Documente Academic
Documente Profesional
Documente Cultură
PASSEGGIANDO
IN TOSCANA
2
3
Ci sono case.
Dove inizia il cammino?
Nessun cartello.
I passi lenti,
la prudenza mi guida
a non perdermi.
Ma poi ti vedo
come la stella del nord,
punto di luce.
4
5
Un giorno, una piccola farfalla decise di lasciare il prato dove era nata per vedere cosa ci fosse altrove. Le piccole ali
fremevano all'idea di esplorare e battevano delicate sopra i fiori profumati.
Le sue sorelle e fratelli farfalle la spronarono a partire : loro non avevano mai visto cosa ci fosse al di là. Una vecchia
farfalla che aveva vissuto diverse primavere, un evento veramente raro, ascoltava in silenzio; perché le vecchie, sagge
farfalle sanno che a volte basta dire una parola per sortire un effetto. Per dormire cambiava fiore ogni notte e li aveva visitati
tutti ; le mancava proprio quello accanto a dove dormiva la piccola farfalla.
Vi si posò tranquilla con un'antenna su ed una giù.
La piccola il giorno dopo sarebbe partita ed era in vena di preparativi : un po' di polline di scorta, un ombrello fatto di foglia
e una bussola che le aveva regalato la sua amica lucciola. A notte fonda si svegliò con la testa intasata di pensieri ed il
dubbio si insinuò: dove sarebbe andata? Cosa c'era oltre il prato? Forse avrebbe dovuto consultarsi con qualcuno che ne
sapeva più di lei e ripenso' alla vecchia farfalla. La vide : sembrava stesse dormendo, ma dalla polvere multicolore che la
avvolgeva capì che era sveglia e le si avvicinò:
6
7
Da due cipressi abbracciato
quel gruppo di case riposto
ti mostra il cammino lasciato
e ritrovi il regno nascosto.
8
9
Il Grande Mare del Cipresso giù all’arco lo attendeva. Il piccolo spirito di natura osservò il verde intenso
dei rametti del grande albero, e si preparò al tuffo. Chiuse gli occhi e, curiosamente, vide tutta una serie di
scene che avevano preceduto quel momento: la prima immagine mostrava lui con i suoi amici spiriti di natura
intorno al grande Cedro. Ora, ad estrazione, a lui viene assegnato, nella perlustrazione e pulizia del Grande
Mare del Cipresso, di studiare le mappe e prendere informazioni su come arrivare al centro del fogliame, e
anche di parlare con il deva del Cipresso. Ecco, ora si fa avanti un’altra scena: si vede il piccolo spirito di
natura nell’incavo del suo albero che legge foglie e foglie d’ulivo. Non sto lavorando, osserva il piccolo spirito
di Natura. No: non studia le mappe, non misura il tempo, non sta andando dal deva del Cipresso a prendere
informazioni sulle qualità dell’Albero e sulla sua natura speciale (così si dice del Cipresso giù all’arco). Niente.
Se ne sta lì a leggere foglie.
A guardare adesso quella scena, si trova davvero imprudente. Ma come? Mi affidano un incarico di così
grande responsabilità e io me ne disinteresso? E cosa dire della scena che viene dopo? Il piccolo Spirito di
Natura è in testa ad un folto gruppo di Spiriti di Natura, davanti al Grande Mare e non sa dove andare e, quel
che è più strano, non riesce ad entrare: quando si avvicina alle fronde del Cipresso ne viene respinto. Non c’è
niente da fare: un altro membro della Compagnia dovrà mettersi a capo della squadra e prendere il suo posto.
Ancora un cambio di immagine: il piccolo Spirito di Natura davanti ai Sette Saggi del Bosco, che racconta
la sua vicenda e cerca di ricostruire con il loro aiuto ciò che gli è accaduto.
- Perché non l’hai detto subito che non avevi preparato la missione? Avresti voluto guidare tu lo stesso, alla
cieca? E soprattutto, perché non hai preparato la missione? Perché non hai chiesto aiuto, se non ti riusciva?
Tutte domande ragionevoli, alle quali non sa rispondere. Aveva dei dubbi su come acquisire le informazioni
ma, invece di approfondire le ragioni del suo dubbio, ha pensato che, davanti al Grande Mare, si sarebbe
orientato ad intuito. Aveva una mappa, gli aveva dato un’occhiata superficiale e questo gli era sembrato
sufficiente.
I Saggi gli affidarono nuovamente l’incarico di addentrarsi nel Grande Mare del Cipresso, questa volta da solo,
a ripulire il lavoro degli altri dai suoi sbuffi di energia scura, lanciati mentre li aspettava di ritorno dalla
missione. Eccolo adesso nel suo albero cavo a studiare le mappe, eccolo volare fino al Cipresso a parlare con il
deva dell’Albero, per domandargli se ha notato qualcosa di particolare fra i rami, negli ultimi giorni, eccolo
mostragli una mappa, per farsi indicare i punti da snodare.
Ora sono prudente, pensa, ma ho dovuto passare per una strada tanto dura…Imparerò la prudenza una volte per
tutte. La imparerò dai miei amici deva, che adempiono agli incarichi che vengono loro assegnati subito, con
gioia e poi si ritrovano la sera tutti insieme a volare con le amiche lucciole. La imparerò dal deva del Cipresso,
che non mi avrebbe mai fatto addentrare nel Grande Mare, fino a che non avessi conosciuto la strada per
arrivare al cuore del suo albero e poi andare avanti da lì.
La imparerò dai Saggi del Bosco, che mi hanno portato per gradi ad osservare la verità .
- Ora puoi tuffarti, sussurra il Deva del Cipresso. Il mio è il Cipresso della Prudenza. Egli sente chi deve ancora
trovare la sua virtù e consente a costoro di approfondire la conoscenza di se stessi fino a che non sono pronti.
Ora lo sei. Puoi tuffarti nel Grande Mare della Prudenza.
E tu, lo sei?
10
11
Sguardi prudenti,
la bellezza è già qui !
Te ne accorgi?
12
13
Procedi pure,
la Guerra è finita.
Pace nel Chianti.
14
15
Qui sono giunta,
la divina Prudenza
guida il cammino.
Nulla conosco
Oh dolce luce chiara,
petali e pietre.
Ulivo veglia,
il sapere è nel seme:
ritorno a casa.
16
17
LA VIA DELLA TEMPERANZA
E’ un percorso ad anello di circa 3 ore con un lieve dislivello (circa300 m)
Partenza da San Donato in Collina (FI). Si posteggia nel parcheggio del
cimitero e si sale sulla stradina asfaltata che sale . Arrivati ad una cabina
elettrica si sale a destra (qui comincia l’anello).
Si oltrepassa villa Gamberaia e si continua a salire fino al pianoro dell’antica
sorgente della Fonte Santa.
Dopo aver bevuto alla fonte si torna indietro e si prende a destra il sentiero che
sale in un bosco di castagni. Al bivio con una carrareccia si va a destra,
passando accanto a due ripetitori.
Si scende , poi si risale per arrivare al Poggio Firenze.
Si torna indietro per la stessa strada fino a ritrovare il bivio con la carrareccia.
Qui si va a destra, per riprendere l’anello. Si torna alla cabina elettrica che
avevamo visto all’andata e si rifà il pezzetto di strada per giungere a san
Donato.
E’ una strada che ha un po’ di salite e un po’ di discese, ma senza esagerare.
Così come non si esagererà nel bere l’acqua della fonte. Vedremo fiori e alberi,
e anche un laghetto.
Non ci stancheremo troppo, ma neanche ci sembrerà di aver battuto la fiacca.
La Temperanza ci aiuta ad apprezzare tutto, e a trovare il giusto passo.
18
19
Percorri il sentiero novello
davanti te si snoda il cammino
né breve, né lungo, ma bello
ponderando le forze il traguardo è vicino.
20
21
Il ramo doppio
mostra doppio albero,
il suo riflesso.
Realtà riflessa
non è vera realtà.
Alza gli occhi
da quello stagno:
vedrai veri alberi
sulla riva.
Sposta lo sguardo
via dal fenomenico
al dentro di te:
con temperanza,
lontano da eccessi,
pura verità.
22
23
Occhio esplora
oltre confini del sé
resto presente
Danza la luce
solido tronco sei tu
posso vedere
24
25
Magis sentiva il piccolo cuore frullare come le ali di una libellula: durante la notte aveva veduto l’inequivocabile scia
luminosa solcare il cielo e la civetta salutare il passaggio del grande carro di stelle: il Venerando e Ultramillenario Spirito
dei Boschi avrebbe fatto visita alla popolazione del bosco, un evento straordinario! Si sarebbe mostrato nel tardo
pomeriggio, ma si diceva che, talvolta, fosse ben disposto ad incontrare anche chi sostasse dinnanzi alla sua dimora sul fare
dell’alba.: Oramon e Magis erano diretti proprio là.
Quanti boschi ci sono sulla terra? Esistono i boschi di cristallo e quali deva se ne occupano? Quanti anni aveva il
Grande Spirito? Perché era stato assegnato a quel bosco e perché si occupava proprio di latifoglie? E poi perché gli umani
inquinano e tagliano o danneggiano i boschi? Troverò un compagno? E perché lo scorso anno quei parassiti avevano messo
a serio rischio la faggeta, perché il suo giovane amico scoiattolo era morto nella trappola di un cacciatore e dove si trovava
adesso? Dovrò lasciare questo bosco?…. Magis aveva dentro di sé tante domande, tante quante gli aghi di un alto pino.
Oramon, invece, non aveva alcuna domanda, dentro di sé il silenzio; si poteva dire che in qualche modo faceva conto sulle
domande di Magis. Camminarono ancora, fino al limitare del bosco, discesero la pianura, attraversarono il ruscello
dall’acqua gorgheggiante e s’inerpicarono per il colle sopra il quale Magis aveva visto il carro di stelle arrestarsi.
Il sole ormai era sorto e preannunciava una bella giornata. La voce di Magis e quella di Oramon si fecero un unico
suono:
“ Graaaande spiiiritooooo dei Boooschiii …” .
Un bagliore improvviso e una grande, meravigliosa luce prese forma dinnanzi ai loro occhi. Potevano distinguere la
sagoma di un vecchio dalla gigantesca statura, ma la sua sostanza mostrava l’ingresso a infiniti boschi.
