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JEFF BERLIN

“La creatività e la propria voce interiore”

INTRODUZIONE

Se si guarda al mondo dei bassisti, il nome di Jeff Berlin non può non figurare
nel reparto leggenda : in particolare, nell’ambito del basso elettrico si è
guadagnato, negli anni ’70, un riconoscimento mondiale come il “miglior” bassista
statunitense e da molti è addirittura considerato fra i più fini solisti al mondo,
riconoscendogli il merito di essere un importante innovatore.

Jeff si è affermato in un momento storico che vedeva sulla cresta dell’onda dei
mostri sacri quali Jaco Pastorius, Stanley Clarke ed Alphonso Johnson, e
probabilmente dopo i primi due è considerato uno dei primi virtuosi del basso
elettrico, nel suo caso rigorosamente un quattro corde che lo ha accompagnato
per oltre vent’anni di attività fino ad oggi.

“La mia evoluzione musicale consiste nell’aver suonato in modo diverso da come
farebbe un bassista tradizionale, soprattutto nel fare assoli. Io sono una sorta
di continuo work in progress, il che significa che sono in costante evoluzione
come bassista.

Ogni anno il mio modo di suonare risulta differente rispetto all’anno


precedente, anche se con il tempo la mia tecnica è diventata certamente più
lenta rispetto a giovani bassisti incredibili come Hadrien Feraud.

Così ho scelto di suonare con molta più cura, cercando di lasciare fluire la
musica invece di dedicarmi soltanto ai fraseggi da suonare.”

Queste parole tracciano l’identikit di quello che è stato ed è un grande


maestro, un violinista classico che è passato al basso elettrico ; un musicista
che ha eccelso nel rock e nella fusion così come nel jazz, nel senso più stretto
del termine, mettendo a punto un suono ed un linguaggio personale.
1 BIOGRAFIA

Il primo “assaggio” per Jeff Berlin è la musica classica : è figlio d’arte, con suo
padre cantante d’opera lirica e la madre pianista.
Nato a New York nel 1953, all’età di cinque anni Jeff comincia a prendere
lezioni di violino, il suo primo strumento che continuerà a suonare fino ai
quattordici anni per poi avvertire quello che definisce un “clic” mentale, e
decidere di passare al basso elettrico.
“Ho lasciato il violino perché non ero più felice di suonare quello strumento.
Non mi piaceva più suonare la musica classica, anche se è tuttora la mia musica
preferita da ascoltare.
Ho studiato per dieci anni uno strumento che i miei genitori hanno voluto
imparassi a suonare, e sono grato per la loro insistenza : proprio grazie a quegli
anni oggi sono un bassista migliore.
Ma, quando ho compiuto 11 anni, i Beatles sono entrati nella mia vita e tutto è
cambiato per me. Sono arrivati proprio al momento giusto per influenzarmi e
farmi decidere di cominciare a suonare un altro strumento, questa volta
elettrico.”
Dopo pochi anni iniziò gli studi presso il Berklee College of Music di Boston con
altri illustri colleghi quali Pat Metheny, Mike Stern, John Scofield, o Allan
Holdsworth con il quale, dopo il college, mise su un trio insieme a Tony Williams.
Nella sua ascesa Berlin, tra concerti e registrazioni sia come ospite sia con
gruppi propri, può affermare di aver condiviso il palcoscenico con innumerevoli
musicisti e tra i più diversi: John McLaughlin, Jermaine Jackson, Issac Hayes,
Bill Bruford, Yes, Billy Cobham, Bill Frisell, i Brecker brothers ecc. Ospite dei
festival di tutto il mondo, si è trovato in jam-session con le star più importanti
del jazz e del rock and roll: Pat Metheny, Van Halen, Jaco Pastorius, e da
curioso e sperimentatore non si è negato neppure al pop partecipando ad uno
show televisivo con il cantante Donnie Osmond.
Una delle prime collaborazioni, ritenuta fondamentale dallo stesso Jeff,
è stata quella con Bill Bruford, batterista degli Yes e dei King Krimson, che a
suo dire lo ha ingaggiato in un momento di semi anonimato : “ Bill Bruford ha
avuto una grande influenza su di me e sulla mia musica. Quando mi ha chiamato
per suonare nella sua band, ero un musicista sconosciuto, ma Bill ha percepito
qualcosa nel mio modo di suonare che lo ha spinto a farmi entrare nel gruppo.
Devo la mia carriera a Bill, sono in debito con lui per le grandi lezioni che ho
imparato nel periodo in cui abbiamo suonato insieme.
Una storia interessante che avrei dovuto raccontare prima, è quando Bill ha
suonato al pianoforte alcune note che in una scuola di musica sarebbero
considerate del tutto sbagliate. Quando glielo feci notare, Bill mi guardò e
disse «Ma a me piace come suonano».
Il suo commento è stato come una luce nel mio cervello.
Fino a quel momento non mi era mai venuto in mente che fosse possibile
suonare certe note semplicemente perché ti piacessero. Avevo sempre pensato
che per suonare o scrivere musica si dovessero seguire rigorosamente regole
accademiche. Quello fu un altro momento in cui Bill Bruford mi è stato di
grande aiuto per migliorare la mia musica.”
2 DIDATTICA

