con iperandrogenismo si ha irsutismo (comparsa di peli), aumento dei peli a livello di
braccia, mani e gambe, aumento di peso, si modifica la conformazione tipica del corpo
femminile che tende ad assomigliare al corpo maschile, si modifica la voce che diventa più
profonda e si riduce la componente lipidica della mammella (non la ghiandolare). La
somministrazione di androgeni può generare epatiti o cancro del fegato.

La midollare: adrenalina e noradrenalina


La midollare è fatta da cellule globose, chiare con mitocondri simplex e con un piccolo
ergastoplasma. Le cellule della midollare, agendo e modificando l’amminoacido
fenilalanina, ricavano due molecole: la noradrenalina o norepinefrina e l’adrenalina o
epinefrina (queste due molecole sono sintetizzate in sequenza: l’adrenalina è l’ultimo
prodotto della via biosintetica e si ricava dalla metilazione della noradrenalina). Le cellule
della midollare producono
costitutivamente noradrenalina e
adrenalina per poi stoccarle in
granuli. In una stessa cellula
possono coesistere granuli di
adrenalina e noradrenalina però,
subito dopo il picco di cortisolo, il
numero di granuli di adrenalina
supera quello della noradrenalina
dal momento che quest’ultima è
stata metilata. Il cortisolo è
indispensabile, ed è l’unico fattore
conosciuto, capace di catalizzare la

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conversione della noradrenalina in adrenalina. Per far si che venga prodotta adrenalina a
partire da noradrenalina, è necessaria una metiltransferasi la cui espressione genica è
regolabile: in condizioni di base il suo gene non viene espresso ma la presenza di
determinati fattori permettono di sbloccarne la repressione: gene inducibile. Per indurre il
gene della metiltransferasi è necessario il cortisolo. Durante il picco ematico, il cortisolo
arriva alle cellule della midollare e, attraverso un recettore citoplasmatico, agisce sul
genoma inducendo l’espressione della metiltransferasi; l’enzima può quindi catalizzare la
conversione della noradrenalina in adrenalina (il fatto di produrla non significa secernerla,
la secrezione avviene al bisogno). La metiltransferasi è quindi un enzima limitante: è la
sua quantità che determina il numero di prodotto a valle. La concentrazione ematica di
cortisolo (diluito in 4,5 litri di sangue) al momento di digiuno prolungato non sarebbe
capace di indurre la metiltransferasi; per indurre la metiltransferasi, e quindi produrre
adrenalina, c’è bisogno di una concentrazione di cortisolo di gran lunga superiore rispetto
a quella ematica. Questa condizione è raggiunta sia grazie al fatto che la midollare è
contenuta nella corticale; sia grazie alla presenza di un circolo portale surrenalico.
Le tre arterie surrenali, arrivate alla periferia della ghiandola, si ramificano per dare origine
a due ordini di arteriole: arteriole corte e arteriole lunghe.
Le arteriole lunghe vanno direttamente alla midollare e irrorano solo la midollare (si
capillarizzano soltanto qui). Le arteriole brevi invece, si capillarizzano una prima volta nella
corticale, in particolare al confine tra zona glomerulare e fascicolata, dando origine poi a
venule che scendono nella midollare e si capillarizzano una seconda volta. Vi è allora un
sistema capillare-vena-capillare-vena: terzo esempio di sistema portale. I capillari che si
trovano al confine tra glomerulare e fascicolata ricevono la secrezione degli ormoni che si
producono a livello della corteccia, tra cui il cortisolo. Allora il sangue di questa vena (che
si capillarizza nella midollare), durante il digiuno prolungato, contiene un’elevata
concentrazione di cortisolo. Dal momento che si ha un’elevata concentrazione di cortisolo,
in un volume piccolo di sangue, l’ormone diffonde passivamente a livello della midollare
(dove la vena capillarizza) e va ad agire sulle cellule tramite un recettore citoplasmatico
che induce l’espressione della metiltransferasi. Una volta espressa la metiltransferasi la
cellula potrà allora convertire la noradrenalina in adrenalina. Al risveglio quindi, la
midollare del surrene contiene di base una grande quantità di adrenalina che addirittura si
accumula anche nelle primissime ore del mattino. Generalmente l’adrenalina resta nella
midollare, ma in condizioni di stress è secreta nel sangue, nella seconda ramificazione dei
capillari (quella midollare). Una volta immessa nel sangue, tramite la vena surrenalica va
nel circolo generale, al cuore destro, al circolo polmonare, al cuore sinistro e infine a tutto
il corpo. Il sistema nervoso simpatico, dal momento che le cellule della midollare (che sono
di origine neuroectodermica) sono assimilabili ai neuroni dei gangli visceroeffettori
simpatici, stimola la secrezione di adrenalina. A livello della midollare vi sono delle cellule
simil-neuroni che derivano dalla stessa regione del neuroectoderma da cui derivano i
gangli simpatici soltanto che questi ultimi diventano neuroni morfologicamente e
funzionalmente, le cellule midollari invece sono cellule endocrine. Così come il ganglio
simpatico riceve la fibra pregangliare simpatica; analogamente la cellula della midollare
del surrene riceve una fibra pregangliare simpatica che viene dal midollo spinale (da C8 a
L2). Fibre che derivano dai neuromeri T10 e T11 danno origine al nervo piccolo splancnico
(che fa parte del mediastino posteriore così come il grande splancnico).
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Il grande e piccolo splancnico dal torace scendono in addome attraverso l’orifizio aortico.
Mentre il grande splancnico si distribuisce ai gangli del plesso celiaco e in parte al
mesenterico superiore, il piccolo splancnico va al plesso simpatico renale, attorno
all’arteria renale. Gran parte delle fibre, dal plesso simpatico renale, si scaricano ai gangli
del plesso renale; una parte di esse invece, passa dentro il plesso renale senza fermarsi;
entrano poi dentro la ghiandola surrenale, fanno un plesso intorno alle arterie surrenaliche
e arrivano, come fibre pregangliari alla midollare, dove inducono la secrezione di
adrenalina (usando acetilcolina come mediatore). Per questo motivo la midollare del
surrene è assimilabile a un ganglio simpatico, sebbene non lo sia.