Oramon e Magis si tennero alla roccia vicino per non perdersi nella visione di tanta bellezza. Tutta la bellezza dei boschi
della Terra e oltre era lì con il Grande Spirito. Magis non riusciva a parlare. Rimase in silenzio e si accorse che non aveva
più nulla da domandare, tutte le risposte che cercava erano dinnanzi ai suoi occhi, pronunciò un semplice “grazie” e la luce
del grande Spirito li avvolse.
Fu silenzio e grandissima pace.
Magis aprì gli occhi: attorno c’era una tenue luce color delle arance e delle rose, sentì delle voci che si allontanavano,
come ultime presenze di una folla che aveva appena sciolto il raduno; accanto a sé Oramon, ancora disteso, dormiva.Magis
guardò il cielo dalle mille sfumature in festa, vide in lontananza e per un attimo il carro di stelle con il Grande Spirito dei
Boschi che si allontanava fino a sparire, guardò di nuovo Oramon, il giovane spirito delle felci e compagno di giochi e vide
che aveva mutato forma, perso la tenera lanugine che lo rivestiva e splendeva di una luce verde chiara. Magis ebbe voglia di
giocare con lui e in quel momento Oramon si svegliò, aprì gli intensi occhi viola e guardò. Magis.
Due battiti d’ali di farfalla dopo erano sospesi in aria, Oramon provava le sue nuove ali color giallo agrimonia, Magis
scintillò azzurra… quante cose si erano detti tra gli infinti alberi del Grande Spirito dei Boschi!
26
Guarda bene, lettore, tra l‟intreccio dei rami, Oramon e Magis stanno
danzando .
27
Poggio Firenze
La nebbia ti porta su
Rimani ferma
28
29
La fatina della foglia rossa e verde, subito fuori dalla radura del Poggio di San Firenze, sulla
sinistra se state tornando indietro a riprendere il sentiero ad anello, parlava con la sua foglia,
mentre insieme facevano i quotidiani esercizi di flessioni e stiracchiamento:
- Gli umani che sono appena passati di qui, Foglia, hanno usato una parola che non avevo mai
sentito prima: Temperanza. Ma che vuol dire?
- Mmmh – si stiracchiò Foglia, mentre Fatina le toglieva qualche granello di polvere depositatosi
lungo le venature della parte alta della sua pagina:
- Vediamo: la Temperanza è l‟equilibrio tra il fare ed il non fare, la giusta misura di ogni cosa,
potrei dire.
Così ho scelto di essere leggermente arrossata perché mi piace il calore di Sole, ma senza
esagerare, con i dentelli per cantare le canzoni di Vento e con gli stomi larghi, perché le gocce di
Pioggia possano posarsi comodamente su di me e poi passarmi attraverso. Ma senza esagerare:
così sono rimasta vicina al suolo, e posso aiutare Terra a drenare le sue acque. Ma, ancora una
volta, senza esagerare: così sono di una piantina che ospita due o tre foglie al massimo e
piccolina ma…
-Senza esagerare! esclamò Fatina, con un batter d‟ali così festoso che arrivò fino alla foglia
superiore.
- Esatto – confermò Foglia – Come vedi, infatti, ci sono tante mie simili qui vicino e tutte insieme
possiamo sostenere il nostro compito di drenatrici con leggerezza ed efficacia. Hai capito adesso?
- Credo di sì – rispose Fatina: la Temperanza è la Gioia di essere quel che si è, la misura esatta
della nostra capacità di prestare servizio per la Natura: di meno potrebbe chiamarsi
…disimpegno, di più... sforzo!
- Mmmh – sorrise Foglia - Dai, adesso allunghiamoci verso Sole ma, mi raccomando…
30
31
A testa in su vedo il Sole,
e sento le radici nella Terra.
Il mio gambo è la prova
della temperanza :
ove potrò crescere, crescerò
aprendo i petali al Sole,
come raggi che diffondono
luce, in ogni direzione.
32
33
LA VIA DELLA FORZA
Il percorso è abbastanza facile, se si eccettua la possibilità di trovare fango, se
ha piovuto di recente, dura 5 ore (considerata un’ora di sosta sul Sasso) e ha un
dislivello di circa 400 m.
Si lascia la macchina al parcheggio di ca’ Barboni (seguire le indicazioni da
Sestino (AR).
Il percorso è ben segnalato. Si seguiranno dunque le frecce per il Sasso di
Simone, e comunque il Simone e il Simoncello (il Sasso più piccolo, accanto a
lui) sono ben visibili e indicano la strada.
Spesso un paio di cani di Casa Barboni fanno da guida per tutto il sentiero.
Il Sasso di Simone è come un accumulatore di energia, mentre il Simoncello,
come l’altro polo di una pila, la assorbe.
Tutta la forza che avete sarà amplificata dal vostro soggiorno sul Sasso, dunque
attenzione: ricordate che anche la troppa forza fa male!
In cima al sasso, si potrà circumnavigarlo, per guardare il Simoncello e il mare
di alberi che circondano i due.
Scesi dal Sasso, e giunti alla grande quercia, si prende, stavolta, il sentiero di
sinistra, per andare a Casa del Re.
Il sentiero scende fra i boschi, lasciandosi i sassi alle spalle. Al rifugio si potrà
dormire o cenare: negli scaffali troverete sicuramente qualche libro della Carote
e Lillà.
34
35
Lo sai, ti ha protetto finora
ma arrivato è il momento di andare
la Forza che senti è più forte, ed allora
vai oltre quel guscio, sei pronto a volare
36
37
Argilla forgia
l‟anima di chi viaggia
verso la cima
Vena dorata
scivola sulla terra
alta al cielo
Segno di pace
che il sole suggella,
roccia del cielo
muti e resti
sei orma calcarea
e fortezza di Dio
Terra e cielo
congiungono i voleri
forza divina
38
39
Musetto bianco
ci indica la strada ,
non ci smarriamo
La fede cresce
così anche la forza ,
fiorente luce
40
41
Sopra il Sasso
pensieri svaniscono
siamo felici
Terra di fango
ora scivola dal sasso
Sasso è forza
42
43
Cervo d‟argento
sei sul Simoncello
senti il tuo peso.
Ora rincorri
lucciole e farfalle
sei sul Simone.
Mentre ti guardo,
sento i tuoi zoccoli
fragori nel vento.
Adesso entri
nel mare di alberi
ci salutiamo.
Foglia di luce
corri ad abbracciare
i miei amici.
Questa scintilla
sempre ti accompagni
lungo la via.
44
45
Le formiche si preparavano all'estate, sul sasso di Simone arriva un po' in ritardo e possono godere
della neve fino a primavera inoltrata.
Nel formicaio sotto alla vecchia quercia c'era un gran da fare ed ognuna faceva la sua parte.
Osservando bene fra le piccole antenne e zampette efficienti ne vediamo una che procede
lentamente: saltella su un piede, poi su un altro, dà un'occhiata alla compagna davanti, sbuffa,
bofonchia e pensa "io sono una formica di tutt'altra razza e non posso star qui a
stancarmi le braccia".
Oggi, per esempio, era il turno delle briciole lasciate dai camminatori che venivano
a riposarsi sotto la grande casa ,e tutte le chiedevano di fare qualcosa "ma perché non mi
lasciano un po' in pace…".
La quercia accogliente e madre avvolgeva nel suo campo di luce coloro, che le affidavano il
corpo stanco dalla salita, che ,dopo essersi rifocillati, proseguivano ilpercorso.
La formichina sbirciava da sotto terra:
"Come invidio quelle brave persone
che nel camminar hanno trovato ragione,
le mie zampette son molli e pesanti
e mi sento come avessi cent'anni".
Dopo di che tornava a lavorare ,trascinandosi mollemente.
Quella notte la quercia , posando il suo amorevole occhio sulla formica addormentata , vide che
stava sognando un verde prato, e lei che correva libera e veloce come il vento, quando
all'improvviso cominciava a schizzargli addosso di tutto: fango, fili d'erba, piume ed il suo passo
si faceva sempre più lento e pesante.
"Piccola formica che ami la libertà,
ascolta me che tanti anni fa,
iniziai un cammino di compassione
e la forza mi ha fatto da padrone.
La forza ti nasca da di dentro
e si sparga intorno a chi sa ascoltare,
impara l'arte del silenzio e del pensare
a cio' che vale.
Ti lascio in dono questa preghiera:
che i tuoi sogni sian saldi come il mio tronco
e che i tuoi pensieri sian di luce vera."
Ma che succede alle piccole zampe? Fremono e si muovono nel sonno: adesso sono libere libere
libereeee!!
Adesso è alba,
la quercia ti saluta
formica ride.
46
47
Terra e cielo:
la forza è nel piccolo
che i due possiede
Fiorisce, si offre
nel cuore del piccolo.
Cuore nel cuore.
48
49
LA VIA DELL‟ UMILTA‟
La passeggiata è nel Parco dell’Uccellina: dura circa 4 ore e ha un
dislivello di circa 400m . Da Alberese si prende la navetta del Parco
fino a Pratini, per il percorso A1. Si sale un po’, nella macchia, ma
ben presto la salita è ricompensata da uno splendido panorama delle
torri dell’Uccellina e della macchia di pini che si tuffa nel mare.
Chi è più forte fra noi , che camminiamo, magari con un po’ di
fiatone per la salita, o le piccole zanzare, che ci infastidiscono? Con
umiltà, dobbiamo riconoscere che siamo noi i più deboli, e i rami
degli alberi che ci costringono ad abbassare la testa ce lo ricordano in
ogni momento.
A San Rabano, una sosta all’ombra del boschetto ai piedi della torre.
Poi si continua , diretti verso il mare.
Al di là di un cancello, un grande oliveto ci accoglie in un nuovo
mondo: terra rossa, mare blu, e l’argento degli olivi ci guidano giù,
giù, fino alla grande spiaggia bianca.
E, da qui, dopo il riposo, può partire un’altra passeggiata lungo il
canale, a salutare i grandi pini che commentano il nostro cammino.
Siamo così piccoli, di fronte a loro.
50
51
Di fronte a tanto portento
chini il capo avanzando pian piano,
la tua superbia si scioglie nel vento
e svuoti il tuo cuore del vano;
52
53
Cuore sereno,
la canzone del parco
comincia così.