Oltre ad essere un grande musicista, Berlin è molto legato all’attività didattica,


che svolge con regolarità nella Players School of Music di Clearwater in Florida.
La filosofia di Jeff riguardo l’insegnamento, può suggerire spunti di dibattito
molto interessanti, il bassista è infatti noto per la fermezza dei suoi concetti
che sembra affermare con grande sicurezza e consapevolezza. Interrogato sul
fatto di poter trasmettere, oltre alla tecnica, anche la propria creatività agli
studenti, risponde : “ Inizierò col dire che i ragazzi con la tecnica esprimono la
loro anima, perché forse questo è quello che vogliono. Inoltre,
nell’apprendimento della musica è sbagliato pensare di insegnare la creatività
agli studenti, poiché avere "anima" o meno è per lo più un mito perché chiunque
ha un’anima e quasi tutti hanno una certa creatività.
Chi è in grado di mostrare i propri sentimenti suonando è qualcuno già capace
di suonare. Ma non tutti sanno come suonare, per questo motivo la creatività
non è una cosa da insegnare agli studenti. I grandi musicisti che hanno anima, il
più delle volte non hanno seguito scuole di musica. Perciò, durante le lezioni è
opportuno evitare proprio argomenti quali la creatività, l'anima, la performance,
il suonare a tempo e il fatto di esprimere il musicista interiore.
Gli studenti devono apprendere, non esprimere, in quanto l’espressività viene
automaticamente fuori nel momento in cui si migliora come musicisti.
I fatti vengono prima, non l’arte, ed ecco la prova : nomina una qualunque cosa al
mondo, in qualsiasi settore, sport, cucina,una qualunque attività che si possa
pensare, dove l'arte venga prima della necessità di studiare o imparare quella
cosa. Fai una lista ed io posso commentarla ma la mia previsione è che non si
possa fare. Ma, ironia della sorte in musica, l'arte sembra essere sottolineata
soprattutto attraverso termini come anima o groove (altro concetto inefficace
ed accademico).
Lo stesso discorso vale per il tempo : lo padroneggi quando acquisisci la
capacità di suonare a tempo.
Il contenuto è il modo per imparare, non l’espressione o l’anima.”
Proprio a proposito del concetto di tempo e di metronomo, si è espresso in
modo alquanto singolare in occasione di un seminario tenutosi a Roma nel 2009,
insieme al grande batterista Dennis Chambers.
Il suo intervento non è durato molto ed ha preso da subito una piega filosofica:
ci dice di non aver preparato nulla per l’occasione, ed inizia a parlare di alcuni
concetti generali che notoriamente gli sono cari. Uno di questi è il concetto di
“tempo”, inteso sotto vari aspetti:
fiero avversario del metronomo, ci ha raccomandato di non esercitarci mai
seguendone il ticchettio freddo e regolare, poiché ciò andrebbe a scapito
dell’interpretazione del brano che stiamo studiando; in altre parole se siamo
costretti a prestare attenzione alla regolarità temporale del flusso di note, non
possiamo contemporaneamente concentrarci sul significato delle stesse.

In questo senso il metronomo ci costringe ad una performance che potrà anche


far felici gli insegnanti, ma non contribuirà in alcun modo alla nostra crescita
musicale, né migliorerà il nostro senso del tempo.

Per dimostrarci quanto detto, ha eseguito al basso la prima parte di alcune


frasi musicali ben note, pregandoci di terminarle battendo le mani, quindi
spiegando che il fatto di aver risposto correttamente fosse legato all’ascolto
del contesto musicale (l’inizio della frase), non ad un’indicazione metronomica.

Poi chiede se in sala ci fosse qualcuno che non avesse mai suonato. Trovata la
persona, Jeff gli presta il suo basso chiedendogli di suonare ripetutamente una
nota qualsiasi, mentre lui va a sedersi dietro alla batteria ed inizia a suonare un
ritmo binario seguendo quella nota di basso ripetuta sui quarti.

L’intento è quello di mostrare che la musica rock è nata in maniera per così dire
“ignorante”, naturale, a partire da un senso del tempo innato e dalla conoscenza
informale di poche nozioni musicali : una ricetta semplice ed efficace.

A proposito del linguaggio musicale, altro tema caro a Jeff, ha insistito molto
sul fatto che la sua acquisizione ed il suo continuo arricchimento è di fatto il
vero compito del musicista, partendo dal principio che non si può suonare ciò
che non si è mai ascoltato, così come non si può parlare una lingua che non si
conosce.