I neuroni simpatici sono indotti a stimolare la midollare dalla corteccia cerebrale. La


corteccia fa l’esame della realtà tramite la corteccia visiva e tramite le informazioni in
memoria; la corteccia prefrontale e associativa limbica poi scaricano all’ipotalamo che,
attraverso il fascio ipotalamospinale o sostanza reticolare, quindi via reticolospinale arriva
al simpatico e in particolare a T10 e T11 da cui vien fuori il piccolo splancnico. Questo
meccanismo permette di gestire lo stress in tempi rapidi; in realtà vi sono tre sistemi per
gestire lo stress:

- Gestione immediata: presuppone attività del sistema nervoso centrale, del


periferico e dei muscoli; la decisione di reazione è immediata, la messa in atto
richiede qualche secondo. L’analisi della realtà in caso di stress, non soltanto
induce un comportamento di fuga o attacco, ma anche un adattamento immediato
dei visceri, mediante il sistema nervoso simpatico: si ha l’aumento della forza e
della frequenza di contrazione del cuore, quindi si ha palpitazione, ma anche
broncodilatazione, aumento della profondità del respiro, vasodilatazione a carico
dei muscoli (per fare in modo di ridurre le resistenze all’arrivo del sangue) e
vasocostrizione a livello di cute ed organi sotto-diaframmatici;
- Gestione nell’arco dei secondi: tramite l’adrenalina (20 secondi) che ha effetti
simpaticomimetici; mima cioè l’azione del simpatico. Ma dal momento che
l’adrenalina deve essere secreta, immessa nel circolo e raggiungere i bersagli, la
sua azione richiede tempo. Analogamente al simpatico causa aumento di forza, di
contrazione, di frequenza ed eccitabilità del cuore, vasodilatazione del circolo
coronarico, vasodilatazione della muscolatura, vasocostrizione sotto-diaframmatica
e cutanea. L’adrenalina quindi serve a prolungare l’effetto del simpatico ma,
essendo un ormone, ha anche effetti metabolici: stimola la glicogenolisi (come il
glucagone) e la lipolisi. Quando l’adrenalina è elevata nel sangue significa che il
glicogeno, sia muscolare ma sopratutto epatico, viene demolito per essere
immesso nel sangue, raggiungendo non solo gli stessi muscoli, ma anche tutte le
altre cellule. L’adrenalina stimola anche la lipolisi (il grasso è un’enorme riserva
energetica: 1 grammo di grasso = 9 kcalorie; quasi il doppio di un grammo di
glucosio): induce gli adipociti a scindere i trigligeridi in glicerolo ed acidi grassi liberi
che vengono poi immessi nel sangue.
- Gestione nell’arco delle ore: nel caso di stress prolungato l’adrenalina stoccata
viene consumata. Il cortisolo quindi, induce la metiltransferasi per la fabbricazione
di altra adrenalina. L’adrenalina tuttavia, fra i suoi effetti agisce anche sull’ipofisi per
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indurla a secernere ACTH (ormone adrenocorticotropo), responsabile sia della
biosintesi di tutti i corticormoni che della secrezione basale di questi ormoni.
Normalmente l’ipofisi secerne ACTH un’ora prima del picco di cortisolo. L’ormone
adrenocorticotropo giunge alla corteccia del surrene stimolandola a sintetizzare i
vari ormoni, compresi i glucocorticoidi, e ad iniziare a metterli in circolo; se si ha
molto ACTH si mette in circolo molto cortisolo. L’adrenalina agisce sull’ipofisi al fine
di secernere grandi quantità di ACTH; l’adrenocorticotropo agisce poi sulla corteccia
del surrene in modo da favorire la secrezione e la biosintesi dei corticomoni. Il
cortisolo poi, tramite il circolo portale, agisce sulle cellule della midollare per
rifabbricare l’adrenalina. In più il cortisolo agisce come ormone gluconeogenetico
per aumentare il glucosio che poi, tramite l’insulina, entra nelle cellule. E’ chiamata
emozione la palpitazione cardiaca associata ad un evento che si sta vivendo in un
dato momento; per avere l’emozione c’è bisogno di memoria e della capacità di
associare quell’evento viscerale, ovvero la palpitazione, con la realtà che si sta
vivendo. L’emozione è tale allorché si ha una modificazione viscerale che si
manifesta tramite la palpitazione. Le modificazioni viscerali sono informazioni di
ritorno senza le quali non si riconoscerebbe l’emozione stessa: l’emozione è la
percezione dei visceri che viene associata alla situazione che si sta vivendo. Per
mettere insieme l’interpretazione della realtà con la modificazione dei visceri è
necessaria la corteccia limbica, la corteccia dell’insula (alla quale arriva
informazione tattile protopatica) ed il grigio periacqueduttale. L’adrenalina è in grado
di regolare essa stessa la sua biosintesi. La ghiandola surrenale è organizzata in
maniera tale che la midollare sia regolata (dal punto di vista della biosintesi) dalla
stessa corticale (mediante secrezione di cortisolo) attraverso il circolo portare
surrenale. Da questo sistema dipende la biosintesi e lo stoccaggio di adrenalina; la
sua secrezione è influenzata da una fibra pregangliare simpatica, rappresentata dal
nervo piccolo splancnico (a sua volta reclutato da fascio ipotalamo-spinale o via
reticolo-spinale laterale). Adrenalina: biosintesi grazie al cortisolo (tramite
metiltransferasi); secrezione tramite il simpatico.

Quindi il cortisolo non si occupa della liberazione di adrenalina, ma soltanto della sua
biosintesi; agisce inducendo l’espressione (iper-espressione) del gene della
metiltransferasi, un enzima che catalizza il passaggio di un metile alla noradrenalina,
trasformandola in adrenalina. La metiltransferasi può essere considerata quindi un enzima
limitante: la presenza di questa molecola permette la formazione di adrenalina; la sua
assenza ne impedisce la produzione. Come detto, in più, l’adrenalina ha un altro effetto
importantissimo: agisce a monte della produzione stessa di cortisolo. Essa infatti agisce,
direttamente o indirettamente, sull’adenoipofisi per indurre la secrezione di ACTH, da cui
dipende la biosintesi e la secrezione di cortisolo (in realtà di tutti i corticormoni). Questo è
un esempio di effetto feedback positivo: cioè l’ultimo prodotto (l’adrenalina) rigenera il
sistema. In realtà questo meccanismo non si protrae in maniera indefinita. Se si
esauriscono le scorte di glicogeno non si può ripetere il sistema. Anche la capacità degli
adipociti di liberare acidi grassi non è illimitata.
Un meccanismo del genere avviene anche per gli ormoni tiroidei: quando si dorme a lungo
c’è un eccesso di TSH nel sangue liberato dall’ipofisi; essendo spento il simpatico c’è

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meno T3 e T4 in circolo. Ma l’ipotalamo legge questa situazione come ipofunzione della
tiroide e la stimola immettendo in circolo altro TSH. Quindi un abbassamento di T3 e T4
genera un aumento della secrezione di TSH, il quale agisce sui tireociti per aumentare la
riserva di colloide. Come risultato si ha che al risveglio i follicoli sono pieni di colloide. Una
cosa analoga succede anche nel surrene, il principio è sempre lo stesso: garantire
omeostasi. Se c’è un eccesso di liberazione di cortisolo, quest’ormone agisce sull’ipofisi
per bloccare la liberazione di ACTH, in modo da evitare che ci sia un’eccessiva
concentrazione nel sangue, e quindi un eccessivo aumento della glicemia e dei processi di
catabolismo delle proteine muscolari. E’ quindi un sistema di controllo reciproco che ha la
funzione di garantire l’equilibro. Quando l’equilibrio viene meno, il sistema è programmato
in modo tale da ricostituirlo. Un effetto prolungato del cortisolo potrebbe essere più
dannoso che vantaggioso; il sistema di feedback permette così di bloccare la produzione
di ACTH. Mentre quello dell’adrenalina sull’ACTH è un effetto di feedback positivo, quello
del cortisolo sull’ipofisi è un esempio di feedback negativo.