Ogni colore
splende intorno a Noi
tutto e tutti ,
terra e acqua
servono umilmente
le nostre vite.
54
55
C‟era stato un tempo in cui, girellando per il suo Parco, il deva del Leccio Cornice
aveva pensato che nessuno nelle dimensioni del tempo fosse più fortunato di lui. Ecco
cosa i suoi occhi vedevano ogni mattina: cielo a blu alternati, mare a specchio e
profondità celesti incastonate fra gli spazi verdi delle colline e le fronde sempreverdi
del suo Leccio che, a loro volta, incorniciavano il panorama, a creare un dipinto
vibrante di vita e colore. Tutti i deva che presiedevano all‟allestimento del dipinto
lavoravano alacremente ogni giorno alla scelta dei colori, alla calibratura delle
armonie dei profumi con l‟alternarsi delle stagioni, il sole e le nuvole il vento e la
pioggia, tutti Maestri che li consigliavano nella scelta dei toni e dei mezzi toni. E alla
fine il risultato era la realtà del Parco: i suoi abitanti, e gli esseri umani che di tanto
in tanto vi passavano, avevano di che rimanere stupiti, di fronte a tanta maestria
compositiva.
Poi era cresciuto e aveva fatto fatica a trovare la sua collocazione nel gruppo
creativo del bosco. Non sapeva qual era il suo talento, con esattezza, e invece di
accettare con umiltà di stare a guardare il suo sentire che diveniva realtà e colori,
aveva deciso di fare il pittore. Proprio deciso lui, da solo. Una mattina. Su tela e con
colori di pasta, come gli umani, sì, proprio come loro.
Lui da solo aveva deciso per la sua vita.
E la sua vita gli aveva subito fatto sapere che lei, così. non si divertiva affatto.
Perché la sua vita non voleva solo mimarla, la realtà. Voleva forgiarla, impastarla,
esserci in mezzo. E per far questo occorreva ascoltare e metter d‟accordo un gruppo di
lavoro, i deva del parco, che a loro volta tenevano conto del progetto della Terra, che a
sua volta teneva conto del progetto della Via Lattea, che a sua volta teneva conto del
progetto di una galassia ancor più vasta, e così via, chi lo sa fino a dove, in una
vertigine immaginativa che solo colore di mari e musica di venti potevano narrare e
tu ne capivi gli accordi e le sfumature, ma il progetto tutto insieme potevi solo
respirarlo. Però, anche un solo respiro in quel progetto, era già felicità.
Ancora una nuova mattina e questa volta i suoi occhi smettono la veste altera dei
giorni passati. Questa mattina torna sui suoi passi nel bosco e trova una traccia
lasciata di fresco da una colonna di umani che ha percorso il suo sentiero.
Si affaccia al suo albero, e osserva che il Leccio-Cornice già incastona una
splendido quadro e che mai il lavoro di un essere che di propria volontà intesse una
tela può risuonare fra le brume del mattino come quello di chi cavalca le onde della
Creazione.
56
57
Petali verdi
se alzo il mio sguardo
trovo l'aiuto
Pietra racconta
l'umiltà si impara
tendo la mano
Oggi o ieri
l'albero ricama
pace celeste .
58
59
Mare e cielo ,
la vostra prospettiva
dona umiltà.
60
61
Sono forte, diceva l‟ulivo.
Niente mi può abbattere.
La mia chioma d‟argento splende più che mai sotto i raggi della luna.
Tu brilli, sì, dice l‟ulivo alla lucciola che gli danza intorno, ma sei così
piccola…e poi la tua vita dura così poco. Io sarò qui per anni e anni, per un
milione di volte almeno la durata della tua vita.
E‟ vero, dice la lucciola. So che vivrò poco, almeno così mi hanno detto.
Dove è la luna? Chiede l‟ulivo.
Improvvisamente, infatti, una grande nube nera ha oscurato l‟astro.
Non è nebbia, non è una nuvola d‟acqua, state attenti….
La voce degli angeli guardiani si diffonde per l‟uliveto.
Mettetevi tutti al riparo, presto….
Ciao, dice la lucciola all‟ulivo, vado a nascondermi finchè i mostri non sono
stati sconfitti dagli angeli…
Dove vai, mi lasci solo? La voce dell‟ulivo si fa un po‟ tremante. Tremano,
sicuramente, le sue foglie, anche se il loro riflesso d‟argento non si vede più,
da quanto si sta facendo buio.
Ho sbagliato: non è vero che sono forte. Ho paura, mi sento più piccolo di te,
adesso. Ho bisogno di aiuto. Mi aiuti, per favore?
Eccomi.
La lucciola cresce, cresce, fino a diventare una grande figura di deva
luminoso, che abbraccia l‟ulivo.
Gli angeli quella notte hanno vinto.
Quando è sorto il sole li hanno visti ancora così, abbracciati, ed erano così
belli che li hanno lasciati uniti, a vivere insieme per anni e anni.
62
63
foglia d‟argento
filo d‟erba
raggi di sole
onda marina
Olive buone
Folte chiome
cielo sopra
terra sotto
terra sopra
e stelle sotto:
viola viola
volavola!
64
65
Tra due alberi
il portale azzurro
mostra la luce
Prendi un ramo:
tu dove vuoi andare?
Dentro le stelle.
Intorno a me
vento e limpidezza.
chiudo gli occhi.
Oltre l‟ingresso
il volo è protetto
ali d‟angelo.
Aghi di pino,
umili giardinieri
siamo qui per Te.
66
67
So che mi state guardando, ma farò finta di non
saperlo.
Farò finta di aver paura di voi, anche se non è
vero.
Così, per non spaventarmi, sarete costretti a farvi
piccoli piccoli, e silenziosi.
Diventerete come quegli aghi di pino sparsi per
terra, e desidererete di non essere visti.
Penserete di non essere niente di fronte al
miracolo di esseri così diversi che, per un attimo,
entrano in contatto.
E, così, avrete provato, anche solo per un attimo,
ciò che vuol dire umiltà: essere piccoli, voler
essere piccoli, ed essere felici di esserlo.
68
69
LA VIA DELLA COSTANZA
La passeggiata va da Populonia alta alla cala di San Quirico.
Si lascia la macchina nel parcheggio a metà strada fra Baratti e Populonia, dove
iniziano vari sentieri. Si prende il sentiero sulla destra (mettendosi nella radura
con le spalle alla strada). All’inizio si entra nella macchia, costeggiando tombe
etrusche (le buche nella terra sono scavi non recintati). Poi compare il primo
affaccio sul mare, e il sentiero comincia a scendere verso la Buca delle Fate.
Continuando, si arriva alla cala di San Quirico, con tanti bei sassi, uno diverso
dall’altro.
E qui ci sono varie possibilità: possiamo risalire il fosso san Quirico, per
ritrovare una carrareccia che torna al parcheggio, oppure possiamo procedere
sul sentiero che sale in costa e offre bei panorami, e, ancora avanti, si inoltra nel
bosco e arriva fino a Piombino.
Scegliamo pure una direzione, e seguiamola, ma….Costanza non vuol dire
rigidità: se dopo essersi riempiti gli occhi del mare e sentire il caldo e qualche
zanzara, pensiamo che non abbiamo più voglia di andare avanti, possiamo
tranquillamente fare dietro front e ritornare alla spiaggia di sassi.
Ci faremo piccoli piccoli e passeggeremo all’interno dei canyon che l’acqua ha
creato nelle rocce, o navigheremo nei laghi tranquilli fra i sassi, dove i riflessi
di sole ritagliano altri mondi.
70
71
Seguo nel vento
Angeli che volano
popolo verde
Plano nell‟erba
si apre un sentiero
stiamo uniti
Cuore sereno
silenzioso il passo,
Son benvenuto?
Porgi un ramo
contatto o carezza?
solo petali
Si dipingono
disegni trasparenti
porte di luce.
72
73
La Fata del Cisto rosa lungo la Costa detta degli Etruschi trascorreva il tempo a rassettare il
suo fiore. Il mare cristallino non la interessava. Quella salseside... Il suo fiore si arricciava tutto
con l‟umidità e così doveva stirarne i petali, c.o.n.t.i.n.u.a.m.e.n.t.e.
Al Cisto rosa piaceva crescere al sole, sulle rocce che s‟affacciano a picco sul mare e giocare con
la Barba di Giove, l‟Erica e il Cisto bianco, il cui petalo era molto più liscio del suo e non si
spiegazzava mai, in qualsiasi condizione atmosferica.
Uno di quei giorni, la Regina delle Fate le aveva affiancato un Deva assistente. Dopo averla
osservata per un paio di batter d‟ali nel suo affaccendarsi, questi le rivolse la parola:
- Andiamo a giocare?
- Ma non ti viene il sospetto che la tua piantina non gradisca il tuo continuo stirarle i petali,
visto che in continuazione se li arriccia?
Il Cisto rosa fremette e i petali appena stirati si riempirono di allegre piegoline:
- Come ho potuto non cogliere la Costanza con la quale il Cisto rosa tornava se stesso quale segno
della sua volontà? Il mio compito era quello di tenere in ordine e il mio concetto di ordine non
teneva conto dell‟Ordine di Tutte le cose…
- Proprio così! condivise il Deva, lieto della veloce comprensione della Fata.
- A proposito, lo interruppe la Fata del Cisto rosa, ora spiegazzato, tu di chi sei il Deva?
- Io sono un Deva ambasciatore. La Costanza è la mia missione. Se ci sono Esseri che stanno
approfondendo la nostra conoscenza, io vengo inviato presso di loro. Tu stai studiando la
Costanza, il tuo lavoro nel bosco è molto apprezzato, così sei stata ritenuta pronta per il passo
successivo: la tua Natura in armonia con tutta la Natura.
- Mi piacciono le visioni condivise della realtà, osservò la Fata del Cisto spiegazzato. Ho deciso:
metterò la mia Costanza al servizio di questa visione comune. Da adesso in poi rispetterò la
natura del mio Cisto. Basta stirare: spiegazzato è davvero unico!
74
75
Quante onde si contano nel mare!
Da dove arrivano?
Chi le forgia?
Ogni goccia è parte del mare…
in ogni goccia c’è il mare.
Dalle montagne scorrono verso il basso,
dalle nuvole in caduta libera discendono
e si combinano.