L’imitazione nelle prime fasi, lo sviluppo della tecnica, l’ascolto, l’analisi e la


trascrizione di nuova musica forniscono le “parole” per creare un proprio
linguaggio musicale. Non solo: è importante commettere errori, sperimentare
nuovi fraseggi, nuove soluzioni melodiche ed armoniche se si vuole creare nuova
musica. Un’idea nuova che possa sembrare strana all’inizio, una volta divenuta
familiare al proprio orecchio ed alle proprie mani, diviene nuova musica.

Ad ulteriore dimostrazione delle sue teorie ha fatto un altro esperimento:


invita a salire sul palco un volontario con il proprio basso, gli indica una sequenza
di note piuttosto “spigolosa” (fatta di intervalli di nona bemolle discendenti
cromaticamente), chiedendogli di riprodurla più volte lentamente e senza
preoccuparsi di sbagliare le singole note. Sotto la sua guida, nel giro di
pochissime ripetizioni il ragazzo è stato in grado di suonare quella frase strana
e dissonante. Questo per farci capire che una buona fase di apprendimento
richiede di concentrarsi esclusivamente sulla acquisizione nella mano ed in testa
del nostro oggetto di studio, senza aver fretta, prescindendo da quella che sarà
la sua resa musicale finale e senza preoccuparsi di dover andare “a tempo”: in
definitiva lo studio non è una performance.

Successivamente ha chiesto alla platea di suggerigli una serie di note a caso,


che ha imparato sul basso nel giro di poco più di un minuto.

La frase che ne è venuta fuori poteva ben appoggiarsi su un accordo di Re 7, ed


aveva un che di bachiano, cosa che evidentemente deve aver pensato anche lui,
a giudicare dall’improvvisazione in Sol minore che ne è seguita, ricca di
imitazioni, risposte, passaggi con accordi diminuiti ed altro.

Il tutto è durato meno di un’ora, lasciando il pubblico perplesso ed ammutolito.


Altresì fermo e convinto è il suo giudizio sul bisogno di praticare ed esercitarsi
sullo strumento : “ Nella musica, esercitarsi è essenziale quanto suonare.
Sono cose completamente diverse, dato che suonare è un’esperienza che
accade in tempo reale spontaneamente, in quel preciso istante mentre
l’esercizio è la valutazione di nuova musica che il più delle volte non accade in
tempo reale.
Si fa esercizio non a tempo, in modo da scoprire dove e quali siano le note sulla
tastiera, perciò esercitarsi e suonare sono raramente in relazione fra loro.
Il risultato è che solo quando avrò assimilato tutte le informazioni potrò
suonarle in tempo reale, ed ecco perché esercitarsi e suonare sono due cose
separate. Per quanto mi riguarda io sono un musicista molto attento.

Per me l’esercizio è così importante che invecchiando mi ci sono dedicato ancor


più di prima ed i risultati sono stati grandiosi.

Sono convinto che l’esercizio sia importantissimo e raccomando alle persone di


farlo, anche se so che molti musicisti non lo faranno.

Quello che succederà però, è che non applicando i metodi necessari per
migliorarsi , scopriranno che la loro capacità nel suonare sarà fortemente
ridotta e la loro conoscenza della musica risulterà rallentata.

Perciò quando dico << Dai ragazzi, dovete dedicare un po’ di tempo allo
strumento che possedete >> non vuol dire che dobbiate smettere di suonare la
musica che amate. Tutti abbiamo iniziato a suonare perché ci piaceva un certo
tipo di musica. Amiamo il rock, il blues, il jazz, e non dobbiamo smettere di
suonare solo perché nell’esercitarsi si affronta la musica soprattutto in
maniera accademica.

Questa forma mentis dedita allo studio con l’imperturbabilità di un samurai,

è retaggio dei trascorsi classici di Berlin di cui dirà :“Vedi, io sono stato anche
un violinista per dieci anni, ero uno studente classico seriamente preparato.

Con quel background, e notando quanto i musicisti classici prestassero


attenzione al loro strumento e allo spartito che avevano davanti, ho imparato
che l’elemento pratico della musica è valorizzato quando viene data attenzione
ai piccoli dettagli. Lo fanno i nostri studenti a qualsiasi livello di lettura ed
esecuzione si trovino, ed è per ciò che migliorano tutti.

L’esercizio può ridurre il tempo di apprendimento di certe persone anche della


metà, che potrebbe voler dire venti anni, se fatto correttamente.