Ovaio e ciclo ovarico


Il ciclo ovarico è di 4 settimane (un ritmo quasi mensile). Alla nascita ogni femmina
contiene dai 600.000 a 1.000.000 follicoli (la metà in ogni ovaio).
I follicoli sono strutture disposte verso la periferia dell’organo; la loro densità decresce
dalla periferia al centro geometrico. Durante il periodo fertile di una donna, che dura 45
anni (dai 12 ai 57 circa) non vengono utilizzati tutti i follicoli.
Il numero elevato di follicoli va a compensare la bassa efficienza riproduttiva della nostra
specie. I follicoli cominciano a maturare quando, ad una certa età (dai 10 ai 18 anni),
l’ipotalamo comincia ad immettere nel circolo portale ipofisario un fattore di rilascio che
agisce inducendo la secrezione di una delle gonadotropine ipofisarie: l’ FSH o ormone
follicolo-stimolante.
I recettori per l’FSH si trovano solo nell’ovaio; in particolare, il bersaglio è rappresentato da
cellule simili a fibroblasti, le quali si trovano attorno ad ognuno dei follicoli presenti
nell’ovaio. Queste cellule sono in
realtà precursori di cellule
steroidee, cioè cellule capaci di
elaborare una classe di ormoni
steroidei: gli estrogeni. L’FSH
quindi stimola una risposta di
estrogeni. Affinché questo si
verifichi, prima l’ FSH deve
indurre la proliferazione delle
cellule che si trovano intorno al
follicolo, in modo da espandere
la popolazione cellulare; una
v o l t a fi n i t o i l p r o c e s s o
differenziativo, questo citotipo
comincia a secernere estrogeni
(espansione, differenziazione,
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secrezione).
Un follicolo, fatto dall’ovocita più le cellule che gli fanno da corona, si ingrandisce sia
perché le cellule periferiche prolificano, sia perché secernono estrogeno, nel sangue come
all’interno del follicolo stesso (tanto da formare una cavità). L’ovocita si dispone in
posizione eccentrica, e viene chiamato cumulo ooforo; Il follicolo appare come un “uovo”
con un guscio e un contenuto, costituito dal cumulo ooforo e dal liquido follicolare. Mano
a mano il follicolo si ingrandisce, sempre sotto l’azione dell’FSH. Questo processo dura
mediamente 14 giorni. Ad un certo punto, con un meccanismo che è poco noto, il follicolo
scoppia. Sicuramente c’è alla base una azione meccanica, ma non è l’unica componente.
Difatti le cellule circostanti che formano la parete del follicolo, oltre a secernere estrogeno,
liberano localmente una serie di enzimi litici della famiglia delle metalloproteasi della
matrice, le quali “tagliano” la matrice stessa e si fanno strada (MMP: metalloproteasi della
matrice). Anche la cellula tumorale si sposta e si fa strada tramite metalloproteasi. Si parla
anche di deiscenza del follicolo (o scoppio). A questo punto l’ovocita perde il suo
involucro.
Dal momento che questo evento avviene alla periferia dell’ovaio, l’ovocita corre il rischio di
finire in cavità peritoneale. Tuttavia, appena fuori dall’ovaio c’è l’infundibolo della tuba, con
le fimbrie: la mucosa della tuba è costituita da un epitelio monostrato, fatto di cellule
mucipare e di cellule ciliate. Siccome le fimbrie si spostano grazie ad una muscolatura
organizzata in circolare interna e longitudinale esterna, stocasticamente l’ovocita viene
contattato e catturato (in genere dalla fimbria major). Le ciglia battono verso l’utero, quindi
l’ovocita viene trasportato a valle. L’uovo, se nella tuba si incontra con uno spermatozoo
(gamete maschile), viene fecondato. Se viceversa non incontra il gamete, in capo a circa
36 ore muore e viene espulso. Quindi la vita dell’ovocita è di circa un giorno e mezzo.
Una volta che l’ovocita è stato espulso, le pareti del follicolo si afflosciano (così come
l’ovocita è uscito dal cumulo ooforo, analogamente è fuoriuscito il liquido follicolare) e si
trasformano in corpo luteo; anch’esso una ghiandola endocrina, costituita da due citotipi.
Un tipo cellulare è capace di secernere estrogeno; il secondo tipo cellulare è capace di
elaborare e secernere un secondo ormone: il progesterone (in realtà ormoni progestinici
in generale). Tutto ciò è regolato dall’ FSH, ma questo non è l’unico ormone che agisce.
T=0: primo giorno di liberazione di FSH.
Misurando il livello di estrogeno nel sangue in funzione del tempo, ci si accorge che il
livello ematico inizialmente è prossimo allo zero (non è proprio zero in quanto gli estrogeni
sono prodotti in piccolissima parte anche dalla reticolare del surrene) poi si accresce fino a
circa il 10-12 giorno, vi è un picco, un plateau e a questo punto si raggiunge un certo
livello soglia tale che l’estrogeno stesso, in via feedback negativa, blocca la secrezione di
FSH. Quindi è una situazione analoga allo stimolo di feedback negativo causato da
eccesso di ormoni tiroidei e di cortisolo nel sangue.
L’estrogeno ha un altro effetto: agisce sull’ipotalamo inducendolo a immettere nel circolo
portale ipofisario un altro fattore di rilascio; questa sostanza agisce su un’altra cellula
dell’ipofisi e la induce ad immettere nel sangue un’altra gonadotropina: LH o ormone
luteinizzante. L’estrogeno finora ha due effetti: da un lato inibisce l’FSH, dall’altro stimola
la liberazione di LH. Questo è un evento cruciale: senza LH non c’è ovulazione; l’LH è
responsabile dell’ovulazione. Esistono dei cicli anovulatori. Questo è fisiologico se è un
evento sporadico e contenuto, ma se è costante diventa patologico. Dal momento che
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l’estrogeno, intorno al 10-12 giorno, blocca la liberazione di FSH, nei giorni successivi il
suo tasso ematico scende.
L’LH non solo è indispensabile all’ovulazione, ma è anche responsabile della
trasformazione di ciò che resta del follicolo ovarico in corpo luteo; in particolare l’LH è
responsabile della secrezione di progesterone. Ciò vuol dire che nella prima metà del ciclo
ovarico, i livelli di progesterone nel sangue sono prossimi allo zero. Successivamente al
picco dell’estrogeno, a partire dall’ovulazione, il tasso ematico di progesterone aumenta
abbastanza repentinamente, sotto l’azione dell’LH.
Raggiunto il livello soglia, anche il progesterone, in via feedback negativo, inibisce il suo
stimolatore, cioè l’LH. L’inibizione implica che da circa 4-5 giorni prima del successivo
flusso mestruale, il livello ematico di progesterone crolla abbastanza repentinamente (a
causa del feedback negativo). La caduta del livello ematico di estrogeno prima
dell’ovulazione rappresenta uno stimolo affinché l’ipotalamo ordini all’ipofisi di riprendere a
secernere FSH; così come, nel caso della tiroide, bassi livelli di T3 e T4 portano
l’ipotalamo a stimolare l’ipofisi per secernere TSH (feedback positivo).