Una volta insieme
decidono di fluttuare.
Il richiamo è forte
ciò che creano è immenso,
è un universo in viaggio.
76
77
Cresco e fiorisco
nonostante il vento
giallo sul mare.
78
79
Di strada c'è ne
un passo dopo l'altro
mantengo la via.
Mille violini
si devono suonare
uno alla volta.
80
81
Giunto al mare ,
oggi torno indietro .
Retta costanza .
82
83
Mare di passi
accetto il cammino
tu sai guidarmi.
Occhio celeste
il dono è la strada
come roccia io sono.
Dipingi la via
la tua mano mi stringe
canto di onde.
84
85
Piccoli segni, lasciati al mattino,
l‟ acqua ed il vento han cambiato.
Ma restano tracce di ogni cammino
sui sassi che il tempo ha scavato.
86
87
Si muove l‟acqua,
liquida la carezza
tra i sassi.
Moto costante,
nuove combinazioni:
piccoli sassi.
Onda leggera,
inaspettata luce:
tra i sassi, rosa.
88
89
LA VIA DELLA SEMPLICITA‟
La passeggiata va da San Benedetto in Alpe ai Romiti: sentiero natura
o sentiero del CAI 407, entrambi molto ben segnalati.
La passeggiata non è affatto faticosa, ma si può incontrare del fango,
quindi portate scarpe adatte. In più occasioni si incontrano bellissime
pozze del torrente: se è estate, portate il costume da bagno.
Durata: 4-5 ore comprensive di andata e ritorno.
Cosa c’è di più semplice dell’acqua? E l’acqua ci accompagnerà per
tutta questa passeggiata, sia occhieggiandola alla sinistra del sentiero,
sia incontrandola direttamente qui e là, quando forma piccole cascate
e polle, sia, quando non la si vede, col suo ininterrotto mormorio.
Se avete la fortuna di fare la passeggiata con un po’ di pioggia, tutte
le foglie e i fiori scuoteranno il capo al vostro passaggio, e l’acqua vi
accompagnerà anche dall’alto. Gli alberi vi impediranno di
inzupparvi (il sentiero è quasi tutto nel bosco), ma poi vi restituiranno
l’acqua un po’ alla volta, con una doccia leggera che laverà via tutti i
pensieri molesti.
Giunti alla cascata, si attraversa il fiume e si prosegue a sinistra
salendo ai Romiti, dove una radura spettacolare ci accoglierà come se
fosse un mondo tutto diverso da quello da cui proveniamo. Prendetevi
del tempo per esplorare questo nuovo mondo, in cui, ancora, non
manca l’acqua, visto che si può costeggiare il torrente dell’Acqua
Cheta mentre si prepara al grande salto.
90
91
Quel giorno l’Acqua, cheta, parlò:
Nasco dal cielo e vi faccio ritorno dopo aver incontrato il sole.
Non ho preferenze, mi va bene venir giù quando è il mio tempo e tornar su quando non
lo è più. Chiamo casa il cielo e la terra allo stesso modo, perché è bello abitare
ovunque, nell‟Universo.
Qui, gioco nel torrente a far le cascate e poi
a cadere in picchiata e a volare dappertutto, in centomila spruzzi…
Nutro la Terra che mi sta vicino, quando mi frango (è un modo per far nuove
conoscenze!)
Acqua Cheta, dopo aver solcato i mondi,
dopo aver scritto le vicende dei pianeti e dei popoli che li abitano,
dopo aver portato la vita ovunque tu sia arrivata
come fai a rimanere così… così…
S E M P L I C E?
Io son acqua e questo so:
CHE SON ACQUA
è quel che so
Essere semplici è naturale come bere un bicchier d‟acqua
(una delle metafore umane che preferisco!)
92
93
Quando una fata ride,
tinge l'aria di rosa.
Semplice, no?
94
95
Scorre il fiume
intorno alla gioia
semplice la via
96
97
Radici salde
osservano il cielo
specchio di viola
Lo sguardo oltre
luce materna ci sei
stringo la mano
Quanti riflessi
mi bagno alla fonte
risplendo di noi
98
99
“Nonno, perché si chiama Acquacheta?”
“E’ una storia di qualche tempo fa, quando il nonno del tuo nonno non era ancora nato.”
“ Me la racconti?”
“Si narra che da queste parti vivessero un vecchio saggio e la sua altrettanto saggia sposa. Dimoravano nel verde e tra i
meravigliosi fiori che orlano il bosco e colorano i prati di qui. Un giorno gli abitanti del vicino villaggio si recarono dai due
saggi per domandare loro consiglio in merito a una zuffa che aveva accalorato gli animi dell’intero paese: il falegname
vantava diritto di proprietà su certa parte del bosco, dove il mugnaio aveva costruito il suo mulino e la cui acqua del fiume
utilizzava per muovere le pale; il mugnaio chiedeva d’esser pagato per i dieci sacchi di farina che aveva venduto al
falegname ed il falegname, da parte sua, li riteneva a cauzione dell’uso della sua parte di bosco. Così fu che i due vecchi
saggi diedero codesto consiglio agli abitanti:
Il mugnaio ed il falegname si apprestarono a salire fin sopra la rupe, da dove origina il primo salto della cascata, così come i
saggi avevano indicato loro. Dapprima discussero animatamente lungo il primo tratto della salita, ma fatto che ebbero un
bel pezzo di strada insieme e una volta lassù, mancò loro l’animo ed il fiato di proferire anche solo una parola per vantare
ragione sull’altro.
Il mugnaio scelse di spostare il mulino più a monte, dove lo scorrere dell’acqua aveva anche maggiore vigore e imprimeva
una vivace spinta alle sue pale, ed il falegname sostenne parte delle spese per la costruzione del nuovo mulino, ripagando il
doppio al mugnaio i dieci sacchi di farina.
Da allora e da sempre l’acqua che precipita da questa cima è ACQUA CHETA.
Sei acqua cheta
musica e silenzio
quiete dei cuori
Cantano i vecchi e saggi sposi mentre si aggirano per questi boschi, raccogliendo frutti e sorridendo alla cascata, che per
tutta risposta brilla.
A proposito, abbiamo appena passato il mulino, lì sulla tua sinistra…, ancora pochi passi e siamo alla cascata.
100
101
Unica azione ,
discendere leggera
come una piuma
Come un dono
inventiamo l‟energia ,
semplicemente.
102
103
Qui ai Romiti, tra le verdi foglie
mentre vicino l' acqua cheta scorre
il vento passa lieve e coglie
il canto del ruscello tra le forre.
104
105
- Viandante, che fai? perchè ci interroghi, muto?
- Vorrei scrivere una favola nella quale voi siete le protagoniste. Vorrei raccontare che siete luminosissime in un giorno di
pioggia. Mi piacerebbe dire che, quando il sole è a riposo, splendete al suo posto per arrecare al creato la luce che serve alla
…creazione appunto. Ma non so bene da dove iniziare…
- Siedi accanto a noi, viandante ed osserva. Limitati ad osservare e aspetta.
Così sto, seduta accanto alle foglie brillanti.
La pioggia scende, all’ Acqua Cheta.
- Cosa vedi, viandante?
- Pioggia.
- Guarda meglio.
- Gocce. Miriadi di gocce dalle superfici tonde tonde, che riflettono la luce del giorno e s’accostano a tutto ciò che c’è.
- Come vedi la luce proviene da molte fonti. Anche tu puoi essere luminoso. E anche quel che scrivi.
- Come le vostre pagine verdi? Ma è possibile che io possa scrivere qualcosa che possa solo paragonarsi alla brillantezza dei
vostri colori , alla gradazione con la quale passate dalla tenerezza delle piccole foglie all’intensità di quelle più grandi?
- Infatti, viandante, tu narrerai di te e della tua luce. Della luce che passa attraverso di te…
Così come noi, scrittori di terra, narriamo di noi e della luce che passa attraverso di noi. Però possiamo collaborare ad un
romanzo a quattro… piante, e dar luogo ad un’incontro di colori fra umani e sottobosco..
Come può accadere questo?
Semplice!
Proveniamo tutti dalla stessa fonte
la stessa luce ci fa brillare
e comunicare
ecco perché è possibile collaborare.
In verità, Noi siamo espressioni diverse
ma unico è il grande Progetto luminoso
106
107
Senza fretta prese la direzione e …
non si voltò mai indietro.
La scia che lasciava era un buon segno
per chi passava da quelle parti.
Un giorno una coccinella le chiese
“Come fai ad essere così sicura della tua strada
da non guardare mai indietro?”
“Posso restringermi e anche allungarmi,
posso perfino mettermi al riparo nel mio rifugio,
ma non posso ruotare il mio collo !”
le rispose la chiocciola.
108
109
LA VIA DELLA PIETA‟
112
Torna qui da me, da dove sei nata, foglia.
113
Qui nel Bosco ognuno ha la sua nota caratteristica e la suona.
Insieme, tutte le note di noi abitanti del Bosco compongono questa melodia di sottofondo che state sentendo
proprio adesso: una leggerissima Brezza, che talvolta scuote le foglie dai rami facendole ondeggiare nell’aria e
talvolta solleva quelle già cadute facendole muovere sul terreno solido e sicuro…
Il nostro direttore d’orchestra è stato chiaro: ciascuno deve riconoscere la propria melodia e lasciare che si
diffonda nell’aria. Io, l’Acero della Faggeta del Sentiero che percorrete, per molto tempo ho pensato che
ingiallire e poi perdere le foglie fosse sintomo di insicurezza. Quasi mi vergognavo di essere tanto sensibile al
minino soffio di vento: basta un alito, infatti, e le mie foglie oscillano tutte. Guardavo i Pini del bosco e loro
erano sempre fermi, immobili, sicuri del fatto loro anche nella bufera. Cercai di stare fermo anch’io, di mettere
le foglie alla fine dell’inverno per tenerle più a lungo in autunno, ma furono sforzi inutili.
- Ciao Acero! Oh, vedo che hai dei visitatori. Mi presento:sono il direttore d’orchestra, la Brezza Fresca
e Profumata delle Mattine d’Autunno.
- Sto raccontando loro di quando ci parlasti della Pietà.
- Sì, mi ricordo.