Come insegnante, la prima cosa che farei è diminuire la quantità di compiti che
gli studenti devono svolgere. Io non assegno dieci pagine di compiti ad un
musicista in difficoltà, gliene dò due. Voglio che torni dicendomi << Mi sono
stufato! >>. Quando sento tutto ciò rido e penso: <<Sei stufo eh? Due settimane
fa eri praticamente in lacrime, spaventato a morte da questa roba! >>.
Adesso vengono a chiedermi altro materiale da leggere ed è meraviglioso da
vedere.”

Jeff Berlin inoltre condivide al cento per cento il concetto di errore :

“Ti è permesso fare degli errori nella musica, ti è permesso sbagliare mentre
ti eserciti, anzi è sicuro che sbaglierai, succederà. Perciò quando succederà non
sarà un problema. Gli errori sono fonte di gioia perché grazie ad essi sai
esattamente cosa correggere, anche se pochi musicisti riescono ad affermare
ciò. Ci sono moltissimi musicisti che suonano in continuazione, sbagliano e non
sanno cosa correggere. Io lo capirei esattamente dopo averli ascoltati per
cinque minuti.“

3 LO STILE

Lo stile di Berlin è fortemente legato alla fusion, ed è paragonabile a quello di


Jaco Pastorius, sebbene Berlin suoni un basso con tasti (anziché fretless) e
abbia preso più volte le distanze dagli imitatori di Pastorius :
“A Jaco dava fastidio che così tanti musicisti emulassero il suo stile e ci
costruissero sopra le loro carriere. Non era entusiasta di quella smaccata
imitazione, me lo ha detto Pat Metheny anni fa.

Il mio più grande rammarico riguardo ai bassisti con spirito d'avventura è che
la loro indole li spinga sempre verso lo stile e il modo di suonare di Jaco
Pastorius : fino ad oggi quelli che suonano il basso fretless glissano gli armonici
e fanno accordi, ma se smettessero di suonare Teentown ed iniziassero a
esplorare una musica differente da quella di Jaco, allora potrebbe accadere
qualcosa di davvero unico nel loro modo di suonare.

Ho sempre pensato che ci fosse qualcosa in questo strumento, che vada al di la


del fretless e delle armoniche, tuttavia molte persone non si sono spinte oltre
ciò che Jaco ha dato come contributo.

È difficile essere diversi sul proprio strumento, ci vogliono anni di dedizione, e


lo si fa negandosi l’accesso al modo di suonare di qualcun altro, a meno che tu
non sia un novellino che si è appena approcciato allo strumento.
In questo caso è un’ottima idea imitare lo stile di altri musicisti, basta non
rimanerci ancorati troppo a lungo.

Anni fa Keith Jarret mi ha raccontato una storia : non gli era mai piaciuto
suonare con bassisti elettrici, ma una sera mi diede un passaggio a casa dopo un
concerto a New York in cui entrambi avevamo suonato, in due gruppi diversi.

Miles era forse uno dei migliori interpreti di ballads fra i jazzisti, in quel senso
era fenomenale, ma un giorno ha smesso di suonarle.

Keith gli ha chiesto perché lo avesse fatto e Miles gli ha risposto <<ho smesso
di suonarle perché le amo tantissimo>>. Si era sentito in una situazione in cui
non poteva più crescere, perciò si è negato l’accesso ad uno stile in cui si
sentiva a suo agio, per poter sfidare se stesso in altri contesti.

All’epoca con Miles suonava Herbie Hancock, ed una sera Miles gli disse:

<<In questo brano suona solo queste tre o quattro note>>.

Herbie gli rispose <<Ma cosa stai dicendo? Sono strane, non funzionano! >>

Ma Miles gli disse di suonarle e basta.

Quando hanno suonato il brano, Herbie ha cominciato a suonare quelle note


strane durante l’assolo di Miles, il quale si è agitato fisicamente nel suonare la
tromba, cercando di trovare una strada in quella musica.

La sera successiva hanno suonato lo stesso brano, con Herbie che riproponeva
la stessa armonia. Miles era molto meno stressato e nella terza serata non si
muoveva neppure, se ne stava li a suonare la sua musica avendo trovato una
strada. La sfida, per Miles, era di fare qualcosa che lo avrebbe costretto a
svegliarsi per arrivarci. Ciò lo avrebbe costretto a cercare qualcosa che per lui
non fosse naturale, ed era una cosa che voleva disperatamente.

Anch’io voglio tutto questo ardentemente. Non sono nella categoria di Miles ma
lo desidero davvero. Vedi, io mi esercito per me stesso, non per essere un
miglior intrattenitore sul mio strumento.

Però mi sono esercitato per me stesso cosicché quando suono riesco a


condividere un’esperienza con la gente. In tal modo mi sento il miglior
intrattenitore, dato che sto dando il massimo di me stesso e ciò che dò è ciò
che ho.
Secondo me la musica è un’arte egoista. Picasso era un artista egoista,
ciononostante invitava altra gente a condividere l’esperienza.