RIEPILOGANDO:

C’è un iniziale feedback negativo dell’estrogeno nei confronti dell’FSH che è responsabile
del picco e della caduta del tasso ematico di estrogeno stesso qualche giorno prima
dell’ovulazione. L’estrogeno tuttavia ha un feedback positivo nei confronti dell’LH, che è
responsabile dell’ovulazione e della produzione e secrezione di progesterone da parte del
corpo luteo. Ma anche il progesterone (secondo feedback negativo) agisce negativamente
sull’LH, quindi nella seconda metà del ciclo, il livello ematico di progesterone cala. Quindi
nella seconda metà del ciclo, dopo l’ovulazione, c’è un secondo picco estrogenico. Ma
quando l’estrogeno raggiunge il secondo picco, si ripropone il feedback negativo, per cui
nei giorni successivi ci sarà una nuova caduta di estrogeno. In questo ciclo di 28 giorni si
hanno due picchi di estrogeno ed un solo picco di progesterone (nella seconda metà del
ciclo). Senza LH non c’è ovulazione, e quindi non c’è riproduzione. Questi ormoni
condizionano anche il livello di salute della donna: essi infatti agiscono anche a livello della
massa muscolare, del grasso, delle ossa. Una donna va in menopausa quando
quest’attività ciclica smette. In realtà i meccanismi biologici non sono del tutto noti. Si sa
però che le cellule attorno ai follicoli smettono di esprimere i recettori per l’FSH e quindi
non rispondono più. Il tutto è regolato da un orologio interno sulla base del programma
genico. Le donne, dopo la menopausa, se non si proteggono attraverso una dieta
equilibrata e un’adeguata attività fisica, hanno grossi problemi che riguardano la massa
muscolare: sarcopenia e la fragilità delle ossa: osteoporosi. L’estrogeno ha inoltre un
effetto protettivo nei confronti del metabolismo del colesterolo e del sistema
cardiovascolare. La prova sta nel fatto che è estremamente raro che una donna fertile
faccia un infarto miocardico. Dopo la menopausa l’incidenza si avvicina a quella degli
uomini.
Questi ormoni agiscono anche sul sistema nervoso. Dire che l’umore di una donna in età
fertile è cangiante, non è sbagliato. Il progesterone ha un effetto di regolazione del sistema
serotoninergico, del GABA (mediatore chimico inibitorio) e agisce anche a livello
dell’amigdala con effetto calmante e sedativo. Quando si abbassano i livelli di
progesterone (fase pre-mestruale) vengono a mancare questi meccanismi, per cui si
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hanno reazioni più o meno accentuate: la donna diventa più ansiosa (l’amigdala scarica in
maniera più intensa). Gli estrogeni sono molto importanti anche per il desiderio sessuale,
per la libido; con lo stesso fine viene secreto anche quel poco di testosterone che la
femmina produce sia a livello dell’ovaio sia a livello del surrene. Non è un caso che ci sia
un picco di estrogeno poco prima dell’ovulazione: questo avviene per invogliare la
femmina ad accoppiarsi. Quando c’è un problema di insufficienza ovarica oppure
un’asportazione in seguito ad un tumore, si verifica un crollo della libido; analogamente a
quanto avviene dopo la menopausa.
In aggiunta gli estrogeni sono importanti per le secrezioni vulvari: in assenza di estrogeno
si azzerano le secrezioni vulvari delle ghiandole di Bartolino e il rapporto sessuale diventa
doloroso (a causa dell’attrito). Infine estrogeni e progestinici, agiscono su tutto l’utero,
fondamentalmente sull’endometrio: ovvero sulla mucosa uterina; essa è fatta da un
epitelio monostratificato ed una tonaca propria costituita da un connettivo che sostiene
vasi. In una bambina pre-pubere avviene che, secondo i cicli biologici e la predisposizione
genetica, l’ipotalamo comincerà a secernere FSH.
Il flusso mestruale (per convenzione si fa coincidere con il giorno 0) consiste nella necrosi
dello strato funzionale dell’endometrio, che coincide con circa l’80% di spessore della
parete uterina. Il restante 20% che si trova a contatto col miometrio (tonaca muscolare
uterina) è chiamato strato basale e resiste, rimanendo sempre presente. Il flusso
mestruale, quindi, è l’eliminazione di tessuto necrotico misto a sangue.
In una bambina prepubere, circa un mese prima del primo menarca, l’ipotalamo ordina
all’ipofisi di secernere FSH, quindi per circa 4 settimane si verificano i vari picchi ormonali.
Il progesterone, secreto dal corpo luteo sotto l’azione dell’LH, inibisce in via feedback lo
stesso LH: per cui il corpo luteo smette progressivamente di secernere progesterone. Il
progesterone è anche un potente miorilassante: diminuisce l’eccitabilità delle cellule
muscolari lisce (e quindi la contrattilità). Nella seconda fase del ciclo, le donne tendono ad
essere più stitiche perché il progesterone riduce la motilità gastroenterica; le donne
asmatiche nella seconda fase del ciclo stanno meglio, perché c’è minore eccitabilità della
muscolatura tracheobronchiale. In una gravidanza, la donna naviga in un mare di
estrogeni (anche progesterone) di conseguenza sono stitiche. In genere questa situazione
si risolve introducendo molte fibre ed acqua. L’attività miorilassante si esercita anche sulla
muscolatura uterina: in gravidanza è il progesterone che, azzerando la contrattilità del
miometrio, riduce il rischio di contrazioni che potrebbero determinare un aborto. Anche la
muscolatura a livello delle arteriole della mucosa dell’endometrio, quindi è rilasciata.
Quando crolla il tasso ematico di progesterone viene a cessare lo stimolo per la
vasodilatazione: si verifica una vasocostrizione di rimbalzo. Questo fa sì che
progressivamente, il calibro di queste arteriole si restringe fino a determinare dei veri e
propri micro-infarti dello strato funzionale dell’endometrio: ciò porta a necrosi tissutale. In
più il progesterone ha anche un’attività mineralcorticoide (in genere tutti i corticormoni
hanno attività mineralcorticoide: aldosterone-simile), quindi trattiene sodio e
successivamente acqua.
Il progesterone, molto di più dell’estrogeno, ha attività aldosterone-simile; quindi nella
seconda parte del ciclo c’è una maggiore ritenzione idrica: ciò spiega la sensazione di
imbibizione dei tessuti. Questa sensazione di imbibizione tissutale sparisce con l’inizio del
flusso mestruale. I dolori pre-mestruali altro non sono che l’inizio della necrosi che
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riguarda l’endometrio, a causa dei micro-infarti. Il dolore è riferito in regione ipogastrica
(basso ventre), anche al fondo schiena: ovvero dove proietta l’utero.