- Fu quando chiedesti a ciascuno di noi di emettere il proprio suono. Ed io tacqui per settimane.
- Rimanemmo tutti meravigliati dal tuo silenzio. Avevi sempre emesso suoni molto intensi…
- Non conoscevo il mio suono, ecco la ragione di quel silenzio. La mia voce era quella che mi sforzavo
di assumere per sembrare sicuro di me, ma il mio suono… nessuno mi aveva mai chiesto di suonarlo,
prima.
- Dopo questo silenzio parlai a tutta l’ orchestra e te, in particolare.
- Hai usato la parola Pietà: io non l’avevo mai sentita prima d’allora. Che suono rotondo!
Abbi pietà di te stesso, mi dicesti, e abbandona al vento lo sforzo di essere quel che non sei.
Prenditi cura della tua voce, delle tue foglie tanto sensibili alle brezze
dei tuoi rami che sanno essere armonici anche da spogli.
Quando c’è neve suona con la neve e quando c’è sole sii il faro che guida i passi dei viandanti.
Se suonerai con tutti noi proprio in quel momento
LA PIETA’
che avrai imparato a far passare dal Cielo alle fronde fino alle radici
si farà musica agli orecchi dei pellegrini ed essi risuoneranno con te
aggiungendosi all’orchestra con la propria compassionevole melodia.
- Proprio così hai detto e così è stato. Da allora queste foglie così sensibili al mutare delle stagioni sono
il mio suono ed io mi prendo cura di chi passa facendole volteggiare, frusciare, cadere…
114
115
Se guardo lassu'
una carezza dal cielo
il cuore apre
Posso sentire
nella pietà del cielo
caldo rifugio
Sole di foglie
petali di albero
tendo la mano
116
117
Ascolta: voci antiche nel vento,
raggi attraverso l‟azzurro,
fini gocce d‟arcobaleno.
La pietà, dono nascosto,
ritrova i tuoi passi.
Ti sfiora la mano,
la senti che è in te.
Spiegarla non puoi:
è un gesto che nasce sincero,
e sollevato quel velo,
ridisegna il cammino.
118
119
Le stagioni arrivano a dipingere con le loro tavolozze di colori il mio bosco.
Ed io ammiro i suoi rossi, i gialli e l'arancione, a volte sfumati nel bianco vapore delle
nebbie autunnali, ma anche trionfanti, come oggi, in un azzurro intenso, colmo di
luce.
Così le foglie grate restituiscono il calore che il sole ha loro a lungo donato, e colorano
di magnifiche livree gli alberi che a poco a poco si svestono, commiato imminente,
preparazione attenta e soave al sonno che arriva.
120
121
Rami parlate,
Raccontate alle foglie
Che son colore
Dolce il vento,
vibran foglie e rami:
ecco accade
Lenta discesa,
splendore d‟oro e arancio:
alberi in festa
Note nell‟aria:
nevicano le foglie,
liberi i rami
Caldi i colori
e calda è la terra:
Pietà che accoglie
Ramo leggero,
pronto al gelo d‟inverno,
in te ora è il sole
122
123
Un raggio di sole si posa sul Bosco.
Tre foglie si svegliano fra le brume, ancora attaccate al ramo
al quale fecero riparo per un‟intera stagione
O forse anche due.
La terra esala il suo tepore,
Il cielo la sua freschezza.
Quattro foglie sono un po‟ più gialle di ieri.
Una si lascia andare giù: è tempo, oramai.
Ognuna segue la sua natura e la Natura vive
Senza fatica
La pietà del tempo che passa
A scandire i colori, i ritmi, le stagioni
Per dar modo a Tutto
Di succedere
All‟alternanza dei gialli e dei verdi di manifestarsi, così come dell‟Estate e
dell‟Autunno
E via di seguito.
124
125
-Buon giorno, bambini.
-Buon giorno, signora maestra.
-Oggi parleremo della pietà. Chi sa dirmi cosa è la pietà oppure
sa farmi un esempio di un'azione pietosa?
-Dimmi , Luigi.
-Io conosco la storia di San Martino, che ha tagliato in due il
suo mantello per donarne la metà ad un povero che aveva
freddo. Credo che sia questa la pietà.
-Elisa?
-Io so di un uomo che ha diviso il poco cibo che aveva con un
altro che non aveva nulla da mangiare.
-Sono tutte azioni compassionevoli! Siete tutti d'accordo?
-Sì!
DRINNN……
-Ecco la campanella della ricreazione, giusto in tempo. Ci
vediamo dopo , bambini.
“Vado” disse la foglia brillando nel cielo, sotto le forbici del Tempo, cadendo
leggera.
“Rimango” disse l’altra cullandosi nel vento e beandosi del suo verde.
“Freddo, l’Inverno ci coglierà tutte e due” pensarono le foglie rabbrividendo.
“Coraggiosa foglia gialla, che non temi di lasciare il tuo colore e di mutarti in
terra per donare fiori con la nuova stagione, da quassù ti ammiro”, disse l’una.
“Coraggiosa foglia verde, che resti nel rigore dell’Inverno ad adornare i rami e
far da riparo agli animali del bosco, da quaggiù ti ammiro”, rispose l’altra.
130
131
LA VIA DELLA SPERANZA
132
133
Nel cuore brilla
speranza vien dal cielo
la tua fiammella
Verde abbraccio
mi indichi la strada
dono me stesso
Lo so che ci sei
tra respiri di bosco
imparo con te
134
135
Ciao, il mio nome è Nepitello, sono uno spirito di natura dei boschi di
Sanmezzano.
Permettetemi di accompagnarvi per un poco mentre saliamo lungo la strada.
Ci sono molti alberi qui, alcuni più giovani e comuni, altri più antichi e più
rari. E a proposito di alberi rari, dopo quella curva, tra poco, incontreremo le
sequoie, che furono portate qui tanto tempo fa dal primo proprietario del
castello che sorge sulla cima della collina.
Certamente sapete che le sequoie sono originarie delle Americhe, e potete
facilmente immaginare che lungo viaggio debbono aver fatto queste piante
per arrivare fino qui.
Ricordo come se fosse adesso quando giunsero. I loro Deva erano molto
stanchi, eppure si prodigavano in ogni modo per prendersi cura delle loro
protette. La cosa che mi colpì era la speranza che leggevo nei loro sguardi.
Tutti loro si guardavano attorno sorridendo, si incoraggiavano, e seguivano
con estrema attenzione tutte le manovre che gli uomini compivano nel
piantare le sequoie, li consigliavano, li sostenevano.
Ma una volta messe le piante a dimora, anche se il più era fatto, molto
ancora restava da fare. Ricordo che non fu semplice per loro adattarsi, eppure
anche nei momenti più difficili non vidi mai scomparire dai loro occhi la
speranza. Quando qualche pianta era in difficoltà i deva vicini se ne
prendevano cura, infondendo coraggio, rassicuranti, tenaci.
A vederle adesso, tanto alte e maestose, non è facile credere che abbiano
dovuto guadagnarsi ogni centimetro del loro lungo tronco, eppure è così!
E se posso confidarvi un segreto, solo la speranza li ha sostenuti e li sostiene.
Ed è una forza potente, tanto potente che le cime dei loro alberi toccano il
cielo.
136
137
Proseguiamo nel nostro percorso, amici.
Ecco laggiù nel grande prato quella splendida sequoia a forma di candelabro. Anche nella nebbia si riesce a distinguerne il
profilo con chiarezza.
- Ciao, Nepitello!
- Ciao, Sequoia. Sto accompagnando un gruppo di amici nell’esplorazione del Parco.
- Sì, ti ho sentito. Parlavi della speranza che intesse le nostre cortecce, i nostri rami e le nostre chiome. Io sono testimone
vivente di un atto di speranza, per questo ne parlo volentieri.
- Di quale atto di speranza parli?
- Sì. Ti sei mai chiesto perché qualcuno si prese la briga di farci fare un viaggio tanto lungo?
E chi ci portò qui ebbe nel cuore la speranza di un mondo in cui le sequoie portavano la loro tenacia, la loro perseveranza
nella protezione dei luoghi della Terra, senza conoscere frontiere. E così chiese a noi se il progetto che gli era stato
ispirato dalla sua fede, questo progetto di speranza, ci interessava. Ed io e le mie compagne che vedete qui rispondemmo:
SI‟!
E così apprendemmo che la creazione dell‟Universo non è terminata,
ma che ognuno di noi può dare il proprio contributo,
quando dalle radici alla chioma
la parte di Universo che ti abita ti indica come fare.
- Anche con le radici si può viaggiare, allora.
- Sì, Nepitello, anche con radici possenti come le nostre si possono valicare mari e montagne. La speranza è un motore
portentoso, quando le specie che abitano il pianeta collaborano fra di loro.
- Potremmo concludere dicendo che la Speranza è amica della Collaborazione?
- Arriverei addirittura ad affermare che
la Collaborazione è Speranza in azione,
è la capacità di abitare nuovi mondi
rispettando le armonie dell‟Universo.
- Grazie Sequoia, queste conversazioni con te sono sempre illuminanti.
- Grazie a te, Nepitello. Ci vediamo con il prossimo gruppo.
138
139
Inizia un nuovo giorno. Il sole del mattino sveglia la collina.
Tra gli abitanti della collina ce n‟è uno che vaga fischiettando, solitario e spensierato, tra prati e
radure, quando, all‟improvviso, si sente chiamare:
“Buon giorno, Nepitello!”
“Buon giorno a voi deva, come state?”
“Bene, bene, grazie. Abbiamo saputo che vai in giro a tessere le nostre lodi con i visitatori della
collina!”
Volevamo ringraziarti di quello che vai dicendo in giro, ma sei proprio sicuro che ci meritiamo
tutte quelle belle cose che dici di noi?”
“Dico solo quello che ho visto con i miei occhi, e quello che ho potuto conoscere da quando
arrivaste qui.”
“Ti siamo grati per ciò che racconti, ma la nostra speranza è che chi passeggia sulla collina non
si faccia distrarre dall‟altezza dei nostri alberi, e possa invece vedere oltre i tronchi ed i rami
delle nostre amate sequoie. La nostra speranza è che quello che noi abbiamo ricevuto qui possa
mostrarsi anche a chi passeggia tra noi e che questo possa colpire il suo cuore. Su questa collina
abbiamo trovato affetto, rispetto, e amicizia. Abbiamo ricevuto tantissimo da tutti coloro che ci
hanno accolto. La nostra speranza è che questo venga visto, compreso, accettato.”