Miles era un artista egoista ma invitava gli altri a condividere l’esperienza.”

In tal senso Jeff Berlin ritiene che un artista possa dare il meglio di sé
paradossalmente quando può permettersi di essere egoista :

“È da parecchio che sono in grado di suonare qualsiasi concerto mi si presenti


l’occasione di fare, perciò non studio per il concerto in se, ormai da anni.

Mi esercito, anzi, per quel qualcosa che ancora cerco e mi manca, cioè la gioia
della musica ed ogni giorno mi ci avvicino un po’.

Un giorno posso arrivarci per qualche ora, quindi mi ci abituo ed


improvvisamente non ne sono più contento, ma la gioia della musica sta nel fatto
che l’indomani puoi sempre suonare un po’ diversamente o un po’ meglio.”

In particolare, ritengo questo passaggio dell’intervista molto illuminante

e mi trovo perfettamente d’accordo con questo grande maestro nell’affermare


che il processo “step by step”, l’avvicinarsi ogni giorno di più, siano il sale e la
gioia di vivere ed interpretare la musica per tutti noi musicisti. Perlomeno tutti
quelli che amano e rispettano ciò che fanno.

Gli anni trascorsi come violinista, inevitabilmente influenzano Berlin nel suo
modo di suonare e di concepire il basso elettrico, una peculiarità notevole, che
ha permesso al bassista di oltrepassare i limiti e le griglie dello strumento : “
La mia formazione da violinista mi ha aiutato a sviscerare il basso come
strumento melodico perché il violino è ben diverso, ma di fatto ho imparato a
muovermi sulla tastiera del basso elettrico con una certa fluidità, proprio
perché la mia mano sinistra era allenata sul violino. Per quel che riguarda la mia
capacità come bassista devo molto a quegli anni passati a suonare il violino.”

Vera ossessione stilistica di Jeff Berlin è stata, ed è tuttora, la costruzione di


un linguaggio e fraseggio da solista, che incorporasse il sapere e le soluzioni
armoniche dei grandi improvvisatori di jazz quali Michael Brecker o Pat
Metheny, molto influenti per l’orecchio armonico – melodico del bassista :

“ Nell’affacciarmi al mondo di Brecker sono costretto a considerare prima la


musica e poi ad usare il basso come veicolo : la musica viene sempre prima, lo
strumento per secondo, poichè i Martino, i Brecker o Pat Metheny sono
musicisti migliori di me dal punto di vista armonico.

Ho trovato delle cose totalmente uniche per il basso, ho anche delle parti di
Michael Brecker che sono veramente difficili : ce n’è una che sto studiando da
un paio di mesi ed ancora non riesco ad eseguire. Ho intenzione di continuare, è
come cercare l’oro, bisogna continuare a scavare.”

Il bassista dice di essersi esercitato per mesi e mesi sul libro di David Liebman
- A chromatic approach to jazz harmony and melody - : “ E’ la mia bibbia.

È il metodo di studi avanzati più provocatorio e musicalmente stimolante che


abbia mai incontrato. Mi sfida perfino quando sono a letto, non riesco a
spegnere il cervello! Penso a tutti quegli esercizi, sto anche facendo un sacco di
trascrizioni. Sono un grosso fan di Pat Metheny e penso che quando suona jazz
sia uno dei migliori chitarristi mai vissuti, un talento fenomenale. Ho sempre
desiderato essere libero sul mio strumento, come molti bassisti non sono mai
riusciti, ed uno dei migliori modi per farlo è trascrivere gli assoli di Pat.

Ho trascritto degli assoli di Michael Brecker, ho qualcosa di Hubert Laws e di


Pat Martino che è un chitarrista jazz molto “interno”. È incredibile, suona
molto all’interno della tonalità in cui si trova : in Do maggiore lui non suonerà in
Si, ma Brecker lo farebbe.

Io ho suonato con Pat Martino e quando ero giovane i miei compagni di jam
erano Pat Metheny, John Scofield, Bill Frisell e Mike Stern.

Stern ed io eravamo vicini e studiavamo col grande insegnante Charlie Banacos,


confrontavamo gli appunti insieme e suonavamo tutto il tempo.

Oggi sono completamente assorbito dal suonare assoli e studiare il libro di


Liebman, ma anche ciò che ho trascritto di Cannonball Adderley.

Sono impegnato con della musica che non è stata concepita per il basso.

Il nostro è uno strumento molto simmetrico, il che ad essere onesti è piuttosto


limitante poiché abbiamo la tendenza a suonare diatonicamente, ma ho scoperto
che forzandomi in contesti non diatonici posso suonare dei soli come nessun
altro bassista farebbe.”
Il risultato di questo processo è una tecnica impressionante, unita a un
fraseggio fluido e un gusto musicale raffinato che hanno reso Jeff, ormai da
anni, uno dei punti di riferimento per moltissimi appassionati del basso
elettrico.