Il ciclo uterino
In una bambina prepubere, al giorno zero, l’endometrio rappresenta una percentuale molto
piccola dello spessore complessivo della parete dell’utero.
L’endometrio è caratterizzato da un epitelio di rivestimento che si invagina a formare delle
ghiandole tubulari semplici (richiedono meno fatica nella ricostruzione a seguito della
necrosi). Anche qui, così come nello stomaco e nel colon, l’epitelio è sia di rivestimento
che ghiandolare. In questa fase queste ghiandole hanno andamento rettilineo,
leggerissimamente tortuoso. L’estrogeno, a livello uterino, ha la capacità di stimolare la
proliferazione cellulare: sia delle cellule epiteliali, sia dell’endotelio vascolare, sia della
muscolatura liscia delle arteriole, ma anche della tonaca propria (fibroblasti). Tutti i
fenomeni differenziativi tissutali devono essere preceduti da un aumento della popolazione
delle cellule.
La proliferazione dell’epitelio è tale che aumenta (durante la seconda fase del ciclo) la
componente cellulare dei vasi e delle ghiandole che si accrescono in lunghezza. Questa
proliferazione però avviene in uno spazio relativamente piccolo, per cui sia i vasi che le
ghiandole si spiralizzano. Le ghiandole e i vasi, nella seconda fase del ciclo uterino, sono
spiraliformi. Dal momento che i vasi diventano spiraliformi, nel momento in cui vi è il calo
ematico di progesterone, la vasocostrizione di rimbalzo si verifica con effetto intensificato.
Si hanno quindi micro-infarti e, alla fine, il flusso mestruale; lo strato funzionale
dell’endometrio apparirà con una superficie frastagliata. Dopo il secondo picco di
estrogeno, la nuova caduta di estrogeno rappresenta un segnale per l’FSH che viene
reimmesso in circolo: tutto ricomincia da capo.
L’estrogeno quindi agisce sullo strato basale: sui fondi delle ghiandole e sui monconi dei
vasi, per indurre la proliferazione ordinata e quindi la ricostituzione tissutale.

Le prime due settimane del ciclo ovarico o uterino costituiscono la prima fase, detta fase
estrogenica o fase proliferativa. La seconda fase è detta fase progestinica o fase
secretiva é così detta perché l’utero si prepara ad accogliere l’uovo fecondato, che deve
essere nutrito tramite prodotti di secrezione.
Si può parlare anche di fase pre-ovulatoria e fase post-ovulatoria.
I primi 3-4 o 5 giorni (a seconda della donna) vengono chiamati fase mestruale, perché
c’è il flusso mestruale: ma essa è parte della fase estrogenica, perché al primo giorno del
flusso mestruale l’estrogeno tende a risalire. Per convenzione internazionale il ciclo si
misura a partire dal primo giorno del flusso mestruale, e questo è il giorno zero. Inoltre in
un ciclo uterino la fase progestinica è quella di durata costante: dura circa 14 giorni; la
fase estrogenica, viceversa è variabile.

Quando una donna presenta il ciclo mestruale può dire di aver ovulato 14 giorni prima. La
fase estrogenica invece non è detto che sia di 14 giorni: può essere di più o di meno.
Un ciclo allora viene definito normale allorché è costante nel tempo, non importa la durata.
E’ patologico quando ha una durata sempre diversa nel corso del tempo.
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Mentre la seconda fase è costante, la prima (fisiologicamente) è variabile. Ciò che rende
un ciclo normale non è la durata complessiva, ma la costanza. Una donna può misurare la
durata del suo ciclo contando i giorni che sono in mezzo a due flussi mestruali consecutivi.
Ciò significa che se una donna ha un ciclo di 35 giorni, ha ovulato il ventunesimo giorno
dopo l’inizio dell’ultimo flusso mestruale.
Solo in questo modo è possibile sapere quando si è ovulato dal momento che nella nostra
specie l’estro è nascosto. Nella fase progestinica, proprio perché il progesterone ha un
azione mineralcorticoide, la mucosa uterina si imbibisce di liquido interstiziale (non si può
chiamare edema). In realtà tutti i tessuti, dalla vulva verso l’utero, sono imbibiti
(caratteristica deducibile al tatto dal ginecologo). Tutte le modificazioni descritte riguardano
anche la mucosa della cervice, con l’unica differenza che essa non subisce lo sfaldamento
mestruale (per via di una diversa organizzazione vascolare). Anche le ghiandole della
cervice secernono; queste secrezioni vanno a finire in vagina e possono manifestarsi sotto
specie di quelle che si chiamano “perdite bianche”: si tratta di un muco piuttosto spesso,
tanto che nella metà della seconda fase si arriva alla formazione di un tappo mucoso nel
canale della cervice uterina; questo significa che la donna ha ovulato. La formazione del
tappo mucoso serve ad evitare che un secondo spermatozoo possa passare durante un
successivo accoppiamento. La donna stessa, attraverso un’ispezione vaginale, può
stabilire se è in procinto di ovulare o se ha ovulato. In questo modo è possibile capire il
giorno più idoneo all’atto sessuale sebbene ci si potrebbe accoppiare anche in giorni non
fertili. Questo perché in primis uno spermatozoo vive circa 3-4 giorni e poi perché l’ovocita
ne dura circa uno e mezzo. Per cui il periodo fertile per una coppia è di circa 6 giorni
intorno all’ovulazione. E’ su queste variazioni di secrezioni e di temperatura corporea
(aumento di mezzo grado dopo l’ovulazione) che si basa il metodo di Ogino-Knaus
(metodo anticoncezionale naturale basato sui giorni di fertilità e infertilità della donna.