Nepitello resta sorpreso, quasi arrossisce alle parole dei deva. “Ma deva, di cosa parlate? Abbiamo
fatto così poco…”
“Se averci dato forza e sostegno, se averci accolto tra voi, rinunciando al vostro spazio,
accogliendo degli „stranieri ingombranti‟, se averci incoraggiati e protetti nei momenti difficili è
aver fatto poco, mi domando cosa sarebbe di noi se aveste fatto molto…
Nepitello, siamo noi che ammiriamo tutti voi che ci avete accolto. La speranza che hai visto fiorire
in noi, e di cui parli, è stata mantenuta viva dal vostro amore, dal vostro aiuto. Da soli, sperduti
in una terra che non conoscevamo, avremmo fatto ben poco. Le nostre piante che toccano il cielo
probabilmente non ci sarebbero o non sarebbero così forti e belle se tutta la collina non ci avesse
accolto con amore. Se le nostre piante hanno contribuito a renderla più bella è merito vostro,
della vostra mentalità aperta, del vostro grande cuore. Dal lichene più piccolo, alla quercia più
grande, tutti voi, spiriti di natura, deva ed esseri del bosco, ci avete dato forza e ci avete
incoraggiato. Anche se eravamo diversi e stranieri ci avete accolto come amici, anche se la nostra
grandezza poteva incutere timore, avete saputo vedere i nostri cuori e non avete avuto paura di
noi. Grazie per averci sostenuto ed averci aiutato a crescere.
Grazie per aver condiviso le nostre speranze.”
140
141
Sono attento e silenzioso, sentinella all‟angolo del castello.
Che piova, ci sia il sole, tiri vento o che mi avvolga la nebbia più fitta, sono
qui.
Solo le mie fibre a volte ondeggiano nella brezza che smuove la calura estiva,
o si scuotono mentre lasciano scivolare tratti di bianca coltre invernale, o
danzano sferzati dal vento o dalla pioggia durante i temporali, ma le mie
radici sono salde sul tronco amico.
Da più di 100 anni veglio e proteggo la collina.
Non ho bisogno di muovermi per conoscere l‟Universo, tutto scorre accanto a
me, tutto mi nutre e a tutti dono ciò che sono, ciò che conosco.
Amo i bambini che corrono e giocano nell‟ampio prato, ma anche le coppiette
che teneramente si corteggiano o i gruppi di amici che alzano i loro canti o le
loro voci negli allegri pomeriggi di sole. Ma allo stesso modo amo il passo
solitario di chi ama stare con se stesso e che a volte riesce ad udire le nostre
voci, o anche chi cerca solo un poco di ombra, o un appoggio Nel sole o nella
pioggia amo ogni creatura, che sia il cerbiatto, o la lucertola, o l‟istrice o
l‟essere umano. Tutti fratelli nel creato.
Ricordo che da giovane speravo che molte anime potessero gioire della
bellezza di questa collina, sognavo che non fosse riservato a pochi, e la
speranza in parte si è realizzata: il parco è ora di tutti e questa è una gioia,
ma, di fianco a me, il castello resta abbandonando e sta lentamente
andando in rovina. Spesso con le altre piante e gli alberi del bosco, e con i
nostri deva parliamo di questa strana affascinante costruzione.
Chi sa se un giorno sarà nostra.
Con l‟edera e la vite americana ci stiamo già attrezzando….
142
143
Quando apro i miei petali al mattino
vedo la tua luce e so che ci sei,
quando apro i miei petali la notte
vedo il buio e so che verrà mattina.
144
145
LA VIA DELLA FEDE
146
147
Sotto la croce,
riempiono il cielo
note felici.
150
151
Siamo stelle , o fiori, se così ci vedi.
152
153
È lì , verticale, apparentemente arido, inerme…
ma emette un suono :
anche da un muretto nascono tracce di vita.
Se si fa un passo indietro,
il grappolo assume una forma nota .
Ecco, è una croce.
154
155
“Guarda che rami! Hanno l‟oro del sole! Sono i rami di
un albero in festa!”
“Nulla di più appropriato: oggi, ci saremo proprio tutti
!” Volpe e tasso sorridono, come sorridono gli animali.
E‟ appena giunto anche un gruppo di umani, li
accompagnano luminosi esseri alati multicolori.
Sotto l‟albero
Riverbero del sole
Unica fede
156
157
La volpe osserva tranquilla le dimensioni che scorrono davanti ai suoi occhi: le ali
delle fate, i capelli degli umani, gli occhi del tasso, le radici dei cerri. La brina e i suoi
diamanti raccontano di una ricchezza inestimabile che dura dalle prime luci
dell‟alba fino al sole di mezzogiorno, mentre riposa sulle foglie delle case delle fate. E
poi si scioglie. E quel che accade è che Volpe continua ad osservare.
“Non importa quel che è successo con quelli della vostra specie”, racconta a chi sa
ascoltare, “noi della volpe, e così molte altre specie, sappiamo che presto o tardi
condivideremo armonicamente gli spazi, che presto o tardi tutta la specie alla quale
appartenete accetterà il fatto che il pianeta è popolato da specie diverse e che ognuna
di esse ha le proprie abitudini. Io sono del popolo della volpe e , anche se una volta non
era così, adesso non ho difficoltà a vivere con il popolo del tasso. Il popolo dell‟elleboro
si è integrato a meraviglia con il popolo degli alberi e il grano corona le nostre
stagioni, scandendole, con i suoi colori d‟inverno, a primavera, d‟estate e anche
quando la terra riposa, ed è autunno”.
Ci scuotiamo: “Volpe, noi decifriamo i tuoi suoni!”.
“E‟ così perché voi appartenete ai molteplici popoli della Terra e avete tutti gli
strumenti per capire i vostri simili. Occorre solo che cominciate a considerare noi volpi
e i tassi e gli alberi e la brina vostri simili. Occorre che abbiate fede, così come
l‟abbiamo avuta noi”.
“Cosa vuol dire, Volpe?”
“Vuol dire che il nostro popolo ha smesso di scappare.
Abbiamo fatto un atto di fede.
Non importa quel che può accaderci, ci siamo detti, anche la brina brilla solo poche
ore eppure i suoi bagliori illuminano i sentieri fino al cielo. Adesso è tempo di creare le
basi per l‟unione dei nostri popoli. Non abbiamo più paura. Il popolo degli alberi lo fa
da millenni, e così i cani e anche i gatti, nessuno fugge più. Così, a poco a poco, tutte
le specie troveranno il coraggio di incontrarsi.
E finalmente vivremo in unione, come l‟Uno che siamo
“Come sai queste cose, Volpe?”
158
Di Dio e Luce
Mi racconta le fede,
ed io l‟ascolto.
159
LA VIA DELLA GIUSTIZIA
160
161
Siedo in riva al lago
il vento modella la mia forma ed io assisto al mutamento
ogni mattina
ogni mattina scopro, insieme ai tuoi occhi, come sono oggi
Ogni mattina festeggio.
“Una volta decidevo io. Ogni mattina mi impegnavo ad assomigliare all'idea che avevo scelto per me. Me ne stavo rigido
sotto il sole, insensibile alle armonie dei venti che pure qui spirano da ogni direzione.
Poi alcune canne della pianta di cui sono il deva cominciarono a spezzarsi. La pressione del vento era superiore alla mia
volontà di essere inflessibile. Perché mi fai questo? cominciai a lagnarmi verso il Cielo. Cos'ho fatto di male? Io sono solo il
deva delle canne del lago, perché ti accanisci così tanto contro di me? Nessuna risposta. Per giorni, mesi, forse eoni,
nessuna risposta”.
Ride il bambù, con le sue voci sottili e cristalline, ridono i biancospini con i loro toni alti e i pini, prestati da Mastro Mare al
servizio del luogo.
- Prima non ci vedevi neanche! gli ricorda Bambù.
- Neanche! Neanche!, cantilenano i gabbiani in alto.
- Già, ammette il deva delle canne del lago. Ero così preso dall'essere inflessibile, ed era una tal fatica, considerata la
struttura fisica delle mie assistite, che a stento riuscivo a riconoscere altro. Poi però presi ad osservare voi, le vostre fronde,
il vostro lasciarvi forgiare da una volontà superiore. Ma il libero arbitrio, mi chiesi allora, non esiste? Sono destinato anche
io come loro ad arrendermi, a finire in balia degli elementi? Io non decido nulla? Io non conto nulla?
Rimasi ancora un po' fermo, lì, impassibile, mentre le mie assistite deperivano a vista d'occhio. Accadde allora, una mattina,
che, guardando lungo gli argini, il Cielo ebbe compassione di me e mi inviò una risposta che seppi decifrare: c’era un
gruppetto di piccoli umani che giocava con il vento. Si appoggiavano di schiena controvento per lasciarsi sostenere da
quella forza invisibile mentre i loro capelli si agitavano multicolori in sospensione nell'aria insieme ai loro aquiloni: una
festa. Vidi quella gioia amplificata, centuplicata dagli abitanti del lago che del pari giocavano con il vento. Vidi anche che
tutta quella gioia assumeva l'aspetto di una nuvola rosa che si alzava dal lago per irrorare le colline circostanti e poi saliva
verso il Cielo e tornava giù, come una benedizione per la Terra e per i suoi abitanti. Quel giorno mi fu mostrato il disegno di
Dio. E di questo sarò grato in eterno.
Solo allora ricordai quel che avevo scelto, quando accettai la missione in riva al lago: testimoniare la possibilità di andare
oltre la forma fisica e per questo acquisire un'identità assai più precisa che con una sola forma, perché era l'identità dell'Uno
e del Progetto quella di cui andavi a far parte. L'avevo dimenticato… Quanto ho sofferto, e solo per la mia superbia:
pensavo di saperne più di Dio...
Ora il vento modella la mia forma, ed io ho scelto di far parte di questa realtà, in condivisione con voi, e del suo modo di
funzionare. Ho scelto la volontà di Dio. Ed è la mia.