E’ stato curioso per me scoprire che, nonostante questa “full immersion”


jazzistica, la prima influenza bassistica per Jeff Berlin è stato il rocker Jack
Bruce dei Cream :

“ Jack è stato il solo eroe del basso che io abbia mai avuto. Il suo modo di
suonare nei live dei Cream mi entusiasmava incredibilmente.

Ritengo che Jack sia stato il primo bassista virtuoso della storia della musica, il
primo a portare il basso elettrico in una direzione totalmente nuova.

Basta ascoltare il suo basso in Sweet Wine da Live Cream e si sente forse la
più grande performance di basso nella storia del rock. Ancora oggi non conosco
nessuno in grado di suonare con la sua stessa sensibilità melodica nel rock.”
Jeff Berlin e Jack Bruce
4 LA SCELTA DEI BRANI

Ho scelto di analizzare e riprodurre il lavoro di Jeff Berlin su alcuni fra gli


standards più famosi e di dominio pubblico, raccolti in un disco del 2010
intitolato “High Standards”.

La formazione scelta dal Berlin per l’occasione è un trio abbastanza inusuale


quanto interessante : la lead è affidata a lui con il basso elettrico, coadiuvato
da una sezione ritmica con Richard Drexler nel duplice ruolo di contrabbassista
- pianista, e Dan Gottlieb alla batteria.

L’approccio del trio ai brani e’ strutturato con criterio e maestria :

ad esempio in Nardis il basso elettrico e il contrabbasso suonano insieme il


tema e scambiano i ruoli nel momento dell’improvvisazione, con uno a supporto
dell’altro e viceversa.

Questo concetto è applicato in maniera abbastanza simile in Groovin’ High,il


famoso tema bebop di Dizzy Gillespie, in cui Drexler abbandona il contrabbasso
per passare al piano, scelta molto più funzionale allo stile up swing.

Il tema viene suonato secondo la modalità “call and response” :

Berlin suona la prima frase e il pianista la riprende talvolta con leggere


variazioni, mentre le ultime quattro misure della struttura vengono suonate
esattamente all’unisono.

Altresì notevole è l’arrangiamento della celeberrima Body & Soul :

l’esecuzione comincia con un intro libera di pianoforte che prepara il tema, di


cui le A vengono suonate dal basso e la B dal piano ; in questa esposizione le
variazioni sulla melodia effettuate da Jeff Berlin sono tantissime con volatine,
scale e accordi. E’ interessante notare come molti fraseggi in velocità vengono
eseguiti da Berlin suonando gran parte delle note legando tutto con la mano
sinistra, senza un finger picking continuo della mano destra.
1 NARDIS

Il celebre standard di Miles Davis è eseguito in maniera impeccabile


nell’esecuzione del tema divisa fra il basso elettrico di Berlin e il contrabbasso
di Drexler : il risultato è la tessitura di un bellissimo chord melody, assai poco
comune al basso elettrico fino all’era moderna dei bassisti virtuosi, con il quale
Jeff espone il tema inframezzando accordi a tre voci ed abbellimenti che si
intrecciano con la linea del contrabbasso.

Riguardo la tecnica degli accordi, Berlin la utilizza con perizia, come i più grandi
bassisti elettrici che siano riusciti a sviscerare lo strumento e a centrare un
perfetto approccio jazzistico in termini di suono e linguaggio.

Di seguito ho riportato i voicings a tre voci e i bicordi suonati dal bassista


nell’esecuzione del brano.
Ecco un estratto di sedici misure del primo chorus di basso :
Dal linguaggio con cui Berlin costruisce questo solo, si denotano un preciso
senso melodico, un abbondante uso dei cromatismi e varietà ritmica :

La prima frase è chiaramente una triade di E minore suonata con la numerica


invertita “ 5-1-3”, che viene ripetuta anche nella seconda misura con l’aggiunta
di una blue note d’approccio.

Altro tratto distintivo del fraseggio è la capacità di evidenziare i chord tones,


come fa nella terza e quarta battuta, suonando le note dell’accordo di B7 per
poi cadere sulla terza del CMaj7 successivo ; e ancora nella settima battuta
dove la prima nota è un chord tone, la quinta di E minore, raggiunta in battere
sul primo movimento da una terzina di semiminime che discendono
cromaticamente nella battuta precedente.

La dodicesima battuta, altro fraseggio articolato e ricco di approcci cromatici,


presenta tre terzine : la prima F – F# - A, insieme al F# prima croma della
terzina successiva, potrebbe costituire un quadruplo approccio al G da cui parte
un frammento diatonico con l’aggiunta del C#, che sale fino al D, prima nota
della battuta successiva ed undicesima dell’accordo di A minore, che continua in
una discesa scalare fino al E naturale.