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Mammella
La mammella è un rilievo cutaneo pari e simmetrico posto alla superficie anteriore del torace ai lati
della linea mediana. Occupa lo spazio tra la 3° e la 7° costa lungo una linea, chiamata linea del
latte, che, dal cavo ascellare, si porta al
tubercolo pubico. La mammella contiene una
parte ghiandolare, che può considerarsi una
ghiandola sudoripara apocrina modificata che
si dispone al di sopra della fascia del muscolo
grande pettorale e, lateralmente, al di sopra
della fascia del muscolo dentato anteriore. Le
ghiandole mammarie sono ospitate all’interno
di tessuto adiposo e sostenute da uno
scheletro connettivale fibroso. La cute della
parte centrale presenta un’area circolare
pigmentata e ricca di voluminose ghiandole
sebacee, detta areola, dal cui centro sporge
più o meno il rilievo del capezzolo. Il
capezzolo rappresenta la zona di convergenza
dei dotti escretori, i dotti galattofori, delle
ghiandole mammarie, che in quella sede si
dilatano nei seni galattofori. La cute
dell’areola e del capezzolo è provvista di
cellule muscolare lisce la cui contrazione
permette la spremitura dei seni galattofori e
l’erezione del capezzolo così che il lattante
possa meglio succhiare il latte. Nel maschio le mammelle sono rudimentali per tutta la vita e di
essere rimangono solo l’areola e il capezzolo. Prima della puberta, in ambedue i sessi, le
ghiandole sono rudimentali e formate solo da dotti escretori con passerelle di cellule
indifferenziate. Con la pubertà queste regrediscono nell’uomo mentre nella donna, sotto l’azione
degli estrogeni, si sviluppa il sistema dei dotti galattofori. Gli adenomeri compaiono solo durante la
gravidanza sotto l’influenza degli estrogeni e soprattutto delle gonadotropine placentari. La
secrezione di latte inizia però solo al termine della gravidanza e si mantiene fintantoché il lattante è
attaccato al seno, per stimolazione congiunta ormonale e meccanica.

Nelle 24 ore successive al parto, avvenuta l’espulsione della placenta (secondamento), il tasso
ematico di estrogeni e progesterone si riduce, mentre aumenta la prolattina ipofisaria: ciò
promuove un’intensa attività secretoria delle ghiandole mammarie, detta montata lattea. Nei primi
giorni il latte prodotto, il colostro, è particolarmente ricco di proteine, vitamine ed enzimi necessari
per l’evacuazione dell’intestino del neonato e per l’attivazione dei primi processi digestivi. La
secrezione lattea può essere mantenuta per mesi o anni se l’allattamento al seno persiste in modo
continuo, in quanto la stimolazione meccanica del capezzolo durante la suzione stimola per via
riflessa la produzione e l’immissione in circolo di ossitocina neuroipofisaria, la quale induce la
contrazione delle cellule muscolari lisce e delle cellule mioepiteliali (che formano un canestro
contrattile alla periferia degli alveoli) delle ghiandole mammarie e del capezzolo e favorisce quindi
la spremitura degli alveoli e dei seni galattofori. La contemporanea produzione di prolattina da
parte dell’adenoipofisi mantiene l’attività secretoria. Con la cessazione dell’allattamento e il

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ripristino del ciclo mestruale, le ghiandole mammarie regrediscono e gli alveoli si riducono a
passerelle di cellule indifferenziate che possono trasformarsi nuovamente in alveoli secernenti in
seguito a una successiva gravidanza.
Il drenaggio linfatico della mammella ha una rilevanza clinica notevole per la diffusione metastatica
del carcinoma mammario. Oltre il 75% della linfa prodotta dalla mammella raggiunge i linfonodi
superiori del gruppo anteriore (pettorale o toracico) del cavo ascellare. Il restante 25% circa,
proveniente fondamentalmente dalla regione superomediale della mammella, confluisce nei
linfonodi sternali.

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Nervi cranici

Sono nervi che o entrano o escono dal cranio.

I NERVO CRANICO. Alla base della fossa cranica anteriore intravediamo una lamina
cribrosa che appartiene all’osso etmoide (tetto cavità nasali). Da qui entra il nervo che
prima diventa bulbo-olfattorio, poi va dove deve andare.
II NERVO CRANICO. Una parte si trova nel cavo orbitario, entra nel neurocranio, nella
fossa cranica media, attraverso il foro ottico che rappresenta l’apice del cavo orbitario
(piramide con base quadrangolare coincidente con l’apertura orbitaria). Il nervo ottico è
vicino al corpo dello sfenoide.
III, IV, VI NERVO CRANICO più la branca oftalmica del V, hanno a che fare con l’occhio
e con il contenuto del cavo orbitario, da cui devono entrare o uscire attraverso un’ampia
fessura un po’ orizzontale: fessura orbitaria superiore o fessura sfeno-sfenoidale. È
compresa tra la piccola ala dello sfenoide e la grande ala dello sfenoide. Esse sono unite
all’estremo laterale perché in mezzo c’è la fessura. Passano dalla fessura sfeno-

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sfenoidale anche le vene oftalmiche, reflue dal cavo orbitario, mentre l’arteria è compagna
nel nervo ottico (che passa nel foro ottico).
Nella radice, ovvero la parte iniziale della grande ala dello sfenoide (ventaglio non piatto
ma a cucchiaio), abbiamo due fori: foro rotondo (più ventrale e mediale) e foro ovale (più
laterale e dorsale).
Attraverso il foro rotondo passa la branca mascellare del TRIGEMINO (V), mentre
attraverso il foro rotondo passa la branca mandibolare. Le tre branche del trigemino hanno
ognuna il suo foro, nella fossa cranica media.
Nella rocca petrosa/piramide del temporale, nella faccia mediale che guarda verso la fossa
cranica posteriore, si trova il meato uditivo interno che serve per entrata ed uscita del VII
e VIII NERVO CRANICO. NB: nel condotto uditivo interno passano anche l’arteria e la
vena uditive interne.
IX, X, XI NERVO CRANICO entrano/escono dalla fossa cranica posteriore attraverso un
foro dai contorni molto discontinui: foro giugulare/lacero posteriore.
È lo stesso foro attraverso cui il seno sigmoideo esce per diventare vena giugulare interna.
XII NERVO CRANICO ha un canale tutto suo che è scavato nel condilo dell’occipitale che
serve epr l’articolazione con l’occipitale.