162
163
“Da alcuni giorni i pini sulla collina ci comunicano che arriverà un gruppo di persone che aiuteranno gli abitanti
del lago a fare pulizia. La notizia mi lascia esterrefatto perché, in quanto pulitore del lago lato ovest nonché
guardiano della capanna, dovevo essere avvisato per primo e nessuno mi aveva detto nulla. Sento un fremito
che mi percorre le ali e più guardo intorno lo specchio di lago che mi è stato assegnato e meno comprendo
perché ci sia bisogno di un aiuto. Mi dirigo alla capanna dove ci sono alcune finestrelle che permettono di
osservare il lago ed il paesaggio: tramite uno specchio invisibile possono mostrare mondi diversi a seconda di
chi li osserva. Li controllo uno per uno come mi ha insegnato il mio tutor e seguo l'assegnazione che è stata a
sua volta assegnata a lui. Sento di nuovo quella sensazione salire, mi guardo intorno e, non vedendo nessuno,
cambio di posto ai filtri delle finestre a mio piacimento...”
"Sono stato assegnato come tutor al deva guardiano della casetta del lago.
All‟inizio c‟è stata una collaborazione proficua o almeno così mi sembrava
perché, in un incontro con altri tutor, ho scoperto che ero entrato in
dinamica più volte con il piccoletto, tanto da aver cambiato i progetti che mi
erano stati assegnati. La situazione mi ha un po‟ scoraggiato e mi sono
chiesto più volte cosa avessi fatto di male perché mi assegnassero uno così,
tanto da farmi assaggiare nuvolette di rabbia anche adesso che scrivo il mio
report… ma, il momento in cui ho provato un vero spettinamento nel mio
corpo di luce è quando l‟ho visto, pensando di non essere osservato, cambiare i
filtri alle finestrelle…”
“Mentre osservo compiaciuto il mio lavoro sento che c’è qualcosa che non va. Ho perso una parte della mia
luce e gli amici aironi che passando si fermavano a salutarmi non mi vedono e volano oltre. Vedo le farfalle che
scappano via dal casotto ed i pesci vanno al largo. Capisco che l’ho fatto grossa e corro a riposizionare gli
specchietti saggiamente assegnati… ma non mi sento ancora a posto con la mia coscienza.
Apro il mio cuore e chiedo scusa.
Lo sento arrivare come una carezza amorevole che mi abbraccia, anch’io lo abbraccio, anche se è troppo
luminoso perché possa vederlo ad occhi aperti.”
164
165
Ogni mattina vengo qui a trovare i miei amici in questa oasi di
acqua e di pace vicino a Santa Luce.
Qualche anno fa spiriti di natura, animali, piante e fiori non
esistevano nei miei pensieri, come non esisteva Dio.
Che cosa ho in comune con ogni essere vivente? abbiamo tutti lo
stesso padre che veglia su di noi.
Ecco gli spiriti di natura che giocano con l‟acqua, mentre i fiori
aspettano il proprio turno per ricevere un raggio di sole.
Non abbiamo paura della vita e ci rispettiamo l‟uno con l‟altro
poiché questo è il volere di nostro padre.
166
167
Sono qui, davanti ad una porta di bambù, e i miei passi non vanno più.
Incespico, inciampo, sogno o realtà? Più avanti non vado, mi sento un baccalà.
Non ci riesco.. mi lamento, ogni passo che sforzo.. che tormento! Che mi succede?
Perchè la via del bambù mi è inaccessibile? Son diventato tutt'ad un tratto insensibile?
Plausibile.
Sono il Deva del bambù, questa la risposta a ciò che hai domandato tu.
E...no, non io i piedi ti ho legato. Piuttosto..potendo, la lingua ti avrei impastato, visto che parli e
ti lamenti invece di cercar la ragione dei tuoi tormenti. E scegli di pensare che una forza a te
esterna si diverta a metterti in difficoltà, piuttosto che aiutarti a raggiungere la libertà.
È per questo che sei qui, Deva del bambù? Per insegnarmi a non mentire mai più?
E come posso? E' forse l'idea che nessuno tranne che io stesso sa qual è il meglio per me stesso?
E aggiungici anche questo: che tutto quel che si discosta da quell'idea va modificato, manipolato,
riscritto e... che se tutte quelle operazioni non bastano ancora a mutare il mondo nel tuo
girotondo.. due lacrime sulla sfortuna d'esser perseguitato da uno sgraziato Fato... ti aiutano
infine a mettere a tacere le tue ultime voci sincere e ad agire... secondo il tuo volere.
Spirito del bambù, strumento che dalla voce del Cielo si lascia attraversare fino a suo messaggero diventare, grazie per la chiarezza: la
pulizia delle tue fronde illumina la mia strada e spazza via l'incertezza, lo sguardo limitato d'un essere che ignorava il disegno divino, ma la
voce del Cielo sentiva – era d'orecchio fino – allontana una strana volontà che non conduceva mai alla felicità: scelgo io al posto di Dio, ma
poi soffro e mi lamento: come ho fatto a cacciarmi in un simil tormento? E scioglie il laccio ai miei piedi perché ora m'affido e scelgo, io in
persona e nel pieno delle mie facoltà, scelgo di seguire la via che il Cielo mi mostra.
Bene per te, amico. Segui il sentiero sotto l'arco del bambù, scopri il mondo e gli esseri che hanno
fatto scelte simili alle tue, vivi con grazia e con (letizia/giustizia – lo spirito di colui che se
smarrisce la strada, torna indietro e la sua rotta corregge/legge) sulla via della giustizia.
168
169
Soffia il vento, passa tra i rami.
Bianco-spino, spine e candore, questo ho creduto di essere. Fiero dei miei petali, lusingato che se ne ammirasse
la bellezza, e poi afflitto, perché ancora una volta avevo punto chi mi era passato accanto, adirato perché quella
forma non avevo scelto e di vedere la sofferenza cagionata ero stanco.
Soffia il vento, passa tra i rami.
Poi, un attimo di luce, mi fermai e, scordandomi del biancore e delle spine, sentii il vento.
Chi sei tu che tra i miei rami passi e non ti pungi? Tu che al tuo passaggio mi accarezzi?
Sono il Vento che trasforma, che accompagna nel passaggio da una forma
all‟altra. Sono il Vento della Compassione che mostra l‟illusione della
sofferenza, l‟Accettazione, l‟Abbraccio dell‟Universo che racconta chi siamo.
Chi sei tu piuttosto per dire che le tue punture sono dolore ? E se fosse
l‟occasione per una prova di coraggio o perché qualcuno possa prendersi cura
di qualcun altro, o ancora un avvertimento, “attento!”? Chi sei tu, piuttosto,
per dire che la bellezza dei petali che da te nascono sono frutto del tuo
merito?
Ammutolii.
Aghi di luce
ricamano l‟aria
inconoscibile disegno e trama
petali leggeri
rilasciano polline
imprevedibile dono di Dio
Vidi il bianco dei gabbiani, le onde del lago, gli aghi del pino.
Sono ricamo del cielo, nuovo arbusto che ondeggia, come il lago che mi
rispecchia, con il pino e le canne ricamiamo le sue sponde, sono il vento che
soffiando passa.
170
171
Chi sta piegando,
pure dovrà piegarsi.
Timor di Dio.
172
173
LA VIA DEL SACRIFICIO
L’anello di Bagno Vignoni si snoda proprio nel cuore della Toscana, ed è anche nel nostro cuore che
si snoda la via della virtù del sacrificio. Che il sacrificio porti sempre buoni frutti lo impariamo
subito, perché, nell’affrontare la fatica della salita iniziale (che il bianco della strada sterrata e il sole
rendono più pesante dell’effettivo dislivello) saremo subito ricompensati ad ogni volger di sguardo: le
dolci colline con tutta la tavolozza del verde , le pennellate scure dei cipressi buttate lì dal Pittore,
come a caso, contro il cielo azzurro, ad indicare le strade e a sottolineare le forme delle colline, fiori
di ogni colore e forma, e le rose di maggio, per celebrare il mese dedicato alla Madonna. Certo, il
nostro consiglio è di fare questa passeggiata in primavera, ma chissà che non scopriate altri incanti in
altre stagioni dell’anno…
Dunque, l’anello comincia da Bagno Vignoni, dalla strada sterrata, in fondo al parcheggio, che porta
a Vignoni alto (e che è segnata da segnali bianco-rossi). Questa è la via Francigena, che i pellegrini
percorrevano per andare a Roma, offrendo la fatica del viaggio come sacrificio .
In cima alla salita, dopo il cimitero, troverete un bivio. Il percorso continua a sinistra, ma andate, per
una piccolissima deviazione, a destra, a visitare il borghetto di Vignoni alto, dove potrete rinfrescarvi
con i panorami e con i passi sul vecchio acciottolato.
Continuando poi il percorso, camminerete sul dolce crinale della collina, passando accanto ad una
cappella e scendendo poi gradatamente verso il castello di Ripa d’Orcia. Infatti, arrivati ad una
fontana, vi troverete ad un bivio: andando a sinistra, si completa l’anello verso Bagno Vignoni, a
destra una deviazione di qualche centinaio di metri porta al Castello di Ripa. Anche se non arrivate al
Castello, arrivate almeno alla prima curva, per apprezzare il colpo d’occhio della torre principale
coronata da cipressi .
Continuando poi il percorso si scende nel bosco fino ad arrivare al fiume Orcia. Anche qui, al bivio,
dovrete girare a sinistra, ma una piccola deviazione a destra vi può portare proprio sul greto del fiume
e ad un vecchio ponte sospeso.
Dopo aver superato dei vecchi fabbricati abbandonati, si incontrano le pozze tiepide delle vecchie
terme di Bagno Vignoni, dove è possibile immergersi. Potete risalire verso il paese passando dalle
pozze, oppure scegliere di continuare sulla strada carrozzabile, con una salita più graduale, fino al
punto di partenza.
L’itinerario dura 3-4 ore, e ha un dislivello di circa 200 metri in salita e altrettanti in discesa.
174
175
Allora stasera andiamo alla cineteca a vedere Nostàlgia di Tarkovski…
………………………………..
Eccoci, siamo in dieci in tutta la sala e guarda che pubblico....
Lo so che per te è stato un sacrificio, e ti sono grata per avermi accompagnata.
Devo proprio andarci! Non sapevo che esistesse un posto così. Fantastico!…
Sono contenta che il film ti piaccia...