Più interessanti armonicamente sono le ultime due misure : l’accordo di E minore

dell’ultima battuta viene alterato suonando in battere il D #, una settima

maggiore, che quindi suggerisce un’armonizzazione minore melodica.


2 GROOVIN’ HIGH

Di Groovin’ High ho trascritto due porzioni del solo di basso, di cui questo è
l’incipit del primo chorus, con il pickup nella prima misura.

La frase che “lancia” il solo è un perfetto esempio di come suonare out senza
che l’orecchio avverta troppa dissonanza, per poi rientrare nel centro tonale :

il pattern suonato è costruito sulla scala di Db minore per evidenziare la


sonorità di E maj e poi concludere la sequenza sul D naturale, ossia la settima
del Eb Maj, primo accordo della struttura nonché centro tonale del brano.
La linea che va dalla sesta alla decima misura è costruita perfettamente :

sull’accordo di D7 Berlin suona un lick molto comune, che parte da un triplo


approccio cromatico inferiore al D, per poi tornare indietro con un doppio
approccio cromatico superiore al C e concludere la linea verso il Bb, quinta
dell’accordo di Eb Maj nella battuta successiva.

Nella settima battuta suona due quartine di pentatonica concatenate, quella di


Eb Maj e quella di G minore, poi un triplo approccio al Bb, quinta dell’accordo ;

infine sul G minore suona due intervalli di terza con la quinta, resa bemolle nel
secondo salto, e la settima dell’accordo, mentre sul C7 suona la nona bemolle
per poi cadere subito sulla tonica.
Anche l’incipit del secondo chorus di solo mi è sembrato meritevole di
trascrizione, in quanto ci sono tutti gli elementi del linguaggio mainstream -

bop : la prima frase, quasi un clichè, si sviluppa con un approccio alla terza
dell’accordo di Eb Maj; doppio approccio cromatico discendente alla quinta per
poi ritornare sulla terza con un triplo approccio (doppio cromatico inferiore e
diatonico superiore).

Nella terza battuta sull’accordo di A minore è interessante notare l’utilizzo di


una triade di E aumentato, dopodichè a battuta quattro discende con un triplo
approccio cromatico A – Ab – G verso il Gb, scelto come prima nota in battere
sull’accordo di Eb Maj della misura successiva, quindi l’ipotetica terza maggiore
viene resa blues, per poi continuare una scala maggiore discendente.

L’ultima battuta può essere intesa come un clichè che sottintende l’accordo di
D7b9 per risolvere su G minore.
3 BODY & SOUL

L’ultimo dei soli che ho trascritto e’ la sezione A del primo chorus di Jeff
Berlin sulla bellissima Body & Soul, che viene suonata in double time feel
durante l’improvvisazione.

A mio avviso, questo solo è impareggiabile riguardo ad efficacia ed essenzialità


ritmica e armonica, ancora una volta il fraseggio di Berlin è perfettamente
centrato e sottolinea la peculiarità e le alterazioni degli accordi in maniera
esemplare. Il bassista inizia il solo ripetendo per le prime due battute la nota F,
nona dell’accordo di Eb minore, puntando sul peso ritmico.
Dopodichè, nella terza e quarta misura, utilizza lo stesso frammento ritmico
creando un motivo melodico che evidenzia : la tonica sul Eb minore, l’undicesima
diesis sull’accordo di Ab7 e la quinta sul Db maj nella quinta misura.

E’ interessante analizzare quello che succede nelle tre battute successive : con

un frammento di scala Berlin raggiunge la nota Db in battere, sul primo


movimento della settima battuta contro l’accordo di Fmin7, quindi considerabile
come una tredicesima bemolle, dalla quale discende per collegarsi ad una scala
di E diminuito nella misura successiva.

Nelle battute finali della trascrizione si può osservare una sapiente alterazione
degli accordi con una triade di D aumentato (quindi inteso come equivalente di
Bb aumentato, quinto grado di Eb minore) nella decima misura ; dopodichè il
bassista suona una triade di Gb minore con inversione delle note, per poi
effettuare un tipico gruppetto sulla nota F con la nona bemolle e la settima
minore, ed infine sottintende probabilmente un’armonizzazione diminuita
semitono-tono di F, approcciando la nota D bequadro e discendendo sul
frammento A naturale – Gb – F, chiudendo quindi sulla quinta di Bb minore.
5 IL SETUP

Jeff Berlin utilizza un basso Cort versione “custom”, il Cort Jeff Berlin
Rithimic 4 : il basso monta pickup Bartolini passivi e corde Carl Thompson,
definite da Berlin le migliori corde mai suonate, in quanto rimangono vive per
mesi nonostante il clima umido della Florida.