Il seno cavernoso è molto vicino al III, IV e VI e alla branca oftalmica del V. L’arteria
oftalmica va nel cavo orbitario attraverso il foro ottico con il II nervo cranico. La carotide
interna per un breve tratto attraversa il seno cavernoso, cioè è bagnata da sangue venoso
del seno cavernoso. Dentro al seno cavernoso passa anche il IV NERVO CRANICO che
viene dal solco bulbo-pontino. Per arrivare al cavo orbitario deve andare ai lati del ponte e
passa ai lati della carotide interna nel seno cavernoso un aneurisma della carotide interna
può determinare paralisi del muscolo retto esterno.
Il VI NERVO CRANICO esce dal seno cavernoso e imbocca la fessura orbitaria.
Il IV nervo cranico abbraccia il mesencefalo andando avanti.
Il III nervo cranico appena emerso dalla fossa interpeduncolare passa tra l’arteria
cerebellare superiore e la cerebrale post. aneurismi del poligono di Willis
Il IV nervo cranico è parallelo all’arteria cerebellare superiore.
Anche il III e il IV e la branca oftalmica del V non passano dentro al seno cavernoso ma
nello spessore della sua parte latarale. Nel caso in cui ci sia trombosi venosa del seno
cavernoso si ha la compressione del VI, IV, III e della branca oftalmica del V.

Trigemino (V)

Il ganglio del V è il ganglio semilunare di Gasser.


È l’unico ganglio collocato nel neurocranio ed o
collocato nella parete superiore della rocca petrosa
in uno sdoppiamento della dura madre. Dal ganglio
vengono fuori tre branche:
1. Branca oftalmica. Viaggiando a ridosso del
seno cavernoso passa a ridosso della fessura
orbitaria superiore e arriva nel cavo orbitario a
livello della volta. Si divide in tre rami che
vanno in avanti, tutti disposti sulla volta del
cavo orbitario:
- Nervo lacrimale: è il più laterale. Si dirige
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verso la ghiandola lacrimale ma è sensitivo. La ghiandola lacrimale si trova
nell’angolo supero-laterale del cavo orbitario. Inoltre questo nervo dà un passaggio
ad un nervo che appartiene al VII destinato a fibre post-gangliari che stimolano la
secrezione della ghiandola lacrimale (nervo zigomatico temporale). Se tagliamo un
nervo lacrimale verso la fine abbiamo un disturbo sensitivo e non c’è più
secrezione della ghiandola lacrimale (per l’anastomosi ed il VII). Arrivato all’angolo
esterno dell’occhio il nervo va alla palpebra superiore ed inferiore e la regione dello
zigomo (sensibilità della congiuntiva e della cute di queste zone) .
- Nervo frontale: intermedio. Viaggia appoggiato alla parete superiore del cavo
orbitario e arrivato all’arcata sopraciliare con rami che scendono innerva la palpebra
superiore e con rami che salgono innerva cute e sottocute della regione frontale e
parietale fino al vertex.
- Nervo nasale (naso-ciliare): viaggia nel cavo orbitario ma verso la parete mediale
del naso. Durante il suo tragitto dà rami che perforano la parte mediale del cavo e
vanno ad innervare la mucosa della volta del naso raccogliendo la sensibilità
tattile-termico-dolorifica. Poui continua in avanti uscendo dal cavo e arrivando
all’angolo interno dell’occhio dando rami per la palpebra superiore e inferiore 8cute
e congiuntiva verso l’angolo laterale dell’occhio) e poi prosegue verso la punta del
naso raccogliendo sensibilità.
Il nervo oftalmico prima di entrare nel cavo orbitario dà un ramo ricorrente che va ad
innervare il tentorio del cervelletto (ramo tentorio-cerebellare)

2. Branca mascellare. Entra nel cavo orbitario passando per la fessura orbitaria
inferiore. A parte qualche eccezione, dà rami uguali (con lo stesso nome) della
mascellare interna. Esce dal neurocranio passando per il foro rotondo e ha quasi un
tragitto orizzontale. Appena uscito dal cranio si trova nella fossa sfenopalatina,
molto ristretta, che sembra una goccia capovolta ed è delimitata posteriormente dal
processo pterigoideo e anteriormente dalla branca ascendente dell’osso palatino. Il
nervo si trova nella volta della fossa e durante questo tragitto dà un ramo: nervo
zigomatico che si anastomizza con il nervo lacrimale. Innerva la cute della regione
zigomatica e poi dà origine a rami alveolari superiori posteriori, poi percorre in
compagnia dell’arteria mascellare interna (un ramo) il canale infraorbitario e durante
questo tragitto dà origine a rami alveolari superiori anteriori. I rami alveolari si
anastomizzano e vengono così innervati il periostio della gengiva e le radici dentali
dell’arcata dentale superiore.
Il nervo infra-orbitario esce dal foro orbitario e si sfiocca ad ombrello innervando
palpebra inferiore, cute e labbro superiore. Anche il nervo mascellare dà origine a
rami sfenopalatini che innervano la mucosa del naso (come l’arteria
sfenopalatina). Nella fossa sfeno-palatina c’è un ganglio parasimpatico (ganglio
sfenopalatino) che appartiene al VII nervo cranico. Trovandosi vicino al mascellare
riceve fibre pregangliari del VII e dà origine naturalmente a fibre postgangliari che
sono deputate a stimolare sia la ghiandola lacrimale che quella della mucosa del
naso. Ogni volta che stimoliamo questo ganglio è intensa la lacrimazione e la
produzione di muco. Le fibre postgangliari quindi devono seguire due tragitti e alle
ghiandole nasali ci arrivano tramite i rami sfenopalatini del V (naturalmente non
sono le stesse fibre). Mentre per arrivare alla ghiandola lacrimale prima chiedono
un passaggio al nervo mascellare e poi al nervo lacrimale (quindi queste fibre
eccito-secretrici si anastomizzano con due nervi).
3. Branca mandibolare. Ha due componenti (sensitiva somatica e motrice somatica).
Fuoriesce dal foro ovale e la parte masticatoria si distribuisce ai muscoli. La
componente sensitiva si divide in due rami:

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- Nervo spinoso. Nervo molto piccolo, si stacca dalla branca mandibolare oppure
esce dal cranio per poi rientrare ed innervare le meningi della fossa cranica media e
posteriore passando per un buco che è il foro spinoso (così chiamato perché si
trova a livello della spinad ella grande ala dello sfenoide) che si trova dietro il foro
ovale.
- Nervo auricolo-temporale. Va al padiglione auricolare e al condotto uditivo
esterno (nevralgie al padiglione interessano anche questo nervo).
- Nervo alveolare inferiore. Compagno dell’arteria alveolare inferiore 8la segue in
tutto il suo tragitto, compagno fedelissimo). Innerva labbro inferiore, mento e un po’
della regione soprajoidea.
- Nervo linguale: innerva da un punto di vista somatico tutta la lingua e il pavimento
del cavo orale. Si anastomizza anch’esso con un ramo del VII nervo cranico. La
corda del timpano gli dà passaggio (molto importante!). il linguale dà passaggio a
rami viscero-effettori pregangliari diretti al ganglio sottomandibolare (dal nucleo
salivatorio superiore) da cui dipende la secrezione delle ghiandole
sottomandibolare, sottolinguali e salivari minori; in più il nervo linguale dà passaggio
anche a rami del VII nervo cranico destinati a raccogliere sensibilità dai 2/3 anteriori
della lingua. Poi saranno le fibre postgangliari del ganglio sottomandibolare che
stimolano le ghiandole sottomandibolare, sottolinguali e salivari minori. Se si avesse
una lesione del linguale si avrebbero danni a tre livelli: non si ha più secrezione
della ghiandola da un lato; non c’è più sensibilità gustativa dei 2/3 anteriori della
lingua di quel lato; metà della lingua e del pavimento del cavo orale non avrebbero
più sensibilità da un lato.

