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Perché ci serve il concetto di comunità.

Riflessioni a partire da un testo di Fabio Rontini su


Costanzo Preve

Recentemente è stato pubblicato sul sito “intellettualecollettivo.it” un articolo dal titolo un po’
internettiano-sensazionalistico La tesi di Costanzo Preve che spaventa i marxisti italiani di Fabio
Rontini, il quale solleva alcune importanti questioni e quindi merita di essere discusso. L’autore si
chiede perché Costanzo Preve, uno dei più illustri filosofi italiani di provenienza marxista, e che
tale si è dichiarato fin all’ultimo anche se non ortodosso e indipendente, fosse stato ostracizzato
dalla sinistra marxista. Una prima risposta egli la trova in alcune affermazioni di Carlo Formenti,
uno dei pochi validi intellettuali italiani rimasti, notevole studioso delle trasformazioni sociali e
politiche del tempo di formazione marxista, proveniente dall’operaismo, da cui ha preso però negli
ultimi anni le distanze, soprattutto nelle ultime evoluzioni negriani, ma nella versione più seria,
diciamo così, trontiana, il quale si è reso conto della deriva politica e finanche antropologica, della
sinistra dalla quale intende sottrarsi, e da questa via è giunto alla conclusione che nell’ambito del
movimento socialista è necessario un nuovo inizio, come sintetizza il titolo del libro Il socialismo è
morto, viva il socialismo, dati questi presupposti è conseguente che si producesse un ripensamento,
o forse sarebbe meglio dire un avvicinamento verso la figura di Preve che è stato uno dei critici più
radicali della sinistra marxista e della sinistra in generale, espressa in un capitolo del libro succitato.
Qui un estratto dal testo di Formenti il quale in effetti coglie sinteticamente gli snodi cruciali.
Veniamo alla tesi di Rontini:

Il motivo per cui Preve iniziò un percorso di rottura con la sinistra fu lo spettacolo del “baffetto
bombardatore” e il uso “sorrisetto cinico” che mostrava soddisfazione de che l’aveva portato ad una
completa acquiescenza nei confronti del “bombardamento etico” (titolo di un suo libro) della

La sua critica al giacobinismo robespierrista, sia pure ogni tanto un po‘ ingenerosa e unilaterale
(personalmente, sono un ammiratore di Robespierre), resta però nell’essenziale le giusta, ed a mio
avviso è la critica anticipata del comunismo storico novecentesco miglinre che conosca. Se non
condividessi profondamente questa critica. che è “comunitaria” e quindi né individualista. né
tradizionalistica ,non avrei scritto un elogio del comunitarismo, ma l’ennesimo elogio del
comunismo tout court. Se invece ho fatto questa scelta relativamente innovativa rispetto alla
tradizione comunista da cui provengo, e proprio perché la critica di Hegel ai “comunitarismi
frettolosi" che infine si rovesciano nel loro contrario e si autodistruggono mi pare convincente. Per
me, questa non è in alcun modo una rottura con il comunismo, ma, al contrario, una maniera (che
considero matura) di essere ancora fedele a questa scelta giovanile assolutamente non rinnegata che
tempo fa definii una “passione durevole”.
[…] Hegel stima Rousseau e gli riconosce volentieri la sincera intenzione di superare
l’individuali.smo atomistico astratto (per Hegel, l’individuo isolato è sempre astratto, mentre la
comunità tenuta insieme dai costumi è sempre concreta), ma ritiene che su basi russoviane si possa
avere soltanto una “comunità illusoria”, ossia un’addìzione di individualità presupposte come
originariamente solitarie che si lanciano insieme nel progetto ugualitario di un nuovo contratto
sociale equo, che possa sostituire quello precedente iniquo. Hegel chiama questo progetto
russoviano una “furia del dileguare”. E che cosa è che propriamente “dilegua” , cioè scappa in ..
avanti, si affretta senza essersi prima consolidato? È una comunità illusoria, tenuta insieme
fittiziamente da una virtù politica soggettivamente sincera, che salta i momentìi essenziali della
comunità familiare, della comunità elettiva di amici, della comunità fondata sul mestiere e sulla
competenza professionale riconosciuta, e su tutte le comunità “intermedie” senza le quali non può
neppure esistere la comunità delle comunità, il contratto sociale virtuoso fra cittadini uguagliati
dalla legge.
Personalmente, trovo questa critica hegeliana non solo intelligente e pertinente, ma addirittura
risolutiva. Non si può volere la “comunità ideale” se si comincia a disprez zare e ignorare le
comunità intermedie precedenti. Il comunismo è, tra l’altro, morto proprio di questa specifica
patologia. Ha messo la comunità astratta del comunismo davanti a tutto i1 resto, ha creduto di
potersi costituire saltando la famiglia e la società civile (spacciate frettolosamente come
“borghesi”), e così ha costruito sulla sabbia. Quando ha cominciato a entrare in crisi sul piano
economico e produttivo, si era bruciato i ponti alle spalle, e non aveva più trincee di difesa su cui
attestarsi. Franturnato l’apparato burocratico del partito, tutto si è dissolto in pochi mesi
(l’esperienza della Russia nel 1991 è stata in proposito esemplare). (Elogio del comunitarismo, pp.
151-153)

Un “comunista antimperialista” mi risponderebbe: i comunisti non hanno affatto ignorato la


questione nazionale, i movimenti di liberazione nazionale del secolo hanno visto un ruolo
fondamentale dei comunisti.

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