Riguardo l’amplificazione è in corso da anni una lunga partnership fra Berlin e la


Mark bass che ha prodotto un combo che porta il suo nome, con diffusore da
15 pollici ma senza tweeter : secondo Jeff la presenza di

quest’ultimo all’interno dell’amplificatore determina la riproduzione di


frequenze alte eccessivamente enfatizzate, che vanno a falsare il suono dello
strumento snaturandolo.

Cort Jeff Berlin Rithimic Signature


Mark bass CMD 151 P Jeff Berlin
6 DISCOGRAFIA DA SOLISTA
• DISCOGRAFIA COME SIDEMAN

• 1976 Patrick Moraz – The Story of I (Charisma (UK), Atlantic


(US/Canada), Voiceprint (reissue))[12]

• 1976 Esther Phillips – Capricorn Princess[13]


• 1976 Patti Austin – End of a Rainbow (CTI)[14]
• 1976 David Matthews with Whirlwind - Shoogie Wanna Boogie (CTI)[15]
• 1977 Ray Barretto – Eye of the Beholder (Atlantic)[16]
• 1977 David Liebman – Light'n Up, Please! (A&M)[17][18]
• 1977 Ernie Krivda – Satanic (Inner City)[19]
• 1977 Bruford – Feels Good to Me[20]
• 1978 Don Pullen – Montreux Concert (Atlantic)[21]
• 1979 David Sancious – Just As I Thought[22]
• 1979 Bruford – One of a Kind (Winterfold)[23]
• 1980 Bruford – Gradually Going Tornado (Winterfold)[24]
• 1980 Passport - Lifelike
• 1980 Joe Diorio – 20th Century Impressions
• 1981 Bruford – The Bruford Tapes (Winterfold)[24]
• 1981 Herbie Mann – Mellow
• 1983 Allan Holdsworth – Road Games
• 1983 Janis Ian – Uncle Wonderful
• 1984 Clare Fischer and Salsa Picante – Crazy Bird
• 1985 Shumate-Reno Jazz Quintet – Hurricane
• 1986 Bruford - Master Strokes: 1978–1985
• 1986 T Lavitz – Storytime
• 1987 Henderson-Berlin-Smith-Lavitz – Players
• 1987 Kazumi Watanabe – The Spice of Life
• 1988 Kazumi Watanabe – The Spice of Life Too
• 1989 k.d. lang – Even Cowgirls Get the Blues
• 1993 Anderson Bruford Wakeman Howe – An Evening of Yes Music Plus
• 1994 Nathan Cavaleri Band – Nathan
• 1995 Richie Kotzen – The Inner Galactic Fusion Experience
• 1995 Michael Zentner – Playtime
• 2002 Novecento – Featuring...
• 2006 Chambers - Jeff Berlin-Fiuczynski-Lavitz – Boston T Party
• 2006 Bruford - Rock goes to College - (2006 DVD Winterfold Records)
• 2012 Henderson-Berlin-Chambers – HBC (Tone Center)
• 2013 Nick Miller – My Memories

7 SITOGRAFIA

• http://guide.supereva.it/musica_jazz/interventi/2002/11/124493.shtml

• https://www.corriereadriatico.it/spettacoli/
jeff_berlin_basso_elettrico_corinaldo_jazz-536855.html

• http://www.globalbass.com/archives/nov2000/jeffbitalia.htm

• https://www.rivieraoggi.it/2004/01/31/4220/le-sonorita-di-jeff-berlin-
al-bitches-brew/

• https://didatticadelbassoelettrico.it/2009/12/14/seminario-dennis-
chambers-jeff-berlin-roma-11-dicembre-2009-articolo-di-francesco-
napoleoni/

• http://www.musiculturaonline.it/il-tour-estivo-di-jeff-berlin/

• https://www.dazebaonews.it/cultura/2646-intervista-a-jeff-berlin-il-7-
aprile-concerto-a-stazione-birra.html

• https://www.rivieraoggi.it/2004/01/31/4220/le-sonorita-di-jeff-berlin-
al-bitches-brew/
INDICE

1. INTRODUZIONE………………………………………………………………………………………………………1

2. BIOGRAFIA……………………………………………………………………………………………………………….4

3. DIDATTICA……………………………………………………………………………………………………………….9

4. LO STILE…………………………………………………………………………………………………………………..15

5. LA SCELTA DEI BRANI…………………………………………………………………………………………16

5.1 NARDIS……………………………………………………………………………………………………………………19

5.2 GROOVIN’ HIGH…………………………………………………………………………………………………..22

5.3 BODY & SOUL………………………………………………………………………………………………………..24

6. IL SETUP…………………………………………………………………………………………………………………..26

7. DISCOGRAFIA…………………………………………………………………………………………………………30

8. SITOGRAFIA ………………………………………………………………………………………………………….31

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