Faciale (VII)

Emerge dal solco bulbo-pontino, poi percorre l’angolo ponto-cerebellare e si impegna,


insieme all’VIII nervo cranico, all’arteria e alla vena uditiva interna nel canale uditivo
interno scavato nella rocca petrosa del temporale.
Il nervo percorre tutto il condotto uditivo interno (insieme agli altri) e questa galleria si
dispone perpendicolarmente
all’asse della rocca petrosa. Al
fondo del condotto uditivo
interno c’è una membrana
ossea cribrosa per permettere
il passaggio al VII nervo
cranico, all’VIII nervo cranico e
ai rami dell’arteria e della vena
uditiva interna. Poi i loro
destini si separano: il VII
percorre un canale tutto suo
verso indietro che è parallelo
all’asse della piramide, il
canale del faciale. Dopo un
breve tratto il VII percorre un
canale che è la continuazione
del precedente, perpendicolare
al piano terra e all’asse della
piramide, quindi va
verticalmente verso il piano
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terra. Poi la terza parte del canale del faciale finisce con un foro: foro stilomastoideo
(posteriormente al processo stiloideo e anteriormente al processo mastoideo).
Da questo punto in avanti il VII si trova nella parte molle dello splancnocranio, ma se
faccio una lesione a questa parte si ha la paralisi dei muscoli mimici dal lato del taglio.
Non posso soffiare, sorridere, serrare le labbra, dare un bacio, serrare le palpebre ecc…
Le altre tre componenti del nervo lo hanno abbandonato prima che il VII nervo cranico
uscisse dal neurocranio (perciò mi determina solo queste paralisi). Mentre sta percorrendo
al terza parte del canale facciale si stacca una componente che va al cavo del timpano
(nell’orecchio medio). È quella parte che si anastomizza con il nervo linguale del trigemino,
uscendo dal cavo del timpano. Corda del timpano unisce il VII n.c. al nervo linguale ed
attraversa il cavo del timpano.
Qui abbiamo fibre sia sensitive gustative speciali della lingua sia fibre pregangliari dirette
al ganglio sottomandibolare. Se taglio la corda del timpano quindi produco due danni. Il
ganglio si trova nel ginocchio del faciale: ganglio genicolato i cui assoni vanno al
nucleo del tratto solitario.
A questa parte di VII n.c. che comprende fibre eccitosecretici e sensitive speciali, gli
anatomici hanno dato il nome di nervo intermedio di Wrisberg.
Le fibre pregangliari che devono arrivare al ganglio sfenopalatino, si staccano all’altezza
del primo ginocchio del VII, percorrono un canalino tutto loro (ma Donato se la faceva con
i Teletubbies all’epoca? Come cazzo parla?!) scavato nella rocca petrosa: nervo grande
petroso superficiale, dopo un breve tratto intrapetroso esce in superficie passando sotto
il ganglio di Gasser ed arrivato all’apice della rocca petrosa esce attraverso il foro lacero
per andare a percorrere un cnalino scavato nella radice del processo pterigoideo, uscendo
dal quale si trova a livello del ganglio sfenopalatino. Il settimo nervo cranico, nella sua
parte che fuoriesce dal foro stilomastoideo, è fatto solo di fibre motrici, percorre la loggia
parotidea dove si divide in due rami: temporo-faciale e cervico-faciale (i muscoli mimici
dalla rima labiale in su sono di competenza del temporo-faciale, quelli dalla rima labiale in
giù del cervico-faciale).

Ipoglosso (XII)
Scende verticalmente nel collo e a livello dell’osso joide vira per la lingua con la forma di
un 8 e si anastomizza con alcuni rami del plesso cervicale per i sottojoidei.

Glossofaringeo(IX)
Il IX, X, XI escono dal foro giugulare. Poi dal IX, appena uscito dal foro giugulare, si
diparte il nervo timpanico, collocato anch’esso nel cavo del timpano. Il nervo timpanico
dà origine a:
1. Nervo piccolo petroso superficiale che arriva al grande petroso, ma appena esce
trova il ganglio otico da cui dipende la secrezione della parotide.
2. Nervo carotico interno che si associa alla carotide interna e va ad innervare due
organuli posti alla radice della carotide interna: seno e glomo carotideo. Sono
espressioni della parete della carotide interna.
Il seno carotideo è un barocettore (recettore di pressione arteriosa sistolica). Ogni
volta che la carotide interna si dilata troppo, cioè quando c’è un aumento di
pressione sistolica, il seno carotideo porta lo stimolo alla regione del bulbo, dove la
sostanza reticolare va ad attivare il nucleo motore dorsale del vago (e in particolare
i neuroni del vago che sono diretti al cuore) per diminuire la frequenza cardiaca c’è
un controllo in via riflessa del vago. Se non ci fosse questo controllo, durante uno
sforzo muscolare o un’emozione, avremmo un’elevata pressione sistolica.

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Anche a livello dell’arco dell’aorta esiste un seno aortico che interviene per
contrastare l’aumento di pressione arteriosa.
Il glomo carotideo risponde a una diminuzione della pressione parziale di ossigeno
o ad un aumento della pressione parziale di CO2, o ad un aumento del pH
(fisiologico a 7,4). L’informazione arriva quindi a una parte del nucleo solitario del
bulbo e alla sostanza reticolare, che formano il centro cardiorespiratorio. Così si
aumenta la frequenza e la profondità del respiro e la frequenza e la forza di
contrazione del cuore. Tutto ciò serve a far sì che l’O2 ricavato venga distribuito a
tutti i tessuti e soprattutto ai muscoli, al cuore e al cervello perché c’è un’attività
simpatica che opera una vasocostrizione delle arteriole (con pallore cutaneo) e
sottrazione del sangue dagli organi sottodiaframmatici. Un glomo analogo si trova a
livello aortico.
E.g. andando in apnea sotto acqua, quando si riprende fiato si respira molto
velocemente per eliminare velocemente CO2 e reintrodurre O2.

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