Beh, il film no, ma il posto vale tutta la mia serata “culturale”. Mi accompagneresti a fare un giro
lì?
Magari a fare qualche trekking in salita? Mmmmh….Ma sì, dai…
Ti voglio bene.
Anche io.
176
177
- Perché, all‟inizio di ogni filare di viti, c‟è una pianta
di rose?
Forse perché il rosaio è il guardiano delle viti?
178
179
La loro voce è un coro
dalle estensioni multicolori.
Come possono convivere tali armonie ?
Come si può esserne partecipi ?
Che segreto si porta con sè tale canto del
Creato ?
182
183
Ti regalo il mio bianco.
Cosa ti posso dare in cambio?
Puoi darmi il tuo sorriso.
184
185
LA VIA DELLA PAZIENZA
Questo anello si trova proprio al confine con la Romagna, a Moraduccio, pochi chilometri
dopo Firenzuola. Poco prima del paese, una strada asfaltata (a sinistra per chi arriva da
Firenzuola) scende giù al fiume Santerno. In fondo alla discesa c’è un parcheggio per
lasciare la macchina. Si passa un ponte sul Santerno, che offre la vista sulla cascata della
Canaglia e sul fiume, e poi il sentiero inizia a salire rapidamente fino ad arrivare al borgo
abbandonato di Castiglioncello.
Il borgo è stato abbandonato a causa della guerra, perché, bombardato, non è stato più
ricostruito. Certo, la rabbia ha abbattuto il borgo, e la rabbia ha spinto i suoi abitanti ad
abbandonarlo: potreste provare anche voi la stessa rabbia, nel vedere case che un tempo
dovevano essere accoglienti e immerse i n una natura amica guardarvi tristi, con i loro occhi
senza vetri, con i loro soffitti bucati, invase dalle erbacce. Eppure, i suoi abitanti hanno avuto
la pazienza di ricominciare, anche se non lì. Forse ricominciare tutto da capo aiutava ad
accettare il cambiamento: a volte per affrontare una grande svolta occorre meno pazienza che
per ricostruire.
Tornate sui vostri passi e ritornate sul sentiero principale: dopo pochi metri, sulla destra, c’è
un sentiero che sale, identificato dal cartello “fare attenzione, terreno scivoloso”. Quello è il
sentiero che chiude l’anello, e che conviene prendere nel caso piovesse o il terreno fosse
bagnato, perché il sentiero (che è un po’ scivoloso e un po’ esposto, comunque sicuro perché
dotato di una corda di sicurezza) è più agevole a farsi in salita, che in discesa, quando piove.
Se invece fosse bel tempo, allora vi consigliamo di proseguire l’itinerario scendendo giù per
il sentiero principale, che porta al fiume.
Dopo aver guadato il fiume, troverete un cartello di legno che indica l’Anello di valtancoli.
Seguite a sinistra : il sentiero si inerpica e poi gira, fino a riportarvi in costa, da dove potrete
vedere, dall’altro lato della valletta, il borgo di Castiglioncello arroccato dinanzi a voi, col
campanile che l’edera ha pazientemente ricoperto.
186
187
Benvenuto , viandante. Hai trovato il tempo per far visita al paese abbandonato. Io vigilo sui suoi resti. Le fondamenta di
una civiltà vanno curate, tenute in ordine, pulite ed accudite, anche se le mura di mattoni vengono spostate.
Come vedi, la Natura e i suoi abitanti hanno molta pazienza: quando vennero gli esseri umani e decisero di stabilirsi in
mezzo al bosco, il bosco li accolse con calore. Io decorai i giorni della convivenza, coi petali, con le bacche, con il silenzio.
Poi decisero di andar via. E noi tutti accogliemmo quella decisione con lo stesso calore. Io continuai a decorare i giorni che
seguirono. Ogni giorno va decorato, illuminato, ogni giorno vanno strappate le erbacce, coltivati i fiori, innnaffiate le
piantine più giovani: così, ho spine per tirar via il superfluo, fiorisco e raccolgo gocce di rugiada se è mattina, di pioggia se
piove.
Sono qui ad imparare dalla terra a pazientare. La mia indole fu quella di un fiore molto vivace. Volevo fiorire in
continuazione. Ma non era la mia natura.
Quando cominciai a guardare oltre i miei rametti, era caldo. Dopo il caldo vennero le piogge, le foglie degli alberi intorno si
fecero rosse ed io osservai i mutamenti che, senza clamore, trasformavano il mondo attorno a me. Le foglie caddero e il
mondo non finì, il tempo continuò a scorrere, scese la neve. Io osservavo e basta. Quell’anno non feci nè fiori, nè foglie, nè
bacche. Il tempo passò ancora e spuntarono altre foglie, ma di nuovo il mondo non smise di andare avanti.
Così decisi: misi anch’io foglioline, boccioli e spine, fiorii, persi i petali, trasformai quel che restava di ogni singolo fiore in
bacca, diedi a ciascuna di loro il colore delle foglie d’autunno, poi rimasi in silenzio. Accolsi pioggia, neve, vento. Tornò il
sole, gli esseri umani di passaggio, qualcuno colse le mie bacche, qualcuno i miei petali. Quella prima volta mi aspettavo
che, intorno, tutti mi avrebbero applaudito. Ma nessuno fece nulla. Sembrava addirittura che nessuno si fosse accorto delle
mie trasformazioni. Pensai a lungo. Smussai le spine più acuminate e continuai ad osservare. Ogni creatura del bosco faceva
quel che facevo io. Il bosco tutto mutava. Gli esseri umani mutavano.
Mi accorsi che in realtà il mutamento non dipendeva da me. Sebbene io fossi la rosa, ero una semplice spettatrice dei miei
cambiamenti. La Natura agiva in me. La Natura agiva attraverso di me. Capire questo cambiò la mia prospettiva. Ero parte
della Natura. Ero parte del bosco. Sono parte del Creato. Come lo sono tutti.
Imparai la pazienza respirando, al ritmo delle stagioni. Capii che la pazienza era diversa dall’attesa. La pazienza agisce nel
presente, è completamente immersa nel presente: scioglie i nodi, dissoda la terra, non si arresta davanti a nulla fino a che
tutto non è in ordine.
La pazienza si coltiva nei campi del tempo. Ed io abito le stagioni, strumento della Natura, felice di essere il mezzo che da’
voce ai suoi canti, colori ai suoi dipinti, silenzi alle sue pause.
Adesso è Autunno. I fiori sono diventati bacche, le piogge sono aumentate, voi siete passati di qui. Coi vostri passi avete
illuminato questo sentiero. Voi siete parte della Natura. La Natura si esprime attraverso di voi. La luce che avete portato qui
genererà nuovi fiori, nuovi mondi.
Coltivate la pazienza. Osservate la natura che agisce in voi: fiorirete, trasformerete i vostri fiori, smusserete le spine sotto i
vostri occhi.
E senza aver fatto nulla, tranne che gioire per essere parte di un progetto tanto grandioso.
188
189
“Ecco: siamo proprio arrivati a metà strada.” Dice la giovane tartaruga di fronte ad una grande
casa abbandonata.
“Possiamo riposarci e mangiare prima di riprendere il nostro cammino. Ci pensavi tu a portare
qualcosa da mangiare, giusto?” Afferma la tartaruga anziana.
La giovane tartaruga controlla in maniera affannata una piccola foglia legata intorno al collo
dove pensava di avere messo da mangiare per sé e per suo nonno.
“Nonno, ho una brutta notizia da darti: ho dimenticato da qualche parte il cibo per il nostro
viaggio.”
“Pazienza, figliolo, ci affidiamo al buon Dio.”.
“Ma come? Ci abbiamo messo un anno tartarughese per organizzare questa gita e mi dimentico
proprio di portare da mangiare…”.
“Vorrà dire che troveremo qualcosa da mangiare per strada”. Risponde il nonno in tutta la sua
tranquillità.
“Nonno, forse non te lo ricordi, ma noi siamo tartarughe. Viaggiare per noi tartarughe è sempre
un rischio, inoltre, alla tua velocità, se non troviamo da mangiare, moriremo sicuramente di
fame prima di fare ritorno a casa. A questo punto torniamo indietro.” Dice, preoccupata, la
giovane tartaruga.
“Caro nipote, io continuo.”
“Ma nonno, la situazione è grave, come farai se non trovi da mangiare?”
“Come ho sempre fatto nella mia vita: accettando le avversità con serenità e aspettando con
pazienza che qualcosa accada. E‟ così che sono giunto alla veneranda età di centotrentadue
anni.Vai se vuoi, io proseguo.”
Così il nonno ricomincia lentamente a camminare, mentre il nipote lo guarda meravigliato.
“Nonno, aspetta, vengo con te.”.
Le due tartarughe riprendono la strada, quando ad un tratto si trovano davanti ad un ostacolo
che non permette ai due viaggiatori di continuare il cammino.
“Ecco, lo vedi nonno, qualcosa è accaduto: queste palle gialle bloccano la strada, questo vuol dire
che non possiamo procedere e che dobbiamo tornare indietro.”
Il nonno ad un tratto comincia a ridere di gusto.
“Nonno, questa situazione ti fa ridere, a me no!”.
“Rido, perché queste palle gialle, così come le hai chiamate tu, sono chicchi d‟uva. Siamo in
mezzo ad un grande grappolo di uva”.
Senza farselo dire due volte, la giovane tartaruga si dirige verso un chicco di uva e lo assaggia.
“E‟ squisito!”
“Siamo a settembre e l‟uva è matura al punto giusto. Caro nipote, facciamo rifornimento e dopo
riprenderemo il nostro cammino.
“Certo, nonno, oggi ho imparato cosa vuol dire la via della pazienza…”.
190
191
Aspetto calmo
che torni il sereno.
Apro gli occhi.
Tempo paziente
Non scorre invano.
Porta i frutti.
192
193
Esercizio sulla Pazienza :
accogliere
tutto ciò che ci sopraggiunge o
tutto ciò che non ci accade
come
una goccia di rugiada ,
nel fresco mattino
194
195
Per tanta gente
ho suonato campane .
Ora ascolto .
Ecco l‟edera :
“posso scalare cime” ,
mi racconta .
196
197
Ultimo haiku,
per chi è giunto fino a qui.
FINE ….pazienza…
198
199